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Salve, ricordate la mia ultima collaborazione con la
mia so(r)cia Makochan?
Bene, dato
il successo ottenuto abbiamo deciso di metterci di nuovo in combutta sfornando
questa nuova storia.
Ecco a
voi…
Anàmesa Étoi – Across the Years
1 – La Promessa
“Accidenti!”.
Protestò
il bambino tra sé e sé, alzando imbronciato lo sguardo verso gli alti rami di
un grosso albero di fichi.
La
buccia scura dei frutti brillava alla luce del sole che filtrava dalle foglie,
facendo sembrare le gocce di brina della quale erano ricoperti simili a piccoli
diamanti; erano di certo maturi, a decine pendevano gonfi dai rami, e sarebbe
stato un vero peccato lasciarli lì a marcire o farli rovinare dalle beccate
degli uccelli.
Per
questo il piccolo era appostato sotto quell’albero da ormai una buona mezz’ora,
passata a tentare inutilmente di arrampicarsi o raggiungere i rami più bassi in
altri modi.
Aveva
sette anni -motivo per cui l’altezza non giocava certo a suo favore-, dei
grandi e luminosi occhi verde pallido che continuavano a scrutare le fronde,
decisi a non demordere.
Qua e
là, tra le ciocche di capelli biondi, una foglia caduta spiccava per il suo
colore verde cupo, in contrasto con i sottili fili d’oro della capigliatura.
Era
vestito come un normale ragazzino di provincia, una maglietta color smeraldo e
dei pantaloni bianchi sui quali svariati pezzetti di corteccia facevano bene
intendere quale fosse stato fino ad allora l’obbiettivo del bambino.
Il
ragazzino si guardò intorno, sperando che qualcuno passasse per il campo e lo
aiutasse a conquistare gli oggetti del suo desiderio, e rimase deluso quando si
rese conto di essere solo, dato che gli abitanti del villaggio nel quale viveva
erano troppo impegnati nel lavoro, a quell’ora, per andare a zonzo per i
frutteti.
Con
disappunto, si chiese cosa fare.
Tornare
a casa e prendere una scala?
Troppo
lontano, e poi come avrebbe fatto a riportare indietro sia la scala che i
frutti?
Chiamare
suo zio Kostas?
Lui
iniziava a lavorare presto, ed in genere non gradiva essere disturbato.
Né si
poteva sperare sull’aiuto degli altri parenti o conoscenti.
Pensò e
ripensò a come fare, e nessuna idea gli sembrò adatta alla situazione, a parte
l’ultima: a malincuore, lasciar perdere l’impresa e ritornare a casa ad aiutare
lo zio con il lavoro.
Indispettito,
il bambino lanciò un’ultima occhiata ai fichi sull’albero, e stava per aggirare
il vecchio tronco per andarsene quando una voce alla sue spalle lo fermò.
-Sarebbe
bello arrivarci, no?-
Dietro
di lui stava un ragazzino della sua stessa età, forse un anno più grande,
ovvero doveva avere otto anni, con i capelli blu lunghi fino alle spalle e gli
occhi color acquamarina.
Era
vestito in modo alquanto singolare: portava una tunica azzurra legata in vita
da una cintura di cuoio, ed ai polsi aveva legate delle bende bianche, sembrava
pronto per entrare a far parte di una squadra di combattenti.
-Già…-
borbottò lui lanciando un’altra occhiata ai fichi, ben visibili per via del
loro colore scuro che risaltava contro il verde delle foglie illuminato dal
sole –peccato che io ci sto provando da un bel po’, e non ci sono ancora
riuscito. È troppo alto-
-Magari
è alto per un bambino-
Commentò
l’altro avvicinandosi all’albero; sembrava avere tutte le intenzioni di salire.
Il
biondo lo scrutò sospettoso.
“Cosa
vuol dire per un bambino?” si chiese scettico “E’ alto quanto me! Forse un po’
di più… ma un paio di centimetri non fanno la differenza!”.
-Pensi
di poterci arrivare- gli chiese il nuovo arrivato –se sali sulle mie spalle?-
-Uau!
Questa sì che è un’idea!-
Non
persero tempo: qualche secondo dopo il ragazzino biondo si arrampicava sui rami
staccando i frutti e mettendoli nell’incavo della maglietta piegata per
ottenere un valido sostituto di un cesto.
Quando
la stoffa traboccò di fichi maturi, alcuni appiccicosi di resina, si sedette su
un ramo e li passò al nuovo amico.
-Sicuro
di non volere un aiuto per scendere?- gli chiese quello dopo che ebbero finito
l’operazione –Se cadi ti fai male-
Non
aveva tutti i torti, il ramo era abbastanza alto.
Ma il
bambino non voleva essere preso per un pappamolla, così gli rispose che ce la
faceva da solo, in caso lui avrebbe potuto aiutarlo se proprio scivolava dal
ramo.
Per
fortuna non cadde, atterrò però di slancio ed andò a colpire l’altro, finendo
entrambi a rotolare sul prato verde lontani dai frutti, fortunatamente.
I
bambini guardarono la piccola montagna di frutti accanto a loro, sorridendosi
con aria complice.
-Certo
che siamo una bella squadra!- sentenziò il più piccolo –A proposito, come ti
chiami?-
-Saga.
E tu?-
-Io
sono Kendeas-
Si
presentò, sedendosi poi a gambe incrociate sotto l’albero, con la schiena
appoggiata al tronco, iniziando a sbucciare un fico.
Saga si
unì a lui, e per un po’ nessuno ruppe il silenzio.
Entrambi,
però, si scrutavano a vicenda, incuriositi come solo i bambini sanno essere,
chiedendosi mentalmente molte cose l’uno sull’altro, con tutta l’intenzione di
approfondire la conoscenza del nuovo amico una volta che avrebbero avuto la
bocca libera.
Intanto
la montagna di fichi diminuiva e quella di bucce andava via via aumentando,
fino a quando i ragazzini rimasero indecisi a lanciare occhiate furtive
all’ultimo frutto rimasto alla base della piramide.
Iniziarono
a farsi domande basilari per soddisfare almeno in parte la loro curiosità.
Kendeas
aveva ragione: Saga era di un solo anno più grande di lui.
Eppure
dall’aspetto gli sembrava in qualche modo molto più maturo rispetto alla
maggior parte dei ragazzi loro coetanei: saranno state le spalle più larghe, la
schiena ben dritta, o quell’insolita serietà nello sguardo, fatto sta che agli
occhi del bambino biondo Saga appariva di gran lunga più cresciuto rispetto
alla sua età.
Gli
chiese se abitava in un villaggio vicino al suo; gli sembrava insolito di non
averlo mai incontrato prima di allora.
Saga
gli rispose di no.
-E
allora dove stai?-
-Oh,
bè…- e fece un gesto con la mano, molto più ampio di quello che avrebbe fatto
Kendeas per indicare il suo villaggio –lontano da qui. Non ci posso venire
sempre-
-Perché
no?- chiese Kendeas, incuriosito –Devi aiutare la tua mamma a lavorare?-
A Saga
scappò una mezza risata, priva però di cattiveria.
Non
voleva prenderlo in giro.
-No-
Rispose
solo.
Poi
allungò una mano verso l’ultimo frutto e lo divise in due metà esatte,
porgendone una a Kendeas.
Il
ragazzino accettò di buon grado, colpito almeno in parte dalla generosità
dell’amico: di solito, la gente non amava dividere i propri averi con gli
sconosciuti.
Ma questo
era quello che succedeva nei villaggi più poveri –non in quello in cui lui
viveva-, lì dove nessuno può permettersi di avere buon cuore con il prossimo.
Kendeas
stava per chiedere cosa mai impedisse a Saga di andare in giro come tutti i
ragazzi, quando una lontana voce di uomo lo interruppe, sbraitando a gran voce
qualcosa.
-Ops-
fece Saga scattando in piedi –mi sa che la mia pausa è finita-
La voce
era indubbiamente arrabbiata, e si avvicinava al campo dove i due bambini si
erano sistemati.
Kendeas
scrutò tra gli alberi, ma non vide nessuno nonostante i richiami continuassero
a farsi sempre più distinti.
-Saga!
Dove sei finito?! Ti ho detto che non puoi interrompere l’allenamento quando ti
pare e piace!-
Saga si
spazzolò via l’erba dai pantaloni –Devo andare-
-Ma chi
è? Tuo padre?-
-No. Il
mio maestro-
-Hai un
insegnante privato?-
-Hum…
sì e no. Bè, allora ciao-
-Aspetta!-
Kendeas
si alzò in piedi rincorrendo il bambino dai capelli blu, rischiando di
scivolare sulle bucce viscide dei fichi.
Saga si
voltò, e sembrava avere fretta.
-Io posso
venire quando voglio qui. Domani torni?-
-No-
Aveva
usato un tono perentorio, non adatto ad un bambino della sua età.
Sembrava
abituato a farsi obbedire ad un minimo cenno, aveva assunto una vaga espressione
di minaccia.
Kendeas
ci rimase male, ma non si perse d’animo.
-E
dopodomani?-
-No.
Mai più. Mai più fino a quando non avrò terminato il mio addestramento-
Kendeas
emise un verso deluso; non era facile farsi nuovi amici, in genere nei villaggi
tutti lavoravano e non avevano tempo per giocare, e tra poco anche lui avrebbe
dovuto darsi da fare ed iniziare a dare una mano in casa.
Saga
dovette intuire il suo disappunto, perché, incurante dell’uomo che lo chiamava,
sia avvicinò al bambino.
-Tra sei
anni- disse –avrò finito. Vediamoci qui, stesso giorno, stessa ora. Va bene?-
“Sei
anni?” pensò stupefatto Kendeas. Gli sembravano un’infinità “Cosa dovrà fare in
tanto tempo?”.
Sebbene
la curiosità facesse di tutto per fargli porre quella domanda, il timore di far
perdere la pazienza al ragazzino dagli occhi azzurri la ricacciava indietro.
Era
tanto tempo, sì, ma era pur sempre meglio aspettare che non rivedersi più.
-Va
bene. Tra sei anni qui-
-Bene-
Saga
annuì e corse via ad una velocità stupefacente.
Poco
dopo era già sparito tra gli alberi.
“Che
strano…” si ritrovò a pensare Kendeas sulla via del ritorno “sei anni… cosa mai
dovrà fare una persona in sei anni? Ha parlato di allenamento. Chiederò allo
zio”.
Il
bambino entrò nel cortile di casa sua oltrepassando lo steccato in legno,
vedendo subito suo zio Kostas intento a lavorare, concentrato come al suo
solito; poco distante da lui, un asino brucava un rado cespuglio d’erba quasi
al limitare con la staccionata.
-Ciao,
zio!-
Salutò
Kendeas sedendosi su una panca in legno vicino al parente.
Stette
un po’ ad osservare le mani ormai esperte dello zio lavorare quello che alla
fine avrebbe dovuto essere un vaso di argilla, bagnarlo intingendo le mani in
una ciotola d’acqua accanto a lui e ritornare a modellarlo con estrema
attenzione.
Lo zio
Kostas aveva barba e capelli scuri, e la pelle scottata dal sole per via della
sua abitudine di lavorare all’aperto nei giorni d’estate.
Il viso
e le mani erano increspati da piccole rughe, e la schiena gli si era con il
tempo incurvata a causa della posizione che assumeva nel lavorare, chino sulla
sua opera quasi cercasse di nasconderla da occhi indiscreti.
-Ciao,
nipote-
Gli
rispose.
Aggrottò
le folte sopracciglia per un attino, rifinendo il bordo del vaso con un
particolare arnese fino a ridurlo di spessore.
Appoggiò
la sua nuova creazione accanto ad altre già messe ad asciugare e si voltò a
guardare il nipote.
-Dove
sei stato? Ti ho visto uscire-
Kendeas
annuì, e gli raccontò del proprio incontro con Saga, della sua promessa di
rivedersi tra sei anni, e gli chiese cosa mai poteva tenere una persona
impegnata per tanto tempo.
Lo zio
lo ascoltò con interesse, passandosi alla fine una mano sulla barba.
Si
appoggiò allo schienale della sedia con un lungo sospiro.
Sul
viso aveva un sorriso appena accennato.
-Ragazzo,
credo che tu abbia appena incontrato un apprendista Saint-
-Un
apprendista cosa?-
-E’ una
storia lunga, Kendeas- lo zio si appoggiò i gomiti sulle ginocchia, sporgendosi
verso di lui –immagino tu sappia che, spesso e volentieri, gli Dèi amano
immischiarsi nelle sorti degli umani, far parte delle battaglie mortali
lottando in modo da portare la vittoria ai loro favoriti e modificare il corso
degli eventi secondo il loro volere. Si dice che una Dea in particolare scenda
sulla terra ogni qualvolta il male minacci il pianeta: si tratta di Athena, la
Dea della guerra e della saggezza, dell’arte strategica in battaglia. Con la
sua comparsa anche un buon numero di ragazzi destinati a formare il suo esercito
si fa avanti. Non si tratta di uomini come gli altri: i Saint, così vengono
chiamati, Santi capaci di riportare la pace, possiedono una forza fuori dal
comune, sono capaci di disintegrare intere montagnecon la sola forza di un pugno, e di molto
altro-
“Accidenti!”
venne da pensare al bambino mentre il racconto proseguiva “Davvero Saga sarà
capace di fare tutto questo?”.
-Ma
allora, zio, quando tra sei anni rivedrò quel ragazzo lui sarà in grado di fare
quello che hai appena detto? Non mi prendi in giro?-
-Certo
che no. Suppongo che, trascorso il tempo stabilito, scoprirai da solo di quali
poteri il tuo amico sarà dotato-
***
A volte
quei sei anni erano sembrati un’eternità, altre invece scorrevano con una
velocità impressionante.
Non
passava giorno in cui, complici i racconti di Kostas, Kendeas non si ritrovasse
a pensare a Saga, a come sarebbe stato il loro incontro dopo tanto tempo, a
come l’avrebbe rivisto tanto cambiato dopo il lungo addestramento.
Spesso
ci rifletteva con trepidante attesa, altre invece con imbarazzo: messo a
confronto con uno dei leggendari Saint di Athena, lui non era altro che una
nullità; Saga avrebbe davvero voluto perdere tempo con lui?
E se si
fosse dimenticato dell’appuntamento?
Avrebbe
di certo avuto altro a cui pensare, che ad una promessa fatta tra bambini.
Con
quel pensiero, il giorno stabilito Kendeas si avviò verso il luogo
dell’appuntamento.
Arrivato
sotto il vecchio albero di fichi si ritrovò a sorridere ripensando all’incontro
con Saga; si sedette con la schiena appoggiata contro la corteccia ruvida, in
attesa.
Lui
stesso era cambiato dal giorno in cui si erano conosciuti: non si pensava
robusto come l’amico avrebbe dovuto di certo essere, eppure il lavoro appreso
nel laboratorio dello zio gli aveva fatto sviluppare i muscoli delle braccia,
sempre in movimento nel lavorare i blocchi di argilla, e le sue mani erano
diventate col tempo veloci e robuste ma al contempo delicate e dal tocco
leggero.
I
capelli gli erano cresciuti diventando folte onde scomposte formate da ciocche
bionde; gli occhi verdi cambiavano sfumatura in base al tempo: si scurivano
virando verso incredibili sfumature grigio-azzurro quando il cielo
preannunciava pioggia, mentre se la giornata era serena il verde chiaro prendeva
il sopravvento su ogni altro colore.
“Non
verrà” si disse ancora una volta, staccando un filo d’erba e rigirandoselo tra
le dita “lo aspetto solo perché gliel’ho promesso, ma non posso certo sperare
che un Saint possa venire meno ai suoi doveri solo per un appuntamento dato da
bambini”.
Il
tempo passava, si stava avvicinando l’orario stabilito.
Kendeas
aveva spezzettato il filo d’erba e l’aveva gettato via con fare distratto,
staccandone subito dopo un altro per metterlo fra le labbra e rigirarselo nervosamente
tra i denti.
L’orario
era più o meno quello, e nessuno si faceva avanti, come già previsto dal
ragazzo.
Passarono
altri minuti, e neanche un lontano rumore di passi, non una voce, convinse
Kendeas dell’arrivo di Saga.
Attorno
a lui regnava la pace sovrana, interrotta di tanto in tanto dal volo di un
uccello tra le foglie degli alberi o dal movimento di queste ultime ad un raro
soffio di vento.
E,
proprio quando il ragazzo aveva abbandonato un po’ le speranze, si sentirono
dei passi avvicinarsi ed una voce calda e familiare provenire dalle sue spalle.
Ma bravi, allora la storia non è un fiasco totale xD
Ora vi spieghiamo un po’ com’è nata l’idea: dunque, abbiamo
notato che quando si tratta di storie romantiche i Saint sono sempre accoppiati
tra di loro (coppie canoniche Saga x Aioros, Milo x Camus ecc…), oppure se ci
sono personaggi originali che si innamorano o che finiscono accoppiati come le
carte del Memory sono sempre femmine; allora abbiamo pensato: “Ecco cosa manca!
Una storia dove il personaggio originale sia un altro maschietto *fiocco blu*”.
E così abbiamo creato Kendeas(: non è carino? xD -> idea
stupida di Mako).
Ovviamente se qualcuno avesse già scritto una storia come questa
fatecelo sapere, perché noi non ne abbiamo notate, ma potrebbero sempre esserci
sfuggite.
Va bene, grazie per l’attenzione, al prossimo capitolo.
P.S: Il titolo è una citazione di Confrontation, che è una canzone del musical “Les Misèrables”, dato
che Mako è una pazza fissata con quella roba lì <.<
Il
ragazzo che si trovava davanti a lui era Saga senza ombra di dubbio: Kendeas
aveva subito riconosciuto i suoi occhi azzurro-verdi ed i capelli, molto più
lunghi dell’ultima volta, lisci e lasciati sciolti dietro la schiena
esattamente come li ricordava; i vestiti erano simili a quelli che indossava la
prima volta, salvo essere di certo più grandi per adattarsi al nuovo assetto
fisico del ragazzo.
Anche
se aveva solo tredici anni Saga sembrava di gran lunga più grande, con il
fisico molto più solido del suo, le spalle larghe e la schiena ben dritta.
E poi
c’era il suo sguardo, quello che Kendeas aveva reputato fin troppo serio già
quando si erano visti sei anni addietro: adesso, forse grazie all’età, non
sembrava più fuori posto con il resto della sua immagine, sembrava però in
qualche modo più profondo, come se potesse scrutarti dentro.
Kendeas
si ritrovò a pensare che quegli occhi gli piacevano: erano calmi, saggi, pronti
ad accogliere i tuoi segreti e non rivelarli a nessuno.
Sulle
labbra di Saga si dipinse un leggero sorriso come per dargli il benvenuto.
Lui si
alzò.
-Certo
che sono venuto. Te l’avevo promesso-
-Lo so,
è solo…-
Saga
lasciò cadere la frase scuotendo la testa, destando però la curiosità
dell’amico.
-Cosa?-
-E’
strano- riprese Saga, assorto, inclinando il capo da un lato –che qualcuno, al
giorno d’oggi, presti fede ad una promessa fatta tanti anni fa. Tutto qui-
Si
sedette e Kendeas fece altrettanto, indicandolo appena con un cenno del mento.
-Io
credevo che tu non venissi, piuttosto. Devi avere molto da
fare, adesso che sei un Saint-
-Io
mantengo le mie promesse. Come te, del resto. Inoltre, vedo che conosci la mia
posizione di Cavaliere-
-Esatto-
Kendeas annuì accorgendosi di avere ancora il filo d’erba tra le labbra. Lo soffiò
prima di riprendere a parlare –me ne ha parlato mio zio. All’inizio mi sembrava
assurdo, sai, che una Dea venisse sulla terra per combattere il male e che come
suoi guerrieri scegliesse proprio degli uomini. Ripensandoci, però, non è così
sbagliato: si dice che l’animo dell’uomo sia fondamentalmente buono e che
agisca secondo la verità assoluta ispirata dagli Dèi,
quindi se davvero Athena guida i suoi combattenti non può essere per altro se
non per una giusta causa, ovvero eliminare il male dalla terra. Ho capito
bene?-
Saga lo
guardava stupito, con un leggero piacere che gli aleggiava sul viso, dovuto senz’altro
a quelle parole –Hai capito benissimo. Dimmi, hai per caso seguito studi
filosofici? Da coma parli sembrerebbe di sì-
-In
realtà…- Kendeas si portò una mano alla nuca, imbarazzato –ho frequentato la
scuola il tempo necessario ad imparare a leggere, scrivere e fare i conti. Poi
mi sono ritirato perché dovevo aiutare mio zio con il lavoro. Però leggo. Di
tutto e di più, e ti dirò: sulla filosofia hai indovinato. È impressionante constatare
quanti pensieri e teorie tutte diverse possano scaturire attraverso un solo
argomento-
-E’ la
vita- sentenziò Saga con una scrollata di spalle –non esiste una verità
assoluta, ma se ne possono trovare di innumerevoli-
-Già,
anche io la penso così-
Nessuno
dei due portò avanti la discussione.
Restarono
entrambi a scrutarsi, come la prima volta, a metà tra l’imbarazzo e la
curiosità di scoprire di più sull’altro, e non sapendo da dove cominciare.
Attorno
a loro, persino la calma del frutteto sembrava in attesa, silenziosa, di una
parola da parte di uno dei due.
Saga
gettò uno sguardo verso la direzione opposta dalla quale era arrivato, verso la
zona abitata dalla quale Kendeas aveva detto di venire, spostando poi gli occhi
sul ragazzo.
-Hai
detto che lavori. Di cosa ti occupi? Commercio?-
-In un
certo senso… vedi, i miei genitori si sono trasferiti in città per cercare un
lavoro migliore. Io ero troppo piccolo per seguirli, nessuno avrebbe potuto
occuparsi di me, così sono rimasto qui con mia nonna Ifighéneia e mio zio
Kostas per imparare il mestiere. Lui si occupa di manifattura, è uno tra i
migliori nel suo campo, mi ha insegnato tutto quello che so. Lavora soprattutto
con l’argilla, riesce a fare di tutto e di più per poi immettere le sue opere
nel mercato. Se sono di buona qualità si riesce a guadagnare discretamente-
-Sembra
interessante-
Commentò
Saga.
Kendeas
lo guardò alla ricerca di qualcosa che indicasse del sarcasmo sul suo viso, ma
non trovò nulla.
Si fece
coraggio, deciso a non lasciare cadere l’argomento come la volta prima: non
voleva dare l’impressione del perfetto impacciato.
-Ti
piacerebbe provare?-
Quella
volta fu il turno di Saga di squadrarlo per capire se scherzasse o meno.
Si
guardò le mani quasi pensasse che non fossero adatte a quel genere di lavoro e
sembrò riflettere sulla proposta come se si trattasse di una questione di
massima importanza, infine sorrise al ragazzo di fronte a lui.
-Perché
no?-
Si
diressero verso casa di Kendeas e durante il tragitto il biondo gli diede
quelle poche dritte necessarie su come lavorare dell’argilla per ottenere un
risultato accettabile.
Quando
varcarono il cancello qualcosa colpì piano Kendeas al braccio, emettendo un
verso basso: l’asino ragliò di nuovo in direzione di Saga e tornò a brucare
dell’erba sul terreno vicino a loro.
Kendeas
gli passò una mano sulla schiena.
-Bè,
credo sia d’obbligo la presentazione: lui è Atlas-
-Atlas?-
Saga sollevò un sopracciglio, divertito –quell’
Atlas? Quello della miologia greca?-
-Esatto,
il titano costretto da Zeus a sostenere sulle proprie spalle l’intera volta
celeste-
-E
l’hai chiamato così perché…-
Completarono
in coro –è abituato a portare grandi pesi sulla schiena!-
Il
ghiaccio iniziale si era un po’ sciolto ed i ragazzi erano adesso di gran lunga
a proprio agio.
Kendeas
guidò l’amico nel laboratorio dello zio, una costruzione in legno collegata
alla casa per mezzo di una spaziosa tettoia e sorretta da delle pareti
anch’esse in legno, e si mise d’impegno a radunare tutto ciò che sarebbe
servito per creare qualcosa da un anonimo panetto di argilla.
Mostrò
un cubo grigio a Saga, dando inizio alla spiegazione.
-Tutto
parte da qui. Non è difficile, basta prenderci la mano- porse l’argilla
all’altro e continuò –prima di tutto devi individuare cosa vuoi che esca fuori-
Saga si
rigirò il cubo tra le mani, pensieroso.
Scosse
la testa, arricciando le labbra in segno di indecisione.
–Non ne ho idea. Cosa faresti al mio posto?-
-Perché
non provi con una statua di Athena?-
Il
Saint dei Gemelli rifletté su quell’ipotesi: non aveva mai maneggiato
dell’argilla, prima di allora, e dubitava del risultato.
Già il
calore delle sue dita, unito alla presa salda del Cavaliere, aveva iniziato ad
ammorbidire il cubo che si ritrovava tra le mani facendogli quasi perdere la
presa.
Annuì,
e cominciarono a lavorare; Kendeas lo guidava passo passo
rivelandogli i segreti del lavoratore ormai esperto, consigliandolo su quando
inumidire il materiale e come utilizzare al meglio gli strumenti da lavoro.
Saga
non si era mai sentito impacciato come in quel momento, mentre seguiva le
istruzioni del ragazzo accanto a lui con fare incerto e poco professionale.
Kendeas
si fece avanti con timidezza, gli sfiorò una mano e chiuse le dita sopra le sue
per fargli impugnare meglio un piccolo strumento per intagliare i dettagli.
-Guarda…-
si piegò avvicinandosi ancora a lui per avere una visuale migliore, guidandolo
nel gesto –deve essere un movimento unico, altrimenti lo rovini. Così, ecco.
Hai visto? Non è difficile, basta abituarsi-
Si
bagnò di nuovo le mani e lavò via i trucioli in eccesso.
Guardò
di sottecchi Saga: era concentrato, assorto nel lavoro, ma gli sembrava che… no,
forse era stata solo un’impressione.
Un
gioco di ombre.
Più che
la statua sbozzata, Saga sembrava guardare le loro mani, bagnate ed incrostate
di argilla secca, di nuovo l’una sull’altra, con un misto di incertezza e
stupore negli occhi.
Kendeas
pensò che forse non avrebbe dovuto prendersi tutta quella confidenza.
Forse
gli dava fastidio, si ritrovò a pensare.
Tossicchiando
per dissimulare l’azione, il ragazzo lasciò scivolare via la mano da quella del
Cavaliere, concentrandosi sulla statua per evitare di andare alla ricerca degli
occhi di Saga e studiare la sua reazione a quel gesto.
D’altronde,
cos’avrebbe dovuto fare di particolare?
Continuò
ad istruirlo rimanendo a distanza di sicurezza fino a quando il lavoro non fu
terminato.
Saga
sollevò la statua e labbra gli si incresparono in una mezza smorfia, le sopracciglia
tracciarono due archi al di sopra degli occhi.
-Oh,
bè… ti avevo detto che non sapevo cosa sarebbe uscito fuori-
In
effetti, più che una statua della Dea Athena, quella tra le mani di Saga
sembrava più una creazione primitiva.
Ma
Kendeas scosse la testa.
-Non
dire così. È… bella-
Contro
tutte le sue aspettative, Saga scoppiò a ridere, anche quella volta una risata
sincera e priva di cattiveria.
Lo
guardò sollevando appena la statua.
-Bella,
questa? Tu sei matto, Kendeas!-
Lui
sollevò l’indice –Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace-
Citò
con fare saccente.
Saga
gettò un’occhiata alla statua, e tornò a studiare lui.
Un
leggero sorriso gli era rimasto sul viso, e l’intensità del suo sguardo
sembrava calamitare quello dell’altro in modo irreversibile.
Kendeas
si ritrovò a tentennare davanti a quegli occhi, gli sembrava di non poterne
sostenere la vista per più di qualche secondo senza che una leggera nota di
imbarazzo si facesse avanti con sempre più insistenza.
-Dovevo
aspettarmi una risposta simile- commentò Saga alla fine –da uno come te-
-E’ un
complimento?-
Anche
quella volta la risposta si fece attendere.
Saga lo
squadrava con il capo appena inclinato a sinistra, i lunghi capelli gli
scivolavano sulla spalla come una cascata azzurro acceso.
Con la
luce del sole alle sue spalle sembrava quasi circondato da una propria aura
luminosa.
“Un
Dio…” fu l’improvviso pensiero di Kendeas “è questo che sono i Saints: Dèi dalle emozioni umane, è così che vengono descritti. Un
Dio in terra, ecco cos’è. Ma perché mai un Dio dovrebbe stare qui, con me?
Perché io?”.
Era un
pensiero stupido, lo sapeva.
Ma per
quanto si sforzasse di ricacciarlo indietro, quello trovava sempre il modo di
tornare.
-Sì- la
risposta di Saga lo riscosse –sì, Kendeas, direi che è un complimento-
***
Per
essere un Dio, Saga aveva senza dubbio molto più tempo libero a disposizione.
Dopo il
loro secondo incontro era passato molto meno di sei anni; lui e Kendeas si
vedevano quasi ogni giorno, sotto l’albero di fichi ormai diventato il loro
luogo speciale.
Ed ogni
giorno portavano avanti discussioni diverse, tutte di vario genere, che
spaziavano dalla filosofia alla storia dell’arte per poi virare verso argomenti
più comuni come le loro giornate quotidiane, cosa facevano, cos’avrebbero
voluto fare, e perché.
-Vorrei
essere come te- Saga alzò lo sguardo sull’amico; si girò su un fianco posando
il peso sull’avambraccio –vivere alla giornata, fare quello che vuoi, quando
vuoi. Non rimpiango il mio ruolo di Saint, a volte però… è una grande
responsabilità, sai. Pensieri, ordini, il massimo rispetto delle regole. La mia
vita è tutto un programma delineato. A volte mi piacerebbe dell’avventura-
-Hai
del tempo libero, no?-
-Sì,
che passo con te. Dovresti saperlo-
Saga
vide Kendeas rabbuiarsi.
Era
stato solo un vago aggrottamento di sopracciglia ed un’ombra di dubbio gli
aveva attraversato lo sguardo per un solo istante, ma tanto era bastato.
Aveva
imparato a conoscerlo, in quei giorni, ed ora lo capiva senza il bisogno che
lui parlasse.
Kendeas
era una di quelle persone alle quali poche volte riusciva di nascondere il
proprio stato d’animo al prossimo, e l’essere Cavaliere c’entrava poco con
l’individuare la più minima sfumatura d’umore nel compagno.
Era una
cosa che si sentiva dentro.
Una
cosa che era andata crescendo da quando l’aveva conosciuto, e che l’aveva
aiutato più volte a capire davvero quello che Kendeas voleva dire senza doverci
ragionare su.
Si
sentiva in armonia, con lui.
Con lui
come con nessun’altro ragazzo, neanche con i suoi compagni al Tempio si era
formato quello strano vincolo silenzioso.
Dal
canto suo Kendeas cercò come meglio poté di dissimulare quel suo improvviso
cambio d’umore; non sapeva cosa gli fosse preso, perché la frase di Saga gli
avesse messo addosso una sorta di agitazione inspiegabile.
E le
parole gli uscirono dalle labbra prima che potesse fermarle.
-Non ti
costringo affatto a stare con me. Puoi anche andare-
Sul viso
di Saga passò un lampo di disappunto –Ma cosa dici?-
Kendeas
si sentì avvampare, dandosi dello stupido.
Scrollò
le spalle con noncuranza rivolgendo lo sguardo al cielo, chiedendosi coma mai
gli fosse preso.
-Kendeas…-
Si era
ripromesso di mostrarsi calmo e misurato, ma non poté trattenere un sussulto
quando la mano di Saga si poggiò leggera sulla sua.
Il suo
sguardo cadde sulle loro dita, unite come la prima volta quando Saga era andato
a casa sua, e venne alzato di proposito solo per incontrare le iridi splendenti
di Saga.
-Tu non
mi costringi in alcun modo. Sono io a voler restare qui. E lo faccio perché è
qui che voglio stare. Capito?-
Era
serio.
Troppo
serio, o forse era Kendeas a vederlo così deciso.
Rilassò
la mano sotto il tocco di Saga ed annuì, non sapendo cosa rispondere, o come
farlo senza che la sua voce gli giocasse dei brutti scherzi.
Rimasero
lì ancora a lungo, a tenersi la mano in silenzio, in un gesto così semplice da
non avere bisogno di parole.
Kendeas
abbassò lo sguardo dal ramo sul quale era stravaccato: Saga aveva lo sguardo
sollevato per riuscire a guardarlo, in attesa di una risposta.
Il
ragazzo sollevò una buccia di fico per mostrarla all’altro.
-Vuoi
sapere se te ne ho lasciati?-
Dal
basso Saga sorrise –Mi hai scoperto-
-Ma
certo- Kendeas staccò un frutto ben maturo da un ramo vicino e lo fece cadere.
Saga lo afferrò al volo con una mano –non vorrei mai essere il responsabile
della tua morte per astinenza da fichi-
-E
allora lanciamene un altro, no?-
Kendeas
gli rivolse un mezzo ghigno cospiratore.
Si
sporse appena dal ramo simulando un’aria di superiorità.
-Chiedimelo
con gentilezza-
Vide
Saga mettere su un finto broncio per soffocare un sorriso sul nascere.
Il
Cavaliere dei Gemelli sollevò le mani come per confermare una resa e gli
rivolse uno sguardo implorante.
-Ti
prego, Divino manifatturiero, posso avere l’onore di ricevere un frutto dalle
tue eteree mani?-
Non
riuscendo a mantenere l’espressione composta da vera Divinità Kendeas si
concedette una spontanea risata; staccò due fichi dall’albero scegliendoli con
la massima cura e li consegnò al Saint.
Saga li
soppesò tra le mani, fingendosi sorpreso.
-Addirittura
due? Sono stato graziato-
Kendeas
si sedette sul ramo, stirandosi i muscoli: il legno era un divano piuttosto
scomodo.
Staccò
una foglia che gli pendeva appena sopra la testa e si mise a giocarci
rigirandosela tra il pollice e l’indice in attesa che Saga finisse in pace i
suoi meritati frutti.
Si era
diretto verso l’albero dell’appuntamento un po’ prima del previsto ed era
rimasto in attesa di Saga, immerso nella pace del campo, a riflettere sugli
ultimi giorni trascorsi.
A riflettere
su come si era sentito qualche giorno addietro, quando aveva pensato che Saga
lo stesse accusando di sottrargli il tempo libero a disposizione, anche se dal
tono del Cavaliere si intendeva bene che quelle parole non volevano essere
un’accusa di nessun genere.
E a
riflettere su come, subito dopo, quando Saga gli aveva detto in modo non tanto
esplicito di voler stare con lui, si era sentito liberato dal peso che la prima
affermazione gli aveva fatto crollare addosso.
A
riflettere su cosa significasse tutto quello.
Si
sentiva incredibilmente stupido solo a ripensarci.
Perché
si fosse tanto arrabbiato per un’esclamazione del tutto innocente.
Perché,
ogni volta che si trovava con Saga, qualsiasi cosa facesse gli sembrasse così
fuori luogo e poco adatta alla situazione.
Ed ogni
volta, dopo tutte quelle domande, si chiedeva se Saga provasse le stesse cose o
se le sue erano solo inutili paranoie.
-Terra
chiama Kendeas!-
Riabbassò
lo sguardo: Saga giocherellava con le bucce dei fichi diventate un'unica pallina
appiccicosa.
I suoi
occhi verde-blu lo squadravano in attesa di risposta.
-Cosa?-
-Ti ho
chiesto se hai intenzione di scendere da lì o se hai messo le radici come Daphne-
-Potrei
anche offendermi: ti sembro una ninfa?-
E Saga
gli sorrise ancora –Dammene la prova. Sicuro di non volere aiuto?-
-Lo so,
lo so- Kendeas annuì come ad una raccomandazione ricevuta già dieci volte –se
cado mi faccio male. Me lo hai detto già la prima volta. Ce la faccio, davvero-
Forse
per uno strano scherzo del destino, forse perché l’equilibrio di Kendeas era
peggiorato nel corso degli anni, proprio come la prima volta i due finirono
l’uno sull’altro in uno strano ricordo del loro primo incontro.
Ecco:
adesso Kendeas aveva un buon motivo per sentirsi un perfetto stupido.
Si
sollevò sui gomiti per permettere a Saga, sgraziatamente schiacciato sotto di
lui, di respirare.
-Oh,
diamine!- protestò il ragazzo –E questa è la seconda volta che ti cado addosso!
Si può essere più imbranati…?-
Sentendosi
come se gli avessero dato fuoco alla faccia Kendeas si arrischiò a sollevare lo
sguardo per fronteggiare la sicura ira di un Gold Saint atterrato in meno di un
minuto da qualcuno disarmato, tra l’altro senza la minima intenzione di
metterlo al tappeto.
Si
aspettava che Saga gli dicesse qualcosa, da un gentile “Levati di dosso” ad un
diretto “Preparati a morire”.
Invece
non gli arrivò una sola parola.
Saga lo
guardava, non meno sorpreso ed imbarazzato di lui, con un misto di stupore e
perplessità negli occhi illuminati appena dalla luce filtrante dalle foglie
sopra di loro.
A quel
punto Kendeas avrebbe dovuto scusarsi ed alzarsi sparendo dalla circolazione in
meno di un nanosecondo.
Invece
rimase lì per quella che gli sembrava un’eternità, a guardare da ogni singola
angolazione il viso a pochi centimetri dal suo, e studiare con nuovo interesse
gli occhi, la loro forma, l’azzurro ed il verde che si mescolavano attorno alla
pupilla nero inchiostro, gli zigomi seminascosti da ciocche ribelli, la curva scolpita
del mento fino a soffermarsi più del dovuto sulle labbra.
Cercò
dinuovo gli occhi di Saga e vide che
anche lui lo studiava con insolito interesse seguendo il suo esempio.
I loro
sguardi si incrociarono per un solo istante.
Qualcosa,
nella sua testa, gli diceva di fermarsi e non fare pazzie, alzarsi ed andare a
sotterrarsi da qualche parte.
Non
aveva la minima idea di quello che stava facendo.
Almeno,
non fino a quando la sua bocca non incontrò quella di Saga a metà strada, ed
anche allora non seppe dire se lui si fosse spinto troppo avanti o Saga avesse
messo del suo avanzando a sua volta.
Ma era
mai possibile?
“Staccati”
Kendeas sentì una vocina dentro di sé “cosa diavolo stai facendo?”.
Avrebbe
voluto allontanarsi.
Davvero.
Magari
tra un altro po’, si ripeteva, solo un altro secondo, un altro e basta, e poi
si sarebbe alzato ed avrebbe pregato la terra di inghiottirlo.
Ma quel
momento non arrivava.
Il
momento in cui avrebbe dovuto rimettersi in piedi e sfrecciare via scomparendo
per sempre alla vista del Saint dei Gemelli si faceva sempre più lontano, si
perdeva nella sensazione e nei brividi che le labbra di Saga gli provocavano,
ogni volta in cui si schiudevano tra le sue, ad ogni respiro sul viso,
rimandava l’azione ad un “dopo” non meglio specificato, un puntino appena visibile
nelle sue priorità.
La bocca
del Saint di Gemini era l’unica, vera
cosa reale di quel momento, le sue labbra lisce, zuccherate a causa dei frutti
mangiati poco prima, e non sapeva se calde per natura o per le stesse emozioni
che adesso affollavano l’animo di Kendeas in un continuo turbine di incertezze
e nuove responsabilità.
Mai,
neanche nei sogni, il ragazzo era riuscito a provare una tale quantità di
sensazioni tutte diverse, contrastanti, alle quali seguivano pensieri
contraddittori che non facevano altro se non aumentare la sua confusione.
Sentiva
una mano di Saga tra i capelli.
Un
sospiro, o forse il Saint che pronunciava il suo nome.
Kendeas
si allontanò di scatto, avvertendo quel suono come un rimprovero, un invito ad
allontanarsi, smetterla, rispettare i loro ruoli.
Mentre
riprendeva fiato studiò il viso di Saga: non sembrava arrabbiato o contrariato,
più che altro sorpreso, sembrava cercare qualcosa da dire.
Non
gliene diede il tempo.
Si alzò
con un unico movimento rischiando di perdere l’equilibrio e cadere di nuovo e
fece alcuni passi indietro passandosi d’istinto una mano sulle labbra.
Saga si
alzò a sua volta.
Aprì la
bocca per parlare, ma non ne ebbe il tempo.
Kendeas
gli voltò le spalle e corse via senza più guardarlo.
***
Amore.
L’amore
è un sentimento di profondo affetto, complicità a rispetto che viene a formarsi
tra due persone.
È un
vero e proprio impulso a cui tutti i sensi rispondono, attirandoci verso
qualcuno.
Stimola
complicità, passione fisica, a volte persino dolore, tutto d’un tratto, tutto
insieme, sorprendendoti quando meno te l’aspetti.
Questo
ed altro Kendeas aveva appreso sull’amore, questo ed altro gli veniva in mente
da quando, due giorni prima, si era lasciato Saga alle spalle convinto di aver
osato troppo, di essersi preso una libertà preclusa a qualcuno come lui; da
quando, quella notte, si era svegliato più di una volta perché il sogno di quel
bacio azzardato dato al Saint d’Oro si era fatto fin troppo vivido e
dettagliato, tanto da fargli credere di essere ancora nel frutteto, ancora
sopra Saga, ancora una volta combattuto tra la vergogna che quel suo gesto gli
provocava ed il piacere che gli veniva reso in cambio.
A
questo, poi seguivano altri sogni, strani, impossibili, da non seguire o
ricordare una volta sveglio.
In
ognuno di questi, Saga lo chiamava.
Non con
rabbia.
Non con
rimprovero.
Era
solo la sua voce, il più delle volte, la sua voce profonda, solo un sussurro, spensierato,
forse addrittura… dolce?
“Kendeas…”.
-Kendeas!-
La voce
di sua nonna lo strappò via dalle braccia di Saga regalandogli un brusco risveglio.
Kendeas
rispose qualcosa di incomprensibile da sotto le coperte, rigirandosi su un
fianco per dare le spalle alla finestra, sgradita fonte di luce.
-Santo
Cielo, che ti prende, ragazzo? Sono già le dieci e tu non sei in piedi. Stai
male?-
Lui si
arrischiò a sollevare un braccio per scrutare la donna in piedi di fronte al
letto: di piccola statura, gracile ma con una forza insospettabile, il viso
spigoloso; indossava un vestito color indaco e sopra un grembiule bianco.
Scosse
la testa rimanendo però sommerso dalle coperte, sperando che la nonna non
partisse con uno dei suoi interrogatori.
-Hai
dormito di nuovo con la finestra aperta, non è vero?- ecco, era tardi –Certo
che poi stai male-
La
donna avanzò e chiuse le imposte.
Kendeas
voleva dirle che la finestra non c’entrava nulla, anzi, quella era l’ultimo dei
suoi problemi, ma poi avrebbe dovuto dire troppe cose.
Come si
giustificava?
“Ho
baciato uno dei Sacri Guerrieri di Athena ed ora aspetto che una folgore
punitrice mi colpisca”?.
No, era
meglio far credere alla nonna di stare male, almeno fino a quando non avesse
trovato una scusa più credibile per quella sua improvvisa fiacchezza.
-Io e
tuo zio andiamo in città questo pomeriggio- lo informò lei –ma se non ti senti
bene potrei restare con te-
Le
vendite in città rendevano molto di più, per questo motivo Ifighéneia e Kostas
vi si recavano almeno una volta al mese.
Kendeas
rimaneva al villaggio perché qualcuno doveva pur badare alla casa ed al lavoro
al tempo stesso, ed i parenti non avevano più la vitalità di una volta.
-No- si
degnò di riemergere da sotto il lenzuolo –sto bene. Andate pure-
-Sei
sicuro?-
-Assolutamente-
La
nonna lo studiò a lungo, pensierosa, ma infine annuì e lasciò la stanza.
Kendeas
gettò le coperte da un lato e rimase disteso a fissare il soffitto a lungo,
perso negli ultimi residui di un sogno ormai non troppo chiaro.
L’unico
dettaglio rimaneva lui.
Saga.
Amore.
L’amore
romantico ha un significato differente dal profondo affetto verso di una
famiglia o un oggetto.
L’amore
romantico è quello che lega due persone attraverso un profondo senso di
passione e fedeltà, indissolubile anche a distanza di anni.
Pothos, era il termine esatto.
Ciò che
si desidera.
Ciò che
si sogna.
E lui
sognava Saga.
E,
aveva paura di ammetterlo, anche solo di pensarlo, ma lo desiderava.
Lo
desiderava da quando aveva poggiato le lebbra sulle sue, anzi, da molto prima,
da quando le loro mani si erano sfiorate l’un l’altra ed aveva avvertito quella
strana scossa interiore alla quale non aveva fatto caso se non in quel momento.
In
pochi giorni la sua vita era stata scandita da una serie di termini
fondamentali, pochi ma concisi.
Saga.
Amore.
Pothos.
Desiderio.
Era
assurdo.
Saga
non avrebbe voluto neanche più vederlo dopo ciò che era successo.
Perché
continuare ad illudersi o giustificarsi attraverso lo studio della lingua?
Kendeas
si alzò di malavoglia, si vestì, non pensò neanche di mangiare qualcosa e si
chiuse nel laboratorio dello zio.
Prese
un nuovo blocco di argilla, non potendo fare a meno di guardare la scultura di
Saga, quella che rappresentava Athena, ricordando quando il Saint gli aveva
detto di tenerla, e scherzando lo aveva sfidato a venderla a qualcuno.
Si
sedette, guardando il grigio monotono del materiale tra le sue mani.
Lavorare
l’aveva sempre distratto.
Alzò un
piccolo scalpello, ed incise la prima linea.
Rimase
lì a lungo, incideva in automatico e quasi non vedeva ciò che le sue mani
andavano via via creando, rincorrendo pensieri lontani e diversi nel tentativo
di distrarsi.
Prese
una decisione: già il giorno prima non si era diretto verso l’albero dei fichi,
e si era ripromesso di non farlo mai più.
Non
voleva affrontare Saga, neanche dopo diversi giorni dall’accaduto, ed in fondo
non credeva neanche che il Saint l’avrebbe più cercato.
Erano
pari.
Era
stato un incontro come gli altri, un’amicizia che da quel momento in poi
sarebbe durata a distanza o si sarebbe spenta con il passare del tempo.
Fine.
Lavò la
nuova scultura quando ormai era quasi ora di pranzo, ed alla fine le diede la
prima, vera occhiata.
Quella
che si trovava tra le mani era la statua in miniatura di un ragazzo dal fisico
perfetto, eretto in piedi, il peso poggiato su una gamba come uso degli efebi di Policleto.
Quel
ragazzo aveva i capelli lunghi, sciolti sulla schiena, incredibilmente
realistici.
E
sorrideva.
Quella
che si trovava tra le mani era una statua di Saga.
Era
perfetta, molto più di qualsiasi lavoro fatto fino a quel momento, ed era
incredibile constatare quanto fosse riuscita bene senza neanche un modello al
quale fare riferimento.
Ma
Kendeas non ne aveva bisogno.
Conosceva
Saga alla perfezione nonostante si fossero frequentati per pochi giorni.
Sorrise
alla statua.
Ed un
pensiero non meno strano di quelli precedenti si fece avanti con incredibile
spontaneità.
“Pothos. Saga, amore mio”.
***
Bussavano
alla porta.
I suoi
parenti se n’erano andati già dal pomeriggio prima, improbabile che Kostas
fosse tornato dopo così poco tempo.
“No…
per favore”.
Kendeas si rotolò con fare pigro sul letto,
chiedendosi chi mai potesse bussare alla sua porta a quell’ora di pomeriggio;
di solito i negozianti si rinchiudevano nelle rispettive abitazione per
riposarsi un po’ prima del lavoro pomeridiano.
Altri
colpi, stavolta più decisi.
Kendeas
si tirò in piedi sospirando, dirigendosi verso la porta.
“Spero
che tu abbia un buon motivo per venire a disturbare la gente a quest’orario
indecente!”.
Rimase
per un po’ con la mano sulla maniglia, incerto se aprire o far finta che in
casa non ci fosse nessuno.
Fu
tentato dall’idea: se le persone prendevano l’abitudine di far visita a tutte
le ore, addio tranquillità.
Ma
poteva sempre essere un potenziale cliente a cui serviva un’ ordinazione urgente.
Si
arrischiò ad aprire uno spiraglio necessario a vedere chi mai fosse il disturbatore
e se valesse la pena di proporgli una ripetizione gratuita di come funzionasse
l’orologio.
Quello
davanti a lui non era un disturbatore qualsiasi, men che mai qualcuno che
volesse commissionare qualche lavoro.
I suoi
occhi cangianti lo scrutavano attraverso la porta semiaperta; sembravano
preoccupati.
-Kendeas?-
-S-Saga…
ma cosa…?!-
Il
Saint scrutava ancora all’interno dell’abitazione quasi cercasse qualcuno
nascosto nell’ombra.
Lo
guardò perplesso, forse appena risentito.
-Scusa
se sono venuto fin casa, però… volevo sapere come stavi-
-Come
sto?- ripeté lui senza capire –Come dovrei stare?-
-Lo
sai, no?- gli occhi di Saga gli chiedevano con insistenza il permesso di
entrare –Non sei più venuto al nostro appuntamento. È da un paio di mattine che
ti aspetto, e non ti sei fatto vivo. Pensavo stessi male, così sono venuto a
controllare-
“Non
prenderlo come un rimprovero per non esserti più fatto vivo”.
Si
ammonì Kendeas cercando disperatamente qualcosa di valido con cui ribattere.
Nessuna
scusa –forse proprio perché era una scusa e non corrispondeva alla realtà-, gli
sembrava reggere più di tanto, e lo sguardo di Saga in attesa della sua
risposta non facevano altro, anche se in modo involontario, se non aumentare la
sua agitazione.
Amore.
L’amore
era anche quello: rimanere impacciati e boccheggianti davanti alla persona
desiderata.
Così,
come spesso faceva in più occasioni, rinunciò alle menzogne e decise di dire la
pura e semplice verità.
-Ho
pensato fosse meglio sparire. Tutto qua-
-Sparire?-
Benché
ormai al massimo dell’imbarazzo, Kendeas fece cenno al Cavaliere di entrare in
casa: non era il caso che qualcuno li vedesse a complottare.
Si
sedettero in cucina, uno di fronte all’altro, Kendeas teneva gli occhi puntati
sul legno chiaro del tavolo ovale con un’ostinazione straordinaria.
-Che
cosa vuol dire sparire?-
Chiese
Saga rompendo il silenzio della stanza.
Lui
alzò gli occhi indugiando tra le iridi acquamarina di fronte a lui e
l’arredamento della sala.
Inspirò,
trattenne l’aria e la rigettò via sotto forma di un lungo sospiro.
-Dopo
quello che è successo. Al frutteto. Io… credevo fosse meglio così-
-Vuoi
dire dopo il nostro bacio?-
L’essere
Saint impediva l’uso di mezzi termini.
Kendeas
si sentì avvampare.
-Già
che sono qui, vorrei parlare anche di questo-
L’artigiano
si strinse nelle spalle desiderando che il pavimento si aprisse per
inghiottirlo e scaraventarlo nell’Ade, o in qualsiasi altro luogo lontano da
lì.
Abbassò
di nuovo la testa con un unico scatto deciso.
-Kendeas-
si sentì sollevare il mento dalle dita di Saga in un tocco privo di rabbia o
violenza. Era calmo, e questo lo faceva sperare in bene –voglio che mi guardi
in faccia, quando ti parlo. Intesi?-
Titubò,
annuì reprimendo di nuovo l’istinto di nascondersi a quello sguardo dolce e
fiero allo stesso tempo.
-Ascolta…
fin da quando sono arrivato al Grande Tempio sono stato addestrato per farmi
valere in qualsiasi situazione e con qualsiasi avversario. Mi sono dimostrato
da subito uno tra i combattenti più dotati da molti, troppi anni, e dal mio
primo combattimento tutti hanno iniziato a rispettarmi, più del dovuto. Alcuni
mi venerano addirittura. Mi chiamano Dio, Santo, la mia nomina di eroe si è
diffusa persino nei villaggi più remoti. Sono sempre stato il Saint dei Gemelli,
almeno fino a quando non sei arrivato tu. Tu sei l’unico che riesce a vedere il
mio lato umano ed a trattarmi come tale, non una riverenza, non un timoroso
rispetto reverenziale. Con te ho un rapporto normale, come lo potrebbero avere
due comuni ragazzi della nostra età. Non fraintendere quello che sto dicendo,
ma… vorrei che la mia reputazione di Cavaliere non rovini quello che c’è tra di
noi. Mi hai sempre considerato un uomo comune e mi hai offerto quello che
nessun’altro al mondo si sarebbe mai sognato di darmi: la tua amicizia, il tuo
relazionarti con me non tenendo conto del mio ruolo. Questo mi fa sentire bene.
Mi fa sentire come se potessi prendere parte anche io della tua vita normale,
se posso definirla così. Per cui ti chiedo solo una cosa: non smettere di
trattarmi così adesso. Mi ci sono appena abituato, e vorrei continuare a farlo-
Non
c’era ombra di sarcasmo nella sua voce, né Kendeas ne trovò sul suo viso.
Bene.
Era il
suo turno di dire qualcosa.
Se solo
fosse riuscito a mettere in ordine le lettere dell’alfabeto in modo coinciso e
coerente.
Era
troppo quello che gli passava per la mente in quel momento: dalle sue parole
Saga gli aveva fatto capire di volerlo ancora come amico, confidente, e non si
era dimostrato affatto infastidito dal loro accidentale bacio nonostante non
l’avesse detto in modo esplicito.
Allora,
cos’avrebbe potuto rispondere, lui?
Cos’avrebbe
potuto dire, di sensato, che rassicurasse Saga?
“Non si
è arrabbiato, calma, già questo è un grande vantaggio”.
Ma lo
era davvero?
Non poteva
fare a meno di indugiare con lo sguardo sulle labbra del Saint senza che il
desiderio di rifarle sue non si facesse avanti.
-Va
bene- disse infine, quantomeno per far capire di aver inteso il senso del
discorso –va bene, se è questo che vuoi lo farò-
Vide
Saga annuire appena, sollevato.
Il
Saint fece scivolare una mano sul tavolo e si mise a giocherellare intrecciando
le sue dita a quelle del ragazzo.
Sembrava
pensare a qualcosa mentre i suoi occhi alternavano brevi occhiate alle loro mani
vicine e sguardi fugaci alla ricerca delle iridi verdi di Kendeas.
-Bene-
sospirò infine. Un lieve sorriso amichevole gli era spuntato sulle labbra –cosa
si fa il pomeriggio, da queste parti?-
-Non
c’è molto da fare in realtà. E non credo tu abbia voglia di passare quattro ore
in laboratorio-
-A
creare altri mostri? No, grazie dell’offerta-
-Cosa
ne dici di giocare ad obbligo o verità?-
E
quella proposta da dove saltava fuori?
Era di
gran lunga la più ridicola che Kendeas avesse mai fatto.
Saga si
mostrò interessato: gli rivelò di non avere più fatto quel gioco da quando era
arrivato al Tempio.
-D’accordo,
comincia tu- gli disse Kendeas –cosa scegli?-
-Verità-
Quello
era il momento giusto per porre un punto finale alla domanda che assillava il ragazzo
da giorni, e non voleva lasciarselo scappare.
-E’
vero che non mi ucciderai per quel piccolo incidente del frutteto?-
Saga
rise, sotto le onde dei capelli le spalle sussultavano dando vita a quel fiume
azzurro –E’ tutto perdonato, fidati. Quante volte ancora devo ripetertelo?-
-Era
per essere sicuri. Bene, ora tocca a me-
-Scegli
pure-
Kendeas
ci pensò su.
Obbligo
o verità?
Cosa
voleva che succedesse in seguito ad una delle due scelte?
La cosa
bella di quel gioco era il fatto di poter approfittare delle circostanze per
chiedere cose che nella vita normale non ti sogneresti neanche.
C’erano
un’infinità di cose che Kendeas avrebbe potuto scoprire tramite semplici domande,
ma non era nella sua natura giocare sporco.
E non
scelse nessuna delle due ipotesi.
Si
illuminò prima, ricordando all’improvviso qualcosa che aveva visto quella
mattina su uno scaffale della sua stanza.
-Ho
qualcosa per te-
Saga lo
guardò incuriosito –Davvero?-
-Vieni-
Lo
guidò lungo il corridoio ed aprì l’ultima porta a destra.
Entrò
nella stanza e si rigirò nervoso la statua di Saga tra le dita, cercando di
pensare a cosa lui avrebbe detto una
volta che l’avesse avuta tra le mani.
Non
sapeva neanche perché l’avesse conservata in camera sua.
Forse
perché Kostas avrebbe potuto scambiarla per qualcosa da vendere, invece Kendeas
aveva tutta l’intenzione di tenerla per sé.
O di
darla al legittimo modello.
-Lo so,
mi prenderai per matto- si sedette sul suo letto sempre guardando Saga
osservare stupito la sua riproduzione in miniatura –chiamala se vuoi
ispirazione Divina-
-E’…
perfetta-
“Come
te”.
Saga
guardava la scultura con un sorriso quasi affettuoso, passava la punta delle
dita sulla superficie levigata a regola d’arte come se accarezzasse qualcosa di
unico e prezioso.
Kendeas
avrebbe voluto trovarsi sotto quelle dita anche solo il tempo di un tocco.
-Puoi
tenerla, se vuoi-
-Dici
sul serio?-
Si
accorse di sorridere –Ma certo-
-Allora
la porterò con me quando vado via- e Saga la appoggiò con estrema delicatezza
sulla mensola di prima –hai scelto?-
Kendeas
aveva fatto la sua scelta subito dopo che si era alzato dalla sedia della
cucina.
Aveva
deciso di arrischiarsi nella parte più ignota del gioco e subirne le
conseguenze a testa alta.
Cercò
gli occhi di Saga per la prima volta dopo giorni interi passati a desiderare di
vederli di nuovo.
-Obbligo-
Il
Saint avanzò verso il letto riflettendo sulla scelta, il capo inclinato a
destra.
Si
sedette a sua volta vicino all’altro studiandolo da ogni singola angolazione,
attento e pensieroso come mai Kendeas l’aveva visto.
Contro
le costole il cuore del ragazzo cominciò a battere con più insistenza.
Quell’attesa
era qualcosa di misterioso ed ignoto, nessuno avrebbe potuto dire cosa mai si
celasse dietro il silenzio del Saint di Gemini.
Saga
schiuse le labbra.
-Dammi
un bacio-
Si era
ripromesso di non farlo, eppure Kendeas non riuscì a trattenere un’esclamazione
di stupore.
Ecco,
quello che aveva pensato, forse sperato, sin dall’inizio in un misto di timore
e trepidante attesa.
Una
richiesta che pensava non sarebbe mai arrivata.
Saga
non si scompose alla sua reazione.
-Mi hai
sentito, no? Ti ho detto che non sono arrabbiato per quello che è già successo.
Ed ora voglio che tu rispetti le regole del gioco-
Quella
volta non c’era nessun ramo a giocare il ruolo principale per dare il via a
tutto.
Una
distanza molto più breve di quella della prima volta li separava, e questa
volta fu il turno di Kendeas di avanzare per fare in modo di rendere la
richiesta di Saga, quello che tante volte aveva visto nei suoi sogni, qualcosa
di concreto e di nuovo tangibile.
Ogni
fibra del suo corpo si tese.
Il
contatto più dolce e volontario con le labbra di Saga non arrivò a scatenare di
nuovo la paura dopo la raffica di emozioni iniziali, quella volta era tutto
diverso, non era più una legge proibita che lui aveva violato, era stata una
domanda, una semplice domanda.
“Me
l’ha chiesto lui. E’ quello che vuole lui. E’ quello che voglio io”.
Saga
gli poggiò una mano sul petto spingendolo con dolcezza fino a farlo distendere
del tutto sul materasso, le sue dita scivolarono sotto la stoffa leggera della
maglietta, sull’addome, a provocare lunghi brividi lungo i fianchi e la
schiena.
L’indumento
scivolò via ad un altro movimento del Cavaliere; Saga si staccò da lui il tempo
necessario per sfilargli del tutto il tessuto di dosso.
Era
inginocchiato su di lui, vicino come solo un’altra volta, i suoi capelli
scivolavano sul viso e le braccia del compagno facendogli il solletico ad ogni
minimo movimento.
-Allora,
Kendeas? Obbligo o verità?-
Avrebbe
dovuto essere lui a rispondere.
Saga
aveva saltato un turno ben sapendo quello che faceva.
Voleva
una risposta, un qualcosa che gli indicasse cosa fare arrivati a quel punto,
voleva sapere se lui condivideva quel suo nuovo approccio o se voleva
stroncarlo lì sul nascere.
-Verità-
-Vuoi
che mi fermi?-
Pothos.
Era
desiderio quella scintilla accesa negli occhi del Saint del Gemelli, desiderio
puro e semplice.
Poteva
sentilo fremere d’impaziente attesa, scalpitante come un cavallo in attesa di
lanciarsi al galoppo.
E lui
stesso non voleva tirarsi indietro.
-No-
Intravide
un sorriso aleggiare sulle labbra di Saga; il Saint si chinò di nuovo su di
lui, si liberarono dalle vesti gettandole alla rinfusa su tutto il pavimento
della stanza.
Il
tocco di Saga era leggero, delicato, incerto, le sue labbra tremavano appena
nella serie di lenti baci e carezze sul viso, il collo ed il petto.
Sentirlo
entrare in lui fu un’esperienza che Kendeas non avrebbe mai più dimenticato.
Le
leggere spinte di Saga si facevano man mano più sicure, seguivano il ritmo
scandito dai sospiri che avevano riempito la stanza, una cadenza via via sempre
più conciata, dolce ma impaziente di trovare l’apice del loro desiderio comune.
Kendeas
lo teneva stretto, le mani sulle sue spalle, il viso del compagno nascosto
nell’incavo del suo collo.
Sentiva
la sua pelle coperta da un leggero strato di sudore.
Continuò
così per un indefinibile lasso di tempo fino a quando Kendeas non si rese conto
di essere completamente inarcato, proteso verso Saga, le braccia intorno al suo
collo, le ginocchia strette ai suoi fianchi.
Si
lasciò di nuovo andare seguendo i movimenti di Saga con incredibile naturalezza,
fino a quando entrambi, esausti, si strinsero l’uno nelle braccia dell’altro
dopo un ultimo bacio.
***
Era di
nuovo mattina.
Il
tempo sembrava essere volato, dopo il pomeriggio precedente.
Kendeas
aveva riaperto gli occhi e guardato subito la stanza quasi per accertarsi che
ciò che era successo non fosse stato solo un sogno.
Accanto
a lui Saga si mosse, rigirandosi verso di lui e rivolgendogli un sorriso
assonnato.
Cercando
di dissimulare l’imbarazzo, Kendeas si tirò il lenzuolo addosso quel tanto che
bastava per coprirsi, prendendo alcuni profondi respiri, fissando ora i vestiti
sparsi per terra, adesso cercando fugacemente lo sguardo di Saga per poi
distoglierlo dopo solo pochi attimi.
Appoggiò
la schiena al cuscino, fissando qualcosa di invisibile dritto davanti a sé.
-Saga…?-
Chiamò
dopo aver preso coraggio.
Si
sentì il suo sguardo addosso, era in attesa della domanda.
-Avevi…
avevi mai…?-
-No-
Kendeas
si sentì a disagio.
La
risposta era stata immediata ma pacata e carca di spensieratezza.
Si
voltò in cerca degli occhi del Saint.
-Abbiamo
sbagliato….?-
Saga si
sedette a sua volta tenendo fermo il lenzuolo con una mano per impedire al
tessuto di scivolare del tutto via, riflettendo sulla domanda.
Incrociò
gli occhi dell’artigiano quel tanto che bastava per poter leggere con chiarezza
la sua incertezza.
-No-
gli rispose con sincerità –non credo ci sia nulla di male nel provare dei
sentimenti per qualcuno. E tu? Credi che abbiamo sbagliato?-
Kendeas
sospirò.
Provare dei sentimenti aveva
detto.
Amore.
Non
c’era nulla di sbagliato nell’amare qualcuno.
Anche
se quel qualcuno era un Saint di Athena.
Prima
di essere un Cavaliere era un uomo, non doveva dimenticarlo, un uomo qualunque,
e tutti gli uomini hanno bisogno d’amore.
-No,
non credo-
-Promettimi
che non te ne farai una colpa-
Era
serio.
Kendeas
non aveva alcuna intenzione di fare della situazione un dramma.
Non
quella volta.
-Te lo
prometto. E tu promettimi un’altra cosa, Saga-
Si
strinse a lui, colto da un’improvvisa ansia ingiustificata; sentiva il bisogno
di un contatto fisico più di ogni altra cosa, il bisogno di sentirlo lì, vicino
a lui, reale e sicuro.
Le
braccia del Cavaliere lo circondarono e Kendeas sentì le sue labbra sfiorargli
la fronte.
Attendeva
la sua richiesta senza forzarlo.
-Non
lasciarmi- riuscì a dire. Sollevò gli occhi in cerca dell’azzurro di quelli di
Saga –me lo prometti questo?-
Saga lo
strinse ancora di più in una silenziosa rassicurazione –Te lo prometto-
Quell’improvvisa
agitazione sembrò attenuarsi.
Kendeas
chiuse gli occhi e restò in ascolto del battito regolare del cuore del
compagno.
Sorrise,
ripensando al suo desiderio di averlo ancora accanto, ringraziando ogni singolo
Dio per aver esaudito le sue preghiere.
Ricordò
ai suoi pensieri a riguardo, alla statua, a quello che era appena successo.
Guardò
di nuovo Saga perché quelle parole bramavano per uscire già da troppo tempo.
Erano
in spiaggia, in una minuscola insenatura circondata da pareti di roccia.
Una parte
della montagna era franata in mare ed aveva lasciato esposte le stratificazioni
dell’arenaria, mentre i massi rotolati in acqua erano stati erosi dalle onde e
dal vento ed erano tornati ad essere quello che erano stati migliaia di anni
prima: sabbia.
Saga e
Kendeas stavano seduti a terra, spalla contro spalla, ad aspettare che il sole
tramontasse dietro le montagne con lo sguardo fisso in alto sulla volta blu ed
indaco del cielo.
-Ecco
Giove! Ho vinto io!-
Esclamò
Kendeas.
Un
puntino luminoso si alzava lentamente sopra la linea dell’orizzonte.
-No che
non hai vinto! Giove non vale perché non è una stella!-
Protestò
Saga.
Era un
gioco che avevano cominciato a fare da un po’ di tempo: scrutare il cielo al
tramonto e fare a gara a chi vedeva per primo una stella.
Kendeas
mise il broncio e tornò a concentrarsi.
-Ho
vinto io! Ho visto Denheb, la stella alfa del cigno!- stavolta era stato Saga -Allora?
Ho vinto io, no? Dov’è il mio premio?-
Ah,
certo, il premio per il vincitore!
In
verità era quasi sempre Saga a vincere, perché lui sapeva esattamente dove
guardare per trovare le stelle più brillanti, quelle che comparivano per prime,
ma Kendeas non se la prendeva più di tanto perché alla fine il risultato era
sempre quello: un bacio, dato o ricevuto che fosse, era sempre un bacio!
-E va
bene- Sospirò Kendeas -Chiudi gli occhi-
Saga obbedì,
aspettandosi di sentire le labbra del suo compagno sulle sue, invece quello che
sentì fu un colpo sullo sterno, che lo fece cadere di schiena sulla sabbia
ancora calda.
-Kendeas!
Sei stato sleale!-
Non
ebbe però il tempo di protestare oltre, perché Kendeas aveva iniziato a
baciarlo.
Quel
bacio aveva un vago sapore di salsedine e di polvere, e degli steli aspri dei
sugameli che entrambi avevano masticato fino a poco prima.
-Allora,
mi perdoni per la slealtà?- gli chiese Kendeas.
-Hum…
no!- Saga fece uno scatto e lo ribaltò sotto di sé -Adesso devi pagare pegno-
E
cominciò a fargli il solletico.
Kendeas
soffriva maledettamente il solletico, specie sui fianchi, e poiché Saga aveva
imparato ormai da tempo quali erano i punti più sensibili, dopo pochi secondi
Kendeas si contorceva strillando, senza fiato e con le lacrime agli occhi.
-Ok…
basta, hai vint-… hai vinto… pace… ahi!-
A
quello strillo di dolore Saga lo lasciò subito andare.
-Che
succede? Ti ho fatto male?- gli chiese preoccupato.
-No,
non tu, è che c’è qualcosa qui sotto la sabbia. Mi si è conficcato nella
schiena- Kendeas si mise in ginocchio a setacciare la sabbia con le mani, alla ricerca
dell’oggetto misterioso -Ah-ah! Ecco cos’era! Guarda qui, Saga!-
Lui si
avvicinò incuriosito, e nella luce scarsa del tramonto vide che Kendeas teneva
in mano una conchiglia.
Era di
quelle a ventaglio, con delle belle sfumature di rosa sulle righe esterne e
all’interno liscia e lucida come porcellana.
-Che
bella! Deve essere stata portata sulla spiaggia dalla mareggiata di stanotte-
-Hai ragione.
Oh, guarda, è ancora intera, è raro trovarle così-
Intera
non era proprio il termine esatto, quello che Kendeas intendeva era che le due
metà del pettinide erano ancora insieme, attaccate con un sottile filamento fibroso,
segno che il suo precedente occupante non l’aveva lasciata da troppo tempo.
-È come
noi, non è vero? Due metà fatte per stare insieme-
Mormorò
Saga.
Kendeas
studiava la conchiglia con attenzione, con la testa piegata di lato.
-Due
metà fatte per stare insieme- ripeté piano, perso in qualche pensiero -ognuno
di noi è dunque la metà di un unico essere dimezzato. Due pezzi da uno solo, e
però sempre in cerca della propria metà (nda:
Platone Simposio 181b)-
Saga lo
fissò con un sopracciglio alzato.
Aveva
imparato che non era necessario chiedere spiegazioni, prima o poi Kendeas
sarebbe uscito dal suo stato di trance e lo avrebbe messo a parte dei suoi
processi mentali.
-Non
fare quella faccia, è una cosa che conosci anche tu. È il mito degli androgini
secondo Platone-
-Ah, è vero!
Gli esseri perfetti che però erano diventati troppo arroganti, tanto da voler
dare la scalata al cielo, che furono puniti da Zeus ad essere separati in modo
che fossero troppo impegnati a cercare ognuno la propria metà per poter fare
progetti di conquista-
-Esatto.
Lo sai come continua? Dagli esseri formati da una parte maschile ed una
femminile derivano uomini e donne che eccedono nella lussuria, dagli esseri
formati da due metà femminili derivano le donne che amano altre donne, e da
esseri formati da due metà maschili derivano uomini che amano altri uomini, e
questi uomini sono i migliori perché amano quello che è virile, giusto e virtuoso,
e simile alla loro natura-
-Allora
noi siamo i migliori?- chiese Saga con un mezzo sorriso.
-Almeno
illudiamoci di esserlo. Cosa sarebbe la vita senza un po’ di sana presunzione?-
Saga
rise a quella trovata -Non so se sei il più matto o il più saggio che conosco! Allora,
visto che questa conchiglia ci somiglia tanto, perché non ce la teniamo?-
Bastò
tirare un poco, uno da un lato e uno dall’altro, perché le due valve si
staccassero e restassero nelle loro mani.
Kendeas
guardò la sua metà sorridendo felice.
-Sai
cosa manca? Potremmo inciderci le nostre iniziali-
Detto
fatto, Saga raccolse un ciottolo, lo spezzò con la sola forza delle dita e con
le due metà ognuno incise la propria iniziale all’interno di una metà della
conchiglia.
Quando
si separarono sulla metà di Saga c’era una kappa maiuscola, mentre su quella di
Kendeas c’era un sigma.
***
Era
quasi l’alba.
Saga e
Kendeas avevano passato la notte insieme, con la porta della camera del giovane
artigiano chiusa a chiave e la finestra chiusa dall’interno.
Le
lenzuola scomposte erano la prova del loro entusiasmo e della passione con cui
si erano dedicati uno all’altro, ed il fatto che si fossero coperti dimostrava
anche la loro ingenuità nonostante l’aria da adulti che ostentavano.
Non che
fossero pentiti, ma erano ancora ingenuamente sorpresi di certe reazioni del
loro corpo da adolescenti, e istintivamente cercavano rassicurazioni uno
nell’altro.
Di
solito all’alba, se Saga si svegliava prima, aspettava che anche Kendeas si
svegliasse per salutarlo con un ultimo bacio, poi si rivestiva, scavalcava il
davanzale della finestra come tutti i giovani amanti che non vogliono farsi
scoprire dai parenti (perché Saga era un Gold Saint, ma non per questo sarebbe
stato al sicuro dal bastone di nonna Ifighéneia se fosse stato scoperto), e
scappava via alla velocità della luce, letteralmente.
Quella
mattina invece Saga fissava il soffitto, e fu così che Kendeas lo vide non
appena aprì gli occhi.
-Kalimèra ghlikà- Sbadigliò ancora
assonnato-stai pensando a qualcosa
di importante?-
Saga si
voltò verso di lui.
Sembrava
che avesse atteso il suo risveglio come se non vedesse l’ora di potergli
parlare, e questo lusingava molto Kendeas.
Lui, il
ragazzo di campagna, umile artigiano della creta, scelto come compagno di vita,
phìltatos, da un Saint della casta
più alta.
-Kendeas,
tu che ne pensi?-
-Di
cosa?-
-Di
questa storia, che mi chiamano la reincarnazione di un Dio. Dovrei esserne
orgoglioso, no? E invece a volte mi sembra un peso enorme. Secondo te è
ingratitudine la mia?-
Kendeas
si prese un po’ di tempo per riflettere, con il suo solito atteggiamento che
gli faceva inclinare la testa di lato -Secondo me è normale che tu la senta una
responsabilità, non sei ingrato verso quelli che ti rispettano. E poi non credo
che mi piacerebbe se tu fossi davvero un Dio-
-Non ti
piacerebbe? Perché?-
Kendeas
rimase per un po’ a guardare il soffitto, come se stesse scegliendo con cura le
parole -Gli Dèi sono troppo diversi dagli uomini. Sono immortali e per questo
non danno valore alla vita se la tolgono, non conoscono il dolore e per questo
non si curano se ne infliggono. Noi siamo mortali ed abbiamo un tempo limitato
per goderci certe cose. Il tramonto, l’aurora dalle dita di rosa, la luna nella
notte, l’amore che abbiamo fatto poco fa, i mortali possono vedere un numero
limitato di cose prima di morire, ma un Dio che può vederne infinite perché non
ha limiti di tempo, perché dovrebbe dare valore ad un istante particolare? No,
per questo non mi piacerebbe che tu fossi davvero un Dio. Non potrei amare qualcuno
che non vede la bellezza di questo mondo come la vedo io-
-Allora
tu credi che gli Dèi siano crudeli? O insensibili?-
-Né
l’uno né l’altro. Credo solo che abbiano un metro molto diverso da quello degli
umani per giudicare le cose. Ma d’altra parte è proprio per questo che esistono
i Gold Saint, non è vero? Vi chiamano gli Dèi dal cuore umano. Voi avete poteri
immensi come quelli delle Divinità, ma il vostro cuore è il cuore di un uomo ed
è giusto che rimanga tale. Voi potete comprendere la sofferenza con il vostro
cuore umano e potete alleviarla con i vostri poteri divini. Questo è un
miracolo, Saga-
Kendeas
aveva sperato di allontanare le ombre che si addensavano nello sguardo di Saga,
invece lui sembrò accigliarsi ancora di più.
-Da
come ne parli tu sembra che avere un cuore umano sia una buona cosa, ma è
davvero così, Kendeas? Il cuore umano non è facilmente corruttibile? Non è
spesso avvelenato dall’ira o dall’ambizione?-
Kendeas
lo guardò a lungo, ma Saga fece di tutto per non incrociare il suo sguardo.
Strano,
non lo aveva mai fatto prima.
Con un
sospiro Kendeas cerco la sua mano sotto le lenzuola e fece intrecciare le loro
dita, cercando di ristabilire quel contatto che sembrava vacillare.
-Saga. Ghlikà. Sembra che tu ti stia
rimproverando qualcosa. Perché? Perché dubiti tanto di te stesso, amore mio?-
Saga si
voltò verso di lui con un’espressione sconcertata.
Per la
prima volta sembrava che avesse paura della capacità di Kendeas di vedere nel
suo animo, come se volesse nascondergli qualcosa.
“No,
non è vero. Non deve essere vero. Saga mi ama ed io amo lui, non può avere
paura di me. Non può volermi nascondere qualcosa. Se fossero problemi del
Santuario me lo direbbe che non può parlarne ad un non iniziato, come ha fatto
altre volte”.
-Kendeas,
io sono onorato di vestire l’armatura d’oro dei Gemelli, ma a volte mi chiedo,
ne sono veramente degno? Io sono il più forte tra i Saint perché Aioros non usa
i poteri della mente e gli altri Gold Saint sono poco più che bambini. Il mio
potere è il più grande-
A
Kendeas sembrò di avvertire una nota strana nella voce di Saga, qualcosa che
somigliava ad un brivido di autocompiacimento.
Non era
mai successo, Saga era sempre stato umile, quasi imbarazzato dai suoi grandi
poteri.
-Sì, il
mio potere è più grande e allora mi chiedo, se io facessi qualcosa di
sbagliato, chi potrebbe contrastarmi? Aioros? E anche se fosse, chi darebbe ad
Aioros la certezza di essere nel giusto?-
Kendeas
scosse la testa, come per scacciare brandelli di un pensiero che non voleva
lasciar formare e strinse più forte la mano di Saga -Non comprendo tutti questi
tuoi dubbi, Saga. Tu, tutti i Gold Saint, avete consacrato la vostra vita ad
Athena, ed è la Dea che guida le azioni dei Saint. Come puoi temere di fare
qualcosa di sbagliato se lei vi guida?-
-Athena-
ripeté Saga in un sussurro -Athena non si è più reincarnata dall’ultima guerra
Sacra duecentocinquanta anni fa. Solo da poco il Santuario ha ripreso vita con
una nuova generazione di Saint. Siamo un esercito, è vero, ma non abbiamo
nessuno che ci comandi-
C’era
una specie di delusione nella sua voce, o forse una sorda rabbia.
-Il
Gran Sacredote…- cominciò a dire Kendeas.
-Sion,
sì. È molto stanco, sta cercando un successore. Io o Aioros, capisci? Uno di
noi due avrà l’enorme responsabilità di gestire il potere di tutti i Saint… in
nome di una Dea che forse neanche vedremo mai-
Ancora
una volta Kendeas sentì quella nota stonata, ed ancora una volta non seppe dire
se era delusione o rabbia.
***
I
giorni passavano e le visite di Saga erano sempre più irregolari e distanti una
dall’altra.
Sempre
più spesso Kendeas lo sentiva distante, anche mentre passeggiavano mano nella
mano sulla spiaggia.
“Lui è
un Gold Saint, è normale che abbia pensieri e preoccupazioni che io non posso
neanche immaginare. Ma sono davvero tanto importanti da fargli dimenticare che
io lo amo?”.
Poi
però Saga lo abbracciava senza dire niente ma come se lo volesse proteggere da
qualcosa, e allora Kendeas si rimproverava per aver pensato di non essere più
importante per lui, e si dava dello sciocco geloso.
Una
mattina Kendeas stava lavorando fuori in cortile per mettere ad asciugare al
sole alcuni lavori quando vide una figura che avanzava lungo la strada.
La sua
casa era proprio sulla strada e non era certo una novità che ci fossero dei viandanti,
ma quello che incuriosì Kendeas era il pesante mantello da viaggiatore
indossato dall’uomo, per di più con il cappuccio alzato a coprire la testa e
parte del viso.
Faceva
troppo caldo per indossare un indumento del genere, per questo Kendeas non
aveva ancora distolto lo sguardo quando lo straniero passò davanti a lui, poi
fu un attimo: un soffio di vento fece alzare un lembo del cappuccio e Kendeas
si trovò a guardare un viso che conosceva troppo bene.
-Saga?-
Mormorò
piano.
Ma no,
non poteva essere!
Saga
non aveva mai avuto quell’espressione: le labbra strette in una linea, ed uno
sguardo che sembrava infuriato con il mondo intero.
Eppure
i lineamenti erano quelli del Gold Saint dei Gemelli.
In quel
momento lo straniero, forse sentendosi osservato, si voltò verso di lui ed i
loro occhi si incontrarono, e allora Kendeas ne ebbe la certezza: quell’uomo
non era Saga.
-Che
hai da guardare, tu?- lo apostrofò quello brusco.
-Io…
perdonatemi, signore, è che voi somigliate tanto a S-…- si bloccò subito perché
nessuno si riferiva ad un Gold Saint con il nome proprio e corresse -a wanaxSaga-
Immediatamente
Kendeas capì di aver detto la cosa sbagliata.
Nell’ombra
del cappuccio gli occhi dello straniero si ridussero a due fessure e Kendeas
ebbe la netta sensazione che l’uomo avrebbe voluto fargli del male.
-WanaxSaga, eh?-
Un
attimo dopo lo straniero era davanti a lui, senza che Kendeas lo avesse visto
muoversi.
“Impossibile!
Gli unici che possono spostarsi a questa velocità sono i Saint d’Argento o d’Oro!
Ma lui non l’ho mai visto. Chi è quest’uomo?”
Prima
ancora che Kendeas potesse riprendersi dalla sorpresa l’uomo gli aveva serrato
una mano sulla gola.
-Hai
appena fatto l’errore di confondermi. Io non sono Saga. Io sono Kanon.
Ricordatelo, ragazzo, perché un giorno chiameranno anche me wanax, e per un motivo migliore-
Kendeas
era convinto che lo avrebbe strangolato, invece quell’uomo che sembrava un
demone con l’aspetto di Saga lo spinse via, mandandolo a sbattere con la schiena
nella polvere del cortile.
Tempo
di rialzarsi ed era di nuovo solo, non c’era traccia dello sconosciuto con il
viso di Saga ed il nome di un’isola vulcanica.
A parte
i lividi che gli erano rimasti sul collo dove l’uomo aveva stretto più forte.
Pochi
giorni dopo erano nel frutteto, tra gli alberi di agrumi e gli olivi sacri ad
Athena, e Kendeas voleva raccontare a Saga quello che era successo.
Già
quando disse che aveva visto uno straniero quasi identico a lui, Saga sembrò
molto preoccupato.
-Kendeas,
come si chiamava? Ti ha detto il suo nome?-
-Sì, mi
ha detto di chiamarsi Kanon… Saga?!-
Saga lo
aveva appena afferrato per le spalle -Kanon?! Sei sicuro che il nome fosse
Kanon? Ed era così simile a me da poter trarre in inganno anche te che mi
conosci bene?-
La prima volta.
Era la
prima volta che Kendeas vedeva Saga spaventato.
I Gold
Saint non dovrebbero avere paura di niente, invece Saga in quel momento aveva
gli occhi sgranati dalla paura ed il respiro affannato.
-Sì,
sono sicuro che abbia detto Kanon. Ed ha detto anche che un giorno avrebbero
chiamato anche lui con il titolo di wanax,
e per un motivo migliore di quello per cui ora lo attribuiscono a te-
A
quelle parole Saga trasalì -Adesso ascoltami bene, Kendeas. Se vedrai di nuovo
quell’uomo promettimi che gli starai lontano. Non parlargli, non incrociare
neanche il suo sguardo, non lasciargli capire in nessun modo che tra me e te
c’è un legame, hai capito? Non devi avere niente a che fare con lui-
Kendeas
annuì.
Quello
straniero doveva essere davvero pericoloso se persino Saga lo temeva.
-Va
bene. Va bene, ho capito. Ti prometto che gli starò lontano-
Finalmente
Saga allentò la presa sulle sue spalle con un sospiro di sollievo.
-Bene.
Perdonami se ti ho spaventato, Kendeas, ma non voglio esporti ad un pericolo,
ed io so quello che dico-
Kendeas
lo scrutò -Saga? Quello straniero ti somigliava così tanto che… insomma, siete
due gocce d’acqua, solo i gemelli si somigliano in quel modo. Saga?-
“Tu hai un fratello gemello?
Perché non me lo hai mai detto?”.
Non
ebbe il coraggio di fare la domanda a voce alta, ma Saga lo intuì lo stesso.
Non lo
guardò negli occhi.
-Guardati
da lui, Kendeas. È pericoloso-
Gli
disse soltanto, poi, come faceva spesso troppo
spesso negli ultimi tempi, semplicemente scomparve.
Kendeas
sapeva che si era mosso alla velocità della luce, che non era veramente
scomparso, eppure il pensiero che Saga potesse avergli nascosto una cosa così
importante ed in generale il suo comportamento scostante delle ultime settimane
lo facevano sentire proprio come se lo fosse.
***
Kendeas
si svegliò perché qualcosa lo stava scuotendo con insistenza.
Qualcosa
o qualcuno che di solito subito prima dell’alba era solito andarsene, non
entrare in camera sua.
-Va
bene, Saga, sono sveglio-
Si mise
a sedere strofinandosi gli occhi.
“Che ci
fa qui a quest’ora? Deve essere successo qualcosa di importante”.
-È
tornata! La Dea Athena è tornata al Santuario!-
Sembrava
che Saga si trattenesse a stento dal gridarlo.
Kendeas
spalancò gli occhi, all’improvviso completamente sveglio e lucido.
“È
tornata? La vergine guerriera è tornata su questa terra?”.
-Quando?-
-Stanotte!
È una neonata non partorita da donna come dice la leggenda, è stata trovata ai
piedi della statua di Athena nel naos.È lei, Kendeas! È la nostra Dea che è tornata
per guidarci-
Per la
prima volta dopo settimane Saga sembrava di nuovo felice.
I suoi
occhi blu o forse verdi brillavano
come la prima volta in cui Kendeas lo aveva conosciuto.
***
Stavano
camminando lungo la riva del mare, in quella che ormai era diventata la loro
spiaggia.
Erano
in silenzio, ma un silenzio pesante, carico di cose non dette, e Saga sembrava
inquieto come il mare d’autunno vicino a loro.
-Kendeas-
“Ah,
finalmente ti sei deciso. È da mezz’ora che aspetto”.
Si girò
a guardarlo, aspettando che continuasse da solo.
-Devo
dirti una cosa-
“Una
cosa importante, che hai paura di dirmi ma che hai anche paura di tenermi
nascosta”.
Tornò
indietro e si sedette sulla sabbia, poi fece cenno a Saga di sedersi accanto a
lui.
-Dai, parla,
giuro che non ti mangio-
Per un
attimo sperò che Saga gli avrebbe sorriso, invece no, si sedette accanto a lui
con le ginocchia strette al petto e senza guardarlo -Kendeas, l’uomo che hai incontrato
l’altro giorno, Kanon. Lui è davvero mio fratello gemello-
“Perché
non me lo hai detto prima?”.
Ma non
lo chiese.
Sarebbe
servito solo a rendere tutto ancora più difficile.
-Tu lo
temi, non è vero?-
Gli
chiese invece.
Saga
non rispose subito.
-Siamo
gemelli omozigoti e siamo nati sotto il segno di Gemini. Noi in principio
eravamo davvero un unico essere. Sì, io lo temo, temo l’oscurità che è in lui
perché è la stessa oscurità che potrebbe esserci in me-
Kendeas
si sporse leggermente verso di lui e posò la mano sulle sue, nel gesto che
aveva cominciato a farli innamorare pochi anni prima -Saga, non dimenticare che
in ogni uomo coesistono luce ed oscurità. Invece di temere la tua oscurità
perché la vedi riflessa in Kanon, perché non provi a far emergere la luce che
c’è in lui?-
-Io ci
provo, ma lui dice delle cose… cose che non posso più ignorare-
Kendeas
non sapeva bene come interpretare l’ultima frase, così aspettò un po’ prima di
arrischiarsi a chiedere -Hai paura di qualcosa che potrebbe fare?-
-Anche.
Ma soprattutto ho paura di quello che dovrò fare io-
***
Era
ormai la fine di novembre.
Per
tutto il pomeriggio grosse nuvole nere si erano addensate contro il fianco
della montagna, e verso sera il temporale che era rimasto in agguato scoppiò
all’improvviso, prima con forti raffiche di vento, poi con scrosci di pioggia
isolati ed alla fine con un vero e proprio diluvio.
Kendeas
era rintanato sotto le coperte pesanti e leggeva nella penombra con l’aiuto di
una piccola torcia.
“In una
notte come questa sarebbe perfetto avere Saga qui con me”.
Pensò.
Non
passarono neanche pochi minuti che un bussare insistente alla sua finestra,
diverso dal rumore della persiana scossa dal vento, lo fece scattare a sedere.
“Saga?!”.
Si
precipitò ad aprire per farlo entrare, e già si preparava a fargli una bella
lavata di capo su quanto fosse stato imprudente per lui mettersi per strada con
quella bufera, ma appena aprì la finestra capì subito che quella non era una
semplice visita.
Saga
era pallido, tremava e sembrava terrorizzato.
“Mio
Dio! Che gli è successo?”.
Per la
prima volta da che si conoscevano Kendeas dovette aiutarlo a scavalcare il
davanzale.
Chiuse
in fretta la finestra.
-Saga,
sei tutto bagnato, e sei congelato. Vado a prenderti un asciugamano-
Ma non
appena fece un passo per uscire dalla stanza Saga lo afferrò per il braccio -No!
Per favore, non mi lasciare solo!-
Per la
prima volta gli occhi belli di Saga blu o
forse verdi erano dilatati dal terrore.
-Va
bene. Va bene, ghlikà, non ti lascio-
Visto
che non poteva lasciare la stanza strappò via il lenzuolo dal suo letto.
-Saga,
adesso devi toglierti queste cose bagnate, va bene? Dai, ti aiuto io-
Era
come aiutare un bambino di tre anni, Saga sembrava assolutamente incapace di coordinare
i movimenti e toccò a Kendeas, tra tirare e spostarlo, di togliergli i vestiti.
Lo
avvolse nel lenzuolo per asciugarlo, lo fece sedere sul letto e cominciò a
strofinargli la schiena e le spalle per riscaldarlo.
In
tutto questo Saga lo lasciava fare.
“Cosa
ti è successo per ridurti così, ghlikà?”.
Quando
gli sembrò che fosse abbastanza asciutto gli tolse di dosso il lenzuolo e lo
avvolse nella coperta di lana, mentre usava l’altro lenzuolo per tamponargli i
lunghi capelli azzurri.
Non
disse una parola, solo gli fece posare la testa sulle sue gambe e rimase ad
accarezzarlo nel tentativo di scioglierlo un po’.
Niente
da fare, Saga rimaneva rannicchiato, con gli occhi serrati.
Kendeas
sperava quasi che si addormentasse, ma dopo un po’ lo sentì muoversi e
mormorare qualcosa.
-Come
hai detto?-
-Mio
fratello- Ripeté Saga a voce bassissima -ho condannato a morte mio fratello-
Non
appena comprese appieno il significato di quelle parole Kendeas sussultò.
“Ecco
cosa intendeva quel giorno! Ha detto che aveva paura di quello che avrebbe
dovuto fare lui. Condannare a morte il proprio fratello…”.
Solo il
pensiero gli dava i brividi.
Ripensò
a Kanon, l’unica volta che lo aveva visto.
D’accordo,
anche a lui era sembrato pericoloso e per di più lo aveva quasi strangolato, ma
condannarlo a morte…
-Ho
dovuto farlo, lui era una minaccia per Athena e per il Santuario. Ho provato a
convincerlo, lo giuro, ci ho provato! Ma lui è sempre stato così testardo e
orgoglioso, e per di più ha quasi gli stessi poteri di un Gold Saint. Non so
come abbia fatto, davvero non lo so, ma è forte quasi quanto me… non potevo
lasciarlo libero di agire!-:
Sembrava
che Saga stesse cercando di giustificarsi, come se non fosse per niente sicuro
di aver fatto la cosa giusta ma stesse disperatamente cercando di
convincersene.
Per la
prima volta Kendeas si rese conto dell’enorme responsabilità che comportava
essere un Saint di Athena.
Saga
aveva dovuto scegliere non tra una cosa giusta ed una sbagliata, aveva dovuto
sceglieretra due delitti quale
commettere.
Da un
lato il fratricidio, dall’altro il tradimento.
Da un
lato il suo giuramento di lealtà e dall’altro la voce del suo sangue.
Nessuna
via di mezzo, nessuna scappatoia, qualunque scelta avesse fatto si sarebbe
dannato.
-Lo hai
ucciso?- chiese pianissimo.
-No,
non io. Il mare. La prigione di roccia al promontorio Sounion. Stanotte, quando
salirà la marea-
Kendeas
non disse più nulla, rimase ad accarezzarlo e ad ascoltare i suoi respiri
spezzati nel buio.
L’unica
cosa a cui riusciva a pensare erano dei versi.
Parole
antiche, che parlavano di due fratelli che si erano uccisi a vicenda.
-O degno tu di ogni pianto
-O anche tu sventurato
-Tu perito per mano fraterna
-Un fratello uccidesti
-Duplice strazio a narrare
-Duplice a contemplare
I re
fratelli di Tebe dalle sette porte, Eteocle e Polinice.
Così
passò la notte, senza che Kendeas si rendesse conto se era sveglio, se dormiva,
se sognava o se condivideva gli incubi di Saga.
All’alba
il sola fece capolino pallido e spettrale, come il viso del Saint di Gemini.
Kendeas
lo guardò alzarsi e cercare i suoi vestiti.
Si
muoveva lentamente e non tremava più, sembrava svuotato di ogni sentimento e di
ogni emozione.
-Ormai
è tutto finito-
Disse a
mezza voce.
Kendeas
capì che si riferiva alla condanna di suo fratello.
-Saga,
non dovresti…?-
-Cosa?
Andare a vederlo? No-
-Per
seppellirlo-
In quel
momento Saga rabbrividì -Non ci sarà una sepoltura per lui, è la punizione per
i traditori. Il mare sarà la sua tomba. L’acqua disgregherà la sua carne, il
sale brucerà le sue ossa e le onde ne disperderanno la polvere nella corrente-
Kendeas
avrebbe voluto dire qualcosa, ma prima che potesse farlo Saga si era rivolto di
nuovo a lui.
-E
adesso a noi, Kendeas. Noi non ci rivedremo più-
-Cosa?!
No, Saga, non puoi!-
Lui lo
zittì con un gesto della mano -Non è che non posso, non voglio. Io sono un
assassino, Kendeas. Da oggi in poi ogni mio respiro sarà maledetto, non posso
coinvolgere anche te. Noi ci separiamo qui e adesso-
Kendeas
saltò giù dal letto, deciso a fare qualunque cosa pur di fargli cambiare idea,
ma non appena gli si trovò vicino Saga alzò una mano e lui si trovò bloccato da
una forza invisibile.
Quando
provò a gridargli “lasciami andare” scoprì che non poteva neanche parlare.
-Kendeas…
ghlikà… mi dispiace tanto- Saga non
lo aveva mai chiamato “dolcezza” prima -so che mi ami e so che ti sto dando un
grande dolore, ma devi capire che non è più possibile. Io devo percorrere un
cammino di sangue e sofferenza, tu invece hai tutta una vita davanti. Kendeas,
io ti ringrazio per tutto l’amore che mi hai dato e ti ringrazio per l’amore
che mi hai permesso di vivere. Ti ho amato come non avevo mai amato niente in
questo mondo e come non amerò mai più niente, ma proprio per questo adesso devo
lasciarti libero. Ricordami, se vuoi, ma non cercarmi mai più. Addio-
Scavalcò
il davanzale come faceva sempre, ma quella volta era diverso perché non sarebbe
più tornato.
Kendeas
provò a gridare e a divincolarsi ma era tutto inutile.
Saga lo
guardò con una tristezza infinita negli occhi blu o forse verdi, poi lo liberò dalla stretta invisibile.
-Ghlikà…-
Corse
verso la finestra, ma nello stesso attimo in cui lui stava per scavalcare a sua
volta Saga scomparve.
-Sagapò ghlikà…-
Ti amo,
dolcezza.
***
Dopo
quella mattina Kendeas passò parecchi giorni abbattuto.
Lavorava
a stento, non si curava di quello che succedeva intorno a lui e se sua nonna o
suo zio gli chiedevano cosa avesse lui scrollava le spalle e guardava da
un’altra parte.
Saga
era stato chiarissimo: non si sarebbero visti mai più.
Eppure
Kendeas non voleva crederci, e spesso nel cuore della notte si svegliava
credendo di aver sentito bussare alla finestra, allora si alzava di scatto e
correva ad aprire, solo per scoprire che era stato solo il vento o la sua
immaginazione.
Dopo
poco più di un mese però arrivò una notizia sconvolgente dal Santuario.
Erano
state le guardie che scendevano a bere alla taverna del villaggio a raccontare
come erano andate le cose.
Aioros
aveva tradito il Santuario, aveva tentato di rapire la Dea neonata e di fuggire
con l’armatura d’oro del Sagittario.
Fortunatamente
un altro Gold Saint, Shura del Capricorno, lo aveva fermato ed aveva riportato al
Santuario sia Athena che l’armatura.
-Wanax Shura? Perché il Saint del
Capricorno? Non avrebbe dovuto affrontarlo wanaxSaga che era più forte?- aveva chiesto
Kendeas ad uno di loro.
-Ragazzo
mio, questo è un altro bel mistero! Wanax
Saga, il Saint di Gemini, è scomparso. Nessuno sa più niente di lui da settimane-
Kendeas
non aveva detto nulla, ma quella risposta era stata il colpo di grazia per lui.
Aveva
sperato che Saga fosse al sicuro al Santuario, che il Sacerdote lo avesse
aiutato a smorzare il senso di colpa per quello che aveva fatto a suo fratello
Kanon e che in qualche modo sarebbe riuscito ad andare avanti, invece no.
Scomparso.
Proprio
come era scomparso sotto i suoi occhi l’ultima volta che lo aveva visto.
Per
Kendeas era peggio che sentirsi dire che era morto, e quella sera, rannicchiato
sotto le coperte, strinse forte la conchiglia con la sigma incisa all’interno.
E per
la prima volta da quando Saga gli aveva detto che dovevano separarsi, pianse.
Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta! Ho finito il capitolo! *Mako
canticchia e saltella come una deficiente*
Ci ho messo 835 minuti ma sono riuscita a finirlo!
Coooomunque! Vi sembra abbastanza kurumadiano? A me sì! Voglio
dire, è esagerato e deprimente, esattamente come alcuni (molti) momenti del
fumetto originale.
Qua la storia comincia ad andare parallela con gli avvenimenti
del manga, solo visti dal punto di vista di Kendeas.
Bene,
brava, adesso sciò! *Rory spinge Mako giù dalla sedia*
Oh
oh oh! (Lo so, non è molto serio ma in periodo di feste la risata di Babbo
natale ci sta, no?)
Come
al solito Ka-non è sinonimo di Ka-sino, quando mai quel ragazzo non produce
danno, quando mai?
Bè,
come ha già detto la mia sorcia da adesso in poi sapete un po’ tutti cosa
succede, ma la narrazione seguirà il punto di vista del nostro carrro Kendeas,
e poi…
Dovrà
pure finire in qualche modo, no?
Creamy Lisa: Ccciao! :3
Povero
Kendeas sì, l’ansia è una brutta bestia, ma chi può controllarsi con un tenero
puccio-Saga che vuole sbaciucchiarti?
Fortunato,
lui! xD
Succederà
qualcosa di brutto? Hmmm, naah, cosa te lo fa credere? xD
Continua
a sperare, magari le cose si risistemeranno ;)
Bacioni!
Calhin: Benvenuta!
Abbiamo
deciso di presentare Kendeas un po’ alla volta nel corso della storia per non
dare appunto l’idea del personaggio super perfetto e rendere le sue idee e la
sua personalità poco alla volta… magari non è la scelta più azzeccata, vedremo
di fare di meglio la prossima volta ^^
Va
bene, arruoliamo questi qui per la versione cinematografica del Manfredi xD ci
starebbero benissimo, hai ragione *-*
He-hem…
pazzo… schizofrenico… stiamo parlando di Saga? Ma nuooo xD
P,S:
Grazie epr i complimenti per i disegni J
Speriamo
continuerai a seguirci ^^
Bene,
abbiamo detto tutto, quindi vi salutiamo dandovi appuntamento al prossimo
capitolo!
Per
settimane al villaggio di Rodrio non si parlò d’altro
che questo: il tradimento di Aioros del Sagittario e
la scomparsa di Saga dei Gemelli.
Kendeas
aveva quindici anni e, con la testardaggine tipica della sua età, non si
rassegnava ad aspettare senza fare niente, così appena incontrava un soldato o
uno dei Gold Saint che raramente si facevano vedere
al villaggio subito chiedeva di Saga.
Non gli
passò neanche per la mente di essere cauto mentre faceva domande, almeno fino a
quando non sentì due guardie che lo prendevano in giro.
-Visto
quel ragazzino come chiede sempre di wanax
Saga? Sembra una fidanzatina gelosa!-
Kendeas
li lasciò andare via, rosso fino alle orecchie, e da quel momento fece molta
più attenzione a come parlava.
Non
tollerava che il sentimento forte e bellissimo che lo univa a Saga diventasse
oggetto di battute idiote tra soldati.
Un
giorno si sparse la notizia che dopo tanto tempo il Gran Sacerdote aveva
finalmente deciso di fare una visita al villaggio; erano mesi che non
succedeva, e praticamente tutti gli abitanti avevano lasciato le loro
occupazioni per scendere in piazza a vederlo.
Anche
Kendeas decise di andare, ma con fini del tutto diversi dalla devozione
religiosa: il fatto era che l’unico che poteva sapere qualcosa di Saga era
proprio il Sacerdote.
Non era
lui che governava i Saint di ogni casta?
E
allora tanto valeva provare!
Si
mescolò alla folla, aspettando il suo turno per parlare con il Sacerdote, ma
quando gli arrivò davanti accadde una cosa strana.
Kendeas
guardò le pietre rosse della maschera e gli sembrò di sentire un respiro
trattenuto dietro di essa.
“Tu?”.
La voce
era nella sua testa.
Voleva
parlare ma non ci riusciva, come quando Saga lo aveva immobilizzato prima di
sparire per sempre.
Il
Sacerdote gli posò la mano sulla testa in un gesto di benedizione, poi passò in
fretta ad un'altra persona.
Kendeas
era ancora bloccato, e quel che era peggio nessuno sembrava accorgersi della
sua situazione.
Intanto
il Sacerdote si era allontanato.
“Lo ha fatto apposta! È stato lui ad
immobilizzarmi, ma perché?”.
Deciso
più che mai a non rinunciare, Kendeas decise di giocare d’astuzia.
Lasciò
il gruppo dei fedeli e fece il giro largo attraverso i campi per appostarsi
sulla strada che da Rodrio saliva verso il Santuario.
Gli
venne anche un pensiero abbastanza stupido: si sentiva un po’ uno dei bravi che
aspettavano Don Abbondio per minacciarlo, ma, a parte
il fatto che lui non voleva minacciare nessuno, il Sacerdote di Athena non era
certo un povero curato di campagna!
Dopo
quasi un’ora la sua pazienza fu premiata: una figura alta, avvolta in una tunica
blu stava percorrendo quella strada.
Kendeas
si chiese vagamente se quella sua mossa avrebbe potuto essere interpretata come
un agguato, e se sì quali avrebbero potuto essere le conseguenze.
Il
Sacerdote si fermò solo quando fu di fronte a lui.
-Perché
sei stato qui ad aspettarmi, ragazzo? Hai già avuto la mia benedizione-
Kendeas
lo osservò e per la prima volta si sentì nervoso.
Aspettare
il Sacerdote di Athena sulla strada, ma che gli era saltato in testa?
Eppure
quella era la sua sola speranza.
-Ierèas,
perdonate la mia insolenza, ma ho bisogno di parlare con voi. Ditemi se sapete
dove si trova wanax Saga-
-WanaxSaga…- ripeté lentamente il Sacerdote –non
è affare tuo, tanto non lo rivedrai mai più-
-Ma signore…-
-Ti
avverto, ragazzo, la mia pazienza ha un limite-
“No, è tutto sbagliato. Il Gran
Sacerdote è un uomo buono e generoso. Perché usa questo tono freddo?”.
-Ieréas… per favore, se sapete
qualcosa ditemelo-
Il
Sacerdote rimase immobile.
Kendeas
aveva la netta sensazione di essere osservato dalle pietre rosse e quel colore
gli sembrava improvvisamente inquietante.
Rosso
era il sangue.
Si
costrinse a non abbassare lo sguardo e poco dopo si accorse che le spalle del
Sacerdote erano come scosse mentre dietro la maschera vibrava uno strano suono.
Il
Sacerdote stava ridendo.
-Ah,
ragazzo, da come insisti e dal tono così preoccupato della tua voce si direbbe
quasi che tu avessi un legame speciale con wanax Saga. È così?-
A
quel punto Kendeas abbassò gli occhi -Io lo amavo-
-Ma
evidentemente lui non amava te. Ti ha abbandonato senza una parola, non è
vero?-
Kendeas
boccheggiò come se fosse stato colpito fisicamente -Lui…
lui non ha potuto…-
-O
non ha voluto. Che hai tu, un operaio, da spartire con un Cavaliere d’oro?
Niente. Rassegnati, per lui sei stato solo un capriccio-
-No!-
Solo
in quel momento Kendeas si rese conto che aveva alzato la voce contro il
Sacerdote di Athena, cosa che probabilmente era un sacrilegio.
-Razza
di sciocco sentimentale che sei! Sei convinto anche tu, come tutti, che il tuo
Saga fosse un concentrato di bellezza e virtù, non è vero? Non hai saputo
vedere cosa c’era davvero nel suo cuore- il Sacerdote portò una mano alla
maschera come se stesse per togliersela -ebbene adesso guarda, giovane
innamorato, guarda e disperati perché scoprirai il segreto che…-
NO!
Una
voce risuonò nell’aria, ma oltre a loro due Kendeas non vide nessuno.
Eppure,
per un attimo, gli era sembrata la voce di Saga.
-Sa-… Sacerdote?-
La
figura che fino ad un momento prima era stata così autoritaria era in ginocchio
a terra, con la testa tra le mani, e mormorava a voce bassissima, come se
stesse parlando a qualcuno invisibile.
-No… no, non ti lascerò fargli del
male-
-Idiota,
smettila di ostacolarmi! Questo ragazzo mette in pericolo il mio piano, deve…-
-No!
Tu non lo toccherai!-
Kendeas
fece il gesto di avvicinarsi per aiutarlo, ma appena ebbe allungato la mano il
Sacerdote gli afferrò il braccio con una stretta spaventosamente forte -Devi
andartene. Vattene finché posso ancora controllarlo-
Stranamente
Kendeas, che fino a quel momento era stato arrabbiato con lui, adesso sentiva
il bisogno di confortarlo.
Come
aveva tenuto tra le braccia Saga l’ultima notte che erano stati insieme.
-Cosa?
Controllare cosa, Sacerdote?-
Lui
si rialzò in piedi con uno scatto.
-Vattene!-
gli disse –E non avvicinarti a me mai più. Vattene…Kendeas-
Poi
sparì, anche lui veloce come la luce, lasciandolo solo sulla strada.
“Mi ha chiamato per nome.
Conosce il mio nome… come?”.
La
cosa più strana era che per un attimo, dietro la maschera senza espressione del
Sacerdote, a Kendeas era sembrato di vedere il viso preoccupato di Saga.
-Saga!-
Urlò
da solo.
Non
gli interessava come, ma era certo che in quel momento lui lo potesse sentire.
-Saga!
Io giuro che ti aspetterò, hai capito? Non mi importa quanto ci vorrà ma sappi
che io ti aspetterò!-
Da
qualche parte là vicino gli rispose il suono di un sospiro, ma Kendeas non
sapeva dire se fosse di sollievo o di angoscia.
***
Kendeas
aveva ormai ventisette anni.
I suoi
parenti avrebbero voluto vederlo accasato con una brava ragazza, una persona in
grado di essere sua moglie e madre dei suoi figli, ma Kendeas non ci pensava
nemmeno.
Quando
nonna Ifighéneia insisteva perché andasse a salutare
qualche vicina di casa venuta in visita casualmente
con la figlia lui si limitava a fare qualche cenno educato, qualche frase
di circostanza e poi se la svignava con la scusa del laboratorio, delle
consegne o anche solo che aveva sentito Atlante che ragliava.
A volte
lui stesso si chiedeva se, se solo non avesse conosciuto Saga, si sarebbe
infine rassegnato a sposarsi, ma non si sapeva rispondere.
Guardava
le ragazze del villaggio sforzandosi di trovarle attraenti, ma proprio non ci
riusciva.
Non che
le trovasse brutte, semplicemente nessuna di loro gli faceva provare anche solo
lontanamente le emozioni che Saga gli aveva fatto provare solo con lo sguardo.
Ogni
volta che si sforzava di immaginare sé stesso con una di loro inevitabilmente
la sua mente scappava e tornava alle immagini familiari di un corpo robusto, di
capelli lunghi color turchese e di mani grandi, da uomo, intrecciate alle sue.
E poi
c’era la sua promessa.
Kendeas
a volte sorrideva tra sé pensando a se stesso come a Penelope, che attendeva il
ritorno dell’amato quando tutti gli altri avevano smesso di crederlo possibile.
Per
conservare la conchiglia e la prima figura di argilla che Saga aveva modellato,
Kendeas aveva tolto un mattone dal muro e scavato una piccola nicchia, così
poteva nasconderci i due oggetti avvolti da un panno.
Erano
passati tredici anni dalla scomparsa di Saga, eppure Kendeas continuava a
sperare; per questo, spesso, quando passava davanti alla taverna e vedeva che
dentro c’erano i soldati del Santuario, entrava sempre ad ascoltare le ultime
notizie.
In
genere quegli uomini si lamentavano di come la vita al Santuario fosse
diventata difficile.
Le
prove per diventare Saint o anche solo soldati semplici erano giustamente
difficili perché dovevano forgiare uomini dalla tempra fuori dal comune, ma da
un paio di anni quelle prove erano diventate più che difficili, erano crudeli.
Più
della metà dei nuovi arrivati moriva entro un anno ma al Grande Sacerdote non
sembrava importare.
Lui
stesso si faceva vedere sempre più raramente, ed ancora più rare erano le
udienze che concedeva con la Dea Athena.
A
Kendeas per la verità di tutto questo importava poco, l’unica cosa che voleva
sapere era se qualcuno avesse avuto notizie di Saga, ma a quanto pare il Saint
dei Gemelli era stato solo il primo a scomparire; infatti tutti gli altri
Cavalieri d’oro, chi prima, chi dopo, si erano ritirati a vivere in luoghi
inaccessibili.
Un
pomeriggio però, mentre tornava a casa dopo aver fatto il giro del villaggio
per alcune consegne, passando davanti alla taverna sentì qualcosa di
inconcepibile: il Santuario era sotto attacco.
Dei
giovani Bronze Saint, guidati da una ragazzina che diceva di essere la Dea
Athena, stava tentando l’impossibile, cioè attraversare le Dodici Case che
erano messe a guardia del Santuario per arrivare ad affrontare il Gran
Sacerdote in persona e conquistare il Grande Tempio.
Tutti i
Gold Saint erano stati richiamati ad Athene, l’unico che mancava era Saga.
Quando Kendeas
tornò a casa e si rimise al lavoro era pensieroso.
Come
era possibile che Saga, il Saint più devoto alla Dea Athena non fosse stato il
primo a tornare per difendere il Santuario da quegli impostori?
C’era
un'unica spiegazione, ed era quella che Kendeas aveva rifiutato per tredici
anni: Saga era morto e non sarebbe tornato mai più.
Né per
la sua Dea, né per il Santuario.
Né per lui.
Rovinò
parecchi lavori perché ogni volta che quel pensiero gli attraversava la mente
provava una dolorosa stretta al cuore e le sue mani non rispondevano più come
voleva lui, e allora finiva per far cadere il lavoro o premere troppo
sull’argilla morbida e deformarla in modo irrimediabile.
E poi,
lavorando l’argilla, gli tornavano sempre davanti le immagini della prima volta
che aveva fatto provare Saga a fare quel lavoro.
Le loro mani umide ed impiastricciate di
creta.
I loro occhi che si incontravano le prime
volte.
Lo sguardo di Saga concentrato su di lui.
Alla
fine, a metà pomeriggio, stanco di non concludere niente e di tormentarsi tra
ricordi di cose che non sarebbero più tornate, mise da parte l’ennesimo lavoro
rovinato ed uscì di casa.
Tutto
il villaggio era radunato alla taverna, dove i soldati si davano il cambio
regolarmente, man mano che c’erano nuove notizie sulla battaglia alle Dodici
Case.
Anche
Kendeas restò nel cortile ad ascoltare per ore.
A
quanto pareva i giovani Bronze avevano superato più della metà delle Case, ed
il ragazzo cominciò a chiedersi se, per essere arrivati così lontano, quei cinque
poco più che adolescenti non fossero davvero protetti da una Divinità.
“Ma è impossibile! La Dea Athena è al
Santuario. Perché dovrebbe proteggere questi invasori stranieri?”.
Era
passato il tramonto, e ad un certo punto Kendeas stava considerando seriamente
l’idea di tornarsene a casa, quando arrivarono di corsa tre soldati.
-Alle
Stanze del Sacerdote! Il Saint di Bronzo di Pegasus è
arrivato alle stanze del Grande Sacerdote!-
“Alle stanze del Sacerdote? Ma no, è impossibile!”.
Kendeas
si risedette sulla panca che faceva da perimetro al cortile perché ormai anche
lui era troppo curioso di sapere come sarebbe andata a finire.
Passarono
altre ore senza nessuna novità, poi finalmente, quasi a mezzanotte, arrivarono
altri soldati.
Kendeas,
il più vicino, fu il primo a sentire i loro discorsi.
-Lo
dicevo io, che quel tipo non mi convinceva!-
-È
assurdo! Aveva ucciso il Gran Sacerdote ed aveva preso il suo posto! E nessuno,
dico, nessuno, se n’è accorto per tredici anni-
“Tredici anni… da
quando Aioros ha tradito. Da quando Saga è scomparso”
pensò
Kendeas.
-Ehi,
voi! Chi è stato? Chi ha ucciso il Sacerdote?-
Gli
gridò subito.
Alle
sue parole tutti si voltarono sconvolti.
-Calma,
ragazzo, calma, facci sedere e racconteremo tutta la storia dall’inizio. E che
storia! Portateci da bere e bevete anche voi perché sarà quasi impossibile
crederci!-
Non
appena i soldati si furono seduti alla tràpeza (NdA la tavola centrale nelle taverne tradizionali greche)
e fu portato loro del vino iniziò la storia più incredibile che Kendeas avesse
mai sentito.
La
ragazzina che veniva dal Giappone, SaoriKido, era veramente la Dea Athena.
Ed Aioros, arciere delle stelle, accusato di averla rapita,
era in realtà colui che l’aveva salvata.
-Salvata
da chi?-
-Voleva
ucciderla ancora neonata-
-Ma
chi?-
-Chi
aveva ucciso anche Il Gran Sacerdote Sion-
-Come?!
Impossibile! Lo avremmo saputo se fosse morto il Gran Sacerdote!-
-È la
verità invece. Ierèas
Sion era stato ucciso poco dopo che Athena si era reincarnata-
-CHI?!-
-Ah,
questa è la parte più difficile da credere! Ve lo ricordate quel Saint che
tutti chiamavamo la reincarnazione di un Dio per quanto era buono e generoso?
Ebbene, è stato lui. L’unico vero traditore è stato Saga dei Gemelli-
Kendeas
si sentì male a quelle parole.
Ora
tutto combaciava!
Il
Sacerdote che lo aveva chiamato per nome, il fatto che gli avesse detto di non
avvicinarsi più a lui.
Saga che
aveva giurato fedeltà alla Dea Athena.
Saga
che lo aveva amato.
Saga
che aveva condannato a morte suo fratello per proteggere il Santuario.
Saga
che parlava con lui di come i Saint avessero un cuore umano.
Saga ìsostheòis (NdA Saffo frammento 31 “simile agli Dèi”) .
Saga un
traditore.
-E
adesso dov’è? Verrà giudicato dalla Dea in persona per il sacrilegio che ha
commesso?-
-È
stato lui a giudicare se stesso. Sulla scalinata che porta al Grande Tempio ha
atteso l’arrivo della Dea e si è tolto la vita davanti a lei-
A quel
punto Kendeas non volle più sentire niente.
Si
divincolò dalla calca asfissiante della folla e corse via, senza una direzione
precisa, solo per allontanarsi da tutto e da tutti.
Quando
un dolore lancinante al fianco lo costrinse a fermarsi si lasciò cadere in
ginocchio, e allora capì dove si trovava perché le sue mani affondavano nella
sabbia bagnata: era sulla spiaggia dove andavano spesso con Saga.
Quello
era uno dei posti dove era tornato molte volte per tenere viva la speranza,
perché era certo che Saga avesse sentito la sua promessa e non lo avrebbe
lasciato solo, e adesso invece era andato tutto in pezzi.
Saga
sapeva che c’era lui ad aspettarlo e lo stesso aveva rinunciato alla sua vita.
Allora
a quel punto non voleva più vivere neanche lui!
Guardò
il mare nella luce pallida della luna.
Forse
affogare non era il modo migliore per morire, ma che gli importava?
L’acqua
gli arrivava già ai fianchi e le onde lo trascinavano lontano dalla riva.
La
risacca lo trascinò sotto e lui pensò “Bene,
tra poco sarà tutto finito”.
Aveva
acqua salata nella bocca e nel naso, ed anche i suoi pensieri cominciavano a
farsi confusi.
“No,
Kendeas! Non morirai anche tu per colpa mia”.
Una
forza immensa, invisibile, lo strappò all’abbraccio mortale del mare.
Kendeas
rotolò sulla sabbia asciutta, sputando acqua.
Prima
di svenire gli sembrò di vedere, inginocchiato accanto a lui, la figura di Saga
che brillava di luce dorata.
***
Per
parecchio tempo Kendeas non uscì di casa.
Saga lo
aveva salvato perché voleva che vivesse, ma era difficile, molto difficile.
A volte
aveva la tentazione di raccontare tutto ai suoi parenti, ma alla fine non lo
faceva mai perché era una cosa troppo personale.
Piuttosto
preferiva darsi malato, cosa che, dopo essersi gettato in mare in piena notte,
non era neanche tanto lontana dalla realtà.
Però
c’era una cosa che lo tormentava: che ne era stato di Saga?
Al
Santuario valeva la regola che i suicidi non potessero essere seppelliti in
terra consacrata?
O
peggio, come aveva detto lo stesso Saga a proposito di suo fratello Kanon, la
punizione dei traditori era rimanere insepolti?
Era un
pensiero che Kendeas non poteva tollerare, e dopo due giorni si decise a
chiedere a suo zio Kostas.
Lui
però non ne sapeva niente.
-Però,
se proprio lo vuoi sapere, chiederò oggi al villaggio, visto che devo andare a
fare delle consegne-
Kendeas
annuì, forse con troppa convinzione, e si ripromise di tornare al lavoro al più
presto perché zio Kostas era ormai anziano e non
poteva più stare dietro al laboratorio e alle consegne come una volta.
Al
tramonto lo zio tornò con la notizia che lui aspettava.
Saga
aveva tradito, ma nonostante questo la Dea Athena, che conosceva il segreto
delle sue due anime e sapeva quanto aveva sofferto, non aveva voluto
condannarlo a vagare tra il mondo dei vivi e quello dei morti e lo aveva fatto
seppellire con gli altri Saint come uno di loro.
Kendeas
tirò un sospiro di sollievo, e dopo il sollievo un’idea cominciò a prendere
forma nella sua mente.
Voleva andare da lui.
Certo,
il cimitero del Santuario non era un posto dove le persone comuni potevano
entrare, il che voleva dire entrare di nascosto e come un ladro, ma non aveva
altra scelta.
Aspettò
una notte di luna piena, in cui la luce gli permetteva sia di trovare la strada
sia di non essere visto.
Aveva
raccolto tre gigli delle sabbie, i fiori che a Saga erano sempre piaciuti.
Il
confine del cimitero era segnato da un recinto di legno d’olivo sacro ad
Athena, e da un sentiero parallelo che correva all’esterno, quello usato dalle
guardie per fare i loro giri di ronda.
Kendeas
aspettò dietro delle rovine che due soldati si fossero allontanati, poi,
cercando di non fare rumore, raggiunse il recinto.
“Perdonami,
parthèneTheà (NdA Dea vergine)”.
Sperava
che la Dea, dall’alto del Santuario, lo vedesse e capisse il perché del suo
gesto.
Scavalcò
il recinto e cominciò a camminare tra le lapidi, guardandosi intorno ogni tanto
perché la prudenza non è mai troppa.
Ad un
certo punto vide una tomba con un incisione che poteva essere quella che
cercava lui, questo gli fece dimenticare la prudenza e lo fece uscire in un
tratto scoperto prima di controllare che non ci fosse nessuno.
-Ehi,
tu! Che ci fai qui!-
Era
stato visto dai soldati!
Si
buttò a terra, sperando di riuscire a svignarsela strisciando al riparo delle
pietre, ma quei tre erano furbi.
Uno di
loro salì su un rialzo del terreno, e da lì era facile vedere tutto, così
indicò esattamente ai suoi compagni la sua posizione.
Frustrato,
Kendeas si alzò in piedi.
Tanto
lo avrebbero preso comunque, almeno non avrebbe fatto la figura del vigliacco.
Due
soldati lo afferrarono per le braccia mentre aspettavano l’arrivo del terzo.
-Non
conosci le leggi, tu? Il perimetro del Santuario è sacro, nessuno può entrare,
e tu sei entrato di notte e senza permesso, come una spia. Questo gesto lo
pagherai con la vita-
I
soldati che lo tenevano cercarono di costringerlo in ginocchio, ma lui
resistette.
Non
voleva essere giustiziato come un criminale perché lui non aveva fatto niente!
Venne
colpito allo stomaco con una lancia, e allora dovette piegarsi per forza,
mentre dietro di lui qualcuno gli tirava i capelli per costringerlo ad esporre
la gola.
Il soldato
gli posò un attimo la punta della lancia sul collo, probabilmente per trovare
il punto migliore dove colpirlo.
Il
metallo freddo sulla pelle gli diede i brividi in tutto il corpo.
“E così che finirà tutto? Dea Athena,
vergine guerriera e Dea della giustizia, aiutami!”.
Pregò
ad occhi chiusi.
-Fermi!-
Intimò
una voce.
La
lancia si allontanò immediatamente dalla gola di Kendeas.
-WanaxMilo-
Kendeas
aprì gli occhi e vide chi era stato a fermare i soldati.
Era un
giovane uomo, forse addirittura più giovane di lui, con lunghi capelli di una
sfumatura blu cobalto simili a come li
aveva portati Saga ed era ricoperto da un’armatura d’oro.
-Cosa
sta succedendo?- chiese.
-Wanax,
quest’uomo è entrato nel perimetro sacro del Santuario di Athena, è un crimine
che va punito con la morte-
Kendeas
sentì su di se lo sguardo del Saint d’oro che lo studiava attentamente.
-C’è
stata abbastanza morte qui al Santuario, adesso basta. Voi potete ritirarvi- riportò
lo sguardo su Kendeas –lasciate che spieghi a me le
sue ragioni-
Appena
le guardie se ne furono andate Kendeas raccolse l’unico dei fiori che si era
salvato, poi si alzò e si pulì alla meglio dalla terra che aveva sulle braccia
e sui vestiti.
Si
vergognava di essere in quelle condizioni davanti ad un Saint d’oro.
-Come
ti chiami?-
-Kendeas, wanax-
-E
perché, Kendeas, hai violato le leggi del Santuario? Cosa cerchi nel cimitero
dei Saint?-
-Cerco
una tomba-
-Mi
pare evidente-
-La
tomba di wanax Saga-
Se
prima c’era stata l’ombra di un sorriso sul volto del Saint dello Scorpione a
sentire il nome di Saga sparì immediatamente.
-Perché?-
Kendeas
pensò che la cosa migliore fosse essere sincero.
Gli
raccontò del loro amore.
-Dunque
tu… lo amavi?-
Gli
chiese il Saint dello Scorpione con un tono di vaga sorpresa o di curiosità
nella voce.
-Sì, wanax-
-E
anche adesso che sai che ha tradito tutti, anche te, hai rischiato la vita per
venire a vedere la sua tomba. Non so se sei molto coraggioso o molto stupido-
-Io lo
amavo- seppe spiegare solo Kendeas.
-Sì, me
lo hai già detto. Lo amavi molto e continui ad amarlo. Sì, so come ci si sente-
wanax Milo lasciò vagare lo sguardo
sulle altre tombe -anche io sono qui per l’uomo che amavo. Camus,
il Saint dell’Acquario. È morto durante la battaglia alle Dodici Case. È morto
per colpa di Saga che ci ha ingannati tutti-
-Mi
dispiace-
Disse
piano Kendeas.
Milo
annuì.
-Ragazzo,
non posso condividere il tuo dolore per la morte di Saga, però posso
comprenderlo. Per stanotte hai il mio permesso di restare qui. Vai da lui
adesso-
Prima
che Kendeas avesse potuto ringraziarlo il Saint sparì, veloce come la luce,
come Saga quando scappava via all’alba per non rischiare di incorrere nelle ire
di nonna Ifighéneia.
Per
trovare la tomba gli ci volle un po’ di tempo.
Le
lapidi del cimitero dei Saint erano tutte uguali sotto la luce argentata della
luna, blocchi di marmo uno identico all’altro con i nomi incisi sopra con tagli
netti.
Ogni
volta che Kendeas vedeva un nome che cominciava con un sigma veniva
attraversato da una scossa e subito si buttava in ginocchio a controllare, ma
non era mai quella che cercava lui.
Seleukos.
Soter.
Sostratos.
Alla
fine arrivò davanti ad una lapide con il nome inciso da poco, si capiva dai
graffi ancora scabri e non levigati dalla pioggia o dal vento che formavano le
lettere.
SAGA.
Kendeas
si inginocchiò e posò il giglio delle sabbie sulla lapide.
Al
chiaro di luna il fiore bianco sembrava avere una luce propria, era bello,
nella sua semplicità e purezza.
Come
era sempre stato Saga.
“Kendeas”.
Trasalì
quando sentì il suo nome mormorato da un soffio.
“Kendeas…ghlikà… chiudi gli occhi”.
Aveva
la pelle d’oca ed essere in un cimitero in mezzo alla notte poteva fare
impressione, ma quella voce Kendeas la conosceva troppo bene e fece come gli
era stato detto.
Immediatamente
sentì sulla pelle un tocco familiare.
“Saga, sei tu?”.
Gli
rispose un sospiro.
Non
sapeva che dire, ma d’altra parte non ce n’era bisogno.
Si
sentiva come se stesse davvero stringendo Saga tra le braccia, lo sentiva
fragile e sentiva la sua paura.
Provò
un moto di tenerezza.
Saga ìsostheòis.
Saga
tanto bisognoso di conforto.
“Kendeas, tu non mi odi, non è vero?”.
“No, no, Saga, non ti odio”.
Lo
sentì piangere e sentì un ondata di sollievo.
A
quanto pareva i fantasmi avevano le stesse emozioni degli umani.
Lo
strinse forte, o almeno ebbe l’impressione di stringerlo e gli sembrava di
sentire sul collo la carezza del lunghi capelli turchese di Saga.
C’era
una profonda sensazione di pace, ma Kendeas non sapeva se era lui a provarla o
se era Saga.
“Kendeas…ghlikà… grazie per essere venuto da me. Grazie per amarmi
ancora”.
Si
sentiva stranamente pesante, come se stesse per addormentarsi.
Ricordò
vagamente che era in un cimitero e che forse avrebbe dovuto avere paura ma non
ne aveva.
Si
stava addormentando ancora una volta insieme a Saga, perché avrebbe dovuto
avere paura?
***
Si
svegliò perché aveva freddo.
L’alba
cominciava appena a rischiarare il cielo ad occidente e Venere si vedeva ancora
bene.
Kendeas
dovette fare uno sforzo per ricordare dove era, e perché era disteso su
qualcosa di freddo invece che sul suo letto.
Il cimitero.
Wanax Milo che gli dava il permesso di
restare.
La tomba di Saga.
Il fantasma di Saga.
O forse
la sua anima che era tornata per dirgli addio.
***
Pochi
mesi dopo che Kendeas era andato al cimitero arrivarono altre notizie dal
Santuario, e come al solito erano i soldati a portare le ultime novità alla
taverna del villaggio in cambio di qualcosa da bere.
Il Dio Poseidon che scuote la terra avrebbe voluto sommergere il
mondo con un nuovo diluvio universale per purificare la terra dagli uomini
malvagi.
Athena,
pur di salvare i giusti, si era offerta di ricevere su di se le acque che
dovevano essere riversate sulla terra per dare il tempo ai Bronze Saint di
sconfiggere Poseidon, e c’erano state altre battaglie
al palazzo del dio azzurro sul fondo del Mediterraneo, stavolta contro i
Generali dei mari, wanakesthalàsson,
che erano forti almeno quanto i Saint d’oro.
-E
sapete qual è la cosa più assurda?-aveva detto il soldato che raccontava la
storia - Pare che uno dei Generali dei mari di Poseidon
fosse il fratello gemello di Saga dei Gemelli! Non c’è che dire, erano uguali
in tutto quei due! Due traditori empi e spergiuri-
-Non parlare
così di wanax Saga!-
Kendeas
era l’unico ad attribuire ancoraa Saga
il suo titolo, tutti gli altri si riferivano a lui come al traditore o al
massimo come “Saga di Gemini” quasi per paura che il suo fantasma potesse
arrabbiarsi e cominciare a perseguitarli se gli avessero mancato di rispetto.
-Che
hai da prendertela tanto, ragazzo? Non era altro che questo-
-Smettila!-
Per la
prima volta Kendeas si era trovato coinvolto in una rissa, e cosa ancora più
inaudita era stato lui a dare il primo pugno.
Fortunatamente
furono separati dopo solo pochi colpi, ma Kendeas dovette essere comunque
riportato a casa a braccia.
Nonna Ifighéneia, a vederselo riportare di notte tutto pesto,
aveva scosso la testa e sospirato.
Gli
aveva medicato i graffi in silenzio e messo del ghiaccio sui lividi, però prima
di uscire dalla sua stanza gli aveva detto-
–Ragazzo mio, tu sei
sempre stato una persona per bene, cerca di non diventare proprio ora uno di
quei tipacci che vanno in giro a piantare grane. Io e tuo zio Kostas siamo anziani ormai, cerca di non darci questa
preoccupazione-
“Grazie tante per la ramanzina, nonna” pensò
Kendeas.
Fantastico,
così oltre che il dolore di sentire sempre parlare male di Saga doveva
sopportare anche i suoi anziani parenti che gli raccomandavano di “fare il
bravo”.
Ma non
era colpa sua, semplicemente non poteva sopportare che di Saga tutti
ricordassero il tradimento e mai una parola su quanto era anche stato buono.
A
quanto pare solo lui ricordava come brillavano gli occhi di Saga blu o forse verdi quando sorrideva, o il
suo modo di aiutare le persone anche solo con una parola di conforto.
Per un
paio di giorni Kendeas non uscì di casa, limitandosi a svolgere il lavoro del
laboratorio e aspettando che le contusioni guarissero, poi, quando si fu
abbastanza ripreso, decise che voleva tornare da Saga al cimitero dei Saint.
Stava
rischiando di nuovo e lo sapeva, non poteva sperare di incontrare ancora un Gold Saint comprensivo come wanax Milo a dargli il permesso di restare, ma sentiva che doveva
tornare.
Come la
prima volta aspettò una notte di luna piena e senza nuvole, raccolse tre gigli
delle spiagge, e, quando fu sicuro che zio Kostas e
nonna Ifighéneia dormissero, sgusciò fuori di casa
per cominciare la salita verso il cimitero dei Saint.
Stavolta
gli andò meglio e non incontrò nessuno quando scavalcò il recinto inviolabile
del cimitero.
Kendeas
stava per raggiungere la zona dove erano sepolti i Saint morti durante la
battaglia delle dodici Case quando si sentì all’improvviso oppresso da qualcosa
di invisibile.
Si
appiattì in un angolo e rimase schiacciato tra le rovine di una colonna ed un
gruppo di lapidi.
Vide
una figura alta e avvolta da un mantello nero, e tuttavia non sapeva dire se
era fatta di materia reale o di un’oscurità più densa delle tenebre stesse.
Più che
camminare sembrava scivolare sul terreno.
La vide
fermarsi davanti ad una tomba e stendere un braccio.
La
terra prese a vibrare sotto le ginocchia di Kendeas, e poco dopo la lapide si
spezzò al centro con uno schianto secco.
Le due
metà caddero di lato.
“Chi è questa creatura? Perché è venuta a
profanare le tombe dei Saint di Athena?”.
Per un
po’ non successe nulla, o almeno nulla di visibile, ma dall’interno del
sepolcro proveniva un rumore tutt’altro che rassicurante.
Era
come un rantolo.
La cosa
che c’era nella tomba respirava.
Kendeas
dovette mordersi la mano per non urlare quando vide emergere dalla terra la
figura di un uomo.
“Impossibile! Solo gli dei possono fare
queste cose. O i demoni”.
Uno dei
Saint di Athena morto e sepolto era appena tornato in vita sotto i suoi occhi.
Kendeas
non aveva mai creduto veramente a storie di zombie e fantasmi, ma che altra
spiegazione poteva esserci?
La
figura fatta di ombre fece un cenno di assenso, come se fosse molto soddisfatto
della sua opera, poi passò ad un’altra tomba.
Anche
lì spezzò la lapide e rimase ad aspettare finché un altro Saint non emerse
dalla terra.
La
scena si ripeté altre quattro volte, ed altri quattro esseri uscirono
strisciando dai loro sepolcri, strappando i sudari come macabre crisalidi.
Dai
loro tremiti e dai respiri raschianti che riempivano l’aria sembrava che
tornare in vita fosse una cosa maledettamente dolorosa.
-Alzatevi-
Ordinò
la figura nera.
Uno ad
uno, ancora malfermi sulle gambe, riuscirono a mettersi in piedi, e la figura
annuì di nuovo.
Kendeas
li vedeva in controluce e non riconosceva i volti, vedeva solo la pelle nuda ed
innaturalmente pallida dove era rischiarata dalla luna, eppure una di quelle
sagome lo fece sobbalzare.
“Quelle tombe sono nella zona dove sono
sepolti anche i Gold Saint morti durante la battaglia
alle dodici Case… ma se fosse così allora uno di
quegli spettri potrebbe essere Saga”.
Saga
tornato in vita.
Il
pensiero, invece che renderlo felice, lo riempiva di orrore perché a pochi
mortali era stato concesso di varcare a ritroso le soglie dell’Ade, e quei
pochi avevano sempre finito per pentirsene.
Intanto
la figura nera in mezzo agli spettri aveva steso le braccia davanti a se, ad
evocare tentacoli di oscurità viva.
Li
indirizzò verso i corpi che aveva appena riportato in vita.
Qualcuno
gridò trovandosi coperto di quella materia, ma l’oscurità non li lasciò, continuò
a contorcersi a lungo in strani frattali prima di prendere una forma
definitiva: da massa amorfa e all’apparenza viscida, la materia aveva preso
l’aspetto solido e lucente di un metallo o forse di un cristallo.
Era di
un colore scuro difficile da definire, non trasparente e non opaca, e sotto la luna
mandava riflessi porpora.
Kendeas
notò che sembrava aver formato delle corazze, e la forma di una di quelle gli
era familiare: di spalle, somigliava in tutto e per tutto all’armatura dei
Gemelli che indossava Saga.
-Ricordate
il nostro patto, voi che siete stati Saint della Dea Athena-
Disse
di nuovo la figura, poi, senza aspettare una risposta, scomparve, ed insieme ad
essa scomparve anche la sensazione di oppressione che aveva attanagliato
Kendeas fino a quel momento.
Anche i
sei uomini no, spettri, sembrarono
tirare un sospiro di sollievo.
-Adesso,
ricordate qual è la nostra missione-
Disse
il più alto di loro, quello che gli altri sembravano considerare come il loro
comandante.
Prese
un respiro profondo ed esclamò.
-Al
Santuario di Athena!-
-Al
Santuario di Athena-
Ripeterono
gli altri.
Kendeas
trasalì: in mezzo a quelle voci credeva di aver riconosciuto il timbro della
voce di Saga.
Quello
che aveva parlato per primo si voltò con decisione verso la montagna del
Santuario, in cima a cui la Sagoma del Grande Tempio si stagliava allo stesso
tempo cupa e maestosa, e partì di corsa.
Gli
altri lo seguirono uno alla volta, ma quello con l’armatura simile a quella dei
Gemelli sembrava esitare.
Si
guardava intorno, come se avesse percepito qualcosa e non volesse andarsene.
-Saga!-
Lo
richiamò uno dei compagni.
A
quell’ordine lui si voltò e Kendeas lo poté vedere bene in faccia.
Non
c’erano dubbi, quello spettro tornato dal mondo dei morti era proprio Saga.
-Saga!-
Gridò
anche Kendeas balzando fuori dal suo nascondiglio.
Non gli
importava cosa fosse, era Saga, e lui lo aveva aspettato per tredici anni, non
avrebbe perso quell’occasione!
Lo
spettro si voltò verso di lui, con un’espressione prima di sorpresa, poi di
dolore.
Kendeas
si sforzò di correre, inciampando nelle altre tombe, per raggiungerlo almeno un
attimo.
Saga
tese la mano verso di lui.
“Aspettami! Ti prego, aspettami solo un
altro momento, Saga!”.
Un
attimo ancora e sarebbero stati di nuovo insieme, e gli occhi di Saga blu o forse verdi erano pieni allo
stesso tempo di dolore e di speranza.
Le loro
mani stavano per sfiorarsi.
-Saga!-
L’ordine
echeggiò di nuovo, imperioso.
Saga
trasalì, poi scosse la testa, ritirò la mano e corse via, sicuramente molto più
veloce di come avrebbe mai potuto fare un essere umano normale.
-No!
Saga!-
Gridò
Kendeas.
Maledizione,
di nuovo!
Saga lo
stava abbandonando di nuovo, e stavolta senza nessuna spiegazione.
Le sei
figure scomparvero rapide nella notte.
-Dannazione!-
Imprecò
Kendeas.
Nel
cimitero restava solo lui, in mezzo a sei lapidi spezzate.
Nonostante
il dolore e la frustrazione che provava in quel momento però riuscì a formulare
confusamente che forse quello a cui aveva assistito era un attacco al Santuario
e che avrebbe dovuto avvertire qualcuno.
Certo,
avrebbe dovuto dire che si trovava senza permesso in terra sacra, e questo,
considerato che era la seconda volta che succedeva, probabilmente gli sarebbe
costato la vita.
Decise
che non gli importava.
***
Poco
dopo, nel cimitero dei Saint, wanaxaShaina correva veloce con
una torcia in mano, seguita da soldati che portavano anfore piene di fuoco
greco.
Se
quello che aveva detto quel ragazzo era vero allora non c’era altro modo per
salvare il Santuario.
Si
fermò davanti ai resti di alcune lapidi spezzate.
Non
solo Gold, ma anche Silver Saint erano stati
resuscitati, e loro non potevano permettere che altri spettri si unissero ai
loro nemici.
NdMako: Scusate,
scusate, scusate >//< sono orribilmente lenta a scrivere!
Se non avessi finito questo capitolo entro oggi Rory mi avrebbe decapitata e poi avrebbe usato il mio
cranio come decorazione di Halloween fuori stagione… o
come suppellettile vichinga… aiuto °w°
Spero che sia valsa la pena di aspettare.
*Rory nasconde dietro la schiena
la sega del tizio di Non aprite quella porta* Ma state tranquilli, prima finiremo la storia e
poi prenderò provvedimenti! ^^
Calhin: Heilà!
Eh, sì, è successo, Saga si era stufato di parteggiare per la Dea-bomboniera ed ha deciso di metter su una serie di
calendari nudisti…
Povero povero Kendeas, sfigatello, non solo ha perso il fidanzato, ha pure
rischiato di venire strozzato da Kanon xD
Come ha detto Mako, speriamo sia valsa
la pena aspettare!
Un bacio J
E un grazie a chi ha inserito la storia in Preferite, seguite o storie
da ricordare *-*
“What if everything
you always took for granted, was gone?
And everything you ever thought was right, was wrong?
And what if everyone you ever loved was torn, from the pages of your life?
Would you reach out for tomorrow, or try to turn back time?
Da
giorni nessuno aveva notizie né di Athena né dei Saint che l’avevano seguita
nel regno di Hades.
Al
Santuario erano rimaste solo le due sacerdotesse guerriere, cinque Bronze
Saints e pochi soldati, e da una delle due sacerdotesse, wanaxa Shaina, Kendeas aveva
saputo che non sarebbe stato punito per la sua infrazione.
Era
stato per premiare la sua onestà, perché li aveva avvertiti dell’esistenza
degli Specternonostante sapesse di rischiare la pena
di morte.
Kendeas
aveva l’impressione che wanaxa
Shaina fosse in realtà una persona molto più sensibile di quanto sembrasse,
perché era stata ad ascoltarlo con attenzione mentre lui le raccontava del suo
rapporto con Saga, e gli aveva dato la sua parola di Saint che nessun’altro
avrebbe saputo, neanche wanaxa
Marin.
Le due
donne guerriere facevano del loro meglio per non far precipitare tutti gli
altri nel caos: wanaxa
Marin era la più anziana ed era toccato a lei parlare nella grande arena del
Santuario.
Aveva
detto che non importava se Athena e tutti gli altri sarebbero tornati dopo
pochi mesi, giorni o anni o se non fossero tornati affatto e loro avessero
dovuto aspettare altri duecentocinquanta anni per rivedere ancora la partheneTheà; quello
era il Santuario di Athena, era e restava un luogo sacro per chi credeva nella
giustizia anche se non erano presenti né la Dea né il Gran Sacerdote, per
questo chi decideva di restare doveva impegnarsi al massimo per tenere vivi gli
ideali che quel luogo rappresentava.
Alcuni
dei soldati avevano lasciato le armi ed erano andati via.
Perché
avrebbero dovuto restare in un luogo abbandonato per una Dea che probabilmente non
sarebbe tornata prima di qualche centinaio di anni?
Wanaxa
Shaina, disgustata e arrabbiata, li aveva accusati di anandrèia, vigliaccheria, wanaxa Marin li
aveva semplicemente guardati andare via perché dei vigliacchi era meglio
liberarsi subito.
Prima
di andare via dal Santuario, però, Kendeas aveva voluto parlare con wanaxa Marin.
-Signora,
voi credete che la Dea Athena tornerà?-
Sentì
su di sé lo sguardo fisso della maschera -L’ho già detto: lei è una Dea, ma Hades è un Dio più antico e nessun mortale può neanche immaginare
come andrà a finire una battaglia tra loro due. L’unica cosa che possiamo fare
è sperare-
-E gli
altri? I Saint che l’hanno seguita?-
-Nessuno
può dirlo. Ma è difficile che i mortali possano lasciare il mondo dei morti,
dopo che vi sono entrati-
-Ma
possiamo sperare, non è vero?- insistette lui.
-Dobbiamo sperare. Senza la speranza la
nostra vita sarebbe polvere-
Poi wanaxa Marin lo
aveva accompagnato fuori dai confini del Santuario.
“Dobbiamo sperare. Io continuerò a sperare
nel ritorno di Saga”.
***
Kendeas
era andato a letto tardi quella sera e si sentiva stranamente irrequieto.
Senza
una valida ragione il suo sguardo correva in continuazione al rettangolo della
finestra.
Non
l’aveva più aperta la sera da quasi cinque mesi, da quando si era saputo del
suicidio di Saga, perché di solito lui lasciava la finestra aperta in modo che
il suo Cavaliere entrasse e uscisse a piacimento, e lasciarla aperta sapendo
che lui non sarebbe venuto mai più era troppo doloroso.
Però
quella sera sentiva che avrebbe dovuto aprirla.
Sbuffò
arrabbiato con sé stesso.
“Che fai, adesso cominci a dare di matto?”si disse “Saga
non tornerà stasera, ed aprire la finestra serve solo ad autoingannarti.
Sei uno stupido!”.
Passò
quasi un ora e lui ancora non era riuscito a prendere sonno.
“E va bene! Fai questa idiozia!”.
Si alzò
di scatto dal letto e spalancò la persiana.
L’aria
pungente della notte di febbraio gli passò sul viso.
Ad
oriente la grande costellazione di Orione stava per tramontare, seguita da
Sirio brillante e dalle stelle del Toro, e poco più ad est di Aldebaran si distinguevano Kastor
e Polydeukes dei Gemelli.
Kendeas
rimase a guardarle finché non ebbe troppo freddo, allora si ritirò nella stanza
ma lasciò la finestra appena accostata.
Come se
da un momento all’altro avesse dovuto arrivare Saga.
Tornò
sotto le coperte e si lasciò andare a quella strana sensazione di attesa e di
fiducia perché in fondo, anche se era solo uno scherzo della sua mente vicina
al collasso, non aveva nulla da perdere ormai.
Aveva
la certezza che avrebbe rivisto Saga.
Era già
successo, no? Anche il Saint del Sagittario era apparso più volte al giovane
Saint di Pegasus, perché per Saga avrebbe dovuto essere impossibile?
Più ci
pensava e più si convinceva, e alla fine si addormentò con un accenno di
sorriso che gli incurvava le labbra.
Avvertì
una presenza familiare al suo fianco, qualcosa di caldo, protettivo e dai
riflessi d’oro.
L’unica
cosa che era in grado di farlo piangere di gioia.
“Saga!”.
“Shh… sono qui, ghlikà”.
“È solo un sogno. Ma io non mi voglio
svegliare! Non voglio che finisca”.
“Non finirà”.
These open arms will
wait for you
These open arms can pull us through
Between what's left and left to do
These open arms
These open arms
These open arms will wait for you
Sentiva
le dita di Saga che gli pettinavano i capelli.
Il suo
cosmo era di luce e purezza, un oceano di tranquillità in cui dimenticare il
dolore di quegli anni.
“Sono tornato da te, anche se solo lo
spazio di un sogno. Dovevo dirtelo”.
“Cosa?”.
“In tutto questo tempo hai dimostrato molto
coraggio. Non perdere la speranza adesso, Kendeas. Abbi fede nella Dea Athena”.
“Lei può…? Saga, ma dove siete tutti? Dove
sei tu?”.
“Io sono qui con te, ghlikà”.
Poi
piombò nell’incoscienza completa.
Da
quella notte Kendeas lasciò sempre la finestra aperta ed ogni notte sentiva la
presenza di Saga accanto a sé.
Saga lo
accarezzava e gli sussurrava di avere fiducia.
Manca poco, molto poco.
Fiducia.
Athena.
E ghlaukòpistheàAthenà.
Pròmachosparténe.
(NdA La Dea dagli
occhi chiari. La vergine che combatte in prima linea)
Una
notte Kendeas si svegliò di soprassalto.
Il suo
cuore batteva forte senza che lui ne capisse il motivo, solo aveva la netta
impressione che stesse per succedere qualcosa, e che era qualcosa di
estremamente importante.
Saltò
giù dal letto e si vestì in fretta.
Mentre
percorreva il corridoio si imbatté nella nonna, in vestaglia e ciabatte.
-Yayà! Lo senti anche tu?-
-Sì,
figliolo-
Uscirono
in cortile e poco dopo anche zio Kostas li raggiunse, e non erano gli unici:
anche nelle altre case c’erano luci accese e nei cortili si vedevano lampade
che ondeggiavano.
Tutti
gli abitanti di Rodrio stavano aspettando, e tutti
guardavano nella stessa direzione: il Santuario.
Nell’aria
c’era una strana elettricità e le stelle sembravano palpitare contro la volta
scura del cielo.
Pallade unigenita, augusta prole del grande
Zeus, Divina, Dea beata, che susciti la
guerra, dall'animo forte, indicibile, di gran nome, che abiti negli
antri, che governi le alture elevate dei gioghi montani e i monti
ombrosi, e rallegri il tuo cuore nelle
valli, godi delle armi, con le follie sconvolgi le
anime dei mortali
Un
astro attraversò il cielo, una sfera luminosa come il sole impossibile da
guardare direttamente senza restarne abbagliati.
Fanciulla che estenui, dall'animo che incute
terrore, che hai ucciso la Gorgone, che
fuggi i talami, madre felicissima delle arti,
eccitatrice, follia per malvagi, per buoni
saggezza; sei maschio e femmina,
generatrice di guerra, astuzia, dalle forme svariate,
dracena, invasata, splendidamente onorata,
distruttrice dei Giganti Flegrei, guidatrice di cavalli, Tritogenia, che sciogli dai mali,
Ci fu
un lampo accecante dietro la collina che nascondeva il Santuario, un fulmine o
forse una cometa caduta sulla terra, e poi un boato tremendo come se la terra
fosse stata sul punto di spaccarsi.
Demone apportatore di vittoria, giorno e
notte, sempre, nelle ore piccole
ascolta me che prego, dà la Pace molto felice e
sazietà e Salute nelle stagioni felici
Glaucopide,
inventrice delle arti, regina molto pregata.
(Inno ad Athena)
Kendeas
rimase a fissare il bagliore d’oro che riempiva il cielo a nord.
Gli
tornò in mente tutto ciò che Saga gli diceva a proposito di non perdere la
speranza e di avere fede in Athena, e allora ne ebbe la certezza.
-È la Dea
Athena. È tornata-
Mormorò
piano.
Questo
voleva dire che anche per i Saint che l’avevano seguita nell’Ade c’era
speranza.
***
Era
vero!
Le
prime notizie arrivarono più di una settimana dopo.
Athena,
reincarnata nella quindicenne Saori Kido, era riuscita a tornare dal mondo dei
morti.
Era
rimasta incosciente per molto tempo, accudita dalle due sacerdotesse, ma era
riuscita a svegliarsi, e adesso, si diceva, stava pregando per i suoi Saint.
Hades era un
Dio e non avrebbe mai potuto essere ucciso, tuttavia il suo corpo mortale,
incorrotto fin dai tempi del mito, avrebbe potuto essere seriamente
danneggiato, e questa era la più grande paura del signore dell’oltretomba.
Athena,
rivestita della sua panoplia splendente, aveva ormai vinto e gli aveva proposto
un patto: lasciare intatto quel corpo a cui teneva tanto in cambio di poter
portare via le anime dei suoi Saint.
Il
signore dei morti aveva accettato, ma quanto al come avrebbe fatto a portarle
via dal Cocito avrebbe dovuto pensarci lei, per
questo la Dea pregava, per sciogliere con il suo cosmo caldo la morsa di
ghiaccio attorno a loro.
Uno per
volta e con l’aiuto della luna Artemis, i Saint
avrebbero potuto essere strappati all’Ade quando il sole fosse entrato nella
costellazione della loro data di nascita, quando la prima notte di luna
crescente avrebbe aiutato Athena a farli rinascere.
Il
primo ad essere risvegliato dalla morte fu il Gold Saint dell’Ariete ad Aprile,
poi all’inizio di Maggio Aldebaran della
costellazione del Toro, simile ad Aiace Telamonio.
Man
mano che il momento di Saga si avvicinava Kendeas diventava sempre più
irrequieto.
La
presenza di Saga la notte era qualcosa di reale che continuava a sussurrare
solo per lui, erano separati solo da un velo che tutta via era impossibile da
squarciare prima del tempo.
Un
mattino, quando si svegliò, Kendeas sentì una presenza nella stanza, e non era
la solita impressione di avere vicino l’anima di Saga, era una persona reale!
Kendeas
rischiò di cadere dal letto quando si accorse che la persona in camera sua era
il Saint dell’Ofiuoco.
-Wanaxa!-
Era
imbarazzante avere un Saint donna nella propria stanza a quell’ora del mattino!
-Tsk! Finalmente ti sei svegliato! Ho un messaggio per te.
Da parte di Athena-
“Athena!”.
-Ascoltami
bene. Il ventisette maggio sarà la prima luna nuova da quando il sole è entrato
nel segno dei Gemelli. Sai cosa significa?-
-Saga!-
esclamò subito Kendeas.
-Esatto.
Hai il permesso di venire se vorrai. Al tramonto, fatti trovare al témenos(NdA dove comincia
il territorio del Santuario). Porta con te questa come segno che puoi
entrare-
Shaina
gli lanciò qualcosa di piccolo e lucente.
Kendeas
lo afferrò al volo e vide che era una moneta d’argento antica, che su una
faccia aveva una civetta e sull’altra un ramo di ulivo.
I
simboli della Dea.
Quando
alzò gli occhi la sacerdotessa era già sparita.
Man
mano che il giorno stabilito si avvicinava Kendeas era sempre più irrequieto:
non riusciva a concentrarsi su niente che non fosse il pensiero “Saga sta per
tornare”.
La
notte lo sentiva più vicino che mai e quando si svegliava si sorprendeva di non
trovarlo davvero accanto a sé.
Infine
arrivò il ventidue maggio.
La notte
avrebbe dovuto essere quella, la prima luna nuova da quando il sole era entrato
nella costellazione dei Gemelli e lui, con il permesso della dea Athena in
persona, poteva essere presente.
Arrivò
al tramonto al recinto sacro come gli era stato detto e lì trovò Shaina dell’Ofiuco ad aspettarlo.
Kendeas
ebbe un attimo di vertigine mentre varcava il confine.
Stava
davvero per vedere i templi dei Saint d’oro di cui aveva sentito le leggende
fin da quando era un bambino! Lui! Il ragazzo che lavorava l’argilla!
Lei gli
fece cenno di seguirlo in silenzio, e solo quando arrivarono davanti al primo
tempio gli rivolse la parola.
Did you really love
the ones you said you loved, thats right?
And did you make a damn of difference in somebody elses
life?
Tell me, is there someone you can count on when you need a friend? Can
yousay I need a friend?
-Devi
amarlo davvero tanto-
-Con
tutta la mia anima-
Rispose
lui senza la minima esitazione.
Attraversarono
le prime due case dello Zodiaco, e Kendeas teneva ben stretta nella mano destra
la moneta di Athena.
-Adesso
tu resterai qui fuori con i soldati. Io e tutti gli altri Saint, anche quelli
di Bronzo, dobbiamo aiutare Athena con il nostro cosmo perché stavolta deve
richiamare due anime. Sarà molto faticoso per lei-
Kendeas
annuì.
Anche
fuori sulla scalinata andava bene, qualsiasi posto purché fosse più vicino
possibile a Saga.
Capiva
che l’interno del terzo tempio, dove splendeva il cosmo di Athena e dei Saint,
non era posto per lui, perché lui non aveva un cosmo che potesse aiutare il suo
Cavaliere, non aveva niente tranne speranza e amore.
L’unica
cosa che poteva fare era pregare, e pregò come non aveva mai fatto nella sua
vita.
Pregò
anche per il fratello di Saga, perché anche lui doveva avere sofferto.
Kendeas
lo sentì subito.
Un
dolore atroce al petto, come se qualcosa gli stesse scardinando le costole, e l’aria
che respirava era come fuoco e cenere che gli bruciava i polmoni.
Ricordò
che quando aveva visto gli spettri al cimitero gli era sembrato che tornare in
vita fosse doloroso.
“Sto provando quello che prova lui. Fa
male!”.
Cadde
sulle ginocchia e poi a terra.
Il
cuore palpitava impazzito sotto lo sterno e contro il marmo del pavimento, gli
sembrava che stesse per scoppiare.
“Non ti arrendere, Saga! Ce la faremo
insieme. Non ti arrendere, Saint dei Gemelli!”.
E
poi all’improvviso tutto cessò.
Il suo
respiro non bruciava più ed il cuore stava tornando a battere normalmente.
Kendeas
si sentì solo immensamente stanco, mentre boccheggiava disteso sulla gradinata
di pietra, a mala pena cosciente delle persone chine su di lui.
“È tornato”.
Ebbe
solo il tempo di pensare, poi tutto diventò nero.
Quando
si svegliò era nella sua stanza e si sentiva debole; qualcuno doveva averlo
riportato a casa, probabilmente una delle sacerdotesse.
Però
c’era qualcosa che non andava: di solito, la mattina, la presenza di Saga era
ancora chiara accanto a lui, quella mattina invece Kendeas provava uno strano
senso di freddo e di vuoto.
“È tornato in vita solo da poche ore” Cercò
di convincersi “Anche Athena che è una Dea
ha avuto bisogno di tempo. Devo solo aspettare”.
Ma per
più di una settimana, oltre l’inizio di giugno, aspettò invano.
***
Kendeas
stava lavorando come al solito, quando si accorse dell’ombra di una persona che
sembrava disegnata a terra nel rettangolo della finestra.
Si girò
con tutta l’intenzione di dirne quattro al maleducato che invece di bussare
alla porta di casa o almeno di annunciarsi in qualche modo restava lì a
fissarlo, solo che appena vide chi era rimase senza fiato.
“Saga!”.
:-Sa-…-:
Ma la
persona in controluce lo fermò con un gesto della mano :-Aspetta, prima che tu
mi scambi di nuovo per mio fratello e faccia qualcosa di molto imbarazzante, ti
avviso che io sono Kanon-:
Non era Saga.
La delusione
gli fece precipitare lo stomaco sottoterra.
:-Tu
sei Kendeas, giusto? Sei il ragazzo che Saga aveva scelto come compagno-:
Kendeas
si mosse a disagio: era imbarazzante sentirlo dire senza un minimo di
delicatezza.
Ma
d’altra parte sapeva che non aveva niente di cui vergognarsi, quindi rispose a
testa alta.
:-Sì,
sono io. Perché sei qui?-:
:-Perché
ho bisogno di te. O meglio, Saga ha bisogno di te. Mio fratello è al Santuario,
è vivo, ma è come se l’esistenza che gli è stata restituita fosse un peso-:
In quel
momento Kendeas desiderò di potersi muovere alla velocità della luce come i
Gold Saint per poter correre subito da lui.
:-Penso
che tu potresti aiutarlo. Sai, credo che lui pensi molto a te, e so che anche
tu pensi a lui-:
:-Come
lo sai?-:
:-Perché
voi patetici romantici sentimentali siete prevedibili-:
Kendeas
si sentì punto per la definizione “romantico sentimentale”, ma in quel momento
il suo pensiero principale era Saga.
:-Come
posso incontrarlo? Io non posso entrare al Santuario e da quanto dici tu, lui
non vuole uscirne-:
Kanon
sospirò, appoggiato con i gomiti al davanzale, e fece una smorfia esasperata :-Non
hai torto. A quanto pare dovrò pensarci io… Uff! Odio stare in mezzo. Facciamo
così: se mi dai il permesso te lo porto qui. Tienilo lontano dal Santuario,
fagli vivere per un po’ una vita normale. Ha bisogno per un po’ di tempo di
dimenticare di essere stato un Saint, capisci?-:
Kendeas
riuscì appena ad articolare qualcosa che somigliava ad un “sì”.
Stava
succedendo tutto troppo in fretta!
Era
stato quattordici anni senza Saga, lo aveva visto tornare in vita come spettro,
scomparire di nuovo nel giro di una notte e poi lo aveva sentito tornare in
vita, e adesso aveva la possibilità di averlo di nuovo vicino.
:-Visto,
che ti dicevo? Hai la stessa espressione poco intelligente che ha fatto mio
fratello quando mi è capitato di accennargli a te. Perfetto! Dammi solo il
tempo di tornare al Santuario e andare a prenderlo. Ah, a proposito, credo di
averti quasi strangolato un paio di anni fa. Spero che tu non te la sia presa
troppo-:
E sparì
come ormai era diventata abitudine.
Kendeas
non perse tempo: andò difilato a parlare con nonna Ifighéneia: se dovevano
avere un ospite era meglio informare per prima la padrona di casa!
La trovò
in cucina impegnata a lavare le verdure.
-Yayà, ti devo dire una cosa importante-
Si
sentiva imbarazzato e speranzoso, praticamente un bambino che chiedeva il
permesso di ospitare un amichetto per un paio di giorni, non un uomo di quasi
trent’anni che stava per accogliere in casa il Saint che aveva tradito.
-Ti
ascolto, dai, parla-
-Ah,
sì. Nonna, io ho preso un impegno. Sag-… il Saint dei
Gemelli è tornato in vita, ma…- si fermò, incerto su come spiegare –Lui… per
quello che ha fatto… è difficile per lui stare al Santuario. Lui ha bisogno di
stare per un po’ in un posto diverso e di vivere una vita normale,ha bisogno di una casa, e di una famiglia. Ha
bisogno trovare un po’ di pace ed ha bisogno di… di…-
-Di
qualcuno che gli voglia bene?-
Suggerì
la nonna con il suo solito sorriso benevolo.
Kendeas
fece un segno di assenso.
Evitò
di parlare perché era certo che la sua voce lo avrebbe tradito se a proposito
di Saga avesse detto qualcosa di banale e riduttivo come “volergli bene”.
-Allora,
nonna, potrà stare con noi, non è vero?-
-Oh, io
non ho niente in contrario, e neanche Kostas. Non dopo che gli avrò parlato-
Si
trovò a sorridere come un idiota, e si diede anche un gran pizzico sul braccio
sotto il tavolo per assicurarsi che non fosse tutto un sogno -Bene, allora…
vado a prendere la brandina per metterla in camera mia-
Con sua
enorme sorpresa la nonna cominciò a ridacchiare -Non vedo perché mai vi
dovrebbe servire un altro letto-
Il tono
era stato fin troppo allusivo, e Kendeas non sapeva che rispondere, in compenso
si sentì il viso in fiamme -Hem… ecco…-
-Santo
cielo, ragazzo mio, sono vecchia, non cretina! Pensavi davvero che non me ne
sarei accorta?-
A quel
punto Kendeas scappò via, imbarazzato all’inverosimile, con la voce della nonna
che gli gridava alle spalle –Comunque può restare lo stesso-
Si
barricò in camera sua e si buttò sul letto.
Nella
sua testa rimbalzavano due pensieri: il primo era “Saga. Tra poco” e l’altro era “Nonna
sapeva tutto!”.
Non era
ancora riuscito a capire quale dei due lo mettesse più in confusione quando
sentì dei colpi contro la finestra.
Si
precipitò ad aprire.
Era
Kanon, e tra le braccia reggeva Saga svenuto.
Kendeas
si fece da parte per lasciarlo entrare, e lui da parte sua non lo guardò quando
lo oltrepassava per andare a posare Saga sul letto.
Nei
suoi gesti c’era una strana delicatezza, che contrastava con il modo spiccio di
parlare e con i modo bruschi.
-È
svenuto! Ma che gli è successo?-
Gli
chiese Kendeas.
Non
riusciva a staccare gli occhi da Saga.
-Non
riuscivo a convincerlo con le buone e non avevo tempo da perdere. Tranquillo,
si sveglierà presto-
Kendeas
boccheggiò -Lo hai colpito tu?-
-L’ho
fatto per il suo bene. Mi dispiace di non poter fare di più. O di meglio, per
lui-
Kanon
si chinò di nuovo sul fratello e lo guadò con una sorta di tenerezza, allungò
una mano come se avesse voluto accarezzarlo, ma poi cambiò idea.
-Da
adesso lo affido a te. Abbi cura di lui-
Non
scomparve come faceva sempre, si limitò a scavalcare di nuovo il davanzale e ad
incamminarsi lungo il sentiero della campagna.
Kendeas
ebbe per un attimo l’impulso di trattenerlo perché gli sembrava di aver visto
qualcosa di simile alla tristezza nell’atteggiamento di Kanon, ma alla fine non
si seppe decidere.
Che
poteva dire lui ad un uomo come Kanon?
Si
passò un attimo una mano sul viso e tornò a concentrarsi su Saga.
Si
sedette sul letto accanto a lui e per la prima volta dopo quattordici anni poté
accarezzare di nuovo il suo viso.
Percorse
le guance con le dita, poi la fronte e la curva morbida del collo, e le
palpebre chiuse che nascondevano i suoi occhi blu o forse verdi.
Ricordò
quante altre volte lo aveva accarezzato in quel modo e per quanto tempo non
aveva potuto farlo, e quanta paura aveva avuto di non rivederlo mai più, e
invece Saga era di nuovo con lui.
Le
lacrime cominciarono a scorrere silenziose mentre sorrideva, senza che lui
facesse niente per fermarle, e d’altra parte perché avrebbe dovuto?
Dopo
tante volte che aveva pianto perché Saga gli mancava disperatamente aveva ben
diritto di piangere almeno una perché era troppo felice di riaverlo!
Gli
teneva la mano perché aveva bisogno di mantenere un contatto fisico con lui,
perché aveva un’irragionevole paura che se lo avesse lasciato anche solo per in
istante lo avrebbe perso di nuovo come Orfeo aveva perso la sua Euridice.
Era
passato del tempo, forse pochi minuti, forse delle ore, quando Saga diede
qualche segno di essere sveglio.
Si era
lasciato sfuggire un lamento, poi la mano stretta in quella di Kendeas si era
contratta, infine, a fatica, aveva aperto gli occhi.
Can you live in your
skin, walk in your own shoes?
You can't win, if you don't know how to lose
Crawl, fall, Jonny gotta learn to fly
-Cos-…?
Dove…?-
Evidentemente
non si rendeva conto di dove si trovava, e ci mise anche un po’ di tempo a
mettere bene a fuoco il suo viso.
-Kendeas-
mormorò alla fine.
-Sì,
Saga, sei qui con me-
La
reazione di Saga non fu quella che lui si aspettava -Non ho intenzione di
restare. Te l’ho già detto anni fa, Kendeas. Noi non avremmo dovuto più
vederci-
A
quelle parole Kendeas rischiò davvero di cedere alla disperazione.
Dannazione,
ma come era possibile?
Lui
aveva aspettato Saga per tanti anni, aveva rischiato la vita per vedere la sua
tomba anche solo una volta, aveva passato notti intere a sognarlo, e adesso
aveva da dirgli solo quello?
“Noi non avremmo più dovuto vederci”?
E
allora perché, quando era in forma di anima, spirito o quello che era, lo aveva
sentito così vicino?
Si
riscosse quando sentì che Saga provava ad alzarsi, con una mano premuta sullo
stomaco ed una smorfia di dolore.
“Forse è lì che Kanon lo ha colpito”.
Realizzò
Kendeas in astratto, poi però capì: Saga se ne stava andando di nuovo!
“Eh, no! Ne ho abbastanza di gente che
scompare e mi pianta in asso!”.
Kendeas
non perse tempo a discutere per convincerlo: si buttò su di lui e lo fece
ricadere sul materasso.
-Tu non
andrai da nessuna parte -
Gli
disse determinato.
Saga
provò ad alzarsi ma non aveva a disposizione tutta la sua forza e Kendeas, dopo
solo pochi secondi di lotta, riuscì a rimetterlo giù.
Gli
rimase attaccato, con le braccia ben strette attorno a lui e la guancia così
pressata contro il suo petto che quasi si stava slogando la mascella, ma era
ben deciso a non lasciarlo andare per nessun motivo.
“Che strana la vita! Quattordici anni in
cui siamo stati separati e adesso il primo abbraccio è per placcarlo!”
Saga
provò a cambiare tattica e passò a cercare di staccare le braccia che lo
stringevano.
-Non
fare la femmina capricciosa. Lasciami-
-No,
non ti lascerò. Se vuoi che mi stacchi dovrai spezzarmi le braccia-
Sentì
tutto il corpo di Saga contrarsi.
Evidentemente
l’idea di fargli del male lo agghiacciava.
-Kendeas,
adesso basta, davvero. Lasciami-
-No-
Il
respiro di Saga, sotto la guancia di Kendeas, diventava sempre più aspro -Perché
non vuoi capire? Niente potrà essere mai più come prima!-
-Non mi
aspetto che sia come prima, io voglio solo poterti amare. Dimmi, chiedo
troppo?-
-Amare
un traditore e assassino? Non puoi-
-
Decido io cosa posso e cosa non posso. Ed io ti amo-
Stavolta
Saga aveva un tremito nella voce quando parlò -Non posso accettarlo, Kendeas…
quello che ho fatto…-
-Lo so
cosa hai fatto. E ti amo lo stesso. È questo l’amore, Saga-
Lo
sentì tremare sotto di sé.
Stava
per cedere, Kendeas ne era sicuro, per questo continuò a parlargli a voce
bassa.
-È
questo l’amore. È conoscere gli aspetti peggiori di una persona ed accettarli-
Un
ansito rapido, forse un singhiozzo.
Kendeas
avrebbe tanto voluto accarezzarlo, ma aveva troppa paura che se avesse
allentato la presa anche solo di poco lo avrebbe perso.
-Sai
cosa ho sentito una volta in chiesa? Qualcuno ha detto che il male non è altro
che assenza di bene. È un vuoto. Ma questo vuoto può essere colmato dall’amore.
Saga, ti prego, resta con me. Permetti al mio amore di curare le tue ferite-
Lui
provò ancora a divincolarsi ma ormai era solo un debole tentativo -Ma tu…
davvero ci tieni tanto a me?-
Kendeas
annuì e finalmente Saga smise di lottare.
-Saga?
Adesso mi prometti che, se ti lascio, non te ne andrai?-
-Prometto-
Kendeas
decise di fidarsi; lo lasciò andare e si mise seduto, ad asciugarsi le lacrime
con il dorso della mano.
Osservava
Saga di soppiatto, pronto a placcarlo di nuovo non appena avesse fatto un
movimento sospetto, ma il Saint dei Gemelli era solo seduto accanto a lui, con
lo sguardo perso nel vuoto.
-Non
hai mai pensato di rinunciare a me- disse piano –Non mi hai mai abbandonato,
anche se io avevo abbandonato te-
Saga si
voltò verso di lui ma i suoi occhi blu o
forse verdi erano pieni di lacrime e non riuscì a sostenere il suo sguardo;
si coprì il viso con le mani, e poco dopo singhiozzava con tutta la forza che
aveva.
Saga ìsostheòis. Saga
il dio dal cuore umano. Saga, umano come non lo era mai stato, in tutta la sua
fragilità.
Kendeas
non disse nulla.
Quel
pianto non gli faceva paura perché sapeva che Saga aveva solo bisogno di
sfogarsi, per questo si limitò a raccoglierlo in un abbraccio e a lasciarlo
piangere sulla sua spalla.
These open arms will
wait for you
These open arms can pull us through
Between what's left and left to do
These open arms
These open arms
These open arms
These open arms
These open arms will wait for you”
Makoto *histerycal
mode on* Aaahhh!!! Ritardo!
Ritardo! Ritardo! >//< Imperdonabile, indegno, disgustoso ritardo! Ed è
tutta colpa mia, confesso =(
Intanto rispondo alla recensione
X Calhin: Ah-a! Oggi ci sono io in questo angolo! *butta Rory giù dalla sedia* Grazie per la recensione sul capitolo
precedente, spero che anche per questo sia valsa la pena aspettare. Eh, sì, è
impossibile rimpiazzare Saga! Ed anche se è un traditore schizofrenico a
Kendeas non importa (e neanche a noi, o no?) Sul biasimo di Aioros mi unisco
con tutto il mio piccolo, malvagio cuoricino. Dico, morire eroicamente va bene,
ma morire per salvare quella che sarebbe diventata Saori no, eh! A proposito,
sono, anzi, siamo contentissime che Kendeas ti stia piacendo =D Per fortuna
Kurumada, avendo inventato una carrettata di personaggi uno più strano
dell’altro, ha dovuto lasciare parecchi buchi neri… che noi scrittori di fan
fiction siamo lietissimi di riempire XD
Per l’immagine devi ringraziare le abilità artistiche di Rory, come per tutte le altre immagini ad inizio capitolo.
Un abbraccio anche a te =)
Ps: asdfghjklè una parola elfica immagino XD
Poi passo alle cose da dire sul capitolo:
1Questo doveva essere l’ultimoe invece l’ho diviso in due se no diventava un mostro di più di
venti pagine.
3 “Odio stare in mezzo” detto da Kanon è una delle battute di Kronk ne “Le follie dell’imperatore” . Sì, lo so, sono una
cretina che mette citazioni cretine in cose serie.
4 “il male non è altro che assenza di bene” è la filosofia di
Sant’Agostino (sempre di Santi si parla!) messa gentilmente a disposizione
sempre dalla mia so®cia (P.S: Sì, qui è Rory che invece
di studiare filosofia pensa a come quest’ultima possa essere applicata in fanfiction di vario genere xD
Povera la mia prof, quando ho voluto ripetere Sant’Agostino lei era tutta felice
e gongolante per aver trovato qualcuno a cui piaceva la sua materia… non poteva
immaginare perché ci avessi messo tanto impegno a studiarlo! xD).
5 Un pianto alla fine ci stava bene perché anche nell’anime non
fanno altro che aprire i rubinetti e frignare almeno una puntata su due.
Va bene, adesso basta, posso andare a fustigarmi ancora per il
ritardo.
Cominciare una nuova vita non era solo un
modo di dire, e Kendeas se ne accorse subito mentre stava accanto a Saga.
Il Saint dei Gemelli era sempre silenzioso e
la sua presenza in casa si notava appena, sembrava proprio che si impegnasse
con tutte le sue forze per non esistere.
Kendeas credeva che, la notte che lo aveva
visto al cimitero quando era appena stato riportato in vita da Hades, fossero
stati l’oscurità ed i suoi occhi a confonderlo, invece lui aveva visto giusto:
i capelli di Saga avevano acquisito una nuova sfumatura, non grigia come la
cenere della sua anima malvagia e non limpida come il cielo della sua anima
buona.
Adesso i suoi capelli erano di un color
simile all’indaco, unica traccia visibile della sua discesa nel regno dei
morti.
Gli occhi no, per fortuna, erano gli occhi
che Kendeas aveva sempre conosciuto.
Occhi che avrebbe voluto poter scrutare più
spesso, peccato che Saga tenesse quasi sempre lo sguardo basso.
Per quanto riguardava i parenti di Kendeas lo
avevano accolto come un ospite, senza particolari commenti e senza fare niente
che potesse metterlo in imbarazzo, solo ogni tanto nonna Ifighéneia, che oltre
ad uno spiccato intuito femminile sembrava possedere un’altrettanto femminile
propensione al pettegolezzo, si lasciava scappare un mezzo sorriso quando li
vedeva insieme.
La prima sera Saga aveva seguito Kendeas
nella sua stanza e poi aveva guardato interrogativo prima lui e poi il letto.
Kendeas aveva provato una gran tenerezza di
fronte al suo imbarazzo.
:-Se te lo stai chiedendo, sì, dormirai con
me. C’è abbastanza spazio per tutti e due, e poi io voglio che tu stia
veramente accanto a me-:
Saga non aveva protestato e presto Kendeas ne
aveva capito la ragione: non appena lui aveva spento la luce sul comodino e la
stanza era piombata nell’oscurità, Saga si era raggomitolato contro il suo
fianco come un gattino.
Kendeas lo aveva accarezzato in silenzio.
Era stato il Saint dei gemelli a parlare per
primo, un mormorio indistinto poco più in basso della sua guancia.
-Come fai a stare tranquillo? Non pensi a
quello che ho fatto anche se sembravo un santo? Non pensi che potrei farti del
male?-
-No, Saga, io non ho paura di te. Quello che
ti è successo è colpa del fatto che hai dovuto sopportare cose che gli uomini
comuni neanche immaginano-
Saga si era irrigidito.
“Accidenti!
Ricordargli che ha fallito come Saint di Athena non è stata una mossa
azzeccata”.
-Saga, adesso ascoltami. Sai cosa vuol dire
alla lettera “schizofrenia”? “Frén” è la parte più profonda e delicata dell’animo,
quella che prova i sentimenti, mentre “skizo” lo sai anche tu che vuol dire fare a pezzi. La
tua è un anima spezzata. Adesso è il momento di rimettere insieme questi pezzi,
va bene?-
Saga si era limitato a sospirare e non aveva
opposto la minima resistenza quando Kendeas si era girato di fianco e gli aveva
fatto appoggiare la fronte contro la sua spalla.
Da quella prima volta ogni sera, prima di
addormentarsi, abbracciava Saga, lo accarezzava e gli parlava piano per fargli
capire che lui lo amava e basta, senza condizioni.
Sapeva per istinto che Saga aveva bisogno di
sentirsi amato ma che non avrebbe mai chiesto neanche il minimo gesto di
affetto perché era troppo convinto di non meritarne.
Inoltre Kendeas non aveva tentato nemmeno un
piccolo approccio fisico perché Saga era già abbastanza scombussolato; meglio
che per il momento la loro relazione rimanesse puramente platonica.
La sua pazienza venne ripagata poco a poco.
Kendeas ricordava ancora quello che Saga gli
aveva detto quando erano ragazzi, che avrebbe voluto partecipare alla sua vita
normale, e decise che il modo migliore era proprio quello, quindi coinvolse
Saga in tutte le più banali attività della casa.
Lo fece lavorare nel laboratorio con lui,
all’inizio solo come un gioco ma insegnandogli veramente a modellare delle
forme semplici, e poi lo portò nel frutteto dove gli insegnò come riconoscere i
frutti maturi da quelli che avevano ancora bisogno di tempo e a distinguere gli
alberi uno dall’altro in base alla forma delle foglie.
Gli fece conoscere ad occhi chiusi la
corteccia liscia del pesco e quella ruvida e dell’olivo, guidando le sue mani
prima sulla parte più antica del tronco e poi sui rami nuovi che erano spuntati
da poco, e gli fece incontrare l’odore balsamico dell’eucalipto, quello
tipicamente mediterraneo dell’alloro e quello pungente dei pini marittimi.
Gli fece sporcare le mani di terra e di
argilla, e Saga non sembrava per niente umiliato da quelle occupazioni, anzi a
volte a Kendeas sembrava che tirasse un sospiro di sollievo come a dire “Sono
qui ad innaffiare degli ortaggi invece che a mentire a tutto il mondo. Meno
male!”.
Saga lo seguiva senza mai una protesta,
parlando poco ma ascoltando con espressione attenta tutto quello che Kendeas
gli diceva.
Sembrava che tutto il mondo fosse nuovo per
lui, ed in effetti doveva essere proprio così perché si stava confrontando con
una realtà che era lontanissima da quella dei Saint, e quella nuova realtà era
un rifugio perfetto per la sua mente: concentrarsi per imparare cose nuove lo
distoglieva dal pensare agli ultimi tredici anni, e Kendeas era un’ottima guida
in quell’esplorazione.
Era paziente ma non lo trattava mai con
sufficienza, e se qualche volta rideva non era mai per prenderlo in giro.
Ogni tanto però, nonostante l’atmosfera
serena della casa, Saga si lasciava andare alla malinconia, soprattutto quando
prima di rientrare in casa si fermava sulla porta e guardava a nord, in
direzione del Santuario.
A volte era solo un’occhiata veloce, altre
volte si fermava a lungo.
Kendeas non lo disturbava mai in quei momenti
perché capiva perfettamente che il Santuario era stato tutta la vita di Saga,
nel bene e nel male, e capiva che lui sentisse così forte il richiamo verso
quel luogo.
Lo amava almeno quanto lo temeva.
Un pomeriggio Saga era particolarmente
abbattuto mentre cercava con lo sguardo la sagoma dello Star Hill e delle
montagne intorno al Tempio di Athena.
Guardava lontano, seduto sulla panca nel
cortile sul retro, sotto il pergolato di glicine e gelsomino, bello e
malinconico come una statua antica.
Kendeas si azzardò ad intromettersi, per una
volta.
-Saga? Stai pensando al Santuario, non è
vero?-
Lui trasalì, forse perché preso alla
sprovvista o forse spaventato dalla domanda.
-In un certo senso. Mi domandavo se ho fatto
abbastanza-
-Abbastanza?-
-Intendo… ho fatto abbastanza per cancellare
le mie colpe?-
Kendeas cominciò ad avvertire un campanello
d’allarme.
Non gli piaceva la piega che stava prendendo
quella conversazione.
-Bè, vediamo un po’… sei stato per tredici
anni a torturarti nei rimorsi, poi ti sei suicidato, poi ti sei fatto passare
per traditore pur di portare a termine la missione di avvertire Athena dei
piani di Hades e poi, quando non avevi più un corpo con cui combattere, davanti
al muro del pianto hai bruciato la tua anima per permettere ai Bronze Saint di
raggiungere la dea. Che altro avresti dovuto fare?-
Saga continuò a guardare lontano.
“Smettila
di evitarmi, dannazione! Non eri tu che mi dicevi di guardarti in faccia quando
mi parlavi?”.
Kendeas scoprì con sorpresa di essere
arrabbiato, e la replica di Saga lo irritò ancora di più.
-Non lo so. A volte penso che neanche
nell’inferno esista un castigo sufficiente per me-
-Saga, tu all’inferno ci sei già stato-
Gli ricordò Kendeas.
-Forse avrei dovuto starci di più-
A quel punto perse la pazienza.
Fece un paio di passi per trovarsi di fronte
a Saga e lo scrollò forte dalle spalle.
-No, Saga, non hai fatto abbastanza! Se credi
che la soluzione per rimediare al male che hai fatto sia fare del male a te
stesso, allora non farai mai abbastanza-
Gli urlò addosso prima che Saga potesse
riprendersi dalla sorpresa.
-Non capisci, Saga? Nessuno vuole che tu
continui a punirti, non è questo che ti stiamo chiedendo-
Gli disse Kendeas deciso, ma comunque meno
duro di prima.
-E allora cosa? Che devo fare per liberarmi
di quello che mi è successo?-
-Intanto guardami. Voglio che mi guardi in
faccia quando ti parlo, hai capito?-
Now nothin' can take you away from me
We bin down that road
before
But that's over now
You keep me comin' back for more
Incredibile: il ragazzo di campagna che dava
lezioni di dignità al cavaliere d’oro.
Saga non sembrava avere nessuna intenzione di
sollevare la testa e meno che meno di incrociare il suo sguardo, allora Kendeas
dovette fare quello che aveva fatto Saga tanti anni prima, quando era lui
quello sicuro di sé e Kendeas era quello intimidito: gli prese il mento tra le
dita e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
-Saga. Tu devi fare la cosa più difficile
perché è proprio quella che non vuoi fare. Devi perdonare te stesso e devi accettare
che gli altri ti abbiano perdonato-
Lo sentì rabbrividire.
-E se non dovessi riuscirci?-
Gli chiese con un tono che racchiudeva tutta
l’incertezza e la fragilità del mondo.
Kendeas sorrise.
-Vorrà dire che dovrai sopportare questo per il resto dei tuoi giorni-
-Questo
cosa?-
Kendeas gli lasciò andare il mento e la
spalla che ancora gli stringeva e lo abbracciò.
La guancia di Saga era calda attraverso i
vestiti ed il suo respiro gli accarezzava delicatamente la pelle.
-Ah, certo, questo. Continuo a dimenticare che tu non vuoi proprio saperne di
lasciarmi andare-
Baby you're all that
I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that
I need
And I found it there
in your heart
It isn't too hard to
see
We're in heaven
Stavolta non era un tono a metà, con una
sfumatura positiva ed una negativa, era sollievo perché Saga si era finalmente
convinto che non sarebbe mai stato rifiutato.
Anche Kendeas era sollevato che tutto si
fosse risolto in quel modo perché si era pentito subito di essersi arrabbiato
con Saga, ed a pensarci bene non era precisamente che fosse arrabbiato con lui,
il fatto era che odiava vederlo ridotto ad un pallido riflesso del guerriero
simile ad un dio che era stato.
Ad ogni modo quel suo scatto era servito a
qualcosa, perché da quel giorno Saga ci mise più impegno nel lasciare andare il
passato per concentrarsi sul presente che stava vivendo.
La sera spesso, dopo aver cenato, stavano nel
cortile sul retro stesi sulla stessa stuoia di paglia intrecciata, a guardare
le stelle, e Saga gli insegnava a riconoscere le costellazioni come aveva già
cominciato a fare anni prima.
Raccontava le storie dei tempi del mito a
voce bassa solo per il suo compagno, e Kendeas in quei momenti, immerso nel
profumo del grano acerbo e della terra ancora calda del sole di luglio e mentre
teneva la mano di Saga, credeva di essere la persona più fortunata del mondo.
Gli sembrava che quei tredici anni non
fossero mai passati e che loro due stessero in quel modo da sempre.
Per Saga non era molto diverso: quella
situazione gli faceva rivivere il tempo della sua innocenza, quando vicino a
Kendeas si sentiva libero di essere una persona normale.
Guardava la volta del cielo stellato, un
infinito tappeto di velluto nero sparso di gemme sopra di lui, e si concedeva
il lusso di sentirsi piccolo davanti all’immensità.
E poi raccontare storie di altri personaggi
lo distoglieva dal pensare alla sua.
Fu proprio durante una di quelle
chiacchierate serali che Saga sorprese Kendeas.
-Sto bene in questo momento. Non so se
riuscirò mi a ringraziare abbastanza te e la tua famiglia per quello che state
facendo per me-
Gli disse in un sussurro.
A Kendeas saltò subito il cuore in gola
perché era la prima volta che Saga mostrava di aprirsi un po’.
Quando rispose la sua voce tremava
leggermente.
-Lo sai che non ci devi ringraziare, noi lo
facciamo perché…-
-Mi volete bene- Lo anticipò Saga –Nel tuo
caso più che bene-
Prima che Kendeas potesse aggiungere qualcosa
Saga riprese a parlare, con gli occhi rivolti alle stelle.
-Lo sai, appena mi sono svegliato qui a casa
tua avevo pensato di scappare. Sapevo troppo bene che tu non avresti potuto
trattenermi, ma proprio per questo mi sembrava una cosa terribilmente vigliacca.
E poi sapevo che avresti sofferto e non tolleravo che qualcuno soffrisse ancora
a causa mia-
-Poi ho cominciato a stare bene con voi, e mi
dicevo “io non merito tutto questo, ma se non lo merito allora perché il
destino me lo ha concesso?”-
Kendeas non riuscì ad aspettare la fine della
sua pausa.
-E adesso?- gli chiese -Cosa è cambiato,
Saga?-
-Io. Il mio modo di vedere le cose. Adesso
credo di aver capito: l’amore non è una questione di merito, non è una cosa che
si può scambiare o quantificare. È un dono. Possiamo solo scegliere se
ricambiarlo o no-
Kendeas sorrise.
-Bravo, finalmente ci sei arrivato-
-Neanche un piccolo riconoscimento per
l’immensa fatica che ho fatto?-
Accidenti, Saga che aveva provato a fare una
battuta!
Quella doveva essere la sua serata fortunata,
e forse, se tutti gli dei dell’Olimpo lo avessero aiutato…
Si sollevò su un gomito e si sporse quel
tanto che bastava per raggiungere il viso di Saga e posargli un bacio a fior di
labbra.
-Questo andava bene?-
L’espressione di Saga era più che sorpresa,
mentre Kendeas, da parte sua, aspettava la risposta tremando di emozione ed
incertezza.
Forse aveva forzato le cose, forse Saga non
era pronto, forse non era stata una buona idea…
-Sì… benissimo-
Non era a disagio, lo aveva accettato!
Da quel momento tutto sembrò più semplice.
La cosa più bella per Kendeas era assistere
alla metamorfosi di Saga.
All’inizio sembrava sempre all’erta e la
notte spesso Kendeas lo aveva sentito emettere un flebile lamento nel sonno, ma
man mano che i giorni passavano e che Saga lasciava sciogliere i nodi dentro di
sé, acquisiva una nuova sicurezza.
Stava affrontando un confronto impegnativo
con sé stesso, ma lo aiutava tantissimo sapere di avere tutto l’appoggio di
Kendeas e questo gli permetteva di lasciare che le ferite del passato
guarissero.
Le cicatrici le avrebbe portate senza dubbio
a vita, ma almeno dopo quasi un mese Saga sorrideva di nuovo.
***
Erano in laboratorio, e Saga stava guardando
Kendeas mentre modellava la creta sul tornio.
Sembrava gli piacesse guardarlo lavorare, e
spesso Kendeas lo aveva fatto provare a modellare qualcosa, come le prime volte
che si erano conosciuti.
Erano oggetti molto semplici, un piccolo
vaso, un piatto, una scodella, ma quando riuscivano bene Kendeas notava che gli
occhi di Saga ritrovavano una scintilla di vita.
-Io ho le mani indolenzite. Vuoi provare un
po’ tu?-
Gli chiese.
Lui alzò la testa improvvisamente
interessato. Sembrava un bambino a cui avessero dato il permesso di giocare con
qualcosa che desidera ma non osa chiedere.
-Bè, se tu hai finito…-
-Per il momento ho finito, sì-
Saga non se lo fece ripetere.
Andò a prendere un panetto di creta umida e
si sedette al tornio.
Kendeas era soddisfatto: Saga si muoveva ogni
giorno con più disinvoltura e non era più l’essere tormentato dei primi giorni
che era stato a casa sua.
Adesso, in certi momenti sembrava addirittura
sereno, come in quel momento che aveva cominciato ad ammorbidire la creta tra
le mani e la osservava cambiare forma.
Kendeas si trovò inspiegabilmente a pensare a
Kanon, mentre si puliva le mani dall’argilla con uno straccio bagnato.
Forse dopotutto Kanon, anche se era
indelicato e sfrontato, aveva capito di cosa Saga aveva bisogno meglio di
chiunque altro.
Una vita normale con qualcuno che gli volesse
bene, e sembrava che la sua idea avesse funzionato.
E lui come stava? Neanche per lui doveva
essere stato facile tornare in mezzo agli altri Saint.
Chissà se anche lui aveva degli incubi come
Saga?
Chissà se anche lui avrebbe avuto bisogno di
qualcuno che gli stesse vicino?
Kendeas guardò Saga che lavorava, le mani
eleganti che premevano sulla creta per modellarla.
Kanon aveva pensato a Saga, chissà se anche
lui pensava a suo fratello?
Decise che valeva la pena parlarne.
-Saga, c’è una cosa che devo chiederti. Com’è
il tuo rapporto con Kanon?-
Saga si contrasse come se avesse preso una
scossa e finì per rovinare la forma che stava creando.
Guardò Kendeas ed aprì bocca un paio di volte
ma non riuscì a dire niente.
-Non lo so. Non abbiamo mai parlato. Mi ha
rivolto la parola solo quando voleva convincermi a venire qui da te, e non è
stata una discussione lunga perché subito dopo mi ha colpito e portato qui di
forza-
-Vorresti rimproverarlo per averti riportato
da me?-
Gli chiese Kendeas con un sorriso.
-No, non proprio-
-Ascolta, io credo che Kanon sia dispiaciuto
per quanto ha fatto a te almeno quanto tu sei dispiaciuto per quello che hai
fatto a lui. Certo, non ha usato modi molto delicati, ma era veramente
preoccupato per te. È venuto a cercarmi per chiedermi di aiutarti, ed era
arrabbiato con sé stesso perché lui non era in grado di fare niente-
Saga rimase in silenzio a fissarsi le mani
rossastre per l’argilla che cominciava ad asciugarsi.
-Perché non vi incontrate?-
Provò ancora Kendeas.
-Che dovrei dirgli?-
-Bè… non lo so… magari niente, ma almeno gli
farai capire che non vuoi evitarlo. Non se lo merita, credimi-
Saga sospirò.
-Credo che ancora una volta abbia ragione tu-
I gemelli si incontrarono un paio di giorni dopo,
quando Saga trovò finalmente il coraggio di espandere il suo cosmo e di
raggiungere quello del fratello.
Quel pomeriggio stesso Kanon passò come per
caso davanti alla casa di Kendeas, solo che nel cortile c’era Saga ad
aspettarlo.
Era strano vederli di nuovo insieme. Erano
come uno strano riflesso in cui nella forza di uno si rispecchiava la fragilità
dell’altro.
Kendeas dalla finestra del laboratorio li
vide parlare un po’, poi entrare in casa, e nonostante fosse curioso di sapere
cosa avrebbero fatto una volta insieme decise che era meglio lasciarli soli a
chiarirsi.
Rimase a lavorare per più di un ora, poi
sentì la porta del laboratorio che si apriva e quando si girò vide che era
entrato Saga.
Aveva un’aria esausta ma allo stesso tempo
felice.
-Grazie per avermi consigliato di
incontrarlo, Kendeas-
-Avete fatto pace?-
Che domanda idiota! Come se fossero stati due
bambini che avevano litigato per un giocattolo!
Invece Saga sorrise.
-Sì, abbiamo fatto pace. Vieni qui, ti faccio
vedere come è andata-
Kendeas girò lo sgabello e si sporse un po’
verso di lui senza fare domande.
Aveva imparato che fare domande era del tutto
superfluo.
Saga gli posò le mani sulle tempie ed a
Kendeas venne istintivo chiudere gli occhi, solo che invece di vedere nero,
vide…
“Ma questo
è il cortile! E Kanon. Sto vedendo tutto quello che è successo con gli occhi di
Saga”
Vide Kanon
fermarsi davanti a lui in silenzio.
-Vuoi
entrare un momento?-
Chiese
Saga esitante.
-Va bene-
Quella
casa ormai non aveva più segreti per Saga e lo portò subito in cucina, un
ambiente semplice ma intimo dove poter parlare in tranquillità.
-Sono
contento che ci siamo… incontrati-
-Non ci
siamo “incontrati” per caso. Io sono venuto qui perché tu mi avevi chiamato e
tu eri fuori ad aspettarmi da chissà quanto tempo-
Saga
abbassò la testa.
-Hai
ragione, scusami. Non ho ancora imparato a non mentire a me stesso-
Kanon fece
un gesto con la mano come se volesse scacciare qualcosa dall’aria.
-No,
scusami tu. Non volevo essere sgarbato-
Rimasero
un po’ in silenzio.
-Però devo
ammettere che non mi dispiace che ci siamo incontrati-
Disse
Kanon piano.
Saga prese
un po’ di coraggio.
-È vero
che sono stato io a chiamarti. Volevo parlare con te. Adesso siamo… possiamo
ricominciare, no? Abbiamo una nuova vita. In questa nuova vita io mi voglio
fidare di te-
Kanon lo
guardava sorpreso.
-E tu,
Kanon? Pensi di poterti fidare di me?-
Percepì la
paura del rifiuto che aveva Saga come se fosse stata sua.
-Non lo
avrei mai creduto- disse Kanon più che altro a sé stesso, poi lo guardò negli
occhi deciso
-Sì, Saga,
voglio fidarmi di te-
Sentì il
sospiro di sollievo di Saga come se fosse stato suo.
-Bene,
allora…-
Saga gli
tese la mano, una mano che tremava leggermente.
Kanon
sorrise, per la prima volta non con malizia o quel sorriso amaro o di scherno
che lo distingueva, forse con un po’ di tenerezza per quel tremito, e strinse
la mano di suo fratello.
Saga
annuì.
-Grazie,
Kanon-
Lui lo
tirò in avanti e la stretta di mano diventò un abbraccio.
Quando Kendeas riaprì gli occhi e le immagini
svanirono si accorse di avere gli occhi lucidi.
L’incontro tra i due fratelli, soprattutto
considerato tutto quello che c’era stato tra di loro, lo aveva commosso.
-Ti ha abbracciato! Non l’avrei mai detto!-
Saga sorrise.
Un’altra ferita che stava guarendo, un altro
pezzo della sua anima che era tornato al suo posto.
-Neanche io, a dir la verità-
***
Oh - once in your life you find someone
Who will turn your world around
Bring you up when you're feelin' down
Ya - nothin' could change
what you mean to me
Oh there's lots that I could say
But just hold me now
Cause our love will light the way
Saga dormiva tranquillo.
Aveva la fronte
appoggiata alla sua spalla e nel sonno la sua mano aveva cercato quella di
Kendeas.
Ogni tanto gli sfuggiva
un sospiro, segno che stava per svegliarsi.
Kendeas non si alzava
mai prima che Saga si fosse svegliato per due motivi, il primo era che gli
piaceva guardarlo mentre dormiva, il secondo era che non voleva farlo sentire
solo.
Voleva essere lì, non
appena avesse aperto gli occhi, per rassicurarlo ogni giorno che davvero erano
di nuovo insieme.
:-Ehi… buon giorno, ghlikà-:
Sorrise Kendeas.
Anche Saga sorrise, o
meglio fece una buffa smorfia assonnata che voleva somigliare ad un sorriso.
Poi lo cercò.
“Sì!” Esultò Kendeas “Finalmente!”
Per la prima volta era
Saga ad abbracciarlo e a cercare di stringersi di più contro di lui.
Significava che voleva
tornare a vivere e che stava chiedendo il suo aiuto, per questo Kendeas rispose
con tutta la tenerezza di cui era capace.
Rimase ad accarezzarlo a
lungo, infischiandosene altamente che la tempra morale di un Saint di Athena
avrebbe dovuto essere superiore a cose come le coccole.
Lo strappo che c’era
stato tra di loro era quasi completamente rimarginato e sembravano essere
tornati indietro nel tempo, a quando erano ancora ragazzi di quindici anni.
:-Kendeas? Posso fare
una cosa?-:
:-Quello che vuoi-:
Saga lo guardò negli
occhi per un momento, prima di cominciare a sfiorare i tratti del suo viso come
faceva una volta quando si svegliavano insieme la mattina dopo aver fatto
l’amore.
Si fermò sulle sue
labbra e sembrò considerarle con particolare attenzione.
-Kendeas. Mi sei
mancato-
Chiuse gli occhi e
finalmente si decise a posare piano le labbra sulle sue.
Era il primo bacio dopo
quattordici anni.
Kendeas rabbrividì.
All’improvviso aveva la
mente vuota ed il cuore che martellava furioso nel petto, e l’unica cosa che
esisteva al mondo erano le labbra lisce di Saga.
-Ragazzi! Non vi
dovreste alzare? È tardi, sapete!-
La voce di nonna
Ifighéneia li fece sobbalzare, entrambi con il cuore in gola.
Si voltarono nello
stesso momento verso la porta, aspettandosi di trovarci la vecchietta che li
squadrava con aria di disappunto, invece per fortuna la porta era ancora
chiusa, solo che la voce squillante della nonna era capacissima di attraversare
il miglior legno senza perdere un minimo di intensità.
Kendeas si lasciò
ricadere sul materasso con un braccio sugli occhi.
-Accidenti che paura!
Per un attimo mi era sembrato che fosse entrata nella stanza!-
Sbottò.
Poi guardò Saga, che a
sua volta ricambiò lo sguardo.
In quel momento si
resero conto appieno che non era cambiato proprio niente: erano ancora loro,
due ragazzi innamorati ma imbarazzati all’idea di essere sorpresi dai parenti.
Kendeas vide la risata
formarsi negli occhi di Saga ancora prima di sentirne il suono, ed anche a lui
all’improvviso venne una strana voglia di ridere.
Cominciarono a ridere
nello stesso momento, prima piano, cercando di soffocare il rumore e
l’imbarazzo, poi senza alcun controllo fino a restare senza fiato, e lasciarono
che quella risata spontanea lavasse via quello che restava della tensione e
della paura come la prima pioggia di settembre lava via la polvere che si
accumula nei mesi di siccità.
-Ahi… mi fanno male le
costole-
Protestò Kendeas quando
si furono un po’ calmati.
Saga ancora sorrideva.
-Un po’ mi sento in
colpa per tua nonna. Voglio dire, se sapesse…-
-Hem…
guarda che lei “sa”-
Saga sgranò gli occhi.
-Aspetta… mi stai
dicendo che lei…-
-Sa di noi due, sì-
Saga diventò rosso come
Kendeas non lo aveva mai visto.
Un Gold Saint rosso per
l’imbarazzo, e lui era l’unico ad avere il privilegio di assistere a quello
spettacolo.
-E non… non… non dice
niente?-
Chiese pianissimo Saga.
-No, non le dà
minimamente fastidio. Ma non è un buon motivo per ignorare che ci sta chiamando
per la colazione-
Andarono a lavarsi a
turno, prima Saga e poi Kendeas.
Saga era
straordinariamente veloce quando si trattava di lavarsi, ma ad un commento di
Kendeas aveva borbottato qualcosa di indistinto a proposito di “bagni di
purificazione” e di averci messo anche troppo tempo.
Lui non aveva capito e
non aveva voluto insistere.
A colazione non
parlarono molto, come sempre del resto, in compenso bastava che incrociassero
un attimo lo sguardo per mettersi a ridacchiare.
Non era mai successo
prima, e visto che avevano quasi trent’anni non era sicuramente quello il
comportamento che avrebbero dovuto tenere, ma il peggio doveva ancora arrivare:
cominciarono a farsi i dispetti sotto il tavolo come due bambinetti.
In seguito Saga avrebbe
giurato che era stato Kendeas a cominciare con un pizzicotto sul ginocchio,
invece Kendeas non avrebbe mai cambiato la sua versione che era stato Saga per
primo a strofinare le gambe contro le sue un paio di volte di troppo.
Il risultato in ogni
caso furono parte del succo di frutta rovesciato sul tavolo e briciole di
biscotti ovunque, oltre ad una nonna che minacciava di cacciarli fuori dalla
cucina a colpi di ramazza.
Nonna non faceva la
minima differenza tra Saga e Kendeas, ormai li considerava tutti e due suoi
nipoti, anche se non si capiva bene se perché sapeva della loro relazione e
quindi perchéaveva accettato la
parentela acquisita, oppure perché ormai, data la sua età ed il suo carattere,
le gerarchie avevano per lei un valore molto relativo.
Non le importava che
Saga fosse il traditore, ma non le importava neanche che fosse un Saint della
casta più alta quando si trattava di richiamarlo su qualcosa.
Fuori, lui poteva anche
essere wanax Saga e tutto, ma in casa
sua era lei a comandare, e non c’erano santi di nessun tipo che potessero farle
mollare l’autorità all’interno delle mura domestiche.
Da parte sua Saga
sembrava essersi affezionato alla nonna proprio per il suo modo di trattarlo
assolutamente informale.
Per lei entrambi erano “pai”,
ragazzo, quando li chiamava, e spesso se erano tutti e due nelle vicinanze e
non si capiva a quale dei due si riferisse, capitava che rispondessero
entrambi.
-Adesso basta voi due!
Filate a fare qualcosa di utile invece di stare qui a sporcarmi la cucina!-
Ed aveva ragione di
cacciarli, perché era iniziata una pericolosa battaglia a base di briciole
bagnate.
-Va bene, scusa, yayà-
-Ma che scusa e scusa!
L’ho visto che stai ancora sghignazzando!-
Agguantarono altri due
biscotti ciascuno ed uscirono dalla cucina prima di fare altri danni o di fare
arrabbiare seriamente la nonna.
-Allora? Che facciamo?-
Chiese Saga.
-Bè, a quest’ora il laboratorio
è occupato da zio Kostas e non ha senso che ci andiamo anche noi. Possiamo
andare a vedere se c’è frutta da raccogliere. Forse qualche pesca è già matura,
o le albicocche… o forse le ciliegie-
-Va bene, ti seguo-
Nel frutteto il caldo di
luglio iniziava a farsi sentire.
Il sole pizzicava sulla
pelle anche se era ancora mattina presto e loro cercavano di camminare il più
possibile all’ombra degli alberi.
Quasi senza accorgersene
arrivarono vicino all’albero dei fichi che aveva segnato il loro primo incontro
ed anche qualcuno negli anni seguenti.
-Ehi, Saga, cosa ti
ricorda questo albero?-
Gli chiese Kendeas.
Vide Saga sorridere nei
giochi di ombra e di luce tra le foglie.
-Vediamo un po’… ah,
certo! Mi ricorda due mocciosi che si sino fatti una promessa e che l’hanno
ricordata per sei anni-
-È vero-
Confermò Kendeas con un
sorriso nostalgico.
Riusciva quasi a vedere
sé stesso e Saga da bambini sotto quell’albero, quando il massimo dei loro
problemi era come riuscire a raggiungere quei frutti dolci che però stavano
troppo in alto per la loro età.
-E poi mi ricorda una
persona speciale-
Saga si voltò verso di
lui e per la seconda volta in pochi giorni riuscì a sostenere il suo sguardo.
I suoi occhi blu o forse verdi avevano recuperato
tutta la loro intensità.
-Un ragazzo
straordinario che aveva paura di un castigo divino perché aveva osato baciare
uno dei sacri guerrieri della Dea Athena-
Kendeas arrossì e fu lui
a distogliere lo sguardo imbarazzato.
-Ora non vorrai
prendermi in giro per quello dopo tanti anni-
Borbottò.
-Non ti stavo prendendo
in giro-
Quando rialzò lo sguardo
Saga era di fronte a lui, ed era molto, molto
vicino, tanto che poteva vedere ogni dettaglio dei suoi occhi, dai riflessi
dell’iride alle ciglia.
Successe esattamente
come la prima volta, cioè senza che Kendeas se ne rendesse conto: un passo lui,
un passo Saga, e le loro labbra si erano unite con molta più sicurezza e
decisione rispetto alla mattina.
Si cercarono tutti e due
impazienti di condividere di nuovo ogni respiro.
Kendeas all’improvviso
ebbe paura di essere immerso in un sogno, una di quelle illusioni crudeli che
gli dei tessono per irretire la mente dei mortali.
Continuava a ripetersi
che era davvero Saga a baciarlo, che erano ancora loro, e che l’amore che li
univa aveva superato il tempo, la follia e la morte, ma non bastava: aveva
l’irragionevole paura che tutto quello presto gli sarebbe stato strappato via e
che lui si sarebbe risvegliato da solo e in lacrime come era successo tante
volte negli anni dell’assenza di Saga.
-Kendeas? Che cosa c’è?-
Lui non rispose, lo
baciò di nuovo, solo che stavolta era un bacio che sapeva di disperazione.
Si accorse di avere il
viso bagnato di lacrime quando un filo di vento gli fece raffreddare le guance.
-Kendeas, ghilikà, che succede?-
Saga gli aveva preso il
viso tra le mani e lo scrutava preoccupato.
Non sapeva che
rispondere: come poteva spiegargli che il peso di anni ed anni in cui aveva
avuto paura di averlo perso per sempre gli stava cadendo addosso proprio nel
momento in cui si erano ritrovati?
-Niente… niente, lascia
stare, sono io che sono uno stupido-
Provò a svicolare, ma
Saga lo trattenne.
-Kendeas, chi piange non
lo fa perché è stupido-
Kendeas sentì gli occhi
che pizzicavano nuovamente e voltò la testa dall’altra parte.
Non voleva farsi vedere
piangere, primo per non fare la figura del debole e secondo perché non voleva
farlo pesare a Saga.
Si allontanò di un paio
di passi e si passò rapido il dorso della mano sugli occhi per cercare di
limitare il danno.
-Kendeas, guarda che ti
ho visto. È il Saint di bronzo del Drago quello cieco, non io-
-No, non è niente, è
passato-
Prima che avesse il
tempo di voltarsi sentì Saga che lo abbracciava da dietro.
Aveva le sue mani sul petto
unite all’altezza del cuore ed il mento posato sulla sua spalla, mentre le
ciocche color indaco gli accarezzavano il viso ed il collo.
-Mi dispiace, è stata
colpa mia-
Disse Saga a voce bassa.
Ecco, esattamente quello
che lui voleva evitare.
-Ti chiedo scusa per
tutto quello che hai passato. Mi dai il permesso di rimediare?-
Le sue mani.
Quanto erano calde le
sue mani e quanto gli erano mancate.
Kendeas si rigirò tra le
sue braccia e lo strinse a sua volta.
-Resta con me, Saga.
Voglio che resti con me-
-Certo che resterò con
te, Kendeas. Te lo avevo già promesso una volta che non ti avrei mai lasciato,
ricordi?-
N'
baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven
Lui annuì.
Rimasero a lungo in
silenzio, tutto il tempo necessario affinché Kendeas ritrovasse la giustasicurezza.
Quando venne il momento
di tornare a casa Saga gli tese la mano.
Kendeas provò declinare
l’offerta perché gli sembrava una cosa troppo infantile, ma Saga sapeva essere
molto persuasivo: o si gli permetteva di prendergli la mano oppure lui lo
avrebbe riportato a casa in braccio.
A Kendeas venne quasi la
tentazione di fargli mettere in atto quella minaccia, ma alla fine decise che
era meglio limitarsi e si lasciò riportare a casa mano nella mano con le dita
intrecciate a quelle di Saga.
Dopo pranzo lo zio di
Kendeas lo chiamò in laboratorio.
-Ragazzo, vedi quello
scaffale di oggetti nuovi?-
Erano vasi piccoli ma
soprattutto utensili da cucina.
-Sì, zio-
-Bene. Devo chiederti di
consegnarli oggi pomeriggio-
Kendeas ci rimase un po’
male.
Un giro di consegne
voleva dire un pomeriggio fuori casa, e siccome Saga non aveva ancora accettato
di uscire e farsi rivedere in pubblico, avrebbe significato anche un pomeriggio
senza Saga.
-È proprio necessario?-
Chiese, sperando fino
all’ultimo di evitare l’incombenza.
-Temo di sì, figliolo.
Vedi, alcuni avrei dovuto consegnarli già ieri, ma alla fine Atlante era
esausto e non me la sono sentita di sforzare troppo quella povera bestia-
Il pensiero del vecchio
asino che barcollava per la fatica fece pentire immediatamente Kendeas del suo
tentativo egoista.
-Capisco. E va bene,
zio, ci penserò io-
Aveva cominciato a
sistemare le terraglie in pile ordinate quando si accorse che zio Kostas era
ancora dietro di lui.
Sembrava che lo stesse
scrutando con attenzione ed anche un po’ imbarazzato.
-Zio? C’è qualcosa?-
-Eh? Come? Oh, bè, io mi
stavo solo chiedendo… come mai ti sei interessato tanto a wanax Saga?-
Kendeas si sentì
impallidire a quella domanda.
D’accordo, sapeva che
prima o poi avrebbe dovuto chiarire le cose anche con zio Kostas, ma non era
preparato a farlo in quel momento!
“Accidenti, e adesso come glielo dico? Lo zio è anziano, non è che
gli prende un colpo?”.
-Mi sembra che voi due
siate molto uniti-
Gli disse lo zio.
“E va bene. Ora o mai più!”.
Kendeas prese un bel
respiro.
-Io lo amo-
Temette che da un
momento all’altro lo zio sarebbe crollato a terra per un infarto fulminante,
invece lui si limitò a prendere atto della cosa con un-Ah-
Kendeas rimase a
guardarlo un po’ sconcertato.
Non poteva essere tutta
lì la reazione dello zio, dopotutto aveva appena appreso che il suo unico
nipote non avrebbe mai messo su una famiglia con una moglie e tanti bambini
come lui sperava.
-Ma tu guarda… una volta
tanto quella pettegola di tua nonna racconta una cosa che non si è inventata. E
va bene, ragazzo, come sei felice tu-
Ed uscì dal laboratorio,
lasciando un Kendeas abbastanza confuso.
Era stato lo zio ad
intuire qualcosa e poi aveva chiesto conferma alla nonna, oppure era stata lei
a spiegargli la situazione?
Decise che in fondo non
gli importava poi molto e che in ogni caso non avrebbe mai avuto il coraggio di
chiedere conferma a nessuno dei due.
Aveva quasi finito di
sistemare gli oggetti in pile ordinate quando entrò Saga.
-Mi pare di capire che
oggi pomeriggio sei fuori-
-Sì, Saga, mi dispiace
tanto ma devo assolutamente…-
-Ehi, ehi, calma, non ti
sto rimproverando perché fai il tuo lavoro-
Kendeas guardò
sconsolato tutta la roba che doveva consegnare.
Gli ci sarebbe voluto
tanto tempo…
-Lo so, è che io pensavo
di poter passare il pomeriggio con te-
-Lo speravo anche io in
realtà-
Il tono di Saga era più
allusivo e Kendeas si sentì le guance accaldate.
-Bè, sono poche ore, un
pomeriggio passa in fretta-
Immediatamente si rese
conto di essersi cacciato in una situazione ancora più imbarazzante perché
l’ovvia continuazione era “un pomeriggio passa in fretta e poi arriva la sera”.
Saga gli si avvicinò.
-Vorrà dire che ti
aspetterò-
Kendeas sentì ognuno dei
sottintesi di quel tono basso e si sentì scuotere da un brivido caldo.
Annullò in un attimo la
distanza che li separava e di nuovo si impossessò delle labbra di Saga calde e
dolci come il miele.
Rimase sorpreso dal
riscoprire come i loro corpi aderissero alla perfezione uno all’altro.
Le due metà della conchiglia, fatte per stare insieme.
Ma non era ancora il
momento. Purtroppo. Si staccò a malincuore.
-Ci vediamo stasera-
Mormorò piano al suo
orecchio, prima di uscire in fretta dalla stanza per non cadere in tentazione.
***
I've
been waitin' for so long
For something to arrive
For love to come along
Quella sera nella loro
stanza c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Entrambi non avevano
dimenticato il bacio di quella mattina, e neanche quello che era successo nel
frutteto. E neanche nel laboratorio.
Ora restava da vedere
cosa avrebbe portato la notte amica dei ladri e degli amanti.
Mentre aspettava che
anche Saga si vestisse per la notte, Kendeas si lasciò cadere sul letto con le
mani incrociate dietro la testa e rimase a fissare il soffitto.
Era il caso di fare la
prima mossa? Saga era davvero pronto per recuperare anche l’aspetto più intimo
del loro rapporto oppure lo avrebbe assecondato solo perché non aveva il
coraggio di esprimere un eventuale disagio? E poi… come sarebbe stato dopo
quattordici anni?
Queste domande diventarono
un nodo in fondo allo stomaco quando Saga rientrò nella stanza.
Kendeas lo vide piegare
i vestiti ordinatamente e posarli vicino ai suoi sulla cassapanca accanto al
letto.
Gli lanciava occhiate di
sfuggita nella luce scarsa della lampada ad olio per evitare l’indelicatezza di
fissarlo con troppa insistenza, ma durante una di queste occhiate i loro
sguardi si incontrarono in maniera imbarazzante e Kendeas avrebbe giurato che
c’era una traccia di rossore sulle guance del Saint dei Gemelli.
Saga si mise a letto
accanto a lui.
-Sono contento di essere
qui-
Disse ad un certo punto.
Prima che Kendeas fosse
riuscito a trovare qualcosa da rispondere Saga continuò.
-Non so davvero
immaginare come avrei fatto se tu non mi avessi preso in casa tua-
Kendeas decise che non
era il caso di dire niente perché qualunque cosa sarebbe stata inadatta, invece
cercò la mano di Saga e la strinse.
Lui ricambiò la stretta
e cominciò ad accarezzargli il dorso della mano con il pollice.
Kendeas si sentiva
strano, come se tutti i suoi sensi si fossero acuiti: gli sembrava di sentire
nel buio il respiro di Saga, il fruscio dei suoi capelli sul cuscino e sotto le
dita ogni minimo particolare della sua pelle.
Aveva già provato quelle sensazioni. Anni prima, quando erano
ragazzi.
Quando era alle prese con concetti che riusciva ad esprimere solo
con una parola antica che non tutti avrebbero riconosciuto.
Pothos.
Il corpo di Saga odorava
del sapone fatto in casa con olio d’oliva, mirto e scorza di limone.
Kendeas sapeva che anche
lui aveva addosso quell’odore e si domandò se anche Saga lo sentiva, e
soprattutto si domandò se anche a lui faceva quello strano effetto.
Gli piaceva quel profumo
su Saga, e senza pensare si voltò verso di lui, gli mise il viso nell’incavo
del collo e lo aspirò a fondo.
-Kendeas-
Lo chiamò.
Il suo respiro si era
fatto rapido.
-Saga-
Non c’era bisogno di
nessun invito, andarono uno incontro all’altro per istinto e perché non
avrebbero potuto aspettare oltre.
Si cercarono con le
bocche, con le mani, con tutto il corpo, mentre il sangue cominciava a
ribollire nelle loro vene.
-Avresti potuto evitare
la fatica di rivestirti-
Disse Kendeas con un
sorriso malizioso.
-L’ho fatto solo perché
tu potessi spogliarmi-
Gli rispose Saga a tono.
Presto le canottiere
finirono sul pavimento e loro si ritrovarono pelle contro pelle.
Il loro corpo era un po’
cambiato in quegli anni e sembrava che ognuno dei due non vedesse l’ora di
riscoprire l’altro alla ricerca di cosa era rimasto uguale e cosa era nuovo.
-Saga. Voglio vederti.
Per favore, spogliati per me-
Saga annuì e lentamente
si sfilò quello che restava dei vestiti.
Rimase sul letto senza
imbarazzo per il fatto di essere nudo, e la luce calda della lampada dipingeva
con cura ogni linea del suo corpo ed i riflessi nei capelli.
Era ancora, adesso più
che mai, Saga ìsostheòis.
-Ora tocca a te-
Kendeas obbedì perché
era ipnotizzato.
Ricordava ancora la loro
prima volta, quando erano ancora adolescenti che a malapena si rendevano conto
di quello che stavano facendo.
Si spogliò e rimase
anche lui nudo sotto lo sguardo di Saga.
-Come sei bello-
Mormorò lui mentre gli
accarezzava la guancia.
A Kendeas venne un po’
da ridere.
-No, Saga, stai
sbagliando. Qui sei tu quello perfetto-
Saga diventò
improvvisamente serio.
-No, sei tu che sbagli-
Si sporse sopra Kendeas
e lo baciò.
I suoi capelli gli
cadevano addosso e lo accarezzavano come fili di seta.
-Sei tu quello perfetto-
Dalla bocca Saga passò a
baciarlo sul collo.
-Sei tu quello che ha
sempre avuto fiducia in me-
Kendeas ascoltava,
incapace di articolare niente di sensato.
-Sei tu che mi amavi
anche quando sapevi cosa ero-
Gli posò le mani con i
palmi aperti sul petto e Kendeas sussultò come per un elettroshock.
-E sei tu che mi hai
fatto vivere di nuovo-
Sotto le mani di Saga il
suo cuore batteva ad un ritmo impossibile.
Improvvisamente si rese
conto che lo desiderava con un’intensità tale da essere dolorosa.
Con uno scatto di reni
ribaltò le loro posizioni e lo baciò come non lo aveva mai baciato, come se ne
andasse della sua vita.
Saga rispose
afferrandogli i fianchi e spingendosi contro di lui.
Ormai non c’era più
posto per la ragione, era solo Eros a guidare le loro mosse.
Le mani di Kendeas
premevano ogni centimetro del corpo di Saga per scoprire e riscoprire le sue
reazioni, perché voleva capire che aspetto aveva edonèsu di lui.
Lui era un artigiano ed
in quel momento stava modellando una materia viva, calda e pulsante, che a sua
volta ricambiava le attenzioni.
Non riusciva a percepire
altro che sé stesso e Saga, c’erano solo loro uniti in una danza antica e
sfrenata fatta di gemiti rochi, ansiti e muscoli tesi.
I loro corpi avvinghiati
uno all’altro si cercavano, si separavano per pochi attimi e poi si univano
ancora.
Se solo avesse potuto durare per sempre.
Entrambi scottavano,
ansimavano e tremavano come se stessero bruciando di febbre.
Saga si inarcò più forte
contro di lui.
Sentirlo vivo nel
battito del suo cuore impazzito e nel respiro veloce che si infrangeva sulla
sua pelle per Kendeas era un miracolo.
Non fermarti.
Non adesso.
Lo sentì tendersi e
scattare, e provare ad articolare qualcosa, ma dalla sua gola uscì solo un
gemito più intenso.
Quel suono Kendeas lo
aveva sentito tante altre volte.
Gli bastò quello e
sentire il calore di Saga sul suo corpo per arrivare al limite: affondò il viso
nella sua pelle calda e gridò anche lui.
Rimasero a lungo
immobili ad aspettare che i battiti tornassero normali e a prendere lunghi
respiri profondi.
Dopo un po’ Saga si
mosse per accarezzargli il viso.
-Kendeas. Io ti amo-
Lui sorrise.
Certo, lui lo sapeva che
Saga lo amava, ma il fatto stesso che sentisse il bisogno di dirglielo in quel
momento che era esausto e lottava contro il sonno era una cosa bella.
-Anche io ti amo-
Gli posò piano un bacio
sulla tempia.
Saga gli passò un
braccio attorno alla vita e chiuse gli occhi. Poco dopo il suo respiro aveva
preso il ritmo calmo e profondo del sonno.
Kendeas sorrise.
Il sonno stava chiamando
anche lui per farlo addormentare ancora una volta accanto a Saga.
Il suo ultimo pensiero
coerente fu che nella notte avrebbero potuto sentire freddo e che sarebbe stato
meglio avere addosso qualcosa, così allungò una mano dietro di sé per
recuperare un angolo di lenzuolo a coprire entrambi, e nel farlo, dopo che ebbe
aggiustato la stoffa anche su Saga, decise che non aveva la minima voglia di
ritirare il braccio e lo lasciò intorno alle spalle del suo cavaliere.
Si lasciò cullare dal suo
calore, dal suo respiro e dalla carezza dei suoi capelli fino alla soglia del
sonno perché voleva assaporare ogni momento.
Sapeva che presto Saga
avrebbe dovuto riprendere il suo posto trai i sacri guerrieri di Athena e
sarebbe tornato ai suoi doveri di Saint ma la cosa non lo preoccupava:
dopotutto il loro amore aveva superato prove ben più difficili, attraverso gli
anni.
Now
our dreams are comin' true
Through the good times and the bad Ya - I'll be standin' there
by you”
A tutti quelli che hanno letto la nostra storia, a … che l’hanno
messa tra le preferite/seguite/ricordate.
Risposte alle recensioni:
Arcadia_SPH: Macciaooo!!! Per la serie “tutto è
bene quel che finisce bene” finisce bene anche qui, per fortuna! Ci dispiace
per averti fatto prendere degli infarti a tratti xD
Solinari: Cara, eccoti qui *-*
povero Kendeas, non paragoniamolo a Shun, almeno lui fa qualcosa xDessì, Saga è un figo,
fortunato il nostro artigiano che l’ha beccato :3
Calhin: Bentornata ^^ naah, non piangere, alla fine si è risolto tutto tra
abbracci vari, non poteva andare meglio, no? ;)
Toushiro_Hitsugaya: Ciao ^^ ci fa piacere che
ti sia piaciuta la storia, in genere è difficile farle apprezzare ai non-amanti
del genere ^^ Hahaha, sì, la nonna è la migliore xD
Scusatemi tanto, ragazzi,
se sono andata direttamente al succo della cosa, il fatto è che tre interrogazioni
e un compito di lunedì incombono sulla mia testolina e devo fiondarmi a
studiare! X__X
Grazie per averci
seguito! E adesso… *arrotola un giornale e rincorre Mako*
a noi due!
Angolo delle scemenze di Mako
Scemenza numero 1: Ragazzi, avreste dovuto vedere il documento di Word di questo
capitolo quando ancora era in fase di lavorazione!
Mi spiego: io aggiungo i vari pezzetti in modo disordinato,
prima un pezzo alla fine, poi l’inizio, poi varie altre modifiche, e siccome la
mia povera sorcia ogni volta dovrebbe rileggere tutto
per trovare le (poche) righe nuove, allora io faccio ogni aggiunta di un colore
diverso, così lei le vede subito.
Risultato: prima due righe rosse, poi, sei o sette verdi, e poi
ancora blu, verde chiaro, viola, azzurro, arancione… praticamente un’opera di
arte moderna XD andrò a proporla al professor Caroli!
Scemenza numero 2: Rory mi minaccia =( se non avessi
finito il capitolo entro oggi mi avrebbe cacciata da casa *me in versione palla
di polvere intristita della pubblicità dello swiffer*
Adesso cose serie:
Numero 1: la canzone che da il titolo al capitolo è “Heaven”
di Bryan Adams, e l’ha scovata la mia sorcia. Prego,
ringraziate Rory.
Numero 2: mentre scrivevo alcune parti molte volte avevo in mente il
libro “La canzone di Achille” di Madeline Miller, che mi permetto di
consigliare ai fan delle cose greche e dello shonen-ai.
Numero 3: abbiamo deciso di inserire anche Kanon perché è una parte importante
della storia personale di Saga e perché è un personaggio che merita stima
incondizionata.