Anàmesa Étoi – Across the Years

di DarkSide_of_Gemini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Promessa ***
Capitolo 2: *** Un Dio in terra ***
Capitolo 3: *** Obbligo o Verità? ***
Capitolo 4: *** Ombre ***
Capitolo 5: *** Spettri ***
Capitolo 6: *** These Open Arms ***
Capitolo 7: *** Heaven ***



Capitolo 1
*** La Promessa ***


Salve,  ricordate la mia ultima collaborazione con la mia so(r)cia Makochan?

Bene, dato il successo ottenuto abbiamo deciso di metterci di nuovo in combutta sfornando questa nuova storia.

Ecco a voi…

 

Anàmesa Étoi – Across the Years

 

1 – La Promessa

“Accidenti!”.

Protestò il bambino tra sé e sé, alzando imbronciato lo sguardo verso gli alti rami di un grosso albero di fichi.

La buccia scura dei frutti brillava alla luce del sole che filtrava dalle foglie, facendo sembrare le gocce di brina della quale erano ricoperti simili a piccoli diamanti; erano di certo maturi, a decine pendevano gonfi dai rami, e sarebbe stato un vero peccato lasciarli lì a marcire o farli rovinare dalle beccate degli uccelli.

Per questo il piccolo era appostato sotto quell’albero da ormai una buona mezz’ora, passata a tentare inutilmente di arrampicarsi o raggiungere i rami più bassi in altri modi.

Aveva sette anni -motivo per cui l’altezza non giocava certo a suo favore-, dei grandi e luminosi occhi verde pallido che continuavano a scrutare le fronde, decisi a non demordere.

Qua e là, tra le ciocche di capelli biondi, una foglia caduta spiccava per il suo colore verde cupo, in contrasto con i sottili fili d’oro della capigliatura.

Era vestito come un normale ragazzino di provincia, una maglietta color smeraldo e dei pantaloni bianchi sui quali svariati pezzetti di corteccia facevano bene intendere quale fosse stato fino ad allora l’obbiettivo del bambino.

Il ragazzino si guardò intorno, sperando che qualcuno passasse per il campo e lo aiutasse a conquistare gli oggetti del suo desiderio, e rimase deluso quando si rese conto di essere solo, dato che gli abitanti del villaggio nel quale viveva erano troppo impegnati nel lavoro, a quell’ora, per andare a zonzo per i frutteti.

Con disappunto, si chiese cosa fare.

Tornare a casa e prendere una scala?

Troppo lontano, e poi come avrebbe fatto a riportare indietro sia la scala che i frutti?

Chiamare suo zio Kostas?  

Lui iniziava a lavorare presto, ed in genere non gradiva essere disturbato.

Né si poteva sperare sull’aiuto degli altri parenti o conoscenti.

Pensò e ripensò a come fare, e nessuna idea gli sembrò adatta alla situazione, a parte l’ultima: a malincuore, lasciar perdere l’impresa e ritornare a casa ad aiutare lo zio con il lavoro.

Indispettito, il bambino lanciò un’ultima occhiata ai fichi sull’albero, e stava per aggirare il vecchio tronco per andarsene quando una voce alla sue spalle lo fermò.

 

-Sarebbe bello arrivarci, no?-

 

Dietro di lui stava un ragazzino della sua stessa età, forse un anno più grande, ovvero doveva avere otto anni, con i capelli blu lunghi fino alle spalle e gli occhi color acquamarina.

Era vestito in modo alquanto singolare: portava una tunica azzurra legata in vita da una cintura di cuoio, ed ai polsi aveva legate delle bende bianche, sembrava pronto per entrare a far parte di una squadra di combattenti.

 

-Già…- borbottò lui lanciando un’altra occhiata ai fichi, ben visibili per via del loro colore scuro che risaltava contro il verde delle foglie illuminato dal sole –peccato che io ci sto provando da un bel po’, e non ci sono ancora riuscito. È troppo alto-

 

-Magari è alto per un bambino-

 

Commentò l’altro avvicinandosi all’albero; sembrava avere tutte le intenzioni di salire.

Il biondo lo scrutò sospettoso.

“Cosa vuol dire per un bambino?” si chiese scettico “E’ alto quanto me! Forse un po’ di più… ma un paio di centimetri non fanno la differenza!”.

 

-Pensi di poterci arrivare- gli chiese il nuovo arrivato –se sali sulle mie spalle?-

 

-Uau! Questa sì che è un’idea!-

 

Non persero tempo: qualche secondo dopo il ragazzino biondo si arrampicava sui rami staccando i frutti e mettendoli nell’incavo della maglietta piegata per ottenere un valido sostituto di un cesto.

Quando la stoffa traboccò di fichi maturi, alcuni appiccicosi di resina, si sedette su un ramo e li passò al nuovo amico.

 

-Sicuro di non volere un aiuto per scendere?- gli chiese quello dopo che ebbero finito l’operazione –Se cadi ti fai male-

 

Non aveva tutti i torti, il ramo era abbastanza alto.

Ma il bambino non voleva essere preso per un pappamolla, così gli rispose che ce la faceva da solo, in caso lui avrebbe potuto aiutarlo se proprio scivolava dal ramo.

Per fortuna non cadde, atterrò però di slancio ed andò a colpire l’altro, finendo entrambi a rotolare sul prato verde lontani dai frutti, fortunatamente.

I bambini guardarono la piccola montagna di frutti accanto a loro, sorridendosi con aria complice.

 

-Certo che siamo una bella squadra!- sentenziò il più piccolo –A proposito, come ti chiami?-

 

-Saga. E tu?-

 

-Io sono Kendeas-

 

Si presentò, sedendosi poi a gambe incrociate sotto l’albero, con la schiena appoggiata al tronco, iniziando a sbucciare un fico.

Saga si unì a lui, e per un po’ nessuno ruppe il silenzio.

Entrambi, però, si scrutavano a vicenda, incuriositi come solo i bambini sanno essere, chiedendosi mentalmente molte cose l’uno sull’altro, con tutta l’intenzione di approfondire la conoscenza del nuovo amico una volta che avrebbero avuto la bocca libera.

Intanto la montagna di fichi diminuiva e quella di bucce andava via via aumentando, fino a quando i ragazzini rimasero indecisi a lanciare occhiate furtive all’ultimo frutto rimasto alla base della piramide.

Iniziarono a farsi domande basilari per soddisfare almeno in parte la loro curiosità.

Kendeas aveva ragione: Saga era di un solo anno più grande di lui.

Eppure dall’aspetto gli sembrava in qualche modo molto più maturo rispetto alla maggior parte dei ragazzi loro coetanei: saranno state le spalle più larghe, la schiena ben dritta, o quell’insolita serietà nello sguardo, fatto sta che agli occhi del bambino biondo Saga appariva di gran lunga più cresciuto rispetto alla sua età.

Gli chiese se abitava in un villaggio vicino al suo; gli sembrava insolito di non averlo mai incontrato prima di allora.

Saga gli rispose di no.

 

-E allora dove stai?-

 

-Oh, bè…- e fece un gesto con la mano, molto più ampio di quello che avrebbe fatto Kendeas per indicare il suo villaggio –lontano da qui. Non ci posso venire sempre-

 

-Perché no?- chiese Kendeas, incuriosito –Devi aiutare la tua mamma a lavorare?-

 

A Saga scappò una mezza risata, priva però di cattiveria.

Non voleva prenderlo in giro.

 

-No-

 

Rispose solo.

Poi allungò una mano verso l’ultimo frutto e lo divise in due metà esatte, porgendone una a Kendeas.

Il ragazzino accettò di buon grado, colpito almeno in parte dalla generosità dell’amico: di solito, la gente non amava dividere i propri averi con gli sconosciuti.

Ma questo era quello che succedeva nei villaggi più poveri –non in quello in cui lui viveva-, lì dove nessuno può permettersi di avere buon cuore con il prossimo.

Kendeas stava per chiedere cosa mai impedisse a Saga di andare in giro come tutti i ragazzi, quando una lontana voce di uomo lo interruppe, sbraitando a gran voce qualcosa.

 

-Ops- fece Saga scattando in piedi –mi sa che la mia pausa è finita-

 

La voce era indubbiamente arrabbiata, e si avvicinava al campo dove i due bambini si erano sistemati.

Kendeas scrutò tra gli alberi, ma non vide nessuno nonostante i richiami continuassero a farsi sempre più distinti.

 

-Saga! Dove sei finito?! Ti ho detto che non puoi interrompere l’allenamento quando ti pare e piace!-

 

Saga si spazzolò via l’erba dai pantaloni –Devo andare-

 

-Ma chi è? Tuo padre?-

 

-No. Il mio maestro-

 

-Hai un insegnante privato?-

 

-Hum… sì e no. Bè, allora ciao-

 

-Aspetta!-

 

Kendeas si alzò in piedi rincorrendo il bambino dai capelli blu, rischiando di scivolare sulle bucce viscide dei fichi.

Saga si voltò, e sembrava avere fretta.

 

-Io posso venire quando voglio qui. Domani torni?-

 

-No-

 

Aveva usato un tono perentorio, non adatto ad un bambino della sua età.

Sembrava abituato a farsi obbedire ad un minimo cenno, aveva assunto una vaga espressione di minaccia.

Kendeas ci rimase male, ma non si perse d’animo.

 

-E dopodomani?-

 

-No. Mai più. Mai più fino a quando non avrò terminato il mio addestramento-

 

Kendeas emise un verso deluso; non era facile farsi nuovi amici, in genere nei villaggi tutti lavoravano e non avevano tempo per giocare, e tra poco anche lui avrebbe dovuto darsi da fare ed iniziare a dare una mano in casa.

Saga dovette intuire il suo disappunto, perché, incurante dell’uomo che lo chiamava, sia avvicinò al bambino.

 

-Tra sei anni- disse –avrò finito. Vediamoci qui, stesso giorno, stessa ora. Va bene?-

 

“Sei anni?” pensò stupefatto Kendeas. Gli sembravano un’infinità “Cosa dovrà fare in tanto tempo?”.

Sebbene la curiosità facesse di tutto per fargli porre quella domanda, il timore di far perdere la pazienza al ragazzino dagli occhi azzurri la ricacciava indietro.

Era tanto tempo, sì, ma era pur sempre meglio aspettare che non rivedersi più.

 

-Va bene. Tra sei anni qui-

 

-Bene-

 

Saga annuì e corse via ad una velocità stupefacente.

Poco dopo era già sparito tra gli alberi.

“Che strano…” si ritrovò a pensare Kendeas sulla via del ritorno “sei anni… cosa mai dovrà fare una persona in sei anni? Ha parlato di allenamento. Chiederò allo zio”.

Il bambino entrò nel cortile di casa sua oltrepassando lo steccato in legno, vedendo subito suo zio Kostas intento a lavorare, concentrato come al suo solito; poco distante da lui, un asino brucava un rado cespuglio d’erba quasi al limitare con la staccionata.

 

-Ciao, zio!-

 

Salutò Kendeas sedendosi su una panca in legno vicino al parente.

Stette un po’ ad osservare le mani ormai esperte dello zio lavorare quello che alla fine avrebbe dovuto essere un vaso di argilla, bagnarlo intingendo le mani in una ciotola d’acqua accanto a lui e ritornare a modellarlo con estrema attenzione.

Lo zio Kostas aveva barba e capelli scuri, e la pelle scottata dal sole per via della sua abitudine di lavorare all’aperto nei giorni d’estate.

Il viso e le mani erano increspati da piccole rughe, e la schiena gli si era con il tempo incurvata a causa della posizione che assumeva nel lavorare, chino sulla sua opera quasi cercasse di nasconderla da occhi indiscreti.

 

-Ciao, nipote-

 

Gli rispose.

Aggrottò le folte sopracciglia per un attino, rifinendo il bordo del vaso con un particolare arnese fino a ridurlo di spessore.

Appoggiò la sua nuova creazione accanto ad altre già messe ad asciugare e si voltò a guardare il nipote.

 

-Dove sei stato? Ti ho visto uscire-

 

Kendeas annuì, e gli raccontò del proprio incontro con Saga, della sua promessa di rivedersi tra sei anni, e gli chiese cosa mai poteva tenere una persona impegnata per tanto tempo.

Lo zio lo ascoltò con interesse, passandosi alla fine una mano sulla barba.

Si appoggiò allo schienale della sedia con un lungo sospiro.

Sul viso aveva un sorriso appena accennato.

 

-Ragazzo, credo che tu abbia appena incontrato un apprendista Saint-

 

-Un apprendista cosa?-

 

-E’ una storia lunga, Kendeas- lo zio si appoggiò i gomiti sulle ginocchia, sporgendosi verso di lui –immagino tu sappia che, spesso e volentieri, gli Dèi amano immischiarsi nelle sorti degli umani, far parte delle battaglie mortali lottando in modo da portare la vittoria ai loro favoriti e modificare il corso degli eventi secondo il loro volere. Si dice che una Dea in particolare scenda sulla terra ogni qualvolta il male minacci il pianeta: si tratta di Athena, la Dea della guerra e della saggezza, dell’arte strategica in battaglia. Con la sua comparsa anche un buon numero di ragazzi destinati a formare il suo esercito si fa avanti. Non si tratta di uomini come gli altri: i Saint, così vengono chiamati, Santi capaci di riportare la pace, possiedono una forza fuori dal comune, sono capaci di disintegrare intere montagne  con la sola forza di un pugno, e di molto altro-

 

“Accidenti!” venne da pensare al bambino mentre il racconto proseguiva “Davvero Saga sarà capace di fare tutto questo?”.

 

-Ma allora, zio, quando tra sei anni rivedrò quel ragazzo lui sarà in grado di fare quello che hai appena detto? Non mi prendi in giro?-

 

-Certo che no. Suppongo che, trascorso il tempo stabilito, scoprirai da solo di quali poteri il tuo amico sarà dotato-

***

A volte quei sei anni erano sembrati un’eternità, altre invece scorrevano con una velocità impressionante.

Non passava giorno in cui, complici i racconti di Kostas, Kendeas non si ritrovasse a pensare a Saga, a come sarebbe stato il loro incontro dopo tanto tempo, a come l’avrebbe rivisto tanto cambiato dopo il lungo addestramento.

Spesso ci rifletteva con trepidante attesa, altre invece con imbarazzo: messo a confronto con uno dei leggendari Saint di Athena, lui non era altro che una nullità; Saga avrebbe davvero voluto perdere tempo con lui?

E se si fosse dimenticato dell’appuntamento?

Avrebbe di certo avuto altro a cui pensare, che ad una promessa fatta tra bambini.

Con quel pensiero, il giorno stabilito Kendeas si avviò verso il luogo dell’appuntamento.

Arrivato sotto il vecchio albero di fichi si ritrovò a sorridere ripensando all’incontro con Saga; si sedette con la schiena appoggiata contro la corteccia ruvida, in attesa.

Lui stesso era cambiato dal giorno in cui si erano conosciuti: non si pensava robusto come l’amico avrebbe dovuto di certo essere, eppure il lavoro appreso nel laboratorio dello zio gli aveva fatto sviluppare i muscoli delle braccia, sempre in movimento nel lavorare i blocchi di argilla, e le sue mani erano diventate col tempo veloci e robuste ma al contempo delicate e dal tocco leggero.

I capelli gli erano cresciuti diventando folte onde scomposte formate da ciocche bionde; gli occhi verdi cambiavano sfumatura in base al tempo: si scurivano virando verso incredibili sfumature grigio-azzurro quando il cielo preannunciava pioggia, mentre se la giornata era serena il verde chiaro prendeva il sopravvento su ogni altro colore.

“Non verrà” si disse ancora una volta, staccando un filo d’erba e rigirandoselo tra le dita “lo aspetto solo perché gliel’ho promesso, ma non posso certo sperare che un Saint possa venire meno ai suoi doveri solo per un appuntamento dato da bambini”.

Il tempo passava, si stava avvicinando l’orario stabilito.

Kendeas aveva spezzettato il filo d’erba e l’aveva gettato via con fare distratto, staccandone subito dopo un altro per metterlo fra le labbra e rigirarselo nervosamente tra i denti.

L’orario era più o meno quello, e nessuno si faceva avanti, come già previsto dal ragazzo.

Passarono altri minuti, e neanche un lontano rumore di passi, non una voce, convinse Kendeas dell’arrivo di Saga.

Attorno a lui regnava la pace sovrana, interrotta di tanto in tanto dal volo di un uccello tra le foglie degli alberi o dal movimento di queste ultime ad un raro soffio di vento.

E, proprio quando il ragazzo aveva abbandonato un po’ le speranze, si sentirono dei passi avvicinarsi ed una voce calda e familiare provenire dalle sue spalle.

 

-Allora sei venuto davvero-

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Siete giunti fin qui?

Ma bravi, allora la storia non è un fiasco totale xD

Ora vi spieghiamo un po’ com’è nata l’idea: dunque, abbiamo notato che quando si tratta di storie romantiche i Saint sono sempre accoppiati tra di loro (coppie canoniche Saga x Aioros, Milo x Camus ecc…), oppure se ci sono personaggi originali che si innamorano o che finiscono accoppiati come le carte del Memory sono sempre femmine; allora abbiamo pensato: “Ecco cosa manca! Una storia dove il personaggio originale sia un altro maschietto *fiocco blu*”.

E così abbiamo creato Kendeas(: non è carino? xD -> idea stupida di Mako).

Ovviamente se qualcuno avesse già scritto una storia come questa fatecelo sapere, perché noi non ne abbiamo notate, ma potrebbero sempre esserci sfuggite.

Va bene, grazie per l’attenzione, al prossimo capitolo.

P.S: Il titolo è una citazione di Confrontation, che è una canzone del musical “Les Misèrables”, dato che Mako è una pazza fissata con quella roba lì <.<

 

Mako e Rory

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Capitolo 2
*** Un Dio in terra ***


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Anàmesa Étoi – Across the Years

 

2 – Un Dio in Terra

 

-Saga?-

 

Il ragazzo che si trovava davanti a lui era Saga senza ombra di dubbio: Kendeas aveva subito riconosciuto i suoi occhi azzurro-verdi ed i capelli, molto più lunghi dell’ultima volta, lisci e lasciati sciolti dietro la schiena esattamente come li ricordava; i vestiti erano simili a quelli che indossava la prima volta, salvo essere di certo più grandi per adattarsi al nuovo assetto fisico del ragazzo.

Anche se aveva solo tredici anni Saga sembrava di gran lunga più grande, con il fisico molto più solido del suo, le spalle larghe e la schiena ben dritta.

E poi c’era il suo sguardo, quello che Kendeas aveva reputato fin troppo serio già quando si erano visti sei anni addietro: adesso, forse grazie all’età, non sembrava più fuori posto con il resto della sua immagine, sembrava però in qualche modo più profondo, come se potesse scrutarti dentro.

Kendeas si ritrovò a pensare che quegli occhi gli piacevano: erano calmi, saggi, pronti ad accogliere i tuoi segreti e non rivelarli a nessuno.

Sulle labbra di Saga si dipinse un leggero sorriso come per dargli il benvenuto.

Lui si alzò.

 

-Certo che sono venuto. Te l’avevo promesso-

 

-Lo so, è solo…-

 

Saga lasciò cadere la frase scuotendo la testa, destando però la curiosità dell’amico.

 

-Cosa?-

 

-E’ strano- riprese Saga, assorto, inclinando il capo da un lato –che qualcuno, al giorno d’oggi, presti fede ad una promessa fatta tanti anni fa. Tutto qui-

 

Si sedette e Kendeas fece altrettanto, indicandolo appena con un cenno del mento.

 

-Io credevo che tu  non venissi, piuttosto. Devi avere molto da fare, adesso che sei un Saint-

 

-Io mantengo le mie promesse. Come te, del resto. Inoltre, vedo che conosci la mia posizione di Cavaliere-

 

-Esatto- Kendeas annuì accorgendosi di avere ancora il filo d’erba tra le labbra. Lo soffiò prima di riprendere a parlare –me ne ha parlato mio zio. All’inizio mi sembrava assurdo, sai, che una Dea venisse sulla terra per combattere il male e che come suoi guerrieri scegliesse proprio degli uomini. Ripensandoci, però, non è così sbagliato: si dice che l’animo dell’uomo sia fondamentalmente buono e che agisca secondo la verità assoluta ispirata dagli Dèi, quindi se davvero Athena guida i suoi combattenti non può essere per altro se non per una giusta causa, ovvero eliminare il male dalla terra. Ho capito bene?-

 

Saga lo guardava stupito, con un leggero piacere che gli aleggiava sul viso, dovuto senz’altro a quelle parole –Hai capito benissimo. Dimmi, hai per caso seguito studi filosofici? Da coma parli sembrerebbe di sì-

 

-In realtà…- Kendeas si portò una mano alla nuca, imbarazzato –ho frequentato la scuola il tempo necessario ad imparare a leggere, scrivere e fare i conti. Poi mi sono ritirato perché dovevo aiutare mio zio con il lavoro. Però leggo. Di tutto e di più, e ti dirò: sulla filosofia hai indovinato. È impressionante constatare quanti pensieri e teorie tutte diverse possano scaturire attraverso un solo argomento-

 

-E’ la vita- sentenziò Saga con una scrollata di spalle –non esiste una verità assoluta, ma se ne possono trovare di innumerevoli-

 

-Già, anche io la penso così-

 

Nessuno dei due portò avanti la discussione.

Restarono entrambi a scrutarsi, come la prima volta, a metà tra l’imbarazzo e la curiosità di scoprire di più sull’altro, e non sapendo da dove cominciare.

Attorno a loro, persino la calma del frutteto sembrava in attesa, silenziosa, di una parola da parte di uno dei due.

Saga gettò uno sguardo verso la direzione opposta dalla quale era arrivato, verso la zona abitata dalla quale Kendeas aveva detto di venire, spostando poi gli occhi sul ragazzo.

 

-Hai detto che lavori. Di cosa ti occupi? Commercio?-

 

-In un certo senso… vedi, i miei genitori si sono trasferiti in città per cercare un lavoro migliore. Io ero troppo piccolo per seguirli, nessuno avrebbe potuto occuparsi di me, così sono rimasto qui con mia nonna Ifighéneia e mio zio Kostas per imparare il mestiere. Lui si occupa di manifattura, è uno tra i migliori nel suo campo, mi ha insegnato tutto quello che so. Lavora soprattutto con l’argilla, riesce a fare di tutto e di più per poi immettere le sue opere nel mercato. Se sono di buona qualità si riesce a guadagnare discretamente-

 

-Sembra interessante-

 

Commentò Saga.

Kendeas lo guardò alla ricerca di qualcosa che indicasse del sarcasmo sul suo viso, ma non trovò nulla.

Si fece coraggio, deciso a non lasciare cadere l’argomento come la volta prima: non voleva dare l’impressione del perfetto impacciato.

 

-Ti piacerebbe provare?-

 

Quella volta fu il turno di Saga di squadrarlo per capire se scherzasse o meno.

Si guardò le mani quasi pensasse che non fossero adatte a quel genere di lavoro e sembrò riflettere sulla proposta come se si trattasse di una questione di massima importanza, infine sorrise al ragazzo di fronte a lui.

 

-Perché no?-

 

Si diressero verso casa di Kendeas e durante il tragitto il biondo gli diede quelle poche dritte necessarie su come lavorare dell’argilla per ottenere un risultato accettabile.

Quando varcarono il cancello qualcosa colpì piano Kendeas al braccio, emettendo un verso basso: l’asino ragliò di nuovo in direzione di Saga e tornò a brucare dell’erba sul terreno vicino a loro.

Kendeas gli passò una mano sulla schiena.

 

-Bè, credo sia d’obbligo la presentazione: lui è Atlas-

 

-Atlas?- Saga sollevò un sopracciglio, divertito –quell’ Atlas? Quello della miologia greca?-

 

-Esatto, il titano costretto da Zeus a sostenere sulle proprie spalle l’intera volta celeste-

 

-E l’hai chiamato così perché…-

 

Completarono in coro –è abituato a portare grandi pesi sulla schiena!-

 

Il ghiaccio iniziale si era un po’ sciolto ed i ragazzi erano adesso di gran lunga a proprio agio.

Kendeas guidò l’amico nel laboratorio dello zio, una costruzione in legno collegata alla casa per mezzo di una spaziosa tettoia e sorretta da delle pareti anch’esse in legno, e si mise d’impegno a radunare tutto ciò che sarebbe servito per creare qualcosa da un anonimo panetto di argilla.

Mostrò un cubo grigio a Saga, dando inizio alla spiegazione.

 

-Tutto parte da qui. Non è difficile, basta prenderci la mano- porse l’argilla all’altro e continuò –prima di tutto devi individuare cosa vuoi che esca fuori-

 

Saga si rigirò il cubo tra le mani, pensieroso.

Scosse la testa, arricciando le labbra in segno di indecisione.

 

 –Non ne ho idea. Cosa faresti al mio posto?-

 

-Perché non provi con una statua di Athena?-

 

Il Saint dei Gemelli rifletté su quell’ipotesi: non aveva mai maneggiato dell’argilla, prima di allora, e dubitava del risultato.

Già il calore delle sue dita, unito alla presa salda del Cavaliere, aveva iniziato ad ammorbidire il cubo che si ritrovava tra le mani facendogli quasi perdere la presa.

Annuì, e cominciarono a lavorare; Kendeas lo guidava passo passo rivelandogli i segreti del lavoratore ormai esperto, consigliandolo su quando inumidire il materiale e come utilizzare al meglio gli strumenti da lavoro.

Saga non si era mai sentito impacciato come in quel momento, mentre seguiva le istruzioni del ragazzo accanto a lui con fare incerto e poco professionale.

Kendeas si fece avanti con timidezza, gli sfiorò una mano e chiuse le dita sopra le sue per fargli impugnare meglio un piccolo strumento per intagliare i dettagli.

 

-Guarda…- si piegò avvicinandosi ancora a lui per avere una visuale migliore, guidandolo nel gesto –deve essere un movimento unico, altrimenti lo rovini. Così, ecco. Hai visto? Non è difficile, basta abituarsi-

 

Si bagnò di nuovo le mani e lavò via i trucioli in eccesso.

Guardò di sottecchi Saga: era concentrato, assorto nel lavoro, ma gli sembrava che… no, forse era stata solo un’impressione.

Un gioco di ombre.

Più che la statua sbozzata, Saga sembrava guardare le loro mani, bagnate ed incrostate di argilla secca, di nuovo l’una sull’altra, con un misto di incertezza e stupore negli occhi.

Kendeas pensò che forse non avrebbe dovuto prendersi tutta quella confidenza.

Forse gli dava fastidio, si ritrovò a pensare.

Tossicchiando per dissimulare l’azione, il ragazzo lasciò scivolare via la mano da quella del Cavaliere, concentrandosi sulla statua per evitare di andare alla ricerca degli occhi di Saga e studiare la sua reazione a quel gesto.

D’altronde, cos’avrebbe dovuto fare di particolare?

Continuò ad istruirlo rimanendo a distanza di sicurezza fino a quando il lavoro non fu terminato.

Saga sollevò la statua e labbra gli si incresparono in una mezza smorfia, le sopracciglia tracciarono due archi al di sopra degli occhi.

 

-Oh, bè… ti avevo detto che non sapevo cosa sarebbe uscito fuori-

 

In effetti, più che una statua della Dea Athena, quella tra le mani di Saga sembrava più una creazione primitiva.

Ma Kendeas scosse la testa.

 

-Non dire così. È… bella-

 

Contro tutte le sue aspettative, Saga scoppiò a ridere, anche quella volta una risata sincera e priva di cattiveria.

Lo guardò sollevando appena la statua.

 

-Bella, questa? Tu sei matto, Kendeas!-

 

Lui sollevò l’indice –Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace-

 

Citò con fare saccente.

Saga gettò un’occhiata alla statua, e tornò a studiare lui.

Un leggero sorriso gli era rimasto sul viso, e l’intensità del suo sguardo sembrava calamitare quello dell’altro in modo irreversibile.

Kendeas si ritrovò a tentennare davanti a quegli occhi, gli sembrava di non poterne sostenere la vista per più di qualche secondo senza che una leggera nota di imbarazzo si facesse avanti con sempre più insistenza.

 

-Dovevo aspettarmi una risposta simile- commentò Saga alla fine –da uno come te-

 

-E’ un complimento?-

 

Anche quella volta la risposta si fece attendere.

Saga lo squadrava con il capo appena inclinato a sinistra, i lunghi capelli gli scivolavano sulla spalla come una cascata azzurro acceso.

Con la luce del sole alle sue spalle sembrava quasi circondato da una propria aura luminosa.

“Un Dio…” fu l’improvviso pensiero di Kendeas “è questo che sono i Saints: Dèi dalle emozioni umane, è così che vengono descritti. Un Dio in terra, ecco cos’è. Ma perché mai un Dio dovrebbe stare qui, con me? Perché io?”.

Era un pensiero stupido, lo sapeva.

Ma per quanto si sforzasse di ricacciarlo indietro, quello trovava sempre il modo di tornare.

 

-Sì- la risposta di Saga lo riscosse –sì, Kendeas, direi che è un complimento-

***

Per essere un Dio, Saga aveva senza dubbio molto più tempo libero a disposizione.

Dopo il loro secondo incontro era passato molto meno di sei anni; lui e Kendeas si vedevano quasi ogni giorno, sotto l’albero di fichi ormai diventato il loro luogo speciale.

Ed ogni giorno portavano avanti discussioni diverse, tutte di vario genere, che spaziavano dalla filosofia alla storia dell’arte per poi virare verso argomenti più comuni come le loro giornate quotidiane, cosa facevano, cos’avrebbero voluto fare, e perché.

 

-Vorrei essere come te- Saga alzò lo sguardo sull’amico; si girò su un fianco posando il peso sull’avambraccio –vivere alla giornata, fare quello che vuoi, quando vuoi. Non rimpiango il mio ruolo di Saint, a volte però… è una grande responsabilità, sai. Pensieri, ordini, il massimo rispetto delle regole. La mia vita è tutto un programma delineato. A volte mi piacerebbe dell’avventura-

 

-Hai del tempo libero, no?-

 

-Sì, che passo con te. Dovresti saperlo-

 

Saga vide Kendeas rabbuiarsi.

Era stato solo un vago aggrottamento di sopracciglia ed un’ombra di dubbio gli aveva attraversato lo sguardo per un solo istante, ma tanto era bastato.

Aveva imparato a conoscerlo, in quei giorni, ed ora lo capiva senza il bisogno che lui parlasse.

Kendeas era una di quelle persone alle quali poche volte riusciva di nascondere il proprio stato d’animo al prossimo, e l’essere Cavaliere c’entrava poco con l’individuare la più minima sfumatura d’umore nel compagno.

Era una cosa che si sentiva dentro.

Una cosa che era andata crescendo da quando l’aveva conosciuto, e che l’aveva aiutato più volte a capire davvero quello che Kendeas voleva dire senza doverci ragionare su.

Si sentiva in armonia, con lui.

Con lui come con nessun’altro ragazzo, neanche con i suoi compagni al Tempio si era formato quello strano vincolo silenzioso.

Dal canto suo Kendeas cercò come meglio poté di dissimulare quel suo improvviso cambio d’umore; non sapeva cosa gli fosse preso, perché la frase di Saga gli avesse messo addosso una sorta di agitazione inspiegabile.

E le parole gli uscirono dalle labbra prima che potesse fermarle.

 

-Non ti costringo affatto a stare con me. Puoi anche andare-

 

Sul viso di Saga passò un lampo di disappunto –Ma cosa dici?-

 

Kendeas si sentì avvampare, dandosi dello stupido.

Scrollò le spalle con noncuranza rivolgendo lo sguardo al cielo, chiedendosi coma mai gli fosse preso.

 

-Kendeas…-

 

Si era ripromesso di mostrarsi calmo e misurato, ma non poté trattenere un sussulto quando la mano di Saga si poggiò leggera sulla sua.

Il suo sguardo cadde sulle loro dita, unite come la prima volta quando Saga era andato a casa sua, e venne alzato di proposito solo per incontrare le iridi splendenti di Saga.

 

-Tu non mi costringi in alcun modo. Sono io a voler restare qui. E lo faccio perché è qui che voglio stare. Capito?-

 

Era serio.

Troppo serio, o forse era Kendeas a vederlo così deciso.

Rilassò la mano sotto il tocco di Saga ed annuì, non sapendo cosa rispondere, o come farlo senza che la sua voce gli giocasse dei brutti scherzi.

Rimasero lì ancora a lungo, a tenersi la mano in silenzio, in un gesto così semplice da non avere bisogno di parole.

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Et voilà, come butta?

Piaciuto il capitolino?

Speriamo che la storia proceda bene e che vi piaccia ^^

 

Creamy Lisa: Ciao carrra ^^

Felici che ti sia piaciuta la storia ed il nostro Kendeas, almeno un obiettivo è stato raggiunto J

Quante cose dovranno dirsi sotto quel fico, eh, quante cose, già hanno iniziato e siamo solo all’inizio :3

Grazie per aver messo la storia tra le seguite, speriamo continui a piacere ^^

Alla prossima =D

P.S.: ndr Rory – ok, mi scuso in partenza per i disegni ma saranno uno per ogni capitolo, preparatevi xD

 

Al prossimo aggiornamento, gente!

 

Mako e Rory

 

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Capitolo 3
*** Obbligo o Verità? ***


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Anàmesa Étoi – Across the Years

 

3 – Obbligo o Verità?

 

-Da quanto sei qui?-

 

Kendeas abbassò lo sguardo dal ramo sul quale era stravaccato: Saga aveva lo sguardo sollevato per riuscire a guardarlo, in attesa di una risposta.

Il ragazzo sollevò una buccia di fico per mostrarla all’altro.

 

-Vuoi sapere se te ne ho lasciati?-

 

Dal basso Saga sorrise –Mi hai scoperto-

 

-Ma certo- Kendeas staccò un frutto ben maturo da un ramo vicino e lo fece cadere. Saga lo afferrò al volo con una mano –non vorrei mai essere il responsabile della tua morte per astinenza da fichi-

 

-E allora lanciamene un altro, no?-

 

Kendeas gli rivolse un mezzo ghigno cospiratore.

Si sporse appena dal ramo simulando un’aria di superiorità.

 

-Chiedimelo con gentilezza-

 

Vide Saga mettere su un finto broncio per soffocare un sorriso sul nascere.

Il Cavaliere dei Gemelli sollevò le mani come per confermare una resa e gli rivolse uno sguardo implorante.

 

-Ti prego, Divino manifatturiero, posso avere l’onore di ricevere un frutto dalle tue eteree mani?-

 

Non riuscendo a mantenere l’espressione composta da vera Divinità Kendeas si concedette una spontanea risata; staccò due fichi dall’albero scegliendoli con la massima cura e li consegnò al Saint.

Saga li soppesò tra le mani, fingendosi sorpreso.

 

-Addirittura due? Sono stato graziato-

 

Kendeas si sedette sul ramo, stirandosi i muscoli: il legno era un divano piuttosto scomodo.

Staccò una foglia che gli pendeva appena sopra la testa e si mise a giocarci rigirandosela tra il pollice e l’indice in attesa che Saga finisse in pace i suoi meritati frutti.

Si era diretto verso l’albero dell’appuntamento un po’ prima del previsto ed era rimasto in attesa di Saga, immerso nella pace del campo, a riflettere sugli ultimi giorni trascorsi.

A riflettere su come si era sentito qualche giorno addietro, quando aveva pensato che Saga lo stesse accusando di sottrargli il tempo libero a disposizione, anche se dal tono del Cavaliere si intendeva bene che quelle parole non volevano essere un’accusa di nessun genere.

E a riflettere su come, subito dopo, quando Saga gli aveva detto in modo non tanto esplicito di voler stare con lui, si era sentito liberato dal peso che la prima affermazione gli aveva fatto crollare addosso.

A riflettere su cosa significasse tutto quello.

Si sentiva incredibilmente stupido solo a ripensarci.

Perché si fosse tanto arrabbiato per un’esclamazione del tutto innocente.

Perché, ogni volta che si trovava con Saga, qualsiasi cosa facesse gli sembrasse così fuori luogo e poco adatta alla situazione.

Ed ogni volta, dopo tutte quelle domande, si chiedeva se Saga provasse le stesse cose o se le sue erano solo inutili paranoie.

 

-Terra chiama Kendeas!-

 

Riabbassò lo sguardo: Saga giocherellava con le bucce dei fichi diventate un'unica pallina appiccicosa.

I suoi occhi verde-blu lo squadravano in attesa di risposta.

 

-Cosa?-

 

-Ti ho chiesto se hai intenzione di scendere da lì o se hai messo le radici come Daphne-

 

-Potrei anche offendermi: ti sembro una ninfa?-

 

E Saga gli sorrise ancora –Dammene la prova. Sicuro di non volere aiuto?-

 

-Lo so, lo so- Kendeas annuì come ad una raccomandazione ricevuta già dieci volte –se cado mi faccio male. Me lo hai detto già la prima volta. Ce la faccio, davvero-

 

Forse per uno strano scherzo del destino, forse perché l’equilibrio di Kendeas era peggiorato nel corso degli anni, proprio come la prima volta i due finirono l’uno sull’altro in uno strano ricordo del loro primo incontro.

Ecco: adesso Kendeas aveva un buon motivo per sentirsi un perfetto stupido.

Si sollevò sui gomiti per permettere a Saga, sgraziatamente schiacciato sotto di lui, di respirare.

 

-Oh, diamine!- protestò il ragazzo –E questa è la seconda volta che ti cado addosso! Si può essere più imbranati…?-

 

Sentendosi come se gli avessero dato fuoco alla faccia Kendeas si arrischiò a sollevare lo sguardo per fronteggiare la sicura ira di un Gold Saint atterrato in meno di un minuto da qualcuno disarmato, tra l’altro senza la minima intenzione di metterlo al tappeto.

Si aspettava che Saga gli dicesse qualcosa, da un gentile “Levati di dosso” ad un diretto “Preparati a morire”.

Invece non gli arrivò una sola parola.

Saga lo guardava, non meno sorpreso ed imbarazzato di lui, con un misto di stupore e perplessità negli occhi illuminati appena dalla luce filtrante dalle foglie sopra di loro.

A quel punto Kendeas avrebbe dovuto scusarsi ed alzarsi sparendo dalla circolazione in meno di un nanosecondo.

Invece rimase lì per quella che gli sembrava un’eternità, a guardare da ogni singola angolazione il viso a pochi centimetri dal suo, e studiare con nuovo interesse gli occhi, la loro forma, l’azzurro ed il verde che si mescolavano attorno alla pupilla nero inchiostro, gli zigomi seminascosti da ciocche ribelli, la curva scolpita del mento fino a soffermarsi più del dovuto sulle labbra.

Cercò di  nuovo gli occhi di Saga e vide che anche lui lo studiava con insolito interesse seguendo il suo esempio.

I loro sguardi si incrociarono per un solo istante.

Qualcosa, nella sua testa, gli diceva di fermarsi e non fare pazzie, alzarsi ed andare a sotterrarsi da qualche parte.

Non aveva la minima idea di quello che stava facendo.

Almeno, non fino a quando la sua bocca non incontrò quella di Saga a metà strada, ed anche allora non seppe dire se lui si fosse spinto troppo avanti o Saga avesse messo del suo avanzando a sua volta.

Ma era mai possibile?

“Staccati” Kendeas sentì una vocina dentro di sé “cosa diavolo stai facendo?”.

Avrebbe voluto allontanarsi.

Davvero.

Magari tra un altro po’, si ripeteva, solo un altro secondo, un altro e basta, e poi si sarebbe alzato ed avrebbe pregato la terra di inghiottirlo.

Ma quel momento non arrivava.

Il momento in cui avrebbe dovuto rimettersi in piedi e sfrecciare via scomparendo per sempre alla vista del Saint dei Gemelli si faceva sempre più lontano, si perdeva nella sensazione e nei brividi che le labbra di Saga gli provocavano, ogni volta in cui si schiudevano tra le sue, ad ogni respiro sul viso, rimandava l’azione ad un “dopo” non meglio specificato, un puntino appena visibile nelle sue priorità.

La bocca del Saint di Gemini era l’unica, vera cosa reale di quel momento, le sue labbra lisce, zuccherate a causa dei frutti mangiati poco prima, e non sapeva se calde per natura o per le stesse emozioni che adesso affollavano l’animo di Kendeas in un continuo turbine di incertezze e nuove responsabilità.

Mai, neanche nei sogni, il ragazzo era riuscito a provare una tale quantità di sensazioni tutte diverse, contrastanti, alle quali seguivano pensieri contraddittori che non facevano altro se non aumentare la sua confusione.

Sentiva una mano di Saga tra i capelli.

Un sospiro, o forse il Saint che pronunciava il suo nome.

Kendeas si allontanò di scatto, avvertendo quel suono come un rimprovero, un invito ad allontanarsi, smetterla, rispettare i loro ruoli.

Mentre riprendeva fiato studiò il viso di Saga: non sembrava arrabbiato o contrariato, più che altro sorpreso, sembrava cercare qualcosa da dire.

Non gliene diede il tempo.

Si alzò con un unico movimento rischiando di perdere l’equilibrio e cadere di nuovo e fece alcuni passi indietro passandosi d’istinto una mano sulle labbra.

Saga si alzò a sua volta.

Aprì la bocca per parlare, ma non ne ebbe il tempo.

Kendeas gli voltò le spalle e corse via senza più guardarlo.

***

Amore.

L’amore è un sentimento di profondo affetto, complicità a rispetto che viene a formarsi tra due persone.

È un vero e proprio impulso a cui tutti i sensi rispondono, attirandoci verso qualcuno.

Stimola complicità, passione fisica, a volte persino dolore, tutto d’un tratto, tutto insieme, sorprendendoti quando meno te l’aspetti.

Questo ed altro Kendeas aveva appreso sull’amore, questo ed altro gli veniva in mente da quando, due giorni prima, si era lasciato Saga alle spalle convinto di aver osato troppo, di essersi preso una libertà preclusa a qualcuno come lui; da quando, quella notte, si era svegliato più di una volta perché il sogno di quel bacio azzardato dato al Saint d’Oro si era fatto fin troppo vivido e dettagliato, tanto da fargli credere di essere ancora nel frutteto, ancora sopra Saga, ancora una volta combattuto tra la vergogna che quel suo gesto gli provocava ed il piacere che gli veniva reso in cambio.

A questo, poi seguivano altri sogni, strani, impossibili, da non seguire o ricordare una volta sveglio.

In ognuno di questi, Saga lo chiamava.

Non con rabbia.

Non con rimprovero.

Era solo la sua voce, il più delle volte, la sua voce profonda, solo un sussurro, spensierato, forse addrittura… dolce?

“Kendeas…”.

 

-Kendeas!-

 

La voce di sua nonna lo strappò via dalle braccia di Saga regalandogli un brusco risveglio.

Kendeas rispose qualcosa di incomprensibile da sotto le coperte, rigirandosi su un fianco per dare le spalle alla finestra, sgradita fonte di luce.

 

-Santo Cielo, che ti prende, ragazzo? Sono già le dieci e tu non sei in piedi. Stai male?-

 

Lui si arrischiò a sollevare un braccio per scrutare la donna in piedi di fronte al letto: di piccola statura, gracile ma con una forza insospettabile, il viso spigoloso; indossava un vestito color indaco e sopra un grembiule bianco.

Scosse la testa rimanendo però sommerso dalle coperte, sperando che la nonna non partisse con uno dei suoi interrogatori.

 

-Hai dormito di nuovo con la finestra aperta, non è vero?- ecco, era tardi –Certo che poi stai male-

 

La donna avanzò e chiuse le imposte.

Kendeas voleva dirle che la finestra non c’entrava nulla, anzi, quella era l’ultimo dei suoi problemi, ma poi avrebbe dovuto dire troppe cose.

Come si giustificava?

“Ho baciato uno dei Sacri Guerrieri di Athena ed ora aspetto che una folgore punitrice mi colpisca”?.

No, era meglio far credere alla nonna di stare male, almeno fino a quando non avesse trovato una scusa più credibile per quella sua improvvisa fiacchezza.

 

-Io e tuo zio andiamo in città questo pomeriggio- lo informò lei –ma se non ti senti bene potrei restare con te-

 

Le vendite in città rendevano molto di più, per questo motivo Ifighéneia e Kostas vi si recavano almeno una volta al mese.

Kendeas rimaneva al villaggio perché qualcuno doveva pur badare alla casa ed al lavoro al tempo stesso, ed i parenti non avevano più la vitalità di una volta.

 

-No- si degnò di riemergere da sotto il lenzuolo –sto bene. Andate pure-

 

-Sei sicuro?-

 

-Assolutamente-

 

La nonna lo studiò a lungo, pensierosa, ma infine annuì e lasciò la stanza.

Kendeas gettò le coperte da un lato e rimase disteso a fissare il soffitto a lungo, perso negli ultimi residui di un sogno ormai non troppo chiaro.

L’unico dettaglio rimaneva lui.

Saga.

Amore.

L’amore romantico ha un significato differente dal profondo affetto verso di una famiglia o un oggetto.

L’amore romantico è quello che lega due persone attraverso un profondo senso di passione e fedeltà, indissolubile anche a distanza di anni.

Pothos, era il termine esatto.

Ciò che si desidera.

Ciò che si sogna.

E lui sognava Saga.

E, aveva paura di ammetterlo, anche solo di pensarlo, ma lo desiderava.

Lo desiderava da quando aveva poggiato le lebbra sulle sue, anzi, da molto prima, da quando le loro mani si erano sfiorate l’un l’altra ed aveva avvertito quella strana scossa interiore alla quale non aveva fatto caso se non in quel momento.

In pochi giorni la sua vita era stata scandita da una serie di termini fondamentali, pochi ma concisi.

Saga.

Amore.

Pothos.

Desiderio.

Era assurdo.

Saga non avrebbe voluto neanche più vederlo dopo ciò che era successo.

Perché continuare ad illudersi o giustificarsi attraverso lo studio della lingua?

Kendeas si alzò di malavoglia, si vestì, non pensò neanche di mangiare qualcosa e si chiuse nel laboratorio dello zio.

Prese un nuovo blocco di argilla, non potendo fare a meno di guardare la scultura di Saga, quella che rappresentava Athena, ricordando quando il Saint gli aveva detto di tenerla, e scherzando lo aveva sfidato a venderla a qualcuno.

Si sedette, guardando il grigio monotono del materiale tra le sue mani.

Lavorare l’aveva sempre distratto.

Alzò un piccolo scalpello, ed incise la prima linea.

Rimase lì a lungo, incideva in automatico e quasi non vedeva ciò che le sue mani andavano via via creando, rincorrendo pensieri lontani e diversi nel tentativo di distrarsi.

Prese una decisione: già il giorno prima non si era diretto verso l’albero dei fichi, e si era ripromesso di non farlo mai più.

Non voleva affrontare Saga, neanche dopo diversi giorni dall’accaduto, ed in fondo non credeva neanche che il Saint l’avrebbe più cercato.

Erano pari.

Era stato un incontro come gli altri, un’amicizia che da quel momento in poi sarebbe durata a distanza o si sarebbe spenta con il passare del tempo.

Fine.

Lavò la nuova scultura quando ormai era quasi ora di pranzo, ed alla fine le diede la prima, vera occhiata.

Quella che si trovava tra le mani era la statua in miniatura di un ragazzo dal fisico perfetto, eretto in piedi, il peso poggiato su una gamba come uso degli efebi di Policleto.

Quel ragazzo aveva i capelli lunghi, sciolti sulla schiena, incredibilmente realistici.

E sorrideva.

Quella che si trovava tra le mani era una statua di Saga.

Era perfetta, molto più di qualsiasi lavoro fatto fino a quel momento, ed era incredibile constatare quanto fosse riuscita bene senza neanche un modello al quale fare riferimento.

Ma Kendeas non ne aveva bisogno.

Conosceva Saga alla perfezione nonostante si fossero frequentati per pochi giorni.

Sorrise alla statua.

Ed un pensiero non meno strano di quelli precedenti si fece avanti con incredibile spontaneità.

“Pothos. Saga, amore mio”.

***

Bussavano alla porta.

I suoi parenti se n’erano andati già dal pomeriggio prima, improbabile che Kostas fosse tornato dopo così poco tempo.

“No… per favore”.

 Kendeas si rotolò con fare pigro sul letto, chiedendosi chi mai potesse bussare alla sua porta a quell’ora di pomeriggio; di solito i negozianti si rinchiudevano nelle rispettive abitazione per riposarsi un po’ prima del lavoro pomeridiano.

Altri colpi, stavolta più decisi.

Kendeas si tirò in piedi sospirando, dirigendosi verso la porta.

“Spero che tu abbia un buon motivo per venire a disturbare la gente a quest’orario indecente!”.

Rimase per un po’ con la mano sulla maniglia, incerto se aprire o far finta che in casa non ci fosse nessuno.

Fu tentato dall’idea: se le persone prendevano l’abitudine di far visita a tutte le ore, addio tranquillità.

Ma poteva sempre essere un potenziale cliente a cui serviva un’ ordinazione urgente.

Si arrischiò ad aprire uno spiraglio necessario a vedere chi mai fosse il disturbatore e se valesse la pena di proporgli una ripetizione gratuita di come funzionasse l’orologio.

Quello davanti a lui non era un disturbatore qualsiasi, men che mai qualcuno che volesse commissionare qualche lavoro.

I suoi occhi cangianti lo scrutavano attraverso la porta semiaperta; sembravano preoccupati.

 

-Kendeas?-

 

-S-Saga… ma cosa…?!-

 

Il Saint scrutava ancora all’interno dell’abitazione quasi cercasse qualcuno nascosto nell’ombra.

Lo guardò perplesso, forse appena risentito.

 

-Scusa se sono venuto fin casa, però… volevo sapere come stavi-

 

-Come sto?- ripeté lui senza capire –Come dovrei stare?-

 

-Lo sai, no?- gli occhi di Saga gli chiedevano con insistenza il permesso di entrare –Non sei più venuto al nostro appuntamento. È da un paio di mattine che ti aspetto, e non ti sei fatto vivo. Pensavo stessi male, così sono venuto a controllare-

 

“Non prenderlo come un rimprovero per non esserti più fatto vivo”.

Si ammonì Kendeas cercando disperatamente qualcosa di valido con cui ribattere.

Nessuna scusa –forse proprio perché era una scusa e non corrispondeva alla realtà-, gli sembrava reggere più di tanto, e lo sguardo di Saga in attesa della sua risposta non facevano altro, anche se in modo involontario, se non aumentare la sua agitazione.

Amore.

L’amore era anche quello: rimanere impacciati e boccheggianti davanti alla persona desiderata.

Così, come spesso faceva in più occasioni, rinunciò alle menzogne e decise di dire la pura e semplice verità.

 

-Ho pensato fosse meglio sparire. Tutto qua-

 

-Sparire?-

 

Benché ormai al massimo dell’imbarazzo, Kendeas fece cenno al Cavaliere di entrare in casa: non era il caso che qualcuno li vedesse a complottare.

Si sedettero in cucina, uno di fronte all’altro, Kendeas teneva gli occhi puntati sul legno chiaro del tavolo ovale con un’ostinazione straordinaria.

 

-Che cosa vuol dire sparire?-

 

Chiese Saga rompendo il silenzio della stanza.

Lui alzò gli occhi indugiando tra le iridi acquamarina di fronte a lui e l’arredamento della sala.

Inspirò, trattenne l’aria e la rigettò via sotto forma di un lungo sospiro.

 

-Dopo quello che è successo. Al frutteto. Io… credevo fosse meglio così-

 

-Vuoi dire dopo il nostro bacio?-

 

L’essere Saint impediva l’uso di mezzi termini.

Kendeas si sentì avvampare.

 

-Già che sono qui, vorrei parlare anche di questo-

 

L’artigiano si strinse nelle spalle desiderando che il pavimento si aprisse per inghiottirlo e scaraventarlo nell’Ade, o in qualsiasi altro luogo lontano da lì.

Abbassò di nuovo la testa con un unico scatto deciso.

 

-Kendeas- si sentì sollevare il mento dalle dita di Saga in un tocco privo di rabbia o violenza. Era calmo, e questo lo faceva sperare in bene –voglio che mi guardi in faccia, quando ti parlo. Intesi?-

 

Titubò, annuì reprimendo di nuovo l’istinto di nascondersi a quello sguardo dolce e fiero allo stesso tempo.

 

-Ascolta… fin da quando sono arrivato al Grande Tempio sono stato addestrato per farmi valere in qualsiasi situazione e con qualsiasi avversario. Mi sono dimostrato da subito uno tra i combattenti più dotati da molti, troppi anni, e dal mio primo combattimento tutti hanno iniziato a rispettarmi, più del dovuto. Alcuni mi venerano addirittura. Mi chiamano Dio, Santo, la mia nomina di eroe si è diffusa persino nei villaggi più remoti. Sono sempre stato il Saint dei Gemelli, almeno fino a quando non sei arrivato tu. Tu sei l’unico che riesce a vedere il mio lato umano ed a trattarmi come tale, non una riverenza, non un timoroso rispetto reverenziale. Con te ho un rapporto normale, come lo potrebbero avere due comuni ragazzi della nostra età. Non fraintendere quello che sto dicendo, ma… vorrei che la mia reputazione di Cavaliere non rovini quello che c’è tra di noi. Mi hai sempre considerato un uomo comune e mi hai offerto quello che nessun’altro al mondo si sarebbe mai sognato di darmi: la tua amicizia, il tuo relazionarti con me non tenendo conto del mio ruolo. Questo mi fa sentire bene. Mi fa sentire come se potessi prendere parte anche io della tua vita normale, se posso definirla così. Per cui ti chiedo solo una cosa: non smettere di trattarmi così adesso. Mi ci sono appena abituato, e vorrei continuare a farlo-

 

Non c’era ombra di sarcasmo nella sua voce, né Kendeas ne trovò sul suo viso.

Bene.

Era il suo turno di dire qualcosa.

Se solo fosse riuscito a mettere in ordine le lettere dell’alfabeto in modo coinciso e coerente.

Era troppo quello che gli passava per la mente in quel momento: dalle sue parole Saga gli aveva fatto capire di volerlo ancora come amico, confidente, e non si era dimostrato affatto infastidito dal loro accidentale bacio nonostante non l’avesse detto in modo esplicito.

Allora, cos’avrebbe potuto rispondere, lui?

Cos’avrebbe potuto dire, di sensato, che rassicurasse Saga?

“Non si è arrabbiato, calma, già questo è un grande vantaggio”.

Ma lo era davvero?

Non poteva fare a meno di indugiare con lo sguardo sulle labbra del Saint senza che il desiderio di rifarle sue non si facesse avanti.

 

-Va bene- disse infine, quantomeno per far capire di aver inteso il senso del discorso –va bene, se è questo che vuoi lo farò-

 

Vide Saga annuire appena, sollevato.

Il Saint fece scivolare una mano sul tavolo e si mise a giocherellare intrecciando le sue dita a quelle del ragazzo.

Sembrava pensare a qualcosa mentre i suoi occhi alternavano brevi occhiate alle loro mani vicine e sguardi fugaci alla ricerca delle iridi verdi di Kendeas.

 

-Bene- sospirò infine. Un lieve sorriso amichevole gli era spuntato sulle labbra –cosa si fa il pomeriggio, da queste parti?-

 

-Non c’è molto da fare in realtà. E non credo tu abbia voglia di passare quattro ore in laboratorio-

 

-A creare altri mostri? No, grazie dell’offerta-

 

-Cosa ne dici di giocare ad obbligo o verità?-

 

E quella proposta da dove saltava fuori?

Era di gran lunga la più ridicola che Kendeas avesse mai fatto.

Saga si mostrò interessato: gli rivelò di non avere più fatto quel gioco da quando era arrivato al Tempio.

 

-D’accordo, comincia tu- gli disse Kendeas –cosa scegli?-

 

-Verità-

 

Quello era il momento giusto per porre un punto finale alla domanda che assillava il ragazzo da giorni, e non voleva lasciarselo scappare.

 

-E’ vero che non mi ucciderai per quel piccolo incidente del frutteto?-

 

Saga rise, sotto le onde dei capelli le spalle sussultavano dando vita a quel fiume azzurro –E’ tutto perdonato, fidati. Quante volte ancora devo ripetertelo?-

 

-Era per essere sicuri. Bene, ora tocca a me-

 

-Scegli pure-

 

Kendeas ci pensò su.

Obbligo o verità?

Cosa voleva che succedesse in seguito ad una delle due scelte?

La cosa bella di quel gioco era il fatto di poter approfittare delle circostanze per chiedere cose che nella vita normale non ti sogneresti neanche.

C’erano un’infinità di cose che Kendeas avrebbe potuto scoprire tramite semplici domande, ma non era nella sua natura giocare sporco.

E non scelse nessuna delle due ipotesi.

Si illuminò prima, ricordando all’improvviso qualcosa che aveva visto quella mattina su uno scaffale della sua stanza.

 

-Ho qualcosa per te-

 

Saga lo guardò incuriosito –Davvero?-

 

-Vieni-

 

Lo guidò lungo il corridoio ed aprì l’ultima porta a destra.

Entrò nella stanza e si rigirò nervoso la statua di Saga tra le dita, cercando di pensare a cosa lui avrebbe detto una volta che l’avesse avuta tra le mani.

Non sapeva neanche perché l’avesse conservata in camera sua.

Forse perché Kostas avrebbe potuto scambiarla per qualcosa da vendere, invece Kendeas aveva tutta l’intenzione di tenerla per sé.

O di darla al legittimo modello.

 

-Lo so, mi prenderai per matto- si sedette sul suo letto sempre guardando Saga osservare stupito la sua riproduzione in miniatura –chiamala se vuoi ispirazione Divina-

 

-E’… perfetta-

 

“Come te”.

Saga guardava la scultura con un sorriso quasi affettuoso, passava la punta delle dita sulla superficie levigata a regola d’arte come se accarezzasse qualcosa di unico e prezioso.

Kendeas avrebbe voluto trovarsi sotto quelle dita anche solo il tempo di un tocco.

 

-Puoi tenerla, se vuoi-

 

-Dici sul serio?-

 

Si accorse di sorridere –Ma certo-

 

-Allora la porterò con me quando vado via- e Saga la appoggiò con estrema delicatezza sulla mensola di prima –hai scelto?-

 

Kendeas aveva fatto la sua scelta subito dopo che si era alzato dalla sedia della cucina.

Aveva deciso di arrischiarsi nella parte più ignota del gioco e subirne le conseguenze a testa alta.

Cercò gli occhi di Saga per la prima volta dopo giorni interi passati a desiderare di vederli di nuovo.

 

-Obbligo-

 

Il Saint avanzò verso il letto riflettendo sulla scelta, il capo inclinato a destra.

Si sedette a sua volta vicino all’altro studiandolo da ogni singola angolazione, attento e pensieroso come mai Kendeas l’aveva visto.

Contro le costole il cuore del ragazzo cominciò a battere con più insistenza.

Quell’attesa era qualcosa di misterioso ed ignoto, nessuno avrebbe potuto dire cosa mai si celasse dietro il silenzio del Saint di Gemini.

Saga schiuse le labbra.

 

-Dammi un bacio-

 

Si era ripromesso di non farlo, eppure Kendeas non riuscì a trattenere un’esclamazione di stupore.

Ecco, quello che aveva pensato, forse sperato, sin dall’inizio in un misto di timore e trepidante attesa.

Una richiesta che pensava non sarebbe mai arrivata.

Saga non si scompose alla sua reazione.

 

-Mi hai sentito, no? Ti ho detto che non sono arrabbiato per quello che è già successo. Ed ora voglio che tu rispetti le regole del gioco-

 

Quella volta non c’era nessun ramo a giocare il ruolo principale per dare il via a tutto.

Una distanza molto più breve di quella della prima volta li separava, e questa volta fu il turno di Kendeas di avanzare per fare in modo di rendere la richiesta di Saga, quello che tante volte aveva visto nei suoi sogni, qualcosa di concreto e di nuovo tangibile.

Ogni fibra del suo corpo si tese.

Il contatto più dolce e volontario con le labbra di Saga non arrivò a scatenare di nuovo la paura dopo la raffica di emozioni iniziali, quella volta era tutto diverso, non era più una legge proibita che lui aveva violato, era stata una domanda, una semplice domanda.

“Me l’ha chiesto lui. E’ quello che vuole lui. E’ quello che voglio io”.

Saga gli poggiò una mano sul petto spingendolo con dolcezza fino a farlo distendere del tutto sul materasso, le sue dita scivolarono sotto la stoffa leggera della maglietta, sull’addome, a provocare lunghi brividi lungo i fianchi e la schiena.

L’indumento scivolò via ad un altro movimento del Cavaliere; Saga si staccò da lui il tempo necessario per sfilargli del tutto il tessuto di dosso.

Era inginocchiato su di lui, vicino come solo un’altra volta, i suoi capelli scivolavano sul viso e le braccia del compagno facendogli il solletico ad ogni minimo movimento.

 

-Allora, Kendeas? Obbligo o verità?-

 

Avrebbe dovuto essere lui a rispondere.

Saga aveva saltato un turno ben sapendo quello che faceva.

Voleva una risposta, un qualcosa che gli indicasse cosa fare arrivati a quel punto, voleva sapere se lui condivideva quel suo nuovo approccio o se voleva stroncarlo lì sul nascere.

 

-Verità-

 

-Vuoi che mi fermi?-

 

Pothos.

Era desiderio quella scintilla accesa negli occhi del Saint del Gemelli, desiderio puro e semplice.

Poteva sentilo fremere d’impaziente attesa, scalpitante come un cavallo in attesa di lanciarsi al galoppo.

E lui stesso non voleva tirarsi indietro.

 

-No-

 

Intravide un sorriso aleggiare sulle labbra di Saga; il Saint si chinò di nuovo su di lui, si liberarono dalle vesti gettandole alla rinfusa su tutto il pavimento della stanza.

Il tocco di Saga era leggero, delicato, incerto, le sue labbra tremavano appena nella serie di lenti baci e carezze sul viso, il collo ed il petto.

Sentirlo entrare in lui fu un’esperienza che Kendeas non avrebbe mai più dimenticato.

Le leggere spinte di Saga si facevano man mano più sicure, seguivano il ritmo scandito dai sospiri che avevano riempito la stanza, una cadenza via via sempre più conciata, dolce ma impaziente di trovare l’apice del loro desiderio comune.

Kendeas lo teneva stretto, le mani sulle sue spalle, il viso del compagno nascosto nell’incavo del suo collo.

Sentiva la sua pelle coperta da un leggero strato di sudore.

Continuò così per un indefinibile lasso di tempo fino a quando Kendeas non si rese conto di essere completamente inarcato, proteso verso Saga, le braccia intorno al suo collo, le ginocchia strette ai suoi fianchi.

Si lasciò di nuovo andare seguendo i movimenti di Saga con incredibile naturalezza, fino a quando entrambi, esausti, si strinsero l’uno nelle braccia dell’altro dopo un ultimo bacio.

***

Era di nuovo mattina.

Il tempo sembrava essere volato, dopo il pomeriggio precedente.

Kendeas aveva riaperto gli occhi e guardato subito la stanza quasi per accertarsi che ciò che era successo non fosse stato solo un sogno.

Accanto a lui Saga si mosse, rigirandosi verso di lui e rivolgendogli un sorriso assonnato.

Cercando di dissimulare l’imbarazzo, Kendeas si tirò il lenzuolo addosso quel tanto che bastava per coprirsi, prendendo alcuni profondi respiri, fissando ora i vestiti sparsi per terra, adesso cercando fugacemente lo sguardo di Saga per poi distoglierlo dopo solo pochi attimi.

Appoggiò la schiena al cuscino, fissando qualcosa di invisibile dritto davanti a sé.

 

-Saga…?-

 

Chiamò dopo aver preso coraggio.

Si sentì il suo sguardo addosso, era in attesa della domanda.

 

-Avevi… avevi mai…?-

 

-No-

 

Kendeas si sentì a disagio.

La risposta era stata immediata ma pacata e carca di spensieratezza.

Si voltò in cerca degli occhi del Saint.

 

-Abbiamo sbagliato….?-

 

Saga si sedette a sua volta tenendo fermo il lenzuolo con una mano per impedire al tessuto di scivolare del tutto via, riflettendo sulla domanda.

Incrociò gli occhi dell’artigiano quel tanto che bastava per poter leggere con chiarezza la sua incertezza.

 

-No- gli rispose con sincerità –non credo ci sia nulla di male nel provare dei sentimenti per qualcuno. E tu? Credi che abbiamo sbagliato?-

 

Kendeas sospirò.

Provare dei sentimenti aveva detto.

Amore.

Non c’era nulla di sbagliato nell’amare qualcuno.

Anche se quel qualcuno era un Saint di Athena.

Prima di essere un Cavaliere era un uomo, non doveva dimenticarlo, un uomo qualunque, e tutti gli uomini hanno bisogno d’amore.

 

-No, non credo-

 

-Promettimi che non te ne farai una colpa-

 

Era serio.

Kendeas non aveva alcuna intenzione di fare della situazione un dramma.

Non quella volta.

 

-Te lo prometto. E tu promettimi un’altra cosa, Saga-

 

Si strinse a lui, colto da un’improvvisa ansia ingiustificata; sentiva il bisogno di un contatto fisico più di ogni altra cosa, il bisogno di sentirlo lì, vicino a lui, reale e sicuro.

Le braccia del Cavaliere lo circondarono e Kendeas sentì le sue labbra sfiorargli la fronte.

Attendeva la sua richiesta senza forzarlo.

 

-Non lasciarmi- riuscì a dire. Sollevò gli occhi in cerca dell’azzurro di quelli di Saga –me lo prometti questo?-

 

Saga lo strinse ancora di più in una silenziosa rassicurazione –Te lo prometto-

 

Quell’improvvisa agitazione sembrò attenuarsi.

Kendeas chiuse gli occhi e restò in ascolto del battito regolare del cuore del compagno.

Sorrise, ripensando al suo desiderio di averlo ancora accanto, ringraziando ogni singolo Dio per aver esaudito le sue preghiere.

Ricordò ai suoi pensieri a riguardo, alla statua, a quello che era appena successo.

Guardò di nuovo Saga perché quelle parole bramavano per uscire già da troppo tempo.

 

-Saga, amore mio-

__________________________________________________________________________________________________________________________________

 

Heilààà! Come va gente?

Dopo giorni e giorni sono riuscita a partorire anche questo capitolo, quasi non ci credo.

Le cose iniziano a movimentarsi, tocca a voi indovinare come procederà fino al prossimo aggiornamento ;)

 

Creamy_Lisa: Shhiaoo *-*

Succederà qualcosa, hai ragione, infatti è successo ^^ e questo è solo l’inizio…

Haha, povero Saga, abbiamo censurato le scena ma inizialmente ha cercato di far ingoiare il blocco di argilla al suo caro Kendeas xD

Spero ti sia piaciuto questo capitolo, al prossimo! J

 

 

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Capitolo 4
*** Ombre ***


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Anàmesa Étoi – Across the Years

 

4- Ombre

 

Erano in spiaggia, in una minuscola insenatura circondata da pareti di roccia.

Una parte della montagna era franata in mare ed aveva lasciato esposte le stratificazioni dell’arenaria, mentre i massi rotolati in acqua erano stati erosi dalle onde e dal vento ed erano tornati ad essere quello che erano stati migliaia di anni prima: sabbia.

Saga e Kendeas stavano seduti a terra, spalla contro spalla, ad aspettare che il sole tramontasse dietro le montagne con lo sguardo fisso in alto sulla volta blu ed indaco del cielo.

 

-Ecco Giove! Ho vinto io!-

 

Esclamò Kendeas.

Un puntino luminoso si alzava lentamente sopra la linea dell’orizzonte.

 

-No che non hai vinto! Giove non vale perché non è una stella!-

 

Protestò Saga.

Era un gioco che avevano cominciato a fare da un po’ di tempo: scrutare il cielo al tramonto e fare a gara a chi vedeva per primo una stella.

Kendeas mise il broncio e tornò a concentrarsi.

 

-Ho vinto io! Ho visto Denheb, la stella alfa del cigno!- stavolta era stato Saga -Allora? Ho vinto io, no? Dov’è il mio premio?-

 

Ah, certo, il premio per il vincitore!

In verità era quasi sempre Saga a vincere, perché lui sapeva esattamente dove guardare per trovare le stelle più brillanti, quelle che comparivano per prime, ma Kendeas non se la prendeva più di tanto perché alla fine il risultato era sempre quello: un bacio, dato o ricevuto che fosse, era sempre un bacio!

 

-E va bene- Sospirò Kendeas -Chiudi gli occhi-

 

Saga obbedì, aspettandosi di sentire le labbra del suo compagno sulle sue, invece quello che sentì fu un colpo sullo sterno, che lo fece cadere di schiena sulla sabbia ancora calda.

 

-Kendeas! Sei stato sleale!-

 

Non ebbe però il tempo di protestare oltre, perché Kendeas aveva iniziato a baciarlo.

Quel bacio aveva un vago sapore di salsedine e di polvere, e degli steli aspri dei sugameli che entrambi avevano masticato fino a poco prima.

 

-Allora, mi perdoni per la slealtà?- gli chiese Kendeas.

 

-Hum… no!- Saga fece uno scatto e lo ribaltò sotto di sé -Adesso devi pagare pegno-

 

E cominciò a fargli il solletico.

Kendeas soffriva maledettamente il solletico, specie sui fianchi, e poiché Saga aveva imparato ormai da tempo quali erano i punti più sensibili, dopo pochi secondi Kendeas si contorceva strillando, senza fiato e con le lacrime agli occhi.

 

-Ok… basta, hai vint-… hai vinto… pace… ahi!-

 

A quello strillo di dolore Saga lo lasciò subito andare.

 

-Che succede? Ti ho fatto male?- gli chiese preoccupato.

 

-No, non tu, è che c’è qualcosa qui sotto la sabbia. Mi si è conficcato nella schiena- Kendeas si mise in ginocchio a setacciare la sabbia con le mani, alla ricerca dell’oggetto misterioso -Ah-ah! Ecco cos’era! Guarda qui, Saga!-

 

Lui si avvicinò incuriosito, e nella luce scarsa del tramonto vide che Kendeas teneva in mano una conchiglia.

Era di quelle a ventaglio, con delle belle sfumature di rosa sulle righe esterne e all’interno liscia e lucida come porcellana.

 

-Che bella! Deve essere stata portata sulla spiaggia dalla mareggiata di stanotte-

 

-Hai ragione. Oh, guarda, è ancora intera, è raro trovarle così-

 

Intera non era proprio il termine esatto, quello che Kendeas intendeva era che le due metà del pettinide erano ancora insieme, attaccate con un sottile filamento fibroso, segno che il suo precedente occupante non l’aveva lasciata da troppo tempo.

 

-È come noi, non è vero? Due metà fatte per stare insieme-

 

Mormorò Saga.

Kendeas studiava la conchiglia con attenzione, con la testa piegata di lato.

 

-Due metà fatte per stare insieme- ripeté piano, perso in qualche pensiero -ognuno di noi è dunque la metà di un unico essere dimezzato. Due pezzi da uno solo, e però sempre in cerca della propria metà (nda: Platone Simposio 181b)-

 

Saga lo fissò con un sopracciglio alzato.

Aveva imparato che non era necessario chiedere spiegazioni, prima o poi Kendeas sarebbe uscito dal suo stato di trance e lo avrebbe messo a parte dei suoi processi mentali.

 

-Non fare quella faccia, è una cosa che conosci anche tu. È il mito degli androgini secondo Platone-

 

-Ah, è vero! Gli esseri perfetti che però erano diventati troppo arroganti, tanto da voler dare la scalata al cielo, che furono puniti da Zeus ad essere separati in modo che fossero troppo impegnati a cercare ognuno la propria metà per poter fare progetti di conquista-

 

-Esatto. Lo sai come continua? Dagli esseri formati da una parte maschile ed una femminile derivano uomini e donne che eccedono nella lussuria, dagli esseri formati da due metà femminili derivano le donne che amano altre donne, e da esseri formati da due metà maschili derivano uomini che amano altri uomini, e questi uomini sono i migliori perché amano quello che è virile, giusto e virtuoso, e simile alla loro natura-

 

-Allora noi siamo i migliori?- chiese Saga con un mezzo sorriso.

 

-Almeno illudiamoci di esserlo. Cosa sarebbe la vita senza un po’ di sana presunzione?-

 

Saga rise a quella trovata -Non so se sei il più matto o il più saggio che conosco! Allora, visto che questa conchiglia ci somiglia tanto, perché non ce la teniamo?-

 

Bastò tirare un poco, uno da un lato e uno dall’altro, perché le due valve si staccassero e restassero nelle loro mani.

Kendeas guardò la sua metà sorridendo felice.

 

-Sai cosa manca? Potremmo inciderci le nostre iniziali-

 

Detto fatto, Saga raccolse un ciottolo, lo spezzò con la sola forza delle dita e con le due metà ognuno incise la propria iniziale all’interno di una metà della conchiglia.

Quando si separarono sulla metà di Saga c’era una kappa maiuscola, mentre su quella di Kendeas c’era un sigma.

***

Era quasi l’alba.

Saga e Kendeas avevano passato la notte insieme, con la porta della camera del giovane artigiano chiusa a chiave e la finestra chiusa dall’interno.

Le lenzuola scomposte erano la prova del loro entusiasmo e della passione con cui si erano dedicati uno all’altro, ed il fatto che si fossero coperti dimostrava anche la loro ingenuità nonostante l’aria da adulti che ostentavano.

Non che fossero pentiti, ma erano ancora ingenuamente sorpresi di certe reazioni del loro corpo da adolescenti, e istintivamente cercavano rassicurazioni uno nell’altro.

Di solito all’alba, se Saga si svegliava prima, aspettava che anche Kendeas si svegliasse per salutarlo con un ultimo bacio, poi si rivestiva, scavalcava il davanzale della finestra come tutti i giovani amanti che non vogliono farsi scoprire dai parenti (perché Saga era un Gold Saint, ma non per questo sarebbe stato al sicuro dal bastone di nonna Ifighéneia se fosse stato scoperto), e scappava via alla velocità della luce, letteralmente.

Quella mattina invece Saga fissava il soffitto, e fu così che Kendeas lo vide non appena aprì gli occhi.

 

-Kalimèra ghlikà- Sbadigliò ancora assonnato -stai pensando a qualcosa di importante?-

 

Saga si voltò verso di lui.

Sembrava che avesse atteso il suo risveglio come se non vedesse l’ora di potergli parlare, e questo lusingava molto Kendeas.

Lui, il ragazzo di campagna, umile artigiano della creta, scelto come compagno di vita, phìltatos, da un Saint della casta più alta.

 

-Kendeas, tu che ne pensi?-

 

-Di cosa?-

 

-Di questa storia, che mi chiamano la reincarnazione di un Dio. Dovrei esserne orgoglioso, no? E invece a volte mi sembra un peso enorme. Secondo te è ingratitudine la mia?-

 

Kendeas si prese un po’ di tempo per riflettere, con il suo solito atteggiamento che gli faceva inclinare la testa di lato -Secondo me è normale che tu la senta una responsabilità, non sei ingrato verso quelli che ti rispettano. E poi non credo che mi piacerebbe se tu fossi davvero un Dio-

 

-Non ti piacerebbe? Perché?-

 

Kendeas rimase per un po’ a guardare il soffitto, come se stesse scegliendo con cura le parole -Gli Dèi sono troppo diversi dagli uomini. Sono immortali e per questo non danno valore alla vita se la tolgono, non conoscono il dolore e per questo non si curano se ne infliggono. Noi siamo mortali ed abbiamo un tempo limitato per goderci certe cose. Il tramonto, l’aurora dalle dita di rosa, la luna nella notte, l’amore che abbiamo fatto poco fa, i mortali possono vedere un numero limitato di cose prima di morire, ma un Dio che può vederne infinite perché non ha limiti di tempo, perché dovrebbe dare valore ad un istante particolare? No, per questo non mi piacerebbe che tu fossi davvero un Dio. Non potrei amare qualcuno che non vede la bellezza di questo mondo come la vedo io-

 

-Allora tu credi che gli Dèi siano crudeli? O insensibili?-

 

-Né l’uno né l’altro. Credo solo che abbiano un metro molto diverso da quello degli umani per giudicare le cose. Ma d’altra parte è proprio per questo che esistono i Gold Saint, non è vero? Vi chiamano gli Dèi dal cuore umano. Voi avete poteri immensi come quelli delle Divinità, ma il vostro cuore è il cuore di un uomo ed è giusto che rimanga tale. Voi potete comprendere la sofferenza con il vostro cuore umano e potete alleviarla con i vostri poteri divini. Questo è un miracolo, Saga-

 

Kendeas aveva sperato di allontanare le ombre che si addensavano nello sguardo di Saga, invece lui sembrò accigliarsi ancora di più.

 

-Da come ne parli tu sembra che avere un cuore umano sia una buona cosa, ma è davvero così, Kendeas? Il cuore umano non è facilmente corruttibile? Non è spesso avvelenato dall’ira o dall’ambizione?-

 

Kendeas lo guardò a lungo, ma Saga fece di tutto per non incrociare il suo sguardo.

Strano, non lo aveva mai fatto prima.

Con un sospiro Kendeas cerco la sua mano sotto le lenzuola e fece intrecciare le loro dita, cercando di ristabilire quel contatto che sembrava vacillare.

 

-Saga. Ghlikà. Sembra che tu ti stia rimproverando qualcosa. Perché? Perché dubiti tanto di te stesso, amore mio?-

 

Saga si voltò verso di lui con un’espressione sconcertata.

Per la prima volta sembrava che avesse paura della capacità di Kendeas di vedere nel suo animo, come se volesse nascondergli qualcosa.

“No, non è vero. Non deve essere vero. Saga mi ama ed io amo lui, non può avere paura di me. Non può volermi nascondere qualcosa. Se fossero problemi del Santuario me lo direbbe che non può parlarne ad un non iniziato, come ha fatto altre volte”.

                                                              

-Kendeas, io sono onorato di vestire l’armatura d’oro dei Gemelli, ma a volte mi chiedo, ne sono veramente degno? Io sono il più forte tra i Saint perché Aioros non usa i poteri della mente e gli altri Gold Saint sono poco più che bambini. Il mio potere è il più grande-

 

A Kendeas sembrò di avvertire una nota strana nella voce di Saga, qualcosa che somigliava ad un brivido di autocompiacimento.

Non era mai successo, Saga era sempre stato umile, quasi imbarazzato dai suoi grandi poteri.

 

-Sì, il mio potere è più grande e allora mi chiedo, se io facessi qualcosa di sbagliato, chi potrebbe contrastarmi? Aioros? E anche se fosse, chi darebbe ad Aioros la certezza di essere nel giusto?-

 

Kendeas scosse la testa, come per scacciare brandelli di un pensiero che non voleva lasciar formare e strinse più forte la mano di Saga -Non comprendo tutti questi tuoi dubbi, Saga. Tu, tutti i Gold Saint, avete consacrato la vostra vita ad Athena, ed è la Dea che guida le azioni dei Saint. Come puoi temere di fare qualcosa di sbagliato se lei vi guida?-

 

-Athena- ripeté Saga in un sussurro -Athena non si è più reincarnata dall’ultima guerra Sacra duecentocinquanta anni fa. Solo da poco il Santuario ha ripreso vita con una nuova generazione di Saint. Siamo un esercito, è vero, ma non abbiamo nessuno che ci comandi-

 

C’era una specie di delusione nella sua voce, o forse una sorda rabbia.

 

-Il Gran Sacredote…- cominciò a dire Kendeas.

 

-Sion, sì. È molto stanco, sta cercando un successore. Io o Aioros, capisci? Uno di noi due avrà l’enorme responsabilità di gestire il potere di tutti i Saint… in nome di una Dea che forse neanche vedremo mai-

 

Ancora una volta Kendeas sentì quella nota stonata, ed ancora una volta non seppe dire se era delusione o rabbia.

***

I giorni passavano e le visite di Saga erano sempre più irregolari e distanti una dall’altra.

Sempre più spesso Kendeas lo sentiva distante, anche mentre passeggiavano mano nella mano sulla spiaggia.

“Lui è un Gold Saint, è normale che abbia pensieri e preoccupazioni che io non posso neanche immaginare. Ma sono davvero tanto importanti da fargli dimenticare che io lo amo?”.

Poi però Saga lo abbracciava senza dire niente ma come se lo volesse proteggere da qualcosa, e allora Kendeas si rimproverava per aver pensato di non essere più importante per lui, e si dava dello sciocco geloso.

Una mattina Kendeas stava lavorando fuori in cortile per mettere ad asciugare al sole alcuni lavori quando vide una figura che avanzava lungo la strada.

La sua casa era proprio sulla strada e non era certo una novità che ci fossero dei viandanti, ma quello che incuriosì Kendeas era il pesante mantello da viaggiatore indossato dall’uomo, per di più con il cappuccio alzato a coprire la testa e parte del viso.

Faceva troppo caldo per indossare un indumento del genere, per questo Kendeas non aveva ancora distolto lo sguardo quando lo straniero passò davanti a lui, poi fu un attimo: un soffio di vento fece alzare un lembo del cappuccio e Kendeas si trovò a guardare un viso che conosceva troppo bene.

 

-Saga?-

 

Mormorò piano.

Ma no, non poteva essere!

Saga non aveva mai avuto quell’espressione: le labbra strette in una linea, ed uno sguardo che sembrava infuriato con il mondo intero.

Eppure i lineamenti erano quelli del Gold Saint dei Gemelli.

In quel momento lo straniero, forse sentendosi osservato, si voltò verso di lui ed i loro occhi si incontrarono, e allora Kendeas ne ebbe la certezza: quell’uomo non era Saga.

 

-Che hai da guardare, tu?- lo apostrofò quello brusco.

 

-Io… perdonatemi, signore, è che voi somigliate tanto a S-…- si bloccò subito perché nessuno si riferiva ad un Gold Saint con il nome proprio e corresse -a wanax  Saga-

 

Immediatamente Kendeas capì di aver detto la cosa sbagliata.

Nell’ombra del cappuccio gli occhi dello straniero si ridussero a due fessure e Kendeas ebbe la netta sensazione che l’uomo avrebbe voluto fargli del male.

 

-Wanax  Saga, eh?-

 

Un attimo dopo lo straniero era davanti a lui, senza che Kendeas lo avesse visto muoversi.

“Impossibile! Gli unici che possono spostarsi a questa velocità sono i Saint d’Argento o d’Oro! Ma lui non l’ho mai visto. Chi è quest’uomo?”

Prima ancora che Kendeas potesse riprendersi dalla sorpresa l’uomo gli aveva serrato una mano sulla gola.

 

-Hai appena fatto l’errore di confondermi. Io non sono Saga. Io sono Kanon. Ricordatelo, ragazzo, perché un giorno chiameranno anche me wanax, e per un motivo migliore-

 

Kendeas era convinto che lo avrebbe strangolato, invece quell’uomo che sembrava un demone con l’aspetto di Saga lo spinse via, mandandolo a sbattere con la schiena nella polvere del cortile.

Tempo di rialzarsi ed era di nuovo solo, non c’era traccia dello sconosciuto con il viso di Saga ed il nome di un’isola vulcanica.

A parte i lividi che gli erano rimasti sul collo dove l’uomo aveva stretto più forte.

Pochi giorni dopo erano nel frutteto, tra gli alberi di agrumi e gli olivi sacri ad Athena, e Kendeas voleva raccontare a Saga quello che era successo.

Già quando disse che aveva visto uno straniero quasi identico a lui, Saga sembrò molto preoccupato.

 

-Kendeas, come si chiamava? Ti ha detto il suo nome?-

 

-Sì, mi ha detto di chiamarsi Kanon… Saga?!-

 

Saga lo aveva appena afferrato per le spalle -Kanon?! Sei sicuro che il nome fosse Kanon? Ed era così simile a me da poter trarre in inganno anche te che mi conosci bene?-

 

La prima volta.

Era la prima volta che Kendeas vedeva Saga spaventato.

I Gold Saint non dovrebbero avere paura di niente, invece Saga in quel momento aveva gli occhi sgranati dalla paura ed il respiro affannato.

 

-Sì, sono sicuro che abbia detto Kanon. Ed ha detto anche che un giorno avrebbero chiamato anche lui con il titolo di wanax, e per un motivo migliore di quello per cui ora lo attribuiscono a te-

 

A quelle parole Saga trasalì -Adesso ascoltami bene, Kendeas. Se vedrai di nuovo quell’uomo promettimi che gli starai lontano. Non parlargli, non incrociare neanche il suo sguardo, non lasciargli capire in nessun modo che tra me e te c’è un legame, hai capito? Non devi avere niente a che fare con lui-

 

Kendeas annuì.

Quello straniero doveva essere davvero pericoloso se persino Saga lo temeva.

 

-Va bene. Va bene, ho capito. Ti prometto che gli starò lontano-

 

Finalmente Saga allentò la presa sulle sue spalle con un sospiro di sollievo.

 

-Bene. Perdonami se ti ho spaventato, Kendeas, ma non voglio esporti ad un pericolo, ed io so quello che dico-

 

Kendeas lo scrutò -Saga? Quello straniero ti somigliava così tanto che… insomma, siete due gocce d’acqua, solo i gemelli si somigliano in quel modo. Saga?-

                                                    

Tu hai un fratello gemello? Perché non me lo hai mai detto?”.

Non ebbe il coraggio di fare la domanda a voce alta, ma Saga lo intuì lo stesso.

Non lo guardò negli occhi.

 

-Guardati da lui, Kendeas. È pericoloso-

 

Gli disse soltanto, poi, come faceva spesso troppo spesso negli ultimi tempi, semplicemente scomparve.

Kendeas sapeva che si era mosso alla velocità della luce, che non era veramente scomparso, eppure il pensiero che Saga potesse avergli nascosto una cosa così importante ed in generale il suo comportamento scostante delle ultime settimane lo facevano sentire proprio come se lo fosse.

***

Kendeas si svegliò perché qualcosa lo stava scuotendo con insistenza.

Qualcosa o qualcuno che di solito subito prima dell’alba era solito andarsene, non entrare in camera sua.

 

-Va bene, Saga, sono sveglio-

 

Si mise a sedere strofinandosi gli occhi.

“Che ci fa qui a quest’ora? Deve essere successo qualcosa di importante”.

 

-È tornata! La Dea Athena è tornata al Santuario!-

 

Sembrava che Saga si trattenesse a stento dal gridarlo.

Kendeas spalancò gli occhi, all’improvviso completamente sveglio e lucido.

“È tornata? La vergine guerriera è tornata su questa terra?”.

 

-Quando?-

 

-Stanotte! È una neonata non partorita da donna come dice la leggenda, è stata trovata ai piedi della statua di Athena nel naos.  È lei, Kendeas! È la nostra Dea che è tornata per guidarci-

 

Per la prima volta dopo settimane Saga sembrava di nuovo felice.

I suoi occhi blu o forse verdi brillavano come la prima volta in cui Kendeas lo aveva conosciuto.

***

Stavano camminando lungo la riva del mare, in quella che ormai era diventata la loro spiaggia.

Erano in silenzio, ma un silenzio pesante, carico di cose non dette, e Saga sembrava inquieto come il mare d’autunno vicino a loro.

 

-Kendeas-

 

“Ah, finalmente ti sei deciso. È da mezz’ora che aspetto”.

Si girò a guardarlo, aspettando che continuasse da solo.

 

-Devo dirti una cosa-

 

“Una cosa importante, che hai paura di dirmi ma che hai anche paura di tenermi nascosta”.

Tornò indietro e si sedette sulla sabbia, poi fece cenno a Saga di sedersi accanto a lui.

 

-Dai, parla, giuro che non ti mangio-

 

Per un attimo sperò che Saga gli avrebbe sorriso, invece no, si sedette accanto a lui con le ginocchia strette al petto e senza guardarlo -Kendeas, l’uomo che hai incontrato l’altro giorno, Kanon. Lui è davvero mio fratello gemello-

 

“Perché non me lo hai detto prima?”.

Ma non lo chiese.

Sarebbe servito solo a rendere tutto ancora più difficile.

 

-Tu lo temi, non è vero?-

 

Gli chiese invece.

Saga non rispose subito.

 

-Siamo gemelli omozigoti e siamo nati sotto il segno di Gemini. Noi in principio eravamo davvero un unico essere. Sì, io lo temo, temo l’oscurità che è in lui perché è la stessa oscurità che potrebbe esserci in me-

 

Kendeas si sporse leggermente verso di lui e posò la mano sulle sue, nel gesto che aveva cominciato a farli innamorare pochi anni prima -Saga, non dimenticare che in ogni uomo coesistono luce ed oscurità. Invece di temere la tua oscurità perché la vedi riflessa in Kanon, perché non provi a far emergere la luce che c’è in lui?-

 

-Io ci provo, ma lui dice delle cose… cose che non posso più ignorare-

 

Kendeas non sapeva bene come interpretare l’ultima frase, così aspettò un po’ prima di arrischiarsi a chiedere -Hai paura di qualcosa che potrebbe fare?-

 

-Anche. Ma soprattutto ho paura di quello che dovrò fare io-

***

Era ormai la fine di novembre.

Per tutto il pomeriggio grosse nuvole nere si erano addensate contro il fianco della montagna, e verso sera il temporale che era rimasto in agguato scoppiò all’improvviso, prima con forti raffiche di vento, poi con scrosci di pioggia isolati ed alla fine con un vero e proprio diluvio.

Kendeas era rintanato sotto le coperte pesanti e leggeva nella penombra con l’aiuto di una piccola torcia.

“In una notte come questa sarebbe perfetto avere Saga qui con me”.

Pensò.

Non passarono neanche pochi minuti che un bussare insistente alla sua finestra, diverso dal rumore della persiana scossa dal vento, lo fece scattare a sedere.

“Saga?!”.

Si precipitò ad aprire per farlo entrare, e già si preparava a fargli una bella lavata di capo su quanto fosse stato imprudente per lui mettersi per strada con quella bufera, ma appena aprì la finestra capì subito che quella non era una semplice visita.

Saga era pallido, tremava e sembrava terrorizzato.

“Mio Dio! Che gli è successo?”.

Per la prima volta da che si conoscevano Kendeas dovette aiutarlo a scavalcare il davanzale.

Chiuse in fretta la finestra.

 

-Saga, sei tutto bagnato, e sei congelato. Vado a prenderti un asciugamano-

 

Ma non appena fece un passo per uscire dalla stanza Saga lo afferrò per il braccio -No! Per favore, non mi lasciare solo!-

 

Per la prima volta gli occhi belli di Saga blu o forse verdi erano dilatati dal terrore.

 

-Va bene. Va bene, ghlikà, non ti lascio-

 

Visto che non poteva lasciare la stanza strappò via il lenzuolo dal suo letto.

 

-Saga, adesso devi toglierti queste cose bagnate, va bene? Dai, ti aiuto io-

 

Era come aiutare un bambino di tre anni, Saga sembrava assolutamente incapace di coordinare i movimenti e toccò a Kendeas, tra tirare e spostarlo, di togliergli i vestiti.

Lo avvolse nel lenzuolo per asciugarlo, lo fece sedere sul letto e cominciò a strofinargli la schiena e le spalle per riscaldarlo.

In tutto questo Saga lo lasciava fare.

“Cosa ti è successo per ridurti così, ghlikà?”.

Quando gli sembrò che fosse abbastanza asciutto gli tolse di dosso il lenzuolo e lo avvolse nella coperta di lana, mentre usava l’altro lenzuolo per tamponargli i lunghi capelli azzurri.

Non disse una parola, solo gli fece posare la testa sulle sue gambe e rimase ad accarezzarlo nel tentativo di scioglierlo un po’.

Niente da fare, Saga rimaneva rannicchiato, con gli occhi serrati.

Kendeas sperava quasi che si addormentasse, ma dopo un po’ lo sentì muoversi e mormorare qualcosa.

 

-Come hai detto?-

 

-Mio fratello- Ripeté Saga a voce bassissima -ho condannato a morte mio fratello-

 

Non appena comprese appieno il significato di quelle parole Kendeas sussultò.

“Ecco cosa intendeva quel giorno! Ha detto che aveva paura di quello che avrebbe dovuto fare lui. Condannare a morte il proprio fratello…”.

Solo il pensiero gli dava i brividi.

Ripensò a Kanon, l’unica volta che lo aveva visto.

D’accordo, anche a lui era sembrato pericoloso e per di più lo aveva quasi strangolato, ma condannarlo a morte…

 

-Ho dovuto farlo, lui era una minaccia per Athena e per il Santuario. Ho provato a convincerlo, lo giuro, ci ho provato! Ma lui è sempre stato così testardo e orgoglioso, e per di più ha quasi gli stessi poteri di un Gold Saint. Non so come abbia fatto, davvero non lo so, ma è forte quasi quanto me… non potevo lasciarlo libero di agire!-:

 

Sembrava che Saga stesse cercando di giustificarsi, come se non fosse per niente sicuro di aver fatto la cosa giusta ma stesse disperatamente cercando di convincersene.

Per la prima volta Kendeas si rese conto dell’enorme responsabilità che comportava essere un Saint di Athena.

Saga aveva dovuto scegliere non tra una cosa giusta ed una sbagliata, aveva dovuto scegliere  tra due delitti quale commettere.

Da un lato il fratricidio, dall’altro il tradimento.

Da un lato il suo giuramento di lealtà e dall’altro la voce del suo sangue. 

Nessuna via di mezzo, nessuna scappatoia, qualunque scelta avesse fatto si sarebbe dannato.

 

-Lo hai ucciso?- chiese pianissimo.

 

-No, non io. Il mare. La prigione di roccia al promontorio Sounion. Stanotte, quando salirà la marea-

 

Kendeas non disse più nulla, rimase ad accarezzarlo e ad ascoltare i suoi respiri spezzati nel buio.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare erano dei versi.

Parole antiche, che parlavano di due fratelli che si erano uccisi a vicenda.

 

-O degno tu di ogni pianto

-O anche tu sventurato

-Tu perito per mano fraterna

-Un fratello uccidesti

-Duplice strazio a narrare

-Duplice a contemplare

 

I re fratelli di Tebe dalle sette porte, Eteocle e Polinice.

Così passò la notte, senza che Kendeas si rendesse conto se era sveglio, se dormiva, se sognava o se condivideva gli incubi di Saga.

All’alba il sola fece capolino pallido e spettrale, come il viso del Saint di Gemini.

Kendeas lo guardò alzarsi e cercare i suoi vestiti.

Si muoveva lentamente e non tremava più, sembrava svuotato di ogni sentimento e di ogni emozione.

 

-Ormai è tutto finito-

 

Disse a mezza voce.

Kendeas capì che si riferiva alla condanna di suo fratello.

 

-Saga, non dovresti…?-

 

-Cosa? Andare a vederlo? No-

 

-Per seppellirlo-

 

In quel momento Saga rabbrividì -Non ci sarà una sepoltura per lui, è la punizione per i traditori. Il mare sarà la sua tomba. L’acqua disgregherà la sua carne, il sale brucerà le sue ossa e le onde ne disperderanno la polvere nella corrente-

 

Kendeas avrebbe voluto dire qualcosa, ma prima che potesse farlo Saga si era rivolto di nuovo a lui.

 

-E adesso a noi, Kendeas. Noi non ci rivedremo più-

 

-Cosa?! No, Saga, non puoi!-

 

Lui lo zittì con un gesto della mano -Non è che non posso, non voglio. Io sono un assassino, Kendeas. Da oggi in poi ogni mio respiro sarà maledetto, non posso coinvolgere anche te. Noi ci separiamo qui e adesso-

 

Kendeas saltò giù dal letto, deciso a fare qualunque cosa pur di fargli cambiare idea, ma non appena gli si trovò vicino Saga alzò una mano e lui si trovò bloccato da una forza invisibile.

Quando provò a gridargli “lasciami andare” scoprì che non poteva neanche parlare.

 

-Kendeas… ghlikà… mi dispiace tanto- Saga non lo aveva mai chiamato “dolcezza” prima -so che mi ami e so che ti sto dando un grande dolore, ma devi capire che non è più possibile. Io devo percorrere un cammino di sangue e sofferenza, tu invece hai tutta una vita davanti. Kendeas, io ti ringrazio per tutto l’amore che mi hai dato e ti ringrazio per l’amore che mi hai permesso di vivere. Ti ho amato come non avevo mai amato niente in questo mondo e come non amerò mai più niente, ma proprio per questo adesso devo lasciarti libero. Ricordami, se vuoi, ma non cercarmi mai più. Addio-

 

Scavalcò il davanzale come faceva sempre, ma quella volta era diverso perché non sarebbe più tornato.

Kendeas provò a gridare e a divincolarsi ma era tutto inutile.

Saga lo guardò con una tristezza infinita negli occhi blu o forse verdi, poi lo liberò dalla stretta invisibile.

 

-Ghlikà…-

 

Corse verso la finestra, ma nello stesso attimo in cui lui stava per scavalcare a sua volta Saga scomparve.

 

-Sagapò ghlikà…-

 

Ti amo, dolcezza.

***

Dopo quella mattina Kendeas passò parecchi giorni abbattuto.

Lavorava a stento, non si curava di quello che succedeva intorno a lui e se sua nonna o suo zio gli chiedevano cosa avesse lui scrollava le spalle e guardava da un’altra parte.

Saga era stato chiarissimo: non si sarebbero visti mai più.

Eppure Kendeas non voleva crederci, e spesso nel cuore della notte si svegliava credendo di aver sentito bussare alla finestra, allora si alzava di scatto e correva ad aprire, solo per scoprire che era stato solo il vento o la sua immaginazione.

Dopo poco più di un mese però arrivò una notizia sconvolgente dal Santuario.

Erano state le guardie che scendevano a bere alla taverna del villaggio a raccontare come erano andate le cose.

Aioros aveva tradito il Santuario, aveva tentato di rapire la Dea neonata e di fuggire con l’armatura d’oro del Sagittario.

Fortunatamente un altro Gold Saint, Shura del Capricorno, lo aveva fermato ed aveva riportato al Santuario sia Athena che l’armatura.

 

-Wanax Shura? Perché il Saint del Capricorno? Non avrebbe dovuto affrontarlo wanax  Saga che era più forte?- aveva chiesto Kendeas ad uno di loro.

 

-Ragazzo mio, questo è un altro bel mistero! Wanax Saga, il Saint di Gemini, è scomparso. Nessuno sa più niente di lui da settimane-

 

Kendeas non aveva detto nulla, ma quella risposta era stata il colpo di grazia per lui.

Aveva sperato che Saga fosse al sicuro al Santuario, che il Sacerdote lo avesse aiutato a smorzare il senso di colpa per quello che aveva fatto a suo fratello Kanon e che in qualche modo sarebbe riuscito ad andare avanti, invece no.

Scomparso.

Proprio come era scomparso sotto i suoi occhi l’ultima volta che lo aveva visto.

Per Kendeas era peggio che sentirsi dire che era morto, e quella sera, rannicchiato sotto le coperte, strinse forte la conchiglia con la sigma incisa all’interno.

E per la prima volta da quando Saga gli aveva detto che dovevano separarsi, pianse.

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 

 

Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta! Ho finito il capitolo! *Mako canticchia e saltella come una deficiente*

Ci ho messo 835 minuti ma sono riuscita a finirlo!

Coooomunque! Vi sembra abbastanza kurumadiano? A me sì! Voglio dire, è esagerato e deprimente, esattamente come alcuni (molti) momenti del fumetto originale.

Qua la storia comincia ad andare parallela con gli avvenimenti del manga, solo visti dal punto di vista di Kendeas.

 

Bene, brava, adesso sciò! *Rory spinge Mako giù dalla sedia*

Oh oh oh! (Lo so, non è molto serio ma in periodo di feste la risata di Babbo natale ci sta, no?)

Come al solito Ka-non è sinonimo di Ka-sino, quando mai quel ragazzo non produce danno, quando mai?

Bè, come ha già detto la mia sorcia da adesso in poi sapete un po’ tutti cosa succede, ma la narrazione seguirà il punto di vista del nostro carrro Kendeas, e poi…

Dovrà pure finire in qualche modo, no?

 

Creamy Lisa: Ccciao! :3

Povero Kendeas sì, l’ansia è una brutta bestia, ma chi può controllarsi con un tenero puccio-Saga che vuole sbaciucchiarti?

Fortunato, lui! xD

Succederà qualcosa di brutto? Hmmm, naah, cosa te lo fa credere? xD

Continua a sperare, magari le cose si risistemeranno ;)

Bacioni!

 

Calhin: Benvenuta!

Abbiamo deciso di presentare Kendeas un po’ alla volta nel corso della storia per non dare appunto l’idea del personaggio super perfetto e rendere le sue idee e la sua personalità poco alla volta… magari non è la scelta più azzeccata, vedremo di fare di meglio la prossima volta ^^

Va bene, arruoliamo questi qui per la versione cinematografica del Manfredi xD ci starebbero benissimo, hai ragione *-*

He-hem… pazzo… schizofrenico… stiamo parlando di Saga? Ma nuooo xD

P,S: Grazie epr i complimenti per i disegni J

Speriamo continuerai a seguirci ^^

 

Bene, abbiamo detto tutto, quindi vi salutiamo dandovi appuntamento al prossimo capitolo!

Un abbraccio,

Rory e Mako

 

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Capitolo 5
*** Spettri ***


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Anàmesa Étoi – Across the Years

5-Spettri

 

 

Per settimane al villaggio di Rodrio non si parlò d’altro che questo: il tradimento di Aioros del Sagittario e la scomparsa di Saga dei Gemelli.

Kendeas aveva quindici anni e, con la testardaggine tipica della sua età, non si rassegnava ad aspettare senza fare niente, così appena incontrava un soldato o uno dei Gold Saint che raramente si facevano vedere al villaggio subito chiedeva di Saga.

Non gli passò neanche per la mente di essere cauto mentre faceva domande, almeno fino a quando non sentì due guardie che lo prendevano in giro.

 

-Visto quel ragazzino come chiede sempre di wanax Saga? Sembra una fidanzatina gelosa!-

 

Kendeas li lasciò andare via, rosso fino alle orecchie, e da quel momento fece molta più attenzione a come parlava.

Non tollerava che il sentimento forte e bellissimo che lo univa a Saga diventasse oggetto di battute idiote tra soldati.

Un giorno si sparse la notizia che dopo tanto tempo il Gran Sacerdote aveva finalmente deciso di fare una visita al villaggio; erano mesi che non succedeva, e praticamente tutti gli abitanti avevano lasciato le loro occupazioni per scendere in piazza a vederlo.

Anche Kendeas decise di andare, ma con fini del tutto diversi dalla devozione religiosa: il fatto era che l’unico che poteva sapere qualcosa di Saga era proprio il Sacerdote.

Non era lui che governava i Saint di ogni casta?

E allora tanto valeva provare!

Si mescolò alla folla, aspettando il suo turno per parlare con il Sacerdote, ma quando gli arrivò davanti accadde una cosa strana.

Kendeas guardò le pietre rosse della maschera e gli sembrò di sentire un respiro trattenuto dietro di essa.

“Tu?”.

La voce era nella sua testa.

Voleva parlare ma non ci riusciva, come quando Saga lo aveva immobilizzato prima di sparire per sempre.

Il Sacerdote gli posò la mano sulla testa in un gesto di benedizione, poi passò in fretta ad un'altra persona.

Kendeas era ancora bloccato, e quel che era peggio nessuno sembrava accorgersi della sua situazione.

Intanto il Sacerdote si era allontanato.

“Lo ha fatto apposta! È stato lui ad immobilizzarmi, ma perché?”.

Deciso più che mai a non rinunciare, Kendeas decise di giocare d’astuzia.

Lasciò il gruppo dei fedeli e fece il giro largo attraverso i campi per appostarsi sulla strada che da Rodrio saliva verso il Santuario.

Gli venne anche un pensiero abbastanza stupido: si sentiva un po’ uno dei bravi che aspettavano Don Abbondio per minacciarlo, ma, a parte il fatto che lui non voleva minacciare nessuno, il Sacerdote di Athena non era certo un povero curato di campagna!

Dopo quasi un’ora la sua pazienza fu premiata: una figura alta, avvolta in una tunica blu stava percorrendo quella strada.

Kendeas si chiese vagamente se quella sua mossa avrebbe potuto essere interpretata come un agguato, e se sì quali avrebbero potuto essere le conseguenze.

Il Sacerdote si fermò solo quando fu di fronte a lui.

 

-Perché sei stato qui ad aspettarmi, ragazzo? Hai già avuto la mia benedizione-

 

Kendeas lo osservò e per la prima volta si sentì nervoso.

Aspettare il Sacerdote di Athena sulla strada, ma che gli era saltato in testa?

Eppure quella era la sua sola speranza.

 

-Ierèas, perdonate la mia insolenza, ma ho bisogno di parlare con voi. Ditemi se sapete dove si trova wanax Saga-

 

-Wanax Saga…- ripeté lentamente il Sacerdote –non è affare tuo, tanto non lo rivedrai mai più-

 

-Ma signore…-

 

-Ti avverto, ragazzo, la mia pazienza ha un limite-                   

 

“No, è tutto sbagliato. Il Gran Sacerdote è un uomo buono e generoso. Perché usa questo tono freddo?”.

 

-Ieréas… per favore, se sapete qualcosa ditemelo-

 

Il Sacerdote rimase immobile.

Kendeas aveva la netta sensazione di essere osservato dalle pietre rosse e quel colore gli sembrava improvvisamente inquietante.

Rosso era il sangue.

Si costrinse a non abbassare lo sguardo e poco dopo si accorse che le spalle del Sacerdote erano come scosse mentre dietro la maschera vibrava uno strano suono.

Il Sacerdote stava ridendo.

 

-Ah, ragazzo, da come insisti e dal tono così preoccupato della tua voce si direbbe quasi che tu avessi un legame speciale con wanax Saga. È così?-

 

A quel punto Kendeas abbassò gli occhi -Io lo amavo-

 

-Ma evidentemente lui non amava te. Ti ha abbandonato senza una parola, non è vero?-

 

Kendeas boccheggiò come se fosse stato colpito fisicamente -Lui… lui non ha potuto…-

 

-O non ha voluto. Che hai tu, un operaio, da spartire con un Cavaliere d’oro? Niente. Rassegnati, per lui sei stato solo un capriccio-

 

-No!-

 

Solo in quel momento Kendeas si rese conto che aveva alzato la voce contro il Sacerdote di Athena, cosa che probabilmente era un sacrilegio.

 

-Razza di sciocco sentimentale che sei! Sei convinto anche tu, come tutti, che il tuo Saga fosse un concentrato di bellezza e virtù, non è vero? Non hai saputo vedere cosa c’era davvero nel suo cuore- il Sacerdote portò una mano alla maschera come se stesse per togliersela -ebbene adesso guarda, giovane innamorato, guarda e disperati perché scoprirai il segreto che…-

 

NO!

 

Una voce risuonò nell’aria, ma oltre a loro due Kendeas non vide nessuno.

Eppure, per un attimo, gli era sembrata la voce di Saga.

 

-Sa-… Sacerdote?-

 

La figura che fino ad un momento prima era stata così autoritaria era in ginocchio a terra, con la testa tra le mani, e mormorava a voce bassissima, come se stesse parlando a qualcuno invisibile.

 

-No… no, non ti lascerò fargli del male-

 

-Idiota, smettila di ostacolarmi! Questo ragazzo mette in pericolo il mio piano, deve…-

 

-No! Tu non lo toccherai!-

 

Kendeas fece il gesto di avvicinarsi per aiutarlo, ma appena ebbe allungato la mano il Sacerdote gli afferrò il braccio con una stretta spaventosamente forte -Devi andartene. Vattene finché posso ancora controllarlo-

 

Stranamente Kendeas, che fino a quel momento era stato arrabbiato con lui, adesso sentiva il bisogno di confortarlo.

Come aveva tenuto tra le braccia Saga l’ultima notte che erano stati insieme.

 

-Cosa? Controllare cosa, Sacerdote?-

 

Lui si rialzò in piedi con uno scatto.

 

-Vattene!- gli disse –E non avvicinarti a me mai più. Vattene… Kendeas-

 

Poi sparì, anche lui veloce come la luce, lasciandolo solo sulla strada.

“Mi ha chiamato per nome. Conosce il mio nome… come?”.

La cosa più strana era che per un attimo, dietro la maschera senza espressione del Sacerdote, a Kendeas era sembrato di vedere il viso preoccupato di Saga.

 

-Saga!-

 

Urlò da solo.

Non gli interessava come, ma era certo che in quel momento lui lo potesse sentire.

 

-Saga! Io giuro che ti aspetterò, hai capito? Non mi importa quanto ci vorrà ma sappi che io ti aspetterò!-

 

Da qualche parte là vicino gli rispose il suono di un sospiro, ma Kendeas non sapeva dire se fosse di sollievo o di angoscia.

***

Kendeas aveva ormai ventisette anni.

I suoi parenti avrebbero voluto vederlo accasato con una brava ragazza, una persona in grado di essere sua moglie e madre dei suoi figli, ma Kendeas non ci pensava nemmeno.

Quando nonna Ifighéneia insisteva perché andasse a salutare qualche vicina di casa venuta in visita casualmente con la figlia lui si limitava a fare qualche cenno educato, qualche frase di circostanza e poi se la svignava con la scusa del laboratorio, delle consegne o anche solo che aveva sentito Atlante che ragliava.

A volte lui stesso si chiedeva se, se solo non avesse conosciuto Saga, si sarebbe infine rassegnato a sposarsi, ma non si sapeva rispondere.

Guardava le ragazze del villaggio sforzandosi di trovarle attraenti, ma proprio non ci riusciva.

Non che le trovasse brutte, semplicemente nessuna di loro gli faceva provare anche solo lontanamente le emozioni che Saga gli aveva fatto provare solo con lo sguardo.

Ogni volta che si sforzava di immaginare sé stesso con una di loro inevitabilmente la sua mente scappava e tornava alle immagini familiari di un corpo robusto, di capelli lunghi color turchese e di mani grandi, da uomo, intrecciate alle sue.

E poi c’era la sua promessa.

Kendeas a volte sorrideva tra sé pensando a se stesso come a Penelope, che attendeva il ritorno dell’amato quando tutti gli altri avevano smesso di crederlo possibile.

Per conservare la conchiglia e la prima figura di argilla che Saga aveva modellato, Kendeas aveva tolto un mattone dal muro e scavato una piccola nicchia, così poteva nasconderci i due oggetti avvolti da un panno.

Erano passati tredici anni dalla scomparsa di Saga, eppure Kendeas continuava a sperare; per questo, spesso, quando passava davanti alla taverna e vedeva che dentro c’erano i soldati del Santuario, entrava sempre ad ascoltare le ultime notizie.

In genere quegli uomini si lamentavano di come la vita al Santuario fosse diventata difficile.

Le prove per diventare Saint o anche solo soldati semplici erano giustamente difficili perché dovevano forgiare uomini dalla tempra fuori dal comune, ma da un paio di anni quelle prove erano diventate più che difficili, erano crudeli.

Più della metà dei nuovi arrivati moriva entro un anno ma al Grande Sacerdote non sembrava importare.

Lui stesso si faceva vedere sempre più raramente, ed ancora più rare erano le udienze che concedeva con la Dea Athena.

A Kendeas per la verità di tutto questo importava poco, l’unica cosa che voleva sapere era se qualcuno avesse avuto notizie di Saga, ma a quanto pare il Saint dei Gemelli era stato solo il primo a scomparire; infatti tutti gli altri Cavalieri d’oro, chi prima, chi dopo, si erano ritirati a vivere in luoghi inaccessibili.

Un pomeriggio però, mentre tornava a casa dopo aver fatto il giro del villaggio per alcune consegne, passando davanti alla taverna sentì qualcosa di inconcepibile: il Santuario era sotto attacco.

Dei giovani Bronze Saint, guidati da una ragazzina che diceva di essere la Dea Athena, stava tentando l’impossibile, cioè attraversare le Dodici Case che erano messe a guardia del Santuario per arrivare ad affrontare il Gran Sacerdote in persona e conquistare il Grande Tempio.

Tutti i Gold Saint erano stati richiamati ad Athene, l’unico che mancava era Saga.

Quando Kendeas tornò a casa e si rimise al lavoro era pensieroso.

Come era possibile che Saga, il Saint più devoto alla Dea Athena non fosse stato il primo a tornare per difendere il Santuario da quegli impostori?

C’era un'unica spiegazione, ed era quella che Kendeas aveva rifiutato per tredici anni: Saga era morto e non sarebbe tornato mai più.

Né per la sua Dea, né per il Santuario.

Né per lui.

Rovinò parecchi lavori perché ogni volta che quel pensiero gli attraversava la mente provava una dolorosa stretta al cuore e le sue mani non rispondevano più come voleva lui, e allora finiva per far cadere il lavoro o premere troppo sull’argilla morbida e deformarla in modo irrimediabile.

E poi, lavorando l’argilla, gli tornavano sempre davanti le immagini della prima volta che aveva fatto provare Saga a fare quel lavoro.

Le loro mani umide ed impiastricciate di creta.

I loro occhi che si incontravano le prime volte.

Lo sguardo di Saga concentrato su di lui.

Alla fine, a metà pomeriggio, stanco di non concludere niente e di tormentarsi tra ricordi di cose che non sarebbero più tornate, mise da parte l’ennesimo lavoro rovinato ed uscì di casa.

Tutto il villaggio era radunato alla taverna, dove i soldati si davano il cambio regolarmente, man mano che c’erano nuove notizie sulla battaglia alle Dodici Case.

Anche Kendeas restò nel cortile ad ascoltare per ore.

A quanto pareva i giovani Bronze avevano superato più della metà delle Case, ed il ragazzo cominciò a chiedersi se, per essere arrivati così lontano, quei cinque poco più che adolescenti non fossero davvero protetti da una Divinità.

“Ma è impossibile! La Dea Athena è al Santuario. Perché dovrebbe proteggere questi invasori stranieri?”.

Era passato il tramonto, e ad un certo punto Kendeas stava considerando seriamente l’idea di tornarsene a casa, quando arrivarono di corsa tre soldati.

 

-Alle Stanze del Sacerdote! Il Saint di Bronzo di Pegasus è arrivato alle stanze del Grande Sacerdote!-

 

“Alle stanze del Sacerdote? Ma no, è impossibile!”.

Kendeas si risedette sulla panca che faceva da perimetro al cortile perché ormai anche lui era troppo curioso di sapere come sarebbe andata a finire.

Passarono altre ore senza nessuna novità, poi finalmente, quasi a mezzanotte, arrivarono altri soldati.

Kendeas, il più vicino, fu il primo a sentire i loro discorsi.

 

-Lo dicevo io, che quel tipo non mi convinceva!-

 

-È assurdo! Aveva ucciso il Gran Sacerdote ed aveva preso il suo posto! E nessuno, dico, nessuno, se n’è accorto per tredici anni-

 

“Tredici anni… da quando Aioros ha tradito. Da quando Saga è scomparso” pensò Kendeas.

 

-Ehi, voi! Chi è stato? Chi ha ucciso il Sacerdote?-

 

Gli gridò subito.

Alle sue parole tutti si voltarono sconvolti.

 

-Calma, ragazzo, calma, facci sedere e racconteremo tutta la storia dall’inizio. E che storia! Portateci da bere e bevete anche voi perché sarà quasi impossibile crederci!-

 

Non appena i soldati si furono seduti alla tràpeza (NdA la tavola centrale nelle taverne tradizionali greche) e fu portato loro del vino iniziò la storia più incredibile che Kendeas avesse mai sentito.

La ragazzina che veniva dal Giappone, Saori Kido, era veramente la Dea Athena.

Ed Aioros, arciere delle stelle, accusato di averla rapita, era in realtà colui che l’aveva salvata.

 

-Salvata da chi?-

 

-Voleva ucciderla ancora neonata-

 

-Ma chi?-

 

-Chi aveva ucciso anche Il Gran Sacerdote Sion-

 

-Come?! Impossibile! Lo avremmo saputo se fosse morto il Gran Sacerdote!-

 

-È la verità invece. Ierèas Sion era stato ucciso poco dopo che Athena si era reincarnata-


-CHI?!-

 

-Ah, questa è la parte più difficile da credere! Ve lo ricordate quel Saint che tutti chiamavamo la reincarnazione di un Dio per quanto era buono e generoso? Ebbene, è stato lui. L’unico vero traditore è stato Saga dei Gemelli-

 

Kendeas si sentì male a quelle parole.

Ora tutto combaciava!

Il Sacerdote che lo aveva chiamato per nome, il fatto che gli avesse detto di non avvicinarsi più a lui.

Saga che aveva giurato fedeltà alla Dea Athena.

Saga che lo aveva amato.

Saga che aveva condannato a morte suo fratello per proteggere il Santuario.

Saga che parlava con lui di come i Saint avessero un cuore umano.

Saga ìsos theòis (NdA Saffo frammento 31 “simile agli Dèi”) .

Saga un traditore.

 

-E adesso dov’è? Verrà giudicato dalla Dea in persona per il sacrilegio che ha commesso?-

 

-È stato lui a giudicare se stesso. Sulla scalinata che porta al Grande Tempio ha atteso l’arrivo della Dea e si è tolto la vita davanti a lei-

 

A quel punto Kendeas non volle più sentire niente.

Si divincolò dalla calca asfissiante della folla e corse via, senza una direzione precisa, solo per allontanarsi da tutto e da tutti.

Quando un dolore lancinante al fianco lo costrinse a fermarsi si lasciò cadere in ginocchio, e allora capì dove si trovava perché le sue mani affondavano nella sabbia bagnata: era sulla spiaggia dove andavano spesso con Saga.

Quello era uno dei posti dove era tornato molte volte per tenere viva la speranza, perché era certo che Saga avesse sentito la sua promessa e non lo avrebbe lasciato solo, e adesso invece era andato tutto in pezzi.

Saga sapeva che c’era lui ad aspettarlo e lo stesso aveva rinunciato alla sua vita.

Allora a quel punto non voleva più vivere neanche lui!

Guardò il mare nella luce pallida della luna.

Forse affogare non era il modo migliore per morire, ma che gli importava?

L’acqua gli arrivava già ai fianchi e le onde lo trascinavano lontano dalla riva.

La risacca lo trascinò sotto e lui pensò “Bene, tra poco sarà tutto finito”.

Aveva acqua salata nella bocca e nel naso, ed anche i suoi pensieri cominciavano a farsi confusi.

 “No, Kendeas! Non morirai anche tu per colpa mia”.

Una forza immensa, invisibile, lo strappò all’abbraccio mortale del mare.

Kendeas rotolò sulla sabbia asciutta, sputando acqua.

Prima di svenire gli sembrò di vedere, inginocchiato accanto a lui, la figura di Saga che brillava di luce dorata.

***

Per parecchio tempo Kendeas non uscì di casa.

Saga lo aveva salvato perché voleva che vivesse, ma era difficile, molto difficile.

A volte aveva la tentazione di raccontare tutto ai suoi parenti, ma alla fine non lo faceva mai perché era una cosa troppo personale.

Piuttosto preferiva darsi malato, cosa che, dopo essersi gettato in mare in piena notte, non era neanche tanto lontana dalla realtà.

Però c’era una cosa che lo tormentava: che ne era stato di Saga?

Al Santuario valeva la regola che i suicidi non potessero essere seppelliti in terra consacrata?

O peggio, come aveva detto lo stesso Saga a proposito di suo fratello Kanon, la punizione dei traditori era rimanere insepolti?

Era un pensiero che Kendeas non poteva tollerare, e dopo due giorni si decise a chiedere a suo zio Kostas.

Lui però non ne sapeva niente.

 

-Però, se proprio lo vuoi sapere, chiederò oggi al villaggio, visto che devo andare a fare delle consegne-

 

Kendeas annuì, forse con troppa convinzione, e si ripromise di tornare al lavoro al più presto perché zio Kostas era ormai anziano e non poteva più stare dietro al laboratorio e alle consegne come una volta.

Al tramonto lo zio tornò con la notizia che lui aspettava.

Saga aveva tradito, ma nonostante questo la Dea Athena, che conosceva il segreto delle sue due anime e sapeva quanto aveva sofferto, non aveva voluto condannarlo a vagare tra il mondo dei vivi e quello dei morti e lo aveva fatto seppellire con gli altri Saint come uno di loro.

Kendeas tirò un sospiro di sollievo, e dopo il sollievo un’idea cominciò a prendere forma nella sua mente.

Voleva andare da lui.

Certo, il cimitero del Santuario non era un posto dove le persone comuni potevano entrare, il che voleva dire entrare di nascosto e come un ladro, ma non aveva altra scelta.

Aspettò una notte di luna piena, in cui la luce gli permetteva sia di trovare la strada sia di non essere visto.

Aveva raccolto tre gigli delle sabbie, i fiori che a Saga erano sempre piaciuti.

Il confine del cimitero era segnato da un recinto di legno d’olivo sacro ad Athena, e da un sentiero parallelo che correva all’esterno, quello usato dalle guardie per fare i loro giri di ronda.

Kendeas aspettò dietro delle rovine che due soldati si fossero allontanati, poi, cercando di non fare rumore, raggiunse il recinto.

“Perdonami, parthène Theà (NdA Dea vergine)”.

Sperava che la Dea, dall’alto del Santuario, lo vedesse e capisse il perché del suo gesto.

Scavalcò il recinto e cominciò a camminare tra le lapidi, guardandosi intorno ogni tanto perché la prudenza non è mai troppa.

Ad un certo punto vide una tomba con un incisione che poteva essere quella che cercava lui, questo gli fece dimenticare la prudenza e lo fece uscire in un tratto scoperto prima di controllare che non ci fosse nessuno.

 

-Ehi, tu! Che ci fai qui!-

 

Era stato visto dai soldati!

Si buttò a terra, sperando di riuscire a svignarsela strisciando al riparo delle pietre, ma quei tre erano furbi.

Uno di loro salì su un rialzo del terreno, e da lì era facile vedere tutto, così indicò esattamente ai suoi compagni la sua posizione.

Frustrato, Kendeas si alzò in piedi.

Tanto lo avrebbero preso comunque, almeno non avrebbe fatto la figura del vigliacco.

Due soldati lo afferrarono per le braccia mentre aspettavano l’arrivo del terzo.

 

-Non conosci le leggi, tu? Il perimetro del Santuario è sacro, nessuno può entrare, e tu sei entrato di notte e senza permesso, come una spia. Questo gesto lo pagherai con la vita-

 

I soldati che lo tenevano cercarono di costringerlo in ginocchio, ma lui resistette.

Non voleva essere giustiziato come un criminale perché lui non aveva fatto niente!

Venne colpito allo stomaco con una lancia, e allora dovette piegarsi per forza, mentre dietro di lui qualcuno gli tirava i capelli per costringerlo ad esporre la gola.

Il soldato gli posò un attimo la punta della lancia sul collo, probabilmente per trovare il punto migliore dove colpirlo.

Il metallo freddo sulla pelle gli diede i brividi in tutto il corpo.

“E così che finirà tutto? Dea Athena, vergine guerriera e Dea della giustizia, aiutami!”.

Pregò ad occhi chiusi.

 

-Fermi!-

 

Intimò una voce.

La lancia si allontanò immediatamente dalla gola di Kendeas.

 

-Wanax Milo-

 

Kendeas aprì gli occhi e vide chi era stato a fermare i soldati.

Era un giovane uomo, forse addirittura più giovane di lui, con lunghi capelli di una sfumatura blu cobalto simili a come li aveva portati Saga ed era ricoperto da un’armatura d’oro.

 

-Cosa sta succedendo?- chiese.

 

-Wanax, quest’uomo è entrato nel perimetro sacro del Santuario di Athena, è un crimine che va punito con la morte-

 

Kendeas sentì su di se lo sguardo del Saint d’oro che lo studiava attentamente.

 

-C’è stata abbastanza morte qui al Santuario, adesso basta. Voi potete ritirarvi- riportò lo sguardo su Kendeas –lasciate che spieghi a me le sue ragioni-

 

Appena le guardie se ne furono andate Kendeas raccolse l’unico dei fiori che si era salvato, poi si alzò e si pulì alla meglio dalla terra che aveva sulle braccia e sui vestiti.

Si vergognava di essere in quelle condizioni davanti ad un Saint d’oro.

 

-Come ti chiami?-

 

-Kendeas, wanax-

 

-E perché, Kendeas, hai violato le leggi del Santuario? Cosa cerchi nel cimitero dei Saint?-

 

-Cerco una tomba-

 

-Mi pare evidente-

 

-La tomba di wanax Saga-

 

Se prima c’era stata l’ombra di un sorriso sul volto del Saint dello Scorpione a sentire il nome di Saga sparì immediatamente.

 

-Perché?-

 

Kendeas pensò che la cosa migliore fosse essere sincero.

Gli raccontò del loro amore.

 

-Dunque tu… lo amavi?-

 

Gli chiese il Saint dello Scorpione con un tono di vaga sorpresa o di curiosità nella voce.

 

-Sì, wanax-

 

-E anche adesso che sai che ha tradito tutti, anche te, hai rischiato la vita per venire a vedere la sua tomba. Non so se sei molto coraggioso o molto stupido-

 

-Io lo amavo- seppe spiegare solo Kendeas.

 

-Sì, me lo hai già detto. Lo amavi molto e continui ad amarlo. Sì, so come ci si sente- wanax Milo lasciò vagare lo sguardo sulle altre tombe -anche io sono qui per l’uomo che amavo. Camus, il Saint dell’Acquario. È morto durante la battaglia alle Dodici Case. È morto per colpa di Saga che ci ha ingannati tutti-

 

-Mi dispiace-

 

Disse piano Kendeas.

Milo annuì.

 

-Ragazzo, non posso condividere il tuo dolore per la morte di Saga, però posso comprenderlo. Per stanotte hai il mio permesso di restare qui. Vai da lui adesso-

 

Prima che Kendeas avesse potuto ringraziarlo il Saint sparì, veloce come la luce, come Saga quando scappava via all’alba per non rischiare di incorrere nelle ire di nonna Ifighéneia.

Per trovare la tomba gli ci volle un po’ di tempo.

Le lapidi del cimitero dei Saint erano tutte uguali sotto la luce argentata della luna, blocchi di marmo uno identico all’altro con i nomi incisi sopra con tagli netti.

Ogni volta che Kendeas vedeva un nome che cominciava con un sigma veniva attraversato da una scossa e subito si buttava in ginocchio a controllare, ma non era mai quella che cercava lui.

Seleukos.

Soter.

Sostratos.

Alla fine arrivò davanti ad una lapide con il nome inciso da poco, si capiva dai graffi ancora scabri e non levigati dalla pioggia o dal vento che formavano le lettere.

SAGA.

Kendeas si inginocchiò e posò il giglio delle sabbie sulla lapide.

Al chiaro di luna il fiore bianco sembrava avere una luce propria, era bello, nella sua semplicità e purezza.

Come era sempre stato Saga.

“Kendeas”.

Trasalì quando sentì il suo nome mormorato da un soffio.

 Kendeas… ghlikà… chiudi gli occhi”.        

Aveva la pelle d’oca ed essere in un cimitero in mezzo alla notte poteva fare impressione, ma quella voce Kendeas la conosceva troppo bene e fece come gli era stato detto.

Immediatamente sentì sulla pelle un tocco familiare.

“Saga, sei tu?”.

Gli rispose un sospiro.

Non sapeva che dire, ma d’altra parte non ce n’era bisogno.

Si sentiva come se stesse davvero stringendo Saga tra le braccia, lo sentiva fragile e sentiva la sua paura.

Provò un moto di tenerezza.

Saga ìsos theòis.

Saga tanto bisognoso di conforto.

“Kendeas, tu non mi odi, non è vero?”.

“No, no, Saga, non ti odio”.

Lo sentì piangere e sentì un ondata di sollievo.

A quanto pareva i fantasmi avevano le stesse emozioni degli umani.

Lo strinse forte, o almeno ebbe l’impressione di stringerlo e gli sembrava di sentire sul collo la carezza del lunghi capelli turchese di Saga.

C’era una profonda sensazione di pace, ma Kendeas non sapeva se era lui a provarla o se era Saga.

Kendeas… ghlikà… grazie per essere venuto da me. Grazie per amarmi ancora”.

Si sentiva stranamente pesante, come se stesse per addormentarsi.

Ricordò vagamente che era in un cimitero e che forse avrebbe dovuto avere paura ma non ne aveva.

Si stava addormentando ancora una volta insieme a Saga, perché avrebbe dovuto avere paura?

***

Si svegliò perché aveva freddo.

L’alba cominciava appena a rischiarare il cielo ad occidente e Venere si vedeva ancora bene.

Kendeas dovette fare uno sforzo per ricordare dove era, e perché era disteso su qualcosa di freddo invece che sul suo letto.

Il cimitero.

Wanax Milo che gli dava il permesso di restare.

La tomba di Saga.

Il fantasma di Saga.

O forse la sua anima che era tornata per dirgli addio.

***

Pochi mesi dopo che Kendeas era andato al cimitero arrivarono altre notizie dal Santuario, e come al solito erano i soldati a portare le ultime novità alla taverna del villaggio in cambio di qualcosa da bere.

Il Dio Poseidon che scuote la terra avrebbe voluto sommergere il mondo con un nuovo diluvio universale per purificare la terra dagli uomini malvagi.

Athena, pur di salvare i giusti, si era offerta di ricevere su di se le acque che dovevano essere riversate sulla terra per dare il tempo ai Bronze Saint di sconfiggere Poseidon, e c’erano state altre battaglie al palazzo del dio azzurro sul fondo del Mediterraneo, stavolta contro i Generali dei mari, wanakes thalàsson, che erano forti almeno quanto i Saint d’oro.

 

-E sapete qual è la cosa più assurda?-aveva detto il soldato che raccontava la storia - Pare che uno dei Generali dei mari di Poseidon fosse il fratello gemello di Saga dei Gemelli! Non c’è che dire, erano uguali in tutto quei due! Due traditori empi e spergiuri-

 

-Non parlare così di wanax Saga!-

 

Kendeas era l’unico ad attribuire ancora  a Saga il suo titolo, tutti gli altri si riferivano a lui come al traditore o al massimo come “Saga di Gemini” quasi per paura che il suo fantasma potesse arrabbiarsi e cominciare a perseguitarli se gli avessero mancato di rispetto.

 

-Che hai da prendertela tanto, ragazzo? Non era altro che questo-

 

-Smettila!-

 

Per la prima volta Kendeas si era trovato coinvolto in una rissa, e cosa ancora più inaudita era stato lui a dare il primo pugno.

Fortunatamente furono separati dopo solo pochi colpi, ma Kendeas dovette essere comunque riportato a casa a braccia.

Nonna Ifighéneia, a vederselo riportare di notte tutto pesto, aveva scosso la testa e sospirato.

Gli aveva medicato i graffi in silenzio e messo del ghiaccio sui lividi, però prima di uscire dalla sua stanza gli aveva detto-

 

 –Ragazzo mio, tu sei sempre stato una persona per bene, cerca di non diventare proprio ora uno di quei tipacci che vanno in giro a piantare grane. Io e tuo zio Kostas siamo anziani ormai, cerca di non darci questa preoccupazione-

 

“Grazie tante per la ramanzina, nonna” pensò Kendeas.

Fantastico, così oltre che il dolore di sentire sempre parlare male di Saga doveva sopportare anche i suoi anziani parenti che gli raccomandavano di “fare il bravo”.

Ma non era colpa sua, semplicemente non poteva sopportare che di Saga tutti ricordassero il tradimento e mai una parola su quanto era anche stato buono.

A quanto pare solo lui ricordava come brillavano gli occhi di Saga blu o forse verdi quando sorrideva, o il suo modo di aiutare le persone anche solo con una parola di conforto.

Per un paio di giorni Kendeas non uscì di casa, limitandosi a svolgere il lavoro del laboratorio e aspettando che le contusioni guarissero, poi, quando si fu abbastanza ripreso, decise che voleva tornare da Saga al cimitero dei Saint.

Stava rischiando di nuovo e lo sapeva, non poteva sperare di incontrare ancora un Gold Saint comprensivo come wanax Milo a dargli il permesso di restare, ma sentiva che doveva tornare.

Come la prima volta aspettò una notte di luna piena e senza nuvole, raccolse tre gigli delle spiagge, e, quando fu sicuro che zio Kostas e nonna Ifighéneia dormissero, sgusciò fuori di casa per cominciare la salita verso il cimitero dei Saint.

Stavolta gli andò meglio e non incontrò nessuno quando scavalcò il recinto inviolabile del cimitero.

Kendeas stava per raggiungere la zona dove erano sepolti i Saint morti durante la battaglia delle dodici Case quando si sentì all’improvviso oppresso da qualcosa di invisibile.

Si appiattì in un angolo e rimase schiacciato tra le rovine di una colonna ed un gruppo di lapidi.

Vide una figura alta e avvolta da un mantello nero, e tuttavia non sapeva dire se era fatta di materia reale o di un’oscurità più densa delle tenebre stesse.

Più che camminare sembrava scivolare sul terreno.

La vide fermarsi davanti ad una tomba e stendere un braccio.

La terra prese a vibrare sotto le ginocchia di Kendeas, e poco dopo la lapide si spezzò al centro con uno schianto secco.

Le due metà caddero di lato.

“Chi è questa creatura? Perché è venuta a profanare le tombe dei Saint di Athena?”.

Per un po’ non successe nulla, o almeno nulla di visibile, ma dall’interno del sepolcro proveniva un rumore tutt’altro che rassicurante.

Era come un rantolo.

La cosa che c’era nella tomba respirava.

Kendeas dovette mordersi la mano per non urlare quando vide emergere dalla terra la figura di un uomo.

“Impossibile! Solo gli dei possono fare queste cose. O i demoni”.

Uno dei Saint di Athena morto e sepolto era appena tornato in vita sotto i suoi occhi.

Kendeas non aveva mai creduto veramente a storie di zombie e fantasmi, ma che altra spiegazione poteva esserci?

La figura fatta di ombre fece un cenno di assenso, come se fosse molto soddisfatto della sua opera, poi passò ad un’altra tomba.

Anche lì spezzò la lapide e rimase ad aspettare finché un altro Saint non emerse dalla terra.

La scena si ripeté altre quattro volte, ed altri quattro esseri uscirono strisciando dai loro sepolcri, strappando i sudari come macabre crisalidi.

Dai loro tremiti e dai respiri raschianti che riempivano l’aria sembrava che tornare in vita fosse una cosa maledettamente dolorosa.

 

-Alzatevi-

 

Ordinò la figura nera.

Uno ad uno, ancora malfermi sulle gambe, riuscirono a mettersi in piedi, e la figura annuì di nuovo.

Kendeas li vedeva in controluce e non riconosceva i volti, vedeva solo la pelle nuda ed innaturalmente pallida dove era rischiarata dalla luna, eppure una di quelle sagome lo fece sobbalzare.

“Quelle tombe sono nella zona dove sono sepolti anche i Gold Saint morti durante la battaglia alle dodici Case… ma se fosse così allora uno di quegli spettri potrebbe essere Saga”.

Saga tornato in vita.

Il pensiero, invece che renderlo felice, lo riempiva di orrore perché a pochi mortali era stato concesso di varcare a ritroso le soglie dell’Ade, e quei pochi avevano sempre finito per pentirsene.

Intanto la figura nera in mezzo agli spettri aveva steso le braccia davanti a se, ad evocare tentacoli di oscurità viva.

Li indirizzò verso i corpi che aveva appena riportato in vita.

Qualcuno gridò trovandosi coperto di quella materia, ma l’oscurità non li lasciò, continuò a contorcersi a lungo in strani frattali prima di prendere una forma definitiva: da massa amorfa e all’apparenza viscida, la materia aveva preso l’aspetto solido e lucente di un metallo o forse di un cristallo.

Era di un colore scuro difficile da definire, non trasparente e non opaca, e sotto la luna mandava riflessi porpora.

Kendeas notò che sembrava aver formato delle corazze, e la forma di una di quelle gli era familiare: di spalle, somigliava in tutto e per tutto all’armatura dei Gemelli che indossava Saga.

 

-Ricordate il nostro patto, voi che siete stati Saint della Dea Athena-

 

Disse di nuovo la figura, poi, senza aspettare una risposta, scomparve, ed insieme ad essa scomparve anche la sensazione di oppressione che aveva attanagliato Kendeas fino a quel momento.

Anche i sei uomini no, spettri, sembrarono tirare un sospiro di sollievo.

 

-Adesso, ricordate qual è la nostra missione-

 

Disse il più alto di loro, quello che gli altri sembravano considerare come il loro comandante.

Prese un respiro profondo ed esclamò.

 

-Al Santuario di Athena!-

 

-Al Santuario di Athena-

 

Ripeterono gli altri.

Kendeas trasalì: in mezzo a quelle voci credeva di aver riconosciuto il timbro della voce di Saga.

Quello che aveva parlato per primo si voltò con decisione verso la montagna del Santuario, in cima a cui la Sagoma del Grande Tempio si stagliava allo stesso tempo cupa e maestosa, e partì di corsa.

Gli altri lo seguirono uno alla volta, ma quello con l’armatura simile a quella dei Gemelli sembrava esitare.

Si guardava intorno, come se avesse percepito qualcosa e non volesse andarsene.

 

-Saga!-

 

Lo richiamò uno dei compagni.

A quell’ordine lui si voltò e Kendeas lo poté vedere bene in faccia.

Non c’erano dubbi, quello spettro tornato dal mondo dei morti era proprio Saga.

 

-Saga!-

 

Gridò anche Kendeas balzando fuori dal suo nascondiglio.

Non gli importava cosa fosse, era Saga, e lui lo aveva aspettato per tredici anni, non avrebbe perso quell’occasione!

Lo spettro si voltò verso di lui, con un’espressione prima di sorpresa, poi di dolore.

Kendeas si sforzò di correre, inciampando nelle altre tombe, per raggiungerlo almeno un attimo.

Saga tese la mano verso di lui.

“Aspettami! Ti prego, aspettami solo un altro momento, Saga!”.

Un attimo ancora e sarebbero stati di nuovo insieme, e gli occhi di Saga blu o forse verdi erano pieni allo stesso tempo di dolore e di speranza.

Le loro mani stavano per sfiorarsi.

 

-Saga!-

 

L’ordine echeggiò di nuovo, imperioso.

Saga trasalì, poi scosse la testa, ritirò la mano e corse via, sicuramente molto più veloce di come avrebbe mai potuto fare un essere umano normale.

 

-No! Saga!-

 

Gridò Kendeas.

Maledizione, di nuovo!

Saga lo stava abbandonando di nuovo, e stavolta senza nessuna spiegazione.

Le sei figure scomparvero rapide nella notte.

 

-Dannazione!-

 

Imprecò Kendeas.

Nel cimitero restava solo lui, in mezzo a sei lapidi spezzate.

Nonostante il dolore e la frustrazione che provava in quel momento però riuscì a formulare confusamente che forse quello a cui aveva assistito era un attacco al Santuario e che avrebbe dovuto avvertire qualcuno.

Certo, avrebbe dovuto dire che si trovava senza permesso in terra sacra, e questo, considerato che era la seconda volta che succedeva, probabilmente gli sarebbe costato la vita.

Decise che non gli importava.

***

Poco dopo, nel cimitero dei Saint, wanaxa Shaina correva veloce con una torcia in mano, seguita da soldati che portavano anfore piene di fuoco greco.

Se quello che aveva detto quel ragazzo era vero allora non c’era altro modo per salvare il Santuario.

Si fermò davanti ai resti di alcune lapidi spezzate.

Non solo Gold, ma anche Silver Saint erano stati resuscitati, e loro non potevano permettere che altri spettri si unissero ai loro nemici.

 

-Bruciate tutto- ordinò brusca.

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Nd Mako: Scusate, scusate, scusate >//< sono orribilmente lenta a scrivere!

Se non avessi finito questo capitolo entro oggi Rory mi avrebbe decapitata e poi avrebbe usato il mio cranio come decorazione di Halloween fuori stagione… o come suppellettile vichinga… aiuto °w°

Spero che sia valsa la pena di aspettare.

 

*Rory nasconde dietro la schiena la sega del tizio di Non aprite quella porta* Ma state tranquilli, prima finiremo la storia e poi prenderò provvedimenti! ^^

 

Calhin: Heilà!

Eh, sì, è successo, Saga si era stufato di parteggiare per la Dea-bomboniera ed ha deciso di metter su una serie di calendari nudisti…

Povero povero Kendeas, sfigatello, non solo ha perso il fidanzato, ha pure rischiato di venire strozzato da Kanon xD

Come ha detto Mako, speriamo sia valsa la pena aspettare!

Un bacio J

 

E un grazie a chi ha inserito la storia in Preferite, seguite o storie da ricordare *-*

 

Baci e abbracci,

Rory e Mako

 

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Capitolo 6
*** These Open Arms ***


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Anàmesa étoiAcross the years

 

6 – These Open Arms

 

“What if everything you always took for granted, was gone?
And everything you ever thought was right, was wrong?
And what if everyone you ever loved was torn, from the pages of your life?
Would you reach out for tomorrow, or try to turn back time?

Da giorni nessuno aveva notizie né di Athena né dei Saint che l’avevano seguita nel regno di Hades.

Al Santuario erano rimaste solo le due sacerdotesse guerriere, cinque Bronze Saints e pochi soldati, e da una delle due sacerdotesse, wanaxa Shaina, Kendeas aveva saputo che non sarebbe stato punito per la sua infrazione.

Era stato per premiare la sua onestà, perché li aveva avvertiti dell’esistenza degli Specter  nonostante sapesse di rischiare la pena di morte.

Kendeas aveva l’impressione che wanaxa Shaina fosse in realtà una persona molto più sensibile di quanto sembrasse, perché era stata ad ascoltarlo con attenzione mentre lui le raccontava del suo rapporto con Saga, e gli aveva dato la sua parola di Saint che nessun’altro avrebbe saputo, neanche wanaxa Marin.

Le due donne guerriere facevano del loro meglio per non far precipitare tutti gli altri nel caos: wanaxa Marin era la più anziana ed era toccato a lei parlare nella grande arena del Santuario.

Aveva detto che non importava se Athena e tutti gli altri sarebbero tornati dopo pochi mesi, giorni o anni o se non fossero tornati affatto e loro avessero dovuto aspettare altri duecentocinquanta anni per rivedere ancora la parthene Theà ; quello era il Santuario di Athena, era e restava un luogo sacro per chi credeva nella giustizia anche se non erano presenti né la Dea né il Gran Sacerdote, per questo chi decideva di restare doveva impegnarsi al massimo per tenere vivi gli ideali che quel luogo rappresentava.

Alcuni dei soldati avevano lasciato le armi ed erano andati via.

Perché avrebbero dovuto restare in un luogo abbandonato per una Dea che probabilmente non sarebbe tornata prima di qualche centinaio di anni?

Wanaxa Shaina, disgustata e arrabbiata, li aveva accusati di anandrèia, vigliaccheria, wanaxa Marin li aveva semplicemente guardati andare via perché dei vigliacchi era meglio liberarsi subito.

Prima di andare via dal Santuario, però, Kendeas aveva voluto parlare con wanaxa Marin.

 

-Signora, voi credete che la Dea Athena tornerà?-

 

Sentì su di sé lo sguardo fisso della maschera -L’ho già detto: lei è una Dea, ma Hades è un Dio più antico e nessun mortale può neanche immaginare come andrà a finire una battaglia tra loro due. L’unica cosa che possiamo fare è sperare-

 

-E gli altri? I Saint che l’hanno seguita?-

 

-Nessuno può dirlo. Ma è difficile che i mortali possano lasciare il mondo dei morti, dopo che vi sono entrati-

 

-Ma possiamo sperare, non è vero?- insistette lui.

 

-Dobbiamo sperare. Senza la speranza la nostra vita sarebbe polvere-

 

Poi wanaxa Marin lo aveva accompagnato fuori dai confini del Santuario.

 

“Dobbiamo sperare. Io continuerò a sperare nel ritorno di Saga”.

 

***

Kendeas era andato a letto tardi quella sera e si sentiva stranamente irrequieto.

Senza una valida ragione il suo sguardo correva in continuazione al rettangolo della finestra.

Non l’aveva più aperta la sera da quasi cinque mesi, da quando si era saputo del suicidio di Saga, perché di solito lui lasciava la finestra aperta in modo che il suo Cavaliere entrasse e uscisse a piacimento, e lasciarla aperta sapendo che lui non sarebbe venuto mai più era troppo doloroso.

Però quella sera sentiva che avrebbe dovuto aprirla.

Sbuffò arrabbiato con sé stesso.

“Che fai, adesso cominci a dare di matto?”  si disse “Saga non tornerà stasera, ed aprire la finestra serve solo ad autoingannarti. Sei uno stupido!”.

Passò quasi un ora e lui ancora non era riuscito a prendere sonno.

“E va bene! Fai questa idiozia!”.

Si alzò di scatto dal letto e spalancò la persiana.

L’aria pungente della notte di febbraio gli passò sul viso.

Ad oriente la grande costellazione di Orione stava per tramontare, seguita da Sirio brillante e dalle stelle del Toro, e poco più ad est di Aldebaran si distinguevano Kastor e Polydeukes dei Gemelli.

Kendeas rimase a guardarle finché non ebbe troppo freddo, allora si ritirò nella stanza ma lasciò la finestra appena accostata.

Come se da un momento all’altro avesse dovuto arrivare Saga.

Tornò sotto le coperte e si lasciò andare a quella strana sensazione di attesa e di fiducia perché in fondo, anche se era solo uno scherzo della sua mente vicina al collasso, non aveva nulla da perdere ormai.

Aveva la certezza che avrebbe rivisto Saga.

Era già successo, no? Anche il Saint del Sagittario era apparso più volte al giovane Saint di Pegasus, perché per Saga avrebbe dovuto essere impossibile?

Più ci pensava e più si convinceva, e alla fine si addormentò con un accenno di sorriso che gli incurvava le labbra.

Avvertì una presenza familiare al suo fianco, qualcosa di caldo, protettivo e dai riflessi d’oro.

L’unica cosa che era in grado di farlo piangere di gioia.

“Saga!”.

 

Shh… sono qui, ghlikà”.

 

“È solo un sogno. Ma io non mi voglio svegliare! Non voglio che finisca”.

 

“Non finirà”.

These open arms will wait for you
These open arms can pull us through
Between what's left and left to do
These open arms
These open arms
These open arms will wait for you

Sentiva le dita di Saga che gli pettinavano i capelli.

Il suo cosmo era di luce e purezza, un oceano di tranquillità in cui dimenticare il dolore di quegli anni.

 

“Sono tornato da te, anche se solo lo spazio di un sogno. Dovevo dirtelo”.

 

“Cosa?”.

 

“In tutto questo tempo hai dimostrato molto coraggio. Non perdere la speranza adesso, Kendeas. Abbi fede nella Dea Athena”.

 

“Lei può…? Saga, ma dove siete tutti? Dove sei tu?”.

 

“Io sono qui con te, ghlikà”.

 

Poi piombò nell’incoscienza completa.

Da quella notte Kendeas lasciò sempre la finestra aperta ed ogni notte sentiva la presenza di Saga accanto a sé.

Saga lo accarezzava e gli sussurrava di avere fiducia.

Manca poco, molto poco.

Fiducia.

Athena.

E ghlaukòpis theà Athenà.

Pròmachos parténe.

(NdA La Dea dagli occhi chiari. La vergine che combatte in prima linea)

 

Una notte Kendeas si svegliò di soprassalto.

Il suo cuore batteva forte senza che lui ne capisse il motivo, solo aveva la netta impressione che stesse per succedere qualcosa, e che era qualcosa di estremamente importante.

Saltò giù dal letto e si vestì in fretta.

Mentre percorreva il corridoio si imbatté nella nonna, in vestaglia e ciabatte.

 

-Yayà! Lo senti anche tu?-

 

-Sì, figliolo-

 

Uscirono in cortile e poco dopo anche zio Kostas li raggiunse, e non erano gli unici: anche nelle altre case c’erano luci accese e nei cortili si vedevano lampade che ondeggiavano.

Tutti gli abitanti di Rodrio stavano aspettando, e tutti guardavano nella stessa direzione: il Santuario.

Nell’aria c’era una strana elettricità e le stelle sembravano palpitare contro la volta scura del cielo.

 

 Pallade unigenita, augusta prole del grande Zeus, Divina,
Dea beata, che susciti la guerra, dall'animo forte, indicibile,
di gran nome, che abiti negli antri, che governi le alture elevate
dei gioghi montani e i monti ombrosi,
e rallegri il tuo cuore nelle valli, godi delle armi,
con le follie sconvolgi le anime dei mortali

 

Un astro attraversò il cielo, una sfera luminosa come il sole impossibile da guardare direttamente senza restarne abbagliati.

 

 Fanciulla che estenui, dall'animo che incute terrore,
che hai ucciso la Gorgone, che fuggi i talami,
madre felicissima delle arti, eccitatrice,
follia per malvagi, per buoni saggezza;
sei maschio e femmina, generatrice di guerra,
astuzia, dalle forme svariate, dracena, invasata,
splendidamente onorata, distruttrice dei Giganti Flegrei,
guidatrice di cavalli, Tritogenia, che sciogli dai mali,

Ci fu un lampo accecante dietro la collina che nascondeva il Santuario, un fulmine o forse una cometa caduta sulla terra, e poi un boato tremendo come se la terra fosse stata sul punto di spaccarsi.

 

Demone apportatore di vittoria, giorno e notte,
sempre, nelle ore piccole ascolta me che prego,
dà la Pace molto felice e sazietà e Salute
nelle stagioni felici Glaucopide,

inventrice delle arti, regina molto pregata.

(Inno ad Athena)

 

Kendeas rimase a fissare il bagliore d’oro che riempiva il cielo a nord.

Gli tornò in mente tutto ciò che Saga gli diceva a proposito di non perdere la speranza e di avere fede in Athena, e allora ne ebbe la certezza.

 

-È la Dea Athena. È tornata-

 

Mormorò piano.

Questo voleva dire che anche per i Saint che l’avevano seguita nell’Ade c’era speranza.

***

Era vero!

Le prime notizie arrivarono più di una settimana dopo.

Athena, reincarnata nella quindicenne Saori Kido, era riuscita a tornare dal mondo dei morti.

Era rimasta incosciente per molto tempo, accudita dalle due sacerdotesse, ma era riuscita a svegliarsi, e adesso, si diceva, stava pregando per i suoi Saint.

Hades era un Dio e non avrebbe mai potuto essere ucciso, tuttavia il suo corpo mortale, incorrotto fin dai tempi del mito, avrebbe potuto essere seriamente danneggiato, e questa era la più grande paura del signore dell’oltretomba.

Athena, rivestita della sua panoplia splendente, aveva ormai vinto e gli aveva proposto un patto: lasciare intatto quel corpo a cui teneva tanto in cambio di poter portare via le anime dei suoi Saint.

Il signore dei morti aveva accettato, ma quanto al come avrebbe fatto a portarle via dal Cocito avrebbe dovuto pensarci lei, per questo la Dea pregava, per sciogliere con il suo cosmo caldo la morsa di ghiaccio attorno a loro.

Uno per volta e con l’aiuto della luna Artemis, i Saint avrebbero potuto essere strappati all’Ade quando il sole fosse entrato nella costellazione della loro data di nascita, quando la prima notte di luna crescente avrebbe aiutato Athena a farli rinascere.

Il primo ad essere risvegliato dalla morte fu il Gold Saint dell’Ariete ad Aprile, poi all’inizio di Maggio Aldebaran della costellazione del Toro, simile ad Aiace Telamonio.

Man mano che il momento di Saga si avvicinava Kendeas diventava sempre più irrequieto.

La presenza di Saga la notte era qualcosa di reale che continuava a sussurrare solo per lui, erano separati solo da un velo che tutta via era impossibile da squarciare prima del tempo.

Un mattino, quando si svegliò, Kendeas sentì una presenza nella stanza, e non era la solita impressione di avere vicino l’anima di Saga, era una persona reale!

Kendeas rischiò di cadere dal letto quando si accorse che la persona in camera sua era il Saint dell’Ofiuoco.

 

-Wanaxa!-

 

Era imbarazzante avere un Saint donna nella propria stanza a quell’ora del mattino!

 

-Tsk! Finalmente ti sei svegliato! Ho un messaggio per te. Da parte di Athena-

 

“Athena!”.

 

-Ascoltami bene. Il ventisette maggio sarà la prima luna nuova da quando il sole è entrato nel segno dei Gemelli. Sai cosa significa?-

 

-Saga!- esclamò subito Kendeas.

 

-Esatto. Hai il permesso di venire se vorrai. Al tramonto, fatti trovare al témenos (NdA dove comincia il territorio del Santuario). Porta con te questa come segno che puoi entrare-

 

Shaina gli lanciò qualcosa di piccolo e lucente.

Kendeas lo afferrò al volo e vide che era una moneta d’argento antica, che su una faccia aveva una civetta e sull’altra un ramo di ulivo.

I simboli della Dea.

Quando alzò gli occhi la sacerdotessa era già sparita.

Man mano che il giorno stabilito si avvicinava Kendeas era sempre più irrequieto: non riusciva a concentrarsi su niente che non fosse il pensiero “Saga sta per tornare”.

La notte lo sentiva più vicino che mai e quando si svegliava si sorprendeva di non trovarlo davvero accanto a sé.

Infine arrivò il ventidue maggio.

La notte avrebbe dovuto essere quella, la prima luna nuova da quando il sole era entrato nella costellazione dei Gemelli e lui, con il permesso della dea Athena in persona, poteva essere presente.

Arrivò al tramonto al recinto sacro come gli era stato detto e lì trovò Shaina dell’Ofiuco ad aspettarlo.

Kendeas ebbe un attimo di vertigine mentre varcava il confine.

Stava davvero per vedere i templi dei Saint d’oro di cui aveva sentito le leggende fin da quando era un bambino! Lui! Il ragazzo che lavorava l’argilla!

Lei gli fece cenno di seguirlo in silenzio, e solo quando arrivarono davanti al primo tempio gli rivolse la parola.

 

Did you really love the ones you said you loved, thats right?
And did you make a damn of difference in somebody elses life?
Tell me, is there someone you can count on when you need a friend?
Can you say I need a friend?

-Devi amarlo davvero tanto-

 

-Con tutta la mia anima-

 

Rispose lui senza la minima esitazione.

Attraversarono le prime due case dello Zodiaco, e Kendeas teneva ben stretta nella mano destra la moneta di Athena.

 

-Adesso tu resterai qui fuori con i soldati. Io e tutti gli altri Saint, anche quelli di Bronzo, dobbiamo aiutare Athena con il nostro cosmo perché stavolta deve richiamare due anime. Sarà molto faticoso per lei-

 

Kendeas annuì.

Anche fuori sulla scalinata andava bene, qualsiasi posto purché fosse più vicino possibile a Saga.

Capiva che l’interno del terzo tempio, dove splendeva il cosmo di Athena e dei Saint, non era posto per lui, perché lui non aveva un cosmo che potesse aiutare il suo Cavaliere, non aveva niente tranne speranza e amore.

L’unica cosa che poteva fare era pregare, e pregò come non aveva mai fatto nella sua vita.

Pregò anche per il fratello di Saga, perché anche lui doveva avere sofferto.

Kendeas lo sentì subito.

Un dolore atroce al petto, come se qualcosa gli stesse scardinando le costole, e l’aria che respirava era come fuoco e cenere che gli bruciava i polmoni.

Ricordò che quando aveva visto gli spettri al cimitero gli era sembrato che tornare in vita fosse doloroso.

“Sto provando quello che prova lui. Fa male!”.

Cadde sulle ginocchia e poi a terra.

Il cuore palpitava impazzito sotto lo sterno e contro il marmo del pavimento, gli sembrava che stesse per scoppiare.

“Non ti arrendere, Saga! Ce la faremo insieme. Non ti arrendere, Saint dei Gemelli!”.

E poi all’improvviso tutto cessò.                              

Il suo respiro non bruciava più ed il cuore stava tornando a battere normalmente.

Kendeas si sentì solo immensamente stanco, mentre boccheggiava disteso sulla gradinata di pietra, a mala pena cosciente delle persone chine su di lui.

“È tornato”.

Ebbe solo il tempo di pensare, poi tutto diventò nero.

Quando si svegliò era nella sua stanza e si sentiva debole; qualcuno doveva averlo riportato a casa, probabilmente una delle sacerdotesse.

Però c’era qualcosa che non andava: di solito, la mattina, la presenza di Saga era ancora chiara accanto a lui, quella mattina invece Kendeas provava uno strano senso di freddo e di vuoto.

“È tornato in vita solo da poche ore” Cercò di convincersi “Anche Athena che è una Dea ha avuto bisogno di tempo. Devo solo aspettare”.

Ma per più di una settimana, oltre l’inizio di giugno, aspettò invano.

***

Kendeas stava lavorando come al solito, quando si accorse dell’ombra di una persona che sembrava disegnata a terra nel rettangolo della finestra.

Si girò con tutta l’intenzione di dirne quattro al maleducato che invece di bussare alla porta di casa o almeno di annunciarsi in qualche modo restava lì a fissarlo, solo che appena vide chi era rimase senza fiato.

“Saga!”.

 

:-Sa-…-:

 

Ma la persona in controluce lo fermò con un gesto della mano :-Aspetta, prima che tu mi scambi di nuovo per mio fratello e faccia qualcosa di molto imbarazzante, ti avviso che io sono Kanon-:

 

Non era Saga.

La delusione gli fece precipitare lo stomaco sottoterra.

 

:-Tu sei Kendeas, giusto? Sei il ragazzo che Saga aveva scelto come compagno-:

 

Kendeas si mosse a disagio: era imbarazzante sentirlo dire senza un minimo di delicatezza.

Ma d’altra parte sapeva che non aveva niente di cui vergognarsi, quindi rispose a testa alta.

 

:-Sì, sono io. Perché sei qui?-:

 

:-Perché ho bisogno di te. O meglio, Saga ha bisogno di te. Mio fratello è al Santuario, è vivo, ma è come se l’esistenza che gli è stata restituita fosse un peso-:

 

In quel momento Kendeas desiderò di potersi muovere alla velocità della luce come i Gold Saint per poter correre subito da lui.

 

:-Penso che tu potresti aiutarlo. Sai, credo che lui pensi molto a te, e so che anche tu pensi a lui-:

 

:-Come lo sai?-:

 

:-Perché voi patetici romantici sentimentali siete prevedibili-:

 

Kendeas si sentì punto per la definizione “romantico sentimentale”, ma in quel momento il suo pensiero principale era Saga.

 

:-Come posso incontrarlo? Io non posso entrare al Santuario e da quanto dici tu, lui non vuole uscirne-:

 

Kanon sospirò, appoggiato con i gomiti al davanzale, e fece una smorfia esasperata :-Non hai torto. A quanto pare dovrò pensarci io… Uff! Odio stare in mezzo. Facciamo così: se mi dai il permesso te lo porto qui. Tienilo lontano dal Santuario, fagli vivere per un po’ una vita normale. Ha bisogno per un po’ di tempo di dimenticare di essere stato un Saint, capisci?-:

 

Kendeas riuscì appena ad articolare qualcosa che somigliava ad un “sì”.

Stava succedendo tutto troppo in fretta!

Era stato quattordici anni senza Saga, lo aveva visto tornare in vita come spettro, scomparire di nuovo nel giro di una notte e poi lo aveva sentito tornare in vita, e adesso aveva la possibilità di averlo di nuovo vicino.

 

:-Visto, che ti dicevo? Hai la stessa espressione poco intelligente che ha fatto mio fratello quando mi è capitato di accennargli a te. Perfetto! Dammi solo il tempo di tornare al Santuario e andare a prenderlo. Ah, a proposito, credo di averti quasi strangolato un paio di anni fa. Spero che tu non te la sia presa troppo-:

 

E sparì come ormai era diventata abitudine.

Kendeas non perse tempo: andò difilato a parlare con nonna Ifighéneia: se dovevano avere un ospite era meglio informare per prima la padrona di casa!

La trovò in cucina impegnata a lavare le verdure.

 

-Yayà, ti devo dire una cosa importante-

 

Si sentiva imbarazzato e speranzoso, praticamente un bambino che chiedeva il permesso di ospitare un amichetto per un paio di giorni, non un uomo di quasi trent’anni che stava per accogliere in casa il Saint che aveva tradito.

 

-Ti ascolto, dai, parla-

 

-Ah, sì. Nonna, io ho preso un impegno. Sag-… il Saint dei Gemelli è tornato in vita, ma…- si fermò, incerto su come spiegare –Lui… per quello che ha fatto… è difficile per lui stare al Santuario. Lui ha bisogno di stare per un po’ in un posto diverso e di vivere una vita normale,  ha bisogno di una casa, e di una famiglia. Ha bisogno trovare un po’ di pace ed ha bisogno di… di…-

 

-Di qualcuno che gli voglia bene?-

 

Suggerì la nonna con il suo solito sorriso benevolo.

Kendeas fece un segno di assenso.

Evitò di parlare perché era certo che la sua voce lo avrebbe tradito se a proposito di Saga avesse detto qualcosa di banale e riduttivo come “volergli bene”.

 

-Allora, nonna, potrà stare con noi, non è vero?-

 

-Oh, io non ho niente in contrario, e neanche Kostas. Non dopo che gli avrò parlato-

 

Si trovò a sorridere come un idiota, e si diede anche un gran pizzico sul braccio sotto il tavolo per assicurarsi che non fosse tutto un sogno -Bene, allora… vado a prendere la brandina per metterla in camera mia-

 

Con sua enorme sorpresa la nonna cominciò a ridacchiare -Non vedo perché mai vi dovrebbe servire un altro letto-

 

Il tono era stato fin troppo allusivo, e Kendeas non sapeva che rispondere, in compenso si sentì il viso in fiamme -Hem… ecco…-

 

-Santo cielo, ragazzo mio, sono vecchia, non cretina! Pensavi davvero che non me ne sarei accorta?-

 

A quel punto Kendeas scappò via, imbarazzato all’inverosimile, con la voce della nonna che gli gridava alle spalle –Comunque può restare lo stesso-

 

Si barricò in camera sua e si buttò sul letto.

Nella sua testa rimbalzavano due pensieri: il primo era “Saga. Tra poco” e l’altro era “Nonna sapeva tutto!”.

Non era ancora riuscito a capire quale dei due lo mettesse più in confusione quando sentì dei colpi contro la finestra.

Si precipitò ad aprire.

Era Kanon, e tra le braccia reggeva Saga svenuto.

Kendeas si fece da parte per lasciarlo entrare, e lui da parte sua non lo guardò quando lo oltrepassava per andare a posare Saga sul letto.

Nei suoi gesti c’era una strana delicatezza, che contrastava con il modo spiccio di parlare e con i modo bruschi.

 

-È svenuto! Ma che gli è successo?-

 

Gli chiese Kendeas.

Non riusciva a staccare gli occhi da Saga.

 

-Non riuscivo a convincerlo con le buone e non avevo tempo da perdere. Tranquillo, si sveglierà presto-

 

Kendeas boccheggiò -Lo hai colpito tu?-

 

-L’ho fatto per il suo bene. Mi dispiace di non poter fare di più. O di meglio, per lui-

 

Kanon si chinò di nuovo sul fratello e lo guadò con una sorta di tenerezza, allungò una mano come se avesse voluto accarezzarlo, ma poi cambiò idea.

 

-Da adesso lo affido a te. Abbi cura di lui-

 

Non scomparve come faceva sempre, si limitò a scavalcare di nuovo il davanzale e ad incamminarsi lungo il sentiero della campagna.

Kendeas ebbe per un attimo l’impulso di trattenerlo perché gli sembrava di aver visto qualcosa di simile alla tristezza nell’atteggiamento di Kanon, ma alla fine non si seppe decidere.

Che poteva dire lui ad un uomo come Kanon?

Si passò un attimo una mano sul viso e tornò a concentrarsi su Saga.

Si sedette sul letto accanto a lui e per la prima volta dopo quattordici anni poté accarezzare di nuovo il suo viso.

Percorse le guance con le dita, poi la fronte e la curva morbida del collo, e le palpebre chiuse che nascondevano i suoi occhi blu o forse verdi.

Ricordò quante altre volte lo aveva accarezzato in quel modo e per quanto tempo non aveva potuto farlo, e quanta paura aveva avuto di non rivederlo mai più, e invece Saga era di nuovo con lui.

Le lacrime cominciarono a scorrere silenziose mentre sorrideva, senza che lui facesse niente per fermarle, e d’altra parte perché avrebbe dovuto?

Dopo tante volte che aveva pianto perché Saga gli mancava disperatamente aveva ben diritto di piangere almeno una perché era troppo felice di riaverlo!

Gli teneva la mano perché aveva bisogno di mantenere un contatto fisico con lui, perché aveva un’irragionevole paura che se lo avesse lasciato anche solo per in istante lo avrebbe perso di nuovo come Orfeo aveva perso la sua Euridice.

Era passato del tempo, forse pochi minuti, forse delle ore, quando Saga diede qualche segno di essere sveglio.

Si era lasciato sfuggire un lamento, poi la mano stretta in quella di Kendeas si era contratta, infine, a fatica, aveva aperto gli occhi.

 

Can you live in your skin, walk in your own shoes?
You can't win, if you don't know how to lose
Crawl, fall, Jonny gotta learn to fly

-Cos-…? Dove…?-

 

Evidentemente non si rendeva conto di dove si trovava, e ci mise anche un po’ di tempo a mettere bene a fuoco il suo viso.

 

-Kendeas- mormorò alla fine.

 

-Sì, Saga, sei qui con me-

 

La reazione di Saga non fu quella che lui si aspettava -Non ho intenzione di restare. Te l’ho già detto anni fa, Kendeas. Noi non avremmo dovuto più vederci-

 

A quelle parole Kendeas rischiò davvero di cedere alla disperazione.

Dannazione, ma come era possibile?

Lui aveva aspettato Saga per tanti anni, aveva rischiato la vita per vedere la sua tomba anche solo una volta, aveva passato notti intere a sognarlo, e adesso aveva da dirgli solo quello?

“Noi non avremmo più dovuto vederci”?

E allora perché, quando era in forma di anima, spirito o quello che era, lo aveva sentito così vicino?

Si riscosse quando sentì che Saga provava ad alzarsi, con una mano premuta sullo stomaco ed una smorfia di dolore.

“Forse è lì che Kanon lo ha colpito”.

Realizzò Kendeas in astratto, poi però capì: Saga se ne stava andando di nuovo!

“Eh, no! Ne ho abbastanza di gente che scompare e mi pianta in asso!”.

Kendeas non perse tempo a discutere per convincerlo: si buttò su di lui e lo fece ricadere sul materasso.

 

-Tu non andrai da nessuna parte -

 

Gli disse determinato.

Saga provò ad alzarsi ma non aveva a disposizione tutta la sua forza e Kendeas, dopo solo pochi secondi di lotta, riuscì a rimetterlo giù.

Gli rimase attaccato, con le braccia ben strette attorno a lui e la guancia così pressata contro il suo petto che quasi si stava slogando la mascella, ma era ben deciso a non lasciarlo andare per nessun motivo.

“Che strana la vita! Quattordici anni in cui siamo stati separati e adesso il primo abbraccio è per placcarlo!”

Saga provò a cambiare tattica e passò a cercare di staccare le braccia che lo stringevano.

 

-Non fare la femmina capricciosa. Lasciami-

 

-No, non ti lascerò. Se vuoi che mi stacchi dovrai spezzarmi le braccia-

 

Sentì tutto il corpo di Saga contrarsi.

Evidentemente l’idea di fargli del male lo agghiacciava.

 

-Kendeas, adesso basta, davvero. Lasciami-

 

-No-

 

Il respiro di Saga, sotto la guancia di Kendeas, diventava sempre più aspro -Perché non vuoi capire? Niente potrà essere mai più come prima!-

 

-Non mi aspetto che sia come prima, io voglio solo poterti amare. Dimmi, chiedo troppo?-

 

-Amare un traditore e assassino? Non puoi-

 

- Decido io cosa posso e cosa non posso. Ed io ti amo-

 

Stavolta Saga aveva un tremito nella voce quando parlò -Non posso accettarlo, Kendeas… quello che ho fatto…-

 

-Lo so cosa hai fatto. E ti amo lo stesso. È questo l’amore, Saga-

 

Lo sentì tremare sotto di sé.

Stava per cedere, Kendeas ne era sicuro, per questo continuò a parlargli a voce bassa.

 

-È questo l’amore. È conoscere gli aspetti peggiori di una persona ed accettarli-

 

Un ansito rapido, forse un singhiozzo.

Kendeas avrebbe tanto voluto accarezzarlo, ma aveva troppa paura che se avesse allentato la presa anche solo di poco lo avrebbe perso.

 

-Sai cosa ho sentito una volta in chiesa? Qualcuno ha detto che il male non è altro che assenza di bene. È un vuoto. Ma questo vuoto può essere colmato dall’amore. Saga, ti prego, resta con me. Permetti al mio amore di curare le tue ferite-

 

Lui provò ancora a divincolarsi ma ormai era solo un debole tentativo -Ma tu… davvero ci tieni tanto a me?-

 

Kendeas annuì e finalmente Saga smise di lottare.

 

-Saga? Adesso mi prometti che, se ti lascio, non te ne andrai?-

 

-Prometto-

 

Kendeas decise di fidarsi; lo lasciò andare e si mise seduto, ad asciugarsi le lacrime con il dorso della mano.

Osservava Saga di soppiatto, pronto a placcarlo di nuovo non appena avesse fatto un movimento sospetto, ma il Saint dei Gemelli era solo seduto accanto a lui, con lo sguardo perso nel vuoto.

 

-Non hai mai pensato di rinunciare a me- disse piano –Non mi hai mai abbandonato, anche se io avevo abbandonato te-

 

Saga si voltò verso di lui ma i suoi occhi blu o forse verdi erano pieni di lacrime e non riuscì a sostenere il suo sguardo; si coprì il viso con le mani, e poco dopo singhiozzava con tutta la forza che aveva.

Saga ìsos theòis. Saga il dio dal cuore umano. Saga, umano come non lo era mai stato, in tutta la sua fragilità.

Kendeas non disse nulla.

Quel pianto non gli faceva paura perché sapeva che Saga aveva solo bisogno di sfogarsi, per questo si limitò a raccoglierlo in un abbraccio e a lasciarlo piangere sulla sua spalla.

These open arms will wait for you
These open arms can pull us through
Between what's left and left to do
These open arms
These open arms
These open arms
These open arms
These open arms will wait for you”

(These Open Arms – Bon Jovi)

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Makoto *histerycal mode on* Aaahhh!!! Ritardo! Ritardo! Ritardo! >//< Imperdonabile, indegno, disgustoso ritardo! Ed è tutta colpa mia, confesso =(

Intanto rispondo alla recensione

 

X Calhin: Ah-a! Oggi ci sono io in questo angolo! *butta Rory giù dalla sedia* Grazie per la recensione sul capitolo precedente, spero che anche per questo sia valsa la pena aspettare. Eh, sì, è impossibile rimpiazzare Saga! Ed anche se è un traditore schizofrenico a Kendeas non importa (e neanche a noi, o no?) Sul biasimo di Aioros mi unisco con tutto il mio piccolo, malvagio cuoricino. Dico, morire eroicamente va bene, ma morire per salvare quella che sarebbe diventata Saori no, eh! A proposito, sono, anzi, siamo contentissime che Kendeas ti stia piacendo =D Per fortuna Kurumada, avendo inventato una carrettata di personaggi uno più strano dell’altro, ha dovuto lasciare parecchi buchi neri… che noi scrittori di fan fiction siamo lietissimi di riempire XD

Per l’immagine devi ringraziare le abilità artistiche di Rory, come per tutte le altre immagini ad inizio capitolo.

Un abbraccio anche a te =)

Ps: asdfghjkl  è una parola elfica immagino XD

 

Poi passo alle cose da dire sul capitolo: 

 

1Questo doveva essere l’ultimo e invece l’ho diviso in due se no diventava un mostro di più di venti pagine.

2 La canzone perfetta per questa prima parte l’ha trovata la mia so®cia ed è “These open arms” dei BonJovi (Link  http://www.youtube.com/watch?v=NnBWvqpmqq4 )

3 “Odio stare in mezzo” detto da Kanon è una delle battute di Kronk ne “Le follie dell’imperatore” . Sì, lo so, sono una cretina che mette citazioni cretine in cose serie.

4 “il male non è altro che assenza di bene” è la filosofia di Sant’Agostino (sempre di Santi si parla!) messa gentilmente a disposizione sempre dalla mia so®cia (P.S: Sì, qui è Rory che invece di studiare filosofia pensa a come quest’ultima possa essere applicata in fanfiction di vario genere xD Povera la mia prof, quando ho voluto ripetere Sant’Agostino lei era tutta felice e gongolante per aver trovato qualcuno a cui piaceva la sua materia… non poteva immaginare perché ci avessi messo tanto impegno a studiarlo! xD).

5 Un pianto alla fine ci stava bene perché anche nell’anime non fanno altro che aprire i rubinetti e frignare almeno una puntata su due.

 

Va bene, adesso basta, posso andare a fustigarmi ancora per il ritardo.

Al prossimo capitolo

                                                                   Makoto

 

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Capitolo 7
*** Heaven ***


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Anàmesa étoi – Across the years

7-Heaven

 

“Oh - thinkin' about all our younger years

There was only you and me

We were young and wild and free

 

Cominciare una nuova vita non era solo un modo di dire, e Kendeas se ne accorse subito mentre stava accanto a Saga.

Il Saint dei Gemelli era sempre silenzioso e la sua presenza in casa si notava appena, sembrava proprio che si impegnasse con tutte le sue forze per non esistere.

Kendeas credeva che, la notte che lo aveva visto al cimitero quando era appena stato riportato in vita da Hades, fossero stati l’oscurità ed i suoi occhi a confonderlo, invece lui aveva visto giusto: i capelli di Saga avevano acquisito una nuova sfumatura, non grigia come la cenere della sua anima malvagia e non limpida come il cielo della sua anima buona.

Adesso i suoi capelli erano di un color simile all’indaco, unica traccia visibile della sua discesa nel regno dei morti.

Gli occhi no, per fortuna, erano gli occhi che Kendeas aveva sempre conosciuto.

Occhi che avrebbe voluto poter scrutare più spesso, peccato che Saga tenesse quasi sempre lo sguardo basso.

Per quanto riguardava i parenti di Kendeas lo avevano accolto come un ospite, senza particolari commenti e senza fare niente che potesse metterlo in imbarazzo, solo ogni tanto nonna Ifighéneia, che oltre ad uno spiccato intuito femminile sembrava possedere un’altrettanto femminile propensione al pettegolezzo, si lasciava scappare un mezzo sorriso quando li vedeva insieme.

La prima sera Saga aveva seguito Kendeas nella sua stanza e poi aveva guardato interrogativo prima lui e poi il letto.

Kendeas aveva provato una gran tenerezza di fronte al suo imbarazzo.

 

:-Se te lo stai chiedendo, sì, dormirai con me. C’è abbastanza spazio per tutti e due, e poi io voglio che tu stia veramente accanto a me-:

 

Saga non aveva protestato e presto Kendeas ne aveva capito la ragione: non appena lui aveva spento la luce sul comodino e la stanza era piombata nell’oscurità, Saga si era raggomitolato contro il suo fianco come un gattino.

Kendeas lo aveva accarezzato in silenzio.

Era stato il Saint dei gemelli a parlare per primo, un mormorio indistinto poco più in basso della sua guancia.

 

-Come fai a stare tranquillo? Non pensi a quello che ho fatto anche se sembravo un santo? Non pensi che potrei farti del male?-

 

-No, Saga, io non ho paura di te. Quello che ti è successo è colpa del fatto che hai dovuto sopportare cose che gli uomini comuni neanche immaginano-

 

Saga si era irrigidito.

“Accidenti! Ricordargli che ha fallito come Saint di Athena non è stata una mossa azzeccata”.

 

-Saga, adesso ascoltami. Sai cosa vuol dire alla lettera “schizofrenia”? Frén è la parte più profonda e delicata dell’animo, quella che prova i sentimenti, mentre skizo lo sai anche tu che vuol dire fare a pezzi. La tua è un anima spezzata. Adesso è il momento di rimettere insieme questi pezzi, va bene?-

 

Saga si era limitato a sospirare e non aveva opposto la minima resistenza quando Kendeas si era girato di fianco e gli aveva fatto appoggiare la fronte contro la sua spalla.

Da quella prima volta ogni sera, prima di addormentarsi, abbracciava Saga, lo accarezzava e gli parlava piano per fargli capire che lui lo amava e basta, senza condizioni.

Sapeva per istinto che Saga aveva bisogno di sentirsi amato ma che non avrebbe mai chiesto neanche il minimo gesto di affetto perché era troppo convinto di non meritarne.

Inoltre Kendeas non aveva tentato nemmeno un piccolo approccio fisico perché Saga era già abbastanza scombussolato; meglio che per il momento la loro relazione rimanesse puramente platonica.

La sua pazienza venne ripagata poco a poco.

Kendeas ricordava ancora quello che Saga gli aveva detto quando erano ragazzi, che avrebbe voluto partecipare alla sua vita normale, e decise che il modo migliore era proprio quello, quindi coinvolse Saga in tutte le più banali attività della casa.

Lo fece lavorare nel laboratorio con lui, all’inizio solo come un gioco ma insegnandogli veramente a modellare delle forme semplici, e poi lo portò nel frutteto dove gli insegnò come riconoscere i frutti maturi da quelli che avevano ancora bisogno di tempo e a distinguere gli alberi uno dall’altro in base alla forma delle foglie.

Gli fece conoscere ad occhi chiusi la corteccia liscia del pesco e quella ruvida e dell’olivo, guidando le sue mani prima sulla parte più antica del tronco e poi sui rami nuovi che erano spuntati da poco, e gli fece incontrare l’odore balsamico dell’eucalipto, quello tipicamente mediterraneo dell’alloro e quello pungente dei pini marittimi.

Gli fece sporcare le mani di terra e di argilla, e Saga non sembrava per niente umiliato da quelle occupazioni, anzi a volte a Kendeas sembrava che tirasse un sospiro di sollievo come a dire “Sono qui ad innaffiare degli ortaggi invece che a mentire a tutto il mondo. Meno male!”.

Saga lo seguiva senza mai una protesta, parlando poco ma ascoltando con espressione attenta tutto quello che Kendeas gli diceva.

Sembrava che tutto il mondo fosse nuovo per lui, ed in effetti doveva essere proprio così perché si stava confrontando con una realtà che era lontanissima da quella dei Saint, e quella nuova realtà era un rifugio perfetto per la sua mente: concentrarsi per imparare cose nuove lo distoglieva dal pensare agli ultimi tredici anni, e Kendeas era un’ottima guida in quell’esplorazione.

Era paziente ma non lo trattava mai con sufficienza, e se qualche volta rideva non era mai per prenderlo in giro.

Ogni tanto però, nonostante l’atmosfera serena della casa, Saga si lasciava andare alla malinconia, soprattutto quando prima di rientrare in casa si fermava sulla porta e guardava a nord, in direzione del Santuario.

A volte era solo un’occhiata veloce, altre volte si fermava a lungo.

Kendeas non lo disturbava mai in quei momenti perché capiva perfettamente che il Santuario era stato tutta la vita di Saga, nel bene e nel male, e capiva che lui sentisse così forte il richiamo verso quel luogo.

Lo amava almeno quanto lo temeva.

Un pomeriggio Saga era particolarmente abbattuto mentre cercava con lo sguardo la sagoma dello Star Hill e delle montagne intorno al Tempio di Athena.

Guardava lontano, seduto sulla panca nel cortile sul retro, sotto il pergolato di glicine e gelsomino, bello e malinconico come una statua antica.

Kendeas si azzardò ad intromettersi, per una volta.

 

-Saga? Stai pensando al Santuario, non è vero?-

 

Lui trasalì, forse perché preso alla sprovvista o forse spaventato dalla domanda.

 

-In un certo senso. Mi domandavo se ho fatto abbastanza-

 

-Abbastanza?-

 

-Intendo… ho fatto abbastanza per cancellare le mie colpe?-

 

Kendeas cominciò ad avvertire un campanello d’allarme.

Non gli piaceva la piega che stava prendendo quella conversazione.

 

-Bè, vediamo un po’… sei stato per tredici anni a torturarti nei rimorsi, poi ti sei suicidato, poi ti sei fatto passare per traditore pur di portare a termine la missione di avvertire Athena dei piani di Hades e poi, quando non avevi più un corpo con cui combattere, davanti al muro del pianto hai bruciato la tua anima per permettere ai Bronze Saint di raggiungere la dea. Che altro avresti dovuto fare?-

 

Saga continuò a guardare lontano.

“Smettila di evitarmi, dannazione! Non eri tu che mi dicevi di guardarti in faccia quando mi parlavi?”.

Kendeas scoprì con sorpresa di essere arrabbiato, e la replica di Saga lo irritò ancora di più.

 

-Non lo so. A volte penso che neanche nell’inferno esista un castigo sufficiente per me-

 

-Saga, tu all’inferno ci sei già stato-

 

Gli ricordò Kendeas.

 

-Forse avrei dovuto starci di più-

 

A quel punto perse la pazienza.

Fece un paio di passi per trovarsi di fronte a Saga e lo scrollò forte dalle spalle.

 

-No, Saga, non hai fatto abbastanza! Se credi che la soluzione per rimediare al male che hai fatto sia fare del male a te stesso, allora non farai mai abbastanza-

 

Gli urlò addosso prima che Saga potesse riprendersi dalla sorpresa.

 

-Non capisci, Saga? Nessuno vuole che tu continui a punirti, non è questo che ti stiamo chiedendo-

 

Gli disse Kendeas deciso, ma comunque meno duro di prima.

 

-E allora cosa? Che devo fare per liberarmi di quello che mi è successo?-

 

-Intanto guardami. Voglio che mi guardi in faccia quando ti parlo, hai capito?-

 

Now nothin' can take you away from me

We bin down that road before

But that's over now

You keep me comin' back for more

Incredibile: il ragazzo di campagna che dava lezioni di dignità al cavaliere d’oro.

Saga non sembrava avere nessuna intenzione di sollevare la testa e meno che meno di incrociare il suo sguardo, allora Kendeas dovette fare quello che aveva fatto Saga tanti anni prima, quando era lui quello sicuro di sé e Kendeas era quello intimidito: gli prese il mento tra le dita e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

 

-Saga. Tu devi fare la cosa più difficile perché è proprio quella che non vuoi fare. Devi perdonare te stesso e devi accettare che gli altri ti abbiano perdonato-

 

Lo sentì rabbrividire.

 

-E se non dovessi riuscirci?-

 

Gli chiese con un tono che racchiudeva tutta l’incertezza e la fragilità del mondo.

Kendeas sorrise.

 

-Vorrà dire che dovrai sopportare questo per il resto dei tuoi giorni-

 

-Questo cosa?-

 

Kendeas gli lasciò andare il mento e la spalla che ancora gli stringeva e lo abbracciò.

La guancia di Saga era calda attraverso i vestiti ed il suo respiro gli accarezzava delicatamente la pelle.

 

-Ah, certo, questo. Continuo a dimenticare che tu non vuoi proprio saperne di lasciarmi andare-

Baby you're all that I want

When you're lyin' here in my arms

I'm findin' it hard to believe

We're in heaven

And love is all that I need

And I found it there in your heart

It isn't too hard to see

We're in heaven

 

Stavolta non era un tono a metà, con una sfumatura positiva ed una negativa, era sollievo perché Saga si era finalmente convinto che non sarebbe mai stato rifiutato.

Anche Kendeas era sollevato che tutto si fosse risolto in quel modo perché si era pentito subito di essersi arrabbiato con Saga, ed a pensarci bene non era precisamente che fosse arrabbiato con lui, il fatto era che odiava vederlo ridotto ad un pallido riflesso del guerriero simile ad un dio che era stato.

Ad ogni modo quel suo scatto era servito a qualcosa, perché da quel giorno Saga ci mise più impegno nel lasciare andare il passato per concentrarsi sul presente che stava vivendo.

La sera spesso, dopo aver cenato, stavano nel cortile sul retro stesi sulla stessa stuoia di paglia intrecciata, a guardare le stelle, e Saga gli insegnava a riconoscere le costellazioni come aveva già cominciato a fare anni prima.

Raccontava le storie dei tempi del mito a voce bassa solo per il suo compagno, e Kendeas in quei momenti, immerso nel profumo del grano acerbo e della terra ancora calda del sole di luglio e mentre teneva la mano di Saga, credeva di essere la persona più fortunata del mondo.

Gli sembrava che quei tredici anni non fossero mai passati e che loro due stessero in quel modo da sempre.

Per Saga non era molto diverso: quella situazione gli faceva rivivere il tempo della sua innocenza, quando vicino a Kendeas si sentiva libero di essere una persona normale.

Guardava la volta del cielo stellato, un infinito tappeto di velluto nero sparso di gemme sopra di lui, e si concedeva il lusso di sentirsi piccolo davanti all’immensità.

E poi raccontare storie di altri personaggi lo distoglieva dal pensare alla sua.

Fu proprio durante una di quelle chiacchierate serali che Saga sorprese Kendeas.

 

-Sto bene in questo momento. Non so se riuscirò mi a ringraziare abbastanza te e la tua famiglia per quello che state facendo per me-

 

Gli disse in un sussurro.

A Kendeas saltò subito il cuore in gola perché era la prima volta che Saga mostrava di aprirsi un po’.

Quando rispose la sua voce tremava leggermente.

 

-Lo sai che non ci devi ringraziare, noi lo facciamo perché…-

 

-Mi volete bene- Lo anticipò Saga –Nel tuo caso più che bene-

 

Prima che Kendeas potesse aggiungere qualcosa Saga riprese a parlare, con gli occhi rivolti alle stelle.

 

-Lo sai, appena mi sono svegliato qui a casa tua avevo pensato di scappare. Sapevo troppo bene che tu non avresti potuto trattenermi, ma proprio per questo mi sembrava una cosa terribilmente vigliacca. E poi sapevo che avresti sofferto e non tolleravo che qualcuno soffrisse ancora a causa mia-

 

-Poi ho cominciato a stare bene con voi, e mi dicevo “io non merito tutto questo, ma se non lo merito allora perché il destino me lo ha concesso?”-

 

Kendeas non riuscì ad aspettare la fine della sua pausa.

 

-E adesso?- gli chiese -Cosa è cambiato, Saga?-

 

-Io. Il mio modo di vedere le cose. Adesso credo di aver capito: l’amore non è una questione di merito, non è una cosa che si può scambiare o quantificare. È un dono. Possiamo solo scegliere se ricambiarlo o no-

 

Kendeas sorrise.

 

-Bravo, finalmente ci sei arrivato-

 

-Neanche un piccolo riconoscimento per l’immensa fatica che ho fatto?-

 

Accidenti, Saga che aveva provato a fare una battuta!

Quella doveva essere la sua serata fortunata, e forse, se tutti gli dei dell’Olimpo lo avessero aiutato…

Si sollevò su un gomito e si sporse quel tanto che bastava per raggiungere il viso di Saga e posargli un bacio a fior di labbra.

 

-Questo andava bene?-

 

L’espressione di Saga era più che sorpresa, mentre Kendeas, da parte sua, aspettava la risposta tremando di emozione ed incertezza.

Forse aveva forzato le cose, forse Saga non era pronto, forse non era stata una buona idea…

 

-Sì… benissimo-

 

Non era a disagio, lo aveva accettato!

Da quel momento tutto sembrò più semplice.

La cosa più bella per Kendeas era assistere alla metamorfosi di Saga.

All’inizio sembrava sempre all’erta e la notte spesso Kendeas lo aveva sentito emettere un flebile lamento nel sonno, ma man mano che i giorni passavano e che Saga lasciava sciogliere i nodi dentro di sé, acquisiva una nuova sicurezza.

Stava affrontando un confronto impegnativo con sé stesso, ma lo aiutava tantissimo sapere di avere tutto l’appoggio di Kendeas e questo gli permetteva di lasciare che le ferite del passato guarissero.

Le cicatrici le avrebbe portate senza dubbio a vita, ma almeno dopo quasi un mese Saga sorrideva di nuovo.

 

***

Erano in laboratorio, e Saga stava guardando Kendeas mentre modellava la creta sul tornio.

Sembrava gli piacesse guardarlo lavorare, e spesso Kendeas lo aveva fatto provare a modellare qualcosa, come le prime volte che si erano conosciuti.

Erano oggetti molto semplici, un piccolo vaso, un piatto, una scodella, ma quando riuscivano bene Kendeas notava che gli occhi di Saga ritrovavano una scintilla di vita.

 

-Io ho le mani indolenzite. Vuoi provare un po’ tu?-

 

Gli chiese.

Lui alzò la testa improvvisamente interessato. Sembrava un bambino a cui avessero dato il permesso di giocare con qualcosa che desidera ma non osa chiedere.

 

-Bè, se tu hai finito…-

 

-Per il momento ho finito, sì-

 

Saga non se lo fece ripetere.

Andò a prendere un panetto di creta umida e si sedette al tornio.

Kendeas era soddisfatto: Saga si muoveva ogni giorno con più disinvoltura e non era più l’essere tormentato dei primi giorni che era stato a casa sua.

Adesso, in certi momenti sembrava addirittura sereno, come in quel momento che aveva cominciato ad ammorbidire la creta tra le mani e la osservava cambiare forma.

Kendeas si trovò inspiegabilmente a pensare a Kanon, mentre si puliva le mani dall’argilla con uno straccio bagnato.

Forse dopotutto Kanon, anche se era indelicato e sfrontato, aveva capito di cosa Saga aveva bisogno meglio di chiunque altro.

Una vita normale con qualcuno che gli volesse bene, e sembrava che la sua idea avesse funzionato.

E lui come stava? Neanche per lui doveva essere stato facile tornare in mezzo agli altri Saint.

Chissà se anche lui aveva degli incubi come Saga?

Chissà se anche lui avrebbe avuto bisogno di qualcuno che gli stesse vicino?

Kendeas guardò Saga che lavorava, le mani eleganti che premevano sulla creta per modellarla.

Kanon aveva pensato a Saga, chissà se anche lui pensava a suo fratello?

Decise che valeva la pena parlarne.

 

-Saga, c’è una cosa che devo chiederti. Com’è il tuo rapporto con Kanon?-

 

Saga si contrasse come se avesse preso una scossa e finì per rovinare la forma che stava creando.

Guardò Kendeas ed aprì bocca un paio di volte ma non riuscì a dire niente.

 

-Non lo so. Non abbiamo mai parlato. Mi ha rivolto la parola solo quando voleva convincermi a venire qui da te, e non è stata una discussione lunga perché subito dopo mi ha colpito e portato qui di forza-

 

-Vorresti rimproverarlo per averti riportato da me?-

 

Gli chiese Kendeas con un sorriso.

 

-No, non proprio-

 

-Ascolta, io credo che Kanon sia dispiaciuto per quanto ha fatto a te almeno quanto tu sei dispiaciuto per quello che hai fatto a lui. Certo, non ha usato modi molto delicati, ma era veramente preoccupato per te. È venuto a cercarmi per chiedermi di aiutarti, ed era arrabbiato con sé stesso perché lui non era in grado di fare niente-

 

Saga rimase in silenzio a fissarsi le mani rossastre per l’argilla che cominciava ad asciugarsi.

 

-Perché non vi incontrate?-

 

Provò ancora Kendeas.

 

-Che dovrei dirgli?-

 

-Bè… non lo so… magari niente, ma almeno gli farai capire che non vuoi evitarlo. Non se lo merita, credimi-

 

Saga sospirò.

 

-Credo che ancora una volta abbia ragione tu-

 

I gemelli si incontrarono un paio di giorni dopo, quando Saga trovò finalmente il coraggio di espandere il suo cosmo e di raggiungere quello del fratello.

Quel pomeriggio stesso Kanon passò come per caso davanti alla casa di Kendeas, solo che nel cortile c’era Saga ad aspettarlo.

Era strano vederli di nuovo insieme. Erano come uno strano riflesso in cui nella forza di uno si rispecchiava la fragilità dell’altro.

Kendeas dalla finestra del laboratorio li vide parlare un po’, poi entrare in casa, e nonostante fosse curioso di sapere cosa avrebbero fatto una volta insieme decise che era meglio lasciarli soli a chiarirsi.

Rimase a lavorare per più di un ora, poi sentì la porta del laboratorio che si apriva e quando si girò vide che era entrato Saga.

Aveva un’aria esausta ma allo stesso tempo felice.

 

-Grazie per avermi consigliato di incontrarlo, Kendeas-

 

-Avete fatto pace?-

 

Che domanda idiota! Come se fossero stati due bambini che avevano litigato per un giocattolo!

Invece Saga sorrise.

 

-Sì, abbiamo fatto pace. Vieni qui, ti faccio vedere come è andata-

 

Kendeas girò lo sgabello e si sporse un po’ verso di lui senza fare domande.

Aveva imparato che fare domande era del tutto superfluo.

Saga gli posò le mani sulle tempie ed a Kendeas venne istintivo chiudere gli occhi, solo che invece di vedere nero, vide…

“Ma questo è il cortile! E Kanon. Sto vedendo tutto quello che è successo con gli occhi di Saga”

Vide Kanon fermarsi davanti a lui in silenzio.

 

-Vuoi entrare un momento?-

 

Chiese Saga esitante.

 

-Va bene-

 

Quella casa ormai non aveva più segreti per Saga e lo portò subito in cucina, un ambiente semplice ma intimo dove poter parlare in tranquillità.

 

-Sono contento che ci siamo… incontrati-

 

-Non ci siamo “incontrati” per caso. Io sono venuto qui perché tu mi avevi chiamato e tu eri fuori ad aspettarmi da chissà quanto tempo-

 

Saga abbassò la testa.

 

-Hai ragione, scusami. Non ho ancora imparato a non mentire a me stesso-

 

Kanon fece un gesto con la mano come se volesse scacciare qualcosa dall’aria.

 

-No, scusami tu. Non volevo essere sgarbato-

 

Rimasero un po’ in silenzio.

 

-Però devo ammettere che non mi dispiace che ci siamo incontrati-

 

Disse Kanon piano.

Saga prese un po’ di coraggio.

 

-È vero che sono stato io a chiamarti. Volevo parlare con te. Adesso siamo… possiamo ricominciare, no? Abbiamo una nuova vita. In questa nuova vita io mi voglio fidare di te-

 

Kanon lo guardava sorpreso.

 

-E tu, Kanon? Pensi di poterti fidare di me?-

 

Percepì la paura del rifiuto che aveva Saga come se fosse stata sua.

 

-Non lo avrei mai creduto- disse Kanon più che altro a sé stesso, poi lo guardò negli occhi deciso

 

-Sì, Saga, voglio fidarmi di te-

 

Sentì il sospiro di sollievo di Saga come se fosse stato suo.

 

-Bene, allora…-

 

Saga gli tese la mano, una mano che tremava leggermente.

Kanon sorrise, per la prima volta non con malizia o quel sorriso amaro o di scherno che lo distingueva, forse con un po’ di tenerezza per quel tremito, e strinse la mano di suo fratello.

Saga annuì.

 

-Grazie, Kanon-

 

Lui lo tirò in avanti e la stretta di mano diventò un abbraccio.

 

Quando Kendeas riaprì gli occhi e le immagini svanirono si accorse di avere gli occhi lucidi.

L’incontro tra i due fratelli, soprattutto considerato tutto quello che c’era stato tra di loro, lo aveva commosso.

 

-Ti ha abbracciato! Non l’avrei mai detto!-

 

Saga sorrise.

Un’altra ferita che stava guarendo, un altro pezzo della sua anima che era tornato al suo posto.

 

-Neanche io, a dir la verità-

***

Oh - once in your life you find someone
Who will turn your world around
Bring you up when you're feelin' down

Ya - nothin' could change what you mean to me
Oh there's lots that I could say
But just hold me now
Cause our love will light the way

 

Saga dormiva tranquillo.

Aveva la fronte appoggiata alla sua spalla e nel sonno la sua mano aveva cercato quella di Kendeas.

Ogni tanto gli sfuggiva un sospiro, segno che stava per svegliarsi.

Kendeas non si alzava mai prima che Saga si fosse svegliato per due motivi, il primo era che gli piaceva guardarlo mentre dormiva, il secondo era che non voleva farlo sentire solo.

Voleva essere lì, non appena avesse aperto gli occhi, per rassicurarlo ogni giorno che davvero erano di nuovo insieme.

 

:-Ehi… buon giorno, ghlikà-:

 

Sorrise Kendeas.

Anche Saga sorrise, o meglio fece una buffa smorfia assonnata che voleva somigliare ad un sorriso.

Poi lo cercò.

“Sì!” Esultò Kendeas “Finalmente!”

Per la prima volta era Saga ad abbracciarlo e a cercare di stringersi di più contro di lui.

Significava che voleva tornare a vivere e che stava chiedendo il suo aiuto, per questo Kendeas rispose con tutta la tenerezza di cui era capace.

Rimase ad accarezzarlo a lungo, infischiandosene altamente che la tempra morale di un Saint di Athena avrebbe dovuto essere superiore a cose come le coccole.

Lo strappo che c’era stato tra di loro era quasi completamente rimarginato e sembravano essere tornati indietro nel tempo, a quando erano ancora ragazzi di quindici anni.

 

:-Kendeas? Posso fare una cosa?-:

 

:-Quello che vuoi-:

 

Saga lo guardò negli occhi per un momento, prima di cominciare a sfiorare i tratti del suo viso come faceva una volta quando si svegliavano insieme la mattina dopo aver fatto l’amore.

Si fermò sulle sue labbra e sembrò considerarle con particolare attenzione.

 

-Kendeas. Mi sei mancato-

 

Chiuse gli occhi e finalmente si decise a posare piano le labbra sulle sue.

Era il primo bacio dopo quattordici anni.

Kendeas rabbrividì.

All’improvviso aveva la mente vuota ed il cuore che martellava furioso nel petto, e l’unica cosa che esisteva al mondo erano le labbra lisce di Saga.

 

-Ragazzi! Non vi dovreste alzare? È tardi, sapete!-

 

La voce di nonna Ifighéneia li fece sobbalzare, entrambi con il cuore in gola.

Si voltarono nello stesso momento verso la porta, aspettandosi di trovarci la vecchietta che li squadrava con aria di disappunto, invece per fortuna la porta era ancora chiusa, solo che la voce squillante della nonna era capacissima di attraversare il miglior legno senza perdere un minimo di intensità.

Kendeas si lasciò ricadere sul materasso con un braccio sugli occhi.

 

-Accidenti che paura! Per un attimo mi era sembrato che fosse entrata nella stanza!-

 

Sbottò.

Poi guardò Saga, che a sua volta ricambiò lo sguardo.

In quel momento si resero conto appieno che non era cambiato proprio niente: erano ancora loro, due ragazzi innamorati ma imbarazzati all’idea di essere sorpresi dai parenti.

Kendeas vide la risata formarsi negli occhi di Saga ancora prima di sentirne il suono, ed anche a lui all’improvviso venne una strana voglia di ridere.

Cominciarono a ridere nello stesso momento, prima piano, cercando di soffocare il rumore e l’imbarazzo, poi senza alcun controllo fino a restare senza fiato, e lasciarono che quella risata spontanea lavasse via quello che restava della tensione e della paura come la prima pioggia di settembre lava via la polvere che si accumula nei mesi di siccità.

 

-Ahi… mi fanno male le costole-

 

Protestò Kendeas quando si furono un po’ calmati.

Saga ancora sorrideva.

 

-Un po’ mi sento in colpa per tua nonna. Voglio dire, se sapesse…-

 

-Hem… guarda che lei “sa”-

 

Saga sgranò gli occhi.

 

-Aspetta… mi stai dicendo che lei…-

 

-Sa di noi due, sì-

 

Saga diventò rosso come Kendeas non lo aveva mai visto.

Un Gold Saint rosso per l’imbarazzo, e lui era l’unico ad avere il privilegio di assistere a quello spettacolo.

 

-E non… non… non dice niente?-

 

Chiese pianissimo Saga.

 

-No, non le dà minimamente fastidio. Ma non è un buon motivo per ignorare che ci sta chiamando per la colazione-

 

Andarono a lavarsi a turno, prima Saga e poi Kendeas.

Saga era straordinariamente veloce quando si trattava di lavarsi, ma ad un commento di Kendeas aveva borbottato qualcosa di indistinto a proposito di “bagni di purificazione” e di averci messo anche troppo tempo.

Lui non aveva capito e non aveva voluto insistere.

A colazione non parlarono molto, come sempre del resto, in compenso bastava che incrociassero un attimo lo sguardo per mettersi a ridacchiare.

Non era mai successo prima, e visto che avevano quasi trent’anni non era sicuramente quello il comportamento che avrebbero dovuto tenere, ma il peggio doveva ancora arrivare: cominciarono a farsi i dispetti sotto il tavolo come due bambinetti.

In seguito Saga avrebbe giurato che era stato Kendeas a cominciare con un pizzicotto sul ginocchio, invece Kendeas non avrebbe mai cambiato la sua versione che era stato Saga per primo a strofinare le gambe contro le sue un paio di volte di troppo.

Il risultato in ogni caso furono parte del succo di frutta rovesciato sul tavolo e briciole di biscotti ovunque, oltre ad una nonna che minacciava di cacciarli fuori dalla cucina a colpi di ramazza.

Nonna non faceva la minima differenza tra Saga e Kendeas, ormai li considerava tutti e due suoi nipoti, anche se non si capiva bene se perché sapeva della loro relazione e quindi perché  aveva accettato la parentela acquisita, oppure perché ormai, data la sua età ed il suo carattere, le gerarchie avevano per lei un valore molto relativo.

Non le importava che Saga fosse il traditore, ma non le importava neanche che fosse un Saint della casta più alta quando si trattava di richiamarlo su qualcosa.

Fuori, lui poteva anche essere wanax Saga e tutto, ma in casa sua era lei a comandare, e non c’erano santi di nessun tipo che potessero farle mollare l’autorità all’interno delle mura domestiche.

Da parte sua Saga sembrava essersi affezionato alla nonna proprio per il suo modo di trattarlo assolutamente informale.

Per lei entrambi erano pai, ragazzo, quando li chiamava, e spesso se erano tutti e due nelle vicinanze e non si capiva a quale dei due si riferisse, capitava che rispondessero entrambi.

 

-Adesso basta voi due! Filate a fare qualcosa di utile invece di stare qui a sporcarmi la cucina!-

 

Ed aveva ragione di cacciarli, perché era iniziata una pericolosa battaglia a base di briciole bagnate.

 

-Va bene, scusa, yayà-

 

-Ma che scusa e scusa! L’ho visto che stai ancora sghignazzando!-

 

Agguantarono altri due biscotti ciascuno ed uscirono dalla cucina prima di fare altri danni o di fare arrabbiare seriamente la nonna.

 

-Allora? Che facciamo?-

 

Chiese Saga.

 

-Bè, a quest’ora il laboratorio è occupato da zio Kostas e non ha senso che ci andiamo anche noi. Possiamo andare a vedere se c’è frutta da raccogliere. Forse qualche pesca è già matura, o le albicocche… o forse le ciliegie-

 

-Va bene, ti seguo-

 

Nel frutteto il caldo di luglio iniziava a farsi sentire.

Il sole pizzicava sulla pelle anche se era ancora mattina presto e loro cercavano di camminare il più possibile all’ombra degli alberi.

Quasi senza accorgersene arrivarono vicino all’albero dei fichi che aveva segnato il loro primo incontro ed anche qualcuno negli anni seguenti.

 

-Ehi, Saga, cosa ti ricorda questo albero?-

 

Gli chiese Kendeas.

Vide Saga sorridere nei giochi di ombra e di luce tra le foglie.

 

-Vediamo un po’… ah, certo! Mi ricorda due mocciosi che si sino fatti una promessa e che l’hanno ricordata per sei anni-

 

-È vero-

 

Confermò Kendeas con un sorriso nostalgico.

Riusciva quasi a vedere sé stesso e Saga da bambini sotto quell’albero, quando il massimo dei loro problemi era come riuscire a raggiungere quei frutti dolci che però stavano troppo in alto per la loro età.

 

-E poi mi ricorda una persona speciale-

 

Saga si voltò verso di lui e per la seconda volta in pochi giorni riuscì a sostenere il suo sguardo.

I suoi occhi blu o forse verdi avevano recuperato tutta la loro intensità.

 

-Un ragazzo straordinario che aveva paura di un castigo divino perché aveva osato baciare uno dei sacri guerrieri della Dea Athena-

 

Kendeas arrossì e fu lui a distogliere lo sguardo imbarazzato.

 

-Ora non vorrai prendermi in giro per quello dopo tanti anni-

 

Borbottò.

 

-Non ti stavo prendendo in giro-

 

Quando rialzò lo sguardo Saga era di fronte a lui, ed era molto, molto vicino, tanto che poteva vedere ogni dettaglio dei suoi occhi, dai riflessi dell’iride alle ciglia.

Successe esattamente come la prima volta, cioè senza che Kendeas se ne rendesse conto: un passo lui, un passo Saga, e le loro labbra si erano unite con molta più sicurezza e decisione rispetto alla mattina.

Si cercarono tutti e due impazienti di condividere di nuovo ogni respiro.

Kendeas all’improvviso ebbe paura di essere immerso in un sogno, una di quelle illusioni crudeli che gli dei tessono per irretire la mente dei mortali.

Continuava a ripetersi che era davvero Saga a baciarlo, che erano ancora loro, e che l’amore che li univa aveva superato il tempo, la follia e la morte, ma non bastava: aveva l’irragionevole paura che tutto quello presto gli sarebbe stato strappato via e che lui si sarebbe risvegliato da solo e in lacrime come era successo tante volte negli anni dell’assenza di Saga.

 

-Kendeas? Che cosa c’è?-

 

Lui non rispose, lo baciò di nuovo, solo che stavolta era un bacio che sapeva di disperazione.

Si accorse di avere il viso bagnato di lacrime quando un filo di vento gli fece raffreddare le guance.

 

-Kendeas, ghilikà, che succede?-

 

Saga gli aveva preso il viso tra le mani e lo scrutava preoccupato.

Non sapeva che rispondere: come poteva spiegargli che il peso di anni ed anni in cui aveva avuto paura di averlo perso per sempre gli stava cadendo addosso proprio nel momento in cui si erano ritrovati?

 

-Niente… niente, lascia stare, sono io che sono uno stupido-

 

Provò a svicolare, ma Saga lo trattenne.

 

-Kendeas, chi piange non lo fa perché è stupido-

 

Kendeas sentì gli occhi che pizzicavano nuovamente e voltò la testa dall’altra parte.

Non voleva farsi vedere piangere, primo per non fare la figura del debole e secondo perché non voleva farlo pesare a Saga.

Si allontanò di un paio di passi e si passò rapido il dorso della mano sugli occhi per cercare di limitare il danno.

 

-Kendeas, guarda che ti ho visto. È il Saint di bronzo del Drago quello cieco, non io-

 

-No, non è niente, è passato-

 

Prima che avesse il tempo di voltarsi sentì Saga che lo abbracciava da dietro.

Aveva le sue mani sul petto unite all’altezza del cuore ed il mento posato sulla sua spalla, mentre le ciocche color indaco gli accarezzavano il viso ed il collo.

 

-Mi dispiace, è stata colpa mia-

 

Disse Saga a voce bassa.

Ecco, esattamente quello che lui voleva evitare.

 

-Ti chiedo scusa per tutto quello che hai passato. Mi dai il permesso di rimediare?-

 

Le sue mani.

Quanto erano calde le sue mani e quanto gli erano mancate.

Kendeas si rigirò tra le sue braccia e lo strinse a sua volta.

 

-Resta con me, Saga. Voglio che resti con me-

 

-Certo che resterò con te, Kendeas. Te lo avevo già promesso una volta che non ti avrei mai lasciato, ricordi?-

N' baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven

Lui annuì.

Rimasero a lungo in silenzio, tutto il tempo necessario affinché Kendeas ritrovasse la giusta  sicurezza.

Quando venne il momento di tornare a casa Saga gli tese la mano.

Kendeas provò declinare l’offerta perché gli sembrava una cosa troppo infantile, ma Saga sapeva essere molto persuasivo: o si gli permetteva di prendergli la mano oppure lui lo avrebbe riportato a casa in braccio.

A Kendeas venne quasi la tentazione di fargli mettere in atto quella minaccia, ma alla fine decise che era meglio limitarsi e si lasciò riportare a casa mano nella mano con le dita intrecciate a quelle di Saga.

 

Dopo pranzo lo zio di Kendeas lo chiamò in laboratorio.

 

-Ragazzo, vedi quello scaffale di oggetti nuovi?-

 

Erano vasi piccoli ma soprattutto utensili da cucina.

 

-Sì, zio-

 

-Bene. Devo chiederti di consegnarli oggi pomeriggio-

 

Kendeas ci rimase un po’ male.

Un giro di consegne voleva dire un pomeriggio fuori casa, e siccome Saga non aveva ancora accettato di uscire e farsi rivedere in pubblico, avrebbe significato anche un pomeriggio senza Saga.

 

-È proprio necessario?-

 

Chiese, sperando fino all’ultimo di evitare l’incombenza.

 

-Temo di sì, figliolo. Vedi, alcuni avrei dovuto consegnarli già ieri, ma alla fine Atlante era esausto e non me la sono sentita di sforzare troppo quella povera bestia-

 

Il pensiero del vecchio asino che barcollava per la fatica fece pentire immediatamente Kendeas del suo tentativo egoista.

 

-Capisco. E va bene, zio, ci penserò io-

 

Aveva cominciato a sistemare le terraglie in pile ordinate quando si accorse che zio Kostas era ancora dietro di lui.

Sembrava che lo stesse scrutando con attenzione ed anche un po’ imbarazzato.

 

-Zio? C’è qualcosa?-

 

-Eh? Come? Oh, bè, io mi stavo solo chiedendo… come mai ti sei interessato tanto a wanax Saga?-

 

Kendeas si sentì impallidire a quella domanda.

D’accordo, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto chiarire le cose anche con zio Kostas, ma non era preparato a farlo in quel momento!

“Accidenti, e adesso come glielo dico? Lo zio è anziano, non è che gli prende un colpo?”.

 

-Mi sembra che voi due siate molto uniti-

 

Gli disse lo zio.

“E va bene. Ora o mai più!”.

Kendeas prese un bel respiro.

 

-Io lo amo-

 

Temette che da un momento all’altro lo zio sarebbe crollato a terra per un infarto fulminante, invece lui si limitò a prendere atto della cosa con un  -Ah-

Kendeas rimase a guardarlo un po’ sconcertato.

Non poteva essere tutta lì la reazione dello zio, dopotutto aveva appena appreso che il suo unico nipote non avrebbe mai messo su una famiglia con una moglie e tanti bambini come lui sperava.

 

-Ma tu guarda… una volta tanto quella pettegola di tua nonna racconta una cosa che non si è inventata. E va bene, ragazzo, come sei felice tu-

 

Ed uscì dal laboratorio, lasciando un Kendeas abbastanza confuso.

Era stato lo zio ad intuire qualcosa e poi aveva chiesto conferma alla nonna, oppure era stata lei a spiegargli la situazione?

Decise che in fondo non gli importava poi molto e che in ogni caso non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere conferma a nessuno dei due.

Aveva quasi finito di sistemare gli oggetti in pile ordinate quando entrò Saga.

 

-Mi pare di capire che oggi pomeriggio sei fuori-

 

-Sì, Saga, mi dispiace tanto ma devo assolutamente…-

 

-Ehi, ehi, calma, non ti sto rimproverando perché fai il tuo lavoro-

 

Kendeas guardò sconsolato tutta la roba che doveva consegnare.

Gli ci sarebbe voluto tanto tempo…

 

-Lo so, è che io pensavo di poter passare il pomeriggio con te-

 

-Lo speravo anche io in realtà-

 

Il tono di Saga era più allusivo e Kendeas si sentì le guance accaldate.

 

-Bè, sono poche ore, un pomeriggio passa in fretta-

 

Immediatamente si rese conto di essersi cacciato in una situazione ancora più imbarazzante perché l’ovvia continuazione era “un pomeriggio passa in fretta e poi arriva la sera”.

Saga gli si avvicinò.

 

-Vorrà dire che ti aspetterò-

 

Kendeas sentì ognuno dei sottintesi di quel tono basso e si sentì scuotere da un brivido caldo.

Annullò in un attimo la distanza che li separava e di nuovo si impossessò delle labbra di Saga calde e dolci come il miele.

Rimase sorpreso dal riscoprire come i loro corpi aderissero alla perfezione uno all’altro.

Le due metà della conchiglia, fatte per stare insieme.

Ma non era ancora il momento. Purtroppo. Si staccò a malincuore.

 

-Ci vediamo stasera-

 

Mormorò piano al suo orecchio, prima di uscire in fretta dalla stanza per non cadere in tentazione.

 

***

I've been waitin' for so long
For something to arrive
For love to come along

Quella sera nella loro stanza c’era qualcosa di diverso nell’aria.

Entrambi non avevano dimenticato il bacio di quella mattina, e neanche quello che era successo nel frutteto. E neanche nel laboratorio.

Ora restava da vedere cosa avrebbe portato la notte amica dei ladri e degli amanti.

Mentre aspettava che anche Saga si vestisse per la notte, Kendeas si lasciò cadere sul letto con le mani incrociate dietro la testa e rimase a fissare il soffitto.

Era il caso di fare la prima mossa? Saga era davvero pronto per recuperare anche l’aspetto più intimo del loro rapporto oppure lo avrebbe assecondato solo perché non aveva il coraggio di esprimere un eventuale disagio? E poi… come sarebbe stato dopo quattordici anni?

Queste domande diventarono un nodo in fondo allo stomaco quando Saga rientrò nella stanza.

Kendeas lo vide piegare i vestiti ordinatamente e posarli vicino ai suoi sulla cassapanca accanto al letto.

Gli lanciava occhiate di sfuggita nella luce scarsa della lampada ad olio per evitare l’indelicatezza di fissarlo con troppa insistenza, ma durante una di queste occhiate i loro sguardi si incontrarono in maniera imbarazzante e Kendeas avrebbe giurato che c’era una traccia di rossore sulle guance del Saint dei Gemelli.

Saga si mise a letto accanto a lui.

 

-Sono contento di essere qui-

 

Disse ad un certo punto.

Prima che Kendeas fosse riuscito a trovare qualcosa da rispondere Saga continuò.

 

-Non so davvero immaginare come avrei fatto se tu non mi avessi preso in casa tua-

 

Kendeas decise che non era il caso di dire niente perché qualunque cosa sarebbe stata inadatta, invece cercò la mano di Saga e la strinse.

Lui ricambiò la stretta e cominciò ad accarezzargli il dorso della mano con il pollice.

Kendeas si sentiva strano, come se tutti i suoi sensi si fossero acuiti: gli sembrava di sentire nel buio il respiro di Saga, il fruscio dei suoi capelli sul cuscino e sotto le dita ogni minimo particolare della sua pelle.

Aveva già provato quelle sensazioni. Anni prima, quando erano ragazzi.

Quando era alle prese con concetti che riusciva ad esprimere solo con una parola antica che non tutti avrebbero riconosciuto.

Pothos.

Il corpo di Saga odorava del sapone fatto in casa con olio d’oliva, mirto e scorza di limone.

Kendeas sapeva che anche lui aveva addosso quell’odore e si domandò se anche Saga lo sentiva, e soprattutto si domandò se anche a lui faceva quello strano effetto.

Gli piaceva quel profumo su Saga, e senza pensare si voltò verso di lui, gli mise il viso nell’incavo del collo e lo aspirò a fondo.

 

-Kendeas-

 

Lo chiamò.

Il suo respiro si era fatto rapido.

 

-Saga-

 

Non c’era bisogno di nessun invito, andarono uno incontro all’altro per istinto e perché non avrebbero potuto aspettare oltre.

Si cercarono con le bocche, con le mani, con tutto il corpo, mentre il sangue cominciava a ribollire nelle loro vene.

 

-Avresti potuto evitare la fatica di rivestirti-

 

Disse Kendeas con un sorriso malizioso.

 

-L’ho fatto solo perché tu potessi spogliarmi-

 

Gli rispose Saga a tono.

Presto le canottiere finirono sul pavimento e loro si ritrovarono pelle contro pelle.

Il loro corpo era un po’ cambiato in quegli anni e sembrava che ognuno dei due non vedesse l’ora di riscoprire l’altro alla ricerca di cosa era rimasto uguale e cosa era nuovo.

 

-Saga. Voglio vederti. Per favore, spogliati per me-

 

Saga annuì e lentamente si sfilò quello che restava dei vestiti.

Rimase sul letto senza imbarazzo per il fatto di essere nudo, e la luce calda della lampada dipingeva con cura ogni linea del suo corpo ed i riflessi nei capelli.

Era ancora, adesso più che mai, Saga ìsos theòis.

 

-Ora tocca a te-

 

Kendeas obbedì perché era ipnotizzato.

Ricordava ancora la loro prima volta, quando erano ancora adolescenti che a malapena si rendevano conto di quello che stavano facendo.

Si spogliò e rimase anche lui nudo sotto lo sguardo di Saga.

 

-Come sei bello-

 

Mormorò lui mentre gli accarezzava la guancia.

A Kendeas venne un po’ da ridere.

 

-No, Saga, stai sbagliando. Qui sei tu quello perfetto-

 

Saga diventò improvvisamente serio.

 

-No, sei tu che sbagli-

 

Si sporse sopra Kendeas e lo baciò.

I suoi capelli gli cadevano addosso e lo accarezzavano come fili di seta.

 

-Sei tu quello perfetto-

 

Dalla bocca Saga passò a baciarlo sul collo.

 

-Sei tu quello che ha sempre avuto fiducia in me-

 

Kendeas ascoltava, incapace di articolare niente di sensato.

 

-Sei tu che mi amavi anche quando sapevi cosa ero-

 

Gli posò le mani con i palmi aperti sul petto e Kendeas sussultò come per un elettroshock.

 

-E sei tu che mi hai fatto vivere di nuovo-

 

Sotto le mani di Saga il suo cuore batteva ad un ritmo impossibile.

Improvvisamente si rese conto che lo desiderava con un’intensità tale da essere dolorosa.

Con uno scatto di reni ribaltò le loro posizioni e lo baciò come non lo aveva mai baciato, come se ne andasse della sua vita.

Saga rispose afferrandogli i fianchi e spingendosi contro di lui.

Ormai non c’era più posto per la ragione, era solo Eros a guidare le loro mosse.

Le mani di Kendeas premevano ogni centimetro del corpo di Saga per scoprire e riscoprire le sue reazioni, perché voleva capire che aspetto aveva edonè su di lui.

Lui era un artigiano ed in quel momento stava modellando una materia viva, calda e pulsante, che a sua volta ricambiava le attenzioni.

Non riusciva a percepire altro che sé stesso e Saga, c’erano solo loro uniti in una danza antica e sfrenata fatta di gemiti rochi, ansiti e muscoli tesi.

I loro corpi avvinghiati uno all’altro si cercavano, si separavano per pochi attimi e poi si univano ancora.

Se solo avesse potuto durare per sempre.

Entrambi scottavano, ansimavano e tremavano come se stessero bruciando di febbre.

Saga si inarcò più forte contro di lui.

Sentirlo vivo nel battito del suo cuore impazzito e nel respiro veloce che si infrangeva sulla sua pelle per Kendeas era un miracolo.

Non fermarti.

Non adesso.

Lo sentì tendersi e scattare, e provare ad articolare qualcosa, ma dalla sua gola uscì solo un gemito più intenso.

Quel suono Kendeas lo aveva sentito tante altre volte.

Gli bastò quello e sentire il calore di Saga sul suo corpo per arrivare al limite: affondò il viso nella sua pelle calda e gridò anche lui.

Rimasero a lungo immobili ad aspettare che i battiti tornassero normali e a prendere lunghi respiri profondi.

Dopo un po’ Saga si mosse per accarezzargli il viso.

 

-Kendeas. Io ti amo-

 

Lui sorrise.

Certo, lui lo sapeva che Saga lo amava, ma il fatto stesso che sentisse il bisogno di dirglielo in quel momento che era esausto e lottava contro il sonno era una cosa bella.

 

-Anche io ti amo-

 

Gli posò piano un bacio sulla tempia.

Saga gli passò un braccio attorno alla vita e chiuse gli occhi. Poco dopo il suo respiro aveva preso il ritmo calmo e profondo del sonno.

Kendeas sorrise.

Il sonno stava chiamando anche lui per farlo addormentare ancora una volta accanto a Saga.

Il suo ultimo pensiero coerente fu che nella notte avrebbero potuto sentire freddo e che sarebbe stato meglio avere addosso qualcosa, così allungò una mano dietro di sé per recuperare un angolo di lenzuolo a coprire entrambi, e nel farlo, dopo che ebbe aggiustato la stoffa anche su Saga, decise che non aveva la minima voglia di ritirare il braccio e lo lasciò intorno alle spalle del suo cavaliere.

Si lasciò cullare dal suo calore, dal suo respiro e dalla carezza dei suoi capelli fino alla soglia del sonno perché voleva assaporare ogni momento.

Sapeva che presto Saga avrebbe dovuto riprendere il suo posto trai i sacri guerrieri di Athena e sarebbe tornato ai suoi doveri di Saint ma la cosa non lo preoccupava: dopotutto il loro amore aveva superato prove ben più difficili, attraverso gli anni.

Now our dreams are comin' true
Through the good times and the bad
Ya - I'll be standin' there by you”

 

(Heaven – Bryan Adams)

 

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RINGRAZIAMENTI.

A tutti quelli che hanno letto la nostra storia, a … che l’hanno messa tra le preferite/seguite/ricordate.

 

Risposte alle recensioni:

 

Arcadia_SPH: Macciaooo!!! Per la serie “tutto è bene quel che finisce bene” finisce bene anche qui, per fortuna! Ci dispiace per averti fatto prendere degli infarti a tratti xD

 

Solinari: Cara, eccoti qui *-* povero Kendeas, non paragoniamolo a Shun, almeno lui fa qualcosa xD essì, Saga è un figo, fortunato il nostro artigiano che l’ha beccato :3

 

Calhin: Bentornata ^^ naah, non piangere, alla fine si è risolto tutto tra abbracci vari, non poteva andare meglio, no? ;)

 

Toushiro_Hitsugaya: Ciao ^^ ci fa piacere che ti sia piaciuta la storia, in genere è difficile farle apprezzare ai non-amanti del genere ^^ Hahaha, sì, la nonna è la migliore xD

 

Scusatemi tanto, ragazzi, se sono andata direttamente al succo della cosa, il fatto è che tre interrogazioni e un compito di lunedì incombono sulla mia testolina e devo fiondarmi a studiare! X__X

Grazie per averci seguito! E adesso… *arrotola un giornale e rincorre Mako* a noi due!

 

Angolo delle scemenze di Mako

 

Scemenza numero 1: Ragazzi, avreste dovuto vedere il documento di Word di questo capitolo quando ancora era in fase di lavorazione!

Mi spiego: io aggiungo i vari pezzetti in modo disordinato, prima un pezzo alla fine, poi l’inizio, poi varie altre modifiche, e siccome la mia povera sorcia ogni volta dovrebbe rileggere tutto per trovare le (poche) righe nuove, allora io faccio ogni aggiunta di un colore diverso, così lei le vede subito.

Risultato: prima due righe rosse, poi, sei o sette verdi, e poi ancora blu, verde chiaro, viola, azzurro, arancione… praticamente un’opera di arte moderna XD andrò a proporla al professor Caroli!

Scemenza numero 2: Rory mi minaccia =( se non avessi finito il capitolo entro oggi mi avrebbe cacciata da casa *me in versione palla di polvere intristita della pubblicità dello swiffer*

 

Adesso cose serie:

Numero 1: la canzone che da il titolo al capitolo è “Heaven” di Bryan Adams, e l’ha scovata la mia sorcia. Prego, ringraziate Rory.

Numero 2: mentre scrivevo alcune parti molte volte avevo in mente il libro “La canzone di Achille” di Madeline Miller, che mi permetto di consigliare ai fan delle cose greche e dello shonen-ai.

Numero 3: abbiamo deciso di inserire anche Kanon perché è una parte importante della storia personale di Saga e perché è un personaggio che merita stima incondizionata.

 

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