Tom Kaulitz Von Mystified

di Kiki Daikiri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Ich bin Tom Von... ***
Capitolo 2: *** II - Jung und nicht mehr Jungendfrei ***
Capitolo 3: *** III - Concert ***
Capitolo 4: *** IV - The sixth Floor ***
Capitolo 5: *** V - Epilogo ***



Capitolo 1
*** I - Ich bin Tom Von... ***



Tom Kaulitz Von Mystified
 
Capitolo I
Ich bin Tom von….
 
 
“Bill… Bill… Bill…”

Salve, il mio nome è Tom.
Avrete sicuramente sentito parlare di me, e non lo dico per presunzione… forse non sono un tipo modesto, ma di certo la fama precede ogni mio difetto.
Come dicevo, il mio nome è Tom, Tom Kaulitz, e ci fu un tempo in cui ero conosciuto come Tom Von Tokio Hotel.
Ora non più… e che sia stata colpa mia è poco ma sicuro. Paradossalmente posso assicurare che più si ha una vita spettacolare, più farà male quando tutto vi crollerà addosso.
Tra poco racconterò la mia storia, ormai conclusa da tempo. Non è una bella storia, non è una storia felice.
Il tipico discorso tra me e mio fratello era questo:
- “Tom, merda! Avevamo detto: niente fans in hotel questa volta!” lo sguardo di Bill ha un che di stanco, come spossato, svuotato.
“non puoi togliermi sempre il divertimento! Su ragazze lasciatelo perdere… la mia stanza è di la”
“Scemo guarda che queste sono francesi…non capiscono niente di quello che dici”
Bill non capisce, di lui scrivono che è un “unsporty” ma la realtà è un’altra: lo sport di Bill è fare il santerellino.
“fratellino, il sesso è una lingua universale!”
Questo sono io… il sesso.
In ogni caso Bill non ha tutti i torti. Le tre bionde alle mie spalle piangono, emettono urletti isterici e ridacchiano, ma non danno segno di pensieri coerenti in corso. –
Avrei potuto parlarvi delle tante discussioni piacevoli e tenere tra noi, ma non posso.
Come voi stessi avrete notato, non c’è niente di bello.
Vorrete ancora biasimarmi?
----------------------
Georg Listing uscì dall’albergo, passando per la porta posteriore.
Questa volta le fans non li avevano né seguiti né trovati, dunque non era necessario portarsi dietro le guardie del corpo quando ci si voleva fumare una sigaretta in santa pace.
Prese l’accendino dalla tasca posteriore dei jeans, guardandosi intorno con poca voglia.
“ma guarda un po’… il bassista”
Una voce femminile, tranquilla e vagamente annoiata lo fece trasalire, nel buio del suo nascondiglio a cielo aperto.
“chi cazzo sei… sappi che uno squillo al cercapersone e piombano qui le guardie..”
“rilassati Georg, non sono una fan… posso avere una paglia?”
Georg, allibito, passò il pacchetto di camel alla sconosciuta.
La guardava aprire con tutta calma la confezione, con quelle sue dita lunghe e curate. La studiò mentre accendeva la sigaretta, stringendola con disinvoltura tra le labbra.
“che fai? Fissi?”
Georg rimase spiazzato, fermo a guardare la bellezza di quel viso imperfetto, particolare.
“fanculo, voi star siete tutte uguali” sibilò lei annoiata.
Tra un tiro e l’altro, la ragazza lanciava occhiate curiose in direzione dell’hotel.
“ma.. esattamente… chi sei? Senza offesa … ma spunti qua, mi scrocchi una sigaretta, mi mandi a fare in culo… eh!”
“mi chiamo Elle”
“bhe.. piacere… Elle come la lettera L?”
“i tuoi amici sono dentro?” chiese lei, accennando all’ingresso, e fingendo di non aver sentito.
“intendi Gustav e i Kaulitz?”
“proprio loro”
Georg annuì. La tranquillità di quella ragazza stonava con il contesto vitale dei Tokio Hotel. Le fans non erano così, proprio per niente.
Strano come solo lei fosse riuscita a trovarli…
“Salutameli allora, Georg…” fece Elle, muovendo qualche passo nel vicolo, verso la strada.
“ehi! Aspetta… se vuoi… te li presento…” voleva restare ancora un po’ con lei, non intendeva lasciarla andare così in fretta.
Lei parve rifletterci per un attimo, indecisa, poi acconsentì, lasciandosi guidare fin alla stanza 89.
Una volta all’interno, la ragazza riuscì ad apparire a proprio agio con tutti, sia durante le presentazioni che dopo, nella quieta calma dell’ozio vacanziero.
Bill insistette tanto per mostrare a Gustav e Georg il nuovo abbozzo per la copertina del prossimo singolo.
Ci fu così un attimo in cui Elle e Tom restarono soli, uno in fronte all’altra, nelle comode poltrone della suite.
“e tu saresti un porco?” domandò lei, un sopracciglio alzato e un sorrisino beffardo disegnato sulle sue stupende labbra.
Tom non poté fare a meno di notare come lei assomigliasse a una fusione tra lui e suo fratello gemello.
“cosa intendi dire?”
“intendo che se fossi davvero un porco come dici di esser,  mi saresti saltato addosso, dato che i tuo amici ci hanno abbandonati qui.. soli…” accavallò le gambe in un gesto nervoso.
“sono un porco cavaliere… attendo che sia tu a chiedermi di farlo” rispose il chitarrista, sorridendo di sbieco a sua volta.
“dovrei?”
“dovresti?”
Ed iniziarono una battaglia allo sguardo più tagliente, alla smorfia più maliziosa, il porco e la bella.
Senza che ci fosse bisogno di dire niente,Tom le si gettò in braccio, attendendo un bacio di lei. Elle tuttavia glielo fece penare e desiderare quel semplice contatto di labbra.
Solo dopo una decina di minuti in coccole e carezze, Tom ebbe un assaggio del su sapore, delicato ed audace al contempo.
Per la prima volta da molti mesi, egli provò altro che semplice eccitazione, Tom sentiva calore e un po’ di imbarazzo in quelle effusioni. Era una sensazione incredibile.
“è da così tanto tempo che desidero incontrarti” bisbigliò la mora nell’orecchio del giovane rasta.
Tom restò leggermente perplesso a quell’affermazione, dopotutto era stata lei stessa a dire che non era una fan dei tokio hotel. E dunque perché avrebbe dovuto desiderarlo? Come, avrebbe potuto?
“perché sei qui?”
“hai bisogno di aiuto, Tom”
Ed egli si alzò, di scatto, quasi dolorosamente.
Chi era quella ragazza? Come faceva a sapere che..?
“io.. non… io so badare a me stesso… non ho bisogno di aiuto,grazie” sperò di aver troncato così la conversazione, e fece cenno verso la porta, come per invitarla ad andarsene.
Ma lei non ne volle sapere, perfettamente a suo agio, sprofondata nella poltrona, anche in quella situazione così imbarazzante.
“io so che non è vero, e lo sai anche tu… anche tuo fratello è d’accordo”
“ah.. è così? È stato Bill a portarti qua? È stato lui?”
Non venne accennata risposta, così Tom perse la testa.
“vattene puttana! Vattene! Vattene! Cazzo, vattene! Vai farti mio fratello, visto che di lui ti fidi tanto!”
Tutta l’eccitazione, il caldo entusiasmo, tutto svanito come per magia. Tom vide se stesso, mentre Elle spariva attraverso la porta. Tom vide se stesso nel futuro, solo, sull’asfalto. Tutto bianco e rosso attorno a lui. Bianco come neve, come quella neve così speciale che lo possedeva, rosso come sangue.

 


 

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Capitolo 2
*** II - Jung und nicht mehr Jungendfrei ***



Grazie per le recensioni! Sono felice che alcune di voi già conoscano questa storia, in effetti l'ho pubblicata per la prima volta a marzo dell'anno scorso ^_^
Spero che il seguito vi piaccia! Un bacio, Kiki.
 
 
Capitolo II
Jung und nicht mehr Jungendfrei
 
Appoggio il gomito al finestrino della limousine nera, sperando che l’autista si muova. So che è uno dei migliori quando si tratta di evitare le fans isteriche, ma a volte l’isteria sembra raggiungermi pure in questa macchina.
Alla mia sinistra Kazu e Jus si prendono a pugni, ridono, scherzano.
“Jus sei un cretino”
Kazu, quello dai capelli neri e ingellati, mi viene buttato addosso e, se normalmente avrei considerato questa cosa come un invito non scritto a partecipare alla rissa, ora ho solo voglia ti prenderlo a pugni in faccia.
“merda statemi lontani, ok?”
Urlo, in preda a un attacco di collera.
Un tempo non ne avevo mai, non avevo bisogno di gridare per essere ascoltato. Semplicemente non avevo voglia di alzare al voce.
Ora sembra quasi che tutto quello che mi gira intorno esista semplicemente con lo scopo di infastidirmi.
Non sento le proteste del mio cantante, infatti la limousine si è appena fermata davanti al nostro hotel, a Nizza.
Senza pensarci due volte, attorniato da quattro guardie del corpo, attraverso la hall. Solo qualche fans è riuscita a penetrare il muro di security dell’ingresso, ma viene subito ricacciata fuori.
“Kazu! Kazuuu! Toooooooom!”
Urlano le ragazzine, strappandosi i capelli.
Kazu come sempre è l’ultimo ad entrare, visto che prima deve fare l’occhiolino a tutte le presenti.
Certe volte avrei proprio voglia di fargli notare quanto se la tira, nonostante lui sia famoso si e no da appena un annetto.
Tsz. Con i To… interrompo i miei pensieri con un sospiro.
Meglio non pensarci, non ora per lo meno, non qui in mezzo a tutti: il mio manager potrebbe saper leggermi nella mente, conoscendolo.
“Kazuuuuuuuuuuuu! Je t’aaaaaaaaaaaime!”
Mi rifugio più in fretta possibile nella mia stanza, evitando accuratamente di incrociare i ragazzi.
Non fraintendetemi: Jus, Kazu e NiKo sono simpatici, sono anche bravini, ma io non sono in vena di scherzi oggi.
Il concerto è tra appena cinque ore, e tutto ciò che desidero fare ora è dormire.
 
 “Sei proprio uno stronzo Tom”
Bill Kaulitz prese la borsa dal tavolo e si rifugiò in camera, sbattendo la porta.
Non poteva capacitarsi del fatto che suo fratello fosse tanto superficiale.
Stronzo.
“apri cazzo! Apri!”
Tom picchiava sulla porta, sperando. Ma niente avrebbe fatto cambiare idea al cantante.
“questa volta hai chiuso Tom! Chiuso! Hai capito? Chiuso!”
“non puoi dire sul serio…”
“fanculo! Hai chiuso con me, hai chiuso con i TH…”
Come trattenere il ciclone che pian piano si era formato nel petto di Bill, nel corso di quegli ultimi mesi?
Come impedire l’esplosione quando ormai tutto stava andando irrimediabilmente a puttane?
“ma… non puoi… noi…”
“noi un cazzo. È finita Tom, i TH  sono finiti.”
Calò il silenzio.
Bill si gettò sul pavimento, accanto alla finestra. Qualche superstite raggio del sole morente riusciva a penetrare le imposte semichiuse, riflettendo i colori autunnali delle foglie sui suoi capelli scuri.
Poteva accadere davvero?
Dopo tutto quel tempo… dopo tutti quegli errori… perdonare non è sempre facile, e con Tom non lo era mai.
“dai Bill… cazzo era solo una dose leggerissima”
E quelle parole parvero concretizzare quello che sembrava inizialmente essere solo un brutto incubo.
“era droga, Tom…non mi interessa quanta o quale… era droga…”
“vuoi dirmi che mi cacci solo perché mi faccio un allucinogeno di tanto in tanto?”
Bill strisciò carponi fino alla porta della camera, per poter farsi sentire meglio dal fratello. E a quel punto sfogò tutto quello che aveva dentro, sottolineando ogni parola con un pugno sulla superficie dura.
“merda! Non trattarmi come un bambino… sarò anche più piccolo di dieci minuti, ma so distinguere la coca da un allucinogeno! Cazzo!”
E fu nuovamente silenzio.
Un singhiozzo dall’altra parte, disperato e poco razionale.
Fece scivolare le unghie perfettamente dipinte sul legno scuro e un po’ scadente della porta, fino alla maniglia.
Quando ebbe spalancato, l’immagine di suo fratello, occhi depressi e vagamente gonfi, gli fece sfuggire un sospiro.
“Tom, come cazzo faccio a non odiarti? Come cazzo faccio?”
Per lunghi secondi, i gemelli Kaulitz non vollero sciogliere l’abbraccio che di impulso avevano cominciato.
“hai un’altra possibilità Tom… non buttarla nel cesso… come le altre…”
---
Diciottesimo compleanno dei gemelli Kaulitz.
Luci e musica e dolci, amici, non amici, parenti, amici dei parenti e una buona dose di perfetti sconosciuti.
Bill Kaulitz si aggirava solo, nel parco appena fuori della grande villa dove avevano deciso di tenere la festa.
Percorrendo i lunghi viali ghiaiati, il novello maggiorenne non poteva fare a meno di domandarsi cosa ne sarebbe stato di loro due, troppo giovani per quella vita, troppo tragicamente adolescenti.
A dire la verità, Bill non si era mai sentito un adolescente… anzi, aveva sempre guardato con un certo disprezzo i ragazzini complessati che aveva avuto come compagni di classe.
La brezza leggera del primo settembre lo invitava a riflettere, come fonte d’ispirazione.
Pensò allora a Tom, che in quel momento era quasi sicuramente nella villa, gongolandosi della sua nuova situazione di adulto.
Tzs…
Tom non sarebbe mai stato adulto.
Bill fu sul punto di ritornare dentro, giusto per non scatenare sospetti strani e per educazione nei confronti di quei pochi che erano li davvero perché gli volevano bene.
Ma dopo appena due passi in quella direzione, un cespuglio molto profumato attirò la sua attenzione… e non per via del profumo.
“ahio! Stai attento!”
 A bisbigliare era… ? No, impossibile! Eppure…
 “shh… zitto idiota!”
E questo chi era?
Bill aggirò il piccolo, verde bunker di foglie, così da trovarsi davanti a due facce ben conosciute.
“Andreas?” domandò il cantante, un po’ stupito.
Andreas e Gustav stavano seduti, quasi rannicchiati, uno accanto all’altro, dietro al cespuglio.
Se non li avesse conosciuti bene, avrebbe pensato che lo stessero spiando.
“Ehi, Bill!.. noi… stavamo…”
“…facendo una passeggiata… in mezzo alla natura!” terminò Gustav per lui.
Bill corrucciò leggermente la fronte, con un sopracciglio alzato, come era suo solito.
“una..passeggiata in mezzo… alla natura?”
In quel momento l’espressione in stile –ma mi state prendendo per il culo o avete fumato?- gli venne particolarmente spontanea.
Andreas si sollevò e lo prese per un braccio, sospingendo l’amico verso il vialone della villa.
“su Bill.. andiamo a vedere se c’è rimasta un po’di torta…” sembrava particolarmente ansioso di andarsene,quasi stesse nascondendo qualcosa.
“ragazzi sembrate un po’ stran…” Bill non fece in tempo a terminare la frase, perché altre due persone uscirono in quel preciso istante dal fogliame alle loro spalle.
Il cuore di Bill saltò un battito.
Tom Kaulitz camminava traballando, sorretto da Georg.
La sua maglietta era sporca di vomito e i rasta bagnati fradici di sudore appiccicaticcio, sudore da malato.
Senza pensarci due volte, Bill si precipitò incontro al fratello, passandosi immediatamente un suo braccio attorno alle spalle.
“cosa cazzo..?”
“non te lo abbiamo detto perché non volevamo rovinarti la festa…” lo interruppe Georg.
“cosa ha fatto? Cosa ha bevuto?”
Per un attimo i tre ragazzi sani stettero in silenzio, guardandosi imbarazzati tra di loro, e poi Bill.
“non è… non è proprio una cosa che ha bevuto…” tentò Gustav, esitando lievemente, ma abbastanza evidentemente da mettere in guardia il cantante.
“cosa?” domandò serio, dopo un attimo di primo silenzio.
“cosa cosa?” finse di non capire Andreas.
“cosa ha preso? Coca, narco, acidi… cosa?”
La schiettezza di Bill lasciò tutti impietriti. Nessuno osava rispondere, nessuno osava persino fiatare.
Fu Tom, scosso ancora dall’ennesimo conato di vomito, a togliere d’impiccio gli amici.
“Bill… mi dispiace… davvero…”
Era tanto pallido, tanto scosso, che nessuno sano di mente gli avrebbe scaricato addosso una ramanzina in quel momento.
E Bill era sempre stato un ragazzo molto intelligente, abbastanza maturo per la sua età.
Si limitò dunque a tacere, sempre con l’espressione corrucciata.
“ne riparliamo domani Tom… Georg, ti dispiacerebbe portarlo a casa, mentre io saluto tutti?”
Naturalmente il bassista si disse disponibilissimo ad aiutare i gemelli.
Solo Andreas sembrava perplesso “come spiegherai l’assenza di Tom?”
“dirò che è un cretino, che ha bevuto un po’ troppo e che ha preferito andare subito a letto”
“una mezza verità insomma…”
“sì, che è un cretino è sacrosanta verità.”
 

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Capitolo 3
*** III - Concert ***


Capitolo III
In Concert
 
 
Se penso che appena due anni fa io mi trovavo esattamente in questa città, su questo palco …
Devo dire che Nizza ci ha accolti in maniera quasi spettacolare. Fuochi d’artificio accompagnano il nostro ingresso sulla scena, le nostre facce compaiono a turno sul mega schermo.
Appena Kazu poggia una mano sul microfono, al centro dello stage, una scarica di fuochi a fontana rossi esplode attorno a noi, mentre una voce roca ma magnetica annuncia: “Mystified! In concert! À Niiiiiiiiiiice!”
La folla esplode in un boato di ovazioni!
“Kazu! Kazu! Tom! Tom!”
Dejavù? Un po’… e non mi riferisco agli altri cinque concerti fatti con i Mystified.
“Juuuuus!! Je t’aiiiiimee!!”
“Mystifieeeed!! I love yoooou!!!”
Come dire? C’è stato un tempo in cui tutto ciò era semplicemente la mia dose di ossigeno quotidiana. Ma ora cos’è sta merda?
Jus comincia a picchiare sulla batteria, accompagnato subito dal basso di NiKo.
Mi riscuoto appena in tempo per il primo giro di chitarra.
La voce di Kazu irrompe nelle mie orecchie come un calcio nello stomaco.
-We’re different, just different! No way, no way! Keep my heart, please, keep my loveee!-
“Must! Must!” canto di coro io, cercando di sovrastare quella sua voce da teenager star.
Anche il pubblico canta, ma non la nostra schifosissima canzone insensata.
“Kazuuuuuuuuuuuu! Kaaaaazuuuuuuu!” è questo ciò che loro amano…
Un faretto mi viene puntato dritto negli occhi, che cominciano a lacrimare per lo sforzo di restare aperti. Quando il tecnico se ne rende conto è già troppo tardi, sto piangendo alla grande… quanti possono essere i motivi…
“Tom! Tooom! Toooooom!”
Tra una canzone e l’altra mi tocca andare nel backstage per vomitare…
La stessa isteria, la stessa ma diversa, la stessa isteria.
 
Ricordi
-Schreeeeeeeeeeeeeeeeeeeei!-
Fuochi di ogni colore.
“soooo laut duu kaaaaaannst!”
Rispose il pubblico.
E il concerto ebbe inizio.
Era Nizza, una bella serata di fine ottobre.
La, sotto il palco, Bill poteva ammirare migliaia di francesi, ma anche tedesche e italiane in gran quantità… un mare di mille colori e mille occhi, uno spettacolo mozzafiato, ma inquietante allo stesso tempo.
Iniziarono con un classico quella sera. Iniziarono con Monsoon la tappa dello Zimmer 483 tour… contraddizione? Forse.
Tom non era in formissima, probabilmente ancora sotto qualche effetto della dose quotidiana. Bill ormai aveva rinunciato ai rimproveri. Che senso aveva? Tanto il gemello non avrebbe mai smesso di fare esattamente ciò che voleva.
E dunque lasciarlo fare, era questa l’unica soluzione al problema. …Anche se non era una soluzione.
Come sempre B. Kay si mosse con maestria, sgambettando per tutta la lunghezza della scena dalla prima all’ultima canzone, ammaliando ed eccitando le giovani fans.
Aveva scelto i pantaloni a righe nere e bianche, ormai da qualche mese inutilizzati nel suo armadio.
Sapeva che quei pantaloni facevano schifo ai più, ma addosso a lui tutto diventava più bello. E poi a Tom piacevano tanto… diceva sempre che il vintage gli donava…
Una canzone dietro l’altra, intramezzate dai brevi tentativi di discorsi in francese di Bill, i Tokio Hotel giunsero alla chiusura.
Bill e Georg si stavano divertendo così tanto a far cantare il pubblico, che nessuno fece caso alle occhiaie di Tom, al suo viso pallido, alle mani che minacciavano di tradirlo a ogni nuovo accordo.
Una volta nel backstage, i TH poterono tirare un respiro, ognuno per un motivo diverso…
“cazzo, se avessi parlato  in francese ancora una volta giuro che attaccavo a ridere e non smettevo più!”
“già.. chissà perché la gente è convinta che un cantante debba saper salutare in tutte le lingue del mondo…”
Tom bisbigliò piano, volendo ma al contempo non volendo farsi notare. “credo di sentirmi male”
“insomma, la mia pronuncia in francese non può essere perfetta… non sono un cazzo di francese… e poi anche Gustav! Quando ti hanno urlato –vogliamo Gustav nudo- credevo di morire a vedere la tua faccia!”
“bhe sono rimasto un po’ shokato”
“io sarei rimasto sconvolto a vederti nudo!”
“ragazzi… davvero.. credo di stare male…” Tom vedeva la stanza muoversi, trasformarsi come fumo d’incenso che salendo, si evolve e muta forma.
Ma nessuno lo stava ascoltando. Fu forse per questo che Tom Kaulitz decise di svenire.
In un attimo tutta la troupe fu su di lui, chi in preda a crisi isteriche, chi con meticolosa metodicità. Tutti tentarono di farlo rinvenire, per poi chiamare il pronto soccorso… Bill dal canto suo restò in disparte, a trangugiare il suo fruttolo alla fragola, un sopracciglio alzato e tanti pensieri per la testa.
Quando Tom si riprese, Bill fu il primo ad abbracciarlo.
“a volte ti odio, Tom”
“mi dispiace, questa volta, questa volta non mi ero fatto.. giuro… volevo smettere… per te… ma…”
“non raccontarmi palle per favore”
“no, davvero… non mi sono fatto oggi…” ma non poté continuare a parlare, poiché un conato di vomito lo scosse.
Bill osservò il fratello, madido di sudore, un sudore diverso da quello della fatica o della febbre.
Forse per una volta Tom aveva detto la verità… l’astinenza fa male e bene in ugual misura, all’inizio.
“a volte ti odio Tom, ma altre sono maledettamente fiero di te” gli bisbigliò ad un orecchio, mentre lo portava in bagno, sorreggendolo con un braccio.
“ti voglio bene…”
“anche io te ne voglio, scemo”
E sorrisero entrambi.



Grazie per le recensioni! Spero che vi piaccia anche questo capitolo!
Comunque ho già cominciato a mettere online su questo sito l'altra mia FF, "Not Real"
Un bacio, Kiki

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Capitolo 4
*** IV - The sixth Floor ***


Grazie a tutte per i commenti, mi hanno fatto davvero molto piacere ^_^
Ecco il penultimo capitolo:


 
Capitolo IV
The sixth floor
 
Applausi, coriandoli su me come pioggia di ironia, occhi e bocche piangenti ma felici, ancora urla, ancora applausi.
Come ogni volta, lancio il plettro su quella spaventosa folla, così che una mano sconosciuta possa afferrarlo e che qualcuno possa tornare a casa dicendo “Tom mi ha sorriso tutto il tempo, si, proprio a me, e alla fine del concerto mi ha lanciato questo! Poi mi ha anche fatto l’occhiolino!”
Illuse.
Compatendole esco dalla scena, rimpiangendo i bei giorni delle mie canzoni, cantate da diecimila voci, cantate da quella ossessione che ora mi sembra fosse dolce malattia rispetto a questa.
Cammino lungo i corridoi  dell’albergo: ecco la stanza che cercavo… ecco la stanza 483.
È vuota e aperta, non è come quella di tanto tempo fa, in Spagna, ma per me andrà bene lo stesso.
Spalanco la finestra che da sulla strada e per un attimo mi godo la brezza d’inizio autunno.
Che buon profumo, profumo di pioggia.
Butto a terra il cappellino, lasciando che l’aria mi passi tra i capelli.
Ogni volta che me li tocco provo una strana sensazione… per quanto sia già passato un anno, ancora non mi sono abituato ai capelli corti.  I miei bei rasta appartengono al passato, quello stesso passato che mi sta spingendo a salire sul parapetto del balconcino in questa deprimente camera d’albergo.
Guardo verso il basso, le luci mi ammiccano di rimando, attraendo come calamite il mio paio di Sneakers bianche, nuove di zecca.
Mi pare di svuotare ulteriormente il mio cuore da quell’ultimo briciolo di umanità rimastami.
A che scopo conservare la vita se poi non si ha nessuno con cui condividerla? A che scopo?
Sono stato tante cose nella vita: Tom Kaulitz von Tokio Hotel… Tom Kaulitz dei gemelli Kaulitz… Tom Kaulitz von Mystified… e ora?
Ora che in questa stanza non c’è nessuno oltre a me, ora che sono solo Tom, mi rendo conto che io non sono nessuno.
“cosa ho fatto? Che cazzo ho fatto!” singhiozzo nel nero.
Sorrido senza motivo, mentre una lacrima mi precede nel grande salto.
Ho sempre creduto di sapere quale fosse il mio destino, eppure non l’ho mai saputo.
Mi rendo pian piano conto che tutto quello che volevo, tutto quello di cui avevo bisogno, era quell’ultimo briciolo di umanità che avevo appena scacciato dal mio cuore.
E forse di un fratello.
La vita è così vuota. Solo un salto la può riempire.
La caduta dal sesto piano è una strana sensazione: ti senti così leggero, come se tutti gli organi ti avessero abbandonato, rimanendo su quel parapetto. Eppure mi sento anche molto pesante, tutte  le colpe e i rimpianti che mi premono contro gli occhi.
Quando me ne libero è già troppo tardi.
 A cadere dal sesto piano ci si impiegano solo pochi secondi… poi è buio.
 
Tom Kaulitz girò l’angolo nel vicoletto, buio e seminascosto.
In tasca teneva il suo piccolo tesoro bianco, incellophanato e ben protetto.
A quell’ora Bill sarebbe sicuramente già stato sulle sue tracce, pronto a perquisirlo e fargli l’ennesima scenata.
Nel cupo silenzio della notte, il rumore dei passi sull’asfalto bagnato rimbombavano come rimproveri nelle orecchie di Tom.
Ogni centimetro corrispondeva a un ulteriore senso di colpa.
Un improvviso, concitato e affannoso parlare attirò la sua attenzione.
Accelerando l’andatura nella direzione dalla quale sembravano provenire le voci, Tom giunse a un incrocio tra due stradine piastrellate. Solo un lampione morente illuminava la terribile scena che gli si parava innanzi.
Bill Kaulitz giaceva a terra: un ragazzo corpulento stava seduto a cavalcioni sul suo corpo,trattenendogli le mani e premendolo sgraziatamente in una morsa che doveva essere una specie di bacio.
“Che brava puttana che sei, ragazzo”
Il burbero aggressore spingeva una mano dei boxer di Bill, lasciati in vista dai jeans aperti, mentre un altro uomo osservava la scena dall’esterno, evidentemente in attesa del proprio turno.
I due non parvero accorgersi della nuova presenza così, Tom, superato l’iniziale momento di paralisi, scattò in direzione del più grosso, quello che stava addosso a suo fratello.
Bastò un unico pugno dell’altro per mandare il chitarrista ko, con il labbro gonfio e sanguinante.
Approfittando di una momentanea tregua, Tom alzò lo sguardo verso l’assalitore, supportato ora dal suo socio.
Rimase basito alla scoperta che, effettivamente, quel volto non gli era affatto nuovo “Frank!? Sei tu?”
L’uomo, che era rimasto fino ad allora fermo ad assistere alla scena, sembrò riscuotersi dal torpore, così che, stiracchiandosi le braccia, scandì:
“Tom, Kaulitz… ebbene…paradossalmente, era proprio te che volevo.”
Il suo ghigno sinistro fece rimpiangere al chitarrista i pugni in faccia di poco prima.
“Frank…io…”
“Mi hai molto deluso, Kaulitz. Tre ottime dosi e ancora non mi hai pagato”
Poteva succedere qualsiasi cosa in quella situazione, Tom avrebbe potuto scappare, ma la vista di suo fratello, steso a terra, gli occhi sbarrati dal terrore e il trucco sciolto sulle guancie, gli diede la forza per aprir bocca.
“Pagherò! Giuro… io… li ho i soldi, ho solo bisogno di un attimo per evadere la sorveglianza dell’albergo e poi…”
“Non ti sei più fatto vedere… hai trovato qualcun altro per la roba forse?”
“No.. io…”
“Shhh… shhh…. Non fa niente… Non sei più in debito, Tom”
“I..in che senso?”
“Tuo fratello ha pagato per te” una luce strana nei suoi occhi, malizia e una buona dose di cattiveria.
“E piuttosto bene…” aggiunse l’altro. La risata dello stronzo fu peggiore di qualsiasi schiaffo mai ricevuto.
Prima ancora che Tom potesse dire o fare qualsiasi cosa, i due tipacci montarono su una moto rossa, per poi partire nel buio.
E così Tom rimase li, i pugni stretti in una morsa disperata e la mascella serrata.
Con un balzo felino fu al fianco di Bill, passandogli una mano tremante sulle guancie… ma il fratello lo respinse, si sollevò, e, barcollando, si incamminò lungo il vialetto.
“Bill… stai bene? Bill…”
Che cosa stupida da chiedere. Come poteva stare bene?
Senza pensarci ancora, gettò le braccia al collo del gemello più piccolo, lasciando che si sfogasse.
“Merda… merda merda merda”
Ripeteva Bill tra i singhiozzi isterici, cercando di allacciarsi i jeans, appiccicosi di liquido bianco estraneo. Ma, appena Tom tentò di aiutarlo, il fratello gli si appese alla maglietta, graffiandogli, incidendogli il petto per tutta la sua lunghezza.
Il chitarrista restò lì, nel piccolo vicolo solitario, bersaglio immobile e silenzioso di quella giusta rabbia.

Riapro gli occhi, lentamente. Le ciglia sono leggermente appiccicate dal sonno e faccio una fatica incredibile a mettere a fuoco i colori attorno a me.
Qualche mattutino raggio di sole filtra tra le imposte alla mia finestra, impregnando di primavera la stanza.
“Dove sono?” penso.
“A casa” risponde una voce conosciuta, al mio fianco… non mi chiedo come mai possa sentire quello che passa per la mia mente intorpidita, perché la gioia di quel sorriso è troppo disarmante.
Dietro ai suoi capelli neri e folti spunta un cappellino da baseball… Gustav!
Riesco a fatica a tirarmi a sedere, giusto in tempo per vedere il viso allegro di Georg fare capolino nella camera semi illuminata, portando una vassoio stracarico di ciambelle.
“La colazione!” esclama, versando a me e a mio fratello una tazza di caffè con latte.
“Moritz! Hai di nuovo lasciato le mutande della tua groupie nel mio letto!” rimprovera Gustav. Moritz, così chiamiamo Georg ogni volta che ci fa arrabbiare. Ridono e scherzano davanti ai miei occhi, come un tempo.
Raccolgo un po’ di coraggio, poi riesco finalmente a dire quello che penso, che penso da quasi due anni a questa parte “Mi siete mancati, ragazzi.”
“Forza Tom, mangia.. il concerto è tra solo due ore!”
“Che bello, un concerto! ma allora… i TH si sono riuniti?” chiedo speranzoso.
Bill sorride più di tutti… non lo vedo così felice da un sacco di tempo. È bellissimo quando sorride, molto più bello di me.
Ma una nube scura passa ora al di fuori della finestra, un monsone. Le ombre nella stanza si allungano e si distorcono.
“Ci hai fatti preoccupare, Tom…” improvvisamente tutte le espressioni attorno a me si fanno corrucciate, quasi ansiose.
“Io…” la caduta dal sesto piano mi investe come un treno in corsa:
“Come è possibile? Come mai sono vivo?”
Ho quasi paura a chiederlo… tutto questo è troppo bello per essere ver… e proprio mentre lo penso, mi tocco i capelli, tocco i lunghi rasta di Tom Kaulitz von Tokio Hotel.
E capisco.
Provo ad aggrapparmi a questo sogno, provo a non scivolare nella realtà, ma tutto è inutile. Vedo per l’ultima volta ancora il volto che amo più in assoluto e comincio a gridare: non voglio perderlo, non di nuovo, non ora che abbiamo fatto pace. Ma lui mi fissa, senza muovere un dito, con quella sua nuova espressione severa, quasi accigliata.
“Bill…. Non lasciarmi… Bill… Bill… ti voglio bene! ... Bill…”
 

 

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Capitolo 5
*** V - Epilogo ***


 
Ed eccoci giunti al termine della FF ^-^
Vorrei ringraziare le ragazze che hanno commentato, e anche chi ha letto la Fic o l'ha messa nei preferiti: apprezzo molto! Spero che il finale non deluda... so che scientificamente è improbabile (poi vedrete), ma ho pensato che ogni dettaglio fosse necessario ai fini della morale. 
Un bacio e grazie per aver seguito questa FF, spero vogliate leggere anche le altre! ^-^ Kiki.
 
 
Capitolo V
Epilogo
 
“Bill… Bill… Bill…”
Due medici osservavano Tom Kaulitz, nel pieno del suo delirio.
Il più anziano sembrava trovarsi a disagio in quella stanza, in compagnia di quella che gli avevano detto essere una star di fama mondiale, ridotta a un miserabile resto di umano.
“Chi è che sta chiamando? Chi è questo Bill?” chiese, torturandosi impaziente le mani.
L’altro, evidentemente l’apprendista, sempre senza staccare gli occhi dalle cartelle mediche, scrollò le spalle.
“Il signor Kaulitz aveva un fratello di nome Bill… ma a quanto pare questo poveretto non ha più contatti con nessun parente o amico da un paio d’anni.”
“Ancora non riesco a spiegarmi come sia sopravvissuto a una caduta tale…”
Era infatti un caso del tutto inspiegabile. Tom Kaulitz era in uno stato di dormiveglia perenne da quasi una settimana. L’89% delle ossa del suo corpo erano spezzate, stando a quanto dicevano i medici.
Nessuno avrebbe saputo contare le centinaia di migliaia di lettere e regali che le fans di tutto il mondo avevano inviato all’ospedale. Centinaia e centinaia di ragazzine in lacrime presidiavano costantemente il cortile dall’edificio, in attesa di notizie miracolose, o pessime. Tuttavia nel giro di pochi giorni sarebbero tutte scomparse, perché così andava la vita: presto Tom Kaulitz, con l’89% delle ossa rotte, avrebbe dovuto cedere il posto a qualche nuova celebrità, del tutto integra e con il solito, noioso fascino da teenager.
 
Tom premette sull’acceleratore della station wagon nera. Era pulito da quasi una settimana. Lo faceva per Bill, non per sé stesso.
Ormai il suo amore era tutto ciò che avesse da offrire agli altri.
Senza Tokio Hotel poteva inventarsi una nuova vita, ma senza suo fratello non era niente. NIENTE.
“E allora ammazzami!” aveva gridato Bill tempo prima “Piuttosto che vederti così preferisco morire! AMMAZZAMI STRONZO!”
E ora Tom se ne stava da solo, a sudare e piangere e tremare e contorcersi, anelando una dose che non voleva prendere.
Però tutto questo diventava sopportabile al pensiero che Bill fosse a casa ad aspettarlo, insieme a Georg e Gustav… lo aspettavano, per la prima volta da quando i TH si erano separati.
Provò ad elencare mentalmente una lista di cinque motivi per i quali guidare quella cazzo di macchina in stato di crisi d’astinenza avrebbe dovuto esser giusto.
Ne trovò qualcuno.
“Primo: non c’erano taxi disponibili.”
Le vetrine erano ormai serrate da un pezzo. Tom vide l’ultimo negoziante correre sul marciapiede, caracollando sotto il peso della sua panciona da birra.
“Secondo: il gelato che ho comprato per la serata si scioglierà se non faccio in fretta”
Il gelato era a quattro gusti, ognuno nella band aveva il suo preferito.
“Terzo: la legge dice di non guidare sotto stupefacenti, non sotto la loro astinenza”
Futile motivo, lo sapeva bene, ma il vetro sul quale si stava arrampicando era freddo, e lui voleva scalarlo in fretta.
“Quarto: Bill e gli altri mi aspettano, e non voglio fare tardi”
Era così bello aspettarsi gli abbracci di una cara persona, senza dover firmare prima un autografo in cambio.
“Quinto: Bill”
Tom non si accorse nemmeno del ragazzo che attraversava la strada in quel preciso istante.
Forse avrebbe anche potuto vederlo, se un velo di sudore ghiacciato non gli avesse coperto ormai gli occhi.
Non si mosse nemmeno mentre la macchina nera travolgeva l’innocente, mentre, schiacciando il suo corpo, sobbalzava finendo fuori strada.
Rimase forse per cinque minuti fermo nella Station Wagon, con le mani premute sugli occhi. Dopo quei cinque minuti premette sull’acceleratore. Cinque volte dovette ripetere le manovre prima di tornare in strada. Quando fu a casa, cinque lacrime rigarono il suo volto, prima che cadesse svenuto sul materasso.

Il giovane medico sostituì nuovamente la flebo attaccata al braccio di Tom, pensando a quanto, in effetti, non biasimasse affatto la scelta del suicidio, in quel caso.
“Forse però non era la tua ora, amico.”
“Bill… Bill… Bill…”
A Marcus, l’apprendista, sfuggì un sospiro, mentre con gesti lenti avvicinava al letto del paziente una sedia.
“Vorrei poterti dire che sono Bill… vorrei davvero…”
Si era informato, oh si. Aveva cercato di capire cosa fosse successo a Bill Kaulitz.
Era morto. Solo un giorno prima del suicidio del fratello.
Era morto, travolto da una station wagon. Il responsabile non era stato trovato.
Sospirò: quel ragazzo sarebbe rimasto solo fino alla fine.
Spariti nel nulla, tutti, amici, parenti… persino gli attuali colleghi del ragazzo non si erano presentati all’ospedale… troppo occupati, secondo il manager, a cercare un nuovo chitarrista.
Ma cosa puoi aver fatto di tanto terribile da farti odiare così da tutti?
“Bill… Bill… Bill…”
“Perché non muori, ragazzo? Lo dico davvero per il tuo bene… non è vita questa… e nemmeno quella di prima, se posso permettermi.”
Parlare con un paziente in stato comatoso poteva anche essere un metodo poco ortodosso, tuttavia era il massimo che egli potesse fare per quel poveretto.
“Non riesci a morire… forse perché in fondo amavi la tua vita…”
un altro sospiro, poi Marcus afferrò una delle cartoline sul comodino del chitarrista.
-guarisci Tom! Ti amo!-
Erano migliaia di ragazzine al mondo ad amarlo.
Il medico rabbrividì.
“No. ma allora perché?”
“Bill… Bill… Bill…”
Un lampo improvviso. Una prospettiva tremenda eppure così logica.
Il medico posò una mano su quella di Tom, poi tentò l’ultima medicina che gli rimanesse, la più profana ed inevitabilmente giusta che conoscesse.
L’amore di una bugia.
“Si Tom… sono Bill… tuo fratello.”
“Bill…”
“Si… Bill”
“Bill…”
Pur essendo un uomo irreprensibilmente serio, Marcus non poté contenere le lacrime, mentre Tom Kaulitz gli stringeva la mano, esalando gli ultimi respiri della sua vita, i lineamenti distesi da una nuova serenità.
Tom Kaulitz von Tokio Hotel abbandonava questo mondo, ma forse ne avrebbe raggiunto uno migliore, lontano da sé stesso.
Lontano da sé stesso.
 
Fine

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