Lost in the Darkness

di _Arya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Everything has Changed ***
Capitolo 2: *** Pieces of Memory ***
Capitolo 3: *** So Cold ***
Capitolo 4: *** Birth and Death ***
Capitolo 5: *** Apologize ***



Capitolo 1
*** Everything has Changed ***








Everything has changed

 
 
Capitolo 1
 
 


 
“I can’t feel my senses
I just feel the cold

Frozen...

But what can I do?”


(Frozen – Within Temptation )



 
 
 
   Era un nuovo mondo quello che i miei occhi, avidi esploratori, osservavano incantati e affascinati.
Dal più piccolo granello di sabbia alle immense chiome rigogliose degli alberi, tutto di quel luogo, ad un tratto, si era tramutato in un incallito seduttore. Sembrava fosse stato investito del preciso compito di farmi notare anche solo la più sottile delle bellezze che gli angoli più nascosti potevano celare. Ma se il mio sguardo era ammaliato da ciò che mi circondava, io, nel profondo di me stessa, sentivo la perenne inquietudine e paura bloccare quel senso di eccitazione che avrei dovuto provare o sentire in quell’istante. La frenesia che accompagna di solito ogni novità, era nascosta dal turbamento che ad ogni passo, ad ogni mio spostamento, sentivo crescere con costanza.
Dovevo vederla, anche se faceva male, dovevo continuare a tenere stretto a me quel poco di coraggio che sentivo traballare paurosamente tra panico e senso di perdita.
Erano passati quasi due giorni da quella sera, forse quattro, non più di sei.
La confusione, una delle tante sensazioni che regnavano sovrane e contrastanti nella mia mente, rendeva ancora più difficile decifrare quelle continue immagini che, come un lampo, mi invadevano la testa. Da quando mi ero risvegliata, dopo l’orrore e il rifiuto per quella assurda verità che Stefan e Damon mi avevano raccontato, questa non faceva altro che pulsarmi. Era continuamente accecata da quei continui lampi di luce che portavano con loro ricordi e parole, promesse e progetti per il futuro che, in un frangente componente qualche minuto, avevo visto ridotti in polvere. Senza un reale perché.
Ovunque volgessi il mio sguardo, piccoli barlumi di luce trepidavano nell’oscurità. L’aria era pervasa dall’odore di cera consumata e in essa aleggiava una fragranza nuova, mai sentita prima. Era dolce, quasi ti volesse cullare e farti sentire al sicuro in un posto freddo e a te ostile. Era come se in essa si fossero concentrati le essenze di ogni genere di fiore provenienti da ogni parte del mondo. Era fresca, come se l’inventore di quella fragranza fosse riuscito a rubare il profumo alla primavera.
Se non fosse stato per il senso della vista, se questa mi fosse tuttora negata, probabilmente definirei quel luogo come uno scenario appartenente a posti fatati ed incantati, ma non ero stata catapultata in uno di questi da qualche trucchetto magico. Ciò che coglievo ad ogni battito di ciglia, aiutava i miei pensieri a non cedere a questo pensiero di illusione.
I miei occhi color nocciola si spostarono distrattamente su una figura con la testa china e le braccia a circondarla: un angelo di marmo bianco, con le ali ripiegate sulla schiena, era inginocchiato su un altare in roccia bianca. Su un lato di questo, di fronte a me, era incastonata una fotografia di una donna di giovane età. Sotto questa vi erano incisi in oro due date e un nome. La data di nascita e quella di morte separata da un semplice trattino.
Era stato quel piccolo tratto a rattristarmi ancora di più, gettando su quell’agitazione un nuovo sentimento come lo era l’inquietudine.
Il volto sorridente, gli occhi chiari e luminosi, i capelli lunghi e neri della fotografia, la vita vissuta da quella donna era stata descritta da una semplice riga che separava una data, dove persone avevano sorriso e gioito per una nascita, ed un’altra, dove altre avevano pianto per una morte. Le gioie e i dolori di un’anima, di una vita intera, minimizzata da una stupida linea di uno stupidissimo color oro, quasi a voler dire: “Non ha vissuto così intensamente o avuto chissà quali emozioni per ricordarsene.”
In quel momento, a quel pensiero, dentro di me sentì una rabbia sconosciuta invadermi, scavalcando e sostituendo così quello strano senso di paura.
Strinsi i pugni e feci un respiro profondo prima di riaprire gli occhi e incontrare lo sguardo raggelante di un altro angelo. Freddo e vitreo, aveva le ali spiegate e si presentava con tutta la magnificenza di un angelo vendicatore. Era posto su un tavolo di pietra e in mano teneva una corona di fiori. Il volto, visibile solo per metà, era nascosto da un lembo di un mantello che finiva ripiegato sulla superficie rocciosa. Ai rispettivi lati, due cipressi gettavano sull’asfalto le loro ombre scure e alte.  
Retrocedendo di un passo, sentivo la strada sotto le ballerine tremare, ma da sciocca quale ero, con ogni probabilità ero io. Percepivo sottili fili di erba solleticarmi le caviglie, mentre procedevo nell’oscurità. Guardandomi intorno con circospezione, mi sembrava che ogni mio passo fosse osservato e controllato da quei custodi inanimati. Ai miei occhi balzavano nomi e frasi, dediche e date, volti e monumenti. Non un rumore ostacolava la quiete in quelle vie di ciottoli e pietra.
Una schiera di cappelle cupe di diversa altezza, illuminate dal riflesso bianco e pallido della luna alta nel cielo, a volte celata da alcune nuvole di passaggio, segnavano il confine del cimitero di Fell’s Church.
Ignorai la stretta allo stomaco, nata inaspettatamente e cogliendomi di sorpresa, nell’attimo in cui una via discendeva alla mia sinistra e si perdeva nell’oscurità. Deglutì quando, gettando un’occhiata in quella direzione, vidi lapidi e croci levarsi da una coltre sottile di nebbia. Suscitando il mio stupore, riuscivo a cogliere su alcune statue dall’aria solenne e passata, scure, piccole macchie comparse con il tempo ed esposte alle sue intemperie.
Quando intercettai con gli occhi una tomba in particolare, con ai lati i ricami floreali scolpiti in pietra, antiche immagini di due ragazze bionde e con gli occhi azzurri fecero capolino nella mia mente. Era lì che una Katherine, assetata di vendetta e ira, aveva torturato Elena, Stefan e Damon. Era lì che Elena aveva affrontato Katherine. Era lì che entrambe erano morte, esposte alla luce del sole. Era lì che Elena, prima di morire, aveva fatto promettere a Stefan, ma soprattutto a Damon, di prendersi cura l’uno dell’altro.
L’ansia e l’agitazione che mi colse, l’esigenza di allontanarmi da quella parte del cimitero, spinse le mie gambe a proseguire.
Se qualcuno avesse raccontato a voce alta quello che stavo facendo, sarebbe scoppiato a ridere, domandandosi, nel frattempo, se si trattasse della stessa Bonnie.
Ero sola in un cimitero. Di notte.
Scesi svelta lungo una vecchia scalinata che conduceva ad un piazzale, adornato ai lati con cespugli verdi e profumati, dal quale si disperdevano viali alberati in una moltitudine di direzioni. Per ciascun lato di questi, ai intervalli regolari e distanziati in ugual misura, vi erano statue e sculture funebri, illuminati dalla luce tenue tremolante delle fiammelle.
Al centro del piazzale sterrato, circondato da pesanti catene arrugginite, c’era una copia quasi perfetta della “Pietà Vaticana” di Michelangelo. Girandole intorno e avvicinandomi con circospezione, feci scivolare il mio sguardo sull’immagine della Vergine, seduta su una roccia con in braccio il Cristo. Concentrandomi su quel volto, su quella madre che aveva perso il suo unico figlio e, dove gli occhi sembravano essere velati dal vero dolore, pensai quasi che non volesse credere a quello che aveva visto e che vedeva davanti a sé. Era come se con gli occhi, persi e tristi, vagasse nel passato e nei ricordi.
Stringendomi le mani intorno alla vita, come a volermi riparare dal freddo che non sentivo, mi allontanai, inoltrandomi in uno dei viali.
Sul momento, colori e profumi mi disorientarono, travolgendomi con intensità e aggredendo il mio olfatto. Facendo scivolare i miei occhi sugli ormai monumenti sepolcrali ricorrenti e ripetuti, alle spalle di una croce di marmo scuro, dove ai piedi di questa una donna con un lungo abito l’abbracciava e piangeva, scorsi i lineamenti di una chiesa. Le porte erano aperte. I bagliori delle candele e dei ceri, che la illuminavano quel poco che bastava per darle un aspetto tetro e lugubre, mi lasciarono scorgere una fila di panche al suo interno che si perdeva nell’oscurità.
Il pensiero che, nonostante quei tenui lampeggi nel buio della notte, niente rendeva rassicurante l’edificio sacro, mi fece aumentare il passo.
All’istante, quando capì che ero arrivata, anche il più piccolo ed inesistente rumore si fermò, ritraendosi su se stesso per non disturbare quell’incontro.
Deglutendo e compiendo un passo incerto, la vidi.
Vidi la ragione di quella mia incursione in quel luogo di morte e al contempo di resurrezione. Sentì i brividi comparire e in una scia, estendersi lungo tutto il mio corpo. Le mani poste all’altezza del cuore e intrecciate tra loro, così forte da credere che volessero darsi forza e impedire alla gemella di tremare. Il respiro regolare cessò insieme al flusso di pensieri.
Con passi sempre più titubanti, mi avvicinai, mentre il anche il silenzio divenne assoluto, acquietando i suoi sussurri.
Avvertì una lacrima cadere lungo la mia guancia per poi bagnare le mie mani fredde in una goccia salata.
Una lapide solitaria e bianca si innalzava dalla terra da poco spostata.
Quando mi accorsi che una mano tremante si stava avvicinando alla lastra, come spinta da una forza invisibile, come se seguisse un richiamo naturale, la ritirai spaventata, troppo attaccata a quella minima speranza che tutto questo fosse solo un semplice incubo dal quale mi sarei risvegliata sudata e impaurita.
Le continue parole che la mia mente continuava a ripetersi, senza che prestassi loro reale attenzione, presero un senso. Quella piccola luce di speranza si dissolse, lasciandomi sola, circondata da un buio fitto e freddo, quando ascoltai la mia voce ripetere quel nome e quelle date in una mantra di continui sussurri.
 
Bonnie Isabelle McCullough
18 Dicembre 1974   –  05 Settembre 1994

In un flebile mormorio le mie labbra assaporarono quelle lettere, quelle parole amare, cariche di un triste fardello.
La ragazza nella foto era sorridente, perfino bella, ma totalmente lontana dalla Bonnie che in quel momento la guardava.
Ricordo un pensiero che mi aveva attraversato veloce la mente e in ugual modo era svanito: non potevo essere io. Per me, quella ragazza, era una perfetta sconosciuta, nonostante mi somigliasse tremendamente.
Era radiosa. Il suo sorriso estendeva la sua luce agli occhi color nocciola, facendoli apparire luminosi. Una cascata di folti boccoli di un colore rosso fragola e ben definiti le ricadevano sulle spalle, accarezzandole.
Provai un’ondata di rabbia osservando quella immagine, in corsa contro quel senso di nostalgia che cercava di prevalere, imponendomi un vuoto costante all’altezza dello stomaco.
Perché la Bonnie di quella foto era felice, così bambina ed ingenua con giusto qualche anno di meno da quella che ero io in quel preciso momento? Perché faticavo a credere che quella ragazza fossi io?
E tra le lacrime alle porte degli occhi e il tumulto di emozioni che mi stava investendo,  scorsi, abbandonata sul dosso di terra tra i fiori colorati, un mazzo di rose rosse legate tra loro con un semplice nastro nero, dove spiccava una scritta dorata.
 
“Mamma e Papà”
 

 
Crollai.
Non ce la facevo. Non ce la potevo fare.
In quel momento mille flash passarono a raffica nella mia mente.
Tutti quei ricordi che faticavo nei giorni successivi alla trasformazione in una vampira a riportare alla mente, adesso erano lì. Bastava che prestassi ad uno di loro, anche solo per una frazione di secondo, la mia attenzione e risate, litigate, sorrisi della mia famiglia si visualizzavano uno dietro l’altro. Tutti pronti a parlarmi di loro e a farmi rivivere quei momenti che avevo dimenticato o, con molta più facilità, non mi ero mai soffermata a riviverli.
Non gli avrei più rivisti.
Mamma e papà non avrebbero visto crescere il loro folletto dai capelli rossi, non l’avrebbero guidata saggiamente in quel percorso che era la vita. Non l’avrebbero protetta e ammonita.
Io, io potevo limitarmi solo ad osservarli da lontano.
Questo maledetto e stupido, dannato e ingiusto privilegio che avevo solo io, mi arrecava maggiore dolore, lasciando che quel buco allo stomaco estendesse la sua superficie con la minaccia reale di risucchiare anche me nelle sue cupe oscurità. Perenne, il mio dolore aveva scavato, marchiato, segnato una ferita indelebile, aprendomi in contemporanea le porte della vita eterna.
Da sola, con un lieve vento ad accarezzarmi, avrei dato qualsiasi cosa per sentire la ninnananna e il profumo dolce della mamma, un abbraccio e la forza del mio papà, le urlate e le minacce isteriche di Mary dalla sua stanza.
Sapevo cosa mia madre in quelle ore, in quei giorni si ripeteva a se stessa: un giorno mi avrebbe riabbracciata, perché mi avrebbe raggiunto.
No! Non era così!
Stupida, stupida, stupida.
Non mi avrebbe più rivista. Nessuno di loro.
Io ero bloccata su questo sputo di Terra, in questa vita che richiedeva altre vite per sopravvivere. Per sempre.
Non mi avrebbe raggiunto e colto l’occasione per sgridarmi per essere volata via troppo presto.
“Sarai giovane e bella nella tua tomba.”
La nonna aveva avuto ragione, l’aveva sempre avuta.
Quando sentì per la prima volta quella frase, che allora non sapevo essere una profezia veritiera, mi parse una cosa romantica. Quando venni a conoscenza dei miei poteri e di quel mondo di oscurità e creature bramose di sangue, una vocina nei meandri della mia mente, non faceva altro che sussurrarmi quelle parole con maggiore cadenza e preoccupazione.
Ad ogni lacrima che fuggiva ai miei occhi brucianti, conservavo la quieta speranza che si prendesse un pezzetto di quel dolore e lo portasse via con se, lasciandolo scivolare lontano da me. Compagne e testimoni silenziose, esse, con il loro scorrere incessante, incarnavano quel cuore fermo e morto, quei suoi battiti veloci e lenti che si erano spenti per sempre. Come la vita richiedeva al cuore di essere il suo motore principale, le lacrime erano quello di una realtà eterna. Fermale non era possibile.
Avvolta dall’oscurità, da colei alla quale ormai appartenevo, mi sentivo sola, impotente e tremendamente in colpa. Sentivo come ogni più piccolo pezzo del mio cuore, frantumato e fermo, sentisse la nostalgia e il dolore di quella vita umana, di quelle persone che amavo e delle piccole cose che ero stata costretta ad abbandonare. ?
Non volevo seconde possibilità.
La Bonnie che tutti conoscevano, quella piccola ragazzina che si era vista stravolgere la vita, che aveva bisogno sempre di sentirsi protetta e sostenuta, incoraggiata e ascoltata, che aveva paura del buio e urlava perfino per il suono di una porta chiusa dalla corrente, non ce la poteva fare.
Fino ad allora avevo affrontato la vita affidandomi agli altri.
Mi sembrava una tale assurdità pensare di riuscire a sopravvivere in quel modo, in quel nuovo mondo plasmato da oscurità e solitudine.
L’immortalità si ampliava davanti a me.
C’erano città, luoghi e cose mai viste che adesso avevo la libertà di vedere, esplorare e loro non aspettavano altro che mostrarmi le loro bellezze nascoste con l’obiettivo di far innamorare il mio cuore. Questo, questo non mi allettava, non più. Non se non mi era concesso avere accanto chi amavo.
Che senso aveva essere immortali, se ti era imposto di attraversare secoli, millenni in solitudine?
In quella notte, dove mi sentivo così sola, così persa nell’oscurità, c’era un’unica cosa da fare.
I miei occhi catturarono un ramo abbandonato ai piedi di una panchina di marmo, scalfita in alcuni punti. Lo raccolsi e lo accarezzai con le mani. Una scheggia si infilò nel mio dito, graffiandolo. All’istante si formò una piccola linea rossa, quasi impercettibile. Da questa si affacciò una goccia di un liquido rosso e conosciuto.
Sangue.
Sete.
Fame.
Ecco cosa mi avrebbe tenuto compagnia: la voglia di sangue, la continua sete, quella lacerante, così famelica da farti credere di essere sempre sul baratro della morte. Questa, però, per ampliare il tuo dolore e per farsi adulare ancor di più, non arrivava mai. Ai vampiri non era concesso. Loro avevano l’immortalità dalla loro parte. Avevano sconfitto la morte con del sangue e per beffa un Dio si era vendicato condannandoli a nutrirsi di questo. Per l’eternità e l’eternità non prevedeva nessuna misura di tempo.
Quando tolsi la piccola scheggia con un gesto deciso e veloce, vidi come questa si rimarginò. Non c’era più traccia del sangue, del taglio, come se non ci fosse mai stata alcuna ferita.
I miei sensi di vampiro avvertirono un nuovo cambiamento nell’aria.
Stava per succedere qualcosa. Era strano, ma lo sentivo. Era come se tutta la natura ad un tratto fosse sbocciata e fosse entrata a far parte integrante della vita quotidiana. Avvertivo sulla pelle tutti gli spostamenti d’aria e sentivo i profumi mutare e scambiarsi con essa. I colori erano più calcati, come se un pittore si fosse stancato solo delle sfumature e avesse preso tutte le sue tempere e con un grande pennello avesse intensificato le ombre e gli effetti di un dipinto.
Lo spostamento d’aria e il rumore prodotto al suo passaggio tra le foglie degli alberi, fecero risaltare quell’imminente mutamento.
I miei nuovi istinti cercarono nell’aria la risposta.
La trovai.
Si levava l’alba.
 
 
 
 
 
L’angolo di Lilydh

 
Buonasera Girls!
Chi si ricorda di me?
Chimasi nostalgia o almeno qualche strana forma di questa, è da parecchio tempo che non pubblico in questa sezione, che non scrivo di Damon e Bonnie, quindi rieccomi qui a torturarvi con i miei scritti.
Come annunciato su Twitter e sulla mia pagina Facebook, ecco il primo capitolo di “Lost in the Darkness”.
Dato che la mia primissima FanFiction è stata “Ricordi di Sangue”, il primo incontro tra Damon e Bonnie visto da me, ho deciso di tornare, raccontandovi quel momento dove i nostri protagonisti dovranno affrontare ciò che il vampiro dagli occhi neri è stato costretto a fare in questa mia prima storia.
Nello specifico, in Everything has changed,  troviamo Bonnie in stato confusionale e alla ricerca di una conferma di ciò che la mente le suggerisce.
Ci addentriamo subito nella storia, leggendo i pensieri di Bonnie e vedendo attraverso i suoi occhi il “nuovo” mondo a cui appartiene, provando le sue paure e le sue fragilità.
Capitolo molto descrittivo, triste e malinconico, Bonnie vede e affronta il mondo che la circonda gli occhi di un vampiro.
Naturalmente, a tempo debito, scopriremo come e quando Bonnie si è ritrovata ad essere una creatura della notte.
Tuttavia, i problemi saranno ben altri, perché si sa che, una volta che un umano viene trasformato in un vampiro e nella sua vita da mortale è stato soggiogato da una creatura immortale, piano piano, pezzo dopo pezzo tutti i momenti sottratti e indotti a dimenticare, ritorneranno alla mente (almeno per quanto riguarda il mondo de “Il diario del vampiro” e “The Vampire Diaries”).
 
Gli avvenimenti che seguiranno a questo capitolo, ruoteranno tutti intorno a questo tema centrale che è il ricordare di Bonnie quel primo e vero incontro con Damon, senza dimenticare la consapevolezza di quest’ultimo.
Faranno da sfondo altri temi e piccoli avvenimenti. In questi frangenti troveremo Bonnie davanti a situazioni senza precedenti, dove considerazioni e paure, verità e ciò che essere vampiro comporta, la influenzeranno in gesti e azioni.
 
È chiaro che Damon in questa storia – mi sento di dire più delle altre mie precedenti – sia coinvolto in prima persona. Damon sarà per Bonnie un grande punto di domanda, non solo per ciò che la sua mente le propone, ma anche per come deve affrontare questa verità con lui.
Una parte di me sarebbe davvero curiosa di analizzare il suo personaggio per questa storia, ma Bonnie non è da meno.
Per certi versi è una cosa nuova anche per me. Non ho mai provato ad esplorare le emozioni di un neo-vampiro, per quanto io scriva dei personaggi di questa saga e dello show della CW. Cercherò di descrivere ogni passaggio e cambiamento di umore, cercherò di esprimere al meglio i pensieri e le battaglie interiori di Bonnie, nella speranza di non creare qualcosa di brutto o noioso.
 
Non vedremo Bonnie solo alle prese con Damon e ciò che li riguarda, ma anche con altri personaggi a lei vicini, come Matt e Stefan.
 
 
Nella mia pagina profilo troverete il mio contatto Twitter e il collegamento alla mia pagina e profilo facebook, da poco aperti.
 
Sono contenta di essere tornata a “casa”, nella sezione dove ho mosso i miei primi passi di autrice su EFP.
Come sempre, troverete tutte le altre mie storie, comprese quelle su Damon e Bonnie fino adesso pubblicate, nella mia pagina autrice, oltre ai diversi contatti Twitter e Facebook.
Spero che questo primo capitolo di ritorno vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito almeno un po’. ^^
 
 
Al prossimo capitolo!
Un bacio,
Lilydh
 
 
 
P.S.   Ribadisco che “Lost in the Darkness” è basata su “Ricordi di Sangue”, quindi ciò che affronterà Bonnie nei seguenti capitoli e i momenti che ricorderà, saranno presi da questa e non dal primo incontro scritto dalla Smith e che potete trovare in lingua inglese sul suo sito ufficiale.

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Capitolo 2
*** Pieces of Memory ***






Pieces of Memory


Capitolo 2





“All of my memories keep your near.
In silent moments,  
imagine you being here”


( Memories – Within Temptation ) 




 


   L’alba, il sole e il suo calore. 
Altre cose che mi sarebbero mancate oltre misura in una vita da immortale, una vita che non avevo chiesto a nessuno e che mi era stata concessa. 
Gustando ciascun sapore che tesseva l’aria del mattino e cogliendo ogni più piccolo tono dei colori di quel giorno che stava per nascere, distrattamente portai entrambe le mani all’altezza degli occhi. Osservando tra le dita, notai che mancava qualcosa: un anello che mi avrebbe protetta dal sole e da suoi raggi. 
Un piccolo sorriso, forse un po’ sprovveduto, comparve agli angoli della mia bocca. Sarebbe stato più semplice di quanto credessi portare a compimento ciò che avevo deciso in silenzio. Il grosso ramo, spezzato chissà da quale albero e caduto per terra, era posato sul terreno di ciottoli e polvere. Ci avrebbero pensato i raggi del sole a compiere il dovere che gli avevo impartito poco fa. 
Non volevo questa vita, non l’avevo mai desiderata, non dopo aver visto il volto di mia madre dilaniato dal dolore e dalla stanchezza al mio funerale.
Un primo squarcio di luce si insinuò tra gli alberi, risvegliando e allo stesso tempo allungandosi su ogni cosa, dandogli un dolce buongiorno tramite quella sua calda carezza. La piccola crepatura lucente nel cielo era bianca, quasi incolore, ma allo stesso tempo riusciva a riflettere, proprio come una lastra di uno specchio, i colori del cielo in continuo mutamento. Come tutte le cose dopo il mio risveglio, trovai sconvolgente osservare la nascita di un nuovo giorno. Ogni corpo o oggetto, dal più piccolo al più grande, sembrava brillare di luce propria, malgrado su di essi si posassero quei raggi ancora troppo tiepidi per riuscire a riscaldarli con consistenza.
Se prima percepivo con la vista la lucentezza del sole, adesso riuscivo a sentire il suo effetto.
Avvertì il suo calore dapprima scottare la mia pelle e poi iniziare a bruciarla, a scavarla, a lacerarla, proprio come la mia ferita che sentivo ancorata nel profondo del mio petto. Bruciava quel taglio netto all’interno di me. Bruciava quella ferita sulla superficie cutanea della mia pelle. Avevo trovato qualcosa che manifestasse in una giusta misura ciò che dentro di me era un continuo tumulto di emozioni contrastati, ma che ciascuna di essa possedeva quell’eco di tristezza e malinconia ad accomunarle tutte. 
I raggi del sole erano come il fuoco incandescente, saette di lampi accecanti che, colpendomi, mi scuotevano da dentro con forza.
Io, in quel momento, mi sentivo come se stessi diventando l’essenza corporea e manifestata del fuoco, che aggiungeva motivi e ragioni per trepidare e scoppiettare. Sentivo come quei raggi erano in grado di attaccare la mia pelle e infettarla con il loro calore, diramandosi in tutte le direzioni mediante questo e colpire i tessuti del mio corpo con lame taglienti. Erano innumerevoli schegge di vetro e ognuna sembrava fosse stata immersa in un letale veleno.
Chiudendo gli occhi e concentrandomi su quella novità che fece vibrare il mio corpo, capì che si, era proprio come il mio dolore privato. Tagliente e soffocante allo stesso tempo. Rosso con venature nere, fumante e incandescente.
Mentre la sensazione e l’effetto estraneo del calore si diffondeva in me, l’odore di bruciato iniziò a colpirmi con violenza le narici. Come tutte le cose che avevano preso a brillare di una luce propria, nello stesso modo il calore lo percepì in un qualcosa di nuovo, di diverso. Fino a quel momento non sapevo quanto il sole potesse ustionare un corpo. In quegli istanti senza fine capì che anche lui poteva essere un’arma micidiale. Sapevo cosa sarebbe successo da lì a qualche secondo e, stranamente, non avevo paura. Per una volta nella mia vita non temevo un vicino epilogo di una qualche azione. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta e quella che avevo desiderato e sentito nel luogo più profondo di me da quando mi ero risvegliata.
Era giusto così, doveva andare in questo modo fin dall’inizio, senza scorciatoie o seconde possibilità.
Cenere alla cenere.
Sullo sfondo di questi sentimenti, di questa decisione, c’era il volto di mia madre e quell’azione da me compiuta che mi aveva portato a tutto questo.
Non mi accorsi se la mia voce urlasse o se le lacrime avessero preso a solcarmi le guance con la speranza di riuscire a sedare quell’incendio che in me si stava diffondendo. Ammaliati da una luce mai vista in precedenza, i miei occhi osservavano incantati un bagliore accecante avvicinarsi a me.
Era la fine, una fine definitiva. Finalmente.
Un colpo. Un tonfo.
Niente dolore. Niente sensi di colpa.
Era il nulla.
Freddo e silenzio.
<< Che cazzo pensavi di fare, stupida ragazzina? >>
Una voce furibonda colpì le mie orecchie e non vi era più dolore o bruciore a essere al centro della mia mente. Solo quel suono, al quale spalancai gli occhi e sentimenti come rabbia e irritazione, odio e ira, mi inondarono, sommergendomi con violenza. Una vertigine mi colse di sorpresa sotto quel cambiamento inatteso. Per qualche secondo pensai che il mondo si fosse capovolto, scombussolando così tutte le leggi della fisica.
Vagando con lo sguardo disorientata, mentre concedevo il tempo ai miei occhi di abituarsi al cambio di luce, lo vidi: Damon Salvatore.
Adesso non c’era tentativo da parte mia di provare a capire in quale luogo fossi e se questo comportasse pericoli o fosse sicuro per me, i miei occhi erano congelati, bloccati, da quelli infuocati di Damon. Neri come la più oscura delle notti d’inverno, questi furono capaci a rovistarmi nello stomaco e a lasciarmi senza forze o fiato, del tutto disarmata. 
Non ricordo altre occasioni prima o dopo quell’incontro in cui Damon mi guardava con tanto disprezzo, dove sembrava volesse far cedere il posto al disgusto. 
Faceva male, molto male avere e sentire quegli occhi addosso. 
Continuando ad osservare quello sguardo gelido e tagliente, intrappolata in quella morsa oscura, mi resi conto di avere davanti a me lo stesso vampiro sanguinario che avevo conosciuto anni addietro e che avevo scoperto amare. Quella parte di lui, selvaggia e indomabile, che non lo aveva mai realmente abbondonato.
Fu un pensiero improvviso, una conclusione tratta dalla mia mente, ormai capace di percorrere pensieri ai quali io stessa non prestavo attenzione. Come breve conseguenza di quell’attimo, alla mia attenzione iniziò ad affacciarsi quel ricordo, quel momento che precedette la mia morte. Allora il suo sguardo, quello di Damon, era così diverso da quello che mi aveva appena gettato in balia di acque profonde e oscure, imbizzarrite da una tempesta burrascosa e che donava all’oceano dei miei sentimenti forme irregolari.
Una nuova percezione arrivò ai miei nuovi sensi e, quando capì cosa fosse, forse rabbrividì, forse mi ritrassi, ma l’aurea che emanava Damon, paurosa e nera, mi fece sentire ancora più piccola ed impotente. Quando chiuse un’istante gli occhi, capì quanto in realtà si stesse contenendo, anche se i suoi muscoli tesi e la mascella contratta in un ringhio trattenuto a stento, tradivano quel groviglio di rabbia e furia che si agitava in lui.  Non lo vedevo così adirato da un sacco di tempo e la domanda del perché lo fosse, giunse immediata. 
Vidi Damon, furente d’ira, muoversi appena e un nuovo ennesimo e scostante cambiamento avvenne in me: tenendo gli occhi puntati per terra, senza realmente vedere il terreno, la possibilità che fosse arrabbiato per quel mio gesto, prima di giungermi come qualcosa di più, mi irritò.
Perché era così arrabbiato? Perché mi ero esposta al sole? Non potevo forse decidere io di quello che era rimasto della mia vita?
In una frazione di secondo, la paura che provavo di fronte a quel vampiro che era riuscito a salvare di nuovo e in qualche modo la mia vita, divenne piccola e venne succeduta da quel fastidioso pensiero che lui pretendesse di avere voce nei miei affari.
<< Io… >>
<< Non una parola. >>
D’un tratto l’unica cosa che riuscì a sentire era la tristezza, tristezza che fluttuava libera non intorno a me, ma dentro di me.
Quelle parole emesse tra i denti, scandite una ad una e trattenute a fatica, come se in realtà fossero un qualche predatore scalpitante e letale, pronto ad attaccare, riuscirono a far crollare quel mio mondo già tremante ed in preda al un caos universale.
Di nuovo quella paura tornò ad essere predatore e non preda. L’irritazione che era vibrata dentro di me con forza e determinazione, mettendomi quasi sul punto di guerra, si volatilizzò, lasciandomi ancora più incredula davanti a con quanta rapidità i miei pensieri e le mie emozioni mutassero al più impercettibile dei mutamenti.
<< Mi…disp.. >>
Un’ondata di Potere scosse l’aria. 
<< Non. Una. Parola. >>, ripeté Damon, gettando lampi di fuoco.
Sentendo alcuni sassolini sotto di me e altri che spostavo al mio passaggio, mi ritrassi spaventata in un angolo. Qualcosa fermò la mia breve fuga da quel vulcano che prometteva di esplodere da un momento all’altro, qualcosa di duro e liscio, freddo al contatto. Abbracciando la prima cosa che le mie mani riuscirono a trovare, probabilmente proprio l’oggetto alle mie spalle, desideravo solo che il senso di protezione e calma, arrivasse, cullandomi nella sua stretta rassicurante. Chiudendo gli occhi, tenendo la testa china, questo, tuttavia, non arrivò. Mi lasciò alla furia di quella bufera che era davanti a me, da sola. E in quel turbine non potevo che limitarmi ad arrancare, accettando e incassando ogni mio cambiamento.
L’umore altalenante e quei cambiamenti in me improvvisi, erano la cosa più stancante che avevo provato nella mia vita da umana e in quei pochi giorni da vampira. Sembravano non finire mai e avevano la capacità di colpire in ogni momento, lasciandoti vuota e con lo sguardo perso.
Avrei imparato a convivere con questi? Avrei mai trovato un senso di equilibrio?
In uno stato dove la nozione dello spazio era del tutto costellata dal dolore ustionante emanato ancora dalle mie braccia, sentì dei passi muoversi lenti verso di me.
<< Hai anche solo una vaga idea di cosa ho dovuto sorbirmi da quegli umani, che invece di ringraziarmi per aver salvato la tua vita, lanciano accuse e si sentono in dovere di farmi notare quanto, ancora una volta, sia stato stupido, pazzo, per non dire folle >>, sbottò Damon improvvisamente. << Danno la colpa a me se sei scappata, perché – poverina la strega – ha un animo troppo fragile per riuscire a sopportare tutti i cambiamenti che comporta la transizione, di accettare tutti i cambiamenti, ma forse non hanno ben chiaro il concetto di non ritorno. Forse non sanno che, se io non fossi arrivato in tempo e dato il mio sangue, a quest’ora, invece che preoccuparsi su dove diavolo ti fossi cacciata, avevano un’amica sotto tre metri di terra da piangere. >>
La confusione che quella raffica di parole portarono nella mai mente, riuscirono solo a farmi capire che qualcuno fosse preoccupato per me e che altri avevano litigato. Io non ero altro che la causa scatenante di quel trambusto. 
<< Per non parlare poi di Stefan, la sola causa di tutto questo. Invece di chiudersi per una buona volta quella dannata bocca, crede sempre di fare la cosa giusta, di sapere ciò che è meglio e questo gli permette di puntare il dito contro chi, invece di stare a rimuginare sui se e sui ma, agisce senza che gli venga chiesto il suo permesso ed esclusiva autorizzazione. >>
Vaghi ricordi portarono quelle parole alla mia mente. Riavvolgendo i momenti di quelle ultime ore, ricordai quanto quelle mura di quella stanza mi dessero un senso di soffocamento, di quanto avessi trovato facile dar retta al pensiero di saltare dalla finestra e lasciare che le tenebre nascondessero le mie tracce. Il poco tempo che mi era bastato per attuare quella decisione, senza pensare alle conseguenze, alle persone preoccupate che al piano di sotto parlavano di quella nuova situazione.
Per la prima volta, mi accorsi di essermi comportata da egoista.
Avevo ferito e deluso le persone che mi stavano cercando di aiutare, che credevano in me e volevano solo il mio bene.
Avevo tradito me stessa e la Bonnie che conoscevo, che conoscevano tutti. 
Il pallido e gentile viso di Stefan, gli occhi verdi sbiaditi da quel senso di colpa che avevo visto distruggerlo dentro, facevano da ambiente circostante a quella consapevolezza che iniziò a risuonare in ogni dove del mio essere.  
Il peso delle mie azioni, di quell’avventate azione, si posarono all’imboccatura dello stomaco, procurandomi un senso di sofferenza.
I vampiri potevano provare sofferenza?
<< Mi dispiace >>, dissi in un mormorio e di rimando sentì la mia voce rimbombare in quei pochi metri quadrati.
Nell’aria, ad un tratto, vi fu un nuovo cambiamento.
Avvertì quell’energia oscura tornare sui suoi passi, ritirarsi in quel suo nascondiglio segreto e celato al mondo da occhi indiscreti e dalle chiacchiere delle persone. Alzando lo sguardo, facendolo vagare per quelle mura erose dal tempo, dove l’umidità aveva intaccato il marmo una volta di un bianco scintillante, cogliendo elementi funebri e celebrativi, tornai a focalizzare la figura di Damon.
In quel silenzio, laddove tenui raggi di luce si intrufolavano da un piccolo rosone decorato a mosaico dai mille colori, osservai il volto del vampiro. Era come guardarlo per la prima volta ed ogni singolo tratto, ogni riflesso nero dei suoi occhi, ogni linea perfetta del volto mi parve nuova. I miei occhi nocciola, avidi ancora una volta, non potevano non esplorare quello sguardo, dove non una sola emozione traspariva da questo, rendendolo ancora più affascinante ai miei occhi. Forse fu quello, quel bagliore di finta indifferenza a convincere il mio giovane cuore, solo da poche ore fermo, a confermarmi che quel giovane ragazzo che avevo davanti era Damon Salvatore. 
<< Perché?  >>, mi domandò ad un tratto.
Inclinando la testa di lato e passandomi la lingua sulle labbra distrattamente, i miei muscoli tornarono a rilassarsi, mentre un bruciore alla gola incominciò ad occupare ogni mio pensiero.
Anche in Damon qualcosa era cambiato. Non avvertivo quell’ira di poco prima, pronta a zittirmi ad una minima parola o attaccarmi al mio primo gesto avventato. Come spesso faceva, era stato in grado di nascondere ciò che in realtà provava, facendola tacere, sotterrandola per poi farci i conti più tardi e da solo. 
Come ogni nuovo gesto o pensiero portava un nuovo cambiamento nel mio umore, quel ragionare intensificò il bruciore al centro della gola, così come al centro dei miei pensieri. 
<< Perché sei scappata? >>
Alla domanda che mi aveva appena posto, prestai quel poco di attenzione per riuscire a formulare una risposta che sarebbe stata in grado di soddisfare tutti i suoi dubbi e che avrebbe fatto finire quel piccolo interrogatorio al quale non avevo alcuna voglia di sottopormi. La sensazione di fastidio alla gola pretendeva di essere ascoltata e saziata.
 << Ho sentito la voce di Elena al piano di sotto mentre parlava con Stefan della mia morte e se sarei riuscita a sopravvivere alla trasformazione, se i miei poteri influenzassero in qualche modo quello che stavo diventando >>, cominciai con voce bassa. Ripensando ai quei secondi interminabili, a quel momento dove mi sembrava di poter morire due volte, la mia voce venne meno. Chiudendo gli occhi per una manciata di secondi, inumidendomi le labbra, continuai: << I ricordi di quel vicolo, di Stefan, di te ricominciavano a tornare, ma la sola cosa che mi importava capire, era di avere una conferma di quello che avevo appena origliato e di quello che percepivo dentro, se mi fossero rimasti ancora i poteri, e…sono venuta qui. >> 
Sospirando e sentendo un peso sgretolarsi sotto quella confessione, lasciai a Damon il compito di immaginare quelle poche scene che seguivano, di cogliere il continuo di quella realtà che sembrava aver preso i tratti confusi di una storia drammatica. 
Il celere pensiero che avrei potuto compiere l’epilogo di quella stessa storia, tornando di poco sui miei passi, riavvolgendo di poco quello che si apprestava a divenire passato, uscendo di scena in modo teatrale, mi strappò un breve sorriso.
Ripensai al sole e ai suoi raggi, il suo calore e al dolore. 
Damon mi aveva salvato ancora una volta la vita, impedendo alla morte di prendermi con lei in modo totale e definitivo. Era arrivato quell’attimo prima del troppo tardi, come aveva fatto pochi giorni addietro. In quell’occasione, però, aveva fatto sfumare quella mia scelta e convinzione di permettere al senso si colpa misto alla solitudine di schiacciarmi, lasciandola prendere il controllo di me e di ciò che pensavo e provavo. Sapevo lui l’avrebbe definita assurda e stupida come cosa. 
Ripensando a quel momento durato giusto il soffio di un breve attimo, percependo quasi l’effetto che il sole aveva scatenato sulla mia pelle, riassaporando il dolore, mi chiesi come Damon mi avesse fatto a trovare, come era riuscito a capire con assoluta esattezza dove mi trovassi. Rivolgendogli la mia attenzione con lo sguardo, tornandolo a fissare, notai quanto in verità fosse stanco. Le sottili ombre sotto i suoi occhi erano un segno che avevo imparato a leggere nel volto di un vampiro come stanchezza e fatica.
Prendendo un grande respiro, ignorando l’iniziale accenno di preoccupazione per lui, dissi: << Come sei riuscito a trovarmi? >>
Per ogni secondo seguente alla mia domanda, sentivo il suo sguardo e i suoi occhi su di me aumentare pericolosamente il mio nervosismo. Studiandomi, come a voler valutare le possibili alternative di risposta, se ne stava in piedi davanti a me, fissandomi in silenzio. Quando capì che non mi avrebbe degnato di una risposta, forse perché arrabbiato, forse perché si aspettava da me qualche sorta di scusa per cosa avevo cercato di fare, mi alzai irritata, togliendomi la polvere dai jeans. 
Lasciai vagare lo sguardo in quel ristretto perimetro rettangolare. Annusando l’aria, l’odore di chiuso e di muffa mi colpì, provocandomi un senso di nausea. Al centro della cappella, coperto da un sottile strato di polvere grigia e ragnatele, vi era una tomba. Sul lato che osservavo, erano scavate diverse scritte di un nome con una dedica al di sotto di questo. Ogni singola parola era contornata dallo sporco della polvere e del tempo, rendendole nere e confuse. Ai piedi del marmo bianco e sudicio si ammassavano ramoscelli e foglie secche, immerse in qualche traccia di terra. Due candelabri si ergevano arrugginiti e ricoperti a tratti da ragnatele ai lati del piccolo edificio funebre. 
<< I novellini sono tutti prevedibili >>, disse Damon ad un tratto.
Mi voltai in tempo per vedere un’ombra abbandonare il suo volto e il suo corpo tornare a rilassarsi. 
Assottigliando gli occhi, notai che qualcosa era ancora cambiato, non solo nell’aria, ma anche in lui. Quell’ira che lo aveva accompagnato nei gesti e nelle parole iniziali, era ormai dissolta, ma percepivo della freddezza arrivare da lui, come volesse stare lontano da me e non aprire alcun argomento che riguardasse la mia trasformazione.
Un parte di me si chiese se quelle congetture fossero dovute ai miei poteri di strega, sempre se ancora io potevo definirmi tale. Cercai di far affiorare qualche notizia appresa negli anni passati che potesse chiarirmi questo punto, ma la sola cosa che riuscì ad ottenere, era qualcosa che iniziò a premermi le tempie con forza.
<< Quindi se tu dovessi trovare un vampiro appena trasformato, andresti a colpo sicuro al cimitero, davanti alla sua… >>, la voce mi si inclinò di colpo e scacciando quell’immagine sfocata con al centro un cumulo di terra e una foto di una ragazza dai capelli rossi e sorridente, fingendomi forte, continuai. <<…andresti dritto davanti alla sua tomba? >>
<< Elena e Stefan erano andati già a casa tua >>, rispose secco Damon, non curante del mio piccolo sobbalzo che quella notizia inaspettata si attivò in me. 
Casa. Mamma e papà.
A quella frase proferita con leggerezza, mi rattristai, distogliendo i miei occhi dallo sguardo indagatore del vampiro. 
<< Quella ormai non è più casa mia. >>
Quel vuoto che mi accompagnava da ore e che sapevo non sarebbe mai scomparso, si estese ancora una volta davanti a me, rivelando quel precipizio nebbioso e di sconforto al solo pensare ai volti dei miei genitori. Come avevo già avuto occasione di fare, frenai le lacrime affacciate costantemente alle porte dei miei occhi e, sforzandomi di ignorare tutte quelle emozione tempestose, volsi la mia attenzione su altro.
<< Quindi tu sei venuto qui? >>
Il volto di Damon, una maschera di inespressività e freddezza, agitava in me qualcosa di indefinito e, intanto che il silenzio stabiliva la sua presenza sempre più gelida e pesante tra di noi, quel senso di pressione alle tempie si intensificò maggiormente. Mi accorsi solo in quel momento, diventando consapevole che ci fosse qualcosa che non andava, di essere tesa, il mio corpo non era che un unico fascio di nervi.
<< Si, sono venuto qui >>, rispose Damon piano e con voce più bassa del solito, in un tono che arrivava alla percezione dell’udito distante e ovattato.
Come un martellare insistente e forte, quel dolore alle tempie si espanse, esplodendo di colpo. 
Fu un scambio veloce di sguardi la causa scatenante della nascita nella mia mente di momenti che sembravano essere stati vissuti in precedenza. Stralci di ricordi che, per qualche sconosciuta ragione, sapevo appartenere al passato, ma dei quali non avevo memoria. Immagini dove mi vedevo paralizzata dalla paura, dove piccoli sbuffi di aria erano mozzati dal bruciore che sentivo persistere nella gola, nei polmoni per una corsa senza alcuna sosta. 
Rabbrividì e, come per magia, quella paura che paralizzava la mia mente, divenne concreta, reale. Il mio respiro aumentò di colpo, la gola iniziò a bruciare. Avevo la vaga impressione che i polmoni sarebbero scoppiati da lì a poco. Un giramento di testa mi colse impreparata e in completa balia di quello strano momento, accompagnato da sensazioni e stupore, mi abbandonò alla paura. Senza pensarci, cercai un appiglio che riuscisse a sorreggermi. In un attimo avvertì la presa di Damon stringere un mio braccio. La sua stretta era per me quella forza che mi permetteva di sperare che tutto finisse presto. Cercandolo disperata con lo sguardo, incontrando il suo pallido e, forse teso ed impaurito sguardo, tutto intorno a me scomparve. Ebbi la sensazione che il terreno sotto i miei piedi iniziasse a franare e a creparsi, nel momento in cui una strana inquietudine si impossessò di me, accompagna da brividi di freddo. Puntini neri e bianchi iniziarono a volteggiarmi davanti agli occhi fino a quando tutto divenne paurosamente sfocato. Il mondo intorno a me si annullò, facendomi scivolare in uno strano senso di incoscienza.



Con delicatezza l'uomo sollevò il braccio sinistro di Bonnie e fece scivolare lentamente la sua mano sul polso della ragazza. Lo sguardo dell'uomo era totalmente concentrato sul taglio del palmo della mano che Bonnie si era fatta cadendo poco prima. La ferita, che aveva smesso di sanguinare, era ancora intrisa di terra e le dita erano sporche del sangue ormai secco.
<< Cosa vuoi da me? >> , domandò Bonnie non troppo sicura di voler ricevere una risposta.
Bonnie intimorita, abbassò lo sguardo. Voleva urlare, ma sapeva che sarebbe stato inutile. Voleva scappare, ma sapeva che sarebbe stato altrettanto inutile. Stava fissando il terreno, quando nel suo campo visivo entrò una mano che la costrinse a sollevare il viso. Cosparsa da brividi, poteva sentire il tocco freddo della mano percorrerle la guancia, il collo fino a scostarle i capelli.
<< Il tuo sangue >> , disse sussurrandole tranquillamente all’orecchio come se fosse la cosa più naturale del mondo. *




<< Bonnie! >>
Una voce lontana mi chiamava. Delle braccia mi scuotevano.
Cercando di ritrarmi da quella presa, mi accorsi di essermi risvegliata come da un sogno e che quella specie di visione era sparita da davanti ai miei occhi, i quali erano riparati dalle mie mani tremanti. Costatai di trovarmi a contatto con l’anonimo e freddo pavimento di quella cupa cappella, intanto che la mia mente mi suggeriva in un bisbiglio che il dolore che avvertivo premere alle tempie, era svanito. 
Quel ritorno alla realtà fu come cercare di distinguere i profili degli elementi componenti una stanza dopo aver guardato in faccia quell’astro di luce che domina il cielo e che la sera cede il posto alla sua signora.
<< Cosa…cosa è stato? >>, sussurrai con un filo di voce, continuando a sbattere gli occhi.
Respirando a fondo e passandomi una mano sulla fronte, imperlata da un sottile strato di sudore, guardai Damon in cerca di qualche risposta, ma tutto in lui era mutato in marmo freddo e immobile, inginocchiato a pochi centimetri da me. Fisso e bianchissimo, i suoi occhi apparivano vuoti e spenti.
<< Damon tutto bene? >>
Senza pensarci, avvicinai la mia mano a lui, sfiorando il suo braccio fasciato dalla camicia nera. In un unico gesto repentino, si ritrasse, come se il mio tocco gli apportasse fastidio. Spiazzata da quel gesto, rimasi ad osservare la mia mano sospesa a mezz’aria. Fissandola, tra l’incredulità e la sorpresa, mi meravigliai di quanto ci rimasi male, di quanto la mia me interiore si stesse iniziando a chiedere e a tormentare del perché di quel gesto. Damon non lo aveva mai fatto, non si era mai allontanato, non si era mai comportato così prima d’ora. 
Alzandosi di colpo, si allontanò da me, dandomi le spalle.
<< Forse aveva ragione Elena nel dire che, molto probabilmente, non avresti retto al cambiamento >>, osservò Damon, riprendendo coscienza e la padronanza di sé. 
Persa nel cogliere una spiegazione accettabile a quel suo strano comportamento, recepì solo dopo qualche minuto di troppo ciò che aveva detto. 
<< Cosa? >>, domandai, assottigliando gli occhi nella speranza di aver capito male.
<< Non credo che riuscirai ad adattarti al mio mondo. >> 
Se fossi stata ancora umana, avrei potuto credere che il mio cuore avesse perso un battito.
In quegli anni avevo visto e sopportato di tutto, lottato contro creature millenarie e affrontato demoni con la consapevolezza che ogni respiro portato a termine potesse essere l’ultimo. Avevo lottato contro le mie stesse e più profonde paure, accettando ciò che ero e cosa questo comportasse, avevo scoperto di poter affrontare quel mondo che lui definiva oscuro.
<< No. >>
La mia voce non era che un lieve lamento.
La sicurezza che Damon aveva dimostrato nel rivelarmi quello che loro davano per certo, non faceva altro che aumentare la mia delusione.
Deglutendo e accarezzando il pensiero della perdita di persone che amavo, ignorando la domanda se ce l’avrei fatta ad accettare anche questa condizione che mi aveva portato a vincolare la mia vita all’immortalità, mi chiesi se davvero non avessero un po’ di fiducia in me, se ancora mi credevano una bambina timorosa di ciò che si potrebbe nascondere nel buio più fitto.  
Quella costatazione, quel pensiero che tutti - Elena, Stefan, Meredith, lui - mi credessero incapace di affrontare la trasformazione e inadatta a quel mondo di sangue ed eternità, mosse qualcosa dentro di me, portandomi a diventare più sicura delle mie capacità. Avvicinandomi a quel pensiero, accogliendolo, diventando cosciente della mia storia, non riuscivo a convincere i miei amici, coloro che si avvicinavano ad essere la mia famiglia, che ce la potevo fare.
<< No. >>
In una strana sequenza di immagini, rividi tutti quei momenti passati dove avevo affrontato la morte, quei rari momenti dove la mia magia mi era venuta in soccorso e dove l’avevo padroneggiata, scacciando ogni demone interiore e lottando per coloro che volevo si trovassero al sicuro.
La piccola Bonnie bisognosa sempre di una spalla, di una sicurezza per affrontare la realtà e il presente, era cresciuta. 
<< Non è così >>, dissi, mentre quella consapevolezza brillò di intensità. << Ti sbagli, tutti voi state sbagliando. >> 
Quel loro pensiero privato diede luce ad una nuova decisione che prese a vibrare con forza e determinazione: adesso più che mai volevo dimostrare quanto in realtà fossi in grado di sopportare ogni conseguenza alla trasformazione. 
Lasciai che quella mia nuova visione di me mi investisse appieno, iniettandomi forza nelle gambe e spingendomi ad alzarmi per affrontare il volto e gli occhi stupefatti di Damon.
<< D’accordo, allora rispondi a questa domanda: perché ti ho trovata esposta alla luce del sole? >>, domandò Damon con occhi di sfida e seri, cogliendomi impreparata. << Perché sei scappata, se davvero potevi affrontare tutta la transizione senza alcun problema? Perché è questo che stai cercando di dirmi con il tuo “ vi state sbagliando”. >>  
Sgranando gli occhi e trattenendo il fiato, ripensai a ciò che mi aveva condotto a tentare quel gesto, a bramare il suo compimento. La confusione che aveva preso dimora nella mia mente, condizionandola e guidandola, metteva in luce solo ciò che di negativo aveva portato la transizione, lasciando che quella Bonnie coraggiosa si affievolisse e lasciasse spazio a quella bambina dai riccioli rossi costantemente bisognosa di un appoggio. Eppure in quel momento, ero riuscita a far brillare quella parte più indipendente di me, a guardare con attenzione a quelle mie reali capacità. 
In quel mondo, io potevo farcela e glielo avrei dimostrato a tutti loro.
Sentivo il mio respiro aumentare sempre più ad ogni secondo. I polmoni mi iniziarono a bruciare, ma solo dopo che incominciai a concentrarmi sui miei cambiamenti fisici, notai che quel bruciore sempre più intenso, sempre più insistente, non si stava irradiando in tutto il mio corpo dai quelli, bensì dalla gola. Conoscevo quella strana sensazione, la prima cosa che notai in me non appena mi ero svegliata e che sapevo mi avrebbe accompagnato fino alla morte. 
Era la fame. 
Con rapidità e senza pensarci molto, calcolai che era più di ventiquattro ore che non mangiavo niente.
Proprio quando la fame si faceva sempre meno sopportabile, squillò un telefono. Vidi Damon avviare la chiamata e portarsi all’orecchio l’apparecchio.
<< Si, l’ho trovata >>, disse, immergendo i suoi occhi neri nei miei. << Di pure ad Elena di stare tranquilla. >>
Dalla risposta capì che si trattava di Stefan Salvatore.
<< Al cimitero, ovviamente. >>
Concentrandomi quel poco che bastava, riuscì ad individuare la voce del vampiro dagli occhi verde smeraldo, distinguendo con chiarezza ogni parola.
<< Riportala a casa, Damon >>, disse Stefan. << Elena è molto preoccupata e si sente colpevole per ciò che è successo a Bonnie. Sa che ci ha sentito e lei non doveva dire quelle cose, e neanche io. >>
Nella mia mente si insinuò un’immagine sfocata di un’Elena preoccupata per la mia situazione e mi chiesi perché si sentisse colpevole. Lei, per una volta, non centrava niente. A questo pensiero, tornarono alla mente i ricordi di quella notte, di quando la mia vita si era trasformata in una pallida ombra di ciò che ero stata e che non mi avrebbe più permesso o concesso di tornare indietro. 
Diversi brividi percorsero a grande velocità tutto il mio corpo. L’immagine di due occhi iniettati di sangue si affacciava con spavalda insistenza sul mio presente, come se fosse quel mostro pronto ad assalirti dietro un angolo.
Trasalì.
Se fino a quel momento l’episodio di poco prima era rimasto lontano dalla parte razionale di me, adesso arrivò come un fiume in piena, riproponendo alla mia mente quella sequenza di immagini.
Il mio respiro aumentò d’istinto. Il senso di vertigine mi portò a digrignare i denti per la paura del vuoto e, d’improvviso, quel male alle tempie tornò forte e tutto quello che mi circondava, come per magia, scomparve.



Il parco e la fuga da quello sconosciuto che voleva ucciderla, la nebbia e una risata sadica, il sangue e il dolore e una parola. Una sola parola che risaltava su tutte le altre, riducendo tutti quei ricordi che in Bonnie correvano a briglia sciolta in immagini sfocate e indistinte.
Quella parola era: vampiro. *




Di nuovo quella strana sensazione, di nuovo i profili cupi della cappella si erano sostituite con quelle immagini dal sapore di ricordi che non mi appartenevano, che non riuscivo a collocare in un passato compiuto.
Disorientata, cercai di ricompormi, lanciando un’occhiata veloce a Damon che sembrava impegnato in una qualche discussione con il fratello. 
Senza dargli retta o pensare a conseguenze, mi avvicinai al cancello della cappella e in ferro nero, dove le punte aguzze avevano perso il loro colore oro di un tempo, facendolo apparire sbiadito e spento. Captai solo vagamente l’informazione che questo era esposto ai raggi caldi del sole, ormai alto nel cielo azzurro del mattino. Con la testa disorientata e che volteggiava trai mille e più pensieri, quel senso di bruciore alla gola che non mi dava tregua, mossi alcuni passi incerti, ignorando la linea di confine tra ombra e luce. Quando percepì la mie dita bruciare, non mi accorsi dell’urlo che lanciai. Una scossa mi percorse svelta il corpo, portandomi a stringere gli occhi con forza. Il buio si sostituì ancora con altre immagini e parole.



Si trovava in quello strano stato di incoscienza quando sentì un dolore, simili a fiamme del fuoco ardenti, provenire dal polso.
Il vampiro le stava stringendo il polso sinistro.
Sentiva come se il sangue avesse smesso di circolare nelle dita e queste avevano mutato il loro colore roseo in un bianco quasi cadaverico.
Bonnie in quel dolore sentì qualcosa di caldo e umido attraversarle il taglio.
<< Il sangue puro è sempre il più dolce. >> *




Il sangue puro è sempre il più dolce.
Quell’ultima frase, guidata da una cadenza ostile, continuò a volteggiare trai miei pensieri dissennati. Un sottile ronzio faceva da sfondo a questi, creando intorno a me uno scenario di desolazione e paura. Annegata nel vuoto del mio silenzio, i miei occhi erano come legati a quei due pozzi stranieri, iniettati di sangue e morte. Frastornata, incapace di fare ordine nella mia mente, congelata da quelle immagini e resa prigioniera da queste, volevo solo abbandonarmi alla vana speranza che ci fosse stato un errore, un tremendissimo sbaglio: tutte quegli eventi che prendevano vita, modellando vicende di orrore e dolore, non le potevo aver vissute davvero.
Eppure, eppure, in qualche modo, sentivo che mi appartenevano.
Avvertì una goccia cadere sulla mia pelle fredda. Ebbi come l’impressione che una ventata gelida mi investisse di colpo ed entrasse nelle ossa, facendole tremare. Immobile e con una mano poggiata all’altezza del cuore fermo, tenevo la testa bassa in cerca di aria che riuscisse ad incalzare quei momenti di terrore a dissolversi con i miei respiri. Nel silenzio, realizzai che le mie guance erano rigate di lacrime. Asciugandole e riacquistando poco a poco la padronanza dei miei sensi, ricucendo i momenti precedenti a quel mio strano senso di smarrimento, ricordai di non essere sola in quell’edificio cupo.
Damon.
Al pensare il suo nome e al comparire di un volto dai lineamenti fini e profondi occhi neri, in me nacque la consapevolezza di essere osservata. 
Dovevo sapere, altrimenti sarei impazzita.
Arrancando nella coltre grigiastra dei miei pensieri, cercai la mia voce, affidandole il fardello di dar suono ai miei tormenti. 
<< Damon… >>, iniziai boccheggiando, << Damon cosa sono questi continui flash che ho nella mente? >> 
Quando trovai la forza necessaria per guardarlo, alzai il mio sguardo e qualcosa dentro di me si incrinò. Damon, lontano da me, aveva la mascella serrata, gli occhi assenti, nonostante questi fossero fermi in punto fisso. Neri viandanti persi in quei pensieri che, sapevo, affollavano la sua mente e ai quali io non avevo, non potevo avere accesso.
Sentivo le forze scivolare via dal mio corpo, come il sangue scorre libero da una ferita aperta. La testa incominciò a volteggiare e il segnale inconfondibile della fame arrivò all'improvviso, ancora più forte di prima, ancora più esigente.
Inumidendomi le labbra e deglutendo, scatenando all’istante un bruciore intenso, raccolsi in me quelle forze rimastemi e, stanca ed affamata, cercai un appiglio che mi aiutasse ad alzarmi. Quando la mia mano tremante si distaccò dal muro freddo e bianco, una vertigine mi colse. Ebbi giusto il tempo di realizzare che le mie gambe erano troppo deboli per sorreggermi, che avevo già perso l’equilibrio. Ero pronta ad accogliere il dolore della caduta, nel momento in cui mi sentì avvolgere da due braccia forti.
Alzando il mio sguardo, vidi Damon e il suo volto inespressivo.
Stretta nelle sue braccia, dove tante volte avevo trovato rifugio e sicurezza, tutta quella tensione, quel dolore per i miei genitori e le responsabilità che avevo avuto per la loro perdita, la trasformazione e i giorni che ne seguirono, quei momenti oscuri e quell’uomo che popolava quei flash, tutto mi investì.
Sgranando gli occhi, non avevo più lacrime da versare. Solo dolore e…
<< Damon ho paura. >>
E sembrò quasi che lui leggesse nei miei occhi quel mio strano bisogno, stringendomi ancora di più. Mi osservava attento e addolcendo il suo sguardo, tornò ad essere quel vampiro che avevo scoperto essere gentile e premuroso, quel vampiro che mi aveva concesso dolcezza in un aspetto doloroso della morte.
<< Lo so >>, disse con voce appena udibile. << Ma non sei sola. >>
A quelle parole, seppi con certezza che Damon nutriva fiducia in me, che sapeva che ce la potevo fare. A quelle parole, una nuova forza mi investì e sotto quegli occhi neri trassi quel coraggio per formulare quel pensiero che tanto avevo allontano e lasciato in esilio dalla mia attenzione: avrei dovuto affrontare il momento della caccia, mi sarei dovuta procurare del cibo e mi sarei dovuta nutrire. Lo scenario triste che si parò davanti ai miei occhi, fu più forte del semplice sapore del sangue.
Avrei dovuto uccidere. Prima o poi sarebbe successo.
<< Andrà tutto bene e risolveremo ogni cosa >>, continuò Damon, accarezzando lievemente la mia pelle. << Ma prima... >> 
Incurvando un mio sopracciglio, lo vidi estrarre una scatolina nera da una tasca dei suoi jeans neri. Studiandola con sguardo curioso, lasciai scivolare i miei occhi dal volto di Damon all’oggetto che teneva nelle mani. Aprendola e prendendomi la mano contemporaneamente, cercò il mio sguardo.
<< Ho faticato parecchio per trovarlo qui. >>
Corrugando la fronte e guardandolo interrogativo, prima che potessi ribattere o capire, infilò un anello di opale al mio dito.
Quel piccolo cerchio d’oro, sormontato da una pietra bianca e opaca, sarebbe stato quella protezione a quei raggi solari capaci di distruggere il mio corpo, bruciandolo e minacciandolo di ridurlo in cenere.
Tra stupore e amore, guardai Damon con occhi spalancati. 
Non restai a pensare quanto quel momento avesse dissolto quegli istanti di terrore e smarrimento, quanto quella fame incalzante si fosse ridotta ad un prurito leggero e avesse scacciato la paura di quei ricordi passati. 
Volevo viverlo, ne avevo bisogno.
<< Questo dovrà rimanere qui, uccellino, per sempre >>, disse ricambiando lo sguardo. << Non ti permetterò di fare una cavolata simile a quella che stavi per fare. >>
Udendo quelle parole, mi meravigliai del cambiamento che era avvenuto in Damon. Ricordando quanto nei minuti precedenti era rimasto freddo e impassibile, arrabbiato e scontroso, mi chiesi cosa lo avese spinto ad incarnare quel vampiro che mi aveva salvata più e più volte e che mi aveva permesso di avvicinarmi a lui. 
Ogni singola domanda sul suo strano comportamento si andò ad aggiungere a quelle che già avevo e, nonostante volevo che qualcuno mi concedesse anche solo la metà delle risposte a queste, notai che gli occhi del maggiore dei Salvatore tornare a brillare di quella luce che di rado lasciava intravedere. 
<< Mi sono spiegato? >>
Annuì distrattamente, accogliendo quella calda sensazione che mi aveva accompagnata anche durante l’esalazione del mi ultimo respiro.
<< Sappi solo che sono più vecchio di te e che so giusto qualche trucchetto in più. >>
Sorrisi per la prima volta dopo giorni bui e per la prima volta da quando conoscevo Damon, fu lui a condurmi verso la luce, lasciandomi che questa mi riscaldasse e mi riconquistasse. Chiudendo gli occhi, visualizzando nella mia mente ogni tratto del suo volto, mi aggrappai a quell’energia del mio amore che nutrivo per lui, rispolverandola da quei miei stessi pensieri tristi e da quell’azione che mi avrebbe concesso una morte cercata e, forse, voluta.
Allontanai ogni peso, ogni domanda, ogni pensiero. 
Tutto sarebbe andato bene.










Le parti evidenziate con l’asterisco sono prese direttamente dai quattro capitoli di Ricordi di Sangue, mia prima FanFiction. 














L’angolo di Lilydh


Buonasera!

Eccoci qui con il secondo capitolo di “Lost in the Darkness”: Pieces of Memory.
I ricordi indotti in passato da Damon a dimenticarlinon si sono fatti attendere e il punto chiave lo abbiamo nel momento in cui questi fanno la loro comparsa chiara nella mente di Bonnie, tanto che lei li rivive, si può dire, sulla sua pelle. 
Tra tutto il trambusto emotivo che questi portano alla giovane vampira, è lampante a chi legge il cambiamento repentino di Damon. Da gelido quale lo abbiamo trovato a profondamente scosso a quel vampiro gentile. È scontato dire che Damon sappia esattamente cosa stia capitando a Bonnie. Lei ha osservato solo da esterna ciò che le azioni e le parole di Damon nascondevano. La consapebolezza di Damon di dover affrontare con Bonnie l'argomento dei ricordi cancellati, lo destabilizza perché dovrà dare spiegazioni, dovrà esporsi e tutti sappiamo quanto odi farlo. Molte volte lui ha lasciato correre, ma questa cosa non è una di queste, non se lo può permettere e Bonnie, sicuramente, non glielo lascerà fare.
Ancora una volta Bonnie trova in Damon qualcuno a cui affidarsi e fidarsi, ignara del fatto che dietro a quei ricordi, a quei flash che saranno sempre più chiari e le riveleranno l'intera vicenda, c'è proprio il vampiro. 
La domanda che ne consegue è: come reagirà Bonnie quando apprenderà questo piccolo particolare, considerando anche il suo nuovo ed instabile equilibrio? E Damon come affronterà questa situazione essendo consapevole di come si sono evolute le cose dopo il loro primo vero incontro? 
Il capitolo si conclude con la speranza di Bonnie che tutto andrà per il meglio, ma, purtroppo, non sarà così....

Grazie alle persone che hanno letto il primo capitolo.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto,
Lilydh


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Capitolo 3
*** So Cold ***




 
So cold

Capitolo 3




 
“E il naufragar m’è dolce in questo mare.”

( Infinito – Leopardi )






   Studiando il sole che volgeva con estrema lentezza al tramonto, mentre dipingeva le tegole del tetto del Pensionato di un rosso acceso con sottili venature color arancio, cercai di captare ogni più impercettibile suono che si andava perdendo in lontananza, fino a quello più leggero che il mio udito da immortale riusciva a cogliere. Scorgendo l’essenza del vento tra gli alberi, assaporai appieno tutto ciò che mi circondava, tenendo lontani pensieri e tormenti di qualsiasi natura e forma essi potessero essere e assumere. Quel silenzio era come se fosse la quiete dopo la tempesta, la tranquillità in un luogo deserto e io avevo intenzione di goderne appieno. Lasciai che questo riflettesse su di me il suo effetto, rilassando e stendendo i miei nervi.
<< Allora è qui che ti nascondi. >>
La voce di Matt si intrufolò in quel piccolo pezzo di mondo che mi ero ritagliata soltanto per me.
<< Come sei arrivato fin qua sù? >>, gli domandai, rivolgendogli un sorriso sincero, mentre coglievo la sua figura alta e allo stesso tempo magra scivolare fuori dall’ombra che lo celava.
I capelli biondi, appena scompigliati, gli davano un’aria sbarazzina. La luce del sole e i giochi d’ombra marcavano alcuni tratti del volto, illudendo l’osservatore che questi fossero freddi e spigolosi. Matt aveva uno sguardo rassicurante e gentile, dove gli occhi azzurri e la voce pacata erano quella gentile conferma che di lui ci si poteva fidare.
Lo seguì con lo sguardo, avvicinarsi poco a poco a me, stando attento a mantenere l’equilibrio, e di rimando ripensai a quanto la mia nuova condizione avesse migliorato il mio, evitandomi di incespicare un passo si e l’altro pure.
Matt si avvicinò ancora un po’ a me e, vedendo la sua incertezza nei passi, sorridendogli, allungai un mano per rendergli più facili quegli ultimi centimetri, quando, azzardando un passo sbagliato, perse l’equilibrio ed inciampò emettendo un lieve singhiozzo di paura. Trattenendo il respiro e sgranando gli occhi per il breve attimo di terrore, muovendomi ancora prima che riuscissi a pensare cosa fare, gli afferrai rapida il polso di una mano e lo spinsi a sedersi vicino a me.
In quel momento mi ritrovai ad ascoltare il silenzio, interrotto solo dal respiro affannato di Matt, unica cosa udibile. Tutto il mondo sembrava essersi acquietato per quell'attimo, durato un breve secondo, dove il mio cuore, se fosse stato ancora pulsante, avrebbe smesso di battere per lo spavento.
Ciò che mi sorprese, catturando la mia attenzione e affascinandomi, fu il calore che le sue dita riuscivano a trasmettermi. Quel torpore non era bruciante come quello dei raggi del sole, era piacevole, come se ti accarezzasse in lievi sfiori e in essi ti era concesso lasciarti cullare e, forse, perfino addormentare tranquillo. Stranamente non volevo lasciare scivolare le mie dita via, interrompendo quella vicinanza, ma ricordando una delle caratteristiche principali dei vampiri, quanto la loro pelle fosse fredda al contatto con quella umana, cercai di allontanare la mia mano il più discretamente possibile. Fu l’azione di Matt di imprigionare le dita in una sua stretta forte a sorprendermi ancora.
<< No, non ce n’è bisogno, Bonnie, non con me >>, disse sospirando e fissandomi.
Sulle guance della Bonnie umana sarebbe comparso un lieve rossore a quella frase, ma in ogni caso sentì nel profondo di me stessa l’effetto che questa mi provocò. Vedendo con la coda dell’occhio Matt fissarmi serio, divenni ancora più consapevole di quando si stesse preoccupando per me. Sembrava quasi convinto che al suo sguardo non potessi sfuggire, che mi potesse leggere dentro e capire cosa mi passasse per la mente. I suoi occhi puntati su di me, inchiodandomi, mi lasciavano cadere nell’assurda convinzione che riuscisse davvero a comprendere appieno il momento particolare in cui da giorni vivevo. Un dito della sua mano stretta alla mia cominciò ad accarezzarmi. Quel calore che mi aveva stupita, aumentò, lasciandomi credere che la mia pelle si stesse riscaldando, che potesse tornare nuovamente viva e calda.
<< Grazie >>, sussurrai, senza distaccando il mio sguardo e volgendolo verso l’orizzonte.
Pensai a quanto quella linea sottile e arancione fosse il luogo dove poco prima mi ero rifugiata dal dolore e dall’inquietudine e quanto quella stretta lieve intorno alla mia mano corrispondesse all’ancora che mi teneva legata alla realtà. 
La dolce illusione che niente fosse cambiato da una parte, una triste realtà, difficile da accettare, dall’altra. L’infinito davanti a me che mi offriva, che mi concedeva di far prevalere l’immaginazione al presente, lasciandolo da parte e un contatto doloroso che mi trasmetteva amore e calore. Alla base di tutto c’era quell’infelicità che governava i fili di quella piega che aveva preso inaspettatamente la mia vita.
I sottili pizzichi che sentivo all’altezza degli occhi non potevano, non dovevano essere lacrime. Non avevo alcun motivo per piangere, eppure quella vocina che si avvicinava ad essere quella della coscienza, sapeva che non mi potevo sottrarre alla verità, non da lei. 
<< Bonnie con me non ti devi nascondere, non voglio che tu lo faccia >>, incominciò, intrecciando maggiormente le nostre dita. << Elena e Meredith erano e sono solo preoccupate per te, perché ti vogliono bene come se fossi una sorella. >>
<< Lo so. >>
<< Per noi, per me, sarai sempre la solita piccola Bonnie, spero tu lo sappia. >>
Erano tanti i pensieri contrastanti che affollavano la mia mente: gratitudine, amore e affetto, senso di appartenenza, comprensione e fiducia. Con quelle parole sapevo che Matt mi aveva detto che, se volevo, poteva essere la mia ancora di salvezza, quello scoglio in mezzo all’oceano in tempesta a cui aggrapparmi.
<< Bonnie, ascolta, so che a momenti Stefan verrà a reclamarti per aiutarti e insegnarti come cacciare >>, incominciò Matt con voce ferma e senza alcun tipo di esitazione, << se non te la senti, se credi che magari sia troppo presto o che tu non sia pronta, potresti sempre nutrirti da me. >>
<< Che cosa? >>, domandai di rimando, voltandomi verso Matt e spalancando gli occhi all’udire quell’ondata di parole.
Vedendo e leggendo sul mio volto la manifestazione lampante della mia sorpresa, Matt, inumidendosi le labbra, deglutì e chiudendo gli occhi, si avvicinò ancora più a me. << Ascolta, quando Elena è stata trasformata in vampira, si è nutrita di me e per te farei la stessa cosa Bonnie, non esiterei se questo significherebbe aiutarti. >>
<< Matt, no >>, dissi, riversando nella mia voce tutta l’indignazione che sentivo volteggiare libera e, piano piano, essere sostituita con un senso di vuoto allo stomaco. << Come puoi propormi una cosa del genere? Io non oserei mai, Matt, mai. >>
Il legame tra le dita, quel calore che prima percepivo come piacevole, adesso sembra essersi intensificato solo per bruciarmi e farmi male, tanto male.
<< Bonnie, ti conosco, non uccideresti una mosca neanche per puro sbaglio, figuriamoci prendere, bere del sangue contro la volontà di qualcuno, umano o animale che sia. >>
<< Le cose sono cambiate, Matt. Dovrò nutrirmi, che io lo voglia oppure no >>, sussurrai, cercando di mantenere il controllo che sentivo iniziare a traballare sotto la pressione di quelle affermazioni. << Ma non mi nutrirò da te, puoi starne certo. >>
In qualche modo, senza accorgermene, avevo rotto quel contatto caldo, che aveva iniziato a instillarmi piccole fitte di fastidio. In qualche modo, senza accorgermene, mi stavo allontanando poco a poco da Matt.
Sentì il sospiro di questo, carico di tristezza e amarezza, riempire l’aria.
Voltandomi, incontrai i suoi grandi occhi blu, sinceri e dai quali traspariva affetto smisurato. Quel messaggio garbato e di muta offerta di aiuto mi colpì forte, lasciando che le mie labbra si dischiudessero. 
<< Conosco abbastanza i vampiri per sapere che le borse sotto gli occhi sono un segno della fame. Da quante ore non ti nutri, Bonnie? >>
<< Matt… >>
<< Bonnie, io voglio aiutarti. >>
Quando, cogliendomi impreparata, si avvicinò quel poco che ci separava, trovandomelo ad un soffio dalle labbra, percepì il suo profumo invadermi i sensi, tutti i sensi. Nuove sensazioni mai provate fino a quel momento, affiorarono in me, spingendomi ad avvicinarmi con cautela ed inclinando la testa di lato. Una pressione opprimente incominciò a torturarmi le gengive, in tanto che sentivo la mia mente iniziare a svuotarsi, diventando più leggera. A quel dolore si aggiunse quello di un graffio alla parte interna del labbro inferiore, procuratomi da due lame affilate come rasoi. Sentì subito il mio stesso sangue inebriare le papille gustative, mentre i canini premevano sempre di più.
Fu un piccolo sospiro passante sulla mia pelle a riportarmi alla realtà.
Imponendomi di riacquistare il controllo di me, ricominciando a focalizzare di nuovo gli elementi dell'ambiente famigliare che mi circondava, realizzai sgomentata che avevo afferrato Matt per i capelli e gli avevo inclinato a forza la testa di lato, lasciando libero e scoperto il collo. Senza indugio, nella mia mente scattò la figura di un ragazzino biondo e dagli occhi azzurro cielo che si parava davanti ad una ragazzina dai capelli rosso fragola per proteggerla da due bambini più grandi. Un ricordo di Matt e me, perso nel tempo.
Mi ritrassi di scatto, assorbendo l’energia di quella memoria, per trovare quel solo motivo per fare la sola cosa giusta: mi allontanai veloce, mettendo qualche centimetro di distanza.
Osservai Matt riaprire gli occhi con una lentezza che trovai angosciante. Appena questi furono fissi su di me, vi lessi che me lo avrebbe lasciato fare, senza opporsi o protestare. Matt mi avrebbe lasciato prendere il suo sangue.
Rabbrividì a quel pensiero e di nuovo i due bambini del ricordo mi apparvero liberi nella mente e sorridenti.
<< Perché ti sei fermata? >>, mi domandò, alzandosi e avvicinandosi.
Sentendo ancora i canini ricomparire, deglutì, retrocedendo di un passo incerto.
<< Questa è stata la prova che hai bisogno di sangue >>, sussurrò ancora, ma questa volta cauto.
<< I vampiri hanno sempre fame, Matt. >>
<< Lo so, ma permettimi di fare qualcosa, per favore. >>
Rendendomi conto che faticavo mantenere il controllo di me stessa, che una forza sconosciuta mi spingeva ad attaccare, serrai i pugni con forza, troppa forza. Avvertì le unghie premere violente sul palmo della mano. Il dolore che iniettavano, riusciva a farmi mantenere quel controllo che sentivo minacciarmi con costanza che, alla prima occasione concessagli, sarebbe sfuggito dalla mie mani e avrebbe lasciato posto a quel mostro, concedendogli la libertà.
Matt mosse un passo verso di me e, alzando una mano verso il mio indirizzo, sapevo che alla fine sarebbe riuscito ad instillarmi il dubbio che, forse, ciò che suggeriva e che mi offriva, poteva essere una soluzione temporanea.
Non era giusto. Non avrei causato problemi ad una persona che tenevo.
La testa incominciò a pulsarmi. La gola iniziò a bruciare con intensità e i canini, che erano ad un passo dall’affondare nella pelle di un essere umano e incontrare il sangue, graffiarono ancora l’interno della mia bocca.
Sentivo il calore emanato dal corpo di Matt accarezzarmi e solleticare la mia gola.
<< Non capisci che per me sarebbe ancora più difficile accettare ciò che sono diventata? >>, sbottai, urlandogli contro, mentre sentivo la rabbia feroce prendere possesso di me.
Cadde il silenzio e io mi ritrovai a boccheggiare. In balia delle mie emozioni, l’unica cosa che brillava e dominava con forza lacerante sulle altre, era la fame.
<< C’è qualcosa che non va? >>
La voce vellutata di Stefan precedette solo la sua entrata. I suoi occhi verdi si posarono su di me per poi scivolare su Matt e, dopo qualche istante, tornare ancora su di me.
<< Niente >>, chiarì fredda, evitando di posare il mio sguardo su Matt e ignorando la percezione fastidiosa del suo umore triste.
In contrasto con quell'espressione delusa e contrariata, c'era la mia rabbia e la sconfitta silenziosa di quella voglia di sangue che in me gridava a gran voce. Ero consapevole che se non fosse stato Matt, quel sangue offertomi con leggerezza, lo avrei preso e, avida di fame, lo avrei assaporato fino all'ultima goccia.
<< Bene, perché è ora >>, dichiarò Stefan con un sorriso tirato e allontanandomi da quei pensieri.
Quella frase suonò come lo scoccare dell'ultimo minuto.
Consapevole o quasi di ciò che mi aspettava e di che cosa avrei dovuto affrontare davvero per la prima volta, chiusi gli occhi e respirai profondamente, cercando di rilassare i muscoli testi.
<< Bonnie andrà tutto bene e vedrai che ti sentirai subito meglio dopo che avrai superato questa prima volta. La seconda sarà più semplice, la terza ti verrà naturale e così continuando. >>
La voce rassicurante di Stefan era un dolce balsamo per i miei nervi. Con me ci sarebbe stato lui e tutto sarebbe andato bene. Afferrai quella speranza e sicurezza, che da giorni erano assenti in me, lasciando le mie emozioni essere costituite da una landa desolata di tristezza e frustrazione. 
Riaprendo gli occhi e annuendo, mi convinsi che si, ce la potevo fare.
Evitando di salutare Matt per paura di incontrare il suo sguardo e ritrovarvi quella preoccupazione che cercava di nascondere agli occhi di chi lo osservava, ma che era segnato sul suo viso come uno spento pallore. Non volevo indugiare a pensare di nuovo a ciò che mi aveva detto. Superai Stefan e uscì, allontanandomi dai due.
<< Saremo di ritorno prima che cali la notte >>, riferì la voce di Stefan, che ormai percepivo essere lontana da me.



 
~



L’aria che incontrava e sfiorava il mio volto in una fresca carezza aveva avuto l’effetto inatteso e ben accetto di riuscire a farmi scivolare di dosso quelle preoccupazioni che, l’una ammassata all’altra, affollavano la mia mente. 
Assaporare la velocità, il brivido che essa mi procurava, vedere in continuo mutamento elementi circostanti entrare nel mio campo visivo per poi essere sostituiti da un altro diverso, scattare senza fatica in un elegante movimento, il tutto era come sentire sulle tue labbra il gusto della libertà.
Correre con la sicurezza di non perdere l’equilibrio, di avere contemporaneamente sotto il mio solo controllo tutti i muscoli e ascoltare come questi lavorassero insieme e in armonia, provare uno di quelle concessioni che la natura di un vampiro comportava ad un individuo, mi rendeva più predisposta e aperta ad accettare la mia nuova condizione. 
Mentre uno strano campanello d’allarme incominciò a suonare nella mia mente, ritrovandosi ad essere ignorato l’attimo successivo, mi trovai a pensare a quanto la velocità non mi avesse mai elettrizzato da umana. Tra tutti i cambiamenti che avevo affrontato in quei pochi giorni, questo fu il primo a strapparmi un sorriso. 
Al mio fianco percepivo la presenza di Stefan monitorare ogni mia mossa. Mi sentivo come se fossi sotto analisi e io stessi per iniziare qualche tipo di esame dopo un periodo di frequentazione di qualche corso. Tuttavia, non permisi a questo di turbare quella mia nuova sensazione di indipendenza. La esplorai e ne godetti appieno. 
Stefan aveva detto che ci saremmo diretti appena fuori città e, infatti, riconobbi la periferia costituita di case ammassate l’una vicino all’altra. Le strade deserte e le luci dei salotti illuminati. Dalle tende si intravedevano oscure figure. Era giunto quel momento della giornata dove la famiglia, dopo una giornata stressante a lavoro o impegnativa a scuola, si riuniva tutta insieme a tavola. Con rapidità, come se il riferimento fosse scontato o come se ne avesse quasi bisogno di ricordarmeli, il mio pensiero scivolò in quell’angolo della mia mente dove la mia famiglia abitava il mio presente.
Non consessi ai ricordi il lusso di rattristarmi. Scuotendo la testa, cancellando i profili appartenenti ai miei genitori dai miei pensieri, con la coda dell’occhio, solo di fuggita e per un breve istante, scorsi l’entrata di un parco, dove un viale incorniciato in una filiera di alberi si perdeva all’orizzonte. 
Inconsciamente, quello che avevo avvertito era un brivido freddo nato da dentro, per dopo trasformarsi in uno strano peso che si collocò alla bocca dello stomaco insieme a quel solletico fastidioso alla gola. Questo, tuttavia si acquietò d’improvviso, lasciandomi basita.
Emettendo un sospiro sordo, le mie gambe si bloccarono di colpo. 
Immagini sfocate che forse avevo già visto in qualche mio sogno passato iniziarono a vorticarmi davanti agli occhi. Per qualche ragione a me sconosciuta, i miei muscoli si irrigidirono di colpo, colpiti da una ventata gelida al punto da congelarli sul posto.
Tesa, il mio sguardo era come ammaliato, attratto, sedotto a seguire la strada che mi avrebbe condotta all’entrata di quel parco, come un pellegrino in un deserto si sentirebbe attratto da un oasi comparsa all’orizzonte.
<< Bonnie? >>
La voce bassa e perplessa di Stefan, la sua stretta intorno al mio polso, sciolse l’incantesimo, afferrandomi appena in tempo ed impedendomi di abbandonare la realtà.
<< Tutto bene? >>, mi domandò con esitazione. << Perché hai rallentato? >>
Solo quando il vampiro fu esattamente davanti a me e mosse una mano davanti ai miei occhi, mi accorsi della sua fronte corrugata e dei suoi occhi assottigliati in uno sguardo preoccupato.
I miei pensieri, prima leggeri, adesso erano mutati in qualcosa di insistente e pesante. Intanto che una parte di me iniziava a intravedere la soluzione esatta di quella mia nuova inquietudine, quell’ultima parola, parco, rimbombò più e più volte, lasciandomi spossata e incapace di capire cosa mi stesse accadendo.
Mi ero fermata. 
Ero del tutto immobile in mezzo alla strada, laddove sarebbe potuta benissimo passare una macchina in qualsiasi momento. 
Non mi importava. 
<< Bonnie? >>
Puntini neri e rossi iniziarono a vorticare con insistenza e velocità davanti ai miei occhi. Una delle mie mani corse velocemente alla mia testa, sfiorandola, quando quel dolore alle tempie che avevo provato la scorsa notte ricomparve.
<< No. >>
Quel primo sintomo scatenò in me quella stessa paura fredda, quella strana sensazione di cedimento sotto i miei piedi e di abbandono. Digrignando i denti, cercai contro ogni forza di mantenere il controllo su quella che si avvicinava ad essere una visione. Non volevo che riaccadesse, non ancora.
Spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e nascondendo un brivido di terrore, agitandomi e non sapendo come e se quelle nuove immagini fossero comparse, respirai a fondo, chiudendo gli occhi e pronta ad affrontare quell’ondata di ricordi.
<< Cosa succede? >>
La voce preoccupata di Stefan anticipò solo la sua mossa di racchiudere le mie braccia nelle sue mani per cercare di portare la mia attenzione su di lui.
Stringendo gli occhi cercai di scorgere qualcosa nel buio, un barlume di qualche immagine sfocata, una percezione nel mio corpo simile a quella che avevo provato la scorsa notte nella cappella, ma niente di tutto ciò accadde.
<< Bonnie cosa succede? >>, mi chiese ancora Stefan, aumentando la sua stretta solo lievemente. 
Cercando sicurezza in quella forza che avvertivo provenire dalla sua stretta rassicurante, tentai disperatamente di rimanere aggrappata alla realtà.
Rimanendo silenziosa per qualche seguente secondo, cercai qualche altro indizio che mi suggerisse l’arrivo imminente di una nuova visione. In un attimo, con lo scoccare di un nuovo secondo, il dolore famigliare alla tempia cessò. Emettendo un suono simile ad un lamento, i miei occhi tonarono a vedere davvero Stefan. Aveva la fronte corrugata e dalla sua espressione capì che cercava di scrutare nei miei occhi un qualche indizio che gli potesse tornare utile. Ricambiando non troppo sicura quello sguardo intenso, ripensai a quanto anche il suo volto mi parse nuovo, come se lo vedessi per la prima volta. Nel momento in cui entrò in quella che avevano adibito a mia camera durante la transizione, ricordo che pensai a quanto fosse più pallido di Damon, più pallido di qualsiasi altro vampiro. 
“Il sangue di animale placa la sete momentaneamente, ma non la disseta, mai.”
Le parole di Stefan trafelate con angoscia e serietà tornarono alla mente e con esse anche quel fastidiosa irritazione alla mia gola. Il sorriso tirato sul suo volto, le occhiaie evidenti sotto gli occhi verdi, il pallore della pelle, tutti insieme questi elementi mi portarono ad una sola domanda: quanto davvero costava a Stefan quella rigida proibizione del sangue umano? Io sarei riuscita ad attenermi ad essa e a seguirla?
<< È tutto ok, Stefan >>, gli dissi, sorridendogli e annuendo all’unisono.
<< Davvero? Sembravi persa nel vuoto. >>
Quell’osservazione mi fece rabbrividire. Era in quel modo che mi sentivo: persa. Come se riuscissi ad abbandonare il mio corpo e fluttuare nell’aria, come se mi vedessi dall’alto in ogni mia azione.
<< Possiamo andare? >>, chiesi, ricordando il motivo per cui ero lì e riponendo la mia calma apparente in un passo sicuro.
Superando Stefan, ricominciai a correre, riscoprendo ancora la sensazione lenitiva del vento trai capelli e sul viso, assaporando quella dolce fragranza che persisteva nell’aria, abbracciando con dolcezza ogni cosa materiale. 



 
~



In una mossa fulminea vidi Stefan scattare con l’eleganza di un felino su ciò che i suoi occhi avevano individuato all’ombra di un fitto gruppo di alberi e arbusti. Sicuro e letale, mi mostrò ancora una volta quel susseguirsi di azioni e di gesti che mi consentivano di nutrirmi e mantenermi in vita, ma senza saziarmi completamente.
Sapevo perché Stefan faceva tutto questo. Si sentiva in colpa per ciò che mi era successo, ma io lo avrei rifatto sempre.
<< Ora tocca a te. >>
Con un sorriso tirato, annui.
Vidi Stefan spostarsi in un angolo di quella radura solitaria e nell’istante in cui chiusi i miei occhi, percepì i miei sensi, olfatto e udito, estendersi ed amplificarsi. Potevo quasi credere di vedere questi diramarsi in ogni direzione a loro possibile. I passi silenziosi di Stefan si incarnarono in un piccolo echeggio di sassolini sfiorati e piccoli ramoscelli rotti sotto il peso del corpo del vampiro. Concentrandomi, andai oltre quel suono vicino e cercai altrove movimenti più fluidi e più leggeri. 
<< Concentrati Bonnie >>, intervenne in un leggero e tranquillo sussurro alle porte della mia mente. << Puoi percepire ogni singola foglia muoversi al passaggio del vento, passa oltre e cerca. >> 
Ed era vero. Tutto ciò che le parole di Stefan stavano descrivendo a voce, era vero. La mia mente, veloce e avara, registrava ogni cosa sulla quale io posassi la mia attenzione, anche solo per un istante. Cogliendo sprazzi di suono, catalogandoli con un nome o immagine precisa e allo stesso modo veloce, riuscì a cogliere tutti quegli elementi compositivi della scena e vedere quella radura che si parava davanti a me, come un muro fitto di alberi e arbusti, benché la vista mi fosse celata.
Un rumore frenetico catturò la mia attenzione. Stringendo gli occhi, mi concentrai con maggiore attenzione su questo e, come mai prima d’ora mi era successo, il suono iniziò a prendere una forma concreta e reale. Quel suono non era che un sottile brusio e piccoli squittii. La mia mente associò veloce quelle informazioni ad un piccolo scoiattolo sopra qualche albero. Studiando quella piccola creatura con interesse, ebbi quasi l’impressione repentina di sentire fluire nelle sue vene del sangue caldo. Di rimando avvertì quel famigliare bruciore alla gola intensificarsi di colpo.
Quando aprì gli occhi, sgranandoli il secondo successivo, portai la mano alla bocca per trattenere un urlo. Una strada asfaltata, poco illuminata, si presentò di fronte a me. Sentì le mie gambe tremare e minacciarmi di cedere. Il mio respiro aumentò pericolosamente nel volgere lo sguardo con frenetica e disperata preoccupazione nel ricercare il volto rassicurante di Stefan.
La radura e la vegetazione circostante con alberi e arbusti, la presenza nascosta degli animali, tutto era svanito e sostituito con altri elementi.
Uno strano rumore entrò nel centro della percezione dell’udito. Appariva come un ronzio sempre più vicino ed insistente. Cercando con lo sguardo la fonte di quel suono, il mio occhio intercettò il profilo di una macchina a folle velocità venire contro di me. Anche se la mia mente mi urlava di spostarmi, i miei occhi erano inchiodati su quelle due luci intense e artificiali. Non ricordo cosa pensai in quei secondi, forse niente o forse tutto, ma nell’istante in cui la macchina inchiodò di colpo e una ragazza identica a me uscì disperata dal veicolo, le mie ginocchia toccarono ed entrarono in contatto con l’asfalto freddo. In pieno smarrimento, sentendo quella paura afferrare il mio cuore e strattonarlo, vidi quella me correre finché non fu fermata dalla comparsa di un ragazzo vestito di nero: Damon.



<< No >>, disse la ragazza, scuotendo la testa esausta, gli occhi le si inondarono di lacrime.
Bonnie ci provò un'ultima volta. Si voltò con l'intenzione di ricominciare a correre, ma una mano l'afferrò e la costrinse a voltarsi.
Il ragazzo che le era davanti l'attirò a se e l'abbracciò, cullandola tra le sue braccia. Bonnie si sentì al sicuro. Un profumo fresco, che ebbe il potere di calmarla e di schiarirle, la colpì invadendo i suoi pensieri.
Sgranando gli occhi e ricordò.
“L'angelo custode”
<< Non devi avere paura di me. >>
<< Chi sei? >>
<< Il tuo angelo custode. >>
Il cuore di Bonnie perse un battito e si divincolò dall'abbraccio del ragazzo. Sul suo volto era dipinto un sorriso decisamente divertito.  *





Il mondo prese a girare e, scossa nel profondo di me stessa, i miei occhi tornarono a riflettere nella mia mente i profili del piccolo spazio verde e naturale. L'odore selvaggio di muschio e terriccio mi colpì, disorientandomi qualche secondo.
Un tocco mi sfiorava le braccia.
Alzando lo sguardo trasognante, incontrai quello corrucciato di Stefan, fissarmi con attenzione. Chiamava il mio nome e nella voce vi era un riflesso di angoscia, accompagnata dai suoi scuotimenti.
<< Continuano a tormentarmi >>, soffocai trai singhiozzi quelle parole pronunciate, come se fossero quel fiume di lacrime che rigava le mie guance.
Scuotendo la testa e sentendo i riccioli rossi accarezzarmi gentili il viso, scacciai quelle immagini che per un non niente erano in grado di prendere possesso della mia mente e giostrare le mie emozioni, scavando e alterando i miei dubbi e le mie domande senza risposta.
<< Cosa? >>
<< Questi ricordi >>, risposi con un sospiro di disperazione, ammettendo a voce alta e a me stessa che ciò che vedevo di continuo non erano altro che ricordi dimenticati.
La consapevolezza mi attraversò da capo a piede con un’intensità travolgente e mai provata prima. Erano pezzi di memoria, pezzi di vetro acuminati di qualche vaso rotto, dove ferirti, tagliandoti e provocandoti un graffio sulla tua pelle, era inevitabile. 
<< Ricordi? >>
<< Si, ricordi >>, confermai, trovando coraggio per guardare Stefan. 
Usando quella novità appena compresa e dopo averla accetta, prendendone atto, trovai il coraggio necessario per ripercorre con rapidità ciò che la mia mente, fino a quel momento, aveva deciso di mostrarmi, riportando a galla alcuni momenti passate e tutte parlavano di un’unica persona che sembrava possedere tutte le risposte alle mie domande lecite: Damon Salvatore.
<< Devo fare una cosa. >>
E prima ancora che Stefan potesse aggiungere altro, mi divincolai da quella presa tenue e iniziai a correre, diretta da quel primo vampiro che mi aveva iniziato a questo mondo oscuro, dove sentirmi persa nella sua oscurità mi terrorizzava, come il pensiero di affrontare questo argomento con Damon.



 
~



Boccheggiando, fissando con occhi sgranati l’asfalto freddo, sentì scivolare la mia anima verso quell’oblio di contraddizioni e timori. Mentre ancora una volta la mia mente mi riproponeva per l’ennesima volta l’immagine di Damon, di me, di quell’abbraccio, cercai disperatamente di capire dove mi trovassi, mentre la mia mente era occupata a collegare quelle immagini in un momento preciso del passato.
Avevo lasciato quelle immagini vagare a briglia sciolta nella mia mente, senza barriere o restrizioni. Nonostante queste fossero sempre più chiare e più vivide, con loro c’era sempre quella scia di un mondo delicato appartenente a quello dei sogni. 
Mi fermai, poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Il bruciore alla gola si alternava con quello ai polmoni. 
Un angolo della mia mente era pronta ad immaginarsi l’incontro con Damon, pensando allo stesso tempo le parole che avrei dovuto usare e cosa rivelargli, che domande gli avrei voluto porgere.
Lo avevo definito il mio angelo custode e da tale si era sempre comportato. 
Esausta, emisi un lamento soffocato e, portandomi i capelli sciolti dietro le orecchie, volsi lo sguardo davanti a me. Incominciai a cogliere ombre indistinte che, legandosi insieme, andavano a formare delle immagini indistinte. Viali e alberi, panchine e distese oscure di un prato che alla luce del giorno sarebbe stato di verde scintillante. 
Il parco.
Sbattendo gli occhi, mettendo a tacere e da parte quei pensieri dissennati, smettendo di respirare, ancora prima che la mia mente potesse formulare quelle parole per dar vita ad un pensiero, colsi con disappunto che le mie stesse gambe mi avevano condotta in quel luogo dove tutto era incominciato in quella notte dimenticata. 
Ricordai a me stessa quanto in realtà ero stata attratta da questo posto scorso solo in lontananza. Ora sapevo perché. La chiave di quell'enigma, di quella strana attrazione per questo luogo, era celata dai miei ricordi passati.
<< Guardate chi abbiamo qui. >>
Una voce mi riscosse bruscamente dai miei pensieri, facendomi prendere contatto con la realtà. Voltandomi verso questa di scatto, vidi un gruppo formato da cinque ragazzi avvicinarsi sghignazzanti nella mia direzione. 
Un campanello d’allarme suonò in quella parte di me che aveva per dimora la ragione. L’altra, quella che obbediva agli istinti che la mia natura mi spingeva a compiere e che mi imponeva, fece comparire agli angoli della mia bocca un accenno di primo e lieve sorriso. Il bruciore alla gola diminuì, mutando in un piccolo solletico. I canini, tuttavia, incominciarono a premere sul labbro inferiore, bramosi di ghermire la preda.
Tutti cambiamenti inaspettati che affievoliva il vociare della battaglia interiore che in me stava avvenendo e innalzava quello del vociare dei ragazzi, pregustando al col tempo il momento precedente alla caccia.
Per quanto fossi consapevole che mi dovevo allontanare il più in fretta possibile da loro, ero attratta dall'odore di vita e da quello del sangue che scorre caldo nelle vene. Una forza invisibile mi allettava ad attaccare, proponendomela come unica via per quietare i miei bisogni di saziarmi. Ancora una volta l’essenza di essere un vampiro mi spingeva a mettere le mie necessità in prima linea, suggerendomi di essere egoista e prendermi ciò che la natura mi offriva.
<< Simon secondo te è muta o sorda o entrambe le cose? >>, domandò un ragazzo dai capelli scuri che sembrava essere la guida e l’istigatore del  gruppo. 
L’odore dell’alcool mista al fumo che fiutai, mi nauseò. 
<< E dai Lucas, lasciala stare >>, gli fece eco quello che doveva essere Simon: un ragazzo basso e capelli chiari. << Forse si è soltanto persa ed è spaventata. >>
<< Oh ma allora è fortunata, dolce donzella >>, aggiunse Lucas, compiendo quello che si avvicinava ad essere un vago inchino e facendo l’occhiolino agli altri tre ragazzi alle spalle. << Ci pensiamo noi a lei. >> 
Quando Lucas si avvicinò a me, superando quella che avevo stabilito essere la linea massima che un umano mi si poteva avvicinare, sentì entrare in contatto con la mia guancia due dita calde.
<< Sei ghiacciata >>, stabilì ancora la voce rauca di Lucas, i suoi occhi erano due pozzi velati e color cioccolato. << Ragazzi, la nostra amica forse ha bisogno di essere riscaldata. >>
Un pensiero irrazionale si creò nella mia mente. Un pensiero che seguiva il volere del mostro e che aveva il sapore dolce del sangue.
La Bonnie piccola e indifesa, la Bonnie umana stava già tremando, con gli occhi spauriti e sgranati, incapace di reagire, incapace di scappare. Ma non questa Bonnie immortale e letale che sapevo essere diventata. 
Sentendo una forza fino ad a quel momento sconosciuta incominciare a nascere in me e a scorrermi nelle vene, ricordai a me stessa cosa fossi.
Il respiro divenne corto, potevo percepire il vago ricordo dell’eco del cuore battere all’impazzata, pompare sempre più sangue nelle vene, lasciando che nel mio corpo si propagasse un calore che portava le mie mani a sudare. La sensazione del potere, di sentire in queste la possibilità concreta di riuscire a difendermi senza aspettare l’arrivo di nessuno, senza che qualcuno corresse un qualche pericolo nell’intento di soccorrermi, inebriò i miei sensi e quel mostro famelico che sapevo nascondere in parte oscura di me, iniziò a scalpitare.
In una parte remota della mia mente, sentì la voce di Stefan ammonirmi che gli umani erano attratti da noi, dai vampiri. A quel fulgido pensiero, l’istinto da predatore si fece ancora più forte.
Mi accorsi distrattamente che i miei occhi non vedevano più quei cinque ragazzi come indifesi, piccoli umani, dove basta un non niente per far cessare la loro vita, li vedeva come prede, come coloro che saziavano la fame che sentivo da tempo, da troppo tempo.
Inclinando la testa di lato, quando Lucas alzò un dito verso di me, afferrando un boccolo rosso dei miei capelli e tirandolo, con velocità che ancora dovevo sperimentare fino a che punto questa potesse arrivare, i miei muscoli si mossero rapidi e letali. Come un predatore famelico, lo afferrai, per avvolgere la sua mano nella mia. Sotto la pressione che esercitai intorno alla sua mano, sentì il suono rabbrividente delle ossa che si rompono, accompagnato da un urlo agghiacciante.
Voci e rumori mi giunsero lontani. 
La mia attenzione era canalizzata nella sorpresa di riuscire a percepire l’incredibile flusso del sangue. Con un semplice tocco potevo percepirlo scorrere nelle vene di quel ragazzo. Il suo cuore era solo un ronzio permanente da quanto batteva forte, incrementando ancora di più quel nettare rosso che io stessa mi ritrovavo a bramare più di qualsiasi altra cosa. 
La temperatura corporea del ragazzo si era alzata. A contatto con il mio corpo, sentivo il suo tremare per la paura.
Paura.
Nessuno prima di allora aveva avuto paura di me, di un esserino piccolo e dallo sguardo innocente e puro. Così molti mi avevano definito, perfino Matt qualche ore prima.
Il ragazzo che tenevo stretto, Lucas rammentò la mia mente, bisbigliò qualcosa simile ad una preghiera. Io avevo smesso di avere fede nel momento in cui avevo negato alla mia famiglia una verità che portavo sulla pelle, dal momento in cui vidi mia madre china con la testa sul tavolo della cucina, illuminata da una luce soffusa. Al suo fianco mio padre che le massaggiava un braccio in segno di vicinanza e conforto. Gli occhi arrossati prosciugati dalle lacrime versate.
A quei ricordi, una lacrima involontaria solcò la mia guancia.
Una fitta di dolore acuto, forse la più forte da quando mi ero risvegliata, mi pervase il corpo. 
Volevo dimenticare.
Ma c'era una domanda che fino a quel momento avevo tralasciato. 
C’era qualcosa di vero in quello che ricordavo e credevo appartenere al passato o qualcosa era stato omesso?
Quelle immagini che mi comparivano dinnanzi gli occhi, rimettevano in gioco tutto quello in cui credevo. Tutto aveva come figurazione il dubbio logorante di quanto, come, quando e perché i miei ricordi erano stati alterati. 
La testa iniziò a pulsarmi, ignara delle vicende che stavano accadendo poco lontane da me e delle quali, per la prima volta, io ero l’antagonista.  
Il mondo divenne offuscato. Ad un tratto mi sentì leggera, come se fossi una foglia ingiallita e sospinta via dal vento autunnale. 
Un bagliore di luce inondò i miei occhi, accecandoli.
Altri ricordi, altri momenti e questa volta provai ciascuna delle sensazione che Damon era capace di scatenare in me.
Tutte quelle volte che mi aveva salvato, perfino quell'ultima volta nella mia vita da umana, lo aveva fatto solo per sentirsi meno responsabile di quel nostro primo evento che condividevamo? 
D’improvviso fui catapultata indietro da tutti quei pensieri e domande, come spinta da una forza in grado di sfocare in un vortice pericoloso tutte le immagini che componevano quell’ormai incomprensibile mondo che mi circondava. Focalizzando il centro del tifone in quel punto dove il profilo di Damon si staccava da una ragazza esile al suo fianco.
Un nuovo scenario si presentò nuovamente ai miei occhi: un parco, dei ragazzi e un odore, quello del pungente e nauseante del sangue. Ricongiungendo quei cocci di memoria e realtà che erano andati in frantumi poco prima, sostituendosi quasi ad un’altra dimensione, con occhi sgranati osservai la pozza del liquido corposo ai miei piedi. Passandomi la lingua in un gesto quasi naturale, sentì le mie labbra intaccate di sangue, i canini appuntiti ancora vibranti di eccitazione per il gusto del sangue. Poggiando due dita a lato del collo del ragazzo, sentì l’assenza delle pulsazioni del cuore.
Lo avevo ucciso.
Era morto.
Non avevo ancora sperimentato cosa potesse significare o cosa si provasse quando un paletto di legno improvvisato o affilato per un solo e ben preciso scopo ti lacera la pelle in una ferita, ma quel dolore che scoppiò in me come una reazione a catena alla mia costatazione, faceva male. Le mie mani, le mie braccia intorno al corpo del ragazzo si slegarono, come se avessi appena scoperto che fosse malato di peste. Sgomentata, incapace di pensare o avere alcuna reazione, sentendomi la gola secca, vidi il corpo di Lucas cadere a peso morto sul viale di quel parco maledetto. 
Lo avevo strappato alla vita, ma a lui non era stata concessa una seconda possibilità. Nessuno si era precipitato con urgenza per tentare di salvarlo. Nessuno.
Lo avevo ucciso per il gusto di farlo, per soddisfare i miei bisogni e per trovare una distrazione da quei miei pensieri. Mi ero comportata come il più terribile dei vampiri.
Quello strano silenzio tetro e di morte che lambiva delicato quel luogo fu interrotto da un urlo disperato. Poi qualcosa mi si avventò contro con forza. Quando realizzai che un amico di Lucas mi era corso incontro riuscendo a gettarmi a terra, percepì l’odore del terriccio umido e bagnato disorientarmi, accompagnato dai graffi e dai pugni che Simon cercava di sferrarmi. 
Era sconvolto. 
Di nuovo in me nacque quell’istinto, quell’incredibile forza che mi spingeva ad usare la mia forza a controbattere a quei colpi. Glielo lasciai fare.
In un impeto veloce, gettati Simon via per poi afferrarlo per i capelli e sbattere la sua schiena contro il tronco di un albero. Prima che potessi rendermene conto, lo obbligai a piegare la testa, lasciando scoperto il collo. In un ringhio affondai i miei canini nel suo collo. Un urlo di dolore si scatenò con energia, mentre il mostro dentro di me iniziò a danzare di gioia. Il sangue che mi scorreva giù per la gola riusciva a sedare quel bruciore, calmando i miei nervi e riportando quell’equilibrio altalenante sotto controllo. Eppure quel sangue aveva il sapore amaro della consapevolezza di ciò che stavo facendo, di cosa ero diventata.
<< No Bonnie! >>
Era la voce di Stefan quella che urlava nella mia testa, impartendomi ordini a queli non avevo nessuna intenzione di abbassarmi.
<< Non farlo! >>
Riconobbi a stento quella voce che subito fui strappa alla mia preda. In un ringhio di battaglia, pronta a scattare e attaccare chiunque avesse osato privarmi del sangue, alzai il mio sguardo, rivelando i canini, e mi scontrai con il volto serio e oscuro di Damon.
Ebbi la sensazione che tutto in me si fosse congelato.
Nel ritrovarmi faccia a faccia con lui, avendo modo così di perdermi nei suoi occhi neri, in me scattò quella reazione alla quale ero stata soggetta più volte nelle ultime ore, portando così un altro ricordo.



La testa le pulsava e sentiva che di li a poco sarebbe crollata. Prima di lasciarsi andare a un sonno che sperò essere profondo e senza sogni, sentiva che doveva fare un'ultima cosa. Si avvicinò cautamente a Damon e dopo un attimo di esitazione gli prese la mano. Damon sorpreso da quel contato, non rifiutò la stretta della ragazza che con sua enorme sorpresa ricambiò intrecciando le sue dita a quelle delicate di lei. Bonnie poteva sentire che tutte le sue paure, che fino ad un attimo prima la terrorizzavano, trasformarsi come per magia in tanti granelli di polvere.
A un tratto il vampiro l'attiro a sé e sotto il suo tocco, che percorreva il suo collo, poteva sentire brividi in tutto il corpo. Mai prima d'ora aveva provato queste sensazioni.
<< Se potessi dimenticare tutto ciò che è accaduto questa sera, se potessi dimenticare l'esistenza di certe creature, lo faresti? >>
<< Cosa significa? >>, domandò Bonnie con un filo di voce.
<< Posso farti dimenticare ciò che è successo questa notte compreso il piccolo particolare dell'esistenza di alcune creature. >> *




Sentì la presa di Damon stringere forte le mie braccia.
Con occhi velati, disorientata e stanca, dietro di lui vidi Stefan dare il suo sangue a Simon, salvandolo. Notai in un’occhiata veloce che gli altri tre ragazzi li aveva soggiogati e indotti a dimenticare, come Damon aveva fatto con me.
Il mio mondo crollò.
Era stato lui…




Mi ritrovai catapultata nella mia stanza, in quel mondo che in svariate occasioni mi aveva accolto e nascosto, origliando i miei pensieri più nascosti, scorgendo ogni sogno più nascosto. 
Con il fiato corto e gli occhi spalancati, la consapevolezza che mi trovassi in uno di quei momenti ormai sempre più frequenti, si manifestò con assoluta certezza quando vidi una ragazza identica a me liberarsi del giubbotto e delle scarpe per poi dirigersi verso il bagno con aria trasognata. Guardando quella me passata nell’iniziare a studiare un pezzetto di stoffa nera legata con cura intorno alla sua mano per poi slegarlo con rapidità e gettarlo con noncuranza nel cestino vicino alla scrivania, un impeto di irritazione e di rabbia mi fece tremare dentro.
Prima ancora che portassi a termine quel mio passo che stavo per compiere per recuperare quel lembo scuro, mi guardai raccoglierlo dal cestino e accarezzarlo con riverenza. Una fitta di nostalgia mi sorprese, in tanto che con occhi piene di lacrime, vidi riporlo in un cassetto della scrivania.
Mentre il mondo cominciò a sfocarsi sotto le lacrime che, per qualche strana ragione, avevano iniziato a scorrere, mi accorsi che il sogno stava volgendo al termine, riportandomi così alla realtà. *




Così fu e non appena i miei occhi focalizzarono quelli di Damon, fu naturale, quasi un bisogno primario allontanarmi da lui. Solo studiando il suo volto di quegli attimi successi, compresi che sapeva la natura di quel gesto.Abbassando gli occhi, sentendo le mie guance umide per via delle lacrime salate e fredde, l’unica cosa che mi premeva, era avere una conferma di tutto quello che fino a quel momento la mia mente mi aveva mostrata imperterrita, lasciando fluire in essa pensieri e contrapposizioni.
Ignoravo il mondo circostante, dove parole e rumori potevano giungermi come informazioni. La presenza di Damon poco lontano da me attirava tutta la mia attenzione, mettendomi in condizione di rigidità e di tensione. Quella necessità di verità, di una prova, di qualche conferma che riuscisse a lenire il tormento di quei sogni e pezzi di ricordi dimenticati, ma ancora di più una speranza tenue che lui non mi avesse tenuto nascosto una tale cosa, premeva più di ogni altra cosa.
<< Ricordo >>, sussurrai incerta di ciò che avrei fatto e di come avrei gestito quella situazione.
<< Lo so >>, rispose secco Damon, ignara di ciò che realmente pensava e di come avesse reagito di fronte alla consapevolezza che avrebbe dovuto affrontare quella questione pensata. << Arriviamo subito al dunque: cosa vuoi che ti dica? >>
Era rabbia quella che sentivo essere il filo che teneva unite quelle parole pronunciate con freddezza per formare una frase che pungeva come il più appuntito degli aghi?
Non comprendendo la natura di quel risentimento e alzando i miei occhi su di lui, che mi fissava con occhi gelidi, sul mio corpo comparvero brividi di tensione. Non sarei riuscita a gestire quella conversazione, ma soprattutto non sarei riuscita a mantenere i nervi saldi davanti ad un Damon che mi guardava con occhi di sfida, tendenti quasi al disprezzo. 
<< Perché? >>, domandai, esternando quei miei dubbi con una sola parola.
<< Perché cosa? >>
Solo quando mi accorsi che Stefan comparve alle spalle di Damon afferrando il fratello per un braccio, mi accorsi di quanto avesse alzato la voce. Però ciò che mi fece indietreggiare e sgranare gli occhi, era la posizione di attacco che aveva assunto, mostrandomi i canini.
<< Damon calmati. >>
Deglutendo, non credendo ai miei occhi, la sola cosa che la mia mente mi spingeva di fare, presentandola come unica possibilità di scelta e senza ammettere alternative, era quella di allontanarmi da quel luogo e da loro, di allontanarmi da lui.
Mi aveva tenuto nascosto quel nostro segreto, quel nostro primo vero incontro. Aveva ignorato la mia richiesta di non cancellare dalla mia mente quegli avvenimenti. Aveva preferito dimenticare lui stesso quello che ognuno di noi, a modo suo, quella sera eveva provato. 
La mia mente, veloce ed efficiente, mi fornì più opzioni per spiegarmi quel comportamento di Damon. Arrivò silenziosa la possibilità che per lui, io rappresentassi un esserino scomodo.
<< Sono io il problema, Stefan >>, dissi, arretrando ancora di qualche passo e vedendo lo sguardo del vampiro dagli occhi verdi studiarmi preoccupato.  
Lanciando un ultima occhiata ad un Damon impietrito, iniziai a correre diretta verso l’uscita del parco. Inconsapevolmente sapevo dove le mie gambe e la mia mente mi avrebbero condotte questa volta: c’era un pezzetto di stoffa nera nascosto nella mia stanza, simbolo di quel mio primo incontro dimenticato con Damon.












L'angolo di Lilydh



Buonasera Girls!

Ecco pubblicato anche il terzo capitolo di Lost in the Darkness: So cold.
Capitolo ricco di avvenimenti e più momenti particolari, dove tutti hanno come protagonista la nostra Bonnie.
Vorrei incominciare proprio dal primo, dove si vede compiere quel gesto che dimostra a Bonnie ancora una volta quanto lui sia davvero amico, quasi un fratello. Mi è piaciuto scrivere questo episodio, mi è piaciuto scrivere di Matt e di questa sua disponibilità nell'aiutare la neo-vampira in questo momento particolare. 
Tuttavia, il momento principale del capitolo è quando Bonnie riesce a comprendere il segreto delle sue visioni. Quando si ritrova nel parco, faccia a faccia con i ragazzi, si presenta anche la prova più grande per lei, oltre a quella nuova sensazione di grandezza che è venuta a sostituire la timidezza e la debolezza. Questo fattore di potere incentiva Bonnie a sperimentare ed esplorare il nuovo lato di se stessa. 
Ma passiamo al punto focale di questo capitolo: Bonnie sa che ruolo ha giocato Damon in questa vicenda.
Interrogativi leciti affollano la mente di Bonni e la reazione fredda e distaccata di lui non aiuta sicuramente la situazione, situazione che Damon non sa come gestire e affrontare. Ne consegue l'innalzamento della barriera del vampiro indifferente.

Nel prossimo capitolo avremo un altro coinvolgimento di Matt e un incontro con una persona che per Bonnie è davvero importante. Ad essere sincera, mi ha emozionato molto scrivere quel momento...
Scopriremo anche come Bonnie è diventata una vampira e qual è stata la causa di questo cambiamento. 

Ricordo che le parti evidenziate con un asterisco sono scene prese da Ricordi di Sangue.

Vorrei ringraziare tutte le persone che leggono la mia storia silenziosamente, che la recensiscono e che la aggiungono tra le preferite, le ricordate o le seguite.

Grazie!!!!

Per ultimo ricordo che nel mia pagina autrice troverete i contatti Twitter e Facebook, più le altre mie storie.


Aspetto le vostre recensioni.

Al prossimo capitolo,
Lilydh
 





 

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Capitolo 4
*** Birth and Death ***






Birth and Death


 
Capitolo 4



 
 
“Più dolce sarebbe la morte, 
se il mio ultimo sguardo avesse il tuo volto.
E se così fosse, mille volte vorrei nascere
per mille volte ancor morire.”

 ( Amleto -  W. Shakespeare )




 



   Era come me la ricordavo. 
Con gli occhi fissi ed impegnati a non chiudersi anche solo per l’insignificante attimo di un di secondo per la paura nascosta che qualcosa potesse mutare, contemplai con nostalgia quel piccolo edificio, come se davanti a me si ergesse qualche monumento di inestimabile importanza e valore.
Sentimenti e sensazioni come tenerezza e malinconia mi iniziarono a cullare amorevoli, accostandosi a quello che i miei occhi erano intenti a studiare in ogni piccolo dettaglio.
Studiando i profili del famigliare luogo domestico, un lieve sorriso tirato comparve agli angoli della mia bocca. Ogni singolo oggetto o piccolo fiore era al suo posto, proprio dove doveva essere. Nel suo insieme, tutto era perfetto. Provai uno strano senso di gratificazione nel constatare che, almeno qualcosa da quel giorno, era rimasto uguale a come lo avevo lasciato.
Mi diedi della sciocca per quell’osservazione.
Cosa mai poteva cambiare nell’arco di pochissimi giorni? 
Tutto e niente.
Quella era la risposta giusta e più completa.
Un bagliore intenso catturò i miei occhi, attraendomi ad esso con un’intensità primordiale. La luce del salotto di casa era accesa, segno certo che al suo interno ci fosse qualcuno. A quel pensiero, su di me calò un velo di tristezza, mascherando dietro esso quel senso di primaria dolcezza. I volti delle persone a me care, che all’interno si aggiravano per i stretti corridoi, inondarono la mia mente.
Avevo agito senza pensare alle possibili difficoltà che avrei incontrato.
Il fulgido ricordo di quel pezzetto di stoffa nera mi ricordò quale fosse stata la causa scatenante la mia decisione di dirigermi verso casa. 
Qualcosa che avrebbe rappresentato un reale problema cominciò a stuzzicare i miei malinconici pensieri, ma prima che questo potesse scostarli del tutto, avvertì il suono di un suono con cadenza regolare, il suno di un cuore che batte. Abbandonando la guardia che i miei occhi attenti avevano preso ad esercitare sulla casa, le mie gambe si mossero da sole, costringendomi a ripararmi dietro un albero dal tronco largo. Portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, ascoltai i passi della figura avvicinarsi al mio nascondiglio improvvisato. Deglutendo e mordendomi un labbro per reprimere l'agitazione crescente, sbirciai il giardinetto di fronte casa, scostandomi di poco dal tronco ruvido dell'albero. I miei occhi individuarono un profilo mascile, alto e con la testa china, le mani affondate nelle tasche dei jeans. Riducendondo gli occhi a due fessure, questi riconobbero il profilo di Matt.
Spalancando la bocca e sgranando gli occhi, mi allontanai ancora di più dall'ombra dell'albero e, anche se per un attimo avevo sperato che non si trattasse di lui perché avrebbe significato che fosse lì per fare visita ai miei genitori, ebbi la conferma quando il viso limpido e giovane fu illuminato dalla luce pallida che diffondeva un lampione, posto lungo il marciappiede. 
Matt.
I ricordi di poco prima che Stefan arrivasse per andare a caccia, giunsero come una secchiata di acqua gelata, colpendomi violentemente, mentre un pensiero che prima aveva solo sfiorato la mia attenzione, divenne reale: dovevo essere invitata per poter entrare in casa.
La domanda di cosa ci facesse lui a casa mia iniziò a vorticarmi nella mente  e senza pensare alle mie azioni, scattai veloce, afferrandolo e trascinandolo con me alle spalle dell'albero.
<< Sono io >>, sussurrai piano al suo orecchio, prima ancora che potesse incominciare a ribellarsi.
Vidi Matt sgranare gli occhi azzurri per poi far ricadere le sue braccia lungo i fianchi.
<< Cosa…cosa ci fai qui? >>, mi chiese, prendendo una boccata d’aria. << Non dovevi essere con Stefan? >>
Cercai di nascondere quel turbamento che avvertivo crescente, concentrandomi e dando precedenza a quel mio bisogno che mi aveva condotto lì. Non sapevo come Matt avrebbe reagito, ma dovevo entrare in casa e l’unico che mi poteva aiutare era lui. Gettando una prima occhiata veloce alle ombre scure che si estendevano lungo i muri della mia stanza, sentì un nodo alla gola, accompagnato da un’ondata di malinconia. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma dovevo provarci. 
<< Matt, ho bisogno del tuo aiuto. >>
<< Per cosa? >>, domandò lui scettico, irrigidendosi all’unisono.
<< Devo entrare in casa >>, risposi cauta, studiando la reazione di Matt. << Devo recuperare una cosa dalla mia stanza. >>
Ignorai le immagini che le mie parole crearono nella mia mente. Non volevo pensare a Damon e a ciò che avrei dovuto affrontare. Non volevo pensare a quell’incontro fugace nel parco e al suo comportamento, ai suoi occhi che gettavano al mio indirizzo ostilità e gelo. Non volevo pensare alle domande che avrei voluto rivolgergli senza la paura di una sua reazione e di cosa avrei potuto scatenare in lui.
Mordendomi il labbro inferiore, scacciando la tristezza e focalizzando ciò per cui ero venuta, alzai lo sguardo in direzione della finestra della mia camera e optai per quella decisione che non avrei voluto prendere.
<< Ti prego Matt, non te lo chiederei, se non fosse davvero importante >>, dissi, avvicinandomi a lui di un passo, sperando che potesse davvero scorgere quell’importanza nei miei occhi e nelle mie parole e che sentivo forte dentro di me. 
<< Posso sapere almeno di cosa si tratta? >>, domandò Matt, incrociando le braccia. Nei suoi occhi scorsi una sottile curiosità e propensione a quella richiesta.
<< Devo provare a vedere se una cosa che ho riposto tempo fa in un cassetto c’è ancora. >>


 
~



Era una seconda presenza che accompagnava i passi lenti di Matt nel salire le scale. 
Inumidendomi le labbra e concentrandomi sulla voce femminile in sottofondo, l’azione superò di velocità la mente, ancora una volta. Prima che questa riuscisse a fornirmi la soluzione a quel quesito che si era appena presentato, nella mia stanza vidi comparire una figura alta e sottile. I capelli lunghi e rossi erano tenuti legati da un elastico in una coda alta e gli occhi, velati di una profonda tristezza, erano di un verde chiaro che tendeva quasi  all’azzurro.
Alla sua visione, riconoscendo quella presenza, un tuffo al cuore e un vuoto allo stomaco si formò all’improvviso, lasciandomi interdetta e con la bocca semichiusa. La tristezza mutò in senso di perdita, invadendo la mia sfera emozionale con quelle stesse lacrime che avevano solcato le mie guance alla infelice notizia della mia stessa morte. I miei occhi nocciola, imperlati da lacrime salate che iniettavano bruciore, erano intenti a studiare e cogliere ogni centimetro di quel volto prezioso. Memorizzando ciascun elemento, lasciando che questo mi entrasse dentro, marchiandomi, pregando che riuscisse a fare ciò che il sole era in grado di fare e trasmettere per poi non riuscire più a liberarsi di quel ricordo rovente, mi ritrovavi a sussurrare un mi dispiace e uno scusa che aprirono la strada alle mie lacrime. 
“Mamma.”
La figura di mia madre si appannò, facendole assumere contorni sfocati. 
Presa da un impeto di paura nel vedere la sua immagine perdere nitidezza, mi asciugai quelle perle salate, riconquistando così la figura di quel mio punto fermo e costante che giorno dopo giorno mi aveva accompagnata instancabile nella mia vita quotidiana.
“Mamma.” 
I capelli ordinati e raccolti, erano del mio stesso colore: rosso, rosso intenso o delle fragole. I suoi occhi verdi rivelavano tristezza e le borse scure, che risaltavano sulla pelle nivea, producendo un contrasto netto di chiaroscuro, erano quel segno di stanchezza che accompagnava ogni suo gesto lento. 
<< Quando vuoi passare di qui, sai che sei sempre il benvenuto, Matt. >>
La sua voce, la voce di mia madre.
Giungendomi all’udito, mi ritrovai a socchiudere gli occhi e a sorridere. La voce femminile e delicata, per qualche ragione, riuscì a calmare i miei nervi, facendomi sentire più vicina. L'esatta sinfonia di suoni che ebbe un effetto calmante sui miei muscoli tesi e sul mio cuore freddo e fermo. Tuttavia, la mia mente, rapida e calcolatrice, portò alla mia attenzione una costatazione che incominciò a tormentarmi.
Come potevo intrappolare e fare mio quel suono per sempre? Come? 
Per il suo volto potevo avere fotografie e ricordi, ma per quel rumore che poteva avere mille e più venature e cadenze, come potevo ricordarlo per l’eternità?
A quel dilemma, la sensazione di immensa quiete mi abbandonò, gettandomi in un mondo di caos e scompiglio.
Brividi che mutarono presto in un tremore costante, spingenvano sull'esigenza di sentire ancora l'abbraccio di mia madre stringermi forte, intanto che la sua voce, in un lieve e dolce sussurro, mi diceva che tutto sarebbe andato bene. Come mai prima di allora, sentivo la necessità vitale di correre da lei e gettarmi tra le sue braccia. 
Eppure qualcosa riuscì a contrastare quell’urgenza, ad essere abbastanza forte da frenare quel bisogno. Ricordai la mia condizione e pensai alla reazione di mia madre nel vedermi ancora viva. 
Una parte della mia mente si chiese come avrebbe reagito mia madre, la mia famiglia, nello scoprire che, anche se non più umana e mortale, fossi ancora viva. Non appena formulai quel pensiero, incominciaia costruire quella scena, immagginarmi in essa, dove mi presentavo al cospetto dei miei genitori e rivelavo loro ciò che era successo davvero, iniziandoli ad un mondo del quale, forse, solo mia madre sospettava la sua esistenza.
La nonna sapeva di questo mondo occulto.
Una vaga speranza ebbe il vigore di incominciare a brillare dentro di me. Al pensiero che, in qualche modo, sarei riuscita a riprendere in mano la mia vita, ritornando ad un presente che si avvicinava ad essere il riflesso di un passato non troppo lontano, soggiogò la mia mente ad espormi quel che bastava per essere vista.
<< Sai Matt, forse ci trasferiremo >>, disse ad un tratto mia madre con un sorriso tirato.
Il cuore di Matt aumentò il suo battitto e con esso il tremore e i brividi fastidiosi che sentivo lambire la pelle del mio corpo.
Vedendo il suo sguardo indugiare per un secondo di troppo nella mia direzione, ebbi quasi la sensazione che mi stesse porgendo le sue scuse, che in qualche modo mi volesse proteggere anche da questa notizia. Nel volto divenuto leggermente pallido, vi lessi la fretta di formulare una risposta che accontentasse mia madre, in attesa della sua opinione.
<< A Chris è stato offerto un lavoro >>, continuò mia madre per placare la sorpresa nel volto di Matt, riflesso reale del mio, misto alla rassegnazione. << Dovevamo comunicarlo alle ragazze la settimana scorsa, ma…>>
La voce di mia madre si affievolì fino a quando non fu rotta da un solo singhiozzo.
Vidi Matt muoversi sicuro e abbracciare d’istinto mia madre. A quella scena di quel gesto amorevole e di conforto, provai una fitta di gelosia e irritazione. Avrei dato qualsiasi cosa per essere al posto di Matt, per godere del tocco di mia madre e del calore di un suo abbraccio.
<< Se questo potrebbe essere un modo per ricominciare, sono felice per voi >>, concluse lui, staccandosi con occhi bassi.
<< Per la mia Bonnie sei stato sempre un amico speciale. >>
Trasalì all’udire il mio nome. Alla bocca dello stomaco si formò un vuoto incolmabile e profondo, che riuscì a riempire fintamente con un sospiro, inumidendomi le labbra secche.
Un rumore ripetuto e squillante si frappose trai miei pensieri e la stretta al cuore che mi teneva ancorata sul posto.
<< Telefono. Vado a rispondere >>, disse mia madre con un sorriso tirato, uscendo così dalla stanza. 
Su quella stessa sensazione di vuoto, si posò qualcosa di più pesante, portandomi un senso di fastidio e di lontananza. 
Vidi Matt aspettare che mia madre rispondesse al telefono e che si immergesse in una conversazione con una sua amica, per poi avanzare verso la finestra cauto e, in modo lesto sbloccando la serratura, la aprì.
<< Entra >>, sussurrò piano e compiendo qualche passo indietro.
Ritrovarmi dentro quel mio piccolo mondo privato, mi regalò un altro senso di tranquillità. Facendo scivolare i miei occhi sui singoli oggetti, fissandoli per secondi, costatai che anche quel luogo era rimasto inalterato.
L'incontro con mia madre, avvenuto da una lastra fredda di vetro, aveva fatto passare in secondo piano quel mio mondo dove più di una volta avevo trovato un rifugio sicuro. 
Trovai conforto nel vedere che tutto era rimasto nel modo in cui io lo avevo lasciato. Vedere i miei libri, le mie cose, era un balsamo lenitivo per ogni parte di me, interna ed esterna. Non ascoltai quella triste novella che avevo appreso dalle parole di mia madre sul trasferimento.
I miei occhi tristi divennero vagabondi in quel modo, dove le pareti di un rosa pallido e antico facevano da sfondo ad un'unica libreria a più scaffali piena di libri, alcuni letti, altri iniziati ma abbondonati. Sorrisi quando incontrai una cassettiera dove su essa avevo posto quei vecchi peluche che raffiguravano animali di ogni specie.
Foto di momenti passati e felici, incorniciati accuratamente, una vicina all'altra con Elena, Caroline e Meredith, piccole ed ignare di un mondo del quale ognuna di noi era entrata a far parte.
Sospirando di quegli attimi persi, sorridendo malinconicamente, mi ritrovai a sfiorare con le dita la superficie della mia scrivania, ripensando alle sere passate a studiare. 
I miei occhi si soffermarono su quella fila composta da solo due cassetti e, secondo ciò che quei strascichi di pezzi di memoria passata mi suggerivano, la prova che avrebbe fatto crollare il mio mondo in modo definitivo si trovasse nell’ultimo. Chiudendo gli occhi e prendendo un grosso respiro, aprì decisa quel cassetto. La mia mano incontro sul suo fondo qualcosa di liscio. Quando il mio occhio intravide la stoffa nera, dando così un volto a ciò che il tatto percepiva, deglutì, ascoltando quella trsistezza svanire e sovrastata dalla rabbia che iniziò a fluire nelle mie vene.
<< Matt scendi >>, sussurrai piano, incapace di compiere pensieri razionali.
<< Bonnie… >>
<< Ho preso quello che cercavo. Grazie. >>
Il respiro si fece più grave e percependo i passi di Matt avvicinarsi a me, lasciai che l'istinto decidesse il compiere delle mie azioni: in una rapida folata abbandonai velocemente quel luogo a me tanto caro, senza pensare a chi l’abitasse. 


 
~



Avevo incominciato a correre senza pensare a dove i miei passi, portati ad un ritmo troppo incalzante, mi stessero conducendo. 
Non trovavo quel coraggio necessario a fermare quella mia folle corsa verso nessun luogo. 
Ciò che tenevo stretto con disprezzo tra le mie mani, bastava a confermarmi che tutto quello che nella mia mente compariva e svaniva in un ciclo continuo, era del tutto veritiero. Il volto di Damon, accompagnato da quei primi momenti che componevano il nostro primo vero incontro, mi faceva male. Quel dolore di quella menzogna scavava più affondo, lasciando spazio ad altro rammarico nel pensare a come mi aveva parlato poco prima.
Perché Damon si era comportato in quel modo?
Trattenendo per un secondo di più il fiato, ricordai quegli ultimi momenti da umana, dove la mia vita volgeva al termine. La mia mente ricordò con assoluta precisione il suo volto chino sul mio, le sue parole, le sue carezze e quella decisione che aveva preso più per se stesso che per me. Lo sapevo.
Sentivo la testa appesantita. I polmoni bruciare.  
La credenza che la fatica sia l’unico modo per far tacere pensieri, lasciandoti per qualche minuto sospeso ad ascoltare il tuo stesso respiro, in quel momento si rivelò falsa. Fermandomi, riprendendo fiato, ignorando la mia gola in fiamme, calai lo sguardo sul mio polso destro e chiuso. In esso quel pezzetto di stoffa nero. All’altezza degli occhi portai la mia mano sinistra, dove in un qualche passato vi era stato un graffio e dove un vampiro, dove Damon, lo aveva coperto con un lembo della sua camicia, quello stesso pezzetto che adesso era nel mio polso destro.
Deglutendo e guardandomi intorno, constati che dinnanzi a me si apriva uno dei vicoli bui e selvaggi dove le creature della notte, creature come me, ormai in città avevano preso il dominio. Illuminata da luci fioche, dove l'asfalto era sporco in alcuni punti di macchie scure e alcuni mattoni dei muri degli edifici, che delineavano il perimetro rettangolare e allungato, erano scalfiti e graffiati da segni di una pesante lotta. La stradina era stretta ed isolata, una stradina che i miei pensieri conoscevano bene.
Stralci di parole, urla, minacce mi ronzavano vicino all'udito, facendomi credere che fossi tornata a qualche giorno prima. Azioni veloci, mosse veloci, la paura e l'ansia che i respiri affannati cercavano di nascondere.
La mia mente, spinta dal ricordo, forse mi aveva condotta in quel luogo per far aumentare quel senso di perdita?
Disperata per quel pellegrinaggio da un posto significativo per me ad un altro, mi abbandonai contro un muro di uno dei due edifici ai lati del vicolo. Scivolando lungo questo, freddo e anonimo, mi sentì sprofondare in un’eterea sconsolazione. Portandomi le gambe al petto e abbracciandole, trovai un rifugio caldo in quel mondo freddo. Riparandomi lo sguardo tra le ginocchia e il mio petto, iniziai a singhiozzare solitaria.
Era come remare contro corrente, cercando di averla vinta contro quella forza vigorosa e padrona.
La prese di coscienza di quel luogo, di cosa rappresentasse per me, mi aveva tolto le forze, privandomi di queste e lasciando che i miei demoni mi abbattessero nella più buia delle oscurità.
Non ebbi la forza di contrastare il ricordo. Ad occhi chiusi, dinnanzi a me, si materializzo quello stesso vicolo, dove vi erano tutti gli elementi presenti quella sera, ogni rumore. Il ricordo ancora vivido, riuscì a trasmettermi quel silenzio serpentino ed inquietante, quella percezione di pericolo nell’aria e senso di terrore che aveva afferrato il mio cuore. Potevo ricostruire tutti i dettagli colti a primo impatto e in un secondo momento. Il sangue rosso. Sangue ovunque. E poi quell’odore acre, nauseante. La scoperta della fonte di essa. Stefan di fronte a quell'uomo da un potere sovraumano. Gli occhi di entrambi traboccavano dall'astio e dalla sfida. 
Mi si mozzò il respiro nell'immaginare, nel vedere quello che accadde dopo e, spalancando gli occhi, urlando, cercai aria da immettere nei polmoni. La testa poggiata contro il muro, rivolta al cielo. Avvertendo il mio respiro tornare regolare poco a poco, rimasi soggiogata nell'osservare la volta celeste, dove tutto era infinito ed eterno, con le sue stelle, punti luminosi, compagne della notte. 
Prendendo un respiro profondo, abbassai lo sguardo e trovai coraggio per lanciare una rapida occhiata nel punto esatto in cui il corpo di Stefan era martoriato dal dolore e da ferite, i suoi vestiti insanguinati e l'uomo trionfante in piedi a pochi centimetri da lui.
Non sapevo con esattezza come identificare ancora quella forza incredibile che era nata dentro di me e si era amplificata per poi esplodere in una corsa contro un potente cacciatore. Le gambe si mossero da sole e senza alcun permesso, la mia mente aveva preso quella decisione di frappormi fra un paletto di legno e un corpo duro come il marmo. Nell'istante in cui mi parai di fronte a Stefan, il colpo arrivo con precisione e potenza. 
Il tempo si era fermato all'improvviso e un silenzio gelido era calato intorno a me. Lo ricordavo bene.
Fu come un lampo che irrompe in una notte oscura seguito dal rombo imminente del tuono: improvviso e assordante. 
Nel momento stesso in cui sentì squarciarmi il petto, spalancai gli occhi.  Istintivamente portai le mani all'altezza delle clavicole e con mano tremante, osservai quelle dita macchiate del liquido ematico.
In quei secondi non vedevo il nero della notte, ma solo rosso. Rosso vivo, intenso. Quel rosso che poteva e aveva solo il sangue.
Una prima lacrima salata scappò al mio controllo che esercitavo io stessa su di me. Chiudendo gli occhi, lasciai che il ricordo continuasse con autonomia propria, lasciando che questo mi regalasse l'illusione di poter rivivere quel momento magico.




Un freddo inatteso mi colse impreparata, gettandomi in un tremito cosparso di brividi che, sparsi in tutto il corpo, mi incominciarono a pervadermi e ad agitarmi da dentro. Sentivo che da un momento all'altro le gambe non sarebbero state più in grado di sostenere il peso del mio corpo. La vista incominciò ad annebbiarsi e il freddo aumentò, penetrando le ossa.
Quando mi accasciai a terra credendo di sbattere la testa per terra, due braccia, contro ogni mia più improbabile previsione, mi avvolsero protettive. I miei grandi occhi color nocciola, desiderosi solo di abbracciare un buio lenitivo, che scacciasse via il dolre, riconobbero quei due occhi neri in cui milioni di volte avevo immaginato come sarebbe stato perdersi e non farvi più ritorno.
<< Damon. >> 
Ascoltai con rammarico la voce rotta dal dolore che aveva preso ad attaccarmi dall’interno del mio corpo.
<< Shhh >>, sussurrò Damon, accarezzandomi una guancia.
Anche in quel momento lui era arrivato, era vicino a me. Io non desideravo altro. Era comparso allo scoccare dell'ultimo secondo per salvarmi. Di nuovo.
Sentendo la sua mano lasciarmi una traccia infuocata sotto quel tocco delicato, chiusi gli occhi nella speranza di poter assaporare fino all'ultima fiammella di quel fuoco che ardeva nel profondo del mio cuore.
Poteva esserci della bellezza nella morte?
Ne bramavo ancora, ancora, ancora e ancora fino a che non avrei chiuso gli occhi per un eterno riposo. 
Una voce alle porte della mia mente mi suggerì un nome, una persona che necessitavo sapere come stava.
<< Stefan >>, incominciai aprendo gli occhi, ma Damon mi zittì, ponendo un dito sulle mie labbra.
 << Silenzio uccellino. >>
Alle mie orecchie arrivarono parole sussurrate e trafelate con velocità tale da poter stuzzicare la mia curiosità, eppure non volevo spostare il mio sguardo su quella fonte quando potevo ammirare quello di Damon, come non lo avevo mai visto prima. I suoi occhi esprimevano appieno ciò che la sua bocca non pronunciava. Quei due occhi rivelavano pensieri che nel vampiro si scontravano rumorosi, senza riuscire a sfogare la loro reale forza. Quei due stessi occhi che davano vita a uno sguardo così intenso che non accennava a voler distogliersi dal mo. 
Forse era questo il magnetismo: una forza che porta la tua stessa volontà a non volersi allontanare da quel polo negativo appartenente ad un altro corpo. Una forza che assotigliava la differenza tra opposti fino a renderla nulla, inesistente, così da confondere la mente. 
Si, forse era questo il vero magnetismo tra due persone. A quel pensiero, sorrisi.
<< Non ti lascerò morire, non te lo permetterò >>, disse Damon, continuando a familiarizzare con i lineamenti del mio volto a forma di cuore. << Chiudi gli occhi mia piccola streghetta. >> 
Non chiesi perché e ubbidì a quella voce tanto dolce che sembrava essere quella di un angelo.
Dapprima avvertì una lieve carezza sulla mia fronte, morbida e delicata, l’attimo successivo, senza che queste in apparenza avessero un qualche legame, sentì una pressione soffice e leggera, come la neve posarsi sulle mie labbra. Un sapore dolce inebriò i miei sensi, intanto che il mio cuore pulsò con forza, accogliendo così un senso di pace e di pienezza.
Ero già arrivata in paradiso? 
In realtà non mi interessava avere una risposta perché paradiso o no, in quel momento per me perfetto, mi sentivo bene, viva, completa.
Anche se qualcosa, come un bruciore misto al dolore mi sfiorò vicino alle clavicole non me ne curai. Tutto in me e di me era perso ad assaporare quel dolce aroma di quella neve, così fresca e delicata, ma totalmente inaspettata e questo rendeva la morte ancora più bella. Quando il tocco delicato di quella neve leggera sulle labbra si sciolse, aprì lentamente gli occhi, risvegliandomi da un mondo manipolato e creato da quelle sensazioni nuove miste al dolore.
Sbattendo gli occhi, riuscì a visualizzare Damon mordersi il polso e posarlo repentino sulle mie labbra. La bocca mi si riempì di sangue dal sapore disgustoso. Ebbi l'irrefrenabile impulso di togliermi il polso dalle labbra, ma ero troppo stanca per provarci o per combattere contro Damon che non me lo avrebbe permesso di fare.
Non potei fare altro che ingoiare quel liquido rosso e lasciare che il buio mi avvolgesse. Chiudendo gli occhi con l'immagine di Damon e una luce ad illuminare i suoi di occhi, l'ultima cosa che sentì, fu l'eco dell'ultimo battito del mio cuore.





Tornare alla realtà fu una lama a doppio taglio. Il ricordo di quegli ultimi minuti da umana rincorrevano la mia mente come un bambino desideroso di giocare rincorre la mamma per costringerla a giocare con lui.
Una folata di vento si sollevò, sfiorandomi fresca la pelle e con essa percepì una nuova presenza materializzarsi nel vicolo.
Rivolgendo il mio sgurado ad essa, incontrai la sua figura nera e bella, fiera ed elegante allo stesso tempo.
Damon.
In quel volto dai lineamenti scolpiti, freddi e inanimati, privi di emozione, rividi in rapida successione tutto ciò che era successo in quelle ultime ore. Senza che me rendermene conto, senza che ne fossi davvero e completamente consapevole, alzandomi d’impeto, mi scagliai contro di lui, spinta da una rabbia incontrollabile.


 








L'angolo di Lilydh

 

Buonasera Girls!

Puntuale, ecco qui il quarto e penultimo capitolo di “Lost in the Darkness”.

In So Cold abbiamo lasciato Bonnie, dopo un breve incontro/scontro con Damon, prendere una decisione: quella di ritornare nella casa in cui è cresciuta e recuperare ciò che poi le ha confermato quello che i suoi ricordi le hanno rivelato.

A fine commento dello scorso capitolo avevo preannunciato che ci sarebbe stato un incontro che avrebbe toccato particolarmente Bonnie.

Ha rivisto la sua mamma. Mentre scrivevo questo momento, immedesimandomi nello stato d'animo di Bonnie, tutto ciò che avrebbe potuto provare, mi ha fatto pensare davvero a come una persona possa intrappolare il suono della voce di un'altra che gli stia a cuore, soprattutto se è una figura importante come quella della mamma.

Per quanto triste possa essere stato, mi è piaciuto descrivere e scrivere di questo momento.

Per Bonnie c'era solo lei e tutti i pensieri, perfino la sua camera dove ci sono le sue cose, passano in secondo piano.

Tuttavia, in un crescere di emozioni, arriva la nota dolente: quello che Bonnie sospettava diventa reale. Damon e il loro primo incontro.

Successivo a questo momento, conosciamo anche il luogo e il momento, il modo in cui Bonnie viene trasformata.

Anche questo momento del ricordo passato mi ha emozionata. L'ho scritto di getto, le parole arrivavano da sole. Spero che comunque anche voi lo abbiate apprezzato e che vi sia piaciuto.

La nota dolente, come ciliegina (amara) sulla torta, abbiamo la comparsa di Damon nel vicolo e di Bonnie che si, sovrastata da ciò che è successo fino a questo momento, attacca il vampiro.

E adesso? Cosa succederà nell'ultimo capitolo di questa storia?

Vi dico che senza ombra di dubbio ci sarà il fatidico confronto e conosceremo le ragioni di Damon.

In che modo? Be, dovrete aspettare qualche giorno prima di scoprirlo. 

Detto ciò, non posso non ringraziare tutte le ragazze che leggono capitolo dopo capitolo e che li recensiscono, chi legge silenziosamente o a chi aggiunge la storia tra le preferite e le ricordate o le seguite, chi legge in silenzio e chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti.

Un grazie a ciascuna di voi! ^^

Spero che questo quarto capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia delusa.

 

Al prossimo capitolo,

Lilydh

 

P.S. Non so voi, ma io a.d.o.r.o la citazione tratta da Amleto ad inizio capitolo.

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Capitolo 5
*** Apologize ***



Apologize

Capitolo 5 




 
"I’m holding on your rope,
Got me ten feet off the ground
And I’m hearing what you say but 
I just can’t make a sound
You tell me that you need me
Then you go and cut me down, but wait
You tell me that you’re sorry
Didn’t think I’d turn around, and say…"

(Apologize - One Republic)






  I film si sbagliavano.
I registi commettevano un grave errore nel descrivere il momento dove un personaggio scatta contro un altro per colpirlo, come infinito o lungo. Anche se tra questi correva un minimo spazio che li separava, all’occhio di chi vedeva la scena sembrava non finire mai. 
Non era uno spazio infinito quello che avevo coperto con un semplice slancio e in meno di un secondo, ritrovandomi addosso a Damon. Non mi accorsi neanche del momento in cui i nostri corpi entrarono in contatto.
I miei movimenti, i miei colpi, quelli si, mi sembravano lenti, sempre più pesanti e difficili da controllare. Avevo l’impressione che ad ogni nuovo tentativo di colptirlo, questi assumessero sempre più una traiettoria priva di un percorso deciso e, come conseguenza, non arrivassero a colpire il mio bersaglio. La vemenza dei colpi cessò quando realizzai che Damon li schivava con una semplicità inaudita, senza il minimo sforzo.
Mi fermai, bloccando ogni mio arto, che rimase teso e con i sensi in all'allerta, attenti a non farsi cogliere di sorpresa da un possibile attacco. In questo mio stato di assoluta attenzione, notai la parte più combattiva del mio essere un vampiro, segnato anche dai due canini che premevano affilati all'interno del labbro inferiore.
In lontananza avvertì una macchina passare, poi la quiete.
La conquista del silenzio di ciò che ci circondava era ostacolata soltanto dal mio respiro affannato, troppo accellerato per quell'azione che aveva il lontano eco di un violento sfogo.  
Osservvai la schiena del maggiore dei Salvatore essere un tutt'uno con un muro bianco che si innalzava al cielo scuro e si estendeva per la maggior parte del vicolo.
I miei occhi castani visualizzarono con nitidezza il profilo di Damon a pochi centimetri da me. Ciò che appresi da quella vista, mi fece trattenere per un attimo il respiro, provocandomi un leggero bruciore alla gola. Era la tristezza quella che colmava il silenzio di Damon, una nota di malinconia, marcata, quasi tangibile, lasciata esposta al mio sguardo. Gli occhi neri immersi in quella nuova espressione per me sconosciuta, mi inchiodarono con la loro forza, legandomi e trasmettendomi un senso di profonda inquietudine.
Un flash ebbe la forza di riportarmi al momento in cui chiusi i miei occhi, concedendo alla morte di innescare la transizione che mi avrebbe aperto le porte dell'eternità, diventando un vampiro. Ripercorrendo quell'attimo, la scena si arrestò al volto di Damon, dolce e con una luce di speranza negli occhi. Una promessa silenziosa volteggiava in quei pozzi oscuri, una promessa che mi sussurrava che quello era solo un arrivederci e non un addio, una promessa inespressa che mi domandai se solo io riuscissi a leggerla. A quella immagine venne a sostituirsi quella del Damon presente, l'ultima prima che chiudessi gli occhi. Ripensando a ciò che mi aveva spinta ad attacare Damon, ricordando come fossi arrivata a quel punto, abbassai la testa come colpevole di qualche fatto. Concentrandomi per qualche istantente, potevo avvertire gli occhi di Damon fissi su di me, forse per studiarmi, forse per aspettare una mia prossima mossa.
Damon era di fronte a me. 
All'improvviso mi sentì stanca. Le emozioni, le sensazioni, accompagnate dal carico di ricordi e da quel pesante fardello che racchiudevano in una nebbia fitta di domande, mi travolsero con intensità e forza. Per un attimo pensai come sarebbe stato lasciare che quella forza mi travolgesse e mi portasse con lei. 
Una voce limpida nella mia mente mi sussurrò che finalmente potevo avere tutte le risposte che cercavo dall'unica e sola persona che le possedeva. In esse avrei potuto trovare la più grande delle risposte che mi ero posta molte volto da umana: cosa ero io per Damon?
Damon era di fronte a me e potevo avere tutte le risposte.
La mia mente venne affollata da una serie di domande che innescarono un senso di vertigine, mentre queste si manifestavano sottoforma di immagini e teorie su quali potessero essere state le cause che avevano condotto Damon a cancellarmi i ricordi.
Lanciando un'occhiata furtiva al suo indirizzo, notai che i suoi lineamenti erano tornati ad essere spigolosi e i suoi occhi distanti. Di nuovo avevo di fronte il vampiro indifferente.
Lì non vi era più la tristezza, questa era scivolata via, svanita, quando mi ero lanciata contro di lui, nell'intento di riversargli addosso tutto il mio smarrimento. 
Lì non c'era il sole a minacciare la mia pelle con il suo calore, non c'era il sangue a tentarmi con il suo profumo e con il suo sapore inebriante. 
Lì non c'erano volti a me cari che potessero compromettere i miei pensieri, come Mattt o come la mamma. 
Lì c'eravamo solo io e Damon e quella era la mia sola occasione per affrontarmi e affrontarlo.
Il momento era giunto, eppure era una strana paura quella che attaccò la mia mente. Allontanandomi di un passo, tenendo i miei occhi piantati a terra, compresi che quel momento che aspettavo e allo stesso tempo temevo, lo volevo il più lontano possibile da me. Non ero pronta, non sapevo come gestire quell'insieme di rabbia e tristezza, di dubbi ed emozioni. 
<< Penso tu ti sia sfogata abbastanza >>, iniziò Damon con voce dura, interrompendo così il silenzio. << Veniamo subito al dunque. >>
Cogliendo nuve note nella sua voce, rabbrividì, incentivando quel mio desiderio di allontanare quel confronto.
Mi diedi della stupida. 
Espirando, a denti stretti, facendo appello alla parte più forte dentro di me, dicendomi che prima o poi quel momento lo avrei dovuto affrontare, che non lo avrei potuto evitare in eterno, alzai il viso, incontrando il suo. Per qualche strano motivo, non riuscivo a mantenere lo sguardo fisso su di lui per più di qualche secondo. Tuttavia bastò un breve istante per intercettare nei suoi occhi scuri una rabbia cieca, un risentimento che, così come era comparso, sparì. 
<< Penso tu abbia capito che ciò che i tuoi ricordi ti hanno mostrato, si ricolleghi a ben prima che ci vedessimo a casa di Alaric >>, disse Damon, mantenendo la sua posa statuaria e di severità. << Quella è stata la seconda volta che ci siamo visti. >>
<< La prima è stata al parco >>, lo anticipai, sorprendendomi subito dopo del mio intervento e della voce ferma.
Come evocate dalle mie parole, le immagini interessate si presentarono puntuali trai miei pensieri. Nei brividi che solcavano spavaldi la mia pelle, vedevo quelle scene riavvolgersi una volta arrivate all'ultimo fotogramma e ricominciare. Sempre più dettagli saltavano all'attenzione dei miei occhi, fino a quando fui consapevole che non vi era più alcuna differenza tra ricordi cancellati e ricordi appartenenti al mio passato. Li sentivo miei, erano miei, e io li avevo vissuti, ognuno di loro.
Fu in quel momento, davanti a Damon, pronunciando e dando una raffigurazione concreta a quei ricordi, prendendone coscienza fino in fondo, che sentì le lacrime trattenute iniziare a sfociare dalle porte degli occhi, come se rimanessero solo quelle perle salate a completare la lista di come avessi manifestato quel dolore e quella tensione.
In quel mio momento che avrebbe dovuto essere privato, Nìnon volevo che proprio lui mi vedesse piangere, ma abbassando la testa in modo che i capelli sciolti mi nascondessero il viso, percepì che quello era un momento di svolta non solo per me, ma per noi, per me e Damon. 
Temevo quello che mi avrebbe detto. La parte più profonda di me, dove nascevano i pensieri che cercavo di nascondere, di rifiutare con tutta me stessa, nascondeva quello se sarei riuscita a perdonare Damon di aver portato via una parte di me, cancellandomi ciò che mi apparteneva di diritto e togliendomi ciò che avevo provato e sentito fin da quel primo momento per lui. Negare era inutile.
<< Bonnie … >>
Trasalì a quel nome, a quella voce dove una nota calda giunse a riscaldarmi. Per un attimo credetti che era stata la mia mente ad immaginarsi quel leggero soffio tra le labbra, ma sentì un passo, seguito da un altro. Trattenni il respiro, ascoltando il silenzio che mi circondava, questa volta totale. Collegandomi con l'ambiente intorno, mi chiesi se il mondo si fosse acquitato solo per lasciarci quella giusta intimità. Damon fu vicino a me. Sentivo la sua presenza, il suo calore, il suo respiro, il suo sguardo fisso su di me. D'improvviso in me nacque il bisogno di gettarmi tra le sue braccia e lasciarmi cullare dal loro abbraccio, mentre le carezze e lo sfioro della sua pelle sulla mia annullava la mia pena e la mia tristezza, indicandomi la strada che mi avrebbe fatto accettare il mio recente cambiamento. Volevo che mi circondasse con quel calore che solo lui riusciva a trasmettermi, facendo nascere in me l'assoluta certezza che non ce l'avevo con lui, che lo avevo perdonato per avermi privato di quel nostro primo vero bacio, per quel momento dove il mio sentimento per lui aveva preso a sbocciare. Eppure, nel momento in cui nel mio campo visivo, fisso a terra, entrò una mano fasciata da una camicia nera, l'impulso di allontanarmi fu più forte. Compiendo un passo indietro, la mano di Damon ricadde nel vuoto, delusa e ferita.
All'istante mi pentì di averlo respinto così. Perché lo avevo fatto?
<< Fa come ti pare, non ho intenzione di perdere tempo con te >>, ricominciò gelido, come i suoi occhi.
Mentre il mondo intorno a me non divenne che una pallida ombra grigiastra, vidi Damon distaccarsi da me, superandomi e dandomi le spalle. Il senso di dolore e il freddo che scatenarono quell'azione, mi fecero tramare di paura. Non volevo che se ne andasse.
Lo vidi compiere un passo. Lo vidi allontanarsi da me.Lo vidi avvicinarsi all'uscita di quel vicolo e poi, lo sapevo, sarebbe sparito. 
In qualche modo percepì che quella distanza messa tra noi da un semplice e primo passo, fosse quella lontananza che lo allontanasse da me per sempre. 
Il mio cuore tremò, accentuando la mia paura.
Nell'oceano di emozioni in cui nuotavo, solo ad uno riuscivo a dar retta, il più importante: non lasciare che Damon se ne andasse.
<< Perché lo hai fatto? >>, domandai ad un tratto e di getto, fermandolo. << Perché mi hai cancellato la memoria? >>, continuai, senza permettergli interrompermi. << Perché mi hai salvato tutte quelle volte che io ero in pericolo, compresa l'ultima volta? Perché sei ostinano ad intervenire in qualsiasi momento, se non ti importa niente? >>
Dopo quel fiume di parole, la prima cosa che colsi, fu il mio respiro fuori controllo. Era stata la paura ad agire per me, a dar voce alle domande che più temevo e che forse non avrei mai avuto il coraggio di pronunciare davvero.
Mordendomi un labbro per fermare altre possibili parole, vidi Damon voltarsi e puntare i suoi occhi nei miei. Deglutì quando si avvicinò. Nel suo volto la sola cosa che riuscivo a leggere era qualcosa di famelico. La sicurezza che ogni suo passo, ciascuno dei suoi movimenti eleganti, faceva, corrispondeva l'avvicinarsi di una tempesta. Quell'accenno di pericolo che volteggiava libero nel suo sguardo eterno, mi fece pentire delle mie parole, di quello che provavo, del folle pensiero che sarei riuscita a gestire e ad affrontare quella conversazione faccia a faccia con lui. 
Troppo concentrata su quel mio obiettivo di avere risposte, non avevo considerato un elemento determinante: i sentimenti.
<< Tu credi che non mi importi? >>
Sussultando, spalancai gli occhi, sorpresa dalla domanda che la mia mente mi ripropose, suggerendomi, complice, la risposta. Non potevo permettermi di sperare, dandole retta. 
Scuotendo impercettibilmente la testa, come a voler scrollare quelle illusioni, raccolsi il mio coraggio per dar forza alla mia voce, fissando un punto che non fosse il volto di Damon e che andasse oltre la sua figura.
<< E ciò che vedo >>, dissi in un sussurro.
La tristezza che scaturì da quella affermazione, mi portò a trattenere le lacrime. Avevo appena negato ad alta volce, di fronte a quel vampiro per cui provavo qualcosa di profondo, quello che non avevo mai osato fare. Mi maledissi, quando quella voce sottile e gentile urlò a gran voce che Damon teneva a me più di quanto lui stesso avesse mai ammesso. Io lo sapevo, lo avevo sempre saputo. Ma la consapevolezza di essere in possesso di qualche dolce e profonda verità celata agli occhi di una persona o rifiutata da questa non aveva alcun valore se non la si rendeva concreta, dandole voce. Da sempre, in segreto, sapevo che Damon teneva a me. Lui non lo avrebbe ammesso e io non avrei mai avuto il coraggio di metterlo di fronte a questa realtà, neanche da vampira. In me persisteva sempre quell'insicurezza e la paura di sbagliarmi. 
<< Ti dico una cosa che in pochi sanno >>, sussurrò Damon, facendomi tornare al presente e portandomi ad osservarlo. << Se non mi fosse importato, non mi sarei mai preso tutta questa briga di mantenerti in vita. >>
Nel breve frangente di secondi che impiegò per pronunciare quella confessione, vidi nei suoi occhi quella rabbia scemare per cedere posto a quella che sembrava la rivelazione delle sue azioni. 
Diventando consapevole delle sue parole, accogliendole e ripronunciandole nella mia mente, ebbi la vaga idea di che cosa voglia dire quando un cuore scoppia di gioia. In me, dentro di me tutto incominciò a meravigliarsi, a piangere, a trepidare,  a rilassarsi, a sospirare, a sorridere soddisfatta, ad urlare come se davanti a me avessi qualche miracolo della natura o qualche suo spettacolo che accade una volta ogni cento anni.
Una sola perona, umana e non che fosse, poteva provare tutte quelle emozioni in una sola volta?
Di ogni momento che Damon mi aveva sorpreso con le sue parole o con i suoi gesti inaspettati, questo era quello che mai, mai, avrei permesso ad un mio pazzo pensiero di disengare con tratti decisi o leggeri che fossero. 
Gli occhi neri, messaggeri di un silenzio carico di emozioni e parole non dette, mi fissavano pudici, mentre qualcosa, un'ennessima domanda, frenò la mia felicità. Deglutendo, abbassando per un secondo lo sguardo, feci appello a quel mio precendente coraggio, spinto dalla paura, ad aiutare le mie labbra a pronunciare quella domanda, temendo già la sua rispettiva risposta.
<< Tutte le volte che mi hai salvato, lo hai fatto perché ti sentivi in colpa per avermi cancellato i ricordi contro la mia volontà? Perché, in qualche modo, ti sentivi in debito con me o per...altro? >>
Senza rendermene conto divenni dipendente da quelle sue successive parole, come se queste fossero una qualche forma strana di gravità che mi teneva legata alla Terra. 
Lasciai i miei occhi incerti scivolare su di lui. Questi si concentrarono su quelle labbra, due sottili tratti che sapevo avessero un sapore delizioso e allo stesso tempo possedesso il potere di pronunciare parole taglienti. Il pensiero di sedare ogni sua possibile parola con un bacio nel tentativo di darmi una risposta a quella mia domanda, incominciò ad essere sfidato da quella mia paura, che stavo scomprendo essere pericolosa quando agiva sulle mie azioni. 
Tuttavia, prima che questa mi portasse a compire quel veloce movimento, dove bastava che mi allungassi verso Damon, per poi attrarlo a me, arrivò la risposta. 
<< Di norma, se ho debiti con delle persone, provo ad evitarli il più a lungo possibile. Spesso però mi dimentico della loro esistenza. >>
Era un primo sorriso quello che comparve agli angoli della sua bocca, rendendo quelle labbra ancora più invitanti.
<< Quindi no, non l'ho fatto perché mi sentivo in debito con te >>, disse, concludendo e lanciandomi a seguito un'occhiata.
<< E allora perché? >>
Faticai a collegare quella voce energica con la mia, fuori ormai dal mio controllo. Realizzando cosa avessi appena detto, mi morsi il labbro inferiore, senza però allontanare i miei occhi da quelli di Damon. Ancora una volta mi maledissi per quello che avevo fatto, eppure il pensiero che stessi pensando con il cuore e che fosse la mente ad agire, a pretendere delle risposte, ricercandole con incredibile avidità, arrivò quando Damon abbassò il suo sguardo, rabbuiandosi.
<< È proprio necessario che ti risponda? >>
Era necessario che mi rispondesse?
Per il mio cuore lo era. La ragione stava facendo in modo di accontentare quel piccolo desiderio di quel muscolo ormai fermo.
Si, era necessario.
Non volevo che Damon svanisse dalla mia vita, non volevo che lui fosse uno di quei ricordi sbiaditi. C'erano stati momenti tra di noi che non potevo semplicemente dimenticare. Essi erano stati i veicoli, gli stumenti, che mi avevano condotto a conoscere qualla parte che lui nascondeva anche a se stesso. 
Ripensai quel momento, ma soprattutto le sensazioni, del nostro primo incontro. Quell'attrazione che in me scoppiettava come se fosse fuoco vivo e caldo, quel bacio diverso, intenso e dolce, la sorpresa di quella strana connessione che percepivo esserci tra di noi, non potevo semplicemente dimenticare, non questa volta. 
Nel frangente di secondo che seguì, diedi un nome a tutto quello che, anche in secondo momento, si era riprensentato più forte, più urgente e vero: mi ero innamorata di Damon ancora prima di iniziare a pensare a lui come qualcosa di più che un semplice ragazzo che celava un oscuro segreto.
Questo era quello che sentivo con il cuore, ma era con la voce della ragione che stavo riuscendo ad ottenere risposte.
Annuì, decidendo di optare per quella strategia e andare fino in fondo.
<< Va bene >>, sussurrò Damon con un filo di voce debole.
Tutto in lui era la piena manifestazione di quanto volesse trovarsi altrove, ma allo stesso tempo di quanto volesse essere proprio in quel luogo ad affrontare una prova che lo toccava da vicino. 
Lo vidi inumidirsi le labbra e scompigliarsi i capelli corvini, prendendo un grosso respiro. Un solo pensiero costatò quanto fosse perfetto anche in una posizione a lui scomoda. Rabbrividì, e non di paura.
Quando tornò a guardami, obbligai i miei occhi a non abbassarsi sotto quella loro intensità, a mantenere il contatto visivo. 
<< Non voglio che ti accada nulla, e penso che tu questo lo abbia capito anche se non sono io a dirtelo. >>
Immaginarsi parole e sussurri, momenti ed emozioni, è sempre diverso dal viverle. 
Se avessi avuto la capacità di immaginare quel momento, anticipandolo, non avrei potuto dare alla voce di Damon quel sottile tremolio che aveva assunto nel pronunciare quelle parole, non avrei mai potuto pensare ad un suo piccolo movimento del capo in senso di affermazione. Era come se anche lui, come me, stesse accettando quello che provava e sentiva, insieme a me.
Ma quello che aveva detto, non mi bastava. Avevo deciso di affrontare questi miei sentimenti, scontrandomi con questi.
<< Perché? >>, domandai di getto.
<< Perché? >>, chiese di rimando Damon, allargando le braccia e aggrottando la fronte. << Ci deve essere per forza un perché? >>
Quella vemenza accompagnata da un senso di irritazione che avvertì in lui, mi fece allontanare lo sguardo stanca. 
Comabattere in quel modo con Damon era peggio che farlo usando la forza di pugni o calci incentivati da rabbia e dubbi, benché quella considerazione lasciò spazio ad una rivelazione.
Concentrandomi su Damon e sui sentimenti che entrambi sentivamo vivi, ma che affrontavamo in modo diverso, mi ero dimenticata di quella rabbia cieca nei suoi confronti. Tutto era passato in secondo piano, compresa la fame e il bruciore alla gola. Avevo incominciato quella lotta che, come mi suggeriva quella voce amichevole dentro di me, che più volte aveva avuto ragione, poteva portare a due soluzioni, a due epiloghi. Non mi permisi di pensarle, venendole a sostituire con il pensiero che entrambe mi toccavano da vicino e in prima persona. 
Forse prima di accettare ciò che ero diventata, dovevo risolvere quel mio sentimento, renderlo reale e concreto, manifestandolo e capendolo per intero. La voce della ragione, contro ogni mia previsione, divenne più battagliera e forte di qualsiasi altro pugno che avrei potuto scagliare.
<< Tu non mi vuoi dare questa risposta perché hai paura di guardare dentro di te e affrontare ciò che provi >>, dissi, mettendo insieme quegli elementi di tensione che in lui si manifestavano per ottenere ciò che sapevo essere una la sua paura più grande.
Un alito di vento fresco portò sul volto del vampiro che avevo davanti un'espressione di sorpresa, sostituita magistralmente da una che, a primo impatto, poteva significare che quella frase non lo aveva toccato. Io sapevo che lo avevo punto nel vivo.
<< E sentiamo, allora, cosa proverei, secondo te? >>
Con gli occhi mi sfidò, incrociando le braccia. 
Sapevo cosa stava osservando: il mio sguardo combattutto e la domanda su quanto ancora mi sarei esposta prima che lui perdesse la pazienza, andandosene.
<< Appunto, la risposta è niente, non provo niente >>, continuò lento, interpretando da solo il mio silenzio, con un'amara consapevolezza nella voce e nel volto. << Finiamola qui, va bene? Ti ho cancellato i ricordi perché non saresti stata capace di mantenere il segreto davanti ad Elena e Meredith. No, non ti ho salvato perché mi sentivo in debito con te e l'ho fatto solo per uno sfizio personale >>, finì, avanzando lentamente, riassumendo in breve quello che gli avevo chiesto. << Mi è venuto un leggero languorino. Ci si vede. >>
A quell'ultima frase, ebbi quasi la sensazione che il mio cuore venisse stretto in una morsa gelida e che quel dolce torpore di liete affermazioni fossero mutate in aride parole con nussuna valenza.
Quando mi guardai intorno, di Damon non vi era più alcuna traccia. Era svanito. Era scappato, ancora.
Mi sorpresero tutte le emozioni contrastanti che presero possesso del mio corpo e della mia mente. 
Avevo bisgono di sapere se ciò che aveva condotto il senso di protezione di Damon nei miei confronti per tutto quel tempo, se quei baci caldi significassero solo per me qualcosa di più, se mi avesse salvato anche quell'ultima volta solo per un altro suo sfizio, dovevo sapere cosa fossi io per lui.
Avevo bisogno di sapere se tutto quello che si concentrava con un'unica parola, potesse dare un senso a quei gesti. Dovevo sapere se quello di Damon era amore, come lo era il mio.
Prima ancora di pensare a cosa fare, concentrandomi, incominciai a cercare l'aurea del vampiro, scandagliando il quartiere e ogni suo vicolo. 
Un'aurea nera e potente entrò nel mio campo sensoriale. Alzando la testa, scattai con la velocità di un vampiro diretta da Damon. 


 
~



La corsa portò con sé il vento fresco della notte e questo mi concedeva la facoltà di pensare. 
In tutto quello che era stato detto, in tutto quello che era accaduto, non mi spiegavo questa mia esuberanza e coraggio di affrontare così apertamente Damon. 
Era forse la certezza che lui non mi avrebbe fatto del male? Il bisogno viscerale di avere delle risposte? Risolvere qualche incognita che si presentava nella mia mente, alleggerendo così il mio carico di emozioni?
Ricordai le parole di Stefan, quanto i sensi e le sensazioni dei vampiri si amplificassero una volta tali. Ricordai la volta che mi parai davanti a Stefan per proteggerlo da un furente Klaus. Ricordai lo scontro con Shinici, a quanto fossi da sola.
Possibile che il mio coraggio si fosse amplificato?
Immersa nei miei pensieri, solo vagamente individuai il profilo vicino di un luogo che conoscevo ormai bene: il parco, dove tutto era iniziato.
Alle porte di questo mi bloccai. Sentivo l'aurea di Damon più presente e mi chiesi cosa mai ci facesse lì.
Senza pensare troppo, con velocità, lo raggiunsi, riconoscendone la camicia nera. Alla vista della sua figura pensierosa e seduta su una panchina, circondato da una nebbia di mistero, lasciai che tutte le mie emozioni confluissero in un unico punto per poi esplodere.
Fui veloce nelle serie di azioni. Avanzando decisa verso di lui, quando colsi il suo sguardo intercettare interrogativo il mio, scattai veloce, prendendolo per la camicia e alzandolo.
<< Io non lo so ciò che provi, Damon, ma so cosa provo io e, per quanto abbia paura e non sappia cosa mai comporteranno tutte queste cose che sento in tumulto dentro di me, io non scappo dai miei sentimenti come fai tu. Li affronto. Almeno in questo posso dire che ho vinto questa battagglia, tu non ci hai neanche provato. >>
Non appena finì, mi accorsi di quanto in realtà avessi mantenuto un tono alto della voce. Le mi labbra erano a pochissimi centimetri da quelle di Damon, mentre i nostri respiri si mischiavano l'uno con l'altro. Il suo profumo mi giunge, disorientandomi per un attimo.
Vidi l'espressione di Damon mutare dalla sorpresa alla più completa e perfetta raffigurazione della rabbia, se non dell'esasperazione.
<< Ed è questa la più grande differenza tra me e te: tu non scappi dai sentimenti, io si >>, disse furibondo, liberandosi dal mio patetico tentativo di tenerlo in trappola con una mia presa.
Per un primo momento, quella malinconia e tristezza riaffiorò d'istinto, marcando ogni parte del mio corpo.
Forse quella voce amichevole, che poi non era che la voce del cuore, era in realtà quella del bisogno di trovare qualcosa per il quale vivere. I sogni sono alimentati dalla speranza e la speranza dalla vita stessa. Io avevo smesso di vivere, di sognare da quel giorno, poiché ogni mio progetto era mutato in sottile polvere. Mi ero ritrovata a dover pianificare tutto da capo, pensando ad una nuova vita. Rivendendo Damon, si era accesso quel barlume di quel legame che mi teneva collegata a lui. Nel tentativo di capire di che natura fosse quel sentimento, volevo avere in quel nuovo percorso qualcosa della mia vita precedente da umana. 
Il senso di lontananza che si era proposto in precedenza, tornò.
<< Non aspettarti niente da me, uccellino, niente >>, disse Damon ad un soffio da me, facendomi trasalire. << Alla fine finirei per deluderti, come faccio con tutti. >> 
Un soffio spazzò via tutti i miei pensieri malinconici, tornati a tormentarmi.
Qualcosa si oppese con determinazione alle parole di Damon. 
Poteva non provare quel mio stesso sentimento e avrei accettato quella seconda possibilità che il mio cuore, triste, si preparava ad accettare, ma lui non poteva pensare davvero quelle cose. 
<< Tu non mi hai mai deluso e so che non lo farai mai. >>
Un lampo passò rapido ad illuminare il nero profondo degli occhi di Damon. Le labbra sottili si distesero. Consocevo quanto fosse abile a leggere i miei pensieri in uno sguardo. Sapevo cosa stava leggendo e non mi importava. 
<< Non puoi permetterti di provare certi sentimenti per me, Bonnie. >>
<< Se avessi ancora la possibilità di cancellarmi la memoria e ti rincontrassi, mi ritroverei a provare per te ciò che provo in questo momento e che ho sempre provato. >>
Per qualche ragione a me conosciuta, sentì il mio coure alleggerirsi. In senso di appagamento si iniziò a diffondere in me, mentre il riflesso di un sorriso compariva trai miei pensieri. Accarezzai quella sensazione di benessere, gustandone appieno gli effetti lenitivi che aveva su di me. Quelle parole che vorticavano nella sfera emozionale erano state appena dette alla persona per la quale il mio cuore aumentava e perdeva qualche battito. 
<< Se avessi ancora la possibilità di cancellarti la memoria, non mi vedresti mai più >>, controbatté con una risata amara.
Se il mio cuore avesse avuto la possibilità di scandire ancora il tempo con le sue pulsazioni, ne avrebbe perso una. Immaginarmi una vita dove Damon non comparisse in nessuna delle sue giornate, mi apparve triste più di quello che le sue parole avevano tentato di fare. 
Il ricordo di quel momento nel nostro primo incontro, dove lui mi aveva confessato che sarebbe tornato se lo avessi invitato ad entrare in casa, alimentò la consapevolezza che anche quella volta era valida la stessa affermazione. 
<< Stai scappando, Damon >>, gli dissi, ormai propensa a confessarre quello che pensavo. << Sei radicanto nell'assurda convinzione che nessuno si possa fidare o innamorare di te, ma invece ti sbagli e vuoi sapere perché? >>
<< Non dirlo. >>
Esternare il dolore, la gioia, la tristezza, l'amore, senza che lo tenessi dentro, mi stava facendo sentire meglio e a quella prospettiva continuai.
<< Perché io mi sono sempre fidata di te, fin dal nostro primo incontro e da quello che ho rivisto e provato, in quegli attimi di paura, la sola cosa che mi faceva sentire al sicuro era la tua vicinanza e presenza >>, continuai, mentre le parole si formavano e si pronunciavano sole. << Giorno dopo giorno mi sono ritrovata ad osservarti con occhi diversi e ho capito che mi ero innamorata di te. >>
<< Smettila, ho visto lo sguardo che mi hai lanciato al parco stasera >>, confessò. << Disgusto, rabbia, delusione. Alla fine ti ho deluso nel peggiore dei modi, nascondendoti che ti avevo cancellato quegli stupidi ricordi tempo fa >>, continuò deciso, serrando i pugni. << Non puoi provare qualcosa per me, non puoi, come io non posso provare niente per te. >>
Ebbi la sensazione di avvertire il rimbombo di un tuono in lontananza.
Ricomposi gli elementi di quella sera in quello stesso parco. La corsa, quei ragazzi, la fame e il sangue, l'arrivo di Stefan e di Damon, accompagnate dopo dalle sue parole. La delusione, il senso di vuoto che si aprì dentro di me, a queste non ero pronta. 
Se prima, nel mio voler avere delle risposte, non avevo considerato i sentimenti, questa volta non avevo considerato gli effetti possibbili che avrebbero scatenato in me.
In silenzio, urlai contro Damon e alle sue convinzioni, alle sue parole e alla sua sicurezza che non ammetteva altre possibilità.
Zittì quella voce amichevole, rinchiudendola nella parte più recondita di me. Frenai le lacrime salate che sembravano non prosciugarsi mai. Anche le emozioni e i sentimenti, dopo le parole, sembravano essersi unite a quell'aridità, dove, forse,  solo versando qualche lacrima sarebbero tornate quelle di prima. 
Come un disco rotto che riproponeva la stessa traccia, le ultime parole di Damon risuonavano chiare, senza filtri che potevano lasciare supporre ad altro.
Avevo avuto le risposte che tanto avevo cercato. Ero arrivata alla fine di quel percorso accidentato nel capire quel sentimento che provavo per Damon e con esso era giunta la fine anche di quella speranza che reggeva quella prima possibilità e alla quale il mio cuore faceva appello.
Mi diedi ancora e ancora della stupida.
Cosa ci facevo ancora lì?
Con gli occhi che sospettavo essere spenti e gonfi, mi volsi sconfitta. Non mi accorsi dei piedi che, cordinati, avanzavano l'uno davanti all'altro, diretti fuori dal parco, fuori da quella città che non aveva più niente da offrirmi.
<< Sono un uomo incredibilmente egoista. >>
E quelle parole giunte all'udito in un dolce sussurro, ebbero il potere di arrestare i miei passi e di far sussultare il mio cuore. Dalla poca distanza che ci separava potevo avvertire con chiarezza il respiro regolare di Damon. Chiudendo gli occhi, sospirando, mi voltai, pronta a tornare a confrontarmi con quello sguardo tentatore. Qualcosa era cambiato, ancora. Damon era combattuto, lo vedevo e lo percepivo. 
<< Dovresti saperlo >>, continuò con un tono di voce più basso del precedente, forse incitato dall'aver attirato ancora una volta la mia attenzione.
Immergendo i suoi occhi nei miei, capì che era riuscito ad intrappolarli per non lasciarli più andar via.
<< E questo cosa significa? >>, chiesi con tono distaccato.
Un sospiro scappò al suo controllo. 
Lo osservai con occhio critico assottigliare lo sguardo ed incupirsi maggiormente. Quello che prima era un respiro con una cadenza regolare e tranquilla, era passato ad essere un'impronta sparsa su quel terreno minato nel quale mi ero addentrata. 
Damon era immobile e in quella posizione di immobilità vi leggevo tutto il nervosismo che stava provando e che, sapevo, odiava manifestare.
Di nuovo ebbi la conferma di quanto per lui fosse difficile quel momento. Damon, inumidendosi le labbra ed inspirando profondamente, mi inchiodò con sguardo determinato. Qualcosa si era mosso dentro di lui.

<< Non sono bravo ad esprimere a parole ciò che sento, ma... >>
Questa volta, tutto accadde con incredibile velocità.
Fu una frazione di un breve istante e percepì contro le mie spalle il tronco di uno degli innumerevoli alberi di quel piccolo parco, ma che trai suoi viali conservava il segreto di un incontro fatale.
Davanti a me, il volto di Damon. Gli occhi di un nero oscuro emanavano messaggi silenziosi che tentai di decodificare. Soggiocata dal suo sguardo, ammirandolo come mai prima di allora lo avevo studiato, inebriata dal suo profumo di notte e di selvaggio, avvertì in un secondo momento le sue labbra posarsi sulle mie. 
Un semplice gesto, dolce contatto, di due labbra sottili e rosse, gentili e  premurose, reclamarono le mie ad un ritorno alla vita. Colsi quel bacio caldo, dove questa volta non vi era traccia di una neve improvvisa, poiché lo desideravo, lo sognavo da quel momento in quel vicolo.
Le labbra di Damon sulle mie. 
Una frenesia si impadronì di me, sollecitandomi a restituire quel bacio dal sapore salato. Non mi domandai perché fosse marchiato di quella strana essenza, poiché avvertì le braccia di Damon circondarmi e stringermi con la loro forza che faceva impallidire la mia. Non mi importava. Quello era il posto per me più sicuro al mondo. Mi bastava questo intanto che lascai le mie mani vagare libere ed incontrare i capelli neri. Stringendoli tra le dita, sentì tra queste la loro morbidezza. Solo dopo aver giocato con qualche ciocca, costrinsi Damon ad avvicinarsi a me. Come risposta a quell'invito, intensificò quel bacio. Le sue labbra lambivano esperte le mie, inebriandomi i sensi e lasciando che trovassi una ragione per continuare quella mia vita.
Fu per merito di quel bacio che ogni cosa tornò al suo posto. Ripercorsi quei ricordi, quelle ore passate solo di recente, sorprendomi per un attimo di quanto mi sembrasse che fosse passato molto di più. Osservai quella mia nuova vita con occhi diversi, comprendendo che tutto quello che mi premeva era ritrovare quel punto fermo che Damon rappresentava. I ricordi che tornavano alla memoria non erano che un piccolo intoppo.
<< Non piangere >>, disse Damon a fior di labbra per poi distaccarsi, ma senza allontanarsi da me.
Con un pollice, asciugò una goccia sotto il mio occhio. Il collegamento di quel bacio salato venne spontanero. Lacrime.
Guardai come quella lacrima cadde in una piccola goccia sul viale.
<< Rivoglio la mia gattina sorridente e piena di luce, non quella triste e malinconica. >>
Fissando il terreno, udendo quelle parole, spalancai gli occhi, alzando di scatto il mio sguardo e incontrando quello sereno di Damon.
<< È il modo migliore che conosco per esprimerti quello che penso. >>
Alzandomi il mento, accarezzandolo al col tempo, nella voce di Damon vi era quello stesso timbro di dolcezza che mi aveva accompagnata nella morte. Una voce che avevo sognato di poter riascoltare.
<< Ho risposto a tutte le domande che mi hai posto >>, incominciò, facendosi serio, intanto che un campanello d'allarme suonò in me. << Adesso vorrei che fossi tu a rispondermi ad una sola. >>
Inumidendomi le labbra e trattenendo quel sapore di lui che aleggiava tutto intorno a me, annuì.
<< Potrai mai perdonarmi per quello che ho fatto, cancellandoti i ricordi contro il tuo volere? Potrai mai perdonarmi per quello che ti ho detto e per come mi sono comportato oggi? >> 
Mi bloccai, non aspettandomi quelle parole.
Era la stessa domanda che mi ero posta io. Sapevo quale sarebbe stata la risposta, perché, anche se con fatica, avevo unito ciascun pezzo del puzzle e capito cosa lo aveva spinto a fare quel gesto contro la mia volontà. Le parole che mi aveva rivolto quella sera erano solo il frutto del caos che doveva aver provato dentro di lui.
<< Damon... >>
<< No, rispondi >>, mi zittì, ponendo delicato l'indice sulle mie labbra, fissandomi con intensità. << Ti chiedo scusa per aver tenuto per me questo segreto quando ti apparteneva. Ti chiedo scusa per aver cercato di rimandare questa cosa, evitando di affrontare i miei sentimenti, perché è vero, io... >>
Prima ancora che continuasse, presi il suo dito e, dopo aver depositato d'istinto un piccolo bacio, gli sorrisi sincera.
<< Damon questo è stato il tuo primo gesto per proteggermi. Sono riuscita a capirlo adesso, perché ti sei comportato esattamente come qualche anno fa con il nostro primo incontro >>, dissi, guadagnandomi uno sguardo interrogtivo, << preferiresti privarti di qualcosa che già hai, piuttosto che affrontare i sentimenti, uniche armi che davvero possono ferirti. >>
Vidi brillare una luce intensa nei suoi occhi ed ebbi quasi la sensazione di poter sentire il peso che dentro si portava svanire, dissolvendosi.
<< Mi farò perdonare, in qualche modo, promesso. >>
Mordendomi il labbro inferiore, osai pronunciare dentro di me quella prima possibilità di epilogo per quel mio momento: sapevo di amare Damon e, forse, mi amava anche lui.
Mi amava.
Sorrisi ai brividi che quel pensiero mi procurò.
<< Vuoi farti perdonare? >>, domandai, cogliendo un sorriso anche sul volto di Damon. << Potresti incominciare baciandomi ancora. >>
A quella mia frase e desiderio di riassaporare di nuovo le sue labbra, di sentirlo vicino a me, si contrappose una sua risata spensierata. 
Assottigliando gli occhi, percepì quelle che potevano essere chiamate le farfalle nello stomaco, ennesima conferma di quanto fosse profondo quel mio sentimento.
Lo osservai e lui mi ricambio quel mio sguardo intenso. Incominciando a sfiorarmi il volto, gentile e rivelando quella parte più docile di lui e che nascondeva a tutti. Mi beai di quelle carezze e mie sole.
Fu un'ennesima emozione, quando le sue labbra entrarono in collisione con le mie. Di nuovo quella sensazione di completezza risuonò chiara in me. Sapevo di trovarmi nel posto giusto, poiché questo era dove c'era Damon.
Una parte di me, probabilmente quella parte che ragionava con il cuore, si chiese se tutto questo stesse accandendo sul serio, se davvero avessi un intera eternità da dividere con Damon. 
Stringendomi a lui, mi persi in quel bacio.
C'erano molte altre cose che avremmo dovuto affrontare, eppure quello non mi sembra affatto un brutto inizio.









L'angolo di Lilydh



Buonasera!

Puntuale per questo ultimo aggiornamento, eccomi con il nuovo e conclusivo capitolo: Apologize.
Come previsto, il tanto atteso incontro/confronto tra Damon e Bonnie è arrivato.
Il capitolo parla da solo. 
Sia per Damon che per Bonnie è un momento di crescita e presa di coscienza, soprattutto per quanto riguarda i loro sentimenti.
Mediante gli occhi di Bonnie ho cercato di manifestare la confusione e la battaglia interiore di Damon, contemporaneamente a quella della streghetta.
Spero solo di non avervi deluse!

Se con Ricordi di Sangue ho iniziato a scrivere e a pubblicare su efp, parlando di Damon e Bonnie, Lost in the Darkness sarà l'ultima storia che scriverò su questi due personaggi (non escludo os, però). Mi sembrava un modo giusto per salutare questi due personaggi che mi hanno aiutato ad avvicinarmi alla scrittura. 

Voglio ringraziare ogni singola ragazza che mi ha seguita fino a questo momento, in special modo Annaterra, che ha letto praticamente quasi tutti i miei lavori, commentandoli e dicendomi la sua. 
Grazie!

Alle ragazze che hanno recensito Lost in the Darkness e alle bellissime parole che mette Sissi Bennett in ogni recensione che lascia ai miei lavori.

Alle lettrici silenziose e a chi ha aggiunto tra le seguite, le ricordate e le preferite questa mia storia.



Per chi volesse leggere le altre storie su Damon e Bonnie, le può trovare nel mio profilo.
In ordine sono:

Ricordi di Sangue
Sospeso tra Cielo e Terra
Sognare non è che l'inizio (os)
Come fuoco e ghiaccio (rating rosso)





Aspetto le vostre ultime opinioni.

Un abbraccio,

Lilydh

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