Dream of a life

di _Faye_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** Dancing, queen! ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***


“Piove, possibile che piova sempre in questa dannata città?”, a passi spediti Ginevra procedeva sul marciapiede lastricato, lungo il viale che segue il corso del Tamigi, “Certo che piove sempre, non ho scelto Londra proprio perché amo la pioggia? Dovevo essere impazzita quel giorno!”. Ginevra Sforza si era trasferita dalla ridente cittadina di Morrovalle, nelle Marche, alla cupa e grigia Londra solo pochi mesi prima, aveva deciso di dare una svolta alla sua vita, spesso lo pensava ma mai aveva fatto il passo decisivo.

Tutto accadde un venerdì pomeriggio di Luglio, quando l’azienda infermieristica presso la quale lavorava si ritrovò costretta a dichiarare il fallimento, era da parecchio tempo che questa terribile ipotesi gravava su di lei e su tutti i colleghi ma non avevano immaginato che la disastrosa notizia arrivasse a coglierli così rapidamente. Le era bastato un mese per decidere di lasciare il suo paese natio, ma non si riferiva solo a Morrovalle, o alle Marche, no, lei voleva lasciare l’Italia. Si era data da fare parecchio nel corso degli ultimi anni, aveva imparato egregiamente la lingua inglese, mai appresa tramite le scuole, e così, una mattina di inizio autunno aveva acquistato un biglietto aereo di sola andata per Londra. Già, Londra, perché proprio la capitale Inglese? A lei piacevano molto anche Praga e Parigi, perché proprio questa città, così diversa da dove era nata e cresciuta? Una risposta forse ce l’aveva ma era talmente assurda di non voler non solo ammetterlo con gli altri, ma neppure con se stessa.

Un taxi che sfrecciò a tutta birra a fianco al marciapiede sul quale camminava la fece tornare alla realtà; per poco non la inondò di quella lurida acqua grigio-marrone che riempiva le pozzanghere. Stufa di camminare per raggiungere il lontanissimo albergo, senza uno straccio di ombrello per ripararsi, decise di infilarsi in uno dei tanti bar che si affacciavano sul viale, “uno vale l’altro, l’importante è farsi una birra e stare al caldo!”. Entro, si abbassò il cappuccio della mantella e si sedette su uno sgabello vuoto di fronte al bancone. “Una rossa, grazie”, ordinò la birra al barista mentre lentamente si volse a guardare la sala affollata, era venerdì sera, pertanto il bar era stracolmo di gente. Il barista, un omone dall’aria simpatica, sulla cinquantina, le porse il boccale con un gran sorriso. Fu un piacere mandar giù un sorso di birra, dopo quella lunga camminata.

Gli altoparlanti del bar trasmettevano musica pop e al centro del locale vi era spazio sufficiente per permettere ai più esuberanti, o ai più coraggiosi o ai più ubriachi, di scatenarsi nelle danze. Un gruppo di ragazzi seduti ad un tavolo di fronte a lei le lanciò uno sguardo ammiccante ed un sorriso niente male, classici inglesi, dalla pelle candida e i capelli biondo-rossiccio. Le piacevano gli inglesi, ma non era particolarmente in vena di fare nuove conoscenze, in quel momento.  Si rigirò verso il bancone, tornando alla sua birra, la porta del locale nel frattempo continuava ad aprirsi e chiudersi, continuando a far fluire all’interno orde di giovani (e non) inglesi. Il barista cominciò a scambiare due parole di cortesia, le solite chiacchiere da bar, nulla di particolarmente erudito, ma era piacevole conversare e non rimanersene seduta in silenzio tutta sola. Il suo inglese era veramente migliorato rispetto a solo pochi anni fa, certo, l’accento tradiva la sua origine italiana, ma comunque chiunque avrebbe affermato che Ginevra non poteva essere di origini inglesi: mora, occhi castano verdi, pelle olivastra, i classici tratti mediterranei che solo gli italiani (o gli spagnoli) posso avere.

La porta si aprì ancora e questa volta qualcuno venne ad occupare il posto accanto al suo; “E’ libero?”, una voce maschile si rivolse a lei, che poca attenzione stava prestando, intenta ancora a scambiare battute con il barista dall’altra parte del bancone, “Teoricamente..”, fu l’unica risposta che diede all’ormai vicino di sgabello, senza nemmeno alzare gli occhi verso di lui, il barista però lo salutò calorosamente, come se lo conoscesse da tempo, così anche Ginevra si ritrovò a sollevare lo sguardo per capire se almeno poteva valer la pena di scambiarci qualche parola in amicizia. Nel mentre, si stava portando il boccale alla bocca e per poco non le scivolò dalla mano, rimase impietrita come un troll di montagna di fronte alla luce del sole, con un’ espressione poco interessante, piuttosto più simile a quelloadi una triglia. La reazione avuta non fu però così tanto esagerata, se consideriamo chi effettivamente era venuto a sedersi di fianco a lei: Benedict, l’unica persona che, probabilmente, da diverso tempo a questa parte occupava i suoi sogni durante le notti.. ed anche di giorno, ad occhi aperti. “Ciao, scusa, sono stata poco cortese, ma ovviamente puoi sederti. Piacere, io sono Ginny”. Raramente usava il suo nome intero, qui a Londra, Ginevra risultava decisamente più difficile di Ginny da comprendere ed anche da pronunciare, così, quando si rese conto che il diminutivo poteva anche essere scambiato per un nome inglese, decise che l’avrebbe usato maggiormente rispetto al vero nome. Ben risposte con un sorriso decisamente divertito, deve essere abituato a questo tipo di reazioni e non solo perché è un personaggio conosciuto, diciamocelo francamente, anche perché è veramente bello da mozzare il fiato. Ordinò una birra rossa esattamente come quella di Ginevra e si voltò verso di lei, “Piacere, Ginny, io sono Benedict. Chissà perché ho l’impressione che tu non sia del posto”, Ginevra nel frattempo stava ritrovando un poco di autocontrollo, così quando aprì bocca riuscì a formulare una frase decisamente più di senso compiuto rispetto alla precedente: “Indovinato, Ben! Sono italiana, vivo a Londra da pochi mesi e, bè, diciamo che sapevo chi eri anche senza che ti presentassi..” Lui sorrise a questa sua risposta, mentre beveva un’altra sorsata di birra. “Che te ne pare di Londra? Deve essere molto diversa da dove vivevi tu.. non sono mai stato in Italia ma dicono che sia molto bella.” Ginevra distolse lo sguardo, si rese conto che lo stava fissando forse un po’ troppo insistentemente, ma dopo tutto quel tempo a seguirlo, ad ammirarlo attraverso le fotografie, i video, i film, non le sembrava reale. Però i suoi occhi si che erano reali, di quell’azzurro glaciale da lasciare senza fiato. “E’ molto diversa, si, io vengo dalla zona centrale dell’Italia ed il clima è completamente differente, anche l’aspetto ovviamente, ma la cosa che più si fa sentire è il cambio di clima, qui piove moltissimo, nel mio paese invece molto meno, ma in fondo ho scelto apposta di trasferirmi in questa città poiché amo il freddo, l’umidità ed anche la pioggia, sembra strano ma è così.” Mentre finiva di parlare cercò nella borsa la sua bustina verde contenente il tabacco, estrasse una cartina ed un filtro e cominciò a rollarsi una sigaretta; di tutta risposta lui estrasse il pacchetto dalla tasca e gliene porse una. Ma Ginevra rifiutò: “Ti ringrazio, ma preferisco le mie, però puoi tenermi compagnia fuori, allora, sotto il diluvio universale!” Lui le sorrise – e che sorriso – e fece per alzarsi per accompagnarla fuori dal locale.  

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Capitolo 2
*** Dancing, queen! ***


L’aria fuori è fredda e pungente, le strade sono però tranquille ed è un piacere riposare un poco le orecchie dal caos frenetico del bar con una piacevole pausa all’aperto; la pioggia ha smesso di cadere e qualche nuvola comincia anche a lasciar posto a sprazzi di cielo sereno. Il tempo di finire le sigarette e si ritorna all’interno, aprendo la porta e rituffandosi nel calore e nella confusione del locale. All’interno la musica sembra ancora più alta rispetto a prima e un discreto numero di persone stanno ballando sulle pista posta al centro del locale. Torniamo alle nostre seggiole in fronte al bancone, le birre non ancora finite nei bicchieri. Gli altoparlanti cambiano canzone e il ritmo conturbante di Michael Jackson comincia ad invadere la stanza, lascio il bicchiere sul bancone e mi alzo dalla sedia, cercando di trascinare insieme a me anche Ben: “dai, vieni a ballare, è bellissima questa canzone!” lui sorride e scuote leggermente la testa, lasciandomi andare sola verso la pista, per finire prima la sua birra.

Mi sposto al centro del locale, la pista è gremita di gente che si scatena, da sola o in compagnia e mentre mi muovo giro la testa verso il bancone, cercando Ben con lo sguardo, sempre seduto al suo sgabello, che mi guarda sorridente. Passano solo pochi minuti prima che qualcuno tenti di abbordarmi, un ragazzo poco più alto di me, capelli biondo scuro e occhi chiari si avvicina sorridente chiedendomi di ballare con lui, sorrido ma rifiuto, sostenendo fermamente l’idea secondo la quale preferirei rimanere sola ma lui sembra non demordere. Automaticamente mi volto a guardare verso il bancone e vedo la sedia, dove fino a poco fa era seduto Benedict, vuota e mi fermo non sapendo cosa pensare, non se ne sarà andato, vero? Sto ancora cercando di formulare un pensiero ed un ipotesi quando sento un braccio circondarmi le spalle e la sua inconfondibile voce, rivolta al ragazzo che ancora tenta l’abbordaggio, uscire lieve, vicino al mio orecchio “Non è qui da sola, grazie.” Gentile e assolutamente educato, riesce a far scomparire il contendente nel giro di un soffio. Non posso fare a meno di sorridere compiaciuta, mentre mi volto per poterlo ringraziare della premura e approfittando così della situazione per poter finalmente ballare con lui.

Prendendo la scusa della confusione ballo appiccicata a Ben, il dj mi ha fatto un bellissimo regalo involontario facendo passare l’intera discografia di MJ. Continuo a ridere, sembro una cretina ma non lo faccio apposta, sono troppo contenta di tutta la serata per riuscire a smettere, per riuscire a togliermi dalla faccia questa espressione di meraviglioso stupore. Mi faccio prendere dalla situazione e gli metto le braccia attorno al collo (fortuna che ho le scarpe alte!) e lui mi cinge la vita. L’avere molte persone attorno non aiuta a trattenere gli impulsi e gli istinti ma cerco solo di concentrarmi sulla musica e di lasciarmi trasportare dal ritmo.

Ho caldo, assolutamente caldo, mi gira la testa forse per l’alcool o forse per l’eccitazione. Rimaniamo sulla pista da ballo per non so, credo 40 minuti circa, quando decidiamo poi all’unisono di tornare a sederci per riprendere fiato e bere qualcosa. Alzo il boccale di birra ma lo trovo vuoto “ehi, non avevo mica finito la mia birra io!” Ben ride prima di ribattere “credevo l’avessi abbandonata!” dopo di che fa per ordinare due bionde, per entrambi ma si ferma, cambiando idea: “Che ne diresti di andare e bere qualcosa magari da un'altra parte?”. Faccio un cenno con la testa, mentre prendo la borsa cercando la bustina del tabacco e non appena la mia sigaretta è pronta ci vestiamo e lasciamo il locale, salutando il barista con un cenno della mano.

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