White Blank Pages

di Kalyptein
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tomorrow never knows ***
Capitolo 2: *** Waiting ***



Capitolo 1
*** Tomorrow never knows ***


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Salve a tutti! Scrivere questo capitolo è stato un parto. 1) E' di un Angst pazzesco, perfino per me. 2) E' stata scritta quasi interamente sul cellulare e poi passata sul pc. 3) Non c'è un terzo punto però i primi due sono più che sufficienti. Allora, parliamo un po' di questa storia. Non è un'OS, è la mia prima storia a capitoli sul fandom di Shameless. Che poi, dire a capitoli è un po' eccessivo visto che ne saranno solo tre. Non ho la minima idea di quando posterò gli altri, per ora sono ancora molto work in progress.
Il titolo è palesemente ispirato dalla canzone dei Mumford & Sons e sarà tutto molto più chiaro nel prossimo capitolo, mentre il titolo del capitolo è una canzone dei Beatles, che troverete nel testo leggendo. E' completamente pov!Mickey ed è ambientata dopo la terza stagione (QUARTA STAGIONE, ASPETTO SOLO TE) e adesso devo assolutamente lasciarvi perchè c'è Tobey Maguire che mi chiama dalla tv. Alla prossima!









Turn off your mind, relax and float down stream
It is not dying, it is not dying





Mickey Milkovich si sente soffocare.
Anche se riesce a percepire il vento arruffargli i capelli, sparpagliandogli ciocche nere sulla fronte pallidissima, i suoi polmoni non ne vogliono sapere di riempirsi di quell'aria densa di smog e odori disgustosi. Chiude gli occhi, si appoggia alla parete sudicia del vicolo dove intrattiene i suoi soliti affari. Sbuffa, producendo una piccola nuvoletta di aria congelata.
Ce la può fare; è la terza volta che se lo ripete nell'arco di quindici minuti. Ma lo vede: nel fantasma di qualche vecchio livido sulla faccia, nell'inchiostro sulle dita che usava stringere, dentro ogni cicatrice, in ogni ruga d'espressione; è tra l'angolo del Kash and Grab, l'eco di una risata e un gemito trattenuto; nell'odore della divisa Security scadente, con ancora qualche vecchio alone di sperma; nel freddo pungente, nel caldo soffocante; lo rivede nello sguardo triste di Mandy, in quello di disprezzo di Lip, negli insulti di Terry.
Mickey si accende una sigaretta, proprio quando la prima goccia di pioggia gli cade sulla fronte, scendendogli lungo tutta la linea del naso. Si stringe di più nel cappotto ed esce dal vicolo, bestemmiando a nessuno in particolare.
Ian è ovunque, quando Mickey è stanco, quando si stringe le coperte al petto, quando è eccitato; quando ruba una birra dal frigo del Kash and Grab, quando dimentica di controllare gli scontrini, quando fa l'inventario, quando fuma una sigaretta dopo l'altra, quando qualche vecchietta gli chiede dov'è il ragazzino rosso? Mickey è sempre convinto che, voltandosi all'improvviso, potrebbe trovarsi faccia a faccia con un paio di occhi verdi, capelli rossi, le lentiggini sul naso, le labbra piene e sorridenti.
Perciò si volta, si volta e Ian Gallagher non lo trova.



Mickey si aggira per il reparto dell'ospedale più merdoso del South Side, stringendo tra le dita il filtro di una sigaretta ormai rovinata in modo irreparabile. Li ha sempre odiati gli ospedali, con tutto quel bianco che gli da alla testa, la puzza di piscio di vecchio e gli occhi vuoti dei pazienti. L'ultima volta che ci era entrato, era stato quando aveva visto sua madre morire di overdose, circondata da estranei. Lui e Mandy aspettavano fuori da soli, due bambini con meno di dieci anni che si tenevano per mano senza emettere un fiato.
Mickey stringe ancora una volta la sigaretta tra le mani, fermandosi di fronte la porta semi aperta della stanza 13-D. Abbandonato nel suo letto d'ospedale, le labbra tese anche nel sonno, le ferite non ancora completamente rimarginate. I pochi capelli rossi che sono ricresciuti sono coperti da un cerotto enorme. Gli viene quasi da sorridere quando si rende conto che il film trasmesso in televisione è uno di Seagal. Si appoggia alla parete troppo bianca del corridoio, fissando le luci al neon.
"Oggi è riuscito a fare una passeggiata con la sorellina" Mickey solleva lo sguardo di poco, e riconosce la voce dell'infermiera del reparto. Rimette a posta una ciocca di capelli color mogano sfuggiti alla sua acconciatura complicata e manda uno sguardo a Mickey. "Povero ragazzo"
E Mickey vorrebbe essere diventare parte di quel muro, o venire direttamente schiacciato, ma si massaggia solo le tempie, in senso orario, con un po' troppa forza. Cerca nelle tasche interne della giacca una sigaretta asciutta e un accendino funzionante per miracolo. Il filtro è già tra le labbra secche quando l'infermiera tossisce, sollevando un sopracciglio poco folto. "Il divieto di fumare in ospedale è proprio un'idea del cazzo" borbotta tra sé e sé, riponendo l'accendino nella tasca dei jeans logori e la sigaretta perfettamente allineante nel pacchetto, insieme alle altre.
Il corridoio è vuoto a causa della tarda ora, il silenzio è spezzato dal respiro inquieto di Mickey, lo scatto della penna della segretaria e quei cosi che fanno bip tutti intorno. "Dovresti entrare almeno una volta" dice la donna, facendo scattare ancora una volta la penna, scribacchiando qualcosa nella sua cartellina. Il grande orologio, bianco pure quello, attaccato alla parete segna le due in punto con uno sgradevole tac. Mickey rivolge un ultimo sguardo al profilo poco illuminato di Ian Gallagher e, come ogni giorno da un mese a quella parte, abbandona il reparto senza aver rivolto la parola a nessuno.



La luce filtra tra le tende sporche di casa Milkovich. La stanza di Mickey puzza di biancheria sporca, vomito e alcol. Mickey rimane steso nel suo letto, con lo sguardo fisso al soffitto, paralizzato in una morsa di gelo. Non ha niente a che fare con l'inverno più freddo nel ultimi dieci anni, a detta dei conduttori del meteo, né con il vetro di una vecchia bottiglia di birra che gli preme sulla pelle nuda delle caviglie. Mickey il gelo lo sente proprio dentro. Sente che si sta trasformando lentamente in un pezzo di ghiaccio. Parte tutto dal cuore – che ormai non sa nemmeno se ci sia o no – poi si irradia gradualmente nel petto – lo fa rimanere costantemente senza fiato - al bacino, lungo tutta la lunghezza delle gambe, le braccia.
E, appesa accanto ad una bottiglia quasi vuota di Jack Daniels, la sciarpa insanguinata di Ian Gallagher forse può ancora scaldarlo.



Mandy Milkovich ha gli occhi cerchiati di nero, la frangetta spettinata e una vecchia felpa appartenuta ai suoi fratelli, che le arriva a metà coscia. Mickey la ricorda sempre così, con il mano una padella e delle uova che cuociono, l'espressione concentrata tipica della sorella. Entra nella loro cucina, cerca una birra nel frigorifero e si sistema sulla sedia, sorseggiandola lentamente.
Mandy, alzando gli occhi truccati sul fratello, chiede: "Uova?" iniziando a versarne alcune sul piatto, perfettamente cotte, il rosso dell'uovo completamente intatto.
Mickey alza le spalle, si pulisce un angolo della bocca con la manica sinistra della felpa e, non appena Mandy gli posiziona il piatto di fronte, inizia a mangiare velocemente. Casa Milkovich in quei giorni è stranamente vuota e silenziosa. Terry ormai si è trasformato in un fantasma, un alone di qualche vecchio livido, troppo impegnato a rovinare la vita dei suoi altri figli. Il resto dei suoi fratelli è in carcere. Ingoia l'ultimo pezzo di uovo, pulendosi nuovamente con la manica della felpa, quella destra stavolta.
"Oggi vado dai Gallagher" mormora Mandy, sedendosi al alto opposto del tavolo scheggiato in più punti, al centro un posacenere stracolmo di sigarette spente. Mickey quasi sorride del suo patetico tentativo di fare la vaga, ma alla fine alza le spalle e: "Divertiti" dice, fissando il rosso dell'uovo nel suo piatto.
"Non ci sei mai andato" commenta, passando il dito lungo sul bordo del vetro. Lo sente, il tono d'accusa nella sua voce, la rabbia, la delusione. "Da Ian" precisa, sottolineando ogni sillaba, a denti stretti. "Credevo ti interessasse sapere che è ancora vivo" Mandy Milkovich ha gli occhi cerchiati di nero, una lacrima mista a trucco che le scende lungo la guancia, nascosta malamente. L'orecchino al naso trema leggermente, il respiro si va facendo sempre più pesante, il ginocchio che colpisce ripetutamente il lavello della cucina. Non dicono niente, Mickey finisce le sue uova masticando a stento, ed ingoiando a forza, Mandy spinge via il posacenere. "Sei una merda"
Mickey non dice niente perché lo sa, lo sa, che ha ragione. Mickey non dice una parola, ma ha ancora l'odore di disinfettante nelle narici.



Lay down all thoughts, surrender to the void
It is shining, it is shining






Lo conosce a memoria l'ospedale del South Side, Mickey. Sa bene che all'angolo tra il reparto di oncologia e quello delle malattie infettive c'è la macchietta delle merendine, che puntualmente scassina quando tutti si voltano. E sa anche che l'infermiera del pronto soccorso e lo specializzando del reparto di pediatria hanno una storia, e che si danno da fare nello sgabuzzino delle scope. Poi, appena qualche metro prima dell'uscita, c'è un'uscita secondaria, che porta ad un vicoletto non particolarmente pulito. E' il suo posto preferito, l'unico in cui nessuno gli rompe il cazzo se prende due tiri dalla sua sigaretta. Reclina la testa contro il muro, si stropiccia gli occhi con le dita che sanno di fumo. Mickey non si è mai considerata una persona dotata di particolare intelletto, però ultimamente si è ritrovato a pensare più spesso di quanto abbia mai fatto in diciotto movimentati anni di vita. Pensa tutte le volte che i suoi polpastrelli di incastravano nelle fossette di venere di Ian, sempre, quando accarezzava le sue guance spruzzate da piccole, tondissime lentiggini ed anche quando toccava il suo corpo piano per non essere maldestro con tutte quelle sue ferite aperte. Pensa fino a quando sente gli occhi pungere, fino a quando non strizza gli occhi per ricacciare indietro tutte le lacrime, fino a vedere puntini bianchi nell'aria. Come in quel momento.
La cenere della sigaretta ormai gli è finita tutta sulle scarpe e Mickey ha tirato a stento due tiri. Sputa per terra, alzandosi in piedi, gettando il mozzicone sulle scale antincendio.
Mickey lo conosce a memoria l'ospedale del South Side, per questo non si lascia ingannare dai corridoio tutti uguali, tutti bianchi, riconosce la mattonella crepata delle scale del secondo piano, saluta con lo sguardo l'infermiera che si occupa del reparto di terapia intensiva. Si ferma un attimo, come se si fosse appena schiantato contro un muro, vede una testolina rossa che non dovrebbe esserci, in tutto quel contesto bianco. La piccola Gallagher gira la testa con uno scatto, così veloce che Mickey non ha neanche il tempo di correre, coprirsi la faccia, buttarsi dalla finestra, fare qualsiasi cosa. Due paia di occhi color nocciola lo guardano ansiosi, curiosi, un po' tristi, ad un paio di metri di distanza.
"Sei il fratello di Mandy vero?" rompe il silenzio la ragazzina, tirando su con il naso, rompendo il silenzio che riecheggiava tra le pareti del corridoio. "Mickey"
Mickey stringe le mani a pugno, nascoste nelle tasche della sua giacca. Il tono di voce, il ciuffo che gli penzola sulla fronte, la forma delle labbra, il sopracciglio leggermente sollevato, tutto, tutto gli ricorda quell'altro Gallagher. "Perché sei qui?" chiede, ignorando la mancanza di segni vitali dell'altro.
Mickey sbatte gli occhi velocemente, come appena sveglio, boccheggia alla ricerca di una risposta vagamente credibile e: "Sono venuto a trovare mia madre" balbetta.
"Non è vero" dice convintissima lei, incrociando le braccia al petto. "Tua madre è morta" Si avvicina di qualche passo, squittendo nei suoi stivali di gomma. "Me lo ha detto Mandy"
Gli occhi della ragazzina diventano due fessure - così simili a quelli di Ian - le braccia stringono più forte. "Perchè sei qui?" dice serissima.
Mickey fissa un punto imprecisato sopra la testa della ragazzina, un pezzo di intonaco bianco che minaccia di cadere sul pavimento. Lei inizia a pestare i piedi per terra, con quel fastidioso squittio che fa irritare Mickey talmente tanto che: "Smettila" sbuffa, continuando a fissare rabbiosamente l'intonaco.
"Sei qui per Ian, vero?" lo riprende lei. "Non credevo foste amici, però"
Mickey sbuffa di nuovo. "Non siamo amici"
"Però sei qui"
"Già" Mickey sta per mandarla a fanculo, fare dietro-front e tornarsene da dove è venuto, con l'intenzione di prendersi a pugni ogni volta che il pensiero di un paio di occhi verdi gli balena in mente. Ha già fatto un passo indietro, quando la ragazzina si appoggia contro il muro, come fa esattamente lui, e si stropiccia gli occhi. Quando li rialza sono arrossati, e una lacrima gli scivola sulla guancia lentigginosa. "Sono scappata di casa. Fiona non mi lasciava restare dopo le sette di sera, e non volevo lasciarlo solo. Non si ricorda neanche chi sono" Mickey rimane sul posto, con gli occhi fissi su di lei, senza capire una sola parola. "E' a causa del trauma cerebrale. Ho rubato la sua cartella all'infermiera, Fiona non ha voluto dirmi nemmeno questo"
"Trauma?" ripete in uno stato di trance, le labbra si muovono ma nella testa di Mickey non connette. E Mickey, che non si è mai considerato una persona intelligente, riesce a formulare un solo pensiero, all'infinito, che riecheggia tra le pareti della sua mente:colpevole.
Lei annuisce piano, spazzando una lacrima con il dito. "Non conosco i dettagli, c'erano un sacco di parole strane e difficili sul fascicolo. Però quando si è svegliato Ian.. non sapeva più chi era, chi eravamo noi. Non sapeva nemmeno di essersi arruolato all'esercito. Non sapeva più niente"
Mickey si accascia contro il muro. Colpevole. Nella sua vita, non è la prima volta che viene giudicato colpevole. Ormai anche il suo avvocato di famiglia ha smesso di difenderlo davvero in tribunale, davanti al giudice. Colpevole.
"E' sempre agitato, nervoso, o confuso. Ha perso tutta della sua forza. Era il mio supereroe" Le sue parole sono diventate un sussurro, fanno da sottofondo al vuoto dentro di Mickey. "Adesso non mi riconosce nemmeno"
L'infermiera passa, con il suo passo svelto, e il fastidioso rumore dei tacchi sul pavimento di marmo. Regala una carezza alla ragazzina e un stretta al braccio di Mickey, che non risponde. Sbatte più volte gli occhi, fa qualche passo sconnesso, e si avvia verso l'uscita di sicurezza più vicina.
"Mickey?"
"Mh?"
Occhi nocciola lo guardano dal basso, velati da uno strato spesso di lacrime. "Mi riaccompagni a casa?"



Casa Gallagher è l'abitazione più brutta del quartiere, forse seconda solo a quella di qualche strada più giù dove hanno trovato un vecchio morto mentre si faceva il bagno. La ragazzina, Debbie si chiama, non ha smesso di parlare un attimo, e non sembra nemmeno interessata al fatto che Mickey non abbia proferito una sola parola. Camminano fianco a fianco, ogni tanto la mano di Debbie sfiora la gamba di Mickey, nel buio e nel freddo di Chicago. Mickey ha rubato una merendina dalla macchinetta per lei, e Debbie l'ha divisa con lui. Sono soli nel vialetto per casa sua, e in sottofondo si sentono parolacce e colpi, ogni tanto Debbie sobbalza ma si ricompone subito. Ha quattordici anni, gli ha detto. Tre meno di Ian. Alla sua età lui aveva già sparato con una pistola, sniffato la prima striscia di cocaina e derubato una vecchietta in un supermercato.
"Grazie per avermi accompagnato" dice lei, abbassandosi il cappello sotto le orecchie. "Ho lasciato il mio cuscino a casa"
Mickey solleva un sopracciglio. "Cuscino?"
"Sì" squittisce lei. "Il mio cuscino foderato di saponette. Si sta più tranquilli con una buona parola ed un'arma che con una buona parola e basta"
"Con un'arma e basta, io sono sempre tranquillo" ribatte lui, a voce bassissima.
"Grazie lo stesso" I suoi capelli svolazzano sotto il cappello di lana. Debbie gli ricorda terribilmente Ian, ogni sguardo è come una mazzata su un fianco: gli toglie il respiro. Distoglie lo sguardo, concentrandosi sul freddo che sente sulle guance. Concentrarsi sul dolore fisico è l'unico modo che ha per non pensare a quell'altro tipo di dolore, quello che non si può controllare.
Tutte le luci di casa Gallagher sono accese. La porta si apre, ed un Lip Gallagher incazzato ne esce quasi correndo, al seguito Mandy Milkovich e Fiona Gallagher. "Mick?" esclama sua sorella, scendendo velocemente le scale del portico.
Fiona la supera e si butta tra le braccia di Debbie, che lo stringe forte. "Scusa, Fiona" mormora tra i suoi capelli, balbetta mezze scuse e inizia a singhiozzare. Mickey sposta il peso da un piede all'altro, in imbarazzo. "Mickey mi ha trovato per strada e mi ha riaccompagnata"
Il diretto interessato si stringe nelle spalle, guardando altrove, ignorando i ringraziamenti della Gallagher grande. Quel tipo di calore, di affetto, Mickey non l'ha mai provato. Nessuno gli ha mai dato una carezza quando è caduto dalla bicicletta, suo padre non gli aveva mai chiesto dove passasse i suoi pomeriggi, nessuno lo aveva mai portato all'ospedale, aspettato e vegliato su di lui nel sonno. Lancia uno sguardo a sua sorella, un po' in disparte rispetto ai Gallagher. I loro occhi si incontrano e Mandy sorride a disagio, a bocca chiusa, perché sono uguali. E capisce perché non torni più a casa loro così spesso: è troppo invitante, quel calore, irresistibile.
Le ragazze entrano dentro casa, ancora strette in un abbraccio. Mickey ha già un piede in un mezzo alla strada quando: "Milkovich" sente alle sue spalle. Mickey si gira appena, giusto per cogliere l'immagine di Lip Gallagher ancora sul portico, con la mascella indurita. "Sta lontano dalla mia famiglia"

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Capitolo 2
*** Waiting ***


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Salve a tutti! Ed eccoci con il secondo attesissimo (sè, vabbè.) capitolo di White Blank Pages. Capitolo che per altro va a spiegare il significato di questo titolo, appunto. Ci ho messo quanto a pubblicare? Un mese? Due? Abituatevi a questo standard (magari riuscissi ad avere uno standard!) perchè il terzo capitolo è un enorme punto interrogativo, Ian i feel you (SPOOOILER).
Scusatemi se sembro tanto uscita da un manicomio o peggio, ma sono ancora in stato post-sclero da Shameless. E' passata una settimana, ne sono più che consapevole, ma Mickey. Il mio bambino. Quel pugno l'ho sentito dritto nel cuore.
Il titolo è ispirato (spudoratamente copiato) dalla fantastica canzone di Jamie Campbell Bower, da ascoltare fino alla fine dei vostri giorni.









Lights go down
You try to not make a sound





Casa Milkovich è addobbata per Natale, anche se addobbata è un eufemismo bello e buono. Nell'angolino del soggiorno, un alberello con qualche ramo spezzato è decorato con un paio di palline scheggiate; la cucina, oltre del solito odore di sigarette, è impregnata dell'odore di patate al forno e di qualche altra schifezza precotta cucinata da Mandy; qualche lucina illumina il portico. Lo ha sempre trovato particolarmente irritante il Natale, lui. Il Natale è per le persone felici, perchè le persone sole rimangono sole, chi non ha soldi rimane senza soldi, e le famiglie di merda continuano ad essere famiglie di merda.
Mickey guarda uno stupido film di Natale dalla cucina, con un cane e del suo padroncino rincoglionito, ingollando litri di birra. Mandy ha i capelli tirati su con una penna, la felpa sporca di sugo e le mani indaffarate con un tacchino che farà da colazione, pranzo e cena per almeno un'altra settimana. "Ti spiace accendermi una sigaretta, Mick?"
Con un gesto quasi automatico, Mickey estrae dalla tasca destra il pacchetto delle sigarette, dalla sinistra l'accendino, e l'accende con un unico movimento fluido. "Sono l'ultima invenzione di zio Timmy" spiega, prendendone un tiro. "Tabacco di Malboro ed erba di Vinny Coltello"
"Quando la smetterà con queste stronzate?" borbotta Mandy, allungandosi per afferrare il filtro della sigaretta-canna. Si accomoda ad una delle sedie del tavolo, accavallando le gambe lunghe e magre, iniziando a prendere tiri lentamente. "E' arrivata questa" dice con finta disinvoltura, estraendo dalla tasca della felpa una cartolina stropicciata. Mickey la prende tra le mani, riconoscendo negli errori di ortografia e nelle macchie di olio suo padre.
"Al frocio e alla troietta" cita a denti stretti, accartocciandola con violenza, massacrandola. "Figlio di puttana" sputa, lanciando quell'ammasso di carta e stronzate il più lontano possibile da lui.
Mandy si stringe nelle spalle, passandosi un dito sotto gli occhi. "Almeno ci ha spedito gli auguri" Il ritmo dei tiri diventa sempre più veloce, il fumo offusca la visuale del suo viso. Prende la cicca della sigaretta, quasi completamente consumata e la spegne nel posacenere. "Mickey, sono incinta"
Come lo strappo di un cerotto, il dolore sordo Mickey lo sente ancora per qualche minuto. Scatta in piedi, come se avesse appena preso la scossa, con le mani che ti tremano lungo i fianchi. Molla un calcio alla sedia, facendola allontanare di un paio di metri. Lo aveva sempre saputo che un giorno saprebbe successo. Sotto lo strato di inutili cazzate che gli affollavano la mente, aspettava solo questo momento L'ennesimo punto a favore di suo padre, ancora una prova di quanto abbia sempre ragione. Al frocio e alla troietta, niente di più azzeccato.
"Mick" riprende la sorella, alzando di un pochino la testa. Un velo sottile di lacrime le copre gli occhi. "Non è niente di che, voglio abortire" La sua voce si incrina sull'ultima parola, come il rumore di un cubetto di ghiaccio lasciato fuori dal congelatore. "Voglio solo che mi accompagni"
Mickey prende a calci il tavolo, facendo traballare tutto, la cenere della sigaretta si libera nell'aria come un nuvoletta. "Lo uccido" dice, con tono sorprendentemente monocorde.
"Invece non farai proprio niente"
"E perché?"
"Perché te lo sto chiedendo io"
Lui si volta un secondo, appoggia il mento sulla sua spalla. Mandy si morde il labbro inferiore, un'abitudine che hanno entrambi quando sentono di stare per scoppiare. Distoglie lo sguardo perché anche sua sorella, esattamente come lui, odia essere vista piangere. Rimangono in silenzio, lui in piedi e lei seduta, ad ascoltare ognuno il respiro dell'altro. Mickey riconoscerebbe il respiro di Mandy anche in una stanza circondato da tutta la popolazione di Chicago. "Okay"
Conosce il respiro da comodino - quando loro padre tornava completamente devastato e cercava di picchiarli con una bottiglia rotta e Mandy si chiudeva nella sua stanza, schiena puntata contro il comodino e la pistola in mano – due respiri veloci, pesanti, ed uno lunghissimo. Riconosce quello lungo, con il labbro inferiore tra i denti, che ha battezzato come il respiro-fischio. Quello di adesso è mix di entrambi. "Vorrei che Ian fosse qui" mormora Mandy, tirando su con il naso.
"Anche io"



E' il 25 Dicembre e l'ospedale del South Side è stracolmo di bambini urlanti, parenti con un sorriso più falso di una banconota da cinquanta stampato in faccia, gente che ha l'aria di voler essere in qualsiasi altro posto più di non dover respirare un secondo di più quell'aria. Gente come Mickey.
Segue sua sorella ad un passo di distanza, con le mani infilate nelle tasche dei jeans. "Come mai non passi il Natale incollata al culo di quel Gallagher?"
"Il Natale è per le famiglie" dice lei, quasi come se lo ripetesse per la centesima volta. "Non sono io la sua famiglia"
Mickey abbassa bruscamente la testa per evitare di incrociare lo sguardo della solita infermiera nel momento in cui Mandy mormora: "Quello è il reparto di Ian" sovrappensiero.
Un bambino tutto ricci e fossette corre per il corridoio, giaca con il suo elicottero nuovo, facendo rumori con la bocca. Inciampa proprio di fianco a loro, facendo volare il suo giocattolo a qualche metro di distanza. Quasi in contemporanea, Mandy prende in braccio il piccolo, Mickey va a raccogliere l'elicottero. Il piccolo nasconde la faccia tra i capelli della sorella, indicando con un dito paffuto l'elicottero nelle mani di Mickey. "Sta male" dice tirando su il naso. "Come il mio papà"
Mandy gli bacia la testa e lancia uno sguardo al fratello. Mickey guarda l'ala tra le sue mani, dando un'occhiata esperta alla struttura complessiva del gioco. Quando era bambino non faceva altro che aggiustare i modellini e le bambole che Terry distruggeva nelle sue peggiori sbronze. "Tieni" borbotta allungando piano la mano, guardando da un'altra parte.
Tra le braccia della sorella, il bambino si sporge per raggiungerlo. "Aggiusterai anche mio papà?" Mickey non risponde, e il bimbo non si aspetta una risposta, tutto preso dal suo elicottero. Mandy lo poggia a terra, lasciandogli un altro bacio sulla testa.
"Gesù" dice, nascondendo gli occhi con la frangetta, proprio con il bambino di poco prima. Mickey però si accorge della sua espressione: come se qualcosa dentro di lei si fosse irrimediabilmente spezzato. "Diamoci una cazzo di mossa"



La sala d'attesta è vuota, c'è solo lui e un mucchio di riviste con delle donne sorridenti che lo guardano dal basso. Mickey inizia a giocherellare con il filo della sciarpa - quella di Gallagher - quando la porta si apre e Mandy gli fa un mezzo sorriso. La dottoressa alle sue spalle gli lancia un'occhiataccia, incrociando le braccia sul suo camice bianco immacolato. "Alla prossima, signorina Milkovich"
Un attimo dopo aver richiusa la porta, Mandy scoppia in un: "Che stronza!" prima di infilarsi la giacca di pelle. "Dovrei graffiarle la monovolume"
"Se mi dai la targa chiamo anche qualcuno a romperle i finestrini" aggiunge Mickey, sorridendo alla sorella.
"Fantastico" risponde Mandy rispondendo al suo sorriso, dando un pungo alla spalla di suo fratello. "Ehi Mick" Il cambio repentino di voce fa lo fa fermare sul posto. L'eyeliner è leggermente sbiadito sui bordi, come se avesse tenuto gli occhi chiusi troppo forte o avesse asciugato qualche lacrima fantasma. "Grazie"
"Non ho fatto un cazzo"
"Sei qui" L'abbraccio di Mandy sa di lacca a basso costo e deodorante alla cannella. "Pensi mai che ci sia qualcosa di sbagliato in noi?"
"Continuamente"



Mandy alla fine va a casa dei Gallagher e Mickey rimane solo, solo con la sensazione permanente di avere qualcosa di sbagliato nella testa. Il corridoio di Ian Gallagher gli sembra il posto più simile a casa, così si siede per terra e chiude gli occhi, sperando di non riaprirli mai più.



And I'll wait for you in the dark
My bones may be falling apart
But I'll wait






La prima cosa che vede Mickey quando si sveglia, sono gli occhi verdi di Ian Gallagher. E' accovacciato su di lui, con le mani sotto il mento, quasi in attesa di una spiegazione. Mickey apre la bocca, poi la richiude, poi la riapre, ma non dice niente. Piuttosto controlla che tutte le lentiggini sul naso siano al proprio posto, che la cicatrice sul sopracciglio destro non si sia spostata di un millimetro, nota la differenza di lunghezza dei capelli rossi.
"Hai sbavato" dice Ian, grattandosi il mento con quel fare un po' assente che gli ricorda i giorni al Kash and Grab. Mickey si passa il polso sotto il labbro inferiore, pulendosi frettolosamente le tracce di bava. Alza lo sguardo all'orologio: sono le quattro di notte, ha dormito per quattro ore e mezza.
"Dovrei chiamare l'infermiera?" domanda, sollevando un lato delle labbra, divertito. Mickey si solleva in piedi, quasi non si regge sulle gambe e si appoggia contro la parete fredda.
"No" dice, anche se ne esce un soffio arrabbiato. Si schiarisce le voce e: "No" dice più forte, sorprendendosi del tono acuto della sua voce. "Me ne vado"
"Aspetta!" Ian lo prende per il polso, stringendo con talmente poca forza che Mickey potrebbe spezzargli la mano con un solo gesto se volesse. "Sai dov'è la macchinetta delle merendine? Non hai idea della merda che ci servono per cena"
La mano è ancora su di lui, segnata da tante piccole cicatrici e graffi non ancora completamente rimarginati, con le vene che spiccano sulla pelle pallida del polso, le nocche scorticate. "Sì" dice a bassa voce, contando gli strati che li dividono effettivamente. Tre. "Sì, lo so"
"Grazie a Dio!" sorride, riportando la mano lungo i fianchi. La macchinetta delle merendine è all'angolo tra oncologia e le infettive, però i piedi di Mickey prendono la strada per pediatria, passano per ginecologia e, quasi per sbaglio, sfiorano anche il cartello sbiadito del pronto soccorso. Conta i suoi respiri regolari, in serie da venti, stupendosi quando di tanto in tanto sono sincronizzati ai suoi. Al tredicesimo respiro della quarta serie, Ian dice: "Perché dormivi fuori dalla mia stanza?"
Si piazza davanti alla macchinetta e inizia a premere una fila di numeri a caso, sorridendo tra sé e sé. "Non ho spiccioli" Sorride, quando Mickey si accovaccia di fronte all'erogatore del resto e inizia prenderlo a pugni con esperienza. E sorride ancora, quando Mickey gli lancia un paio di pacchetti di patatine.
"Noi due ci conosciamo, vero?"
Il moro si morde un labbro, abbassando lo sguardo sul pavimento sporco. "Lavoravamo insieme"
Ian annuisce, premendosi gli indici sulle tempie. "Ti dispiace aiutarmi per una cosa?" Non aspetta una risposta e inizia a camminare a lunghe e veloci falcate verso la sua stanza. Mickey si guarda intorno, con la mezza idea di andarsene e non tornare mai più in quell'ospedale, però sbuffa e, alla fine, segue Ian Gallagher.



Non ci è mai realmente stato nella stanza 13-D, solo una volta si era sporto un po' di più del solito ed era inciampato dentro, per poi ritornare al suo muro. La stanza odora di Ian e fumo, camuffato malamente da un deodorante da uomo che Mickey riconosce in quello di Lip. Ian pesca dal suo comodino un quaderno un po' rovinato e una penna quasi consumata. "E' il mio quaderno dei ricordi" dice, buttandosi di peso sul suo letto, staccando il tappo della penna con i denti. "Come hai detto di chiamarti?"
"Mickey" balbetta, restando in piedi al centro della stanza.
"Sei il fratello di Mandy, giusto?" esclama con un grande sorriso sulla faccia. "La mia migliore amica, giusto? O almeno credo" Mickey annuisce, nascondendo un mezzo sorriso.
"Ti chiami Mickey" dice tra sé e sé, iniziando a scarabocchiare sul foglio vuoto. "Dimmi tutto di noi"
Il modo in cui il suono noiesce dalla sua bocca gli fanno mordere più forte le labbra, fino a sentire il sapore del sangue sul palato. Mickey si concentra sulla fossetta tra le sopracciglia di Ian. "Ci siamo conosciuti al Kash and Grab. Il proprietario, quel mussulmano di merda di Kash mi fa sparato nella gamba e sono finito dentro. Per scontare i servizi sociali mi hanno messo a lavorare in quel posto di merda"
"Perché ti hanno sparato?" Gli occhi di Ian diventano incredibilmente grandi, di un verde incredibile.
"Avevo rubato uno Snikers"
Le labbra del rosso tremano un attimo, poi scoppia a ridere, seppellendola nel cuscino. Mickey ridacchia di riflesso, stropicciandosi gli occhi con le mani. Gli sembra di trovarsi catapultato in quella parola francese che non ricorda mai, alle serate estive passate nei campi da baseball, al sole che scottava la pelle, le mani che afferravano tutto, il sudore che scivolava sulle loro schiene. Dimmi tutto di noi. Amici? Troppo riduttivo. Amanti? Alcune volte più di altre. Un'amore che si allontana, ma non sparisce del tutto.
"Vuoi leggere quello che ho scritto di Mandy?" dice Ian, con il quadernetto già proteso verso il corpo di Mickey. Lui lo afferra un po' malfermo, tenendo in segno con il dito marchiato con la F. Riconosce la scrittura confusionaria, la a più marcata delle altre lettere, le macchie d'inchiostro lasciate ai margini del foglio, righe su righe che coprono frasi, e poi ci sono i punti interrogativi, ovunque. Mickey legge senza molto interesse tutti gli episodi elencati, tranne una frase che gli salta all'occhio. Sembra triste quando crede che nessuno guardi. . Gira il foglio, una serie di pagine vuote, strappate dalla memoria di Ian e eliminate per sempre. Lui, eliminato per sempre.
"Hai scritto che mia sorella ha delle belle tette" lo riprende Mickey, sollevando un sopracciglio.
"Già" risponde lui con un sorriso imbarazzato. "Mi dispiace per quello"
"Gesù, è tutto così strano" borbotta, grattandosi il mento. "E' che tu e il proprietario del Kash and Grab, voi due.. avevate una.. uhm.."
"Oh, si, aspetta!" si illumina, picchiettandosi la tempia. "Linda! Mi ha inviato un cesto di guarisci presto. Vuoi dire che avevamo una relazione? Segreta? Allora non sono così noioso come credevo"
Le dita iniziano a tormentare i bordi del quaderno, formando tante piccole orecchie al foglio. Quindi nessuno aveva detto ad Ian cosa fosse realmente, che fosse un.. quello. Lui avrebbe pagato oro per un simile regalo, si sarebbe fatto spaccare la testa mille volte, fatto prendere a pugni in faccia dal padre ogni giorno, e avrebbe sorriso e detto pure grazie. Mickey accarezza un punto interrogativo cerchiato pesantemente, evitando accuratamente lo sguardo inquisitorio di Ian.
"Ogni giorno mi sveglio paralizzato dalla paura. Non capisco più cosa è reale e cosa no. Certe volte mi ripeto che sentire il dolore sia l'unica cosa che mi fa sentire davvero vivo" Mickey riesce a vederlo nel suo letto, lo stesso dove è seduto a gambe incrociate ora, stringendo il lenzuolo già stropicciato dagli incubi notturni, con gli occhi che vagano alla ricerca di qualcosa di cui non conosce nemmeno l'esistenza. E i capelli rossi si trasformano in neri, le lentiggini diventano pelle scolorita, e il lenzuolo bianco è marrone, con un urgente bisogno di essere cambiato. E nell'angolo, la sciarpa insanguinata del suo Gallagher. La sente bruciare sotto la sua giacca.
"Ma quando sono stato colpito avevo paura ed ero solo, in preda al dolore" Ian si adagia sul materasso, stringe le ginocchia al petto e chiude gli occhi. "Ho ancora paura"
Il dolore sordo che riecheggia dentro il petto di Mickey lo a sentire più vicino alla morte che mai.

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