Noi e voi, chi sono i veri pazzi?

di EscapeFromHell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** era diretto a me? ***
Capitolo 2: *** Buon risveglio! ***
Capitolo 3: *** Forte dei Marmi, nuova casa. ***



Capitolo 1
*** era diretto a me? ***


Il sangue lo infastidiva più dello stesso proiettile piantato nella parte alta della clavicola destra,aveva nella mente le sequenze dello sparo: la Calibro 22 del suo professore che si puntava verso di lui,non era un errore,nessuno sbaglio, quel colpo era proprio diretto a lui. Ed ora eccolo lì:uno sfigato quattordicenne con un proiettile incassato nella spalla e una camicia piena zeppa di sangue. Si accasciò a un muro, le forze lo cominciarono ad abbandonare, lesse di fronte a lui in alto l'intestazione della strada "Vico dei Maiorani", non sapeva dove si trovava di preciso, sapeva solo di non essere lontano dal suo aggressore e questo gli incuteva più terrore di quanto già ne avesse. Controllò la sua ultima speranza, il Galaxy Next nella sua tasca era frantumato in pezzi, forse durante la caduta. Sapeva che sarebbe morto per l'emorragia, ma provò lo stesso ad alzarsi, niente da fare: le sue gambe non reggevano il suo peso, troppo sangue perso. Si distese allora e chiuse gli occhi ripensò a tutto quell'assurdo susseguirsi di avvenimenti, che aveva fatto di male per finire lì? Emise l'ultimo sospiro in attesa di divenire l'ennesima vittima innocente di errori, ma era davvero un errore?
Poi il buio totale
Si ritrovò su una dura branda, anonime lenzuola bianche, pulite, candide, disteso e il suo primo pensiero fu: "Cazzo,me lo aspettavo diverso l'inferno!". Si guardò intorno, oltre alla branda in quella piccola stanza c'erano solo dellle scarne mura rassomiglianti a quelle di antiche case abbandonate e non curate da troppo tempo e una porta di legno massiccio con sopra strane incisioni, forse era arabo, assomigliava tanto agli antichi geroglifici che aveva già visto a scuola forse... La maniglia si spostò e la porta si aprì. Da lì dentro uscì un uomo grosso, sulla quarantina, brizzolato, con due occhi verdi profondissimi, ma la cosa che saltava più all'occhio era la sua cicatrice,un enorme segno che partiva da dietro l'orecchio ed arrivava sotto l'occhio. Portava stampato il sorriso di un naufrago che scopre d'essere vivo ma su un'isola deserta.
"Ben svegliato compare" aveva la voce roca e graffiata di un accanito fumatore di Pall Mall, aveva lo sguardo fisso nei suoi occhi.
"Lei è, ehm.. il si..gnor Lucifero?" disse il ragazzino accorgendosi subito della domanda stupida e impertinente che gli aveva posto; certo che era lui, e chi se no?.
Quell'espressione che prima era un anonimo sorriso quasi strozzato ora era diventata una grossa e rumorosa risata. "No, bello mio. Il mio nome è Wolf,Claude Wolf; e tu non sei all'inferno, anche se questa baracca ci assomiglia molto. Sei a Forte Marmi, e sei con noi!".
"Ehm.. Piacere, il mio nome è Marco. Mi scusi la maleducazione, ma cosa ci faccio io qui? E come è possibile che sono ancora vivo?".
"Ti dirò tutto più tardi; ora riposa che quel proiettile ti è entrato molto infondo".
Il proiettile, la ferita, fino ad allora a Marco tutto quello era passato di mente. Possibile che non gli facesse male? Si tastò sotto la camicia ancora sporca, e sentì solo le bende elastiche. "Lei mi ha salvato?".
"Dammi del tu, sembro vecchio sì, ma più o meno siamo coetanei. Comunque no, non sono stato io,è stato il dottor Wilson. Ora dormi, a tutto questo penseremo più tardi,tanto ce n'è di tempo...". Il signor Wolf, o meglio, Claude aveva ragione; Marco aveva ancora bisogno di riposare. Si distese e chiuse gli occhi. In parte era sollevato: era vivo e vegeto; ma cosa lo aspettava? Pensava solo a quello e immaginava cosa sarebbe potuto succedere il giorno dopo. Sentì Claude chiudere la porta e da lì il sonno prese il sopravvento sulla sua fremitante curiosità

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Capitolo 2
*** Buon risveglio! ***


Quella notte il buio sembrava parlargli, non sapeva se era la curiosità di sapere cosa gli sarebbe successo il giorno dopo o la paura di morire, morire quando era riuscito a scampare alla vita. In più, era sicuro di essere scampato alla vita? E se fosse tutta l'ennesima illusione?

Provò più volte ad addormentarsi ma più ci provava più gli occhi gli si sbarravano al cielo. In confronto alla visione di quella che doveva essere la mattina aveva notato una finestrella nell'angolo alto di una delle quattro mura e una lampadina appesa da uno scarno filo. Cercò insistentemente l'interruttore, brancolando nel buio senza averlo trovato. Restò allora a fisssare la finestra nella ricerca di un segno dall'alto. Vedeva le stelle,un piccolo segno di luce nel cielo. Poi un lieve rumore,come un sussurrare di vapore, pian piano quel rumore si trasformò in sonno. Cloroformio farfugliò Marco per poi cadere insonne assalito dall'effetto del sonnifero.

Fu risvegliato dal raggio dallo spiraglio di luce che gli bruciava negli occhi semiaperti. L'odore di ciambella calda gli entrava nel naso e lo risvegliò completamente. Guardò affianco al letto, un vassoio di uno strano metallo, forse argento, con sopra una ciambella rassomigliante alle classiche Donuts americane con un cappuccino vicino. Solo in quel momento comprese da quanto tempo era a digiuno,  era dalla mattina prima, quando il suo professore di Scienze lo aveva convinto ad andare a portare il suo progetto all'Orientale a Napoli. Si affrettò su quel dolce con la rapidità con cui un leone azzanna una preda già ferita. Bevve quel cappuccino tutto d'un sorso. Solo in quel momento s'accorse che c'era qualcun'altro in quella stanza, alzò gli occhi dal vassoio.

 Una faccia curiosa e lentiginosa lo scrutava sorridente 'Ciao' disse quella ragazzina dai capelli rossi che sembrava essere appena uscita da una centrifuga in lavatrice. Marco la squadrò; una ragazzina dai capelli ricci, di color rosso scuro, bassina; non era vestita da classica adolescente, gli sembrava più una ragazzina di campagna presa direttamente da Heide: salopette di jeans con sotto una calda camicia a quadri, due scocche rosse sul viso e un sorriso curioso in faccia.

'Ciao, il mio nome è Marco' sentiva di potersi fidare di quella ragazzina, e forse era la sua prima volta, ogni parola veniva detta con la timidezza di un bambino davanti alla sua prima fidanzata. 'Tu, tu come ti chiami?'

'Il mio nome è Eva' disse la ragazza, sforando un sorriso a trentadue denti stringendogli con forza la mano.

Dopo questo la ragazza uscì lasciando la porta aperta. Marco ora non sapeva che fare, quella porta aperta era un 'Seguimi stupido' o un 'Stai lì che sta per succedere qualcosa di importante'. Decise allora di fare ciò che sapeva fare meglio, per esperienza: aspettò. Sentì dei passi in lontananza, passi pesanti, passi di un uomo.

Quell'uomo varcò la sua porta, era un uomo grosso, capelli biondi e lunghi tirati all'indietro, occhi marroni chiaro, indossava un camice sporco di verde. Marco si bloccò di colpo, aveva già visto quell'uomo da qualche parte, ma non ricordava ancora dove

'Piacere io sono il dottor Wilson' una voce limpida e acuta gli sussurrava queste parole da quel grosso corpo

Quella foto gli scatenò miliardi di minuscoli frammenti che si combinavano come un puzzle. Ma certo! Come aveva fatto a non ricordare prima? Lui era QUELL'UOMO, quello che lo aveva salvato nell' "incidente". Eppure Marco fino a quel momento aveva dato credito ai suoi che gli dicevano 'Tranquillo, era tutto un sogno'. Del resto non sembrava normale che un ragazzino scappato di casa, investito da una macchina si ritrovasse di nuovo vivo e vegeto a casa grazie ad un fantomatico uomo. Ora però tutto sembrò essere così chiaro e limpido, quello uomo era lui, non c'erano dubbi.

'Lei... lei è l'uomo che mi ha salvato la vita'

'Ehm.. sì, ma non preoccuparti il proiettile non c'è più, è tutto risolto!'

'No, io non parlavo di quello... Nel senso... Grazie per la faccenda del proiettile. Ma io parlo della macchina, quella sera, grazie, grazie davvero'

'Mi dispiace deluderti ragazzo ma non so di cosa tu stia parlando, sei ancora un pò scosso per tutto il sangue perso. Fammi dare un'occhiata alla tua spalla che mi sembra ancora abbastanza malandata.'

BAM! Le sue certezze franarano in quel preciso istante, la sua vita tornò su quel filo, in bilico, che sarebbe bastato un soffio di vento per farla crollare di nuovo nel vuoto più assoluto. Mentre il dottore gli cambiava il bendaggio lui restò su quella branda perso con quei pensieri nel vuoto più assoluto.

E ora? Cosa lo aspettava? Era un ragazzo senza certezze in una costruzione di perfetti sconusciuti che, a dirla tutta, non gli sembravano affatto normali

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Capitolo 3
*** Forte dei Marmi, nuova casa. ***


Era lì, con quell'uomo che gli sembrava sempre di più l'uomo di quella notte che lo fissava in attesa che dicesse qualcosa. 'Ehm.. mi può dire dove sono?' la domanda fu più per spezzare il silenzio che per avere una vera e propria risposta. 'Questo è Forte dei Marmi' rispose il dottore. Detto questo l'uomo aprì la porta. 'Seguimi, che Claude vuole parlarti'

La porta della sua stanza si apriva in un largo corridoio in stile barocco, prima doveva essere un luogo molto importante, aveva uno stile regale. In quel largo corridoio c'erano due grosse porte, quella sulla destra era una porta moderna, mentre l'altra sembrava più antica, con la particolarità di due profondi segni che sembravano graffi nel mogano. Il dottor Wilson aprì la porta sulla destra, la stanza a cui accedeva era una grossa sala, forse un antico salone per feste. Quell'antico salone ora sembrava più essere una grossa sala operativa; dentro c'erano il signor Wolf, Eva e altri due figuri che Marco non conosceva affatto. Erano tutti e due seduti su un grosso divano tutto rotto. Uno dei due grande e grosso fissava il suo grasso indice della mano destra da varie angolazioni e faceva delle smorfie, l'altro aveva la classica faccia da ingegnere ed aveva l'intento di prendere un non so cosa nell'aria con un impegno fuori dal comune.

'Eva, Wilson, Stecco, Soap potreste uscire un secondo? Dovrei scambiare due parole con Marco!'

'Quindi Pimpo può rimanere?' disse l'uomo mostrando a Claude il suo dito.

'No, Soap mi dispiace dovrà uscire anche lui'

Marco era sconcertato dalla mossa di quel Soap. I quattro se ne andarono via in silenzio. Quando la porta fu chiusa il signor Wolf prese parola.

'Ciao Marco, ti ho fatto portare qui per darti un po un'idea di chi siamo e cosa ci fai tu qui. Noi siamo le BER Brigate Emarginati Rivoluzionari. Ognuno di noi è un rifiuto della società con una mente geniale. Soap ad esempio parla con il suo dito, ma è un genio in qualunque cosa riguardi battaglie e armi. Quando ho fondato le BER ho deciso di voler cambiare il mio stato e ho deciso di farlo con coloro che mi erano più simili: gli emarginati.'

'E io? Io cosa c'entro? Sono sì un emarginato, ma non ho per niente questa mente geniale, sono un mediocre ragazzo.'

'Tu hai delle capacità che nemmeno immagini. Perchè le tue capacità sono talmente straordinarie che non te ne accorgi nemmeno. Qui conosciamo tutto di te, credi scegliessimo a caso? Ti abbiamo visto sai quando te la cavavi con i bulli. Tu hai una capacità rarissima hai quella che si suol dire la PAROLA e io ti insegnerò a sfruttarla al meglio.'

'Credo proprio abbia sbagliato persona'

'Non sbaglio mai nell'arruolare. Per ora ti basta sapere questo: in questo Forte siamo cinque con te sei, qualunque strana cosa vedrai avvertimi. Ora vai di là che il pranzo dovrebbe essere in tavola, domani cominceremo l'addestramento'

I due uscirono dalla stanza. Marco si sentì sollevato ma allo stesso tempo sconcertato per la situazione in cui si era cacciato. E per la seconda volta in pochi giorni si porse la stessa domanda: era davvero lui? Era sicuro che non fosse tutto un errore?. Passò la giornata per la maggiore ad esplorare con Eva il Forte. Scoprì che lui aveva dormito al terzo piano dove oltre alla sua stanza c'erano la sala operativa, quella in cui aveva parlato con Claude, e la stanza del Dottor Wilson, quella col mogano graffiato. Al piano di sotto c'erano la cucina e la camerata, dove dormivano tutti tranne il dottor Wilson. Eva non gli volle dire perchè il dottor Wilson non dormiva con loro e Marco non gli diede tanto peso. Quella notte dormì nella camerata con tutti gli altri, dormì su una branda più morbida di quella della notte precedente. Si addormentò prima e sognò, sognò i suoi genitori felici senza di lui, con sua sorella, la prima, che buttava tutte le sue cose. Non ebbe nè mancanza di casa nè rimorsi di non esserci. Quella ormai era destinata ad essere la sua nuova vita

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