Figli di un mondo senza Dei

di Kvothe97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Seguire il Credo ***
Capitolo 3: *** In fuga ***
Capitolo 4: *** Una nuova missione ***
Capitolo 5: *** Per proteggerla ***
Capitolo 6: *** Seguire le tracce ***
Capitolo 7: *** La forza dei sentimenti ***
Capitolo 8: *** Andare contro il volere di Dio ***
Capitolo 9: *** Fuggire da Nibeluria ***
Capitolo 10: *** Il potere ***
Capitolo 11: *** Scaldata dall'abbraccio ***
Capitolo 12: *** Nell'alto dei cieli ***
Capitolo 13: *** Nel bosco ***
Capitolo 14: *** Tra le radici ***
Capitolo 15: *** Il banchetto ***
Capitolo 16: *** La stanza segreta ***
Capitolo 17: *** Sotto la città volante ***
Capitolo 18: *** Il profumo del mare ***
Capitolo 19: *** Nuovi alleati ***
Capitolo 20: *** Il ricordo del padre ***
Capitolo 21: *** Un continente in tumulto ***
Capitolo 22: *** Il calore della lava ***
Capitolo 23: *** Contro un Dio ***
Capitolo 24: *** Difendere senza ferire ***
Capitolo 25: *** Che questa pace possa durare ***
Capitolo 26: *** Uno Scopo ***
Capitolo 27: *** L'unico fottutissimo amico ***
Capitolo 28: *** Il Piromante ***
Capitolo 29: *** Complesso di inferiorità ***
Capitolo 30: *** Una dolce maledizione ***
Capitolo 31: *** Il volere di Dio... o degli Altri? ***
Capitolo 32: *** Il Distruttore ***
Capitolo 33: *** Essere ciò che si è ***
Capitolo 34: *** Tutto finisce ***
Capitolo 35: *** Chiunque deve temere il fuoco ***
Capitolo 36: *** Tutti abbiamo perso qualcosa ***
Capitolo 37: *** Un ombra oscura ***
Capitolo 38: *** Mare perdonami poiché ti sporcherò col sangue ***
Capitolo 39: *** Dio del Nulla ***
Capitolo 40: *** Un simbolo ***
Capitolo 41: *** La nascita di una Messia ***
Capitolo 42: *** Tenebre e Divoratori ***
Capitolo 43: *** Senza amore ***
Capitolo 44: *** L'ombra di un folle ***
Capitolo 45: *** Farsi rispettare ***
Capitolo 46: *** Salvare il mondo ***
Capitolo 47: *** Rinascita ***
Capitolo 48: *** Allenamenti, ideologie e amicizie ***
Capitolo 49: *** Padre ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sono necessarie spiegazioni. Io ERO Markrat e stavo pubblicando questa storia. ora quell'account è morto (diaciamo così) e possiamo considerarlo un... nuovo inizio. La storia è la stessa ma vedrete che ci sono grandi differenze. Spero che la storia vi piaccia, parte non nel migliore dei modi ma credo che continuando potreste rimanere sorpresi


Prologo

Conosceva quell'odore. Era l'odore di carne bruciata e sangue, odore di morte. Le sbarre di ferro della sua cella erano fredde come la lama di un coltello, ma non altrettanto taglienti. I muri erano di una ruvida pietra grigia, quella che quando la tocchi ti pizzica il palmo. C'era una piccola grata, che permetteva di vedere la città di Nibeluria. Oltre ad avere un nome grazioso, la città era anche l'esempio della maestosità del regno di Noveria. Gli edifici si estendevano per miglia di distanza. L'architettura offriva il meglio che il Grande Continente potesse offrire. Alcune create dagli scultori Noveriani, altre rubate da altri regni. Le tende porpora sventolavano mosse dal vento verso il mare, come se fossero attirate da quelle enorme massa d'acqua. Nibeluria si affacciava al mare ed  era la capitale del regno di Noveria. Regno giovane per i suoi duecento anni di vita. Giovane certo, ma anche intraprendente. In soli duecento anni aveva conquistato e combattuto con intraprendenza invidiabile. Noveria si estendeva quasi come il Nord, diventando il secondo regno per grandezza... ma il primo per potenza. Truppe composte da fedeli addestrati, macchine da guerra ed un enorme e maestosa flotta. Senza contare i Cavalieri del Braccio o I Profeti della Voce. Avevano dimostrato di sapere guidare una guerra e infatti l'avevano vinta. I Celestiali l'avevano provato sulla loro stessa divina pelle la forza di Noveria. Noveria, regno della Suprema Rivelazione, fede di ogni regno del Grande Continente. Sede della Grande Inquisizione. Luogo dove si trovava lui. Dove ogni prigioniero veniva portato e... tutto il resto. Dopo la Guerra Santa Noveria annunciò la Diffusione del Credo. Tutti lo accettarono di buon grado, infondo un rifiuto significava morte. Nessuno però immaginava che così facendo ogni regno sarebbe stato sotto il giogo di Noveria. Essere segregato in quella torre era la tortura più grande per lui. Per il suo popolo vivere segregato, al chiuso, corrispondeva a vivere sotto terra. Non c'era il lieve tocco del vento, la ruvida durezza della corteccia, la bellezza della rugiada, il candore della neve, la freschezza dell'acqua, simbolo di vita per ogni cosa che esiste. Non poteva provare nulla di tutto ciò. Sentì un suono, che lo destò dai suoi pensieri. La cella davanti alla sua venne aperta e le guardie vi gettarono dentro un detenuto. Un ragazzo dai capelli castani. Aveva due buchi nella schiena. Era stato appeso con dei ganci probabilmente. Lui non si stupì. Due giorni prima avevano riportato in cella un vecchio, a cui mancava la pelle. Forse non si erano resi conto che era morto. Ora giaceva nella sua cella, senza vita, il tanfo era enorme. Poi le guardie si avvicinarono alla sua cella. La aprirono.
-Finalmente vi siete degnati di farmi visita.- disse. si stupì del suono della sua voce. Era roca. Infondo non parlava da quattro giorni, dalla sua cattura.
-Parlerai solo se interpellato, feccia.-
Si limitò ad annuire. Lo presero per le braccia, le catene ben salde ai polsi. Riusciva a camminare, nonostante l'assenza di cibo e l'acqua sporca bevuta per quattro giorni.
Lo portarono nella Sala Grande, al cospetto del Grande Inquisitore.
Il suo seggio somigliava ad un trono, forse lo era. Dietro di lui c'era il simbolo di Noveria, una spada con un Aureola sulla punta.
-In ginocchio di fronte al grande Inquisitore!- disse una guardia.
-Spero possiate perdonarmi ma ho le ginocchia sbucciate ed inginocchiarmi mi risulta complesso.-
il calcio della seconda guardia fu sufficiente a farlo inginocchiare.
-Hai così paura di inginocchiarti, feccia?- disse il Gran Inquisitore. Vestito di una tunica nera come gli abissi, con la barba candida e lunga, gli occhi grigi. E ben pochi capelli sulla testa.
-Mi inchino solo di fronte al mio re.- sputò il prigioniero.
la prima guardia lo colpì al volto con un ceffone.
Il grande Inquisitore rise. una risata roca. Come la sua voce.
-Beh mi sembra che Sua Maestà Valanandiss V'domar non si comporti da sovrano. Un vero re guiderebbe una guerra per liberare un compagno.-
-Per liberare solo me? Vecchio stolto.-
Altra sberla.
Il Grande Inquisitore sorrise.
-Kanda T'mail, Q'uoin di Q'uoian, sei accusato di rapimento e segregazione di una persona ben al disopra dei tuoi ridicoli capelli verdi.-
Kanda alzò lo sguardo. i suoi occhi viola lo fissarono.
-Se vuoi sapere dov'è non te lo dirò. Semplicemente perché non ne ho idea.-
-Non mentire a me, Q'uoin! Tu lo sai, sei solo troppo orgoglioso per dirmelo.-
-Ho detto che non lo so! Quando avete attaccato la mia casa lei è fuggita.-
Il Grande Inquisitore si porse in avanti dal trono.
-Forse non sei consapevole della situazione in cui ti trovi. Sei prigioniero e verrai torturato in modi che nemmeno immagini se non parli. Quindi dimmi. Dov'è la Ragazza.-
-Sono stufo di ripetermi. Non ne ho idea.-
-Non mentirmi, maledizione! Tu la teneva prigioniera!-
-Io non la tenevo prigioniera! La proteggevo. La proteggevo da persone come voi.- disse Kanda con disprezzo.
-Come noi? Come me? Povero stolto. Nessuno le torcerà un capello. Sai chi è. Nessuno si azzarderà e se lo farà le sue sofferenze saranno tali da fargli vedere l'Abisso come un paradiso.-
-Pensi che ti creda?-
-Sto perdendo la pazienza, Kanda T'mail. Te lo chiederò un altra volta. E voglio avere una dannata risposta. Perché se non me lo dirai metterò a ferro e fuoco tutto il Grande Continente per trovarla! Dove. è. La. Ragazza!- disse il vecchio scandendo le parole.
-Non. Lo. So!- disse Kanda facendo lo stesso.
Il Grande Inquisitore si appoggiò allo schienale.
-Idiota. Stupido idiota dai capelli verdi. Hai firmato la tua condanna e quella del Grande Continente!-
Così dicendo lo portarono via verso la sua cella. Verso la segregazione, senza l'acqua, il vento, il profumo dei fiori. E lei, la ragazza, era sola ed impaurita. Braccata dall'Inquisizione e chissà da quanti altri. Sola. Sola.
Doveva Cercarla, dove aiutarla. Perché era stato così stupito da lasciarla andar via da sola?
Era il momento di perdere un po' di energia.
-Scusate, ragazzi...- disse alle due guardie. -Uccidetevi.-
Le due guardie presero i loro pugnali e si suicidarono, tagliandosi la gola. Entrambe caddero a terra, col sangue che usciva dal collo a spruzzi.
Sentiva il fiato venir meno.
-Ok, ok. Ce la posso fare. Catene. Rompetevi.-
E così fecero. Ora la vista si annebbiava.
Aprì la cella con le chiavi della guardia, si avvicinò al muro e lo tocco.
-Muro.- disse col fiatone. -Crolla.- Il muro crollo, aprendo un varco verso la libertà.
-Un ultimo sforzo Kanda. Un ultimo sforzo.- si disse.
Il vento lo schiaffeggiava. Splendido.
-Aria.- disse gettandosi. -Cullami!- urlò con troppa forza. L'aria lo cullò fino a terra. le sue gambe tremavano. Sentiva urla e movimenti. Inspirò, assaporando l'aria. Le sue narici sembrarono bruciare. Getto fuori l'aria con estrema gratitudine. Poi si avviò verso la fuga.

 

 

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Capitolo 2
*** Seguire il Credo ***


Capitolo 1

Seguire il Credo

 

Kalad di Gothfresh pulì la sua lama. Era sporca di sangue. Sotto di lui stava la carcassa di un Infedele. Lui e la sua squadra avevano attaccato il loro avamposto. Era stato rapido e indolore, almeno lui sperava. Gli Infedeli erano armati con armi di pessima fattura, metallo arrugginito e piccoli archi di legno. Al confronto delle loro corazze e delle loro spade d'acciaio non c'era paragone. Erano arrivati al galoppo e la sua lama aveva colpito alla gola un uomo, aprendo uno squarcio cremisi. Era caduto a terra, gorgogliando parole incomprensibili. Poi Thomas aveva usato il suo arco. La freccia aveva perforato l'occhio di una donna. Il cavallo di Joran ne aveva schiacciato uno, un ragazzo molto giovane. La sua carcassa giaceva a terra, in una posizione assurda. Lymann con la sua ascia aveva aperto la testa di due uomini con la barba folta. Infine il suo capitano, Atras di Geveldor aveva ucciso con la sua spada due tipi armati d'ascia. Ad uno di loro aveva tagliato la testa.

-Kalad!- lo chiamò Thomas.

Kalad alzò lo sguardo.

-Kalad che fai là fermo col broncio. Ancora i rimorsi?-

Esitò.

-No. No non è quello. Stavo solo... pulendo la lama.-

Thomas sorrise.

-Sei fissato tu! Sempre con la lama pulita e splendente-

-Mio padre diceva che un guerriero deve sempre avere la lama della sua spada pulita, senza una goccia di sangue.-

Almeno lei è pulita, non come le nostre anime

-Tuo padre diceva molte cose, Kalad.- disse Atras.

Kalad lo guardò con disprezzo.

-E tu che cazzo ne vuoi sapere di mio padre?-

-Più cose di te, questo è poco ma sicuro.- disse Atras avviandosi verso una tenda.

-Frugate sui cadaveri, magari troviamo qualcosa di interessante.- ordinò Atras

-Non è necessario. Questi poveracci non hanno nulla con loro.- disse Kalad.

-Andiamo Kalad, non fare l'idiota.- disse Joran. -Gli Infedeli non sono dei barbari senza cervello. Sono solo male armati ma sono persone normali. Ce li hanno i soldi.- Joran aveva i capelli chiari, e aveva una barba ben tagliata. Veniva da Gnuyen, un villaggio piccolo e abbastanza sporco, lui però era pulito. Ma non dentro.

Come le nostre anime.

-Appunto perché non sono dei barbari non dovremmo frugare sui loro cadaveri come degli schifosi sciacalli. Non siamo mica in una landa fredda e desolata del Nord.- disse Kalad.

-Har!- Esclamò Lymann. -Nel Nord gli sciacalli non lasciano nemmeno le ossa dei morti, Kalad!-

Lymann era un barbuto guerriero, il doppio di Kalad. Aveva occhi grigi e possedeva un'ascia tipica del Nord. Aveva guidato una squadra in una spedizione a Nord a caccia di Skaraahad. Contro quelle cose c'aveva rimesso una mano. Era uno zoticone e puzzava. Kalad si teneva a debita distanza da lui. Poi era entrato nella squadra di Atras.

-Non me ne frega di quello che fanno nel Nord, a Noveria ci comportiamo in modo diverso.-

-Questo lo decido io, soldato.- disse Atras, Era uscito dalla teda e aveva in mano un calice d'argento, tipico della religione Luttaniana.

Lo lanciò a Kalad.

-Ecco qua, Kalad. Un bel calice per il vecchio Luttan, eh? A Gothfresh lo veneravate o sbaglio?-

-Non sbagli. Ma era prima della nascita del regno. Non ci crede più nessuno.-

-Bé, loro si.- Disse Thomas togliendo la freccia dall'occhio della donna. Thomas era giovane, sulla ventina, il più giovane del gruppo. Aveva capelli castani e una barbetta che si ostinava a voler far crescere. I suoi occhi erano verdi come l'erba. Era di Nibeluria, della capitale. Tra tutti era quello a cui Kalad si era legato di più. Non che fosse poi tanto diverso dagli altri. Ma aveva la decenza di provare rimorso per quello che faceva. Non come Atras, o Joran, o Lymann. Una notte mentre parlavano Thomas era scoppiato in lacrime, dicendo che non si immaginava così la vita da soldato dell'Inquisizione. Avevano appena combattuto contro degli Infedeli. Quelli erano più armati, uno aveva pure un'armatura leggera. Thomas aveva ammazzato un ragazzino di dodici anni. Se ne era reso conto quando ormai la freccia era nel suo collo. Rimase con Kalad, piangente. Kalad non fece altro che mettere la sua mano sulla sua spalla, senza dire nulla.

Ma quello era successo tre anni fa. Ora è più grande. Ed è cambiato.

Kalad non perse altro fiato, e malgrado ciò frugò su un cadavere.

Allora è così padre? Tutte quelle storie non erano altre che menzogne?

Sentirono un suono improvviso. Da una tenda uscì armata di una bottiglia di vetro spaccata una ragazza. Atras venne colto alla sprovvista e la bottiglia lo graffio sul volto. Dallo zigomo fino all'orecchio sinistro. Emise un lieve gemito. Afferrò la ragazza per i capelli.

-Lurida cagna mi hai fatto male!- la sbatté con forza verso la tenda. I capelli biondi ancora saldi sulla sua mano.

La gettò a terra.

-Lurida bastardella! Ti ammazzo!- La sua lama tagliò la gola della ragazza, il sangue inzuppò l'erba verde, facendola diventare rossa.

-Ti ammazzo! Ti ammazzo!- continuò ad urlare sollevando la spada.

-Basta Atras!- urlò Kalad fermano la mano di Atras.

-è morta. Basta maledizione è morta!-

Atras aveva il fiatone. Guardò Kalad. Lo sguardo folle, gli occhi che sembravano quelli di un predatore. Poi guardò la ragazza e abbassò il braccio.

-Ho perso la calma. Scusate.- disse a sotto voce.

-Ti sei graffiato.- disse Thomas cercando di pulire con un fazzoletto il sangue sulla guancia.

Atras lo spinse con una mano.

-E allontanati! Non ho bisogno di cure.-

Atras di Geveldor era un uomo di trent'anni. Aveva lungi capelli neri con sprazzi di biondo. Aveva un pizzetto nero. I suoi occhi erano azzurri. Era il capitano della centosettantaseiesima squadra Inquisitoria. Ed era completamente pazzo. Veniva chiamato Atras il Pazzo, ma nessuno era così folle da dirlo in sua presenza. Uno lo fece un giorno, e Atras prese la sua spada e la mise tra gli occhi del poveraccio. Kalad era finito nella sua squadra per oscuri motivi, semplicemente perché nessuno voleva stare con lui. E se eri abbastanza sfortunato finivi con Atras. Kalad non era mai stato fortunato. Atras era matto come un cavallo, ma a volte si calmava. A volte.

-Forza... forza mettiamoci in marcia.-

-Non sotterriamo i cadaveri?- chiese Kalad.

-Fanculo i cadaveri!- urlò Atras. Salì sul suo cavallo, aspettando che gli altri facessero lo stesso.

Kalad guardò il calice di bronzo. Lo aveva già visto a Gothfresh anni fa. Aveva sette anni. Il fabbro ne aveva preso uno che aveva trovato per strada, lo aveva distrutto a martellate e usato forse per farci delle monete. Ad ogni colpo, per Kalad era stato come sentire i gemiti di dolore del Dio, di Luttan.

Lo mise sulla sua sacca.

Salì nel suo destriero nero.

Thomas lo guardò e sorrise.

-Ti stanno crescendo i capelli, di nuovo.-

Sul viso di Kalad affiorò la parvenza di un sorriso.

-Sì, lo so.-

Kalad di Gothfresh aveva di natura i capelli lunghi ma non si era mai piaciuto. Per questo li tagliava sempre abbastanza corti ma ricrescevano sempre con una velocità esagerata. Aveva la barba nera ben curata e gli occhi marroni. Aveva poco meno di trent'anni. Era armato con una spada lunga.

Era membro della centosettantaseiesima squadra Inquisitoria agli ordini del capitano Atras di Geveldor.

E non era fiero di ciò che era.

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Capitolo 3
*** In fuga ***


Capitolo 2

In fuga.

 

La Ragazza correva. Correva a perdifiato. I piedi scalzi sporchi per il fango. Il fiatone per la corsa. La paura per ciò che poteva succederle. Si volse ma non vide nulla dietro di sé. Il suo piede destro urto contro un sasso e finì a terra, nel fango. Si rialzò a fatica, sporcandosi le mani. Sembrava che il fango le avvolgesse, con l'intento di tenerla giù. Quando finalmente si rialzò un tuono squarciò il cielo con un rombo assordante e lei, per la paura, cacciò un urlo stridulo.

Non urlare, sciocca. Ti scopriranno!

Continuò la sua corsa. Ricordava le divise ornate dai mantelli porpora. L'Inquisizione.

Ricordava l'odore dei cavalli, del loro pelo bagnato.

Girò a sinistra e si avviò tra gli alberi. Il buio non permetteva di vedere nulla. Urtò contro un albero. La corteccia dura la ferì alla spalla.

Stupida, pensò nuovamente.

Sentì dei rumori provenire dal luogo da cui stava scappando.

Ricordava Kanda che le urlava di scappare, di correre il più lontano possibile. Ricordava Kanda che apriva la porta ed usciva ad affrontare i soldati. Da solo, senza nessuno ad aiutarlo.

Correva sempre più veloce.

Ricordava le urla di Kanda. Ricordava il suo coraggio. Lo aveva fatto per lei. Per rallentare i soldati. Perché le voleva bene.

I suoi occhi iniziarono a lacrimare... o forse era la pioggia?

Cadde nuovamente. Le gambe che le tremavano come ramoscelli al vento. Aveva freddo. Era vestita solo della sua vestaglia da notte bianca. Iniziò a singhiozzare.

Ricordò le parole del suo protettore.

-Devi essere forte, Ayliss. Tu sei la persona più importante del creato. Non devi essere debole. Stringi i denti, tira avanti. Qualunque cosa accada. Qualunque cosa.-

Non piangere!

Glielo aveva detto appena aveva visto l'Inquisizione avvicinarsi. E lì aveva iniziato a piangere dicendo che era finita.

-Non è finita. Finché tu sarai viva non sarà mai finita.- le disse Kanda.

-Ora va! Corri, presto! Corri finché non ti senti più le gambe!-

Ora non le sentiva più.

Si alzò, con un ultimo, titanico sforzo.

Non piangere!

Gli ultimi passi furono carichi di stanchezza, come se stesse trainando una pietra.

Davanti a lei vide una grotta. Era piccola e bagnata ma ci entrò comunque. Si accasciò al muro.

La grotta era fredda e umida. Da sopra venivano giù delle gocce d'acqua. Ma meglio delle gocce che tutte quelle là fuori. Non sapeva quant'era distante, non sapeva dove si trovava. Era sola, Kanda era ancora laggiù e chissà cosa gli era stato fatto? Lui era come un padre per lei. Infondo quello vero non l'aveva mai visto. Lui le aveva detto che aveva visto un bagliore fortissimo, come un lampo, nella foresta. Era entrato e aveva trovato lei. Era neonata quel tempo. L'aveva tenuta con sé. Perché lui sapeva. Sapeva che al compimento dei suoi diciassette anni avrebbe mostrato ciò che era veramente. La figlia del Supremo, del Dio di ogni cosa che esiste. Creatore del Mondo. Ma aveva compiuto gli anni due mesi fa e non aveva ancora mostrato nessun cambiamento. Che fosse una finzione? Che fosse una mera bugia che aveva inventato Kanda per farla sentire speciale? Forse. Ma non lo sapeva. Aveva così tante domande... e nessuno a cui poter porle. Lui le aveva insegnato a parlare, a leggere. Le aveva insegnato la matematica, la geografia e la storia. Le aveva fatto leggere le migliori poesie di tutto il Grande Continente. Aveva cantato con lei le più disparate canzoni. Avevano scritto anche qualche poesia. Una l'aveva scritta da sola ma non l'aveva mai fatta leggere a Kanda, perché si vergognava del risultato.

Per lei era troppo semplice e banale, non complessa e articolata e spesso anche bella come quelle che aveva scritto con Kanda. Ma non la trovò più appropriata che in quella situazione. Con la pioggia e il temporale che colpivano, con la forza che solo la natura può avere, gli alberi le rocce e la terra.

 

La pioggia lava via gli errori.

La pioggia nasconde le lacrime

La pioggia purifica ogni cosa.

La tempesta distrugge, annienta.

La tempesta purifica annientando ciò che non va.

La tempesta colpisce con la forza di un Dio.

Ma anche dopo la tempesta,

Ci sarà sempre una lieve pioggia

Che laverà via gli errori.

Che nasconderà le lacrime.

Che purificherà ogni cosa.

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Capitolo 4
*** Una nuova missione ***


Capitolo 3

Una nuova missione

 

Kalad e la sua squadra stavano continuando il loro viaggio verso Nibeluria. L'avamposto degli Infedeli si trovava a Ovest, a confine con la Nashiran, la foresta dei Q'uoin che loro chiamano Q'uoian. L'Ovest di Noveria era ricco di vegetazione. Negli anni della Diffusione del Credo l'Inquisizione si mosse verso Q'uoian, con l'intento di Diffondere la Suprema Rivelazione anche là. Ma la foresta risultò essere impenetrabile. Nemmeno le fiamme riuscirono a fare qualcosa. Fu l'unico territorio in cui l'Inquisizione non riuscì a Diffondere il Credo. Una macchia che non si menziona spesso. Una vergogna nei confronti del Supremo che non deve mai essere ripetuta. Erano in viaggio già da un giorno, entro mezzogiorno sarebbero arrivati a Nibeluria, a Sud. Verso il Mare di Hotas. A tre giorni di viaggio via mare c'era l'isola di Aquamar, degli Uomini Acquatici, il cui mare era navigabile solo a loro. O meglio chiunque poteva navigarci ma il Gerstrom rendeva estremamente difficile se non mortale tentare di raggiungere Aquamar. E tre giorni potevano diventare cinque, o sette. I loro cavalli procedevano regolarmente. Il paesaggio offriva la vista di ampie vallate. Finalmente giunsero a Nibeluria. Il portone della città venne a loro aperto ed entrarono. Per Kalad era impossibile non rimanere estasiato dalla bellezza della città. Una città affascinante come una danzatrice delle Terre d'Oriente. Una città che profumava di pesca, poi di ciliegio, poi ancora di mela. Avvicinandosi alla Torre dell'Inquisizione, il profumo si trasformava in odore di sangue. Gli edifici erano costruiti con solidi mattoni, alcuni erano alti, altri erano piccoli e modesti edifici. La città si sviluppava dal mare fino al Colle di Gathor. Era una città grande, in cui in ogni vicolo potevi trovare ogni cosa. E non sempre erano cose piacevoli. Il bordello, con le sue lanterne rosse era come sempre pieno di uomini e anche di donne. Le donne, alcune dalle Terre d'Oriente, stavano fuori dall'ingresso attirando tutti i visitatori. Una di loro fece cenno a Kalad di avvicinarsi. Aveva la pelle scura, gli occhi sembravano dei bottoni da quanto erano neri. Le sue labbra rosse e carnose. I capelli castani avvolti in una lunga treccia. Il corpo magro e sinuoso che si muoveva. Kalad volse lo sguardo da un altra parte. Era un soldato dell'Inquisizione, ma pur sempre un uomo. Gli edifici ora si sviluppavano in alto, salendo nel colle, fino alla Torre dell'Inquisizione, che stava sopra ogni cosa, a picco sul mare. Appena arrivati scesero da cavallo ed entrarono. Si tolsero gli elmi e vennero accolti da un servo.

-Venite. Venite pure. Il Grande Inquisitore vi aspetta della Sala Grande.-

Superarono un altro portone e giunsero nella Sala Grande, al cospetto del Grande Inquisitore.

Si inchinarono all'unisono.

-Grande Inquisitore, torniamo per darle notizia che il gruppo di Infedeli situato ad Ovest è stato eliminato con successo.- disse Atras.

-Non mi aspettavo altro risultato, Capitano.- disse in Grande Inquisitore.

-Questa è già la settima squadra che eliminate con successo, senza ricorrere ad espedienti troppo brutali.-

Si certo, come no

-La ringrazio Grande Inquisitore. La mia squadra lavora in modo ottimale. C'è intesa e assieme riusciamo ad essere come uno solo. Sono fiero di loro.-

Kalad si stupì dell'incredibile falsità che può raggiungere un uomo pur di mostrarsi importante di fronte ad un potente. Atras il Pazzo ora sembrava un perfetto lord. Patetico.

-La ringrazio pure io, Grande Inquisitore. Dopo la mia Spedizione al Nord, che mi prese una mano, non poteva esserci più grande onore che far parte della squadra di Atras di Geveldor.- disse Lymann.

Patetico anche lui. Tutti, compreso Kalad, sapevano che la sua Spedizione al Nord contro quegli Skaraahad era stata un fiasco. Dopo un giorno avevano trovato un gruppo di Infedeli. E la loro Guida era morta. Non sapevano dove diavolo andare. Dopo altri tre giorni di viaggio estenuanti, altri quattro uomini erano morti. Finché non sono stati gli Skaarahad a trovare loro. Ne rimasero quattro e Lymann ci rimise la mano.

Sei patetico Lymann. Tutti, te compreso, sanno che sei nella squadra di Atras perché la Spedizione è stata uno schifo. Perché diavolo ti ostini a dire che sei qui per le tue doti? Siamo qui perché siamo i più sfigati, coglione.

-Te lo meriti, Lymann.- disse sorridendo il Grande Inquisitore.

Cazzo se lo meriti

-Ora possiamo andare, mio signore?- chiese cordialmente Atras.

-Non ancora capitano. Ho un incarico per voi. Tutti voi sapete della profezia vero?-

Annuirono.

-Un giorno sarebbe nata la Figlia del Nostro Dio. E al compimento dei suoi diciassette anni ella avrebbe scoperto di esserlo. Avrebbe scoperto i poteri immensi che possedeva. Quest'anno lei ha compiuto diciassette anni.-

-è già passato così tanto dalla sua nascita?- si azzardò a dire Kalad.

-Ebbene si. Non riuscimmo a localizzarla perché pensavamo che qualcuno la trovò prima di noi. E la sua presenza ci venne celata da qualche misteriosa stregoneria. Dopo anni di ricerca finalmente l'abbiamo trovata. Abbiamo inviato delle nostre truppe ma ci è fuggita nuovamente. E con lei anche il suo aguzzino. Un certo Kanda T'mail, un Q'uoin. È fuggito ieri notte. Era un Possessore ma non ce ne siamo accorti. La ragazza sta lentamente sviluppando le sue capacità e senza rendersene conto cela la sua posizione ai Sacerdoti degli Occhi. Ho già inviato altre squadre a setacciare quel territorio. Voglio che anche voi andiate là.-

Non ci fu nessuna obbiezione, ovviamente.

-Come comandate, Grande Inquisitore.-

-Potete andare. Fatevi una bevuta, ve al meritate.-

 

La locanda del Guercio Barbuto era la più famosa di tutta Nibeluria. Se volevi bere l'acqua del Supremo quello era il posto giusto.

Joran era ubriaco fradicio. Cantava e ballava sui tavoli con qualche donna. Lymann prese una donna e la porto nelle stanze superiori a fare il suo dovere da buon soldato dell'Inquisizione. Atras giocava a dadi con dei tipi.

Thomas sedeva nel tavolo di Kalad parzialmente brillo. Kalad aveva bevuto neanche metà del bicchiere e se ne stava seduto lì assorto dai suoi pensieri.

-Eh dai fattela una bevuta, Kalad! Giusto per sgomberare la mente.- disse Thomas.

-Per sgomberare la mia mente non basterebbe tutta la birra di questo mondo, Thomas.-

Thomas fece una risata da ebete.

-è proprio vero! Ma credo che quell'aspetto cupo e solitario sia parte del tuo fascino ormai.-

Kalad sorrise.

-Può essere.-

-Stai barando, stronzetto.- dissero nel tavolo a fianco.

-Guardati attorno. Mio padre mi raccontava storie eroiche sull'Inquisizione. Sull'onore che c'era nel farne parte. Battaglie con Skaraahad, Litumani o Gorvashor. Tutti quegli esseri mostruosi. Battaglie eroiche con armature luccicanti. Non è così.- disse Kalad con un velo di tristezza negli occhi.

-Be'... sapevi a cosa andavi incontro, no? L'eroismo fa parte delle storie, delle leggende. Come quella di Tustmorad l'Avvampante! Quello che poteva prendere fuoco e che scaccio i pipistrelli delle tenebre Darktorak. Hai presente?-

-Sì sì, ho presente.-

-Be' crescendo capisci che sono leggende, insomma.-

-Non è tanto quello, quanto... le persone che vi fanno parte. Guarda Joran, o Lymann, o quel fottuto bastardo di Atras. Non sono degli eroi. Sono dei coglioni, ecco tutto.-

-Be' puoi avere ragione. Ma ci si adegua a tutto col tempo. Devi farlo.-

-E tu l'hai fatto?- chiese Kalad guardandolo.

Thomas bevette l'ennesimo sorso di birra, senza dire nulla.

-Hai barato, sacco di letame! Pensi di fregarmi così!- ora era Atras ad urlare. Si alzò, facendo cadere la sedia ed estrasse un pugnale dalla cintura.

Brutto idiota, tiene le armi anche senza l'armatura

-Non puoi fregare Atras di Geveldor, hai capito lurido verme? Io ti taglio quella tua faccia da piscia sotto e la sostituisco con quella di un cane!- cercò di colpirlo ma Kalad fermò la sua lama.

-Atras sei ubriaco, vedi di darti una calmata.- disse Kalad.

Questa volta Atras non si calmò e lo colpì al volto con un forte pugno. Kalad sbatté sul tavolo. Cercò di colpirlo ma Atras schivò il colpo e lo afferrò per la testa. Lo spinse sul tavolo e col coltello gli sfiorò il volto.

-Stammi bene a sentire, ragazzino! Chi diavolo ti credi di essere per dire a me quello che devo fare? A me! Io ti taglio la gola, chiaro?-

-Datti una calmata, maledizione! Un soldato non si comporta in questo modo!- disse Kalad cercando di divincolarsi.

-Ahhhhh! Ehi guardami! Guardami! Ehi, ehi, ehi, calma, guardami! Guardami, cazzo!-

Gli tenne la testa ferma, quasi come se volesse spezzargli il collo.

-Te la detta tuo padre sta roba, vero? Eh, vero? Sì sì è stato paparino. Il buon vecchio Jor di Gothfresh, eh? Be' vuoi saperla una cosa? Eh, ti va di sapere questa, mh? Tuo padre... era un... codardo. Nella sua prima battaglia, dopo una ferita al braccio si nascose come un codardo dietro una roccia. Dopo la battaglia uscì fuori come se avesse lottato per ore. Quando in realtà era restato nascosto per tutto la battaglia!-

Kalad cacciò un urlo e si divincolò con un calcio per poi colpire Atras con un pugno.

-Sta zitto psicopatico! Tu non sapevi nulla di mio padre. Chiaro? Nulla!-

Atras si pulì il sangue dal labbro e scoppio in una fragorosa risata.

-Sei... oh Dio questa è bella... sei veramente sicuro di essere TU a conoscere così bene tuo padre.- rise ancora. -Che il Supremo se lo tenga stretto, Jor era un codardo!-

Kalad rovesciò la sua birra e uscì dal locale, che era calato in un funebre silenzio.

-Patiremo domani mattina!- sentì Atras urlare dietro di lui.

 

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Capitolo 5
*** Per proteggerla ***


Capitolo 4

Per proteggerla.

 

Nibeluria era in movimento. Soldati che correvano per le strade e che entravano nelle case. Sussurri che venivano passati da orecchio ad orecchio. Le campane della cattedrale suonavano. Il loro suono era forte come il battito degli angeli, come un colpo di cannone. Ma armonioso, sembrava quasi emettere luce ad ogni suono. Il popolo si radunò e il Grande Inquisitore, Gran Sacerdote della Suprema Rivelazione, Emissario del Supremo e massima autorità di Noveria si rivolse al popolo.

-Mio popolo, ascoltate! Non voglio tediarvi quest'oggi con parole d'incoraggiamento. Quest'oggi vi spingo ad agire! Due giorni fa un Q'uoin è fuggito dalla Torre dell'Inquisizione. Egli è chiamato Kanda T'mail. Ha lunghi capelli verdi ed occhi viola. Naso aquilino e mento appuntito. Non è poi difficile da riconoscere infondo. Egli è un Impuro! Egli è un Possessore. Detiene la capacita di piegare le cose al suo volere! E come ogni impuro deve essere ucciso! È ancora qui, nella vostra città. Che si aggira per le vie, che entra nelle camere dei vostri figli e con un comando impedisce loro di respirare. Volete questo? Volete che un Impuro, per di più straniero, faccia questo a voi?-

Il popolo urlò. Un urlo feroce che chiarì ciò che pensavano.

-Esatto! Cercatelo, colpitelo con la forza del Vostro Signore e poi... portatelo da me.-

 

La locanda del Guercio Barbuto era affollata come il solito. Ma questa volta c'era un'atmosfera diversa. Ciò che aveva detto il Grande Inquisitore aveva insospettito il popolo. Si diceva che i Possessori potessero comandare al loro corpo di cambiare aspetto. Chiunque poteva essere lui. Appena Kanda entrò venne subito guardato in malo modo. Portava una lurida tunica marrone, i capelli verdi nascosti dal cappuccio.

Poche ore prima avevano preso un pover'uomo e l'avevano linciato perché i suoi occhi erano viola.

A volte la paura spinge a fare brutte cose.

-Ehi tu!- lo chiamò uno.

-Si tu, col cappuccio. Perché non te lo togli, eh? Hai qualcosa da nascondere?-

-Ehi amico non vedi che è un sacerdote?- disse quello al suo fianco.

-Si be' certo. Allora non controlliamo nessun sacerdote della città, eh? Togliti quel cappuccio o ti taglio al gola.-

L'uomo venne colpito da un pugno del tizio a fianco.

A Noveria, ma sopratutto a Nibeluria i sacerdoti erano intoccabili.

-Lo perdoni, vostra imminenza.-

-Figurati, caro. È solo la paura.- disse Kanda cercando di modificare il più possibile la sua voce.

Si avviò verso il bancone e le conversazioni tornarono dove erano state interrotte.

-Vostra eccellenza cosa le servo?- chiese il locandiere.

-Andiamo Lem, basta con questa farsa.- disse Kanda scostando leggermente il cappuccio, quel poco che bastava a Lem per vederlo.

-Kanda? Sei tu?-

-Hai mai visto altri Q'uoin a Noveria? Comunque della birra, bionda.-

-Per Dio che ci fai tu qui?- Lem era un uomo dai folti baffi grigi e dal volto solcato da rughe profonde. I capelli restavano solo sulle tempie.

E tanti saluti al ciuffo che piaceva tanto alle ragazze, eh Lem?

-Per te chi è il Q'uoin che è fuggito dalla Torre e che è pure un Possessore?- disse Kanda mentre Lem gli porgeva la birra.

-B' ho pensato a te ovvio. Ma non sapevo fossi qui.-

-Così pare.-

-Che hai fatto per farti prendere?-

-Ho tenuto con me una persona molto importante.-

-La persona sbagliata?-

-No.- disse Kanda bevendo un sorso. -Non lo era.-

-Be' ti sarai pentito di averla tenuta con te se ti ha portato a fare una capatina alla Torre.-

-Non mi pento di nulla. Fino all'ultimo istante.-

-Fammi indovinare? Una ragazza?-

-Già.-

-Molto importante.-

-Molto importante.- confermò Kanda.

-Ma chi sarebbe? La puttanella di un sacerdote?- disse Lem sorridendo.

-No. È solo una persona molto importante. Chi sia non è affar tuo.-

-Ok, ok. Col tempo ho capito che è meglio tenersi lontano dai tuoi affari. Sei uno storico, miseriaccia. Come può uno storico mettersi sempre nei casini come te?-

Kanda sorrise e bevve un altro sorso. La birra era freschissima.

-Ah, sempre ottima la tua birra, Lem.-

-Grazie. Comunque non hai risposto.-

Kanda borbottò.

-Ma che vuoi che ti dica? Uno storico ha bisogno di sapere ciò che succede in un determinato luogo. Anche le cose più misteriose. Quella cosa fra anche solo dieci anni sarà storia. Anche dopo un anno. E i libri di storia hanno sempre bisogno di essere riempiti.-

-Ah, amico. Sei il solito. Ricordi a Kevva?-

-Quello fu tutt'altra storia.-

-Certo un cazzotto in faccia ad un sacerdote non è nulla di che.-

-Shh! Abbassa la voce, cazzo!-

-Scusa.- disse Lem facendo ciò che gli era stato ordinato.

-Comunque quella volta sono stato fortunato.-

-Grazie a il mio aiuto.- precisò Lem.

-Lo ammetto, sei stato utile.-

-Utile? Cosa sono un oggetto?-

-Finiscila.-

-Va bene. Comunque si può sapere perché cazzo sei qui? Tutta la città...- si guardò attorno ed abbassò la voce ancora di più.

-...tutta la città ti cerca. E stando qui mi fai rischiare le chiappe, amico.-

-Tranquillo, amico. Sono bravo a non farmi notare.-

-Oh certo. Un evasione con due guardie morte ed un muro abbattuto sono cose invisibili.-

-Avresti fatto diversamente? Rimanendo la sarei morto. Dopo atroci torture.-

-Non augurerei nemmeno al mio peggior nemico di finire nella Torre. Al confronto quelle che subimmo a Talah sono solletico.-

-Bah, quelle erano una cazzatella. Ci rimisi un po del mio orecchio destro e un dito del piede sinistro.-

-Io 'sto taglio sulla guancia. Se non fosse stato per quei tuoi poteri ora il mio uccello sarebbe a cinguettare su un albero, non so se mi spiego.-

-Ti spieghi, ti spieghi. Ultimamente però i miei poteri mi stancano troppo. Basta che ordino ad uno di ammazzarsi e ho il fiatone. Se abbatto un muro vedo come se mi fosse cascato un pietrone sulla testa.-

-Be' sai com'è. Non sono molto normali le cose che fai.-

-Già.-

-Comunque voglio una camera dove dormire per sta notte. Al sicuro. Domani mattina voglio cercare di andarmene e cercare la ragazza.-

-Amico te l'ho detto! C'è un dannato casino in città. Ieri sera due soldati dell'Inquisizione hanno fatto a botte. Uno era quello schizzato di Atras. La gente diventa violenta in queste situazioni. Non voglio che il mio amico finisca ammazzato nella mia locanda.-

Kanda sorrise. -Sei un caro amico, Lem. Ma anche stando là fuori farò la fine del cane. Qui sono più al sicuro. Ed è meglio stare in una camera che per strada. Sopratutto oggi.-

-Non mi ascolti! Trova un altro rifugio.-

-Eh dai!-

-No.- Disse lem chiudendo gli occhi risoluto.

-Andiamo, Lem! Mi mandi al macello comunque.-

-Sei un Possessore, amico. Non morirai. E poi non potrei sopportare di trovarti morto in una mia camera. Questo no.-

Kanda esitò. Poi sorrise.

-Ok... ok come voi. Allora inavvertitamente potrei spargere la voce di quello che successe cinque anni fa a Gormandar.-

Lem spalancò gli occhi.

-Non oseresti.-

-Oh, io oserei-

-Tu piccolo... andiamo, ero al verde!-

-Se vuoi che tutto stia nell'ombra fammi dormire qui.-

Lem rimase a guardare i profondi occhi viola di Kanda.

-Ah, fottuto Q'uoin! Cosa non si farebbe per gli amici?-

Kanda sorrise.

-Ah, ti voglio bene lo sai questo?-

-Se, se. Comunque toglimi almeno questa curiosità. Perché vuoi uscire dalla città, con l'Inquisizione che ti da la caccia, per quella ragazza di cui non so nulla?-

Kanda bevette l'ultimo sorso e se lo godette fino in fondo.

-Per proteggerla.-

 

Il letto era molto comodo e non si poteva certo dire che la locanda di Lem non fosse accogliente. Kanda aveva conosciuto Lem ormai quindici anni fa. Allora Lem era più giovane e molto più scavezzacollo. Non che ora sia tanto diverso, ma decise di mettere la testa un po' apposto e di aprire una locanda. Che fece il suo discreto successo. Era un brav'uomo. Ma aveva ragione. Il tipo che aveva tentato di smascherare Kanda si presentò nella sua stanza con un suo amico. Entrarono silenziosamente. Uno di loro era armato di coltello. Quello fu il suo errore. I raggi della luna si riflessero sul coltello. E ciò svegliò Kanda. Era abituato da anni a dormire col pericolo di un agguato. Si sposto in tempo, prima che il pugnale perforasse il cuscino. Colpì il tizio con una gomitata sul volto. Il secondo si agguantò su di lui, soffocandolo. Aveva le mani grosse e pelose la sua stretta era notevole.

Cercò di mugugnare qualche Comando ma non veniva alcun suono dalla sua voce. Colpì con un calcio sui testicoli l'uomo e cadde dal letto. Il tizio col pugnale era pronto a colpirlo ma Kanda lo placco contro l'armadio. Senti le mani dell'altro tizio prenderlo per le spalle. Si era ripreso troppo in fretta. Lo spinse a terra e cerco di soffocarlo ancora. Ma questa volta Kanda fu più veloce. Mise una mano sul collo dell'uomo e disse: -Soffocati!-

L'uomo si agguantò il collo con le sue stesse mani finché la faccia non gli divenne come un pomodoro.

Kanda si alzò. Il tizio col coltello era pronto ad attaccarlo. Attaccò con un fendente destro. Kanda lo deviò con il proprio braccio. Colpì il tizio con un pugno, poi un altro ancora. Lo afferrò per il collo, sbattendogli la testa con forza contro il muro. Il tizio però lo accoltello al braccio, subito dopo sulla coscia destra.

Devo toglierli il pugnale, pensò Kanda.

Il tizio però lo teneva stretto come se fosse un sacchetto di monete d'oro.

A mali estremi... pensò Kanda.

Questa volta il tizio fece un affondo e Kanda fece la follia di prendere in pieno il colpo sulla mano sinistra. Il coltello perforò la mano. Il bruciore era lancinante. Kanda dovette fare questo gesto per poter usare i suoi poteri. I Comandi sono alla base dei poteri di ogni Possessore. Anche se i possessori sono molto pochi. La “magia” se così la vogliamo chiamare si trasmette attraverso la voce ma è necessario anche un tocco. Se Kanda avesse detto “Pugnale. Rompiti” non sarebbe successo nulla, era necessario toccarlo. Nella Torre dell'Inquisizione Kanda era riuscito ad uccidere le due guardie senza toccarle. In realtà c'era stato un contatto. Kanda era incatenato con le catene che le guardie stavano tenendo. Ad esempio se un uomo è appoggiato al muro Kanda può ordinare che quell'uomo sbatta la testa sul muro semplicemente appoggiandosi su di esso: basta semplicemente che entrambi gli individui stiano toccando la stessa cosa.

Perciò disse: -Coltello. Rompiti.- e la lama si ruppe. Togliere la lama dalla mano fu molto più doloroso della coltellata stessa. Il tizio lo guardò sconvolto. Tornò all'attacco con quel poco che restava del suo coltello.

-La vuoi finire?- disse Kanda. Il suo cuore batteva molto più forte di prima e le sue orecchie fischiavano. Fortunatamente la vista era normale.
Devo imparare a cavarmela anche senza i Comandi, pensò.

Deviò l'ennesimo colpo, prese la testa del tizio e la girò con un violento strattone. Il collo si ruppe con un sonoro CRACK.

Lo scontro era terminato. Si appoggiò al muro. Aveva il fiatone ed era terribilmente stanco.

-Avrei dovuto ascoltare Lem.- disse tra sé.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Seguire le tracce ***


Capitolo 5

Seguire le traccie.

 

Kalad non riuscì a chiudere occhio. Afflitto dalle parole di Atras.

Ma erano la verità? Suo padre era veramente un codardo? Un vile che scappava durante i combattimenti? Lo stesso padre che per anni gli aveva raccontato le sue nobili imprese e l'onore che si riceve a far parte dell'Inquisizione.

Lo stesso padre che lo aveva incitato ad essere un nobile guerriero, a rispettare i diritti dei più deboli, a diffondere il credo della Suprema Rivelazione con moderazione e armonia.

Riguardando al passato... ora quelle parole sembrano così finte, fasulle, vuote.

Partirono alle prime luci del mattino, diretti a Nord di Noveria, dove era stata avvistata l'ultima volta la ragazza.

-Speriamo che sia carina.- disse Thomas.

-Che te ne frega, non devi mica scopartela.- disse Kalad.

-Be' mi farebbe piacere che fosse una bella ragazza, problemi? O preferisci che sia una bruttona?-

-Quello è impossibile, è la figlia del Supremo. Deve avere una bellezza divina.- sentenziò Joran

-Che sia bella o brutta dobbiamo trovarla. E se allungate troppo anche solo un dito ve lo taglio e ve lo faccio mangiare.- ringhiò Atras.

Il capitano era stato diretto, non dissero nient'altro.

-Una sola cosa. Come cazzo facciamo a trovarla?- chiese Lymann.

-Cerchiamo.- rispose Kalad.

-Grazie tante. Ma è passato un po' e potrebbe essersi spostata. Potrebbe essere corsa verso il Nord.-

-Cos'hai paura di tornarci, Lymann.?-

-Tu non ci sei mai stato, ragazzo. Non sai cosa significa combattere contro degli Skaraahad.-

Ma nemmeno tu lo sai veramente

Verso Nord il territorio si faceva più montuoso, con alberi dalla corteccia dura. Dev'essere stata brava a sopravvivere per giorni qui da sola. Se è viva.

Continuarono la strada. Quel territorio era chiamato Passo di Sgornand. Un passo montuoso abbastanza ripido e famoso per le sue foreste molto pericolose. Là si nascondevano anche degli Infedeli, della specie più barbara probabilmente. Il passo proseguiva fino a quando non smetteva di salire, là si trovava un modesto edificio, ora ridotto veramente male. C'erano otto persone. Erano altre squadre Inquisitore.

-Abbiamo compagnia.- disse uno.

Kalad lo riconobbe, era il Capitano Oswald di Montaran, città del Est, a confine con Vurkan. Era un tipo alto e magro, dai capelli neri e dalla pelle rossiccia tipica dell'Est.

-Oswald, è bello vederti.- disse Atras.

-Sì sì- disse sbrigativamente Oswald. -Siamo già in troppi, mancavate solo voi.-

-Eh dai non rompere.- disse Joran.

Uno dei soldati sorrise.

-Ti sei lavato, Joran? La tua puzza potrebbe far scappare la ragazza.-

-Fottiti Ball!-

I soldati risero.

-Smettetela voialtri! Siamo qui per cercare la ragazza, non per sfotterci tra di noi.- disse il secondo capitano. Era Petros di Homana. Lui era considerato uno dei più talentuosi capitani di sempre. Era vecchio ma dalla corporatura possente. La barba bianca legata in una treccia. La testa completamente pelata. Il naso grande e tozzo. Portava con se una grossa mazza.

-Petros! Chi si aspettava di rivederti? Non sei ancora in pensione?- chiese Atras sorridendo.

-Sei molto simpatico, sì sì. Ora fottiti e fai l'ispezione nel bosco.-

Atras non era nemmeno la metà di ciò che era Petros di Homana. Fece la sua prima spedizione a Vurkan, accorrendo in aiuto ai Vurkaniani che combattevano contro dei Lakaviani asserragliati su una fortezza. Petros e la sua squadra avevano preso alle spalle la fortezza, superando il promontorio. Una follia certo, ma una follia efficace.

-Anche la tua squadra dovrebbe andare, Oswald.- disse Petros.

-Non siamo a Vurkan, vecchio. Non ci dai gli ordini.-

-Io a Vurkan ho liberato una fortezza, tu cos'hai fatto là? Dato fuoco ad un bosco?-

Oswald abbassò la testa imbronciato. Tutti sapevano che il povero era stato a Vurkan per un paio di mesi, ad occuparsi degli Infedeli asserragliati in una foresta. Oswald aveva deciso di dare fuco alla foresta. Usare il fuoco a Vurkan e come lanciare un secchio d'acqua contro un Uomo Acquatico. Stupido e totalmente inefficace. Si avventurarono nel bosco dopo poco assieme alla squadra di Oswald. I segni della tempesta di giorni prima aveva reso la terra fangosa e scivolosa. Uno o due soldati scivolarono pure sporcando le loro armature di fango.

-Come cazzo facciamo a trovarla?- disse Joran.

-Seguiamo le tracce.- disse Kalad.

-Che intendi?- chiese Thomas.

Kalad indicò verso delle erbacce schiacciate.

-Qui dove siamo il fango è leggermente spostato. È scivolata e ha mosso con forza i piedi per alzarsi, sembra quasi un solco, vedete? Laggiù le erbacce sono schiacciate. Quindi ha corso per di là.-

Joran rise. -Kalad l'investigatore!-

Kalad sorrise. In realtà erano cose molto semplici. Era solo molto stupidi e non se ne accorgevano.

-D'accordo seguiamo le tracce.- disse Oswald.

Durante la strada Atras e Oswald erano intenti a parlare tra di loro. Kalad fece la conoscenza di alcuni soldati. Okk di Nguyen, Loyd di Nibeluria e Nom di Geveldor. Nom veniva dalla stessa città e conosceva Atras da tempo. Anche se non si parlavano.

-è un tipo... eccentrico.- disse a bassa voce. -Bisogna stare attenti a quello che si dice. Se dici la parola sbagliata può tagliarti la gola senza esitazione.-

Okk sorrise. -Sono sicuro che Oswald se la sta facendo sotto adesso.-

I soldati si lasciarono andare ad una breve risatina.

Atras si girò verso di loro.

-Che cazzo ridete, idioti? Pensate alla ragazza o vi ammazzo.-

Arrivarono in un piccolo spiazzo con una grotta. La grotta era disabitata.

-Si è accampata qui.- disse Atras.

Si avvicinarono e i muri della grotta avevano qualche disegno. Non erano nemmeno così male nonostante fossero stati fatti con un sasso. Rappresentavano una casa, la sua, che andava in fiamme, circondata da spade con l'aureola sulla punta.

Loyd sorrise. -Non male la piccolina.-

-Bada a come parli!- lo rimproverò Oswald.

-Sapete tutta questa cosa del fatto che lei è la figlia del Supremo è una mezza rottura. Non si può dire nulla! Insomma se è una figa da paura non si può fare nulla. Nemmeno toccarla.- Disse Okk.

-Ti faresti la figlia del tuo Dio?- chiese Thomas.

-Be' sarebbe un grande atto di fede.-

Kalad non stava ascoltando i loro discorsi. Guardava la grotta e pensava che là per giorni, c'era rimasta una ragazzina di diciassette anni. Vide tracce di impronte che uscivano dalla grotta. Erano fresche. Mentre gli altri parlavano si avviò verso le impronte, lo portarono fino al fianco della grotta dove c'erano altri massi.

Le impronte terminavano vicino a quello davanti a lui.

-Dovresti imparare a nasconderti.-

Improvvisamente una figura umana sbucò da dietro la roccia e si lanciò contro Kalad. Senza badare che lui indossava l'armatura. Finì a terra davanti a lui.

Era decisamente lei. Era una ragazza di diciassette anni. Portava una vestaglia da notte che un tempo era bianca. Ora era tutta sporca. Era anche strappata verso le gambe e le lasciava le cosce abbondantemente scoperte. I capelli erano tutti ricoperti di nodi e sporchi anch'essi. Erano neri come le ali di un corvo. Era molto piccola di statura ma tra le Noveriane non era una novità. Nonostante fosse sporca il suo viso manteneva una grande bellezza. Gli occhi erano di un azzurro glaciale. Il viso praticamente perfetto, privo di qualunque tipo di imperfezione. Nonostante fosse sporca. Sembrava emanare radiosità.

Appena Kalad tentò di avvicinarsi iniziò a piangere e a muoversi. Kalad si accucciò, la prese per le braccia e la tenne ferma.

-Va tutto bene. Tranquilla non voglio farti del male, va tutto bene.-

Gli occhi di lei erano carichi di lacrime.

-Non mi farai del male?-

-Non te ne farò.-

-Ma tu hai la spada con l'aureola. Loro mi fanno del male.-

Il tono della sua voce era disperato.

-Io non sono “loro”. Io sono io. E non ti farò del male.-

Lei tirò su col naso e gli porse la mano.

 

Appena Kalad la portò dagli altri tutti la guardarono come se avessero visto il Supremo stesso, il che non era falso a dirla tutta. Si inchinarono e la ragazza sembrava sorpresa di tutto ciò. Addirittura Atras annuì verso Kalad in segno di ringraziamento.

Ciò non cambia nulla. Ciò che hai detto di mio padre resterà per sempre, figlio di puttana.

Tornarono da Petros e il vecchio capitano rimase allibito alla presenza della ragazza. Forse per la sua bellezza.

-Ora Vostra Luminescenza, restate qui con noi. Viaggeremo fino a Sud, verso Nibeluria. Sarà un viaggio lungo, siamo in molti. Se qualcosa le crea problemi non ha che da chiedere.-

Lei annuì timidamente.

A Kalad ricordava una ragazza di Gotfresh. Si chiamava Lia. Era piccola e abbastanza carina. Anche se non come la ragazza. Aveva i capelli biondi e gli occhi castani. Fu probabilmente la prima infatuazione di Kalad. Aveva dieci anni. Stettero un giorno intero assieme, tenendosi sempre per mano. E prima di tornare a casa lei lo aveva baciato sulla guancia. Per lui era stato il massimo che la vita gli potesse offrire. Poi era dovuta andare via.

Il modo di fare della ragazza le ricordava Lia. Timida e dolce. E molto, molto, molto carina. La differenza d'età era evidente. Kalad si avviava verso i trent'anni, lei era da poco diciassettenne.

Ma che stava pensando?

-Ce l'hai un nome.- le chiese per far svanire i suoi pensieri.

Lei lo guardò e annui.

-Ayliss.-

-è un bel nome, mia signora.-

-No... cioè... non chiamarmi così.-

-Mia signora?-

-Non farlo, non sono... niente di speciale.-

-Voi siete la figlia del Supremo, di Dio Onnipotente. Siete più speciale di ogni abitante del Grande Continente.-

Lei si limitò ad abbassare la testa.

Fatti forza ragazza. Ne avrai molto bisogno.

Lei guardò quello che le stava davanti. Era Ball. Aveva il coltello nella cintura, fin troppo visibile. Ayliss si mosse velocemente. Lo tolse dalla cintura e con un colpo secco lo infilzò sulla coscia di Ball. Tentò di scappare ma Lymann la prese. Per lei era impossibile liberarsi dalla stretta di quelle poderose braccia. L'armatura di Ball aveva parzialmente attutito il colpo ma il pugnale aveva preso la carne.

-Mi ha fatto male, cazzo. Cazzo!- si lanciò follemente contro di lei, colpendola al volto con un pugno. La mano di Kalad si mosse autonomamente. La sua spada tagliò di netto la mano di Ball. Lui urlò di dolore e si inginocchiò.

-Medicate questo coglione.- disse Oswald.

-Dovrebbe meritare la morte!- sbraitò Petros.

-è della mia squadra, decido io.-

Petros bofonchiò qualcosa senza senso. Poi guardò Kalad.

-Ottimo lavoro, ragazzo.-

-La ringrazio.-

Ayliss stava trattenendo le lacrime.

-Lo avevo detto! Voi mi avreste fatto del male! Lo sapevo!- la sua voce sembrò deformarsi in un suono diverso. I suoi occhi divennero bianchi e sembrò brillare. Forse lo stava facendo davvero.

-LO AVEVO DETTO!- urlò e da lei si sprigionò una folata d'aria calda. Ma quando Kalad la sentì non sembrava aria normale. Sembrava il soffio di Dio stesso. Tutti vennero sbalzati a terra, e le armature di quelli più vicini, come Lymann, si ammaccarono.

Dopo che ebbe finito restò immobile, le gambe che tremavano. Era sconvolta e probabilmente nemmeno lei sapeva che era successo.

Petros si rialzò e dopo di lui lo fecero tutti gli altri.

-Mia signora, perdonateci! Perdonate la nostra vile insolenza.-

Lei sembrò perdere l'equilibrio.

Kalad la prese prima che lei si facesse male.

-Io non voglio che tu ti faccia del male.- disse asciugandole il labbro.

Gli occhi di lei era fissi sui suoi.

-Non mi hai detto come ti chiami.-

-Kalad.- disse lui. -Chiamami Kalad.-

 

 

 

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Capitolo 7
*** La forza dei sentimenti ***


Capitolo 6

La forza dei sentimenti

 

Il viaggio continuò senza altre preoccupazioni. Ayliss tendeva a stare sempre vicino a Kalad e sicuramente avvertiva gli sguardi che le lanciavano i soldati. In particolare Joran e Loyd. Se c'è una cosa che può far impazzire un uomo quella è senz'altro una bella ragazza.

-Appena troveremo un ruscello potrà lavarsi, Vostra Luminescenza.- disse Petros.

-La ringrazio.-

Dopo poco tempo arrivarono nei pressi di un corso d'acqua in cui si trovava pure una piccola cascata. L'acqua era limpida e pulita. Decisero di accamparsi là per la notte.

-Ragazzo.- disse Petros rivolto a Kalad.

-Accompagna la ragazza. E proteggila qualunque cosa accada.-

-Sissignore.-

Kalad guardò Ayliss e le porse la mano.

-Venga con me, mia signora.-

Lei gli prese la mano. La mano di Kalad era ruvida e le dita erano forti. Ma il suo tocco era delicato. In quel momento erano abbastanza distanti dall'accampamento.

Lei tocco con la punta del suo piede l'acqua.

-Non è troppo fredda.-

Poi rimase ferma là, guardando Kalad.

-Oh... si certo. Perdonatemi.- disse girandosi.

Riuscì a sentire il suono della sua veste che cadeva a terra e trattenne con enorme fatica l'impulso di girarsi.

Poi senti dei movimenti sull'acqua.

Idiota! Ti sei girato e le hai dato una facile possibilità di scappare.

Ma appena si girò lei era immersa fino al collo.

Non riusciva a vederla attraversa l'acqua e questo gli porto molta frustrazione.

Calmati

-Non siete scappata. Avreste potuto ma non l'avete fatto.-

Lei alzò lo sguardo.

-è da loro che voglio scappare, non da te. E ora tu sei qui.-

Lui annuì.

-Dev'essere stato terribile per voi restare prigioniera di quel Q'uoin. Immagino solo cosa vi ha fatto.-

-Non farlo. Perché non servirebbe a nulla e faresti viaggiare la tua mente a vanvera. Non mi ha fatto nulla. A differenza di quel Ball.-

-Vi chiedo umilmente scusa da parte sua.-

-Le scuse non cambiano le cose.-

-Posso immaginarlo. Ma stento a credere che quel Q'uoin...-

-Kanda.-

-Kanda... non vi abbia fatto nulla. Non temete di parlarne. Quando lo troveremo avrà la giusta punizione.-

Lei sospirò.

-Non mi ha fatto nulla. Se non istruirmi. Se sono rimasta viva per giorni da sola nel bosco è solo grazie a lui. Siete voi i cattivi.-

Kalad sussultò.

-Perché lo pensate?-

-Perché è la verità. Avete attaccato la mia casa e avete catturato... e picchiato il mio amico. E ora non so nemmeno che gli è successo. Povero Kanda.-

Kalad rifletté un istante.

-Posso dirvi che è evaso dalla Torre Inquisitoria. Ora ipotizziamo sia a Nibeluria, in giro per la città. Le truppe Inquisitorie sono state già incaricate di setacciare la città.-

Lei si agitò nell'acqua.

-Ma perché lo volete uccidere?-

-Perché vi ha tenuto in ostaggio.-

-Lo state facendo anche voi.-

-Noi siamo stati incaricati di accompagnarvi a Nibeluria dal Grande Inquisitore stesso.-

-Lui non è buono.-

Kalad questa volta non rispose.

-Kalad... tu sei diverso dagli altri. Lo sento. Tu non sei fiero di ciò che sei... e ora rinneghi anche il tuo passato.-

Kalad si paralizzò.

-Non so come faccio a saperlo. Ma vedo dentro di te. C'è vergogna per ciò che sei... e per ciò che chi era vicino a te era.-

Kalad aprì la bocca per parlare ma non uscì alcun suono.

-Non sei fiero di ciò che sei. E ti capisco. L'Inquisizione non è quello che dice di essere. Credo che mio padre non gradirebbe tutto questo.-

-Lo credo anch'io.- riuscì a dire.

-Allora perché non scappi? Perché non ti ritiri?-

Kalad si toccò il mento. La sua barba pizzicava.

-Quando entri nell'Inquisizione non puoi più uscirne. Se non con la morte.-

-Scappiamo assieme!- disse lei spalancando i suoi meravigliosi occhi azzurri.

-Mia signora...-

-No, niente discussioni. Voglio andare via. Loro mi faranno del male ma tu no. Tu sei buono anche se stai con loro. Ti prego.-

I suoi occhi.

Imploranti.

Come quando l'aveva trovata.

Era bellissima.

Troppo.

Le sue parole sembravano entrargli nel cervello.

-Se state usando qualche stregoneria su di me non servirà.-

-Stregoneria? Non so nemmeno come ho fatto a fare quello che ho fatto. Io non voglio andare con loro. Loro mi useranno, mi terranno prigioniera. Tu sei speciale. Voglio stare con te.-

-La stanchezza le sta facendo perdere la ragione, mia signora.-

-Non credo proprio. Se io vengo presa prigioniera inizierà la guerra, se scappo inizierà comunque. Ma preferisco vivere libera anche se braccata piuttosto che prigioniera da delle persone infide e meschine. E voglio che tu mi protegga.-

Kalad si avvicinò. Per far in modo che le parole non venissero udite.

-Voi avete letto dentro di me. Non so come... ma avete capito ciò che mi affligge da anni. Ma vi prego di guardare oggettivamente le cose. Con l'Inquisizione sarete al sicuro.-

-Ma sarò prigioniera! Kanda mi ha insegnato che non c'è nulla di più puro che vivere nella natura. Nulla di più esaltante che toccare coi piedi nudi la terra, che accarezzare la corteccia degli alberi, che sentire l'aria tra i capelli. Se tu resti al mio fianco posso farcela. Scappiamo assieme. Magari cerchiamo pure Kanda, potreste diventare buoni amici. Ma non voglio restare con loro.-

Kalad sospirò.

-Basta. Mi dispiace ma non abbiamo dei vestiti di ricambio.-

Lei mise il broncio.

-Mi va bene il vestito strappato. Basta lavarlo.-

-Anche se è strappato?-

-A te andrà benissimo. Ho visto come mi guardavi da dietro.-

Kalad si sentì diventare rosso.

Le porse i vestiti e lei li immerse nell'acqua.

Che io ti guardi da dietro o da davanti. Rimani sempre stupenda.

Chissà se il Supremo lo sentiva?

Lui si girò nuovamente e lei venne fuori dall'acqua. Aveva indossato il vestito bagnato.

Si girò a guardarla. Sentì un moto d'eccitazione travolgente nelle brache.

La sua veste bagnata avvolgeva i suoi seni perfetti. La gonna attaccata ai fianchi mostrava la loro perfetta curva.

-Vostra Luminescenza permettetevi di coprirvi.- Disse togliendosi il mantello.

-Guarda che con te non mi vergogno mica, anzi.-

Lui cercava di tenere lo sguardo sui suoi occhi.

Lei si avvicinò. Muovendosi in modo felino.

Cazzo se è brava. Supremo dammi la forza. Per tutto ciò che è caro in questo mondo, trattieni la mai fottuta virilità!

Erano ad un passo di distanza. Lei era molto più bassa di lui.

Gli arrivava sul petto.

Fanculo a me e alla mia dannata passione per le ragazze basse.

-Credo che tu sia inflessibile, mh?-

-è giusto.-

-Va bene. Allora promettimi questo.-

-Ditemi.-

Lei gli prese la testa con entrambe le sue piccole, delicate, mani e lo tenne fermo.

Il suo sguardo si posò sui suoi seni perfetti.

Oh Padre di ogni cosa!

-Promettimi che mi difenderai. Promettimi che nessuno mi farà più del male.-

Kalad annuì.

-Lo prometto.-

Lei gli diede un lieve bacio sulle labbra. Sapeva di fragole.

-Ora dammi il mantello.-

Kalad sorrise.

-Hai detto che non ti vergogni con me.- disse dandoli del tu.

-Con te no, ma con loro sì.-

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Andare contro il volere di Dio ***


 

Capitolo 7

Andare contro il volere di Dio

 

Kalad era seduto, con la schiena appoggiata su un albero. Non era comodo ma non aveva nessuna intenzione di dormire.

Il fuoco al centro del piccolo accampamento lanciava bagliori contro le loro armature. Si rifletteva sul metallo delle corazze. Ball aveva la mano fasciata e guardava con assoluto disprezzo Kalad.

-Se non vuoi perdere anche l'altra mano smettila di guardarmi.-

Ball abbassò lo sguardo.

Loyd e Lymann parlavano tra di loro di una cameriera che avevano entrambi conosciuto. Joran stava mangiando un coniglio che aveva catturato. Petros e Oswald parlavano tra di loro, una conversazione fredda, pacata.

Atras Stava seduto e lucidava la sua spada. I suoi occhi erano persi nei perfetti lineamenti della lama.

Gli altri soldati sghignazzavano come degli idioti.

Ayliss stava rannicchiata qualche metro da Kalad. Aveva le ginocchia avvolte dalle braccia e il mantello porpora di Kalad la copriva completamente. Atras alzò lo sguardo dalla sua spada. I suoi capelli biondi e neri che gli ricadevano nel volto. Guardò Ayliss con fare animalesco. Come se fosse pronto a saltarle addosso e a strapparle il mantello. Ma forse non lo faceva perché Kalad lo stava fissando. Lo sguardo di Kalad era fisso sugli occhi di Atras. Le parole di giorni prima rimbombavano ancora nella sua testa. Come se un uomo lo colpisse con un martello.

Tuo padre... era... un codardo!

Impossibile. Suo padre era un uomo d'onore. Un uomo che metteva la famiglia al primo posto. Che sarebbe stato in grado di vendersi come schiavo se questo poteva portare dei soldi alla famiglia. Un uomo buono, generoso, saggio. Che voleva che suo figlio, Kalad, diventasse una brava persona. L'unica... in un esercito di malvagi. O forse era un uomo che voleva solo che il figlio... diventasse meglio di ciò che lui era. Diventasse ciò che lui non era riuscito ad essere? No, no era impossibile.

-Ti aspetti delle scuse per ciò che ho detto vero?- disse all'improvviso Atras.

-Delle tue scuse non me ne faccio un cazzo.- rispose freddamente Kalad.

-Non essere volgare vicino alla ragazza. Allora, ti aspetti delle scuse?-

-Non mi piace ripetermi, Atras.-

-Comunque sappi che non ne avrai. Ciò che penso di tuo padre resta. Era un perdente. Ma tu sei migliore.-

-Non conoscevi mio padre.-

-Lo conoscevo, invece. Ed era un codardo. Ma, come ho detto, tu sei diverso. Puoi rendere alto il nome della tua famiglia.-

-Mio padre ha reso onore al nome della sua famiglia. Un padre esemplare.-

-MA un pessimo soldato.-

-Non un'altra parola, Atras.- disse Kalad guardando Atras con gli occhi duri come il ferro.

Atras sorrise e iniziò a lucidare la lama di nuovo.

Ayliss guardò Kalad e si avvicinò gattonando a lui.

Oh Dio, non farlo

Lei si accucciò al suo fianco.

-Il tuo sguardo l'ha fatto smettere di guardarmi.-

-è una brutta persona.-

-Oh lo so, ho letto dentro di lui. Non ha tutte le rotelle apposto.-

-Questo è vero.-

-Sai... mi piace il tuo sguardo. Da lupo.-

Lui la guardò con la coda dell'occhio.

-Da lupo, mia signora?-

-Ayliss. Sì, da lupo. Lo sguardo penetrante, quello che ti legge dentro, quello che non ti aspetti la reazione successiva. È... accattivante.-

Oh Dio.

Kalad sorrise.

-Vorrei essere guardata anch'io da quello sguardo.-

Oh Dio falla smettere. Non posso trattenermi!

-In che senso?-

-Non lo so. Hai capito comunque.-

Non ho capito, invece! Cazzo. Non sarà mica... e forse anch'io... no no no no.

La sua mente vagava troppo con lei accanto. E la sua virilità non esitava a fare lo stesso.

-Vorrei che mi guardassi. Sarebbe eccitante.-

Oh Dio questo è troppo. Prima che le salti addosso...

-Quando sarà il momento.-

-Non adesso?-

Poi, con lentezza misurata, si volse verso di lei.

Era... incredibile. Ora che era lavata la sua pelle sembrava risplendere. Le sue labbra erano carnose, ti invitavano a tuffarti dentro di esse. I suoi occhi erano di un azzurro incredibilmente chiaro. I suoi capelli erano ancora un po' bagnati. Ed erano tirati indietro. Con ogni suo movimento sembrava una ninfa che usciva dall'acqua, pronta ad attrarre qualche sventurato.

Sventurato? Kalad voleva essere portato da lei nei meandri più oscuri e tenebrosi del mondo. Anche solo per avere un bacio.

Non poté fare a meno di guardarla. I loro sguardi si incontrarono con estrema naturalezza.

Gli occhi marroni di Kalad sembrarono dilatarsi alla vista di tale bellezza.

Ayliss lo guardava. Era molto, molto attraente. I capelli corti ma che sembravano crescere giorno dopo giorno. La barba tagliata in modo accurato. Gli occhi da lupo, da predatore, da guerriero. Le braccia forti come la roccia. Le mani ruvide ma allo stesso tempo delicate. Ma lo sguardo da lupo: Quello lo rendeva incredibilmente affascinante.

Quando si resero conto di quanto tempo era passato Kalad aveva già deciso.

-Voglio portarti via di qui.-

-Cosa?-

-Voglio portarti via di qui.-

-Lo faresti?-

-Per te prenderei la luna a mani nude e camminerei sul sole, maledizione. Per te fare tutte le follie di questo fottuto mondo. Non voglio portarti dal Grande Inquisitore, non voglio che tu diventi la sua schiava. Perché è questo che diventerai. Una servetta. Io voglio che tu sia libera. Io voglio vederti camminare scalza nell'erba. Voglio vederti lavarti su un ruscello. Voglio vedere il tuo corpo perfetto. Voglio guardarti negli occhi e viaggiare nella mia fantasia.-

Lei aveva la bocca aperta. Gli occhi spalancati.

-Prendimi con te. Portami via, scaldami col tuo abbraccio. Guardami così come io guardo te. Tienimi tra le tue braccia, accarezzami con le tue dita. Portami via con te.-

-Come vuoi... Ayliss.-

Nessun trucco, nessuna stregoneria. Le parole di Kalad erano uscite dal suo cuore e aveva riflettuto su cosa dire. E voleva farlo. Adesso.

-Andiamo ora. Voglio stare sola con te.-

-Non ora. Aspettiamo. Quando tutti dormiranno.-

-Ma ci sarà qualcuno che non dorme.-

-Allora lo ucciderò.-

Lei sorrise e posò la sua testa sulla sua spalla.

E per lui quello fu fantastico.

 

Tutti dormivano. Era un momento di quiete. Il momento migliore per scappare.

Ayliss non aveva più il mantello. Il suo corpo era fantastico, ma non era il momento di guardarlo. Si mossero lentamente, cercando di non emettere alcun suono. Lei aveva i piedi scalzi, forse soffriva. Il solo pensiero fece rabbrividire Kalad. Lei non doveva soffrire, non più. Lo aveva promesso. Erano abbastanza distanti, erano salvi.

No.

All'improvviso apparve Atras. Si stava riallacciando la cintura. A quanto pareva era andato a fare una pisciata. Il suo sguardo era... strano.

-Dove stai andando?-

Kalad indietreggiò.

-Rispondi, codardo! Dove stai andando... con la ragazza.-

-Via.-

Atras guardò la ragazza.

-Via? VIA?! Tu non puoi andare via! Questo è contro il volere di Dio!-

-Ti sbagli. La nostra fuga è... il volere di Dio-

Successe in un attimo. La spada di Kalad entrò nel fianco di Atras.

Continuò a guardarlo negli occhi e si godette quel momento. Fu troppo tardi quando capì che per quel colpo non sarebbe morto.

Atras non esitò ad attaccare. Kalad schivò il fendente è colpì Atras al volto con il manico della spada. Atras cadde al suolo, con la ferita sanguinante. Sentì il rumore degli altri che si svegliavano, imprecavano, prendevano le loro armi. Poi due gli furono addosso. Uno era Loyd. Un solo fendente obliquo. Il suo corpo venne tagliato senza pietà.

L'altro era... era... Joran. Aveva un pugnale. Stretto al pungo. Le nocche bianche.

-Vai! Vai avanti, io ti raggiungo!- lei lo ascoltò.

-Joran non voglio ucciderti!-

-Allora hai fatto la scelta sbagliata.- disse Joran.

È un mio compagno... non posso ucciderlo.

Si che posso.

La sua spada colpì la mano di Joran, tagliandola. Poi l'abbatté sul suo fianco. Joran sputò sangue e gemette.

Sta soffrendo, maledizione sta soffrendo!

La abbatté nuovamente e Joran cadde a terra morto.

Cazzocazzocazzocazzo. Si mise a correre, correre come se fosse il suo ultimo giorno.

Un sibilo improvviso lo scosse, poi venne il dolore alla gamba. Una freccia l'aveva colpito.

Thomas

Inciampò e cadde a terra, finendo in uno spiazzo sottostante.

Vedeva sfocato, aveva fatto un bel volo. Ai suoi lati saltarono due soldati. Uno non sapeva che nome avesse, l'altro era Okk.

Lo colpirono assieme ma Kalad evitò i loro colpi.

La freccia gli faceva molto male.

Con un affondo uccise il soldato di cui non ricordava il nome.

Okk lo colpì con un calcio.

Mi stavi simpatico Okk

Poi la sua spada penetrò il collo di Okk.

Dov'è Ayliss. Dov'è finita? Che l'abbiano presa?

Poi la vide, era qualche metro da lui, nel fitto della foresta. Andò verso di lei zoppicando, poi la raggiunse. Corsero senza parlare, corsero senza guardarsi indietro. Alla fine, stremati per la lunga corsa raggiunsero una cavità. Entrarono e si sedettero, non sentivano nessun suono là fuori.

-Oh Cielo! La tua gamba!-

-Va tutto bene, va tutto bene. Io sto bene. Tu?-

-Io sto bene. Ho... ho solo tanto freddo. Ma tu sei ferito!-

-Non importa... non importa. Vieni qui. Su.-

La accolse tra le sue braccia. Noncurante del dolore alla gamba.

Ma averla là, al caldo tra le sue braccia era ben al di sopra di quel dolore.

Era di certo il meglio che potesse desiderare. E in quel momento quella ferita non fece poi così male.

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Capitolo 9
*** Fuggire da Nibeluria ***


 

Capitolo 8

Fuggire da Nibeluria

 

Soffiava un vento caldo quel giorno. Kanda era vestito con degli stracci, il cappuccio ben calato sui capelli verdi. Il portone principale di Nibeluria stava davanti di lui. Ora bastava solo avvicinarsi e avere fortuna.

No, non fortuna. Abilità.

Aveva salutato Lem mostrandogli i due cadaveri. Il suo amico se ne era liberato bestemmiando come non mai. Kanda se n'era dovuto andare in fretta e furia. La città era agitata, lo si sentiva dall'aria, dai sussurri, dagli sguardi torvi. Erano in molti a voler uscire quel giorno.

Si mise ad analizzare tutte le opzioni.

Poteva mimetizzarsi tra i sacerdoti ma le sue vesti erano troppo logore adesso. Poteva mimetizzarsi tra i mendicanti. Si quella era un idea.

Ma... no, si sarebbe rimediato solo un calcio.

Poteva dire di essere un'altra persona.

Ma... no, che senso aveva stare incappucciato?

Oppure... poteva usare i poteri.

No, pensò. Devo imparare a cavarmela senza di essi. Senza di quelli sono debole, devo diventare forte.

Ma sono parte di te, disse una voce dentro la sua tesa. È come non voler usare le mani. Non ha senso.

No, io voglio comportarmi da uomo. Devo cavarmela senza di essi.

Ma tu non sei umano, sei un Q'uoin. Sei un capelli verdi, un Elementale della Foresta, sei un Kotash'malann, un Possessore. Sei un Piega Volontà. Un Gothmarak, un difensore d'alberi. Sei abitante della Vecchia Foresta, Dell'Immenso Verde. Q'uoian. Sei suddito di sua maestà Valanandiss V'domar, sovrano millenario di Q'uoian e protettore del Credo di Zumtharaan. Non sei un Umano.

Chiuse gli occhi.

Perché rinnegare ciò che era? Aveva paura di morire a causa dei poteri? Un Q'uoin non teme la Kotash, la Magia. Un Q'uoin la usa, la assapora ogni istante. E sopratutto la usa a fin di bene. Quindi non avrebbe esitato.

Pensa ad Ayliss, alla tua piccola allieva. Pensa che ora è sola.

Pensa che qualcuno può averla trovata.

Sola.

L'ha toccata.

Sola.

Guardata con occhi da predatore.

Sola.

Da lupo.

Sola!

Doveva uscire. E subito. Ogni secondo passato a rimuginare era un secondo in più sprecato per salvare Ayliss.

Doveva proteggerla. Era il suo dovere. Lo aveva giurato davanti alle stelle, davanti alla foresta, davanti alla Selvaggia Natura. E un voto fatto alla natura non va dimenticato.

Si avviò verso Il portone. Le guardie osservavano tutti con sguardo spietato. per loro erano alla stregua di animali.

Che il Supremo vi possa guardare bene

Mano a mano che si avvicinava sentiva il suo cuore battere sempre più forte. Quelle lance avevano la punta affilata.

-Buoni soldati siete, sì sì. Proprio bravi. Non è che potete far passare un buon mendicante?-

-No.- rispose seccamente una guardia.

Ottimo.

-E perché mai?-

-Fottiti.-

Buoni soldati siete sì sì.

-Avvicinati, buon soldato.-

La guardia lo guardò dubbioso.

-E perché mai dovrei, sporco mendicante?-

-Perché io sono... Korrado Gaujar... ehm... Uomo del Domani!-

Le guardie risero.

-è che sarebbe?-

-L'Uomo del Domani sa ciò che accadrà. L'Uomo del Domani sa che vi svegliate la mattina con i crampi allo stomaco. Sa che odiate i poveri mendicanti come me che chiedono cibo e magari acqua. Sa che per voi noi siamo topi, sorci! Sa che siete superiori a noi, perché voi portate la forza del Supremo nei Grandi Confini del Mondo!-

Le guardie sembrarono interessate.

Stupidi bastardi. Basta adularvi per farvi cambiare idea.

-Avvicinati su. Lascia che ti tocchi.-

Kanda posò la sua mano sulla spalla del soldato e gli sussurrò all'orecchio: -Ti ordino di aprirmi il portone. Se ti vengono fatte delle domande dì che io posso passare. Se mi attaccano difendimi.-

Un Comando faticoso. Sentì le sue gambe tremare.

Il soldato si mosse come un Non-Morto. Ordinò di aprire il portone. Tutti lo guardavano con stupore. Poi fecero lo stesso con Kanda.

-Ehi che succede? Che fai, Kop?-

-Lui può andarsene.-

-E perché?-

-Perché è un Uomo del Domani.-

I soldati si guardarono perplessi.

Uno guardò Kanda con gli occhi socchiusi e per un impercettibile secondo aumentò la stretta del manico della sua lancia.

Le orecchie gli fischiarono. Come se fosse pronto ad un imminente attacco. Ma non ci fu. Il soldato allentò la presa sulla lancia e annuì-

-D'accordo, manda via questo stronzo. Non voglio sentirlo dire nuovamente delle cazzate.-

-Dei buoni soldati, sì sì.- Ripeté Kanda.

Poi camminò lentamente fuori da Nibeluria. Appena sentì il portone chiudersi dietro di lui poté smettere di trattenere il fiato. Levò lo sguardo verso il cielo e sopra di lui passò un grande uccello.

Se potessi davvero cambiare il mio aspetto come tutti pensano diventerei di certo un uccello. Almeno la troverei senza difficoltà.

Ma lui era abituato alle difficoltà. Ripensò ad un avvenimento, risaliva forse ad una trentina di anni fa, quando venne addestrato dai monaci M'ashman. Uno dei monaci, G'hunan, gli disse: “La concentrazione è la chiave di ogni cosa. Se riesci a ponderare le tue decisioni, i tuoi pensieri, allora la via da seguire sarà più semplice e più facile da vedere.”

Aveva mostrato a Kanda la sua collana. Aveva attaccato un ciondolo a forma di 8, formato da due rubini con un contorno d'oro.

“questa mi venne data dalla mia nipotina. Ha a malapena sette anni. È veramente molto giovane. Anche questo piccolo oggetto, questo ricordo è una via da seguire. Avere qualcosa che ci è stato donato o che apparteneva a una persona cara ci ricorda che, anche se è molto distante, è comunque vicina a noi.”

Poi la strinse con forza.

“E se la stringi e ti concentri. Se ponderi i tuoi pensieri riesci a vedere ancora con più nitidezza la via da seguire. E riuscirai a vedere... anche quella persona.”

Il ricordo del vecchio G'hunan, che ormai era morto da qualche anno, era ancora nitido nella sua mente. Ricordò con affetto quel vecchio monaco ma tra tutti i suoi insegnamenti questo era quello che più lo aveva affascinato perché dopo che finì di parlare Kanda non poté che pensare ad una cosa che si era insinuata nella sua mente come un tarlo. Forse questo tipo di concentrazione poteva essere usato in un altro modo. E, negli anni di addestramento per perfezionare i suoi poteri, scoprì che era possibile. Stringere con forza un oggetto, un frammento di quella persona e vedere la via. Una cosa che pochissimi Possessori potevano fare.

E allora capì dove doveva dirigersi per avere qualcosa che gli indicasse la via.

 

 

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Capitolo 10
*** Il potere ***


 

Capitolo 9

Il Potere.

 

Le truppe avanzavano in formazione. Cinquemila soldati del Nord dai volti duri come il metallo, gli occhi chiari. Sembravano una sagoma grigia sulla neve bianca. Le lance e gli scudi e le spade tintinnavano ad ogni passo. Gli elmi ben calati sulle teste. Il vento faceva sventolare la bandiera dell'Orso, simbolo degli Holdar da migliaia d'anni. Daften Holdar I, sovrano del Nord e Protettore delle Alture, Guardiano dei Ghiacci e Protettore dei Sepolcri, stava sul suo cavallo bianco come la neve. La lunga barba bianca legata con una treccia, gli occhi grigi che guardavano l'orizzonte. Vestiva dell'armatura reale tenendo l'elmo del orso sotto l'ascella destra. Guardava l'orizzonte con gli occhi socchiusi, assaporando l'aria fredda del Nord.

Robert sapeva quanto suo fratello amasse il suo regno.

Robert Holdar era fratello di Daften, più giovane di lui di dieci anni. Daften era stato quasi come un padre per lui.

Jorg Holdar, loro padre, era stato molto assente. Sempre alla ricerca di fama e di successo. Non ne aveva mai trovata. In compenso aveva trovato una freccia sul collo lanciata da un bruto. Sempre alla ricerca di fama, per risollevare il buon nome del Nord. Il regno dei Ghiacci e delle Nevi, padre degli uomini del Ghiaccio e dell'Acciaio. Coloro che nelle Ere Gelide guidarono tutti i popolo alla sopravvivenza. Coloro che abbatterono i giganti. Ora erano solo un ombra.

Robert portava anch'esso l'elmo sotto braccio. I capelli biondi tagliati corti, gli occhi di un azzurro talmente chiaro da essere simili a dei frammenti di ghiaccio. Anche il suo destriero era grigio. Portava con se la sua spada a due mani, Gelo.

Daften.

Aveva sempre dimostrato una predisposizione per il comando, per la battaglia. Se il capo dei bruti era morto era solo grazie a lui. Colui che uccise loro padre vendicato dal figlio maggiore. Ma non da Robert.

Una sorta di monito immagino. Lui doveva essere il re.

Il paesaggio era spoglio e freddo. In egual misura.

Da oltre una collina apparvero dei bruti. Vestiti di vesti blu e armati di rudimentali armi.

Coraggiosi ribelli, li definiva Daften. Ma pur sempre ribelli. E stupidi.

Si mise l'elmo decorato con le effigi dell'orso e sfoderò la sua ascia.

-Uomini!- urlò Daften.

-all'attacco!-

I soldati risposero con un urlo di guerra.

Anche Robert si mise l'elmo e sfoderò Gelo. Daften era in prima linea, come sempre.

Partì al galoppo con dietro di se i soldati. I bruti erano di meno, ma comunque tanti. Il suo cavallo ne travolse alcuni. Sentì chiaramente il suono delle ossa che si spezzavano. Un movimento della sua spada e la testa di un bruto si aprì brutalmente.

Datfen abbatté la sua ascia con forza spietata. I soldati si schiantarono contro i bruti come se fossero un muro di carne e ferro. Il tintinnio del metallo contro metallo e del metallo contro la carne aleggiava per la vallata gelida. Robert colpì un altro bruto. Era l'ennesima battaglia. Non c'era gioia in tutto ciò. Le battaglie non lo erano mai. Lui non era come Daften. Non più, almeno.

Ora lo vedeva colpire a destra e a manca, con lo sguardo feroce. Teste di bruti e sangue che zampillava ovunque e gli sporcava l'armatura e la spada. Daften aveva sempre adorato lottare. La gioia nell'uccidere l'avversario nel conquistare un territorio, nel difendere una fortezza e coloro che vi abitavano. Daften rappresentava l'ideale Nordico. Un guerriero fiero di ciò che era e felice di lottare e di spargere sangue. Lo stesso fratello che gli aveva insegnato a leggere e scrivere, lo stesso che lo aveva addestrato e lo aveva portato a visitare le Cripte. Lo stesso che lo aveva abbracciato alla morte di loro padre. Ora era lì, con lo sguardo feroce ricoperto di sangue e i bruti morti attorno a lui. Ma rimaneva sempre la migliore persona che Robert avesse mai conosciuto. Lo aveva sempre invidiato per ciò che era, nel bene e anche nel male. Robert affondò la spada sulla gola di un bruto e poté vedere i suoi occhi spegnersi. Poteva avere una famiglia, dei figli, come ne aveva Robert. Forse... ora erano comunque soli. All'improvviso il suo cavallo impennò e lo fece cadere di sella.

-Robert!- sentì urlare Daften. Si preoccupava di lui. Perché lo faceva? Sapeva che Robert era formidabile.

Anche Robert lo sapeva. Appena si rialzò, lo fece molto velocemente, squarciò la pancia di un bruto, poi ne decapitò un altro. Parò un colpo dietro di lui, senza guardare.
Prevedibile. Girò su se stesso e tagliò la gola del bruto. Un affondo e ne perforò un altro. Un taglio sulla gamba e ne rallentò un altro per poi finirlo aprendogli la testa.

Robert era forte, c'era chi diceva che lo fosse di più di Daften. Anche Daften lo diceva. E col tempo aveva convinto pure Robert.

I soldati lo amavano e lo stimavano, era diverso da Daften ma comunque un grande condottiero. Più preciso e metodico, meno brutale e diretto. Forse meno scavezzacollo. Daften però, pur essendo scavezzacollo, aveva la tendenza di vincere sempre le battaglie in cui si lanciava. Robert era più generoso con il popolo mentre Daften era più duro, ma allo stesso tempo giusto.

Erano le due facce della stessa medaglia.

Una cosa li differenziava completamente.

Daften voleva riportare il Nord alla grandezza economica di un tempo. Voleva riportarlo in alto, alla guida del mondo. Voleva il potere. Ad ogni costo. A fin di bene certo ma il potere, e questo Robert lo sapeva, poteva corrompere anche l'uomo migliore. Come Daften.

Robert era semplicemente stanco. Stanco di continue battaglie, scontri, omicidi. Stanco di una vita che poco gli aveva portato, se non cicatrici. La battaglia sembrava terminata. Ma videro altri bruti arrivare, molti di più.

-Ancora? Ma quanti cazzo sono?- chiese Robert.

Daften rise. -Tranquillo fratello, arrivano i rinforzi!-

Ah già. I rinforzi.

Duemila armature rosse che sembravano di roccia, spade anch'esse rosse, elmi rossi. La pelle rossa come il fuoco. I Capelli, ovviamente neri. Gli occhi gialli. La neve si scioglieva al loro passaggio.

Vurkaniani.

Ora erano alleati dei Vurkaniani. Degli uomini rossi. Dei guerrieri del fuoco. Gli abitanti del caldo Est.

I Vurkaniani erano l'esatto contrario dei Nordici. I primi erano il fuoco, i secondi il ghiaccio. Una cosa gli accomunava, la sete di potere.

E questo a Robert preoccupava molto.

La carica dei Vurkaniani fu inarrestabile. Le armature rosse si abbatterono al fianco dei bruti, sbaragliando le loro fila. Con loro, ben lontano dalla battaglia, stava Penn Gorander, Emissario di Vurkan al Nord. Daften era stato molto serio quando aveva informato Robert dell'alleanza con i Vurkaniani.

“Abbiamo bisogno di loro. Sono giovani e intraprendenti, possono darci la spinta che ci serve. E in più hanno un esercito molto potente. Ancora qualche giorno e ci invieranno pure le Corazze Nere.” aveva detto Daften.

Le Corazze Nere erano la guardia personale del re di Vurkan, Argon Falltayer.

“Ma fratello... i Vurkaniani sono troppo diversi da noi. Troppo giovani.” aveva ribattuto Robert.

“La loro gioventù non è un problema. È uno stimolo. Le generazioni future che aiutano il vecchio e morente regno del Nord.”

Daften era sembrato esaltato per questa cosa.

“E poi” aggiunse. “Fuoco e ghiaccio non possono essere abbinati assieme. Ma se collaborano diventano un'arma inarrestabile. E così dovremmo essere quando marceremo verso Noveria a caccia della ragazza.”

La ragazza. Robert provava gran pena per lei. Una ragazzina di diciassette anni su cui le spalle gravava il destino di un continente. E i Noveriani la consideravano di loro proprietà.

Noi non siamo poi così diversi. Cerchiamo la ragazza per tornare in auge. Per tornare ad essere il grande e potente regno di un tempo. Per il potere.

Penn Gorander era un ometto minuto, dal fisico magro, dai capelli corti e neri dalla pelle rossiccia. Gli occhi giallo chiaro. Era vestito di un farsetto blu scuro e stava su un destriero nero.

-Un destriero nero sulla neve non è saggio, Gorander.- disse Robert.

-Perdonami Holdar, ma le stalle di Vurkan hanno solo destrieri neri.- disse Gorander con un sorriso.

Daften si avvicinò ridendo. -Che carica, amico mio. Che carica! Quei bruti se la sono fatta nei pantaloni appena hanno visto la neve sciogliersi.-

-è normale. Qui si gela.- disse Gorander tremando.

-Siete fuori posto, Gorander. Siete il fuoco nella neve, e come tali la sciogliete. Le tracce del vostro passaggio sono visibili da chilometri.- disse Robert.

-Purtroppo è così. Ma ricorda, Robert Holdar, che il fuoco scioglie la neve.- disse Gorander guardando torvo Robert.

Non ti sto simpatico. È vero. Non ti tratto bene ma lo meriti. Siete dalla nostra parte lo so ma siete fuori posto. Non dovreste essere qui. Come un pesce non dovrebbe stare sulla terra.

-Oh basta tergiversare! Torniamo ad Icehold e festeggiamo. Terza vittoria in due settimane. I bruti non sono più un problema!-

Gorander guardò di nuovo Robert.

-Ti ho visto al centro della battaglia. Il Guerriero del Gelo ha colpito ancora.-

Quel nome detto da un Vurkaniano suonava vuoto... privo di significato.

-Che questo ti rimanga impresso, Gorander.- disse cupamente Robert.

Gorander sorrise e posò la sua mano sulla spalla di Daften.

Anche solo per questo dovrei tagliarti una mano. Nessuno tocca il Re del Nord senza il permesso.

Questa era un'altra cosa che differenziava Robert da Daften.

Daften era un bonaccione per quanto riguardava il rapporto con i propri alleati. Riponeva tutta la sua fiducia e la sua amicizia sui suoi nuovi alleati. Senza distinzioni. Robert era più freddo, come il Nord. Ed era più legato alle antiche tradizioni.

-Fra tre giorni arriverà il mio sovrano. E assieme potremmo marciare verso Noveria.-

-Non aspetto altro, amico mio. Non vedo l'ora di incontrare Argon Falltayer, sovrano dell'Est!-

I soldati esultarono.

I soldati Vurkaniani stavano gelando. Ma la neve sotto di loro si scioglieva a causa della loro maggiore temperatura corporea.

Per loro è quasi come un suicidio. Ma il potere spinge a questo. Il potere spinge un uomo nella direzione sbagliata e gli fa credere che sia quella giusta. Il potere ti spinge a compiere azioni sconsiderate. Come un alleanza tra due regni completamente diversi.

Ma a volte dalle differenza si può trarre qualcosa di buono.

Il potere era sempre lì, che aleggiava come un manto sopra di loro.

Robert ripensò alle parole di Daften.

“Fuoco e ghiaccio non posso essere abbinati assieme. Ma se collaborano diventano un'arma inarrestabile. E così dovremmo essere quando marceremo verso Noveria a caccia della ragazza.”

 

 

 

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Capitolo 11
*** Scaldata dall'abbraccio ***


Capitolo 10

Scaldata dall'abbraccio.

 

Ayliss si addormentò tra le braccia di Kalad. Il suo Kalad. Le braccia forti come la roccia e calde come il fuoco. Un abbraccio caldo e accogliente.

Come può un soldato dell'Inquisizione scaldarmi con il suo abbraccio?

Ma non poteva avere una risposta.

E forse non la voleva.

Le sembrò di essere cullata nel sonno dalle sue braccia. Una stretta così dolce da cui non voleva liberarsi per nulla al mondo. Così dolce.

Eppure lo conosceva da così poco. Uno sguardo. Era bastato uno sguardo ed era stato detto tutto. I suoi occhi da lupo l'avevano guardata nel profondo. E lei si era persa dentro quegli occhi. E voleva stare lì, con lui.

 

La posò con estrema delicatezza al suolo. Era delicata come un fiore e non voleva che si facesse del male. L'aveva promesso. Si guardò la gamba. La freccia era penetrata del polpaccio ma non aveva preso l'osso. Probabilmente lo aveva sfiorato.

Bene, bene.

Kalad sperò che Thomas si fosse pentito del gesto.

Ha solo rispettato gli ordini. Non gliene do una colpa. Non è colpa sua. È colpa mia.

No, non è colpa tua. Lo fai per lei.

Ruppe la parte anteriore della freccia. Poi la tirò fuori. Trattenne un gemito di dolore. Strappò un pezzo del suo mantello e fasciò il più possibile la gamba.

Ci vorrà un po ma guarirà, pensò Kalad.

Poi mise il resto del mantello sopra Ayliss, per scaldarla.

Forse è meglio che la tenga tra le mie braccia?

Perché mai?

Be' per... per scaldarla meglio.

No, no. Non scambiare la premura con lo sfizio personale.

Questo è vero.

Si alzò zoppicando e raggiunse l'uscita della cavità.

Aveva ucciso Joran.

E pure Okk.

Ma sopratutto Joran. Era un membro della sua squadra.

Forse aveva sofferto. Forse era stata una morte lenta e dolorosa.

Era un fratello.

Forse considerava Kalad un suo amico.

No.

No, loro non erano miei fratelli, nemmeno miei amici. Eravamo solo dalla stessa parte, tutto là.

Ma il rimorso era ancora presente. Non aveva mai parlato granché con Joran e per quel poco che aveva parlato non l'aveva trovato poi diverso dagli altri. Rozzo, infedele, pericoloso. Sopratutto pericoloso.
Aveva solo rispettato gli ordini.

Anch'io. Anch'io lo sto facendo. Sto seguendo gli ordini del Supremo. Proteggere la ragazza, proteggere Ayliss. Proteggerla da tutti loro.

In molti l'avrebbero cercata. Inquisizione, Nord, Vurkaniani e ben presto anche i Celestiali sarebbero entrati in campo. Q'uoian si sarebbe tenuto lontano dal conflitto e Aquamar per i Trattati era alleata dell'Inquisizione. Girava voce da tempo che Nord e Vurkan si fossero alleati.

Tutto va a puttane.

Era solo contro tutti. Ma anche loro si combattevano tra di loro. E questo era un vantaggio. Doveva lavare la lama, era sporca di sangue e presto si sarebbe seccato, lo stava già facendo. Si assicurò che Ayliss stesse dormendo e uscì. Fortunatamente poco distante c'era un laghetto. Lavò la lama e la strofinò con un altro pezzo del mantello.

Mi staranno cercando, saranno qui da qualche parte

Questo, però, non lo preoccupava.

Si incamminò verso Ayliss. Per un attimo si guardò attorno, ad ammirare quell'improvvisa calma. Gli uccelli cinguettavano negli alberi e il vento muoveva le foglie con delicatezza.

Se tutto potesse rimanere così...

No, non rimarrà così. Presto l'Inquisizione arriverà e darà fuoco a tutto. Oppure lo faranno i Vurkaniani, a loro piace il fuoco. Dobbiamo restare in movimento, allontanarci il più possibile. Verso Q'uoian magari. Potremmo essere accolti. Potrebbe essere un'idea.

La mente di Kalad era carica di pensieri. Appena arrivò nella cavità trovò Ayliss seduta, avvolta nel mantello porpora di Kalad.

-Ben svegliata.-

Lei si strofinò gli occhi e si sgranchì.

Oh Dio. Oh Dio.

-Grazie. Ti sei tolto la freccia? Ha fatto male?-

-Un po'.-

-Mi spiace.-

-Non è colpa tua.-

Lei abbassò lo sguardo.

-Ci stanno cercando vero?-

-Senz'altro.- fu costretto ad ammettere.

-Chi? L'Inquisizione soltanto?-

-Solo lei è sufficiente ma no... non solo lei. Nord, Vurkan, prima o poi pure i Celestiali. Dobbiamo muoverci verso Q'uoian. Lì saremo al sicuro.-

-è lontano. Ci vorranno... tre giorni?-

-Siamo a piedi e io sono zoppo. Una settimana.-

-Forse...-

-Cosa?-

-No, niente. Ma... come faremo noi due contro tutti loro?-

-Non li affronteremo. Scapperemo. Ci nasconderemo. E se necessario li affronteremo.-

-Anche i Celestiali? Loro mi fanno più paura degli altri. Quei... mezzi Dei mi vorranno morta.-

Kalad annuì.

-Si, probabile. Ma ci sono io per questo. te l'ho promesso. Non ti sarà fatto alcun male. Io ti proteggerò.-

Lei alzò lo sguardo.

Oh Dio. I suoi occhi. Non voglio vedere altro che i suoi occhi.

-Forse è meglio che mi prendano i Celestiali... e che mi uccidano. Se io morissi... tutto finirebbe.-

Kalad sorrise.

-Ne dubito. Anzi. Ciò scatenerebbe una guerra ancora peggiore.-

-Per me no. Per me tutto finirebbe. Sono io... sono io la causa di questa guerra. Se morissi... potrei vederne la fine. Della guerra intendo. Tutto finirebbe, almeno per me.-
Sembrava sul punto di mettersi a piangere.

-No, no no. Non devi nemmeno pensarlo questo. Nemmeno per un istante.- disse Kalad accucciandosi al suo fianco e mettendole una mano sulla spalla.

-Vuoi veramente morire? Ne sei così sicura? Sei disposta a rinunciare alla freschezza rigenerante dell'acqua? Sei disposta a rifiutare il caldo abbraccio del sole? Le carezze del vento? Sei disposta a rinunciare anche al battito del tuo cuore? All'emozione di un bacio? Al calore di un abbraccio? Al brivido di un successo? Vuoi... veramente rinunciare a tutto questo?-

All'emozione di un bacio.

Ayliss guardò le labbra di Kalad. Non aveva mai baciato nessuno ma immaginava che fosse una cosa dolce e importante. Le labbra di Kalad sembravano ruvide. Le sue erano morbide come un cuscino. Due cose opposto, ma che messe assieme potevano essere... emozionanti?

Forse.

Doveva provare per scoprirlo.

E si stupì nel vedere che lo desiderava forsennatamente.

Forse anche Kalad provò la stessa cosa. Tanto che per un impercettibile instante le sembrò che si stesse avvicinando e che i loro respiri si unissero.

Ma fu solo un istante.

-Devi tenere alla tua vita. Non c'è nulla di più importante per un essere vivente... lo dice il nome stesso. Forza, in piedi. Dobbiamo muoverci, presto ci raggiungeranno.-

 

 

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Capitolo 12
*** Nell'alto dei cieli ***


Capitolo 11

Nell'alto dei cieli

 

Il vento soffiava con forza verso il suo corpo. Le sue lunghe vesti rosse e oro venivano scosse dal vento, i suoi lunghi capelli castani facevano altrettanto. Il suo sguardo si posò sulla Torre di Konderham. Era l'edificio più alto di tutta la Città Volante. Un enorme torre color avorio, con in cima un sole d'oro. Ancora adesso era maestosa, nonostante le intemperie che aveva dovuto subire. In certi punti era distrutta e in fase di ricostruzione. Causa i colpi di catapulta dell'Inquisizione. Nonostante ciò restava in piedi.

È l'unica cosa che ci resta

Nodamor il Valoroso, Dio del Coraggio, non amava la sua città.

La Città Volante non era che un pezzo della maestosa Konderham, capitale del regno Celestiale. Gli edifici erano delle brutte copie, le strade pure. Solo la torre manteneva il potere di un tempo. Ma pure quella era diroccata. Aveva combattuto la Guerra Santa. La ricordava bene... sulla sua pelle. Le lance che vennero scagliate, le gole che vennero tagliate. La furia con cui l'Inquisizione li attaccò. I colpi di catapulta che abbatterono le mura, che colpirono la torre.

“Noi siamo Dei vecchio mio, nulla può fermarci” aveva detto sicuro di sé Attuk Lo Scaltro. Nodamor aveva sorriso di rimando, poco convinto da quelle parole. Poi Attuk era morto. E non solo lui. Aveva perso molti fratelli durante quella guerra. Attuk lo Scaltro e Andorh l'Insospettabile. E anche Lomher il Bruto e Allyma la Bella.

Allyma.

Mia dolce Allyma. Quei vili me l'hanno portata via.

Se lo ricordava ancora e non avrebbe mai dimenticato.

Il suo Work spiccò il volo.

Gli Work erano enormi uccelli cavalcabili. Negli anni antecedenti alla Suprema Rivelazione erano cavalcati dai Celestiali, che solcavano i cieli.

Ora erano segregati in quell'infima città.

Il Work blu di Nodamor superò la Via degli Scudi e il Palazzo dell'Arte. Fino ad arrivare alla cima della Torre di Konderham. Là lo attendeva Elomer il Superiore. Elomer sedeva sul suo trono d'argento, ancora intatto. Aveva il volto scavato per la vecchiaia e i capelli bianchi come la neve. I folti baffi bianchi coprivano la sua bocca. Portava un lungo vestito di seta blu.

Nodamor scese dal Work e si inchinò.

-Vostra Luminescenza.- disse Nodamor con la sua voce autoritaria.

-Nodamor il Valoroso, Dio del Coraggio e Comandante in Campo della Prima Avanguardia Celestiale... sono felice che tu abbia accettato il mio Richiamo.- la voce di Elomer era calda e antica come l'avorio della Torre.

-Sai che non avrei mai rifiutato il tuo Richiamo. Quando parli nella mia testa non posso fare altro che obbedire.-

-Ti ringrazio lo stesso.-

Nodamor sorrise.

Elomer sospirò con forza.

-Sono vecchio, Nodamor. Ho cinquecentosettantadue anni. Vivo in questo mondo da molto prima che l'Inquisizione si autoproclamasse autorità. Io c'ero durante il Grande Gelo. Io offrì dimora a coloro che fuggivano dalle Ombre del Ghiaccio. Sono il sesto Superiore Celestiale che cammina su questa terra... e anche il peggiore.-

-Non è vero. Non siete il peggiore.-

-Non negare l'evidenza, amico mio. Ci conosciamo da trecento anni.-

-Non voglio farlo, perché mentirei.-

Elomer tossì.

-Ah, guardami. Sono... maledettamente vecchio. E sento che la vita mi sta lasciando. Durante la... Guerra Santa, come la chiamano loro, fui io a decidere di arrendersi.-

-Le nostre truppe...- iniziò a dire Nodamor ma poi si interruppe. Timoroso di continuare.

-Dillo.- disse Elomer col volto cupo.

Nodamor sospirò.

-Le nostre truppe cadevano come formiche.- lo disse con grande sforzo. Ma era vero.

-Eravamo stati indeboliti dalle nostre lotte interne. Quell'idiota di Dontahmar voleva il potere. Forse se lo avesse preso...-

-Non dirlo, amico mio. Donthamar non sarebbe mai stato nemmeno lontanamente paragonabile a te.-

-Sei troppo buono. Lui avrebbe saputo come attaccare l'Inquisizione. Come indebolirli. Come farli soffrire.-

-Ha perso la guerra civile. L'hai sconfitto. Io stesso ho tagliato la sua testa.-

Nodamor ricordava anche questo. Donthamar era stato suo amico per centinaia d'anni. Era sempre stato un anarchico, un ribelle.

“Guarda quella torre.” diceva spesso a Nodamor indicandola. Erano gli anni di addestramento, quando erano giovani e l'orrore della guerra non aveva ancora segnato la loro pelle e le loro anime.

“Come puoi permettere che stiano così in alto? Ti fa sentire piccolo, impotente. Non mi piace come sensazione, amico mio. Preferirei non provarla e non farla provare a nessuno.”

“Ma i Superiori sono sempre stati saggi a parte rarissime eccezioni” aveva risposto Nodamor.

“Dei vecchi convinti di saperne di più di noi, ecco cos'erano, cosa sono e cosa saranno per sempre. Che ne sanno di quello che proviamo noi che non siamo Superiori? Dovrebbe essere uno di noi a governare, ecco cosa dico” aveva infine detto risoluto Donthamar Dio del Cambiamento.

Gli altri lo avevano guardato sospettosi. Era il vecchio gruppo di addestramento. I giovani Dei desiderosi di combattere. Lui, Donthamar, Attuk, Allyma e Ferghos Dio della Navigazione. Si stupì nel constatare che ricordava con nostalgia quegli anni così incredibilmente lontani.

“Chi ad esempio, Dio del Cambiamento?” aveva chiesto sorridendo Ferghos.

Donthamar non aveva risposto. Si era limitato a guardare la Torre. E il suo silenzio, anche dopo molti anni, gli provocava un brivido gelido lungo la schiena.

Quando decise di ribellarsi ad Elomer e proclamarsi Sovrano dei Celestiali superò il limite. Otto anni di lotte che finirono con la sconfitta di Donthamar. Subito dopo venne Noveria e l'Inquisizione. Non erano preparati per due guerre in successione. Infatti persero la Guerra Santa.

Elomer si alzò dal suo trono. Camminava lentamente e nonostante la vecchiaia manteneva la sua solita regalità. Lo aveva fatto anche quando i Noveriani aveva superato le mura e le urla del popolo lo avevano raggiunto fin lassù.

Puoi essere in alto quanto vuoi, ma la sofferenza del tuo popolo ti raggiungerà comunque

-Duecento anni fa il regno di Noveria e la sua Inquisizione ci dichiararono guerra, affermando che eravamo un Impurità contro il candore della Suprema Rivelazione. Il Dio era uno e uno solo: Il Supremo. Noi... eravamo dei bugiardi. Iniziammo la guerra che durò per dodici lunghi anni. Riuscimmo a resistere così a lungo e vincemmo pure varie battaglie. Ma non furono sufficienti. Nessuno venne in nostro aiuto. Iniziavano a considerarci dei mostri... e l'Inquisizione diede forma alle loro paure. Poi... decisi di arrendermi. Ricordi cosa tu mi dicesti?-

Nodamor annui. -Si, lo rammento.-

-Ripetilo allora.- ordinò il Superiore.

Nodamor tacque per un interminabile momento. Era più giovane allora, duecento anni fa. Allyma era da poco morta. Le parole che disse lo tormentarono solo dopo anni. Sul momento, appena le disse, gli parvero solo delle dure verità.

-Ti dissi che potevamo farcela. Che non era ancora finita. E che ti saresti amaramente pentito delle tue scelte.-

-Mi chiamasti codardo.-

Nodamor abbassò la testa. -Sì, lo feci.-

Lo urlò per l'esattezza. Con tutto il fiato che aveva in corpo. Quei cani avevano ucciso la sua amata come potevano ritirarsi?! La rabbia lo accecava, voleva ucciderli tutti. Dal primo fino all'ultimo.

Ripensandoci ora... è un bene che Elomer non mi abbia ascoltato. Quanti altri fratelli avrei visto morire... pur di consumare la mia vendetta?

-E sai perché non ti uccisi?-

Nodamor non rispose.

-Perché sei mio amico... e perché avevi ragione.-

-Avevo torto. Ero accecato dall'ira dovuta ad una guerra persa.-

-No no no. Avevi dannatamente ragione. Non solo sul fatto che fossi un codardo, ma anche sul fatto che mi sarei amaramente pentito di quella scelta.-

-Non farlo. Hai permesso che altri potessero vivere quando spostasti la nostra città nel cielo, lontano dalle faccende terrene.-

Elomer si grattò il mento.

-Fatto sta che mi sono pentito della mia scelta. Certo ho salvato delle vite... ma io sono un Dio, Nodamor. E voglio esserlo ancora. Voglio tornare ad esserlo.-

Nodamor lo guardò perplesso.

Il potere può incuriosire anche un Superiore che ha vissuto più di tutti noi. E ho il brutto presentimento di sapere cosa vuole.

-Le Profezie della Suprema Rivelazione annunciavano della nascita della figlia del Supremo. Be' ora ha diciassette anni e ha ottenuto i suoi poteri divini.-

-Vuoi... una rappresaglia?- ipotizzò Nodamor.

-Se così la vuoi chiamare.-

Nodamor si accigliò. -Non è nobile.- constatò.

-Poche cose sono nobili in guerra.- disse Elomer guardando dritto negli occhi grigi di Nodamor.

-Voglio che tu scenda sul Grande Continente e che trovi la ragazzina.

Dopodiché... voglio che tu la uccida.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Nel bosco ***


Capitolo 12

Nel bosco

 

Kanda camminava ormai da due ore intere. Le gambe gli dolevano e la pianta dei piedi pizzicava non poco. Il bosco era fitto e umido. Gli uccelli cinguettavano in modo fastidioso.

Dio se li odio

Uscire da Nibeluria era stato ridicolamente semplici. Quei soldati Inquisitori erano stupidi quanto dei muli.

L'Elite dell'esercito un cazzo.

Superò una roccia bagnata che per poco non lo fece scivolare. Non c'era anima viva in quel bosco. Avrebbe potuto aggirarlo ma ci avrebbe impiegato troppo tempo. Era a piedi e non aveva un soldo per comperare un cavallo. Dopo quel bosco doveva proseguire e avrebbe raggiunto la sua abitazione. Decise di dirigersi lì con lo scopo di prendere provviste.

Certo. Grandissima cazzata. Avranno violentato la mia bella dimora senza pietà. Non troverò un emerito cazzo.

Ma forse lo faceva sopratutto per dare un addio all'edificio ma non voleva dirlo a sé stesso.

Un motivo vero e proprio c'era però.

Aveva una stanza segreta che solo lui poteva aprire. Là ci stava tutto quello che voleva.

Bene, arrivarci è un altro paio di maniche

Sentì dei movimenti alla sua sinistra. Corse dietro un riparo e sbirciò.

Erano delle truppe Inquisitorie. Soldati ornati dai mantelli porpora. Tra di loro riconosceva alcune figure. I tre capitano Petros, Oswald e Atras. Tipi pericolosi.

Atras è uno psicopatico, Oswald è un coglione e Petros è quello che mi spaventa di più

Contando le rispettive squadre probabilmente erano una quindicina. Si erano fermati lì.

Ottimo. E ora come ne esco?

Avrebbe potuto farli fuori tutti... se solo ne avesse avuto al forza. Ma era stanco e usare i poteri lo avrebbe sfinito troppo.

Trova una via d'uscita.

Stando là riusciva a sentire qualcosa ma troppo poco per poter essere utile.

Forse...

-Vento- sussurrò.

-Trasporta il suono.-

Ora le parole erano più chiare e nitide, il soffiare del vento non lo disturbava più.

Oswald sembrava molto agitato e gesticolava in continuazione parlando.

-Dovremmo tornare alla capitale- disse. -Lì riferiremo tutto al Grande Inquisitore. Possiamo confidare su molte cosa ma di certo non sul silenzio dei soldati. La voce si diffonderà e il Supremo mi fulmini se il Nord non deciderà di muoversi e con esso Vurkan.-

-Inviamo dei messaggeri piuttosto. Non abbiamo tempo da perdere, la ragazza può essere lontana.- disse Atras. Aveva sentito varie storie su quell'uomo. E non erano molto piacevoli.

Almeno non è con loro. È riuscita a restare nascosta.

-Dobbiamo seguirli. Stanarli. Kalad se la tiene stretta, come se fosse roba sua. Mi ha ferito al fianco. Dobbiamo trovarlo e fargli uscire il cervello dal naso. Poi prendiamo la ragazza e la portiamo dal Grande Inquisitore.- disse Atras nuovamente. La sua voce era viscida.

Kalad? Chi cazzo è Kalad?

-Siamo pochi e abbiamo perso degli uomini. Io ho perso Okk e tu hai perso Joran. Siamo affamati e stanchi. Torniamo a Nibeluria.- disse Petros.

Atras sbuffò.

-Joran era un dannato incapace! Si è fatto ammazzare come un cazzo di idiota. Tanto lo avrei ammazzato io comunque.-

-Be' tu non sei stato da meno Atras. Ti sei fatto infilzare al fianco manco fossi un cinghiale.- disse Oswald.

Atras lo guardò con gli occhi spalancati. Quello sguardo fece venire i brividi a Kanda. Ne aveva visto molti anni fa uno simile e il ricordo era spiacevole. I ringhi disumani delle Bestie Nere, i suoi compagni che tremano come foglie mosse dal vento. Anche lui tremava. Aveva guardato il suo compagna alla sua destra con la coda nell'occhio. Quel poveraccio aveva gli occhi spalancati, sembrava fossero sul punto di uscirgli dalle orbite.

Non vedo nessuna Bestia Nera qui in giro, Dio sia lodato.

-A chi hai dato del cinghiale?-

-Ho detto “manco fossi un cinghiale” sei peggio di quell'animale.-

Atras rimase zitto un secondo.

-E tu... tu che hai fatto? Niente? Vero? Mh? NIENTE! Io ero lì ha difendere l'accampamento! Mentre tu... te ne stavi nella tua piccola tenda a menarti il cazzo!- sbraitò Atras spingendo Oswald.

-Datti una cazzo di calmata, sciroccato. Ci ha colti alla sprovvista. Chi cazzo immaginava che Kalad si ribellasse?-

-Fatto sta che l'ha fatto!-

-Appunto! Ed era sotto la tua, stramaledetta, responsabilità! È un membro della tua squadra!-

Atras si fermò, col fiatone che scuoteva il suo petto.

-Stai dando la colpa... a me?-

-Si, signor psicopatico. I membri della tua squadra sono schizzati quanto te!-

Atras abbassò la testa.

-Oswald ha ragione. Era sotto la tua responsabilità Avresti dovuto notare l'interesse di Kalad per la ragazza.- disse Petros.

Kanda osservò bene Atras. Probabilmente era rimasto molto scosso dalla critica di Petros. Era una nota nera nel suo curriculum, se così si può dire. Una vergogna da eliminare.

-Colpa mia... il Grande Inquisitore... nell'alto della sua saggezza... mi accuserà... si vergognerà di me... mi guarderà con gli occhi carichi di vergogna. No... no no no no NO! Non posso tollerarlo! Troverò Kalad di Gothfresh e lo colpirò... lo colpirò così forte da fargli rimpiangere il giorno in cui ha osato mettersi contro di ME!-

Tutti si zittirono.

-Fottuto pazzo.- disse Oswald.

Amico... sei morto.

Atras colpì con un pugno alla faccia Oswald.

-Basta! Smettetela!- urlò Petros.

Oswald cercò di colpire con un pugno Atras ma quest'ultimo schivò il colpo. Mise le mani sulla testa di Oswald e morse con forza l'orecchio sinistro di Oswald, strappandone un pezzo.

Santo Dio, sono tutti schizzati laggiù!

Atras sputò il pezzo d'orecchio, la sua bocca era piena di sangue. Oswald urlava di dolore.

-Folle bastardo schifoso! Io ti ammazzo! Giuro su Dio che ti ammazzo! Che il Supremo ti porti alla dannazione!!!-

-BASTA CAZZO! Atras, folle psicopatico figlio di puttana va a darti una maledetta calmata. Oswald, trattieni il sangue. E tenetevi a debita distanza!- Petros era rosso dalla rabbia.

-Una pausa di qualche minuto e ci rimetteremo in cammino.- ordinò Petros.

Kanda appoggiò la schiena sulla roccia su cui si nascondeva.

È con questi che ho a che fare? Ora si aggiunge pure il Nord alleato dei Vurkaniani? Le ho sentite tutte.

Aspettò lì finché i soldati non si dileguarono. Poi uscì e si avviò per la sua strada. Dopo pochi metri da dietro un albero uscì un uomo. Era basso e tozzo e non aveva una mano.

Lo guardò perplesso.

Il figlio di puttana è rimasto indietro.

-Oh cazzo!- disse improvvisamente estraendo la sua spada.

E ti pareva?

Kanda lo colpì al volto ma le grosse guance del soldato attutirono il colpo.

Il soldato tentò un affondo ma Kanda lo schivò per un pelo.

Un altro pugno sulla faccia. Un altro ancora, giusto per sicurezza.

Il soldato girò su se stesso e la lama sfiorò il volto di Kanda. Quest'ultimo cadde all'indietro. Appena Kanda tentò di alzarsi il soldato pestò la mano fasciata, quella che aveva usato per parare il colpo del pugnale nella locanda di Lem. Il dolore fu lancinante, improvviso, inaspettato.

Kanda urlò per il dolore.

-Lurido figlio di cagna! Brutto salzahar!- urlò offendendolo nella lingua Q'uoin.

Il soldato lo colpì con un calcio e si impose sopra di lui. Pesava molto, da togliere il fiato a Kanda. Sollevò la lama per colpirlo definitivamente.

-Vento!- chiamò Kanda. -Disarma!-

Una poderosa sferzata di vento colpì il braccio del soldato, facendogli perdere la presa della spada, che volò qualche metro da loro.

-Ma che diavolo...-

Il soldato posò il suo braccio senza mano sul collo di Kanda e spinse con forza. Voleva soffocarlo in modo brutale e doloroso. Ma cosa più importante: non poteva parlare.

Devi cavartela senza i poteri.

L'aria gli mancava. La vista si annebbiava mano a mano sempre più velocemente. Tese il braccio sinistro alla ricerca di qualcosa. Qualunque cosa. Trovò una cosa fredda e dura. Una pietra.

Zumtharaan uno, Supremo zero.

Colpì al volto il soldato che lasciò la presa. Kanda si godette l'aria. Poi andò dal soldato e lo colpì al volto per altre quattro volte, finché il suo volto non divenne carico di sangue, assieme alla pietra. Mollo la pietra a terra e si inginocchiò.

Troppi scontri in troppi pochi giorni.

Ayliss, tranquilla piccola. Non ti lascerò un giorno in più tra le mani di quel... Kalad. Zumtharaan solo sa che ti sta facendo. Povera dolce Ayliss.

Si alzò e prese la spada.

Questa può fare comodo.

Kalad.

KALAD.

-Kalad.- lo ripeté a voce alta, più che altro per sentire come suonava.

Doveva impararlo quel nome.

E doveva imparare ad odiarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Tra le radici ***


Capitolo 13

Tra le radici.

 

-Ti fanno male i piedi?- chiese Kalad.

-Ci sono abituata.- gli rispose Ayliss.

Aveva i piedi scalzi e pestava le radici degli alberi o le pietre. Ma non sembrava sentir dolore.

-Cammino a piedi scalzi sin da piccola. Kanda mi diceva sempre che era pericoloso. Ma lo facevo lo stesso.-

Kalad sorrise.

-Perché ci sono così tante foreste a Noveria? O paludi? Sono stufa di questa umidità.-

L'umidità ti bagna il vestito

Fai schifo, lo sai questo?

Cazzo sì.

-Meglio questo che il freddo Nord. O il calore esagerato di Vurkan.-

-Non esiste una via di mezzo?-

-Il mio villaggio.- disse Kalad sorridendo.

-Là si stava bene. D'inverno la neve decorava gli edifici con delicatezza, d'estate il sole colpiva con cattiveria le pietre.-

-Da dove vieni?-

-Da Gothfresh. A Nord.-

-Non l'avevo mai sentito.-

-è una piccola città. Ma sono sicuro che ti piacerebbe.-

-Andiamoci allora!-

Kalad ci pensò su, poi scosse la testa.

-No, là non saremo al sicuro. A Q'uoian saremo più al sicuro.-

-Ma chi ti dice che entreremo? Ci faranno entrare?-

-I Q'uoin sanno essere ragionevoli.-

-Ma tu sei un soldato dell'Inquisizione. I Q'uoin non amano l'Inquisizione.-

-Li convincerò a farci entrare.-

Con Kanda potremmo entrare, pensò Ayliss. Forse.

-Parlami di questo Kanda. Com'è?-

Ayliss si grattò la testa. Lo faceva spesso quando rifletteva.

-Be' è più alto di me. Ma questo è normale. Io sono piccoletta. Ha i capelli verdi lunghi e... gli occhi viola. Il naso aquilino ed è completamente senza barba e baffi. A differenza tua.-

Kalad si toccò la barba.

-Cerco di tenerla corta.-

-Non fraintendere. Mi piacciono gli uomini con la barba curata.-

Buono a sapersi.

-Voglio molto bene a Kanda. Sono sicura che ora mi sta cercando. Spero non sia ferito. Mi ha cresciuta, è la cosa più vicina ad un padre per me. Oppure potrebbe essere mio nonno. È un Q'uoin quindi potrebbe avere mille anni. Chissà?-

Li stava cercando. E presto li avrebbe trovati.

E a quel punto?

A quel punto... spero di non dover usare la spada.

Ma la usò nuovamente quel giorno stesso.

Sentirono dei rumori.

-Giù!- ordinò Kalad. Poco distante da loro c'erano quattro soldati

-Una piccola squadra Inquisitoria.- constatò Kalad.

Si alzò per andare verso di loro ma Ayliss gli prese la caviglia.

-Che fai?-

-Fermo! Non andare. Non ucciderli.-

-Perché no?-

-Non ci hanno visti! Se restiamo nascosti non ci faranno nulla.-

-è troppo pericoloso. Devo eliminarli.-

Kalad estrasse la sua spade e si diresse verso di loro.

Uno di loro venne colto alle spalle. La lama di Kalad lo trapassò alla schiena.

Meno uno.

Uno aveva un ascia. Kalad si abbassò schivando l'attacco e infilzò il soldato alla pancia. Dietro di lui un soldato lo colpì con una mazza. L'armatura aveva intercettato parte del colpo, ma la schiena gli doleva. Deviò un altro attacco e girò su se stesso. La lama tagliò la gola del soldato, inzuppandogli le vesti di sangue. Il soldato gorgogliò, come se fosse immerso nel fango. L'ultimo soldato aveva spada e scudo, mentre Kalad aveva solo la sua spada.

Kalad la afferrò con entrambe le mani e saltò all'attacco.

Il soldato parò il colpo con lo scudo.

Abbatté nuovamente la lama, un'altra volta.

Ma il soldato non si mosse.

Il soldato tentò un affondo.

Ma Kalad lo aggirò alla sua sinistra. Riuscì ad afferrargli il martello porpora, tirò con forza, spingendolo verso la punta della sua spada. Infine il soldato venne ucciso dalla lama di Kalad, che gli trapasso il collo da dietro.

Meno quattro. Erano tutti morti.

Ayliss lo raggiunse ma si tenne ben distante.

-Sono morti. Puoi venire.-

Ayliss guadò i cadaveri. Sembrava provare timore di quei corpi senza vita.

-Ti piace uccidere?-

-No, per niente. Ma lo faccio per sopravvivere, uccidere non è mai facile. Ma a volte, purtroppo, è necessario.-

Ayliss aveva il volto cupo.

-Non sempre. A volte uccidere non è la cosa giusta. Anzi... non è mai la cosa giusta. L'hai detto tu stesso. Non ha senso togliersi la vita. Si perderebbero tutte le piccole cose che la rendono speciale. Cosa permette a noi di togliere la vita degli altri? Cosa permette a noi di non far più provare quelle cose ai nostri nemici?-

Kalad rinfoderò la spada.

-Il fatto che sono nemici.- disse infine. Una risposta forzata. E lui lo sapeva.

-Ma cosa li rende nostri nemici?-

-Il fatto che ti vogliono. Tutti.-

-Ma potrebbero avere le loro ragioni.-

-E infatti ce le hanno. In guerra non esiste il buono e il cattivo. Siamo tutti uguali. Tutti sono mossi da sentimenti diversi. Chi dice che le motivazioni di una fazione siano sbagliate mentre quelle dell'altra siano giuste? Nessuno. È una questione soggettiva. Ma poi... sono i vincitori a decidere chi ha ragione. E decidono che ad aver ragione sono loro.-

Ayliss non rispose. Si limitò ad annuire. Ma nonostante tutto era ancora dubbiosa. Kalad era una brava persona ma era anche un guerriero. Era la sua natura. C'è chi nasce con la capacita di trasmettere le sue emozioni con la scrittura. C'è chi nasce con la capacità di estasiare le persone con un'arpa o un violino. Altri ancora nascono con la capacità di combattere.

Kalad sapeva combattere.

Ma Ayliss vedeva dentro le persone. Riusciva a vedere le parole che descrivevano la nostra anima. Le note musicali che guidavano i nostri passi.

Kalad aveva un grande cuore, aveva solo il problema di vivere in un mondo in cui serviva di più la sua spada che la bontà del suo cuore.

Arrivarono al centro della foresta. Gli alberi erano vecchi quanto le rocce e le loro radici uscivano dal terreno per poi rientrare, come facevano i mostri marini delle leggende.

-Guarda Kalad!- lo chiamò Ayliss. -è stupendo!-

Ayliss corse a fianco di un albero. Là c'erano dei fiori blu e rossi. Ayliss si accucciò. Li tocco con le mani, quasi per accarezzarli. Annusò il loro profumo.

-Sono bellissimi. E hanno un profumo splendido.-

Rimase a guardarla e sorrise.

Voleva restare con lei. Voleva andare a Q'uoian, vivere nei loro edifici nella foresta e stare con Ayliss. Abbracciarla, dormire al suo fianco, baciarla. Guardarla negli occhi e viaggiare con la fantasia. Sentire il suo profumo, il tocco delicato della sua pelle.

Quando si rese conto di ciò che stava succedendo era già troppo tardi.

Mai fantasticare in una foresta!

-No Ayliss! Non strapparli, sono una trappola!-

Troppo tardi.

Ayliss aveva già strappato i due fiori.

All'improvviso la terra iniziò a tremare.

Davanti a loro la terra sembrò sollevarsi. Dal terreno uscirono quattro zampe fatte di roccia e dotate di artigli. Un muso animalesco anch'esso di roccia con le fauci aguzze e gli occhi bianchi. Il dorso ricoperto di piante e due alberi.

Era un Gorvashor. La bestia era simile ad una tartaruga con al posto del guscio delle piante e degli alberi. Era di medie dimensioni, quanto due carri. Emise un boato sonoro che uscì dalla sua bocca come un avvampata di fuoco. Una radice, comandata dal Gorvashor, prese il piede di Ayliss e la sollevò. Era in testa in giù e urlava di paura.

-Kalad!- chiamò Ayliss.

Kalad partì all'attacco. Colpì con vari fendenti il muso del Gorvashor ma era come colpire roccia e legno. Il Gorvashor cercò di azzannare Kalad ma quest'ultimo indietreggiò cadendo a terra. Quando vide la zampa destra del Gorvashor sollevarsi rotolò di lato, schivando il pestone del mostro. Si rialzò e corse al fianco del Gorvashor. Si arrampicò sulle piante del suo dorso fino a raggiungere uno dei due alberi. Si arrampicò a fatica, causa i continui movimenti del mostro, in un ramo e saltò prima che si spezzasse. Tagliò in salto la radice che teneva Ayliss. Ayliss cadde sopra di lui, che la prese col suo braccio.

-Forza, spostati spostati!- le disse.

Il Gorvashor usò le sue radici per colpire come delle fruste Kalad. Le radici sembravano dei tentacoli che il Gorvashor controllava. Kalad ne tagliò alcuni ma venne sopraffatto. Cadde a terra e un tentacolo avvolse la sua gamba destra. Quella ferita. Strattonò con forza e Kalad urlò.

Ayliss si rialzò e vide Kalad urlare.

NO! No, non permetterò che tu muoia. Si disse.

All'improvviso i suoi occhi divennero bianchi e il dorso del Gorvashor esplose di fuoco. La radice mollò la presa su Kalad. La parte sinistra del dorso del Gorvashor andava a fuoco.

Poi Ayliss tese la mano sinistra verso la spada di Kalad. All'improvviso la lama divenne incandescente.

-Per il Supremo!- disse Kalad stupito. Approfittando di questo misterioso aiuto si alzò e corse verso il Gorvashor. Saltò sul suo muso e raggiunse il suo dorso. Menò fendenti nelle piante, dando fuoco a tutta quella vegetazione. Il Gorvashor urlava di dolore.

Scese dal dorso, esattamente di fronte al muso del Gorvashor. Kalad infilò la sua lama incandescente dentro la bocca del mostro. Rigirò la lama, mentre il Gorvashor emise un ultimo ruggito prima di morire. Si accasciò al suolo, morendo.

Ayliss tornò normale. Kalad aveva il fiatone. Si avvicinò a Ayliss poco prima che lei perdesse le forze per lo sforzo di aver usato quell'incredibile potere. Kalad la prese con il braccio libero.

-Devi farla più spesso questa cosa.-

Ayliss sorrise prima di perdere i sensi

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Il banchetto ***


Capitolo 14

Il banchetto

 

Arrivarono ad Icehold con le truppe Vurkaniane. Icehold era la capitale del Nord. Città di dura roccia e mattoni, fredda come il Nord stesso. Gli edifici sembravano tutti grigi, le tende bianche sventolavano spinte dal vento gelido. Alcuni poeti Noveriani, decine di anni fa, erano venuti ad Icehold per dedicare poesie alla capitale del Nord, probabilmente una delle città più antiche del Grande Continente. Ma i poeti erano rimasti perplessi. Icehold era una grande città ma aveva ben poco di maestoso. Pochissimi edifici alti, ancora meno torri. L'atmosfera che si respirava era monotona, agrodolce. Sembrava di ritrovarsi in un dipinto ad olio privo però dei bellissimi colori che i pittori Noveriani usavano. Le tinte erano spente, sembrava che il Nord avesse risucchiato tutto il colore della città.

Quando Groman Shakta, grande poeta di Nibeluria, arrivò alla corte del Re del Nord egli disse:”Il popolo è fiero e forte, si vede nei loro occhi la voglia di combattere e il ricordo delle vittorie passate. Ma vi chiedo, vostra maestà, per quale motivo vi sono così poche sculture, o torri o edifici degni di nota in città?”

Il re del tempo, Fannir Holdar III aveva detto. “Che bisogno c'è di tutto ciò, uomo del Sud? Una città è fatta per viverci con tutte le sue comodità. Poche torri sono necessarie, non decine. Che bisogno c'è di mettere sculture e quant'altro? Abbellire la città non la renderà più resistente.”

E poi, il re disse una frase che tutti al Nord conoscono, una frase che diventò quasi il simbolo di quel fiero e freddo popolo.

“E poi... e ricorda bene queste mie parole Noveriano, una città non necessita di essere abbellita. Poiché quando verrà assediata e data alle fiamme, cosa che succederà ad ogni città di questo mondo, il popolo non si tratterrà nell'andarsene. Nulla, in quella città, deve essere fonte di affetto per il popolo.” Le truppe si avventurarono nelle ampie vie di pietra. I bambini corsero verso di loro sorridenti, inneggiando a Daften e ai Vurkaniani.

È tutto sbagliato

Tutto.

-Il popolo vi ama, sire.- disse Gorander che cavalcava al suo fianco.

-E mi ameranno ancora di più dopo la notizia.-

Il popolo già sapeva dell'alleanza tra Nord e Vurkan. Inizialmente c'era stato sospetto e anche paura. Ora, dopo le varie vittorie contro i bruti, non avevano più paura. Ora inneggiavano a Vurkan, ad Argon Falltayer e a Grantizzone.

Un popolo malleabile quello del Nord.

Ma chi cerca il potere è sempre malleabile

Raggiunsero la Piazza di Skaring e si fermarono.

Daften alzò la mano.

-Ascoltate! Ascoltate uomini del Nord! Quest'oggi... le ultime resistenze dei bruti sono state distrutte! Dalle forze congiunte di Nord e Vurkan!-

Tutti esultarono.

-Siete tutti invitati alla mia reggia. Festeggiate, mangiate e bevete a più non posso! Le mie serve saranno vostre. Divertitevi, cantate, ballate! Perché fra tre giorni... ci dirigeremo a Noveria a caccia della ragazza! Per tornare ad essere le guide che fummo un tempo! Noi, i Guerrieri dei Ghiacci, i Guerrieri del Freddo Nord!-

Il popolo esultò nuovamente. Le serve attiravano sempre.

Daften era sempre stato bravo a caricare il popolo. A dare quella spinta in più che serviva a convincere gli scettici. A convincerli a fare ciò che lui voleva. Gli aveva convinti per entrare in guerra contro i bruti. E l'aveva fatto nuovamente per l'alleanza con Vurkan. E ora lo faceva ancora, per marciare verso Noveria.

E funzionava.

Funzionava sempre.

Come avrebbe agito Robert?

Lui stesso ci pensava ma non sapeva darsi una risposta.

Non era mai stato bravo con i discorsi.

Si avviarono verso il palazzo reale. Era un enorme edifico, con guglie che sfidavano Dio in persona. L'unica eccezione di maestosità presente in città. Costruito in tempi più moderni, nonostante ciò che si poteva pensare. Nei tempi antichi, fino al Grande Gelo, i Re del Nord non avevano avuto un castello, ma vivevano nella villa Holdar. Il Re era una guida ma non era superiore a nessuno, diceva Nordor, primo degli Holdar. Erano tempi diversi. Fu un re molto diverso da Fannir III a costruirlo. Re Wolgar Holdar IV. “Verrà costruita una reggia per me, mia moglie, e tutti i miei sudditi. Simbolo di potenza e grandezza degli Holdar. La giusta ricompensa per le gesta della mia famiglia e il giusto monito per i ribelli. Quando guarderanno quell'enorme reggia avranno timore e capiranno che nulla su questa terra può rivaleggiare con gli Holdar. Perché gli Holdar sono il Nord!”

Daften scese da cavallo, con Robert e Gorander sempre al suo fianco.

 

La festa impazzava. Daften stava sul suo trono di ferro, spaparanzato e chiaramente ubriaco, con in mano una coscia di pollo già morsicata. La morse nuovamente e il sugo della carne gli colò sulla barba bianca.

I soldati ballavano sui tavoli e dietro le colonne le serve godevano del privilegio di provare un soldato Nord ubriaco. I soldati di Robert lo costrinsero a bersi un intero boccale. Poi un altro ancora.

Gli ricordò gli anni di gioventù, quando dopo ogni battaglia (e si ritrovava, con suo stupore, sempre vivo) tutti si davano a grandi bevute, felici di riuscire a vivere su quella terra un giorno in più.

Eri giovane, a quel tempo avevi ben poca paura di morire. Ti sentivi invincibile, intoccabile. E pensavi anche che la birra fosse la miglior ricompensa per i tuoi sforzi.

Quando vide il tavolo muoversi capì di aver bevuto a sufficienza. Al suo fianco stava Adele, sua moglie. Appena era arrivata alla reggia Adele le era corsa incontro abbracciandolo e riempendolo di baci. Ogni volta che andava in battaglia Adele si preoccupava a tal punto da andare sempre nel tempio del Supremo, pregando per il suo ritorno. Ma Robert era sempre tornato, anche sta volta. I suoi capelli color del grano, gli occhi verdi. Era bellissima e ogni anno che passava con lei la vedeva sempre più bella.

Ricordava ancora il giorno in cui la conobbe.

Era durante la guerra con i bruti. Lei era una medica. Un bruto lo aveva colpito con un ascia sulla gamba, togliendoli un pezzo di pelle, aveva ancora il segno. Lei lo aveva curato e lui l'aveva baciata. Ma era giovane e stupido ed era una cosa che faceva spesso. Lei lo aveva schiaffeggiato. Lui l'aveva guardata con gli occhi, aveva schiaffeggiato il suo sovrano. Non lo era ma era il fratello del re. Era un affronto. O forse rimase stupito perché era la prima che rifiutava un suo bacio. Lui le prese il braccio e la baciò ancora e lei non si sottrasse.

Sperò di ferirsi di nuovo per poter tornare da lei. Una notte, quando la luna era piena nel cielo, era entrato nella tenda medica. Aveva visto tutti i feriti, tutti i morti che la guerra che lui e suo fratello stavano guidando aveva portato. E l'aveva vista piangere, in fondo alla tenda. Si era avvicinato a lei.

“Non dovresti vedermi in questo stato.” aveva detto.

“Non devi vergognarti di piangere. Le lacrime non sono segno di debolezza. Sono delle emozioni. E le emozioni non vanno mai sottovalutate.”

Lei aveva alzato lo sguardo su di lui, gli occhi rossi.

“Ti è mai morto un ragazzo di diciassette anni tra le braccia. Chiamava sua madre! Sai cosa si prova? Ah... ma cosa vuoi saperne tu! Tu ammazzi la gente... e mandi a morire i ragazzini! Ti odio! Ti odio!”

Poi aveva iniziato a colpire la sua armatura sporca di sangue, piangendo. Poi lentamente lui l'aveva prese nel suo abbraccio.

“Non sono felice di ciò che sta succedendo. Ti chiedo solo ti continuare con la testa alta e con il suo stupendo sorriso sul volto. E quando tutto sarà finito potrai dire di aver combattuto, di aver lottato perché altri potessero vivere. E forse... un giorno... potrai crescere un ragazzo. Un figlio. Che raggiungerà i diciassette anni. E che li supererà, diventando forte come un toro. Devi solo tenere la testa alta.-

Lei aveva sorriso.

“Come un orso. Forte come un orso. Come lo sei tu.” poi l'aveva baciato.

E quel ragazzo nacque. Darwill Holdar, aveva diciott'anni ora. Poi nacque Bremar di dieci anni. E l'ultima arrivata, Elda di otto anni. Ona stava nel tavolo di fronte, ben distante da Daften.

Ona era la moglie di Daften perciò Regina del Nord ma non lo amava, non l'aveva mai fatto. Era stato un matrimonio politico. Loro padre, Re Jorg Holdar I aveva fatto sposare a Daften Ona perché suo padre, Wiblad Kottorland era un nobile del Nord, padrone delle Alture Innevate, o Nejormandar in Nordico, deposito di ferro in abbondante quantità. Daften non era riuscito ad avere figli da lei. Ci aveva provato, eccome se ci aveva provato. Robert ricordava la frustrazione che inondava il volto di Daften quando gli raccontava, soli nelle sue camere, di come lui avesse sparso il suo seme dentro di lei.

“Niente, fratello. Niente. Inizio ad avere brutti sospetti. Questo regno ha bisogno di un principe, Robert! Non posso lasciarla, infangherei la memoria di nostro padre! Ma... Robert forse sono io ad essere debole? È possibile?”

Robert aveva sorriso.

“Ne dubito, fratello. Ne dubito fortemente.”

“Eppure... ah, al diavolo! Vedremmo come andranno le cose. Tutto questo è frustrante.”

Daften era orgoglioso, quello non lo era.

Il seme di Robert si era dimostrato più forte.

Almeno vinco in camera da letto.

Daften si mise a ballare con una servetta.

Forse il suo seme, con le serve, aveva funzionato. I bambini nella reggia erano molti nell'ultimo periodo. Guardò nel tavolo difronte. I Vurkaniani erano chiaramente ubriachi dopo pochi boccali e si divertivano a cantare una canzone del Nord con il loro ridicolo accento. Ora gli uomini del Nord cantavano con loro, giocavano a braccio di ferro e si tenevano sotto braccio intonando canzoni per il Nord e per Vurkan.

Incredibile come delle persone possano cambiare la loro opinione su qualcuno se gli prometti qualcosa.

Robert si alzò, spostandosi nella stanza vicina. Era un luogo tranquillo e sentiva la bile salirgli in gola. Su una poltrona viola stava Gorander. Quel piccolo e sudicio uomo. Rober lo disprezzava. Soprattutto perché era Vurkaniano. Cosa poteva saperne lui di loro? Appena era arrivato al Nord come Inviato di Vurkan, Robert aveva guardato in quegli occhi gialli e aveva visto un insaziabile brama di potere.

Anche tuo fratello è così, ricordi? Eppure lo appoggi. I tuoi sono solo pregiudizi.

Tra Nord e Vurkan non scorreva buon sangue ma era inevitabile. I primi erano antichi e vivevano nei monti, nel gelo. I secondi erano giovani e vivevano nella lava, nel caldo. Come potevano due cose così diverse poter collaborare? Era semplicemente assurdo anche solo il pensiero. Loro nonno, Guvald Holdar V lo diceva sempre: “Mai allearsi con un Vurkaniano. Ti diranno di fare una cosa e ne faranno altre cinque alle tue spalle.” Robert ripensando a suo nonno si ritrovò a provare nostalgia per quel vecchio scorbutico sempre con gli occhiali sulla punta del naso.

Lui di certo non si sarebbe alleato con loro.

“Fuoco e ghiaccio non possono essere abbinati assieme. Ma se collaborano diventano un'arma inarrestabile.”

Spero tu abbia ragione, fratello.

-Che piani stai ordendo qui da solo, Vurkaniano.- disse Robert ciondolando.

-Sto pensando ad un modo per uccidere tuo fratello e permettere ai Vurkaniani di conquistare il Nord.- disse Gorander sorridendo.

-Sei un presuntuoso figlio di puttana, lo sai?-

-Sì lo so, amico mio. Ma tu lo sei molto di più. Sai cosa significa combattere per un uomo che non si fida di te? Anzi... che ti disprezza?-

Robert borbottò.

Ho tutte le mie buone ragione, non fare la vittima con me, Uomo Rosso. Non si addice a voi Vurkaniani il vittimismo. Come dovrei reagire vedendo un popolo che fa del fuoco, del calore la sua forza venire qui, nel mio regno, con i loro destrieri neri e la loro pelle talmente calda da sciogliere la neve? Dovrei dire: “No, tranquilli nessun problema, insozzate pure col vostro calore la nostra città, è tutto apposto. Infondo che male potrebbe farci avere dei fiammiferi qui al Nord?” Almeno ci terrebbero al caldo. Oh già e poi potremmo pure darvi qualche servetta, no? Ho visto con piacere che le donne del Nord attraggono voi dell'Est.

Cercò di dire quelle parole ma la bile che sentiva salirgli in gola glielo impedì.

Gorander si alzò.

-Non è bello. Ricorda che il mio esercito...-

-L'esercito di Argon Falltayer.- disse con un ringhio Robert.

-... l'esercito di Argon Falltayer combatte per tuo fratello e per te. Per tutto il Nord.-

-E con ciò?-

-Sarebbe bella un po di gratitudine! Sai qual'è il tuo problema, Holdar?-

-Avanti.- disse Robert scuotendo la testa. Aveva bevuto troppo. -Avanti dimmi. Spara! Sono curioso.-

-Sei un presuntuoso... bastardo... arrogante. Sempre a pensare all'onore, tu! Ma troppo impegnato a pensare al proprio... per notare quello degli altri!- disse Gorander allontanandosi.

Robert brontolò qualcosa di incomprensibile prima di uscire fuori e vomitare.

 

 

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Capitolo 16
*** La stanza segreta ***


Capitolo 15

La stanza segreta

 

Kanda raggiunse la sua piccola casa nella foresta.

Hanno violentato la mia dimora.

Alcuni muri erano stati abbattuti e l'interno era bagnato per le piogge. Si mosse lentamente, guardandosi attorno. Non vedeva nessun soldato. La spada che aveva preso da quel soldato senza mano era di ottima fattura. Pesava, non era abituato con quelle spade umane. Dentro la sua casa avrebbe trovato Shamalash. Si avvicinò al muro abbattuto della casa, all'interno non c'era nessuno. Entrò, scavalcando i pochi mattoni rimasti. La casa sembrava irriconoscibile. La pioggia aveva inzuppato il tappeto, il tavolo con cui mangiava con Ayliss e in cui scriveva versi di varie poesie era rotto. Le sedie altrettanto. Avevano saccheggiato la dispensa.

Non ditemi che non avete cibo qui a Noveria!

La stufa era spenta e faceva molto freddo. La guardò con gli occhi carichi di nostalgia. Là si sedeva con Ayliss e leggevano libri, oppure le raccontava leggende. Quando era piccola l'aveva cullata là davanti, vicino al calore del fuoco. Ora era al freddo, con quel Kalad.

Kalad.

Una rabbia incontrollabile avvolse il cuore di Kanda.

Chissà cosa le stava facendo?

Bastardo... quando ti troverò ti farò implorare pietà... e se scopro che l'hai toccata... tutti gli Dei esistenti proveranno pena per te.

Passo la mano nei freddi mattoni della sua dimora. L'aveva costruita da solo, poco dopo essersene andato da Q'uoian. W'orshan lo aveva avvertito che il mondo fuori la Verde Foresta era pericoloso. La gente era barbara, tutti gli umani lo erano. Ma Kanda si era sempre sentito diviso tra due mondi. Da una parte la verdeggiante Q'uoian, con la sua precisione, la sua pace e anche la sua noia. Dall'altra il mondo pericoloso, barbaro, caotico. Ma allo stesso tempo affascinante, misterioso, ricco di luoghi ancora inesplorati. Era uno storico e gli storici non hanno una patria vera e propria. Sono solo abitanti del Mondo.

Ci aveva messo due anni a costruire quella casa. Le piogge, gli animali selvatici e ancora le piogge non avevano aiutato.

Ti sei anche improvvisato costruttore, eh?

Erano lontani gli anni come soldato, a difendere la Verde Foresta dalle incursioni delle Bestie Nere ad Ovest. Erano lontani gli anni di addestramento presso il Fiume Azzurro, quando i Monaci M'ashman lo addestrarono nella ponderazione e concentrazione, per scacciare gli incubi. Erano lontani pure gli anni di studi per diventare consigliere del Re, quando trovava quasi affascinante immischiarsi in quel tranquillo campo di battaglia senza sangue che era la corte di un Re. Era fuori forma e ci aveva messo più di quello che pensava per costruire quell'umile dimora. Poi sentì il punto esatto. Poteva sentire che dietro quei mattoni c'era qualcos'altro. Qualcosa che nessuno poteva vedere.

-Porta.- disse. -Apriti.-

E la porta, prima invisibile, si aprì.

Entro nella stanza segreta, scendendo le scale di legno. Ogni passo emetteva un frastuono assordante. Arrivò nella stanza nascosta. Erano accese alcune candele. C'era un tavolo al centro, in cui stavano varie cose. Una mappa, la mappa del Grande Continente, che lui stesso aveva disegnato dopo anni di viaggi.

La fortuna di vivere a lungo, immagino.

A Sud, sulla costa, stava Noveria e a Ovest di quest'ultima c'era la Città Volante. Oltre i confini di Noveria c'era Q'uoian, che si estendeva fino al mare dell'Ovest. A Nord di Noveria si trovava il Nord, ovviamente. Si sviluppava sopratutto orizzontalmente, confinando sempre a Sud con Q'uoian, Noveria e Vurkan. Vurkan si estendeva a Est di Noveria. Si sviluppava in modo obliquo, fino a toccare le Lande Cineree. A Sud di Noveria, oltre il mare, stava Aquamar. Isola degli Uomini Acquatici. Tocco la cartina e ripensò a tutte le volte che aveva dovuto riscriverla. L'odore dell'inchiostro, il tocco di quel liquido nero sulle sue dita... come gli mancava. Poi c'era il suo libro. Lo guardò e sorrise amaramente. Era un libro di poesie. Alcune le aveva scritte Ayliss.

Ma ora, ogni qualvolta ripensava ad Ayliss, appariva l'immagine di Kalad.

Un guerriero in armatura completa, con il metallo porpora ed un enorme spada nera. Forse non era così... ma Kanda lo immaginava tale. Ma sarebbe morto comunque. E molto presto anche. Poi c'era un Elisir di Lunga Vita. Ricordava quando scoprì che dagli alberi di Q'uoian si ricavava una particolare resina, che allungava la vita di una persona a dieci anni. I Q'uoin vivevano così al lungo perché vivevano in perenne contatto con quegli alberi. Fu considerato piuttosto blasfemo e per questo venne allontanato. Ma non ucciso.

Per questo devo ringraziare Sua Maestà. Ma ripensandoci ora aveva molti debiti con me, soprattutto quando ero suo consigliere. Era piuttosto difficile fargli comprendere la lingua Noveriana, con tutte quelle parole allungate. Fu generoso a tenermi in vita... certo avrebbero potuto controllare nel mio zaino. Ma apprezzo comunque che qualcuno abbia provato un po' di fiducia in me. Ciò nonostante nel mio zaino c'erano molte boccette dell'Elisir.

Poi l'Elisir si diffuse in fretta su tutto il Grande Continente. Ovviamente anche il Grande Inquisitore lo utilizzava. Era in vita da molto, moltissimo tempo, da circa duecento anni. Ma Kanda sapeva che non era l'Elisir. Un uso troppo massiccio per un umano corrispondeva a un overdose quadruplicata. L'Elisir di Lunga Vita aveva un colore simile al dorato. Poi, finalmente, raggiunse la sua spada. Era attaccata al muro. Shamalash era il suo nome. Gliela diede dopo aver finito gli allenamenti con W'orshan. Il suo maestro gliela diede dicendogli che quella spada rappresentava ciò che lui era. Il vento, un turbine, una folata gelida. Shamalash significava Vento.

“Non riesci a stare fermo nello stesso posto per più di due secondi. Sai essere calmo e piacevole ma anche violento e selvaggio. Porti una brezza calda nel cuore di chi ti conosce e delle raffiche gelide nel cuore di chi ti odia. Tu sei il Vento”

Mi manca quel vecchio dai capelli rossi. I suoi insegnamenti, le sue sgridate e anche le sue botte. Senza di quelle dubito che avrei ascoltato una sola parola.

Aveva il manico bronzeo, il fodero era nero. La prese e la estrasse. La lama, lunga e stretta, era di un grigio splendente. La rinfoderò con un colpo secco.

Poi, il pezzo più importante. Dentro una piccola boccetta stava un capello. Un capello appartenente ad Ayliss. Lo fece uscire dalla boccetta e lo strinse forte.

Per questo devo ringraziare G'hunan... e anche me stesso. L'allenamento rende più forti.

Chiuse gli occhi. Si apprestava ad utilizzare una magia pericolosa. Gli anni migliori della sua vita erano stati quelli di solitudine nel Monte dello Sguardo, sotto lo sguardo vigile di Dio. Là si era esercitato con i suoi poteri.

-Guidami!- comandò.

Quando riaprì gli occhi sapeva esattamente dove si trovava Ayliss.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Sotto la città volante ***


 

Capitolo 16

Sotto la Città Volante

 

Ayliss si sveglio a fianco di un ruscello. Era distesa a terra ma non era coperta dal mantello di Kalad, ormai inutilizzabile. Guardò Kalad. Era accucciato sul bordo del ruscello e aveva la spada immersa nell'acqua. La quale stava evaporando.

Ayliss si sedette. Kalad si volse sentendo quel suono.

-Era ora. Hai dormito per tipo quattro ore.-

-E tu mi hai trasportato per tutto questo tempo?-

-Con numerose pause. E poi sei incredibilmente leggera. Non capisco il perché.- disse il soldato sorridendo.

-Forse perché non mangio da giorni?-

-Non sembri soffrirne.-

-Infatti. Credo di poter sopravvivere anche senza mangiare.-

-Be' per me non è lo stesso.-

Ayliss guardò la sua spada, ancora immersa nell'acqua.

-Che stai facendo?- chiese.

-La sto raffreddando. Quando l'hai infuocata era rimasta tale. L'avevo già raffreddata ma ha continuato a scottare.-

Ayliss sorrise divertita.

-Dovrò esercitarmi, allora.-

-Direi. Mi è stata molto utile contro quel Gorvashor.-

Tirò finalmente la lama fuori dall'acqua.

La guardò, i riflessi del sole facevano brillare la lama.

-Ora va meglio.-

Ayliss la guardò. Era una bella lama. Kanda le aveva parlato delle spade. L'arte Noveriana era la più rinomata tra gli umani. Lame lunghe e grigie, affilate a tal punto da tagliare le teste con un colpo leggero. Il Nord andava per lo più con le asce. Le spade di lassù erano grosse e pesanti. Quelle Vurkaniane erano in Brightfire, ovviamente. Nere, simile a roccia. Ad Aquamar avevano lame ricurve di mirabile fattura, ornate da pietre preziose. A Q'uoian vantavano lame lunghe e sottili. Kanda diceva che erano le spade migliore in circolazione, ma forse lo diceva per orgoglio personale. I Celestiali consideravano le spade roba da principianti. Infatti venivano usate dai loro Discepoli. I Celestiali usavano lance a doppia lama. Ritrovarsi di fronte due metri di uomo divino con una tale arma era un esperienza che nessuno voleva provare. Ayliss soprattutto.

-è una bella spada.-

-Lo so.-

-Te l'hanno data quando sei entrato nell'esercito?-

I ricordi assalirono Kalad.

-La presi all'Accademia. Erano gli anni di addestramento per diventare soldato dell'Inquisizione. Ad addestrarmi c'era un uomo chiamato Fossom. Fossom era un brav'uomo... forse l'ultimo che ho avuto la fortuna di conoscere. Gli anni nell'Accademia forse sono stati gli anni che ricordo con più gioia. Nonostante i litigi e i bastardi che c'erano. Nonostante venissi spesso picchiato. Nonostante venni quasi ucciso in un vicolo da tre membri dell'Accademia... il ricordo di Fossom mi scalda ancora il cuore. Era bello parlare con lui. Era severo, questo sì. Ma anche buono e generoso. E giusto. Mi ricordava mio padre.-

Ayliss sorrise. Ora Kalad sembrava molto più giovane degli anni che aveva effettivamente. Rimaneva sempre attraente. Quando parlava di Fossom il suo volto si illuminava, sembrava un bambino che racconta il suo nuovo gioco.

-Sembra una brava persona. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo.-

Kalad annui semplicemente.

-Pensi che ci proteggerebbe?-

-No. Questo no.-

Ayliss annuì, sapendo già l'amara risposta.

-Lo immaginavo. Sei solo tu buono.-

-Ti sbagli. Lui lo avrebbe fatto. Lui era buono. Ma a lui... è toccata la sorte di tutti gli uomini buoni.-

-Cioè?-

-è morto.-

Il volto di Kalad si incupì, come se una vecchia ferita si fosse improvvisamente riaperta.

-Mi dispiace. Però... è una cosa che aspetta ogni uomo. La morte intendo.-

-Non la sua. Le persone buone sono sempre quelle che muoiono per prime. Di morte violenta.-

-Cosa gli è successo?-

Kalad rimase zitto per un lungo momento. Infine parlò.

-L'hanno ammazzato. Erano in tre. Aveva preso a bastonate durante una lezione un certo Alexy. Uno schizzato totale che faceva solo casini. A lui non era andato giù. Aveva chiamato due suoi amici e aveva aspettato Fossom nelle sue stanze... presumo. Fatto sta che il giorno dopo lo trovai in un lago di sangue. Con vari fori di pugnale sul corpo e la gola aperta. Fossom era stato come un secondo padre per me... e tre ragazzi me lo portarono via.-

Ayliss aveva gli occhi spalancati e carichi di lacrime.

-Santo cielo... Kalad... è terribile. Ma... come hai fatto a scoprire che era stato quell'Alexy e i suoi amici.-

Kalad sospirò.

-Me lo disse lui stesso. Sapeva che era importante per me. Mi sorrise... e disse che Fossom aveva gridato come una troietta quando la sua lama gli aveva aperto la gola.-

Ayliss si alzò e si avvicinò a lui. Aveva paura di toccarlo, non sapeva la reazione che poteva avere. Forse il suo tocco lo avrebbe infastidito. Ma appena la sua tenera mano accarezzò la barba di Kalad, quest'ultimo non si ritirò al tocco.

-E poi cos'hai fatto?-

Kalad sentì il suo profumo meraviglioso. Chiuse gli occhi e si lasciò accarezzare.

-Gli ho uccisi.-

La carezza si fermò.

-So cosa stai pensando. Era sbagliato.-

Ayliss balbettò.

-Uccidere lo è sempre.-

-E allora dimmi... dopo quello che avevano fatto, meritavano di vivere?-

Ayliss non rispose.

-Nessuno merita la morte.-

-Anche Fossom non la meritava. Ma è morto lo stesso.-

-Non sta a noi decidere chi la merita e chi no.-

-Alexy aveva scelto che Fossom meritava di morire. Io ho solo fatto lo stesso con lui. E se ci tieni a saperlo... non mi sono mai pentito di quello che ho fatto. Se ci tieni a saperlo ho infierito sui loro cadaveri, sul suo in particolare!-

Ayliss lo colpì con un violento ceffone.

-Non parlare in questo modo! Non sei tu! E... mi fai paura.- disse lei rossa in viso per la rabbia.

Kalad sorrise mestamente.

-Chi ti dice che quello non fossi io? Non è che forse quello che tu vedi sempre di me... sia il falso ME?-

-No, Kalad. Io vedo dentro di te. Non puoi ingannarmi. Non puoi ingannare nemmeno te stesso.-

Kalad annuì.

-Forse è vero...-

-Certo che lo è. Uccidere... è sbagliato. In tutti i modi. Anche se il tuo fine è puro. Uccidere resta sempre un errore.-

-Purtroppo- disse Kalad. -Di questi tempi o uccidi... o vieni ucciso. Non rattristarti se la mia lama si tinge di rosso, mia signora.-

Lei annuì e continuò la carezza poco prima interrotta. Poi si avvicinò di più e posò la testa di Kalad sul suo petto. Lui era ancora accucciato. Venne cullato dalla morbidezza dei suoi seni e dall'alzarsi e abbassarsi del suo petto. Sentiva il forte battito del suo cuore.

-So che hai commesso dei gesti... che non condivido. Ma io so che hai un grande cuore. Che sei disposto a sacrificare la tua stessa vita per me. Che sei pronto ad affrontare il cielo stesso, il fulmine e pure una montagna per difendermi. Lo so. So che sotto quell'armatura batte un cuore buono e vasto quanto tutto il Nord. Ti voglio bene.-

Kalad era a bocca aperta. Si allontanò dal suo petto e la guardò.

-Anch'io ti voglio bene. Tanto.-

Lei all'improvviso tentò di avvicinarsi alle sue labbra. Forse perché qualcosa dietro di lei l'aveva spinta. Forse...

Kalad si alzò improvvisamente, senza dare a lei l'opportunità di baciarlo.

-Mettiamoci in marcia, siamo nei pressi della Città Volante, è pericoloso.

 

Quando continuarono la loro marcia videro la Città Volante. Un intera città sospesa nel vuoto, fluttuante. Si diceva che passarci sotto fosse come morire. Un angoscia incombente. Sembrava che potesse cadere da un momento all'altro. Il territorio sottostante era pianeggiante e brullo. Là sopra stava i Celestiali, esseri divinità dall'aspetto umano. Se non per l'altezza. I Celestiali erano altri circa due metri e più. A Volte si vedevano i loro Work svolazzare attorno alla città. Dopo la Guerra Santa il Grande Inquisitore acconsentì alla resa Celestiale, ordinando loro però di confinarsi nella loro città, o meglio in una parte della città, e sollevarla nel cielo. La Città Volante si trovava ad Ovest di Noveria, all'interno del suo territorio. Era una Città- Stato.

-Ne saprai sicuramente qualcosa sui Celestiali.- disse Kalad.

-Certo. Sono la figlia del Dio che gli ha scacciati.-

-Non è stato il Supremo a farlo, ma l'Inquisizione. È ben diverso.-

Ayliss guardava estasiata quella città.

-Dev'essere meravigliosa. Kanda mi diceva che l'architettura Celestiale era la più maestosa. Enormi archi d'oro, cupole d'argento, torri d'avorio.-

-Kanda ti ha insegnato molto. Ti avrà anche detto che ti odiano.-

-A quel tempo non mi cercava ancora nessuno.-

-Ora lo sai. Loro ti vogliono morta. Appena ti troveranno non ti cattureranno o ti tratteranno con le pinze. Prenderanno un pugnale e ti sgozzeranno. Forse prima ti porteranno lassù. Vedrai la città in catene. E poi ti uccideranno. Possono avere un bel gusto architettonico, ma ti vogliono morta.-

Ayliss abbassò la testa ma poi la rialzò d'improvviso.

-Senti... lo senti pure tu?-

-Cosa?- chiese Kalad accigliato.

-Questo suono, come un battito d'ali.-

Kalad alzò lo sguardo.

-No... no, non può essere! Non ora!-

Sapeva che i Celestiali sarebbero entrati in campo. Ma non il quel momento, non proprio quando loro stavano passano sotto la loro città.

-Corri! Nasconditi cazzo, corri! Là!- disse indicando una conca sul terreno. Si lanciarono dentro, cercando di nascondersi il più possibile.

Dalla Città Volande discesero centinaia di migliaia di Work colorati. Rossi, blu, gialli, verdi, bianchi. Scesero come un arcobaleno, come una cascata. Le truppe dei Celestiali stavano su enormi carri decorati d'oro e avorio, mentre i Discepoli su piccoli Work. Venne sollevata un enorme quantità di polvere, tanto da far quasi tossire Ayliss. Kalad gli mise la mano sulla bocca per non farle fare rumore. Si sporse per guardare. I soldati erano vestiti con le divise azzurre. C'erano centinaia di soldati. Su tutti spiccava uno vestito con una divisa rossa e oro, armato di un enorme lancia a due lame. I capelli lunghi e castani, gli occhi nocciola. Era completamente senza barba ma la sua pelle era rigata da varie cicatrici. Era un condottiero. Il fisico possente e atletico, le braccia lunghe e muscolose. Sul suo carro era incisa una parola in lingua Celestiale. Kalad sapeva il significato di quella parola. C'era scritto “Il Valoroso”

Assieme a lui, al suo lato destro e sinistro, stavano altri due uomini.

Uno sembrava molto giovane. Aveva lunghi capelli biondi legati un una treccia e indossava una divisa verde e oro. L'altro aveva una folta barba grigia, i capelli ricci e portava una divisa marrone e oro.

Nei loro carri c'era scritto rispettivamente “L'Arciere” e “Il Sapiente”.

Il loro capo annusò l'aria.

-Mi mancava l'odore della terra.- disse. Aveva una voce forte, da condottiero.

-L'odore di feci, intendi?- disse quello giovane. Anche se non lo era. Essendo un Celestiale avrà avuto minimo centocinquanta anni.

-Marxal, modera il linguaggio.- lo rimproverò il vecchio.

-Perdonami, Athamor. A volte dimentico la tua... enorme utilità. Dio della Sapienza.- disse Marxal in tono di scherno.

-Abbiamo bisogno della Sapienza durante la guerra. Per prendere le decisioni giuste.- disse Athamor.

-Finitela, voi due.- ordinò il loro capo.

Si guardò attorno, continuando ad annusare l'aria.

-Cosa comandi Nodamor?- chiese Athamor.

Si sgranchì la schiena e guardò verso Kalad. Sembrò quasi che l'avesse visto ma distolse subito lo sguardo.

Per un pelo, pensò Kalad.

-Cerchiamola. È qui nel Ovest. Dirigiamoci un poco verso Nord, ma stiamo sempre nell'Ovest. E speriamo di trovarla.- disse Nodamor con un tono di velata amarezza.

Poi tutti spiccarono il volo, muovendo una grande quantità di polvere.

 

 

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Capitolo 18
*** Il profumo del mare ***


Capitolo 17

Il profumo del mare

 

Adorava il profumo del mare. L'aria di mare era diversa da quella di terra. Più fresca, refrigerante, pura. L'odore della salsedine, il suono delle onde che si infrangevano sugli scogli, il verso dei gabbiani, i fischi dei marinai. Il sole batteva forte quel giorno. I marinai stavano a petto nudo, mostrando il loro corpo abbronzato. Uno lo saluto e Hidan ricambiò con un sorriso.

Hidan Naustrarer, secondogenito di Godan Naustrarer, amava la sua patria. Nessun altro regno poteva donarti le meraviglie di Aquamar. Il mare limpido, i pesci di mille colori diversi, le enormi conchiglie, i gabbiano che volavano fieri sopra il mare, le poderose barche di legno con le loro vele che venivano gonfiate dal vento.

Il vento.

Quella era la cosa che preferiva.

Il vento che, col suo soffiare, trasportava il meraviglioso profumo del mare. Il profumo del loro habitat. Loro che erano usciti dall'acqua nell'antichità, loro che avevano ucciso balene e costruito città al loro interno. Ma erano storie. Hidan era un tipico Uomo Acquatico. I capelli color della sabbia, corti e ben pettinati, la pelle abbronzata e sopratutto gli occhi blu. Blu come il mare, come le profondità misteriose del Grande Blu. Avevano gli occhi leggermente più allungati in orizzontale rispetto agli uomini normali, ma erano comunque uomini. Assieme ai Vurkaniani erano gli unici ad avere caratteristiche non umane. Ma loro non avevano la pelle rossiccia e gli occhi rossi. E non erano nemmeno così caldi. Avevano solo gli occhi blu come nessun altro... e delle sfumature azzurre sulla loro pelle abbronzata. Diverse per ognuno. Hidan, ad esempio, aveva una sfumatura azzurra sul braccio destro. La pelle semplicemente era azzurra, come se fosse un tatuaggio. Ma era il segno distintivo che li rendeva Uomini Acquatici.

Ricordava ancora quando, da ragazzino, andava qui, nel porto e si sedeva sulle casse a osservare l'orizzonte. Il mare era il luogo in cui voleva vivere e Aquamar, la sua isola, era il posto migliore.

Un isola di piccole dimensioni, aveva poche città di piccole dimensioni e una capitale. La capitale, con lo stesso nome dell'isola, Aquamar, era una città di enormi dimensioni. Si affacciava sul mare, con le mura bianche che si mischiavano abilmente con gli scogli. Le baliste posizionate sulle mura per difesa. Il Castello decorato con guglie dorate e pietre preziose. Lo stendardo di Aquamar, lo squalo bianco su sfondo blu. Hidan passava molto tempo nel porto. Che Uomo Acquatico era se non stava lì? Ma forse... lo faceva per non stare vicino a suo padre e a suo fratello. Non che li odiasse, anzi tutt'altro. Amava la sua famiglia con ogni fibra del suo corpo.

Vashet, il suo maestro, gli ripeteva sempre che soffriva di complesso di inferiorità.

“Ti senti inferiore, Hidan. Te lo leggo negli occhi.”

Come poteva essere al livello di Godan Naustrarer, suo padre? Condottiero dalla grande forza che guidò Aquamar in guerra e ne uscì vittorioso. O al livello di Kordovar Naustrarer, suo fratello maggiore? Un guerriero formidabile, abile con la spada, con la lancia e con l'arco. Navigatore di incredibile bravura e condottiero abile quanto suo padre. Hidan era il secondogenito, quindi non sarebbe mai salito sul trono. Lo sapeva sin da piccolo, Vashet glielo aveva spiegato. Ma Hidan era felice di ciò. Era felice di non essere importante. Lui non era al livello di suo padre e suo fratello: lui era insignificante. Viveva all'ombra di quei due colossi che erano Godan e Kordovar Naustrarer. Ma ciò non lo rattristiva. Sapeva per certo che non sarebbe stato a quel livello, sapeva fin troppo bene che loro erano perfetti. Lui no. Quello non era complesso di inferiorità, come diceva Vashet. Quella era pura e semplice consapevolezza. Vashet diceva che se avesse smesso di considerarsi una nullità al loro livello sarebbe sicuramente diventato uno dei migliori. Aveva enormi possibilità. Ma era la solita cazzata impostata. Decise di dirigersi al Castello.

 

Godan Naustrarer, Re di Aquamar e Sovrano degli Uomini Acquatici, Protettore della Scogliera e Navigatore del Grande Blu, capitano della “Occhio di Mare”, aveva le braccia aperte, mentre una serva prendeva le sue misure per l'abito nuovo.

Hidan si appoggiò sullo stipite della porta, sorridendo.

-Sei ingrassato.-

-Ah per Dio, modera il tono giovanotto!- sbraitò il re.

Poi sorrise.

-Miseria. Hai ragione, sono proprio ingrassato.- disse poi il re toccandosi la pancia e ridendo.

Godan Naustrarer era un uomo dalla barba grigia e i capelli corti, gli occhi blu con un segno azzurro sulla guancia destra. Era alto e in gioventù aveva avuto un fisico atletico. Ora le braccia erano rimaste muscolose ma il resto si era afflosciato. Rimaneva sempre un uomo di bell'aspetto ma la pace aveva portato alla sedentarizzazione e quest'ultima lo aveva fatto ingrassare.

-Per Dio... anni di guerra fratricida per arrivare alla pace. E quest'ultima porta a questa pancia.- poi rise. Adorava la risata rumorosa di suo padre.

-Vostra Maestà, dobbiamo allargare ancora il vestito.- disse la serva. Era giovane e carina. Hidan la guardò, cercando di sfoderare uno dei suoi migliori sguardi. Lei sorrise e abbassò timidamente la testa. Hidan sapeva di piacere alle ragazze, era un ragazzo di bell'aspetto.

-Ah fallo, fallo.-

-Come hai deciso di vestirti?- chiese Hidan al padre.

-Divisa da ammiraglio, ovvio.-

-Classico.-

-E tu?-

-Farsetto azzurro con sopra una giacca blu.-

-Ah, hai sempre avuto stile sui vestiti.-

Hidan sorrise.

-Sei emozionato?-

Godan tossicchiò in modo nervoso.

-Certo che lo sono. È il matrimonio di mio figlio, miseria. Ah... sembra passato così poco da quando era piccolo.-

Fra tre giorni ci sarebbe stato il matrimonio di suo fratello, Kordovar, con Lady Nalyssa. Una bellezza tipica di Aquamar, dagli occhi blu e dai capelli biondi. Finalmente Kordovar si sposava.

-Il prossimo sarai tu. Mi aspetto che ti trovi una bella ragazza. Magari con un bel culo come questa servetta.- disse il re schiaffeggiando da dietro la serva. Lei emise un gridolino.

Hidan rise. Suo padre faceva sempre l'idiota con lui, fin da piccolino e lo faceva sempre ridere.

-Forza dolcezza, va fuori. Voglio stare solo con mio figlio.-

Lei si allontanò e, passando a fianco di Hidan, gli sfiorò la mano. Aveva la pelle incredibilmente lisca.

Godan lo guardò con uno sguardo piuttosto chiaro. Aveva sempre spinto i suoi figli ad apprezzare le bellezze di Aquamar. Non solo quelle della natura.

E non lo ringrazierò mai abbastanza per questo.

-Voglio che tu sappia... che sono fiero di te. Per come ti comporti, per come affronti il fatto di non essere l'erede. Voglio bene a te tanto quanto ne voglio a Kordovar. Sei intelligente e brillante. Kordovar non è di certo uno studioso. Assieme vi completate. Ciò che lui non è lo sei tu e viceversa.- il tono di suo padre ora era serio.

Hidan sorrise.

-Grazie padre.-

Godan si spostò nella terrazza e guardò Aquamar. Da lì si vedeva tutta la città. Gli edifici bianchi risaltavano davanti al mare.

-Guardala. È bellissima. Aquamar è il luogo in cui voglio vivere per sempre. E fu il luogo in cui i nostri antenati si stanziarono, con l'intento di creare un regno. Non è passato poi tanto da quando quell'acqua così meravigliosamente blu era tinta di sangue.-

Suo padre gli aveva raccontato, da piccolo, della guerra combattuta contro suo fratello per la successione al trono. Astor Naustrarer, suo zio, rifiutava di non essere l'erede al trono, tanto da ribellarsi e iniziare una guerra. Ovviamente vinse suo padre, ma Godan non ne parlava mai. Era fratricidio, nulla di cui parlare alla leggera.

-Ricordo il bene che volevo a tuo zio. Ma ciò non fermo la mia spada quando lo uccisi. Ciò non fermo la mia voce quando diedi l'ordine di bruciare tutta la sua flotta. Vedi... tu non sei come Astor. Ricordatelo sempre.-

Sentirono un suono dietro di loro. Era entrato Kordovar, vestito di un elegante vestito nero, i capelli lunghi e biondi gli occhi blu, la barba ben curata. Il segno azzurro che procedeva verticalmente sul suo collo.

-Fratellino! Che bello vederti qui!- disse allegro Kordovar.

-Padre.- salutò poi cordialmente il re.

Godan lo guardò dall'alto al basso.

-Stai da favola! Ma dov'è Nalyssa? Dov'è quella sirena dei mari?-

Kordovar sorrise.

-Non vuole che io la veda. Posso viaggiare con l'immaginazione però. -

-Porta un vestito blu come il mare, ha i capelli avvolti con un nastro dorato, porta dei guanti bianchi eleganti ed è... bellissima... come sempre.- disse Hidan.

Kordovar lo guardò perplesso.

-L'hai vista?-

-Ricorda chi te l'ha presentata.-

Kordovar sorrise.

-A volte penso che tu abbia già dato con lei, fratellino. Se non sapessi che ti piacciono le contadine.- disse Kordovar ridendo.

Hidan lo colpì ridendo con un pugno leggero sulla spalla. Kordovar aveva spalle possenti il doppio delle sue.

L'aveva vista perché conosceva Nalyssa da quando aveva otto anni. Al porto, seduto sugli scatoloni. Le era passata a fianco e aveva sentito uno stupendo profumo di mare. L'aveva guardata e lei gli aveva fatto la linguaccia. Lui l'aveva rincorsa e avevano fatto la lotta. Poi erano giunte le presentazioni. Quando aveva scoperto che era Hidan Naustrarer era rimasta sconvolta, infondo aveva fatto la lotta col principe. Ma Hidan non si era arrabbiato, aveva otto anni. E poi lei era già molto carina. Nalyssa era la figlia di un Lord di Aquamar, vecchio amico di suo padre. Quando avevano partecipato ad un incontro e Hidan l'aveva vista con Lord Talloram l'aveva guardata con gli occhi spalancati.

Nalyssa era una ragazza con cui si poteva parlare di qualunque cosa. Era brava a tirare con l'arco, amava leggere ma odiava scrivere. Adorava camminare a piedi scalzi sugli scogli di Aquamar. Ma cosa più importante, sapeva cantare. E cantava in un modo tale da far sembrare il mare di Aquamar una pozza di fango. Aveva cantato per lui al Castello, quando suo padre aveva incontrato il re. Aveva una voce dolce e melodiosa. A quel tempo aveva undici anni (scoprì che era una Lady dopo ben due anni dall'averla conosciuta, teneva ben nascoste le sue origini) ed era un giovane pronto a sperimentare nuove sensazioni. Quella canzone così meravigliosamente cantata lo spinse a baciarla. Le sue labbra sapevano di miele. Lei si era allontanata e lo aveva guardato male. Poi gli aveva dato un bacio a stampo: Hidan aveva sorriso come un ebete e non aveva più parlato. Per i quattro anni successivi si erano baciati molte volte. Più che altro per esercizio. Lui forse l'aveva veramente amata. Ma lei cambiava ragazzo ogni mese. Sempre un baronetto diverso, un lord, un figlio di mercante. Ma Hidan sapeva di avere le sue labbra al miele sempre per lui. E sapeva, nel profondo del suo cuore, che anche se lei forse non lo amava, anche se lei cambiava sempre ragazzo e non si metteva mai con lui, che aveva un posto fisso nel suo cuore. E appena la vedeva andarsene sotto il braccio di un nuovo ragazzo sorrideva, perché sapeva che loro non avrebbero mai avuto quell'intimità, quell'affetto che era riservata solo a lui. Quando arrivarono ai vent'anni le presentò suo fratello. Ovviamente già lo conosceva.

E la commise il suo più grande errore.

Nalyssa si era veramente innamorata di Kordovar e Hidan pensò che fosse meglio smetterla con i baci. Kordovar quando parlava di lei sembrava un bambino.

Assomigliava a me quando avevo otto anni e l'avevo conosciuta nel porto.

Quando l'aveva baciata aveva parlato del meraviglioso sapore delle sue labbra.

Il sapore di miele, dolce come non mai, che avevo provato nella sua camera.

Quando parlava del suo profumo i suoi occhi vagavano lontano.

Il profumo del mare, così fresco e refrigerante. Così diverso da quello della terra. Io l'avevo sentito prima.

Ma lei amava Kordovar e aveva tutte le ragioni per farlo. Kordovar era sempre stato migliore di Hidan.

Nalyssa considerava Hidan il suo migliore amico e questo gli bastava.

Godan li guardò sorridendo.

-Guarda i miei ragazzi. Più vi guardo... e più rimpiango i momenti con Astor.-

Kordovar posò la sua possente mano destra sulla spalla sinistra di Godan.

-Non pensare al triste passato, padre. Pensa piuttosto al gioioso futuro!- Hidan sorrise e mise anch'esso la mano sull'altra spalla di suo padre.

-Abbiamo un matrimonio da organizzare. E abbiamo bisogno dei commenti sarcastici sulle servette.- disse Hidan.

Godan sorrise con gli occhi arrossati.

-Ah... se vostra madre potesse vedervi. Sono fiero di entrambi.-

 

Nalyssa si convinse di incontrare lo stesso Kordovar anche se cercò di guardarlo il meno possibile e di parlargli ancora meno. Kordovar la guardava come se fosse un fiore appena sbocciato. Crescendo Nalyssa era diventata una bellezza incantevole. Hidan voleva baciarla, sentire il sapore del miele sulle sue labbra. Ma non poteva. Si avvicinò a lei e le baciò delicatamente la mano.

-Mia signora.-

-Principe.- disse lei sorridendo. Quel sorriso che riservava solo per lui.

-La vedo bene quest'oggi.-

-Per bene cosa intende?-

-Una vista tale da rendere il meraviglioso sole di oggi cupo al confronto.-

Lei rise.

Ha ancora quella risata splendida.

-Il solito romanticone, eh?-

-Il lupo perde il pelo ma non il vizio.-

Lei lo guardò attentamente. Quando lo guardava il suo volto faceva risaltare la sua bellezza. La pelle lisca e priva di qual si voglia imperfezione.

-Se per “perdere il pelo” intendi diventare più alto, far crescere un elegante pizzetto, tagliarsi i capelli color sabbia corti e diventare dannatamente affascinante allora... ben venga perdere il pelo.-

Hidan sorrise e quasi si avvicinò per baciarla. Poi ripensò a dov'era. A quanti anni erano passati.

Ora è di Kordovar. Non è più mia.

Ma non lo è mai stata.

Kordovar fremeva dall'eccitazione. Mancavano ancora un po' di giorni al matrimonio ma per lui sembrava mancassero pochi secondi. Gli sembrava quasi di rivivere la prima volta che andarono assieme, non ascoltando le parole di loro padre, negli Scogli di Shilluvar. Loro padre gli aveva raccontato diverse volte di ciò che si nascondeva là. Esseri mostruosi, assetati di sangue umano. Kordovar l'aveva convinto ad andarci.

La voglia d'avventura dei bambini.

Andarono di notte, facendo il meno rumore possibile. Appena erano arrivati negli Scogli di Shilluvar, Hidan aveva provato un brivido lungo la schiena. Erano illuminati dai raggi spettrali della luna e le onde si infrangevano su di essi con una forza quasi brutale.

Il mare difficilmente è dolce.

“Avviciniamoci, oppure lanciamo una pietra. Ci sarà un modo per farli venir fuori, no?” aveva chiesto Kordovar.

“Sei sicuro di volerlo fare, fratellone? Ho paura.”

“Dai femminuccia! Ci sono qua io.”

Hidan pensò sorridendo che non avevano nessuna arma, avevano a malapena dieci anni.

L'indomito coraggio di Kordovar.

Kordovar aveva lanciato una pietra e si era messo ad urlare.

Era andato avanti così per diversi minuti. Proprio quando Hidan si era convinto di aver sprecato una bella dormita la bestia apparve.

Accompagnata dagli schizzi d'acqua e dall'urlo spaventato di Hidan.

Era un Litumano.

Il mostro aveva una forma umanoide, al posto della pelle delle piccole scaglie tutte uguali tra di loro. Il volto era nascosto dall'ombra ma i raggi della luna ne fecero vedere a Hidan una parte. Privo di naso, se non due minuscole fessure, le orecchie a forma di pinne, una grande pinna che passava per la sua testa priva di capelli e che continuava per tutta la schiena. Gli occhi di un blu talmente intenso da brillare al buio, i denti talmente affilati da provocare dolore solo a guardarli. Appena atterrato sulla scogliera il Litumano aveva colpito con il braccio Kordovar, facendolo cadere. Hidan aveva disperatamente provato di aiutare il fratello ma si ritrovò anche lui a terra, steso da un calcio del mostro. Il mostro poi aveva attaccato Kordovar, afferrandolo con una stretta spietata per il collo. Hidan si era rialzato a fatica e aveva corso, impugnando una pietra acuminata, contro il Litumano. Tenendola con entrambe le mani l'aveva sbattuta sulla schiena del mostro. La bestia aveva gettato a terra Kordovar e si era lanciato contro Hidan. Il mostro marino aveva preso per la maglietta Hidan e l'aveva sollevato. Poi il Litumano aveva spalancato la bocca e aveva tentato di azzannare la faccia del principe. Hidan ricordava in modo nebuloso ciò che successe poi. Si paralizzò e rimase a guardare fisso il mostro. Fisso in quegli occhi blu come le profondità del mare. Il Litumano poi... aveva serrato le fauci e aveva ricambiato con altrettanta intensità lo sguardo di Hidan. Per un attimo era come se i due stessero parlando in una lingua udibile solo a loro e che solo loro conoscevano. Poi, d'un tratto, il Litumano aveva lasciato Hidan e si era rituffato negli abissi.

Hidan scosse la testa allontanando quel ricordo.

Perché sto pensando a questo?

Nalyssa lo stava guardando con un sorriso sarcastico.

-Perché sorridi?-

-Perché sei rimasto esattamente uguale a quando eri giovane. Sguardo perso nel vuoto e attimi infiniti di silenzio.-

Hidan si sentì arrossire.

-Vorresti dire che sono invecchiato per caso?-

-Be' non sei più un bambino.-

-E neanche tu non sei più una bambina.-

-Si nota così tanto?- disse Nalyssa con una finta faccia triste.

Hidan le guardò palesemente il seno.

-Crescere ha i suoi pregi.- disse sorridendo.

Si ritrovò anche lei a ridere suo malgrado, poi lo spinse scherzosamente.

-Guardali i due amichetti che si spingono scherzosamente!- disse ridendo Kordovar.

-Tuo fratellino è un gran mascalzone lo sai questo? Allunga gli occhi!- disse Nalyssa divertita.

-Ma davvero? E dove esattamente?- disse Kordovar con un volto ridicolmente accigliato.

Hidan fece spallucce.

-Secondo te?-

Kordovar guardò la scollatura di Nalyssa.

-Oh... be'... che dire... è necessario dormire coi cuscini oggigiorno?-

Hidan rise in modo genuino e Nalyssa colpì con una sberla la spalla di Kordovar.

-Sei un idiota!-

-Sono l'idiota che ti ama più di ogni altra cosa al mondo.- disse l'erede al trono baciandola. Hidan prima venne scosso da un moto di gelosia, poi sorrise. Era giusto così, era così che doveva andare.

Inutile provare rabbia o gelosia. Come si può provare rabbia per una cosa che non ti appartiene. Come si può provare gelosia per una cosa che non ti è mai appartenuta nemmeno per un secondo?

Smisero di baciarsi ma Kordovar la tenne nel suo abbraccio. Hidan osservò la curva perfetta della sua schiena.

Placa i tuoi istinti, principe del nulla.

Per un attimo Hidan ricordò le giornate passate assieme a loro, sua fratello e quella che allora non era ancora la sua futura moglie. Giornate al mercato, giornate sul tetto del castello a guardare il mare, giornate nella spiaggia a tenere i piedi al caldo nella sabbia. Giornate lontane ma ancora presenti nel suo cuore. Nalyssa allungò la mano verso di lui.

-Un abbraccio di gruppo come ai vecchi tempi?-

Io vorrei abbracciare solo te, possibilmente distesi in un comodo letto, entrambi nudi.

Hidan sorrise.

-Come ai vecchi tempi.-

Gli abbracciò. Da una parte i duri muscoli di Kordovar, dall'altra il corpo snello e morbido di Nalyssa.

-Come ai vecchi tempi.- ripeté.

-è bello avervi qui. Ho bisogno di voi in questa dura vita, di entrambi. Siete la cosa migliore che mi sia mai capitata.- disse Kordovar e nella sua voce Hidan sentì un velo d'emozione.

Nalyssa aveva gli occhi leggermente lucidi e un dolce sorriso.

-Che questa pace possa durare.- disse Kordovar.

Hidan annuì.

-Che questa pace possa durare.- ripeté.

 

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Capitolo 19
*** Nuovi alleati ***


Capitolo 18

Nuovi alleati

 

Nodamor volava in sella al suo Work. Il vento lo schiaffeggiava al viso.

Non aveva paura del vento, non aveva paura di scendere in picchiata con il suo Work. Non provava alcun brivido di paura quando sfiorava il terreno e tornava su all'ultimo secondo. Ma non aveva tempo per simile gagliardie. Sopratutto perché Athamor non glielo avrebbe permesso. Dio della Sapienza, fare tali cose era decisamente stupido.

Athamor serviva anche a questo. Oltre a essere il più saggio tra tutti loro. Colui che, nell'alto della sua sapienza, avrebbe sempre optato per opzione più vantaggiosa.

Ma forse...

Nodamor scosse la testa. Doveva essere lucido.

Lucido, sì, lucido.

Sgomberare la mente.

Doveva farlo perché vedeva una macchia al di sotto di sé, sotto il suo Work, sotto il suo esercito. Una macchia composta da soldati Inquisitori. Ad occhio e croce saranno stati...

-Diecimila- disse Nodamor.

-Forse quindicimila- disse Athamor. Aveva ragione, ovviamente. Dio della Sapienza.

-Perché stanno marciando?- chiese Marxal.

-Dev'essere giunta notizia della nostra discesa dalla Città Volante.- constatò Nodamor.

-Impossibile, Dio del Coraggio. Le notizie volano, ma non così in fretta.-

-Siamo in volo da più di tre ore, ha avuto tutto il tempo di arrivare alle orecchie del Grande Inquisitore. Un esercito volante si nota, temo.-

-Allora facciamo sentir loro la nostra presenza!- disse esaltato Marxal.

-Possiamo evitare uno scontro.- disse Athamor.

-Ma è ciò che vogliono. Offriamo loro un grande scontro da cantare nelle locande.-

-Ma siamo noi che dovremo raccontarla. Non loro.- disse Nodamor sorridendo.

-Allora non lasciamone nemmeno uno!-

Marxal era giovane (per i standard Celestiali) e molto intraprendente. Erano famose nella Città Volante le sue avventure con varie dee. Aveva pure adocchiato Allyma, anni addietro.

Sgombera la mente

Non doveva pensare a questo. Lo avrebbe distratto e si sarebbe ritrovato con una lancia sul collo. Evitabile.

-Ho deciso.- disse Nodamor.

-Allora seguiremo i tuoi ordini, Comandante.- disse Athamor.

-Attacchiamoli. Colpiamoli dall'alto. Non lasciamone nemmeno uno.-

Impugnò la sua lancia a due lame.

-Siamo in guerra, non c'è tempo per evitare le battaglie. Uomini, all'attacco!-

-All'attacco!!!- ripeté urlando Marxal.

I Work e i carri trainati da essi volarono con grande sincronia. Il battito d'ali degli uccelli era sincronizzato alla perfezione, anche se alcuni non si vedevano. I Discepoli, coloro che continuarono a credere nei Celestiali e che componevano il grosso dell'esercito, impugnavano le spade, mentre Nodamor e Athamor impugnavano le lance a doppia lama. Marxal possedeva un arco d'oro, ornato con decorazioni argentate.

Marxal era giovane ma abile con quell'arma. Dietro di lui stavano gli arcieri, tutti ornati con le vesti verdi. L'aria sibilò nelle orecchie di Nodamor, come una lama. Poi sentì come un tuono. Era il suono di centinaia di migliaia di Work che si abbattevano dall'alto su dei soldati Noveriani. La sua lancia si abbatté con naturalezza, recidendo un braccio. Poi la affondò sulla gola di un soldato, poi tagliò una testa. Il sangue sporcava la lama. Molto velocemente. I Discepoli facevano lo stesso, un enorme massa di carne, piume, ferro e sangue. Molto, molto sangue. Ma non il loro. Solo quello dell'Inquisizione. Il porpora dei loro mantelli svolazzava nell'aria. Mantelli strappati dai becchi duri come la roccia dei Work. Nodamor urlò un ordine. I Discepoli tornarono in volo per abbattersi nel fianco destro. Altri soldati si raggrupparono al centro, continuando la terribile carneficina. Guardò Athamor. Non era un guerriero, ma centinaia d'anni di vita gli avevano insegnato come ci si comportava in un campo di battaglia. Tutti loro l'avevano imparato. Se c'era una cosa che i Celestiali avevano provato più volte sulla loro pelle, quella era la guerra. Il dolore e il sangue. E il terrore della sconfitta. Nodamor ricordava lo sguardo di Athamor quando la Città Volante si sollevò da terra. I suoi occhi erano vuoti. Come un pozzo nel deserto. Nodamor gli aveva posato una mano sulla spalla.

“Non tutto è perduto, vecchio mio. Tu sei vivo ad esempio.-

Athamor aveva scosso la testa,

-Ma a quale prezzo? I miei amici sono morti. La città... anzi un pezzo di essa è costretta a volare e a noi non sarà più permesso toccare la terra che governavamo.-

Nodamor aveva posato lo sguardo sulla terra. Era così in basso...

-è il prezzo della pace.- aveva detto infine.

Parò un affondo di lancia e rispose con un affondo, che trapassò il cuore di un soldato, strappandogli la vita con velocità.

Gli mancava. Tutto ciò gli mancava. Ma era nella sua natura. Dio del Coraggio. E in che altro posto, se non nel vivo della battaglia, si dimostrava il coraggio di un uomo? Sapeva che a guidare quella guerra sarebbe stato qualcun altro. Shalazar il Guerrafondaio. Dio della Guerra. Condottiero durante la guerra civile assieme a Nodamor. E anche durante la Guerra Santa.

Ma anche lui era morto.

La... “Guerra Santa”... gli aveva portato via molti amici.

Allyma.

Sgombera la mente.

Ricordava i suoi occhi verdi come l'erba.

Sgombera la mente, Dio del Coraggio.

Ricordava le sue labbra carnose e morbide, calde, saporite.

Ricordava le notti passate in cima alla torre di Konderham, a osservare le stelle, a parlare di un futuro assieme. Ricordava il suo meraviglioso sorriso.

Ma anche lei... anche lei... era morta.

Sgombera la mente!

La furia prese il sopravvento. Colpì con la sua lancia, squartando un soldato, le interiora che superavano l'armatura. Una freccia lo sfiorò, colpendo all'occhio un Inquisitore.

-Ti sei distratto, Dio del Coraggio!- disse Marxal.

Nodamor lo guardò.

Marxal rise divertito.

-Occhi aperti, Nodamor. Guarda bene! I miei arcieri oscureranno il sole! Le mie frecce pungeranno come mille api!-

I suoi arcieri e lui compreso scoccarono all'unisono. Le frecce si abbatterono come mille punture, come sassi durante una frana.

Marxal. Giovane ma coraggioso. Dio degli Arcieri, il più abile tra i Celestiali con l'arco. Presuntuoso e altezzoso. Pieno di sé. Sempre con una Dea diversa, alla ricerca del piacere.

Nodamor guardò quegli occhi vispi e allegri, anche durante quella carneficina. Ricordava che Allyma ne era stata attratta. Che lo aveva pure baciato. Forse per gioco, forse per fare contento un giovane Dio. Ricordava l'invidia e l'odio che aveva provato. Ricordava i piani che aveva fatto per ucciderlo.

Per uccidere un giovane dio nel pieno delle forze e non temperato da centinaia d'anni di guerre. Un giovane sbruffone, ma coraggioso. Forse più di lui.

Il Dio del Coraggio che moriva d'invidia. Allyma lo aveva preso in giro per questo. Ma lui era rimasto serio. Lei era sua e di nessun altro.

“Ah ecco che le emozioni affliggono il Dio del Coraggio!” lo aveva canzonato ridendo.

“Non dovresti comportarti in questo modo.” aveva ribattuto Nodamor serio.

“Ti devo ricordare che non stiamo assieme? Come esco con te e ti bacio posso farlo anche con altri Dei non trovi?” nel volto di Allyma stava lentamente affiorando un sorriso divertito.

“Non è questo... è che... non so come...” cercò di spiegare Nodamor.

“Cosa?”

“è... non so... no niente, lascia stare.”

“ah!” aveva esclamato Allyma e poi aveva riso di gusto.

“Gelosia! Sei geloso! Tra tutti gli Dei che potevano essere gelosi da te non me lo sarei mai aspettato.” disse. Il sorriso non voleva abbandonare le sue labbra.

“No forse era da me che dovevi aspettartelo. Ci vuole coraggio per dirtelo in faccia.”

Il suo viso si era addolcito e... era così bella. Così perfetta.

“Vieni qui.” disse prendendogli il braccio e costringendolo a baciarla. Non fu difficile costringerlo, si lanciò subito su di lei.

Sgombera la mente, Noda. Non è il momento di ripensare a lei. Alla curva del suo sorriso. Ai suoi occhi verdi come l'erba. Ai giorni passati assieme al gruppo di addestramento. Quando Donthamar era ancora tuo amico. Quando te e Attuk vi divertivate tanto a fare scherzi di pessimo gusto alle matricole del campo di addestramento. Quando andavi per mare con Ferghos e lui se la rideva di gusto vedendo che diventavi verde per i movimenti che faceva la nave sballottata tra le onde. Quando te e Allyma, per dimostrarvi il vostro affetto, vi tenevate per mano anche per ore e nessuno dei due voleva mollare la stretta. Quando passavi giornate di pace assieme al tuo gruppo. Prima della Guerra Civile, prima della Guerra Santa. Prima che li perdessi tutti quanti.

Quando Allyma era morta, durante la Guerra Santa, trafitta da una freccia... ricordava di aver guardato Marxal con disprezzo. Una freccia.

Non era la sua ovviamente, ma era una freccia.

Dio degli Arcieri.

Era stupido incolparlo, ma era morta la donna che amava.

Ammetteva di averlo fatto. Lo aveva accusato, aveva urlato contro di lui con tutta la forza che aveva in corpo, tenendo stretto tra le braccia il corpo senza vita di Allyma.

“Guarda! Guarda cos'hai fatto! Non hai potuto fare niente, vero? Eh?! Dimmi che almeno hai provato a impedire questo, maledetto! Dimmelo! Dimmi che non è colpa tua, Dio degli Arcieri! Voglio che tu la guardi, ora, morta, con una freccia impiantata nel suo cuore! Voglio che la guardi e ammetti che è stata tutta colpa tua! GUARDALA!”

Ma ricordava anche gli occhi rossi di Marxal, e le lacrime che solcarono con prepotenza il suo viso. E improvvisamente le sue urla erano diventate vuote. Prive di ogni tipo di significato. Anche Marxal l'aveva amata, con tutta la purezza del suo cuore.

E allora non fece altro che abbracciarlo. Senza dire una parola.

Sgombera la mente!

Quando la sua lancia trafisse il cranio di un soldato, spaccando l'osso e colpendo le cervella, capì che lo scontro era finito.

-Si ritirano! La vittoria è nostra!-

Sollevò la lancia, ridendo!

-Una grande vittoria per i Celestiali! Ora anche la terra è testimone del nostro ritorno!-

 

La tempesta inizio velocemente.

Prima una lieve goccia scese dal cielo, come il primo suono d'una dolce melodia. La seconda seguì la prima con fare invidioso, voleva essere lei la più importante. La terza cadde facendo più rumore, per sovrastare le altre.

Tutte quelle dopo caddero assieme, vogliose di fare la loro parte in quel terrificante frastuono. I tuoni esplosero come ruggiti del cielo. I lampi illuminarono il cielo oscurato, ricordando che la sopra c'era ancora il sole.

Forse.

Una tempesta senza precedenti fece disperdere l'esercito.

Lavò via il sangue.

E nascose le lacrime dovute ai ricordi di Nodamor.

I Work volavano impauriti, con le piume bagnata e sballottati senza sosta dal vento.

-Athamor! Marxal! Statemi vicini! Non dobbiamo perderci!-

Ma a rispondere alla chiamata fu solo Athamor.

-Dov'è Marxal? Dobbiamo stare vicini!-

-Non lo so! Ma questo non è il momento migliore per pensarci! Dobbiamo trovare un rifugio! L'esercito è sparso ormai!- urlò Athamor per sovrastare i tuoni.

Nodamor annuì e fece cenno di seguirlo. Con Athamor, altri Discepoli seguirono il loro comandante.

Nelle Piane di Confine, luogo in cui si trovavano, era difficile trovare rifugio. Ma una cosa prese l'attenzione di Nodamor il Valoroso. Una misteriosa crepa sul terreno. Molto ampia. I soldati potevano passarci. Si diresse verso la grande crepa, mentre il vento turbinava senza sosta, come se il Supremo stesso stesse colpendo con un suo dito la terra.

Ci odi così tanto, vecchio di lassù?

Poi la pioggia offuscò la sua vista.

 

Raggiunse la crepa per miracolo. Guidato dal suo istinto di sopravvivenza. Era strano. L'enorme canyon, perché di canyon si trattava, raggiungeva una notevole profondità, ma poi... una parete era perforata, come per creare un tunnel sotterraneo. Lui e le sue truppe, con Athamor al seguito, vi entrarono.

Era buio, ma illuminato da misteriosi Graffiti. Rappresentavano uomini alti e vestiti di colori sgargianti. Armati di enormi lance. A doppia lama.

Nodamor toccò il muro di pietra. Aveva il fiato pesante. L'acqua stava lentamente allagando quella zona ma davanti a lui stava un portone, più simile ad una fortificazione di legno. Con incisi caratteri Celestiali.

Ma che diavolo...

Prese la sua lancia e colpì con forza il portone, aprendolo.

-Che succede? Chi è? Qui si allaga tutto!- sentì dire da una voce anziana.

I pochi soldati al suo seguito entrarono e richiusero con forza il portone.

Nodamor osservò ciò che aveva davanti. Dietro al vecchio col bastone e la barba lunga e bianca stava un grande atrio, con altre vie al seguito. C'erano donne e bambini. Belle donne, seppur segregate sottoterra. E c'erano uomini. Uomini armati. Molti. Più di quanto Nodamor pensava.

Nodamor li osservo oltre i suoi capelli bagnati, che ricadevano sul suo viso.

-Impossibile...- disse il vecchio.

-Che luogo è questo?- chiese Nodamor.

-Noi siamo... i fedeli dei Celestiali. Per tutti i cieli... di Voi! Noi crediamo in voi!-

Tutti si avvicinarono e si inchinarono, prostrandosi di fronte a Nodamor e Athamor.

-Non credo a ciò che vedono i miei occhi.- disse Athamor sorpreso.

-Credici, perché non mentono.-

Erano ancora inchinati.

-So a cosa stai pensando, Nodamor. Ti conosco da tre intere vite. Guarda bene. Sii Sapiente. Oggettivamente non possono esserci d'aiuto. Per quanto tutto ciò sia sorprendente.-

Ecco. Ecco cosa rendeva dubbioso Nodamor.

-è questo il tuo problema, vecchio amico. L'Oggettività. La tua Sapienza si basa su questo. Oggettivamente non possono aiutarci. Non sono ben armati e nemmeno ben addestrarti.

Ma va oltre l'oggettività.

Io qui, davanti a me, prostrati ai miei piedi, vedo uno stimolo. Uno stimolo per i Celestiali, per i nostri Discepoli. Una nuova forza. Un nuovo inizio. Io vedo un motivo di timore per i miei avversari. Altri fedeli, qui, sulla loro terra.

Io, Athamor il Sapiente, vedo nuovi alleati.-

 

 

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Capitolo 20
*** Il ricordo del padre ***


Capitolo 19

Il ricordo del padre

 

La tempeste li colse alla sprovvista. Il rombo dei tuoni arrivò dal Nord. I fulmini caddero assieme alla pioggia. Il vento soffiava con una furia incredibile. Turbinava, come quando un bambino immerge la mano nell'acqua e la fa girare. Per giocare.

Forse anche il Supremo lo stava facendo. Stava giocando. Kalad e Ayliss si erano allontanati dalla Città Volante il più in fretta possibile. Avevano quasi corso. Erano discesi da là sopra centomila Work dai più disparati colori. Tre Celestiali, tra cui il Dio del Coraggio. I Celestiali erano entrati in guerra.

Chi non è in guerra, ora come ora?

Il vento fece cadere Ayliss e per poco non cadde pure Kalad.

In piedi, in piedi.

La sollevò e le ordinò di muoversi. Dovevano trovare uno spiazzo, una grotta, un qualunque cosa lo potesse aiutare! Dovevano stare al coperto, non sarebbero durati un secondo di più sotto quella brutale tempesta. Corsero sopra un laghetto dall'acqua bassa. Il vento la spostava con forza incredibile, facendola ondeggiare contro di loro. Un fulmine colpì un albero. Un colpo preciso e pericoloso. Un flash improvviso e metà albero cadde al suolo. Kalad spinse Ayliss. L'albero si abbatté al suolo con un suono tremendo. Simile alle ossa che si spezzano.

-è finita, Kalad!- urlò Ayliss.

-Non perdere le speranze, non ora! Non puoi fare qualcosa? Fermare la pioggia o il vento?-

-Non lo so, non ci riesco!- disse Ayliss con la voce rotta da un gemito di frustrazione.

Kalad si guardò attorno, ma vedere era impossibile con quella pioggia talmente forte da sembrare un muro d'acqua. Era come se una cascata si stesse abbattendo su di loro. Poi vide qualcosa, oltre l'albero colpito dal fulmine.

-Là! Laggiù! C'è una grotta. Prendi la mia mano!-

Quando sentì la piccola mano di Ayliss corse dentro la grotta.

Quando Ayliss toccò la mano di Kalad capì di essere al sicuro.

Corsero dentro la grotta. Era profonda.

-Forza dentro!- disse Kalad spingendola all'interno. Ayliss si accasciò a terra. Kalad appoggiò la schiena alla parete e si lasciò andare a terra.

Aveva il fiatone, i capelli bagnati appiccicati alla fronte.

-Ti stanno crescendo i capelli.- disse lei senza fiato.

Kalad fece un sorriso sfinito.

-Già. Lo fanno spesso.-

-Resta così. Mi piaci così.-

Kalad sorrise.

-E io che ho passato anni della mia vita a tagliarli.-

-Anni sprecati.-

-Parole sante.-

Kalad osservò fuori dalla grotta. Il vento continuava a soffiare con furia.

-è tuo padre questo, lo sai vero? È il Supremo che ci avverte che non gli piace ciò che stiamo facendo.-

-Non può essere lui.- disse Ayliss seria.

-Fidati di me, piccola.-

-Mio padre non farebbe questo.-

-Dici che non lo farebbe... perché le tempeste ammazzano le persone? Perché uccidono? Perché a volte distruggono intere città?- Kalad rise. Una risata amara. -Tutti uccidono, mia signora. Tutti, anche l'uomo più nobile e buono, anche il ladruncolo senza forza di alzarsi in piedi, anche il maggiordomo dal volto sincero. Nessuno è escluso. Uccidere... è una cosa che può fare chiunque. E che chiunque farà.-

-Non è vero! Basta dirlo! Kalad, smettila! Perché continui a dire che tutti uccidono? Non tutti sono come te, maledizione!- urlò Ayliss in preda all'ira.

-Di questi tempi se vuoi vivere devi uccidere. Non tutti sono buoni come te. Se qualcuno ti vedesse ti ammazzerebbe se necessario. Non prima di averti montato come un cavallo!-

Cosa che faresti anche tu.

Zitto!

È la verità.

-Allora io cambierò le cose.-

-Ah, non puoi. Puoi avere tutto il potere di questo mondo ma non ce la farai. Non c'è riuscito tuo padre, nell'alto del suo potere.-

Ayliss si alzò.

-Ma è sbagliato vuoi capirlo? È sbagliato uccidere! Solo perché lo fanno gli altri non significa che anche tu debba farlo! Vai contro corrente. Fa ciò che gli altri non fanno! Ciò ti distinguerà.-

-Non me ne importa niente di distinguermi.-

-Kalad come devo dirtelo? Sei un testardo, cocciuto e arrogante! Almeno tu devi essere diverso! Almeno uno tra tutti deve fare la differenza. Deve far capire che tutto questo è sbagliato! Ti sei sentito fiero ad aver ucciso quei tre ragazzi? Ti sei sentito fiero ad uccidere un tuo compagno?-

Kalad si alzò, sbattendo il pungo contro la parete.

-Maledizione! Non giudicarmi! Non provarci nemmeno, non azzardarti! Io sto facendo tutto questo... sto uccidendo i miei stessi compagni, sto scappando da tutto il Grande Continente... solo per te! Lo faccio per te, vuoi capirlo! Quindi taci! Taci! E almeno, se non è chiedere troppo, dammi un po' di gratitudine!!!-

Rimasero zitti. L'unico suono che si udiva era la pioggia che colpiva la terra e i tuoni che ruggivano nel cielo.

Ayliss lo guardò, gli occhi rossi per le lacrime.

-Mi perdoni... mia signora. Non avrei dovuto.- disse Kalad agitato.

Ayliss si avvicinò e lo abbracciò.

-No... no perdonami tu. Come posso io decidere cosa è giusto e cosa non lo è?-

-Qualcuno deve pur farlo.-

-Ma è difficile, troppo.-

-è a questo che serve un Dio. O una... Messia. A indirizzare i popoli verso la retta via. Sta a loro scoprire come percorrerla... credo.

Perché ci arriva un uomo comune... e non io, che sono la figlia di Dio? Pensò Ayliss.

-Perdonami, Kalad. Tu mi stai difendendo. Tu stai affrontando tutto e tutti per proteggermi. Sei la persona migliore che io conosca. E non voglio perderti per nulla al mondo.-

-Non mi perderai. Così come io non perderò te.-

Si abbracciarono, mentre fuori dilagava la distruzione.

 

-Cosa ricordi... di tuo padre... del Supremo?- chiese Kalad.

Aveva Ayliss tra le sue braccia. Una situazione analoga a giorni prima, quando era scappato dall'accampamento con Ayliss.

-Cosa ricordo?-

-Non ricordi nulla? Almeno... che so... una sensazione. Un profumo...-

Ayliss ci pensò un momento.

-Ricordo solo... una luce forte come... cento soli che esplodono. E una voce. Calda e forte come un tuono.-

-Ricordi che ti ha detto?-

-No... non ricordo.-

Kalad sorrise, accarezzandole i capelli neri come la notte.

-E di tuo padre che mi dici?- chiese lei curiosa.

-Non era un Dio, questo è ovvio.-

Ayliss sorrise.

-Ma... era la persona migliore che abbia mai conosciuto. Un uomo buono e giusto. Severo quando serviva. Dalla battuta facile, sempre pronto ad aiutare gli altri. Aveva le braccia forti. Spesso mi prendeva in braccio e faceva finta di farmi volare.-

Era un codardo! Sibilò la voce di Atras nella sua testa.

-Era un guerriero dell'Inquisizione e mi raccontava sempre di quanto onore c'era nel farne parte.-

Codardo!

-Diceva che uccidere era la cosa più difficile di questo mondo ma che a volte era necessario. Per proteggere coloro che si ama.-

Cordardo!

-Mi ha insegnato tutto quello che so. E mi ha fatto diventare l'uomo che sono ora.-

-Era sicuramente un brav'uomo.-

-Oh lo era. Era il migliore.-

Codardo!

-Era il più saggio. Amava mia madre con tutto se stesso, con tutta la sua anima. Con tutto il suo cuore. Quando si guardavano sentivo l'amore tra di loro.- Kalad rise. -Era quasi tangibile.-

-è morto di vecchiaia?-

-Di malattia. Spero non abbia sofferto troppo. Almeno è morto con la sua famiglia. Ha detto... solo una cosa poco prima di morire.-

-Cosa, se posso sapere?-

Kalad rimase zitto per un lungo istante.

-Mi chiese scusa... per tutto...-

Codardo!

 

 

 

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Capitolo 21
*** Un continente in tumulto ***


Capitolo 20

Un Continente in tumulto

 

Quando sentì il primo tuono esplodere nel cielo come il ruggito di un drago, Kanda capì di dover correre. La pioggia lo raggiunse praticamente subito. Erano gocce pesanti. Tante secchiate d'acqua. La sua tunica con cappuccio non aiutava tanto. Il vento lo colpiva con forza, facendogli cadere il cappuccio. Era costretto a tenerlo fermo, mentre cercava una via. Un fulmine colpì poco distante da lui e sentì il suo cuore battere forte il doppio. Il vento lo spinse da dietro e poi da davanti, poi ancora dal lato. Cadde a terra, sopra una pozzanghera.

Maledizione, maledizione!

-Ehi tu! Là fuori!- sentì chiamare.

Guardo verso la voce. C'era un uomo con il suo mulo, rifugiati dentro una grotta.

-Vieni qui, presto!-

Kanda corse verso l'uomo. Appena entrò nella grotta non sentì più la pioggia colpirlo. Era come essersi liberati di un peso enorme.

-Brutta giornata per passeggiare, straniero.- disse l'uomo. Era vecchio e aveva la barba bianca e riccia. Portava un cappello da marinaio. Alla bocca aveva una pipa di ottima fattura.

-Pessima giornata.- precisò Kanda.

-Dov'eri diretto?-

-Verso ovest... ero... maledettamente vicino alla mia meta. Questa pausa me la farà perdere di nuovo.-

Il vecchio rise.

-Se è una città non si sposterà di certo.-

-Non è una città. È una persona... molto importante.-

Il vecchio annuì una volta.

-Perché non ti togli il cappuccio?-

-Preferisco stare coperto.-

Non voglio che tu mi veda.

Se il vecchio avesse scoperto che era il fuggitivo Q'uoin l'avrebbe colpito e portato al cospetto del Grande Inquisitore pur di avere i soldi della taglia.

-Non hai nulla da nascondere. Vedo i tuoi capelli verdi da qui. Ti escono dal cappuccio.-

Kanda sospirò.

Idiota.

Kanda si tolse il cappuccio.

-Un Q'uoin eh? Sei il fuggitivo?-

Kanda non rispose. Si limitò a toccare Shamalash.

-Lo prendo come un sì. Tranquillo... non mi importa niente dei soldi. cinquecento pezzi d'oro sono tantissimi... oro... ma inutili, di questi tempi.-

Kanda non rispose.

-Il Grande Continente è in tumulto. Il sangue scorre, l'acqua si tinge di rosso. I bambini muoiono, le donne vengono stuprate. Due giorni fa c'è stata un incursione Nord a Noveria. Mille nordici hanno attaccato una città. Un mio amico ha detto che sembravano delle bestie. Poi i Noveriani hanno attaccato una fortezza Nord. Sterminando tutti i suoi abitanti. Il Lord all'interno è stato impiccato fuori dalle mura.-

-è la guerra.- disse cupo Kanda.

-Appunto... è la guerra. Che me ne faccio di cento pezzi d'oro... quando fuori c'è la morte?-

-Questo è vero. Sai altro? Altre notizie?-

-Sono un contadino, so tutto quello che succede in giro. Il Nord e Vurkan si sono alleati. Roba da non credere. Non esistono due popoli più diversi. Ma se vieni colpito dal ghiaccio e dal fuoco... non hai scampo. Certe voci dicono che il Grande Inquisitore abbia fatto giustiziare otto soldati per la loro condotta disdicevole. Ha fatto bruciare un intero foresta. Tutto per trovarla.-

Kanda rimase stupito per un secondo. Sa della ragazza?

A quanto pare il Grande Inquisitore ha deciso di informare il suo popolo del motivo di tutta questa tensione. Un motivo in più per spingere il popolo ad odiarmi poi. Se metti in mezzo la religione... tutti i Noveriani saranno pronti a impugnare le armi.

-Posso immaginare la sua frustrazione.- disse Kanda. -Non riesce a trovare una ragazza di diciassette anni.-

-Da sola per di più.-

-No. Non da sola.-

-Davvero?- chiese perplesso il vecchio.

-Davvero. È riuscita a scappare grazie ad un soldato. Che ora la tiene con sé, come se gli appartenesse.- disse con rabbia Kanda.

-Capisco. Ma se l'ha aiutata... insomma io credo che stia dalla parte del bene. Forse... sai, forse è l'unico che sta facendo la cosa giusta.-

Kanda osservò la pioggia.

-Ti sbagli. Nessuno è dalla parte del bene in questa guerra e lui... sopratutto lui... non è da meno.-

-Sembra che tu lo odi quel poveraccio.-

-Sembra.- disse semplicemente Kanda. Non voleva sbilanciarsi troppo. Non conosceva quel vecchio.

-Sai... gira voce che il Grande Inquisitore voglia mandare un messaggero ad Aquamar per ottenere l'appoggio della flotta degli Uomini Acquatici. I Trattati impongono che Aquamar debba allearsi con Noveria.-

Kanda annuì. Ricordava quella storia dei Trattati. Erano stati scritti alla fine della Guerra Santa. Imponevano che Aquamar si alleasse con Noveria in caso di necessità, che il Nord mantenesse i propri confini e si occupasse dei bruti e che Vurkan tenesse alla larga le Salamandre oltre le Lande Cineree.

-Nord e Vurkan hanno dimostrato grande intesa. In pochi giorni le ultime resistenze dei bruti sono state sterminate. Quando marceranno su Noveria... Be' io inizierei a preoccuparmi già da ora.- continuò il vecchio con un brivido.

-E il Grande Inquisitore si ritroverà accerchiato.- disse Kanda.

-Esatto. E noi contadini ci rimetteremo più di tutti. Questo Continente non ha mai subito una guerra più feroce. Tutti contro tutti.-

E poi ci sono io. Solo e armato della mia spada, alla ricerca di Ayliss.

-Mai vista una tempesta simile.- disse il vecchio.

-Io ne ho viste di simili... e anche di peggiori.-

Il vecchio lo guardò stupito.

-E dove? Dove hai visto tempeste peggiori di questa?-

-Oltre i confini di Q'uoian.-

Ricordava i suoi compagni che tremavano come foglie, mentre le Bestie Nere arrivavano verso di loro. Esseri neri come la pece, grossi come un carro e dalla pelle dura come la roccia. Ricordava di aver combattuto sotto una tempesta enorme e di esserne uscito vivo per poterlo raccontare.

Ma di quel giorno, non c'era un bel niente da raccontare.

-Hai combattuto laggiù? Che succede là?-

-Si difende la Foresta dalle incursioni straniere.-

-Straniere... chi? Cosa c'è ad ovest di Q'uoian?-

Kanda rimase zitto per un lungo momento.

-Esseri che voi umani non conoscete.-

Il vecchio sorrise.

-Sono tante le cose che noi uomini non conosciamo. Ma anche voi Q'uoian non conoscete tutto. Non esiste nessuno che possa conoscere ogni cosa.-

-Forse è vero.-

-Mi piacerebbe sapere qual'è il lavoro del famoso... fuggitivo.- disse il vecchio.

-Perché ti interessa?- chiese sospettoso Kanda.

-Perché non ho altro da fare e non posso uscire là fuori.-

Kanda sorrise.

-Ho fatto molte cose, nella mia vita. Ma ora sono uno storico.-

Il vecchio annuì grattandosi la barba.

-Molte cose eh? Tipo?-

Non sa farsi gli affari suoi questo vecchio?

Ma parlò comunque, forse perché non parlava tranquillamente con qualcuno da troppo tempo (escludendo Lem).

-Ho passato anni nei pressi del Lago Azzurro per aumentare la mia precisione e la mia pazienza. Sono stato un membro delle Truppe di Confine. Ho studiato per diventare consigliere del re.-

-Ma... tutte queste cose?-

-Sì, tutte queste cose. Anni della mia vita passati a trovare una vocazione. Diventai membro delle Truppe di Confine molto giovane e ciò che vidi... mi scosse nel profondo.-

La Bestia Nera azzannava un suo compagno e gli toglieva pezzi di pelle, poi con una manata toglieva la testa di un altro.

-Quindi decisi di andare nel Lago Azzurro. Là venni addestrato dai Monaci M'ashman nell'arte della concentrazione, per allontanare gli incubi. Quindi decisi di studiare, per diventare consigliere del mio re.

I miei studi mi portarono allo scoprire molte cose, sopratutto riguardo l'Elisir di Lunga Vita.-

-Quello che beve ogni settimana il Grande Inquisitore?-

-Sì... sì quello.-

No.

-E per i miei studi venni allontanato. Decisi di diventare uno storico. La storia era una passione che mi accompagnava da sempre.-

Il vecchio batté la mano contro il suo mulo.

-La tua vita ha preso vie tra loro molto diverse.-

-Già. A volte basta un avvenimento per cambiare completamente la propria vita. Forse se non mi fossi arruolato nelle Truppe di Confine sarei andato direttamente all'Accademia... ma forse non avrei nemmeno passato gli anni nei presi del Lago Azzurro.-

-è questo il bello della vita, amico fuggitivo. La vita prende vie sempre diverse e a volte... non lo notiamo nemmeno. Ma quando ce ne accorgiamo, capiamo di aver preso una nuova strada.-

Kanda sorrise. Quel vecchio sapeva molto sulla vita.

-Io sono solo un umile contadino... ma per vent'anni ho fatto il marinaio.- disse indicando il capello. -Amo il mare. Ma poi una tempesta come questa colpì la mia nave. E decisi di starmene a terra. Per i miei figli e per mia moglie.-

-Hai una famiglia?-

-Ora sono grandi i miei figli. E mia moglie è morta otto anni fa.-

-Mi dispiace.-

-è passato, lascialo indietro. Il presente... viene prima.-

Kanda sorrise e frugò nella sua borsa.

-Tieni, a me non serve.- disse dandogli una mela.

-Per te o per il tuo mulo. Vedo che non ne hai.-

-Oh... grazie, grazie davvero. Ne avevo proprio bisogno. Aspetta.-

Tirò fuori qualcosa dalla sua sacca.

-A me non serve di certo... e non ho idea di cosa sia. Magari vale pure tanto ma come ti dicevo... ora come ora non so che farmene.- disse il vecchio porgendogli un oggetto.

Era una pietra verde, grande come il suo pugno. Sembrava priva di dettagli, lisca al tatto.

-Non so se ti piacerà sapere dove l'ho trovato.-

-Dimmelo.-

Il vecchio sospirò.

-Venendo qui... ho trovato quattro Q'uoin... morti. Mi sono allontanato il più in fretta possibile. Ma poi... ho visto qualcosa brillare. Era questa pietra che... brillava come se fosse una luce. Appena mi allontanavo diventava nera ma appena mi avvicinavo brillava! Come se percepisse la vita. E... ti senti bene?-

Kanda osservava ipnotizzato la pietra.

Non può essere.

Quella era la Pietra di Aldruin.

-Hai fatto bene a darmela. Se qualche altro Q'uoin t'avesse visto con questa pietra ti avrebbe di certo ucciso.-

-Ma... ma perché?-

-Perché è potente. E antica. Due cose che spesso vanno a braccetto.-

Il vecchio si agitò.

-Oh allora tienila tu. Non voglio grane.-

Kanda rise.

-Preferisci dare a me il fardello, eh?-

-Be'...-

-Scherzo, scherzo. Hai fatto bene a darmela.- disse annuendo.

Kanda la osservò ancora.

-Hai fatto bene.-

 

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Capitolo 22
*** Il calore della lava ***


Capitolo 21

Il calore della lava

 

Argon Falltayer, Re di Vurkan e Signore dei Vurkaniani, lord di Grantizzone; adorava il calore della lava. Quel calore pungente, a cui nemmeno un Vurkaniano poteva resistere troppo. Era come un abbraccio troppo lungo, come un amore non corrisposto. Il suo trisavolo aveva costruito la fortezza al di sopra della lava, protetta dal Brightfire. Il suo trono, fatto dello stesso materiale nero, era caldo anch'esso. Tamburellava le dita nel poggiolo ed aveva una gamba accavallata. Ai suoi fianchi c'erano due soldati delle Corazze Nere. Altri ancora erano situati nei muri, altri ancora fuori dal palazzo. In tutto erano settecento soldati, scelti tra l'élite dell'esercito Vurkaniano. La sua guardia reale. Fu il suo trisavolo, Laskan Falltayer, a nominare i primi settecento, e i loro discendenti ora erano le nuove Corazze Nere.

Fu sempre Laskan a unificare Vurkan. Lo fece col sangue e col fuoco.

Ne usò molto, tanto da bruciare dei Vurkaniani.

Fu lui a inventare i Cannoni di Lava e fu sempre lui a ordinare all'esercito di armarsi di armi e armature di Brightfire.

Fu uno studioso, Owasmal Korsham, a scoprire il Brightfire. Roccia lavica raffreddata, dalla grande resistenza e facilmente malleabile. Le corazze di Brightfire venivano decorate di rosso dalle truppe.

Solo i settecento tenevano il colore naturale del Brightfire, il nero.

Anni e anni di guerra e morte per unificare un regno.

E imporre la supremazia Vurkaniana.

Il regno, prima di chiamarsi Vurkan, era chiamato Dokharsiss. Diviso in due parti, una abitata dai Vurkaniani, l'altra dai Lakaviani. In perenne conflitto tra loro.

Laskan decise di porre fine a tutto ciò, guidando il suo popolo nell'unità. Ora restavano circa duemila Lakaviani in tutta Vurkan.

Da quel giorno di molti anni fa, la Famiglia Falltayer guidò il regno di Vurkan.

Dopo Laskan ci fu Sakal, il suo bisnonno. Chiamato anche Il Pacifico.

Probabilmente perché regnò dopo Laskan.

Chiunque poteva essere considerato pacifico in quel caso.

Poi venne Hattor, suo nonno.

Se lo ricordava. Un uomo dai capelli neri nonostante l'età. Gli occhi rosso scuro, il volto ricoperto di rughe. Si ricordava che spesso gli raccontava le favole, quando era piccolo. Suo padre però non ne parlava mai bene. Si odiavano, a dire la verità. Hattor era morto sputando contro suo padre. Suo nonno diceva che suo padre era diventato il contrario di ciò che era da piccolo, di ciò che gli aveva insegnato ad essere. Più simile a Laskan che a Sakal.

Suo padre, Vashtar, era morto otto anni fa. Ricordava quando lo aveva portato sulle mure del castello e gli aveva mostrato le picche con le teste infilzate. Risultato di una ribellione che aveva colpito Vurkan durante il suo regno. Vashtar era un uomo duro e severo. Quando Argon non ascoltava lo colpiva spesso con un forte ceffone alla nuca. Lo costrinse a studiare la storia di Vurkan. E quella di tutto il Grande Continente. Sopratutto quella del Nord.

Da piccolo non sapeva il perché, ma poi crescendo capì.

Il Nord era vicino a Vurkan, a confine, ed era il Regno dei Ghiacci. Anni di dispute mai sfociate in una guerra. Suo padre, Vashtar, aveva tentato a iniziarla. Ma poi, effettivamente, mettersi in guerra con un regno così grande non sarebbe stata una buona idea.

E poi venne lui, Argon.

E lui decise di muoversi all'inverso rispetto a ciò che fece suo padre.

Lui si alleò con il Nord.

Posso immaginare quel che stai pensando, padre. Ti starai rivoltando nella tomba. Starai pensando che sono un debole. E forse hai ragione. Ma tu sei morto.

Si alzò e si avviò verso il balcone.

Da là vedeva la Distesa Nera. Una grande piana che portava a Grantizzone. Città costruita vicino all'omonimo vulcano. Che era anche il simbolo di Vurkan. Il Vulcano nero su sfondo rosso.

Laskan aveva deciso di costruire il castello ben lontano dalla capitale, ben consapevole che gli abitanti si sarebbero potuti ribellare.

E se il castello era nella città sarebbero stati ben presto assediati.

Ne sapeva un bel po' il vecchio Laskan.

“Il castello deve essere costruito fuori dalle mura cittadine. Stando in città il popolo penserà di aver qualche diritto quando in realtà non è così. Il castello va oltre. Il castello non si mischia col popolo.” furono le parole di Laskan.

Grantizzone era una città grande e calda. Così come i suoi abitanti. Ricordava gli edifici costruiti coi mattoni, ricordava l'odore di cenere.

Quello sopratutto, l'odore della cenere.

E il calore, continuo, della lava. Sakal riuscì a far deviare la lava in luoghi prestabiliti. La piazza di Grantizzone era ornata con un enorme vasca di lava. Suo padre aveva buttato vari prigionieri in quella vasca. Ricordava le urla di dolore di quegli uomini.

“Osserva bene cosa succede a chi trasgredisce alle leggi imposte dalla nostra famiglia, figliolo. Ascolta le loro urla e non temere se tormenteranno i tuoi sogni. Trai forza dalle loro urla. Fa che alimentino il tuo spirito, che lo fortificano. Perché ti assicuro, quando avrai assimilato... le urla di dolore dei tuoi nemici saranno la migliore delle sinfonie. La senti? La senti la musica?”

Non la sentiva. Si era piegato e aveva vomitato, afflitto dall'odore della carne, delle ossa e delle interiora che bruciavano e si scioglievano.

Un uomo un giorno gli aveva detto che sarebbe diventato come suo padre, era il suo destino.

“Crescere sotto il mantello di quel tale ti porterà alla rovina. Il sangue dei Falltayer è diventato marcio ormai. Tuo nonno, lui si che era un brav'uomo. Ma a crescerti è stato Vashtar. Sangue marcio porta altro sangue marcio, ecco cosa dico. Nulla di buono può venire da lui. Nulla!”

Non ricordava chi aveva detto quelle parole.

Anni a cercare di renderlo fiero lo avevano portato ad assomigliare sempre di più a lui ma... no no no no no no no NO!

NO!

Argon era diverso da suo padre.

Suo padre era un folle!

Suo nonno aveva ragione.

Ma era suo padre... non riusciva ad odiarlo... per quanto si sforzasse.

Ricordava di aver pianto quando era morto e le sue lacrime calde avevano toccato il pavimento, emettendo un suono stridulo. Si odiò da solo.

Il re di Vurkan non piange ma sopratutto non versa lacrime per l'uomo che era stato suo padre.

Rammentava con notevole intensità quando suo padre l'aveva portato sulle mura della reggia, dove c'erano le teste dei ribelli. Lo ricordava con maggiore intensità rispetto ai poveracci sciolti nella lava, per quanto quello fu molto più cruento. Forse perché quando vide quelle teste aveva sei anni. Quelle teste erano ridotte in uno stato pietoso, una aveva la pelle scorticata, un altro aveva un occhio che penzolava mentre un corvo lo pungolava col becco per staccarlo.

Il suo stomaco aveva fatto una stretta lancinante e aveva sentito la bile arrivare fino in gola. Appena si era girato Vashtar lo aveva colpito con una sberla alla nuca e lo aveva girato, tenendogli ferma la testa con entrambe le mani, costringendolo suo malgrado a guardare.

“Non distogliere lo sguardo, voglio che guardi finché non inizi a vomitare. Voglio che continui a guardare finché non ti sarà entrato in testa. Lì vedi, no? Quando qualcuno osa ribellarsi non bisogna avere nessuna pietà, nessuna. Chi osa alzare il pugno contro di noi deve subire la peggiore delle punizioni. Chi osa sfidare la famiglia Falltayer dev'essere distrutto. Pensi che li abbia uccisi subito e poi decapitati? Ti sbagli. Prima, Argon, devi torturarli, devi farli aggrappare alla vita più di ogni altra cosa. Ricordagli che hanno una famiglia, ricorda loro che hanno una casa in cui tornare. Mentre li torturi vedrai che loro proveranno un affetto incontrollabile per queste cose. E poi, quando penseranno che le torture siano finite, quando penseranno di poter tornare dalla loro famiglia, togli loro ogni cosa.”

Uno dei tanti insegnamenti di mio padre.

Mancavano solo due giorni. Così sarebbe potuto partire verso Icehold e là avrebbe conosciuto Daften Holdar, il Re del Nord. Là avrebbero unito i loro eserciti e assieme avrebbero marciato verso Noveria.

Là avrebbe compiuto la più grande impresa di Vurkan.

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Capitolo 23
*** Contro un Dio ***


Capitolo 22

Contro un dio

 

Kalad e Ayliss ripartirono quando la tempesta era finita, era durata per tutta la notte. Aveva lasciato dietro sé una scia di distruzione non indifferente. Gli alberi erano caduti come castelli di carta e il terreno si era trasformato in una fanghiglia scivolosa. Ora il sole risplendeva forte nel cielo, quasi come non fosse successo nulla.

Ayliss osservava tutto a bocca aperta. Possibile che fosse stato suo padre a fare questo?

No, impossibile. Suo padre era un Dio d'amore, non poteva fare questo. Erano gli uomini che lo veneravano a distruggere e uccidere. Le tempeste erano solo fenomeni naturali, suo padre non centrava nulla.

Però se lui ha creato ogni cosa significa che ha creato pure quelle, pensò.

Si incamminarono e Kalad catturò due conigli, che mangiarono. I conigli si erano probabilmente perso durante la tempesta. Sembravano tramortiti a vederli. Kalad non esitò un istante a colpirli col suo pugnale. Ayliss li mangiò silenziosamente, assorta dai suoi pensieri.

-A cosa pensi?- le chiese il suo protettore.

Lei mandò giù il suo boccone.

-A niente.-

-Lo trovo impossibile.-

Lei sorrise.

-Sul serio, a niente.-

Kalad la osservò.

-Il tuo amico, Kanda, ormai sarà vicino.-

Lei alzò le spalle.

-Forse, non lo so.-

-Sicuramente. Quando ci troverà... credo vorrà uccidermi.-

Lei spalancò gli occhi.

-No. Glielo impedirò! E poi Kanda è buono, non ti farebbe mai del male.-

Kalad sorrise.

-Quando le persone si convincono di qualcosa... è difficile far cambiar loro idea-

-Io gliela farò cambiare!-

Kalad si alzò, sospirando.

-Allora mia affido a te, mia signora.-

 

Proseguirono il loro viaggio verso Ovest, attraversando territori semi distrutti.

-La tempesta ha fatto il suo dovere.- notò Kalad. -Ricordo che anni fa una tempesta colpì Gothfresh, il mio villaggio. Il vento turbinava talmente forte da fare male alle orecchie. Fissavo rapito il caos che stava combinando. Mia madre mi disse che le tempeste erano la punizione divina per gli errori degli uomini.-

Ayliss annuì.

-Allora ne stiamo commettendo molti, ultimamente.-

Kalad rise.

-Ti vedo cinica oggi. Se le tempeste fossero davvero la punizione divina per i nostri errori be'... saremmo già estinti da tempo.-

Ayliss alzò lo sguardo.

-Guarda!-

Kalad ripensò a pochi giorni prima, quando lei aveva alzato lo sguardo e aveva visto i Celestiali scendere dalla Città Volante.

Che non diventi una cazzo di abitudine.

Davanti a loro si paravano degli edifici.

No, non erano edifici erano... rovine...

-Delle rovine? Qui?- chiese Kalad.

Si avvicinarono. Erano molto antiche, forse risalenti a più di duecento anni fa.

-Un villaggio distrutto?- ipotizzò Ayliss.

-No.- disse Kalad toccando una parete. La roccia era ruvida, si intravedevano delle decorazioni nere. Delle strisce, dei caratteri illeggibili.

Continuò a camminare, fino a raggiungere una sorta di altare.

-Qui è più leggibile.- disse Kalad. Ayliss si avvicinò a lui.

Kalad passò la mano sulla pietra, togliendo il fitto strato di polvere.

C'era un immagine stilizzata di un uomo con in mano una spada e sull'altra la testa di un nemico, dietro di lui una fitta schiera di uomini. Sopra di lui il sole era tinto di rosso. Conosceva quei simboli, la spada, la testa mozzata, il sole tinto di rosso. Erano i simboli del Dio Celestiale della Guerra. Shalazar il Guerrafondaio.

Kalad si guardò attorno. Gli edifici distrutti sie stendevano ancora per molto, ma non troppo. Sembrava quasi un avamposto.

-So cos'è questo posto.- disse.

-Cos'è?- chiese curiosa Ayliss.

-Una delle Dimore di Shalazar il Guerrafondaio, il Dio della Guerra. I Celestiali avevano varie Dimore sparse per il Grande Continente. Quando vennero segregati nella Città Volante l'Inquisizione cercò in lungo e largo le loro dimore, per raderle al suolo. Questa ne è un esempio.-

-Kanda mi parlò di questo Shalazar. Era un guerriero formidabile e uno dei Celestiali più anziani.- disse Ayliss guardando l'altare.

Kalad si guardò attorno.

-Anch'io ho sentito varie storie. Era un guerriero imbattibile, dalla forza straordinaria. Si diceva che col suo arrivo il sole si tingesse di rosso come il sangue. Aveva una spada di cristallo, era l'unico Celestiale ad averla. Le sue vesti erano oro e nero. Quando arrivava nella battaglia i nemici morivano al solo guardarlo. Durante gli anni del Grande Gelo difese gli uomini a spada tratta e guidò le truppe fedeli ad Elomer durante la loro guerra civile. Fu in prima linea anche durante la Guerra Santa, ma morì in battaglia, ucciso da un Cavaliere del Braccio. Dantanius l'Implacabile.-

-Kanda mi ha parlato pure di lui. Dice che era cattivo.-

Kalad sorrise.

-Forse, non sta a noi dirlo.-

Ayliss si accigliò.

-Da come lo descrivi sembra quasi che Shalazar fosse buono. Ma tutte le storie dicono che era una bestia sanguinaria, che sterminava migliaia di soldati, anche quelli che si arrendevano. Che il suo arrivo era segno di morte. Spesso veniva considerato anche il Dio della Morte.-

Kalad sbatté la mano sull'altare.

-Come dicevo, non sta a noi dirlo. Le storie non dicono mai la verità e il tempo ci fa dimenticare.-

-Il tuo difensore dice la verità, piccola.- disse una voce alle loro spalle.

Idiota! Ti sei distratto e non hai pensato che potesse esserci qualcuno.

A parlare era stato un Celestiale. Sembrava giovane a vederlo, ma ovviamente era molto più vecchio di Kalad. Aveva i capelli biondi avvolti in una treccia. Era di bell'aspetto. Indossava delle vesti oro e verdi e portava con se un arco. Assieme a lui c'erano cinque Discepoli e uno di essi teneva un'enorme lancia a doppia lama che apparteneva sicuramente al Celestiale.

-Le storie descrivono Shalazar come un mostro, un divoratore di uomini e un barbaro... ma le storie dicono un mare di cazzate. Io l'ho conosciuto.- disse il Celestiale.

Kalad l'aveva riconosciuto. Era sceso dalla Città Volante assieme al Dio del Coraggio e della Sapienza. Era l'Arciere.

-Era un guerriero nobile. Spietato con il nemico ma non l'ho mai visto nemmeno una volta alzare le mani su un suo sottoposto. Quando ero più giovane fu lui a donarmi quest'arco.- disse indicando la sua arma.

Ayliss era immobile al fianco di Kalad.

-Tu devi essere Marxal l'Arciere.- disse Kalad.

-Ottimo spirito di osservazione, amico mio! E tu dovresti essere il protettore della... ragazza.- disse con un teatrale inchino.

Kalad allungò il braccio verso Ayliss, come per proteggerla.

Marxal sorrise.

-Che teneri.-

Si guardò attorno.

-La tempesta... ha fatto un gran baccano, eh? Immaginate cosa deve aver fatto nella Città Volante. Lassù la pioggia ti colpisce prima. Quando la tempesta ha colpito le nostre truppe eravamo nelle Piane di Confine, pensate un po! Nodamor e Athamor sono spariti... spero che non siano morti, l'esercito disperso e io mi sono ritrovato in queste rovine. Ma... la fortuna mi arride quest'oggi. Guarda caso in queste fottute rovine ci trovo pure la troietta che sto cercando.-

Ayliss sussultò.

-Tranquilla.- le sussurrò Kalad.

-Sì, piccola. Tranquilla. È questa la parola che dicono tutti quelli che sanno di non aver speranze.-

Ayliss sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Marxal l'avrebbe uccisa.

-Possiamo risolvere la cosa senza ricorrere alla violenza.- disse Kalad.

Marxal fece una faccia stupita.

-Ma davvero? Sono curioso, parla.-

Kalad guardò i cinque Discepoli. Più Marxal, alto due metri buoni e armato di un pericoloso arco.

Non aveva possibilità e lo scontro col Gorvashor era stato troppo faticoso.

Poi ripensò a quello che aveva fatto Ayliss.

La spada di fuoco.

Kalad guardò Marxal negli occhi.

-Se mi affronterete... troverete tutti la morte.-

Marxal sorrise, un sorriso spavaldo.

-Ah, ma sentilo! Un umano potrebbe uccidere un Dio?-

-è già successo... o te lo sei scordato, Celestiale?-

Marxal divenne serio.

-Se pensi di spaventarmi, soldato, sei ben distante dal tuo obbiettivo.-

-Dovresti temermi invece. Io sono Kalad di Gothfresh, uccisore di Inquisitori e di Gorvashor e Possessore della Spada di Fuoco.- disse quelle parole con voce mortalmente seria.

Marxal sembrò titubare per un istante. Kalad sperava di fare effetto ma non ci credeva del tutto. Invece...

-E Protettore della Figlia del Supremo.- aggiunse poi.

Marxal socchiuse gli occhi.

-Un protettore abile, questo è certo. Abile con la spada, traditore del suo stesso popolo. Sai cosa facciamo noi ai traditori nella Città Volante? Li scuoiamo. E li appendiamo a dei ganci. Per ricordare che il tradimento è il peggiore dei disonori. Farò fare la stessa fine a te, sporco umano!-

Kalad afferrò l'elsa della sua spada.

Supremo... proteggimi.

-Vuoi affrontarmi?- disse Kalad con un lieve tremolio della voce.

-Ah, pensi che quelle fandonie sul tuo conto mi abbiano intimorito? Illuso. Io Sono Marxal l'Arciere, Dio degli Arcieri. Io colpì con una freccia al collo Edhar l'Ingannatore durante la nostra guerra civile. Io c'ero quando Shalazar il Guerrafondaio venne ucciso, vidi il suo corpo cadere a terra senza vita. E io difesi il mio esercito con le mie frecce durante la ritirata salvandone più della metà! Se c'è qualcuno che deve essere intimorito, quello sei tu... idiota!-

Ebbene... che lotta sia!

Ma non c'era alcuna gioia in lui.

-Io non ti temo... Dio degli Arcieri.-

Marxal spalancò gli occhi.

-Quindi non mi temi?-

Kalad strinse l'elsa della sua spada. Ora sembrava incredibilmente accogliente.

-No. Sei tu... che devi temermi.-

Marxal rise.

-Sei un uomo con le palle. Coraggioso... Nodamor sarebbe fiero di te. Prometto di non deturpare il tuo corpo dopo lo scontro e di non rubarti nulla.- disse Marxal toccandosi il petto.

-Non avresti poi tanto da rubare.-

Marxal rise ancora. -Il tuo coraggio mi stupisce... non è tipico di voi umani. Spero di rincontrarti nella nostra Seconda Vita, umano. Ma credo che io ci arriverò molto dopo di te.-

-Questo non sta a te deciderlo.-

In un attimo la mano di Kalad si mosse sul suo pugnale, lo lanciò con un movimento ascendente, non si aspettava di concludere poi tanto con quel lancio. La lama trafisse l'occhio di un Discepolo, uccidendolo.

Un tiro incredibilmente fortunato.

La sua fortuna era finita.

Marxal si mosse molto velocemente. La freccia parti dal suo arco in modo quasi impercettibile. Kalad sentì la freccia sfiorarlo e impiantasi sul muro alle sue spalle. Erano delle frecce dannatamente pericolose, tipiche dei Celestiali. Kalad corse di lato, mentre altre frecce sibilavano al suo fianco.

Ayliss!

Vide che stava correndo dalla parte opposta, mentre due Discepoli la seguivano.

Maledetto idiota devi stare al suo fianco. Entrò in un edifico e uscì dalla finestra, finendo sul retro. Dalla sua sinistra sbucò un Discepolo. Era armato con spada e scudo. Fece un fendente orizzontale ma Kalad si abbassò, schivandolo. La lama si abbatté contro il muro. Kalad abbatté la sua lama sullo scudo del Discepolo. Una, due, tre volte.

Affondo, affondo, tenta un affondo.

Era scoperto, fece un affondo verso la gola del Discepolo. La lama la trapassò con facilità, fino a toccare il muro con la punta. Quando la tolse il soldato emise un rantolo rotto dal dolore e cadde al suolo.

Devo andare da Ayliss.

Appena uscì una freccia si abbatté contro il muro, sfiorandogli il viso.

-Dovrai prendere un altra strada. Ti tengo d'occhio.-

Marxal non lo perdeva di vista.

Iniziò a riflettere.

Se esco da qui Marxal mi crivellerà di colpi. Se rientro nell'edificio farei la stessa strada di prima.

Volse lo sguardo alla sua destra. C'era un altro edifico semi distrutto. Poteva correre in quella direzione e sperare che le frecce di Marxal urtassero le rovine.

 

Ayliss superò un macigno e passò sotto una trave crollata. Sentiva dietro di sé i passi dei due Discepoli che l'avevano inseguita. Si girò e vide che uno dei due era terribilmente vicino. Girò improvvisamente a sinistra, verso un edifico completamente distrutto. Prese una pietra, era piuttosto pesante ma poteva lanciarla. La lanciò verso il Discepolo, che venne colpito dritto in fronte. Lo vide capitombolare a terra imprecando.

L'altro aveva un ascia ad una mano. Superò il suo compagno caduto con lo sguardo feroce. Ayliss mollò un urlo, sperando che Kalad la sentisse.

Dove sei, dove sei maledizione?!

Il Discepolo le prese i capelli e la gettò con forza a terra. Cercò di prendere un altra pietra ma lui la colpì con un forte calcio alla pancia. Le mancò il respiro. Ayliss tentò di muoversi, arrancando tra i pezzi di roccia. Lui abbatté l'ascia in mezzo alle sue gambe. Ayliss mollò un altro urlo, prima che l'uomo le prendesse il braccio e la sollevasse con forza. La sua stretta era violenta, non delicata e dolce come quella di Kalad.

Perché non riesco ad usare i miei poteri? Perché?!

 

La freccia sbucò da dietro il muro, perforandolo e fermandosi su di esso, graffiando la guancia destra di Kalad.

Pensava che quel muro lo avrebbe protetto ma le frecce di Marxal non temevano la roccia e forse nemmeno il metallo.

-Ne ho ancora molte di frecce, Noveriano. E non ti perdo mai di vista. Ho passato centinaia d'anni a migliorare la mia mira. Non sbaglio mai un colpo.- disse in tono di sfida Marxal. Sembrava prendere lo scontro come un gioco.

-Allora io sarò il primo bersaglio che mancherai!- urlò in tono di sfida Kalad. Aveva le gambe che tremavano.

Non era bello essere presi di mira da un arciere, sopratutto se quello era il loro Dio. Marxal guardò alla sua destra ed emise un verso d'esclamazione.

-Guarda qua! La tua piccola protetta... non lo è più!-

Fece un gesto, come per attirare qualcuno verso di sé.

-Vieni, vieni.-

Kalad vide Ayliss che veniva tenuta per le esili braccia da due corpulenti Discepoli, uno di loro aveva la fronte insanguinata.

-Maledizione!- imprecò Kalad.

Marxal sorrise verso di lui.

-Il tuo cucciolo è da noi ora. Cosa farai? Se fai un passo falso una mia freccia trafiggerà...- accarezzò con delicatezza il collo di Ayliss, lei si ritrasse, con le lacrime agli occhi.

-... il suo collo così liscio e profumato.-

Marxal guardò Ayliss con sguardo d'approvazione. Anche se era un po' sporca restava incredibilmente bella. Le ricordava quasi Allyma sotto certi aspetti. Certo Allyma era più vecchia di lei. Gli tornarono in mente gli sguardi che lui e la Dea si lanciavano a volte, anche in presenza di Nodamor. Si ricordava quella volta, durante il banchetto in ricordo di Shalazar, che Allyma lo aveva preso da parte e mentre tutti festeggiavano l'aveva baciato. Il sapore delle sue labbra era talmente buono da non voler più allontanarsi. Poi lei aveva sorriso ed era tornata da Nodamor.

Effettivamente non l'aveva mai amato... era stato solo un bacio per soddisfare le aspettative di un giovane e presuntuoso Dio degli Arcieri. Lei apparteneva a Nodamor, infondo.

Ma quando morì il suo dolore non fu diverso da quello di Nodamor.

Dopo aver ripensato ad Allyma, Ayliss appariva come un errore.
Troppo simile alla Dea per poter vivere.

Sembrava un offesa.

Lo sguardo di Marxal si tramutò in un ghigno malefico.

Colpì con un forte ceffone al volto Ayliss.

-Sono stati i seguaci di TUO padre... ad uccidere la donna che amavo!-

No!

Kalad uscì dalla sua copertura.

-Fermo! Fermo, non toccarla!-

Marxal si riprese dallo scatto d'ira e lo guardò.

-Esce allo scoperto il nostro topolino, eh? Coraggioso.-

Kalad iniziò ad avvicinarsi.

-Non fare nulla di cui potrai pentirti.- disse Marxal puntandolo col suo arco.

-Non lo farò. Non mi pento di ciò che faccio.-

-Onorevole.-

-Prendete me. Lasciatela andare, prendete me al posto suo.- disse Kalad disperatamente.

Sapeva già quale sarebbe stata la risposta, era stato un disperato tentativo. Effettivamente non aveva possibilità.

Marxal rise e con lui lo fecero i Discepoli. Ayliss aveva gli occhi rossi, il suo occhio sinistro era contornato da un livido nero.

-Pensi veramente che io preferisca prendere te che lei? E, nella tua mente bacata, io tornerei veramente alla Città Volante... al cospetto di Elomer il Superiore, con al posto della ragazza un banale soldato? Cosa dovrei dirgli? “Perdonami, Mio Signore, ma la ragazza non l'abbiamo prese perché preferivamo l'impavido Kalad di Gotfresh”?- rise di nuovo.

Kalad spostò lo sguardo verso Ayliss. Le sorrise. Era così dolce quando aveva le lacrime agli occhi. Ma le lacrime di gioia e quelle di dolore era due cose ben diverse. Aveva giurato che non l'avrebbe più fatta piangere. Non era riuscito a mantenere il giuramento. Ma ora le sue lacrime si sarebbe tramutate in gioia.

Sapeva che ciò che stava per fare non le sarebbe piaciuto. Li avrebbe uccisi tutti, anche Marxal. Ayliss avrebbe di certo chiuso un occhio. La sua vita valeva di più della loro.

E poi... li avrebbe uccisi grazie alla sua spada di fuoco.

Ayliss rispose allo sguardo di Kalad. Il suo sguardo da lupo. Era sicuro di sé, la tranquillizzò. Le lacrime sparirono e la stretta dei due Discepoli non parve più così dolorosa. Capì ciò che voleva. E improvvisamente (si stupì di se stessa) desiderò di rivedere la spada di Kalad avvolta dalla fiamme.

-Io non sono un banale soldato. Io sono Kalad di Gothfresh, Possessore della Spada di Fuoco.-

Gli occhi di Ayliss si tinsero di rosso. Soldati che la reggevano vennero sbalzati a terra da una vampata di fuoco uscita dalla sue braccia. Le vesti dei Discepoli erano in fiamme. Si dimenarono, togliendosi le vesti.

Poi, anche la lama di Kalad divenne incandescente. Prese un colore rosso come la ruggine. Gli occhi di Marxal si spalancarono. Scoccò la freccia.

Improvvisamente la freccia, lanciata dal Dio Celestiale degli Arcieri, colui che non sbaglia mai un colpo, finì per mancare il suo bersaglio.

Il primo. Kalad scattò verso di lui. Marxal non riuscì a prendere un altra freccia perché si ritrovò davanti Kalad. La lama di fuoco si abbatté sul suo arco. Il colpo fece perdere la presa della sua arma a Marxal. Con un rapido movimento la spada di Kalad trapassò la spalla del Discepolo che teneva la lancia. Cadde al suolo emettendo un urlo. Kalad puntò nuovamente su Marxal.

La lama venne intercettata dalle stesse mani del Celestiale che la presero, stringendola con forza.

Il volto di Marxal era più simile ad un ghigno rabbioso. La stretta non durò a lungo, ben presto mollò la presa, gridando.

Uno dei Discepoli colpiti dal fuoco di Ayliss si rialzò, con le vesti bruciate. La prese per i capelli, strattonandola con cattiveria. Ayliss urlò e iniziò a graffiarlo.

-Taci, piccola troia!-

-Kalad!- chiamò lei.

Kalad si volse verso di lei e corse, senza badare più a Marxal.

Appena si avvicinò al Discepolo lo trafisse al petto. L'altro, armato di una mazza con la fronte insanguinata, cercò di colpirlo. Ma il bruciore lo aveva chiaramente intontito. Il suo colpo fu lento e facilmente parabile. Kalad bloccò il suo braccio e vi accostò la lama. Con un facile movimento il braccio si tolse. Come tagliare il burro. Il Discepolo urlò di dolore, un urlo carico di paura.

Fai bene da averne.

La lama finì per tagliarli la gola. Il sangue colò verso l'armatura di Kalad.

Quando si girò, per tornare da Marxal, se lo ritrovò davanti.

Armato della sua enorme lancia.

Sentì il movimento dell'aria e capì di doversi abbassare. La lancia strisciò sul muro alle sue spalle. Kalad colpì con un pungo Marxal, apparentemente senza successo. Marxal rispose con un affondo. Kalad rotolò di lato, lasciando che la lama si incastrasse nel muro.

-Mi stai facendo perdere la pazienza, Umano! Lascia che ti ammazzi!-

-La Spada di Fuoco non lascia a metà uno scontro!- ringhiò Kalad. Con un fendente colpì il fianco di Marxal. Il Celestiale urlò di dolore e con un forte strattone fece uscire la lancia.

-Io ti stacco quella testa di merda!- disse facendo un altro affondo. Poi un fendente, poi fendente con rotazione.

La lancia a doppia lama era un arma letale. Ma Marxal non era abile con quell'arma.

Questo diede un vantaggio a Kalad. Affondò la sua lama sulla coscia di Marxal.

-Figlio di puttana!!!-

Marxal colpì col manico centrale della propria arma Kalad al volto. Poi girò su se stesso e fece un taglio sulla placca pettorale di Kalad. Poté sentire il sangue colare. Se l'armatura fosse stata poco più sottile la sua pancia sarebbe stata aperta senza pietà. Kalad saltò abbattendo la sua lama sulla lancia di Marxal. Ancora ed ancora. Vedeva il fumo accompagnare i movimenti della sua spada. Quando la sua spada tentò di colpire le gambe di Marxal, egli spiccò un salto e abbatté la sua lancia sul volto di Kalad.

Fece più male del previsto. Cadde a terra. Sentiva che la lama aveva preso l'occhio. Ci vedeva ancora ma aveva chiaramente una ferita. L'occhio era chiuso quando la lama l'aveva colpito, ora aveva una lunga cicatrice che partiva dalla fronte fino al mento, attraversando l'occhio. Faceva male e perdeva molto sangue, tutto il suo volto era intriso di rosso.

Ma anche la sua spada era rossa.

La spada.

Vide che non ce l'aveva più in mano, gli era caduta più distante.

-Ah fai tanto il duro... ma senza quella spada... non sei niente!- disse Marxal afferrando la lancia con entrambe le mani. Poco prima che il Celestiale trafiggesse Kalad, Marxal venne colpito da un sasso sulla nuca.

Si volse, guardando Ayliss con gli occhi iniettati di sangue.

Ayliss era tornata normale ed era molto, molto impaurita.

-Tu..- disse Marxal avvicinandosi a lei e colpendola con il manico della lancia.

-Piccola puttana! Quando ti porterò alla Città Volante verrai fatta così tante volte che camminare ti risulterà impossibile!- Disse colpendola con un calcio.

La afferrò per il collo, sollevandola.

Allyma!

-Tu... è tutta colpa tua...-

Allyma!

-Me l'hai portata via! I seguaci di tuo padre l'hanno uccisa. Con una freccia!!! Sai questo cosa significa, sgualdrina!-

-Significa che dovresti guardarti alle spalle.- disse Kalad prima di trafiggerlo al fianco con la sua spada.

Marxal mollò Ayliss, sputando sangue.

Quando Kalad estrasse la lama, dalla ferita uscì sangue e fumo.

Marxal si appoggiò sulla sua lancia, gemendo.

Si girò verso Kalad.

-Tu non capisci... è tutta colpa sua...-

-Ti sbagli. La colpa della morte della donna che amavi è dei seguaci del Supremo, dei Noveriani. Non sua. Tutti questi massacri sono stati tutelati dal fatto che era il Supremo a volerli. Ma non è vero. Quella è solo una scusante per gli atti commessi.-

Marxal abbassò lo sguardo.

-Allora morire tutti quanti!- disse colpendo la sua spada con la lancia. La spada volò in altro.

Sono morto!

Morto!

MORTO!

NO!

Posso farcela.

Ce la posso fare.

Ce...

La spada roteava in aria, ancora incandescente.

La...

La lancia di Marxal sibilò, tagliando l'aria.

Posso...

Kalad si abbassò, schivando il colpo, poi tese la mano.

FARE!

Prese la spada, giro su se stesso e trafisse Marxal al petto.

Ce l'ho fatta! Ci sono riuscito!

Marxal sputò sangue, lasciando un gorgoglio sorpreso e dolorante.

Kalad posò la mano sul petto di Marxal e spinse, estraendo con l'altra mano la spada. Marxal rimase in piedi.

-Ah... sapevo che sarebbe finita così... morto in guerra... arh.- ad ogni parola un rivolo di sangue scendeva dalla sua bocca.

-Sei stato un... buon nemico. Avrei preferito conoscerti in altre situazioni. La guerra... ci porta via molte cose... anche queste piccole opportunità.-

Le gambe di Marxal iniziarono a tremare.

-Posso chiederti un favore... prima di morire?-

-Quello che vuoi.- disse Kalad col fiatone.

-Se ne avrai l'opportunità di incontrarlo e spero... spero che non sia con la spada in mano... di a Nodamor il Valoroso che mi dispiace per come mi sono comportato... ah... è sempre stato lui a meritarsela. Fin dal primo istante.-

Kalad lo guardò negli occhi.

-Lo farò. Te lo prometto. È stato un onore conoscerti, Dio degli Arcieri.-

Marxal sorrise, poi emise un lieve gemito e cadde al suolo. Morto.

Kalad chiuse gli occhi, alzando lo sguardo al cielo. Rinfoderò la spada sulla sua schiena, il fodero sembrava non bruciare. Era finita. Il sole era alto nel cielo ma ormai il mezzogiorno era passato.

Poi guardò Ayliss, con un meraviglioso sorriso stampato sul viso. Kalad si avvicinò a lei e la abbracciò. La morbidezza della sua pelle fu come un abbraccio a lungo desiderato. E forse era così.

-Ho avuto così tanta paura. Pensavo stessi per morire. Sei stato eccezionale. Hai usato la spada come un guerriero delle leggende!-

Kalad sorrise.

Un guerriero delle leggende, proprio come Novarak l'Implacabile.

Adorava la sua leggenda, suo padre gliela raccontava sempre.

-è stato anche merito tuo. Sei riuscita ad usare ancora il fuoco.-

-Lo so. Non mi piace dirlo... ma ho desiderato di vederli morti. È stato brutto.-

-è stata la voglia di vivere, piccola. Ti ci abituerai. Ti colpisce all'improvviso, proprio quando stai per morire. Abbastanza egoisticamente direi. Ci si affeziona alle cose solo quando si sta per perderle.-

Poi Kalad guardò l'arco di Marxal e si diresse verso l'arma.

Era un arco di mirabile fatture, e sparse qua e là c'erano pure delle frecce.

Potrebbe tornarmi molto utile

Guardò il corpo senza vita di Marxal.

No... no non posso farlo. Aveva giurato che non mi avrebbe rubato nulla in caso di sua vittoria. Io farò lo stesso.

Lo prese e si avviò con piccoli passi verso il corpo di Marxal e adagiò l'arco sopra di esso.

-Spero ti possa accompagnare nelle insidie che troverai nella strada verso la Seconda Vita.-

-Kalad!- sentì la voce di Ayliss.

La ragazza indicava un Discepolo, quello che reggeva la lancia. Kalad lo aveva trafitto alla spalla, era ancora vivo.

Kalad si avviò a passo spedito verso di lui estraendo la spada.

-No! Kalad, fermo! È disarmato!-

Kalad infilzò la sua spada, che lentamente tornava normale, vicino al Discepolo.

Il Discepolo mollò un urlo e iniziò a tremare.

-Non ti ucciderò, quindi ritieniti molto, ma molto fortunato. Non ti uccido perché voglio che tu diffonda un messaggio. Cerca il tuo esercito. Non mi importa quanto ci metterai ma fai comunque in fretta. Cercalo anche se è disperso e cerca il tuo comandante Nodamor. E fa anche in modo che tutti quelli che sono con lui lo sentano.

Dì che Kalad di Gothfresh, uccisore di Inquisitori e di Gorvashor, Possessore della Spada di Fuoco, Assassino di Marxal L'Arciere e Difensore della Figlia del Supremo... non si fa uccidere tanto facilmente.-

 

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Capitolo 24
*** Difendere senza ferire ***


Capitolo 23

Difendere senza ferire

 

Gli effetti della sbornia si fecero sentire con tutta la loro arroganza. Qualche stronzetto era riuscito a farlo bere ancora e adesso ne pagava il prezzo. Sentiva il corpo tutto indolenzito e aveva un forte mal di testa che non accennava a diminuire. Si ritrovò nel suo letto. La luce del sole, che entrava con prepotenza dalle finestre, lo accecava.

Troppo birra, decisamente troppa.

Tasto alla sua sinistra e non vi trovò nessuno.

Adele si era già alzata, tendeva a farlo sempre prima di lui.

Ricordi un giorno in cui il Principe del Nord si è svegliato presto, prima della sua amata moglie?

Cercò di alzarsi ma gli risultò difficile, sentiva la testa girargli. Appena riuscì a sedersi emise un gemito. In un batter d'occhio una serva era entrata.

-Vi siete svegliato, mio signore.- sentì la voce della serva alle sue spalle.

Brava a constatare l'ovvio.

Robert sentì un crampo alla pancia ma fortunatamente durò poco. Affidandosi alle poche forze che aveva si alzò. Indossava solo dei pantaloni di lino bianco e non portava la camicia elegante del giorno prima. Nel Nord poi indossare un vestito da notte non era d'abitudine. Perciò era a petto nudo, lasciando alla vista della serva la sua schiena muscolosa. Anni a combattere avevano forgiato il suo corpo e, nonostante non fosse più un ragazzo, manteneva un fisico degno del guerriero che era.

-Le prendo la camicia, mio signore.- disse la serva.

Robert riuscì ad alzarsi e sentiva piano piano le forze tornare.

Si sgranchì e sentì le ossa scricchiolare.

Puoi avere un bel fisico quanto ti pare... ma stai invecchiando, vecchio mio.

La serva si avvicinò, portando una camicia bianca come la neve.

Robert la osservò attentamente. Era giovane ma il suo seno era decisamente prosperoso. I suoi fianchi erano larghi ma non era una rarità nel Nord, anzi. Portava i capelli corti e suoi occhi erano di un marrone chiaro. Era un colore strano, sembrava un marrone glaciale. I suoi capelli erano neri come la notte.

Questa ragazza ha varie stranezze, forse è straniera.

Non era affatto male. Gli porse la camicia e non esitò a lanciare uno sguardo al petto di Robert.

Negli anni ho capito che le serve hanno trovato un modo molto efficace per aiutare il loro sovrano. Un tempo lo adoravo.

Anche adesso lo adoreresti.

-Dimmi un po', dov'è mia moglie?- chiese Robert.

-Vostra moglie è nelle stanze della Regina, mio signore.-

Robert annuì. Adele era l'unica a cui Ona diceva qualcosa. La regina era una donna molto taciturna e Robert era sempre stato convinto che lei odiasse il castello e tutti coloro che vi facevano parte.

Un po' la capisco. Un Re che si diverte molto di più con le servette, nessun principe se non un fratello stanco di combattere ma che per strani motivi non riesce a dire di no al fratello. Un castello pieno di Nord e Vurkaniani assieme.

Un dannato covo di matti.

Robert iniziò ad abbottonarsi la camicia con grande lentezza.

Potrei tenerla aperta... non credo che a lei dispiacerebbe.

Il giovane che riaffiora, eh?

Già è vero, datti una calmata.

Sentiva le braccia dolergli manco fosse un vecchio.

-Vuole che la aiuti, mio signore.-

No.

Si.

-Ah... sì, grazie.-

Non riesci proprio a resistere, eh?

Lei iniziò ad aiutarlo ad abbottonarsi la camicia, le sue mani erano delicate per quanto leggermente logorate dai lavori al castello.

Posso immaginare che lavori.

Calmo, Principe del Nord. Lo sei finché tuo fratello non fa un figlio quindi calma.

Lei osservò con interesse le cicatrici che solcavano il corpo di Robert.

Con la mano sinistra ne tocco una che solcava il suo costato.

-Ti interessano?- chiese lui.

-Ah... no mio signore, chiedo perdono.-

-Non hai fatto nulla di male.-

-è solo che... mi hanno sempre fatto un certo effetto.-

-Le cicatrici?- chiese curioso.

-Sì, mio signore. Sono i segni di una vita vissuta. Mostrano la forza, la determinazione, il coraggio di ogni uomo. Mio marito ne aveva una sulla fronte e nel nostro villaggio veniva visto con ammirazione.-

Iniziava ad essere incuriosito da quella serva.

-Da dove vieni?-

-Da Onnaga, un villaggio dell'Est nelle Hotjurann, a confine con Vurkan.-

Ora si spiegano quegli occhi e i capelli così neri. Non pensavo che tra Nord e Vurkan potesse venire fuori una perla simile.

-Mia madre era del Nord ma mio padre era un contadino di Vurkan immigrato al Nord durante il regno di Vashtar Falltayer.- continuò lei.

Il padre dell'attuale re, un vero infame.

Gli tornarono in mente le parole di suo padre riguardo quel re di Vurkan.

“Quel tale non merita alcun rispetto. Che io sia maledetto se permetterò a quel verme di dormire sotto il mio stesso tetto. Si fotta l'accoglienza del Nord. Sangue marcio è il suo.”

Vashtar è stato chiamato Sangue Marcio infatti. Speriamo che il suo amato figliolo non sia come il padre.

Robert annuì ascoltando le parole della serva.

-Hai sempre vissuto qui al Nord o sei anche andata a Vurkan?-

-Tre anni a Vurkan ho vissuto. Ma quelle terre non mi piacciono. Sono troppo calde e anche se ho mezzo sangue Vurkaniano non lo sopporto. E poi ho sempre avuto timore degli occhi gialli dei Vurkaniani, mio signore.-

-Oh, ti capisco.-

-Ho sempre preferito gli occhi glaciali del Nord, mio signore.-

Che sia un allusione non troppo velata?

Non sei l'unico ad avere gli occhi simili al ghiaccio nel Nord, idiota.

Robert la guardò dritta degli occhi.

-I tuoi hanno un bellissimo colore. Non avevo mai visto un marrone così chiaro.-

Lei abbassò timidamente lo sguardo.

-La ringrazio, mio signore.-

-E sei anche molto carina. Com'è che non ti ho mai vista a castello?-

-Veramente... le ho rifatto il letto proprio ieri... mio signore.- balbettò lei.

Bella figura.

-Ah... non ti avevo notato.-

Lei ora sembrava timida in modo diverso.

-Non è una novità, mio signore, non sono offesa.-

Cerca di uscirne, vecchio.

-Riprovevole da parte mia non averti mai notata allora.-

Il rossore che apparve nel volto di lei fu gratificante.

-Come se l'è fatta questa, mio signore? Lei è un grande guerriero ed è pieno di cicatrici non pretendo che se lo ricordi.-

-Tranquilla, lo ricordo. Fu uno Skarahaad anni fa. Ora quella bestia giace smembrata sul terreno.-

La mano di lei poi si sposto verso la sua spalla sinistra.

-Quella me la fece un bruto due anni fa, con un ascia.- disse in modo meccanico.

Sono fin troppo consapevole dell'attrattiva di queste cicatrici. Di queste inutili cicatrici.

Poi lei con stupore di Robert abbassò lo sguardo e spostò la mano verso il suo pube.

Glielo lasciò fare.

-E questa?-

Suo malgrado fu costretto a sussultare e allontanarle la mano.

-Quella è meglio che non te lo dica.- rispose sorridendo.

Lei sorrise di rimando e finì di abbottonargli la camicia.

Ci ha messo più di quello che pensassi ma non mi è dispiaciuto.

-Non sembravate fiero delle vostre cicatrici da come ne parlavate.-

-Infatti non lo sono.-

-Ma le cicatrici sono tradizione del Nord. Chi ha molte cicatrici merita maggior rispetto. Non è così che nasce un nobile?-

-Sì è così e lo trovo stupido, mia cara.-

Fece una faccia stupita. -E come mai? È un antichissima tradizione!-

-Bada bene io sono il primo a rispettare le tradizioni, cosa che il Re tende a non fare, soprattutto negli ultimi anni. In gioventù come ora le tradizioni hanno guidato il mio cammino. Ma questa tradizione la trovo ridicola. Il valore di un uomo non può essere misurato dalle sue cicatrici. Il valore di un uomo non si dimostra nelle sue doti da guerriero. Ho conosciuto contadini, padri di famiglia che avevano un valore indomabile senza mai aver voluto impugnare una spada. Queste cicatrici che vedi... non sono altro che cicatrici. Non mostrano il mio valore o il mio coraggio. Casomai mostrano una vita passata a fare l'unica cosa che so fare. Ma non vedo gloria in questo. Costruire una città, allevare un figlio, amare una donna. Quelle sono cose gloriose, cose che possono cambiare davvero la tua vita e quella di chi ti sta a fianco.-

Lei rimase ad ascoltarlo con la bocca socchiusa.

Interessante.

CAZZO calmati, vecchio!

-Sono... parole coraggiose per un sovrano, mio signore. Strane anche per un Nordico.-

Robert fece un sorriso amaro.

Chi vuoi convincere con queste parole? Fatichi a convincere una serva e vorresti convincere un intero popolo? Il Nord non è fatto per le innovazioni, il Nord è antico e lo resterà per sempre. Non improvvisarti il principe dell'innovazione perché non lo sei.

-Sono le parole di un uomo ormai vecchio. Di un uomo che ha vissuto tutta la sua vita sul campo di battaglia. Di un uomo, che ripensando a com'era da giovane, prova un moto di vergogna. Un uomo che ora, osservando le sue cicatrici... non vede nulla di glorioso.-

Lei esitò un istante e poi annuì.

-Ma il fatto è che a volte persone come me sono necessarie. Perché per permettere che gli altri allevino i loro figli, amino una donna e coltivino la terra devono essere difesi. Difesi dalla spada.-

Lei parve ora incerta e non convinta delle sue parole.

-Puoi dirmi quello che pensi.-

Lei lo guardò stupita.

Daften non permetterebbe queste cose.

-Io... credo che non si concluda nulla in questo modo. Credo che difendere gli altri con la violenza sia inutile, mio signore. Violenza porta solo altra violenza, in un ciclo infinito.-

Robert si acciglio.

Molto più interessante di quello che pensassi.

-Intendi dire... che è impossibile difendere uccidendo?-

-Intendo che è possibile difendere senza fare del male.-

Questi sono pensieri anti-nordici. Non i miei.

Si ritrovò suo malgrado a sorridere.

-Dubito che di questi tempi sia possibile. Ti ringrazio per avermi aiutato.-

-Ho solo fatto il mio dovere, mio signore.-

Le rimase ancora vicino per pochi secondi e poi si allontanò.

Da giovane non avresti esitato a baciarla. L'avresti gettata nel letto e di certo lei non avrebbe rifiutato di avere il Principe del Nord sopra di sé. E stai sicuro che sarebbe stato un risveglio degno di questo nome. Quante volte l'hai fatto in gioventù un risveglio simile?

Pensando a questo si rese conto che invecchiando in qualcosa era almeno migliorato.

-Aspetta.- la chiamò.

Lei si volse verso di lui.

-Non mi hai detto il tuo nome.-

-Lei... è interessato al nome di una serva?-

-Sì, se la serva è interessante.- risposte sorridendo.

Lei sorrise in modo imbarazzato.

Davvero carina. Tra Nord e Vurkan può davvero venire qualcosa di buono allora.

-Shereen, mio signore.-

Robert annui e lei si dileguò.

“è possibile difendere senza fare del male.”

Ma come poteva essere vero? Suo malgrado sapeva per esperienza che le parole da sole non bastano, ma se sono accompagnate dalla minaccia dell'acciaio diventano fin troppo convincenti.

Esisteva un modo di difendere gli altri senza la violenza? Di far comprendere le proprie idee senza l'aggressività? Si fermare una guerra senza dimostrarsi i più spietati?

Un buon risveglio davvero.

 

Raggiunse Adele nella stanza reale. Ona stava seduta nel grande letto matrimoniale, di Daften nemmeno l'ombra. Ona, con i capelli biondi legate in una ciocca, aveva gli occhi arrossati e Adele stava seduta al suo fianco.

Quella servetta può essere bella ma non lo sarà mai quanto lei.

I capelli color del grano erano lunghi come la prima volta che l'aveva conosciuta. Gli occhi verdi come un prato. Era bassa e non aveva nemmeno le forme abbondanti del Nord. Ma il suo viso era di una bellezza che lasciava sempre Robert senza fiato. Aveva ancora un po' di lentiggini sul viso. Ma non fu la sua bellezza a farlo innamorare di lei. E nemmeno le sue doti a letto.

Che sono molto elevate, posso assicurarlo. In gioventù fu una vera scoperta.

Ma invecchiando aveva superato quelle cose da ragazzo. L'aveva amata e l'amava tutt'ora più di ogni altra cosa al mondo perché era stata la prima donna che lui aveva conosciuto a guardare le sue cicatrici non con uno sguardo di ammirazione, bensì di profonda amarezza.

Immagino sia iniziato da lì il mio cambiamento.

Appena entrato Ona si alzo.

-Salve, Robert.-

-Mia regina. Ho interrotto qualcosa?-

-No, assolutamente nulla.- disse Ona, ma dal tono della sua voce esprimeva il contrario.

-La Regina mi aveva chiesto di parlare e io ho acconsentito.- disse Adele.

Robert annuì.

-Volevo sapere dov'è il Re.-

Ona sbuffò.

-Sarà assieme a quel tale, Gorander. Sembrano essere diventati molto amici quei due, non lo vedo quasi mai.-

Robert annuì amaramente.

-Sì, l'ho notato.-

Ona poi si rivolse ad Adele e il suo tono si addolcì.

-Ti ringrazio ancora per il tuo supporto, mia cara. Mi sei stata di grande aiuto.-

Adele sorrise alzandosi.

-È stato un piacere. Sai che se hai bisogno io ci sono.-

Si diedero un affettuoso bacio sulla guancia e Adele si avvicinò a Robert, uscendo con lui.

-Ci hai messo molto a svegliarti. Gli effetti della sbornia, eh?-

-Esatto. E sono stato pure trattenuto.-

Adele lo guardò accigliata.

-Una serva.-

Adele annuì sorridendo.

-E scommetto con un bel seno abbondante, vero?-

-Mi stavi osservando?- disse lui scherzosamente e lei lo spinse.

-Ti ricordo che da giovane non avresti disdegnato il servizio di una servetta.-

Robert sbuffò.

-Ero giovane. E stupido. Lo sai meglio di me.-

Lei rise.

-Oh sì, lo so benissimo. Il Guerriero di Ghiaccio. Implacabile guerriero adorato dal popolo... soprattutto dalle donne.-

Robert fece una faccia innervosita. Non gli piaceva quando parlava così.

-Mi pare di ricordare che quando ti ho spiegato di quello che volevo fare con te e la serva assieme non sia stato difficile convincerti.- la canzonò lui.

Lei abbassò lo sguardo arrossendo.

A volte sento la mancanza della mia gioventù. Soprattutto ripensando a queste cose.

Robert poi si fece serio.

-Se ripenso a com'ero... non riesco a capire come tu abbia fatto ad innamorarti del ragazzo che ero. Assetato di battaglie, sempre con un arma in pungo, sempre a solcare il campo mi battaglia con Daften. Pieno di queste... dannate cicatrici.-

Adele si addolcì e lo accarezzò con delicatezza.

-Io già allora vidi l'uomo che saresti diventato. Andai oltre il bell'imbusto desideroso di gloria. Andai oltre le cicatrici.-

Non voglio perderti per nulla al mondo. Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata. Non ti merito, non ti ho mai meritata, nemmeno per un istante. E nonostante tutto... parto per un altra guerra. E questa volta, forse, non mi vedrai più.

Non disse quelle parole ma la prese con sé e la baciò con tutta la passione che aveva in corpo. Ogni bacio con lei era come il primo.

Tese il suo braccio e lei lo afferrò e procedettero per braccetto.

Da come si sentiva con lei vicino sembrava quasi che non dovesse partire per la guerra da lì a poco.

 

Camminarono per i corridoi del castello parlando del più e del meno, di cose banali, di cose semplici, di cose all'apparenza inutili. Ma ora, con lei al suo fianco, capì che era quello che aveva sempre desiderato. Lei al suo fianco.

Videro Elda e Bremar rincorrersi per gioco e Robert sorrise. Elda era la copia di Adele. Stesso colore degli occhi e dei capelli e con le stesse lentiggini sul viso ed era pure una piccola peste. Aveva un carattere forte e deciso.

Esattamente come sua madre. Adele è l'unica che riesce a farmi ragionare.

Bremar era simile sia a lui che a suo fratello. Un grande rispetto per le tradizioni nonostante i suoi dieci anni ed una naturale inclinazione nel fare amicizia con gli altri. Un po' di Daften e un po' di Robert. D'aspetto però era uguale a Robert. Corti capelli biondi e occhi di un azzurro glaciale. Aveva ereditato però le lentiggini della madre.

-Smettetela di andare in giro voi due, Maestra Guni vi sta cercando da ore!- disse Darwill, il figlio maggiore, prendendoli per le orecchie.

Elda gli fece una linguaccia e Bremar lo prese a calci.

-Lasciami! Vacci tu da quella vecchia megera, è soporifera!-

-Io ho avuto la mia dose di Guni da ragazzino, ora tocca a voi. Muoversi!- loro se ne andarono ma Robert sapeva che difficilmente sarebbero andati dalla vecchia maestra di corte. Probabilmente sarebbero andati a lottare con le spade di legno. Daften gli aveva spinti a lottare tra di loro, pure la piccola Elda e nonostante si riempissero di lividi Robert permetteva che continuassero. Lui con Daften faceva ben di peggio da piccolo.

Anche se dopo questa mattina non so quanto sia corretto continuare a farli lottare tra di loro.

Darwill, che ormai aveva raggiunto la maggiore età, assomigliava molto a Daften da giovane. I capelli di un castano chiaro, gli occhi azzurro scuro e una voce forte. Era l'unico dei tre a non aver ereditato le lentiggini. Era diventato molto alto, più di Robert. Darwill a Robert ricordava suo padre, il vecchio Jorg. Darwill era una copia giovane di suo nonno. Fiero, determinato, risoluto nelle sue decisioni e con una naturale inclinazione al comando. A Robert ricordava suo padre prima che si rovinasse con la guerra contro i bruti, prima che la sete di potere lo fece finire ammazzato in un campo di battaglia.

Prego che a Daften non tocchi lo stesso destino.

E prego anche per me.

-Saluti Madre. Padre.- disse annuendo ad entrambi.

-Ben svegliato, tesoro.- disse dolcemente Adele. Quando c'erano i suoi figli pareva ricoperta dal miele da quanto diventava dolce.

Robert gli annuì sorridendo.

-Lo zio passa tutto il giorno con quel Vurkaniano. Non so ancora se fidarmi di lui... di tutti loro. Ho parlato con alcuni Vurkaniani qui a palazzo e sono anche simpatici. Ma... sono pur sempre Vurkaniani.-

Ragiona esattamente come suo nonno. E ora come ora lo considero un bene.

Poi udirono delle voci e videro Daften e Gorander camminare uno vicino all'altro. Gorander stava sorridendo con in mano un calice di vino, Daften invece rideva rumorosamente e di gusto.

-Oh fratello! Ben svegliato. Eri messo piuttosto male ieri sera.- disse il Re ridendo.

Gorander fece una risata silenziosa. -Sei caduto al suolo dopo la nostra... chiacchierata.-

A Robert tornò in mente il battibecco con Gorander della sera prima, l'aveva dimenticato.

-È stato Gorander a portarti nelle tue stanze.- lo informò Daften.

Robert rimase sorpreso.

Avrebbe potuto uccidermi ma non l'ha fatto.

Non l'ha fatto perché si trova in un castello di Nordici, Robert.

Robert alzò le sopracciglia. -Presumo di... doverti ringraziare.- disse esitante rivolgendosi a Gorander.

Gorander fece una faccia cordiale.

-Oh no, amico mio. Non serve.-

Robert lo guardò per poi annuire.

-A breve Argon Falltayer dovrebbe muovere il suo esercito. E voglio che tutto sia perfetto. Tu, Gorander, starai al mio fianco, vicino al trono. Sarà un giorno memorabile!-

-Oh ne sarei lusingato, mio caro.-

Robert si accigliò.

-Ma Daften... ne sei sicuro?-

Il re lo guardò perplesso. -Di che parli?-

Robert guardò Gorander nervoso.

-Di lui al tuo fianco. Non sarebbe meglio avere me o Darwill?-

Daften liquidò la questione con un gesto della mano.

-È del suo re che stiamo parlando. Penn è anche un abile guerriero, ha tirato di spada stamane ed è veloce, bisogna ammetterlo.-

Ora lo chiama pure per nome, di male in peggio.

-Dubiti delle mie doti da guerriero, Holdar?- chiese Gorander.

Robert lo guardò in modo seccato.

-Dubito della tua fedeltà, ecco di cosa dubito.-

Daften sbatté le mani sulle cosce.

-Andiamo finiscila Robert.-

-No, Daften, no! Come puoi permettere che a fianco del Trono dell'Orso vi stia un Uomo Rosso? Non ti basta aver permesso a quei fiammiferi di vivere sotto il nostro stesso tetto? Tra le nostre mura?-

Daften iniziò ad innervosirsi e strinse forte i pugni.

-Robert non ti permetto di parlare in questo modo di coloro che hanno deciso di darci il loro appoggio quando tutti, tutti, nel corso degli anni ci hanno voltato le spalle!-

Robert fece una risata nervosa.

-Forse non ti sei reso conto di chi ci sta appoggiando. Gli uomini di fuoco. Nel Nord! Solo io noto l'assurdità di tutto questo? Ma tu sei così... convinto delle tue scelte.-

-Perché sono le scelte giuste!- disse Daften alzando il tono della voce.

-La scelta giusta sarebbe stata rinunciare a questa guerra!-

Gorander cercò di essere diplomatico. -Signori...- cercò di dire ma venne subito interrotto dalle parole di Daften. La fronte del re era solcata da una vena sporgente.

-Ah ora pure un codardo sei diventato! Dov'è finito il Guerriero di Ghiaccio? Dov'è finito quel ragazzo che mi disse di sterminare tutti i bruti, di finire il lavoro di nostro padre, perché un lavoro non si lascia mai a metà. Questo tu mi dissi! Dov'è quel ragazzo?!-

-è morto, Daften. Morto quando ho capito che tutto ciò era inutile. Quando ho capito che queste cicatrici non sono altro che un brutto ricordo da dimenticare. Quando ho capito cos'è la vera gloria! Una cosa che tu, fratello, non capirai mai! Iniziare una guerra non è gloria, iniziare una guerra è solo follia!-

Daften sollevò il pungo minaccioso.

-Che il Supremo e i Signori dei Sepolcri mi trattengano, le tue parole disonorano il Nord! Mi sono giunte notizie di una battaglia nelle Piane di Confine tra Celestiali e Noveriani! La guerra è già iniziata, Robert! Noi entreremo in questa guerra per mettere le cose apposto!-

Robert divenne furibondo mentre Gorander tentava nuovamente di calmarli.

-Non è con la violenza che si risolvono i problemi, Daften! Violenza porta ad altra violenza! La spada non serve!-

Daften parve sconvolto.

-Ma ti senti? Ma senti le tue parole? Tu non sei un Nordico, non più! Se nostro padre potesse vederti...-

-Non menzionare nostro padre!-

-Lo faccio! Io sono il Re!-

-Lo sarai ancora per poco se entriamo in guerra!-

-Tu, piccolo...-

Robert sollevò il dito con fare accusatorio, puntandolo come se fosse la punta di una freccia verso di Daften.

-Sei tu, tu a disonorare la memoria di nostro padre! Del Nord intero! Sei diventato tale e quale a lui nei suoi ultimi anni di vita, quando iniziò una lunga guerra contro i bruti che io da giovane ti convinsi a continuare. Ma ora non sono più come un tempo! Ora ho capito quali sono le cose che un uomo deve desiderare davvero! Una famiglia, Daften. Una moglie da amare, dei figli da crescere, una casa da difendere! Dei valori, fratello! Che tu hai perso, accecato dalla sete di potere!-

La discussione si era fatta feroce, sentì Adele stringere, abbracciando con più forza il suo braccio.

E si stupì nel constatare che credeva davvero a ciò che aveva detto. Possibile che le parole di quella serva lo avessero convinto così in fretta?

Daften era immobile, come se fosse stato improvvisamente colpito da una freccia. I suoi occhi parevano sparare fuoco e i suoi pugni erano stretti a tal punto da far entrare le unghie nel palmo della mano.

Gorander trovò il momento adatto per intervenire, finalmente.

-Ehm... chiedo perdono, amici miei, ma credo che queste siano discussioni da fratelli. Che come tali vadano discusse in privato, non so se mi spiego.-

Daften fece un profondo respiro.

-Ti spieghi, Penn. Ma non c'è nulla di cui discutere. Io sono il Re del Nord e la scelta è mia.- disse freddo Daften.

Robert tacque e avvolse col suo braccio Adele, pareva molto spaventata.

Daften rimase a guardarli, sembrò sul punto di dire qualcosa. Poi scosse la testa e se ne andò. Gorander rimase fermo ancora un secondo ma quando vide che Darwill lo guardava in cagnesco si dileguò.

Il ragazzo si avvicinò al padre e poso con delicatezza la sua forte mano sulla spalla di Robert.

Robert baciò con dolcezza sua moglie alla testa, rassicurandola.

 

-Ah i tempi sono cambiati figliolo.- disse Bjorn Holdar posando il suo calice.

Robert annuì.

-Cambiano. Stanno cambiando in questo preciso istante e noi nemmeno ce ne rendiamo conto.-

Il vecchio guerriero sorrise.

-Siamo al centro degli eventi, difficile notare i cambiamenti.-

Bjorn prese un'altra sorsata dal suo vino.

Aveva sempre avuto una passione per il vino rosso il vecchio Bjorn.

-Viviamo in un mondo in perenne mutamento.- disse poi allontanando il calice dalle sue labbra. -Ogni nostra singola azione può provocare cambiamenti indicibili. E questi sono tempi di grandi decisioni... e grandi cambiamenti.-

Robert appoggiò la schiena contro lo schienale della sedia.

Guardò verso Hodd, il vecchio cuoco e ricordò con affetto i giorni in cui, da giovane, quel vecchio cuoco faceva mangiare le migliori prelibatezze a Robert e Daften. La figlia di Hodd, avuta in età piuttosto avanzata, aveva l'età di Darwill e non esitavano a vedersi e chiacchierare assieme. Elymor era il suo nome. Una bella ragazza.

Robert prese uno stuzzicadenti e se lo passò tra i denti, togliendo i resti della carne. Aveva deciso di pranzare con Bjorn dopo la discussione con Daften e Adele aveva acconsentito.

-è cambiato, zio. Non è più lo stesso Daften che conoscevo. La sete di potere l'ha corrotto, proprio come fece con nostro padre.-

-Jorg era un brav'uomo. Ma dopo la morte di tua madre era caduto in una terribile depressione che svaniva solo nel campo di battaglia. Era un brav'uomo, tuo padre. Aveva solo perso la speranza. Quando un uomo perde quella... perde tutto.-

Robert tenne lo stuzzicadenti in bocca e guardò con la testa storta suo zio.

Aveva sempre provato un grande affetto per il vecchio Bjorn. Suo zio lo capiva praticamente in tutto, sin da bambino. Forse perché anche lui aveva vissuto come secondogenito. Seguendo sempre le orme del fratello, anche quando la strada era sbagliata. Vedendo il fratello maggiore venir corrotto dalla sete di potere. Erano molto simili, dopotutto. Era stato lui ad addestrarlo nell'uso della spada, suo padre era troppo impegnato a guidare l'esercito. Gli aveva insegnato molte cose suo zio.

Era un uomo ormai vecchio ma con due braccia ancora simili a delle rocce. La pancia era diventata prominente e la sua barba bianca era diventata sempre più folta, mentre i suoi capelli sempre più radi. In gioventù era stato un guerriero dal fisico possente in grado di incutere timore al solo vederlo. Considerata soprattutto la sua altezza sui due metri. Era un uomo alto e minaccioso, dagli occhi di un verde glaciale come quelli di suo padre. Nonostante le sue grandi gesta in battaglia e la sua pericolosità con in mano una mazza era sempre stato un uomo molto calmo e riflessivo, in netta contrapposizione con suo padre, molto più violento e pronto all'azione senza tanti giri di parole.

-Sai... Daften è sempre stato quello più simile a tuo padre. Più selvaggio, più duro, più tenace. Tuo padre aveva un caratterino.- disse ridendo.

-Una volta incontrammo un nobile, Gadorf Yevelgrinn, dei Boschi Glaciali. Un nobilastro arrogante con la puzza sotto il naso. Pareva un Noveriano, guarda. Questo topo ci passo a fianco a cavallo e lanciò una sguardo di disprezzo verso tuo padre. Sicché Jorg lo chiamò e gli chiese per quale motivo l'aveva guardato in quel modo.

Yevelgrinn disse che non c'era motivo di salutare un popolano.

Puoi intuire che Gadorf non stimasse molto tuo padre e quindi Jorg decise di rendersi più simpatico prendendolo a pugni e sbattendogli la testa contro un albero- disse Bjorn ridendo di gusto a quel ricordo.

Robert sorrise. -Sì, era una cosa da lui.-

Bjorn si sbatté con forza la mano sulla pancia.

-E il Re ha preso da lui, oh sì. Un caratteraccio pure Daften. Da piccoli era quello che combinava le peggio marachelle.-

-Oh lo ricordo bene.- disse Robert ridendo ripensando a quei momenti.

-Ma in lui... fin da piccolo bastava guardarlo e si vedeva che in lui c'era... un Re. Lui era nato per essere al comando. Il Trono dell'Orso era suo per le tradizioni ma chiunque in tutto il Nord appena l'avrebbe visto avrebbe detto: “In lui c'è un Re.” Ispirava fiducia con poche parole. Convinceva anche i più scettici di potercela fare.-

Ha sempre convinto anche me se è per questo.

-Ricordi cosa disse appena salì al trono?-

Erano passati molti anni ma le parole erano nitide nella sua mente. Secondo le Tradizioni Nordiche un Re, appena incoronato con la Corona dell'Orso dei Ghiacci doveva dire le Parole. Esse sarebbero state scritte poi nella statua funebre del re situata nei Sepolcri. Appena Daften indossò la corona e si sedette sul trono disse: “Sfidatemi a fare l'impossibile. E vi dimostrerò che esso è solo una parola.”

Aveva tenuto fede alle sue parole. Pochi avevano creduto inizialmente alle sue parole ma si era sempre dimostrate vere, pochi avevano creduto che avrebbe annientato le forze dei Bruti, ribelli del Nord da centinaia di anni, ma l'aveva fatto. Le battaglie che decideva di intraprendere Daften tendeva anche a vincerle.

Robert annuì.

-Mantenne di certo fede alla sua parola. E tuo padre? Sai cosa disse?-

-La fiducia va guadagnata, poche saranno le nostre alleanze.-

Bjorn annuì.

-Una politica nettamente diversa da Daften, vero? Tuo padre era diverso da lui in questo caso. Freddo come la pietra, guardava in cagnesco chiunque. Poche alleanza, anzi nessuna. Daften tende a fare amicizia molto in fretta con le persone, forse anche troppo in fretta.-

Già. Dovrebbe scegliere meglio le sue amicizie.

-Io dico che ognuno è un buon Re a modo suo. Anche tuo padre per quanto i nostri rapporti furono burrascosi e per niente come quello tra te e tuo fratello.-

Robert ricordò, suo padre parlava raramente di Bjorn.

-Un litigio, per quanto violento, non può far svanire l'affetto che provate nei vostri confronti. Voi due siete le due facce della stessa medaglia. La ferocia e la calma, l'arroganza e l'umiltà, la voglia di fare sempre di più e il desiderio di non voler superare i propri limiti.-

Robert si accigliò.

-Il desiderio di non voler superare i propri limiti?-

Bjorn annuì.

-Hai mai desiderato essere qualcosa di più di quello che sei?-

-Be' ho sempre avuto fiducia nelle mie doti, non mi sono mai sottovalutato.-

-Sì, lo so bene. Ma hai mai voluto andare oltre ciò che la tua società ti ha imposto? Essere qualcosa di più di un nobile, di un principe ma qualcosa che trascendesse queste cariche. Qualcosa che andasse oltre le tradizioni, qualcosa che andasse oltre tutti noi.-

-Che cosa?- chiese Robert sentendo il suo cuore che batteva forte, ma non seppe dire perché.

-Un simbolo.-

Robert tolse lo stuzzicadenti dalla bocca e lo guardò perplesso.

-Un simbolo?-

Bjorn annuì.

Robert si grattò la barba.

-Un re stesso è un simbolo. Anche un principe lo è.-

Bjorn sbuffò.

-È ciò che si fa credere al popolo, ma siamo solo persone Robert. Sono le nostre azioni a identificarci. E un simbolo... significa che una persona decide di compiere azioni che lo distinguano dalla massa, da tutti gli altri. Azioni che lo elevino al ruolo di semplice uomo e lo facciano diventare un simbolo. Le sue parole diventeranno un ideale che tutti gli altri vorranno seguire.-

Bjorn poi sorrise guardando Robert.

-Hai mai voluto essere tu il re?-

Quella domanda colse alla sprovvista Robert.

-Non nego di averlo pensato, soprattutto negli ultimi giorni.-

-E se per uno scherzo del destino diventassi tu il re, che cosa faresti?-

-Che intendi?-

-Come ti comporteresti? Hai mai pensato che sotto il tuo dominio il popolo potesse vivere meglio? Hai mai pensato a quello che avresti fatto seduto sul trono?-

Sì, amico mio. L'ho pensato varie volte. Ho pensato che sotto il mio dominio non ci sarebbe stata nessuna alleanza con Vurkan. Sotto il mio dominio Gorander sarebbe stato giustiziato. Sotto il mio dominio avremmo colpito con maggiore durezza i bruti, gli assassini di mio padre, senza bisogno di allearsi con il Fuoco. Sotto il mio dominio avremmo lottato per ottenere la Foresta Glaciale e Il Colle Innevato. L'avremmo fatto con l'acciaio e l'avremmo fatto per unificare al meglio questo popolo ormai diviso.

Ma... dopo stamattina, dopo oggi, questi pensieri mi paiono futili. Nulla può essere ottenuto con la forza, o almeno ciò che si ottiene sarà solo una parte, solo un pizzico di ciò che vuoi realmente.

Cercò di dire quelle parole ma non lo fece.

-Le Tradizioni impongono Daften come re, non devo arrogarmi il diritto di credermi tale.-

Bjorn attese qualcos'altro ma nulla uscì dalla bocca di Robert. Abbassò gli occhi e appoggio la schiena sullo schienale della sedia incrociando le braccia e non disse nient'altro.

Un simbolo... un ideale.

 

Camminò a lungo da solo per i lunghi corridoi del castello afflitto dai suoi pensieri. Era stata una giornata piena di avvenimenti e pochi erano stati piacevoli. Erano stati anche enigmatici e avevano messo in dubbio i suoi ideali.

Possibile che tutto possa cambiare in un giorno?

L'incontro con la serva Shereen, il litigio con Daften, le parole di Bjorn. La sua mente era confusa e piena di pensieri.

Si può difendere qualcuno senza usare la forza?

Si può ottenere ciò che si vuole senza ricorrere alla violenza?

Si può rinunciare alla spada?

Si può diventare un simbolo?

Le proprie parole possono diventare un ideale?

Si può rinnovare il mondo che ti circonda? Renderlo un posto migliore?

Come si può fare?

Questi pensieri lo confondevano e lo innervosivano.

-Ti vedo nervoso.- sentenziò la voce di Gorander.

Fu un attimo e Robert lo prese per la colletta e lo sbatté al muro. I loro volti erano a pochi centimetri di distanza e Robert sentiva il respiro caldo e affannoso di Gorander colpirlo alla faccia.

-Stammi bene a sentire Uomo Rosso. Voglio che le mie parole entrino in quella tua testa bruciacchiata perché se le dimentichi te le ricorderò col mio pugno! Io... ti... odio! È colpa tua se il Re, Daften, mio fratello, ora è così! È colpa delle tue parole, dei tuoi sussurri alle sue orecchie! La tua sola presenza porta problemi! Non esiterai un secondo, un secondo, a pugnalare mio fratello alle spalle appena lui si sarà completamente fidato di te! Ma io non sono come lui. Io ti tengo d'occhio perché sento distintamente la puzza delle stronzate che dici! E se vedo, anche per un solo istante che fai una cosa che potrebbe mettere in pericolo il Re ti farò a pezzi con le mie stesse mani!-

Gorander sconvolto lo spinse con un ringhio.

-Stammi lontano, maiale! Daften si fida già ciecamente di me, imbecille! Hai la minima idea di quante volte avrei potuto ucciderlo? Solo oggi avrei potuto farlo tre volte, TRE! Ma non l'ho fatto e sai perché? Perché io sono un uomo d'onore e mai, dico mai, rovinerei un patto di alleanza stipulato dal mio stesso Re! Vuoi saperla una cosa, Holdar? È il momento che tu ti decida a scendere da quel foglio di carta in cui ti trovi e la smettessi di dire di vedere per miglia e miglia! Perché tu non sei nulla!-

Robert ringhiò e lo colpì con un forte pugno.

-Chi sei tu per giudicarmi?-

-Chi sei tu per giudicare me, principe del nulla!-

Robert lo stava per colpire una seconda volta quando una freccia trapassò il collo di una guardia distante.

-Cosa?-

In un attimo un servo estrasse un pugnale dalla manica e lo conficcò sul petto di una guardia.

-No... no, maledizione! Intrusione! Intrusione!- urlò Robert lasciando Gorander.

-Sei stato tu! Ce l'hai fatta finalmente, eh?-

Gorander si asciugò il labbro sanguinante.

-Io non centro nulla, maledizione!-

Una guardia colpì con la sua mazza il servo armato di pugnale e in un attimo i vetri si frantumarono ed entrarono, armati di tutto punto, dei sicari in veste nera. Uno di loro puntò la balestra contro quella guardia e scoccò la freccia, uccidendolo.

Non posso lottare.

Robert, disarmato e senza armatura, corse con tutto il fiato che aveva in corpo. Si sentirono urla d'allarme e urla di paura. In poco tempo il castello venne invaso da un incredibile caos. Si guardò attorno, ma l'unica cosa che vide furono uomini vestiti di nero. Ne contò dodici.

All'improvviso sentì un movimento dietro di sé e vide un pugnale muoversi verso di lui. Con un movimento fermò il braccio che teneva l'arma e lo torse. Perse la presa dal pugnale e lo prese Robert che con un colpo secco lo conficcò sul collo del sicario. Ora aveva un arma. Una freccia lo schivò ma i sicari vennero distratti dall'arrivo delle guardie che con un urlo si lanciarono contro di loro. Un sicario piuttosto corpulento si lanciò verso di Robert.

Questo non lo colse impreparato e intercettò i due colpi del sicario. Quest'ultimo punto al collo di Robert ma egli si abbassò e conficcò il pugnale sullo stivale del sicario. Sangue denso uscì da esso, appena estrasse l'arma fece un colpo ascendente verso il volto coperto del sicario. Il pugnale taglio la gola e il volto dell'assassino verticalmente. Appena cadde ne sbucò subito un altro dietro di lui che placcò con forza Robert. L'urto fu improvviso e inaspettato. Perse l'equilibrio e entrambi si schiantarono contro la vetrata della terrazza. L'aria fredda colpì Robert con spietatezza e i vetri sotto la sua schiena lo tagliavano. Il sicario spinse Robert e sentì i vetri entrargli nella pelle. Ringhiò e cercò di colpirlo ma si rese contro troppo tardi di aver perso il pugnale. Anche il sicario non lo aveva più, perciò strinse le sue mani attorno al collo del principe, stringendo con forza. Robert sentì il sangue confluire sulla testa e iniziò a sentire come un martellamento su di essa. Con un grande sforzo liberò una mano e col palmo colpì per due volte il naso del sicario. Sentì l'osso che si ruppe. Il sicario mollò la presa e Robert prese una boccata d'aria. Cercò di rialzarsi ma la schiena gli doleva. Appena riuscì ad alzarsi andò verso il sicario e lo colpì con un pungo sulla pancia. Poi prese le sue vesti e lo spinse verso il bordo della terrazza. Sbatté la sua testa tre volte contro il marmo per poi gettarlo giù dalla terrazza. Osservò il corpo del sicario cadere al suolo. Tossì con forza e apprezzò l'aria fredda, poi tornò dentro. Tre guardie erano morte e altri due sicari erano stati uccisi.

Dove diavolo sono gli altri?

Corse nel piano inferiore nonostante il dolore alla schiena. Vide servi e serve correre terrorizzati e ne vide altri giacere a terra, morti.

Un servo ha pugnalato una guardia. Ciò sta a significare che ci sono degli infiltrati.

Vide Shereen nascondersi dietro una colonna.

Poi pensò alla sua famiglia e sentì il cuore battere all'impazzata.

Oh no, dove sono? Dove diavolo sono? Oh no no no no no.

Un altro sicario venne trafitto dalla spada di una guardia. Robert volse il suo sguardo verso un altra guardia, Dekof era il suo nome. Serviva Daften sin dal primo giorno, un abile guerriero.

Robert corse verso di lui.

-Dekof! Dekof sai dove sono mia moglie e i miei figli?-

Dekof volse il suo sguardo verso di lui ma volse anche un altra cosa, la sua ascia. Il colpo sfiorò la testa di Robert.

Ma che diavolo?

In un attimo Robert placcò Dekof e lo spinse verso il muro. Dekof con un calcio allontanò Robert e tentò un altro colpo. Fu facile aggirarlo e Robert ne approfittò per prendere con forza la sua testa e con un potente strattone sentì il suo collo spezzarsi come un ramo.

Il corpo della guardia cadde a terra e Robert lo guardò incredulo.

Serve Daften da anni? Possibile che ci abbia traditi?

Certo che è possibile! Ha tentato di decapitarti e tu gli hai spezzato il collo. Questo era un attacco fin troppo organizzato.

I Vurkaniani

Ma quel pensiero sparì subito. Non aveva senso chiedere un alleanza.

Bruti

Molto più probabile. L'aveva detto pure Habber, il loro vecchio Leader.

“Potete uccidermi, cani bastardi, ma ne verrà sempre un altro dopo di me. Gli abitanti del Vero Gelo otterranno la loro indipendenza dagli oppressori di Ferro!”

Prese l'ascia di Dekof e sentì un urlo provenire dall'altra stanza.

Adele!

Corse nuovamente e con una spallata aprì la porta. Vuota. Sfondò un altra porta e si ritrovò in un corridoio. Vide Adele terrorizzata che cercava di allontanare un sicario.

Una rabbia feroce pervase Robert e corse più velocemente di quello che avrebbe mai potuto immaginare. L'ascia si abbatté con naturalezza nella schiena del sicario. Lui cadde a terra con un gemito e Robert abbatté nuovamente l'ascia, questa volta sulla sua testa. Sangue e cervella schizzarono contro di lui e di lei. Robert lasciò là l'ascia e abbracciò sua moglie.

-Va tutto bene, piccola. Tutto bene. Dov'è sono i nostri figli?-

Adele non fece in tempo a rispondere che dalla porta sfondata da Robert uscì un sicario, che si schiantò con forza contro il muro. Una figura sbucò subito dopo di lui e con rapidità lo trapassò al collo con la sua spada. Il sicario cadde al suolo strisciando sul muro e lasciando una striscia rossa.

Darwill guardò verso Robert.

-Padre! Sono felice di vedervi ancora vivi!- disse il figlio maggiore.

-Su, uscite.- disse poi facendo un gesto verso la porta. Uscirono Bremer e Elda, con i visini spaventati.

-Oh... oh il Supremo sia lodato, state bene!- disse Robert. Adele si gettò piangente verso i suoi figli e Robert posò una mano sulla spalla di Darwill.

-Sono fiero di te, figlio mio. Molto fiero.-

Darwill sorrise di rimando.

Non è finita, il tuo re può essere in pericolo.

Non fu necessario cercarlo. Girò la testa dall'altra parte del corridoio e vide Daften girato di spalle e dietro di lui un sicario.

No, non osare.

L'istinto del guerriero riaffiorò naturalmente dopo quell'istante di quiete. Tirò fuori dal cranio del sicario la sua ascia e in un attimo la lanciò. L'arma vortico velocemente fino a giungere sulla schiena del sicario, facendolo cadere rumorosamente al suolo. Daften si volse impaurito e appena vide il sicario a terra ma ancora vivo lo colpì con la sua ascia alla testa, aprendola in due. Poi guardò Daften e nel suo sguardo lesse... delle scuse. Delle scuse che il re mai avrebbe fatto a Robert ma negli anni vissuti assieme Robert aveva imparato a riconoscere quello sguardo. Era lo sguardo di un uomo pentito ma troppo orgoglioso per ammetterlo.

Robert annuì e Daften comprese al volo.

Erano fratelli, avevano controbattuto assieme ogni battaglia. Un litigio non poteva spezzare il legame che c'era tra di loro. Bjorn aveva ragione, come sempre.

A proposito, dov'è quel vecchio ubriacone?

La risposta non tardò ad arrivare, Bjorn arrivò accompagnato da Wilfurr Wolgard, capitano della cavalleria e Shegronald Hosttmar, capitano della guardia cittadina. Erano zuppi di sangue.

Altri sicari. Un attacco combinato in più punti. I bruti si sono superati quest'oggi.

-Quei cani bastardi hanno dato fuoco alle stalle ma siamo riusciti a spegnere in fretta l'incendio. Erano in sette. Per un pelo Gronald, il cavallo di Sua Maestà ci finiva secco.- disse Wolgard. Era un uomo alto e robusto, i capelli biondi con tonalità quasi dorate e due baffetti curati, forse troppo simili a quelli tipici del Sud.

Ha vissuto laggiù per cinque anni il poveraccio.

-Alcuni folli hanno cercato di superare le mura con dei rampini. Una tecnica dei Bruti, mio signore. È chiaramente opera loro.- disse poi Hosttmar rivolgendosi a Daften.

Hosttmar era un uomo magro e dal naso aquilino, dal volto totalmente glabro. Gli mancava l'orecchio sinistro, perso in una battaglia contro i bruti due anni fa. Lui di certo sapeva riconoscere le tecniche dei bruti.

Bjorn si accigliò guardando i suoi nipoti.

-Pare impossibile che quei ribelli abbiano trovato già una nuova guida.-

Daften sposto la testa maciullata del bruto e guardò in faccia quel ribelle.

-Coraggiosi ribelli. Non gli ho mai disprezzati, nonostante il loro desiderio di vedermi morto. Tipi come loro sanno trovare con facilità delle guide, uno muore e presto viene sostituito da un altra figura carismatica. E questo pare abbia voluto puntare piuttosto in alto.-

Robert osservò suo fratello e non si stupì nel vederlo calmo. Daften sapeva mantenere la calma anche durante i momenti di maggior tensione.

Da giovane Robert aveva quasi pensato che a renderlo così calmo fosse il totale disinteresse di ciò che lo circondava. Sembrava quasi che la possibilità di vedere morti suo fratello o i suoi amici non lo scalfisse nemmeno.

Si sbagliava.

Daften teneva al suo popolo e a lui più di ogni altra cosa, era solo riuscito a trovare una calma e una concertazione indispensabili per uno scontro.

Lui era un vero guerriero. Concentrato sul suo obbiettivo che era uno e uno solo.

Uccidere il proprio nemico.

Per difendere la propria casa e i propri amici.

Ma improvvisamente le parole di Shereen tornarono con prepotenza nella sua mente.

“è possibile difendere senza fare del male.”

Libera la mente! Non è il momento di farsi domande filosofiche. Il castello ha bisogno del Guerriero di Ghiaccio!

Robert guardò Darwill.

-Tieni al sicuro tua madre e i tuoi fratelli, qui non siete al sicuro. Andate nelle vostre stanze e rimanete lì finché io non tornerò da voi. Perché tornerò, è una promessa.- disse posando la sua mano sulla spalla di suo figlio.

-Ma... ma io voglio combattere con te!-

-Sei bravo, molto bravo ma non voglio rischiare di perderti. Hai fatto anche troppo e sono fiero di te, è arrivato il momento di lasciare fare a noi.- disse risoluto Robert.

Darwill titubò per un instante e poi se ne andò, portando con se la sua famiglia.

Bremar urlava eccitato di quanto suo padre fosse forte e letale.

Avrei sperato non vedesse tutto ciò ma... l'ha presa piuttosto bene.

-La Regina è al sicuro fuori dal castello.- disse Bjorn.

Daften si limitò ad annuire.

-Quanti sono?- chiese mentre si avviavano lontani da quel corridoio, verso una grande sala situata nell'ala Est del castello.

-Nei piani superiori ne sono entrati una decina. Ne ho uccisi tre o quattro e le guardie hanno fatto il resto ma abbiamo perso degli uomini.- disse Robert.

-I sette delle stalle sono stati uccisi tutti.- disse poi Wolgard tenendo saldamente la sua lancia con entrambe le mani.

-Pochi hanno osato scalare le mura ma alcuni ci sono riusciti. Eravamo impreparati e sono entrati. Ho perso sei uomini. Bravi soldati, maledizione. Pensavo che questo tormento fosse finito.- disse Hostmar con in mano il suo arco di legno.

-Finirà solo quando noi saremo morti.- disse cupamente Daften.

Robert lo guardò dubbioso.

-Ma vi assicuro che non sarà oggi!-

Robert annuì tra sé, ora lo riconosceva.

Era senza armatura, vestito solo con una camicia bianca macchiata di sangue e dei pantaloni neri. Armato di un ascia ma privo di ogni tipo di difesa.

-Sono felice di vederti vivo.- sentì la voce di suo zio dietro di lui.

Robert si girò alzando un sopracciglio.

-Avevi dubbi?-

Bjorn sbuffò.

-Il solito arrogante.-

Robert sorrise nonostante la situazione.

-Una parte di ciò che ero resta in me, zio.-

-E spero che sia restata pure la parte del guerriero invincibile perché ora ne abbiamo dannatamente bisogno!- urlò Daften perché sbucarono dall'ombra sei sicari. Erano in svantaggio, cinque contro sei, ma un solo uomo non aveva mai fatto la differenza.

E io ne darò dimostrazione!

Un sicario armato di balestra puntò la sua arma contro Walgard ma in un attimo Hosttmar incoccò la sua freccia e la scoccò. Fu un lampo improvviso, quasi impercettibile e la freccia si conficcò sulla fronte del sicario. Hosttmar era sempre stato un abile arciere ma mai Robert l'avrebbe pensato così veloce. Non perse tempo a guardare Walgard che con la sua lancia sventrava un sicario e si avventò contro un altro di loro. Il sicario aveva una spada e un pugnale. Robert parò il suo fendente e lo colpì allo stomaco con un potente calcio. Il sicario sbatté la schiena contro una colonna. Robert tentò di decapitarlo ma il fendente sbatté contro la colonna. Guardò in basso e vide il sicario che con velocità si era abbassato. Un veloce ma fortunatamente impreciso fendente tagliò il fianco destro di Robert e sentì la camicia lacerarsi. Lo spazio per colpirò era molto e non esitò. Abbatté la sua ascia sulla nuca del sicario e il sangue gli schizzò in faccia. Il corpo cadde rumorosamente al suolo. Vide Daften uccidere un sicario con la sua ascia e poi vide suo zio afferrare con una stretta micidiale il collo di un sicario. Tenendolo stretto abbatté la sua mazza sulla testa del sicario e sentì il cranio fracassarsi. Era bello rivedere suo zio lottare, era piccolo quandolo aveva visto combattere ed era rimasto estasiato vedendo quell'uomo enorme uccidere degli uomini con la forza delle sue braccia. Venne distratto dai ricordi, come spesso gli succedeva in quei giorni e abbassandosi schivò un pericoloso fendente dell'ultimo sicario. Si accucciò proprio vicino alla spada del sicario morto. La prese e con quella tagliò il fianco dell'assassino, poi ripassò la ferita con l'ascia e il sicario cadde a terrà in preda a terribili gemiti di dolore.

Erano tutti morti.

-Ottimo lavoro di squadra, signori.- sentenziò Bjorn vedendo i cadaveri dei sicari. Un lavoro veloce.

-Credo siano finiti.- disse Daften.

-Daften c'è una cosa che devi sapere.- disse Robert avvicinandosi a suo fratello. Teneva ancora ben strette le sue armi nonostante sembrasse tutto finito.

-Dekof è morto.-

Daften lo guardò e un ombra apparve sul suo viso.

-Abbiamo perso un...- venne interrotto da Robert.

-L'ho ucciso io. Dekof ha tentato di uccidermi, Daften. La sua ascia ha sfiorato la mia testa.-

Daften improvvisamente impallidì.

-Ma che stai dicendo? Dekof mi ha servito fedelmente da quando sono salito al trono.-

-A quanto pare no, fratello. Era un traditore. Ma ora è morto.-

La notizia parve sconvolgere suo fratello. Dekof, un suo fedele servitore, un traditore che per di più aveva tentato di uccidere Robert.

Il tradimento di un amico è sempre stata la cosa che più ha scosso Daften, ancora di più di una battaglia persa.

Anche se non ha mai perso una battaglia.

-I bruti hanno superato il confine che li separava dalla mia ira! Mio re dobbiamo sterminarli tutti, questo è troppo!- disse Hosttmar in preda all'ira e dicendo queste parole si grattò il buco che restava del suo orecchio.

-Un attacco fin troppo organizzato, questo è il mio parere. Non credo che Dekof abbia coordinato tutto, c'è qualcun altro che gli ha aiutati.- constatò Walgard.

Come immaginavo! E qualcuno è d'accordo con me finalmente. Ora nulla fermerà la mia ascia.

-Basta negare l'evidenza, fratello. Gorander ha architettato tutto! Cerchiamolo, sarà qui da qualche parte, ben nascosto quel codardo! Ormai hai aperto gli occhi. Quanti uomini sono morti questa notte solo per colpa sua? Uccidiamolo!-

Si stupì sentendo l'ira che emanava la sua voce.

Se Daften è cambiato, se stiamo entrando in guerra, se la mia famiglia ha rischiato di morire, se Dekof ci ha traditi e io sono stato costretto ad ucciderlo, se mi sento così cambiato, così diverso, se sto provando questa crisi verso i miei ideali... è SOLO A CAUSA SUA!

Poi, inaspettatamente, Daften annuì.

-Andiamo a cercarlo. Ha molte cose da spiegare.-

Robert si sentì improvvisamente sollevato.

Non tutto è perduto... ci sei ancora, fratello. Come ho fatto a dubitare?

Lo sguardo di Daften fu chiaro. Pure quelle erano delle scuse, avrebbe dovuto ascoltarlo.

-Che I Signori dei Sepolcri lo proteggano, mai tradire un nordico. Mai!- disse feroce Bjorn. I cinque si avviarono, spalancarono una porta e continuarono per il corridoio. Fu Gorander ad andare da loro. Il Vurkaniano si avvicinò in modo trasandato, era sporco di sangue e aveva ancora il naso sanguinante per il pugno di Robert.

Pensi che qualche goccia di sangue riescano ad ingannarci?

-Oh... oh eccovi qui! Vi ho cercati per tutto il castello! I sicari hanno ucciso dei soldati vurkaniani in questo lato ma siamo riusciti a trattenerli! Quei bastardi hanno ammazzato dei miei uomini! Ma sapevo in cuor mio che voi...- la voce gli si spezzò quando venne colpito alla pancia da un potente calcio di Robert. Gorander sbatté la schiena contro il muro e cadde al suolo senza fiato.

Alzò lo sguardo e vide Robert ergersi sopra di lui, impugnando un ascia e una spada, vestito di semplici abiti ma lordi di sangue. Nei suoi occhi una rabbia e una furia omicida.

-Io...- venne colpito da un altro calcio.

-Hai molto da spiegare, vurkaniano- disse Hosttmar puntandolo con una freccia.

-Se ciò che dirai non mi piacerà il tuo collo avrà una bella fessura, ti avverto.-

Gorander aveva il fiatone.

-Ma... ma non penserete che io centri qualcosa? Io non centro nulla!-

-Quello che hai appena detto non mi piace!- disse Hosttmar tirando la corda.

-NO! No no no no, per favore, non fatemi del male!-

-Troppo tardi.- disse Robert colpendolo con un calcio sul volto.

-Tiratelo su.- ordinò freddo Daften.

Walgard si avvicinò e lo afferrò per il collo. Il volto di Gorander divenne ancora più paonazzo di quello che già era.

-Daften... Daften amico mio... tu non puoi credere che io... no... non puoi.- strascicò Gorander.

Walgard strinse con più forza e gli sbatté la testa contro il muro di pietra.

-Come osi chiamare il Re per nome, cane?! Ti metto la mia lancia su per il culo e te la faccio uscire dalla bocca, fottuto bastardo!-

Ciò che Robert stava osservando era una delle visioni più gratificanti della sua vita.

Daften si avvicinò lentamente e osservò Gorander.

-Te lo chiederò un ultima volta e voglio che la tua risposta sia sincera. Non ha senso mentire ora come ora. Dimmi, amico mio. Hai organizzato tu tutto questo?-

Gorander gemette di dolore.

-No. No, io non centro.-

Daften sospirò e fece un gesto a Walgard. L'enorme cavaliere lo mollò con riluttanza e Gorander perse l'equilibrio. Si sentiva l'odore della sua urina.

Esatto... hai paura. E fai bene. Anche se ti servirà a poco. Nulla fermerà la mia mano quando ti farò a pezzi, cane schifoso.

-Vostra Maestà... mi affido alla vostra clemenza. Siamo... sì, io credo che noi siamo diventati amici... Ne sono sicuro. Tu... tu ti fidi di me! Come... oh, come puoi pensare che io abbia tentato di ucciderti?-

Daften non mosse un muscolo, Robert pensò che si fosse pietrificato. L'unica illuminazione nel corridoio erano le torce, le cui fiamme riscaldavano le gelide mura. Gorander si prostrava inanzi al Re del Nord, tremando come una foglia colpita dal gelido vento delle Alture Innevate.

Uno spettacolo meraviglioso.

Daften si inginocchiò davanti all'Uomo Rosso e lentamente estrasse il suo pugnale. Lo posò con innata delicatezza sul morbido collo di Gorander. Mentre faceva ciò sentì i singhiozzi di Gorander.

-Io non centro... non centro.-

La lama penetrò leggermente e un rivolo di sangue uscì dal collo del traditore.

-Sai...- sussurrò al suo orecchio Daften.

-Ucciderti sarebbe molto gratificante per me. Una grande, grandissima soddisfazione. Vedere la tua gola aprirsi e il sangue colare sulle tue vesti. Vedere i tuoi occhi imploranti di vivere anche quando è troppo tardi. Ma non lo farò.-

Robert si paralizzò.

-Cosa?- disse balbettando.

-Ucciderlo è inutile. Guardalo... un essere così infimo meriterebbe la morte ma il solo ucciderlo mi farebbe sentire un ratto. Teniamolo in vita... facciamolo vivere col ricordo di ciò che ha fatto. Gli spiriti di coloro che sono morti per la tua ambizione ti perseguiteranno, piccolo idiota. Le tue notti saranno tormentate, i tuoi sogni degli incubi terribili. E io ti guarderò... e riderò.-

Vorrei vederlo morto più di ogni altra cosa... ma credo che ciò che Daften ha detto sia peggio della morte. E io, per lui, voglio il peggio.

-Dovremmo lasciargli un ricordo, mio re. I lividi non bastano.- disse Robert.

Daften annuì e gli porse il pugnale.

Non potevi farmi regalo migliore, fratello.

Robert prese il pugnale e si accucciò davanti a Gorander. Lo sguardo del vurkaniano fu carico d'odio.

-Avanti... avanti fallo. Fallo, forza. So che ti piacerà, maledetto. Fallo!-

Un sorriso sadico apparve nel volto di Robert.

-Inizi a conoscermi, vedo.-

Robert prese la mano di Gorander e la sollevò, mettendola all'altezza del suo viso. Mise il pugnale sull'indice della mano sinistra di Gorander e tagliò. Sentì la pelle tagliarsi, l'osso scricchiolare in una dolce sinfonia e una calda colata di sangue bagnarli la mano. Restò a fissare gli occhi di Gorander mentre il Vurkaniano gemeva e piangeva. Occhi imploranti. Riservò lo stesso trattamento anche al suo indice. Altre urla, altre lacrime, altro odore di urina. Robert si alzò, gettando contro la faccia di Gorander le sue stesse dita. Gorander osservò urlando i moncherini, mentre il sangue schizzava.

-Tirate su questo sacco di merda, portiamolo via.- ordinò il re.

Eseguirono gli ordini.

Tutto era finito. Gorander mutilato e umiliato. I sicari uccisi tutti. Il castello salvo e anche il re. Robert ancora vivo così come la sua famiglia.

Ma nulla è destinato a durare.

Mentre si rilassavano attraversando con lentezza il corridoio dalle ombre, abilmente nascosto, uscì l'ultimo sicario. Un movimento veloce e silenzioso. Il pugnale scintillava nella sua mano. Improvvisamente tutto parve fermarsi. Il pugnale si muoveva con incredibile lentezza e si avvicinava al Re. Ogni secondo, scandito dai potenti battiti del cuore di Robert, il pugnale si avvicinava. Robert cercò di muoversi ma fu inutile. Era come paralizzato, immobile, troppo accecato dalla sadica soddisfazione di aver appena torturato Gorander.

Il pugnale si fece ancora più vicino.

Robert aveva ancora il pugnale in mano ma parve pesare come un macigno.

Il peso delle armi. Lo senti solo quando capisci che sono inutili. È proprio vero... nulla si ottiene con la violenza, se non altra violenza. Sangue porta sangue. E noi non siamo immortali.

Improvvisamente il peso scomparve e vide Gorander impugnare il suo pugnale con la mano destra. Si lanciò contro il sicario e il pugnale penetrò nel petto del sicario. Caddero a terra assieme e poi, improvvisamente, tutto tornò a muoversi a velocità normale. Daften aveva gli occhi spalancati ed era immobile. Bjorn si avvicinò a Daften allarmato, Hosttmar e Walgard puntarono le loro armi contro Gorander.

Robert rimase immobile e guardò con gli occhi spalancati Gorander che a suo volta ricambiò lo sguardo. Robert non seppe cosa fare.

Sono... sono un mostro. Io volevo solo ucciderlo... volevo solo vederlo soffrire, vederlo implorare pietà. Volevo sentire il calore del suo sangue sulle mie mani. Volevo rimettere le cose apposto ma... ho sbagliato tutto. Tutto. Daften aveva ragione e con la mia arroganza stavo per portarlo alla morte. Stavo per condannare il mio re, mio fratello, alla morte. E a salvarlo... è stata colui che credevo volesse ucciderlo.

Tutto ciò che aveva provato fino a quel momento sparì. L'odio, la rabbia, il malsano desiderio di vederlo soffrire come un cane bastonato. Tutto scomparve e lasciò un vuoto gelido dentro di lui. Fino a quel momento solo quelle cose lo avevano alimentato, come se fossero le fiamme dentro la fornace della sua anima. Ma ora era nata una nuova, potente fiamma.

La fiamma della fiducia.

-Perdonami.- disse semplicemente e non aggiunse nient'altro. Poi tese la sua mano.

Gorander rimase a guardarlo senza battere ciglio e Robert non seppe interpretare quello sguardo.

Ciò nonostante afferrò con forza la mano di Robert.

 

 

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Capitolo 25
*** Che questa pace possa durare ***


Capitolo 24

Che questa pace possa durare

 

L'aria le accarezzava con dolcezza i capelli, muovendoli delicatamente. Il vento trascinava il suo profumo verso di lui ed egli inspirava a pieni polmoni. Un delicato profumo di ciliegia. La luce del sole accarezzava anch'essa il suo viso con innata delicatezza e metteva in risalto la sua perfezione. Non un neo o una ruga o anche la più piccola imperfezione appariva sul suo viso. Sembrava scolpita da uno dei più bravi scultori del mondo. Il segno blu ricordava bene dov'era. Sul suo fianco, nascosto dai vestiti ma lui l'aveva visto e ricordava perfettamente la morbidezza della sua pelle e la curva sensuale della sua schiena. Posò poi lo sguardo sui suoi seni, anch'essi perfetti.

Lei poi aprì gli occhi e lui vide quel blu talmente profondo da sentirsi annegare solo guardandoli. Lei sorrise, quel sorriso meraviglioso e dolce come il miele che un tempo riservava solo a lui.

-Da quant'è che mi stai fissando?- chiese.

-Da un po'- rispose sorridendo Hidan.

Nalyssa scosse la testa. -Sempre il solito. Non cambierai mai, eh?-

-Mai.- rispose lui sorridendole.

Nalyssa si sgranchì. Avevano entrambi i piedi penzolanti nel vuoto. Erano sopra il tetto del Tempio Abissale, antica fede degli Uomini Acquatici. Quando erano piccoli andavano sempre là, era un punto semplice da raggiungere arrampicandosi e aveva una vista straordinaria delle scogliere.

Le storie narravano che quelle rocce acuminate un tempo erano i denti del Dio degli Abissi, l'enorme essere che popolava i mari. Suo padre gli aveva narrato da piccolo le storie. Il Dio Degli Abissi aveva creato dalla sua corazza gli Uomini Acquatici mentre dal suo addome erano nati i Litumani. Egli alla sua morte si trasformò in un isola che venne chiamata Aquamar. Altre storie dicevano che il mare fosse addirittura il suo stesso sangue. Proprio per questo gli Uomini Acquatici, quando bevono l'acqua salata del mare, sentono le loro forze rinvigorirsi.

-Sembra passato poco tempo da quando venivamo qui solo io e te, vero?-

Hidan guardò gli scogli.

-Già. Invece sono passati anni.-

-Mi dispiace di averti trascurato per tutto questo tempo.- disse lei con una nota di tristezza nella voce.

Hidan scosse la testa. -Non mi hai trascurato, figurati.-

Lei lo guardò con un volto incredibilmente tenero.

Hidan la guardò con la coda dell'occhio, accigliandosi.

-Perché mi guardi così?-

-Lui non è migliore di te.-

Hidan sospirò.

-Non iniziare.-

Lei fece il broncio.

-Riesco a capire quello che provi, sai? Ti conosco da quando eravamo bambini.-

Lui sbuffò innervosito.

-Non cercare di psicanalizzarmi, Nalyssa. Tu mi conosci fin troppo bene e sai che non sto pensando a quello.-

Lei rise.

-Appunto perché ti conosco fin troppo bene so che stai pensando esattamente a quello.-

Mi conosci troppo bene.

Hidan guardò gli scogli e non disse nulla.

Lei si avvicinò a lui.

-Siete entrambi delle brave persone. Anche tuo padre, il re. Lui è il nostro re, è un uomo retto e giusto, saggio, deciso. Kordovar è un abile guerriero e stratega e anche navigatore. Tu sei intelligente, affascinante e colto. In modo diverso siete tutti delle brave persone.-

Ma hai scelto lui alla fine. Non l'intelligente, affascinante e colto Hidan. Ma Kordovar. E ti capisco.

Si ritrovò comunque ad annuire.

-Ti ringrazio ma ti ho detto che non sto pensando a quello.-

-E a cosa allora?-

-A niente.-

Nalyssa fece nuovamente il broncio.

Ok forse è meglio uscire da questo silenzio imbarazzante.

-E tu a cosa stai pensando?-

Nalyssa storse la bocca in una smorfia.

-Bah... niente.-

Hidan sorrise. -Il matrimonio?-

Lei fece una faccia perplessa poi sbatté il pugno sul palmo della mano sinistra.

-Ah già il mio matrimonio, me ne ero scordata!-

Hidan rise scuotendo la testa.

-Seriamente, sei preoccupata?-

Lei si scrocchiò nervosamente le dita.

-No...-

Hidan rise nuovamente. -Sei una pessima bugiarda, sirenetta.-

Sirenetta. Erano anni che non la chiamava così. Le formalità per la futura regina erano sparite. Ora con lui c'era la sua migliore amica Nalyssa. Si risentì improvvisamente ad anni fa, quando passava intere giornate con lei. Un dolce calore avvolse il suo cuore.

Lei sorrise risentendo quel nomignolo e arrossì un poco.

Oh già. Avevo scordato quanto fosse carina quanto arrossisce. E ho la necessita di baciarla, subito.

-Anche tu mi conosci troppo bene. Sì, sono... molto agitata. Troppo. Cioè il giusto credo non... non so.-

Hidan sorrise divertito dalla sua agitazione.

-Credo sia normale.-

Lei gli cinse con dolcezza il braccio. Quel gesto un tempo sarebbe stato comune, ora era quasi inaspettato.

E se Kordovar ci vedesse?

Ma no, idiota. Sei ancora convinto che lei possa anche amarti. Un tempo forse le piacevi, ora sei il migliore amico. E si sa, il migliore amico al massimo allunga le mani ma di certo non usa la bocca, per quanto tu lo voglia così ardentemente. E se anche Kordovar vi vedesse non ci sarebbe nulla di cui preoccuparsi, poiché non sta succedendo assolutamente nulla, illuso idiota.

-Sono felice che tu sia qui, che mi sei vicino, che nonostante tutto sei rimasto sempre vicino a me anche se ci siamo allontanati. Siamo legati con un filo io e te. E ho ancora più bisogno di te dopo il matrimonio. Ho bisogno di passare qualche ora da sola con te perché quando sto con te mi sento spensierata e tranquilla e torno bambina, anche se per poco tempo. Ti voglio bene, Hidan.-

Nessun pensiero attraversò la sua mente. Quelle parole avevano scaldato il suo cuore e per un attimo Kordovar era stato dimenticato. Per un attimo il sentirsi inferiore era sparito. Per un attimo si era sentito al centro dell'attenzione. Per un attimo.

-Anch'io ti voglio bene, Nalyssa.-

 

La freccia colpì il bersaglio con precisione.

-Ottimo tiro, fratello.- disse Kordovar sorridendo.

-C'è troppo vento però, sicuro che sia una buona idea esercitarci proprio qui?-

-Sicurissimo, fidati di me.-

Hidan si guardò attorno. La scogliera era uno strano posto dove esercitarsi a tirare con l'arco, soffiava un vento forte e le frecce venivano deviate.

-Prima o poi succederà di combattere qui, fratellino. Ed è necessario saper calibrare il lancio.-

-Perché dovremmo combattere qui? Siamo in pace da anni fortunatamente.-

Kordovar sbuffò incoccando la freccia.

-La pace non è mai una cosa duratura, fratellino. Nulla dura per sempre. Prima o poi anche noi saremo in un campo di battaglia.-

Hidan scosse la testa deciso.

-Tu forse, non di certo io.-

Kordovar scoccò la freccia ma manco il bersaglio.

-Ti sbagli. Hai ottime strategia, l'ho notato quando assistevo agli addestramenti di Vashet. E sei abile con l'arco, molto più di me.-

Hidan scoccò la sua freccia e colpì nelle parti centrali del bersaglio.

-Diceva che eri propenso per tirare con l'arco. Hai un ottima vista e devo dire che aveva ragione. Su questa e su molte altre cose.-

Hidan ripensò al suo vecchio maestro. Un uomo dai lunghi capelli color della sabbia, estremamente magro e sempre vestito trasandato, ma dalla forza incredibile. Abile con ogni tipo di arma e saggio. Calmo e carismatico e molto spesso strambo. Camminava sempre a piedi scalzi e a volte dormiva per ore, anche durante i suoi addestramenti. Ciò nonostante era stato Primo Cavaliere della Guardia Blu per dieci anni ed era stato un grande amico di suo padre, forse uno degli unici veri amici di cui Godan potesse vantarsi.

Temo tu stia sbagliando fratello. Vashet era un grande uomo e aveva detto grandi verità. Ma su di me stai pur certo che aveva sbagliato.

-Avrei voluto essere addestrato pure io da lui. Il vecchio Grendis era un tale figlio di puttana!- disse ridendo Kordovar.

Hidan ricordava il vecchio Grendis, chiamato anche Il Dolce. Un nome dato per canzonarlo ovviamente. Quel vecchio aveva un caratteraccio non indifferente. Era capace a picchiarti anche solo se non lo salutavi come si deve o se non lo guardavi negli occhi. Una volta aveva preso a schiaffi Kordovar, il suo principe, solo perché aveva sbadigliato durante una sua lezione. Kordovar raccontava sempre delle urla del vecchio. Quel bastardo era morto un anno fa, alla veneranda età di novantadue anni. E si diceva che quel carattere fosse peggiorato anno dopo anno. E, come per Vashet, nonostante tutto era stato uno della Guardia Blu per tanti anni quanti sono i pesci nel mare. Aveva servito il suo bisnonno, Hiffshan Naustrarer l'Anziano e dopo di lui suo nonno Ashun Naustrarer e per pochi anni anche suo padre Godan. Pochi uomini ad Aquamar erano stati forti come lui. Nonostante la severità Kordovar ricordava spesso con affetto Grendis. Infondo l'aveva cresciuto e gli aveva dato grandi insegnamenti. Uno su tutti: “Quando vuoi una cosa devi prendertela, marmocchio. Devi seguire il tuo desiderio e devi fare di tutto per realizzarlo. Vai controcorrente, fatti credere un pazzo, ma non perdere mai la speranza. Se ci credi e ti impegni, puoi farcela.”

Quelle stesse frase le aveva ripetuto pure a Hidan, ma non seppe mai il perché.

-Vashet è stato probabilmente il più grande guerriero che Aquamar ha avuto negli ultimi anni. Certo era un tipo strambo e tu lo sai, ma era incredibile. Non ho mai visto un uomo muoversi così velocemente e avere una forza tale con quel corpo così esile.-

Grendis era di certo il maestro migliore per te, fratello. Vashet ti avrebbe fatto impazzire.

-Ma Vashet era perfetto per te.-

Vedo che ci capiamo.

Hidan non pensava spesso a Vashet. Era stato invidiato da tutti per il fatto che fosse stato addestrato da lui e che avesse avuto l'opportunità di ascoltare i suoi consigli. Ma a dire il vero Hidan non aveva mai dato retta a ciò che Vashet diceva.

Un grande uomo senz'altro ma pur sempre un uomo. E gli uomini, si sa, sbagliano. Tante belle parole, ma pochi fatti.

Parole inverosimili, ripensandoci ora.

A dire il vero non le ricordo nemmeno tutte. Parlava molto Vashet, ma alla lungo smisi di ascoltarlo. Come potevo ascoltare un uomo che diceva che avessi l'indole dell'eroe? Mi sfotteva, ecco che faceva.

Kordovar la freccia e questa raggiunse il bersaglio, ma nei punti esterni.

-Sei stato con Nalyssa stamattina?-

Hidan sussultò a questa domanda.

Poi si calmò, non c'era motivo per cui allarmarsi. Nessun motivo.

-Sì, abbiamo parlato del matrimonio.-

Kordovar lo guardò curioso.

-E che ha detto?-

-è emozionata, ovviamente. Anche se si è resa conto di aver sposato il principe sbagliato. Preferisce quello bravo a tirare con l'arco, lui sì che centra il bersaglio.-

Kordovar lo guardò cercando di trattenere le risate ma poi cedette e si lasciò andare ad una risata fragorosa.

-Be' è normale che sia preoccupata, lo sono anch'io.-

Non riesco a convincerlo, vedo. Ma come potrei? L'ho detto con ironia certo, ma quelle parole, dette in modo diverso, avrebbero ottenuto lo stesso risultato.

Kordovar guardò il cielo, era privo di nuvole, una giornata limpida.

-Sai... ho aspetta questo momento per tutta la vita. Non me ne rendevo conto ma sin dalla mia nascita volevo una donna che potesse completarmi. E Nalyssa è la donna migliore. È perfetta, tu lo sai bene. Ricordi quando andavamo nelle spiaggia a Est, anni fa?-

Hidan sorrise e annuì.

-Allora non eravamo ancora fidanzati e non pensavo nemmeno al matrimonio. Ma... rimasi ammaliato dalla sua pelle e dal colore che assumeva per il riflesso dell'acqua. Era una sirena.-

Oh lo so bene, il soprannome che le davo non era dato a caso. Mi sembrava una sirena che usciva dalle acque per portarmi con lei. E, ovviamente, mi sarei fatto portare nell'Abisso più oscuro.

Lo farei tutt'ora.

-Mi mancano quei momenti, sai? Eravamo molto più uniti. Poi io e lei abbiamo legato e... ti abbiamo trascurato. E mi spiace per questo.-

-Non devi scusarti.-

è la giornata delle scuse, mi pare di capire.

Però anche Hidan ripensò a quei giorni e non poté fare a meno di provare un moto di nostalgia. Erano assieme, uniti, amici. Sapeva che senza di loro non avrebbe potuto vivere perché la loro voce allietava le sue giornate e camminare con loro per le vie di Aquamar, salutando i cittadini e lanciando occhiate seducenti alle giovani donne (ottenendo le occhiatacce di Nalyssa) pareva il migliore dei passatempi. Giorni in cui mangiavano in uno dei tanti ristoranti di Aquamar senza badare agli sguardi stupiti dei cittadini, in cui ridevano spensierati, in cui facevano lunghi viaggi a cavallo in altre città. A visitare le piantagione degli alberi dalle foglie blu di Onnyuga, i fondali marini che uscivano dall'acqua come delle montagne a Sporkalt, la Città dal Mare Montuoso. Oppure a osservare l'incredibile paesaggio di Zeghold, la città dei delfini, dove ogni luna piena i delfini compivano meravigliose acrobazie illuminati dalla pallida luce della luna.

Giorni così lontani... ma ancora vivi nel suo cuore. Chiari e nitidi come la prima volta che erano accaduti.

Ringraziò Kordovar per avergli fatto tornare alla memoria quei bei momenti.

-No io ho bisogno di te, fratello. Siamo legati in modo indissolubile, sin da piccoli. Io ti ho sempre stimato. Che tu ci creda o no sei stato un punto di riferimento per me. Da piccoli osservavo come affrontavi il fatto di essere il secondogenito e di non essere mai considerato dagli altri e... hai sempre affrontato queste cose con grande forza e con dignità.-

A quanto pare tutti vedono in me qualcosa che non c'è.

Quel pensiero gli fece tornare in mente una cosa che gli disse Vashet.

Si stavano allenando con l'arco e Vashet stava esaltando le doti di Hidan.

“Incredibile. Davvero incredibile. Hai una precisione millimetrica, pochi possono fare lanci da così distante con tale precisione.”

Hidan aveva sbuffato e si era guadagnato uno sguardo accigliato di Vashet.

“Dubiti?”

“Non sono così bravo, maestro.”

“Ah lo sei invece. Molto più di me”

Hidan aveva scosso la testa seccato.

Vashet lo aveva guardato con occhi carichi di amarezza.

“Perché continui a comportarti così, Hidan? Te l'ho già detto mille volte, con l'impegno e la buona volontà si può ottenere tutto. Ma con la fiducia in sé stessi si può ottenere ancora di più.”

Hidan aveva nuovamente sospirato, questa volta in modo seccato.

“è solo... è solo che tutti vedono in me cose che non sono. Un buon principe, un discreto spadaccino, un uomo affascinante, un abilissimo arciere. Io... Vashet io non sono niente di tutto ciò. Io non sono nulla ed è ora che la gente lo ammetta e che smetta di adularmi solo perché faccio loro pena. Il povero secondogenito che mai raggiungerà la gloria del padre e le abilità del fratello maggiore.”

Vashet non aveva parlato per molto tempo ma poi il suo sguardo si era addolcito e aveva sorriso.

“Tu non fai pena a nessuno, Hidan. E se qualcuno prova pena per te significa che non ti conosce. Che non sa la grande persona che sei.”

Hidan aveva schioccato la lingua seccato.

“Ecco, vedi?!”

Vashet aveva alzato la mano per calmarlo.

“Tu hai tutte queste doti. Ma solo perché tu non le vedi significa che non ci siano?”

Si riscosse da quel ricordo.

Ultimamente ricordo cose che avevo dimenticato seppur non sia passato così tanto tempo. Ma perché proprio ora? Che senso ha ricordare cose che per me non hanno nessun significato?

-Ti ringrazio, fratello. Ma vedi qualità dove non ve ne è alcuna.- disse infine, non badando i suoi pensieri.

 

Il re osservava silenzioso la sua città, Aquamar, con uno sguardo che pareva perso in ricordi lontani. Talmente lontani che forse erano dimenticati ma... no, Godan Naustrarer non dimenticava nulla. Il passato era come legato con una catena a lui e ogni volta che tentava di pensare al futuro il passato diventava un ancora che lo fermava. Quello forse era l'unico difetto di suo padre. Ancorato al passato e timoroso del futuro. Hidan conosceva quello sguardo. Suo padre lo faceva sempre quando ripensava a tempi lontani oceani di distanza. Hidan era appoggiato con la schiena alla ringhiera di pietra della terrazza e mangiava placidamente una mela mentre Godan stava appoggiato alla medesima ringhiera con le possenti braccia scoperte. Il re indossava un vestito azzurro che lasciava scoperte le braccia villose. Olbo, il maggiordomo del re, stava tranquillamente seduto in una poltrona a leggere un libro. Tale privilegio era permesso solo a Olbo (stare seduto su una poltrona del castello) perché era stato alla stregua di un secondo padre per Godan. Ora era vecchio e pieno d'acciacchi ma sempre ligio al dovere.

Godan sospirò e Hidan lo guardò curioso.

-A cosa pensi?- gli chiese poi masticando la sua mela.

Godan rimase a guardare la distesa di edifici che pareva gettarsi in mare.

-Penso a tempi molto lontani. Oggi ho visto te e tuo fratello allenarvi sulla scogliera, nel punto in cui si riesce a camminare. Vedendovi assieme ho sorriso, mi ha ricordato quando eravate piccoli, praticamente incollati. Ma poi il mio sorriso è svanito.-

-Perché?- chiese Hidan nonostante conoscesse già la risposta.

-Astor.- il nome di suo zio uscì dalla bocca del Re come se fosse qualcosa di velenoso.

-Ogni volta che vi vedo assieme ripenso a me e lui e...- si interruppe senza sapere cosa dire.

Hidan cercò di intervenire ma poi Godan si riprese.

-Tu non eri ancora nato quando avvenne tutto. Anni di guerra fratricida. Immaginati di dover combattere contro tuo fratello, sangue del tuo sangue, per anni. Uccidere i suoi uomini, distruggere le sue navi. Resistere ad agguati architettati dallo stesso fratello che giocava con te da ragazzo. Tutto per quel dannato trono. Tutto per quella dannata corona.-

Hidan morse nuovamente la mela.

-Sai, Hidan, la corona è solo un pezzo di metallo. Niente di più. Pesa, certo, ma non peserà mai come ciò che rappresenta. A pesare davvero è il simbolo. La corona è il re e il re deve reggere su di se un intero popolo. Non tutti possono reggere a questo. Ricordi Krotton Naustrarer Il Pauroso?-

Hidan annui inghiottendo il pezzo di mela. -Colui che rifiutò la corono dopo tre anni e la passo a suo fratello Kristen Il Consapevole.-

Godan annuì.

-Krotton sentì il peso della corona e ne fu spaventato tanto che la cedette al fratello. Per avere una corona devi avere forza d'animo, consapevolezza delle tue doti, sicurezza. Cose che Kristen aveva. Astor voleva quel peso più di ogni altra cosa. Lui aveva tutte le caratteristiche per averla ma la prendeva come un gioco. Una corona non è un gioco, una corona è una responsabilità. Per il desiderio di Astor venne combattuta una guerra e il nostro mare venne tinto di rosso. E la cosa più dolorosa di tutte è che io amavo Astor. Per me era un punto di riferimento, quasi un idolo. Era più piccolo di me di tre anni ma aveva tutto quello che io non avevo. Determinazione, sicurezza, coraggio. Era un grande uomo.-

Hidan rimase perplesso. Pareva impossibile che suo padre fosse stato in gioventù... del tutto simile a lui.

-Poi vidi quel fratello a cui io volevo un bene immenso voltarmi le spalle, tentare di uccidermi. L'ultima volta che ci parlammo... vidi l'odio nei suoi occhi. Il disprezzo più totale. Il desiderio di quella corona l'aveva portato a dimenticare tutto ciò che io e lui eravamo stati. Fratelli. L'ultima volta che lo vidi... non ci furono parole. Ci fu solo il suono delle nostre lame che si scontravano e infine il suono della mia lama che trapassava il suo collo e tagliava la testa. Mi volsi subito... non volli vederlo morto. Nonostante tutto, Hidan, nonostante tutto quello che Astor ha fatto... io gli voglio ancora bene.-

Hidan sentì un nodo alla sua gola. Il tono della voce di suo padre era triste, molto triste e immaginò gli stessi avvenimenti solo con lui e Kordovar come protagonisti. Suo padre aveva patito la peggiore delle sofferenze.

-Ti faccio un altra domanda. Ricordi Tessor Naustrarer?-

-Certo. Fu il fratello del re del tempo, Arkard Naustrarer Occhio d'Oblio, uno dei più grandi navigatori di tutti i tempi.-

Godan sorrise. -Esatto. Tessor accettò di buon grado il fatto di non essere il successore. Fu sempre vicino a suo fratello, il suo più fidato servitore.

Ecco... Hidan, io voglio che tu sia più come Tessor che come Astor.-

Temi forse che io possa affrontare Kordovar, padre? Mi credi capace di farlo? Oggi pare sia la giornata del “vediamo Hidan per ciò che non è”

-Stanne certo.- disse infine.

Tutti quei discorsi per concludere con un inutile richiesta. Sii una brava persona e non portare questo regno alla rovina.

Non mi serve fare nulla, la mia sola presenza fa colare a picco quest'isola.

 

La vela porpora sventolava mossa dal vento del Sud. Il sole stava calando ma la nave era chiaramente visibile. I marinai si mossero agitati nelle banchine e i carpentieri interruppero il loro lavoro osservando la barca che si avvicinava. Godan, Hidan e Kordovar camminarono con passo sicuro nella banchina e si fermarono appena la nave attraccò. Dalla barca, di piccole dimensioni, uscì un uomo vestito con un lungo mantello nero che gli copriva il corpo, naso aquilino, sopracciglia sottili e baffetti curati.

Appena sceso, accompagnato da due grosse guardie, si guardò attorno e poi volse il suo sguardo ai tre Naustrarer.

-Oh che piacere vedervi già qui, miei signori. Immagino che le vedette abbiano una vista aguzza, eh?- disse sorridendo.

Godan non disse una parola.

Il messaggero attese una parola ma nulla uscì dalla bocca del re. Annuì e si batte una volta le mani per poi strofinarle.

-Ah, va bene. Il mio nome è Arfons Geraldin, messaggero di Noveria per conto del Grande Inquisitore in persona, Messaggero della Suprema Rivelazione, Signore di Nibeluria, Massima Autorità di Noveria, Primo Cacciatore di Infedeli e ovviamente Generale Supremo dei Cavalieri del Braccio e dei Sacerdoti dell'Occhio.-

Impossibile non temere un uomo come quel vecchio. In vita da non so quanti anni e con un potere enorme. Andare contro di lui sarebbe follia pura.

-Il mio signore mi ha inviato qui per chiedere il vostro sostegno. Immagino conosciate le Profezie, vero? Questo è il diciassettesimo anno di vita in questa terra della figlia del Supremo. I Sacerdoti dell'Occhio l'hanno finalmente trovata ma purtroppo ella è in fuga e strenuamente difesa da un traditore incredibilmente abile e fortunato. Trovarla è la nostra priorità ma ci risulta difficile data l'ostilità del Nord e di Vurkan. Perciò ci affidiamo ai Trattati. Aquamar è nostra alleata e ora chiediamo il vostro totale supporto per la guerra. Ci sono state incursioni di Nord in territorio Noveriano e boschi bruciati nell'Est. Ah già, dimenticavo, i Celestiali stessi sono discesi sulla Terra per cercare la ragazza e in poco tempo hanno sbaragliato la divisione Ovest del nostro esercito. Una guerra sanguinosa sta dilaniando il Grande Continente e la vostra flotta è necessaria, di vitale importanza.-

Abile con le parole, il messaggero, non v'è dubbio alcuno. Una guerra si affaccia all'orizzonte e credo che un rifiuto non sia plausibile.

Nonostante cercasse di pensare con tranquillità alla faccenda, Hidan sentiva le sue mani tremare incessantemente.

Attese qualche parole ma suo padre non dava segni di vita. Lo guardò e ciò che vide lo fece rabbrividire. Quello sguardo... Quello sguardo.

Lo conosceva benissimo. Era lo sguardo di suo padre infuriato, adirato come non mai. Quando era così nulla poteva fargli cambiare idea e nulla poteva placare la sua rabbia. Solo sua madre ci sarebbe riuscita, ma lei era morta da molto tempo. Poi improvvisamente a Hidan tornarono alla mente delle parole dette da suo padre mesi fa. Parlava della guerra civile contro Astor.

“Sai, io chiesi aiuto durante la guerra. Vedevo il mio popolo morire di fame, i fondi scarseggiavano e il sangue scorreva. Perciò chiesi aiuto a Noveria, sperando nella loro buona fede. Ma nulla. Inviai tre volte tre messaggeri ma tornarono sempre indietro senza risposte. Mentre io uccidevo mio fratello, Noveria era restata a guardare divertita. Mentre io rovinavo la mia vita loro erano restati a guardare.”

Oh no... no, no, no padre, no! Non siamo pronti. Non siamo pronti a... questo.

-Da me non avrete nessun aiuto.- fu la risposta secca di Godan Naustrarer.

Come immaginavo.

Il messaggero spalancò gli occhi.

-Cosa?-

-Mi hai sentito. Me ne fotto dei trattati. Dov'eravate quando io combattevo da solo per dare un futuro a quest'isola? Siete stati fermi a grattarvi i vostri culi lardosi. Da me non avrete nulla!-

Il messaggero rise nervosamente.

-Scelta stupida. Ma vi farò cambiare idea. Sta arrivando proprio ora la flotta Noveriana, l'intera flotta Noveriana.-

-La stavate portando comunque, a scanso di equivoci?-

-Il rifiuto è un eventualità stupida ma possibile. Noveria è preparata a tali stupidità. E per la vostra, di stupidità, avete condannato questo regno alla distruzione!-

Godan sorrise. Un sorriso quasi folle.

-Fate pure. Attaccateci. Ora ci vedete eh, ora sapete della nostra esistenza? Dite pure al vostro Grande Inquisitore che io ascolto i messaggeri... e che sono qui ad aspettare la sua flotta.-

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Uno Scopo ***


Capitolo 25

Uno Scopo

 

-Ha detto che Kalad di Gothfresh, uccisore di Inquisitori e di Gorvashor, Difensore della Figlia del Supremo, Possessore della Spada di Fuoco e Assassino di Marxal L'Arciere... non si fa uccidere tanto facilmente.- disse il Discepolo.

Nodamor guardò il Discepolo. Era seduto su una specie di trono che i suoi nuovi alleati avevano fatto costruire. Al suo fianco stava Athamor, attento a ciò che succedeva.

Nodamor aveva lo sguardo perso nel vuoto.

-Marxal... è morto.-

Il Discepolo abbassò lo sguardo.

-Sì... sì, mio signore.-

Athamor si agitò nel suo seggio.

-Oh che i Cieli lo abbraccino... così giovane.-

Nodamor sentì una fitta colpirlo allo stomaco.

Ricordò gli occhi di Marxal arrossati per la morte di Allyma, ricordò il suo sorriso spavaldo. In quel momento l'invidia che aveva provato nei suoi confronti sembrava una stupidaggine infantile.

-Questa guerra ci porterà altra morte e sofferenza, Nodamor. Dalla guerra non si ricava niente di buono.- disse Athamor.

Nodamor strinse i braccioli del trono.

-è stato Elomer stesso a decidere... metti in dubbio la sua scelta?-

Athamor scosse la testa.

-No no no, non lo farei mai.-

Nodamor sospirò.

-Dovresti invece. Ah non siamo gli artefici del nostro destino, mio vecchio amico. Non più, almeno.- poi guardò il Discepolo. Era ferito ma aveva ricevuto subito delle cure. Aveva detto di essere stato il più fortunato.

-Parlami di questo Kalad. Voglio sapere chi è colui che ha ucciso il Dio degli Arcieri.-

-Come mi comanda, mio Signore. Egli è un uomo piuttosto giovane. Possiede una spada di fuoco. Non so come sia possibile. La spada... era incandescente, come se fosse stata immersa nella lava Vurkaniana e ne fosse uscita indenne. Ha gli occhi marrone chiaro e il suo sguardo è terrificante. Durante la battaglia gli occhi erano più chiari, sembravano quasi brillare. Sembrava un lupo.-

Nodamor sbuffò.

-I lupi sanno essere più nobili di quel vile.-

-Ha ucciso quattro Discepoli e un Dio da solo, mio signore.-

-è abile, non lo metto in dubbio. Ma rimane pur sempre un uomo, un uomo ferito. Non può muoversi ancora a lungo.-

-Io... se fossi in voi lo temerei di più. Egli ha ucciso da solo un Gorvashor ed è un Deicida!-

-È un uomo qualunque, solo molto fortunato e diventato improvvisamente importante per la pazzia di difendere una lurida sgualdrina.-

Athamor si porse vicino a Nodamor.

-Le sue gesta sono indiscutibili, non mancherà molto che la voce si sparga. Qui già molte persone hanno sentito tali parole. Quel Kalad è un guerriero da temere, Dio del Coraggio.-

Nodamor sorrise.

-Sono ben altri i nemici da temere. È il Grande Inquisitore da temere, è Daften Holdar e Argon Falltayer. Non quel tale... Kalad di Gothfresh.-

Con un gesto liquidò il Discepolo, poi si alzò. I giorni trascorsi ad organizzare le truppe in quell'enorme base nascosta gli aveva provocato una grande nostalgia dell'aria. Si alzò anche Athamor, le sue vecchie ossa faticarono a metterlo stabile in piedi.

Nodamor sospirò.

-Sono troppo vecchio per ciò, Athamor. Ho combattuto troppe guerre. Ho visto troppi amici morire. E ora pure Marxal...-

Athamor si mise al suo fianco.

-La vita è dura anche per un Dio, anche per una persona messa al di sopra degli altri. Ma nella tua carica sta il significato.-

-Dio del Coraggio? Ah, inizia a mancarmi, ormai. Tempi troppo bui si profilano all'orizzonte. E ora questa notizia.-

-Tu sei Nodamor, il Dio del Coraggio. Tu sei lo spirito che da forza al cuore degli uomini, sei l'energia, sei la... Linfa Vitale... che fa muovere gli uomini, che li fa agire, che li fa combattere per qualcosa, per qualunque cosa.-

Nodamor mise la sua mano sulla spalla dell'amico.

-Sei un amico, vecchio mio. La tua Sapienza mi è sempre stata di conforto. Ma cosa accade... quando anche il Dio del Coraggio dimentica per cosa combatte?-

-Questo non sta a me dirlo, sei tu che devi capirlo.-
Nodamor si focalizzò sul pavimento.

Per cosa combatto?

Non riuscì a darsi una risposta perché arrivò al suo fianco Emakoon, l'anziana guida dei loro nuovi alleati. Emakoon era un vecchio che nella sua vita aveva affrontato varie vicissitudini, parte della sua famiglia era stata uccisa dall'Inquisizione. La famiglia di Emakoon aveva continuato a venerare i Celestiali andando contro il volere del Supremo. Emakoon era riuscito a fuggire grazie alla protezione di suo nipote, un giovane di nome Irash. Irash era un giovane biondo dalla grande forza d'animo. Abile con la lancia e molto intelligente.
Il carisma di Emakoon lo aveva portato a formare un gruppo di fedeli ai Celestiali chiamati Ferventi. Erano un gruppo numeroso che si era situato in quell'enorme crepa sul terreno. Avevano trovato degli antichissimi scavi. Erano enormi e risalivano forse agli anni del Grande Gelo. I Ferventi erano migliaia, anche donne e bambini, ma soprattutto giovani nel fiore dell'età e pronti a dare tutto per i loro Dei.

-Mio Signore.- disse Emakoon.

-Dimmi.-

-Ho parlato con i miei compagni e crediamo di essere pronti per marciare.-

Nodamor lo guardò. Era vecchio, molto vecchio. I suoi lunghi capelli erano bianchi e la sua pelle piena di rughe. I suoi occhi diventati grigi per il passare degli anni.

-Sei sicuro? Ti senti pronto?-

-Ho affrontato cose ben peggiori di una marcia sotto il sole! E poi è il volere di un Dio e chi sono io per rifiutare?-

-Non voglio che tu muoia là fuori, vecchio amico.-

-Mio Signore io seguo ciecamente il vostro volere. Ma i Ferventi hanno bisogno di me. Hanno bisogno della Voce.-

Nodamor si accigliò.

-La Voce?-

-Io sono la Voce dei Ferventi, ciò che loro vogliono viene detto da me.-

Nodamor sorrise.

-Un modo corretto. Si eviterebbe di sentire la parola di certi idioti.-

Emakoon rise. Poi si fece serio.

-Noi Ferventi abbiamo deciso di avviare la Veglia Funebre di Dio Marxal, è necessario onorare la sua memoria.-

Nodamor annuì. -è vero.-

La veglia funebre avvenne nel più totale e religioso silenzio. Anche i bambini smisero di giocare e i vecchi di tossire. Non si udiva nemmeno il suono dei respiri. In un muro vennero disegnati dei graffiti, da un ragazzo giovane e dalla mano ferma. Vennero disegnati l'arco, l'aquila e la freccia. I suoi tre simboli. Vennero bruciate delle erbe e il fumo dall'odore acre li avvolse. Emakoon si inginocchio davanti ai tre graffiti.

-Un nostro Dio è morto. Il Dio degli Arcieri, Marxal. Ucciso dalla spada di un Soldato Inquisitorio. Un soldato traditore del suo stesso popolo e anche nostro nemico. Egli ha commesso un atto ignobile... uccidere un Dio, un fatto che non avveniva da duecento anni. Ma noi, noi ferventi, noi servi degli unici e veri Dei marceremo per impedire che ciò accada di nuovo. E con i nostri corpi e le nostre armi di ferro difenderemo i nostri Dei.-

Non ci fu alcun tipo di esultanza, solo un tacito consenso.

Athamor fece un passo avanti.

-Marxal era giovane... e inesperto. Ma nella sua inesperienza aveva dimostrato di essere più valido di molti altri Dei. Con lui... se ne vanno molte speranze e buoni propositi. Ma... la morte non è un limite. Non dobbiamo vederla come un muro e non dobbiamo aver paura di schiantarci contro di esso. Siamo in guerra e la morte si muove dietro di noi o al nostro fianco. Non dobbiamo temerla perché è là che tutti gli esseri viventi finiscono, in un modo o nell'altro. Possiamo provare ad aggirarla certo, ma sarà solo uno spreco di tempo. Perciò io vi dico... non temete la morte, non temete di perdere tutto. Perché morirete per una giusta causa. E poi... ci rincontreremo tutti, prima o poi.-

Nodamor perse il suo sguardo nel vuoto.

Morirete... per una giusta causa.

Ma quale causa?

Nodamor rimase fermo spostando il suo peso da un piede all'altro. Si sentiva come un bambino che stava per dire di aver fatto una marachella alla madre.

Si sentiva un idiota.

Poi finalmente fece un passo. Sentiva la gola secca e mandare giù la saliva era come ingerire un sasso.

-Marxal...-

Athamor gli pose la mano sulla spalla.

-Marxal era... un giovane dal grande cuore. Presuntuoso e... pieno di sé. Scavezzacollo e anche un grande idiota.- si rese conto che stava stringendo con forza il pugno.

Athamor si accigliò.

-Ma era anche... un mio amico. Era fiero, orgoglioso ma mai in modo esagerato. Era la giusta mistura di presunzione e saggezza. Era... come molti di noi dovremmo essere. Aveva uno scopo, era giovane e voglioso di fare la sua parte. Aveva uno scopo... e sono certo che è morto per una giusta causa. Quale intendesse lui per giusta causa non lo so dire. Ma ho sempre saputo che lui aveva le idee chiare. Lui sapeva, sapeva, perché combatteva. Perché uccideva. Sapeva qual'era la sua causa. Lui lo sapeva. Lo sapeva...-

Riuscì quasi a sentire i pensieri di Athamor.

“Sta perdendo la forza. Sta perdendo la retta via.”

E se lo stava pensando, stava pensando il vero.

Stava perdendo la retta via.

Era sceso dalla Città Volante con l'intento di prendere la ragazza e portarla là su. Dove poi sarebbe stata giustiziata. Marxal c'era andato vicino, ma era morto nell'impresa. Era morto. Un'altra vita strappata, un altro Dio morto.

Aveva affrontato troppe guerre, visto troppo sangue. Era stanco. Molto stanco.

La guerra civile, la Guerra Santa e ora questa. Il coraggio diminuiva e provava paura di uscire alla luce del sole e marciare. Iniziava a temere la morte.

Ma morendo... potrò rivedere Allyma.

Spalancò gli occhi.

Rivederla. Avrebbe dato qualunque cose per stringerla, anche solo un'altra volta, tra le sue braccia. A volte, nella solitudine della sua stanza, la vedeva al suo fianco, intenta a cantare una dolce sinfonia. Una di quelle che era solita cantare in cima alla torre di Konderham, scaldata dal suo abbraccio. E appena cercava di toccarla, di accarezzarla... spariva e si rivelava per ciò che era.

La sua immaginazione.

Anni di guerre avevano affievolito il suo spirito combattivo. Non era più il giovane dio che era cresciuto durante la guerra civile. Non era più il condottiero esperto e preparato e anche arrogante della Guerra Santa. Era il vecchio e stanco Nodamor della folle Guerra del Grande Continente.

Il funerale finì com'era iniziato.

Nel più assoluto e totale silenzio.

Le parole di Nodamor erano state fredde e allo stesso tempo cariche di rammarico.

Rimorso per non aver potuto salutare Marxal, rimorso per non aver potuto guidare l'esercito.

Rimorso per non aver chiesto scusa per la sua stupidità.

 

-Sapete... ero piccolo quando sono venuto qui.- disse Devan.

Nodamor si volse e lo guardò.

Devan gli sorrise.

-Avevo dodici anni. Ero venuto qui con una spada in mano, e con quella spada in mano... era finita anche la mia infanzia.-

Devan passò la mano sulla ruvida roccia che li circondava.

-Mi sono dovuto far rispettare dagli altri ragazzi. Sono stato picchiato e ho picchiato. Sono stato offeso e ho offeso. Ho anche ucciso. Ma c'è stata una cosa che mi ha sempre accompagnato... il coraggio.-

Nodamor osservò attentamente Devan.

Devan era un giovane uomo dal fisico atletico, dagli occhi verdi con sfumature marroni, i capelli lunghi biondi legati in una treccia e un pizzetto curato. Indossava una divisa rossa.

Nodamor ricordava quella veste.

Era la divisa che indossava Thelam, il suo Primo Discepolo.

I Primi Discepoli erano i compagni dei Celestiali che avevano il compito di accompagnarli e di appoggiarli nelle faccende politiche e non solo. Era alla stregua di un Primo Sacerdote. Thelam era stato il suo Primo Discepolo molti anni fa. Un uomo fiero e saggio. Un guerriero formidabile. Combatterono fianco a fianco durante la Guerra Santa. Ma Thelam venne ucciso nella battaglia delle Steppe Nere, a confine con Vurkan.

Le fiamme divampavano ovunque, le urla erano assordanti. I Cavalieri del Braccio sbaragliavano le difese. Cercò di trovare Thelam, ma un Cavaliere fu più veloce. La lama tagliò la gola del suo Primo Discepolo e le steppe nere si tinsero del rosso sangue del suo amico.

Ogni volta che ripensava alla Guerra Santa, ripensava anche a tutti gli amici che aveva perso.

Anche Thelam era un suo amico e anche lui era morto.

Devan era identico al suo trisavolo. Aveva lo stesso spirito combattivo e anche la stessa saggezza, per quanto fosse ancora molto giovane.

E soprattutto, dentro di lui ardeva un indomabile coraggio.

-Assomigli molto al tuo trisavolo, Devan.-

Devan sorrise.

-Mio padre mi parlava spesso del mio trisavolo. È stata la figura più di spicco della nostra famiglia. È sempre stato un esempio per me, ho sempre voluto diventare come lui.-

Devan sospirò e poi guardò il muro. Passò le dita sui graffiti. Erano i simboli sacri a Nodamor. Un uomo rosso stilizzato stava sopra una montagna, con levata verso il cielo una lancia. L'uomo rosso, la lancia e la montagna. Quei simboli, in quel momento, non gli parevano avere alcun tipo di significato.

-Voi siete stato un altro esempio per me... il principale. Mi svegliavo la mattina sperando di incontrarvi, di rivolgervi la parola. Ho combattuto contro i soldati dell'Inquisizione per sopravvivere con l'obbiettivo di incontrarvi. E ora che ho coronato questo mio sogno... ho un altro obbiettivo. Servirvi con tutto me stesso. Il mio trisavolo aveva dato la vita per difendervi e io continuerò la sua opera, vi difenderò con tutto me stesso.-

Anche lui aveva un obbiettivo.

-Perché lo fai? Perché vuoi sacrificare la tua giovane vita per difendere me?-

-Perché siete il mio Dio. È così che funziona la religione, no? Si deve essere disposti a morire per il proprio Dio e per ciò che rappresenta.-

Nodamor toccò la fredda roccia. Era gelida, nonostante le torce attaccate su di essa.

-Spiegati.-

-Rischiare la proprio vita per un altro essere vivente è il più grande atto di coraggio che esista.-

Nodamor annuì.

Se si potesse trasmettere la divinità di certo la darò a lui. Almeno lui sa per cosa combatte. Ha una motivazione, uno scopo. Almeno lui è coraggioso.

-Devan.- disse Nodamor.

Devan lo guardò curioso. Ogni cosa che Nodamor diceva o chiedeva era come oro colato per il giovane.

-Per te che cosa rappresentano questi simboli? L'uomo rosso, la lancia levata in cielo e la montagna. Hanno un significato per te?-

Devan ci pensò, osservando attentamente il graffito.

Nodamor attese la risposta in trepidazione.

-Per me... per me rappresenta il coraggio. L'esempio più lampante di coraggio.-

Nodamor lo guardò perplesso.

-Definisci il concetto.-

-Salire su una montagna troppo alta, con in mano una lancia troppo affilata, rischiando la vita. Ma quando arriva in cima, dopo che ha usato tutto il suo coraggio... non si riposa... ma solleva la lancia e incita il popolo ad essere coraggioso e a non avere paura.-

Nodamor sentiva il cuore battere forte.

Una montagna troppo alta, una lancia troppo affilata.

 

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Capitolo 27
*** L'unico fottutissimo amico ***


Capitolo 26

L'unico fottutissimo amico

 

Dopo la violenta tempesta Kanda uscì dal suo riparo assieme al vecchio viandante e il suo mulo. Il vecchio si mosse con grande lentezza e finì inavvertitamente con un piede dentro una pozzanghera.

-Ah, gran brutta tempesta.-

-Già. Davvero brutta.-

Kanda si guardò attorno. Il bosco era in pessime condizioni. Il vento aveva fatto crollare vari alberi, alcuni erano addirittura bruciati per i fulmini. Enormi pozzanghere erano ogni dove e l'aria era carica d'umidità.

La calma però era incredibile, quasi mistica, nessun suono c'era se non il suo respiro, quello del vecchio e gli sbuffi del mulo. Gli ricordava la calma irreale che c'era ogni volta che sopravviveva ad un incursione delle Bestie Nere. Un silenzio innaturale, come se la Morte stessa avesse steso il suo manto su tutti loro. Cercò di allontanare quei brutti ricordi e guardò il vecchio.

-Non mi hai detto come ti chiami.-

Il vecchio lo guardò curioso.

-Non pensavo t'interessasse. Erkol, comunque. E il mulo si chiama Snargul. L'ho preso quando stavo nel Nord, cinque anni fa. Me lo ha venduto un tizio senza denti dal carattere difficile. Bah, tutti quelli del Nord hanno un carattere difficile.-

Erkol aveva il brutto vizio di chiacchierare parecchio. Avrebbe potuto spifferare della presenza di Kanda al primo soldato inquisitorio che avesse avvicinato la sua lama alla sua gola. Ma... Kanda non sapeva dire perché ma si fidava di Erkol. Forse per il dono che gli aveva dato. Il solo tenere in tasca quella pietra lo faceva sentire qualcosa di più di un semplice Q'uoin.

Erkol guardò la sua tasca.

-Tu sai che è quella roba, vero? Io credo che porti sfortuna, altroché. Una squadra di Q'uoin morti, ammazzati chissà da chi. Meglio stare alla larga da queste cose.-

Kanda strinse la tasca, come per paura che la pietra potesse andarsene.

-Sì, so cos'è. Ed è meglio che un umano come te ne stia alla larga.-

-Affari Q'uoin?-

-Affari Q'uoin.-

-Ah voi siete un popolo troppo misterioso, non voglio averci niente a che fare con i vostri affari.-

Meglio per te. Quando si parla di oggetti sacri i Q'uoin sanno incazzarsi peggio di un Noveriano che sente qualcuno bestemmiare.

Erkol si rimboccò le maniche.

-Be' direi che da qui ci salutiamo. Io devo andare per la mia strada e tu per la tua, qualunque essa sia. Sta attento a dove vai. Be' pensandoci... non credo che i Q'uoin possano infastidirti, sei uno di loro.-

Kanda fece un sorriso amaro.

-Oh, rimarresti stupito. Come gli uomini si odiano tra di loro, anche i Q'uoin possono farlo. E appena permetti a qualcuno di fare qualcosa stai pur certo che la farà. Cerca di non farti odiare da nessuno, Erkol.-

Erkol sorrise tra sé e annuì.

-Lo farò. Fammi sapere se quella pietra ti sarà utile.-

-Lo farò.- disse Kanda nonostante fu consapevole che non avrebbe mai più rivisto quel vecchio. Erkol se ne andò in silenzio assieme al suo mulo e Kanda decise che era ora di rimettersi in marcia. Verso Ovest le città e i villaggi erano pochissimi. Tenendo il cappuccio per tener celata la sua identità Kanda chiacchierò con vari viandanti durante la strada e scoprì che il villaggio di Jergon era stato quasi completamente distrutto per la tempesta. Scoprì poi che poco distante da lì, verso Nord, era stata combattuta una terribile battaglia tra l'Inquisizione e i Celestiali. Questi ultimi avevano vinto ma l'esercito è stato disperso per la tempesta. Sentì dire che la flotta Noveriana si era diretta ad Aquamar per ottenere l'appoggio degli Uomini Acquatici e che Argon Falltayer era già da tre giorni in marcia verso il Nord. Durante la strada vide un piccolo avamposto noveriano distrutto e, sulla testa di un cadavere, conficcata un'ascia Nordica. Poi file di noveriani sgozzati, tipica accoglienza Vurkaniana. Sentì poi, dalla bocca di un alto nordico fuggito a Noveria, che nel Nord una roccaforte era stata rasa al suolo per il tradimento del suo stesso castellano, alleatosi con l'Inquisizione. Gli Skarahaad era usciti dalle loro tane a caccia di sangue nordico e i bruti con un nuovo leader. Quel nordico disse a Kanda che voleva andarsene verso le Terre d'Oriente prendendo la prima nave, magari nelle Terre delle Zanne, dove ci sono quelle meravigliose donne dalla pelle color pece, oppure nell'Impero del Sole, in cui gli uomini dalla pelle gialla donano con generosità le loro spezie agli stranieri.

Lo capisco, il Grande Continente è in guerra, una guerra che in pochi mesi è già che dilaga ovunque. Sangue e morte, paura e orrore. Pensavo di essermi allontanato molto tempo fa da queste cose ma a quanto pare mi seguono ovunque. Quando vieni marchiato dalla guerra essa ti segue ovunque. Ora lo so.

Era assorto dai suoi pensieri quando notò l'immobilità dell'aria. Il verde delle foglie parve intensificarsi, come se la vita fosse tornata in quella foresta, senza badare alla guerra che incombeva. Un profumo inconfondibile, un profumo che solo un Q'uoin poteva conoscere. Petali di Tulìssa, un fiore dal profumo incredibile che cresce solo... a Q'uoian.

Improvvisamente sentì un brivido glaciale lungo la schiena e vide avvicinarsi cautamente cinque figure. Alte e snelle, dai lineamenti marcati, indossavano delle inconfondibili armature decorate di verde, i loro elmi allungati lasciavano uscire le fluenti chiome colorate. Erano quattro Q'uoin, in armatura e armati.

Kanda si fermò, indeciso su cose fare.

Il più vicino dei cinque alzò una mano e gli altri si fermarono. Kanda lo vide inspirare col naso e accigliarsi.

-Q'uoin?- chiese.

Improvvisamente Kanda riconobbe la voce e si rilassò.

-Non mi riconosci anche se ho il cappuccio, Eymin?- disse Kanda togliendosi il cappuccio e lasciando finalmente libere le sue ciocche verdi.

Il soldato spalancò gli occhi.

-Kanda T'mail? Sei proprio tu?-

-Conosci altri Q'uoin che tengono nascosti i loro capelli?- disse Kanda sorridendo. Era davvero felice di rivederlo.

Eymin sorrise e si avvicinò a Kanda spalancando le braccia.

-Allora sei vivo! Ah, con tutto quello che sta succedendo avevo pensato il peggio.-

-Sono duro da uccidere. Cazzo, dovresti saperlo meglio di tutti.- disse Kanda ridendo. Infine si abbracciarono.

Eymin K'ormar. Forse l'unico vero amico che Kanda avesse mai avuto. Un Q'uoin dagli occhi di un verde luminoso e dai capelli blu come il mare. Kanda non lo vedeva da anni. Lo conobbe nel momento peggiore della sua vita, quando era a difendere il confine dalle Bestie Nere. Eymin fu un appiglio a cui aggrapparsi per non impazzire. Un Q'uoin dalla grandissima forza d'animo. Kanda continuava a sperare che come lui avesse trovato un appiglio in Eymin, anche il suo amico avesse fatto lo stesso con lui. Avevano combattuto fianco a fianco, avevano sofferto e riso e brindato ad ogni vittoria. Rivedere il suo volto dopo così tanti anni era una benedizione.

Smisero di abbracciarsi, era sembrata un eternità.

-Ti vedo in forma.- notò Eymin.

-Dovresti guardare meglio allora. Sono distrutto.-

-Perché?- chiese curioso l'amico.

Mi fido di te ma... no, non posso dirti nulla, amico mio. Cose troppo grandi gravano sulle mie spalle, non vorrei toccasse pure a te venir coinvolto nei miei casini. L'hai fatto fin troppe volte. E non te ne do di certo una colpa.

-Vivere tra gli umani può essere terrificante.-

Eymin sorrise e scosse la testa.

-Può essere? Lo è! Un branco di folli dai capelli monotoni che si combattono per ogni motivo.-

Kanda sorrise malgrado non condividesse il suo parere.

-Anche noi Q'uoin tendiamo a farlo. Allontaniamo i nostri simili se scoprono grandi verità.-

Eymin colse l'allusione.

-Kanda scoprire che la nostra immortalità non ci è data dal Divino ma dal contatto con i nostri alberi è una cosa che ci vuole tempo per assimilare.-

-Ma avevo ragione.-

-Sì ma... è difficile da prendere.-

-Se la prendi nel modo giusto magari ti piace.-

-Ma smettila, idiota.- disse Eymin ridendo.

Kanda guardò i quattro soldati dietro di lui.

-Potresti spiegarmi perché sei a Noveria, armato di tutto punto e con altri soldati?-

Eymin sospirò e appena cercò di parlare venne interrotto da un soldato.

-Non sono affari tuoi.- disse freddamente il soldato.

Eymin gli lanciò uno sguardo spietato.

-Tappati quella cazzo di bocca, soldato!-

Kanda sorrise ricordando lo sguardo e la voce di Eymin nel campo di battaglia. Uno sguardo spietato, capace di terrorizzare anche il più impavido dei guerrieri e una voce da guerriero, capace di rimbombare nella tua mente per giorni. Certo, difficilmente queste caratteristiche avevano impaurito o fermato per pochi secondi le Bestie Nere.

-Perdonalo.- disse Eymin rivolgendosi di nuovo a Kanda.

-No, tranquillo. Giovani desiderosi di combattere, immagino. Lo eravamo anche noi, ricordi?-

Eymin sorrise amaramente.

-Sì, lo ricordo. Comunque, nonostante i suoi modi rozzi, Ekkon ha ragione. Ormai sei fuori da Q'uoian da anni, non credo di poterti dire perché siamo qui.-

Kanda immagino che Ekkon fosse lo stronzetto che l'aveva insultato.

Non vengo più nemmeno considerato un Q'uoin. Se stai in mezzo ai “mortali” per tutto questo tempo diventi uno di loro. Mentalità ristretta per un popolo che vive da migliaia di anni.

-Ok, non mi interessa. Piuttosto dimmi... che hai fatto in tutti questi anni?- chiese sinceramente curioso Kanda.

Eymin fecce alzò un sopracciglio.

-Non è ovvio? Sono rimasto nell'esercito.-

Già, mi pare ovvio. Mica tutti rimangono segnati a vita dalla guerra. Mica tutti sono come te.

Magari tutti fossero come me... si eviterebbe tutto questo.

-Sono diventato Capitano di questa squadriglia di Esploratori.-

Gli esploratori, ricordò Kanda, erano una branca dell'esercito Q'uoin. Coraggiosi soldati che uscivano dai confini dell'Immenso Verde per affari di vitale importanza. Durante gli anni del Grande Gelo molti Esploratori vennero inviati a vedere ciò che stava succedendo e a dare man forte agli umani contro gli Spettri di Ghiaccio. Quella fu l'unica volta che i Q'uoin aiutarono i mortali. Ma lo fecero solo perché la situazione era disperata e perché, nonostante Q'uoian parve immune al Gelo, avevano paura che le difese magiche potessero indebolirsi.

I Q'uoin aiutano gli altri solo se potrebbero rimetterci pure loro.

-Complimenti. È la tua prima missione?-

-No, una settimana fa ero già stato inviato qui per osservare ciò che sta succedendo. C'è una guerra in corso, Kanda.-

-Questo lo so bene.-

-Non è sicuro stare qui. Dovresti trovare un luogo sicuro. Non manca molto che il Nord e Vurkan marcino qui, lo sai?-

-So anche questo. Ma non temo ciò che potrà succedere. Presto me ne andrò, Eymin.-

Eymin si accigliò.

-Te ne andrai? Dove?-

-Non lo so, lontano da qui comunque. Forse nelle Terre d'Oriente. Dicono che ci siano delle case di piacere incredibili nell'Impero del Sole. Tutto incredibilmente igienico. Oppure nella Terra delle Zanne, là le donne sono perfette.-

Eymin rise, probabilmente ripensando alla loro gioventù a Q'uoian, dove per dimenticare le battaglie si cedeva ai vizzi.

-Ma perché non te ne vai subito? E perché ti stai dirigendo verso ovest? Mi pare che le Terre d'Oriente stiano dalla parte opposta.-

-Non me ne andrò da solo.-

Eymin fece una faccia interrogativa.

-Sto cercando una persona.-

Il volto di Eymin cambiò improvvisamente. Sempre interrogativo ma pareva quasi che sospettasse qualcosa.

Maledizione dovevo starmene zitto. Di certo gli Osservatori dei Pozzi Trasparenti sanno tutto!

Notò che Eymin stava per dire qualcosa ma Kanda si affrettò a parlare.

-Oh, ma insomma! Io ti sto dicendo tutto e tu mi tieni ancora all'oscuro del perché sei qui. Avanti siamo amici, abbiamo combattuto assieme quando queste fighette qui succhiavano ancora le tette della madre. Dopo quello che ho fatto per te mi tieni all'oscuro?-

Toccò un tasto particolarmente sensibile, se ne rendette conto.

Eymin sussultò, ma in modo impercettibile, solo Kanda lo notò e seppe bene perché lo fece.

Eymin era in debito con lui, da anni ormai. Si parlava di fatti di anni e anni fa. Durante le Incursioni. Un giorno, sotto una pioggia gelida, le Bestie Nere erano apparse dal nulla, nascoste dall'oscurità. Avevano sentito il loro fiato caldo, come se fossero una fornace. Enormi bestie che parevano invisibile a causa del buio. I loro peli bagnati e il loro odore nauseante. Gli occhi rossi che erano l'unica cosa visibile. Stavano dormendo durante l'attacco, i mostri che superavano le palizzate di difesa. Kanda vide chiaramente Eymin a terra, disarmato, con una bestia che gli azzannava con violenza la spalla. Kanda non pensò a nulla se non a salvare Eymin. Ma anche lui era senza armi. Fu lì che usò per la prima volta i suoi poteri, riuscendo a costringere una bestia inumana a dilaniarsi con i propri artigli. E fu quel giorno che Eymin diventò suo debitore. Kanda gli aveva salvato la vita, nessun altro avrebbe potuto aiutarlo.

I Q'uoin, quando vengono salvati da qualcuno, diventano debitori di quella persona ed è loro obbligo morale saldare quel debito altrimenti, alla loro morte, verranno tormentati per l'eternità.

Eymin, ripensando a quel giorno, si tastò la spalla, ben coperta dall'armatura.

Kanda attese il suono della sua voce che tardò ad arrivare ma che alla fine arrivò.

-Ok... te lo dirò.- disse Eymin annuendo.

-Il Re stesso ha mobilitato diverse Squadriglie di Esploratori alla ricerca di un gruppo di ribelli, Kanda. Si sono addentrati senza permesso nelle Rovine Antiche e hanno osato rubare un reperto di inestimabile valore.-

-E... quale sarebbe? Cioè ci sono parecchi reperti antichi e potenti a Q'uoian.- chiese lentamente Kanda. Era nervoso e la risposta era assolutamente ovvia... ma la temeva.

-Non è ovvio? La Pietra di Aldruin, Kanda. L'hanno rubata.-

Kanda si paralizzò e inavvertitamente mosse la sua mano verso la tasca della sua tunica improvvisata. A Eymin non sfuggì quel movimento.

-Che ti succede?-

-No... niente è solo che... cioè... è un oggetto molto potente e... pericoloso.-

-Questo lo sappiamo bene, è proprio per questo che li stiamo cercando. Sicuro di non averli visti?-

Kanda annuì velocemente.

-Sì, sicuro. Te lo avrei detto altrimenti. Siete i primi Q'uoin che vedo dopo anni.-

Eymin annuì lentamente.

-Quei bastardi l'hanno rubata e sono riusciti a scappare. Erano del Fortequercia, dei traditori. Non oso immaginare quello che potrebbero fare. Anche se è più probabile che la vendano a qualcuno. Ma è altamente probabile che finisca in mano del Grande Inquisitore ed è una cosa che non possiamo permettere.-

-Ma... di per sé la Pietra da sola non ha potere... l'avrebbero potuta usare nelle rovine, no? E prendere l'arma.-

I soldati sussultarono.

-Non dirlo nemmeno per scherzo e poi i Pozzi Trasparenti si sarebbero congelati, lo sai.-

Kanda tossicchiò nervosamente.

-Ma quindi... ehm... non li avete trovati, eh?-

Eymin sbuffò.

-No, maledizione. Quei figli di puttana sono a piede libero. Temo il peggio.-

Non posso dirgli ciò che mi ha raccontato Erkol, sospetterebbe subito di me e avrebbe ragione. Ma se loro non hanno trovato i ladri... chi diavolo è stato ad ammazzarli e lasciare là la pietra?

-Vorrei poterti aiutare, amico mio ma come ben sai questi non sono affari miei.-

Eymin annuì sbrigativamente ma poi chiese: -Sei veramente sicuro di non sapere nulla?-

Kanda stette zitto e gli osservò. Eymin aveva uno sguardo serio, gli occhi verdi fissi su di lui, gli altri soldati tenevano le mani ben salde sul manico delle loro spade che, per quanto fossero infoderate, erano ancora molto minacciose.

-Sì... non so nulla.- disse infine, cercando di non tastare la pietra.

Ci fu un lungo silenzio, anche il vento parve fermarsi. Anche il profumo dei Q'uoin parve scomparire. Sembrò farsi buio tutto d'un tratto e i raggi del sole non riuscivano a passare per la fitta boscaglia. Kanda attese, sentendo una gelida goccia di sudore scendere dalla sua fronte. I suoi occhi si mossero velocemente verso le loro armi, poi sulla strada, poi di nuovo sulle armi e infine sugli occhi che sembravano d'acciaio di Eymin. Attese per un attimo che parve un eternità.

Lui è tuo amico, cazzo è il tuo unico amico. Avete lottato assieme, ti ha fatto conoscere sua sorella e tu l'hai amata, forse l'unica persona che hai veramente amato. Gli hai offerto da bere nei tuoi anni come consigliere del re, quando potevi permetterti di tutto. Lui è rimasto ad aspettarti quando ti sei addestrato dai monaci M'ashman. Lui ti ha aiutato quando gli incubi ti tormentavano e l'odore delle Bestie Nere ti teneva sveglio anche dopo gli anni nell'esercito. Lui è stato ed è un amico, il tuo unico fottutissimo amico!

Ma è inutile che cerchi di ingannare te stesso. Se scopre che hai la Pietra difficilmente ti terrà in vita... anche se è il tuo unico, fottutissimo, amico.

Poi, finalmente, sentì la voce del suo amico.

-Va bene... ti credo.-

 

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Capitolo 28
*** Il Piromante ***


Capitolo 27

Il Piromante

 

Lasciarono andare il Discepolo e abbandonarono là i corpi senza vita degli altri discepoli e Marxal. Iniziava a fare freddo e il sole stava calando. Kalad era distrutto per lo scontro, aveva usato tutta la sua forza e le sue abilità e incredibilmente ne era uscito vittorioso. Stentava a crederci. Lui, un comune soldato dell'Inquisizione, che da solo uccideva un Celestiale e i suoi Discepoli.

-Questo fa di te un Deicida, dico bene?- chiese Ayliss.

Kalad fece spallucce.

-Teoricamente sì.-

-Credo sia un bene... no?-

Kalad sbuffò. -Dipende. Sarò più temuto, senz'altro. Ma essere temuti non sempre allontana i pericoli. Anzi, paradossalmente li avvicina. Sono tanti i folli desiderosi di mettersi alla prova.-

-Ma tu li sconfiggerai tutti.- disse risoluta Ayliss.

Kalad la guardò, superando una radice.

-La Ayliss che conosco non direbbe queste cose.- disse sorridendo.

Lei abbassò lo sguardo.

-Non dire così.-

Superò anche lei una radice.

-è solo che... ho avuto paura. Kalad, per la prima volta ho creduto... che non ce l'avremmo fatta, che saremmo morti. E, come ti ho già detto, ho desiderato vederli morti. Pur di vivere... ho desiderato che morissero.-

Kalad si fermo a guardarla.

-è giusto, Ayliss. Questo dimostra che ci tieni alla tua vita. Non c'è motivo di desiderare la propria morte e ci sono svariati motivi per cui temerla.-

-La morte può essere un nuovo inizio.-

-Sei troppo giovane per dire questo.-

-E tu troppo vecchio per dire di temere la morte. Dopo tutto quello che hai passato... dovresti odiare questa vita.-

Kalad tacque.

A volte dimentico con chi sto parlando. Lei conosce tutto di me.

Kalad rifletté attentamente sulle parole.

-è vero... ho affrontato varie vicissitudini. Soprattutto ultimamente. Ma se continuo a lottare, a vivere, ad affrontare ogni ostacolo significa che ci tengo, anche se a volte lo dimentico. Anche se a volte la fredda lama di un pugnale sembra una via d'uscita facile. Ci sono centinaia di motivi per cui amare questa vita, nonostante tutto quello che succede. E forse... sono proprio tutti quegli ostacoli che rendono degna di essere vissuta questa dannata vita. Perché dopo aver superato quell'ostacolo... diventerai più forte. Ti costruirai, un mattone alla volta, finché non sarai completo. Ed è normale, Ayliss, tenere alla propria vita. Sembra facile dire di voler morire... ma quando arriva il momento si ha paura. Tutti noi abbiamo paura. Veniamo afflitti dai rimorsi, ci pentiamo di ciò che abbiamo fatto. Ma appena superiamo quel momento abbiamo l'opportunità di rimediare. Se la nostra morte viene rimandata... significa che c'è un motivo.-

Non ho potuto fare a meno di pensare allo sguardo di mio padre il giorno che è morto. Credo che questo discorso derivi da quel momento. Rimorso... ecco cosa vidi nei suoi occhi.

Ayliss lo guardò dritto negli occhi.

-Tu hai provato a rimediare ai tuoi errori? Hai mai avuto rimorsi?-

Kalad annuì. -Ho rimorsi ogni giorno ma no... non ho mai provato a rimediare ai miei errori. Perché ora non posso.-

-Tutti tengono alla propria vita, dunque. E io ti chiedo nuovamente. Dopo tutto quello che hai detto... come possiamo arrogarci il diritto di privare gli altri di tutto ciò che c'è da amare in questa vita?-

Ritorna sempre su questo discorso e ogni volta cerco di girarci attorno. Ma non questa volta.

-Perché le vicissitudini che affrontiamo ci portano a questo. Io tengo talmente tanto alla mia vita che se qualcuno tenta di togliermi tutto, io lo ripago con la stessa moneta. E di questo non mi pento. Con certa gente le parole non servono ed è la spada a parlare. Se ciò ti disturba... chiudi gli occhi.-

Ayliss abbassò lo sguardo e si toccò nervosamente le dita.

-Tu hai mai... odiato mio padre perché non interviene mai quando succede tutto questo?-

Kalad rimase stupito di questa domanda, non se l'aspettava.

La guardò, cercando di cogliere qualcosa in quei grandi occhi.

-Sì.- disse solo queste e non aggiunse nient'altro.

Lei annuì. -Ti capisco.- aggiunse poi e si rimise in marcia.

Va bene, forse avrei dovuto usare un modo migliore. Fai in tempo a rimediare, idiota.

-Voglio che tu sappia una cosa, Ayliss. L'averti portata via da loro, il difenderti ogni giorno, il rischiare la vita pur di difenderti... non è un errore. È la cosa di cui, in assoluto, vado più fiero.-

Lei gli sorrise e quel sorriso così meravigliose parve dargli nuovo vigore. Si avvicinò e gli diede un delicato bacio alla guancia.

 

Trascorsero la notte accampati e dopo molto tempo Kalad si tolse l'armatura e si lavò. Il contatto con l'acqua fu meraviglioso, non si lavava da un tempo immemore. E per la prima volta dopo molto tempo si rilassò. Tenne Ayliss a portata di vista e notò con divertimento che la ragazza aveva sbirciato più di una volta.

Rimane sempre una ragazza, infondo. Una ragazza curiosa.

Nei giorni che seguirono marciarono il più in fretta possibile, con pochi momenti per rilassarsi. Da quel giorno in cui Kalad divenne Deicida e Ayliss scoprì di provare sentimenti inusuali per una divinità (era ciò che era infondo) ma più simili ad un essere umano (che anche questo era ciò che era) i due si legarono ancora di più. Passavano le notti abbracciati e spesso Ayliss prendeva la grande mano di Kalad e la stringeva e incredibilmente pure Kalad si sentiva al sicuro. Passare le notti con lei distesa tra le sue braccia, ad accarezzarle la testa dolcemente, era stupendo e faceva quasi dimenticare che erano braccati da tutto il Grande Continente. Kalad sentiva nascere con lei, ogni giorno sempre di più, un legame indissolubile. Lui la proteggeva, era il suo custode, il suo difensore, il suo guardiano. Lei lo conosceva meglio di chiunque altro. E parlare con lei era un modo per confrontarsi con sé stesso. Con le sue domande portava Kalad a riflettere, nonostante lui apparisse sempre menefreghista. Stava veramente riflettendo a ciò che gli diceva. Vietare a qualcuno di vivere. Arrogarsi il diritto che nessuno deve permettersi, vietare ad altri di vivere. Sembravano domande assurde di quei tempi.

Ma la vera domanda era: Erano le domande assurde... o erano i tempi che correvano ad esserlo?

E nel frattempo, il suo più grande desiderio era baciarla.

 

In quei giorni pensò spesso alla sua squadra. Joran era morto, ucciso dalla sua stessa lama. Non vedeva gli altri da quando era fuggito, ma non sentiva per niente la loro mancanza, Atras era un folle psicopatico che pensava di conoscere meglio di lui suo padre, Lymann un idiota convinto di saperne di più degli altri, soprattutto per quanto riguarda il Nord, Thomas... forse Thomas era l'unico che gli mancava. Ripensando a quel ragazzino si rese conto di quanto si assomigliavano. Appena entrò nell'esercito inquisitorio Kalad era convinto di star facendo la cosa giusta, di entrare a far parte di un grande esercito, circondato da uomini coraggiosi e impavidi... proprio come gli aveva detto suo padre. Ma aveva mentito. Pensare quello però non lo aiutava, se gli avessero intralciato la strada Kalad li avrebbe uccisi.

Sì, lo farò. Dopo tutto quello che ho passato loro non possono fermarmi. Non ora che ci stiamo avvicinando.

 

-Kalad.-

Chi mi sta chiamando? Ayliss?

-Kalad, svegliati!-

No... no, è la voce di un uomo.

-Figliolo in piedi!-

Kalad aprì gli occhi. Era disteso su un comodo letto, dalla finestra entrava un caldo fascio di luce, sentiva gli uccellini cinguettare allegramente, dalla finestra entrava un venticello rilassante. Aveva già visto quel posto, ma non ricordava dove e quando.

Eppure sembra così familiare.

Qualcuno busso alla porta e Kalad sussultò per lo spavento.

-Kalad, sei sveglio? Kal?-

Kal? Nessuno mi chiama... aspetta... no, no, no non può essere. Sto sognando.

Corse alla porta e la aprì.

Poi lo vide.

Suo padre.

Vivo, lì davanti a lui.

Era proprio lui, gli occhi marroni carichi di bontà, la barba incolta, le spalle possenti e le mani enormi, più alto di lui di tre pollici.

Kalad sentì gli orchi riempirsi di lacrime e lo abbracciò, stringendolo il più forte possibile.

-Papà! Papà sei tu, sei vivo, sei qui, sei... Oh Supremo! Mi... mi manchi così tanto, papà!-

Suo padre lo accarezzò alla testa dolcemente.

-Avanti non fare così, sei un uomo ormai. Pensavi che solo perché sono morto non ti sarei stato vicino? Ah, la morte è solo una parola.-

-Ma... allora sto sognando.-

Lui annuì.

-Certo. Io sono morto davvero.-

Kalad sentì nuovamente le lacrime, ma questa volta di tristezza e frustrazione.

-Non piangere. Te l'ho appena detto, la morte è solo una parola. Nessuno morirà mai definitivamente... finché le persone in vita continueranno ad amarlo. Questo è un potere che supera qualunque altro, figliolo.-

Perché tutto questo? Perché questa tortura? Perché non mi sveglio?

-Si muore veramente, Kal... quando si viene dimenticati.-

Risentire le sue parole, la sua voce, guardarlo di nuovo negli occhi era... stupendo. Ma era un sogno. Solo un sogno. Si sarebbe risvegliato nell'erba, vicino ad Ayliss, con la spada ancora più vicina.

-Guardami.-

Lo fece.

-Vuoi sapere perché ti ho chiamato?-

-Aspetta... hai deciso tu di chiamarmi? Quindi è tutto vero... forse la vicinanza con Ayliss porta un maggiore contatto con il Supremo! Forse...-

-Forse sì, forse no, forse sta succedendo tutto nella tua testa. Forse stai solo sognando. Ma non puoi imparare qualcosa anche se è tutto un sogno?-

Kalad tacque.

-Quello che ti ha detto Atras...-

-Quello sporco maiale! Lo ucciderò, padre! Lo farò a pezzi, te lo prometto!-

-Kalad, lasciami parlare. Quello che ha detto Atras... è vero.-

Kalad spalancò gli occhi. Vero? Come poteva esserlo?

-Io sono un codardo. E ti ho mentito su molte cose. Non c'era nessuna gloria a entrare nell'Inquisizione, nessun gesto eroico e nessun grande condottiero al tuo fianco.-

Ha mentito.

-E sì, mi sono anche nascosto alla mia prima battaglia. Ma ho pure salvato dei miei compagni più di una volta, ho pure ucciso. Ma è capitato anche altre volte che mi nascondessi. E sai perché?-

Kalad scosse la testa, troppo traumatizzato per rispondere.

-Perché sono un uomo, Kalad. E gli uomini hanno paura. Quando non proverai più nessun sentimento, figliolo, capirai di non essere più umano. Sarai un mostro, come Atras. E sai perché ho mentito e ti ho raccontato tutte quelle storie?-

Scosse nuovamente la testa.

-Ti direi per farti addormentare la notte ma mentirei. Io volevo veramente che ti unissi all'Inquisizione, nonostante fosse una cosa ben diversa dalle mie storie. Perché ero e sono tutt'ora convinto che tu possa cambiare le cose. Tu sei una brava persona Kalad e crescendo sei sempre migliorato. Sei un uomo ormai e voglio che tu sappia che tutto quello che stai facendo... è giusto. Nonostante tutto quello che può succedere... nonostante i rischi... è la cosa giusta. E sono incredibilmente fiero di te.-

Kalad tacque per molto tempo, non disse nulla forse non respirò nemmeno.

Allora Atras aveva ragione, erano tutte bugie. Ogni cosa. Ma... l'ha fatto per un motivo. L'ha fatto per rendermi migliore, l'ha fatto per rendermi più forte, l'ha fatto perché sapeva che io avrei potuto cambiare le cose, sarei andato contro tutto e tutto solo per seguire una mia scelta. L'ha fatto per farmi capire l'importanza delle decisioni, l'ha fatto...

-L'ho fatto per renderti un eroe, figlio mio.- disse suo padre, come se avesse letto i suoi pensieri.

-Non... non mi importa delle cose che hai fatto. Sei stato un uomo come tutti. Tutti possono provare paura. Il vero coraggio sta nell'affrontare la vita. Tu hai amato una donna, hai cresciuto un figlio, l'hai guidato verso la strada giusta. Mi hai dato dei grandi insegnamenti, mi hai indicato la strada da seguire per diventare migliore di tutti gli altri. Per cambiare tutto.

E tu... per me... resterai sempre un eroe, il mio eroe.-

Vide gli occhi di suo padre diventare lucidi e nemmeno Kalad riuscì a trattenersi. Si abbracciarono e non dissero altro, cercando di godersi quel momento, cercando di assaporare ogni singola emozione di quel loro nuovo e ultimo incontro prima di svegliarsi.

 

Il giorno dopo raccontò tutto ad Ayliss e lei pianse a dirotto, ripetendo svariate volte della dolcezza e bellezza del momento. Lo abbraccio forse per due ore intere, lo riempì di baci e lo accarezzò. Allora capì che raccontarle i suoi sogni poteva avere ottimi effetti.

 

Poi, dopo l'ennesimo giorno di viaggio, avvenne una cosa che Kalad non avrebbe mai immaginato.

La luna era alta nel cielo ma era totalmente buio, era come se i raggi della luna fossero bloccati da un muro che li lasciava nella più totale oscurità. L'unica luce era il fuoco del loro accampamento improvvisato. Ayliss era coperta dal mantello di Kalad, che si era staccato da tempo ma che era stato tenuto per coprirla la notte. Sembrava una notte tranquilla, per quanto Kalad rimanesse sempre vigile. Dall'ombra poteva sbucare un soldato inquisitorio, o un Nordico, o un Vurkaniano, o un Celestiale.

Parecchia gente.

Quella era una triste verità.

Kalad e Ayliss stavano parlando del più e del meno, una tranquilla discussione finché a Kalad non sembrò di vedere qualcosa in lontananza. Un barlume di luce nell'oscurità.

Torce? L'Inquisizione?

Socchiuse gli occhi cercando di mettere a fuoco quella luce in lontananza.

-Cosa succede?- chiese Ayliss.

-C'è qualcosa là, vedi? Una luce.-

Anche lei guardò.

-Sì, la vedo chiaramente. Ma... non riesco a vedere chi la sta portando.-

Kalad la guardò.

A volte dimentico che ha capacità superiori a quelle di un uomo. Per me è poco più di un puntino all'orizzonte, lei lo vede nitidamente.

Kalad impugnò saldamente la spada e si pentì di essersi tolto tutta l'armatura. Il fuoco si avvicinò, si avvicinò e quando fu abbastanza vicino Kalad non credette ai suoi occhi.

Il fuoco era da solo, nessuno lo portava.

Una fiammella che passava dal giallo al rosso fluttuava davanti a loro.

-è... un Fuoco Fatuo.- disse Ayliss.

-Cosa?-

-è un Fuoco Fatuo. Me ne aveva parlato Kanda. Sono delle fiammelle che vagano nella notte. Non sono cattive ma a volte tendono a fare scherzi e portano i viandanti nella strada sbagliata.-

-Una specie di spiritello?-

-Sì, esatto.-

Kalad rimase ad osservarlo ma non si mosse.

-Sembra non voglia portarci da nessuna parte.- constatò Kalad.

Ayliss, che stava dietro di lui, lo supero e si avvicinò al Fuoco Fatuo che lentamente si abbassò alla sua altezza.

-Ayliss sta lontana, non sappiamo quello che potrebbe fare.-

-Non ci farà nulla, sento la sua voce.-

Kalad si accigliò.

-Senti cosa?-

-La sua voce.-

Ayliss alzò lentamente la mano verso il fuocherello e lo toccò.

Kalad cercò di fermarla ma vide che Ayliss non provava dolore, ripensò ai suoi poteri e non si stupì che il fuoco non la ferisse.

Poi, d'improvviso, ci fu un forte bagliore e il Fuoco Fatuo inizio a sfavillare. Ayliss lanciò un grido e Kalad la prese per il braccio e la tirò dietro di sé.

Il fuoco si ingrandì fino a prendere delle dimensioni poco inferiori a quelle di Kalad. Suoni scoppiettanti accompagnarono l'ultimo bagliore e poi tutto finì.

Al posto del Fuoco Fatuo ora stava un uomo, poco più basso di Kalad. Era vestito con un lungo cappotto malandato, aveva varie fasce rosse avvolte nel vestito, portava una maglia verde scuro sporca e delle brache marroni più larghe della sua taglia. Il suo volto era ancora più trasandato delle sue vesti. Aveva un pizzetto appuntito e dei baffi sottili neri come la pece. Un naso grosso come una patata. Gli occhi erano di un marrone splendente e le sue sopracciglia erano sottili come i suoi baffi. Portava una fascia rossa avvolta sulla fronte, i capelli neri scompigliati che un po' scendevano sulle spalle, un po' partivano verso l'alto come se stessero prendendo fuoco. Ma la caratteristica più curiosa di quel losco figuro era senz'altro il grandissimo numero di barattoli che aveva legati nel cappotto, nelle brache e nelle braccia. Tre nel cappotto, uno sul polpaccio della gamba sinistra e l'altro sulla coscia della gamba destra; uno sul braccio destro.

Kalad rimase ad osservarlo e senza rendersene conto abbassò la spada. Quel tipo non gli provocava nessuna preoccupazione tanto era trasandato.

Idiota non abbassare la guardia, prima al posto suo c'era un Fuoco Fatuo!

Poi osservando bene vide che ognuno dei barattoli emanava una luce, come se vi fosse chiusa dentro una lucciola molto luminosa.

L'uomo parve appena uscito da un ubriacatura, barcollando li guardò.

-Oh, miei signori chiedo venia. Viaggiare nel fuoco è una cosa a cui temo non mi abituerò mai.- disse l'uomo facendo un inchino strascicato.

Kalad rimase senza parole. Chi diavolo era quel tipo?

-E tu chi cazzo sei?-

L'uomo si rimise dritto a fatica e lo guardò stupito.

-Ma come? Oh ma che maleducato non mi sono nemmeno presentato, a volte spero di essere minimamente conosciuto in giro... comunque sia il mio nome è Ulfric soprannominato Mangiafuoco.-

Kalad spalancò gli occhi.

-Ulfric Mangiafuoco? Il Piromante di cui si narra nelle storie?-

Il viso di Ulfric si illuminò.

-Oh che meraviglia, visto che mi conoscete già?-

Kalad non seppe che fare. Suo padre gli raccontava da ragazzo storie su Ulfric Mangiafuoco. Si diceva che potesse controllare le fiamme e parlare con loro. Che avesse racchiuso in dei contenitori le fiamme più pericolose, che avesse bruciato città in cui dilagava la corruzione e la violenza, che avesse dato alle fiamme la reggia di Hestoran signore dei Traviani, nelle epoche antecedenti al Grande Gelo, che avesse sciolto il ghiacciaio di Krester, che avesse dato calore ai fuggitivi degli Spettri del Ghiaccio, che avesse partecipato alla battaglia contro Silgvander, il Dominatore del Gelo. Ma si diceva anche avesse dato alle fiamme la Foresta dei Nidi e che avesse rubato la Fiamma Sacra del popolo dei Zarkani, scatenando la loro ira. Che avesse addirittura rapito la Dama Verde, terza figlia dell'Imperatore Sho Kan Fu, dell'Impero del Sole. Da ragazzo adorava quelle storie, anche quelle che lo raccontavano come un bastardo.

-Ma... tu dovresti essere morto! Anzi pensavo nemmeno esistessi!-

Lui tese le mani verso di lui.

-Oh no, no! Così mi distruggi. Sono esistito un tempo, più giovane e più bello ma, miseria, esisto tutt'ora! E sono vivo e vegeto, signorsì.- disse alzando fieramente lo sguardo. Tendeva a gesticolare molto parlando.

Kalad manteneva ancora la sua spada puntata verso di lui.

-Voi non avete bisogno di presentarvi, miei signori. La vostra fama vi precede, senza dubbio. Tu sei Kalad di Gotfresh, presumo. Incantevole villaggio. E quel bell'esserino dietro di te è...- rimase a guardare Ayliss come ammaliato, lei stava ben nascosta dietro Kalad, sbirciando.

-Oh, mia signora la vostra bellezza è leggendaria! Mai, nella mia lunga e avventurosa vita, mai ho visto una tale bellezza, una tale eleganza. I vostri occhi hanno un fuoco, io l'ho sentito.-

Ayliss timidamente si scostò un po' da Kalad.

Ulfric guardò il cielo.

-Oh santi numi il vostro corpo è perfetto, mai e dico mai ho visto un corpo così equilibrato, così soave! Cosa darei io dico, cosa darei pur di poter toccare quelle...-

-Ehi, ehi calma. Modera i toni.- disse seccato Kalad.

Ulfric guardò Kalad, sbatté le mani e lo indicò con entrambe.

-Ha ragione, mio signore lei ha ragione. Ma, per la miseria, le forme della ragazza hanno mobilitato parti del mio corpo che credevo fossero finite in letargo da anni!-

Ayliss si lasciò andare una risatina divertita.

Ulfric si paralizzò nuovamente e guardò il cielo un altra volta.

-Oh e udite la sua risata, uditela io dico! Mai e poi mai...-

Kalad si volse verso Ayliss mentre il matto continuava a blaterare al vento.

-Ascolta non fare nulla e non dire nulla, questo è completamente pazzo.-

-è buffo e mi sta simpatico.- disse Ayliss ancora ridendo.

Kalad sbuffò.

-... le forme sinuose, lo sguardo, la soavità! Io vedo un angelo, sì. Io vedo...-

Kalad lo interruppe schioccando più volte le dita.

-Ehi, ehi, basta! Ok? Basta! Dacci un taglio!-

-Chiedo venia.- disse Ulfric alzando le braccia in segno di resa.

-Ascolta voglio sapere perché sei qui. Cosa vuoi? Come ci hai trovato?-

Ulfric sollevò gli indici, come per evidenziare un concetto.

-Sarò ben disposto a parlare se prima- indicò la spada. -posate quella lama. La discussione sarà molto più pacifica. Non è nelle mie intenzioni farvi del male.-

Kalad era titubante. Quel tipo era totalmente fuori di testa. Ma lo sguardo di Ayliss lo convinse a posare la spada.

 

-Allora, credo sia doveroso parlarvi di me e come faccio a fare... quello che faccio.- disse Ulfric.

Erano seduti attorno al fuoco ma Ulfric stava assurdamente vicino alla fiamma, non pareva sentirne il calore però.

-Io sono un Piromante. I Piromanti sono pochi, ahimè. Un tempo eravamo molti di più ma la gelida brezza del tempo ha spento la fiamma di molti miei amici.-

-Cosa fanno i Piromanti?- chiese curiosa Ayliss.

-Ci stavo arrivando. I Piromanti sono delle persone in grado di controllare il fuoco. Manipoliamo il Grande Calore a nostro vantaggio, lo catturiamo, ci comunichiamo e guardiamo attraverso di lui.-

Kalad si accigliò.

-Ti vedo dubbioso, mio signore. Questo fuoco, ad esempio, mi sta dicendo che la signorina ha un ottimo...-

-Sinceramente non voglio sapere che dice, posso immaginare. E ho capito il concetto.- disse Kalad sempre più seccato.

Ulfric annuì.

-La Vista attraverso le fiamme è differente. Funziona in due modi. O posso collegare il mio fuoco con un altro fuoco, oppure posso trovare altri miei compagni. Il primo mi permette di collegare la mia fiamma con, per esempio, la fiamma di un altro accampamento. Guardando la mia fiamma vedrò distintamente l'accampamento in cui l'altra fiamma si trova. Il secondo mi permette, osservando con attenzione il fuoco, di trovare un altro Piromante. È proprio così che vi ho trovato, la ragazza ha potere Piromantico dentro di lei.-

Ayliss annuì.

-Sono riuscita ad usare il fuoco infatti.-

-Immaginavo. Percepisco in lei grandissimi poteri, enormi addirittura. Lei non è solo una Piromante, mia signora. È qualcosa di più.-

Kalad lo guardo oltre il fuoco.

-Immagino tu sappia chi è lei, vero?-

Ulfric annuì incredibilmente serio.

-Certo che lo so. Ammetto, mia signora- disse guardando Ayliss. -Di non essere mai stato credente ma ora che vi vedo qui e percepisco i vostri poteri credo che l'esistenza del Supremo sia inconfutabile per quanto mantenga fede alla sua politica del non intervenire. Ora mi ritrovo in una situazione imbarazzante. Ammetto l'esistenza di vostro padre ma non credo mi stia molto simpatico.-

Ayliss annuì senza dire nulla. Si stava abituando a questa sfiducia verso il Supremo.

-Parlami di te.- disse Ayliss.

-Ma certo, mia signora. Il mio nome già l'ho detto e di me si dice molto. Molte cose sono inventate anche da me stesso, altre sono vere. Altre ancora sono tristemente vere. Ho vissuto una vita lunga e ricca di avventure e ora sono stanco e vecchio.-

-Si dice tu abbia fatto grandi cose, eri vivo addirittura durante il Grande Gelo e prima.-

-Sì, ero vivo. Tempi gloriosi prima del Freddo Glaciale. Popoli che vivevano in città d'oro, uomini che scalavano con facilità montagne. Poi venne Silgvander, il Grande Gelo, gli Spettri dei Ghiacci. Il gelo avvolse il mondo e la speranza svanì. Vidi uomini uccidere pur di avere il minimo calore. C'ero quando affrontammo Silgvander e quando il gelo svanì. C'ero quando lo Stregone dei Ghiacci ritirò il suo morbo gelido dal mondo. C'ero quando il Grande Inquisitore salì al potere.-

-Ma come fai a essere così vecchio?- chiese stupita Ayliss.

-Noi Piromanti viviamo molto più a lungo degli altri, poiché la fiamma dentro di noi arde molto intensamente. Ma prima o poi anch'essa si spegnerà.-

Kalad si permise di intervenire.

-Ma era da decenni che nessuno ti vedeva più, che ti è successo?-

Ulfric sospirò e guardò il cielo stellato. C'era un che di malinconico nel suo sguardo.

-Quando il Grande Inquisitore dichiarò la caccia agli impuri dovetti scappare. Badate bene avrei potuto affrontare chiunque mi avesse mandato contro ma ero... stanco, incredibilmente stanco. Decisi di auto esiliarmi al Nord, nelle terre delle Colline di Sjurkon. Passai lassù gli ultimi decenni, in pace e tranquillità. Conobbi brave persone, soprattutto persone desiderose del mio fuoco.-

Kalad stava per fargli un altra domanda ma venne preceduto da Ayliss.

-Cosa c'è dentro quei barattoli?-

-Fuoco ovviamente. Noi Piromanti possiamo imbottigliare le fiamme. Questi sei barattoli racchiudono le sei fiamme più pericolose che ho incontrato.-

Indicò quello sul polpaccio.

-Là ho la classica Palla di Fuoco.-

Indicò quello sul polpaccio.

-Lì invece ho un Vortice di Fuoco, utile per difendersi.-

Poi indicò i tre barattoli sul cappotto.

-Qui ho una Fiamma ad Onda, Fiamma Scoppiettante e Fiamma a Bagliore. E qui- disse indicando il suo braccio. -ho la Fiamma a Getto.-

Ayliss lo osservava estasiata.

Kalad colse l'opportunità per parlare.

-Ma pensavo che i Piromanti fossero solo Vurkaniani. Cioè il fuoco e tutto il resto.-

Ulfric scosse la testa sorridendo.

-Oh, no no. Piromante può esserlo un uomo del Nord come un Uomo Acquatico.

-Mh. Su di te si dicono anche cose... come dire... non molto piacevoli.-

-Oh be' lo immagino.-

-Hai bruciato un intera foresta. Hai rubato un fuoco sacro e hai rapito una delle figlie dell'Imperatore del Sole parecchi anni fa.-

-Era il trisavolo dell'attuale Imperatore in effetti, un vero coglione se mi passate il termine. Quella fiamma che ho rubato era meravigliosa e l'ho usata per bruciare quella foresta. E la donna che ho rapito l'ho amata con tutto il cuore. Ma ora tutte e tre le cose si sono spente.- disse con un forte tono di amarezza nella voce.

-Rimane solo una domanda... perché sei qui?-

Ulfric sospirò e si strofinò le mani.

-C'è un altro Potere che caratterizza noi Piromanti. Le visioni nel fuoco. Spesso, guardando le fiamme, vediamo delle cose. Cose che inizialmente ci appaiono oscure e misteriose ma che poi, col tempo, diventano luminose. Anni fa, guardando nel mio focolare, vidi un uomo con in mano una lancia viola che sbaragliava enormi eserciti. Poi vidi quello stesso uomo affrontare un aquila, simbolo dei Celestiali. E infine la visione cambiò. Un altro uomo ora reggeva la lancia e cercava di colpire quello che nelle mie precedenti visioni la brandiva ma la lancia non feriva quell'uomo. Circa un mese fa vidi un altra cosa tra le fiamme.-

Ayliss guardò preoccupata Kalad. Il volto di Ulfric si era fatto serio.

-Cos'hai visto tra le fiamme, Ulfric?-

-Ho visto una ragazza luminosa, vicino a una spada. I due erano circondati da un Orso, un Aquila, un Vulcano e una spada con l'Aureola. Ma ora, assieme ai due, si è aggiunto... il Fuoco.-

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Capitolo 29
*** Complesso di inferiorità ***


 

Capitolo 29

Complesso di inferiorità

 

Le bandiere porpora sventolavano all'orizzonte, l'acqua le rifletteva, diventando anch'essa porpora. Un enorme massa porpora che si avvicinava, come un muro, versa la sua città. Hidan diede il binocolo a suo padre. Godan guardò e imprecò.

-Maledizione.- disse sottovoce.

-Diecimila volte maledizione!- disse poi urlando.

-Sapevamo che sarebbero arrivati.- disse Kordovar. Ora indossava la sua divisa militare.

-Si, ma non così in fretta. Hanno superato la Gerstrom senza problemi!-

La Gerstrom era una difesa naturale di Aquamar, un muro di vento gelido e spietato che soffiava lontano dall'isola, rendendo faticosissimo l'avvicinamento di una qualunque nave. Le storie narravano che la Gerstrom fosse il soffio del Dio degli Abissi che difendeva l'isola.

-Non credo vostra maestà- disse Olbo, il consigliere di suo padre.

Il vecchio Olbo serviva Godan da quando aveva ancora i capelli color sabbia. Anni passati a correre su e giù per Aquamar. Conosceva alla perfezione la sua città, sapeva le insidie e le meraviglie che nascondeva il mare.

Godan lo guardò.

Olbo aveva il suo personale binocolo e parlò, continuando a guardare le navi.

-Le vedo chiaramente danneggiate e ne conto più di duecento, mentre la flotta Noveriana conta duecentoquindici navi da guerra più svariate piccole navi. Alcune vele sono parzialmente strappate e i marinai sono agitati, laggiù.-

-Sempre ottimo il tuo spirito di osservazione, Olbo.-

-Ma... non posso aver inviato contro di noi la loro intera flotta!- disse Kordovar.

Godan sorrise. -Evidentemente non conosci il modo di fare dei Noveriani: per te come hanno vinto la Guerra Santa? Mandando contro tutte le loro fottute truppe nello stesso fottuto momento. Il Grande Inquisitore di certo non bada a spese.-

-Di certo le loro capacità organizzative attualmente sono imperfette. Noveria è accerchiata a Nord e ad Est. I Q'uoin di certo non li aiuteranno e ora mandano la loro flotta contro di noi. Dobbiamo approfittare di questo momento di confusione.- disse Hidan.

Godan lo guardò.

-Sei sempre stato intelligente figliolo. Un po' di abilità con la spada e saresti perfetto.-

Hidan sorrise ma poi abbassò lo sguardo. Kordovar era abile con la spada. Con tutte le armi a dire il vero. Hidan non era mai stato un guerriero.

Sono abile con l'arco si dice ma credo che lui non abbia mai perso tempo a notarlo. Vashet diceva che dovevo impegnarmi almeno per essere notato da mio padre e pensavo che l'abilità con l'arco potesse essere degna della sua attenzione. Ma non è servito. Forse è proprio per questo che ho iniziato a trovare inutili quegli addestramenti.

Kordovar osservava le navi con gli occhi socchiusi. In lui si stava insinuando la furia della battaglia.

Godan fece segno ad un soldato di avvicinarsi, era Hen Mathar, un Comandante dell'esercito. Uno dei più brillanti a dire il vero. Aveva il volto squadrato e i suoi capelli erano di un castano scuro.

-Hen, affido a te il compito di guidare le truppe di difesa sulla spiaggia, sarai in prima linea.-

-Come Vostra Maestà comanda.-

-Padre aspetta!- si intromise Kordovar.

Godan lo guardò.

-Voglio essere io in prima linea. È la prima vera battaglia a cui partecipo, non è un comune scontro con i pirati o una caccia di Litumani.- la luce negli occhi di Kordovar indicava che era pronto a combattere, a uccidere i suoi nemici.

Godan lo guardò, poi scosse con forza la testa

-Che io sia maledetto se ti permetto di andare a combattere il giorno del tuo matrimonio!-

-Il matrimonio è già rimandato, padre. È il momento che aspettavo. Per i soldati veder combattere al loro fianco il principe darà forza. Le navi Inquisitorie sono già danneggiate. Lasciami combattere.-

Hen Mathar posò la sua mano ruvida sulla spalla del principe.

-Vostra maestà se posso intromettermi... il principe ha dimostrato varie volte di avere incredibile doti strategiche. Abbiamo bisogno di lui sulla spiaggia. Se falliamo... Aquamar è perduta.-

Godan imprecò, poi si volse verso il mare. Le navi erano sempre più vicine.

-Che il Supremo mi perdoni. Preparate le catapulte. E i tronchi di difesa. Cercate di abbatterne il più possibile. E Kordovar... se vedi che la situazione è disperata, ritirati. Torna qui. Non c'è motivo di rischiare la tua vita.-

Kordovar sorrise.

-Se falliamo moriremo tutti. Sono pronto a sguainare la mia spada contro i nostri nemici! Il castello non verrà scalfito da armi Inquisitorie!-

Hidan osservò il coraggio indomabile di suo fratello. Gli occhi azzurri che luccicavano vogliosi di battaglia.

Non sarò mai come te, fratello. Mai...

-No, no, no e poi NO!- urlò Nalyssa. Era stata portata anche lei al castello, assieme ad altre serve.

Nalyssa prese per un braccio Kordovar.

-Tu non andrai! Non oggi, maledizione! Non comportarti da idiota come il tuo solito!-

-Ma devo andare. Il mio regno ha bisogno di me!-

-Il tuo regno... ha bisogno di un principe VIVO!-

Non noti che ci sono pure io?

Kordovar le prese la testa con entrambe le mani, per placare la sua rabbia.

-Andrà tutto bene. Sono accompagnato da grandi soldati. Hen Mathar è un guerriero incredibile. L'ho visto uccidere quattro Litumani con una lancia! E poi ci sono arcieri abili e le nostre catapulte hanno una mira infallibile. Andrà tutto bene. Tornerò che i Noveriani saranno tornati a casa loro. E dopo... avremmo tutto il tempo che vogliamo.-

Nalyssa si asciugò le lacrime e annuì.

-Ti amo, piccola.-

-Anch'io.-

Il loro bacio fu così dolce che il solo guardarlo scaldò il cuore di Hidan.

Lei è sua, non mia. Lo è sempre stata. E io che, come un idiota, mi convincevo di avere qualche possibilità.

Non disse nemmeno di voler partecipare alla battaglia. Forse perché sapeva che suo padre non lo avrebbe mai permesso, o forse perché stava morendo di paura.

Kordovar indossò la sua armatura e parti al galoppo di Dynlal, il suo destriero bianco. Vederlo là, in sella a Dynlal, con addosso l'armatura di casa Naustrarer, decorata con gli squali blu, con salda nella sua mano la sua spada ricurva, Hidan si convinse che nessuno poteva osare rovinare quella splendida figura.

 

Hidan era chiuso nel salone assieme ad Olbo, Nalyssa, altri Lord minori e sei guardie tra cui Toran Masusharan. Il Primo Difensore della Guardia Blu era un uomo non più giovane ma dal fisico ancora possente, collo taurino e occhi ovviamente blu. I suoi capelli erano ricci e ancora neri e il volto iniziava ad essere rovinato da delle rughe. Era armato con la sua lancia. Quella lancia ne aveva viste tante ma restava salda sulla sua mano in ogni battaglia. Astor era quasi riuscito a raggiungere il Castello durante la guerra con suo padre, ma Toran aveva difeso il castello come nessun altro. Si era lanciato dall'entrata principale e tutti i ribelli erano morti. Aveva lanciato la sua lancia e aveva trafitto al collo il primo Ufficiale di Astor. Toran lo conosceva, erano stati amici, ma nulla aveva fermato la sua lancia. Nemmeno l'amicizia.

Hidan si scrocchiava le dita nervosamente. Una serva chiamata Dyane era seduta accanto a lui. Hidan ricordava quel visetto dolce e quelle belle trecce. La ricordava soprattutto per le volte che aveva mostrato il suo affetto per la dinastia Naustrarer intrufolandosi nella stanza di Hidan e allietando le sue serate.

-Cosa accade, mio principe? Sei preoccupato?- chiese lei accarezzandolo.

-Lo sono, sì lo sono e dovresti esserlo anche tu. I Noveriani hanno la flotta più potente del mondo.-

-Ma noi siamo gli Uomini Acquatici, in mare siamo imbattibili.-

Hidan sorrise amaramente.

-Sì... ma quando sbarcheranno?-

-Tuo fratello non lo permetterà.- disse Toran avvicinandosi.

-Ho fiducia in lui, ma le catapulte non possono impedire lo sbarco di centinaia di navi.-

-Se sbarcheranno ci sarà ad aspettarli l'erede di tuo padre.-

Già... l'erede.

Sentirono il suono di una catapulta che lanciava il suo grosso masso e poi il suono del legno che si spezza. Guardarono dalla finestra e videro una nave Noveriana che colava a picco.

Tutti esultarono.

-Cosa ti dicevo? Tuo fratello è un grande guerriero, anche Vashet lo diceva.- disse Toran sorridendo.

-Già... Vashet diceva molte cose.-

-Vashet era un formidabile guerriero e le sue parole sono sempre state vere.-

Hidan rise. -Diceva che potevo essere uno dei migliori. Ti do tempo di rivalutare ciò che hai appena detto.-

-Diceva il vero. Vashet sapeva leggere dentro le persone, nelle polverose pagine della nostra anima.-

Hidan lo guardò. Toran aveva sempre avuto uno spirito romantico, nonostante quella lancia.

-Le mie pagine erano fin troppo polverose, amico mio.-

Hidan, guardando negli occhi di Toran, rivide i momenti passati con lui quando non era ancora il Primo Cavaliere e al suo posto c'era un giovane e incredibilmente talentuoso Vashet. Hidan era poco più di un ragazzino e Toran spesso lo metteva sulle sue spalle per fargli ammirare il panorama dal castello.

“Guarda bene, Principe. Questa è la nostra città. Un tempo delle navi nemiche sbarcarono su quella spiaggia e fummo costretti a combattere i nostri stessi fratelli. Furono tempi terribili... anni di sofferenza. Ora tu vedi un isola in pace, ricca di colori e donne bellissime. Ma prima o poi i tempi terribili torneranno e in quel momento dovremmo lottare per permettere a quest'isola di vivere. Dobbiamo amare questo luogo, Principe. Dobbiamo amarlo come se fosse un nostro famigliare. Perché quando arriverà il momento... dovremmo essere in prima linea. Ami il tuo regno, Principe?-

“Sì, lo amo!”

“Bene, bene! Allora anche tu sarai in prima linea, lo so! Bisogna difendere con le unghie e con i denti ciò che si ama.”

“Te lo prometto! Sarò in prima linea.”

Hidan sorrise amaramente e osservò Toran scrutare fuori dalla finestra.

-Guarda laggiù.- disse Hidan indicando.

-Laggiù mio fratello sta lottando per difendere la nostra città, per difendere tutto il regno. Là sta rischiando la vita con tutti gli uomini più coraggiosi di Aquamar. E io sono qui. Chiuso tra queste mura. Attanagliato dal terrore.-

Toran si volse verso il Principe.

-Principe... un uomo può fare il suo dovere per il regno anche se non è sul campo di battaglia. Può dare la forza a coloro che ne hanno bisogno. Osservali.- Disse indicando tutti i nobili lì riuniti. Erano terrorizzati, tremavano, un neonato piangeva.

-Tutti loro tremano e piangono, sono sicuri che non ci saranno speranze. Che tutto è perduto. A volte per essere un eroe basta un incoraggiamento, basta una mano sulla spalla per ricordare a chi ne ha bisogno che c'è sempre speranza.-

Hidan restò a guardarli.

Poi guardò Nalyssa che piangeva, gli occhi rossi come il fuoco.

-I veri eroi sono là fuori, Toran. Non qui.-

 

-Sono state distrutte altre navi, altre ancora si sono allontanate, probabilmente attaccando un altra città!- disse un messaggero. Godan pensò a dare ordini mentre fuori riecheggiò il suono della battaglia. Erano sbarcati sulla spiaggia. Sentiva il clangore del metallo e le urla dei soldati. Kordovar era lì. Appena Nalyssa sentì le urla emise un gemito e si coprì le orecchie. Hidan tremava.

Quando arriveranno qui non avranno pietà... per nessuno.

No no no no Kordovar ce l'ha farà. Sì che ce la farà.

Perché non vai da lei? Perché non vai da Nalyssa a consolarla? Sta piangendo è la tua opportunità.

NO

Non sono così meschino. Kordovar sta rischiando la vita e io vado da lei.

Va' almeno a consolarla. Sì uomo per una volta!

Si diresse da lei e si sedette al suo fianco.

Rimase fermo senza fare nulla, indeciso su che fare.

Voleva abbracciarla e dirle che andava tutto bene.

Voleva accarezzarla e ricordarle che Kordovar era forte e combattivo.

Voleva sentire il sapore di miele sulle sue labbra.

No no no no concentrati.

-Nalyssa...- disse. Ma la sua voce era roca, per niente rassicurante. Tossì e parlò nuovamente.

-Non piangere. Kordovar è abile, sa come comportarsi sul campo di battaglia.-

-Non mentire! Non mentire Hidan, maledizione. Non farlo! So che è la prima vera battaglia a cui partecipa. Doveva restare qui!-

-Sai com'è. Se non avesse partecipato tutte quelle navi non sarebbero affondate, ne sono sicuro. Senza di lui l'esercito avrebbe avuto paura.-

-Ah lui e il suo stupido orgoglio! Tu almeno hai avuto la decenza di restare qui.-

Hidan abbassò lo sguardo.

-La chiami decenza eh? Sei sempre stata quella che la pensava diversamente.-

Lei lo guardò.

È bellissima, troppo per essere vera.

-Che vuoi dire?-

-Hai scelto lui perché è combattivo e coraggioso, due cose che io non sarò mai.-

Lei sorrise, nonostante le lacrime.

-Ma sei intelligente. Se anche lui lo fosse avrebbe capito che era un suicidio, cazzo!-

Hidan voleva accarezzarla, sentire la perfezione della sua pelle.

-Io sono qui, Nalyssa. Io sono qui come un codardo. Lui è lì a lottare. Qui sta la differenza. Non è questione di essere intelligenti o meno. È questione di coraggio. E a me manca.-

Lei inaspettatamente lo accarezzò.

Tornò a provare ciò che provava anni fa, nelle sue stanze con lei, a baciarla.

-Io so che sei coraggioso, e pure il tuo maestro lo sapeva. Tu hai la forza nello spirito e sai come cavartela grazie alla tua intelligenza. Questo ti ha sempre distinto da Kordovar.-

Ma hai scelto lui.

Lui annuì.

Hidan rimase zitto a guardarla e non riuscì a staccare i suoi occhi da quelli di lei. Resistette con tutta la sua forza all'istinto di baciarla.

“Io e Kordovar ci sposiamo, Hidan. Oh cielo è... perfetto. Coraggioso, nobile, un po' arrogante certo ma è una bravissima persona. L'hai visto combattere? È abilissimo. Il suo vecchio maestro ha detto che ha l'indole del condottiero. È fatto per comandare un esercito ma... che ti sto a dire queste cose? Tu le sai già, no? Me l'hai presentato tu! Non ti sarò mai grata abbastanza! Sei felice?”

“Sì... certo che lo sono.”

Si bloccò e smise di guardarla negli occhi.

Tacque per molto tempo e anche lei lo fece, fuori rimbombavano i suoni della battaglia e le urla degli uomini. Non seppe dire per quanto tempo non proferì parola, era come ipnotizzato da quei suoni. Là nella spiaggia suo fratello stava uccidendo dei soldati, stava rischiando la sua vita. Chissà in quanti stavano tentando di ucciderlo, in quanti lo stavano guardando come se fosse un demone in terra. Combattere in una spiaggia era difficile, questo Hidan lo sapeva.

“La spiaggia scotta, la sabbia arde ed è difficile muoversi. Immagina di essere lì, indossando una pesante armatura, sotto un sole cocente con la sabbia che entra negli spazzi liberi dell'armatura. Ti distrai e perdi la calma e poi una spada ti taglia a metà. Ma per noi Uomini Acquatici è preferibile combattere là data la vicinanza all'acqua del mare. Se accadesse nuovamente una battaglia su quest'isola ricorda, Hidan, che i nemici non devono avanzare verso la città. Lì saremo spacciati, allontanali verso la sabbia o ancor meglio verso la scogliera e là avremmo molte più opportunità di vincere. Chissà, magari sarà l'acqua stessa a darti un aiuto materiale”

Vashet ne sapeva, su quello non c'era dubbio. Un guerriero della sua abilità nasce una volta ogni cento anni. Tutti dicevano anche della saggezza delle sue parole.

“Vashet non diceva mai nulla a caso. Se diceva una cosa lo faceva perché era sicuro della veridicità di quelle parole. E se certe sue frasi ti sembreranno nebulose sappi che in futuro, quando meno te l'aspetti, diventeranno chiarissime. Sapeva vedere nel futuro Vashet, ne sono sicuro” aveva detto suo padre.

L'unica cosa certa per Hidan era che Vashet avesse sprecato anni della sua vita ad addestrare un fannullone come lui. Però ci aveva creduto e per un po' aveva convinto anche Hidan. Per un po'.

-Ma lui è forte, è addestrato. Non cadrà in battaglia, se non sarà il Supremo a volerlo.- disse poi Hidan

Poi regnò un totale silenzio dentro la stanza, ma da fuori continuavano a provenire i suoni della battaglia. Hidan si ritrovò nuovamente ad ascoltare le urla e i suoni delle armi che cozzavano, del legno che si spezzava, delle vele delle navi che prendevano fuoco. E poi, assieme ai suoni, giunse un terribile odore di sangue. Passò talmente tanto tempo che Hidan pensò seriamente che la battaglia sarebbe durata per giorni. Nel frattempo la sentinella continuava a informare Toran di ciò che accadeva. Venti navi si erano dirette a Karmay e il villaggio era stato colto alla sprovvista. Stavano lottando anche lì in quel momento ma le notizie non erano buone. Sporkalt aveva inviato truppe di supporto essendo una città vicina. Sporkalt era al sicuro date le montagne marine che uscivano creando una sorta di muraglia di difesa. Onnyuga pareva essere al sicuro, dato che si trovava a Sud di Aquamar. Le altre città probabilmente, nei piani iniziali dell'Inquisizione, non erano da attaccare ma lo fecero soprattutto per impaurire gli Uomini Acquatici o per avere qualche opportunità in più di entrare nell'isola, ma il vero bersaglio era la capitale. Parecchie navi erano state distrutte. Parte della flotta aveva intercettato delle navi inquisitorie e le avevano distrutte prima di giungere nella capitale. Il porto aveva cercato di reggere ma era stato quasi completamente distrutto. La zona del tempio Abissale era stata bersagliata dalle baliste noveriane e la spiaggia era ora teatro della battaglia. Il grosso dell'esercito di Aquamar si trovava lì.

Improvvisamente sentirono delle urla, dentro il castello e Hidan tornò in sé.

No no no no non possono essere già qui!

Toran spalancò la porta e vide quattro soldati trasportare con una barella una persona.

-Per il Supremo.- disse a bassa voce.

Hidan uscì correndo.

-Che...- si interruppe, quando vide suo fratello sulla barella.

 

La stanza odorava di sangue. Kordovar ansimava e gemeva, il suo fianco era zuppo di sangue. I suoi occhi erano persi nel vuoto e dalle sue labbra colava un rivolo di sangue.

-Mio Dio, sbrigatevi, sbrigatevi!- urlò Hidan ai soldati.

Essi lo posarono al suolo.

-Chiamate un medico! SUBITO!-

I soldati corsero via ad esclusione di uno. Il Capitano Elmys Blanka.

-Non abbiamo potuto fare altro che portarlo qui, mio principe. Il Comandante Hen Mathar è caduto in battaglia. La sua testa è stata aperta da un'ascia. Poi... il sangue era ovunque. Il principe ha combattuto come un leone ma un soldato l'ha colpito con la sua spada alle spalle. La ferita è... tremendamente profonda.-

Hidan tolse le cinghie dell'armatura.

-Aiutami a toglierla, presto!-

Appena la tolse l'odore del sangue raddoppiò. Era nauseante.

-Dove diavolo è mio padre!-

Godan finalmente arrivò correndo. Si gettò a terra, vicino suo figlio.

-Kordovar! Kordovar! Mio Dio è stata colpa mia... è stata tutta colpa mia.- iniziò a piangere.

-Dov'è il dottore!-

Godan accarezzò suo figlio morente.

-No no no no no. Tutta colpa mia. Sapevo che non dovevo mandarti là. Dovevo andare io! IO! Cos'ho fatto!?-

Kordovar tentò di parlare ma emise solo un rantolo. Altro sangue uscì dalla sua bocca.

-Ho cercato di trattenere il sangue ma era impossibile. Continuava ad uscire!- disse Blanka.

Hidan mise le mani sopra la ferita. Sentiva il calore del sangue. Ma non era per niente un calore confortante.

In pochi secondi le sue mani si inzupparono di sangue.

-Figlio mio! Oh figlio mio!-

-Zitto! Basta piangere! Fa qualcosa, maledizione!- urlò Hidan a suo padre.

-Taci! Taci tu! Dovresti essere andato tu a combattere! Invece te ne sei stato qui a tremare come un codardo! Non osare darmi degli ordini, ragazzino!- tuonò il Re di Aquamar.

-Come osi tu darmi del codardo!-

-Io oso perché è la verità! Lo sei sempre stato sin da piccolo, sempre nascosto dietro tuo fratello! E ora lui è qui, in fin di vita mentre tu sei qui pulito e profumato!-

Ti ammazzo vecchio bastardo! Punta sulle mie debolezze, punta sulle mie paure! Non mi piegherai.

Perché l'hai già fatto.

-Sono le mie mani sporche di sangue, non le tue!- disse Hidan colpendo suo padre con un pugno.

-E ora vattene!-

Cosa diavolo sto facendo?

-Tu piccolo...-

-BASTA!- tuonò Toran.

-Il Principe sta morendo! E voi bisticciate, siete due idioti ecco cosa!-

La Guardia Blu aveva usato un tono che poteva portare alla decapitazione chiunque. Ma nessuno dei due disse più nulla. Il tono della voce di Toran zittì i sovrani di Aquamar.

-H... Hid... Hidan.- gorgogliò Kordovar.

Hidan corse vicino a lui.

-Maledizione! Oh maledizione non ce la faccio! NON CE LA FACCIO!- urlò Godan allontanandosi.

Hidan si accucciò vicino Kordovar.

-Dimmi fratello.-

-è... è brutta, vero?-

Hidan sollevò la maglia e vide la ferita.

Era profonda, terribilmente profonda. Letale.

-No.- mentì Hidan. -No, non lo è. Solo un graffio.-

Kordovar sorrise.

-Pessimo bugiardo.-

Hidan sentiva gli occhi bruciare.

-Mi dispiace... mi dispiace, dovevo venire io con te!-

Il dottore finalmente arrivò.

-No... no uno di noi deve vivere. Deve... argh... deve esserci un erede... sempre.- emise un forte gemito di dolore.

-Sei sempre stato tu, Kordovar. Non io. Non io. Io sono... perso senza di te.-

-Io ci sono ancora... sono qui... davanti a te.-

Hidan sentì delle urla dietro di se'.

-Io non sono mai stato come te, tu sei sempre stato il migliore.-

-NO. Non è vero. Questo l'hai sempre pensato... tu. Io non ho mai avuto la tua intelligenza, la tua arguzia... il tuo coraggio.-

Il dottore osservò la ferita e il suo volto fu tutt'altro che rassicurante.

-Voglio entrare! Fatemi entrare subito!- sentì urlare Hidan.

Era la voce di Nalyssa.

-No... non deve entrare. Non voglio che mi veda.-

-è mio marito! Pretendo di vederlo! Ora!- le guardie la trattennero.

-Portatela via. Portatela via di qui ora, maledizione!- ordinò Hidan.

-Ah... hai la voce del comando, non ti avevo mai sentito urlare.-

-Come puoi... come puoi dire che io sono coraggioso? Il coraggio apparteneva a te, non a me.-

-Ci vuole coraggio ad urlare contro Nalyssa.- disse Kordovar sorridendo. Suo fratello riusciva a sorridere anche in fin di vita.

-Perché non fai nulla? Fa qualcosa!- ordinò Hidan al dottore.

-Ma... mio Principe... non c'è nulla da fare oramai. Sta per morire.-

Hidan spalancò gli occhi e guardò Kordovar.

NO! TUTTO QUESTO NON Può SUCCEDERE! VOGLIO URLARE! VOGLIO USCIRE E UCCIDERE TUTTI I NOVERIANI PRESENTI IN QUEST'ISOLA. VOGLIO VEDERE LE MIE MANI LORDE DEL LORO SANGUE, VOGLIO DARE ALLE FIAMME TUTTA LA LORO FLOTTA!

Ma perché... perché non lo faccio? Perché ho così tanta paura? Ora sono solo, senza Kordavar sono sperduto in un mare gelido e buio con una barca senza remi. La mia ora sta per giungere e mi vedo per quello che sono. Un patetico... codardo... idiota. Che con l'impegno avrebbe potuto diventare qualcuno ma che ha preferito vivere all'ombra degli altri e non ascoltare i consigli che gli venivano dati.

-Cosa ti aspettavi, Hidan? Sapevo sin da subito che non sarei durato per ore così. Ora... affido tutto a te. So che non mi deluderai.-

-Ma... ma Kordovar... io non so cosa fare. Ho bisogno di te, ho bisogno della tua forza, della tua spada... del tuo coraggio.-

Kordovar scosse la testa e toccò il petto di Hidan, le sue mani erano sporche di sangue.

-Hai tutto qui. Cerca... cerca bene... e troverai tutto quello di cui hai bisogno... ricorda le parole di Vashet. Ricorda i suoi insegnamenti. Tu sai... che puoi farcela. Devi solo cercare. Devi solo... avere la forza.-

Hidan prese la mano di suo fratello. Era fredda... morta.

-Ma io... io ho paura. Ho paura di quello che c'è là fuori.-

-Tutti hanno paura. Anch'io ne ho... ora. Molta. Ma... è dalla paura che nasce il coraggio. Tu sei destinato ad essere il migliore tra tutti noi. Devi solo... superare... la paura...- esalò dopo queste parole, infine, il suo ultimo respiro.

E così morì l'erede di Aquamar, Kordovar Naustrarer. Dicendo le parole che diedero forza a suo fratello.

Hidan posò la mano di Kordovar e appoggiò la sua testa sul suo petto.

Il cuore non batteva più.

-Che il Supremo ti illumini la via verso i Cieli, fratello.-

Poi si alzò.

Toran posò la sua mano sulla spalla di Hidan.

-Era... un eroe. Una persona unica. Non disonoreremo la sua memoria. Combatteremo. E tu... tu ci guiderai. Tu che hai la forza di spalancare gli Abissi.-

Hidan alzò lo sguardo, asciugandosi le lacrime.

-Era un eroe... ma anche tu lo sei... adesso.-

Toran ripensò a ciò che gli aveva detto e sorrise, mentre le lacrime scendevano dai suoi occhi.

Hidan uscì dalla stanza, col vestito sporco di sangue.

Nalyssa lo guardò aspettando la notizia che Kordovar stava bene, che era vivo.

-Allora? È vivo? Sta bene?-

Hidan la guardò, poi le prese entrambe le mani e le baciò. Infine la abbracciò.

Non vide il suo volto, ma capì che stava piangendo.

Godan stava appoggiato ad una parete, con la testa cinta tra le mani.

Hidan lo guardò e non disse nulla. Non andò da lui. Lo lasciò solo perché lo conosceva. E sapeva che consolarlo non sarebbe servito a niente. Perché niente poteva consolarlo.

Nalyssa smise di abbracciarlo e lo guardò. Poi fece per entrare.

Hidan mise in mezzo il suo braccio e la fermò.

-No... non voleva che lo vedessi. Ci penserà il dottore. Ormai... non c'è più niente da fare.-

-Ma... cosa faremo? Cosa faremo adesso?- chiese Blanka.

Hidan lo guardò. Vide l'incertezza sul suo volto. L'incertezza che lo aveva afflitto fino a prima... ma non adesso.

-Adesso... contrattaccheremo.-

 

La sua stanza era gelida. Gelida come l'abbraccio della morte.

Le parole di Vashet riecheggiarono nella sua testa.

“Tu puoi essere il migliore. Supera l'inferiorità, supera i tuoi timori. Ed ergiti come il condottiero che sei.-

Si diresse verso la teca che conteneva il suo arco.

“Ergiti tra le ceneri delle tue paure, ergiti verso la battaglia che ti aspetta e dimostra a tutti, a tutti, che sei pronto.-

La aprì e l'arco donatogli dal suo maestro sembrò splendere. Ricordò il sorriso di Vashet. Ricordò l'ultimo giorno in cui lo vide. Quando gli diede l'arco. Quando decise di andarsene a morire da solo, nel mare, a casa.

Quando passò la sua eredità al suo migliore allievo, a Hidan.

Prese l'Arco di Vashet.

“Affronta le tue debolezze, la tua insicurezza. Distruggi i tuoi nemici. Dimostra che sei pronto a vincere. E quando l'avrai fatto, quando avrai dimostrato al mondo e al Supremo stesso che sei pronto... nessuno potrà competere con la tua grandezza.-

Ora capiva le parole, ora capiva il loro significato dopo tutti quegli anni. Ora si ergeva come l'eroe che doveva essere e che era sempre stato.

 

L'armatura calzava ancora. Non si stupì.

Si avviò con passo lento ma deciso verso il portone principale.

-Le Truppe Imperiali stanno avanzando per la città, mio signore. Dobbiamo impedire che raggiungano il Castello.- disse Blanka.

Hidan prese il suo elmo e lo tenne sotto braccio.

-Non arriveranno.-

Strinse l'ultima cinghia, per assicurarsi che l'armatura fosse perfettamente attaccata al suo corpo.

-Come si chiama?-

-Chi, mio signore?- chiese Blanka.

-Come si chiama colui che ha ucciso mio fratello?-

-è il Comandante Denthor di Fassband, mio signore.-

Hidan annuì.

Denthor di Fassband, Comandante Inquisitorio... questo è il tuo ultimo giorno di vita.

-Hidan.- sentì la voce di Nalyssa quando sentì la sua voce... il suo cuore ebbe un sussulto.

Si aspettava di vedere l'odio nei suoi occhi. Stava facendo quello che aveva fatto suo fratello e Kordovar era andato contro la morte. Si aspettava di essere colpito da una forte sberla. Si aspettava di vederla piangere.

Ma non vide nulla di tutto ciò.

Hidan volse lo sguardo verso di lei e forse... forse lei aveva intenzione di fare le cose sopra citate. Ma appena vide gli occhi del Principe, appena vide la forte decisione, appena vide il coraggio, la forza, la determinazione in quegli occhi... tutto svanì.

-Ammazzali tutti.- disse Nalyssa.

Hidan restò ad osservarla.

Tornerò per lei, salverò questo regno e questa città per lei.

È una motivazione valida.

Al suo fianco si misero Toran e Blanka.

Ora non avevano paura, ora sapevano quello che dovevano fare.

Hidan non disse nulla. Si mise l'elmo e si avviò.

Fu un gesto chiaro.

Si andava a combattere.

 

 

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Capitolo 30
*** Una dolce maledizione ***


p>Capitolo 30

Una dolce maledizione

 

Rivedere la luce del sole fu incredibilmente gratificante, così come respirare l'aria fresca del mattino e in generale avere sopra di lui un grande spazio aperto. Si chiese come avessero fatto i Ferventi a vivere tutto quel tempo in quell'enorme crepa nel terreno. Era rimasto nelle Piane di Confine, nel nascondiglio dei suoi nuovi alleati, troppo a lungo. Se ne rese conto quando si ricordò che stavano inseguendo una ragazza accompagnata da un soldato. Erano in due, quindi molto più veloce rispetto a tutto il suo esercito.

Nodamor guardò quell'enorme massa di Discepoli, Work e Ferventi. Di questi ultimi la maggior parte erano uomini maturi e motivati, ma c'erano moltissime donne, vecchi e bambini. Persone di certo non fatte per combattere.

Si rese amaramente conto che la situazione gli era decisamente sfuggita di mano. I Ferventi erano certamente d'aiuto ed era comunque in guerra, perciò più gente aveva dalla sua parte meglio era. Ma questo era fuori dalla sua portata. Donne, vecchi, bambini, gente che aveva bisogno di cibo, acqua, sostentamento.

Quelli che erano degli utilissimi alleati al tempo stesso erano diventati un peso enorme.

Ci vuole coraggio a prendersi questa responsabilità.

È un primo passo a ritrovare uno scopo.

Athamor era al suo fianco e guardava anch'esso il loro esercito.

-Forse sono un po' troppi per solo noi due.-

Nodamor sorrise.

-Già. Non mi stupirei se Elomer ci inviasse qualche compagno.-

Athamor annuì.

-Quelli ancora vivi.-

Già, che sono molto pochi.

Nodamor guardò il suo Work dalle piume blu.

-Sarebbe stato molto più semplice se fossi andato da solo, in sella al mio Work, avessi preso la ragazza e fossi tornato alla Città Volante.-

Athamor scosse la testa.

-Sarebbe stato veloce ma no, non avrebbe funzionato. Ti avrebbero subito avvistato e per quanto tu fossi andato veloce tutti avrebbero attaccato la Città Volante. I colpi di catapulta ci raggiungono, amico mio.-

Sembrava troppo facile...

Emakoon stava parlando con Irash, suo nipote, ma il suono della loro voce non giungeva alle orecchie di Nodamor.

Il Dio del Coraggio discusse con Athamor di come proseguire. Erano rimasti fermi troppo a lungo e questo era stato un errore. In più anche Athamor concordava che i Ferventi sarebbero stati un grande rallentamento.

L'esercito poi era molto più grande delle aspettative dei due Celestiali perciò avrebbero dovuto trovare cibo o ancor meglio stanziarsi in una città. Con le giuste parole o minacce Nodamor sarebbe riuscito a portare sotto l'influenza Celestiale certi villaggi o addirittura città.

Nodamor si sgranchì la schiena.

Dannazione, iniziava a sentire il peso degli anni.

-Sai di chi avremmo avuto bisogno, Athamor? Di Shalazar.-

Athamor guardò Nodamor con quel suo sguardo carico di saggezza.

-Shalazar era certamente un guerriero formidabile. Era pur sempre il Dio della Guerra. Ma ti ricordo che sei rinomato come uno dei migliori guerrieri Celestiali mai esistiti. Hai affrontato come condottiero ben tre guerre, se contiamo pure questa.-

-Ognuna sempre più stanco.-

-Gli anni passano anche per te, vecchio mio.-

Nodamor rise. Già, stava davvero invecchiando.

-Ebbi la fortuna di parlare con Shalazar svariate volte. Era un Celestiale incredibile... uomini come lui temo non ne verranno più. Aveva la giusta mistura di abilità di combattimento e strategia. Nonostante le storie che si narravano sul suo conto non era assolutamente la bestia sanguinaria che tutti dicevano. Ma aveva comunque un indole brutale quando combatteva, fu proprio questo a renderlo così temuto. Tu, Nodamor, piaci alle persone. Sei un guerriero eccezionale ma hai una facciata pura, quando le persone ti vedono pensano che tu sia una brava persona e fanno bene a pensarlo. Ispiri fiducia e sicurezza e questo, amico mio, è un bene. Soprattutto di questi tempi.-

Nodamor ricordò la prima volta che vide Shalazar, armato della sua spada di cristallo nero che abbatteva un nemico dopo l'altro. Era passato talmente tanto tempo che nemmeno ricordava chi stesse combattendo. Durante la Guerra Civile aveva ceduto il comando a Nodamor. Per un po' l'aveva odiato, convinto che l'avesse fatto per una sadica motivazione, vedere Nodamor e Donthamar combattere, i due vecchi amici. Ma poi, col passare degli anni, aveva capito che c'era un motivo. L'aveva fatto maturare, l'aveva reso in parte ciò che era adesso.

Shalazar l'aveva addestrato e ricordava con enorme tristezza il giorno della sua morte, quando quel dannato Cavaliere del Braccio si prese la sua vita, sventrandolo come un maiale al macello. Vedere cadere Shalazar fu tremendo, capì che non erano invincibili e capì anche che la sconfitta era inevitabile.

Ahimè lo capì troppo tardi. Avrei dovuto capirlo vedendo morire Attuk, o Ferghos o Allyma.

Soprattutto Allyma.

Ma la mia arroganza mi convinse a continuare, a lottare ancora, spinto da un irrefrenabile sete di vendetta.

Scoprì suo malgrado che la vendetta aveva un sapore estremamente amaro.

Il paesaggio era pianeggiante, con qualche albero sparso qua e là.

Dirigendosi verso Ovest il paesaggio diventava sempre più boschivo fino a giungere all'enorme foresta di Q'uoian.

I villaggi verso Ovest erano assai numerosi e forse potevano trovare anche qualche città di medie dimensioni, di certo non grandi come Geveldor o Fassband. E avevano dannatamente bisogno di fermarsi in una città, almeno di stanziare i loro esercito lì vicino, sarebbero stati molto stupiti i cittadini se avessero provato ad attaccarli.

-Guarderò dall'alto per vedere se c'è una città.- disse Nodamor rivolgendosi ad Athamor.

Salì in groppa al suo Work personale e partì in volo. Le piane di confine si estendevano per miglia e miglia ma poi Nodamor vedeva solo boschi. Il suo sguardo, superiore a quello di un qualunque umano, gli mostrò gli enormi alberi di Q'uoian o Styorvan in lingua Celestiale. Aveva avuto contatti con il popolo Styor molti anni fa. Erano un popolo antico quanto la roccia e il mare, forse ancora più antico dei Celestiali. Probabilmente esistevano ancora prima del Crollo dei Cieli, quando furono costretti a mischiarsi con i mortali. Ancora prima dell'Epoca d'Oro. Aveva parlato con il loro re del tempo Senktiryll V'domar, un Q'uoin dai capelli arancioni e dagli occhi verdi. Quella razza era stranamente colorata, vivevano sugli alberi e vivevano molto a lungo, forse ancora di più dei Celestiali.

Veniamo definiti immortali ma non ho mai sentito di un Celestiale che sia durato per mille anni. Finiamo sempre morti in un modo o nell'altro.

Volse il suo sguardo alle sue spalle e a diversi chilometri da lì c'era la Città Volante, tutto ciò che rimaneva della loro capitale, di Konderham.

Niente più che un ammasso di edifici sospesi nel cielo. Cercai di auto convincermi che non fosse male, pensai “si, insomma, si torna come un tempo. Un tempo eravamo in cielo, vivevamo tra le nuvole, talmente vicini alla luna da poterla toccare.”

Già, ma una manciata di edifici sollevati in cielo per ordine dei nostri nemici non è la stessa cosa... affatto.

Decise di non guardarla ma di guardare in basso, a poche ore di viaggio (che dovevano essere raddoppiate dato il grande numero di persone che Nodamor si portava appresso) stava una città che Nodamor, ricordando le vecchie mappe, identificò come Sharkar.

 

La strada per Sharkar attraversava i boschi, gli alberi ai lati della strada erano minacciosi, sembrava che da un momento all'altro potessero prendere vita e abbattersi su di loro.

Nodamor era andato avanti assieme ad Athamor, Irash, Devan, Grosber e Mek. Gli ultimi due erano degli uomini di mezz'età dal fisico possente. Dissero che erano dei fabbri prima che la loro fucina venisse distrutto dai Vurkaniani. Nodamor aveva deciso di proseguire in un piccolo gruppo per velocizzare il viaggio e controllare la presenza di eventuali pericoli. Non ne trovarono però e inevitabilmente il piccolo gruppo iniziò a parlare.

-Sono passato un sacco di volte per questa strada quando ero ragazzo.- disse Irash.

-Era molto meno spettrale, però.-

Devan si guardò attorno, non appariva intimorito dalla strana atmosfera che parevano emanare quegli alberi.

-Ci passavano molte carovane ma ora, a causa della guerra, avere una carovana è fonte di pericolo e una strada come questa è il peggiore dei luoghi.-

Mek annuì.

-Già. Nel mio villaggio hanno smesso di passare carovane già da parecchi mesi, venivano sempre attaccati da qualche fiammifero del cazzo. Spesso le trovavamo in fiamme e i poveracci trucidati.-

Irash guardò Mek, evidentemente notando solo ora la sua abbronzatura.

-Sei dell'Est, Mek?-

-Già, sono di Montaran, a confine.-

Nodamor guardò Grosber e anche lui aveva la stessa carnagione, in più entrambi avevano i capelli ricci e neri e i loro nasi era tozzi. Mek era più alto di forse due piedi di Grosber ma quest'ultimo aveva le spalle molto più larghe dell'altro. Nonostante ciò cerano molto simili.

-Siete fratelli?-

All'udire la voce del loro Dio parvero intimoriti, poi Grosber decise di rispondere.

-Si, Vostra Luminescenza. Abbiamo ereditato la fucina di nostro padre e ci abbiamo lavorato per dieci anni. Poi gli Uomini Rossi hanno attaccato il nostro villaggio, abbiamo resistito e gli abbiamo rimandati a casa loro ma la nostra fucina è stata distrutta.-

Mek annuì mestamente a quelle parole.

-Ma glielo assicuro, le nostre lance erano le migliori di tutta Noveria! Pochi potevano eguagliare la fattura delle nostre lame.-

-Già, mio signore. Abbiamo forgiato armi per Petros di Homana e anche per Oswald della nostra città.-

Devan rise di gusto.

-State parlando di quell'Oswald? Quel coglione che ha dato fuoco ad una foresta a Vurkan per uccidere dei Lakaviani? O dei Vurkaniani... non ricordo la differenza.-

Grosber e Mek risero di gusto.

-Già, proprio quel coglione.- disse Mek dopo aver finito di ridere.

Athamor sorrise sentendo quella storia.

-Se questi sono i nostri nemici allora non abbiamo nulla da temere immagino.-

Nodamor scosse la testa.

-Ci sono sempre nemici temibili. Questi solo solo un paio di idioti ma Argon Falltayer sa essere un nemico pericoloso come i nostri amici qui sanno. E il Grande Inquisitore può essere ancora peggio.-

Irash strinse con forza le mani attorno alla sua lancia.

-Quel figlio di puttana ha ucciso mia madre e mio padre.-

-Non è stato lui, sono stati i soldati noveriani.- disse Devan.

-C'è differenza?-

-No, credo di no.-

Irash gonfiò fiero il petto.

-Sapete io voglio uccidere il Grande Inquisitore. Voglio trafiggere il suo vecchio collo con la mia lancia. E credo che lo farò.-

Grosber rise di gusto a quell'affermazione.

-Che hai da ridere?- chiese stizzito Irash.

-Ti sfido a provarci. Sai quello che dicono di lui?-

-Certo che lo so.-

-E non lo temi?-

-Perché dovrei? È vecchio!-

Athamor rise. -Anch'io sono vecchio!- disse con tono afflitto.

-Ehm... ma voi in modo diverso, Mio Signore.-

Devan sbuffò, probabilmente uno sbuffo riferito alle parole del giovane lanciere.

-Beve un Elisir di Lunga Vita a settimana e per questo è in vita da più tempo di qualsiasi altro umano. Ha il controllo del più pericoloso esercito del Grande Continente. E poi è vecchio, perciò sa benissimo come comportarsi in guerra. L'ha dimostrato...- Devan si interruppe appena cercò di menzionare la Guerra Santa.

Nodamor però volle finire il discorso.

-L'ha dimostrato durante la Guerra Santa, sì è vero. Ottime doti strategiche ma soprattutto un grande esercito e altrettanto ottime macchine d'assedio. L'assedio di Konderham durò più di un anno ma i suoi fondi non finirono e la motivazione dei suoi soldati non vacillò. E sapete perché?-

Tutti scossero la testa a parte Athamor. Lui sapeva bene la risposta, l'aveva detta a Nodamor stesso anni fa.

-Perché erano motivati dalla loro fede. Quando le persone credono così ardentemente in qualcosa sono difficili da fermare poiché sono alimentati da una motivazione superiore, ancestrale. Erano così motivati perché erano sicuri di essere nel giusto. E se esiste qualcuno più pericoloso di una persona che crede in qualcosa è una persona che crede che quella cosa sia giusta.-

Ci fu un grande silenzio, come se le parole di Nodamor fossero state un pugno sullo stomaco per tutti.

Be' forse lo erano stati davvero. Ammettere in questo modo la sconfitta, per di più ammessa da Nodamor, stesso fu quasi uno shock per loro.

Non ha senso negare una cosa così ovvia come una sconfitta, è evidente agli occhi di tutti, si può prendere anche un bambino appena nato e saprà dirvi che i Celestiali sono stati presi a calci in culo dai noveriani. Non ha senso negare la sconfitta e non ha senso nemmeno non parlarne.

-Cosa ricordate di quei giorni, mio signore?- chiese con tono quasi implorante Devan.

Nodamor non aveva nessuna voglia di parlare, men che meno ricordare, quegli anni.

Ma lo sguardo dei quattro uomini era carico di curiosità e Nodamor si decise a parlare, non prima però di aver guardato Athamor.

Lo sguardo del Dio della Sapienza era cupo ma gli annuì, era giusto che loro sapessero.

Nodamor sospirò e iniziò a parlare.

-Furono anni terribili, i peggiori della mia vita. Eravamo indeboliti a causa della guerra civile... combattei con Donthamar, un mio vecchio amico che per la sua sete di potere scatenò una guerra che mise a ferro e fuoco la nostra città. Già quello fu terribile per me. Donthamar era dei uno miei migliori amici, ancora dai tempi nel campo d'addestramento, quando venimmo addestrati per essere Dei tra gli uomini. Eravamo io, Attuk, Ferghos, Allyma e Donthamar. Vedere Donthamar seguire la strada sbagliata, intraprendere una via buia fu per me... come morire. Ma lo uccisi comunque... feci il mio dovere e seguì gli ordini di Elomer Il Superiore. Ero affranto, distrutto, avevo ucciso con le mie stesse mani il mio migliore amico e mi stupivo... a ripensare che non avevo avuto un attimo di esitazione. Avevo seguito gli ordini. Dopo pochi anni il giovane regno di Noveria ci dichiarò guerra. Il Grande Inquisitore ci vedeva come minacce per il Supremo. Elomer cercò di parlare con lui, ma non volle veder ragione. Poi ci attaccò, combattemmo svariate battaglie, io stesso ne guidai la maggior parte. Con me c'era Shalazar Il Guerrafondaio, il Dio della Guerra. Lui mi ha addestrato, mi ha fatto diventare ciò che sono ora. Poi lo vidi morire... e con lui morì anche tutto il mio gruppo.

Il primo fu Attuk, poi Ferghos... e infine Allyma, la donna che ho amato per centinaia d'anni. Poi c'è poco da dire. Assediarono Konderham per più di un anno e come ho detto poco fa resistettero strenuamente perché erano alimentati dalla loro fede, erano totalmente convinti che avrebbero vinto.

E così è stato.

A quel tempo ero molto diverso. Più giovane di duecento anni, arrogante, fin troppo fiducioso delle mie capacità, ero disposto a continuare una guerra solo per il mio desiderio di vendetta. Ero diventato cieco per la rabbia e la mia cecità portò alla morte di altri Dei. Insultai Elomer stesso poiché volevo continuare la guerra, volevo uccidere... ogni singolo noveriano. Volevo uccidere coloro che si erano presi la vita della mia amata e dei miei migliori amici. Poi tutto finì, ciò che rimaneva della nostra città venne sollevata in cielo e rimase in un luogo ben visibile agli occhi dei noveriani, come monito della loro vittoria. Spesso... rivivo quei momenti nei miei incubi. Rivedo Donthamar che guarda la Torre di Konderham e dice che i Superiori non sono nessuno per governarci.

Rivedo il sorriso spavaldo di Attuk convinto che non potesse succederci nulla perché infondo siamo Dei.

Rivedo Ferghos sul ponte della sua nave volante che guarda l'orizzonte con lo sguardo che aveva sempre quand'era assorto dai suoi pensieri.

E rivedo Allyma, il suo sorriso e la luce dei suoi occhi. Penso a tutte le promesse che ci eravamo fatti, penso ai baci che ci eravamo dati convinti che avremmo potuto goderci quei momenti per sempre. Ripenso al figlio che avrei voluto avere da lei... ma che una vita passata a combattere non mi ha permesso di avere. Ripenso all'ultima volta che l'ho baciata... troppi anni fa, quando esalò il suo ultimo respiro tra le mie braccia.-

Il silenzio che le parole di Nodamor provocarono fu quasi assordante.

Devan, Irash, Mek e Grosber guardavano il Dio del Coraggio con un misto di riverenza e grande tristezza.

Athamor aveva tenuto lo sguardo basso tutto il tempo, ricordando anche lui quei terribili giorni. Chissà chi aveva perso... chissà cosa aveva provato?

A Nodamor non aveva detto nulla.

-Vi chiederete perché vi ho detto tutte queste cose personali, vero?- chiese Nodamor. -Be' l'ho fatto perché voglio che capiate che solo perché sono un Dio... ciò non mi rende migliore di voi. E questo... questo deve spingervi a dare il meglio. Perché se anche io posso avere momenti di debolezza significa che voi potete, anzi dovete, vivere la vostra vita come meglio potete. Da giovane credevo che essere un Dio mi rendesse invulnerabile, superiore a chiunque altro, ma anche io posso morire... me l'hanno mostrato tutti i miei amici. Da quando ho capito che la morte è una cosa inevitabile per tutti mi sono messo al vostro livello e ho capito una grande verità che mi è stata insegnata da un grande amico.- Nodamor guardò Athamor e il vecchio Dio lo guardò stupito.

-La morte è una cosa inevitabile... e proprio questo deve convincerci a rendere le nostre vite incredibili!-

Athamor rimase a guardare a bocca aperta Nodamor, non si aspettava di sentirgli dire quelle parole; sopratutto dopo il suo recente calo di convinzione.

E Nodamor stesso rimase stupito perché quelle parole ed erano uscite dalla sua bocca con una naturalezza incredibile.

Ma ci credeva veramente? O le aveva dette solo per incoraggiare i suoi compagni?

Si stupì ancora di più quando constatò che ci credeva, certo in minima parte, ma comunque ci credeva.

Forse è un primo passo. Un passo alla volta si crea il proprio destino, un passo alla volta... proprio come diceva Donthamar.

I quattro uomini guardavano Nodamor con grande ammirazione, come se le sue parole avessero infuso coraggio nei loro corpi.

Non succedeva da molto tempo.

Il Dio del Coraggio guardò Athamor e si avvicinò a lui, il vecchio ancora con lo sguardo stupito.

-Perché sei così stupito?-

-Non... non pensavo mi avessi ascoltato giorni fa, al funerale di Marxal.-

Nodamor sorrise.

-Sai bene che do retta ad ogni tua parola.-

Athamor arrossì un poco a quelle parole.

-Sono pochi ad ascoltare le mie parole di questi tempi.-

Nodamor posò la sua mano sulla spalla del Dio della Sapienza.

-Io le ho sempre ascoltate.-

 

Il viaggio continuò in silenzio questa volta, anche Irash stette zitto e non si vantò delle sue gesta inventate e nemmeno Mek e Grosber dissero una parola. Però nei loro volti si leggeva qualcosa di nuovo. Un coraggio a lungo dimenticato che era riaffiorato grazie alle parole di Nodamor.

Lui aveva sentito una breve scintilla... ma era durata poco. Aveva ripensato ai suoi vecchi amici e a come gli aveva persi uno dopo l'altro, alcuni anche per mano sua.

E ora... ora guardando Athamor camminare al suo fianco si rese conto che la sua paura era di rimanere solo... di perdere anche l'ultimo amico che gli rimaneva.

Poi aveva paura di quegli alberi che si imponevano ai lati della sua vita come muri di legno.

Poi temeva le urla, brutali e terribili, quasi folli, che aumentavano di intensità da entrambi i lati. Poi...

Urla?

Quando si rese conto di quello che stava succedendo ormai i soldati erano già usciti dalla boscaglia.

Cinque a sinistra e cinque anche a destra.

Non riuscì a capire a che fazione appartenessero, dato che sbucarono all'improvviso urlando come pazzi. Non badò molto se fossero noveriani, nordici o vurkaniani, prese la sua lancia a doppia lama e con un colpo orizzontale divise quasi a metà il primo assalitore. Sentì Mek e Grosber urlare mentre estraevano le loro asce e impugnavano stretti i loro scudi. Uno degli assalitori sbatté il suo martello con forza contro lo scudo di legno di Grosber ma resistette e il fabbro colpì con un calcio il nemico, allontanandolo. Nodamor cercò di individuare il loro capo ma sembravano tutti uguali. Deviò il colpo di un soldato che venne preso da Athamor e trapassato dalla sua lancia.

Athamor non era un guerriero ma sapeva il fatto suo, lo dimostro quando tirò fuori dalla pancia del soldato morto la sua lancia e subito dopo azzoppò uno dietro di lui, per poi finirlo impiantandolo al suolo.

Meno tre, erano quasi alla pari, a parte uno in più.

Irash menava colpi con la sua lancia totalmente a caso, ottenendo ben poco risultato se non quello di infastidire i suoi assalitori. Due di loro si lanciarono su di lui, sbattendolo contro la dura corteccia di un albero. Uno di loro prese con forza i lunghi capelli di Irash e tirò, facendo urlare il povero ragazzo. Quello venne fermato da un colpo d'ascia alla testa dato da Mek. Il nemico non parve morire, l'elmo attutì non poco il colpo, si limitò a venir tramortito e allontanarsi per poi cadere al suolo. Il secondo venne ucciso da Devan che deviò un suo fendente, saltò e con incredibile velocità la lama entro e uscì dal collo del suo avversario. Quando Devan toccò terra poco dopo lo fece anche il corpo senza vita del soldato.

Uno di loro si lanciò su Nodamor ma con pochi tocchi aprì la sua difesa e lo colpì con un poderoso calcio, lanciandolo contro una roccia lì vicina. Nodamor vide che uno dei suoi assalitori se ne stava leggermente in disparte, poi si accorse che era quello tramortito da Mek per il colpo d'ascia. Dalla sua testa colava sangue e faceva fatica a stare in piedi ma appena vide l'imponente figura di Nodamor avvicinarsi alzò le mani e disse -NO! Ok, ok, ok, fermi! Fermi tutti, cazzo!- gli altri soldati si fermarono.

Ora erano alla pari, sette contro sette, anche se Nodamor e Athamor valevano come due umani. Quattro dei loro avversari giacevano al suolo, morti.

Ora che Nodamor poteva guardarli senza problemi capì che erano nordici, ma non sembravano dell'esercito Holdar. Erano vestiti di pellicce, cuoio e un po' di ferro. Non erano stati particolarmente pericolosi, nonostante il loro stile di combattimento fosse stato brutale e diretto. Quello che aveva fermato il combattimento aveva l'elmo ammaccato per il colpo d'ascia e se lo tolse imprecando. I suoi capelli corti e biondi erano sporchi di sangue che poi scorreva per il suo volto, lasciando anche le sue folte sopracciglia e il suo pizzetto intrisi di sangue. I suoi occhi erano verde chiaro e portava un anello attaccato sul labbro inferiore, una moda tipicamente Nord.

Guardandolo bene Nodamor capì che quello non era un brigante e nemmeno un predone ma bensì un Signore della Guerra, uno di quegli uomini che controllava un ristretto gruppo di soldati o simili che combattevano per puro tornaconto personale. Non erano propriamente mercenari, erano una cosa ben diversa e più antica, tipica delle tradizioni Nord.

-Ah... figlio di puttana! Quella cagna di tua madre!- imprecò, la sua voce era molto acuta.

Si tastò la testa e guardò la sua mano sporca di sangue.

-No, cazzo! Cazzo! Lurido succhia cazzi!-

Mek sputò verso di lui.

-Frigna pure, ghiacciolo! Lascia che te la spacchi tutta quella testa di merda che ti ritrovi!-

Nodamor fece cenno a Mek di tacere.

-C'è un motivo per cui hai interrotto il nostro scontro, dillo.-

Il Signore della Guerra sputò a terra.

-Hai visto che botta? Cazzo ovvio che ho interrotto lo scontro. Sentite avete ammazzato quattro dei miei e non pensavo potesse succedere dato che eravamo di più. Però quegli stronzi sono crepati, cazzo.-

Nodamor guardò Athamor e il Dio della Sapienza guardò quell'uomo con grande disprezzo.

-Com'eri sicuro che avremmo accettato la pausa?- chiese Athamor.

-Avanti siete Celestiali, voi accettate sempre una resa o una pausa, ne va del vostro fottuto onore.-

-Sai dove te lo mettiamo l'onore, faccia da stronzo?- disse Irash tastandosi i capelli.

-Sta zitto femminuccia, altrimenti quella bella chioma te la tolgo... assieme alla tua testa.-

Athamor guardò attentamente il Signore della Guerra e poi sorrise.

-Non fare tanto il duro. So chi sei.-

L'uomo sorrise e spalancò le braccia, come per accogliere uno scroscio di applausi udibile alle sue sole orecchie.

-La mia fama mi precede, vedo!-

Athamor scosse la testa.

-Non nel modo che pensi tu. Garnyr Grayback, Signore della Guerra dei territori senza lord di Reggon. Sei un Signore della Guerra minore, famoso per il tuo stile brutale ma insufficiente per vincere uno scontro. Vieni chiamato il Frettoloso per la tua fretta di concludere uno sconto.... anche scappando o, come vediamo tutti, chiedendo una pausa.-

Il volto di Grayback si incupì.

-Vissuto all'ombra di un grande Signore della Guerra, Iskar Grayback, tuo fratello; Chiamato Tagliagambe, passato a miglior vita otto inverni fa per mano di Arryn Il Rosso. Dicono che lo abbia smembrato come un maiale.-

-Taci, feccia celeste! Mio fratello era migliore di tutti voi.-

-Indubbiamente. Sei tu quello che disonora la sua memoria.-

Garnyr buttò fuori l'aria dal naso con rabbia.

-Vediamo di ragionare... ok? La situazione mi è sfuggita di mano, lo capisco. Pensavo di farvi il culo ma non avevo calcolato la forza dei due Celestiali perciò... direi di... non saprei... una resa? Pausa? Pace?-

Nodamor alzò un sopracciglio.

-Prima mi attacchi e poi chiedi la resa? Mi aspettavo di reiniziare lo scontro a breve.-

Grayback sbatté i pugni sulle cosce e scosse la testa.

-No, no e no, ok? No, cazzo! Io ci tengo alla mia vita. Ok forse non avrei dovuto attaccarvi ma, ehi, se me ne vado come se non fosse successo nulla forse...-

-Figlio di puttana mi hai quasi staccato la testa!- urlò Irash puntando verso di lui la lancia.

-Tappati quella fogna, frocio di merda!-

-Calmi!- disse Nodamor. I due tacquero.

-Non è nell'abitudine celestiale lasciare a metà uno scontro.-

-Già, lo so. Ma... dai puoi chiudere un occhio, no?-

Grosber fece un passo avanti.

-Chi ci dice che non ci prenderai alle spalle?-

-Avete la mia parola.-

-Che cazzo ce ne facciamo della parola di uno sporco ghiacciolo?-

-Come ci hai chiamati?- disse un soldato smilzo.

-Ghiaccioli, faccia di culo!-

Uno dei Nord, con la testa pelata piena di ematomi, indicò Grosber.

-Guardate la sua pelle! È dell'Est! Come quello che ti ha colpito, capo! Sono dei mezzi vurkaniani, i figli di puttana!-

-Merda è vero!-

-Guardali, cazzo!-

-Schifosi!-

Perfetto, ci mancava solo questo.

-Tacete, per la miseria! Perché siete così a Sud, fuori dai vostri confini?- chiese Nodamor.

Grayback rise di gusto.

-Siamo in guerra, ricordi? Troietta che viene sulla terra, tutti che la vogliono scopare e BUM inizia un gran casino. Ti dice niente?-

Oh ne ho una vaga idea, sì.

-Be' nonostante il re non sia ancora marciato in guerra assieme ai fiammiferi, che per inciso ci stanno sul cazzo, ci ha pagato parecchie monete d'oro luccicante per andare quaggiù e ammazzare più stronzi possibile. Certo non abbiamo notizie dal Nord da parecchio tempo quindi non sappiamo che stiano facendo lassù ma questo non centra. Il re ha inviato a Sud vari Signori della Guerra e anche qualche suo comandante, ce n'è uno a Nord da qui, ad esempio.-

Un ottima tattica, l'esercito del Nord è grande anche se non come un tempo e la sua potenza è dimezzata. Ma quest'idea di dividerlo e inviarne alcune parti a Sud è stata un ottima idea.

-Quindi... insomma io lo faccio per i soldi, non per altro. E per difendere le mie terre... no, anzi lo faccio solo per i soldi. Le mie “terre” sono uno schifo di terra dove non cresce nulla ben diverso dalle terre di Arryn o di Shuttor oppure di Wyrn. E ho capito una cosa... non rischio la mia vita per dei soldi, cazzo proprio no.-

Nodamor non apprezzava il modo di fare di quel uomo, era esattamente l'opposto di tutto ciò che veniva insegnato ad un Celestiale.

-Abbi un po' di onore, uomo! I soldi non portano felicità.-

Grayback sbuffò.

-Certo, come no! I soldi sono l'unica cosa che conta in questo mondo fuori di testa.-

Sul fatto che questo mondo sia folle ti do ragione.

-Devi pur avere qualche valore. Ho sentito parlare di Arryn Il Rosso e Occhio Bianco Wyrn. Loro combattono per difendere un gruppo di persone, degli amici, che si sono uniti a loro per difendere le loro case e le loro famiglie quando i Re sono stati ciechi alle loro sofferenze.-

-Parli con stima di noi.- constatò Grayback.

Nodamor annuì. -È vero. È un grande segno di coraggio andare contro il proprio re per il bene della propria terra, io queste cose le apprezzo.-

Garnyrn parve capire solo ora chi aveva davanti e fece un fischio d'apprezzamento.

-Nodamor il Valoroso, immagino. Cazzo di te si dice qualunque cosa e non tutte sono positive, te lo assicuro.-

-Lo immagino.-

-Be'... ti rispetto. Se quello che dicono è vero, che hai raso al suolo Kyshar, che hai ucciso i due Cavalieri del Braccio Oghar e Selvin di Homana... wow.-

Nodamor annuì ringraziandolo.

-Comunque, tornando a noi... io ho qualche valore. Cioè che i soldi sono l'unica cosa che conta perché con quelli puoi avere sicurezza, potere e donne.- disse Grayback elencando i tre punti sulle dita.

-Ti sembrano delle motivazioni?-

-Ehi almeno è qualcosa! Tu cos'hai, eh? Quali sono le tue motivazioni? Perché fai tutto questo?-

Perché mi è stato ordinato e il comandamento di un Superiore non si discute, perché ho passato centinaia d'anni a combattere perciò il campo di battaglia è casa mia.

Puah, chi voglio prendere in giro. Sono stanco e vecchio... e temo sempre di più il campo di battaglia. Un vecchio codardo, ecco cosa sono.

-Non lo so.- ammise amaramente. Nonostante i suoi bei discorsi avessero dato forza ai suoi compagni a lui non avevano aiutato molto... soprattutto ora che poteva morire da un momento all'altro.

Garnyr non disse altro e questo Nodamor pensò fosse un bene.

Il Nordico guardò i suoi uomini, alcuni parevano pronti a farli a pezzi, altri parevano sul punto di volersene andare.

-Quindi... mi affido a te, Celestiale. Non siete mai stati gli Dei del Nord ma abbiamo sempre rispettato la vostra autorità, quando eravate qui sulla terra, parecchi anni fa. Conosco tutti i vostri discorsi sull'onore, sull'onestà eccetera. So che voi non apprezzate chi si arrende o chi scappa durante uno scontro, la pena da voi è una fustigazione, vero?-

Nodamor annuì.

-Ma so anche che il vostro codice d'onore vi vieta di uccidere un nemico che si è arreso, sarebbe come uccidere un uomo innocente.-

Nodamor rimase zitto, quell'uomo era piuttosto ben informato sulle tradizioni celestiali.

-Stai cercando di ricattarmi contando sul mio onore?- disse seccato il Celestiale.

-No... è solo che ti rispetto. E... be' non pretendo di avere il tuo di rispetto, ma che almeno tu mantenga fede ai tuoi codici... ora che questo mondo sprofonda nella merda.-

Nodamor guardò attentamente il Signore della Guerra e i suoi uomini.

Erano uomini normali che combattevano per avere soldi. Alcuni per ambire ad una vita piena di agi, altri per permettere alle loro famiglie di vivere in un modo migliore.

Come poteva considerarli dei motivi futili? Erano pur sempre delle motivazioni per cui facevano ciò che facevano.

E per questo li invidiava molto.

Se vado avanti a pensare queste cose finirò per non uccidere nessuno e la guerra non finirà di certo a mio vantaggio.

Ma loro... no, loro possono andarsene.

Nodamor guardò Grayback dritto negli occhi e annuì.

-Va bene. Potete andarvene.-

Sentì chiaramente i suoi compagni irrigidirsi per quella scelta, Athamor non lo fece, forse perché lo conosceva bene.

Nessuno di loro però si oppose e ciò era abbastanza ovvio, pensandoci bene. Lui era il loro Dio, mai avrebbero messo in dubbio le sue parole e le sue scelte.

Ora sono felice di questo, ma tempo fa non provai altro che vergogna.

Garnyr Grayback rimase fermo a guardarlo e poi, quando si fu accertato della veridicità delle sue parole, annuì.

-Bene. Ti ringrazio, Celestiale. Davvero. Spero che le nostre strade non si incrocino nuovamente, perché temo che la seconda volta non sarò così fortunato.-

Nodamor iniziò a considerarlo non così stupido come all'inizio.

Garnyr diede ordine ai suoi uomini di andarsene, presero le loro armi e lasciarono lì i loro caduti.

-Come cazzo possiamo lasciarli andare?- fu la voce di Irash a interrompere il silenzio.

-Amico, modera i toni.- gli consigliò Grosber.

-Ma porca puttana, quello stronzo mi ha quasi strappato i capelli? E lo lasciamo andare così? Sul serio? Merda!-

-Tappati quella bocca!- disse Devan guardandolo in cagnesco.

Faresti meglio ad ascoltarli, moccioso.

-Non ci voglio credere! Io ci finisco quasi morto e li lasciamo andare come se niente fosse, in guerra per giunta! È una cazzo di ingiustizia!-

Nodamor si volse verso di lui e si impose in tutta la sua altezza.

-Tappati quella fogna, ragazzino, altrimenti capirai fin troppo bene che c'è una grande differenza tra strappare i capelli e tagliare la testa!-

Irash tacque, nonostante la rabbia nei suoi occhi fosse ancora ardente.

Grayback e i suoi uomini si erano fermati a guardarli sentendo le urla.

Nel viso di Grayback parve quello che assomigliava fin troppo bene ad un sorriso.

Non dire nulla, idiota. Tieni la tua boccaccia chiusa se non vuoi rovinare tutto. Stai zitto, cazzo stai zitto. Ti prego non dire...

-Tranquillo, non rovinerò più i tuoi bei capelli... principessina.-

Nulla.

Irash lanciò un urlo stridulo e furioso e si lanciò all'attacco, la lancia puntata contro Garnyr. Il nordico deviò abilmente la punta che però si infilzò nel collo del suo compagno alla sua sinistra. Il soldato fece uno sguardo stupito e cadde al suolo, emettendo suoni incomprensibili. Irash perse la presa dalla sua lancia che rimase conficcata nel collo del soldato.

-Brutto frocio di merda, lo sapevo!- urlò Garnyr. La sua ascia colpì il fianco di Irash ma non lo fece con troppa forza, l'armatura attutì parte del colpo. Il ragazzo cadde a terra, mentre gli altri soldati, furiosi, si lanciavano contro i suoi compagni, Nodamor compreso.

-Sacco di merda! Io ti ammazzo, ti stacco questa gamba del cazzo!- disse Grayback, urlando come un pazzo. Poi la sua ascia si abbatté sul polpaccio di Irash e questa volta entrò davvero. Il sangue uscì schizzando sul volto di Garnyr. Il ragazzo urlò come un maiale al macello. Fortunatamente Grayback venne spinto da un suo stesso compagno che era stato lanciato contro di lui da Devan. Nodamor intercettò il fendente di un nordico dallo sguardo furioso, poi la sua lancia lo trapasso da parte a parte con una forza tale da sollevarlo a terra, ne approfittò per lanciarlo contro un suo compagno che, cadendo, si contorse la gamba in modo innaturale. Il poveraccio, schiacciato dal peso del suo compagno in armatura, venne ucciso da Mek che con un colpo d'ascia gli aprì la testa in due parti. Athamor stava combattendo contro un nordico armato di mazza ferrata ma Nodamor non poteva aiutarlo. Doveva lanciarsi su Grayback, il capo, ma trovarlo era difficile dati gli uomini che combattevano e i corpi morti a terra. Infine lo vide, che cercava di colpire nuovamente Irash. Nodamor intercettò la sua ascia e fermò il colpo.

-Lasciamelo ammazzare, celestiale. Non voglio combattere con te!-

-Non ti permetterò di uccidere un mio compagno!- Per quanto tu abbia perfettamente ragione.

-Allora creperai pure tu!- Garnyr tentò un altro colpo d'ascia, poi un altro ancora e un altro ma nessuno di questi superò la difesa di Nodamor.

Vide che Athamor aveva pensato al suo nemico, aprendogli per bene la pancia.

La sua distrazione però lo portò a venire colpito da una potente spallata del Signore della Guerra che lo fece cadere. Garnyr si mise sopra di lui, pronto a spaccargli la testa con l'ascia. L'ascia di Grosber però fu più veloce e si abbatté sulla spalla di Grayback. Il nordico non badò al dolore e caricò Grosber, piantandolo al suolo, poi la sua ascia si conficcò sul cranio del fabbro.

-NO!- urlò Mek vedendo la scena e correndo subito da suo fratello. Devan tagliò di netto la testa dell'ultimo soldato e rimase solo Grayback l'unico nordico vivo in quella strada.

Nodamor mantenne i suoi colpi precisi e calcolati, nonostante la rabbia per aver perso un abile compagno. Garnyr non era affatto male come guerriero ma partiva squilibrato, armato com'era della sua tipica ascia nordica. Nemmeno un suo colpo ferì Nodamor la cui lancia, però, taglio in profondità il fianco del Signore della Guerra. Garnyr gemette e sputò sangue, cadendo in ginocchio. Tentò un ultimo colpo, nonostante in ginocchio fosse molto più basso di Nodamor ma il suo avambraccio venne tagliato di netto e gli schizzi di sangue sporcarono gli stivali del Dio del Coraggio.

-Oh merda... sapevo che sarebbe finita così.- disse Grayback tenendosi con l'unica mano che gli rimaneva il fianco sanguinante.

Nodamor non avrebbe voluto che finisse così, ma ormai era fatta. Non poté far altro che guardare con disprezzo Irash, mentre Devan si avvicinava a lui e gli fasciava la ferita.

-Prima o poi tutti torniamo alla terra, eh? Anche voi Celestiali, nonostante tutte quelle storie dell'essere i figli del cielo e... cazzate varie. Ci torno con gioia però.-

Nodamor alzò un sopracciglio mentre Athamor si metteva al suo fianco, il Dio della Sapienza aveva il fiatone per il combattimento.

-E per quale motivo sei felice?-

Grayback sorrise. -Perché ho vissuto la mia vita come volevo. È stata una mia scelta crepare in guerra, altrimenti me ne sarei stato in città a scopare con una cameriera. Celestiale... devi avere cura delle tue scelte perché, cazzo, sono le tue scelte. Che siano giuste o sbagliate... non centra. Ricordatelo, ok? Fammi questo piacere.- poi si distese al suolo con lo sguardo rivolto al cielo.

-Fammi un piacere... finiscimi, eh? Per favore.-

-Certamente.-

Nodamor si avvicinò a Garnyr e il Signore della Guerra non lo guardò nemmeno, rimase a guardare il cielo limpido, senza nuvole.

-è proprio una bella giornata, vero?-

-Sì, una bella giornata.-

Poi la lancia penetrò nel petto di Grayback, il nordico emise un lieve gemito e poi morì, rimanendo a guardare il cielo.

Per i Celestiali morire guardando il cielo era la cosa migliore, molo meglio che morire con lo sguardo schiacciato sulla terra sporca. Era un modo per guardare il loro luogo d'origine, I Cieli, il Paradiso Celeste, e sperare di tornarci dopo la morte, nella loro seconda vita.

-Nonostante quello che ho detto... non credo fosse un uomo così stupido. Le sue parole erano vere, nonostante la maniera diretta in cui le ha dette. Ragionaci su.- disse la voce calda di Athamor che aveva abbondantemente ripreso fiato.

Nodamor non aveva molto tempo per pensarci, ora come ora, era troppo arrabbiato con quell'idiota incosciente di Irash.

-Ah, l'hai ammazzato, mio signore! Buon lavoro, davvero un buon lavoro! Allora, non fai più lo spiritoso eh, sacco di...- venne interrotto da un possente calcio sul volto da parte di Nodamor stesso, che si era avvicinato a lui con una velocità impressionante.

-Tappati quella lurida fogna, verme! Se sento un'altra parola uscire da quella cazzo di bocca giuro sui Cieli stessi che userò la mia lancia per sventrarti come un maiale e poi ti lascerò qui, in questo posto, da solo per l'eternità! Impara il rispetto per i morti e ricorda che se è successo tutto questo, se Grosber è morto, è solo colpa tua, marmocchio petulante! Quindi impara a tacere e impara il rispetto altrimenti vedrai quanto può essere terribile l'ira di un Dio. Dovresti esserci tu al posto di Grosber, quindi vedi di non unirti a lui per mano mia!-

Finito lo sfogo, Nodamor si allontanò da quell'idiota e non volle sapere come fu il volto di Irash, poiché gli importava ben poco.

-Forza... andiamocene da qui.-

L'unico suono che si sentiva nella strada erano i singhiozzi di Mek, accasciato sopra il corpo senza vita di suo fratello.

 

Sharkar era una città di medie dimensioni, priva di vie lastricate e dagli edifici modesti. Nonostante ciò gli edifici erano molti e molto vicini tra di loro e la faceva sembrare più grande e fitta di ciò che era. Le sue mura erano delle piccole palizzate di legno dotate di un certo numero di guardie dalle vesti marroni. Il mezzogiorno ormai era passato da diverse ore e dai camini delle case usciva fumo.

-La ricordavo diversa.- disse Athamor.

Nodamor annuì. -I tempi cambiano, amico mio. Prima avevamo un enorme e meravigliosa capitale qui sulla terra, ora abbiamo una città che vola.-

Athamor annuì tristemente.

Finalmente i Ferventi e il resto dell'esercito li avevano raggiunti, ci mettevano decisamente troppo tempo ad avanzare.

Ma cosa posso fare? Ucciderne alcuni, i più deboli, per andare più veloce? Lomher Il Bruto, il Dio della Violenza, l'avrebbe fatto ma non io.

Ma chi voglio prendere in giro... l'ho fatto io stesso, molti anni fa.

Le guardie sulle mura guardarono quell'enorme massa di persone con sguardo stupito, nonostante Nodamor li avesse informati del loro arrivo.

-Sono troppi, Celestiale. Non ci starete mai tutti in città, non è piccola ma non è di certo Nibeluria o Fassband.-

-Questo lo so bene, infatti non entreremo tutti. Resteranno fuori dalle mura i Discepoli e i Ferventi più forti e maturi, mentre i bambini, le donne e gli anziani entreranno.-

La guardia, che pareva essere il capo, si grattò pensieroso il mento.

-Sarete comunque tanti. Tu falli entrare, ti dirò io quando fermarti. Mi spiace ma alcuni di loro resteranno fuori.-

Nodamor annuì nonostante non apprezzasse per niente questa cosa, anche se era ovvio che sarebbe successo. Lasciare tutte quelle donne in balia dei Discepoli però... erano bravi uomini, lo sapeva, ed erano anche fedeli. Ma non avrebbe mai potuto rifiutare a loro il divertimento, era una delle tradizioni. I Discepoli seguono fedelmente i Celestiali ma dev'essere loro permesso di svagarsi a determinate ore, soprattutto dopo una battaglia. Ciò nonostante prese Emakoon e gli parlò all'orecchio.

-Sai già quello che potrebbe succedere, cerca di limitare il divertimento dei miei uomini. Intesi?-

Emakoon annuì, capendo benissimo do cosa parlava.

-Certamente, mio signore.-

Nodamor decise dunque di entrare accompagnato da Athamor.

 

Non si sarebbero aspettati di trovare una tale accoglienza.

E di certo Nodamor non si aspettava canti, feste e magari padri che offrivano le loro stesse figlie ai Celestiali. Quei tempi erano passati da duecento anni, ormai.

Ma di certo non si aspettava di trovare un Profeta della Voce in quella città.

Il profeta indossava le vesti porpora ornate d'oro del suo circolo, una grande collana che arrivava fino al suo ombelico che culminava con un disco d'oro, l'Aureola. Il suo volto era anziano e segnato dalle rughe, i suoi occhi marroni mantenevano la loro intensità, nonostante l'età. La sua barba era lunga e ben curata e candida come la neve.

-Lo avevo detto ma voi stolti non mi avete voluto dare ascolto! I Falsi Dei sarebbero tornati in questa città e il giorno è ormai giunto, ora non potremmo salvarci dalla loro ira.-

Nodamor alzò le mani per calmarlo.

-Calmati, vecchio profeta. Non giungo qui con fini bellicosi.-

Il vecchio rise di gusto.

-Oh, certo. Dovrei crederti, Falso Dio? E tutto quell'esercito che giace fuori dalle nostre mura?-

-Non posso negare di essere giunto qui con scopi tutt'altro che pacifici ma posso assicurarti che sono giunto in questa città per riposare e dare conforto ai miei uomini. Guarda tu stesso, vecchio, dietro di me stanno donne, vecchi e bambini.-

Il Profeta li guardò e sbuffò, per niente impietosito.

-Peggio per loro. Hanno deciso di seguire i Falsi Dei e ora ne pagano il prezzo, sono affari loro.-

-Ma... profeta Gayorn.- disse una giovane donna dai capelli castani. Nodamor non apprezzava particolarmente le nonne umane ma non poté fare a meno di notare la bellezza di quella donna. Era molto bassa, come ogni donna noveriana, i capelli legati in una lunga treccia e gli occhi marroni, ancora più scuri di Gayorn, sembravano quasi due bottoni. Le sue forme poi erano perfettamente equilibrate col suo corpo al punto da farla assomigliare a...

Per i Cieli Caduti... assomiglia ad Allyma.

-Che cosa vuoi, Eshelyn?-

-Io... credo che i comandamenti del Supremo contino pure l'aiutare persone in difficoltà. Non centra se sono guidate dai celestiali, le persone con loro sono stanche e alcune sono molto vecchie e ci sono bambini ancora attaccati ai seni delle loro madri.-

Gayorn si volse del tutto verso di lei e la guardò con sguardo inferocito.

-Mi stai dicendo che dovremmo accogliere come fratelli questa feccia e i loro Falsi Dei? Perché questo è il loro nome, non Celestiali!-

-Credo che sia proprio quello invece.- disse Athamor.

Gayorn si volse verso di loro, con una vena che pulsava sulla sua fronte.

-Non ascoltate le parole di questa stupida, voi non siete accetti qui e men che meno i vostri “Discepoli”-

Nodamor si accigliò.

-Non credo affatto che sia una stupida, anzi credo proprio che la dottrina della Suprema Rivelazione dica proprio ciò che ha detto lei.-

Gayorn sbuffò nuovamente.

-Cosa vuoi saperne tu?-

-So che tu non sai. Neghi le parole del tuo Dio?-

-Io non nego nulla.- disse Gayorn messo alle strette.

-Allora accogli i miei uomini, ho promesso che non vi verrà fatto alcun male.-

-L'avevi promesso anche all'esercito che avete distrutto giorni fa, vero?-

-Siamo in guerra, profeta, non ho tempo per parlare. Ora è diverso, non voglio distruggere questa città, non ne ho motivo. Ho dato la mia parola.-

Gayorn rise nuovamente.

-Vuoi capirlo che non ci faccio nulla con la tua parola, Falso Dio?-

Eshelyn, la ragazza, intervenne nuovamente.

-Mio profeta, mio padre mi ha raccontato varie volte dell'onore dei Celestiali. Non farebbero nulla per infangarlo, quando danno la loro parola sono vincolati col Cielo stesso, nulla può impedire la loro scelta.-

Gayorn sbatté il piede a terra, innervosito a sentire la voce della ragazza.

-Tuo padre, pace all'anima sua, aveva la mente troppo aperta a queste cose e in più discendi da una famiglia che appoggiava i Celestiali. Le tue parole valgono poco per me, ricorda chi sono io!-

Athamor si avvicinò a Gayorn.

-Sei un Profeta che dimentica gli insegnamenti del suo Dio, ecco cosa sei.-

Gayorn alzò lo sguardo per guardare negli occhi Athamor.

-Osi giudicarmi, vecchio Dio fasullo? Io difendo la mia città dalla vostra minaccia, per tutta la vita l'ho fatto e di certo non smetterò proprio ora. Se volete dormire nei nostri letti potrete farlo quando questa città sarà ridotta in cenere! Perché fino a quel momento i nostri letti non li vedrete.-

Gayorn mantenne il suo sguardo fisso sugli occhi di Athamor e Nodamor rimase stupito nel coraggio dimostrato da quel profeta.

Dovrei esserne contento, credo.

-Non provocarci, profeta.- disse freddo Nodamor.

Eshelyn guardò sconvolta Nodamor, senza fiatare ma parve leggere qualcosa nei suoi occhi.

Lei sapeva che stava mentendo.

È come lei... esattamente come lei. Diamine, cos'è? Una specie di maledizione?

Gayorn lo guardò con gli occhi spalancati.

-Tu sai con chi stai parlando? No evidentemente non lo sai, io sono membro di uno dei Tre Ordini della Suprema Rivelazione, coloro che sono stati Rivelati agli occhi di Dio e scelti come suoi sudditi.-

Nodamor sapeva bene l'organizzazione del Culto della Suprema Rivelazione.

I Profeti della Voce, come Gayorn, era coloro che narravano gli insegnamenti del Supremo e che affermavano di essere parte della sua stessa voce. I Sacerdoti dell'Occhio erano uomini dal grande potere dotati di misteriosi poteri mistici che gli permettevano di percepire la presenza di esseri Impuri. I Cavalieri del Braccio erano l'élite dell'esercito, grandi condottieri e guerrieri dall'enorme abilità. Nodamor ne aveva combattuti molti ed era sempre uscito vittorioso a parte rarissime eccezioni. Erano senz'altro abili guerrieri e venivano addestrati mediante un severissimo addestramento. Si diceva addirittura che chi non era preparato poteva morire durante l'addestramento

-Non mi importa nulla di chi sei, vecchio uomo. Te lo sto chiedendo gentilmente... offri riparo ai miei uomini e la tua città verrà risparmiata.-

Gayorn sorrise in modo spavaldo e Nodamor dovette trattenersi dal prendere la sua lancia e sventrarlo.

-Sono lontani gli anni in cui voi Celestiali avevate voce in capitolo. Le tue minacce non mi spaventano. Io sono un Profeta, le mie parole annunciano ciò che avverrà e sono sempre vere! Tu non resterai in questa città un attimo in più!-

Nodamor notò che attorno a loro si era adunata una grande folla. C'erano donne, vecchi e bambini che guardavano ammirati i due Celestiali.

Forse posso approfittare del loro stupore.

Nodamor spalancò le braccia guardando la folla.

-Guardali, vecchio. Loro sono venuti qui per vedere me, da quant'è che un Celestiali non camminava sulla terra, eh? Da quant'è che i vecchi non vedevano le nostre lance? Da quant'è che i bambini non sentono storie sul nostro conto? Forse non le hanno nemmeno mai sentite quelle storie!-

Nodamor si avvicinò al gruppo di ragazzini che stavano in prima fila.

-Voi, giovani, avete mai visto un Celestiale in vita vostra?-

I bambini scossero la testa.

-Be' eccolo qui!- disse Nodamor indicandosi.

-Alto più di qualunque altro uomo, dotato di un destriero volante, un Work! Armato di una lancia a doppia lama di fattura mirabile che solo noi Celestiali sappiamo usare!-

Nodamor indicò il cielo e si accorse che non erano solo i bambini a guardarlo rapiti, ma anche le donne e gli uomini.

-Nasciamo dalle nuvole stesse che sono le nostre madri e un tempo vivevamo nei cieli, ma ancora più su della nostra città, molto più in alto. In una città grande come tutto il cielo, non visibile ad occhio nudo. Allora cavalcavamo i nostri Work dei più vari colori, alcuni di noi avevano carri enormi o addirittura navi grandi come intere città! Eravamo talmente vicini alla luna da poterla toccare, talmente vicini al sole da sentirne il calore intenso. Ma noi eravamo Celestiali e mai il calore del sole ci bruciò. Poi vennero i Cataclismi, I Dragoni Celesti distrussero i Cieli e ci fecero cadere qui nella terra!-

Vedere i volti stupiti delle persone fu incredibile per Nodamor, non sapeva di essere così abile nel narrare le storie. Di certo non era al livello di Drygon Il Cantastorie, Dio dei Menestrelli. Lui sì che era abile, Nodamor se lo ricordava. Lui era partito per le Terre d'Oriente a narrare le sue storie e sapeva bene che tra tutti era stato il più fortunato.

-Quando ci riprendemmo dalla disperazioni di essere caduti dai Cieli ci guardammo attorno e vedemmo che c'erano persone diverse da noi. C'erano i regni dell'Epoca d'Oro. Zarkan che adorava la Sacra Fiamma, Travian dove i re vivevano in enormi palazzi d'oro, gli Alti Luoghi selvaggi e inospitali, i piccoli regni di Skardoon, Elymaron e Negredal famosi uno per i suoi destrieri, uno per le donne e uno per la cultura. Furono questi tre regni e il grande regno di Travian a vederci subito come divinità. Elomer Il Superiore, primo leader del nostro popolo nella terra, decise di costruire una grande città. E allora venne costruita Konderham, capitale Celestiale nella terra. Voi ora ne vedete solo una piccola parte volante ma un tempo... oh, un tempo era la città più grande e bella del mondo. Superiore a Shontay dell'Impero del Sole o Nagduloma della Terra delle Zanne. Immaginate... torri d'avorio talmente alte da sfidare i cieli che ci erano stati rubati, archi d'oro talmente luminosi da accecarti. Poi ci fu il Gelo terribile... e noi Celestiali accogliemmo i disperati. Quando Silgvander congelava intere città con i bambini che dormivano placidamente nei loro lettini. Quando gli Spettri del Gelo superavano le mura con un solo balzo e passavano a fil di spada vecchi e donne noi, noi, accogliemmo coloro che ci chiesero aiuto nonostante tutto ciò che avevamo passato. E come venimmo ripagati? Venendo etichettati come Demoni, Mostri, Impuri! Venimmo uccisi e ci venne dichiarata guerra. La nostra città venne rasa al suolo e noi venimmo allontanati per duecento lunghissimi anni. Venimmo trucidati, bruciati vivi, impiccati sulle mura delle città. E questo perché? Perché un Dio aveva detto questo? NO!-

Tutti iniziarono a guardarsi tra di loro, stava facendo effetto.

-Fecero quelle gesta perché un uomo si era arrogato il diritto di prendere decisioni spacciandole per il volere del suo DIO! Ma voi, amici miei, avete mai visto questo Dio? Avete mai sentito la sua voce? L'avete mai visto scendere dal cielo tra di voi?-

Tutti scossero la testa, altri ancora dissero di no arrabbiati.

-Invece mi vedete, vero? Sentite le mie parole? Sono sceso dal cielo apposta per questo! Cosa ha fatto il Supremo per voi? Cosa ha fatto il Grande Inquisitore per voi se non farvi combattere in tutte le sue guerre? Fatevi sentire! Forza!-

E poi tutti diedero voce alla loro rabbia sopita, alla rabbia che avevano covato dentro di loro senza nemmeno saperlo. Anche i bambini urlarono contro il profeta.

Nodamor accolte quelle urla con gli occhi chiusi e lo sguardo rivolto verso il Cielo.

Si sentiva come se le loro voci fossero energia per il suo corpo, carburante per la sua anima. Quando aprì gli occhi vide Gayorn con uno sguardo infuriato, gli occhi che sembravano sul punto di uscirgli dalle orbite, una vena che pulsava di rabbia sulla fronte.

-Come osate, cani rognosi? Io sono un Rivelato! Io sono autorità qui! Voi siete solo una misera plebaglia convinta di saperne più di me che si fa abbindolare dalle parole di un Falso Dio!- ma le urla dei cittadini superarono la sua voce e il Profeta si ritrovò ad urlare ma nonostante ciò la sua voce non si udì.

-Hanno scelto il loro Dio, profeta. Tu resta fedele al tuo... ma non in questa città.-

Poi le urla passarono a sguardi minacciosi e quando i cittadini iniziarono ad avvicinarsi al profeta in modo minaccioso il vecchio si ritrovò ad allontanarsi, prendere un destriero e uscire dalla città. Nodamor e Athamor si ritrovarono al centro della folla e le urla dei cittadini ricordò ai due anni lontani, in cui gli uomini si prostravano inanzi a loro. Anni dimenticati.

Nodamor volse il suo sguardo verso Eshelyn e la donna lo guardò dritto negli occhi e non parve intimorita da quegli antichi occhi grigi, occhi che poche persone riuscivano a fissare, Nodamor lo sapeva. Ma lei trattenne lo sguardo e sorrise al Dio del Coraggio, come se lo conoscesse da una vita intera.

Nodamor rimase intimorito da quel sorriso. Le ricordava troppo Allyma, sembrava una sorta di maledizione che il fato gli aveva lanciato. Ma non riuscì a trattenersi e rivedere quel sorriso, seppur nel volto di un'altra donna, strappò un sorriso anche a lui.

 

Incredibile come le persone possano cambiare opinione così in fretta.

Nodamor lo pensò mentre era seduto in una taverna di Sharkar. Il baccano era assordante e la taverna, molto grande e spaziosa, era piena di persone. In un palco un gruppo di persone si esibivano suonando i loro liuti e tutta la taverna intonava canzoni in onore dei Celestiali. La maggior parte delle persone era ubriaca e le loro voci erano rotte da singulti e colpi di tosse. Emakoon aveva insegnato a loro vecchie canzoni per i Celestiali come Konderham l'eterna o Le luci di Elyodor. Devan, leggermente alticcio, parlava con due belle ragazze che sembravano molto attratte dal giovane guerriero. Mek giaceva solo su un tavolo, completamente ubriaco, allontanando tutti quelli che si avvicinavano a lui con un ringhio e se qualcuno cercava di farlo smettere di bere lui di tutta risposta scolava un altro sorso della sua bevanda. Irash era altrettanto ubriaco e parlava in continuazione, senza prendere fiato, ad un gruppo di uomini e qualche ragazza. Nodamor sorrise compiaciuto vedendo che le ragazze lo guardavano con una smorfia di disgusto, nonostante non fosse un brutto ragazzo. Nodamor immaginò cosa stesse raccontando, storie talmente ridicole che anche se non lo conoscevano capivano subito che erano finte. Athamor si era staccato da lui ed era appoggiato al bancone e parlava col locandiere, Deyr, un uomo anziano e dalla voce profonda. Era un tipo simpatico e cordiale che non esitò ad accogliere tutte quelle persone nella sua locanda gratuitamente. Si chiese di cosa stessero parlando i due ma di certo non di qualche storia leggendaria o epica battaglia. Athamor era più materiale e realista.

Nodamor notò poi un folto gruppo di ragazze e donne più mature, probabilmente sposate, che lo guardavano con sguardi furbi. Una di loro sussurrò qualcosa all'orecchio di un'altra e quest'ultima rise timidamente, continuando a fissare il Celestiale.

Nodamor sorrise a loro in modo cordiale e loro arrossirono all'unisono.

Aveva quasi dimenticato l'attrazione che provavano le donne per lui. Alto, muscoloso, lunghi capelli castani e occhi grigi che esprimevano una sorta di mistica antichità, andavano pazze per questi tratti.

Certo a lui non era mai importato e poi era proibito amare o avere rapporti con un umana, ma questo non era mai stato un problema, le terrestri non attraevano Nodamor. Marxal invece aveva sempre odiato quel divieto, era attratto da un numero infinito di donne terrestri.

Nodamor si pentì di aver pensato al giovane Dio degli Arcieri e si ritrovò a provare la sua mancanza, di certo in quella locanda si sarebbe divertito come non mai.

Mosse il suo sguardo per la locanda, analizzando tutto ciò che facevano i Ferventi e i Discepoli.

Poi vide un uomo con i capelli neri come l'ebano legati sapientemente in una treccia, le sopracciglia sottili e ben curate, il naso aquilino e gli occhi marroni come la corteccia di un albero. Alle dita portava anelli d'oro e il suo sopracciglio sinistro era interrotto da un taglio.

Attuk Lo Scaltro parlava a bassa voce con altri uomini, coprendo di tanto in tanto la sua bocca con la sua mano e guardando con sguardo furbo tutte le altre persone, pronto a combinare qualche guaio.

Aspetta... cosa? Attuk?

Attuk lo guardò e lo salutò dandosi un tocco sulla fronte con quel suo sorriso scaltro, come faceva sempre.

Poi vide Ferghos con le braccia incrociate e lo sguardo serio seduto su una panca vicino a Daora La Verde, Dea della Natura che da sempre aveva provato a smuovere il cuore del Dio della Navigazione. Il mento simile ad un incudine e le sopracciglia folte di Ferghos lo facevano sembrare un muro di marmo, cambiava espressione solo quando era nella sua nave volante o quando era con i suoi amici. Peccato che non avesse mai aperto il suo cuore anche agli altri, era una persona buona e gentile come poche altre. Guardò verso Nodamor e fece un impercettibile movimento della testa verso di lui, salutandolo.

Poi in un tavolo, circondato da una folla sbraitante, stava Donthamar. I capelli castano chiaro tagliati corti e gli occhi verde smeraldo. Il suo mento pronunciato culminava con un folto pizzetto e nelle sue orecchie portava degli orecchini con delle gemme rosso fuoco. Davanti a lui stava un uomo non identificato che osava guardare in cagnesco Donthamar. Il Dio del Cambiamento teneva i pugni serrati appoggiati sul tavolo e guardava dritto negli occhi l'uomo, quello sguardo che aveva ogni volta che stava per dare inizio ad una rissa o ad uno scontro mortale. Guardò Nodamor e gli fece un mezzo sorriso, quello che non si capiva se fosse cordiale o minaccioso. Anche se Nodamor sapeva che era entrambe le cose.

Infine c'era lei. Allyma La Bella. Ogni cosa di lei rappresentava la perfezione. Stava sola in una sedia, davanti a lui, poco distante a dire il vero. I suoi occhi, i suoi capelli, il suo corpo, tutto era di un'armonia e di una perfezione rara. Mai Nodamor aveva visto qualcosa di più bello. Lei gli fece l'occhiolino e lui riuscì quasi a sentire il suo profumo. Voleva alzarsi e baciarla e portarla in un luogo appartato, dove avrebbero passato il tempo anche solo a guardarsi e ad accarezzarsi senza dire e fare nient'altro.

Ma poi lei svanì e così fecero Donthamar, Ferghos e Attuk. I suoi migliori amici tornarono nell'oblio e si rivelarono essere nient'altro che una fantasia. Sapeva che loro non potevano essere lì. Sapeva che non avrebbe più volato assieme a Ferghos, non avrebbe più salvato Attuk da qualche guaio, non avrebbe più partecipato ad una rissa con Donthamar e non avrebbe più baciato Allyma.

Quando capì che era stato tutto frutto della sua immaginazione i suoi occhi si riempirono di lacrime ed esse scesero silenziose e indisturbate rigando il suo volto. Nessuno parve notarlo se non una figura che stava seduta da sola poco distante da lui. Eshelyn lo guardava con uno sguardo misterioso, carico di quella che a Nodamor sembrava pietà.

Pietà, questo non gli piaceva. Non voleva impietosire nessuno, era un Dio, eppure gli occhi di Eshelyn mostravano un velo di tristezza e di pietà. Sembrava quasi che avesse letto i suoi pensieri e visto ciò che lui aveva visto. Forse non l'aveva visto come un Dio... ma come un uomo solo.

Voleva alzarsi e andarle a parlare ma venne fermato da un gruppo di uomini ubriachi tra i quali riconobbe Irash e Chorm, uno dei Ferventi. Assieme a loro c'erano altri uomini, probabilmente abitanti di Sharkar.

-Mio signore!- disse Chorm avvicinandosi.

-Questi uomini dicono che è impossibili che voi siate nato dalle nuvole!-

Non ho nessuna voglia di parlare con loro.

-Ma com'è possibile?- disse uno a fatica.

Nodamor sbuffò.

-Non credo ci sia un modo per spiegarlo... è così e basta. C'è un motivo per cui voi nascete? Sapete darne una spiegazione? No. È così e basta. Noi nasciamo dalle nuvole, loro ci creano, sono le nostre madri.-

Gli uomini non parvero molto convinti da quelle parole.

-Avete mai visto un Dragone Celeste?- chiese un altro uomo che faticava a reggersi in piedi.

Nodamor scosse la testa.

-No, mai. Vivono nei Cieli, o almeno quello che ne resta. Dormono lassù da migliaia di anni. Quando moriamo entriamo nella nostra Seconda Vita in cui torniamo a casa, nel Cielo, a combattere i Dragoni per riottenere il nostro regno perduto.-

Queste parole sembrarono convincere di più gli ubriachi.

Non credo al fatto che nasciamo dalle nuvole, ma credono a dei draghi enormi che dormono in cielo. Gli umani sono proprio strani.

-Se mi è permesso chiederlo, mio signore, quanti Dei avete conosciuto? Mio padre mi narrava storie su Shalazar, Attuk, Elomer, Donthamar, Lomher e molti altri. Li avete conosciuti?- chiese Chorm.

Nodamor annuì anche se non aveva affatto voglia di parlare dei suoi vecchi amici.

-Ne ho conosciuti molti, alcuni erano i miei migliori amici.-

-E cos'è successo a loro?-

-Morti. Tutti.-

Loro rimasero zitti per pochi secondi, il tempo per loro sufficiente per mostrare il loro rispetto, ipotizzò Nodamor.

-Dicono che Lomher il Bruto scuoiasse i suoi nemici, è vero?-

Nodamor si ritrovò suo malgrado ad annuire. Durante la Guerra Santa aveva combattuto assieme a Lomher e i suoi Discepoli, nella Battaglia di Fassband, chiamata così anche se venne combattuta nella piana vicino la città e Fassband non venne nemmeno sfiorata. Alla fine della battaglia Lomher volette scuoiare tutti i noveriani, compresi i morti e quelli che si erano arresi. I corpi senza pelle, ammassi di muscoli informi, vennero lasciati nella piana e le loro pelli vennero indossate dai Discepoli di Lomher. Nodamor aveva osservato con disgusto mentre veniva compiuto quello scempio e si era giurato di non agire mai come il Dio della Violenza.

Anche se dopo qualche anno si dovette ricredere.

“Non meritano rispetto, Nodamor. Loro ci hanno attaccati e hanno ucciso i nostri fratelli quando noi li avevamo difesi, secoli fa. E questo è il rispetto che ci meritiamo? Venire trucidati da questi vermi? Io mi oppongo e reagisco con brutalità per incutere in loro timore, anche se non sono bravo come Morgul. Faccio quello che so fare e se ti sembra eccessivo ti assicuro che non è abbastanza. Devono soffrire e vedere i loro compagni morti, trucidati! Capirai quello che dico quando questa guerra ti porterà via le cose a te care.”

Le parole di Lomher si erano rivelate tristemente vere e Nodamor si sarebbe reso conto che scuoiarli era il minimo che potesse capitare a quei maledetti.

Quando Lomher fu impallato da un colpo di balista, all'improvviso, Nodamor rimase a bocca aperta. Pensava che Lomher non si facesse cogliere così alla sprovvista. Be' non fu così.

Per un attimo sentì di nuovo tutta la rabbia e l'odio che l'avevano mosso in quegli anni riaffiorare ma si trattenne.

-E Morgul? Avete conosciuto il Dio della Paura?-

-Si, anche se non lo vedo da diversi anni.-

Nodamor ripensò a Morgul con il solito brivido di terrore che quel Celestiale provocava. Era stato uno dei fortunati a sopravvivere alla Guerra Santa ma di lui non si erano avuto più notizie. Era nella Città Volante ma non era più uscito dalla sua dimora... non che prima si facesse vedere spesso.

Morgul era del tutto simile ad uno scheletro. La sua pelle era pallida ed era terribilmente magro. Nodamor non l'aveva mai visto combattere ma sapeva che non ne aveva bisogno, il suo solo sguardo provocava incubi a chiunque e nel peggiore dei casi poteva provocare un terrore tale da ucciderti. Uno dei pochi che fosse riuscito a reggere il suo sguardo era Rathborn, anche se Nodamor avrebbe preferito non pensare a quel bastardo.

Cerano stati solo due Dei della Paura e il primo, Morgoth, era stato la causa del crollo del piccolo regno di Skardoon, durante l'Epoca d'Oro.

-E avete conosciuto coloro che vi hanno preceduto? Gli altri Dei del Coraggio?- chiese Irash.

Il piccolo imbecille ovviamente non sapeva che ciò era impossibile. Alla morte di un Dio le nuvole creavano un altro Dio pronto a sostituirlo, era impossibile che vi fossero due Dei della stessa cosa nello stesso momento.

Nodamor si limitò a scuotere la testa, abbastanza seccato dal dover parlare con quegli ubriaconi fastidiosi.

-No, anche se per me sarebbe stato un enorme piacere.-

-Dicono che Nodarul, il Terzo, vivette nella più grande torre d'oro di Travian per tutta la sua vita e che gli venissero date in dono le donne più belle del regno, anche se lui ovviamente non poteva farci nulla.-

-Io ho sentito che il Primo, Nodavar, con una sola parola potesse infondere talmente tanto coraggio negli uomini che avrebbero affrontato un drago armati di spade di legno.-

-E io ho sentito che il quarto, quello che vi precedette, Nodashal, fu ucciso da Novarak che divenne il primo Deicida.-

Nodamor si stupì nello scoprire che quei tipi conoscessero questa parte della leggenda. Novarak L'Implacabile era uno degli Eroi Leggendari del Grande Gelo ed era diventato famoso per le sue gesta in quel periodo terribile. Ovviamente si narrava che prima ancora del Grande Gelo avesse combattuto contro il Campione di Zerkan, Gazar, e che lo avesse tagliato a metà. Si diceva addirittura che avesse fatto l'amore con la Figlia del Signore di Aghta nel Sud, oltre l'Oceano dei Sassi e che avesse provocato l'ira del Dio Cieco per questo gesto. Ma pochissimi sapeva che lui, per motivi vari a seconda di chi conosce la storia, avesse ucciso Nodashal e che divenne il primo Deicida.

-E quanti Dei sono rimasti in vita? Quanti vivono ancora nella Città Volante?-

Nodamor si stava stufando di tutte quelle domande una dopo l'altra ma non rispondere sarebbe stato scortese e doveva avere tutto il favore possibile.

-Io e Athamor ovviamente, poi Morgul anche se non si è più fatto vedere. Drygon anche se non so dire dove sia ora. Poi Daora che pianse per giorni interi scoprendo della morte di Ferghos. Koolan, Shenshenat e Htarold hanno rifiutato di vivere segregati nella Città Volante e se ne sono andati a Sud verso Aghta e Lesyux, non ho loro notizie da svariati anni ormai. Elomer ovviamente è vivo. Rathborn e Gerrydor decisero di restare nella Città Volante.-

Loro attesero altri nomi, altri nomi che non vennero e i loro volti tradirono una non molto velata delusione.

Già... pensandoci ora... siamo rimasti veramente in pochi.

Di loro non mi importa comunque. Coloro che amavo sono tutti morti e il mio ultimo desiderio di vivere in questo mondo di merda se n'è andato quando Allyma è morta tra le mie braccia.

Rivedere nella sua mente i suoi amici era stato un colpo basso che non si aspettava di darsi. Si rimproverò per la sua debolezza.

Cazzo, no. Vederli è troppo. Vederli davanti a me, come quando eravamo giovani, prima che la guerra rovinasse le nostre vite e non avere l'opportunità di parlare con loro. Nemmeno un Dio può sopportare una tortura simile.

E poi c'era lei, riuscì a vederla nuovamente quando se ne andarono. Era ancora là a guardarlo. Una copia di Allyma, una benedizione e una maledizione al tempo stesso.

Una benedizione perché poteva rivederla e anche toccarla e sentirne il profumo. Eshelyn era... Allyma.

Una maledizione perché gli ricordava le promesse fatte e mai mantenute, i desideri espressi e mai realizzati.

E in realtà Eshelyn... non era Allyma.

Resse il suo sguardo più a lungo del dovuto, finché gli occhi di lei non parvero guardare oltre e finché lui non si disse a se stesso per la millesima volta “non è lei”

Se lo disse finché Eshelyn non si alzò per unirsi ad un gruppo di ragazzi, se lo disse finché, vedendola andare via, dai suoi occhi non scesero nuovamente lacrime.

Se lo disse finché le lacrime non raggiunsero le sue labbra e sentì il sapore della triste malinconia che lo affliggeva.

 

Il giorno dopo fu il momento dell'organizzazione. Nodamor e Athamor avevano a lungo discusso su come procedere ed entrambi erano giunti alla conclusione che l'esercito andava necessariamente diviso in due parti, soprattutto per procedere più velocemente.

Athamor si era offerto come Comandante del secondo battaglione ma Nodamor si era trovato in disaccordo. I due Celestiali dovevano stare assieme e soprattutto, anche se non lo disse al suo vecchio amico, aveva il terrore di veder morire anche lui. Non lo disse per una sorta di orgoglio personale che si rese conto di aver dimenticato.

-Credo che Devan possa essere un ottima guida.- propose Athamor.

Si trovavano entrambi nei piani superiori della locanda dove avevano festeggiato che si era rivelata più ordinata e elegante di quanto Nodamor immaginasse.

-No. Troppo giovane.-

-La gioventù non è un limite, amico mio, tu meglio di tutti dovresti saperlo.-

Nodamor annuì tristemente.

-Lo so bene ma abbiamo già perso Marxal. Non voglio che altri giovani muoiano.-

Athamor incupì il suo sguardo e dai lati dei suoi occhi si svilupparono delle rughe che sembravano i rami appassiti di un albero.

-Siamo in guerra, Nodamor. La morte è inevitabile. Non puoi affezionarti a ogni tuo sottoposto.-

Nodamor guardò con rabbia il vecchio.

La sua Sapienza parlava con troppa oggettività, tutti quegli anni di vita lo avevano reso davvero così freddo e distaccato della vita dei suoi uomini?

-La mia risposta resta un no, Athamor. Devan deve rimanere con me... voglio renderlo mio Primo Discepolo.-

Athamor sussultò a quelle parole.

-Tuo Primo Discepolo? Solo perché è parente di Thelam non significa che...-

-Vale quanto Thelam, che i Cieli lo accolgano. Lui... ha più coraggio di quello che credi. E determinazione. Merita di indossare quella veste rossa in modo ufficiale, sotto il mio addestramento potrà diventare molto importante per questo esercito.-

Athamor parve farsi convincere da quelle parole e annuì, senza aggiungere altro.

Nodamor si appoggiò al muro e si massaggiò le tempie, era stata una notte dura, il ricordo dei suoi amici lo aveva tormentato e la figura di Eshelyn appariva ogni volta che chiudeva gli occhi.

Una notte di merda, decisamente. Quella dannata ragazza...

-Mek è escluso, è distrutto per la morte di suo fratello.- disse Nodamor.

-Già... Irash?-

Nodamor sbuffò e scosse la testa deciso.

-Decisamente no. Quel ragazzo è un idiota. Avventato ed egoista, se Grosber è morto è solo per colpa sua.-

-è Grayback che devi accusare, non lui.-

-Grayback è morto, non ha senso accusare persone morte.-

Athamor annuì arrendendosi, sapeva che quando Nodamor prendeva una decisione cambiava difficilmente idea.

-Be'... Emakoon è l'unica soluzione.- disse il Dio del Coraggio.

Athamor annuì, seppur con qualche dubbio. -Pare un'ottima alternativa ma è molto vecchio. Se Devan era troppo giovane per Emakoon abbiamo il contrario. Proprio per questo credo che Irash debba andare con lui.-

Nodamor annuì immediatamente. Pur di liberarsi di quel ragazzino non valutò nemmeno le opzioni.

-Dovremmo mandare con loro anche dei Discepoli.- disse Nodamor.

-Senza dubbio. Inviamo pure Tyrus, è intelligente e con un ascia sa il fatto suo, credo che sia adatto per accompagnarli.-

-Ha un caratteraccio.-

-Ottimo per tenere in riga Irash.-

Nodamor sorrise. -Vedo che ci capiamo, amico mio.-

Nodamor si staccò dal muro e batté le mani come per mostrare che era pronto per fare qualcosa.

-Benissimo, vado a vestirmi. Tra poche ore ce ne andiamo.- Sentì poi la mano di Athamor prendergli la manica e tenerlo fermo. Nodamor si girò accigliato.

-L'ho notata anche io, Nodamor. Le assomiglia... molto. Sembrano quasi due gocce d'acqua.-

Nodamor sentì improvvisamente il suo corpo gelare.

-Sì... l'ho notato anch'io.-

-Volevo sapere se... insomma, se volevi parlarne.-

Rimase zitto per qualche secondo, Athamor lo teneva ancora per la manica.

Cosa vuoi che dica, vecchio? È una maledizione che i Dragoni Celesti mi hanno scagliato? Oppure è stato il Supremo? Forse è stato lui, sono suo nemico infondo. Altrimenti come si può spiegare la presenza di una donna così simile alla mia amata nella città in cui mi trovo? E questa non è una visione, non è la mia fantasia, è reale, la posso toccare e anche baciare, se voglio.

Cosa c'è da dire... se non che il solo guardarla mi fa soffrire?

-Non c'è niente di cui parlare.- disse Nodamor allontanando con un forte strattone del braccio la mano di Athamor.

 

La piazza cittadina era piena, sembrava quasi dovesse avvenire un esecuzione pubblica, gli umani erano così attratti nel vedere i loro simili che venivano ammazzati per i loro crimini. Gayorn se n'era andato e il tempio della Suprema Rivelazione era stato adibito a luogo di riposo per parte dell'esercito. Nodamor portava la sua tunica/armatura e gli umani lo guardavano con occhi spalancati, ammirando le decorazioni in oro che passavano per tutta la tunica rosso fuoco. Come sempre delle donne si avvicinavano il più possibile per attirare il suo sguardo ma appena lui dava loro un'occhiata loro facevano delle risatine timide e si allontanavano. Si chiese se era così divertente un suo sguardo, ma cercò di non pensare molto a loro.

Parlò alle sue truppe della divisone dell'esercito e non giunsero lamentele fortunatamente.

Tyrus squadrò Irash e il suo sguardo non fu di certo amichevole ma accettò gli ordini, ovviamente.

Irash non fece altro che parlare di come il Secondo Battaglione sarebbe stato al sicuro sotto la sua guida e Nodamor cercò con tutto se stesso di essere sordo a quelle parole.

Emakoon non fiatò e si limitò ad annuire quando gli venne dato l'ordine.

Faresti bene a lamentarti, vecchio uomo. Ho commesso svariati errori nella mia vita. Perché diavolo avete così timore di contraddirmi?

Be'... forse le voci degli ultimi anni della Guerra Santa si sono diffuse più di quello che pensassi.

In quel caso farebbe bene a non contraddirmi.

Nodamor alzò le braccia, ottenendo l'attenzione di tutti.

-Ascoltate bene le mie parole, uomini di Sharkar. Questa città ora è Celestiale!-

Tutti esultarono con più foga di quanto fosse dovuta.

-Ma badate bene, sarete preda di attacchi inquisitori, non pensate di avere vita facile da ora in poi. Ma voi li temete? Avete paura di questi uomini che pensano di poter imporre le loro idee con la spada?-

-Che vengano pure!-

-Spaccheremo le loro teste!-

-Taglieremo quei cazzi mosci che si ritrovano!-

-Sharkar Celestiale! Sharkar Celestiale!-

Il concetto fu chiaro.

-Mi è giunta voce che Sharkar è in ottimi rapporti con Stillword e Homana, città situate più a Ovest, vero? Ebbene ho incaricato dei messaggeri di portare la notizia della vostra conversione e, fidatemi di me, anche Stillword e Homana diventeranno Celestiali!-

Altre urla, altro baccano.

-Noi ora dobbiamo andare, c'è una guerra che ci attende. Ora che quel Falso Profeta Gayorn se n'è andato da questa città siete senza una guida, perciò affido a voi la scelta su chi sia più adatto a governare la città secondo i comandi Celestiali. La difesa della città sarà compito vostro ma vi affiderò pochi Discepoli esperti e determinati, sapranno come guidarvi. I vostri soldati sono comunque abili, lo so.-

I cittadini parvero determinati a difendere la città dalla Suprema Rivelazione, e pensare che il giorno prima era fermamente religiosi.

Infine Nodamor si avviò verso le mura, mentre le urla del popolo lo accompagnavano. Notò che essere acclamato in quel modo gli mancava, più di quello che pensasse.

Le mura di Sharkar erano spesse e parevano resistenti, la città avrebbe retto con la giusta tenacia. Certo Homana era decisamente un'alleata più utile di questa città.

Athamor salutò il locandiere che ovviamente era tra la folla e Nodamor scambiò vari saluti e sorrisi a volti indistinti tra la folla. Poi la vide avvicinarsi, passo lieve ma deciso, faceva intuire che non avesse intenzione di tornare indietro.

Eshelyn portava una gonna bianca che pareva quasi brillare da quanto era pulita, i tre bottoni del colletto erano ben chiusi e Nodamor sperò quasi di vederli sbottonati.

Ma che ti prende? Calmati!

I capelli castani della ragazza erano lasciati sciolti e si lasciavano cullare dal lieve soffiare del vento.

Nodamor rimase a guardarla negli occhi, quegli occhi color cioccolata.

Attese qualcosa ma lei non fece nulla.

-Cosa vuoi?- disse infine lui, in modo piuttosto scortese si rese conto poi.

-Voglio venire con voi.- disse lei decisa.

Nodamor spalancò gli occhi. Questo non era assolutamente una buona cosa, soprattutto per lui.

-Non... non credo sia il caso Eshelyn.-

-Perché no?-

-Saresti... in pericolo.-

Lei sorrise. -Vi preoccupate per me, dunque?-

-Ehm... no, non ho detto questo.-

-Sarei in pericolo con voi ma lo sarei anche in questa città ora che ci siamo convertiti.-

-Si ma...-

-E poi la mia famiglia è sempre stata fedele ai Celestiali, anche se siamo stati costretti a convertirci al Culto della Suprema Rivelazione... come tutti del resto. Mi sento di venire con voi, non so è una cosa dentro di me, difficile da spiegare. Ma credo che la mai via sia al vostro fianco, mio signore.-

Supremo... ti faccio i miei complimenti.

-Non sai combattere.-

Lei incrociò le braccia e si accigliò.

-Chi l'ha detto? Qualcuno in città? Sono più che discreta con l'arco e sono silenziosa. Parecchi degli uomini che si sono voluti unire alle vostre fila mi conoscono e mi rispettano e poi so come farmi valere. Che problema c'è se vengo? Se ci tenete, mio signore, potrei tenermi fuori dagli scontri più pericolosi.- disse lei senza togliersi quel sorriso sbarazzino dalla faccia.

-Non ci saranno scontri meno pericolosi.-

-Lo so.-

Determinata, intraprendente, con un carattere fin troppo deciso. Allyma sarebbe stata fiera di lei, in particolar modo per la bellezza. Il colore dei suoi capelli era chiaro, un castano che sfiorava con delicatezza il rosso e i suoi occhi due spilli perfetti.

Nodamor non la voleva nell'esercito. Era troppo, troppo per poter essere sopportato in una guerra così grande, troppo per non distrarlo dalla sua missione.

Lei non era Allyma nonostante la grande somiglianza caratteriale e fisica, non era la sua amata, non era nemmeno l'ombra della Dea della Bellezza.

Eppure disse disse di sì.

-Va bene, puoi venire con noi. Ma fa attenzione.-

Il suo sorriso fu radioso e si congedò con un lieve inchino.

Nonostante non fosse Allyma... non riusciva a negare a se stesso la possibilità di vedere qualcuno che potesse essere simile a lei fino a questo punto.

 

Marciare con lei vicino fu piuttosto complicato, il suo sguardo si posava sempre sulle sue forme, oppure sui suoi capelli castani o ancora sui suoi occhi scuri.

Mi sa che ho fatto una pessima scelta.

Eppure non rimpiangeva veramente la sua decisione. Era soddisfatto e felice di averla al suo fianco. Aveva preferito il suo bene che quello dell'esercito, Eshelyn non poteva essere utile in battaglia, era stato egoista. Ma non gli importava molto.

Athamor scese dal suo Work, era andato a fare un volo veloce di perlustrazione, e scosse la testa.

-Il posto è vuoto, non c'è anima viva. Se non parecchi animali, il cibo non ci mancherà di certo.-

-Abbiamo bisogno di difese, soprattutto.-

Athamor scosse la testa. -Quelle mancano. Le Piane di Confine si estendono per tutto l'Ovest di Noveria, sono la zona più ampia del regno. Sono zone coltivabili piene di villaggi e piccole fattorie ma le vere e proprie città scarseggiano.-

Nodamor diede una spacca sulla spalla ad Athamor.

-Abbiamo ottenuto l'appoggio di tre città, tra cui Homana. È un primo passo avanti.-

Athamor sorrise, ma il suo sorriso durò poco e non fu poi tanto convinto.

-Noveria è un regno grande, siamo in viaggio ormai da varie settimane... probabilmente da un mese e ci muoviamo molto lenti con tutte queste truppe, anche se ne abbiamo lasciate un po' a Sharkar. Ci stiamo muovendo con fin troppa lentezza, Nodamor.-

-Siamo in guerra, l'avrai notato. Una così grande che la Guerra Santa pare impallidire. Non è una questione di minuti.-

-Ma nemmeno di mesi, Elomer vuole risultati e li vuole in fretta, che gli umani restino ad azzuffarsi tra di loro. Noi dobbiamo trovarla e ucciderla e in fretta. Sono sicuro che a breve Elomer invierà qualcuno ad aiutarci.-

Nodamor scosse la testa deciso.

-No, non lo farà. Ha fiducia nelle mie capacità e anche nelle tue.-

Athamor non disse nulla, come se sapesse già che le sue parole non avrebbero sortito alcun effetto.

-Allora ascolta almeno queste mie parole. Dividiamo l'esercito ora, è la cosa migliore da fare.-

A Nodamor sembrava troppo presto ma accettò, soprattutto per non provocare conflitto tra di loro, era l'ultima cosa di cui avevano bisogno.

L'esercito dunque venne diviso, una parte restò al comando di Nodamor e Athamor mentre l'altra passò a Emakoon (e pure Irash, nonostante Nodamor non volesse), il Secondo Battaglione si diresse verso Nord-Ovest mentre il primo continuò verso Ovest. L'esercito si divise ma Eshelyn rimase ben vicina a Nodamor e non pensò nemmeno di allontanarsi.

 

-Lei com'era?-

Nodamor volse il suo sguardo alla sua destra e vi vide Eshelyn.

Non ha altro da fare? Non può andare da Devan? Maledizione, cosa vuoi da me?

-Di chi parli?-

-Parlo di Allyma La Bella. Le storie dicono che voi due eravate... vicini.-

Nodamor sentì la tipica fitta che percepiva quando parlava di lei.

-Sì... lo eravamo.-

-E lei com'era?-

-Bella.-

Lei rise e la sua risata fu deliziosa da sentire.

-Questo l'avevo immaginato. Ma non mi interessa il suo aspetto, mi interessa com'era lei veramente. Cos'era che vi ha attratto a lei?-

In tutti questi anni ogni persona ha pensato che fosse stato per l'aspetto... sono stati così ottusi. Le persone non sono in grado di guardare oltre all'aspetto molto spesso e si perdono l'opportunità di conoscere persone meravigliose. E lei non era esclusa.

-Aveva un carattere deciso. Era fiera e anche altezzosa, molto spesso. Ma era solo una facciata, dentro era dolce e aveva a cuore tutti i suoi fedeli. Spesso le persone confondevano il significato del suo ruolo. Tutti pensavano che rappresentasse tutti gli uomini o le donne di bell'aspetto. Ma lei rappresentava la Bellezza in ogni sua forma. Grazie a lei ho capito che si può vedere bellezza anche in un castello in rovina, anche in un campo all'apparenza privo di dettagli, anche in un albero dalle foglie appassite. E mi ha insegnato a vedere la bellezza interiore... che è la più importante.-

Eshelyn aveva mantenuto un volto impassibile mentre Nodamor parlava.

-Ti manca?- chiese lei con un leggero brivido nella voce.

Nodamor inspirò e sentì che il suo respiro era rotto da un nodo alla gola.

-Sì. Ogni singolo giorno.-

Lei non aggiunse altro ma Nodamor sentiva qualcosa... come se quel silenzio dovesse essere necessariamente riempito.

-Tu le assomigli molto, sai? Non solo nell'aspetto ma soprattutto nel carattere. Avete uno spirito forte e ribelle, Allyma non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno ed era una delle poche Dee che avesse il coraggio di rispondermi indietro. L'ho amata anche per questo.-

Lei parve arrossire a quelle parole.

-Io... oh, non so come rispondere.- si toccò nervosamente le dita senza sapere che dire.

-Mi date grande felicità nel paragonarmi al vostro amore, mio signore. Non merito queste parole.-

Improvvisamente Nodamor si rese conto di quello che le aveva detto.

-No, infatti. Forse non le meriti... nessuno le merita.-

Lei lo guardò accigliata, senza capire se aveva mentito prima o se stava mentendo adesso.

Non disse nulla però, forse per timore di mancare di rispetto Nodamor.

Credo che la cosa si rivelerà più complessa del dovuto.

Athamor si avvicinò a loro.

-Vedo che state facendo conoscenza.- disse sorridendo, dietro di lui c'era Mek, col volto cupo.

Nodamor lo guardò accigliato e Athamor fece spallucce.

-Non so con chi parlare, queste marce sanno essere dannatamente noiose.-

Eshelyn annuì -Sono d'accordo, mio signore.-

Athamor la guardò e le sorrise annuendo. -Qualcuno che è d'accordo con me, i Cieli siano liberati! È una gioia che sia una ragazza così bella a dire queste parole.-

Eshelyn arrossì nuovamente, i complimenti le facevano un certo effetto.

-Tutto questo solo perché ti ha dato ragione?- chiese Nodamor.

-È una cosa che avviene raramente ultimamente.- disse il Dio della Sapienza lanciando uno sguardo a Nodamor e quest'ultimo rispose scuotendo la testa.

-Avete dimostrando grande coraggio nel fronteggiare quel Profeta in città, ragazza. Un certo Dio dovrebbe essere molto fiero di voi.-

Eshelyn scosse la testa e tese le mani verso di Athamor, come per allontanare i complimenti.

-Non ho fatto nulla, mio signore, voi mi date meriti che non ho. Ho solo detto le cose come stavano, il vero leone è stato il mio signore Nodamor.-

Athamor guardò deliziato Nodamor.

-Oh senza dubbio alcuno. Hai dimostrato grandi abilità oratorie, mio caro amico. Era da molto tempo che non ti sentivo fare un tale discorso. È stato bello.-

Verso la fine la voce di Athamor si era fatta più seria e meno scherzosa.

Durante la Guerra Santa molto spesso Nodamor aveva dovuto fare discorsi all'esercito, soprattutto quando il coraggio veniva meno. Durante uno di quei discorsi Nodamor aveva notato Athamor in prima fila e il suo sguardo era stato carico di rispetto. Prima della battaglia Athamor aveva posato la sua mano sulla sua spalla e aveva detto: “Belle parole, Nodamor. Ho visto il volto dei Discepoli diventare più luminoso grazie ad esse.”

Nodamor aveva scosso la testa, divertito da quelle parole.

“Come può dire questo il Dio della Sapienza in persona? Sono le tue parole a farci riflettere tutti.”

“Nodamor, amico mio, credo che anche un Dio della Sapienza possa imparare molto dalle tue parole.”

Quella breve conversazione prima della battaglia aveva sancito la loro amicizia, parevano così lontani quei giorni. Ma era ancora lì con lui, era l'unico amico che non se n'era andato. L'unico che era rimasto. L'unico che non era morto.

-Ti ringrazio, amico mio.-

Nodamor sentì Mek muoversi.

-Ma quello non è Irash?-

-Cosa?

Nodamor seguì il punto che il dito di Mek indicava.

Irash si avvicinava, con il fianco sanguinante, dietro di lui stava Emakoon che si muoveva a fatica e, che teneva in pieni il ferito Irash, c'era un furibondo Tyrus.

-O cazzo, dimmi che è uno scherzo- disse Devan, che li aveva raggiunti in tutta fretta.

Tyrus gettò a terra con rabbia Irash.

-Questo coglione ha rovinato tutto!-

-Che cos'è accaduto?- chiese Nodamor.

-Non è colpa mia, lo giuro. Lo giuro...- piagnucolava Irash.

-Il ragazzo è andato.- sussurrò Mek.

-Non piagnucolare, ciucciacazzi! Di al tuo Dio quello che hai fatto, pezzo di idiota!-

-Qualcuno vuole spiegarmi cosa diavolo è successo!- urlò Nodamor.

Il volto di Eshelyn era preoccupato e spaventato.

-Mio signore... avevamo trovato un grande gruppo di Noveriani. Non sapevamo quanti potessero essere... io ho detto di andare avanti senza disturbarli e tutti sono stati d'accordo con me... ma questo coglione ha fatto tutto di testa sua e ha convinto dei soldati ad attaccarli. In men che non si dica ci siamo ritrovati circondati. Siamo sopravvissuti per miracolo. Ho cercato di fermarlo ma ormai era troppo tardi.-

-Il ragazzo è stato avventato.- disse Emakoon con un filo di voce.

-Dimmi che il vostro battaglione non è stato distrutto, dimmi di no!- urlò Nodamor.

-Assolutamente no, mio signore. Siamo riusciti a scappare, gli altri ci stanno raggiungendo ma... ci avranno di certo seguiti anche i noveriani e ora sanno dove siamo... tutto per colpa di questo idiota!- disse Tyrus colpendo Irash con un calcio.

-Quel ragazzo non fa altro che portarci rogne, piccolo bastardo. Dovremmo spaccargli quella testolina bionda.- disse Mek con voce spietata.

Lo odia... se suo fratello è morto è anche colpa sua. Di male in peggio.

-Questo non ci voleva... cazzo non ci voleva davvero.- disse Nodamor massaggiandosi le tempie.

-Risolveremo la faccenda dopo, ora dobbiamo andarcene e in fretta.- disse Athamor.

Non ci fu tempo per altre parole.

 

Stranamente non vennero raggiunti da nessuna truppa noveriana. Camminando inevitabilmente Athamor si avvicinò a Nodamor e parlò riguardo a ciò che Nodamor sospettava.

-Ora sarai convinto di fare quello che ti ho detto... vero?-

Nodamor si fermo e lo guardò.

-Athamor... non puoi chiedermi di farlo veramente. Non puoi.-

Athamor lo prese per le spalle e lo costrinse a guardarlo. Gli occhi di Athamor erano di una tonalità scurissima di marrone.

-Se dobbiamo dividere l'esercito è giusto che le truppe vengano guidate da persone esperte. Io ho visto molte guerre Nodamor. Moltissime. So quello che faccio meglio di chiunque di loro.-

Nodamor rimase a guardarlo, pensando a quelle parole. Era la scelta più saggia e corretta... ma Nodamor era egoista, ormai lo sapeva.

-Ci devo pensare.-

 

Il mezzogiorno era passato ormai e fu in quel momento che giunsero.

Devan alzò lo sguardo e vide due punti misteriosi scendere dal cielo, erano lontani ed era difficile vedere i dettagli. Mano a mano che si avvicinavano anche Nodamor li notò e capì suo malgrado chi erano. Appena le truppe li videro posero subito le loro mani destre nei loro cuori. Erano due carri celestiali trainati da Work colorati, a guidarli ovviamente c'erano due Dei.

Uno indossava una veste arancione e oro. Aveva una lunga barba bianca arricciata in bellissime pietre preziose. Portava due orecchini arancioni come un arancia e una collana d'oro. I Suoi occhi erano nocciola e i suoi capelli erano corti e bianchi. Il suo volto era rigato da varie rughe ma manteneva una grande fierezza e il suo fisico restava possente e in grado di incutere timore. Le sue spalle erano larghe e lo facevano sembrare uno di quei lottatori nelle arene di Aghta. Appena lo vide Athamor fece un sorriso radioso. Quello era Gerrydor, il Dio del Tuono ed era un vecchio e caro amico di Athamor. Il secondo Celestiale era una persona che Nodamor non avrebbe voluto vedere. La sua pelle era pallida, sembrava quasi un pezzo di ghiaccio. La sua veste era nera e oro. I suoi occhi erano di un azzurro glaciale ma erano contornati da delle occhiaie nere come le tenebre. Era estremamente magro e le sue labbra erano attraversate da misteriose crepe, come se la sua pelle fosse secca. Le unghie delle sue mani erano dipinte di nero e sotto il suo occhio destro era tatuata una lacrima nera. Era Rathborn, il Dio della Notte. Rivederlo fu la peggiore delle cose per Nodamor.

Appena atterrarono Nodamor sentì Eshelyn avvicinarsi a lui.

-Quello è Gerrydor Il Tonante, vero? È colui in grado di chiamare il fulmine nel campo di battaglia? Colui che distrusse la flotta noveriana durante la Battaglia dei Pozzi Bui? E quell'altro è Rathborn Il Tenebroso? Colui che avanza assieme all'oscurità? Colui che combatte col favore delle tenebre?-

Nodamor annuì di fretta. -Sì, sono loro.-

Gerrydor fu il primo a scendere e salutò Nodamor e Athamor con un ampio sorriso.

-Amici miei! È così bello rivedervi dopo tutto questo tempo! Siamo stati molto impegnati e purtroppo è sempre la guerra a riunirci.-

Athamor si avvicinò a lui e i due si scambiarono un caloroso abbraccio.

-è bello rivederti, amico mio.- disse Athamor.

-Mai quanto è bello per me. Mi sei mancato, vecchio.-

-Ah! Ti sei visto?-

Gerrydor guardò Nodamor e gli strinse la mano.

-Bello vedere anche te, fratello.-

-Bello davvero.- disse sinceramente Nodamor. Gerrydor era un abilissimo guerriero e un ancora più abile condottiero, c'era veramente bisogno di lui. Aveva avuto l'opportunità di vederlo a battaglia conclusa nei Pozzi Bui. Nodamor era stato impegnato in un colle poco distante a sbaragliare le retrovie Noveriane e raggiungendo i Pozzi Bui aveva visto Gerrydor in piedi sulla riva del mare con dietro di sé decine di navi date alle fiamme.

Infine scese pure Rathborn. I suoi movimenti erano precisi e delicati. Salutò Athamor con un cenno della testa e poi poso i suoi occhi tenebrosi su Nodamor.

-Valoroso... erano anni che non ti vedevo.-

Nodamor tenne i suoi occhi fissi su quelle gelide pozze di oscurità.

-Già.-

-Il tempo è stato clemente con te vedo, mantieni il vigore della gioventù.-

-E non dimentico nulla.-

Il sorriso di Rathborn fu quasi più terrificante del suo aspetto.

-Me ne compiaccio.-

Athamor rimase a guardarli e parlò, sperando di sciogliere il nodo che sembrava sul punto di legare i due.

-Siamo inseguiti da un ingente numero di truppe noveriane.-

Gerrydor sbuffò e fece un gesto con le mani.

-Bah, lasciate perdere. Ci abbiamo già pensato noi due.-

-Le truppe inquisitorie sono state neutralizzate.- disse freddamente Rathborn.

-Vorrei sapere delle cose prima.- disse Nodamor.

Lo sguardo di Rathborn si posò su Nodamor, senza dare nessun segno di una qualunque emozione.

-Perché siete qui?-

Rathborn sorrise nuovamente.

-Ingenuo come sempre, vedo. Il tempo è stato clemente con te ma non ha tolto i tuoi difetti. Non è ovvio? È stato Elomer Il Superiore a inviarci qui. La vostra missione procede con troppa lentezza perciò ha inviato noi a darvi man forte. Elomer ha fiducia in te Nodamor, ma vuole dei risultati.-

Nodamor strinse con forza i pugni.

-Che c'è? Non sei felice?- disse il Dio della Notte col suo sorriso inquietante.

 

 

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Capitolo 31
*** Il volere di Dio... o degli Altri? ***


 

Capitolo 31

Il volere di Dio... o degli altri?

 

-Non sorridono più tanto quando gli fai un sorriso sulla gola, eh?- disse Atras sgozzando un soldato vurkaniano. Il sangue usci a fiotti dal collo del malcapitato che forse cercò di dire qualcosa, ma ogni parola venne interrotta da suoni gutturali. Infine il soldato cadde al suolo sbattendo con forza il volto per terra, sotto lo sguardo terrorizzato dei suoi compagni e lo sguardo impassibile dei soldati noveriani. Erano circa una trentina, La squadra di Atras, di Oswald, di Petros e in più quella di Kef e Ortulam di Gnuyen e di Kevva. Thomas non aveva mai visto quei due ma sembravano esattamente come tutti gli altri capitani. Si erano spostati di parecchio a Ovest, forse anche troppo. Certe notti non avevano nemmeno dormito, quando uno ci aveva provato Atras lo aveva colpito con l'elsa della sua spada talmente forte da farlo svenire.

E io e Lymann ci siamo dovuti trascinare il corpo di quel coglione.

Thomas aveva cercato di dire ad Atras che correvano troppo, Kalad era stato ferito da una sua freccia la notte del rapimento della Messia e non poteva muoversi così in fretta. Lo sguardo del capitano era bastato per fargli rimangiare le lamentele.

Kalad... perché aveva fatto una follia simile? Per quale motivo? Un uomo onesto e responsabile come lui aveva rapito una persona così importante... sembrava quasi impossibile.

Se ci penso, invece, mi sembra normalissimo. È stata la sua fottuta responsabilità a spingerlo a rapirla. Forse... forse sei l'unico che ha fatto la cosa giusta, amico mio.

NO. No ehi non pensare ste cose. Neanche per sogno. Sei nell'Esercito Inquisitorio, noi siamo nel giusto.

Noi...

-Thom! Veni qui forza, vammi a prendere quello con le orecchie a sventola!- ordinò Atras destandolo dai suoi pensieri. Thomas suo malgrado si avvicinò ad un soldato Vurkaniano di a malapena vent'anni con le orecchie a sventola e gli occhi gialli come ogni vurkaniano. La sua pelle non era rossa come gli altri ma più chiara. Avevano incontrato quella squadriglia vurkaniana due giorni prima. Erano arrivati lungo la strada e gli avevano attaccati con le loro lance acuminate e le loro armature rosse. Però erano tutti giovani e poco addestrati, parecchi erano morti ma altrettanti erano stati presi prigionieri, soprattutto per avere informazioni di quel gran numero di Nord che si diceva stessero bazzicando da quelle parti.

Certo se facciamo continuare a divertire Atras non scopriremo un cazzo.

Prese il ragazzo e lo trascino fino dal folle capitano, nonostante il giovane cercasse di dimenarsi. Thomas lo spinse a terra e il ragazzo cadde proprio ai pieni di Atras. Il vurkaniano tenne lo sguardo basso.

-Gli piacciono le tue scarpe, capitano!- disse ridendo Lymann.

Atras fece un inquietante mezzo sorriso e prese i capelli del giovane.

-Facciamogli alzare lo sguardo.- disse colpendolo con una ginocchiata al naso. Il colpo fece cadere all'indietro il ragazzo che ora aveva lo sguardo rivolto verso il cielo.

-Ora spera di vedere qualche Servo Alato!- disse cercando di trattenere le risate Ortulam.

Il ragazzo iniziò a mormorare qualcosa in vurkaniano, ogni parola era come se il ragazzo stesse masticando qualcosa, Thomas aveva sempre trovato incomprensibile il Vurkaniano, anche se non come il Nordico.

Atras fece sparire il suo inquietante sorriso.

-Cazzo stai dicendo? Stai bestemmiando, vero? Parli nella tua sporca lingua dell'Est, eh? Parla la lingua del Sud, stronzo!- disse il folle pestando con forza il collo del giovane e facendogli morire in gola i mormorii.

-Ci siamo impegnati così tanto per diffondere il nostro credo e la nostra lingua e tu parli vurkaniano di fronte a noi?- le risa dei soldati coprirono le parole di Atras.

Altri grugniti incomprensibili uscirono dalla bocca del ragazzo.

-Cosa? Che dici?-

-Ciucciami il cazzo... porco Inquisitorio!- strascicò il ragazzo.

I soldati si azzittirono.

-Cos'hai detto? Cosa cazzo hai detto, fiammifero?- disse Atras alzando un sopracciglio. Poi, in un attimo, si lanciò sul ragazzo e conficcò il pugnale sulla coscia del ragazzo. Questa volta l'urlo del giovane uscì chiaro dalla sua gola.

-Si urla, ragazzino! Le urla sono uguali in ogni lingua.- disse Atras ridendo come un matto.

-Basta con questo baccano!- urlò Petros. -Poni fine alle urla di quel povero ragazzo e vai a farti un giro, Atras.-

Era una fortuna la presenza di Petros tra di loro. Thomas considerava Petros l'unico capitano dotato di un etica e di un senso dell'onore.

Atras tirò fuori dalla coscia del ragazzo il pugnale.

-Petros, vecchio orso! Vuoi negarmi il divertimento?-

-Ti sei divertito abbastanza per oggi.- disse guardando freddamente Atras il grosso soldato.

Atras non disse altro e pose il suo sguardo sul ragazzo.

-Non ciuccierò nessun cazzo oggi, marmocchio. Lo stesso non posso dire per te!- appena Atras terminò la frase il ragazzo morse con forza la mano del capitano. Il giovane vurkaniano strappo parte della pelle dell'anulare destro di Atras. Il noveriano gemette per il dolore e colpì per due volte al volto il ragazzo. Si guardò il dito e appena vide la parte di pelle mancante ringhiò come un leone infuriato della Terra delle Zanne. Affondò il suo pugnale sulla pancia del ragazzo e così fece per altre dieci volte. Alla fine il ragazzo non respirava più già alla quinta pugnalata. Atras aveva il fiatone ed era accasciato sul corpo del ragazzo. Guardò i vurkaniani prigionieri e sorrise, per poi iniziare a ridere sempre più forte. Infine si alzò e se ne andò, continuando a ridere.

I soldati vurkaniani rimasero a guardare il corpo sventrato del ragazzo, che venne trascinato per le gambe nei bordi dell'accampamento. Thomas provò un moto di pietà per quei disgraziati, erano diventati il gioco di Atras.

E non solo di lui purtroppo, Ortulam adorava tagliare le dita dei prigionieri, due ne avevano solo tre di dita, le altre erano state tagliate. Kef amava esercitarsi con la sua lancia punzecchiando i prigionieri. Uno era morto perché l'aveva punzecchiato un po' troppo al collo.

Lymann e stava cucinando i conigli che aveva cacciato e Thomas si andò a sedere vicino a lui.

-Vuoi servirti?- chiese.

Thomas annuì.

Lymann sbuffò e si asciugò il sudore dalla fronte.

-Joran amava il coniglio, diceva che dalle sue parti si mangiava solo lepre e il coniglio aveva un gusto delicato che gli piaceva.-

Thomas non disse nulla, ripensò solo a quando avevano trovato Joran col fianco completamente aperto. Era stato Kalad.

-Quel cane. Quello sporco traditore. Cazzo, amico... da lui non me lo sarei mai aspettato. Ha fatto fuori pure Okk. Quando lo troveremo... be' gli apriremo pure noi il fianco.- disse rabbioso Lymann.

Thomas non rispose nemmeno questa volta, poiché non sapeva che dire. Kalad era suo amico, era l'unico con cui aveva veramente legato nella squadra. Era un traditore... ma, in cuor suo, sapeva che era comunque un brav'uomo. Anche se non era sicuro che, appena l'avessero trovato, avrebbe trattenuto la sua freccia. Infondo erano nemici, ora. Mangiò il coniglio in silenzio, assorto dai suoi pensieri e non sentì la mancanza di Joran. A dire il vero non gli era nemmeno dispiaciuto che fosse morto, era un rozzo e, se avesse potuto, avrebbe stuprato tutte le donne di un villaggio. Kalad era veramente il bastardo della situazione? Lo dubitava.

 

-I nordici sono vicini, molto. Forse ad un giorno di distanza e credo proprio che domani li ingaggeremo. Ci giunge notizia di cinquemila truppe nord dell'esercito Holdar, più l'appoggio di un signore della guerra, Shuttor Lo Zoppo, il numero dei suoi uomini è imprecisato però.- disse Petros nella grande tenda porpora in cui venivano organizzati i preparativi. Nel tavolo di legno stava una mappa che rappresentava il territorio in cui si trovavano e attorno ad esso stavano Petros, Oswald, Atras, Kef e Ortulam. Thomas era presente come secondo di Atras.

-Ho sentito parlare di questo Shuttor, dicono che sia un vecchiaccio senza la forza di alzare una spada.- disse Ortulam.

-Io ho sentito che è un sadico figlio di puttana.- disse Kef.

-Puoi essere sadico anche se sei vecchio.- disse Atras con un ghigno.

Petros appoggiò le grosse mani sul tavolo

-Non è lui il problema, quanto la presenza di un Comandante, Jarof Sverkal. Questo tizio è piuttosto abile, i bruti se lo ricordano. Lui può essere un serio problema.-

Keff sbuffò scuotendo la testa. -è la mente di uno contro la mente di noi cinque.-

Già, peccato che solo una di queste menti sia valida, coglione.

-Questo è vero ma le tattiche del Signore della Guerra possono essere temibili, non seguono nessuna regola e sono disposti ad usare qualunque espediente pur di staccarci la testa.-

è quello che faremmo pure noi.

-Cosa consigli di fare? I Nord saranno vicini già all'alba.- disse Oswald con tono agitato.

-Questo lo so.- disse sospirando Petros. Poi li guardò uno per uno, anche Thomas. Lo sguardo del vecchio guerriero era duro come il ferro. Tra poco andavano a combattere.

-Kef e Ortulam hanno il maggior numero di truppe assieme a me, perciò verranno con me nelle prime file, a fronteggiare le truppe Holdar. In quella zona c'è un bosco a Est, ciò sta a significare che sicuramente Shuttor andrà lì, pensaci tu Oswald. Più a ovest, un po' distante dalla zona che diventerà il campo di battaglia c'è una collina. Ecco quella è dannatamente importante, da un ottima visuale di tutto il posto. Lì voglio Atras.-

Atras parve scocciato da quella scelta.

-Mi vuoi nelle retrovie, vecchio?-

Petros lo guardò, arricciando le labbra in una smorfia arrabbiata.

-Si, amico. Ti voglio nelle retrovie.-

Atras rimase a guardarlo e per un attimo Thomas ebbe paura che potesse estrarre il suo maledetto pugnale.

-E vedi di restarci in quella collina.- disse Oswald guardando con odio il Pazzo.

Atras guardò con la coda dell'occhio Oswald e abbozzò quello che doveva essere un sorriso.

-Tu dai fuoco a quel bosco, mi raccomando.- disse infine uscendo senza salutare nessuno. Thomas si trattenne ma quando capì che la sua presenza non era necessaria uscì in silenzio.

 

Thomas lo sapeva. Prima di una battaglia c'era sempre quel momento lungo e interminabile di noia. Il tuo corpo è completamente all'erta, carico di adrenalina, pronto ad impugnare un arma e spaccare teste... ma è troppo presto e mancano ore per la battaglia. Questa sarebbe stata la sua prima vera e propria battaglia, contro quei barbari del Nord poi! Eppure, ora dopo ora, sentiva la lentezza diventare come miele spalmato su tutto il suo corpo. Si ritrovò seduto a terra con la schiena appoggiata ad una roccia ad osservare le punte delle sue frecce, nella vana speranza di far passare il tempo. Atras pareva stranamente calmo, era quasi innaturale lì, seduto a gambe incrociate, che affilava in continuazione la sua spada e le sussurrava parole dolci.

-Sapete... l'ho chiamata Rosy.- disse ai soldati nei paraggi. Per alcuni era la prima volta sotto il comando di Atras.

Per, come rito di iniziazione credo che la storia di Rosy sia ottima.

-Rosy è stato il primo amore della mia vita. Avevo diciotto anni. Ero... un giovane scapestrato desideroso di avventura. Lei... era una bellezza semplice. Minuta, dolce, gentile e io lo ero con lei. La prima volta che ci baciammo fu vicino la fontana di Geveldor... che bel ricordo! Rosy era... la mia rosa. La amavo tantissimo ma immagino che il sentimento non fosse ricambiato. Una volta le chiesi di scopare e lei “no, è troppo presto!”. Ah, potete immaginare la mia rabbia. Glielo chiesi ancora e ancora e ancora e la risposta era sempre no. Appena cercai di convincerla... con i fatti, lei mi colpì con un forte calcio sui coglioni!- interruppe la storia ridendo di gusto a quel ricordo. -Che botta! Certo nonostante mi misi a ridere e non so dire perché mi incazzai parecchio. Proprio per questo presi... la sua esile testolina e la sbattei contro lo specchio della sua camera. Bastò un solo colpo, dato con forza e la sua testa venne ricoperta dai pezzi di vetro e ridotta come un pomodoro! Un solo... colpo. Proprio come la mia spada. Un colpo solo... uno solo... e la vita svanisce.-

Le parole diedero l'effetto sperato e i soldati si guardarono intimoriti tra di loro.

Atras sorrise e mostro tutti i denti.

-Tranquilli! Traaaanquilli! Non dovete aver paura, la mia spada incute timore ai miei nemici non ai miei compagni. A meno che... voi... non mi rompiate i coglioni. In quel caso sarò ben lieto di farvi a pezzettini talmente piccoli da potervi imbarattolare!-

Thomas sorrise guardando lo sguardo dei soldati.

Già, fa cagare sotto dalla paura, vero? Immaginate essere in squadra con lui.

Lymann stava parlando con due soldati e Thomas riconobbe Freyd e Ormar di Nibeluria. Quelli se li ricordava, erano in una banda di strada a Nibeluria, quando era ragazzino. Se passavi nel vicolo sbagliato ti saltavano addosso e ti pestavano a sangue e avevano uno dieci e l'altro undici anni. Tutto per anche solo un pezzo di bronzo sporco. Ora erano nell'Inquisizione.

Non badano a chi eri o a cosa facevi, se sai usare un arma e non ti fai remore ad ammazzare chi difende il proprio credo sei assunto! Buona paga, vieni preso per un grande credente e hai un armatura splendente. Ah già e svariate visite al bordello gratis!

Dio quanto mi manca Shalara...

Pensandoci bene era una buona cosa che non guardassero chi eri, altrimenti Thomas non sarebbe stato nemmeno considerato. Lì non era come ad Aquamar. Anche se avevi un padre ubriacone che ti ammazzava di botte e una madre morta in un modo ridicolo venivi preso lo stesso. Anche se eri cresciuto facendo furtarelli e prendendo varie randellate dalla Guardia Cittadina. Anche se avevi dormito nello sporco e avevi quasi ammazzato per un pezzo di pane.

Se eri bravo con un arco e eri preciso eri uno di loro.

Se non avevi remore eri uno di loro.

Oh ma lui le aveva avute... fin troppe volte. Soprattutto all'inizio. Kalad lo sapeva, cazzo aveva addirittura pianto davanti a lui. Ma poi col passare del tempo aveva svuotato la sua mente.

“Non farlo, mai, per nessuna ragione. Quando non proverai rimorso per ciò che fai... capirai di essere diventato un fantoccio.”

Kalad glielo aveva detto... ma non l'aveva ascoltato. Ora uccidere un “Infedele” non gli importava poi tanto. Lo faceva perché era quello che doveva fare e non stava a pensare se era giusto o no.

Non gli importava.

-Dimmi un po' Thom!- disse Atras.

Thomas lo guardò attendendo una risposta.

-Con tutti i viaggi che abbiamo fatto senti mai la mancanza della capitale? Tu eri da lì no?-

Non aveva voglia di parlare con quel pazzo ma lo fece soprattutto per tirare su il morale dei soldati.

-Se mi manca Nibeluria?- ci pensò un attimo. Come poteva mancargli quella città? Era stato quasi ammazzato, picchiato giornalmente, inseguito dalle guardie, aveva spiato le puttane nel bordello centinaia di volte, aveva corteggiato delle ragazze nobili e alcune le aveva pure baciate, anche se poi i rispettivi padri volevano la sua pellaccia. Aveva dormito nel lerciume e mangiato il pezzo di pane sporco e dal sapore amaro che veniva dato ai poveri. Aveva borseggiato gente ancora più povera di lui e aveva rubato il mangiare a gente più affamata di lui. Aveva bruttissimi ricordi di quella città. Eppure... pensandoci attentamente, scartando quei brutti ricordi...

-Si... è strano per me dirlo ma sì, mi manca. Mi mancano i palazzi con le loro bellissime terrazze, in cui potevi affacciarti e farti accarezzare la pelle dal vento proveniente dal mare. Mi mancano le luci rosse del bordello che illuminavano con calore la notte. Mi manca il mercato, dove i venditori provenienti dalle Terre d'Oriente mostravano la loro mercanzia esotica. Mi manca andare alla Fiera di Primavera dove venivano lottatori tatuati da Aghta, spadaccini di Lysiux con quei loro baffi strambi e compagnie circensi da Tarpazzi. Da piccolo volevo entrare a far parte di una compagnia circense e andare nell'estremo Sud, a Tarpazzi, nella corte del Gran Tesoriere Karlo Mavaldi. Lì il sole scotta da morire, le donne sono prosperose e generose con gli stranieri e gli uomini sanno mille trucchi per corteggiare le donne. Si dice che un uomo di Tarpazzi possa ammaliare tutta Nibeluria. Da giovane volevo imparare a farlo anch'io. E poi ricordo le banchine del porto. Ci camminavo sempre da piccolo e il legno scricchiolava dolcemente sotto i miei piedi, Dio mi sembra di sentirlo ancora. I marinai mi lasciavano caricare le casse, anche se parecchie non riuscivo nemmeno a smuoverle, erano troppo pesanti per me. Le vele porpora venivano gonfiate dal vento e le navi venivano cullate dal mare, i gabbiani volavano alti in cielo e seguivano quelle navi che andavano verso Aquamar o verso le Terre Meridionali, alla ricerca di fortuna. Ricordo... che guardavo il tramonto da lì ed era qualcosa di meraviglioso... indescrivibile.-

I soldati guardavano attentamente Thomas e capì che stavano pensando alla capitale.

-Cazzo... il porto. Dio mio. Mio padre era un carpentiere, passavo lì intere giornate seduto a gambe penzoloni!-

-E il bordello! Ah per il Supremo lì potevi vedere la vera bellezza. Una volta feci l'amore con una donna di Lysiux con le labbra di un rosso accecante e la pelle morbida. Ah, che ricordo!-

-La Fiera di Primavera! Cazzo da ragazzo andavo a vedere i lottatori di Aghta! Razo Novante Savér Il Tritaossa, ve lo ricordate? Era un bestione tutto tatuato, alzava un carro senza problemi!-

-Avete conosciuto Luka Navarro? Quell'uomo di Tarpazzi che fece innamorare di lui dodici donne sussurrando nelle loro orecchie cinque misteriose parole!-

-Mio nonno aveva un fioretto di Lysiux! Glielo aveva donato come ringraziamento il Maresciallo della Fortezza Vermiglia. Si chiamava Hess Pavùr-

E poi tutti iniziarono a parlare di Nibeluria. Dei lottatori tatuati di Aghta e dei loro elmi dai pennacchi rossi, blu, verdi e gialli. Dei fioretti e delle vesti sfarzose di Lysiux. Delle tecniche di seduzione di Tarpazzi e dei loro archi dalle corde dure come il ferro. Poi parlarono del bordello, La Soffusa Luce Rossa, e delle meraviglie che vi lavoravano. Parlarono della dolce Akumi dall'Impero del Sole, con la pelle come porcellana. Parlarono di Shalara dalla Terra delle Zanne, dalle labbra carnose. Parlarono di Kristina da Tarpazzi, la cui voce provocava enorme eccitazione agli uomini. Parlarono di decine e decine di donne. Poi parlarono dei loro sogni. Un soldato dai capelli ingrigiti dal tempo ammise di aver sempre voluto andare a Nagduloma, dove i Dieci Temerari combattevano contro le Cinque Tigri di Avangada. Un ragazzo più giovane di Thomas disse di voler conoscere la figlia di Karlo Mavaldi, Ortensia. Una ragazza che si diceva avesse il viso più bello del Sud. Loyd confesso di essere andato da giovane nell'estremo Est, nell'Impero del Sole, e di essere rimasto rapito dalle grandi risaie e dalle enormi pianure verdi. Un uomo dai capelli rossicci confessò di essere mezzo di Lysiux, da parte di padre, e che da sempre avrebbe voluto andare a Sud, oltre il Mare dei Sassi e visitare Val Losùx, dove si trovava la più grande biblioteca del Mondo. Thomas rimase a guardare tutti quegli uomini, quei ragazzi, e si rese conto che non era tutti degli zotici schifosi. Erano delle persone, esattamente come lui, con dei sogni e delle speranze. E provavano anch'essi paura. In quel momento capì che parlare era stata un ottima idea e non si sentì solo.

 

-Senti?- chiese Atras che stava al suo fianco. Thomas annusò e lo sentì.

-Odore di bruciato.-

Atras aspirò l'aria quasi con gratitudine.

-Già. Odore di bruciato. I Nord si divertono, quando scendono a Sud, a dare fuoco ai nostro boschi. Quando ero giovane i bruti si spostarono verso Sud, quasi verso i nostri confini. E siccome erano parecchio vicini venimmo inviati a rispedirli indietro. Venimmo aiutati dagli Holdar. Accerchiammo i bruti e li mettemmo in trappola in un bosco. Allora gli Holdar erano in guerra con quei barbari. Arrivarono Daften e Robert Holdar, e tutti contenti gettarono delle torce e il bosco velocemente prese fuoco e divenne un enorme pira funebre per quei poveri coglioni. Dio... riesco ancora a sentire le urla di quei disgraziati.- Il tono di Atras non fu affatto triste, anzi. Parve provare una malsana eccitazione al ricordo di quelle urla strazianti.

Thomas fece finta di non notare quel tono quasi eccitato e si grattò la peluria sul mento.

-I Nord giocano col fuoco? Possibile che ci siano dei Vurkaniani con loro?-

-Nah, lo avremmo saputo. Sono estranei a questo elemento ma ciò non vieta loro di sperimentare l'ebrezza di dare fuoco alle cose. È Soddisfacente, sai?-

Oh, ti prego, non iniziare.

-Dare fuoco alle cose dici?-

Atras annuì sorridendo.

-Già. Vedere il fuoco che lentamente abbraccia ogni cosa col suo calore... vedere le cose venir lentamente distrutte e soprattutto sentire l'odore e i suoni. Ah, sì. Quelli soprattutto.-

Thomas si alzò, non volendo stare a sentire le parole di quel folle e si spostò dall'altra parte della collina. Ma venne fermato dalla voce di Atras.

-Thom!-

Thomas sospirò e si volse verso il suo Capitano.

-Ti manca?-

Quella domanda lo colpì come un pugno sullo stomaco.

Non rispose subito, prima si rispose mentalmente.

E sì, Kalad gli mancava. Era l'unico amico che era riuscito a trovare tra le fila dell'Inquisizione. L'unico che avesse dimostrato di capirlo, a modo suo. L'unico che c'era stato quando non ce la faceva più.

-Allora?- incalzò Atras, i suoi occhi erano puntati verso Thomas come se lo stesse puntando con l'arco.

-No... non sento la sua mancanza. Ha ammazzato Joran.-

Atras sputò.

-Ha fatto bene! Joran era un fottuto incapace e puzzava di merda. Ci ha liberati della sua cazzo di presenza. Nah, non è questo il motivo per cui non devi sentire la sua mancanza. È un altro il motivo per cui devi odiarlo.

-E qual'è?-

-Il fatto che abbia fatto di testa sua.-

 

-Avete sentito? L'accampamento nelle Piane di Confine è stato devastato dai Celestiali.-

-Già. Quei bastardi non si devono nemmeno essere resi conto che era un accampamento.-

-Fatto sta che sono tutti morti. C'era un mio amico lì. Hanno detto che la sua testa era stata spaccata a metà da una di quelle fottute lance celestiali.-

-Quei cani, sono piovuti dal Cielo e non hanno risparmiato nessuno. Ma sapete il bello? Il Supremo è con noi! Una terribile tempesta ha disperso il loro esercito!-

Thomas se ne stava seduto ad ascoltare i soldati parlare dato che non c'era niente di meglio da fare.

Un soldato si alzò in piedi e si stiracchiò.

-Petros, Kef e Ortulam ormai avranno raggiunto le truppe di Sverkal, no?-

-Già. Ma da qui è impossibile vederli.- disse un altro soldato guardando nella direzione in cui i tre capitani si erano diretti.

-Qualche Nord aggirerà la battaglia e si sposterà qui, lo so.- disse un altro che stava disteso appoggiato ai gomiti.

-A dire il vero credo che saranno sopratutto i bastardi di Shuttor a superare Oswald. Insomma... stiamo parlando di Oswald, no?-

Tutti i soldati risero di gusto e pure Thomas si unì a loro.

-Poi questo Shuttor... da quello che so è uno della vecchia guardia. Un Signore della Guerra dai tempi di Jorg Holdar. Restò in buoni rapporto col Re del Nord nonostante volesse restare autonomo nel suo piccolo pezzo di terra. I suoi però sanno il fatto loro, sono poche centinaia ma hanno fatto il culo ad alcuni dei nostri.-

Un soldato scosse con forza la testa, imponendo l'attenzione di tutti verso di lui.

-Questo Shuttor non è niente. È Vecchio ormai. Sapete chi è che bisogna temere davvero? Il Rosso.-

I soldati si guardarono tra di loro, alcuni perplessi, altri palesemente intimoriti.

-Di chi parli?-

-Scherzi? Non conosci Arryn il Rosso? Controlla il territorio degli Orsi selvaggi! È un folle sanguinario, dicono che mangi il cuore delle sue vittime.-

-Ah, lo conosco! Quell'uomo che sopravvisse da solo ad una caccia degli Skarahaad!-

-Non è lui idiota! Quello è il Principe Robert, anche se non so quanto sia vera quella storia.-

-Arryn Il Rosso è chiamato così perché alla fine di ogni battaglia e completamente rosso... per il sangue dei poveracci che ammazza.-

-Si ricopre tutto di sangue?-

-Tutto, dalla punta dei capelli fino agli stivali. Poi urla come un folle e spesso morde i suoi avversari, strappando pezzo della loro carne.-

I mormorii si fecero sonori. Insulti, versi di stupore e risate. C'era chi non credeva a queste storie.

-E Occhio Bianco Wyrn? Nemmeno lui è da meno.-

-Stai parlando di quel folle che ha scalato le mura di Iffrith durante la guerra tra i Nordici e i Bruti?-

-Cosa? Mi stai dicendo che l'ha fatto davvero?-

-Be' così dicono...-

Thomas non aveva mai capito la differenza che c'era tra i Nordici. C'erano gli uomini degli Holdar, cioè gran parte della popolazione. I Signori della Guerra con i loro seguaci che non venivano considerati come dei veri e propri ribelli, voleva solo avere il controllo di un loro apprezzamento di terra e difendere i propri uomini senza sottostare agli ordini dei nobili ma offrendo in certi casi il loro aiuto e senza compiere eccessive scorribande. Alla fine erano temuti solo per la loro grande capacità militare, da qui il loro nome. I Bruti invece erano estranei agli Holdar e ai Signori della Guerra. Loro erano dei ribelli che avevano rifiutato la scelta degli Holdar di convertirsi alla Suprema Rivelazione e avevano continuato a seguire il vecchio culto dei Signori dei Sepolcri. Avevano anche una loro capitale, Iffrith, che era stata espugnata durante la loro Guerra. I Nordici si differenziavano molto ma alla fine provenivano tutti dalla stirpe di Nordor, il Primo Orso.

Pure noi Noveriani siamo tutti uguali ma se uno si rifiuta di Convertirsi è un Infedele e lo ammazziamo.

Continuarono a discutere molto. Parlarono della possibilità dell'invio di truppe da Torras, capitale di Aghta, lì a Noveria dato che c'era la possibilità che l'ampiezza di quella guerra preoccupasse il Tatuato Orestez Elicardo De Torrena. Ma era una possibilità scarsissima. Altri parlarono dell'Invasione di Aquamar, gli Uomini Acquatici stavano resistendo strenuamente ma non avrebbero retto a lungo. Altri ancora dissero di aver visto tantissimi contadini lasciare le campagne per fuggire nelle Terre d'Oriente. Poi il discorso divagò e si parlo dei Poli. Thomas da ragazzo, quando ancora compiva furtarelli per quel bastardo di Peyl, aveva sentito gli altri ragazzini parlare dei Due Poli del Mondo. Il Polo Glaciale del Nord dove vivevano i Signori delle Montagne, uomini alti decine di metri armati di spade pesanti quanto una macchina da guerra. Dei Signori delle Montagne si diceva che vivessero nell'Estremo Nord del Grande Continente ma che all'arrivo dell'etnia Nord se ne andarono a costruire una città nel Polo Glaciale. Si dicevano parecchie storie su quel luogo ma non c'era nessuna fonte certa. Il Polo Desertico del Sud invece era stato visitato, seppur da poche persone. Lì si trovava un enorme distesa di sabbia con poche città e antiche rovine risalenti al Regno di Hemmal. Ora in quel luogo pericoloso e inospitale vivevano i quarantacinque Clan Assany, guerrieri formidabili e padroni dell'arte del combattimento con la lancia Mak-hal-Addulam. Lì il capo era solo il più forte o chi uccideva gli Scorpioni delle Sabbie. Thomas ne aveva visto uno morto durante la Fiera di Primavera. Quell'essere era gigantesco, grande quando una macchina da guerra e quei tizzi, laggiù nel Polo Desertico li ammazzavano armati solo di una lancia.

-Sapete qual'è il vero problema? Il nostro esercito non ha un organizzazione efficace. Giù a Lysiux il governo è gestito dall'esercito. Il re è sostituito dal Lord Maresciallo che è il generale supremo dell'esercito. Lì l'organizzazione è perfetta, mai una divisa sporca o un arma mal forgiata. Quando i Lys combattono sono eleganti e precisi e sono pagati profumatamente. Lì i nobili stanno nell'esercito.-

Già... non come qui. Scarsa organizzazione e una buona paga ma per niente paragonabile a quella che hanno a Lysiux. Qui i nobili sono solo coloro che leccano meglio il culo al Grande Inquisitore ma sono tutti degli incapaci. Ricordo quando venne a Nibeluria il Lord di Homana, Serym Horval. Era un ciccione tutto conciato per bene e profumato ma non sarebbe nemmeno stato capace di salire a cavallo senza qualcuno che spingesse quel suo culone lardoso.

Poi Thomas si perse nei suoi pensieri e la noia lo fece smettere di ascoltare i discorsi. Poi fu un nome a riscuoterlo dal suo torpore.

-E di quel Kalad che sapete?-

Thomas sussultò a sentire quel nome.

-Viene da Gothfresh, una cittadina a Nord. Un posticino tranquillo. Aspetta Aoman viene da lì! Aoman, amico, lo conoscevi Kalad?-

Thomas si sedette composto per ascoltare meglio e con maggior attenzione la conversazione.

Aoman, un ragazzo della stessa età di Thomas, fece uno sguardo pensieroso e poi annuì.

-Sì, sì lo conoscevo ma non eravamo amici. Lo conoscevo di vista. Era un tipo solitario, parlava poco e aveva sempre uno sguardo cupo. Non credo abbia mai avuto degli amici. Magari capitava di vederlo con una ragazza, andavano tutte matte per lui, ma niente di più.-

Thomas rimase deluso, si aspettava di sapere di più.

-Quel tipo è una belva. È dannatamente abile con la spada, uno o due giorni dopo la sua fuga trovammo una piccola squadra fatta a pezzi. Aveva fatto tutto da solo.-

-Si dice che sia un lupo, un predatore nato. Io inizio a pensare che non siamo noi a dare la caccia a lui, ma lui a noi.-

-Amico non dire cazzate, è da solo. Un uomo solo non può nulla.-

Un soldato dai capelli ricci e castani rise di gusto a tali parole e fece un gesto con la mano.

-Bah, non sai nulla Duraim. Non avete sentito le voci? Le... altre voci?-

Ora la discussione si fa interessante.

-Di che parli?- chiese curioso Thomas, partecipando per la prima volta alla conversazione.

-Tu eri in squadra con lui, vero? Sei curioso eh?-

-Parla, avanti!- lo spronò Thomas, quella teatralità lo infastidiva.

Se non sei di Tarpazzi evita, amico.

-Be' è capitano che parecchi giorni fa ho sentito 'sta voce. In pratica un Discepolo dei Celestiali è arrivato in una locanda, il tipo era parecchio sconvolto e ferito. E lì ha raccontato al locandiere e a tutti quelli seduti lì quello che gli è successo.-

-C'entra Kalad quindi?-

-Chiaro! Il Discepolo ha detto di essere finito di fronte a Kalad e la Ragazza. Il Discepolo accompagnava Marxal, il Celestiale che diceva di essere Dio degli Arcieri. Kalad era in svantaggio numerico ed era davanti ad un Celestiale armato d'arco! Fatto sta che... quel Discepolo è l'unico sopravvissuto.-

Ci fu un gran baccano, tutti i soldati non voleva credere alle loro orecchie. Thomas rimase immobile.

Prima di pensare a qualcosa attese che il soldato continuasse la storia.

-Calmi, calmi. Non avete sentito nulla! Volete sapere come Kalad Il Lupo ha fatto fuori il Celestiale?-

-Diccelo!-

-Si dice che abbia usato una... spada di fuoco.-

Altro chiasso.

-E state calmi! Dico davvero! Non guardatemi così. Una cazzutissima spada di fuoco, il Discepolo l'ha giurato sul nome di Elomer Il Superiore.-

-Dobbiamo fidarci del giuramento di un servo Celestiale?-

-Direi di sì, ho sentito che il suo sguardo era terrorizzato. Parlava degli occhi da lupo di Kalad, della sua spada incandescente e poi ha detto che quell'arrogante di Kalad ha millantato di essere uccisore di Gorvashor. Cazzo deve averne ammazzato uno tutto da solo!-

Un soldato parve quasi sputare l'acqua che stava bevendo.

-Un Gorvashor? Un Elementale della Terra? Da solo?-

Il narratore annuì.

-Ma la cosa più sorprendente è che Kalad è diventato un Deicida. Non veniva ucciso un Falso Dio da duecento anni, non esisteva più nessun deicida in vita. Kalad ora è l'unico.-

Kalad un deicida? È così abile? Durante la Guerra Santa vennero uccisi molti celestiali ma dalla nostra ci fu molta fortuna e soprattutto il numero. Appena si vedeva un Celestiale a decine si lanciavano su di lui, senza lasciare scampo. Combattere un Falso Dio da soli era suicidio... ma Kalad ce l'ha fatta. Può essere davvero tanto abile e determinato?

-E si è autodefinito il Protettore della Figlia del Supremo. Ragazzi è assolutamente convinto di quello che sta facendo, prenderla non sarà facile.-

-Ah, cosa non si fa per un po' di fica, eh?- disse un vecchio soldato e il suo intervento provocò un fiume di risate e pose fine alla conversazione. Anzi non fu quel commento sagace a far finire la discussione, fu piuttosto l'urlo di Atras.

-Nord! Fottuti Nord già dalla collina!- sbraitò il capitano.

Tutti i soldati drizzarono la schiena e sentirono distintamente le urla di guerra dei Nordici.

-Alle armi!-

Thomas si alzò in tutta fretta e corse nei bordi della collina, si posizionò vicino ad una roccia e si preparò col suo fidato arco. Da sotto i nordici li bersagliavano con delle frecce e qualche Noveriano venne preso sulle gambe oppure, uno più sfortunato, dritto sulla testa. Ma i Nord non erano mai stati abili arcieri, preferivano il contatto diretto con le loro asce o mazze. Thomas invece preferiva l'isolamento, la solitudine, insomma preferiva l'arco. Prese la mira e scoccò la prima freccia verso un nordico che si arrampicava. La punta entrò nella spalla dell'uomo e il soldato ringhio di dolore. Venne finito da altre due frecce, scoccate da altri due soldati. Ora i nordici erano bersagliati da una decina di soldati noveriani e dai loro archi. Il tiro incessante delle frecce Nord però costrinse gli arcieri, Thomas compreso, a tenere la testa bassa. Ciò permise a una decina di nord di salire la collina e lì iniziò la mischia. I soldati nordici si abbatterono come un fiume in piena. Un ascia tagliò di netto la testa di un noveriano, a un altro venne mozzata la mano destra. Thomas si tenne a debita distanza ma non disdegnò di lanciare altre frecce contro i soldati fuori dalla mischia, uccidendone tre, con precisione e freddezza. Altri provavano a salire, ma vennero trucidati dalle frecce di Thomas.

 

Rosy smembrò un soldato. Poi riservò lo stesso trattamento ad un altro. Poi spaccò la testa di un altro e un occhio del poveraccio uscì dalle orbite e venne sparato fuori dalla testa come se fosse stato lanciato da una catapulta. Era buffo. La lama si mosse orizzontalmente e si abbatté con brutalità sul collo di un ragazzo. Non tagliò la testa, ma lo ucciso. Fu divertente vedere il sangue uscire dalla bocca e dal naso del ragazzo, uscì pure dagli occhi come se stesse piangendo. Quando la lama si staccò da quello spiraglio sul suo collo la sua testa ciondolò in modo ridicolo.

Era proprio uno spasso.

Taglia, spacca, smembra, ammazza!

Altro soldato, altro corpo smembrato.

Taglia, taglia, taglia.

Finalmente tagliò una testa. Si diede forza con un ringhio e funzionò. La lama non trovò resistenza e la testa rotolò giù dal corpo e cadde sull'erba della collina.

Spacca, spacca, spacca.

Abbatté di piatto la lama sul volto di un nordico, solo per vedere l'effetto che faceva. La mascella si mosse tutta da un lato, forse un po' troppo, tanto che il poveraccio fece dei versi assurdi e divertenti e si gettò a terra.

Smembra, smembra, smembra.

La lama colpì un fianco e il sangue colò sulla lama e gocciolò a terra. Però lui voleva vedere le interiora. Colpì nuovamente ma uscì solo un enorme quantità di sangue che fuoriuscì dal corpo dell'uomo. Denso, a grumi, il suono che fece quando toccò terra fu quasi disgustoso.

Quasi.

Fu comunque gratificante, per lui.

Ammazza, ammazza, AMMAZZA!

Poi iniziò la vera danza. Taglia, spacca e smembra si unirono assieme e la miscela scaturì un opera d'arte. C'era arte, vera arte, in quello che faceva, le interiora che svolazzavano in aria come nastri colorati, il sangue che sprizzava sul suo viso come se fosse l'acqua della fontana di Geveldor, il suono delle ossa che si spezzavano pareva tanto simile al suono che emettevano le scarpe dei ballerini nelle sale da ballo. Le urla di tutti quelli che aveva ammazzato, che si mischiavano tra di loro, prima una voce più roca, un urlò più basso, quasi un sospiro rumoroso. Poi una voce più acuta, quasi un grido femminile, come il rintocco di un campanellino. Tutte quelle urla assieme sembravano il coro del tempio di Geveldor. Tutte quelle voci differenti che unite creavano una dolcissima melodia.

Quella era Arte.

La SUA arte.

 

Thomas osservò Atras mentre compiva la sua terribile carneficina, il suo capitano vorticava Rosy, smembrando e dilaniando senza alcuna pietà. Quando i Nordici furono a pezzi ai suoi piedi allora Atras si fermò. Thomas restò a guardare quella sagoma illuminata dalla luce del sole, il cui sudore si mischiava col sangue. Ma il sangue non era suo, e nemmeno le interiora appiccicate alla sua armatura.

Atras può essere pazzo quanto vuoi e completamente incontrollabile, ma resta comunque un guerriero formidabile. Questo non bisogna dimenticarlo. La sua palese pazzia non gli impedisce di avere uno stile di combattimento infallibile nella sua brutalità. Una mistura tra follia pura e arte nell'uccidere. È vero... sembra quasi che faccia arte.

Anche gli altri arcieri stavano guardando intimoriti Atras, a vederlo sembrava uno di quei Diavoli Sanguinari di cui parlavano i Profeti della Voce.

Atras rimase fermo a guardare la lama sporca di sangue, pois cosse la testa e guardo Thomas.

-Tutto bene Thom?-

Come se ti interessasse.

Annuì comunque, senza dire nulla.

Erano pochi soldati, avevano chiaramente superato le truppe di Petros, Kef e Ortulam e si erano avventurati verso la collina. Sapevano che avrebbero trovato delle truppe.

Ci stavano spiando.

Atras non si curò di asciugare la sua armatura e la sua lama e si avvicinò a Thomas, che era intento a riprendersi le frecce lanciate contro i Nord che non si erano spezzate alla loro caduta.

-Ti ho osservato mentre bersagliavi quei ghiaccioli. Hai sempre avuto un ottima mira, è per questo che ti ho voluto in squadra.-

Thomas alzò un sopracciglio.

-Cosa? Pensavo che non fossero i Capitani a scegliere i membri della loro squadra. Cioè pensavo fosse casuale.-

-Nah, un Capitano può selezionare i membri che trova più interessanti dell'Accademia. Io in quegli anni ero stanziato nell'Accademia di Nibeluria. Notai subito due ragazzi, di due corsi differenti. Uno eri tu e l'altro era Kalad.-

Thomas continuò ad ascoltare, questa volta sinceramente interessato alle parole del suo capitano.

Atras si asciugò la fronte con la mano insanguinato, che peggiorò solo le cose. Ora faceva paura solo guardare quel ghigno ricoperto di sangue.

-Kalad era abile con la spada ma proprio non voleva uno scudo. E nonostante tutto ha sempre fatto il culo a tutti.- disse Atras con una risata. -Tu e la spada non siete mai andati molto d'accordo. Coi pugnali sei più bravo ma sì, è sempre stato l'arco il suo punto forte. Sei uno solitario tu, preciso e letale. Un vero arciere del cazzo.-

Atras si scrocchiò il collo e sospirò, impiantando Rosy al suolo.

-Ma sai perché ho scelto voi due?-

Thomas scosse la testa, era convinto fossero stati i motivi appena citati.

-Perché infondo... sotto sotto siete due svitati come me.-

Thomas rimase fermo a guardarlo e si sentì un idiota per aver pensato che ci fosse stata una vera motivazione.

-Non pensare di conoscermi.- disse seccato Thomas.

Atras rise e gli fece segno con la mano di fermarsi.

-Aspetta, ascolta cos'ho da dire, dai! Kalad è palesemente andato. Insomma suo padre era un codardo, gli narrava favolette del cazzo sull'Inquisizione e il poverino c'è rimasto male a vedere com'è veramente, no? Poi ha rapito la Ragazza e sta scappando dal mondo intero, ammazzando tutti quelli che cercano di portargliela via. La ritiene sua, capisci? Pensa che sia di sua proprietà, che può farci quello che vuole. Immagino solo che le ha fatto, quello stronzetto.- disse con un sorriso inquietante. -Hai sentito anche tu, no? Ha ammazzato dei soldati inquisitori, ha fatto a pezzi un Gorvashor ed è diventato un Deicida. E il peggio? Il peggio è che ha deciso di andare contro il volere di Dio. Ha fatto di testa sua.-

-Cosa intendi dicendo che ha fatto di stessa sua? Sembra una cosa brutta detta da te.-

Atras sputò. -Oh, lo è. È Dio, il Supremo, a scegliere cosa noi facciamo. Lui manovra i nostri fili e ci dice di fare questo, quello e quell'altro. Ma Kalad... Kalad è andato contro il suo volere e ha agito seguendo il suo istinto. Ha fatto di testa sua. Questa è follia, capisci?-

-E se fosse stato il volere di Dio? Tutto quello che sta succedendo, dico.-

Atras gli lanciò uno sguardo omicida.

-Questo non è il volere di Dio!-

Thomas non continuò il discorso, conosceva il suo capitano.

Ma una parte, dentro di lui, una parte curiosa e forse autolesionista voleva sapere perché lo considerava un pazzo.

-E perché hai scelto me?-

Atras sorrise.

-Curioso, eh? Be' so la tua storia. Me l'hanno raccontata all'Accademia. Tuo padre era un fottuto ubriacone e ti picchiava. Tua madre stava andando a raccogliere i funghi ed è caduta da un dirupo. Hai passato la fanciullezza a compiere vari furtarelli da parte di una merdina del crimine di Nibeluria, Peyl. Un giorno lo stronzo si fa catturare dalla Guardia Cittadina che lo tengono in gabbia per due mesi. Peyl dura poco, rompe il cazzo un po' troppo e giustamente una guardia gli fracassa il cranio a randellate. Pensi di entrare nell'Inquisizione e ottieni ottimi risultati e be'... il resto lo sappiamo.-

-Questo mi rende forse pazzo?- disse Thomas cercando di trattenere la rabbia scaturita dallo scoprire che Atras sapeva così tanto di lui.

-Be' hai dormito nella merda e bevuto piscio per tutta la tua giovinezza, Thom. Poi hai deciso di entrare nell'Inquisizione perché? Per accoppare qualche Infedele, sfogando tutta la rabbia accumulata in quegli anni trascorsi tra le vie di Nibeluria.-

Pensi davvero di conoscermi, faccia di cazzo? Sono entrato nell'Inquisizione solo per la buona paga!

-Tu non sai veramente un cazzo di me... Capitano.- disse l'ultima parola con disprezzo, quasi sputandola.

 

Stava calando l'oscurità quando arrivò il messaggero a cavallo. Thomas e Atras scesero dalla collina e dietro di loro si aggiunse Lymann. Il messaggero aveva l'armatura sporca di sangue, i suoi lunghi capelli biondi erano tutti spettinati e aveva il volto sconvolto e il fiatone.

-Capitano Atras!- chiamò.

-Sono qui. Ti ha mandato Petros?-

-Sì signore, la battaglia si sta protraendo da varie ore con diverse pause. I Nord erano nascosti bene e hanno accerchiato più volte le nostre truppe. Il Capitano Petros aveva deciso di dividere i Capitani per allargare il raggio d'azione ma il Capitano Ortulam è stato attaccato dai soldati di Shuttor Lo Zoppo...-

-Morto?-

-L'ho visto con i miei occhi, ero sotto il suo comando. Un bestione di due metri ha spaccato la sua placca toracica a martellate. Ho visto distintamente l'armatura penetrare nella carne.-

Merda, questa non ci voleva. Petros vuole che andiamo lì, la collina non è più importante.

-Difficilmente i Nord fuggiranno, signore. Il Capitano Petros ordina l'immediato invio delle vostre truppe.-

Non ci fu tempo di organizzarsi, tutti i soldati marciarono verso il campo in cui si stava tenendo la battaglia.

 

L'accampamento improvvisato di Petros stava ben lontano dal campo di battaglia ma in lontananza si potevano vedere le migliaia di truppe che si scannavano. Le urla erano ben udibili. A volte tutta quella massa di persone si staccava, anche per un ora, ma poi la battaglia iniziava nuovamente,

Petros era in piedi e camminava agitato.

-Ehi Petros! Vecchio Orso! Serve aiuto?- disse Atras con alle sue spalle le sue truppe.

Il vecchio capitano si volse a guardarlo e parve quasi felice di vedere Atras.

-Ne ho fin sopra i capelli di quei cazzo di Orsi.-

Atras rise di gusto e annuì.

-Vero, te lo concedo. Pessima scelta di parole.-

Atras si avvicinò e mise le mani sui fianchi, ammirando la battaglia, giusto per darsi l'aria di un ottimo stratega.

Thomas lo sapeva, lui non era uno da strategia, era uno da smembramento.

-Sono brutali e retrocedono poco, molto meno di noi. I nostri sono stanchi, alcuni si sono parecchio lamentati e altri se ne sono voluti andare.-

Atras sorrise, anche se Thomas non sapeva che c'era da sorridere.

-E che hai fatto ai disertori?-

Petros indicò con la testa alla loro destra. Lì c'erano quattro soldati impiccati, con un cartello attaccato ai piedi con scritto “Disertori”.

Atras fece un verso deliziato.

-Il vecchio Petros sa il fatto suo, eh?-

Petros non disse nulla.

Ma Atras aveva una gran voglia di parlare.

-Signori avete la fortuna di combattere a fianco di Petros Il Vecchio Orso! Flagello della Fortezza di Tyruvar! Assassino di decine e decine di Lakaviani! Ha ammazzato un bel po' di fiammiferi e pensate non possa accoppare qualche ghiacciolo? Oh no, signori. Affilate le vostre lame! Oggi berremo sangue di Nordico!- Atras estrasse la spada e si lanciò all'attacco... ma la mano di Petros lo fermò.

-Fottuto idiota che ti salta in mente? Vuoi buttarti ora nella mischia? Neanche per sogno, io vi voglio con Oswald, nel bosco.-

Atras parve scosso da un brivido.

-Assieme a quel coglione?-

-Sì, assieme a lui. È da ore che non ricevo sue notizie. È a Est. Durante la strada passa per l'accampamento di Kef e dagli un po' dei tuoi uomini, lui mi aiuterà nella mischia. E poi vai a cercare quel figlio di puttana di Oswald. Se è morto voglio saperlo e se è vivo voglio sapere che cazzo sta facendo.-

Atras non parve convinto di questa scelta, per un secondo Thomas temette che il suo capitano avrebbe preso la sua spada e spaccato la testa del vecchio Petros, ma non lo fece.

-Agli ordini.- disse lentamente. Aiutare Oswald non era tra le sue priorità, sopratutto dopo il loro litigio.

Gli ha strappato un orecchio a morsi, dubito fortemente che Oswald voglia essere aiutato da Atras. Ma gli ordini sono gli ordini.

 

L'accampamento di Kef era in movimento. Alcuni soldati si erano allontanati dalla battaglia e stavano venendo prontamente sostituiti da altri soldati. Kef aveva il volto agitato e confuso.

-Preoccupato?- chiese Atras.

Kef sussultò sentendo la voce del Folle, ma appena lo vide si calmò... in parte.

-Ti ha inviato Petros? Ortulam è andato, lo sai?-

-Oh lo so bene, un Nordico ha avuto l'ottima idea di incastrare l'armatura di Ortulam in quella sua pancia lardosa.-

Kef fece una faccia schifata. Thomas non seppe dire se era dovuta al pensiero della terribile morte del suo amico o perché Atras ne parlava divertito e con poco rispetto per il morto.

-Già. Poveraccio.-

Atras non aveva molta voglia di parlare con Kef, non che ci fosse bisogno.

Gli lasciò parte delle sue truppe e si avviò.

Poi si fermò e sollevò un dito, come se gli fosse appena tornata in mente una cosa.

-Ah già, quasi dimenticavo. Hai avuto notizie del coglione?-

-Di chi, scusa?-

-Di Oswald.-

-Ah. No, non si sa che cazzo di fine abbia fatto. Tra circa mezz'ora dovrebbe avvenire il suo attacco nel fianco destro, qui a Est, delle truppe Nordiche. Forse si sta preparando.-

-Oppure si sta segando.- disse ridendo Lymann portando con se la risata di altri soldati.

-Molto più probabile.- disse con un mezzo sorriso Atras. -Ora andiamo.-

 

Oswald aveva una paura fottuta. Le urla selvagge dei nordici riecheggiavano nella sua testa. Si sbatté con forza la mano in un orecchio, come per far uscire dall'altro le urla, ma niente da fare. Le urla restavano. Davanti, nei lati, dietro. Urla ovunque.

I soldati al suo fianco si guardavano attorno terrorizzati, alcuni vennero ammazzati da delle frecce, sbucate da chissà dove.

C'era nebbia? Forse. Non seppe dirlo con certezza, ma in ogni caso lui non vedeva nulla. Assolutamente niente. Aveva provato quella sensazione anche a Vurkan, anni fa. Odiava i boschi. Quei cazzo di alberi enormi, tutti messi a schiera, come se fossero un esercito di giganti. Era quello che l'aveva messo nei casini a Vurkan. I Lakaviani li circondavano e gli sembrò un idea saggia dare alle fiamme quella fottuta foresta. Solo dopo si rese conto della cazzata che aveva fatto. Ma lì sul momento... sì, era sembrata una buona idea.

Sentì qualcuno chiamarlo... o almeno gli sembrò. Sentì solo un suono ovattato, che pareva il suo nome.

I Nordici erano sbucati all'improvviso e con loro c'era proprio quel Signore della Guerra che stava aiutando il Comandante Nord. Era un vecchio effettivamente zoppo, senza capelli, dal mento storto e dalle folte sopracciglia bianche. Ma il suo volto aveva un che di spietato. Anche se a incutere più timore erano le decine (forse centinaia... chissà) di barbarici nordici grossi come dei cinghiali, con grosse braccia pelose con le vene sporgenti, elmi dotati di corna, lunghe barbe bianche o nere, ma un nero molto più chiaro del nero noveriano. Le loro asce erano dannatamente enormi, sembravano grandi quanto un uomo. E larghe quanto un carro. Be' fatto sta che uno di loro divise quasi a metà Ernest. Era appena arrivato il ragazzo, era andato a pisciare. Almeno aveva dato l'allarme... prima che quell'ascia gli mozzasse parte del corpo.

Poi urla, suono di ossa rotte e sangue.

Dio... taaanto sangue.

Aveva estratto la sua spada, per usarla. L'aveva mosso un po', giusto per far sembrare che gli interessasse o che c'avesse provato. Ma poi se ne fregò alla grande e corse, corse con tutto il fiato che aveva in corpo. Gettò la spada e guardò i suoi piedi, non alzò mai lo sguardo, fissò i suoi piedi che si muovevano ritmicamente.

Il ritmo della fuga, un bel ritmò.

Parecchi soldati avevano seguito il suo esempio, si convinse che alcuni avevano pure cercato di ammazzarlo mentre fuggiva. Non che gli importasse. In breve sarebbe morto. Poi la paura si tramutò in rabbia.

No... col cazzo! Io non ci crepo qua! Neanche per sogno! Cascasse il fottutissimo mondo e che il Supremo mi mandi nell'Oblio se crepo in una fottuta foresta!

Poi la soluzione gli venne appena vide il soldato al suo fianco con la torcia.

Ripetere lo stesso errore?

Se era per vivere.. sì, lo avrebbe fatto.

-Ehi tu!-

il soldato lo guardò spaventato.

-Dai fuoco a questo cazzo di posto. Tutti voi con le torce! Date fuoco a questo cazzo di posto!-

 

Quando Thomas vide le fiamme e sentì l'odore del legno bruciato erano già dentro la foresta. Il sole stava ormai calando ma la sera venne comunque illuminata dalle fiamme. L'odore della legna bruciata entrava con forza nelle sue narici, per quanto si coprisse con la mano.

Atras era furioso e divertito al tempo stesso. Il suo volto era martoriato da un cruccio rabbioso ma non la smetteva di ridere.

-Quel grandissimo coglione l'ha fatto di nuovo! Oswald! Oswald, brutta merda, vieni fuori!-

I soldati non volevano seguire Atras ma furono costretti a farlo. Thomas corse stando ben vicino al suo capitano. Era dannatamente spaventato, le fiamme aumentavano d'intensità e sentiva... sì, si sentivano chiaramente delle urla. Alcune furiose, altre terribilmente spaventate. Sembrava quasi che fosse il fuoco stesso ad urlare. Thomas rallentò la sua corsa e per un secondo pensò di fermarsi e tornare indietro, da Kef e poi da Petros. Preferiva essere nel campo di battaglia che in mezzo alle fiamme. Nella sua mente tornò il ricordo dell'incendio del bordello di anni fa. Parecchi anni fa, era un ragazzino. Era andato lì assieme ad altri due furfantelli, Erny e Feton, ed erano andati nel bordello di Nibeluria per affrontare la loro prima esperienza. Avevano rubato i pezzi di bronzo necessari per l'essenziale. Magari sarebbero riusciti ad andare con quella ragazza di Aghta, aveva pochi anni più di loro e aveva i capelli neri come le ali di un covo.

Be' le cose andarono male. Un nobile che si stava intrattenendo con una puttana finì per litigarci e malmenarla. Una lanterna cadde e il resto è ovvio. La cosa che stupì Thomas fu l'incredibile velocità con cui le fiamme si espansero in tutto il bordello. Alcune puttane finirono schiacciate dalle travi di legno che crollarono, altre morirono bruciate. Thomas ricordava le urla strazianti. Morire tra le fiamme è una fine lenta, terribilmente lenta, e fottutamente dolorosa.

Oh no, col cazzo che ci crepo qui. Troviamo quell'idiota e poi filiamocela.

-Dobbiamo fare in fretta capitano, le fiamme scottano parecchio!- urlò Thomas ad Atras.

Atras si volse e lo guardò con un sorriso di sfida.

-Ah, allora l'Arciere Cupo ha paura di qualcosa, eh?-

Thomas non disse nulla, non si lamentò nemmeno per quel nome. Era già la terza o quarta volta che Atras lo chiamava così.

Però non avrebbe mai ammesso che quel nome gli piaceva.

Lymann l'aveva pure soprannominato Freccia Nera, perché usava solo frecce di Sent, dalla punta nera poiché erano fatte col ferro nero delle cave di Sent.

Che Thomas sapesse era l'unico nell'esercito ad usarle. Punta fragile ma il ferro era leggero e le frecce viaggiavano dannatamente veloci.

Si avventurarono tra le fiamme e le urla. Videro degli uomini avvolti dalle fiamme e Thomas li identificò come Nord.

Ecco che era successo. Oswald era stato attaccato dai nordici e per sfuggire dalle loro grinfie... aveva dato fuoco a tutto quanto.

L'idiota c'è cascato due volte.

Poi videro vari uomini, alcuni erano nordici, altri noveriani. Ma non si combattevano, stavano pensando a uscire da quell'inferno. Thomas però non esitò ad ammazzare con le sue frecce tre nordici, trafiggendo i loro colli.

Un noveriano si schiantò dritto contro Atras, non l'aveva notato.

Il capitano prima lo colpì con un forte cazzotto, poi lo tenne per le spalle, costringendolo a guardarlo.

-Ascoltami bene, stronzetto! Dove cazzo è il tuo capitano? Dov'è Oswald, signore dei falò? Eh?-

Il soldato era spaesato e terribilmente spaventato.

Atras, per incoraggiarlo, lo colpì con due forti ceffoni.

-Dove cazzo è? Quello stronzo ha appiccato un fottuto falò enorme e merita di essere punito!-

-Io... io... il capitano è rimasto indietro. Cazzo non lo so dove sta! Io non voglio più avere a che fare con quel fottuto piromane di merda!-

Atras mollò il soldato che se la diede a gambe.

-Andiamo avanti.-

Si avventurarono ancora più dentro alla foresta, avvolti dalle fiamme. Il calore iniziava ad essere insopportabile, il fumo faceva lacrimare gli occhi e tossire e vedere diventava piuttosto complesso. Atras ordinava di colpire tutte le sagome, che fossero noveriani o nordici poco importava.

Infine Atras affermò di averlo visto.

-Eccolo! Eccoti qui Re dei Coglioni! Pensi che non t'abbia visto, stronzo! Vieni qui!- Atras iniziò a correre verso la sagoma ma le urla dei nordici lo fermarono. Apparvero tre nordici, sbucarono dalle fiamme, come se il fuoco li avesse partoriti. Un attacco suicida che andò a buon fine. La lancia di un nordico trafisse la pancia di Lymann che sputò sangue mentre i tre nordici venivano ammazzati.

-Atras! Capitano... aspettami...- cercò di dire il morente Lymann. Atras non si volse nemmeno e corse dietro la sagoma di Oswald. Thomas diede un ultima occhiata al suo compagno e poi seguì Atras.

Non gli era mai importato un granché di Lymann.

Atras non fece caso al fatto che gran parte dei suoi soldati si erano persi tra le fiamme, lui DOVEVA correre dietro Oswald e ammazzarlo. Niente l'avrebbe fermato. Thomas faticò a stargli dietro, ma si stavano avvicinando a quello che si rivelò effettivamente essere Oswald.

-Fermati, maledetto! Voglio la tua testa!-

-Lasciami in pace, fottuto psicopatico!-

Poi Thomas sentì distintamente l'inconfondibile suono di un albero che cade. Un albero in fiamme che cade.

-Atras! Indietro!-

Atras alzò lo sguardo e vide l'albero piombare verso di lui. Si gettò indietro in tempo, seguendo Thomas. I due caddero a terra poco prima dell'albero, salvandosi in tempo. Atras si rialzò in fretta e furia.

-NO! No, no, no, neanche per idea! Io voglio quel figlio di puttana morto. Thom! Thomas cazzo ammazzalo! Lanciagli una fottuta freccia nel culo! Fallo soffrire!-

Thomas non si rese nemmeno conto di essersi alzato così velocemente. Nemmeno di aver mirato così in fretta. Men che meno di aver scoccato la freccia con tanta sicurezza. Insomma, c'era fumo, fuoco e tutto il resto. Eppure la freccia colpì Oswald e sentì distintamente prima l'urlo di dolore del capitano piromane e poi l'urlo di gioia del suo folle capitano. Ma usava l'arco da anni, riusciva a capire quando un lancio era mortale o no, questo non lo era.

-Sì! Sì, bravissimo, Arciere Cupo.- rise. -Sì, Arciere Cupo ti calza a pennello!-

-è meglio tornare indietro e in fretta anche.- disse Thomas e per una volta Atras ascoltò.

Durante la loro corsa per tornare indietro Atras ripensò alle parole di Atras. Seguire il volere di Dio, essere un pazzo come lui.

Sapeva bene di non essere pazzo eppure... eppure non aveva esitato a seguire gli ordini di Atras. Colpire un uomo in fuga, seppur un traditore, andava contro gli insegnamenti della Suprema Rivelazione.

“Non uccidere chi fugge, la fuga è una giusta punizione. Infanga l'anima.”

Ma non ci aveva pensato, non aveva fatto di testa sua, aveva ciecamente seguito gli ordini. Come gli era stato insegnato.

Andare contro il volere di Dio, fare di testa propria, è follia.

Ma seguire tutti gli ordini, senza riflettere... anche quella era follia.

Forse era pazzo pure lui.

Non ci pensò molto.

 

Durante la strada verso il campo di battaglia videro un gran numero di Nordici fuggire nella parte di foresta non ancora avvolta dalle fiamme. Atras e Thomas si nascosero dietro un albero caduto.

-Credo che la battaglia sia vinta. Quella è la fuga di uomini disperati per una sconfitta.- disse Atras soddisfatto. -Cazzo vedere i Nordici darsela a gambe è fantastico! Petros ha dimostrato ancora di essere uno tosto.

Thomas scrutò bene i soldati e tra loro ne vide uno con addosso un uniforme maggiormente decorata. Una lunga barba riccia e lunghi capelli biondi.

-Aspetta... ma quello non è il comandante nordico?-

-Oh merda è Sverkal! Pronto per il secondo lancio a tradimento della giornata, ragazzo?-

Thomas esitò per un istante che parve un ora. Altro nemico in fuga, altro tradimento al volere di Dio.

Ma quale volere?

La freccia centrò il collo di Sverkal che emise un gemito di stupore e cadde al suolo, rotolando su se stesso. I Nordici lo guardarono stupiti ma continuarono a correre senza nemmeno cercare da dov'era sbucata quella freccia.

-Un ottimo lancio. Una cazzo di mira favolosa, ragazzo.-

Il volere di Dio... o il volere degli altri?

Quando i Nordici finirono giunsero i noveriani, con Petros a guidare le truppe.

-Atras! Ragazzo! Siete vivi!-

-Cazzo sì.-

Petros si avvicinò e parve davvero felice di vederli.

-Oswald?-

-Andato. Non morto, non credo. Ma ferito.

Petros scosse la testa.

-Quel dannato idiota.-

Atras sorrise e batté la mano sulla spalla di Petros.

-Abbiamo vinto eh, Vecchi Orso!-

Petros annuì lentamente ma il suo volto era tutt'altro che felice.

-Sì, abbiamo vinto, ma a caro prezzo. Tante, troppe perdite. È stata una vittoria vuota. Sverkal è fuggito.-

Atras sorrise e sollevò un dito, come faceva spesso.

-Sulle perdite credo di non poter aggiungere nulla. Quasi tutte le mie truppe si sono fottute. Ma su Sverkal...- indicò il corpo senza vita del Comandante nordico.

Petros spalancò gli occhi.

-L'hai preso? L'hai ammazzato?- disse stupito.

Thomas attese che Atras si prendesse il merito ma poi, quando Atras parlò, rimase di stucco.

-Nah non è merito mio, ma del ragazzo. Dell'Arciere Cupo! Di Freccia Nera!-

Poi tutti i soldati mormorarono.

-è Thomas di Nibeluria.-

-L'ha preso mentre correva?-

-Nel collo!-

poi urlarono.

-Arciere Cupo! Arciere Cupo!-

-Freccia Nera! Freccia Nera!-

Al coro si unì addirittura Petros, che alzò trionfale il braccio di Thomas.

Non gli piaceva tutta quella fama, non gli piaceva proprio per niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 32
*** Il Distruttore ***


Capitolo 32

Il Distruttore

Il Grande Inquisitore sedeva sulla sua comoda poltrona posta di fronte al caminetto e guardava, assorto dai suoi pensieri, il legno scoppiettare. La sua stanza non sembrava affatto la camera da letto dell'uomo più potente del mondo. Ma era stata una sua scelta. Infondo, quando hai il mondo ai tuoi piedi, non c'è bisogno di affermare il tuo potere in modo esagerato. Era in guerra, la seconda guerra che Noveria affrontava da quando lui, poco più di duecento anni fa, aveva dichiarato guerra ai Celestiali. Quella vittoria l'aveva velocemente reso l'uomo più potente del mondo, talmente potente da potersi permettere scorte pressoché illimitate di Elisir di Lunga Vita. Aveva contato molto sulle parole della Suprema Rivelazione, sulla loro intrinseca potenza. Sommate quelle parole al suo tipico carisma... be' il tutto era culminato con la nascita di un regno. All'inizio era molto più piccolo, mancavano i territori a Nord, a confine con le terre Holdar, in cui veniva venerato Luttan. Le terre a Ovest a confine con Q'uoian. Quelle però furono facili da conquistare. I territori Luttaniani un po' di meno. Niente di eccessivo, chiaramente, ma non aveva immaginato che quei Calici potessero avere un effettivo potere. Era stato inaspettato.

Agli inizi tutto era diverso. La Torre non c'era. Il bordello nemmeno, la Fiera di Primavera pure. A quel tempo era difficile vedere gladiatori di Aghta, soldati nobili di Lysiux, donne di Tarpazzi. Non c'erano ancora i Profeti della Voce o i Sacerdoti dell'Occhio e nemmeno i Soldati del Braccio.

Istituire i Profeti era stato facile, era bastato trovare dei credenti desiderosi di parlare a nome del Grande Inquisitore e del Supremo.

I Cavalieri del Braccio un po' di meno. Creare un ordine cavalleresco formato dall'elite dell'esercito non era facile. Ma i soldati erano molti e i soldati abili non scarseggiavano. Appena venne istituito l'ordine decise di far diventare cavalieri del braccio anche alcuni valorosi soldati morti durante la Guerra Santa.

I Sacerdoti dell'Occhio... quello era stato complesso.

Vi erano, a Sud-Ovest, dei seguaci di un culto pagano. Il loro Dio era chiamato Arromen, il Dio Cieco. I suoi seguaci avevano il dovere di usare la vista dato che il loro Dio ne era privo, perciò compivano un misterioso rituale, guardavano all'interno della Fonte di Arromen, altari con sopra una bacinella riempita d'acqua, e quell'acqua permetteva loro di vedere persone dotate di poteri magici. Quello gli tornò molto utile e non li uccise nemmeno, poiché non potevano essere considerati degli Impuri dato che non possedevano nessun potere.

Recentemente iniziava a sentirsi vecchio. In tutti questi anni non ci aveva mai pensato ma... effettivamente era in vita da molto tempo. Tutti quegli anni passati a bere quel disgustoso Elisir.

Anni passati a governare un regno potente, anni passati a diffondere il Suo Credo, anni passati a diffondere la parola del Supremo.

Non avrebbe pensato però che al compimento della Profezia, così tanta gente si sarebbe messa contro di lui. I Celestiali, che dopo duecento anni nascosti nella loro Città Volante, avevano improvvisamente trovato il coraggio di scendere.

Elomer non sa proprio quando arrendersi. Una guerra persa non gli è bastata? Tutti quei Falsi Dei morti non gli sono bastati? La Città Volante non gli è bastata?

Il Nord che decide di riaffermarsi come guida come ai tempi del Grande Gelo, senza ricordare che da quei giorni erano passati centinaia d'anni.

Gli anni sno passati pure per Daften Holdar. Suo padre era un incompetente e lui non è da meno. Una guerra contro i bruti, che sono una marmaglia di ribelli disorganizzati e Infedeli, non è assolutamente nulla di degno di nota. Si è solo montato la testa.

Vurkan che addirittura si alleava col Nord!

Argon Falltayer è un uomo mortalmente ambizioso, come tutti quelli della sua famiglia del resto. Ma come ogni Falltayer finirà per cadere a causa della sua sete di potere. Si sta scavando la fossa con le sue stesse mani alleandosi con un popolo così diverso dal suo. A volte l'ambizione può portare a fare cose molto stupide.

E poi Aquamar, un isola sempre esclusa, insignificante, servizievole, che all'improvviso decideva di ribellarsi.

Godan Naustrarer è sempre stato un uomo d'onore e il suo onore gli ha sempre detto di servirmi, questo lo so. Ma a quanto pare è sempre stato privo di un cervello.

Qualcuno bussò alla porta.

Non voleva essere disturbato.

-Sono Ariane.- disse una voce femminile.

Ah, sì. Ho bisogno di lei.

-Entra.- disse. La sua voce alle sue orecchie suonò più vecchia e stanca di quanto ricordasse.

La porta si aprì ed entrò una donna magra, dalle forme gentili. I capelli erano biondi, legati in una coda di cavallo, le sue labbra rosse come il sangue e la pelle candida come un fiocco di neve. I suoi occhi erano marroni ma sembravano emanare una certa luce.

Lui la guardò e ammirò la sua bellezza.

-Sei venuta a trovarmi?-

-Volevo stare un po' assieme a voi, mio signore.-

Lui annuì, grato. -Ti ringrazio.-

Lei si sedette nella poltrona vicino alla sua, prese un bicchiere e lo riempì di un ottimo vino.

Glielo porse e lui accettò il calice di buon grado.

-Vino Lys, direttamente dalle cantine di Brodux.- disse Ariane col suo delicato accento Lys

-Ah, Brodux. Ho sentito dire che il suo vino è tra i più pregiati delle Terre Meridionali- ne bevve un sorso. -E non solo di quelle Terre direi.- disse deliziato.

Lei sorrise. -Non sbagliate. Ma continuate a sbagliare la pronuncia. La “x” non si pronuncia e la “u” è accentata.-

Lui sbuffò. -Ah, voi Lys! Scrivete in un modo e pronunciate in un altro.-

Lei sorrise ancora. Lui amava quel sorriso.

La guardò e indicò un altro calice.

-Avanti, bevi anche tu. È un peccato gustarsi da solo questo vino.-

-Le serve non bevono con i loro signori.- disse lei, quasi con un tono di sfida.

-Tu non sei una serva, lo sai bene. Bevi.-

Lei non attese un attimo e si versò il vino nel calice e ne bevve un sorso, leccandosi poi le labbra.

-Siete agitato per la cena, mio signore?-

Lui sbuffò. -Figurati se sono agitato per una cena con una manciata di idioti come quelli.-

-I nobili ti saranno mai simpatici?-

Lui scosse la testa. -Mai. Chi nasce con privilegi non può che essere un buono a nulla. Lo sono tutti i nobili e tutti i re.-

Lei alzò un sopracciglio.

-Ma anche tu sei un re.-

-Io sono il Grande Inquisitore, non un re. È diverso. Io sono venuto su da solo. Sono l'unico fondatore di un regno ancora in vita per raccontare le sue gesta.-

-Non che ci sia bisogno di raccontarle, mio caro. Tutti sanno quello che hai fatto.- il tono formale della conversazione stava svanendo per lasciare spazio ad un tono maggiormente colloquiale, come sempre.

Lui non disse altro.

Ci fu un attimo di silenzio, Ariane attese con calma che lui tornasse a parlare. Lo conosceva bene, se non diceva nulla è perché non c'era nulla da dire.

Aveva incontrato Ariane molti anni fa, lei era figlia di Erval du Shambos, un famoso maresciallo di Lysiux. Famoso per il suo carattere irruento era arrivato anni fa a Nibeluria per incontrare il famigerato Grande Inquisitore che aveva fatto cadere i Falsi Dei. Erval si era portato appresso la sua incantevole figlia che subito aveva dimostrato un carattere ribelle, ostinato e apertamente ostile verso il padre.

Erval, d'altro canto, si era dimostrato apertamente ostile a lui. Dopo una giornata trascorsa a ricevere frecciatine da parte del Maresciallo il Grande Inquisitore aveva ordinato a Meryn Jonos, il Capitano delle Guardie della Torre, di ucciderlo. Nel giro di pochi minuti Erval si era ritrovato con la gola tagliata a fare compagnia ai gabbiani negli scogli. Sua figlia, invece, era rimasta affascinata dal Grande Inquisitore (che a quel tempo era più giovane, senza quella lunga barba bianca e con ancora qualche capello in testa) e non aveva affatto provato pena per suo padre.

Una ragazza crudele e seducente, già la adorava.

Lei lo capiva molto bene e non sembrava provare timore per la sua figura e non provava nemmeno timore per le sue azioni. Questo in un certo modo lo rassicurava, gli ricordava che non era un mostro.

Oppure lo era e semplicemente lei non era da meno.

Ma non gli importava, qual'era il problema poi?

Ci era talmente affezionato che le aveva permesso di bere l'Elisir di Lunga Vita. Doveva essere molto più vecchia di come appariva ora.

-Mi sento vecchio, Ariane.-

Lei fece una breve risata, senza esagerare.

-Lo sei.-

-Sì, è vero. Ma non mi ero mai sentito così vecchio e stanco. Ho tutto il mondo contro, lo sai questo?-

-Ne ho una vaga idea. Ma a dire il vero tutto il mondo è contro tutto il mondo, non solo contro di te. Una guerra così grande non si era mai vista. Hai sentito le voci.-

Non aveva voglia di pensare.

-Ricordamele.-

Lei sospirò.

-Città date alle fiamme a Nord del regno e anche a Est. La flotta che combatte ad Aquamar, parecchie navi perse. Un intero accampamento devastato dai Celestiali. Ma ieri hai ottenuto una schiacciante vittoria contro i nordici.

Lui rise, una risata amara.

-Schiacciante? Io non direi. Sai le perdite? Abbiamo vinto, sì. Ma a caro prezzo.-

Lei sbuffò. -Uffa, sempre il solito musone!-

Lui scosse la testa.

-Sei tu che sei troppo allegra.-

-Nah, io sono solo ottimista. Questa guerra finirà a tuo favore. Come sempre. Tutto finisce sempre per essere a tuo vantaggio, no?-

Lui annuì, sorridendo a quelle parole.

-Questo è vero.-

Ma questa volta non devo vincere solo la guerra, devo vincere... tutto.

Lei si versò altro vino e lo fece girare placidamente nel calice.

-Tra gli invitati alla cena vi è anche Serym Horval, Lord di Homana. Città che poco tempo fa ha avuto degli... squilibri. L'influenza del Valoroso è pressante lì, lo sai. Dopo Sharkar è quasi inevitabile che Homana diventi Celestiale. Non possiamo perdere una città, lo sai vero. Sharkar era sacrificabile, Homana no.-

-Nemmeno Sharkar era sacrificabile, era in un buon punto di commercio. Horval è un inetto incapace.-

-Appunto per questo potrebbe tradirti.-

-No, non lo farà. Sa a cosa andrebbe incontro, ha troppa paura.-

Lei fece una smorfia disgustata.

-Quel vecchio lardoso... potrebbe tradirti in qualunque momento. Non mi fido di lui. Dovresti prendere un coltello e tagliarli quella gola lardosa.-

Lui rise, deliziato dalla crudeltà di Ariane.

-Oh lo farei. Sarebbe incredibilmente soddisfacente vedere quel volto da maiale che, implorante, cerca di respirare attraverso il taglio nella gola. Ma non vorrei essere troppo affrettato. Prima sentiamo cos'ha da dire.-

Lei bevve il vino tutto d'un sorso e ne verso altro a lui.

-Tesoro, parlami di lei. Della Ragazza. Della Messia.-

Lui fece girare il fino nel calice e lo guardò attentamente, poi bevve tutto d'un sorso anche lui.

-Ella è la figlia di Dio, venuta sulla Terra per guidare gli uomini. Verso dove, francamente, non lo so. È dotata di enormi poteri, anche se non li sa usare. Potrebbe... dividere le acque, bruciare intere foreste con uno sguardo, distruggere un castello schioccando le dita. Curare una persona con una carezza, anche questo può fare.-

-Parecchia roba.-

-Il solo averla ci porterebbe, Ariane, tanto di quel potere... che le Terre d'Oriente e le Terre Meridionali ci guarderebbero con adorazione! Guarderebbero ME con adorazione, Ariane.-

Lei lo accarezzò, le sue mani erano incredibilmente lisce vicino a quella pelle così ruvida.

-Ci tieni molto vero?-

Lui le fermò la mano e iniziò a stringere, lei non parve turbata. Anzi.

-Mi chiedi se ci tengo? Lo stai facendo davvero? Io sono disposto a distruggere città, assediare isole, tradire, complottare, giustiziare, perseguitare, mandare a morte centinaia di migliaia di uomini che a casa hanno moglie e figli. Sono disposto a continuare per altri dieci, cento, mille anni! Sono disposto a mettere a ferro e fuoco il mondo intero pur di averla!

Ecco quanto ci tengo.

Sono disposto... a distruggere il mondo... pur di avere il potere racchiuso in quella ragazza.-

Lei fece un sospiro sognante e gli diede un bacio.

-Il mio Conquistatore.-

Lui ricambiò il bacio ma poi scosse la testa.

-No, non conquistatore. Non c'è più niente da conquistare, se non ciò che è mio per diritto.

Sono il tuo Distruttore.-

 

Lady Alenna Sethmire amava la sua città (anche se in realtà non era sua, ma di suo marito) ma provava sempre timore anche solo ad avvicinarsi all'enorme Torre dell'Inquisizione. Forse a incuterle timore erano quelle pietre... oppure il nauseante odore di sangue che si sentiva anche nella sala da pranzo, nonostante i servi cercassero di nasconderlo usando ogni tipo di profumo. Ma era difficile nascondere l'odore del sangue, sopratutto se i prigionieri venivano torturati per giorni, forse anche mesi. Scuoiati, scorticati, mutilati e ogni sorta di nefandezza. Una volta suo marito aveva trovato un vecchio fedele di Luttan in città e l'aveva prontamente consegnato al Grande Inquisitore. Il poveraccio era un uomo di bell'aspetto. L'aveva visto, una settimana dopo, impiccato davanti la torre. Senza una gamba, senza la pelle delle braccia e con due chiodi impiantati negli occhi. Aveva vomitato dopo pochi secondi.

Ricordava la lunga litigata con suo marito.

“Sei solo un fottuto leccaculo, Petyr, ecco cosa sei! Uno strafottuto leccaculo!”

Lo schiaffo che aveva ricevuto era stato brutale e l'aveva fatta tacere.

Ma, ad essere onesti, la cosa che più la spaventava era quel vecchio uomo seduto a capo tavola. Indossava una banale tunica nera come la pece, la sua barba era riccia e bianca come la neve i suoi occhi marrone chiaro. Un marrone meraviglioso, a guardarli attentamente per diversi minuti sembravano avvicinarsi e ingrandirsi. Sembravano gli occhi di un feroce lupo. Quell'uomo era vecchio, molto vecchio, ma la sua sola presenza pareva trasudare potere, rispetto, timore. Un uomo in vita da moltissimi anni, un uomo che non aveva mai perso, che nonostante l'età manteneva un fisico imponente, residuo di una gioventù atletica. Le sue spalle potevano eguagliare con facilità quelle di suo marito Petyr, famoso guerriero

Tutti sono bravi a colpire qualche servo durante un allenamento, non si sarebbero mai sognati di scalfire il loro Lord.

Nella Torre vi era qualche enorme quadro che rappresentava il Grande Inquisitore, il cui nome era ormai dimenticato. Da giovane era un uomo dal fisico atletico e slanciato, capelli corti e castani, mento pronunciato e quegli stessi occhi. Quelli avevano retto al passare del tempo. Anzi ora, pensando a quello che aveva fatto, incutevano ancora più timore.

Cercò di non guardarlo e volse il suo sguardo davanti a lei. Vi era la moglie di Herval, Lord di Homana. Lady Tarmina Horval era incredibilmente minuta e veniva da chiedersi com'era possibile che un esserino simile si fosse sposata con quella palla di lardo di Horval.

Matrimonio combinato, Alenna. Dovresti saperlo fin troppo bene. Non sei l'unica ad avere un padre talmente interessato a te da venderti manco fossi la peggio sgualdrina al primo Lord di alto lignaggio desideroso di scoparti. Il suo Lord marito sedeva alla sinistra di Tarmina, davanti a Petyr. Horval era grasso, terribilmente grasso e non era nemmeno famoso per una spiccata intelligenza. Grasso, stupido e servizievole.

Un uomo inutile, degno rivale del mio Petyr.

Homana era una città di notevoli dimensioni, paragonabile a Geveldor. Peccato fosse governata da Lord Lardo.

Alla destra di Petyr vi era Septon Lansfil, Primo Rivelato dei Profeti della Voce. Un vecchio rinsecchito. Alla destra di quest'ultimo c'era Waymar Gasfettel, Primo Rivelato dei Sacerdoti dell'Occhio. Lui era più autorevole e misterioso. A fianco del Grande Inquisitore vi era Sir Erkal Aysheld, Primo Rivelato dei Cavalieri del Braccio. Davanti di lui la bellissima moglie Ygrena Foleria, alla sinsitra di Alenna. Vicino a Erkal vi era Meryn Jonos. In piedi, saldamente vicino al suo signore, c'era la serva preferita del Signore di Noveria.

Lansfil era un vecchio ingobbito dagli anni, sempre stato bravo con le parole e innegabilmente persuasivo.

Nonché un fottuto maniaco. Ho perso il conto di quante volte ho visto quelle mani rinsecchite tastare il culo delle serve. L'ha fatto pure a me appena arrivata.

Ma Alenna non aveva fatto altro che ripetersi mentalmente “Sorridi e tieni lo sguardo alto, mai basso, piccola mia. Sempre alto. Sorridi, sorridi sempre. E se fanno qualcosa... lasciali fare.” questo aveva detto la Lady sua madre.

Gasfettel era diverso. Molto taciturno, cupo, circondato da un aura di mistero, enfatizzata da quel nero cappuccio sempre calato sul suo capo, come tutti i membri del suo ordine. Il suo però era decorato con la spada con l'aureola. La sua voce era cupa e profonda, spettrale.

Spesso sta seduto in un angolo senza dire nulla... pensare che quell'uomo è in grado di trovare chiunque usi la magia è inquietante.

Fortunatamente Alenna non sapeva usare nessun tipo di magia e nemmeno voleva.

Altrimenti non sarei qui a cenare, ma sarei assieme a quel seguace di Luttan.

Erkal Aysheld era un bel uomo, capelli corti e biondi, occhi azzurri, modi regali, fisico pressoché perfetto.

Alenna aveva sperato di andare in sposa a lui, ma non era mai stata particolarmente fortunata. Ma Erkal era famoso per i suoi numerosi viaggi a Tarpazzi e alla fine si era sposato una donna del luogo. Foleria proveniva da Dothenna e aveva le fattezze tipiche di una Morganta. Alta, lunghi capelli biondi, zigomi pronunciati e seni rigogliosi. Come ogni donna di Tarpazzi, di una qualunque delle loro città, era bellissima.

Aveva la fortuna di essere sposata con un prode guerriero, abile con la lancia e altrettanto abile ad uccidere Infedeli.

Anche se non credo ci voglia abilità... praticamente parliamo di contadini ribelli, niente di più. Di certo non sono i Sepolcrali del Nord, anche se pure loro sono stati ampiamente sconfitti. E forse pure loro erano contadini, nonostante quelle inquietanti storie.

Suo marito Petyr stava parlando affabilmente con Jonos. Il Capitano della Guardia della Torre era un uomo di bassa statura, dagli unti capelli neri praticamente spiaccicati sulla testa, il naso aquilino e due grandi occhi perennemente lucidi, come se stesse sempre piangendo. Un losco figuro, viscido e famoso per non essere incline al perdono. Seguiva ciecamente tutti gli ordini del suo signore, in particolar modo quelli più crudeli che si diceva fosse ben lieto di eseguire. Suo marito Petyr ci parlava come se fosse l'uomo più coraggioso e buono del mondo.

Tipico di Petyr. Se è ancora dov'è adesso è solo grazie alla sua straordinaria dote di leccare il culo a chiunque.

Anche a parecchie serve, quello lo so bene.

-Ricordate di quel Luttaniano che venne torturato pochi anni fa? Forse era l'altr'anno.-

-Quel vecchio?- gracchiò Jonos.

-Sì, sì. Ve lo inviai io stesso.- disse tutto compiaciuto suo marito.

Jonos fece una disgustosa faccia deliziata.

-Ah, allora vi devo ringraziare mio signore. Mi sono divertito un bel po' con quell'Infedele.-

Alenna trattenne un verso disgustato.

Lansfil stava trattenendo una graziosa serva che era venuta a versargli del vino.

-Ah sei proprio graziosa tu, eh? Pff, ma cosa vuoi essere interessata ad un vecchio senza denti come me ma da giovane, oooh da giovane ero un bell'imbusto io, signorsì. Proprio come Sir Aysheld qui con noi.-

-Oh lo trovo impossibile.- disse Foleria col suo marcato accento di Tarpazzi, anche solo l'accento aveva un qualcosa di eccitante, notò Alenna stessa.

-Il mio Erkal è l'uomo più affascinante di tutta Noveria.- disse poi guardandola sognante.

Erkal sorrise. -Oh ma ricordo Sua Eccellenza Lansfil quando aveva ancora tutti i denti, anche se ero piccolo. E... si, amore mio, fai bene a trovarlo impossibile.-

Ciò provocò la risata di quasi tutti i presenti, fatta eccezione per Alenna (che non era solita ridere solo per far felici gli altri) e il Grande Inquisitore, che non rideva praticamente mai.

Suo marito chiaramente rise più forte di tutti.

A volte si chiedeva com'era possibile che un tale idiota fosse il Lord della capitale.

Ma la risposta arrivava in fretta.

Il suo antenato, che duecento anni prima combatté la Guerra Santa contro i Celestiali, fu uno dei più fieri sostenitori del Grande Inquisitore. Nailban Sethmire fu un abile e fiero condottiero, uno dei pochi veri eroi di cui Noveria poteva vantarsi. Peccato che il suo stesso sangue avesse portato a Petyr...

I Lord di Noveria erano tutti discendenti dei grandi comandanti che appoggiarono e diedero fondamentale aiuto al Grande Inquisitore durante la sua guerra. Coloro che erano morti avevano avuto la “fortuna” se così si poteva chiamare, di avere il loro nome scritto su una mappa vicino ad un monte o a una piana. Alenna lo trovava stupido.

Il Colle di Gathor ad esempio, in cui si ergeva la Città Alta e dove si trovava Villa Sethmire, era dedicata a Gathor Settordan, colui che uccise Attuk Lo Scaltro.

Alenna ricordava le storie narrate dalla sua nutrice, Attuk Lo Scaltro era definito come un infido codardo che non disdegnò di infettare le riserve d'acqua delle truppe noveriane. Gathor gli diede il ben servito trapassandogli il petto con la sua lancia

Mentre Lord Horval cercava di iniziare una conversazione con Gasfettel, Lady Tarmina rivolse ad Alenna la parola.

-Lady Alenna, siete bellissima come sempre.-

-Anche voi, Lady Tarmina.-

Tarmina abbassò la voce e si sporse leggermente verso la Lady di Nibeluria.

-Cosa pensate di Sua Eccellenza Gasfettel?-

Alenna fece finta di pensarci un po' ma in realtà aveva le idee ben chiare. Col suo silenzio nascondeva molto e quel cappuccio nascondeva bene gli sguardi fin troppo maliziosi che lanciava. Non era diverso da Lansfil, secondo Alenna.

-Un uomo misterioso, senza dubbio. E dotato di grandi poteri, ritengo. La sua cerchia e molto antica, molto più della nostra religione.-

-Si ma ora la sua religione non esiste più.- disse perplessa Tarmina.

Alenna sorrise, forse in modo troppo avventato, Tarmina era facilmente impressionabile anche da banali parole.

-Teoricamente no, è forse l'unica religione che ha in parte accettato... o sarebbe meglio dire sopportato.”

Tarmina parve turbata da quelle parole.

Ingenua ragazza.

Lansfil si rivolse poi alle due dame.

-Oh mie signore, noto sempre con estremo piacere che Noveria ci offre sempre grandi bellezze. Sapete da giovane incontrai una donna coi capelli biondi come i vostri, Lady Alenna. Si chiamava Bett. Non ci misi molto ad affascinarla con le mie parole, sì è una mia caratteristica da sempre.-

Pensi che mi importi?

-Siete qui per un buon motivo, Vostra Eccellenza.- disse forzatamente Alenna.

-Immagino di sì.- disse ridendo il vecchio Profeta.

Horval si rivolse ad Alenna, forse notandola per la prima volta.

-Ah, Lady Alenna! Incantevole come sempre. Tarmina mi ha detto giusto ieri una cosa che non sapevo.- Quale tra le tante? -Voi avete studiato erboristeria, vero?-

Alenna annuì. -Sì, da giovane. Ho viaggiato molto per i miei studi.-

-Ah, capisco. Anch'io studiai erboristeria da giovane. Ma non ne rimasi particolarmente colpito, tutte quelle piante, quei strani intrugli... roba troppo... puzzolente per me.- disse Herval ridendo.

Idiota. Puzzolente, puah! L'erboristeria è una nobile arte. Pensa a mangiare e taci.

-Io l'ho sempre trovata un arte incredibilmente affascinante.-

Petyr si sentì in diritto di entrare nella conversazione.

-Alenna ha trascorso un intero anno a Vurkan, lo diresti mai Serym? Quest'esserino ha passato un anno nelle lande nere e roventi dell'Est.-

Almeno io l'ho vista Vurkan, tu solo in qualche quadro. Pessimo quadro aggiungerei, che di certo non rendeva giustizia a quella terra.

Sir Aysheld sentì ciò che aveva detto Petyr e guardò stupito Alenna.

I suoi occhi sono bellissimi.

-Veramente siete stata nell'Est per un anno intero?-

Alenna annuì, con un certo grado di fierezza abilmente nascosto

-Sì, Sir. Ero giovane allora.-

Eysheld sorrise.

-Ho trascorso cinque mesi lì, venni inviato da Sua Santità qui presente, per dar man forte ai Vurkaniani. Un ingente numero di Lakaviani aveva addirittura preso possesso di una città, Stergborros. Tra le fila dei Lakaviani vi erano anche delle Salamandre.-

-Avete visto le Salamandre, cavaliere?- chiese Jonos con occhi sgranati.

-Ebbene sì. I Lakaviani si erano avventurati verso le Lande Cineree e avevano catturato quattro Elementali del Fuoco, di enorme grandezza. La città era stata quasi totalmente data alle fiamme da quei mostri. Aiutai Korsak Demyrost a riprendersi quella città.-

-Avete combattuto a fianco dell'Armatura Ardente?-

-Oh sì, Lord Sethmire. Un uomo ferreo, ligio al dovere, non credo averlo mai visto sorridere in quei cinque mesi. Ma col suo spadone era un vero artista. È uno dei pochi soldati che temo veramente. Sta difendendo egregiamente Argon Falltayer e ha difeso, in tutti i suoi anni di domini, Vashtar. Il che è tutto dire, quell'uomo era crudele.-

Alenna fece finta di non essere parecchio innervosita.

Sarai anche un bel uomo ma sei un fottuto egocentrico. Potrò parlare anche io in questa noiosissima cena?

-Comunque cosa avete fatto a Vurkan, se mi è concesso chiedere?- chiese Foleria e dal tono della sua voce pareva sinceramente incuriosita.

-Ho studiato assieme alla mia maestra erboristeria, chiaramente. Abbiamo visitato Newdrey, Astermire e Kenthol. Ho visitato pure la capitale, Grantizzone. A Vurkan vi sono varie erbe vulcaniche uniche. Le radici di Semmyr, ottime per curare una bruciature. Mentre le foglie di Sleingrown sono in grado di curare anche le ustioni più gravi. Ecco uno dei motivi per cui i Vurkaniani resistono così tanto al fuoco, non è dovuto solo alle loro caratteristiche corporee.-

Foleria ascoltava Alenna tenendo il mento appoggiato sulla sua mano e sorrideva deliziata.

I suoi occhi sembrano due gemme preziose.

-Non vi siete mossa dalle Terre Occidentali?

Alenna non era abituata a sentire chiamare così il Grande Continente ma effettivamente quello era solo un nome dato nell'antichità per enfatizzare il potere del continente antico.

-Ahimé no, ho viaggiato a Vurkan, nel Nord, ad Aquamar ma non mi sono mai mossa dal nostro continente.-

-Ah, è un peccato, mia Lady. Nella Terra delle Zanne vi sono delle erbe che crescono nei territori secchi che permettono di resistere senza bisogno di cibarsi anche per dieci giorni. Una sola di quelle piccole erbe. Ecco perché gli Uomini Neri riescono a sopravvivere nonostante la carenza di cibo. E nella mia terra, precisamente nella Morghisia, nella Città-Stato di Dronika vi è la Scuola di Velonio, il Dio dei Veleni. Lì si può imparare morto nell'uso delle erbe a scopi più... crudeli. O funzionali, dipende dai punti di vista. Avete studiato anche l'arte del veleno?-

Alenna tacque.

Sì, l'aveva studiato. La sua maestra le aveva fatto avvelenare degli animali per sperimentare i diversi tipi di veleno. La lacrima di Byr ghiacciava il sangue mentre la lava di Keyrpenmyst ustionava le viscere molto lentamente. La sua maestra le aveva parlato della Scuola di Velonio. Lì venivano usati veleni misteriosi, alcuni senza nome. Un ramo che, semplicemente mettendone un piccolo pezzetino nell'acqua, se bevuto provocava fortissimi spasmi al corpo del malcapitato che durante una battaglia poteva finire ad uccidere involontariamente i suoi compagni. Un piccolo pezzo di un erba secca provocava una terribile tosse tossica. Tutto questo era terribilmente inquietante ma Alenna, suo malgrado, ne rimase irrimediabilmente affascinata. Non continuò gli studi solo per motivi di tempo.

Altrimenti ora Petyr sarebbe sotto terra.

-No, la trovo un arte... crudele.-

-Indubbiamente.- disse Foleria, nonostante il suo tono tradisse... qualcosa.

Mentre tutti parlavano dei fatti loro Foleria rimase interessata ad Alenna e non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo.

-Sapete, mia Lady, credo che voi a Tarpazzi sareste a casa.-

-Cioè?-

-Avete la fisionomia tipica di una Morganta. Capelli biondi, di un biondo radioso e siete piuttosto alta per essere una Noveriana. Pura coincidenza, chiaro, ma dalle mie parti nessuno vedrebbe una noveriana, ve l'assicuro.-

Alenna iniziava a essere incuriosita da quella donna.

-Ho sempre sognato visitare le Otto città-Stato di Tarpazzi.-

.Oh, spero voi possiate farlo mia signora, lo spero proprio.-

-Voi provenite dalla Morganta, dico bene?-

-Esattamente, il territorio montuoso a confine con Aghta. Vengo da Dothenna, una città incavata tra le montagne, inespugnabile. Durante la fallita Unificazione Dothenna resistette alle truppe dei Morevingi.-

La voce di quella donna era calda e accogliente... no, Alenna scosse la testa. Sapeva le dicerie sugli abitanti dell'Estremo Sud. Le loro voci erano particolari, provocavano varie emozioni a chi ascoltava. Per la maggior parte era eccitazione e un ardente desiderio sessuale a dire il vero.

E... sì, Alenna la stava provando.

-Ditemi...- disse Alenna, senza avere la forza per trattenere le sue parole.

-è vero quello che si dice su di voi? Sui vostri... gusti... sessuali?-

Foleria rise deliziata. -Oh, assolutamente sì. Qui da voi il pensiero di due uomini che si baciano o addirittura che si amano e completamente folle. Da noi gli impulsi sessuali non vengono mai trattenuti, che motivo c'è? Credo sia normalissimo che, se una persona non riesce a trattenere le proprie pulsioni, le sfoghi. Un uomo che non nego di aver follemente amato, Demetrio Potazzi, non ha mai disdegnato la mia compagnia e nemmeno quella di mio fratello, Franko. E io... be' io apprezzo gli uomini, alti, bassi, grassi e magri. Sono incredibilmente affascinanti... quelli di Tarpazzi almeno. Ma non ho mai disprezzato le carezze e i baci di una donna.- disse posando delicatamente la mano su quella di Alenna ed ella sentì tutti il suo corpo scosso da un caldo brivido di eccitazione.

Alenna, nonostante volesse avere più della sua mano, tolse la sua e si asciugò il sudore che le imperlava la fronte.

-Oh... ehm... non, non credo sia il caso, Lady Foleria. Non ora... almeno.-

Tutti i suoi pensieri vennero interrotti quando finalmente i camerieri portarono il cibo. La cena venne consumata in totale silenzio. Gassfettel mangiava piccoli bocconi, mentre Horval si ingozzava.

Finalmente, dopo tutto quel tempo in cui era stato in silenzio assorto dai suoi oscuri pensieri, il Grande Inquisitore parlò.

-è un piacere vedervi tutti qui riuniti. Chiaramente c'è un motivo se ho indetto questa cena. Ho... molte cose da dire, a tutti voi.-

Il vecchio uomo guardò Aysheld.

-Molto presto avrò bisogno che mettiate in campo i Cavalieri del Braccio, Sir Aysheld. Questa guerra si sta rivelando più sanguinosa di quello che pensassi.-

-Come comandate, Vostra Santità-

-Ma il Supremo ci ha donato un grande risultato, amici miei. L'assedio di Aquamar sta andando a gonfie vele... e il principe ereditario Kordovar Naustrarer è morto in battaglia, sulle stesse spiaggie della sua isola che sognava di difendere.- disse con fierezza il grande Inquisitore ordinando un brindisi. Tutti esultarono ma Alenna mantenne il volto serio. Durante i suoi studi aveva trascorso tre mesi ad Aquamar, precisamente a Onnyuga, per studiare delle alghe. La città era meravigliosa e colorata e per un intera settimana si stanziarono i due principi, Kordovan e Hidan e la futura moglie di Kordovar, Nalyssa. Alenna li aveva spesso visti parlare tra di loro, nuotare felicemente, rilassarsi nella spiaggia, parlare con i cittadini. Erano... così felici, sorridenti, sembravano intoccabili e Alenna aveva creduto che lo fossero. Ora quel bel ragazzo pieno di salute, Kordovar, giaceva morto nella spiaggia della sua isola.

-Le ricerche del fuggitivo Q'uoian sono state abbandonate, lui non è di certo il fuggitivo più importante. La Ragazza è la nostra priorità. Il suo potere... magico, se così possiamo definirlo, ormai è diventato ben visibile. Ma nemmeno lei conosce le sue potenzialità e, senza rendersene conto, cela la sua presenza ai Sacerdoti dell'Occhio.-

-Ho tentato di percepire la sua traccia magica ma è come cercare un ago in un pagliaio.- disse Gassfettel, con voce bassa. -Credo però che T'mail possa essere molto pericoloso, parliamo di un membro del popolo antico, un Possessore, dotato del potere più terribile di tutti... La Voce.-

-Non è... un... problema.- disse imperioso il Grande Inquisitore.

-La sua fuga è stata dovuta ad un inefficienza delle mie guardie che spero vivamente non avvenga più.-

Jonos abbassò lo sguardo.

-Ma giungiamo al nocciolo della questione. Pochi giorni fa Sharkar è stata conquistata dai Celestiali. Sharkar ha stretti legami commerciali con Homana, dico bene Horval?-

-Sì, mio signore.-

-E mi è giunta notizia che dei Discepoli sono stati inviati ad Homana con l'obbiettivo di convertire la città al Culto dei Falsi Dei.-

-è la verità, ma...-

-E mi è anche giusta voce che la popolazione dell'intera città sta, giorno dopo giorno, rimanendo sempre più... affascinata dalle parole di quei bugiardi.-

-Io...-

-E so anche che il Lord della città non ha mosso un dito per impedire questo scempio!- il tono del Grande Inquisitore era diventato mano a mano sempre più duro. Horval ansimava.

-Ma mi rivolgo anche a te, Lansfill. Se Sharkar è stata così velocemente assoggettata ai Falsi Dei è solo perché il Profeta della Voce da te scelto, Gayorn, è stato così debole da non sapere più che cosa dire! Quindi la colpa è anche tua... ma non del tutto quindi con te potrò anche essere magnanimo. Ma con te, Horval...-

-Mio... mio signore io non so cosa dirvi. Io ho cercato di impedire che quei Discepoli usassero le loro menzogne per appropriarsi della mia città ma...-

-Ma... cosa, viscido ammasso di lardo?-

Horval parve sul punto di piangere, così come Tarmina.

-Ricordati che se tu hai l'opportunità di essere un Lord è solo perché Demistokyr Horval fu un mio amico e un fiero condottiero, cosa che tu non sarai mai, nemmeno tra mille anni. Lui avrebbe difeso Homana con le unghie e con i denti e, se necessario, avrebbe ammazzo quei maledetti Discepoli! Tu cos'hai fatto, se non ingozzarti e far finta di non vedere?-

-Ho... Homana non cadrà, Vostra Santità. Lo giuro!-

-è vero... non cadrà perché sarò IO a impedire che accada, non tu maledetto maiale!-

Alenna strinse i pugni per trattenere i brividi che le scuotevano tutto il corpo. Era la prima volta che vedeva la rabbia del Grande Inquisitore. La rabbia dell'uomo che aveva fondato il loro regno sul sangue dei Falsi Dei.

-Io so essere molto paziente, Horval, ma questa volta la mia pazienza è giunta al limite.-

Horval stava iniziando a sudare in modo esagerato e a guardarsi intorno in cerca di aiuto. Tarmina scoppiò a piangere.

-Giuro... giuro sul nome del Supremo stesso che...-

-Se giuri sul nome del Supremo giuri su di ME!-

Horval disse parole senza senso.

-GIURA SU DI ME!-

-Io... io... io giuro che Homana non cadrà, giuro sul nome del Grande Inquisitore!-

Ci fu un silenzio carico di tensione, Alenna era terrorizzata quanto Tarmina.

Il Grande Inquisitore parve calmarsi e sospirò.

-Avresti dovuto farlo prima.-

Ad Alenna parve che il Grande Inquisitore stesse per borbottare qualcos'altro ma si interruppe quando sentì i forti colpi di tosse di Horval, che si tramutarono in affannosi respiri strozzati.

Il Grande Inquisitore si sedette comodo sulla sedia, come se stesse aspettando quel momento.

-Era ora.- disse sorridendo la sua serva bionda.

Tarmina cercò invano di salvare suo marito, che soffocando stava prendendo un bruttissimo colorito.

-Serym! No! Serym, respira, ti prego!-

-Ah, Lady Tarmina, credo che i sintomi del veleno dovrebbero affliggerla tra pochi secondi, come sta succedendo a vostro marito. Si condivide tutto quando il Supremo unisce le anime, dico bene? Quindi credo che dobbiate soffocare.-

La povera Tarmina divenne lo specchio di suo marito. Per qualche secondo si sentì solo il terribile suono di due persone che morivano soffocate, entrambe esattamente davanti ad Alenna. Infine morirono, entrambi nello stesso momento, accasciandosi sul tavolo.

Alenna aveva gli occhi spalancati e il respiro affannoso.

Il Grande Inquisitore sorseggiò il vino.

-Vino delizioso, vero?-

 

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Capitolo 33
*** Essere ciò che si è ***


Capitolo 33

Essere ciò che si è

 

Nei giorni che seguirono l'attentato alla vita di Daften, Robert si sentì come dopo una battaglia. Conosceva bene quella sensazione, l'aveva provata varie volte contro i bruti. Dopo aver lottato, sofferto e pianto per il dolore. Dopo aver ucciso e assassinato alle spalle altri uomini. Dopo aver corso sotto le frecce e le pietre lanciate dai nemici. Dopo aver ucciso a fil di spada uomini che erano amati dalle loro moglie e dai loro figli cosa provavi?

Smarrimento.

Robert ricordava la sensazione provata dopo ogni battaglia. Per la maggior parte delle volte non sapeva dove si trovava, si ritrovava ricoperto di sangue, circondato da uomini e ragazzi martoriati, urlanti, con gli occhi carichi di dolore. Il ricordo della battaglia, sul momento, svaniva e ti ritrovavi lì in mezzo, con l'odore del sangue che entrava con spietatezza nelle tue narici e i lamenti che entravano con crudeltà nelle tue orecchie. La battaglia iniziavi a ricordarla solo il giorno dopo, nei tuoi incubi. Tornavano come dei flash cremisi e rivedevi la battaglia con fin troppa nitidezza, come se partecipassi per la seconda volta a quella follia. Anche in gioventù, quand'era molto diverso da ora, aveva provato quella sensazione ma aveva cercato di allontanarla, cercando di non badare a quello strano malore che provava. Ora invece era tutto più nitido. Dopo la battaglia avevi il dubbio di aver ucciso le persone giuste durante il combattimento, ti chiedevi se quello che avevi fatto era utile, era servito a qualcosa o aveva provocato solo un ciclo di morte che ti seguirà in eterno.

Già allora lo colsi ma non ci feci caso. Sangue porta sangue, lo sapevo già ma non volevo ascoltare la mia mente. Con la violenza nulla si ottiene se non altra violenza. Se uccidi i bruti poi loro torneranno e cercheranno di uccidere te e se falliranno ci riproveranno ancora. Così, all'infinito.

In quel momento si sentiva così, smarrito. Era stato convinto per settimane della malafede di Gorander e negli ultimi giorni i suoi sospetti erano stati confermati. Ma era stato accecato da un odio infondato verso di lui. La rabbia nel vedere suo fratello cambiare e nel vedere un regno entrare in un altra guerra aveva annebbiato la sua vista facendolo diventare un uomo sadico, desideroso solo di vedere Gorander soffrire. E l'aveva visto e non negava di aver provato una grande gioia nel mutilare Gorander, tagliando le sue dite e lanciandogliele contro, umiliandolo. Ora tutte quelle che prima per lui erano delle certezze, adesso erano dei gelidi dubbi. Come poteva ottenere il perdono di quell'uomo? Come potevano i Vurkaniani avere fiducia di bestie come loro dopo che avevano mutilato e umiliato un loro Emissario? Robert, se fosse stato in loro, avrebbe messo a ferro e fuoco ogni loro castello.

Fortunatamente loro non sono me, altrimenti la vita di tutta questa povera gente sarebbe un inferno. Meno gente c'è come me, meglio è.

Doveva cercare di redimersi, di ottenere la fiducia di Gorander. Stavano andando in guerra e non poteva esserci sfiducia altrimenti sarebbe stato un fallimento. Prima però voleva parlare con Daften, decise perciò di dirigersi nella sala del trono.

 

Trovò Daften seduto sul Trono dell'Orso, un poderoso seggio di ferro, decorato nei bordi con degli orsi. I braccioli culminava col muso inferocito di un orso ringhiante. Robert ricordava quando su quel trono vi sedeva Jorg, suo padre. Suo padre si muoveva spesso su quella sedia di ferro, cercando di trovare la posizione più comoda. Quel trono era terribilmente scomodo ma che motivo c'era di renderlo comodo? Fu l'unificatore dei dodici clan antichi, Nordor Il Glaciale, a ordinare di crearlo.

Robert aveva imparato la storia del suo regno in tenera età, fu il vecchio maestro Grumold ad insegnargli la storia. Il vecchio, mezzo sordo ma dal cuore d'oro, aveva raccontato a Robert dei tempi Antichi, chiamati anche Epoca d'Oro, in cui nessuno degli attuali regni esisteva e in cui la magia era un fatto comune. Un epoca antecedente al Grande Gelo, prima che gli Spettri di Ghiaccio cacciassero gli uomini.

Nordor era un guerriero che viveva negli Alti Luoghi, l'antico Nord. Gli Alti Luoghi erano un territorio selvaggio e inospitale in cui vivevano i dodici Clan. Nordor era membro del clan dei Ruggito d'Orso. e dimostrò le sue doti di combattimento, pochi infatti potevano eguagliare la sua abilità. Si diceva fosse spietato, un vero predatore, che non disdegnava tattiche astute e meschine pur di vincere. Diede guerra ai Clan dei Corni di Bronzo e dei Pilastri del Gelo. Si raccontava addirittura che all'età di dodici anni avesse ucciso da solo un Orso di Shjurmand armato solo di una lancia improvvisata. Era temuto in ogni angolo degli Alti Luoghi e tutti, al solo vederlo, scappavano di paura oppure prendevano coraggio (dipendeva da che parte si stava)

Unificò il popolo contro la minaccia comune del regno di Zarkan, regno del Sud che occupava parte dell'attuale Noveria. Gli Zarkani veneravano il Sacro Fuoco, una fiamma eterna che ardeva in una piana in cui loro, agli arbori della loro civiltà, vi costruirono attorno la loro capitale, Fyamorash. Gli Zarkani decisero di portare nel gelido nord il calore della loro fiamma. L'invasione durò per dodici lunghi anni, dodici anni in cui Nordor prese la guida dei dodici clan da lui unificati e rispedì gli Zarkani nel loro soleggiato Sud. Da quel giorno Nordor divenne l'idolo di chiunque abitasse nel nord, i nordici espansero il loro dominio per tutti gli Altri Luoghi, anche i territori inesplorati, fino a giungere addirittura nelle Placche nell'Estremo Nord.

Nordor sposò una donna, Freya, considerata la donna più bella nata dal ghiaccio e grazie a loro nacque la Dinastia Holdar. Nordor era un vero Nordico, un uomo duro, temprato dal campo di battaglia, fieramente convinto della totale inesistenza di ogni tipo di divinità. Un uomo materiale, senz'altro. Quando ordinò che gli venisse forgiato un trono e specificò che dovesse essere di ferro il fabbro, Wertmar, gli chiese: “Mio Re, per quale motivo volete un trono di ferro? È scomodo e non vi provocherà che dolori!”

Nordor aveva fieramente risposto:”Un Re porta su di sé i dolori del popolo, che motivo ha di sedere comodo?”

Sovrani così non ne verranno mai più... a meno che ciò che si dice sia la verità.

Si narravano molte storie riguardanti le battaglie, la spietatezza e la durezza di Nordor. Ma si narrava pure, in certi antichissimi scritti, che fosse un uomo generoso verso il suo popolo, spesso camminava per le vie di una piccola Icehold a parlare col suo popolo. Alcuni lo videro addirittura giocare con dei bambini mentre faceva finta di combattere con loro e di essere sconfitto.

Nonostante tutto era un uomo, un uomo come tutti quelli che ci sono in questo mondo. Era solo molto bravo a fare una cosa, uccidere. Il che non lo rende molto diverso da me. Solo che lui non disdegnava ciò che era ed era riuscito ad abbinare al guerriero sanguinario anche un sovrano generoso e un brav'uomo che amò una donna, creò una dinastia e diede un luogo sicuro in cui vivere al suo popolo. Difese gli altri e creò un luogo sicuro con la violenza quindi... come si può fare ciò che fece lui senza usare la forza?

Daften aveva sempre seduto con comodità su quel seggio o meglio, aveva sempre dato l'impressione di non stare scomodo. Sedeva sempre fiero, la schiena ben appoggiata, le braccia adagiate sui braccioli. Oggi no. Sedeva sul trono come se dovesse alzarsi da un momento all'altro e teneva la sua testa cinta la le sue mani. Le dita possenti erano tra i capelli arruffati.

Quella era la posizione di un uomo disperato.

Appena Daften sentì i passi di suo fratello alzò lo sguardo.

I suoi occhi sono vuoti, non l'ho mai visto così.

-Che ci fai qui?- chiese Daften, la sua voce era poco più di un sussurro.

-Voglio parlarti.-

Daften scosse la testa.

-Non c'è nulla da dire.-

-C'è invece.-

Daften strinse gli occhi e per un attimo pensò che l'avrebbe scacciato.

-Parla allora.-

Robert si schiarì la gola ma il suono rimbombò per la sala vuota e buia.

-Volevo farti una domanda. Che faremo adesso?-

Daften spalancò gli occhi, stupito da quella domanda.

-Cosa faremo adesso? E lo chiedi a me? Ah, vorrei saperlo anch'io che fare, maledizione!-

-Lo chiedo a te perché tu sei il re.- disse chiaro Robert, sperando che Daften sentisse ogni singola parola.

-Ah ora lo dici eh? Non sono più la rovina del Nord, vero?-

Robert strinse i pugni.

-Sai che ero infuriato e ammetto di aver detto parole eccessive, dovresti averlo capito da solo. E mi pento più che mai di ciò che ho detto perché ti ho convito a seguire le mie parole, ad ascoltarle. Mai, mai avresti dovuto farlo.-

-Hai sempre cercato di farmi ascoltare le tue parole e spesso ci sei riuscito.-

Robert annuì tristemente.

Spesso avresti fatto bene a non darmi retta.

-Ma questa volta non dovevi farlo. Ero accecato dalla rabbia, fratello. Ti vedevo... cambiare. La presenza di Gorander e l'alleanza col Popolo Rosso ti stava rendendo diverso, troppo simile a nostro padre negli ultimi anni del suo regno.-

Daften iniziò a muoversi nervosamente.

Robert lo guardò. Quello era suo fratello, la persona a cui aveva voluto più bene in gioventù, sangue del suo sangue, nati dalla stessa madre. Fratelli. Avevano affrontato ogni problema assieme ed erano stati sempre uniti, non si erano mai divisi, nemmeno quando le cose si erano fatte più complicate. Avevano affrontato assieme la giovinezza, quando erano dei ragazzini che esploravano i Sepolcri sperando di trovare qualche spirito leggendario. Avevano affrontato l'adolescenza, quando avevano provato i loro primi istinti amorosi, quando avevano iniziato ad adocchiare le ragazze più carine di Icehold. Avevano affrontato assieme l'età adulta, quando impugnare la spada era diventata un'abitudine, quando andare in un campo di battaglia e uccidere altri uomini era routine giornaliera. Daften c'era quando Robert aveva conosciuto Adele, anni fa, in quella tenda piena di feriti. Suo fratello aveva sorriso, facendo apprezzamenti sulla sua futura moglie. Ma spesso, quando abbracciava Adele, Robert guardava suo fratello e lo vedeva felice perché lui era felice. Daften gli aveva insegnato a leggere, Daften gli aveva insegnato ad usare la spada assieme a loro zio Bjorn, Daften l'aveva abbracciato alla morte di loro padre e ancora prima quando loro madre aveva spirato molti anni fa e la malattia che l'aveva dilaniata per anni l'aveva finalmente portata via. Robert aveva pianto come un pazzo, aveva menato i pugni contro ogni cosa a portata di mano (e aveva solo sei anni.) ma Daften l'aveva fermato, trattenendolo con tutta la sua forza e poi, inaspettatamente, l'aveva abbracciato. Quella era stato il primo abbraccio che ricevette da suo fratello.

È triste pensare, però, che non ricordo nemmeno che volto avesse mia madre.

-Daften io ti voglio un bene immenso. E ti vedevo cambiato. Come potevo permettere che te, che sei stato quasi come un padre per me, ti facessi corrompere da tutto questo? Una guerra alleati con i Vurkaniani? La trovavo una cosa impossibile e stupida. E, pur di farti aprire gli occhi ti ho insultato, ho detto parole che al solo ripensarci mi vergogno e ho... mutilato e umiliato il nostro alleato. Ho sbagliato... e mi pento... ma voglio che tu sappia che l'ho fatto per te.-

Daften tacque, ma passarono pochi secondi prima che Robert rivedesse il suo sorriso.

E mai nulla sarà più gratificante.

-Lo so, Robert. Non devi sprecare tutte queste parole per chiarirmi la mente. È già abbastanza chiara.-

-Sprecherò tutte le parole che conosco per te, fratello.- le parole uscirono con naturalezza perché erano vere.

Daften non accennava a far sparire quel sorriso e Robert non voleva vederlo svanire. Era lo stesso sorriso di quando lo vedeva abbracciato ad Adele.

-Sei anche consapevole che ormai non si torna indietro. Marceremo, andremo comunque in guerra. Questa è un opportunità di farci tornare com'eravamo un tempo, di dare nuova linfa vitale a questo grande regno che giorno dopo giorno sta morendo.-

Robert annuì. Non si aspettava altro e come sempre sarebbe stato al suo fianco. Questo era ciò che erano, guerrieri. Questo era ciò che sapevano fare. Questo era ciò che sarebbero sempre stati e nulla poteva cambiarlo.

La vera forza sta nell'apprezzare ciò che si è, anche se hai dei dubbi. E cercare di trarne il meglio, qualunque cosa sia. Proprio come fece Nordor, immagino.

-E io sarò al tuo fianco, qualunque cosa accada.-

Daften annuì.

-Questo già lo sapevo. Ora l'unica cosa da fare è aspettare che arrivi Argon. Ormai è giunta l'ora. Quando le Corazze Nere giungeranno qui e attraverseranno le nostre mura sarà il momento in cui tutte le cose da fare dovranno essere fatte. Non si torna più indietro, fratello.-

-E riguardo a ciò che è successo?-

-Diremo a Gorander di inventarsi qualcosa.-

Robert schioccò la lingua scocciato.

A volte sa proprio essere una testa di legno.

-Gli Emissari, a Vurkan, sono tenuti in grandissima considerazione. Vengono marchiati a fuoco, Gorander ha sicuramente il simbolo del vulcano da qualche parte nel suo corpo. Sono uniti da un patto sancito dalle fiamme col loro re. Non possono mentire al sovrano del Vulcano.-

Daften si toccò la barba grigia.

-Allora chiariremo il malinteso, Gorander ci appoggerà.-

Robert, dopo un attimo di esitazione, annuì.

-A questo proposito voglio proprio parlare con lui.-

-è nell'infermeria, sotto le cure della Vecchia Sgona.-

Siamo fortunati che sia ancora vivo allora. Quella vecchia megera, già è tanto se cura un Nordico, figurarsi un Fiammifero.

-Cerca di usare le giuste parole. Io ci ho già parlato.-

-E che ha detto?-

Daften sospirò. -Robert lo abbiamo picchiato e tu l'hai mutilato. Sai già cosa può aver detto. Sa essere ragionevole, con me lo è stato almeno. Ha capito che la situazione lo portava sotto una luce sfavorevole. Ma non so dire se con te lo sarà.-

Spero sia ragionevole pure con me.

-Solo... Robert, cerca di non staccargli nessun altro dito.- disse Daften ridendo.

Rideva nonostante tutto.

Sembra avere otto anni, miseria.

Be' gli voglio bene anche per questo.

-Farò del mio meglio.-

Suo malgrado e nonostante la situazione per niente divertente si ritrovò a ridere pure lui.

 

Andando verso l'infermeria del castello venne trattenuto.

Anche se a dire il vero decise lui di fermarsi appena la vide.

Shereen, la serva mezza vurkaniana, stava placidamente appoggiata ad una colonna, vestita di un umile veste nera.

Appena vide Robert avvicinarsi si mise diritta sull'attenti e poi si inchinò dolcemente.

Per quanto un inchino possa avere un po' di dolcezza.

-Non vi avevo visto arrivare, mio principe.- disse lei timidamente.

-Oh questo l'avevo notato.- disse Robert, ma il suo sorriso riuscì a calmare la serva.

Robert rimase ad osservarla e lei lo guardò, cercando di capire cosa volesse.

-Mio principe?-

Dovrei parlare, probabilmente.

-Sai... le cose che mi hai detto due giorni fa mi hanno fatto pensare. Si può ottenere qualcosa senza usare la forza? Si può difendere senza la violenza? Da queste parole ognuno può trarne diversa conclusione.-

-E voi che cosa ne avete tratto, se mi è permesso saperlo?- chiese lei con sguardo curioso.

-Che per me non è possibile essere ciò che non sono. Ognuno nasce in un modo e continua la sua vita seguendo la strada per lui migliore. C'è chi può fare ciò che hai detto ma quello non sono io. Io sono un guerriero e sono sicuro che sei consapevole che di gente come me questo regno ne ha sempre avuto bisogno, ora più che mai. Lascio a qualcun altro il compito di trarre il significato che intendi tu a quelle parole. Io ne ho tratto il mio. L'unica cosa che so usare è la spada e la cosa che so fare meglio è combattere. Questo è ciò che sono.-

Mi sono liberato da un grande peso finalmente.

Lo sguardo di Shereen era di palese delusione.

Speravi che diventassi un pacifista tutto d'un tratto? Ho passato la mia gioventù a combattere e non desideravo altro che vedere i bruti morti nel campo di battaglia e di avere in pungo la mia spada sporca di sangue. La pace non mi si addice, ora lo capisco.

Infine, Shereen parlò.

-Siamo consapevoli di ciò che siamo ora... ma credo che non lo saremmo mai abbastanza per ciò che potremmo essere in futuro.-

Dicendo questo, chinò cordialmente la testa e se ne andò.

 

Il Castello aveva una propria infermeria in cui venivano curati i servi e ovviamente il re e i suoi familiari. Trovò Gorander disteso su un letto, la mano accuratamente fasciata, il volto pareva smagrito e gli occhi erano contornati di nero. I capelli neri erano scompigliati e il suo sguardo era abbassato sulla sua mano, come se fissarla potesse far ricrescere le dita.

Quando lo Skaraahad mi aveva tagliato il fianco avevo fissato a lungo la ferita sperando in una qualche cura miracolosa, invece bruciava sempre di più. Gli artigli di un Predone sono crudeli, affilati come poche lame e un minimo taglio brucia come l'inferno. Di certo peggio di un pugnale nordico, mio caro.

Robert si avvicinò a Gorander ma il vurkaniano parve non notarlo. Robert tossì per farsi notare ma non servì a nulla.

Attese, sperando che Gorander smettesse di guardare la sua mano.

Robert si sedette sul letto vicino a quello in cui era disteso Gorander e appoggiò i gomiti alle sue ginocchia.

-Cosa sei venuto a fare qui?- chiese Gorander. La sua voce non era più chiara e sonora, bensì raschiata, come se avesse un fuoco che ardeva nella sua gola.

-Non è ovvio? Sono venuto a chiederti scusa.- disse Robert indicando timidamente la mano del poveraccio.

Gorander volse lo sguardo dall'altra parte.

-Non me ne faccio un cazzo delle tue scuse.-

Robert guardò per terra, senza sapere cosa dire.

-Hai ragione, non te ne fai nulla. Ma io farei molto col tuo perdono. Farei tesoro delle tue parole che siano insulti o altro.-

-Potrei non dire nulla.- sbuffò Gorander.

-Allora farò tesoro del tuo silenzio.-

Robert continuò a guardarlo ma Gorander non disse una parola.

Ti aspettavi diversamente? Era ovvio che non avrebbe detto nulla. O questo o una marea di insulti e sinceramente preferisco il silenzio.

-Io ti chiedo scusa, Gorander. Ero accecato dalla rabbia e non ho visto chiaramente, anzi ho visto solo quello che volevo vedere, ed era la cosa sbagliata.-

Ancora silenzio.

Robert sospirò e si alzò, avviandosi verso la porta.

-Sai... mio padre era Lakaviano.- disse piano Gorander.

Robert si fermò all'improvviso e si volse.

Forse avrebbe ricevuto qualche parola, ma non sembravano insulti.

Per ora.

-A Vurkan un tempo, quando non aveva ancora questo nome, vivevano due etnie differenti. I Vurkaniani e i Lakaviani. I primi più bellicosi, aggressivi e con un esercito più forte, i secondi poco più di tribù disorganizzate. Io sono mezzosangue, in me c'è il sangue Lakaviano, sono troppo basso e magro per essere un Vurkaniano a tutti gli effetti. Mio padre si chiamava Konner. Era un uomo furbo, astuto, abile nel combattere, difensore dei diritti dei Lakaviani. Quando mio padre decise di ribellarsi a comandare Vurkan c'era Vashtar, il padre dell'attuale re. Egli era un uomo... terribile. Voi nordici non potete immaginare la sua spietatezza, la sua crudeltà.-

Robert pensò al suo bisnonno, Yormundur Holdar I, aveva la tendenza a scuoiare i suoi nemici e usare le loro pelli come mantelli.

Oh rimarresti stupito di quanti re folli ci sono stati in questo mondo.

-Ero un ragazzino quando mio padre unì le tribù contro Vashtar. Per due soli mesi resistettero, poi il nostro villaggio venne distrutto e noi venimmo presi come schiavi. Io venni marchiato come Emissario in tenera età e fidati, ebbi la sorte migliore. Mio padre e tutti gli altri uomini adulti del villaggio vennero sciolti nella piscina di lava al centro della città. Io vidi tutto, chiuso nella mia gabbia come un animale selvatico. Alle donne toccò una sorte ancora peggiore della morte. Presero anche mia sorella, cercai di difenderla ma fu inutile. Allora, pur di impedire che gli venisse fatto del male, dissi che avrei subito svolto il mio compito di Emissario. Venni mandato a rappresentare Vurkan ovunque ve ne fosse bisogno, camminando per chilometri e chilometri. Vashtar notò una mia ottima capacità e mi mise sotto la sua ala protettrice. Mia sorella fu risparmiata... almeno in parte. Quando Vashtar morì gli successe il figlio, che a quel tempo aveva la mia stessa età.

-Argon è ben diverso da suo padre ma ogni volta che lo guardo, ogni volta che sento la sua voce... penso a suo padre, a quel mostro e... un brivido gelido affligge tutto il mio corpo. Penso agli errori che potrei commettere e penso alla punizione che potrei subire. Io e il mio re siamo praticamente cresciuti assieme, io non sono un semplice suddito, sono anche un suo amico... se così si può dire. So che la punizione che mi infliggerebbe sarebbe insignificante ma... ogni volta ripenso a quello che suo padre fece al mio e... e tremo, Robert, tremo come una foglia per paura che dietro quell'uomo ci sia anche solo un pizzico di suo padre. Perciò, devi capire, che io non farei mai NULLA contro la volontà del mio re, nulla. E ora sai il motivo, perché ho paura.-

Robert era rimasto immobile, paralizzato dalle parole del vurkaniano. Parole dette con una tristezza indicibile. Gorander gli aveva raccontato la sua vita e quanto aveva sofferto e vide chiaramente che gli occhi dell'Uomo Rosso erano lucidi.

Cos'ho fatto a quest'uomo? Dovrei solo vergognarmi. Sono un verme, non valgo nulla. Ho umiliato un uomo che ha attraversato mille dolori per essere qui, ma la mia rabbia e il mio odio non mi hanno fermato nemmeno per un istante. Dovrei solo vergognarmi.

Si rese ben presto conto che non sapeva cosa dire, ogni parola sembrava superflua, inutile, banale.

Optò allora per la scelta più ovvia.

-Perdonami.- disse semplicemente, la voce rotta dal nodo alla gola che le parole di Gorander avevano provocato.

Gorander si asciugò le lacrime e annuì.

-Ti perdono.-

 

Ormai mancava poco, Argon Falltayer, con le sue settecento Corazze Nere stava giungendo ad Icehold. In tutta la città i vurkaniani parlavano dell'abilità strategica del loro re. Robert parlò con un paio di vurkaniani giù alla locanda e si rese conto che i fiammiferi non erano poi così male. Gli parlarono di com'era organizzato l'esercito Vurkaniano.

-Colui che guida le Corazze Nere, la guardia del castello, è l'Armatura Ardente Korsak Demyrost, il guerriero più forte dell'Est. La sue pelle arde quanto la lava si dice, anche se io non l'ho mai toccato e la sua armatura è talmente nera che sembra fatta di oscurità pura. Poi abbiamo la Cavalleria dei Destrieri Infuocati, mille cavalieri coi loro destrieri dipinti di rosso, dovreste vederli principe quando vanno alla carica. Poi abbiamo i cannoni di lava, gli ha inventati un tipo parecchio intelligente. Sono dei marchingegni strani ma dannatamente dolorosi che sparano lava come se fosse acqua. Solo che questa ti scioglie quando ti tocca.-

Robert rimase stupito soprattutto dei cannoni. Aveva sentito parlare di quei cosi ma vederli dal vivo sarebbe stato diverso. E vederli all'opera... be' era un bene che la lava puntasse i suoi nemici.

-E di sua Maestà Argon Falltayer che mi dite?

I soldati si guardarono a vicenda.

-Di certo non mi aspetto che lo insultiate.- disse Robert sorridendo.

Uno dei soldati ricambiò il suo sorriso, era più vecchio degli altri, pareva coetaneo di Robert.

Non giudicare gli altri anziani, lo stai diventando pure tu piano piano.

-Qualunque re sarebbe stato meglio di Vashtar, questo io dico. Quel tale era un vero pazzo e, me lo lasci dire Principe, se fossi stato in voi e al posto di Sua Maestà di fosse stato suo padre be'... un'alleanza sarebbe stata una pessima idea.-

Un soldato si affrettò ad entrare nella conversazione.

-Re Argon è sicuramente un brav'uomo, certo deve vivere all'ombra del padre che, detto tra noi, è un ombra molto oscura. Ma è un brav'uomo e credo che quest'alleanza sia positiva per entrambe le parti.-

Robert annuì, sufficientemente convinto da quelle argomentazioni.

-è ora che vada al castello, devo aiutare il Re per l'accoglienza del vostro sovrano.- si congedò con un cenno della testa e i tre soldati lo salutarono con inchini formali. Mentre si avviava verso il castello non poté fare a meno di guardarsi attorno e ammirare la sua città. Icehold, La Perla del Nord, la Roccaforte del Gelo. Quella città venne addirittura invasa, centinaia di anni prima. Furono gli Spettri del Gelo a compiere questo gesto. Da ragazzino il suo tutore gli aveva raccontato, nelle notti gelide e ventose del Nord, di quei tempi, tempi ora lontani ma mai dimenticati, furono la fine dell'Epoca d'Oro, fu quando molti popoli svanirono e ben pochi sopravvissero. A quel tempo il Nord si dimostrò superiore agli altri regni e resistette strenuamente all'avanzata del Gelo Inarrestabile. Robert passò a fianco della Casa Polare, un grande edificio che un tempo fu la dimora dell'uomo che guidò il Nord durante il Grande Gelo, Skaring L'Arrestagelo, uno dei Tre Grandi Campioni del Nord.

Il primo fu ovviamente Nordor, il padre fondatore della dinastia Holdar e primo Re del Nord, il secondo fu Fannir Re dei Sepolcri, colui che introdusse la religione nel Nord, il terzo fu Skaring.

Il Grande Gelo fu un fatto terribile che scosse il Grande Continente, prima ancora della nascita di Noveria, di Aquamar e di Vurkan. Silgvander, lo Stregone del Gelo, era uno degli antichi Padroni Elementali, Quattro uomini antichi come il mondo stesso che si dice avessero creato il Grande Continente stesso grazie ai loro poteri. Essi erano Fyuma, Stregone del Fuoco, Berstold, Stregone della Roccia, Tharastyll, Stregone del Tuono e Silgvander, Stregone del Gelo. I Quattro vissero in armonia finché Silgvander non iniziò una ricerca che lo portò nei luoghi più oscuri e nascosti del Nord, fino a giungere nell'Isola di Iskelard, l'isola del gelo assoluto. Lì andò alla ricerca della Lama del Gelo, o Krjotard. Essa era un arma ancora più antica dei Quattro e nemmeno loro, nell'alto della loro conoscenza, seppero mai da dove veniva. Quell'arma però era di una potenza sconvolgente e amplificò a dismisura i poteri di Silgvander permettendogli di evocare gli Spettri del Gelo o Elementali del Ghiaccio. Quegli esseri erano mostruosi, ogni cosa che toccavano finiva congelata e senza vita. Invasero tutti i regni antichi e furono la causa della distruzione di alcuni di essi, come Zarkan, la cui Fiamma Eterna venne spenta per il tocco degli Spettri. Il popolo dei Traviani venne sterminato e le loro regge dorate crollarono. Il Gelo attanagliava il mondo e Silgvander, carico del potere della sua spada, compiva razzie e stermini. Fu in quel momento oscuro che si erse la figura di Skaring. Le leggende narravano che fosse l'uomo più forte del Nord, che la sua ascia potesse tagliare le montagne e addirittura che avesse misteriosi poteri. La sua figura, per fama, superava quasi quella di Nordor. Da ragazzino Robert ricordò di essere rimasto incredibilmente affascinato dalla figura di Skaring l'Arrestagelo, un guerriero implacabile che giungeva di notte, accompagnato dalle urla di guerra dei suoi compagni e il ghiaccio si crepava alla sua sola presenza. Nel vecchio tomo in cui Robert aveva letto le sue storie c'era pure un disegno e quello lo ricordava perfettamente. Un uomo alto, dai corti capelli biondi, quasi bianchi, poco distanti da lui i suoi compagni urlanti e in cielo, come sfondo, la luna piena che lo illuminava e il gelo ai suoi piedi che si crepava.

Da ragazzino cercavo di prenderlo come esempio, ancora più di Nordor. Lui era il guerriero tenebroso, di poche parole, il cui arrivo provocava il terrore nei propri avversari, colui che poteva parlare con gli orsi del nord e portarli al suo fianco, colui che con un tocco distruggeva i ghiacciai. Skaring aveva difeso Icehold per cinque mesi, mentre gli Spettri dei Ghiacci saltavano in modo inumano le mura e gelavano il sangue dei soldati. Aveva difeso la sua città contro delle bestie inumane e c'era quando i popoli sopravvissuti si unirono per affrontare Silgvander nella Spada dei Re Freddi assieme ad Ulfric Mangiafuoco, Lysandrus il Giovane, Novarak l'Implacabile e Zermon, l'Ultimo degli Zarkani. Da ragazzo mi rispecchiavo in lui ma... ora mi accorgo che siamo molto diversi e invecchiando ho scoperto che gli eroi delle leggende vivono solo in esse.

Continuò la sua camminata verso il castello, cercando di allontanare tutti quei pensieri ma, vicino ad una locanda, vide suo zio intento a raccontare chissà quale storia a due uomini.

Il vecchio non ha mai disdegnato una bevuta in una locanda assieme ai suoi soldati e nemmeno una bella cantata assieme a loro. Certo l'intonazione non era poi tanto importante.

Con qualche goccia di vino in più il calmo Bjorn diventava un festaiolo parecchio rumoroso.

Bjor lo vide e gli fece segno di avvicinarsi.

-Robert, figliolo vieni qui, su! Sto parlando con i due guerrieri che con grande coraggio hanno difeso il castello!- disse Bjorn urlando e i cittadini vicini esultarono. Assieme a lui c'erano Hosttmar e Walgard, che recentemente stavano godendo di una certa fama. Si trovavano in un tavolo situato all'esterno della taverna dell'Occhio Bianco, taverna assiduamente frequentata da suo zio.

-Oste! Oste porta un bicchiere pure per il principe! Devo dirtele io queste cose? Suvvia!- disse suo zio ridendo.

Robert pensò che stare un po' con loro di certo non avrebbe rovinato l'alleanza con Vurkan. Nei tavoli vicini Vurkaniani e Nordici discutevano assieme e ridevano.

Sembra tutto così assurdo. Ma è bello e non avrei mai pensato potesse succedere.

L'oste si affretto a portargli un bicchiere pieno di vino rosso profumato.

-Esisterà mai qualcosa più profumato e delizioso del vino, amici miei? Non credo!- disse Bjorn e tutti brindarono e bevvero.

Robert guardò suo zio sorridendo e gli sbatté con forza la mano sulla spalla.

-Ti vendo in forma, vecchio.-

Bjorn annuì in modo esagerato.

-Puoi ben dirlo! E sai perché?-

-Mi piacerebbe saperlo, infatti.-

-Perché questi Vurkaniani non sono affatto male!- e i Vurkaniani nei tavoli vicini, sentendo le sue parole, brindarono nuovamente.

Walgard sbatté con forza il pungo sul tavolo.

-Ah è in questi momenti che capisci perché ti manca il Nord! A Noveria, negli anni che ho passato lì, non ho mai trovato l'atmosfera delle locande nordiche e nemmeno le belle cameriere!- disse sculacciandone una che passava lì vicino.

-Però loro hanno pensato bene di lasciarti un ricordino.- fece notare Hosttmar indicando i baffetti curati del suo compagno.

Walgar le li lisciò con cura.

-Credo mi stiano molto bene e le ragazze lo adorano, sempre meglio di quel buco che ti ritrovi al posto dell'orecchio!-

Hosttmar mise le mani attorno all'orecchio mancante.

-Che hai detto? Non ti sento!-

Tutti risero rumorosamente, Bjorn ancora più forte degli altri e anche Robert rise di gusti, finendo il suo bicchiere con un lungo sorso.

Quell'atmosfera gli ricordò gli anni di gioventù, quando dopo ogni scontro con i bruti lui e Daften e il resto dell'esercito andavano in ogni locanda della città a brindare e festeggiare con le cameriere.

Bei tempi. Ora che ci ripenso, cazzo... erano davvero bei tempi. L'indole del guerriero riaffiora. Spargi il sangue, rimani disorientato ma quando capisci di essere vivo nulla può fermare la tua gioia.

Dopo le le risate si furono fermate, Robert guardò Hosttmar e Walgard, che sembravano meno ubriachi di Bjorn.

-Voi come state, dopo tutto quello che è successo?-

Hosttmar si grattò il buco che aveva al posto dell'orecchio.

-Be' sai com'è... rimani sconvolto nello scoprire che quello che pensavi fosse il peggiore degli stronzi... in realtà era uno apposto.-

-Già. Devi cercare di vivere col rimorso delle cose che hai detto e che hai fatto ma l'importante è chiarirsi. E dopo una situazione simili credo che, se si risolve, può nascere una grande fiducia.- disse poi Walgard, riferendosi chiaramente a ciò che Robert fece a Gorander giorni prima.

Robert annuì convinto. -Sì, credo tu abbia ragione.-

-Avete parlato con Gorander, mio principe?- chiese Hosttmar.

-Sì, ci ho parlato.-

-E?-

-E abbiamo chiarito.-

Hosttmar sorrise.

-Allora speriamo che nasca una grande fiducia che possa ardere come la lava di Grantizzone!-

Robert sorrise e si rese conto di essere convinto di ciò. Ora aveva capito Gorander, ci aveva parlato, aveva chiarito. E si rese conto che parlando si potevano risolvere molte cose e non era nemmeno male.-

Difendere senza ferire. Risolvere senza combattere.

No, non pensare a questo. Non è proprio il caso.

-Riguardo all'attacco al castello?- chiese Robert, nel frattempo Bjorn stava parlando animosamente con gli uomini del tavolo a fianco.

Walgard si lisciò nuovamente i baffi.

-Erano i bruti, abbiamo controllato i cadaveri e tutti loro avevano il simbolo del Clan del Lupo Nero. Ci siamo aggirati verso i Colli Settentrionali alla ricerca di traccie e c'era un accampamento ma nessun bruto. Probabilmente sono ritornati ad Iffrith. Ho chiesto a qualche abitante del luogo e gira voce che abbiano un nuovo Leader, un uomo molto coraggioso a quanto pare. O molto stupido.-

Hosttmar si scrocchiò le dita innervosito, Robert sapeva anche perché. Ce l'aveva a morte con i bruti, si erano presi il suo orecchio anni fa e da quello che vedeva anche un po' della sua testa, dall'orecchio infatti partiva un brutto taglio che proseguiva fino alla spalla.

-Sono come formiche, non finiscono mai e hanno la brutta abitudine di trovare sempre un capo combattivo. Lo ammazzi e credi che sia tutto finito ma poi quegli stronzi se ne trovano un altro e poi un altro ancora. Ribelli schifosi convinti di essere padroni di un posto che non gli appartiene, primitivi e legati a tradizione svanite da centinaia di anni.-

Robert guardò Hosttmar e notò che si stava innervosendo sempre di più.

-Deve sapere mio principe che io li odio non solo per questo.- disse l'uomo glabro indicando il moncherino.

-Quei vermi mi hanno portato via anche altro. E questa ferita... non è nulla rispetto a quello che mi hanno portato via. Quando odi così tanto qualcuno, mio principe, non può nemmeno immaginare la gioia che si trae nell'ucciderlo. Non nego di aver desiderato ardentemente di uccidere il loro vecchio capo, ma mi sono dovuto accontentare di uno di loro. Ma dopo che lo uccisi... mi sentì esattamente come prima e... ucciderli mi fa sentire meglio. Mi consideri pazzo ma traggo grande soddisfazione dall'ucciderli. Generalizzare il proprio odio è da folli? Sì, lo è. Ma se ciò mi fa stare meglio e allevia per pochi istante il mio dolore allora non mi importa.-

Guardò i due e si grattò nuovamente l'orecchio mancante.

-Ci tenevo che voi lo sapeste, principe.-

Allora non era solo una ferita. Ce n'era un altra. Gli è stato tolto qualcosa che non può essere recuperato, qualcosa che nessuno potrà ridargli.

-In questi tempi tutti abbiamo perso qualcosa o ancor peggio qualcuno.- disse Walgard.

-Oppure abbiamo compiuto delle azione che ci hanno portato nella strada sbagliata, che ci hanno fatto perdere la retta via. Sete di potere, di fama, di ricchezze possono condurre un uomo verso sentieri oscuri, mio principe. Io questo lo so. E quando si perde qualcuno che si ama, io credo che perdere la retta via sia tristemente possibile.- disse Walgard guardando Hosttmar ma Robert non poté far altro di pensare che il cavaliere stesse anche parlando di se stesso in un certo modo.

Robert li guardò entrambi e sorrise.

-Sono felice che mi diciate queste parole.-

-Abbiamo combattuto assieme. Quando due uomini affrontano la morte uniti e ne escono vittoriosi il legame tra di loro è forte e quando sono in tre a combattere assieme il legame è ancora più resistente.- disse Walgard e Hosttmar annuì sentendo quelle parole. Robert si ritrovò ad annuire rapito da quelle parole, era dannatamente d'accordo con il cavaliere. Vecchia tradizione nordica, incredibile che qualcuno la ricordasse ancora. Due uomini che collaborano e vincono sono legati dal fato, il destino ha di certo qualcosa in serbo per loro, quando sono in tre allora il destino ha le idee molto chiare. Poi guardò Bjorn.

E quando sono in quattro?

Allora il destino mette in gioco le sue carte.

Robert iniziò a provare grande rispetto per quegli uomini, uomini uniti dallo stesso stendardo, abitanti dello stesso regno e cittadini della stessa città, uniti alla difesa dello stesso re ma tutti allo stesso livello. Perché in battaglia, quando combatti e soffri tutti sono uguali, non ci sono differenze. Quando aveva combattuto con loro aveva sentito un legame che andava oltre la mera forza fisica, era un legame che solo un vero nordico poteva capire. Quel legame che si forma tra uomini che hanno lottato e hanno vinto, che hanno resistito assieme, fino all'ultimo respiro. Ricordava delle vecchie parole, scritte in un altrettanto vecchio tomo: “Quando degli uomini collaborano e vincono il legame tra loro è sancito dalle catene del destino. Questi uomini potranno cadere, potranno vedere ciò che amano svanire ma resteranno assieme e continueranno a lottare. Nemmeno la morte potrà fermarli.”

Sentì il possente braccio di Bjorn avvolgergli le spalle. L'alito del vecchio era carico del profumo di vino, anche se unito al suo alito il profumo era decisamente sparito.

-Guardatelo! Osservatelo bene, amici miei! Egli è il Guerriero di Ghiaccio! Quanti bruti tremano di paura al solo udire il suo nome? Quanti di quei ribelli sono caduti per mano sua?-

-Una moltitudine!-

-Robert!-

-Principe Robert!-

Il baccano fu assordante, si unirono anche dei cittadini lì vicini, vecchi, donne e bambini.

Bjorn costrinse Robert ad alzarsi, per farsi vedere bene da tutti.

-Mai nel Nord c'è stato un uomo più abile con la spada! Ad Iffrith sussurrano il suo nome ma hanno il timore di dirlo ad alta voce. Il vecchio capo dei bruti appena lo vide cavalcare verso di lui si dice che lo scambiò per Skaring l'Arrestagelo!-

Degli uomini si ritrovarono ad annuire e Robert sorrise, quei tipi nemmeno c'erano quel giorno.

-Lui non si è mai vantato delle sue gesta, vero? Un guerriero silenzioso, che motivo c'è di vantarsi? L'unica cosa che deve fare è combattere e, signori, lo fa maledettamente bene!-

Esultarono nuovamente e alcuni di loro vollero arricchire il racconto con qualche dettaglio.

-Io c'ero nella battaglia dei Boschi Glaciali! Ho visto il principe uscire dalla nebbia sul suo destriero, i bruti hanno pianto al solo vederlo!-

-Dicono che abbia ucciso un bruto a testate!-

-è vero, lo confermo. Spaccò la testa del suo nemico con la sua stessa testa. Poi ruggì di rabbia e si lanciò all'assalto. Io stesso provai timore.-

-Ha sconfitto in duello Grendel Testadura, quel bruto grande come un troll delle storie. Io reggevo uno degli scudi che delimitava l'area. Lo uccise spaccandogli la testa con la sua spada e dimostrò che “Testadura” era un pessimo nome per lui!-

-è sopravvissuto ad una caccia di Skaraahad anni fa. Ha ucciso da solo sette di loro, anche se quelle bestie lo aveva tagliato in più punti.-

E si aggiunsero altre voci ancora.

Ricordano cose che io stesso col tempo avevo dimenticato.

Nella battaglia dei Boschi Glaciali aveva avuto paura come mai in vita sua. Una fitta nebbia, urla da ogni parte ed erano urla straziante, disumane. I bruti erano apparsi come demoni avvolti in folte pellicce. Alcuni soldati se l'erano fatta sotto e avevano pianto. Altri ancora erano scappati ed erano stati ammazzati dai loro compagni sotto suo stesso ordine. Poi il caos, un rumore assordante di metallo che colpiva metallo, interiora che uscivano da corpi ormai morti, suoni disumani. Aveva iniziato a vedere offuscato e come in molte battaglie che aveva affrontato in gioventù aveva perso la ragione. Ricordava pochissimo della battaglia, ma se le storie erano vere aveva combattuto bene e in modo alquanto brutale. Gli capitava spesso in battaglia, soprattutto da giovane, perdeva la testa ne non capiva più nulla, l'unica cosa che sentiva era la sua lama che affondava nella carne dei suoi nemici. La nebbia rendeva quasi impossibile capire chi si stava colpendo, ad un certo punto aveva fatto un fendente dritto verso un ombra alla sua sinistra e non aveva nemmeno guardato chi era, era andato avanti per la sua strada. Solo alla fine della battaglia, dopo lo smarrimento, si era chiesto se quell'ombra fosse un nemico o un amico.

Quella testa l'aveva spaccata, era vero, e l'aveva fatto con la sua stessa testa. La testa dura di un giovane guerriero nel pieno delle forze. Ricordava di essersi lanciato contro un bruto, un uomo con un occhio bianco come la neve e i capelli sporchi. Nel caricarlo aveva lasciato cadere la sua spada e si accorse con gioia che anche il suo nemico era privo di armi. Si avvinghiarono uno sull'altro, scalciando, grugnendo, emettendo suoni senza senso. Il bruto aveva stretto i suoi polsi e gli aveva impedito ogni altra mossa. Perciò decise di usare la testa. Letteralmente. La sbatté con forza inaudita contro il bruto, un'altra volta, un'altra volta, un'altra volta ancora finché il bruto non mollò la presa. Questo di certo non lo fermò. Afferrò la testa del bruto e continuò a sbatterci la sua testa. Non seppe per quanto andò avanti ma sentì il naso del suo nemico frantumarsi e un dolore enorme avvolgergli tutto il capo come un elmo. Quando finì aveva un fortissimo mal di testa e sentiva il sangue scendere copioso dalla sua fronte. Poi non ricordava nulla ma a quanto pare si alzò urlando e armato di tutto punto.

E riguardo a Grendel... sì, ricordava quella bestia. Un bestione alto più di due metri, armato di un enorme ascia, con gran parte del suo corpo tatuata. I suoi occhi erano di un inquietante viola e le sue braccia erano mostruosamente grosse, molto più di Bjorn. A vederlo sembrava proprio un troll delle storie. L'aveva dovuto sfidare in duello durante un incontro con i bruti, i ribelli tendevano spesso a sfidare in duello qualche soldato di Daften, anche solo per evitare inutili spargimenti di sangue. Certo, quello era avvenuto raramente. Grendel era stato nominato come miglior guerriero dei bruti, capace di rompere il collo di un uomo con una sola mano. Fortunatamente non brillava d'intelligenza e quello fu un grande vantaggio per Robert. Non decise lui di affrontarlo ma gli uomini non facevano altro che inneggiarlo come il miglior guerriero del Nord. Già allora tendeva a non vantarsi delle sue gesta ma a quel tempo, a differenza di ora, avere una famiglia di certo non gli importava. Non aveva nessuno da cui tornare perciò l'abbraccio del campo di battaglia era l'unico che desiderava. Si pentì amaramente di aver accettato quel duello. Certo, aveva vinto, Grendel era morto con la testa spaccata a metà ma nessuno pareva voler raccontare dello stato pietoso in cui venne ridotto da Testadura. Data l'arroganza del giovane guerriero che era non ammise mai di aver provato dolori lancinanti a tutto il corpo per giorni e di non aver chiuso occhio per i dolori alla schiena. A volte sentiva ancora il dolore dell'ascia di Grendel che si abbatteva sulla sua schiena. Aver avuto un armatura resistente fu una gran fortuna.

Riguardo agli Skaraahad, be' avrebbe preferito dimenticarli. Chiunque viva nel Nord ha timore gli quegli esseri e chi non ce l'ha è solo un folle o un idiota. Era partito per una caccia assieme ai nobili Wilfrun e Freddyr, due tipi di cui a stento ricordava i volti. Però quel giorno era terribilmente chiaro nella sua mente. Si era ritrovato all'improvviso a terra, i due nobili fatti a pezzi in pochi istanti. Le bestie delle grotte si erano avvinghiate su di lui e avevano distrutto la sua armatura. Aveva combattuto semi nudo sotto la neve, col gelo che gli entrava fino alle ossa. Le urla stridule di quelle bestie gli avevano quasi distrutto i timpani e non aveva fatto altro che colpire alla cieca, sperando di ucciderne almeno uno. L'avevano riempito di tagli, uno più profondo degli altri, sul costato, gli aveva provocato dolori incredibili per più di un mese. Aveva urlato come un pazzo quando gli avevano ricucito quella ferita e aveva pure pianto come un ragazzino. Anche se questo pochi lo sapevano. Alla fine quegli Skaraahad erano morti, tutti e sette. Nessuno aveva visto la scena ma l'aveva raccontata e ovviamente tutti avevano pensato di arricchire la storia con qualche aspetto che tanto piace ai nordici.

Ripensandoci ora... la mia vita è stata nel campo di battaglia. È lì che mi sono fatto conoscere.

Ma ora quel pensiero non lo disgustava più. Lui era questo, un guerriero, e non voleva più cercare di essere una cosa che non sarebbe mai riuscito ad essere. Lui era fatto per lottare, non per costruire.

Tempo passato a cercare di essere una cosa che non era. Robert non era il principe del cambiamento, ma il principe del campo di battaglia. Ringraziava comunque Shereen per ciò che gli aveva detto, l'aveva fatto riflettere.

-Vedete? Voi stessi narrate le sue gesta e chissà quanti altri ne conoscono altre! Ma, badate bene, non chiedetegli di narrarvene una. Non ama narrare le sue gesta, proprio come Skaring l'Arrestagelo, no? Tutti narravano le sue gesta ma lui non ne parlava mai e sapete perché? Perché quelle gesta erano il frutto di ciò che era, un guerriero del Nord! “Che bisogno ho di millantare le mie azioni? Innanzitutto sono evidenti a tutti e poi sono un guerriero e questo è ciò che faccio” questo disse, lo sapevate?-

Tutti annuirono. Una cosa era certa, da ubriaco Bjorn era molto più bravo a fare discorsi.

-Io credo che non esista un guerriero come lui in tutto il Nord. L'ultimo grande guerriero fu Ajskel Unamano ed è tornato alla terra venticinque anni fa ormai!- disse un vecchio dai pochi capelli bianchi, talmente piegato da essere quasi gobbo.

Robert era giovane quando Ajskel era tornato alla terra, suo padre l'aveva conosciuto e anche Bjorn. Robert l'aveva visto per pochi minuti molti anni fa, quando era un giovane ragazzino che guardava con incredibile ammirazione tutti i grandi guerrieri. Ajskel era più di un uomo ma un guerriero nato. Uccise il suo primo uomo a sei anni, spaccandogli la testa col suo martello. Aveva perso una mano combattendo contro degli Skarahaad ma nonostante fosse monco reggeva con una mano sola un martello a due mani. Aveva combattuto i bruti assieme a suo padre e aveva pure ucciso Ro'Njor, uno dei barbari dell'Estremo Nord che aiutano i bruti, spappolandolo col suo martello. Tutti dicevano che i bruti raccontavano ai bambini di Ajskel Unamano per convincerli a non addentrarsi da soli nella foresta.

Ora si diceva che i bruti narrassero di Robert Il Guerriero di Ghiaccio, la spietata lama che muovendosi come il vento portava morte e sofferenza.

-Io lo conobbi!- disse Bjorn. -Grande uomo, grande guerriero, grande condottiero! Lo paragonate a una figura di quel calibro?-

-Anche di meglio!- urlarono tutti all'unisono.

Sono tutti d'accordo? Nessuno mi odia o mi vuole vedere morto? Nessuno pensa ancora che abbia ideologie anti-nordiche? Forse l'aver saputo che ho fatto fuori decine di bruti a palazzo ha fatto dimenticare tutto.

Ora che ci penso quasi nessuno ha saputo di quel mio breve cambiamento.

-Quando marceremo verso Sud, cioè a breve, amici miei sarà epico! Il fuoco e il ghiaccio alleati, un eruzione vulcanica e una valanga che alleandosi colpiscono nello stesso momento un nemico inerme! Io vedo grandezza, uomini, io vedo vittoria!-

E tutti esultarono e sbatterono i pugni sui tavoli, i piedi sul terreno, cantarono canzoni vecchie quanto il mondo e i vurkaniani cantarono canzoni dell'Est che narravano del fuoco del vulcano che bruciava ogni cosa, della lava che non lasciava scampo a nessuno.

Almeno noi siamo graziati.

Era decisamente il momento di andare a castello però, si era trattenuto anche troppo a lungo.

-Vi ringrazio per il vostro ardore, siete troppo buoni. Quando marceremo verso Sud mi aspetto di trovare questa determinazione.-

-Anche di più!-

-Il doppio!-

-I froci noveriani dovranno coprirsi con i loro mantelli porpora perché li lasceremo in mutande!-

-La ragazza sarà nostra!-

-Il Nord sarà di nuovo grande e Vurkan sarà al pari di Noveria, un giovane regno che diventa potente e inarrestabile, assieme a noi!-

Robert si allontanò sorridendo, lasciando in quella taverna le urla e i canti.

Chissà quanto durerà questo equilibrio tra le due parti.

 

Spinse Adele contro il muro, pose le sue grandi mani suoi fianchi di lei, gustandosi quella curva perfetta e la baciò con foga. Nonostante tutti gli anni passati assieme baciarla era un emozioni pari al primo bacio che le diede. Le sue labbra così morbide e dolci, la curva dei suoi fianchi, il calore del suo corpo, tutto restava invariato nonostante nemmeno lei fosse più la giovane medica durante la guerra con i bruti. Le loro lingue si scontrarono, come due soldati che combattevano all'ultimo sangue. Lei si staccò dalle sue labbra.

-Cos'è tutta questa foga?- chiese con un mezzo sorriso.

Lui rispose al suo sorriso. -Ti amo, che c'è di strano?-

-Che non ti sei mai stufato dopo tutto questo tempo.-

-Il giovane Robert non c'è più, lo sai. Non uso più le ragazze come se fossero oggetti. E poi avrei paura di assistere alla tua ira.-

Lei rise e lo baciò nuovamente.

Dio perché sto partendo, perché vado nuovamente in guerra a rischiare la vita, forse a morire? Perché lo faccio?

Sapeva già la risposta, se lo ripeteva da quando si era svegliato.

Perché questo era ciò che era.

-Mi dispiace che tu te ne vada ancora.- disse lei con voce lieve.

Lui la accarezzò dolcemente.

-Mi conosci fin troppo bene, sai che per uccidermi ci vuole un gigante di sei metri armato di mazza ferrata. Nel Sud ci sono? No, non mi sembra. Quindi andrà tutto bene.- disse lui cercando di sdrammatizzare.

Lei si accigliò. -Sono seria.-

-Anch'io lo sono!- disse Robert con tono ferito. -Dubiti della mia forza?-

-Non dubito della tua forza, dubito di loro.- Robert capì subito di chi stava parlando.

-La pensavo anch'io come te. Ma ho visto uno di loro, Gorander, salvare la vita di Daften. Sarebbe morto, Adele, e ora noi saremmo senza un re. Io sarei rimasto inerme, vedendo mio fratello cadere al suolo senza vita ma lui l'ha salvato, capisci? Quindi... mi fido di loro.-

-Se un Vurkaniano salva la vita del re, significa che tutti loro sono degni di fiducia?-

Robert scosse la testa. -Non capisci. Per tutto questo tempo ho vissuto con talmente tanta sfiducia dentro di me... vedevo i loro volti e vedevo traditori, approfittatori, assassini. Sai cosa significa combattere a fianco di gente che odi? È terribile, durante la battaglia ti guardi le spalle, pensando che uno di loro potrebbe infilzare la sua lancia sul tuo fianco e farti morire tra atroci sofferenze. Ma io li ho visti giù in città, in una taverna, che ridevano e scherzavano e cantavano pure con altri soldati del nostro esercito. Ho visto un unione, una fratellanza che non avevo mai visto. E allora ho capito, Adele, che tutto questo è possibile. Marciare verso Sud, partecipare a questa guerra, vincerla... credo sia possibile. E io voglio far parte di tutto questo.-

Adele lo guardò dritto negli occhi, senza distogliere lo sguardo per diversi minuti.

Un tempo quello sguardo significava un incazzatura terrificante o una grande scopata. Che le cose siano cambiate? Spero comunque la seconda, ne ho dannatamente bisogno.

-Mi hai convinto. Non ti vedevo così carico da anni.-

-Oh.- disse lui facendo lo sguardo di uno che ne sa molto più di lei. -Non hai visto nulla.-

Lei sorrise.

-So che nessuno può ucciderti. Ti amo anche perché nel tuo abbraccio mi sento difesa, protetta da qualunque pericolo e così è sempre stato. Ti amo perché ho visto l'uomo che c'è dietro quelle cicatrici. Ma a volte dimentico che quell'uomo è comunque un guerriero, il migliore di tutti. Ognuno ha la propria strada da seguire, amore mio.-

Adele iniziò a sbottonargli la camicia.

-Magari troviamo altre vie, che ci portano in tutt'altri luoghi. Sta a noi scegliere se seguirle o andare dritti per la nostra strada. Non credo ci sia una scelta giusta. Ognuno affronta la vita a modo suo. Tu che strada scegli?-

Io che strada scelgo?

Oh maledizione non ce la fate proprio a non farmi queste domande, vero? Vi divertite a vedermi tormentato con tutti questi dubbi vero?

Cerco di sfuggire a quei pensieri con una frase che avrebbe usato molti anni fa, quando era il giovane donnaiolo Robert.

-La strada che ora voglio seguire è quella verso il letto.- disse indicandolo con la testa, lei sorrise di rimando.

Lo stava pensando pure lei? Tutto rimane come sempre allora. E cazzo, sono proprio felice.

La prese tra le sue braccia e la portò nel letto, si mise sopra di lei e si spogliarono a vicenda. In quel momento Robert si disse di godersi quel momento come se fosse l'ultimo. Di goderselo in ogni sua minima sfaccettatura. Ogni profumo, ogni movimento, ogni impercettibile sensazione. Proprio come se fosse l'ultima volta.

Perché forse lo era davvero.

 

Daften era chiaramente nervoso. Stavano arrivando le Corazze Nere e con loro Argon Falltayer, Re di Vurkan e Signore del Vulcano. Daften si scrocchiava nervosamente le dita e si leccava convulsamente le labbra.

-Agitato?-

Daften lo guardò stupito.

-Si nota?-

Robert rise di gusto.

-No, tranquillo. Sembra che invece che sancire ufficialmente un alleanza tu stia per iniziare una battaglia contro di loro.-

Daften sbuffò innervosito.

-Non è del tutto sbagliato. La battaglia non sarà contro di loro ma ci sarà. Ce ne saranno molte.-

-Sì, capita in guerra.-

Daften rimase zitto a guardare il trono dell'Orso. Sembrava guardare quel seggio con terrore. Quello che prima era una semplice sedia per lui ora era diventato il trono vero e proprio. Simbolo di responsabilità.

-Non ti sembra strano? Folle, perfino?-

Robert lo guardò perplesso.

-Di che stai parlando, se mi è permesso saperlo?-

Daften non rispose subito ma continuò a guardare il trono, poi guardò tutta l'ampia sala, con le vetrate colorate che facevano entrare i raggi del sole con diversi colori, come se fossero stati dipinti dalle vetrate stesse. La sala poteva contenere centinaia di persone. Sembrava quasi una cattedrale tanto era grande e maestosa quella sala, nemmeno la sala del Trono Santo del Grande Inquisitore era così enorme e titanica. Resistente come pochi altri castelli del Grande Continente, La Fortezza Holdar di Icehold era praticamente inespugnabile, l'unico modo per conquistarla era attaccarla dall'interno o entrare di nascosto, col favore delle tenebre, come avevano fatto i bruti.

-È folle pensare che siamo degli uomini... che hanno dedicato la loro vita alla guerra. A fare con grande precisione l'arte dell'omicidio. Quante persone abbiamo ucciso nella nostra vita?-

Robert non aveva tenuto il conto, se l'avesse fatto sarebbe di certo impazzito. Decise di non rispondere.

La risposta comunque non la sapeva.

-Una vita passata a privare agli altri uomini di vivere. Mogli private dei loro mariti, figli privati dei loro padri. E sai perché lo facciamo?-

Robert annuì. -Perché è l'unica cosa che sappiamo fare.- rispose.

Daften lo guardò, stupito di aver sentito quella risposta. Però dal suo sguardo capì che era la risposta che si aspettava.

-Sì, è l'unica cosa che sappiamo fare. Il punto è che di gente come noi ce n'è bisogno ora e ce ne sarà sempre. Come possiamo risolvere dei conflitti con la forza delle nostre parole? Le parole non bastano, serve anche il ferro e il fuoco, allora sì che ti ascolteranno. La gente non ascolta chi cerca di psicanalizzare, reagiranno ancora con più rabbia. Incuti loro timore e paura e allora ti ascolteranno fin troppo bene. Ma mi sono chiesto... se qualcuno possa farlo. Ci sarà qualcuno in questa cazzo di terra che è in grado di difendere senza ferire? Di non usare una spada per ottenere ciò che vuole?

Be' io no di certo. Tutto ciò che ho ottenuto l'ho ottenuto con un ascia in mano.-

Robert cercò di trattenere il suo stupore.

Allora non sono solo io a tormentarmi. Siamo fratelli anche nella mente. Anche lui ha passato tutti questi giorni a pensare a questo, a cercare di trovare una risposta a queste domande.

Ma purtroppo pure lui è giunto alla mia stessa conclusione, noi non siamo gli uomini adatti per risolvere questi quesiti.

-Io spero vivamente che qualcuno ci provi, fratello. Questo mondo è marcio e noi non facciamo che peggiorarlo. Ma ormai ho capito ciò che sono già da molto tempo, io so fare solo quello e faccio solo quello. Ma spero con tutto il mio cuore che ci sia un uomo che si prenda questa grande responsabilità. Non dico di cambiare il mondo ma almeno di cambiare il suo regno.-

Robert annuì tristemente.

E io che ho anche pensato di potercela fare. Ci vuole un uomo molto migliore di me per realizzare questo sogno.

-Un uomo ci sarà, verrà senz'altro.- disse Robert, non molto convinto delle sue parole.

Daften lo guardò e annuì. -Sì, lo spero anch'io. Questo mondo è marcio, fratello.-

Sì, lo è.

Doveva dirglielo. Forse non ne avrebbe mai più avuto l'opportunità, stavano per partire in guerra infondo.

-Ti voglio bene fratello, voglio che tu lo sappia.-

Daften lo guardò leggermente perplesso.

-E sono felice... molto felice che ci siamo chiariti. Si torna come da giovani eh? A iniziare una guerra, assieme.-

Daften sorrise e annuì.

-Già. Solo con qualche ruga in più.-

Robert annuì mestamente e un sorriso nostalgico apparve sul suo volto.

-Il tempo ci ha cambiati... però infondo restiamo sempre gli stessi, eh?-

Daften si lisciò la folta barba grigia legata con una treccia.

-Il tempo non è mai stato il mio maggior nemico.-

Nell'aspetto è invecchiato ma è sempre restato il giovane condottiero desideroso di conquiste.

Robert guardò attentamente suo fratello. Con addosso quel farsetto blu, i corti capelli grigi ben lisciati, gli occhi azzurri anche se non glaciali come i suoi e la folta barba ingrigita dal tempo... era ben diverso dal giovane ragazzo dai folti capelli biondo, simili all'oro, dalla barba corta e curata. Gli occhi però mantenevano quella forza e determinazione che sempre l'avevano caratterizzato.

Daften faceva una scelta e quella era la sua scelta definitiva, nessuna seconda opzione.

Anche se qualche dubbio l'ha avuto anche lui. A volte mi dimentico che è anche lui un uomo come me.

Ripensando ora a tutto quello che avevano fatto, tutte le battaglie, i litigi, le strette di mano, gli incoraggiamenti, gli sguardi carichi di rispetto reciproco. Ripensando a tutto questo si sentì fiero. E ne rimase quasi sorpreso.

Fiero di essere stato un ottimo principe.

Fiero di non essersi mai sottovalutato.

Fiero di aver comunque preso in considerazione di cambiare.

Fiero di aver capito ciò che era.

E soprattutto, fiero di aver servito un grande re come suo fratello.

Cercò di dire tutto questo, ma disse solo poche parole.

-Sei un grande re, fratello.-

Daften rimase a guardarlo a lungo e parve leggere nei suoi pensieri, non disse una parole, non emise alcun suono.

Ma Robert, guardandolo, vide chiaramente i suoi occhi illuminarsi di lacrime e una di esse scese dal suo occhio e raggiunse la barba.

Daften si avvicinò e lo abbracciò, una stretta che non voleva lasciarlo sfuggire.

Robert cercò di trattenere le lacrime ma non ce la fece, rispose all'abbraccio ancora con più forza, come se dovesse spaccare la schiena di suo fratello.

Rimasero lì, ad abbracciarsi come la prima volta, quando tantissimi anni fa morì loro madre.

Si godette quel momento, in tutte le sue sfaccettature, in tutte le sue emozioni.

Proprio come se fosse l'ultimo.

Tra poche ore si andava in guerra.

 

La vedetta vide arrivare in tutta fretta i Cavalieri dei Destrieri Infuocati. Destrieri neri come la pece con strane decorazioni rosse. I cavalieri, che vennero accolti in città e che lasciarono i loro cavalli nel grande accampamento che i Vurkaniani avevano creato fuori dalle mura di Icehold, spiegarono che quelli era un antica scrittura dell'Est. Le armature dei cavalieri erano incredibilmente decorate, sembravano quasi l'armatura di un re dell'antichità piuttosto che le comuni armature dei cavalieri. Il Primo Cavaliere, Sheyn Gwynner, spiegò a Robert che i Cavalieri dei Destrieri Infuocati erano i nobili di Vurkan, persone dal grandissimo retaggio, figli della prima Stirpe Vurkaniana che appoggiò Laskan negli anni della fondazione. Laskan affidò agli uomini che lo appoggiarono un titolo e li nomino Cavalieri. Il primo del loro ordine, Ober Gwynner decise di dipingere i destrieri con delle scritte rosse che significavano Ardenti. Sheyn raccontò a Robert in maniera entusiasta di come il suo trisavolo avesse travolto svariate volte i lakaviani con il suo destriero.

Non molto diverso da quello che abbiamo fatto noi ai bruti. Solo che dopo ciò che mi ha raccontato Gorander ascolto queste storie con più freddezza.

Sheyn era un nobile abbastanza altezzoso, un uomo dai capelli rasati ovviamente neri come il carbone, la pelle rossiccia e gli occhi color miele. Di uomini che esaltavano così tanto le loro gesta o quelle dei propri avi Robert ne aveva conosciuti a bizzeffe, Daften stesso era così. Ascoltò le parole di quell'uomo con finto interesse perché venne distratto alla vista dei nobili del Nord e dei Signori della Guerra che raggiungevano le mura. I Nobili Yevelgrinn. Hotjurann, Skerivalym, Hatroyn e tanti altri, tutti coloro che avevano giurato fedeltà al Re. Certo, alcuni nobili non l'avevano fatto, come Wotjrr o Kjeskk, ma erano entrambi nobili inferiori. Avevano deciso di mantenere i loro territori senza pagare i tributi al re. Si aggiungevano altri nobili, ma in un regno vasto come il Nord non avere l'appoggio di poco più di cinque nobili non era nulla. Anche solo avere l'appoggio di Yevelgrinn e Hatroyn era sufficiente. I Signori della Guerra stettero fuori dalle mura e non entrarono, stando nell'accampamento fuori dalle mura. I Signori della Guerra non erano nobili, ma comuni contadini o artigiani che nel corso della loro vita avevano finito per impugnare un arma e combattere, per conto loro però, non per il Re del Nord. Erano stati nominati Signori della Guerra e col passare degli anni erano diventati alleati dei Re dell'Orso. Avevano creato dei veri e propri eserciti ma erano alla stregua di mercenari. Non seguivano gli ordini di nessuno ma lasciavo in pace le carovane se il re lasciava in pace loro. Appoggiavano il Re solo per scopi monetari. Ma Robert sapeva bene che erano dannatamente utili. In tutto il grande esercito del Nord esistevano pochi guerrieri con l'esperienza dei Signori della Guerra. I soldati a guardia delle mura dicevano che nell'accampamento vedevano Shuttor Lo Zoppo, Gernyor Mangiaorecchie e addirittura Occhio Bianco Wyrn.

Wyrn! Non vedo quello stronzo da anni.

Si stupì nello scoprire che sentiva addirittura la mancanza di quel tipo ma... era così. Aveva proprio voglia di abbracciarlo e prendersi le potentissime pacche sulla schiena che quell'ex contadino dava. Avevano combattuto assieme contro i bruti svariate volte e durante l'assedio di Iffrith c'era, aveva scalato le mura come un pazzo, assetato di sangue. Daften lo aveva dovuto fermare a pugni, dato che il leader dei bruti era morto e loro si erano arresi. Robert aveva ringraziato i Signori dei Sepolcri svariate volte per aver reso Wyrn suo alleato e non suo nemico. Avevano pure resistito ad una Caccia degli Skarahaad, sei anni prima. La seconda caccia a cui Robert “partecipò” dopo quella che quasi lo uccise. Senza Wyrn al suo fianco avrebbe di certo ceduto, lo sapeva.

“Possono non sembrare umani, ma sono fatti di carne e ossa e sangue come me e te. La tua spada li taglia a metà e la mia ascia stacca le loro teste. Vedi? Non sono poi immortali! Sono come noi. L'unica differenza e che loro, tra pochi istanti, devono essere tutti morti!” poi era partito alla carica, urlando come un pazzo.

Cazzo ho proprio bisogno di bere con lui. Non lo vedo da quella caccia.

Ricordava con incredibile ardore le feste nell'accampamento durante la guerra coi bruti assieme a Wyrn. Gare di bevute, scontri a mani nude, lancio dell'ascia con i bruti legati inermi come bersagli e ovviamente le notti passate nei letti delle ragazze dei villaggi.

Si era trovato incredibilmente a suo agio in mezzo a quei mezzi barbari.

Già, mi sono sempre trovato a mio agio in mezzo a loro, proprio come se fossi parte del loro gruppo. Come ho fatto a dimenticare tutto questo? Il fatto che mi trovassi a mio agio tra di loro era un chiaro esempio che io, il Guerriero di Ghiaccio, non sono di certo un pacifista.

Chissà se c'era pure Arryn Il Rosso?

Certo era parecchio diverso da Wyrn, ancora più brutale e selvaggio, ma era anche un guerriero dalla forza disumana. Anche se negli ultimi anni non era stato in ottimi rapporto con Daften.

Avremmo bisogno anche di lui, è risaputo il suo odio per il Sud.

Poi Robert ci pensò su.

È anche risaputo il suo odio per Vurkan, che arde furiosamente quanto la lava di Grantizzone.

Sheyn Gwynner tornò a infastidirlo, questa volta parlando della sua città, Grantizzone. Era accompagnato dal suo Secondo, Yon Gwynner, suo nipote, un ragazzo dal naso aquilino e dai ricci capelli neri, i suoi occhi erano giallo scuro, come quelli di suo zio. Il ragazzo aveva una fastidiosa voce nasale e sentirlo parlare era quasi peggiore dei lunghi monologhi di suo zio.

-Dovrai venire a visitare la nostra città, Principe. Grantizzone è la Perla Ardente dell'Est. Una città costruita sulla lava stessa. Potresti visitare la Sala delle Sculture, dove i nostri migliori scultori hanno costruito meravigliose statue di Brightfire, rappresentando i Mangiatori di Salamandre, I grandi eroi di Vurkan! Sono andato verso Est sai, oltre Vurkan, e ho visto con i miei occhi gli Elementali del Fuoco. Ma se non vuoi viaggiare fino a lì puoi venire comunque a Grantizzone, lì abbiamo grandi gabbie in cui racchiudiamo le Salamandre. Avete mai visto quei mostri, mio signore? No immagino di no. Se c'è qualcosa di simile ai draghi quelle sono di certo le Salamandre. E poi è meraviglioso affacciarsi nella propria terrazza e vedere il Vulcano di Grantizzone ergersi in tutta la sua maestosa grandezza!- e andò avanti a blaterare per diversi minuti, riusciva quasi a battere suo zio il ragazzo. Robert fece finta di ascoltare e sorrise ogni tanto giusto per cortesia. Robert fuggì dalla conversazione quando Darwill gli disse di andare al castello da Daften e Gorander.

 

Finalmente la vedetta avvistò le Corazze Nere all'orizzonte, una grande chiazza nera che risaltava sulla neve candida. Gli stendardi rossi col vulcano sventolavano fieri al vento, due cavalli stavano davanti. Uno era il destriero dell'Armatura Ardente Korsak Demyrost l'altro era ovviamente Re Argon Falltayer.

Dal castello, situato in una zona più elevata, la chiazza nera era ben visibile, seppur piccola. Robert indossava un armatura leggera, la sua spada dentro il fodero era ben salda al suo fianco. Si era tagliato la barba e si era stupito, guardandosi allo specchio, di come sembrava più giovane. Daften indossava anche lui un armatura leggera ma era privo di un arma e non portava i guanti ferrati, indossava orgogliosamente la Corona del Nord, in tutta la sua fredda semplicità. Robert era affacciato all'entrata, vicino a lui c'era Bjorn e assieme guardavano il destriero di Argon e quello di Korsak che avanzavano lentamente mentre attorno a loro urla di gioia e canti rendevano impossibile sentire una sola parola.

Argon sembrava piuttosto giovane, nonostante avesse un pizzetto deciso e dei lunghi capelli neri. I suoi zigomi erano marcati e le sue sopracciglia erano estremamente sottili.

-Ed eccolo che arriva.- disse Bjorn.

Robert lo guardò sorridendo.

-Ti sei ripreso dalla sbornia vedo.-

Bjorn si grattò timidamente la testa.

-Già, ho alzato un po' troppo il gomito. Ma ricordo quello che ho detto, eh. E ci credo. Non l'ho detto solo perché ero ubriaco.-

Robert abbassò lo sguardo timidamente e Bjorn posò la sua grande mano sulla sua spalla, proprio come quando era un ragazzino.

-Sono fiero di te.-

Quelle parole furono come una martellata sul cuore.

Ma una bella martellata, una martellata positiva, di cui aveva bisogno. Quell'uomo, suo zio, che era stato alla stregua di un padre per lui... anzi che era stato un vero e proprio padre per lui. Quelle parole dette da quell'uomo... furono l'ennesima bella cosa in quella giornata.

Robert si andò a spostare alla sua sinistra, guardò lontano da lui, sul trono, e vide Gorander. I due si scambiarono uno sguardo carico di significato.

Il loro rapporto era molto cambiato quello stesso giorno.

Shereen ha comunque ragione in parte. Chiarirsi è molto più gratificante di uccidere qualcuno.

Se solo fossi in grado di farlo più spesso.

Ma se lo ripeté per l'ennesima volta.

Questo era ciò che era.

Gli veniva difficile chiarirsi, preferiva l'uso della spada, ma un chiarimento era comunque una soddisfazione, questo dovette ammetterlo.

Gorander gli sorrise e si rese conto che era la prima volta che lo vedeva sorridere, perciò ricambiò con gioia quel sorriso.

Guardò davanti a lui e vide Adele e Darwill uno vicino all'altro. Dietro di loro Bremar e Elda che bisticciavano.

Robert sorrise guardandoli.

Senza usare la spada... era riuscito a fare qualcosa di veramente bello.

Infine guardò Daften. Seduto sul suo trono, circondato dai suoi sudditi e alcuni dai nobili più importanti del Nord, non era più timoroso come ore prima. Adesso era sicuro di sé, lo capiva dal suo sguardo, dalla posizione in cui era seduto. Ora per lui non era più scomodo quel trono.

Argon e Korsak scesero dai loro destrieri davanti al portone e finalmente entrarono. Korsak stava rispettosamente dietro il suo signore e reggeva il suo elmo sotto braccio, Argon indossava un armatura nera incredibilmente istoriata, rendeva quelle dei Cavalieri dei Destrieri Infuocati delle pallide imitazioni. Al centro del suo petto vi era una scritta dell'antica lingua dell'Est che significava Re, le spalle corazzate erano tonde e lisce e dietro di lui svolazzava un lungo mantello rosso che per la sua lunghezza strusciava il terreno. Ora che lo vedeva da vicino Robert notò l'altezza considerevole del Re dell'Est e soprattutto i suoi occhi gialli, talmente chiari da sembrare quelli di un drago delle leggende.

Appena entrato Argon spalancò le sue braccia, come se stesse rivedendo un vecchio amico.

Credo sia più o meno così, lui e Daften si erano mandati diverse lettere negli ultimi mesi. Daften l'ha definito intelligente e astuto ma soprattutto molto diverso da suo padre, ma non per questo meno volenteroso.

E così era finalmente giunto ad un punto di non ritorno. Mentre Daften si alzava e si avvicinava gioviale ad Argon il tempo per Robert si fermò e rimase a guardare Adele, Darwill, Bremar, Elda, Daften, Bjorn e pure Hosttmar e Walgard che stavano poco distanti.

Certe persone non le avrebbe più viste... oppure loro non avrebbero più visto lui.

Non ci trovava molta differenza comunque.

Partiva per un altra guerra, l'ennesima, forse l'ultima. Partiva per qualcosa molto più grande di lui ma almeno, constatò guardando per ultimo Gorander, non ci andava solo. Ma ci andava con un nuovo alleato.

Sperava solo di tornare vivo e di rivedere il sorriso di Adele.

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Capitolo 34
*** Tutto finisce ***


 

Capitolo 30

Tutto finisce

 

Fu un attimo. Un momento di tale velocità che quasi non lo notò.

Fu come addormentarsi dopo una battaglia terribilmente sfiancante. Fu come lasciar andare un sasso in uno stagno, fu come chiudere gli occhi, fu come schioccare le dita, fu come piangere, fu come dimenticare qualcosa di prezioso, fu come abbandonare qualcuno di caro a causa del proprio egoismo, fu come rubare, fu come impugnare un arma per sentirsi importanti.

Fu un attimo.

In quell'attimo crollò tutto su di lui, ogni sogno, ogni desiderio, ogni speranza.

Tutto se ne andò con la lama di un pugnale, la lama che tagliò con rabbia e tradimento.

La lama impugnata da Gorander, che prendendo alle spalle Daften gli aprì un taglio sulla gola che sembrava quasi un sorriso cremisi che guardava beffardo Robert come per dirgli “era ovvio, era chiaro come il sole, ma il tuo orgoglio e il tuo voler vedere il meglio ti hanno reso cieco. Non hai voluto accogliere l'odio e hai voluto accogliere la fiducia e ovviamente hai sbagliato, idiota. E ora resti lì, fermo come un coglione, mentre tutto crolla come un castello di carte.” Gli occhi di suo fratello parvero sconvolti come i suoi ma poi si spensero in un attimo e ciò che priva era vivo ora era morto. Il corpo cadde al suolo e l'armatura sbatté sul pavimento di pietra. Il sangue continuò ad uscire, come una fontana, mentre il pavimento si tingeva di esso e suo fratello stava col volto schiacciato sul pavimento, ovviamente senza lamentarsi.

Non sentì le urla, perché ovviamente ci furono. Solo che lui non ne udì nemmeno una. C'era solo... il nulla. Nessun suono. La sua mano fu troppo lenta per impugnare l'arma, ma la lama vurkaniana che trafisse il suo fianco alle sue spalle fu fin troppo veloce. Il dolore fu improvviso e lancinante, un suono stridulo in quell'assordante silenzio. Estrasse la sua lama e la abbatté sul collo del vurkaniano, mentre il sangue schizzava sul suo viso. Inciampò e capitombolò rumorosamente al suolo. Alzò lo sguardo, mentre vedeva cose indistinte muoversi attorno a lui. Vide Adele urlargli qualcosa, lo capì perché la vide muovere la bocca, i suoi occhi erano spalancati per il terrore. Poi una spada trafisse il suo petto e smorzò la sua voce, anche se Robert non sentì nulla.

Sentì il silenzio farsi ancora più assordante. Darwill estrasse la sua spada e uccise due vurkaniani, facendo segno ai suoi fratellini di scappare. Poi Robert non vide più quei piccoli esserini, nascosti dalla massa di corpi che si scontravano. Riuscì a vedere suo figlio maggiore venir trafitto da una lancia al fianco, però. E poi vide quello stesso vurkaniano finirlo con un colpo d'ascia.

Sentì i suoi occhi inondarsi di lacrime e anche vedere divenne difficile. Notò delle sagome che assomigliavano molto ai nobili che correvano ovunque. La testa di Yevelgreen venne spaccata da un martello e le sue cervella scesero dal suo cranio. Skerivalym venne colpito a un fianco da un ascia, il colpo fu talmente forte che venne quasi diviso a metà, mentre le sue interiora uscivano come se fossero dei serpenti. Non riuscì a vedere Bjorn, Walgard e nemmeno Hosttmar. Sperò fossero vivi ma era difficile. Probabilmente ora nelle mura si stava combattendo. Sperò che Wyrn e Arryn fossero inferociti e che stessero smembrando vurkaniani con le loro mani. Ma era una speranza vana.

L'ultima cosa che vide fu un immagine che difficilmente avrebbe abbandonato la sua mente. Gorander che sorrideva soddisfatto, guardando il corpo affogato nel sangue di Daften e Argon Falltayer, che si sedeva placidamente sul trono del Nord, con al suo fianco il suo fido Emissario, e che contemplava sorridendo la carneficina che si attuava davanti ai suoi occhi gialli.

Poi vide il buio e nient'altro.

 

 

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Capitolo 35
*** Chiunque deve temere il fuoco ***


Capitolo 35

Chiunque deve temere il fuoco

 

Alexy sorrideva, un sorriso che andava da orecchio a orecchio e pareva uno squarcio sulla sua faccia. I suoi denti erano bianchi come la neve ma aveva un livido sanguinante sulla fronte. Deff e Ormon, i suoi amichetti, stavano dietro di lui, ghignando anch'essi. Kalad sbuffò, non era la prima volta che quei tre gli rompevano le palle. Si tratteneva sempre per non pestarli a sangue, cercava di mantenere una condotta onorevole, come suo padre gli aveva insegnato. Ma quel giorno era furioso, arrabbiato, il suo cuore ardeva di un ira spietata. Fossom era morto. L'uomo che era stato come un secondo padre per lui era morto. Era andato nella sua stanza per parlargli , non ricordava nemmeno che voleva dirgli, e l'aveva trovato annegato nel suo stesso sangue. Il suo corpo pieno di fori di pugnale e la sua gola brutalmente tagliata. Aveva avvertito il Gran Maestro dell'Accademia, Fertal Pomysh, e tutta l'Accademia era andata in subbuglio. Kalad aveva cercato di trattenere le lacrime quando c'erano gli altri ma appena aveva trovato il corpo era caduto in ginocchio e aveva urlato, aveva pianto come un bambino appena nato, aveva sbattuto i pugni a terra e aveva abbracciato Fossom, non facendo nemmeno caso al sangue.

“Non piangere, marmocchio. Le lacrime non cambiano nulla. Non portano indietro chi muore, non correggono i tuoi errori, non ti rendono più forte. Ora alzati, impugna la spada e riprova!”

Ma lui aveva pianto comunque e niente lo aveva fermato. Poi, dopo il dolore e le lacrime, era arrivata la rabbia, la furia, l'ira. Voleva trovare chi era stato, voleva guardarlo negli occhi, voleva sentirlo confessare e poi... poi...

Poi l'avrebbe ucciso.

Aveva sedici anni.

E voleva uccidere una persona.

No, Kal aspetta a parlare. Ricorda cosa diceva Fossom, ricordalo bene, stampatelo nella mente e ripetilo fino alla nausea. Lui non lo avrebbe voluto.

Ma Alexy continuava a sorridere, avrebbe cercato di pestarlo? Oppure di derubarlo? L'ultima volta solo perché Kalad gli aveva detto di tacere Alexy e i suoi amichetti l'avevano colto di sorpresa in un vicolo in città e l'avevano pestato a sangue. Almeno una guardia si era avvicinata ed erano fuggiti. Alexy era di Nibeluria, era a casa, conosceva tutte le vie, tutte le scorciatoie per prendere Kalad in caso fosse fuggito. Si trovavano nella Via della Polvere, una via in cui tutti a Nibeluria camminavano in fretta e tenendo la testa bassa. Un ragazzo di un altro corso, Thomas, veniva da lì. Dicevano fosse un ladro prima di entrare nell'Accademia. Alexy non veniva da lì, veniva dalle Tane, a Ovest della città. Lì venivano su solo assassini, stupratori o altro genere di persone. Niente di buono. Alexy era feccia della peggior specie, suo padre era stato ammazzato da Tam Senzadito, un criminale che anni fa provocava il terrore tra le vie di Nibeluria. Il padre di Alexy era un criminale di seconda lega, forse anche terza, ed era stato sbudellato da Tam. Alexy era cresciuto in quell'ambiente. Si diceva avesse già ucciso due persone.

In quel momento, nella larga via buia, non c'era assolutamente nessuno a esclusione di loro quattro

-Allora Gothfresh! Cosa ti porta qui, eh?-

Alexy lo chiamava sempre come la sua città.

-Non sono affari tuoi.-

-E dai Gothfresh, non voglio farti niente di male! Quel... fattaccio di un po' di tempo fa? Acqua passata.-

Kalad lo guardò stringendo gli occhi.

-Per te forse.-

Ormon sghignazzò, aveva i capelli ricci ed era dannatamente grosso.

Kalad non aveva per niente voglia di parlare con loro tre.

-Dimmi cosa vuoi, non ho tempo da perdere. Sai cos'è successo, no?-

-Oh sì.. sì ne ho una vaga idea, già.- disse Alexy, il suo sorriso non accennava a sparire.

Kalad respirò profondamente, stava iniziando ad arrabbiarsi.

-Come cazzo fai a sorridere? Il nostro maestro è stato assassinato!-

Alexy rise. -E chi cazzo se ne fotte! Era un vecchio stronzo del cazzo!-

Kalad strinse forte i pugni. Mai partecipare a risse, mai infangare il nome dell'Inquisizione, mai sporcarsi del sangue dei propri compagni.

Come posso fare, padre? Come?

Kalad aveva sempre avuto problemi a trattenere l'ira. Era un tipo silenzioso, tendeva a stare da solo e parlare con poche persone. Era molto calmo... ma quando perdeva la pazienza diventava un Kalad diverso che lui stesso non riconosceva. Perdeva il controllo e per un po' era meglio tenersi alla larga.

-Vedi... di tapparti quella fogna, Alexy. Solo perché ti aveva preso a bastonate? Avresti dovuto imparare la lezione. Ora levati dai...-

Alexy lo fermò col braccio.

-Ora ci divertiamo.- disse Deff ridendo. Deff era meno grosso di Ormon ma era molto alto, molto più di Kalad.

Alexy avvicinò la bocca all'orecchio di Kalad e parlò a voce bassissima.

-Vuoi sapere una cosa, pupillo di Fossom? Tu eri il suo prediletto, no? Ti favoriva sempre! Quindi vorrai di certo sapere chi è stato a farlo fuori. Be'... siamo stati noi tre.-

Il cuore di Kalad ebbe un sussulto, parve quasi sul punto di esplodere.

Lui non l'avrebbe voluto. Lui non l'avrebbe voluto.

Alexy si allontanò dall'orecchio di Kalad e sorrise nuovamente, un sorriso tutto denti.

-E vuoi sapere altro? Oh certo che vuoi! Lo abbiamo aspettato nella sua stanza, avevamo scassinato la porta. Lui è entrato, sospettoso e allora Ormon e Deff l'hanno preso uno da una parte e uno dall'altra. L'hanno accoltellato talmente tanto che non sapevo dove colpire. Io mi sono unito e l'ho colpito un po' di volte. L'abbiamo gettato a terra, era un ammasso di carne sanguinolenta ormai e sai che faceva? Vuoi saperlo? Piagnucolava come una fottuta fighetta. Il suo frignare mi ha talmente infastidito che gli ho tagliato la gola e il frignare è diventato un gorgoglio di dolore!-

Non uscì nemmeno una lacrima.

Non c'era spazio per il dolore.

Quando sferrò il pugno, dato con tutta la sua forza, non fu il dolore a muoverlo.

Ma la rabbia.

Il pugno si abbatté sul naso di Alexy e Kalad lo sentì rompersi. Alexy cadde all'indietro e poi Kalad non sentì più nessun suono. Ormon e Deff si lanciarono su di lui.

Avrebbe dimostrato cosa gli aveva insegnato Fossom. Sarebbe stata la vendetta perfetta. Schivò Deff e lo spinse alle sue spalle. Kalad combatteva con uno spadone, non usava mai lo scudo. Sapeva benissimo come schivare. Gli mancava solo lo spadone ma questo non l'avrebbe fermato. Ormon era grosso, molto grosso, ma era terribilmente lento. Kalad deviò il suo pugno e lo colpì con forza alle palle. Ormon riuscì a reggersi in piedi, nonostante il fortissimo gemito di dolore. Il secondo calcio, dato con maggior forza del primo, lo mandò al tappeto. Il suo gemito questa volta fu molto più acuto e Kalad rise di gusto. Alexy si stava rialzando ma Kalad non fece in tempo ad andare da lui poiché Deff lo prese da dietro, tenendolo fermo. Alexy si alzò in piedi e tirò fuori uno stiletto.

Doveva immaginarlo. Alexy urlò, lanciandosi verso di lui. Kalad approfittò del fatto che fosse tenuto da Deff e colpì Alexy con entrambe le gambe, facendolo sbattere contro il muro. Kalad sbatté la testa per due volte contro il naso di Deff e pure lui si ritrovò col naso rotto. Kalad corse, saltò sopra il copro accasciato e dolorante di Ormon, lo usò come rampa, saltò e cadendo colpì con un pugno Alexy. Questa volta il colpo lo fece cadere nuovamente. Nella caduta perse la presa sullo stiletto, Kalad lo guardò.

Lui non avrebbe voluto.

Prese immediatamente lo stiletto. Prima che Deff potesse attaccarlo nuovamente alle spalle fece penetrare la fredda lama della sua arma nel collo del ragazzo. Quando Kalad estrasse la lama dal collo di Deff il sangue schizzò verso di lui, sporcandolo. Keff si accasciò al muro, tastandosi disperatamente il collo e gorgogliando. I successivi tre affondi che fece sul suo collo non furono per pietà, per farlo morire prima. Aveva solo bisogno di infierire. E fu terribilmente soddisfacente. Alexy si lanciò su di Kalad e lo sbatté a terra. Kalad non mollò lo stiletto, non voleva farlo. Alexy strinse con forza il suo collo, Kalad sentì il sangue pompargli nella testa, sembrava sul punto di uscirgli dagli occhi. Riuscì a liberarsi una mano, quella con lo stiletto, e lo infilzò nella pancia di Alexy. Il ragazzo spalancò gli occhi e la bocca e fece un verso terribile, quasi un conato di vomito. Kalad spinse via il suo corpo e cercò di rialzarsi ma qualcuno lo aiutò. Ormon si era ripreso ed era terribilmente arrabbiato. Alzò Kalad tenendolo per il colletto e lo sbatté nuovamente a terra. Kalad vide un lampo di luce accecante, poi tornò la vista ma era sfocata. Il colpo gli aveva smorzato il fiato, un altro come quello e non avrebbe proprio più avuto fiato. Perciò colpì con un colpo ben assestato il collo di Ormon. Non l'avrebbe soffocato ma la sensazione sarebbe stata molto simile. Infatti Ormon perse la presa tentando di riprendere fiato.

Un altro calcio sulle palle, per farlo piegare. Ormon non si arrese e mentre si piegava cercò pure di afferrare Kalad. Il ragazzo lo aggirò, andò alle sue spalle e gli salì in groppa. Poi conficcò lo stiletto sulla spalla del bestione, per quattro volte, due sulla destra e due sulla sinistra. Ormon cadde in ginocchio e Kalad colpì due volte la sua schiena, mentre la sua maglia si inzuppava di sangue e la mano di Kalad seguiva il suo esempio. Ormon cadde disteso a pancia in giù e Kalad lo finì conficcando lo stiletto sulla sua nuca. Sentire la lama che trapassava il cranio e dilaniava le cervella fu ancora più gratificante di infierire su Deff. Kalad si incamminò verso Alexy che teneva la mano sulla ferita gemendo di dolore. Kalad era ricoperto di sangue.

-Ah... ah... no, no, no ti prego ti prego ti prego non farmi male non farmi male non ho fatto nulla stavo scherzando mentivo giuro ti prego- disse parlando fin troppo in fretta il ragazzo ferito.

Poi guardò Kalad dritto negli occhi e la faccia di Alexy divenne qualcosa di terribile. Era terrorizzato.

-I tuoi occhi! I tuoi occhi! Sono gialli! Sei un lupo, tu non sei umano, sei un lupo! Sono gialli! Gialli!- iniziò ad allontanarsi stando sempre a terra e continuando a chiamare Kalad “Lupo”.

Kalad lo fece tacere tagliandogli la gola. Alexy cercò di dire ancora “Lupo” ma dalla sua bocca uscì solo quell'inconfondibile gorgoglio. Lo stesso che aveva fatto Fossom.

Ma non bastava...

La voce di Fossom riecheggiò dentro la sua mente.

Ma non bastava...

“Non avere tanta fretta di fare da giudice e da giuria a qualcuno, ragazzo.”

Colpì Alexy al petto con lo stiletto.

“Solo il Supremo può farlo... e credo che anche lui a volte abbia problemi a decidere qual'è la cosa giusta”

La lama lacerò la carne, penetrò in profondità e il sangue schizzò sul volto di Kalad.

“Quando ucciderai qualcuno... sappi che quella morte sarà un peso che ti porterai dentro per tutta la vita. Non riuscirai a dormire. Avrai gli incubi. Ti sveglierai piangendo. Sentirai sempre il sangue sulle tue mani ma non riuscirai mai a lavarlo. Quando si uccide qualcuno, Kalad, anche se è la cosa giusta da fare, si viene maledetti.”

Il suo volto, le sue mani, il suo corpo, ogni cosa era rossa mentre continuava a infierire sul corpo martoriato di Alexy. Solo i suoi occhi manteneva il loro colore... gialli come gli occhi di un lupo famelico.

Colpo su colpo, ad ogni affondo, ad ogni schizzo di sangue che raggiungeva il suo viso Kalad si rese conto di essere diventato un uomo.

 

Kalad si svegliò, era l'ennesima notte passata in una radura. Non ne poteva più, era stanco, molto stanco. Non sapeva per quanto avrebbe potuto andare avanti. A dargli la forza era il ricordo del sogno avuto due giorni prima in cui aveva visto suo padre... e Ayliss. Non sapeva dire se era un qualche potere strano che lei usava ma anche solo dormire tenendola tra le sue braccia gli dava forza. Svegliarsi e sentirla rannicchiata su di lui gli dava la spinta necessaria per alzarsi e affrontare il mondo intero. Lei si sentiva difesa grazie a lui, era il suo guardiano. Aveva scoperto che quella era la migliore sensazione del mondo. Avere qualcuno da difendere con tutte le proprie forze.

Ulfric dormiva poco distante da loro, assurdamente vicino al fuoco che era chiaramente spento. Aveva tenuto le mani nelle ceneri della legna per tutta la notte. Quel tipo era strambo, era in vita da migliaia di anni, era un eroe delle leggende, era un piromante e si diceva avesse compiuto atti eroici inimmaginabili. Eppure... sembrava un qualche mendicante di Nibeluria, con quei ridicoli barattoli contenenti delle fiamme, quel modo di parlare gesticolando e quella parlantina continua... be' sembrava tutto fuorché un eroe.

Esistono degli eroi? No, non credo. Non più almeno. Forse un tempo lo era davvero anche lui, ma ora è solo l'ombra del piromante che affrontò gli Spettri di Ghiaccio.

Ayliss aprì gli occhi e Kalad le accarezzò dolcemente la guancia.

-Ben svegliata.-

Lei gli sorrise e lui si sentì subito meglio.

È incredibile come un solo sorriso possa cambiarti la giornata.

-Da quanto sei sveglio?-

-Da poco. Sei bellissima mentre dormi... sei calma. È l'unico momento in cui ti vedo tranquilla.-

Lei gli diede un bacio sulla guancia.

-Allora dovresti vedermi quando mi abbracci.-

Kalad sorrise e la lasciò alzarsi.

Ulfric russava rumorosamente e non accennava a svegliarsi.

Ayliss lo guardò pensierosa.

-è... strambo, vero?-

-Parecchio.-

-Però è nostro alleato.-

-Dice di esserlo e quelle fiamme sono effettivamente dentro quei barattoli. Quindi può aver visto davvero quelle cose nel fuoco... ma non lo so...- sospirò.

-Non ti fidi di lui?- disse lei avvicinandosi.

Kalad gonfiò le guance e buttò fuori l'aria, poi scosse la testa.

-No è che... faccio fatica a fidarmi di chiunque ultimamente.-

Lei lo guardò e il suo volto parve... triste.

-Non voglio essere compatito.- disse lui con tono più rabbioso di quello che avrebbe voluto.

-Kal?-

Silenzio. -Sì?-

-Di me ti fidi?-

-Mi fido solo di te.-

-Ma... non hai mai pensato che io ti abbia... manipolato mentalmente con i miei poteri?-

Sapevo che prima o poi sarebbe saltato fuori.

Kalad tacque, aveva paura di parlare. Era terrorizzato dalle conseguenze delle sue parole.

Avanti, non hai avuto paura di quel Gorvashor, non puoi aver paura di questo.

Annuì. -Sì... sì l'ho pensato.-

Lei rimase in totale silenzio a guardarlo, senza dire nulla.

Poi parlò.

-Credo di averlo fatto... all'inizio. Quando ti ho chiesto di scappare e tu l'hai fatto.-

-Lo so.- e lo sapeva veramente. Ci aveva pensato in continuazione e si era reso conto che era vero. Senza rendersene conto lei l'aveva manipolato mentalmente.

-Ma... non era mia intenzione. Io... l'ho fatto senza rendermene conto.-

-Lo so.-

Lei abbassò lo sguardo nervosa.

Kalad sentì il bisogno di dire altro.

-Riesco a percepire quando mi controlli. Una specie di formicolio nelle tempie. So che non l'hai più fatto. Tutto quello che ho fatto da quel giorno è stata una mia scelta.-

Lei non parve molto convinta.

-Cosa ti ha a convinto a restare, Kal? Anche se avevi capito che ti avevo manipolato?-

-Tu mi hai cambiato.- disse senza esitazione.

-Cioè?-

-Io sono una brutta persona, Ayliss. Ho fatto cose molto sbagliate. Ho ucciso persone che non lo meritavano, ho seguito tutti gli ordini che mi sono stati dati.

Sai... l'unico amico che ho trovato nell'Inquisizione si chiama Thomas. E ci starà cercando ora. È stato lui a colpirmi con la freccia alla gamba durante la nostra fuga, lo so. Io e lui eravamo identici, prima di incontrarti. Io sono cambiato ma lui è rimasto uguale. Sai qual'è la nostra differenza?-

Lei scosse la testa.

-Io non voglio più essere passivo. Non voglio subire senza fare nulla, non voglio rassegnarmi. Mai rassegnarsi, anche se tutto sembra perduto. Bisogna sempre trovare la luce, anche se è nascosta dalle tenebre. Thomas è rimasto passivo, disilluso, si è rassegnato al fatto che nulla può cambiare. Ma le cose possono e devono cambiare. Tu ne sei la prova vivente. Questo mondo può cambiare, ci vorrà tempo e sarà molto difficile e doloroso... ma c'è speranza. Prima queste cose non le sapevo, ora le so.-

Lei si avvicinò e sorrise.

-Ti ho cambiato?-

-Sì, l'hai fatto. Ho capito che posso essere... di più.-

Lei continuò a fissarlo, voleva sentire altro, lo capì.

-Posso essere un guardiano, posso essere un punto di riferimento per qualcuno. Posso proteggere e non solo distruggere. Quando tu mi guardi... vedo che ti senti protetta, al sicuro. E quando sei tra le mie braccia... sento di aver fatto qualcosa di buono finalmente. Posso anche essere...- si fermò.

-Un eroe?-

Tacque. Poi ripensò alle parole di suo padre.

“L'ho fatto per renderti un eroe, figlio mio.”

-Sì... un eroe, come voleva mio padre.-

Gli occhioni di Ayliss erano a pochissimi centimetri da Kalad.

Le labbra non erano da meno.

-Sono fiera di te. Molto, molto fiera di te. Ho capito di poter cambiare le cose, se ho cambiato te... posso cambiare anche gli altri. Anche se come hai detto tu sarà difficile e doloroso io posso farcela. E in ogni caso, quando sentirò le forze mancare e vedrò solo l'oscurità... so che ci sarai tu a mostrarmi la luce. È una certezza.-

Kalad le accarezzò dolcemente la guancia senza distogliere nemmeno per un secondo i suoi occhi da quelli di lei.

-Ci sarò. Lo prometto. È una certezza.-

-L'unica certezza che ho.-

Nel secondo immediatamente successivo si stavano baciando. Kalad dovette abbassarsi parecchio per raggiungere le sue labbra, nonostante Ayliss si fosse messa in punta di piedi. Ma ne valeva la pena. Si, ne valeva assolutamente la pena. Tutte quelle ferite, quei momenti di puro terrore, quel perenne senso di angoscia ora avevano un senso. Le loro lingue parevano scontrarsi, avvinghiarsi l'un l'altra. Lui teneva le mani salde sulle sue guance, senza fermare le carezze. Lei invece prese tra le mani le maniche della sua maglia e strinse con forza come per dirgli “non andartene”

Ma lui non se ne sarebbe mai andato.

A volte smetteva di baciarla e si allontanava ma per pochissimi istanti, poi le loro labbra si toccavano nuovamente con delicatezza e le loro lingue si riunivano tra di loro come se una forza misteriosa le attraesse. Il sapore di lei era quasi inebriante, le sue narici si riempirono di quel profumo angelico. Il suo sapore era fragrante, la sua lingua non voleva smettere di muoversi con passione dentro la sua bocca. Poi i loro respiri si fecero sempre più forti finché Kalad non la prese tra le sue braccia e la spostò lontano dal loro piccolo falò, lasciando solo l'addormentato Ulfric.

Si distesero nell'erba e non smisero un solo istante di baciarsi.

Forse è un Peccato... ma cazzo dopo tutto quello che ho passato me lo merito.

Lui si tolse la maglia e lasciò che lei passasse le mani sul suo corpo sudato. Si accorse stupito che tutti quei giorni... settimane forse? Non sapeva più quant'era passato. Tutto quel tempo a lottare, comunque, aveva rafforzato il suo corpo. Ora i suoi muscoli erano quasi statuari, pochi altri soldati nell'Inquisizione potevano vantare una preparazione atletica tale.

Le sue mani si abbassarono sui fianchi di lei e poi sulle sue cosce, la veste che si alzava sempre di più. Poi si fermò.

-Ehm... forse...- venne interrotto da un bacio passionale, quasi vorace.

Le alzò completamente la veste, lei lo aiutò a slegarsi le brache e poi, a riecheggiare nella foresta, furono solo i respiri carichi di eccitazione dei due amanti.

 

Quando tornarono da Ulfric il piromante era sveglio e li guardava sorridendo.

Ti prego non dire nulla, ti prego ti prego ti prego.

-Mio signore e signora! Bellissima giornata non trovate? Perfetta per addentrarsi nella foresta e lasciare solo un povero vecchio.- disse con voce addolorata.

Ayliss abbracciò Ulfric.

-Ben svegliato, vecchio.- disse lei con voce dolce.

-Oh come faccio a non gioire dopo ogni risveglio? Ogni uomo dovrebbe svegliarsi con tale vista!-

-Su questo sono d'accordo.- disse Kalad sorridendo ad Ayliss e lei ricambiò il sorriso.

Ulfric si accigliò, poi fece un sorrisetto.

-Oooooooh, miei signori, sento un forte calore dentro di voi, sì si. Un calore... diverso.-

Kalad posò la sua mano sulla sua spalla.

-Se è quello che pensi, vecchio maniaco... sì, pensi bene.-

Ulfric li guardò con gli occhi spalancati, prima Kalad poi Ayliss (la quale abbassò timidamente la testa).

-Ma... mentre io dormivo?- rise di gusto e molto rumorosamente.

-Questa poi! E io che ronfavo pensando alle avventure amorose della mia gioventù! Egoisti, avreste dovuto chiamarmi!-

-Questo mai!- disse ridendo Kalad e alla fine si ritrovarono tutti e tre a ridere.

Se la godettero tutta. Tutti e tre, anche Ulfric, non ridevano da così tanto tempo. Il suono della risata pareva quasi estraneo ma fu tonificante, sentirono le loro anime farsi più leggere e il loro cuore scaldarsi e per un meravigliosamente eterno attimo furono davvero felici.

 

Si incamminarono dopo poche ore, Kalad e Ulfric avevano sentito il giorno prima i suoni di una terribile battaglia e Ulfric si era fatto mortalmente serio.

-Qualcosa brucia... una foresta... un fuoco acceso dalla follia. Un fuoco crudele. Questo giorno verrà ricordato.-

Cercarono di evitare le strade, spesso vedevano truppe nordiche ferite e altre volte truppe noveriane messe quasi peggio. Kalad intuì che la battaglia aveva coinvolto Noveria e Nord.

Nonostante la situazione Ulfric si avvicinò a Kalad con un sorrisetto furbo stampato sul viso.

-Quindi... be' come posso dire... ti sei scopato la figlia di Dio.-

-Già. Detta così sembra quasi una bestemmia.-

-Oh, vecchio mio, credo che lo sia.- disse Ulfric deliziato. -Ma del tipo che preferisco! Lo feci con Sho Kan Fu, l'imperatore del Sole di molti anni fa. Odiavo quel tipo, era un dannato bigotto. Mi stava talmente antipatico che mi scopai sua figlia. Anche se dire che me la scopai è sbagliato... la amai con tutto il mio cuore. E questo forse fu peggio per il vecchio bastardo ma fu dannatamente meglio per me.-

Kalad si accigliò, il discorso suo era un po' diverso.

-Io non odio il Supremo, Ulfric.-

Lui sbuffò. -Ne sei così convinto?-

Ulfric si allontanò, avvinandosi ad Ayliss e lasciò Kalad perso nei suoi pensieri.

Durante la strada, ad attutire la paura di essere scoperti, vi furono le storie di Ulfric.

Ulfric era in vita da moltissimo tempo, forse molto più di chiunque altro. E aveva sempre una gran voglia di parlare. A dargli la spinta era comunque sempre Ayliss che era terribilmente curiosa.

-Kanda mi ha detto che non esistono più Piromanti... eppure tu sei qui.-

Ulfric sbuffò offeso. -Si direbbe che questo tuo amico Kanda non ne sappia molto del mondo, mia cara. Noi Piromanti siamo antichi quanto il mondo stesso, quando la Fiamma Ardente esplose e creò il mondo noi fummo scelti per controllare il residuo della Fiamma Madre.-

-Chi vi scelse?-

-Oh, non ne ho idea. Il primo di noi fu Zar, il Detentore della Prima Fiamma e il Signore del Fuoco Eterno.-

-Il fuoco eterno di Zarkan?-

-Esatto, Zarkan era un regno fondato dal fuoco, in cui il fuoco veniva venerato e fu patria di molti piromanti, prima che il regno cadesse e l'etnia Zarkana si mischiasse con gli indigeni.-

-Ma l'etnia Zarkana non emigrò al sud, fondando Aghta?-

-Sì, lo fecero, ma non tutti. Altri restarono qui e si mischiarono. Le popolazioni che abitarono quella che oggi è Noveria negli anni seguenti furono di etnia Zarkana.-

-E i Piromanti erano tanti?-

-Tantissimi, mia signora. Tutti membri dell'Alta Cerchia della Fiamma Eterna. Azoth, Gavazor e Nazon furono i Tre Discepoli di Zar, Gran Maestri dell'Alta Cerchia.-

Kalad si volse verso di lui, con lo sguardo confuso.

-Azoth? Io ho sentito parlare di lui nelle leggende. Mio padre mi disse che Azoth fu un traditore e un codardo, non di certo un Gran Maestro.-

-Anche Kanda mi ha detto così.-

Ulfric scosse la testa, rassegnato e rattristato.

-Ahimè conoscono solo la menzogna che a tutti è stata raccontata. A me venne narrata, da un uomo il cui fuoco spirituale ardeva con grande forza, ciò che accadde veramente. Durante il Grande Gelo gli spiriti dei ghiacci assediarono Fyamorash, la capitale di Zarkan, e morirono molti piromanti. I loro fuochi spirituali vennero spenti definitivamente dal respiro gelido degli spettri. I Gran Maestri opposero strenua resistenza, ma inutilmente. La città però resse all'assedio per cinque anni interi. Ma quando Silgvander giunse inanzi alle loro immense mura nulla resse al potere della sua spada che tutto gela. Azoth decise di compiere un atto che gli altri due Gran Maestri trovarono blasfemo. Combatterono e Azoth li sconfisse, senza ucciderli. Azoth assorbì dentro di sé la Fiamma Eterna e la usò per sconfiggere Silgvander. Se successivamente riuscimmo ad ucciderlo fu solo perché il colpo che gli diede Azoth lo indebolì enormemente. Ma la fiamma venne comunque usata, perciò spenta, e Azoth morì comunque così come Gavazor e Nazon. Tutti lo videro come un traditore e la causa della rovina del regno, quando in realtà cercò fino all'ultimo di salvarlo. La storia diventa leggenda e la leggenda si perde nel mito. Poche storie sono vere, nessuno può sapere cosa provò un uomo quando, con una semplice azione, cambiò il mondo.-

-E quindi chi sono i piromanti in vita?-

-Be' uno ce l'hai qui.- disse orgoglioso Ulfric. -E sono l'unico presente in tutto il Grande Continente.- aggiunse poi con una nota di grande tristezza.

Ayliss lo guardò con il viso carico di pietà.

Kalad fece lo stresso, senza rendersene conto. Ulfric era un uomo terribilmente solo.

-A Sud c'è Ursuul, si trova ad Aghta e si diverte a combattere nell'arena di Torras, di Destrosa e di Saranda. Un altro è Toddar e si trova a Tarpazzi. Da quello che so se la spassa nei bordelli di Venethika da anni, oh quanto lo invidio. Poi c'è Kolmat nel Regno delle Zanne. Ha mantenuto saldo il suo ruolo politico lui, è sempre stato il più tenace tra i miei fratelli. Ha combattuto a fianco di due Signori delle Zanne, Tanda Zolani e Nako Tunda.-

-Aspetta... fratelli?-

-Già. Noi Piromanti siamo tutti fratelli, figli della stessa fiamma.-

Ayliss si accigliò e Kalad sorrise. Ulfric amava quella vena di mistero che non faceva altro che far impazzire Ayliss. Lei voleva sapere, voleva risposte.

Tacquero per qualche secondo ma Ayliss era curiosa.

-Kanda mi ha raccontato storie su di te.-

-Mi ha etichettato come un demone divoratore di fuoco vero?-

-Diceva che lo mangi e che lo sputi pure.-

Ulfric rise e batté le mani.

-Il nome Mangiafuoco non viene a caso.-

-E riguardo allo sputare fuoco?-

-Bah, chissà.- disse lui facendole l'occhiolino.

Lei si accigliò ancora di più.

-Kanda mi ha raccontato che hai dato alle fiamme la reggia di Hestoran, il Re d'Oro dei Traviani.-

Ulfric annuì, senza nascondere il grandissimo orgoglio per quel gesto.

Kalad non volle sottolineare il fatto che in quella storia Ulfric venisse descritto come un vero e proprio demone.

-Hestoran era un pomposo arrogante idiota, non vedeva i bisogni del suo popolo, il popolo che non viveva nelle reggie dorate. A Travian la gente moriva di fame mentre i nobili si ingozzavano in quelle torri d'oro. Aver bruciato fino alle fondamenta quella torre fu uno degli atti di cui vado in assoluto più fiero. Sperai di dare un messaggio... un messaggio che difficilmente entrerà mai nella mente dei traviani. L'etnia traviana emigrò a Sud anch'essa e Lysandrus fondò Lysiux. E ora? Ora la nobiltà, cioè l'esercito, lì ha potere totale e i contadini sono trattati con totale disprezzo. A volte nemmeno le fiamme possono far luce nella mente annebbiata delle persone.-

Il volto di Ayliss divenne maggiormente deciso.

Kalad intuì i suoi pensieri.

Lei vuole far luce sulla mente di tutti.

-Ma tu hai combattuto a fianco di Lysandrus Il Giovane.-

Ulfric annuì e i suoi occhi luccicarono a ripensare a quei giorni. Lo faceva sempre quando parlava del Grande Gelo.

-Sì, lo feci. Lysandrus è stato uno dei mie più cari e fidati amici. Eravamo molto uniti. Era giovane, aveva appena diciassette anni, ma aveva un cuore grande come tutto il mondo. E seppe vedere oltre i desideri di fama e oro. Credo che se il mondo avesse avuto più Lysandrus sarebbe stato un mondo più lieto. Seguii i miei consigli quando fondò Lysiux. Ma i suoi successori rovinarono tutto. Ma alla fine il fuoco giunge in un modo o nell'altro. I fortini a Lysiux bruciano e i contadini si ribellano.-

-Avrei voluto conoscere Il Giovane.-

-Sareste andati molto d'accordo. Aveva un senso della giustizia molto forte... questo gli è costato caro.-

Kalad si impose nella conversazione.

-Aspetta un attimo, non mi è chiara una cosa.-

-Ma tu pensa!-

Kalad gli lanciò un occhiataccia e Ulfric alzò le mani come se avesse un coltello puntato alla schiena.

-Da come ne hai parlato poco fa pare che i Piromanti fossero tutti zarkani.-

-Oh, no, assolutamente. Avrei la pelle molto più scura, non trovi? L'ultimo degli zarkani puri a restare a combattere fu Zermon, conosciuto come l'Ultimo degli Zarkani, ma non era un piromante. Un guerriero formidabile, veloce come il fulmine e dannatamente agile, mai in tutti i miei anni di vita, ho visto un folle come Zermon combattere con due armi, senza scudo, e schivare ogni singolo colpo. Ma non aveva il dono del fuoco, assolutamente. Un Piromante poteva essere degli Alti Luoghi come del Regno degli Abissi. I piromanti si ritrovavano tutti a Zarkan, a Fyamorash per l'esattezza, data la presenza della Fiamma Eterna. Io, ad esempio, ero del piccolo regno di Elymaron.-

-Ma quindi tu sei... immortale? Come i Q'uoin e i Celestiali?-

Ulfric rise, trovando quello che Ayliss aveva detto molto divertente. Scosse la testa.

-Nulla è immortale. Nemmeno i Celestiali, che si considerano Dei. Hai mai saputo di un Celestiale ancora vivo dai tempi di Konderham? Io no. E nemmeno i Q'uoin per quanto si vantino di essere il Popolo Eterno. Noi piromanti siamo... diversi. Come dissi la nostra fiamma non brucia in eterno, prima o poi si spegne e moriamo. Poi, dopo qualche anno, la fiamma si riaccende e torniamo. È come entrare in un lungo sonno privo di sogni, in cui c'è solo pace e silenzio. Un Piromante muore solo se viene colpito mortalmente da un nemico, oppure se brucia tutta la sua fiamma spirituale, come fece Azoth.-

-Ulfric tu hai lottato a fianco di grandi eroi, parlami di loro.- chiese Kalad. Ora che stava considerevolmente rivalutando la sua persona voleva capire cosa significava essere un eroe.

-Ah sì, Kalad. Ho combattuto a fianco di altri eroi... ma io sono sempre escluso, eh?- il tono offeso di Ulfric era ridicolmente esagerato e fece ridere Ayliss.

Apprezzo la presenza di Ulfric perché la fa ridere sempre. Di questo gli sono enormemente grato.

-Avanti, vecchio.- disse lui. Ormai chiamarlo vecchio non era un offesa, lo diceva quasi con affetto.

-Dunque... combattei a fianco di Skaring L'Arrestagelo, Lysandrus il Giovane, Zermon L'Ultimo degli Zarkani e Novarak L'implacabile. Di Lysandrus ho parlato. Un giovane dal grande cuore con un innato senso della giustizia. Non sopportava nemmeno la più piccola ingiustizia. Zermon era un uomo solo, il suo popolo era stato sterminato o era fuggito giù da tempo a Sud, mentre alcuni traviani restavano ancora a fianco del loro principe, Lysandrus. Ciò che apprezzavo di Zermon era l'incredibile legame con la sua terra. Tutto era in rovina, solo ceneri e polvere, ma era comunque la sua patria, la sua casa, e lui combatté fino all'ultimo per difendere la sua casa. Era suo dovere. Skaring era diverso, lui era un re circondato da un popolo che lo adorava, quasi venerava. Il regno del Nord fu quello che meglio resistette a Silgvander, sopratutto grazie a Skaring. Se mai è esistito un uomo nato per comandare quello era lui. Non era enorme e possente come altri nordici ma il suo solo sguardo ti portava a chinare la testa rispettosamente. Novarak... be' lui era il più complicato. Era difficile combattere con lui. Era solitario, cupo, la sua forza era leggendaria e in battaglia era una vera bestia. Non nego che tra tutti noi lui fosse sicuramente il più forte. Fu il primo Deicida, raramente diceva ciò che provava, nessuno sapeva nemmeno da dove veniva. Era spietato, selvaggio, instancabile. Eppure, appena fummo soli e lui vide il mare ghiacciato... ricordo che pianse.

E io... be' io ne avevo combinate parecchie e si fidarono dopo parecchio di me. Ottenni la loro fiducia, in un certo modo. Un giorno Novarak stesso, in uno dei rari momenti in cui parlava e non ringhiava furioso, mi disse che di me stimava... la generosità. “Anche Zermon non ha nulla, ma lui è chiuso nella sua solitudine e difende solo la sua terra. Tu sei... terribilmente solo, hai perso tutto ciò che amavi, tutto è andato distrutto... ma condividi tutto con gli altri. Il tuo fuoco... e anche il tuo sorriso.” questo mi dissi.-

Ayliss prese la mano di Ulfric con entrambe le sue piccole mani.

Ulfric la guardò e fece una faccia interrogativa.

-Novarak aveva ragione, sei un uomo generoso e hai un grande cuore.

Ma non sei solo, Ulfric. Non più.-

Ulfric sussultò, come se quelle parole l'avessero colpito profondamente. E forse era così. Nel suo volto apparve un sorriso ma questo era un vero sorriso che fece notare, sia ad Ayliss che a Kalad, che tutti i suoi sorrisi precedenti fossero forzati. Quello era il vero sorriso di Ulfric, il sorriso di un uomo che aveva perso tutto ma che riusciva a trovare la luce dove nessuno l'avrebbe trovata.

-E di questo vi sono enormemente grato.-

 

Finalmente giunsero nei pressi del campo di battaglia, il fumo provocato dall'incendio ricopriva tutta la valle come un manto nero. Alcuni fuochi erano ancora accesi e...

Ayliss urlò vedendo la scena che si parò inanzi a loro.

Centinaia di migliaia di corpi giacevano a terra, noveriani e nordici, dilaniati, smembrati, decapitati, alcuni sembrava quasi si muovessero ancora ma... no, no era impossibile. Ayliss gemette di dolore, come se le ferite di quegli uomini si fossero proiettate sul suo esile corpo.

Ulfric restò immobile, respirando a pieni polmoni la cenere che veniva trasportata dal vento.

-Un fuoco sprecato... un folle ha bruciato un intera foresta con una fiamma che voleva solo illuminare la via dei soldati. Ci sono fuochi e fuochi...-

Kalad non capì il suo discorso e corse da Ayliss che si era accasciata a terra.

-Cosa succede Ayliss?-

Lei non riuscì a rispondere ma tenne la sua mano destra sul petto, sul cuore.

Kalad la tenne stretta tra le sue braccia e le disse di respirare profondamente.

Ayliss chiuse gli occhi e si girò per non vedere i corpi e dopo pochi minuti era tutto finito.

-Cosa succede Ayliss?- chiese nuovamente Kalad.

Lei respirò profondamente, mandò giù la saliva e rispose.

-C'è... c'è un motivo, Kalad, se ti ho fatto tutti quei discorsi sul non uccidere. Io sono la figlia di Dio.-

Kalad si accigliò, non capiva.

-Non lo so cosa mi sta succedendo, maledizione! Ma credo sia legato a questo.- Kalad si stupì del tono disperato di Ayliss.

-Il Supremo... mio padre... è un Dio di pace! Me l'ha detto Kanda, ho letto le Supreme Scritture! Lo so! Io sono sua figlia, sono... un Pezzo dell'Eternità, come ha detto Kanda, sono parte di lui! E se lui è un Dio di pace questo... tutto questo... è una sofferenza atroce. Tu non puoi, non puoi, non puoi immaginare cosa significa per me vedere... tutto ciò! Ecco perché ti dicevo di non uccidere nessuno, Kal, perché ogni morte è sofferenza per me, lo è davvero! Prima era sopportabile ma... tutti questi morti... è troppo, troppo!-

Kalad spalancò gli occhi. Non aveva mai nemmeno pensato che lei potesse essere... una vera e propria dea. Ma era ciò che era, un pezzo di Dio, sua figlia!

-Ayliss ma... perché non me l'hai detto prima?-

Lei non riuscì a trattenere le lacrime.

-Perché... dannazione, perché volevo dimostrare a me stessa di essere forte! Volevo dimostrarmi che non sono un peso ma lo sono e lo sarà sempre. Sono la figlia di Dio e sono un peso!-

Kalad scosse la testa.

-No, non lo sei, non dire fesserie Ayliss! Tu hai un grandissimo potere dentro il tuo corpo, un potere senza limiti, devi solo imparare ad usarlo.-

Ayliss ormai stava piangendo.

-Ma sono troppo debole, Kalad. Troppo!- non disse altro e continuò a piangere come una bambina a cui hanno rubato il giocattolo preferito. Tutto quel dolore in un colpo solo era troppo, era qualcosa di inconcepibile. Kalad provò pena per lei, probabilmente lui non avrebbe retto.

Ulfric si avvicinò e si avvicinò vicino a lei con sguardo rassicurante.

-Dimostrate una grande forza, mia signora, sopportando le sofferenze di questo mondo infame. Non dite di essere un peso. Casomai siamo noi a essere un peso per voi che non sappiamo fare altro che portare dolore.- Le accarezzò dolcemente la guancia, nonostante le sue mani fossero sporche di cenere, infatti le lasciò un segno nero sulla guancia. Lei non ci fece caso e lo guardò. Ulfric le sorrise immediatamente e il suo sorriso contagiò Ayliss.

-Ascoltami bene, fiammetta.- disse Ulfric dandole un nomignolo e non chiamandola “Mia Signora” per la prima volta.

-Il Supremo, nell'alto della sua stupida arroganza, ha deciso di mandare una Messia sulla Terra per prendersi carico delle sofferenze del mondo. Ecco perché è scoppiata una guerra per averti. Credo che l'avesse calcolato, sai? Devi prenderti carico delle sofferenze di questo mondo e... forse... trovare un modo per far luce nella mente annebbiata degli uomini.-

Ayliss aveva smesso di piangere, ora il suo sguardo era più deciso.

Forse, dopo molto tempo, ha trovato quella forza che le mancava.

Lei si alzò e abbracciò Ulfric, stritolandolo con quel poco di forza che aveva.

Lui rise deliziato e la abbracciò.

-Ho visto un fuoco ardere nei tuoi occhi, fiammetta. L'Ayliss che conoscevamo se ne andata?-

-No. È sempre qui, ora ha solo un fuoco ardente dentro di lei.-

-Questo è esattamente quello che volevo sentire.-

Kalad li osservò abbracciarli e sorrise.

Sì, Ulfric era un amico, l'unico che avessero incontrato da quel giorno che ora appariva così terribilmente lontano, quando erano fuggiti.

Kalad sentì, per dirla nel modo di Ulfric, una forte fiamma ardere tra di loro. Erano uniti.

Ayliss sembrava già diversa, più forte e decisa, più matura.

Un primo passo... ma verso cosa?

 

Attraversarono il campo, ricoperto di morti e sangue, Ayliss tremava e sudava copiosamente ma resistette con tutte le sue forze. Le truppe sopravvissute alla battaglia se n'erano andate da forse un giorno o due, dirette chissà dove, e non si erano nemmeno prese la briga di sotterrare i loro morti. Montagne di cadaveri di nordici e noveriani giacevano ovunque ed era impossibile dire chi avesse vinto. Il numero di morti era enorme, sia da una parte che dall'altra, forse era stata una disfatta per entrambe le parti oppure, se una fazione avesse vinto, era stata senz'altro una vittoria vuota.

-è terribile.- disse Ayliss, stringendo i pugni.

-Hai mai partecipato ad una battaglia così grande, Kal?- le chiese.

Kalad guardò i cadaveri e scosse la testa.

-No, mai. Al massimo qualche schermaglia contro cento o duecento infedeli ben armati e incazzati. Questa è stata una battaglia con migliaia di truppe, un vero massacro.- e l'odore ne era una prova. Un odore nauseabondo. Carne bruciata.

Ulfric osservò il campo di battaglia, con lo sguardo di un uomo che aveva visto morte e sofferenze ben peggiore

-Non hai visto la Guerra tra gli Zarkani e i barbari degli Alti Luoghi, e nemmeno il Grande Gelo. Vidi corpi, migliaia di corpi, anche bambini, congelati nella loro città. Neonati congelati nelle loro culle, vecchi seduti nelle loro comode sedie per sempre assieme al gelo. Un'intera città congelata.

Poi vidi Fyamorash... vi andai con Zermon, solo io e lui, e vedemmo ciò che restava della capitale di Zarkan.

Fidatevi se vi dico che nessun uomo dovrebbe vedere certe cose.-

All'improvviso sentirono dei suoni, passi, urla, voci maschili.

Kalad estrasse prontamente la sua spada.

Ad avvicinarsi erano cinque quattro uomini.

Tra i quattro Kalad riconobbe Oswald.

-Oswald?- chiese Kalad.

Oswald si fermò e guardò con gli occhi spalancati Kalad.

-Kalad di Gothfresh? Sei veramente tu?- la sua voce era irriconoscibile, gli mancava pure un pezzo d'orecchio.

-Capitano è il traditore?-

-Quel cane bastardo, sta assieme a un fottuto barbone!-

-Ma quella...-

-Oh cazzo, quella è la Ragazza!-

Oswald parve notare solo ora Ayliss.

-Kalad quella è... è lei?-

La situazione si fa pericolosa.

Kalad non rispose ma strinse saldamente la sua spada, guardando dritto negli occhi Oswald.

-Sei stato tu a dare fuoco al bosco, vero?- chiese Kalad.

Oswald annuì in modo esagerato.

-Sì, sì, sì l'ho fatto. Dovevi vederli, cazzo dovevi vederli Kalad. Quei barbari del Nord, hanno diviso a metà la mia recluta! Tu cosa avresti fatto?-

-Non avrei commesso per la seconda volta lo stesso cazzo di errore.-

-Non giudicarmi sporco traditore! Ma forse... forse ho un opportunità.-

Kalad aveva già intuito e aveva una gran voglia di usare la sua spada.

-Se pensi che portarla al Grande Inquisitore ti farà cambiare l'immagine che ti sei creato, ti sbagli. Verrai sempre considerato un coglione. Almeno su questo Atras aveva ragione.-

Oswald ringhiò.

-Allora fanculo! Fanculo tutti! Farò fuori te, quel cazzo di barbone e ci fotteremo la ragazza!-

Ulfric si fece avanti con passo deciso.

-Arrivi tardi allora, mio caro piromane.- disse il piromante sputando con disprezzo l'ultima parola.

-Ulfric...- disse Kalad ma Mangiafuoco tese la mano verso di lui per zittirlo.

-No, no, Kalad. Quest'uomo ha usato un fuoco che voleva solo illuminare per bruciare. Ne ha usati tanti di fuochi che volevano solo illuminare. Ora sarà lui a illuminare questa piana... quando avrò dato fuoco al suo corpo.-

I compagni di Oswald, che evidentemente erano gli unici che erano restati con lui dopo il suo folle gesto risero di gusto alle parole di Ulfric.

Effettivamente Kalad non poté negare che Ulfric non incuteva timore. Era vestito in modo trasandato e quei barattoli non aiutavano.

Ulfric volse il suo sguardo verso Ayliss e Kalad capì che Ulfric attendeva una conferma. Poteva fare quello che voleva fare.

Ayliss rimase immobile per un lunghissimo istante ma poi, con grande stupore di Kalad, annuì.

Ulfric schioccò le dita e tre di quei barattoli si aprirono. Kalad non ricordava che fiamme contenessero... ma ora quelle fiamme erano libere.

I soldati smisero di ridere. Il barattolo legato sul polpaccio fece uscire una piccola palla di fuoco, Ulfric la calciò come se fosse un pallone e la palla di fuoco si ingrandì, fino a diventare grande come il petto del soldato che colpì. La vampata di fuoco lo sbalzò all'indietro, uccidendolo sul colpo. Il panico dilagò in un istante, non fecero nemmeno in tempo ad estrarre le loro spade poiché la fiamma che uscì da uno dei barattoli messi sul petto del Piromante Provocò un bagliore incredibilmente potente. Kalad e Ayliss si coprirono gli occhi ma uno dei soldati non fu così veloce. Quando il bagliore si attenuò gli occhi dell'uomo andavano a fuoco. Sembrava quasi che stesse lacrimando fiamme. Kalad ipotizzò che le fiamme avessero bruciato pure il cervello perché il poveraccio si accasciò al suolo e in preda ad urla strazianti morì.

L'ultimo compagno di Oswald rimasto riuscì a lanciarsi verso Ulfric ma la palla di fuoco tornò dal suo proprietario incenerendo la testa del soldato. Il corpo privo di testa cadde giusto davanti ai piedi del Piromante.

Oswald tremava come una foglia, non aveva nemmeno estratto la sua spada.

-Temi la fiamma?- la voce di Ulfric era... diversa. Sembrava lo scoppiettare di un fuoco.

Oswald sputò ai piedi del Piromante e la sua saliva evaporo immediatamente.

-Io non ho paura del fuoco! Fanculo! Io lo uso il fuoco, non lo temo! Il fuoco non mi può prendere, non ho paura del fuoco!-

Ulfric tese il braccio verso Oswald, lì stava l'ultimo barattolo aperto.

-Chiunque deve temere il fuoco.- disse Ulfric e dalla sua bocca uscì del fumo nero come le tenebre.

La fiamma uscì dal barattolo e si spostò davanti il palmo del Mangiafuoco. Divenne un globo incandescente e da esso venne sprigionata una fiammata che si abbatté con la sua ardente punizione sul corpo di Oswald. Le sue urla riecheggiarono per tutta la valle mentre il suo corpo moriva tra le fiamme che fin troppo spesso aveva usato con arroganza.

Le fiamme circondavano i corpi morti e tra loro, totalmente al sicuro v'era la sagoma del Piromante che li accompagnava nel loro viaggio. I suoi occhi parevano ardere come le fiamme che usava con tanta abilità, dalla sua bocca usciva il fumo nero, anche se più che fumo sembravano le tenebre stesse.

Kalad si sentì veramente intimorito dal loro compagno. Ayliss osservò tutto, stringendo con forza i pugni, ma non distolse lo sguardo, nemmeno per un istante. Il suo bellissimo viso, illuminato dalle fiamme della morte, assunse un aspetto differente. Più deciso, più temperato.

Un primo passo verso il cambiamento... e infatti qualcosa è cambiato.

Forse è nata una Messia?

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Capitolo 36
*** Tutti abbiamo perso qualcosa ***


Capitolo 36

Tutti abbiamo perso qualcosa

 

Il suo cuore continuò a battere all'impazzata, nonostante Eymin se ne fosse andato da un bel pezzo. La paura di essere scoperto e forse ucciso dall'unico amico che gli rimaneva era stata terribile.

Il suo animo era cupo però. Eymin non aveva sospettato, si era fidato, ma se avesse visto la Pietra di Aldruin non avrebbe esitato ad uccidere Kanda per alto tradimento nei confronti del Primo Re, anche se era il suo unico amico.

Si sentì terribilmente solo e velocizzò il passo. Nonostante sentisse la presenza di Ayliss sempre più vicina in un modo o nell'altro non riusciva mai a trovarla, era sempre uno o due passi avanti.

Ma la raggiungerò, presto lo farò e quel Kalad avrà quello che si merita. Spero per lui che non l'abbia nemmeno sfiorata o saranno cazzi suoi.

Camminando ripensò a Eymin, il suo amico dai capelli blu non era cambiato molto, forte senso del dovere, una sorta di aria regale (come ogni Q'uoin che si rispetti). Era sempre stato propenso al comando e infatti era restato nell'esercito, le Bestie Nere non gli avevano rovinato la vita come fecero con Kanda.

Non sono mai stato forte e mai lo sarò.

Era stata una vera fortuna aver salvato la vita di Eymin quel giorno, veramente una fortuna.

Kanda ricordò che quando Eymin scoprì che era un Possessore rimase di stucco. Eymin non aveva mai avuto quel dono e questo aveva portato una palese gelosia, lo si vedeva dai suoi sguardi. Eppure Eymin era restato nell'esercito e Kanda era scappato, si era ritirato e aveva lasciato solo Eymin a combattere.

Lui riusciva a sopportare tutto quel... dolore. Tutto quel sangue e quella sofferenza. Io no. Ancora oggi sento il terribile fetore del fiato delle Bestie Nere e mi viene la nausea. Gli incubi erano talmente vividi e reali che il suicidio divenne quasi l'unica soluzione. Fu allora che andai dai M'ashman.

E quello gli fu estremamente utile. Giorni passati a non fare apparentemente nulla di utile, cose semplici, banali, e ore interminabili stando seduti a gambe incrociate con gli occhi chiusi. Ma era servito. Era riuscito, con la concentrazione, ad entrare dentro i suoi sogni e comandarli con la sua voce. Lì aveva scoperto quando in là poteva andare il suo potere, quante possibilità c'erano. Era un Possessore, prima che quel termine venisse usato dai noveriani per descrivere chiunque avesse dei poteri, ma in origine essere un Possessore significava avere il dono della Voce, piegare qualunque cosa al proprio volere.

Un tempo quel potere era molto più diffuso, fino ai primi anni del regno di Noveria, prima che il Grande Inquisitore facesse piazza pulita.

Nella lingua Q'uoin erano detti Kotash'malann, Piega Volontà. Se eri un possessore era bene per te andare a Q'uoian... se solo i Q'uoin avesse un cuore buono e lasciassero entrare un umano.

L'ultimo umano che venne accettato a Q'uoian fu un certo Darrius ma non fu una buona idea, dato che il ragazzo si avventurò nella Tomba del Primo Re e cercò di rubare l'Arma, tentativo miseramente fallito. Kanda aveva sperimentato tutto le vie di quell'enorme potere in quel monte nascosto a Q'uoian, dove nessuno l'aveva disturbato, dove era rimasto solo e dove il suo potere era cresciuto, si era perfezionato.

Certo si diceva che gli antichi Kotash'malann potessero comandare le cose senza il bisogno del contatto fisico ma solo con il suono della loro voce.

La vita dei Q'uoin si basava su due principi, la Voce e il Tatto.

Anche coloro che erano privi di potere intonavano lunghe canzoni in onore degli alberi e di tutta la natura. I Q'uoin toccavano la natura, l'erba fresca, la neve, il fango, tutto. La magia si basava proprio su questo. Una cosa seguiva il comando della voce ma doveva anche essere toccata, era il principio fondamentale. Ma, molti anni fa, c'era chi poteva richiamare il fulmine e far tremare la terra provocando terremoti.

Certo io sono abile, parecchio a dire il vero, ma sono ben lontano dal provocare terremoti. Ci misi una settimana per riuscire a muovere una pietra, la terra è difficilissima da comandare, è potente e viva e ha una forza immensa. È come cercare di governare il mondo stesso.

Invece sono sempre stato piuttosto abile a comandare il vento, W'orshan aveva intuito bene.

Tenne stretta la sua spada, Shamalash, e passò il dito su tutta la lunghezza della sua lama. Kanda aveva studiato i diversi passi che le spade avevano attraversato nel corso della storia e ogni regno tendeva a preferire un determinato tipo di lama. Il nord non amava molto le spade ma quando le forgiavano erano enormi e pesanti. I noveriani le rendevano maneggevoli. Gli Uomini Acquatici curve e affilate, fatte solo per il taglio. I Celestiali rinnegavano le spade, a esclusione di quel loro Dio della Guerra, dotato di un enorme spada di cristallo nero. I Vurkaniani creavano spade con quel loro Brightfire e sembravano fatte di roccia. A Est, nella Terra delle Zanne, si utilizzavano prevalentemente lance lunghe e pesanti e nel grande Impero del Sole le spade erano molto simili a quelle Q'uoin, erano chiamate Katàsh, ed erano considerate le spade migliori al mondo. Anche se per Kanda, e per tutti i Q'uoin, erano considerate solo delle brutte copie. A Sud, nell'assolata Aghta e Tarpazzi, venivano prevalentemente usate lame ricurve dello stile di Aquamar, ma ad Aghta lo scudo non veniva mai usato, per questo gli Aghti venivano considerati degli incoscienti (o pazzi). A Tarpazzi i pugnali erano in possesso praticamente a tutti e Kanda era rimasto affascinato nello scoprire quel crudele marchingegno che nascondeva le lame nelle maniche. A Lysiux invece gli stocchi e in generale il combattimento ad affondo erano prediletti. Ma le lame di Q'uoin, quelle erano delle lame degne di questo nome. Gli umani le consideravano troppo lunghe e impossibili da maneggiare ma gli umani erano incapaci in molte cose, le lame lunghe davano la possibilità di compiere archi estremamente ampi e lunghissimi affondi. Quella spada, sommata poi al suo potere da Kotash'malann, lo rendevano un nemico temibile.

Se solo mi fossi allenato maggiormente e non avessi evitato ogni sorta di responsabilità... forse è stata la delusione di essere esiliato dalla mia patria dopo la mia scoperta che mi portò a vivere allo sbando, con quella blanda scusa di essere uno storico.

Venni esiliato molti anni fa, diverse vite mortali fa, e in tutti questi anni non ho fatto nulla che potesse rendermi migliore. Dopo aver cercato di essere un soldato, dopo aver allenato la mia mente, dopo aver perfezionato i miei poteri e dopo aver fatto forse l'unica cosa che mi aveva portato dei frutti nella mia vita, cioè essere diventato consigliere del re, sono stato esiliato. Ho vagato per anni tra i mortali, tra gli umani, e ho fatto tutto quello che potevo per fuggire da ogni tipo di responsabilità.

Me ne sono presa solo una, Ayliss, e ora sto camminando da giorni per trovarla.

Tutto quel flusso di pensieri venne interrotto appena vide un carro avvicinarsi lentamente. Rimise in fretta il cappuccio, nascose Shamalash, e attese che il carro diventasse visibile. Si stupì quando vide che i due uomini presenti nel carro non erano occidentali. Erano due imperiali. Quello che conduceva il carro aveva gli occhi a mandorla, seppur in modo meno accentuato rispetto ad altri imperiali, portava i baffi nel tipico stile orientali, procedevano verso il basso, formando una sorta di cornice attorno alla bocca. Era pelato, fatta eccezione per la lunga treccia appoggiata sulla sua spalla. Quello fece capire a Kanda che si trattava di un imperiale di etnia Akumata. Gli Akumata dimostravano il loro valore come guerrieri a seconda di quanto la loro treccia era lunga. Appena furono vicini, l'imperiale fermò il suo carro e scrutò attentamente Kanda, mettendo la mano sulla sua Katàsh.

-Non voglio fare nulla, imperiale. Sono solo un umile viandante.- disse Kanda.

L'imperiale sputò a terra.

-Lo vedo, ma l'ultimo viandante che ho incontrato ha cercato di rubarmi il carro.- disse l'imperiale col suo marcato accento indicando la sua Katàsh, ancora parzialmente incrostata di sangue.

-Non voglio finire sotto la tua lama ma posso almeno sapere il tuo nome?- Kanda quasi si maledì, lui e la sua dannata mania di parlare con chiunque.

L'imperiale si accigliò. -E dimmi perché dovrei.-

-Perché ho dannatamente bisogno di parlare con qualcuno e anche tu credo, il tuo compagno non sembra di molte parole.-

Lui sbuffò -Il contrario a dire il vero, fa il timido ora.- disse lanciando un occhiataccia a quello che, si rese conto Kanda, era in realtà il suo prigioniero.

L'imperiale alle sue spalle aveva i capelli rasati, un semplice pizzetto sotto le labbra e gli occhi a mandorla più evidenti rispetto al conducente del carro. I suoi piedi erano legati al carro e le sue mani ammanettate. Kanda notò con profondo disgusto che le manette avevano delle piccole spine che facevano sanguinare le braccia del prigioniero.

-Posso dirti il mio nome se tu mi dici il tuo e ti togli quel cappuccio.-

-Credo che la seconda cosa non sia possibile.-

-Sei un fuggitivo?-

-Circa.-

-Be' stai pur certo che non parlerò, non mi importa nulla degli affari di voi occidentali e la situazione è già pericolosa di suo, non voglio mettermi in mezzo. Viaggiare con un carro è pericoloso già di suo.-

Kanda ci rifletté su ma effettivamente il discorso dell'imperiale non faceva una piega.

-Il mio nome è Kanda T'mail.- disse togliendosi il cappuccio.

L'imperiale rimase stupito vedendo che Kanda non era umano.

-Un Hekkoman!- disse, quello era il nome dei Q'uoin nella lingua imperiale.

-In carne e ossa.- disse sorridendo Kanda.

-Non avrei mai pensato di vedere un Elementale della Foresta nel mio viaggio, questo è un grande dono. Il mio nome è Garuda.- disse chinando umilmente la testa.

-E il tuo cognome?- chiese perplesso Kanda.

-L'ho perso, sono un Roynam.-

L'espressione di Kanda fece capire a Garuda di spiegare il significato di quella parola.

-Un Roynam è un cercatore. Veniamo scelti dal nostro governatore per andare alla ricerca di qualcosa.-

-E tu cos'hai dovuto cercare?- chiese Kanda intuendo però la risposta.

Garuda indicò con la testa il suo prigioniero dietro di lui.

Kanda si spostò per poter vedere meglio il poveraccio.

-Dimmi il tuo nome.-

-Hiroma, Hekkoman.- disse il prigioniero, la sua voce era lieve.

-Garuda posso sapere perché quest'uomo ha quelle manette? Mi sembra... crudele.-

Garuda guardò serio le manette.

-Necessario! Per la nostra sicurezza, Hekkoman.-

Kanda si accigliò e guardò Hiroma.

-Chi sei?-

Hiroma tacque, temendo forse la reazione che Kanda avrebbe avuto, ma infine parlò.

-Sono un monaco Karuma.-

Kanda si allontanò immediatamente, intimorito.

-Ora sai il motivo di quelle spine. Il dolore fisico annulla gli infernali poteri di quest'essere.-

i Karuma era telecinetici, Kanda lo sapeva, e la telecinesi, da quello che si diceva, era l'unico potere che poteva eguagliare la Voce. Il poter muovere gli oggetti con la forza del pensiero. I Karuma poi era temuti e odiati a causa di quello che fecero, era grazie a loro se ora nell'Impero del Sole la magia veniva odiata e considerata una creazione del Buio.

-Questo bastardo viveva assieme a dei poveri contadini, ignari del fardello che porta.-

-Il mio non è un fardello e non erano ignari.-

Garuda si girò e lo colpì con un forte pugno sul volto.

-Taci! La magia dev'essere usata solo dagli Hekkoman, questo io penso!- disse poi guardando Kanda.

Kanda evitò di rispondere, meglio non dire nulla riguardo la magia con un imperiale.

Kanda continuò a guardare Hiroma e, non seppe dire perché, voleva sapere di più sul suo conto.

-è la prima volta che vedo un Karuma.-

-Allora nella tua lunga vita, Hekkoman, non hai visto niente.-

Garuda cercò di colpire Hiroma ma Kanda lo fermò e il Roynam si fermò subito.

-Tutti i Karuma sono arroganti come te?-

Hiroma scosse la testa.

-Questa è una mia caratteristica, nonostante le dicerie noi Karuma non siamo degli automi senza cervello.- disse lanciando un occhiataccia a Garuda.

Kanda lo studiò attentamente ma il suo volto pareva privo di emozioni.

Sappiamo così poco di loro.

-Cosa facevi insieme a quei contadini?-

-Vivevo assieme a loro, mi ospitarono cinque anni fa e in questi cinque anni mi hanno dato un letto su cui dormire, cibo, vestiti e affetto. Tutte cose che a casa mia sono mancate.-

Kanda preferì non entrare nel dettaglio ma immaginò. La vita nell'Impero per un Karuma dev'essere terribile.

-E ci tengo a dire che sapevano dei miei poteri, con essi li ho spesso aiutati nei lavori nei campi ma non ho mai fatto loro del male. Mai l'avrei fatto. Erano la mia famiglia.-

Garuda sputò a terra.

-Poco importa! Hanno vissuto per cinque anni vicino ad un figlio del buio e la tua aura tenebrosa li ha contaminati! Li avrei uccisi per liberarli dal fardello della notte.-

Hiroma guardò Garuda con gli occhi socchiusi.

-Non dire cose di cui potresti pentirti, Roynam.-

-Altrimenti?-

Hiroma tacque.

-E non mentire a te stesso.- disse poi.

-Io...- Garuda non disse nulla ma evitò lo sguardo di Hiroma.

Non scorre buon sangue tra i due e lo capisco.

-Da quanto siete in viaggio?- chiese Kanda.

-Da quattro giorni ma procediamo molto lentamente e poi... be' non pensavo di certo che la guerra avrebbe dilagato così in fretta.-

-Hai mai visto la guerra?- chiese Kanda, maledicendo ancora la sua dannata curiosità.

Garuda parve quasi sussultare, poi si calmò.

-Sì... purtroppo di questi tempi nessun è così fortunato da dire di non aver visto la guerra.-

Non disse altro e questo fu un bene.

Kanda osservò Hiroma, occhi a mandorla, capelli rasati, corpo magro e praticamente privo di muscoli.

-Sei di Xan, vero?-

Hiroma alzò un sopracciglio, non nascondendo la sua sorpresa.

-Non pensavo che ad occidente conosceste i diversi territori dell'impero.-

-Infatti è così, io sono un caso a parte.-

-Be' sono stupito... da cosa l'hai capito?-

-La tua carnagione chiara e il tuo fisico esile, a Xan non ci sono guerrieri, solo contadini e pastori.-

Hiroma annuì tristemente.

-La mia famiglia lavorava nelle risaie infatti. Ho sempre odiato quel posto. Fui felice di andarmene... anche se non fu per scelta.-

-Cioè.-

-Appena mio padre scoprì i miei poteri cercò di uccidermi.-

Kanda abbassò la testa.

-Ma i poteri dei Karuma non sono ereditari?-

-Infatti. Non erano i miei veri genitori, mi avevano trovato da piccolo, io nemmeno ricordo quando e dove. Volevo loro bene... quando mio padre tentò di uccidermi il mondo parve crollarmi addosso e forse lo fece davvero. Scappai e vagai per anni, di città in città, facendo i lavori più umili. Poi mi nascosi dentro una nave e...-

-Sì, sì, molto interessante peccato che non me ne fotta un cazzo!- sbottò Garuda e Hiroma tacque immediatamente.

Kanda iniziò a provare molta pena per quell'uomo... che a guardarlo bene sembrava molto, ma molto più giovane di quello che sembrava.

Aveva perso la sua famiglia, era stato adottato e il padre aveva tentato di ucciderlo e poi, venendo qui, aveva finalmente trovato qualcuno che sapesse amarlo pur sapendo chi era. Ma anche questo gli era stato portato via.

-Tu invece, Garuda, sei un Akumata. Quella treccia ne è un palese esempio.-

Garuda passò delicatamente la mano sulle sue treccia.

-Già. E sono fiero di esserlo. Noi Akumata combattemmo strenuamente per mantenere salde le nostre tradizioni e tutt'ora c'è chi tra noi combatte. Ma io sono un servo fedele dell'imperatore Zu Kan Fang.-

Hiroma, per la prima volta mostrò il suo sorriso. Ma un sorriso freddo e per niente felice.

-Alla fine io e te siamo simile, Roynam. Il tuo popolo lotta tutt'ora per mantenere salde le sue tradizioni, proprio come noi Karuma.-

-Tappati quella fogna!-

Kanda, forse spinto dalla pena che provava per il Karuma, gli disse: -Hiroma, cerca di capire la rabbia di Garuda, voi Karuma non siete ben visti nell'Impero e dati i fatti mi pare giusto.-

-Ah lo credo bene!- disse Garuda con quel suo vocione raschiante.

-Per cento anni i figli del buio governarono illegalmente sull'Impero. Cento anni! Fu solo grazie al coraggio del nuovo imperatore Yu Kan Fei che voi bastardi veniste sterminati! E, come se i vostri cento anni di dominio non fossero stati abbastanza distruggeste la nostra capitale!-

Hiroma si accigliò.

-La distruzione di Kazumata fu un gesto che anche i Karuma ancora in vita disprezzano, fu un gesto terribile.-

-Almeno hai la decenza di ammetterlo.- disse cupamente il Roynam.

Kanda aveva sentito molto parlare di Kazumata, l'antica capitale era una delle città più antiche del mondo, talmente grande che ci sarebbero voluti diversi giorni per raggiungere dalle mura il castello imperiale. Quando Yu Kan Fei riuscì a cingere d'assedio la città i Karuma tentarono un ultimo atto disperato. Pur di impedire che la mano dell'imperatore toccasse ancora la loro città usarono tutti i loro poteri e rasero al suolo l'intera città, uccidendo chiunque vi fosse all'interno. Mai, nella storia, una città venne distrutta in quel modo. Nemmeno Konderham venne ridotta in uno stato simile.

Certo se si escludo gli antichi regni dell'Epoca d'Oro. Durante il Grande Gelo la loro distruzione fu ben peggiore, più... terribile.

-Be' bisogna trovare il lato positivo delle cose, no? Dopo la distruzione venne costruita Fuyong, una delle più belle città del mondo.- disse Kanda cercando di alleggerire la situazione.

Garuda annuì, ma il suo volto rimase duro come la pietra.

-Sì, questo è vero Hekkoman. Ma la nascita di una grande città non vale la distruzione di un'altra, per quanto essa possa essere bella.-

Belle parole.

Hiroma guardò Kanda e gli sorrise.

-Ma io affronto le conseguenze, Hekkoman. Le conseguenze di essere nato. Non scegliamo dove nasciamo, non scegliamo i nostri padri e nemmeno come siamo alla nostra nascita. Non ho scelto io di avere questi poteri, di essere dalla nascita un monaco Karuma. Eppure queste- disse mostrando le sue manette spinate. -Sono le conseguenze di cose che non ho scelto. Non siamo più artefici del nostro destino, Hekkoman.-

Kanda annuì lentamente.

Non lo siamo più da molto tempo. Le conseguenze delle tue azioni arriveranno con spietatezza prima o poi, per quanto tu faccia di tutto per evitarle. È il destino. Bisogna affrontare le conseguenze, anche di cose che la sorte, con la sua crudeltà, ti ha dato.

Ah per Zumtharaan... quando sono diventato così pessimista?

-Ma non è solo questo...- disse tristemente Garuda.

-I Karuma sono peggio di quello che pensi, Hekkoman. Cosa vuoi che me ne importi se hanno distrutto una città secoli fa? Tutti abbiamo perso qualcosa e ho i miei motivi di odiare la feccia come lui.-

Garuda imprecò in imperiale e guardò in cagnesco Hiroma, quest'ultimo lo guardò per un secondo e poi chiuse gli occhi, sospirando.

Tutti abbiamo perso qualcosa.

E io? Io ho mai perso qualcuno o qualcosa di cui mi importasse davvero?

Quando me ne andai da Q'uoian non andai nemmeno a salutare la sorella di Eymin, Avenya, la donna che teoricamente amavo.

Ma mi era mai importato veramente qualcosa di lei?

Era una Q'uoin straordinaria e forse è stato proprio questo a fermarmi. Non l'ho mai meritata.

Non meritava un Q'uoin che ha sempre e solo pensato a sé stesso.

Anche Ayliss... mi importa davvero così tanto di lei oppure lo faccio solo per dimostrare qualcosa a me stesso, che mi importa anche di qualcun altro?

Ora come ora... non mi so rispondere.

Non volle indugiare, certe volte è meglio farsi gli affaracci propri.

Ma perché era ancora lì a parlare?

-Be' signori... credo sia arrivato il momento di incamminarci, dico bene?-

Garuda impugnò subito la spada.

-Lascia che ti accompagni, Hekkoman. Sarà un onore per me mettere al tuo servizio la mia lama, seppur per poco tempo.-

Kanda non rimase stupito di quella richiesta. Nell'Impero del Sole la magia, chiaramente, veniva vista con odio e disprezzo, forse ancora peggio di Noveria.

Anche se qui i poteri dei Sacerdoti dell'Occhio vengono rispettati. Diciamo che i poteri che il Grande Inquisitore non può sfruttare vengono distrutti, gli altri è ben disposto ad usarli.

Solo gli Hekkoman, i Q'uoin, avevano il diritto di usare la magia, questo pensavano gli imperiali, perciò ogni imperiale era estremamente rispettoso e ben disposto all'aiuto verso un Elementale della Foresta.

Kanda sospirò e scosse la testa.

-Mi spiace ma è meglio di no, hai molta strada da fare e non voglio farti perdere tempo.-

Garuda mollò la sua spada e annuì.

-Come vuoi, Hekkoman. La mia lama è al tuo servizio, ferro e cuore.- disse Garuda, prima toccando la lama e poi il suo cuore.

Quello era una tipica frase imperiale.

Kanda annuì e toccò la sua lama e poi il suo cuore.

-Ferro e cuore.-

Hiroma sospirò e alzò lo sguardo e guardò degli uccellini appollaiarsi placidamente sul carro e cinguettare.

-Questo non è un addio, Hekkoman. Tutte le vie che si possono percorrere sono sotto il sole, per quanto il buio tenti di nasconderle. Tutte le strade si incontrano, più e più volte. La neve ti prenderà con sé e troverai onore e rispetto in essa. Troverai ciò che cerchi e cambierai opinione, su te stesso e sugli altri. Sarai disposto a sacrificare ciò a cui più tieni per ciò in cui credi. E nella sconfitta uscirai vincitore. Questo non è un addio, Kanda.- la voce di Hiroma era pacata, era come se quelle cose che aveva appena detto fossero cose note a tutti, anche a Kanda.

Kanda si accigliò e resse lo sguardo del Karuma, per quanto i suoi occhi a mandorla sembrassero diventare, secondo dopo secondo, sempre più intensi. Kanda annuì semplicemente e si incamminò per la sua strada, senza riuscire a togliersi di dosso la sensazione di essere osservato.

“Tutte le vie che si possono percorrere sono sotto il sole, per quanto il buio tenti di nasconderle.”

E allora come mai... tutte le vie che ho percorso mi sembrano buie e prive del più fievole bagliore?

 

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Capitolo 37
*** Un ombra oscura ***


 

Capitolo 37

Un ombra oscura

-Come pensi andrà avanti tra di noi?- chiese Ayliss baciando Kalad.

-Non lo so, ma finché avrò forza per tenere la spada in pugno andrà bene e lo sai.- rispose lui ricambiando il bacio.

Lei si accigliò.

-Ma forse è un peso eccessivo, forse questo potrebbe peggiorare le cose.-

Lui sbuffò e le accarezzò il viso, baciandola nuovamente.

-Non mi importa. Io ti amo e questo non cambierà le cose, io ti proteggerò da ogni pericolo.-

Lei gli sorrise e ricambiò il bacio tenendogli la testa tra le mani.

Ormai Ulfric era abituato ai loro baci anche se fin troppe volte li fissava intensamente e questo metteva non poco a disagio Kalad. Eppure ad Ayliss non dava fastidio, diceva che nei suoi occhi leggeva una grandissima nostalgia. La donna che aveva amato era morta ormai da molti anni e il suo cuore era rimasto freddo per tutto questo tempo. Ayliss smise di baciare Kalad e volse il suo sguardo verso il Piromante.

-Ulfric, tu spesso parli della figlia dell'imperatore. Quella che tu rapisti. Parlami di lei.-

Ulfric sussultò, abbassò lo sguardo e sospirò.

-Perdona la mia reazione, fiammetta, ma parlare di lei... è difficile per me. Nonostante il mio legame col fuoco raramente il mio cuore ha provato calore. Ma lei... ci riusciva. Ho amato una sola volta e ho amato lei, nessuna donna sarebbe stato più degna. Il nostro amore fu proibito, negato, causò gravi disordini. Ma non avrei mai pensato che il mio cuore potesse amare e lo fece con una tale intensità... che la minaccia dell'Imperatore divenne solo un ombra.-

Ayliss cercò di dire qualcosa ma si interruppe. Si toccò nervosamente le dita e infine parlò.

-Ma Ulfric... io conosco questa storia. Si dice che l'Imperatore mandò contro di te le sue truppe più potenti, e che tu... uccidesti la tua amata.-

Il viso di Ulfric si fece mortalmente serio.

-è questo quello che si dice, dunque?-

Lei annuì.

Ulfric tacque per diversi minuti, finché Kalad parlò.

-Non sei costretto a rispondere...-

-è la verità.-

Il silenzio calò, anche il vento parve fermarsi e il rilassante rumore delle foglie mosse da esso si fermò.

Lui annuì e il suo volto, si accorse Kalad, era rigato di lacrime.

-Lo feci. La uccisi. Me lo chiese lei stessa.-

Ayliss aveva gli occhi spalancati e aveva messo le mani sulla bocca per coprirla.

-L'Imperatore ci stava braccando da mesi, nessun luogo era sicuro. Solo uno... solo un luogo era sicuro.. ma stava oltre il cielo, un posto nascosto ai vivi.

Lei mi chiese... mi chiese di ucciderla, ciò che le avrebbe fatto suo padre sarebbe stato... inimmaginabile. Le altre opzioni erano peggiori... ucciderla fu la cosa giusta da fare, nonostante il mio cuore perse il suo fuoco e divenne freddo e gelido come il ghiaccio.-

Kalad abbassò la testa, senza avere il coraggio di guardare negli occhi Ulfric. Quell'uomo aveva perso tutto.

Ayliss si alzò e andò da Ulfric, gli tenne strette le mani e quando parò la sua voce era strozzata.

-Oh Ulfric... mi dispiace così tanto. Sento... tanto di quel dolore nel tuo cuore, come fai a sopportarlo?-

Ulfric cercò di nascondere le lacrime e sorrise.

-La vita va avanti, fiammetta. Tutti abbiamo perso qualcosa, chi più chi meno. Tutti abbiamo perso una parte del nostro cuore, una parte che nemmeno può essere recuperata. Una parte perduta per sempre nell'ombra del dolore. Eppure la vita non termina e nonostante tutte le terribili sofferenze che subiamo la nostra vita va avanti. Sai quante volte ho pensato di estinguere la mia fiamma spirituale? Talmente tante volte che nemmeno immagini. Ma qual'è il dono più grande che ci viene donato? La vita, fiammetta. La vita è la cosa più importante e bisogna tenerla stretta, come se fosse il tesoro più prezioso. E se qualcuno cerca di privarci di essa con grande arroganza noi rispondiamo nello stesso modo. Ma ci sono più vie da seguire. Io e Kalad togliamo la vita per difendere la nostra ma è il modo giusto? Dipende. Ci sono molti modi per risolvere questa situazione. Io non dirò cosa e giusto e cosa non lo è. Ma ti dico questo, fiammetta, e ascoltami bene eh? Le lacrime non avranno mai fine e il dolore al cuore ci sarà sempre, ogni volta che si ripenserà a cose che ti hanno fatto soffrire. Ma niente, niente al mondo, deve essere talmente forte da farti perdere la speranza. La speranza di un futuro migliore.-

Lei scacciò le lacrime e annuì decisa, quando fece per allontanarsi però Ulfric le strinse le mani, facendole capire di non lasciarlo.

-No, ti prego. Il tuo tocco mi da forza.-

Kalad rimase in silenzio e sentì il suo cuore provare un forte dolore.

Si immedesimò in Ulfric, aveva ascoltato con grande attenzione le sue parole. Ciò che era successo a lui... era esattamente ciò che stava succedendo a lui con Ayliss. Erano braccati dal mondo intero, avevano trovato un aiuto solo in Ulfric. Quel Kanda che stava cercando Ayliss di certo non vedeva come una cosa positiva il fatto che Kalad l'avesse rapita e poi i Q'uoin non brillavano certo per simpatia. L'Inquisizione gli era alle calcagna e il trattamento che riservavano ai traditori era atroce. I Celestiali la volevano morta e i nordici alleati dei vurkaniani si apprestavano a dare inizio all'invasione di Noveria, da Nord e da Est. E... quando la situazione sarebbe diventata veramente ingestibile, quando anche lui avrebbe perso la speranza... avrebbe fatto la stessa cosa che fece Ulfric? L'avrebbe uccisa, se effettivamente poteva morire?

Cercò di non pensarci, mentre il suo animo si faceva sempre più cupo.

 

Stava calando il sole quando un gruppo di briganti giunse. Le tenebre li avevano abilmente nascosti e i loro pugnali e le loro frecce erano sbucate all'improvviso. Erano in cinque, due armati d'arco, i più pericolosi, uno armato di spada, uno d'ascia e l'ultimo aveva una lancia.

Kalad rimase perplesso, i briganti generalmente non hanno armature, ovviamente, ma loro portavano protezioni per le braccia e per le gambe di ferro ma nessuna protezione per il petto.

Questo è strano.

Non urlarono o misero subito in chiaro le loro intenzioni, ma si mossero in silenzio. Un silenzio inquietante.

Ancora più strano era la loro assenza di scudo. Kalad non usava lo scudo perché il suo spadone non glielo permetteva e la sua agilità gli aveva sempre permesso di schivare e stancare i suoi avversari. Ma loro portavano una spada larga e un ascia a una mano, lo scudo sarebbe stato fondamentale. Eppure quei briganti si avvicinavano con grande sicurezza. Quello armato di lancia spiccò un salto, ma quando lo fece si sentì un suono simile a quello che emette una catapulta quanto lancia le pietre. Il salto che spiccò il brigante fu molto più alto del normale e, se Kalad non si fosse spostato in fretta, la sua lancia lo avrebbe ucciso sul colpo. Appena Kalad tentò di colpirlo col suo spadone il brigante si abbassò, schivando abilmente il fendente, e colpì al petto con l'asta della lancia Kalad. Kalad perse l'equilibrio ma riuscì a reggersi in piedi. In quell'attimo il lanciere si stava lanciando su di lui, approfittando della sua distrazione. La palla di fuoco di Ulfric pose fine al pericolo di quel brigante. Ayliss si allontanò dallo scontro ma un brigante armato d'arco la puntò immediatamente. Kalad avrebbe voluto andare da lei ma venne fermato dal brigante armato d'ascia. Di nuovo quel suono e di nuovo un grande salto. Il brigante piombò dal cielo e Kalad alzò la sua lama per intercettare il colpo. Fu forte, più di quello che sospettava. Resse il colpo, spinse il suo avversario e poi abbatté la sua spada sul suo braccio, tagliandolo di netto. L'urlo del brigante fu breve, perché successivamente la spada di Kalad gli spaccò in due la testa. Il fuoco scoppiettante di Ulfric, che sembrava tanto uno di quei fuochi artificiali dell'Impero del Sole, stava facendo il suo dovere distraendo il secondo arciere. Kalad fece per avvicinarsi ad Ayliss e proteggerla ma si fermò quando vide la ragazza lanciare una fiammata contro l'arciere. Le sue mani ardevano di una fiamma rossa come il sangue e i suoi occhi erano dello stesso colore.

Sì, è cambiata. Ma non uccide, non lo farebbe mai. Ora riesce a controllare il suo potere. Motivazione, ecco cosa le mancava.

Ayliss tornò normale, guardò l'altro arciere, distratto dal fuoco di Ulfric, e allungò la mano verso di lui. L'arciere parve pietrificarsi, Ulfric ne approfittò per bruciarlo. L'altro arciere si rialzò, le sue vesti bruciate e il corpo ricoperto di ustioni, ma questo non parve fermarlo. Il suo arco era andato in fiamme. Si lanciò, correndo, verso Ayliss. Ayliss indietreggiò e Kalad si parò di fronte a lei. Il brigante saltò come gli altri e superò sia Kalad che Ayliss.

Questo non è possibile.

Il brigante era privo di armi ma appena fu alle spalle di Ayliss tese la mano. La ragazza si volse e lo guardò perplessa. All'improvviso, dal palmo della mano del ragazzo, parve sprigionarsi un ondata di energia invisibile. L'aria parve diventare elettrica e Kalad sentì una forte pressione sul suo corpo che gli tappò le orecchie. L'erba si piegò al passaggio di quest'energia invisibile e Ayliss venne colpita in pieno. La sua pancia venne schiacciata, come se una mano la stesse spingendo. Lei non si mosse, trattenne un gemito e la pressione si fece maggiore. L'energia invisibile perse forza e la pressione sul corpo di Kalad si ridusse e sparì del tutto quando quella strana energia tornò sulla mano del brigante, rompendogliela di netto. Il brigante urlò e venne sbalzato all'indietro.

Non so cosa sia successo ma, cazzo, è stato assurdo!

Kalad approfittò subito del fatto che il brigante fosse a terra per impallarlo al suolo con la sua spada.

Quando si girarono per vedere come stava Ulfric lo videro schivare i fendenti dell'ultimo brigante. A ogni fendente il brigante ringhiava, frustrato per la sua incapacità di colpire il vecchio Piromante. Ulfric saltellò lontano da lui e tese la mano verso di lui e scagliò la stessa fiamma che aveva bruciato a morte Oswald. Il brigante fece lo stesso del suo compagno morto e tese la mano. Nuovamente quella sensazione, quella pressione che tappava le orecchie e le fiamme parvero fermate da un muro invisibile, poi il muro immateriale si mosse e le fiamme retrocedettero. Il potere invisibile si abbatté su Ulfric che venne scagliato contro un albero e dalla sua bocca uscì un rivolo di sangue. Kalad corse verso il brigante che tentò di colpirlo con quel suo potere. La lama del guerriero inquisitorio fu più rapida e si portò via una parte della testa del brigante.

Finalmente erano tutti morti, ma Ulfric sembrava ferito. Kalad e Ayliss corsero da lui.

-Tutto bene, vecchio?-

Ulfric tossì, sputando qualche goccia di sangue, ma nonostante ciò rise.

-Ah, già, vecchio è la parola giusta. Un tempo avrei retto diversamente ad un colpo così, ma sto bene.-

Lo aiutarono a rialzarsi e poi si guardarono attorno, tutti i briganti giacevano morti a terra.

-Hai visto Ulfirc? Sono riuscita a controllare la fiamma!- disse tutta eccitata Ayliss.

-Ho visto, fiammetta, ho visto. Generi la fiamma dal tuo stesso corpo, incredibile! E la usi molto bene, non è facile controllare il fuoco e ancor più difficile è comandargli di non uccidere. Ottimo lavoro.- disse facendole l'occhiolino. Il Piromante però aveva il fiatone e nascose più volte qualche gemito di dolore, non era più quello di un tempo.

-Sembravano briganti.- disse Ayliss, guardando i cadaveri tenendo i denti ben stretti per lenire il dolore.

-Già, sembravano. Ma dopo quello che ho visto inizio a pensare che fossero qualcosa di più.- disse cupamente Kalad.

Che cosa diavolo era quel potere? Ayliss era riuscito a respingerlo grazie alle sue capacità ma Ulfric l'aveva preso in pieno. Kalad non aveva mai visto una cosa simile e non ne aveva mai nemmeno sentito parlare.

-Ah... è un potere antico, molto antico, forse è per questo che ha respinto con tale facilità la mia fiamma.- disse pensieroso Ulfric.

Kalad tenne salda la sua sacca in cui teneva le pochissime cose di valore che avevano o semplicemente che non aveva lasciato nella sua stanza, dato che non aveva più potuto tornare nella sua stanza. Pochi pezzi di bronzo, poche cose da mangiare che avevano già mangiato da tempo, un coltello e il calice luttaniano che gli aveva dato Atras nella loro ultima missione contro degli Infedeli.

L'ultima volta che ho ucciso degli innocenti.

Nulla di valore, nemmeno il calice luttaniano, dato che reliquie di altri culti non erano ben accette inanzi tutto a Noveria e dopo la Diffusione del Credo in tutto il continente, perciò quei calici avevano ben poco valore.

Se erano dei briganti sarebbero rimasti a mani vuote, eppure... quello che ho visto mi fa credere che non fossero dei briganti comuni. Ma con i tempi che corrono...

-Ho anche pietrificato uno di loro! Ok, tu l'hai ucciso... ma ero riuscito a fermarlo senza fargli del male!- stava dicendo tutta orgogliosa Ayliss.

-Basta, dobbiamo andarcene e in fretta anche. Potrebbero torna da un momento all'altro.- Kalad finì di parlare esattamente quando sentì le voci, molte voci, sicuramente più di cinque. In breve si trovarono circondati da altri di quei briganti, o qualunque cosa fossero, Kalad prese Ayliss per il braccio e la mise dietro di lui, tra la sua lama e Ulfric.

-Be'...- disse Ulfric, senza aggiungere altro.

Già, erano nella merda.

-Ne conto... dodici.-

Assolutamente fuori dalla loro portata, ma forse Ulfric poteva fare qualcosa.

-Ulfric puoi usare qualcosa?-

-Oh lo farei amico mio. Ma... non mi sento molto bene. Quel colpo mi ha scosso. Ma lascia fare a me. Un vortice di fuoco farà capire a questi signori che è bene tenere le loro manacce magiche lontane da noi.-

Mentre Ulfric si apprestava ad usare il vortice uno degli uomini che li circondava si avvicinò, con in entrambe le mani due pugnali.

-Faresti bene ad arrenderti, ladro!- Kalad non seppe dire a chi si stava rivolgendo, il buio gli impedì di vedere chi stava guardando quell'uomo.

-Signori, credo sia arrivato il momento di levarsi di torno.- sentenziò una voce. Per un attimo Kalad pensò fosse stato Ulfric, ma anche il Piromante stava guardando Kalad accigliato. Ayliss strinse forte il braccio di Kalad.

-Kal... c'è qualcun altro qui... sento una forza oscura.-

-Cosa?-

Non ricevette una risposta, poiché tre briganti, tra cui quello che aveva parlato, vennero sollevati e lanciati via da una sorta di nube violacea. Gli altri non ebbero il tempo di urlare, la nube entrò dentro a due di loro e i loro occhi divennero neri come la pece e caddero a terra, morti.

-Un male arcano! Fuggiamo!- non fece in tempo a fuggire, un bagliore rosso lo tagliò a metà.

Kalad si allontanò inorridito, cosa diavolo stava succedendo?

Un brigante si accasciò al suolo e vomitò quelle che avevano tutta l'aria di essere sanguisughe. Un altro si strinse forte la testa, gemendo di dolore, poi i suoi occhi parvero uscire dalle orbite e la sua testa esplose in una nube sanguinolenta. Ayliss gemette di dolore.

Un altro si erse dritto, come se fosse stato pugnalato alle spalle, il suo corpo iniziò a brillare e la sua pelle prese fuoco e si polverizzò, lasciando solo lo scheletro. Dietro di lui, appena lo scheletro cadde al suolo, apparve una figura. Era indistinguibile nell'oscurità. Ma nella mano destra portava qualcosa, che brillava di un intensa luce viola. Era un bastone lungo una ventina di centimetri con alla sua punta un teschio umano. La figura puntò il bastone verso altri due briganti e la bocca del teschio si aprì e da esso uscì uno sciame di insetti. Gli insetti attaccarono i quattro malcapitati che si agitarono come dei pazzi per liberarsi di quegli esseri volanti ma senza risultato. Le punture provocarono gonfiori mortali, altri insetti entrarono nella bocca, nel naso e nelle orecchie, uccidendoli tutti. L'ultimo si guardò attorno, con gli occhi spalancati e il cuore che batteva a mille. La figura nell'oscurità si avvinghiò su di lui e lo fece cadere a terra e lo tenne fermo col peso del suo corpo. Con la mano libera gli tenne ferma la testa mentre con l'altra toccò delicatamente la fronte del brigante con la fronte del teschio. Il brigante guardò dritto nelle orbite vuote il teschio e due filamenti neri entrarono nei suoi occhi e uno più grosso nella sua bocca. Il suo corpo venne scosso da delle convulsioni incontrollabili e le sue vene divennero più sporgenti e violacee. Alla fine si sentì un suono terribile, tutte le sue ossa che si spezzavano e smise di dimenarsi, mentre un rivolo di sangue gli usciva dal naso.

La sagoma accarezzò dolcemente il corpo morto e sospirò.

-Torna tra le fredde lande della Valle Cupa, mio sfortunato amico.-

La figura si alzò e ora, agli occhi dei tre stupiti spettatori, divenne ben visibile.

La sua pelle era nera come il carbone, e questo lo rendeva un Pellescura del Regno delle Zanne, i suoi capelli neri erano rasati e portava un elegante pizzetto. I suoi occhi erano innaturalmente chiari, data la sua carnagione scura. Indossava un gilè marrone che lasciava il suo petto scoperto, mostrando la perfezione del suo fisico. Le sue brache erano leggere e terminavano sul ginocchio. Non portava stivali e nemmeno scarpe, era a piedi scalzi. Poco sotto la sua spalla destra portava un tatuaggio bianco che rappresentava un teschio umano. Al collo portava una collana decorata con dei denti, Kalad non seppe dire di che animale appartenevano. Forse una tigre o un altro animale di quelle terre.

Guardò i tre, sorrise in modo gioviale e allargò le braccia.

-Signori, perdonate questa brutta scenata ma mi sembrava un ottimo modo per presentarmi.- fece per avvicinarsi ma Kalad gli puntò la spada a pochi centimetri dal collo.

-Non avvicinarti di un altro passo!- Kalad aveva il fiatone, quel tipo era un mostro.

-Se fossi in te lascerei perdere, amico mio, quella spada non può nulla contro la sua arte oscura.- disse cupo Ulfric.

Il Pellescura sospirò. -Ahimè credo che il tuo amico abbia ragione.-

Kalad guardò dritto in quegli occhi così misteriosamente chiari che risaltavano in modo incredibile in quella pelle così nera.

-Sei un amico?-

Il Pellescura si lasciò andare ad una lieve risata.

-Sì, amico. Esistono amici in questi tempi bui? Credo di no. Ma se un amico è colui che aiuta nel momento del bisogno allora dire di sì, sono il vostro migliore amico.- un altra risata deliziata. -Il mio nome è Mako Moodi, sono uno stregone dei Teschi Albini al servizio del Signore delle Zanne Zaman Agondi. Il mio signore è stato oltremodo interessato a ciò che sta succedendo qui, dopo aver sentito le voci che parlavano di una Messia giunta sulla terra.- disse Moodi guardando Ayliss.

-Le voci girano un po' troppo in fretta.- disse rabbioso Kalad.

Moodi schioccò la lingua, seccato.

-Pensi davvero che notizie simili non facciano il giro del mondo?- rise divertito. -Ti assicuro che si parla della guerra che infuria nelle Terre Occidentali già da molto tempo e la voce dell'avvento di questa Messia ha smosso le fondamenta del mondo.-

Ayliss si fece avanti, cercando di mascherare il palese timore che provava per quell'uomo.

-Dimmi chiaramente perché sei qui.-

Mako Moodi non fece segni di particolare riverenza verso Ayliss ma appena posò gli occhi su di lei una luce brillò in essi.

-Zaman Agondi, l'uomo a cui ho giurato fedeltà e lealtà assoluta tatuandomi il Teschio Albino mi ha incaricato di venire qui e vedere ciò che accade. Vi sto seguendo da qualche giorno, difficilmente mi avrete notato, l'abilità di mutare forma è una delle mie molteplici capacità. Ho osservato anche ciò che sta accadendo attorno a voi. Senza che voi ve ne rendiate conto questo continente sta andando in malore. Morte e sofferenza, come mai prima d'ora. Tutti contro tutti, nessun alleato e le alleanze che c'erano sono cadute come castelli di carte. Un oscura ombra si profila all'orizzonte... e sento che io sarò dentro di essa. Sono disposto ad offrirvi il mio aiuto.-

Ayliss alzò un sopracciglio.

-E per quale motivo? Il tuo signore ti ha ordinato di osservare, non di partecipare.-

-Partecipare è una mia scelta. Sento che quell'ombra mi chiama e rispondo alla sua chiamata. Ho un mio ruolo da interpretare. Ora... e in futuro. Tra molto tempo.-

Kalad rifiutò di capire le parole di quell'uomo, ma proprio non riusciva a fidarsi di lui.

-Sei dalla nostra parte dunque?-

-Questo ho detto.-

-Perdonami se non mi fido ancora di te. Era veramente necessario fare quello che hai fatto?-

Moodi si accigliò, evidentemente seccato.

-Uccidere dici? Mi sembra che tu l'abbia fatto spesso e senza troppi pensieri, mio caro.-

Kalad scosse la testa. -Non dico questo! Dico... ucciderli in quel modo!-

Moodi fece spallucce. -L'omicidio è pur sempre omicidio, come si uccide non cambia molto le cose.-

-Cambia.- disse freddamente Ayliss, la sua voce dura come il ferro.

Moodi la guardò per un attimo senza muoversi, poi chinò umilmente la testa.

-Non che fosse una mia scelta... questo è il mio potere, fanciulla.-

Ayliss parve confusa e Ulfric fece un passo avanti, posando in modo protettivo la mano sulla spalla della ragazza.

-Arte oscura, fiammetta. Magia nera, tipica del Regno delle Zanne. Una magia che si basa sulla paura, la crudeltà e la follia.- disse Ulfric, facendo ben intendere il disprezzo che provava per quell'arte.

-Magia funzionale, piromante.- disse Moodi, il modo in cui disse l'ultima parola la fece apparire come una parola di scherno. -A meno che il tuo... parlare col fuoco sia più funzionale del uccidere dodici uomini usando le loro paure.-

-Lascia che ti mostri...-

-Finitela voi due! Moodi hai detto che sai ciò che sta accadendo mentre noi fuggiamo. Parla.- disse curioso Kalad.

Moodi lanciò un ultima occhiataccia a Ulfric e poi guardò il cavaliere inquisitorio.

-Giù nella costa non si parla d'altro se non della strenua resistenza che stanno facendo gli Uomini Acquatici contro la flotta noveriana. Il Principe Ereditario è morto... ma si dice che il secondogenito abbia preso in mano la situazione, riuscite a crederci?-

Kalad non aveva mai incontrato Hidan Naustrarer e nemmeno Kordovar. Gli uomini acquatici erano molto solitari e schivi, raramente uscivano dalla loro isola. Eppure sapeva che Kordovar era un abile guerriero e stratega, mentre il fratello minore un uomo molto apprezzato dalle donne ma non di certo un guerriero, tutt'altro. Le cose stavano cambiando.

-Avrete di certo visto ciò che è successo poco distante da qui, vero? Una battaglia tra nordici e noveriani. La vittoria è andata ai seguaci del Grande Inquisitore seppur con molte perdite. Una vittoria falsa, si dice dalle mie parti. Ora negli accampamenti nordici si teme la freccia nera e negli accampamenti noveriani non si fa altro che inneggiare all'Arciere Cupo, l'eroe della Battaglia del Bosco in Fiamme.-

Kalad spalancò gli occhi. Frecce nere? Arciere cupo? Tutto gli faceva pensare a Thomas! Cosa aveva fatto per essere diventato così famoso? Ucciso qualcuno di importante forse.

Io fuggo dall'Inquisizione, se mi prendessero finirei tra le grinfie di un Inquisitore Nero che di certo si sbizzarrirebbe con le torture. Lui ora è famoso nell'esercito. Eravamo così simili... eppure ora siamo così diversi.

-E poi... la notizia che maggiormente ha scosso il mondo. I vurkaniani, quei pellerossa codardi, hanno tradito il Nord.-

-Tradito il Nord?-

-Argon Falltayer ha ucciso il Re del Nord e anche suo fratello Robert. Pare che l'intera famiglia Holdar sia stata sterminata e Icehold data alle fiamme.-

Un silenzio cupo e pesante quanto un incudine calò su di loro.

Icehold data alle fiamme? La dinastia Holdar sterminata? Il Nord in balia dei vurkaniani?

Il continente è nel caos.

-Capisco il vostro stupore.- disse annuendo comprensivo Moodi. -La dinastia Holdar era conosciuta anche nel mio regno, così diverso dal vostro freddo Nord. La dinastia umana più antica del mondo, nemmeno la dinastia Naustrarer riesce a raggiungere l'antichità della famiglia Reale del Nord. Ma ora... ora solo ombra.-

Ulfirc parve quello più scosso di tutti.

-Oh Supremo... gli Holdar... tutti morti? Possibile? Skaring... la tua famiglia non esiste più, amico mio. La loro fiamma si è spenta.- disse a bassa voce stringendo con tutta la sua forza i pugni.

Ayliss abbasso lo sguardo e guardandola Kalad si chiese cosa avrebbe provato se fosse stata nel Nord durante il regicidio. Avrebbe retto?

Kalad scosse la testa, tutto stava andando in malora. Aveva visto, anni fa, sia Daften che Robert Holdar. Erano giunti a Nibeluria per un incontro politico col Grande Inquisitore, prima che si ribellassero. Daften Holdar era un uomo avanti nell'età ma manteneva il suo fisico da guerriero e come ogni re nordico (follemente, secondo la gente del Sud) combatteva sempre assieme ai suoi uomini nel campo di battaglia. Ma colui che maggiormente aveva colpito Kalad era senz'altro il fratello del re, Robert. Aveva sentito molte storie su di lui, si diceva anche a Noveria che nel campo di battaglia fosse superiore al fratello, per quanto Robert difficilmente ammettesse la cosa, soprattutto negli ultimi anni. Si diceva che fosse cambiato molto invecchiando, se Kalad l'avesse conosciuto da giovane probabilmente l'avrebbe odiato. Il suo aspetto era minaccioso e rassicurante al tempo stesso. Era quel tipo di uomo che ti avrebbe fatto sentire al sicuro più totale se fosse stato tuo alleato ma che non ti avrebbe fatto dormire sonni tranquilli se fosse stato suo nemico. Vederlo in sella al suo destriero bianco, sotto lo sventolante stendardo dell'Orso del Nord lo rendeva un immagine temibile.

Ma ora è morto, sono morti entrambi. E i Vurkaniani dilagano nel Nord.

Mako Moodi mise finalmente in una fondina il suo scettro magico e incrociò le braccia, che messe in quel modo apparivano ancora più muscolose.

-Non provo affatto simpatia per i pellerossa. Spesso quei guerrafondai attraversano con le loro navi nere i mari delle isole vulcaniche, che collegano quella terra vulcanica alla mia casa. Molto spesso quei cani hanno cercato di attaccare le terre del mio signore. Ma Zaman Agondi ha sempre distrutto le loro navi.-

Zaman Agondi era un nemico che era meglio non avere. Le voci sul suo conto erano terribili e i suoi seguaci, i Teschi Albini, erano tutti stregoni oscuri dai poteri terribili, esattamente come Moodi. Quello che avevano visto era solo il minimo di ciò che i maghi oscuri del Regno delle Zanne sapevano fare. Agondi era uno dei Dodici Signori delle Zanne, i generali al servizio degli Animalorr, i sovrani del Regno delle Zanne, considerati reincarnazioni di uno delle Tre Divinità Animali. La Teocrazia era caduta anni fa e da quel momento il regno era entrato in uno stato di guerra perenne, e il territorio era stato spartito dai generali degli Animalorr, ora chiamati Signori delle Zanne. Tra tutti, Zaman Agondi era uno dei più temuti e in possesso di un vasto territorio, a Ovest del regno, verso le isole vulcaniche.

Kalad tenne salda nella mano la sua spada ma decise di fare una domanda a Moodi.

-Tu ne sai di magia...-

-Certo che ne so di magia, sono uno stregone.-

Kalad gli lanciò un occhiataccia per quell'interruzione.

-Perciò sai dirmi chi erano quelli che ci hanno attaccato? Avevano un potere strano.-

Moodi mosse le mani sbuffando.

-Strano se non ne sai di magia. Quella era magia antica, una magia dimenticata. La Pressione di Luttan.-

Nessuno ebbe nulla da dire, nemmeno Ulfric.

-Strano che tu non conosca questa magia, vecchio piromante. A quanto pare le conoscenze dei maghi oscuri vanno oltre le tue fiammette, dico bene?-

Ulfric alzò il pugno verso di lui.

-Vedi di spiegare di che si tratta, pellescura, o il mio pugno incontrerà la tua brutta faccia.-

Se questi due iniziassero a lottare... no, ok, meglio non pensarci.

Moodi sorrise in modo spavaldo.

-La pressione è una magia dimenticata. Ora le uniche magie ancora presenti in questo mondo sono le arti oscure del mio regno, la Voce dei Q'uoin, la telecinesi di quei pochi Karuma sopravvissuti e il potere dei Sacerdoti dell'Occhio, un tempo seguaci di Arromen, il Dio Cieco. E i poteri naturali dei celestiali, se di magia possiamo parlare. Quello è sempre stato un mistero anche per il mio signore. Le magie dimenticate sono la Piromanzia, anche se avete qui con voi un piromante, ma sono rimasti talmente in pochi che è oramai una magia dimenticata. La lingua dell'Abisso di Aquamar, un tempo in possesso di ogni abitante del precedente regno, il Regno degli Abissi. E infine il potere della Pressione di Luttan.-

-Luttan veniva venerato nei territori a Nord di Noveria prima della nascita del regno. Luttan era un dio forte e fiero dotato di un enorme potere, cioè quello di generare una potentissima pressione dal suo corpo, in grado di distruggere ogni cosa. Con essa aveva ucciso il suo fratello malvagio Letton. Luttan, data la sua grande generosità, aveva donato agli uomini dei calici. Questi calici luttaniani, se riempiti di acqua, davano ad essa... particolari proprietà. Insomma i calici luttaniani permetto agli uomini di usare il potere di Luttan, o almeno una piccolissima parte di esso.-

Kalad spalancò gli occhi. Il calice! Ne aveva uno nella sua sacca, ecco perché quel guerriero luttaniano l'aveva etichettato come ladro.

-Io... ho nella mia sacca un loro calice. Lo presi tempo fa.-

Moodi annuì, come se lo sapesse già.

-Lo sospettavo, è l'unica spiegazione per il loro attacco. I luttaniani attaccano solo inquisitori e tu ne hai l'armatura ma ad occhio non sei più uno di loro.-

-Ma come hanno fatto a capire che ce l'ho con me?-

-Percezione.- disse a bassa voce Ayliss. Lei ne era dotata, seppur solo in certi momenti.

Moodi sorrise, sembrava quasi soddisfatto.

-Esattamente fanciulla. I luttaniani percepiscono la pressione emanata da quel calice. Purtroppo io non so nei dettagli il loro potere, ma l'effetto che fa l'avete visto e il povero piromante l'ha provato sulla sua vecchia pellaccia.-

Ennesima occhiataccia di Ulfric,

-Dimmi, stregone, hai mai incontrato mio fratello Kolmat?- chiese a bassa voce Ulfric.

Lo sguardo di Mako Moodi si incupì.

-Sì e non solo, ci combattei anche. Il mio signore sta combattendo da molto tempo contro il Signore delle Zanne Nako Tunda e a quel tempo Kolmat lo appoggiava. Persi lo scontro... scappai, altrimenti Kolmat mi avrebbe bruciato con le sue fiamme infernali. Le mie sbruffonate verso il tuo potere non sono dovute alla mia arroganza... ma piuttosto al timore che quelle fiamme mi provocano.-

Il volto di Ulfric parve addolcirsi, non c'era più traccia di quello sguardo carico di rabbia e nervosismo. Kalad immaginò che quel Kolmat fosse un piromante molto pericoloso, forse più di Ulfric. Lo capì dallo sguardo di Ulfric, che guardava comprensivo Moodi.

-Sei un giovane molto abile, Mako. Raramente ho visto stregoni oscuri così abili nonostante la loro giovane età.-

per la prima volta Kalad vide lo sguardo di Moodi riconoscente.

-Ti ringrazio, Piromante. Davvero.-

Mako Moodi batté le mani e poi le strofinò.

-Ahimè ho finito le cose da dirvi. È poco lo so ma... ci sarò. Non posso restare con voi ho molte faccende da sbrigare.- tacque e poi guardò Ayliss e lo sguardo dello stregone oscuro era carico di quella che Kalad riconobbe come... pietà.

-Una grande ombra si avvicina e tu la attiri a te come fa il miele con le api. È come se tutto girasse attorno a te, anche le cose più banali e all'apparenza insignificanti. La tua sola presenza in un luogo può cambiare ogni cosa e questo deve pur significare qualcosa. Il destino si plasma al tuo volere anche se tu ancora non lo sai. L'ombra oscura si addensa, di giorno in giorno, ed è incredibilmente tenebrosa... ma tu hai degli ottimi difensori. Confida in loro e dissiperai le tenebre.- poi le sorrise e il suo sorriso fu rassicurante, nonostante la sua aria estremamente tenebrosa e minacciosa.

Fece per andarsene ma Kalad lo fermò.

-Aspetta! Che dovrei farci con il calice?-

Moodi fece spallucce, sorridendo al guerriero.

-Se fossi in te lo terrei, chissà... magari potrebbe tornarti utile.-

Detto ciò il suo corpo iniziò a cambiare, dalla sua pelle uscirono delle piume, poi delle zampe e infine dei becchi. Da dove prima si trovava lo stregone Mako Moodi volarono in celo dei corvi e uno di essi teneva tra le zampe il bastone col teschio. I corvi volarono alti in cielo e si allontanarono.

 

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Capitolo 38
*** Mare perdonami poiché ti sporcherò col sangue ***


 

Capitolo 38

Mare perdonami poiché ti sporcherò col sangue

Le truppe noveriane, con le loro bandiere porpora, si stavano avvinando al castello, marciando per le strade della sua città. I soldati avanzavano, distruggendo tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Le case della sua città erano in fiamme, i cittadini che non erano riusciti a scappare vennero passati a fil di spada dai soldati inquisitori.

Hidan strinse forte i pugni. Non poteva fare nulla. La costa e il porto erano persi e presto lo sarebbe stata pure la città. Ma lui doveva difendere il castello, era suo dovere. Strinse i parapetti delle mura, alla sua sinistra si trovava Toran con, stretta saldamente nelle sue mani, la sua lancia. Alla sua destra Blanka, ancora stordito e scosso per la battaglia e la morte di Kordovar. Hidan pensò a suo padre, non era nemmeno voluto venire sulle mura.

Poco mi importa, posso affrontare tutto questo. Ora ho la forza.

Ma l'aveva trovata troppo tardi. La città sarebbe stata rasa al suolo e in molti sarebbero morti. Fortunatamente la città era molto grande e tutta la zona oltre il castello era al sicuro. Dove restare al sicuro. Il castello non doveva cadere. La dinastia Naustrarer non doveva scomparire.

Hidan guardò Blanka.

-Capitano Blanka, cosa sai dirmi delle truppe noveriane?-

Blanka guardò intimorito il principe. Hidan rimase sorpreso, incuteva davvero timore ora?

Ma no, sciocco. Sei sempre tu infondo. Teme i noveriani... proprio come stai facendo tu.

-Sono molti, mio principe. Molti di più di quello che si possa pensare. E sono ben armati, armature e armi di ottima fattura, le ricchezze di Noveria sono decisamente maggiori delle nostre.-

Hidan si incupì. Le miniere a nord di Noveria, a confine con il Nord, era state molto utili per i noveriani.

-Le loro navi che hanno attraccato sulla spiaggia portano enormi baliste. Non possono raggiungere il castello ma possono facilmente colpire le mura e la città-

Toran si mosse nervoso.

-Giunge voce che le Guardie delle Mura stiano ancora resistendo, ma il cancello è stato abbattuto comunque. Molte truppe si sono barricate lì per difendersi e stanno ancora dando filo da torcere alle navi ma...-

Toran venne smise di parlare appena videro un enorme balista lanciò il suo dardo, colpendo le mura. Hidan non video molto ma la polvere che si alzò gli fece capire che i soldati che si trovavano lì non erano sopravvissuti.

-Merda! Dobbiamo prepararci, mio principe. Non c'è più tempo!- disse allarmato Toran.

Hidan annuì, era il momento di agire. La città era grande, perciò i soldati ci stavano impiegando molto ad arrivare. Muoversi poi in gran numero, per le vie di una città non ancora conquistata, era difficile impresa. Le truppe presenti nel castello contavano i tremila soldati della Guardia Blu, i difensori reali di cui Toran era il Primo Difensore, centinaia di arcieri stanziati nelle mura del castello e altre centinaia di soldati della guardia cittadina che si trovavano nella zona della città non ancora colpita dai noveriani. Il loro capitano, Rexol Wethra, non si trovava nelle mura con loro. Aveva preferito restare giù con i suoi uomini. A comandare le truppe sarebbero stati Hidan, Toran e Rexol... Blanka era solo un capitano e non era particolarmente conosciuto nell'esercito. Hidan non l'aveva mai sentito nominare. Era giovane ma era un capitano, quindi qualcosa di buono l'aveva fatto.

-Io...- iniziò a dire.

Cos'è? Legge nel pensiero? Sapeva che stavo parlando di lui?

-Voglio che voi sappiate principe... che non sono scappato dalla battaglia. Mi sono tenuto lontano è vero, questo lo ammetto... erano tantissimi e si riversavano sulla spiaggia come un onda porpora. Combattere sulla sabbia era difficilissimo ed eravamo in inferiorità numerica, anche se alcune loro navi erano state distrutte. Li ho voluti puntare con l'arco... ma non sono un tiratore così esperto. Ero paralizzato dalla paura. Poi ho visto vostro fratello combattere e... quando ho visto la lama avvicinarsi alla sua schiena era troppo tardi. Avrei voluto urlare ma non avevo voce. E ora lui è morto e io sono vivo. Appena ho visto che è era stato ferito mi sono tornate le forze e mi son lanciato al centro della battaglia per difendere il suo corpo. Troppo tardi però.-

Hidan venne scosso da un tremito di rabbia.

Aveva visto che Kordovar stava per essere colpito alle spalle e non ha fatto nulla? Dovrei farlo impiccare!

No... aspetta, stai calmo. Se non fosse stato per lui Kordovar sarebbe stato martoriato.. e non ti avrebbe detto quelle cose. Se non fosse stato per Blanka ora tu saresti chiuso nella tua stanza a piangere e tremare.

Hidan sorrise, nonostante la situazione disperata, e mise la sua mano sulla spalla di Blanka.

-Ora tu sei qui con me, Elmys. Se non fosse stato per te credo che... io non sarei stato qui con te. Ne usciremo vincitori e sarà anche merito tuo.-

Blanka parve incerto ma dopo un attimo di esitazione annuì.

Hidan si sentiva incredibilmente sicuro di sé ma, per ottenere la fiducia degli altri, doveva passare ai fatti. Palizzate erano state messe in fretta nella strada dei noveriani, l'olio bollente era pronto vicino ai difensori del castello e gli arcieri erano tutti con Hidan. La bandiera dello squalo sventolava minacciosa tra di loro e le loro armature con le decorazioni blu brillavano alla luce del sole.

-Toran... voglio solo dirti che...- non trovò le parole e si sentì un idiota.

-Lo so figliolo, lo so.- disse Toran. Quel tono paterno scaldò il cuore di Hidan.

Hidan si morsicò il labbro. -Potremmo non uscirne vivi...-

-Non è necessario che tu lo dica, è una cosa che già so Hidan, davvero.-

No, non lo sai. Non voglio dirti questo maledizione! Voglio dirti che... oh, al diavolo. Pensiamo a uscirne vivi.

-Eccoli che arrivano!- sentì urlare Hidan.

-Mantenete la calma! Dobbiamo difendere il castello a costo della nostra stessa vita, poiché le nostre vite sono meno importanti della vita del regno!- ruggì Toran.

Hidan sentiva il bisogno di dire qualcosa, ma non trovò le parole. Sentiva qualcosa dentro di lui, qualcosa che molto stupidamente, preso dalla foga del momento, aveva ignorato.

Paura.

-Io sono uno scudo, io sono la barriera che difende il mare dall'impurità. Io sono una Guardia Blu e prendo il mio nome dal mio grande padre. Mare perdonami, poiché ti sporcherò col sangue!- urlò a squarciagola Toran, quello era il motto della Guardia Blu.

-Mare perdonami, poiché ti sporcherò col sangue.- urlarono gli arcieri e con loro urlò pure Hidan, per darsi forza. Ma non servì a molto. Improvvisamente si sentì un idiota ad aver reagito in quel modo con Blanka.

Ora ho capito cosa provava... io forse nemmeno mi sarei lanciato nel vivo della battaglia per difendere Kordovar. Non sono nemmeno andato a combattere con lui.

Le truppe erano arrivate e... erano molte. Più di quante Hidan pensava. Sentì le sue mani tremare e fu costretto a serrare i pugni per farle smettere, anche se fu inutile. Wethra sollevò la sua sciabola e urlò, abbattendosi con le sue truppe contro i noveriani. L'enorme massa di uomini che si trovava molti metri sotto di loro era simile alla folla che si radunava attorno a suo padre quando usciva dal castello. Solo che questa folla era una carneficina. Wethra combatteva come una vera belva, urlando ad ogni colpo, e anche da lì in alto il sangue era ben visibile.

Era il momento di agire, le truppe noveriane erano molte e si estendevano in lontananza, quelle che dovevano ancora entrare nella mischia potevano essere colpiti dalle frecce.

-Arcieri!- urlò Hidan e tutti risposero alla sua chiamata.

Hidan strinse forte l'arco di Vashet, ma le sue mani non smettevano di tremare.

-Incoccare!- tutti seguirono il suo ordine e sollevarono gli archi, per far compiere alla loro freccia una traiettoria ad arco.

-Scoccare!-

E lo fecero, centinaia di frecce partirono dalle mura del castello e caddero come pioggia tra le truppe noveriane. Hidan osservò i suoi nemici, a decine, cadere morti sotto la pioggia di frecce.

-Eccellente!- disse Toran sbattendo la sua lancia.

Hidan sorrise, anche se nella sua mente comparve il dubbio se la sua freccia avesse preso almeno il piede di un soldato. Una vocina nella sua testa gli disse di no.

Ripeté l'operazione per altre quattro volte e la calca parve ristringersi. Degli arcieri noveriani iniziarono a bersagliare le mura. Molte frecce non raggiunsero quell'altitudine ma alcune lo fecero. Blanka si abbassò in tempo per schivare un dardo e rispose al fuoco, seppur le sue mani tremavano molto di più di quelle di Hidan. Mancò il bersaglio. Ci pensò Hidan ma la sua freccia sfiorò il piede del noveriani.

Merda!

Ci riprovò e questa volta la freccia non lo sfiorò nemmeno.

Cazzo! Respira profondamente...

Poi la sentì, la voce di Vashet, quella voce calda e rassicurante, molto pacata e tranquilla.

“Chiudi gli occhi, Hidan. Respira profondamente. Concentrati e quando riaprirai gli occhi la freccia sarà già puntata sul prossimo bersaglio.”

E così fece.

Il soldato cadde al suolo, con una freccia che gli trapassava il collo.

Grazie maestro.

All'improvviso sentì l'aria sibilare alla sua sinistra e vide, con la coda dell'occhio, qualcosa passargli terribilmente vicino. Poi una freccia uccise l'arciere vicino a lui.

Merda... merda una freccia! Merda! Sono quasi morto! Potrei esserci io al posto di questo poveraccio.

La paura tornò ad avvinghiargli il cuore con i suoi tormentosi tentacoli.

Le frecce iniziarono ad abbattersi sulle mure con un ritmo incalzante.

-Non arrendetevi maledizione! Possono bersagliarci quanto vogliono ma il castello non cadrà!- sentì dire Hidan.

Chi era stato a parlare?

Senza rendersene conto si ritrovò a bersagliare con le sue frecce i noveriani. Non sentiva nemmeno la mano muoversi, ma le frecce partivano dal suo arco con precisione. Un noveriano venne colpito al cuore, uno alla gamba, uno al braccio, un altro al collo. Sentì su di sé lo sguardo di Blanka e riuscì a percepire la fiducia che inondava il cuore del ragazzo, anche i suoi lanci divennero più precisi e alle frecce di Hidan si aggiunsero le sue.

-Il loro porpora non insozzerà il nostro mare!- disse ancora quella voce.

Sentì lo sguardo degli arcieri su di sé ma non ci vece troppo caso. Anche lui cercava di capire chi parlava. Probabilmente era Toran. Sentì urla di guerra tutto attorno a lui, gli arcieri diedero forza al suo cuore e la sua mira divenne migliore. Le urla vennero ascoltate da Wethra che alzò lo sguardo, non curante dei soldati che si avvicinavano, sorrise e alzò la sua sciabola.

-Per Aquamar, per il Grande Blu! Unitevi all'urlo del principe Hidan, uomini!- e così fecero. I noveriani parvero indietreggiare.

-La loro oppressione non indebolirà il nostro orgoglio!- disse la voce. Ora sentì la lo sguardo di Toran alla sua sinistra, e percepì l'orgoglio. Mollò la lancia e prese anche lui un arco. Non era mai stato un abile arciere, eppure le sue frecce furono utili. Sotto di loro i noveriani venivano trattenuti dalla furia di Wethra. Il capitano della guardia cittadina non tollerava nemmeno i crimini più banali, si diceva che una volta avesse riservato un brutto trattamento ad un ladro che aveva semplicemente rubato un pesce. Quelle erano le sue vie, le sue strade. Lui faceva rispettare la legge. E ora quei bastardi noveriani si permettevano di infangare la sua casa? No, non l'avrebbe permesso.

-Che si ricordino, questi bastardi inquisitori! Che si ricordino che cosa accade a chi è così folle da affrontare degli Uomini Acquatici!- ancora quella voce!

Ora Hidan percepì lo sguardo di suo padre, con gli occhi carichi di lacrime per la morte del suo figlio prediletto. Nemmeno aveva voluto abbracciare Hidan, nemmeno un saluto, prima che si allontanasse verso le mura.

“Cerca di essere più come Tessor che come Astor.”

Sentì lo sguardo di sua madre, quei grandi occhi blu carichi di dolcezza, e sentì la sua mano accarezzargli il viso.

“Un giorno il tuo nome verrà ricordato, mio piccolo squalo. Un giorno il mare sarà in pericolo e tu lo proteggerai. Non sei inferiore a nessuno, piccolo mio. Nessuno al mondo può competere con la tua bontà, la tua determinazione, il tuo altruismo. Un giorno dubiterai di te stesso. Ma ricorda le mie parole. La vita ti mette sempre alla prova, e da come superai quelle prove creerai l'uomo che sarai in futuro.”

Sentì lo sguardo di Vashet, fiero per l'abilità che stava dimostrando con l'arco.

“Vedrai. Un giorno stupirai anche te stesso.”

Sentì infine lo sguardo di Kordovar, che sorrideva soddisfatto vedendo suo fratello combattere.

“Io ti ho sempre stimato, che tu ci creda o no sei sempre stato un punto di riferimento per me.”

Sentì lo sguardo di Nalyssa, quegli occhi così simili al mare che se avesse potuto si sarebbe tuffato dentro di essi.

“Ti voglio bene Hidan.”

-Loro non avranno la nostra città! Loro non avranno le nostre case! Loro non avranno le nostre donne! Loro non avranno le nostre vite” Loro non avranno il nostro mare!- riconobbe la voce questa volta. Era forte, ruggente, imperiosa.

-Mare perdonami, poiché ti sporcherò col sangue!- urlò.

Era la sua voce, era Hidan ad urlare. E con lui urlarono pure i soldati. I suoi soldati. Le frecce si abbatterono come grandine, trapassarono armature, cuoio, carne e ossa. Il sangue tinse le rocce bianche. Le lame della guardia cittadina, muovendosi con maestria, mutilarono e uccisero e il sangue seguiva la loro scia, apparendo simili a dei meravigliosi nastri rossi. Le urla di dolore vennero coperte dalle urla di guerra degli uomini acquatici. Quella era la loro casa e nessuno avrebbe osato prenderla. Nessuno ci sarebbe riuscito. Il suono della battaglia divenne per Hidan assordante, anche da lassù, e per un attimo la cacofonia fu tale che il vento parve fermarsi. Morte e sangue e sofferenza, questo era tutto ciò che vedeva e sentiva. La paura era sparita e non provava nulla se non l'istinto di difendere. Era un guardiano, c'era Nalyssa dentro il castello. C'era la donna che amava da quando era piccolo. Lui l'avrebbe difesa, avrebbe difeso il castello, la città, l'isola. Tutto il regno!

Poi, con suo grande stupore, le truppe noveriane iniziarono ritirarsi. Vide gli arcieri guardarsi tra di loro stupiti, poi, fragorose come non mai, le urla di gioia. Continuarono a bersagliare i noveriani durante la loro fuga. Continuarono finché i noveriani non furono fuori dalla portata dei loro archi. Continuarono finché la risata di Wethra non si spense.

Hidan non riusciva ancora a crederci.

-Ce l'abbiamo fatta mio principe! Il castello è salvo! E non abbiamo nemmeno dovuto usare l'olio bollente. Tutto merito vostro, le vostre parole ci hanno dato forza e coraggio. Non avevo mai sentito una voce più adatta al comando!- Blanka era fuori di sé dalla gioia.

-Incredibile Hidan.- disse Toran, la sua voce non nascondeva l'orgoglio.

-Vashet aveva ragione... aveva veramente ragione. Tu sei destinato a fare grandi cose, figliolo.-

Hidan non rispose, non disse nulla. Restò ad osservare le truppe noveriane che si ritiravano, tornando a fare razzia della sua città. E si chiese dove si trovava l'assassino di suo fratello.

 

Dopo qualche ora dalla battaglia tornò a sentire il cuore battere all'impazzata e le mani tremare. Assurdo come nel momento della massima tensione non avesse provato nulla e ora stava morendo di paura.

Blanka non aveva smesso un secondo a parlare, esaltando le capacità di Hidan.

-Anche tu sei stato abile, ti ho visto uccidere molti soldati.- disse Hidan, non si sentiva a suo agio a ricevere tutti quei complimenti.

Blanka parve arrossire. -Grazie, mio signore... ma voi siete nettamente superiore a me. Non sapevo foste così abile.-

Molti soldati, radunati tutt'attorno, annuirono a quelle parole.

A dire il vero nemmeno io lo sapevo.

-Sono i primi uomini che uccidete, vero principe?- chiese rispettosamente un soldato.

-Sì.. sì, sono i primi.-

Eppure non era rimasto traumatizzato come aveva immaginato, ma infondo era quello che gli aveva detto Vashet.

“L'arco diminuisce lo shock. Uccidere degli uomini da lontano, senza vedere i loro occhi spegnersi, è ben diverso di accoltellare alla gola un uomo nel vivo della battaglia.”

Già, non credo riuscirei a reggere allo shock. Il mio spirito non è così forte. Meglio combattere con un arco, tenersi lontano dalla battaglia. Non esagerare col coraggio.

Wethra era salito di tutta fretta nelle mura di difesa del castello, non curante del taglio che aveva sul braccio e del soldato che tentava in tutti i modi di fasciarlo.

-Mio principe è stato straordinario! Non ho mai riso così forte in vita mia! Quelle checche noveriane hanno capito cosa significa affrontare gli Uomini Acquatici!-

Hidan annuì riconoscente.

-Ti ringrazio. Hai dimostrato grande valore, se non fosse stato per te i noveriani avrebbero fatto irruzione.-

Wethra scosse la testa. -No, non credo, mio signore. Non avevano con loro un ariete o altri aggeggi per superare le mura. Credo che questo fosse solo un test. Attendiamo che cali il sole, sarà una notte movimentata.-

Ok, questo non l'avevo calcolato.

Hidan parve l'unico stupito da quella notizia.

Ah già, non sono un soldato.

Toran si avvicinò per rivolgersi a Wethra.

-Capitano Wethra.-

-Wethra saltò sull'attenti.

-Primo Difensore!-

-Hai ricevuto notizie dal tenente Shikinar?-

Wethra scosse la testa, rammaricato.

-No, mio signore. Lui e le sue truppe erano in città, signore. Perciò... ho seri dubbi sul suo stato attuale.-

Toran abbassò lo sguardo e strinse forte la lancia.

-Shikinar sa essere un uomo insopportabile ma una cosa è certa, non è un debole. E sa combattere e guidare dei soldati. Avremo bisogno di lui.-

-Ma, signore, se è nella città non ci può essere d'aiuto.-

-Avremo bisogno di lui quando marceremo verso il porto.-

Quelle parole gelarono il sangue di tutti, Hidan compreso. Nessuno però si oppose.

Marciare verso la città? Combattere nelle vie? Sarebbe un suicidio.

Toran si guardò attorno.

-So cosa state pensando e avete ragione. Ma questa è la nostra città. La nostra! La consociamo molto meglio di un qualunque noveriano.-

E, proprio mentre Toran stava parlano, cercando di convincere i soldati di quella follia, videro in lontananza un soldato di Aquamar.

Il soldati, ridotto in pessimo stato, zoppicava verso il cancello.

Hidan, Toran, Blanka e Wethra scesero dalle mura.

Il soldato zoppicava e il suo polpaccio era solcato da un terribile taglio. Venne aiutato a reggersi in piedi dai soldati.

-Mi inchinerei se potessi, mio principe.- disse con un filo di voce.

-Chi sei soldato?-

-Quellon Feshila, mio signore. Sono un soldato del Tenente Rosald Shikinar.-

Wethra strabuzzò gli occhi.

-Shikinar è vivo?-

-E vegeto... e incazzato, signore. I noveriani non sono stupidi, il grosso dell'esercito ha preferito asserragliarsi nella spiaggia. L'aiuto via mare non può arrivare. Molti soldati si sono addentrati nella città. Alcuni sono arrivati fino a qui, altri hanno preso il controllo di molti palazzi. Il tenente ha continuato a combattere per le strade. È dura signore, molto dura, ma stiamo trattenendo i soldati. Sono stato inviato qui per sapere che fare, mio signore. Nella strada sono quasi morto.-

Hidan guardò Toran.

-è tua l'idea.-

Toran annuì.

-Shikinar sa il fatto suo se ha resistito fino ad ora. Presto ci sarà un altro attacco. Digli di resistere, preparare trappole, molte trappole. Lui conosce alla perfezione questa città. Domani, al sorgere del sole, arriveremo anche noi.-

Il soldato tacque.

-è una promessa... signore?-

-Lo è, soldato.-

Feshila annuì, riconoscente.

Cazzo, la situazione è drammatica.

-Quest'uomo ha bisogno di cure. E dategli dell'acqua!- ordino Toran.

-Torno giù, mio signore. Sento odore di battaglia.- disse Wethra a Hidan e lui annuì, lasciandolo andare.

Mentre i soldati si preparavano Toran prese un attimo in disparte Hidan.

-Ragazzo mio... voglio dirti una cosa.-

Ok, questo è il momento giusto, diglielo.

-Anch'io voglio...-

-No, aspetta. Ascoltami bene, Hidan. Ti ricordi di Azalem?-

Hidan annuì. Certo, non l'aveva mai conosciuto, ma era il fratello di Vashet, il suo maestro. Azalem era considerato l'unico uomo che potesse eguagliare Vashet. Durante la guerra fratricida aveva appoggiato suo zio Astor, unendosi ai ribelli. Vashet glielo aveva detto molte volte.

“A combattere una guerra fratricida non fu solo tuo padre, ma anch'io. Nulla è peggio, Hidan. Nulla. Muori dentro.”

-Io lo conoscevo bene. E l'essersi unito ad Astor non provocò in me uno stupore così elevato. Era sempre stato molto amico di tuo zio, come il re e Vashet. Azalem era comunque un uomo onorevole, nonostante combatté dalla parte sbagliata. E un giorno, molti anni fa, prima della guerra fratricida, mi disse una cosa. “Sai una cosa, Toran? Io credo che sia giusto seguire colui che sei certo, nel profondo del tuo cuore, non solo ti porterà alla vittoria... ma ti cambierà dentro. Un giorno capirai.” Io ho atteso a lungo quel giorno, per tutti questi anni. E finalmente, Hidan, finalmente ho capito cosa intendeva. Tu mi dai qualcosa che Kordovar non mi dava. Oggi, durante la battaglia, ti ho visto profondamente cambiato e ho capito che le parole di Vashet... anche le mie parole... hanno avuto effetto. Per anni ho avuto la convinzione, dentro di me, che a nessuno importasse ciò che avevo da dire. Che nessuno si importasse di cosa volevo. Durante la guerra fratricida uccisi un mio carissimo amico, e tutti raccontano di come lo feci con freddezza, senza battere ciglio. Ma io non sono un mostro, nessuno sa che quel gesto mi distrusse. A nessuno importò. La gente vuole vedere solo quello che vuole vedere, il resto non conta. Ma in te... ho visto fiducia. Ho visto che quello che ti ho detto ha funzionato. Ecco cosa intendeva Azalem! Io ti seguo... perché tu mi hai cambiato. Ora so che le mie parole possono aiutare qualcuno e l'hanno fatto con te. E se l'hanno fatto con te possono farlo con altri. Le mie parole non servirono con Oksen, il mio amico, e lo uccisi. Ora so che c'è un altra via che posso seguire. E tutto grazie a te. Ti seguo non solo perché ho la certezza che mi porterai alla vittoria... ma perché mi hai cambiato. Azalem aveva ragione.-

Hidan rimase senza parole.

Senza fare nulla sono riuscito a fare qualcosa di buono... era questo il trucco dunque?

Gli occhi di Toran erano carichi di commozione. Era strano vedere quel vecchio guerriero in quello stato.

Eppure i suoi occhi sono così dolci. Non è mai stato lo spietato guerriero che dicono tutti. Io lo so, lo conosco da quando ero bambino.

Ripensò a quando lo metteva sulle sue spalle e gli faceva vedere il mare.

“Ami il tuo regno, Principe?-

“Sì, lo amo!”

Frenò l'impulso di abbracciarlo.

Soprattutto a causa delle urla.

Arrivano!

Era di nuovo il momento di lottare.

Era diverso il paesaggio al buio, i soldati erano meno visibili, ma Hidan vide chiaramente i lancieri, con i loro ampi scudi, e i soldati che portavano le pesanti scale d'assedio.

Hidan sapeva che doveva colpire prima loro.

-Arcieri! Incoccare... scoccare!-

Le frecce si abbatterono con spietatezza sui soldati. In molti morirono e il peso della scala fu eccessivo per i vivi, che la fecero cadere al suolo. Altri vennero per aiutarli e lì giunse il problema. I lancieri, e i loro scudi, servivano per difenderli.

Merda.

-Cercate di superare gli scudi! Puntate alle teste!- ordinò, ma lui stesso trovò difficoltà. A lor doveva pensare Wethra. Lui e i suoi uomini si lanciarono all'urlo di -Per Aquamar!- e il suono dei loro scudi che urtavano contro gli scudi noveriani fu assordante.

Non vorrei essere al loro posto.

Hidan e i suoi arcieri continuarono a bersagliare i soldati che portavano le scale ma erano ben nascosti dalla mischia. Alcuni dei soldati di Wethra li uccisero ma vennero trafitti dalle lance dei noveriani. Nella mischia Hidan vide, suo malgrado, Wethra venire trafitto da tre lance e il suo urlo fu molto breve, morì subito.

I suoi soldati non si arresero e continuarono a lottare. Hidan non sapeva che fare. Non aveva modo di colpire nessuno ma... ecco! Uno spiraglio.

Un po' troppo tardi.

I soldati con le scale, due sole ma sufficienti per scalare, erano ormai giunti nelle mura.

Devo impedire che salgano... altrimenti per me sarà morte certa.

Pensa anche al resto del regno, idiota egoista.

Non fateli salire! Per nessuna ragione al mondo! Voglio vederli cadere come dei Tuffatori in uno spettacolo circense di Tarpazzi!- urlò a squarciagola Hidan, sperando che la metafora venisse colta. Le urla dei soldati noveriani, che ordinavano di sollevare la scala, vennero attutiti dal suolo della calca dietro di loro. Hidan non aveva tempo per pensare alla mischia, aveva i suoi bersaglio: lanciò tre frecce e tutte e tre mancarono il bersaglio.

La paura sta prendendo il sopravvento, concentrati cazzo! O finirai ammazzato.

Potrebbe essere un bene.

Scosse la testa. Non era il momento per quei pensieri, Toran e Blanka dipendevano da lui.

Si pensa a loro. Devono vivere!

Gli arcieri bersagliarono i soldati. Le loro urla parevano simili a conati di vomito ogni volta che una freccia penetrava le loro gole.

Hidan cercò con tutte le sue forze di trattenere la tremarella alle mani e molti colpi andarono a segno. Ora i soldati erano più vicini... era strano vederli morire.

Concentrati!

Continuarono a bersagliare i noveriani, ma Hidan si rese conto che ormai le frecce non servivano.

-Uomini! Le rocce!-

Seguirono l'ordine. Ci volevano due uomini per sollevare quei pesanti macigni ma molti soldati li fecero cadere dalle mura. Il suono fu terribile. Roccia che colpiva il ferro e che sfracellava crani e rompeva ossa. Il verso che fecero gli uomini morendo fu ben peggio di un conato di vomito.

-Ancora!-

Questa volta però i lancieri giunsero per difendere i loro compagni e sollevarono i loro scudi. Le rocce, frantumandosi, ferirono comunque alcuni soldati ma i danni furono nettamente inferiori.

Questa non ci voleva.

-Olio bollente!- ordinò Hidan. Due soldati sollevarono il grande e pesante secchio e rovesciarono il suo contenuto. Il liquido sarebbe passato negli spazzi liberi che lasciavano gli scudi. Il suono dell'olio, appena toccò i soldati, fu simile ad un bel pezzo di carne che resta troppo tempo al fuoco. Quando capisci che è troppo tardi e hai bruciato la carne. Anche l'odore fu lo stesso.

Merda, sto per vomitare.

Hidan si rese conto che non era tanto l'odore a provocargli quella reazione... quanto la paura nel vedere che l'altra scala era già stata alzata e i noveriani stavano salendo.

Oh, cazzo.

-Buttateli giù!- ordinò imperioso Toran.

Un suono lo spaventò, proprio davanti di lui. La scala. Era stata alzata pure la seconda, appoggiata saldamente alle mura. Proprio davanti di lui.

-Qui! Qui con l'olio, presto.- ordinò Hidan.

Blanka uccise alcuni soldati che cercavano di salire ma altri furono fortunati e vennero mancati. Stavano salendo.

Arrivarono correndo due soldati, con il loro secchio di olio bollente. L'ultimo rimasto. Hidan lì aiutò.

-Giù, cazzo, giù. Tutta sulle loro facce di merda cazzo!-

Il primo soldato venne investito in pieno dall'olio bollente. La sua faccia parve sul punto di sciogliersi. Si mise le mani sul viso, sperando di far passare il dolore, ma cadde all'indietro portando molti altri soldati con lui. Infine la scala cadde.

Si! Ma.. oh Supremo la sua cazzo di faccia!-

Non aveva nemmeno il tempo di essere disgustato, alla sua sinistra si stava combattendo. Tutti gettarono l'arco e estrassero le loro sciabole e presero i loro scudi. Blanka fece lo stesso e si lanciò urlando. Toran sbaragliava i suoi nemici con la sua lancia, trapassava pettorali e colli, lasciando i suoi nemici gorgoglianti a terra.

Hidan venne colto alla sprovvista, non aveva nemmeno fatto in tempo a lasciare l'arco quando un soldato lo spinse a terra col suo scudo. Si gettò su di lui e abbatté quel pesante scudo sul suo naso. Il dolore fu lancinante.

No, cazzo! Io non sono pronto a questa merda. Non sono preparato. Non sono addestrato, porca puttana impestata!

Hidan trattenne lo scudo, il bastardo Il bastardo stava cercando di soffocarlo. Hidan lo colpì dritto al naso con un pugno, sperando di avergli fatto male.

-Siamo pari, stronzo-

Il soldato però non si mosse, perciò Hidan gli conficcò un dito in un occhio. La sensazione fu disgustosa a dir poco. Il soldato cadde di lato e Hidan, ignorando la sensazione orribile nel suo dito, si impose sopra del noveriano. Il suo nemico tentò di colpirlo con la spada ma Hidan tenne fermo il suo braccio. Si accorse che non aveva nulla con cui colpirlo e di certo non avrebbe mollato la spada. Perciò prese lo scuso e gli riservò lo stesso trattamento che aveva ricevuto lui. Lo colpì con forza al naso per due volte. Poi cercò di soffocarlo. Si rese conto di star spingendo con molta più forza del dovuto lo scudo quando vide il sangue sgorgare dal corpo del soldato. I suoi occhi erano spalancati e allungava le mani, come se chiedesse aiuto. Hidan mise tutto il suo peso sullo scudo, facendolo penetrare completamente nel collo del noveriano.

Merda... merda! Ok, ok, ok sto per vomitare.

Non ne ebbe tempo. Una mano gli afferrò i capelli e lo spinse contro la palizzata. Era stato un soldato noveriano, con un armatura maggiormente decorata del suo compagno. Portava pure un lungo mantello porpora.

Dev'essere un soldato più importante.

La sua lama saettò e Hidan la schivò in tempo, ritrovandosi comunque col fianco sanguinante.

Bruciava.

Si lanciò su di lui, parve la cosa più intelligente da fare, e lo spinse contro la palizzata. Resistette alle varie gomitate alla testa di quel bastardo che lo intontirono.

Merda, non capisco più nulla.

Una ginocchiata sulle palle lo fece cadere al suolo, il dolore era lancinante. Riuscì, nonostante il dolore terribile, a schivare la lama che si abbatté al suolo a pochi centimetri dalla sua testa. Superando il dolore prese una freccia all'interno della sua faretra posata a terra e la abbatté sul ginocchio del soldato. Questo lo fece inginocchiare. Ne prese un altra e la abbatté sulla sua ascella, uno dei pochi punti scoperti. Il sangue che uscì fu più di quello che immaginava. IL soldato agitò la sua spada, riuscendo quasi a colpire Hidan. Hidan gli sbatté con forza la testa sul parapetto, sperando che quel colpo lo avesse tramortito. Fu così, da come si muoveva il soldato era palesemente intontito. Hidan prese il suo mantello e tirò verso di sé, facendo finire il malcapitato nell'altro parapetto. Si lanciò su di lui, cercando in tutti i modi di farlo cadere.

Il bastardo non vuole proprio arrendersi eh?

-E...cadi! Figlio di... puttana!- disse Hidan, stronzandosi come un dannato.

-Ti porterò con me, pesciolino!-

Per un attimo la presa del soldato fu talmente salta che Hidan si convinse che sarebbe caduto pure lui.

Potrebbe essere un bene

Questa volta i pensieri non vennero allontanati. La sua morte non sarebbe stato un peso. Non sarebbe mancato a nessuno. Si era convinto troppo presto di poter essere un eroe.

Poi ripenso a Nalyssa. Se lui si fosse arresa sarebbe stata uccisa... o addirittura stuprata. Avrebbero abusato di lei per poi ucciderla come un animale.

NO!

“Bisogna difendere con le unghie e con id enti ciò che si ama.”

-Io... non sono un pesciolino, bastardo porpora!-

Il suo dito penetrò nuovamente in un occhio. La sensazione fu ancora più disgustoso della prima. Il soldato urlò.

-Io sono uno squalo!- urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Con un ultimo sforzo spinse, il soldato perse la presa su di lui e lo fece cadere. Osservò il corpo cadere, come un sassolino gettato giù da una rupe, e lo vide cadere di testa. La testa esplose, come un anguria colpita da un martello.

Non riuscì più a trattenersi e appena sentì la bile salirgli in gola, vomitò.

 

Hidan era tornato nel castello per riposare. Si era tolto l'armatura, sporca di sangue, si era lavato le mani, sporche anch'esse. Continuava a sentirle sporche di sangue, era assurdo. Per quanto si ostinasse a lavarle la sensazione restava. Ora era affacciato nella terrazza della sua camera. Aveva ucciso per la prima volta e non riusciva a togliersi dalla mente il pensiero di quell'uomo, che allungava le mani verso di lui come per implorare di fermarsi.

Cazzo... non pensavo che la guerra potesse essere così... brutale.

Non aveva visto gli altri combattere. Ma da quello che aveva sentito Toran aveva combattuto come un toro, senza fermarsi un istante. Qualcosa aveva visto. Toran stesso aveva detto che Blanka si era dimostrato più combattivo e abile di molti altri. Toran era piacevolmente impressionato.

Non aveva accennato a quello che aveva fatto Hidan. Non che ci fosse da vantarsi. Era quasi morto e aveva faticato come non mai per uccidere due uomini. Però era vivo e questo era qualcosa.

Esco vivo dalla mia prima battaglia. Son morto dalla paura e ho vomitato... eppure eccomi qui.

Sentì movimento dietro di sé. Non si volse, riconobbe il profumo. Nalyssa si mise vicino a lui. Per un po' non disse nulla. Appena allungò la mano per toccare la sua Hidan sussultò.

Era reduce dalla battaglia, essere toccato gli provocava una strana sensazione.

No... non voglio diventare così.

Lei lo guardò. Probabilmente ai suoi occhi Hidan appariva diverso. Ferito doveva sembrare più minaccioso. E Hidan immaginò lo sguardo che aveva. Uno sguardo perso, tormentato dai ricordi di poche ore prima.

-Toran ci ha raccontato... dice che sei stato fenomenale.-

-è troppo buono.-

-Con lui sono d'accordo tutti gli altri soldati, anche quel Blanka.-

-Be' se sono qui significa che qualcosa sono riuscito a fare.-

Calò il silenzio. Hidan non sapeva cosa dire. Mentre pensava a qualcosa iniziò a sentire le lacrime scendere dai suoi occhi e scoppiò in un pianto disperato.

Nalyssa non attese un secondo e lo abbracciò. Hidan cadde in ginocchio e si fece piccolo, mentre lei lo accarezzava. Sembrava sua madre quando da piccolo piangeva perché si era spellato le ginocchia.

-Hai trattenuto troppo questo pianto.- disse Nalyssa, capendo benissimo il motivo delle sue lacrime.

-Lui... lui era tutto per me, Nalyssa. Era mio fratello. Era un simbolo, un punto di riferimento! E ora... ora non c'è più...- disse, tirando su col naso.

Strinse forte le maniche della veste di Nalyssa.

-Ti prego... ti prego resta con me. Non mi lasciare. Mi sento... mi sento così solo senza di lui. Ti prego Nalyssa. Sei tutto ciò che mi resta... ti prego...-

Lei lo accarezzò dolcemente.

-Shh, non parlare. Sfogati. Non aver paura di piangere, va tutto bene. Ci sono qui io, Hidan. Ci sono qui io.-

“Ci sono qui io, mio piccolo squalo. Non avere paura. Ci sono qui io”

-Ci sono qui io.-

 

Toran si era tolto l'armatura e da come si muoveva sembrava proprio acciaccato. Si appoggiò ad una colonna del castello.

-Tutto bene?-

Appena sentì al voce di Hidan si volse.

-Oh... ehm...-

-Tranquillo, non lo dirò a nessuno.-

Toran si rilassò.

-Perdonami, principe. Sto invecchiano, me ne accorgo sempre di più.-

Hidan sorrise.

-Sei ancora un forte guerriero da quello che ho visto.-

-E tu mi tieni testa, da quello che ho visto.-

Hidan si incupì. Non gli piaceva essere etichettato in quel modo.

Toran lo notò.

-Scusami. Uccidere non è cosa facile. Io stesso lo trovo molto difficile, dopo tutti questi anni. Col tempo ti abituerai, figliolo.-

-Non voglio farlo. Ora la situazione lo richiede ma... io non voglio essere un guerriero. Non voglio sporcarmi ancora le mani di sangue. Quando questa guerra finirà sarà diverso.-

-No. Non sarà la fine della guerra a fermarti vero?-

Silenzio.

-No. Prima ucciderò quel bastardo. Anche se sarà tra anni. Solo allora sarà davvero finita.-

Toran si avvicinò, muovendosi molto lentamente.

-Non permettere che la vendetta offuschi la tua mente, Hidan.-

-So quello che faccio.- lo disse con più durezza del dovuto.

Toran esitò e poi annuì.

-C'era qualcosa che dovevi dirmi, sulle mura. Vero?-

-Oh... già, sì. Ehm...-

Voleva tanto dirlo prima e ora che ne aveva l'opportunità non sapeva trovare le parole.

-Ti conosco da quando sono nato, ancora prima che diventassi il Primo Difensore. E... tu mi sei stato molto vicino, mi hai sempre incoraggiato, mi hai insegnato molte cose e mi hai difeso quando mio padre era arrabbiato con me. Mi hai detto una cosa, molto tempo fa. “Bisogna difendere con le unghie e con i denti ciò che si ama.” e queste parole oggi mi hanno salvato la vita. E... ad un certo punto, per un breve attimo, mi stavo per arrendere ma ho pensato che tu non avresti voluto vedermi arrendere. Dopo tutto quello che mi hai detto, dopo la forza che mi hai dato, sarebbe stato... un insulto nei tuoi confronti. Poi ho rischiato seriamente di morire e se non fosse stato per quelle parole... ora sarei giù dalle mura.

Il punto, Toran... è che tu sei come un padre per me.- mentre diceva quelle parole sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime. Buffo, pensava di aver finito le lacrime oggi.

E si stupì ancora di più nel vedere che anche Toran aveva gli occhi lucidi.

-Hidan... io...-

-Non serve che dici nulla. Era solo questo che volevo dirti. Sei come un padre per me. Davvero.-

Toran tirò su col naso, trattenendo le lacrime. Ma, nonostante fu faticoso, parlò ugualmente.

-Io... non ho mai avuto figli, Hidan. Non mi sono mai nemmeno sposato. Non ho mai avuto il tempo. Ma... voglio che tu sappia che... io ti ho sempre aiutato e protetto... perché anche tu sei importante per me. Sei... come un figlio per me, il figlio che non ho mai avuto.-

E infine i due si abbracciarono.

Nonostante fuori dal castello incombesse la minaccia noverina, e nonostante parte della città fosse nel caos, la vecchia guardia reale e il giovane principe si abbracciarono.

Proprio come padre e figlio

 

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Capitolo 39
*** Dio del Nulla ***


 

Capitolo 39

Il Dio del Nulla

La lama della sua lancia penetrò nella gola del Vurkaniano. La lama di una lancia Celestiale era molto larga, infatti quando Nodamor tolse la lama dal suo collo la testa del soldato era praticamente staccata dal resto del corpo. I Discepoli a lui fedeli si lanciarono all'attacco, impugnando saldamente le loro armi. Nodamor piroettò e la sua lancia smembrò altri vurkaniani.

A Nodamor era giunta la notizia di ciò che era successo. I Vurkaniani avevano tradito il Nord, e ora le fiamme bruciavano lassù. Noveria era un enorme campo di battaglia. I nordici si erano quasi tutti ritirati, per tornare nella loro patria, ora quasi tutta in mano agli uomini rossi. I nordici stavano combattendo una loro personale guerra, mentre i vurkaniani erano ancora interessati a trovare la Messia. Molte truppe vurkaniane imperversavano a Noveria, anche se il grosso delle truppe di Argon Falltayer, lui compreso, si trovavano ancora nel Nord.

Nodamor aveva sempre rispettato la dinastia Holdar, durante il Grande Gelo erano stati degli ottimi alleati. Quel Skaring era considerato un eroe anche tra i Celestiali.

Anche noi facemmo la nostra parte. Elomer c'era già allora. Io no, nacqui dalla mia Madre Nube anni dopo, sul finire dell'Epoca d'Oro. E il mio antenato di quel tempo venne ucciso da Novarak l'Implacabile. Gli Dei del Coraggio furono assenti quando c'era bisogno di loro.

I Vurkaniani erano un popolo bellicoso e Nodamor non li aveva mai apprezzati. Erano sempre stati governati da uomini crudeli, a parte rarissime eccezioni. Aveva sperato su quest'Argon... ma si era rivelato essere al pari del primo re Laskan.

Be' se devo ragionare come un condottiero è un bene... il Nord non ci intralcerà più. Mi dispiace Grayback, sei morto per niente.

Athamor aveva preferito tenersi fuori dalla battaglia, e osservava da un altura poco distante le migliaia di truppe vurkaniane, con le loro armature rosse come il fuoco, riversarsi nella piana. Davanti a loro le colorate truppe dei Discepoli. Migliaia di truppe rosse, marroni, verdi (molti Discepoli di Marxal, nonostante la morte del loro Dio, avevano continuato a seguire Nodamor) nere e arancioni. Nodamor deviò l'attaccò di un grosso vurkaniano, piroettò alle sue spalle e abbattè la sua lancia sulla sua nuca. L'altra lama invece saettò in mezzo agli occhi di un altro soldato. Mise un piede sulla pancia del soldato e spinse, per riuscire a togliere la lama dal suo cranio. Quando finalmente uscì, la testa del vurkaniano era completamente aperta. Bastò un movimento dall'altra parte per trapassare il torace di un altro soldato. Estrasse la lama con facilità, la fece vorticare verticalmente, come gli era stato insegnato centinaia di anni fa, e la lama raggiunse il mento del vurkaniano. Anche la testa di questo venne tagliata in due. Si lanciò nel mezzo di una mischia, facendo vorticare la sua lancia. Un tornado di lame si abbatté sui vurkaniani. Probabilmente non avevano visto Nodamor arrivare, infatti parvero stupiti vedendo quel tornado affilato che li smembrava come se fosse corna da macello. Nodamor cercò di ignorare i fiumi di sangue che gli insozzavano la tunica da combattimento e il viso. Quando fu sicuro di non essere il bersaglio di qualche soldato nemico riguardò verso Athamor e questa volta vide che vicino al Dio della Sapienza vi era Eshelyn. Indossava un vestito azzurro come il cielo, i suoi stivali erano sporchi di fango per la lunga camminata, i capelli legati con una treccia, gli occhi fissi sulla battaglia. Non sembrava nemmeno sconvolta nel vedere quella carneficina, nel vedere Nodamor insozzato dal sangue dei suoi nemici.

Ha un carattere forte, molto più di quello che si possa pensare. Sembra indifesa ma ha un bel caratterino. Proprio come lei...

Scosse la testa. I pensieri lo tormentavano sempre durante le battaglie. Era lì, nel campo di battaglia, che si sentiva sempre così vulnerabile. I pensieri inondavano la sua testa come un fiume in piena. Doveva restare concentrato, come ai tempi della Guerra Civile. Doveva restare...

Una lama sibilò sul suo braccio e improvvisamente sentì un forte calore. Guardò il suo braccio e un profondo squarcio aveva tagliato la tunica e raggiunto la carne. Il bruciore fu maggiore di quello che avrebbe immaginato. Sentì sibilare l'arma del soldato vurkaniano che l'aveva ferito, intercettò il colpo, deviò l'attacco e affondò la sua lancia sul costato del soldato.

Distrazione, pensieri e lei, sempre lei! Esci dalla mia testa dannazione, sei morta duecento anni fa. Duecento! Dovrei averti dimenticato! Dovresti essere solo un lontanissimo ricordo, dannazione!

Ma nonostante quei pensieri una parte di lui sapeva benissimo che sarebbe stato impossibile dimenticarla. Anche dopo duecento, duemila anni, lei sarebbe stata sempre il centro dei suoi pensieri.

Quando si ama così intensamente il ricordo diventa impossibile da togliere dalla propria mente, sarebbe come distruggere una parte di sé, la parte più bella e pura. Per quanto il ricordo possa essere doloroso.

Eppure i suoi occhi... come mi guarda... è troppo simile. Rifiuto di credere che non sia lei. Dev'esserci un trucco oppure... oppure sono solo un illuso idiota.

Poco distante Garydorr guidava i suoi Discepoli, con le loro tuniche da battaglia arancioni. Il vecchio Dio del Tuono aveva combattuto in molte guerre ed era vivo durante gli anni del grande Gelo. Se gli Spettri di Ghiaccio fossero ancora vivi di certo si ricorderebbero di lui. Era vecchio, molto più di Nodamor, ma aveva ancora un fisico possente e ogni suo movimento pareva emanare energia. La sua lancia vorticava attorno a lui e ad ogni movimento pareva catturare l'elettricità nell'aria, diventava sempre più luminosa, di un intenso blu.

I Noveriani avevano cercato di dare spiegazioni ai poteri Celestiali, ma era solo tempo sprecato. C'è chi nasceva uscendo dal ventre di una donna, chi nasceva dalle nuvole. C'era chi nasceva umano e chi Celestiale. C'era chi nasceva senza nulla di particolare e chi nasceva alto più di due metri, immortale e dotato di poteri. Era solo la loro natura, non poteva essere spiegata. Alcuni Celestiali, come Nodamor, avevano poteri meno spettacolari e invisibili. Ogni parola di Nodamor, detta in determinati momenti, poteva infondere di coraggio chi ascoltava. Anche un celestiale. Ecco come Sharkar era diventata sua, non tanto per le sue doti oratorie (non trascurabili) ma per il suo potere che aveva letteralmente “incoraggiato” i suoi abitanti a ribellarsi.

Bisogna usare ogni trucchetto che si ha a disposizione per vincere una guerra, vero Shalazar?

Ora, ad ogni colpo di Garydorr, i Vurkaniani venivano feriti anche da delle scariche elettriche. Appena una di essere toccava uno di loro, viaggiava in quello più vicino e così via. Questo permetteva a colpire Garydorr anche Quattro vurkaniani con un solo colpo.

E questo è nulla. Nella Battaglia dei Pozzi Bui guidò lui in prima fila l'esercito. Shalazar era già morto allora e io ero nelle retrovie, a coordinare le mosse e a combattere un altro grande battaglione dell'esercito noveriano. Quella era stata una battaglia ben più dura. Molte più truppe coinvolte. I noveriani erano numerosi come le formiche. Eppure avevano vinto. Allyma era viva allora e il coraggio scorreva nelle sue vene al posto del sangue. Si credeva ancora imbattibile. Non conosceva la paura. Aveva solo rabbia dentro di sé. Sahalzar era morto e Attuk se n'era andato pochi giorni prima. Rabbia, tanta, incontrollabile. Avrebbe voluto lui essere in prima linea ma Garydorr aveva insistito e Athamor l'aveva convinto a lasciarlo fare. Nodamor non aveva mai saputo il perché. Athamor sembrava furioso. E la sua furia Nodamor l'aveva vista. I fulmini erano caduti dal cielo e avevo bruciato decine e decine di navi noveriane. Bisogna sempre temere la furia di un Dio.

Certo, combattere in un campo di battaglia così buio non era sempre facile, ma queste erano le conseguenze di combattere con Rathborn. Il Dio della Notte portava il buio ovunque andava, questa era una delle sue grandi abilità. Quella che lo faceva temere dai suoi avversari. Durante la Guerra Santa gli accampamenti noveriani dormivano col terrore che dalle ombre della notte sbucasse Rathborn, per ucciderli tutti. E l'aveva fatto, molte volte.

Nodamor aveva difficoltà a combattere a fianco di quel celestiale.

Nulla a che vedere con il suo aspetto inquietante, quanto per i suoi metodi.

“uccidere uomini nel sonno è da codardi Rathborn!”

“Eppure la guerra va avanti. Non mi sembra che ti dispiacessero i miei metodi prima che diventassi un tale codardo!”

Nodamor socchiuse gli occhi.

Fosse stato solo quello a provocargli rabbia verso Rathborn! Mentre vedeva il Celestiale che come un ombra strisciava alle spalle dei Vurkaniani e li trapassava senza pietà, senza che loro si rendessero conto di che cosa li aveva colpiti, ripensò alla rabbia e l'odio che aveva provato verso il Dio della Notte.

“Bel gruppetto che hai, Dio del Coraggio. Un ladruncolo, un navigatore muto, un attaccabrighe e una smorfiosetta. Davvero un allegra combriccola di idioti.”

Erano anni fa, ancora quando Esterval il Maestro, il Dio dell'Insegnamento, ci insegnava ad essere Dei nel Campo d'Addestramento. Non posso odiarlo per queste cose. Io stesso ero molto diverso e con Attuk e Donthamar soprattutto, ne ho combinate parecchie.

No, non era quello, non era quello.

Rathborn schivò tre fendenti di fila, poi la sua lama tagliò le gambe di uno, facendolo cadere. Poi in un attimo fu alle spalle di uno dei tre e lo decapitò. Prima che l'altro capisse che era successo le sue interiora inzuppava già il terreno. Quello senza gambe venne impallato violentemente al terreno.

Rathborn alzò lo sguardo e i suoi occhi glaciali incontrarono quelli grigi di Nodamor.

Nessun segno di nulla. Un solo sguardo e poi un quasi impercettibile cenno con la testa.

Nodamor non rispose al cenno.

“Smettila di piangerti addosso, Dio del Coraggio. Lei è morta, pensi che deprimerti te la riporti indietro? Assolutamente no. Bah, tira fuori le palle e dimostra di essere un Celestiale! Le lacrime non ti servono a nulla ora e mai ti serviranno. Ti renderanno solo più debole di quello che già sei.”

E allora ricordò il motivo dell'odio.

Devan stava sempre molto vicino a Nodamor durante le battaglie. Stava diventando sempre più abile con la sua spada ed era altrettanto abile a difendersi con quello scudo tondo che uno dei fabbri dei Ferventi gli aveva donato. Lo scudo raffigurava un Work rosso che volava fiero, aveva scelto Devan stesso quel simbolo, che era del tutto simile al simbolo dei Celestiali con la differenza che invece di essere bianco era rosso.

Devan parò un colpo d'ascia col suo scudo, girò su se stesso e la sua spada lasciò una striscia sanguinolenta sulla pancia del vurkaniano, facendo uscire le sue interiora. Il suo scudo si abbatté sul volto di un altro nemico e poi la sua lama tagliò con spietatezza la sua gola. Il suo scudo intercettò una mazza. Il colpo fu potente, Nodamor lo capì dalla smorfia che fece Devan. Il ragazzo spinse con forza e fece perdere l'equilibrio al vurkaniano. Mentre l'Uomo Rosso cercava di stare in piedi Devan saltò e la sua lama si abbatté sulla sua spalla. Il vurkaniano urlò e cadde in ginocchio. Devan passò la lama sulla spalla, provocando un ulteriore gemito al suo nemico. Poi la sua lama trapassò la gola e venne ulteriormente sporcata dal sangue che uscì a fiotti dalla bocca del soldato nemico. Estrasse la spada, facendo cadere rumorosamente a terra il corpo del suo nemico. Devan sospirò e poi guardò Nodamor. Improvvisamente parve timido ad essere sotto lo sguardo attento del suo Dio del Coraggio.

Uccidere gli viene facile, lo fa da molto tempo purtroppo. Eppure è un ragazzo timido e gentile. Thelam era molto più duro ma era un vero amico, avevo piena fiducia in lui. Devan è un bravo ragazzo... eppure inizio ad avere dubbi. Che la sua ammirazione sia più simile ad una totale adorazione?

Ma che accidenti ti prende? Sei un Dio Noda, è normale che ti veneri.

Eppure...

L'arrivo nel campo di battaglia dei Ferventi fece definitivamente finire la battaglia. Tytus avevo preso la guida delle truppe dei Ferventi, imponendo una rigida obbedienza. Era duro Tytus, ma anche estremamente abile. Le fila dei Ferventi ora erano più organizzate. Riuscivano a mantenere le fila in modo ordinato e molti di loro dimostravano ottime abilità.

Si, sono degli ottimi alleati. Ma erano tanti, troppi, li ho dovuti dividere. Stillwood è già in mano nostra e Homana lo sarà presto. La gente ha paura del ritorno Celestiale... e hanno ragione.

Nelle retrovie dei ferventi, lontani dalla battaglia, c'erano Emakoon e Irash.

Emakoon era vecchio ma dimostrava un ottima influenza sui Ferventi, averlo dalla loro parte era utile e Nodamor si era convinto che la sua morte avrebbe potuto gettare nello sconforto molti ferventi.

Ma è vecchio... potrebbe morire molto presto. Siamo in guerra e le guerre non durano pochi mesi. Già lo vedo stanco e fatica a tenere il passo...

I Ferventi si abbatterono sui vurkaniani e poi fu una carneficina.

La battaglia era finalmente finita. Devan si avvicinò correndo a Nodamor.

-Mio signore! Siete ricoperto di sangue, state bene?-

Nodamor annuì, assente. -Sì, tutto bene Devan. Grazie.-

-Ma avete una ferita sul vostro braccio.-

Nodamor la guardò distrattamente e vide che non aveva solo quella ferita. La sua gamba sinistra aveva un lungo taglio sulla coscia. La sua spalla destra, poi, bruciava molto e sentiva la tunica appiccicata per il sangue.

-Tranquillo. Si rimargineranno da sole.-

-Oh... certo. L'avevo scordato. Sembrate...-

-Cosa?-

-Assente, mio signore.-

Nodamor lo guardò e Devan si allontanò di un passo.

Faccio così paura?

-Sto bene... davvero.-

Eppure mentre tornava da Athamor sentì le amni tremare come foglie mosse dal vento.

Sono vivo... sono vivo...

Quasi non ci credeva. Come aveva fatto a gettarsi nella battaglia senza avere paura. Si girò e vide la carneficina. Vurkaniani fatti a pezzi e centinaia di Discepoli e Ferventi uccisi.

Sentì le mani tremare ancora più di prima.

Ero davvero lì?

 

Nodamor si stava togliendo al veste e l'armatura insaguinate quando entro nella sua tenda Athamor.

Il vecchio Celestiale lo guardò attentamente.

-Ti ho osservato alla fine della battaglia, sai?-

Nodamor continuò a svestirsi senza guardarlo.

-Ah sì?-

-Già. Tremavi.-

-E allora?-

Silenzio.

Nodamor si tolse finalmente la veste e guardò Athamor. Lo sguardo del Dio della Sapienza era duro.

-E allora? Ringrazia i Cieli che nessun altro l'abbia notato!-

Nodamor strinse i pugni.

-Cosa staresti insinuando?-

-Sto insinuando che se ti avesse visto in quello stato Devan o Irash o Tytus sarebbero rimasti sbalorditi! Tu sei il Dio del Coraggio, Nodamor. Tu non devi tremare. Non puoi!-

Nodamor sbatté con forza il pugno sulla sua coscia, non curandosi del dolore.

-Sei tu a scegliere cosa posso o non posso fare? Ma che cazzo vuoi da me, spiegamelo!-

-Cosa voglio? Voglio che rispetti il tuo ruolo, Nodamor.-

Nodamor ringhiò.

-Rispettare il mio ruolo? Ero io nel campo di battaglia, non tu. Io ho dato coraggio ai miei soldati mentre tu te ne stavi lì sulla collina a grattarti il culo, vecchio bastardo!-

Athamor gli puntò il dito a pochi centimetri dalla sua faccia.

-Modera i toni! Rathborn faceva bene a dire che ormai da anni non sei più un Dio del Coraggio! Noi dobbiamo dare forza agli uomini, dobbiamo dare il nostro potere a loro! Come possiamo vincere una guerra se il Dio del Coraggio è un tale codardo?-

Nodamor prese la ciotola d'acqua con cui si era lavato le mani e la getto a terra.

-Esci! Esci vecchio bastardo! Esci subito se non vuoi venire infilzato dalla mia lancia! Potrò anche essere un codardo ma sono sempre e comunque più abile di te a combattere. Se hai ancora un po' di Sapienza dentro la tua testa vuota capirai che è il momento che tu tene vada! Rispetta il tuo ruolo!-

 

Dopo qualche ora che Athamor se n'era andato entrò un altra persona. Nodamor era rimasto seduto per tutto quel tempo, senza avere la voglia nemmeno di indossare una nuova veste. Ad entrare era stato Irash.

Ci mancava solo vedere la tua stupida faccia.

Il ragazzo non ebbe il coraggio di avvicinarsi troppo.

-Ehm... mio signore io... volevo scusarmi.-

Nodamor sbuffò.

-Alla buon ora.- disse seccato.

-Ammetto... di aver avuto pessimi atteggiamenti.-

Nodamor si lasciò andare ad una risata nervosa.

-Pessimi atteggiamenti, dici? Il fratello di Mek è morto per colpa tua, parte del nostro esercito e andata distrutta per colpa tua! Hai causato pure la morte di Grayback che se ne stava andando senza portare altro sangue. Nonostante il suo carattere meschino era più onorevole di te, questo la dice lunga. Mi chiedo perché non ti ho ancora fatto a pezzi, sai?-

Irash spalancò gli occhi.

-Io... mio signore io posso rimediare. Lo giuro!-

-Sai cosa facciamo a chi fa quello che hai fatto tu nella Città Volante? Causare la morte di un compagno equivale a passare la propria vita senza mani. E causare la morte di molti soldati? Vengono tagliate le orecchie, il naso e bruciati gli occhi. Tu hai ricevuto nulla di tutto ciò. E sai perché non ho fatto nulla di tutto ciò? Perché sei nipote di Emakoon e la tua morte gli spezzerebbe il cuore. E lui ci serve... ma tu no. Ricordati bene queste parole. Questa giornata si sta rivelando particolarmente seccante, vedi di levarti dalle palle.-

Irash aveva il fiatone e il suo volte era quello che poteva avere un bambino la prima volta che vedeva una Salamandra di Vurkan. Terrore.

Forse non immaginava che un Dio potesse parlare in questo modo. Già, immagino sia così. Ecco qui la mia divinità, fottuto idiota.

-Io... i-io... v-v-volevo solo...-

-Scusarti? Sì l'hai fatto. Vattene ora.-

-M-m-mi ammazzeresti?-

Nodamor socchiuse gli occhi, sentiva la rabbia accumularsi.

-Mi dai del tu, Irash?-

-C-c-come puoi essere un Dio se sei così crudele?-

-Non sono il Dio della Misericordia. Quella è Shenshenat La Misericordiosa e ora lei è a Lysiux. Ben lontana da questi campi di battaglia, dico bene?-

-Non... non ti permetterò di farmi nulla maledizione! Io n-non pensavo che i Celestiali fossero così crudeli! Mi rifiuto di crederlo!-

Nodamor si alzò, Irash non gli arrivava nemmeno al mento. Irash si allontanò impaurito.

-Stai superando il fottuto limite, Irash. Sei un incosciente idiota. E fidati, fidati, se ti dico che questa giornata si sta rivelando particolarmente seccante e tu non stai facendo altro che peggiorare il mio già pessimo umore.-

Irash improvvisamente, in un folle momento di coraggio, sollevò il mento per guardare bene negli occhi il suo Dio.

-Tu... non mi puoi trattare in questo modo. Ti credi superiore a me? Sei solo un crudele bastardo!-

Il silenziò parve essere rumoroso come mille esplosioni.

Nodamor strinse gli occhi e dalla faccia di Irash ipotizzò che il suo sguardo fosse terrificante. La sua mano saettò e afferrò quella di Irash. Strinse e sentì le sue dita rompersi. Non dovette nemmeno stringere tanto, la sua mano sembrava fatta di burro.

Irash trattenne l'urlo, stringendo i denti con tutta la forza che aveva. Questo Nodamor lo apprezzò.

-Tu, piccolo bastardo insolente, hai messo a dura prova la mia pazienza. Pensi di essere il primo bastardo irrispettoso che incontro nella mia vita? Ne ho incontrate a bizzeffe come te e ti assicuro che hanno ricevuto un trattamento ben peggiore del tuo.-

Tenendo ben strette le sue dita rotte, con l'altra mano lo colpì forte al volto. Il pugno di un Celestiale è ben più forte del pugno di un qualunque altro uomo. La testa di Irash scattò all'indietro e sputò sangue.

-Oh... cazzo...-

-Questo è per il fratello di Mek.-

Irash cercò di divincolarsi ma fu inutile. La stretta di Nodamor era salda.

Un altro pugno si abbatté sul volto del ragazzo e questo fu talmente forte da farlo uscire dalla tenda.

-Questo è per Grayback.-

Appena Nodamor uscì dalla tenda con il torso nudo sentì il pungente calore del sole. Attorno a Irash, steso a terra, vi erano molti Discepoli e Ferventi. Alcuni di quest'ultimi si avvicinarono a Irash per aiutarlo ad alzarsi ma appena videro Nodamor avvicinarsi a lui si allontanarono immediatamente.

-Aiutatemi! Presto cazzo! Presto! I Celestiali sono solo dei folli e crudeli!-

Il piede di Nodamor si abbatté con brutalità sul petto di Irash.

Da suono che fece Nodamor ipotizzò che una costola era andata. Forse due.

-Questo è per i miei uomini morti.-

Lo prese per i lunghi capelli biondi e lo costrinse ad alzarsi.

Lì vicino stava un tavolo dove un mercante che avevano trovato durante la strada e che aveva deciso di seguirli metteva in mostra la propria merce. A Nodamor non importò molto della merce sopra quel tavolo.

-E questo è per aver avuto la faccia tosta di parlarmi con quel tono!- dopo queste parole sbatté con forza la testa di Irash. Il tavolo si spaccò a meta e Irash rimase lì a terra senza sensi.

Una grande fola si era radunata attorno a quell'umiliazione pubblica.

Il vecchio Emakoon si avvicinò con tutta la fretta che gli era concessa. Si accucciò vicino a Irash e guardò Nodamor, cercando di mantenere lo sguardo più umile possibile.

-Vi ha mancato di rispetto, vostra luminosità? Questo sciocco ragazzo! Vi chiedo umilmente perdono.-

Nodamor non badò a quelle parole. Si guardò attorno.

Athamor lo guardava attentamente ma non dava segno di nessuna emozione.

Volevi una prova di coraggio? Di forza?

Mek guardava Nodamor con grande ammirazione, odiava con tutto il suo cuore Irash.

Garydorr non si vedeva ma l'ombra di Rathborn era ben visibile. Aveva un leggero sorriso.

Mi credi simile a te? Bastardo, non lo sarà mai. Mai! Lo giurai un tempo e lo giuro tutt'ora. Tu l'avresti ucciso. Io ho saputo dimostrare pietà.

Poi lo sguardo di lei.

Sempre lei.

Gli occhi di Eshelyn erano fissi sui suoi, non parevano staccarsi per nessuna ragione al mondo. E Nodamor riuscì a leggerci qualcosa. Tristezza.

Quante volte aveva visto gli occhi di Allyma in quel modo?

Troppe.

Tornò verso la sua tenda, non voleva fare nulla quel giorno. Voleva solo restare solo.

Che giornata di merda.

 

Eppure, appena sentì dei suoni fuori dalla sua tenda, decise di uscire nuovamente. Il sole era ancora alto in cielo.

Quando si deciderà a calare? Così avrò una buona scusa per stare solo, dannazione.

Ad attirarlo fuori era stato il suono di una bellissima risata.

A ridere era stata lei ovviamente. Poco distante dalla sua tenda Eshelyn stava parlando con Garydorr.

-Veramente era così, mio signore?- chiese lei, senza interrompere la risata.

-Oh lo era. Stetti vari giorni nel campo d'addestramento e devo dire che ne combinava parecchie. Lui e Attuk, appena arrivava un qualche giovane Dio che doveva essere addestrato per il suo ruolo, non esitavano un secondo a farlo sentire... a suo agio. E i Cieli sanno quante risse ho dovuto sedare. Donthamar era un vero attaccabrighe e volente o nolente Nodamor veniva sempre coinvolto in qualche scazzottata. E ne uscivano sempre vincitori.-

Appena vide Nodamor avvicinarsi, Garydorr fece un sorriso raggiante.

-Ah eccolo qua! Nodamor, vecchio mio, stavo giusto raccontando a questa graziosa donzella le tue gesta da giovane.-

Nodamor non si era ancora messo la veste nuova,. Il caldo era pungente e lo sopportava poco.

-gesta di molti anni fa.-

-Già molti. Ma queste, cara, erano gesta frivole. Da ragazzi. Hai mai sentito parlare della distruzione di Kyshar? E di quando uccise i due Cavalieri del braccio Oghar e Selvin di Homana?-

-Sì, mio signore, ne ho sentito parlare.- disse fredda. Avere Nodamor lì l'aveva cambiata.

-Ah Kyshan resistette, ooooh se lo fece. Ma Nodamor non demordette, nemmeno per un istante. E infine la grande città di Kyshan cadde, ora rimangono solo rovine. I Noveriani se lo ricordo, dico bene?-

Anche Nodamor se lo ricordava. Erano morti Attuk, Shalazar e Ferghos. Aveva tanta di quella rabbia nel suo corpo che trattenerla era difficile. Allyma lo odiava quand'era in quello stato. Il suo sguardo era così... triste. Questo lo faceva infuriare di più. Gli abitanti di Kyshar assistettero alla sua rabbia e la subirono.

-E Oghar e Selvin erano dei prodi guerrieri, quanti Discepoli erano caduti sotto le loro spade? Ma Nodamor, ferito per colpa di una freccia, li uccise entrambi, combattendoli nello stesso momento.-

Ci aveva quasi rimesso la vita quel giorno. Non aveva fatto in tempo a togliere quella dannata freccia e aveva dovuto combattere zoppicando in modo incredibile. Quei due bastardi non gli avevano dato tregua. Ma alla fine Oghar era stato tagliato a metà e Selvin impallato sul terreno sporco del suo sangue.

-Grandi gesta! Ho sentito quello che hai fatto a quel ragazzo, amico mio. Mi hanno anche detto che aveva combinato e, lascia che te lo dica, sei stato anche troppo buono. Ora vi devo lasciare. Nodamor, fanciulla.- detto questo se ne andò.

Nodamor posò il suo sguardo su Eshelyn. Lei tenne lo sguardo basso.

-Eshelyn, vorrei parlarti in privato. Andiamo nella mia tenda.-

-Come mi comandate, mio signore.-

Appena furono dentro la tenda si sedettero e Nodamor non attese un istante.

-Perché mi guardavi in quel modo?-

-Quale modo?-

-Lo sai.-

Alzò lo sguardo e Nodamor fu stupito nel vedere delle lacrime.

-Come avete potuto? Irash ne ha combinate molte, è vero, non si può negare. Ma umiliarlo in quel modo? Ho visto tanta di quella rabbia nei vostri occhi.-

-è stata... una brutta giornata.-

-Ho sentito le urla. Avete litigato con Dio Athamor, lo so. Ma ciò non giustifica quello che avete fatto. È stato orribile, mio signore.-

-Eshelyn... non è la prima volta che mi succede. Posso essere molto paziente e comprensivo ma... questa guerra, questa ennesima guerra, mi sta distruggendo. Troppe battaglie in troppo poco tempo. Sono un Dio e la stanchezza non la percepisco ma... la stanchezza nello spirito sì.-

-Dio Athamor mi ha parlato di questo. Ha detto che durante la Guerra Santa le perdite che avete subito vi hanno spezzato e siete cambiato. E non vi biasimo. Ha detto che la rabbia e l'odio hanno guidato la vostra lama per molto tempo.-

Parla troppo quel vecchio.

-è la verità. Persi tutto ciò che avevo in quegli anni, anche una parte di me. Una parte che non ho più recuperato.-

-Quale?-

-La parte del mio cuore che sapeva amare. Sai cosa significa essere senza amore per duecento anni, Eshelyn? No, non lo sai. Non puoi saperlo. L'amore è una forza più potente della morte, questo te lo posso assicurare. Un amore può durare in eterno. E lo fa. Quando ami dai metà del tuo cuore alla persona che ami, per fare in modo che lei ne abbia cura. La cura che tu non sei capace a dargli, perché sei uno stupido testardo a volte. E quella persona a cura del tuo cuore e ti senti vuoto senza di lei, perché ha quella metà. E quando la rivedi, finalmente il tuo cuore è completo. E tu stessi sei completo solo quando sei assieme alla persona che ami. Allyma è morta e si è portata via quella parte del mio cuore. E ora io sono incompleto.-

Eshelyn si morse il labbro inferiore, come per trattenere le lacrime. Cosa che non riuscì a fare.

-Sì ma... era necessario?-

-Sono cambiato molto. Mentre iniziavo a perdere tutto stavo già cambiando. Ero più aggressivo e freddo, cinico. E la rabbia ha preso possesso del mio corpo per anni. Allyma mi ha visto cadere nel baratro della rabbia e non è nemmeno riuscita a vedermi uscire da esso. È morta prima. Per tutti quegli anni il suo sguardo fu carico di un enorme e terribile tristezza. Era triste perché mi vedeva così cambiato. Avrei voluto dirle che lei era l'unica cosa al mondo che riuscisse a rendermi felice... ma non glielo dissi mai. Non so dire perché. Non lo feci. Ero troppo... intento a combattere una guerra che invece di difendere mi ha portato solo a distruggere. Non glielo dissi nemmeno quando era tra le mie braccia, in fin di vita. Ormai era già troppo tardi.-

-Io... Mio signore lasciatemi dire questo. Sono rimasta così colpita da quelle azioni perché... mio padre aveva passato tutto la vita fedele ai Celestiale, tutta la mia famiglia. Mio padre rischiò molto in questi anni ma mantenne salda la sua fece. Diceva che i Celestiali sapevano essere pietosi. Sapevano perdonare. Ma tutto mi dimostra il contrario. E poi affrontò una dura delusione. Un giorno chiese ad un Celestiale, non mi disse mai chi, per quale motivo gli uomini, che i Celestiali avrebbero teoricamente dovuto difendere, si combattevano sempre in guerra e i Celestiali non le fermavano con la diplomazia ma con la forza. Quel Celestiale non seppe rispondere. Disse “Non lo so” e mio padre perse molta della sua fede.-

Nodamor abbassò la testa, riflettendo bene su cosa dire.

-Avrebbe dovuto essere grato di quella risposta.-

Eshelyn parve sorpresa. -Per quale motivo?-

-Ciò che io credo distingua molto noi Celestiali dalle altre divinità... è che noi siamo molto meno divinità e più uomini. Nonostante il nostro aspetto e i nostri poteri. Un qualunque altro Dio afferma di sapere tutto, quel celestiale ha ammesso di non sapere la risposta. Devi fidarti di colui che ammette di non sapere e non di colui che dice di sapere ogni cosa.-

-Quindi... mi state dicendo che... se ci fosse un Dio dell'Ignoranza dovremmo credere solo a lui?- disse lei ridacchiando.

Nodamor si ritrovò, con suo grande stupore, a ridere per quella semplice battuta.

-Già. Già se mai esistesse un Dio dell'Ignoranza sarebbe senz'altro il migliore tra tutti noi.-

Eshelyn lo guardò sorridendo, ora non c'era più tristezza nei suoi occhi ma una gradevole dolcezza.

-Dovreste farlo più spesso, mio signore.-

-Cosa?-

-Ridere. Avete una bella risata.-

“Hai una bella risata, Valoroso. E ti amo per questo.-

-Ti ringrazio...-

Lei attese qualcos'altro e Nodamor parlò.

-Voglio rendere Devan mio Primo Discepolo.-

Lei sorrise.

-Credo sia un ottima scelta, mio signore.-

-è solo...-

-Cosa?-

-Devan è fedele, questo è ovvio. Ma la sua adorazione... mi preoccupa. -

-Questo è strano.-

-Lo so. Da anni affronto la mia adorazione in modo molto strano... e dubbioso.-

-Dite quello che avete detto a me. Lui capirà, ne sono certa.- disse lei con voce rassicurante.

Lui la guardò e le sorrise.

-Ti ringrazio All... Eshelyn.- la sua voce divenne dura. Perché aveva sbagliato?

-Mio..-

-Esci.-

Il tono freddo di Nodamor la spinse a uscire in fretta.

Maledizione Noda, calmati! Ti stava aiutando. Un Celestiale ha bisogno di aiuto come chiunque, anche da un umano. Conferma il tuo discorso di poco fa.

Tutti hanno bisogno di essere aiutati.

 

-Devan, ti ho portato qui nella mia tenda per parlarti di una cosa.-

-Ditemi.- Devan stava ritto sul posto, senza muovere un muscolo.

-Sei un ragazzo forte, abile a combattere e sai farti valere. Sei anche molto coraggioso.-

-Ti ringrazio mio signore.- disse il ragazzo chinando leggermente la testa.

-per questo ho deciso di renderti mio Primo Discepolo. Come Thelam prima di te.-

Devan spalancò gli occhi e iniziò a balbettare.

-Io... m-m-mio signore non... non credo di meritare un tale onore.-

-Sei l'unico che lo merita davvero.-

-Vi sono... eternamente debitore, mio signore. È un sogno che si realizza.

-Bada bene però.-

-Cosa?-

-Ora io e te siamo legati e lo saremo per sempre. Essere Primo Discepolo significa questo. Smettila con l'adorazione.-

-Cosa? E... per quale motivo?-

-Noi Celestiali siamo molto meno divini di quanto tu possa pensare. E ora che sei il mio primo Discepolo dovrai essere certo di quello che ti ho appena detto. Trattami come un tuo pari, dimmi i tuoi dubbi e affrontami quando lo ritieni opportuno. Il Primo dei Superiori, Elovas, selezionò i primi Discepoli perché era ben consapevole che un celestiale poteva sbagliare. E lo faceva, molte volte. Io posso sbagliare, Devan. Ricordati che non sono infallibile. Non lo sarò mai.-

Devan annuì incredibilmente deciso. E questo riempì di gioia Nodamor.

Ho fatto la scelta giusta.

-Come mi ordinate, mio signore.-

-Chiamami Nodamor.-

Devan sorrise.

-Nodamor.-

 

-Io credo che la ricerca della ragazza sarà molto più lunga di quello che pensavamo. Secondo Elomer doveva essere una cosa veloce e letale. Non immaginava tutto questo caos.- disse Rathborn.

-è vero.- confermò Athamor. -Temo dovremmo interrompere la ricerca. Lei viaggi accompagnata da un solo uomo, molto più velocemente di noi questo è ovvio. L'abbiamo praticamente persa ormai. Credo sia giunto il momento di lasciar perdere la nostra ricerca e focalizzarci su altro.-

Garydorr annuì.

-è vero. Questa ricerca si è trasformata in una guerra di conquista e credo che questo sia il modus operandi da seguire. Conquistiamo, Nodamor. Sharkar è nostra, Stillwood pure e sul castello del Lord di Homana sventola la bandiera Celestiale. La marcia verso Ovest non è più necessaria ormai e la conquista sta andando meglio di quanto avrei sperato.-

Nodamor si ritrovò ad annuire. Erano al centro dell'accampamento e attorno a loro c'era il tipico baccano e movimento di un campo pieno di soldati.

-è vero. La Messia ormai è andata. Lasciamo che i noveriani continuino la loro ricerca mentre noi conquistiamo la loro terra.-

-Il Nord poi non è più una minaccia e di certo gli uomini del Nord non perdoneranno ai vurkaniani un tale affronto. Nord e Vurkaniani saranno impegnati in una loro guerra personale nei mesi a venire.- disse Rathborn.

-Indubbiamente. Molti soldati Noveriani poi sono impegnati nell'assedio di Aquamar. Abbiamo la strada libera.- disse sicuro di sé Athamor.

-Allora è deciso.- sentenziò Nodamor e tutti annuirono.

Eshelyn, come il solito, stava poco distante da loro.

Nodamor la guardò e cercò di tirar fuori il suo sguardo più dispiaciuto possibile.

-Mi dispiace per come ho reagito, Eshelyn. Io...-

-Non c'è problema mio signore, ho capito.- disse lei sorridendogli.

Nodamor rispose al sorriso ma poi quel sorriso sparì. Sparì appena Nodamor sentì un dolore lancinante al fianco e vide del sangue, il suo sangue, schizzare sulla veste di Eshelyn.

-Ma che cazzo...-

L'urlò di Eshelyn fu talmente forte da fare male alle orecchie del Valoroso.

La lancia non era entrata del tutto, solo la punta e poco altro. Non aveva cvolpito nessun punto vitale.

-Toglietemi... questa cazzo di cosa porca...- biascicò Nodamor.

-Ci penso io.- disse Garydorr. E poi penseremo a te, piccolo cane bastardo!-

Quando la lancia uscì fu addirittura più doloroso di quando era entrata.

Nodamor si girò e capì a chi stava parlando Garydorr.

Irash, con la faccia tumefatta e una mano fasciata, aveva colpito alle spalle Nodamor con quella lancia di piccole dimensioni.

-Avresti dovuto mirare meglio se mi volevi morto, ragazzo.- ringhiò Nodamor.

-Fottiti! Fottiti maledetto! Tutti voi, ascoltatemi! Non possiamo seguire dei mostri come loro! Come lui! Sono crudeli, insensibili e senza nessuna pietà per noi umani. Nessuna!-

-Mi hai proprio rotto il cazzo, lurido frocio. Lascia che la mia lancia lo faccia a pezzi, Nodamor.- disse Garydorr furioso.

Davanti a Irash si mise Emakoon, di nuovo speranzoso di difendere il nipote.

-No! No, vi prego! è... l'unico membro della mia famiglia che mi resta. Ve ne prego, risparmiatelo. É uno sciocco lo so ma...-

Irash spinse bruttamente a lato suo nonno e si mise ad urlasse con rabbia verso Nodamor.

-Affrontami se ne hai il coraggio, Dio del Nulla. Io non ho paura di te, io non ho paura di nessuno di voi, bastardi! Falsi Dei! Io vi...- la sua voce si interruppe appena l'ascia gli spacco in due la testa. Cadde in ginocchio, poi il suo corpo ciondolò e cadde di pancia sull'erba. L'ascia, ancora conficcata sulla sua testa, era stata usata da Mek che stava in piedi dietro di lui, col fiatone.

-Questo è per mio fratello, principessina.- disse con gli occhi pieni di lacrime.

-NO! No, noooooooooo, no! Mio nipote! Il mio amato nipote! Irash!- urlò Emakoon gettandosi sul corpo senza vita di Irash.

Mek guardò Nodamor, cercando approvazione.

Non ne ricevette alcuna.

-Povero bastardo.- disse a bassa voce Devan.

 

Nodamor era ben lontano dall'accampamento. Voleva restare solo, a rimuginare su tutte le cose accadute. La ferita era stata fasciata ma qualche movimento troppo brusco gli faceva male. Entro qualche giornos arebbe tutto passato.

Ma Irash è morto. Mek l'ha ucciso. Dannazione, avrei dovuto prevederlo. Perché sono stato così cieco?

Emakoon non aveva smesso di piangere un solo istante, Eshelyn era inorridita di quando accaduto, Devan riteneva che fosse il destino che gli spettava, gli altri Celestiali non dicevano un bel niente.

Come sempre. Non dicono un bel niente. Sono solo in tutto questo.

All'improvviso sentì dei passi dietro di lui.

Era Emakoon.

-Emakoon, che ci fai qui.-

-Me ne vado, Valoroso.- disse freddo il vecchio.

-Cosa?-

No, questo non deve accadere.

-Emakoon ma... non puoi. I Ferventi ti seguono. Sei un simbolo per loro.-

-Che facciano quello che vogliono! Io non ho più nulla che mi interessi in questo... freddo e vuoto mondo. Mi sento solo, come non lo sono mai stato. Mio nipote è morto... e non hai fatto nulla per impedirlo, Nodamor.-

-Emakoon guarda la cosa oggettivamente!-

-Non... mi... importa! Ho avvertito che me ne sto andando. Sappi che molti sono indignati, chiedono di parlare con te. Chiedono anche di andarsene. Non hanno trovato ciò che volevano. Io non ho detto nulla. Me ne sono solo andato.-

Cazzo! Merda, merda, stramaledetta merda!

-Emakoon..-

-Non mi convincerai, Celestiale. Ho perso tutto...- iniziò a piangere. -Tutto ciò di cui avevo bisogno... sono perduto, capisci? Perduto. Io...- poi la lancia gli trapasso il petto.

Nodamor spalancò gli occhi. Chi diavolo era stato. Emakoon si accasciò su di Nodamor. Il dio del coraggio, troppo sconvolto per parlare, adagiò lentamente il corpo. Sapeva già chi era stato.

-Rathborn... esci dalle tenebre, dannato!-

E cosi fece. Dalle tenebre dietro di Emakoon uscì il Dio della Notte. Al buio i suoi occhi sembravano brillare.

-Perché... perché diamine l'hai fatto! L'hai ucciso! Un vecchio indifeso!-

-Oh andiamo, non farmi la predica Valoroso. Quanti vecchi indifesi hai ucciso a Kyshan.-

-Dammi solo un motivo per non ucciderti!- disse Nodamor cercando di avvicinarsi. Ma il fianco gli doleva molto.

-Perché era la cosa giusta da fare.-

-No! Non lo era!-

-Non... urlare. Per cortesia.- disse Rathborn seccato.

-Era la cosa giusta da fare, lenisci la tua rabbia e guarda le cose oggettivamente. Noi abbiamo bisogno dei ferventi. Loro sono convinti che il vecchio se ne si andato e vogliono rivoltarsi. Hanno perso la loro guida per colpa della nostra... negligenza, questo dicono quegli idioti. Diremo loro che è stato ucciso da dei noveriani e poi... insomma ti inventerai qualcosa. L'abbiamo difeso con tutta la nostra forza e tutte queste sciocchezze. Tu di certo saprai cosa fare.-

-Ma... Rathbron tutto questo è...-

-Disonorevole? Oh, sciocco, sapessi quante cose disonorevoli ho fatto nella mia vita. E tutte hanno fruttato ottimi risultati. Questa non sarà da meno.-

Poi colpì con un pugno Nodamor.

-Ma che cazzo fai?!- imprecò Nodamor.

-Dobbiamo renderlo credibile, no?-

 

-Siamo stati attaccati lontani dall'accampamento. Emakoon voleva andarsene ma poi, parlando con me e Rathborn si era convinto di restare. Di restare perché era fermamente convinto che quello che stava facendo era necessario, nonostante le perdite fossero terribilmente dolorose. Dei noveriani erano nascosti nelle ombre e come dei codardi hanno ucciso Emakoon. Noi li abbiamo uccisi tutti senza alcuna pietà ma... ormai era troppo tardi. Se ne va un grande uomo. Emakoon ha sempre avuto grandi consigli per me. Mi aveva sempre spronato a continuare questa lotta, mi diceva sempre che tutto questo era il nostro destino. Emakoon diceva che il nostro destino era quello di combattere, con tutta la nostra forza e di riportare questo regno alla gloria di un tempo. Emakoon mi disse: “Noveria tornerà celestiale, anche se io non ci sarò. Promettimelo, Nodamor.” E io sia dannato se non manterrò la promessa fatta a quel grande uomo!-

Urla. Inneggiavano lui, i Celestiali, Elomer il Superiore, i Cieli e maledivano Noveria, il Grande Inquisitore e i Dragoni Celesti.

Tutti erano fiduciosi, tutti ci credeva.

Nessuno dubitava.

Guardò Rathborn e sul volto del Dio della Notte si stampò un sorriso lugubre.

Nodamor abbassò lo sguardo, fingendo tristezza per la morte di Emakoon.

Ciò che provava era solo una terribile vergogna.

Io non sono il Dio della Misericordia, ma nemmeno il Dio del Coraggio.

Io sono il Dio del Nulla.

 

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Capitolo 40
*** Un simbolo ***


 

Capitolo 40

Un simbolo

 

Tutto il mondo vorticava, come se fosse su una nave. Oppure era il Supremo che teneva il mondo in mano e lo agitava, giocando coi suoi omuncoli.

Quel Supremo che lo aveva abbindolato con tante promesse, con tante parole, con il sogno irraggiungibile di una nuova grandezza grazie alla Messia. Un sogno che era sfuggito alle mani di suo fratello quando quella lama gli aveva tagliato la gola e ogni sua certezza era svanita. Suo fratello era stato un simbolo, non solo per lui ma per il popolo.

Ma forse... forse non era stato abbastanza. Non era riuscito, come aveva detto Bjorn, a... elevarsi. Diventare qualcosa di più. E questo l'aveva distrutto. Non aveva avuto il coraggio di elevarsi.

Ma cosa importa ora? Bjorn ci credeva ma tu non ci hai mai creduto. E ora vedi solo il buio, le tenebre, oscurità pura. Lasciati andare nel suo abbraccio... è così accogliente.

Eppure qualcosa dentro di lui gli impediva di arrendersi. Quella stessa forza che lo aveva spinto in ogni battaglia, quella forza che aveva sentito quando i Sepolcrali avevano tentato di uccidere suo fratello.

Una forza talmente avvolgente che per un attimo l'oscurità non parve più accogliente, ma gelida e cupa.

Robert trovò la forza dentro di sé per aprire gli occhi.

Ciò che vide fu morte.

Corpi di decine e decine... forse centinaia di Nordici giacevano attorno a lui, sotto di lui e anche sopra. Non aveva aperto gli occhi, erano sempre restati aperti, erano solo i corpi a coprire la sua vista. L'odore era nauseabondo. Odore di carne marcia, cervella, interiora, emanazioni del corpo dopo la morte. E lui era immerso in quell'ammasso di pestilenza e morte.

Si mosse ma il dolore al fianco esplose, esplose come un muro colpito da un masso lanciato da una catapulta.

Quante volte aveva ordinato di usare le catapulte contro Iffrith. Quanti muri erano stati abbattuti, esplosi.

Cercò di muoversi ancora, ma era come avere una grande scheggia impiantata sul fianco, che a ogni movimento entrava sempre di più.

Eppure qualcosa lo spinse a muoversi ancora. L'odore dei cadaveri era sempre maggiore, pareva entrare nelle sue narici con dei ganci incandescenti e raggiungeva il cervello, annebbiandogli la mente. Le fitte furono lancinanti e dolorose ma spostò il primo corpo, poi il secondo e finalmente vide il soffitto. Riuscì a mettersi seduto, nonostante quella posizione gli causasse ancora più dolore di prima. Attorno a lui solo sangue, corpi martoriati. Il ronzio delle mosche era quasi assordante. Era... seduto sopra una montagna di corpi. Sotto di lui sentiva braccia, gambe, teste. Il suo cuore iniziò a battere all'impazzata.

Tutti... morti. Sangue, sofferenza, dolore...

Tutto era perduto.

Non era il momento di pensare, lo sapeva. Si mosse e inaspettatamente i corpi iniziarono a sprofondare, come un castello di carte che cade per colpa del vento. Rotolò già e sentì il freddo contatto del pavimento sul suo fianco. Urlò e sputò sangue. Iniziò a muoversi strisciando come un verme. Ogni gemito corrispondeva ad un lieve movimento. Infine raggiunse delle sbarre.

Sbarre? Ecco dove sono... le segrete del castello.

Si aggrappò su quelle sbarre come se fossero una tronco che galleggia nell'acqua dopo un naufragio. Strinse forte, come faceva quando impugnava la sua spada.

La sua spada... persa. Taglianeve si chiamava. Ma ormai non aveva più importanza.

Si sollevò, chiedendo appello a tutta la forza che quelle possenti braccia potevano dargli. Finalmente si ritrovò in ginocchio, la fronte appoggiata sulle sbarre gelide.

Gelide come il suo cuore.

Solo in quel momento, appena si rese conto di non poter fuggire, ricordò tutto.

E allora sentì le lacrime, gelide come la prima neve d'inverno, scendere dai suoi occhi.

Adele, sua moglie, era morta. Un Vurkaniano aveva trafitto il suo cuore. Un cuore così puro! Come avevano potuto.

Darwill, il suo primogenito, sangue del sue sangue, era stato trafitto da una lancia e poi finito con un colpo d'ascia. Un ragazzo così giovane e coraggioso.

Bremar e Elda erano scappati... ma chi diceva che fossero vivi? I vurkaniani avrebbero risparmiato dei bambini così piccoli e innocenti?

Hosttmar e Walgard non li aveva nemmeno visti. Stessa cosa per Bjorn. Non sapeva dire se erano vivi o no. Non aveva nemmeno la forza di voltarsi per cercare i loro corpi.

Daften l'aveva visto. Quel bastardo di Gorander l'aveva sgozzato, prendendolo alle spalle.

E poi... Argon Falltayer che sedeva sul trono dell'Orso, trono appartenuto agli Holdar sin dai tempi di Nordor.

Ma ormai... cosa importava? Il Nord era perduto, la sua città lo stesso e lui era solo. Nessuno poteva aiutarlo. Era perso nei meandri del suo stesso castello, rinchiuso assieme a montagne di cadaveri in decomposizione. Gettato lì e dato per morto. Non c'era più nulla da governare, nulla per cui valesse la pena lottare. Per la prima volta, in tutta la sua vita, si sentì totalmente vuoto, privo di una qualunque energia che lo spingesse a fare qualcosa. Privo di quella scintilla che in tutti quegli anni l'aveva spinto a lottare. L'unica forza che gli era rimasta l'aveva sprecata per strisciare come un verme.

È così che ci si sente quando si perde tutto?

Non aveva nemmeno la forza di asciugarsi le lacrime, nemmeno la forza di smettere di singhiozzare.

Poi sentì dei passi.

Parlavano in vurkaniano, con quel loro linguaggio masticato e incomprensibile. Una voce parve riconoscerla però.

Robert non si era mai preso la briga di imparare il vurkaniano.

E che idiota che sono stato, erano nostri alleati. Sarebbe stato utile capire cosa dicevano. Ma ora...

I passi si avvicinarono e infine le tre figure si fermarono davanti la sua cella.

Una risata fece sussultare il suo cuore.

-Ma guarda chi c'è qui, ancora vivo per giunta. Gli orsi sono duri a morire.-

Gli orsi non muoiono mai. Se solo avessi la forza di dirtelo.

Riuscì però ad alzare lo sguardo.

Gorander, avvinghiato con un elegante veste nera e una cappa rossa come il fuoco lo guardava sorridendo.

-Robert Holdar, il Guerriero di Ghiaccio. Sai... ho sempre trovato questo nome particolarmente banale.-

Non rispose, non trovava la forza.

-Ero convinto che fossi morto, sai? Jonyatan ti aveva trafitto sul fianco, quasi tutta la sua spada aveva trafitto la tua pellaccia. Eri a terra, in una pozza di sangue, il tuo cuore nemmeno batteva. Dovresti essere morto, Robert.-

-Eppure... sono qui.- disse e la sua voce parve un rantolo, ben diverso dalla sua poderosa voce da guerriero.

-Oh ti vedo. Eppure non posso negare di essere... divertito. Non vuoi proprio morire eh. Ci avevo sperato quando i Sepolcrali hanno fatto irruzione eppure ne hai ammazzati veramente tanti. E non sei morto. Quando si dice avere una fortuna dannata, eh?- rise nuovamente. -Dalle mie parti si dice “Baciato dalle fiamme”. Significa che un uomo ha su di se una fortuna invidiabile poiché le fiamme, le nostre madri, l'hanno baciato.-

-Non me ne importa un cazzo dei detti della tua fottuta terra.-

-Oh ma come sei volgare, Robert. Non è degno di un re il tuo tono.-

Robert cercò di nascondere le lacrime agli occhi gialli di Gorander.

-Sì perché è così ora. Sei vivo perciò sei tu il re del Nord. Bello vero? Diventare re solo perché tuo fratello è stato un tale idiota da farsi abbindolare.-

Robert strinse le sbarre.

-Lui si fidava di te.-

Gorander sorrise e fece un lieve inchino.

-Oh lo so bene, amico mio e ti ringrazio per avermelo detto. Era quello l'obbiettivo e credo di aver svolto egregiamente il mio compito.-

-Un compito vile e meschino! Disonorevole.-

-Il compito che da centinaia di anni compiono gli Emissari di Vurkan, da quando Laskan il Vulcano fondò il nostro regno sul sangue. Gli Emissari sono sempre stati abili persuasori. Parlavano a nome del Re del Vulcano, certo, ma il Vulcano non si fa molte remore quando deve ricoprire di lava una città.-

-Nemmeno il Gelo si fa remore quando deve far morire di freddo degli uomini.-

-Oh Robert... evita, davvero. Non sei nelle condizioni di uscirtene con queste frasi, te lo dico da amico.-

-Tu non sei mio amico.-

-A dire il vero sono l'unico amico che ti resta. Per un po' nessuno ha più avuto fiducia in te, soprattutto considerando gli inutili cambiamenti che stavi provocando alla tua persona. Pace? Davvero? In questi anni? Tu? Mi sono trattenuto molte volte dal riderti in faccia! Non sei tu che hai ucciso un uomo a testate?-

Robert avrebbe voluto fare lo stesso con lui, se il mal di testa che aveva non fosse stato così doloroso.

-Tutti erano contro di te. Solo la tua famiglia di appoggiava ma... credo lo facessero più per rispetto che per altro. Daften non faceva altro che blaterare di come eri cambiato, di come gli anni ti avessero indebolito. E io provavo pietà per te.-

Robert sbuffò -Allora ti sono grato.-

-Non c'è di che.- poi sospirò. -Povero Daften. Così ingenuo. Tu glielo hai detto così tante volte di non fidarti. Ma lui era un testardo non da poco, eh? Mio padre mi diceva sempre “Penn ricorda: se vuoi ingannare qualcuno, digli quello che vuole sentirsi dire.” Uomo saggio mio padre. E così ho fatto con Daften. L'ho abbindolato dicendogli tutte le cose che voleva sentire uscire dalla tua bocca ma che tu non dicevi. Sono stato... un secondo fratello per lui.-

Questo era troppo! Avrebbe voluto fare a pezzi Gorander con le sue stesse mani.

Gorander si inginocchio, a separarli erano solo le sbarre.

-Ma guardati. Sei solo un ombra di ciò che eri un tempo. E io so bene come ci si sente ad essere ingabbiati come degli animali. perdi il senno, non ti senti più un uomo. Ti vergogni. Tutto quello che ti ho detto su di me è vero. Sai... non so perché ti ho raccontato tutto. Forse per ottenere la tua fiducia... però ammetto di aver rischiato a raccontarti ogni cosa.-

Robert aveva l'opportunità di prendere la testa di Gorander e sbatterla sulle sbarre, ma non lo fece. Non aveva nessun senso ormai.

-Mi sembra giusto spiegarti le cose, no? Il tentato assassinio di Daften da parte dei Sepolcrali era chiaramente stato organizzato da noi, c'avevi visto giusto. Anche se i Sepolcrali non avrebbero ucciso Daften, non erano questi i piani. L'obbiettivo principale era fare molta confusione a dire il vero e uccidere te. Eri tu il principale obbiettivo. Certo, avevo sottovalutato le tue capacità di combattimento. Sei davvero abile. Quel Dekoff poi era stato facilmente malleabile. Una mente debole, poverino. Lui avrebbe dovuto ucciderti ma si è ritrovato il collo spezzato quell'idiota. E il Sepolcrale che ho ucciso io, ti chiederai? Be' quella è stata una bella opportunità. Come ti ho detto non era nei miei piani la morte di Daften. Doveva aspettare, come il mio re mi aveva ordinato. Ma quell'idiota stava puntando a tuo fratello e diciamo che ho colto la palla al balzo. Ucciderlo mi avrebbe facilmente fatto ottenere anche la tua fiducia. Cosa che effettivamente è successo. È stato terribilmente facile ingannare le vostre menti. Voi nordici vi vantate di essere duri come la roccia ma avete anche il cervello fatto di roccia, ho notato. Anche i Sepolcrali che tanto hanno combattuto per tornare alle vecchie tradizioni si sono comportati come dei bambini. Sono bastate un paio di promesse e quell'Harod ci ha aiutati, per poi ritrovarsi in una situazione simile alla tua. -

Robert non sapeva più cosa dire. Non sapeva se dare la colpa a se stesso per non essere stato convincente o darla a Daften per non averlo ascoltato.

Daften è morto, non dare la colpa ai morti.

Quindi non dovrei nemmeno incolpare nemmeno me stesso. Tra poco morirò.

-Mi dispiace per tua moglie però. Davvero. Di lei mi è dispiaciuto, mentre di tuo figlio mi è importato poco. Era una brava persona tua moglie... e bella. Davvero bella. Credo che tutti quei tuoi sogni di cambiamento fossero dovuti al fatto che non ti sei mai convinto di meritarla. Ed era così, vecchio mio. Tu non l'hai mai meritata. Lei era troppo pura per te. Eri fiero di te per essere amato da una persona stupenda come lei ma ti vergognavi al tempo stesso perché sapevi di non essere ciò che lei meritava.-

Robert spalancò gli occhi.

Quelle parole lo ferirono, lo distrussero dentro, presero il suo cuore e lo avvinghiarono con le catene del dolore.

Soprattutto perché quelle parole erano vere e lui lo sapeva.

La sensazione che provò fu strana, malsana addirittura. Sembrava che Gorander lo conoscesse meglio di chiunque altro.

-Ah già, quasi dimenticavo. Questo- mostrò le due dita mancanti. -Non era assolutamente nei miei piani. Perciò...- afferrò la mano di Robert. -Credo sia arrivato il momento di essere pari.-

Robert si rese conto troppo tardi di quello che stava per succede. Avrebbe voluto tirare indietro il braccio, dietro le sbarre, ma la stretta di Gorander era salda. Nell'altra mano Gorander reggeva un pugnale che lentamente avvicinò alle dita della mano sinistra di Robert.

No, no, no, no cazzo!

Prima ci fu il freddo contatto, la lama spinse e Gorander storse il dito indice per spezzarlo. Cosa che fece.

Robert ringhiò.

-Oh sì, ringhia pure stupido orso in gabbia.-

Poi la lama taglio la carne e il dito si staccò dal resto del corpo.

-E il primo è andato.

-Robert sapeva come comportarsi. Respirò profondamente, sputò fuori l'aria e strinse gli occhi per trattenere le lacrime.

No, no, ti prego basta! Non anche l'altro, no! Basta!

Lo stesso trattamento venne riservato al suo anulare.

Osso spezzato, carne tagliata, spruzzi di sangue, dolore. Gemito, ringhio, lacrime. Gorander gli diede una fascia.

-Per trattenere il sangue. Basterà.-

Robert la guardò e nonostante il dolore si sentì perplesso.

-Perché?-

-Perché la fascia dici? Be' non voglio che tu muoia dissanguato, vecchio mio. Sei giù debole abbastanza. Ce n'è abbastanza anche per la ferita al fianco, vedo che c'è ancora sangue fresco. Devi essere caduto.-

Robert mostrò i denti.

-Perché... non mi... uccidi?- chiese disperato e furioso al tempo stesso.

-Perché sei mio amico, te l'ho detto.- disse Penn Gorander con un sorriso infido.

-Io non voglio che tu muoia. Io voglio riservarti in tutto e per tutto lo stesso trattamento che te e quell'idiota di tuo fratello avete riservato a me. Voglio che tu viva col pensiero di non aver potuto fare nulla per impedire la morte dei tuoi cari. Non hai fatto nulla per cambiare il tuo regno. Non sei nemmeno riuscito a cambiare te stesso, Robert. Ora resta qui, chiuso in questa grande cella e sappi che in ognuna di queste celle ci sono decine e decine di cadaveri. Tutte le segrete sono piene di carcasse putrescenti di nordici. E sappi che è tutta colpa tua. Avresti dovuto fare di più. Per la tua famiglia, per la tua città, per il tuo regno e per te stesso. Addio, figlio di Jorg Holdar. Addio, ultimo Re del Nord.- e dopo aver detto quelle parole, con la voce fredda e tagliente come la lama di quel coltello che si era portato via le sue dita, se ne andò.

E Robert pianse, poiché capì che tutto era perduto.

 

Era allo stremo delle forze, sia fisiche che mentali, quando una delle guardia davanti alla sua cella venne sgozzata. Il sangue spinto contro le sbarre, tingendole di rosso. La seconda guardia venne sbattuta sulle sbarre e poi la lama trapassò il suo collo. La guardia strinse il suo collo, tentando disperatamente di trattenere il sangue. Ma alla fine morì.

Chi è? Non posso avere un po' di pace?

Poi riuscì a vedere la sagoma che l'aveva salvato.

I capelli neri erano legati sapientemente in una treccia, il seno abbondante e quegli occhi di un marrone assurdamente chiaro.

Shereen? Cosa ci fa qui una serva?

Anche se non era vestita da serva. Portava una veste attillata nera che copriva totalmente i suoi seni, seppur non riuscisse a trattenerli del tutto.

Quello non era il vestito di una serva.

-Mio signore, siete vivo!- disse avvicinandosi. Teneva ancora in mano il coltello con la lama tinta di rosso.

-Shereen? Ma come...-

-A dopo le spiegazioni, sono venuta qui per salvarvi.- disse lei decisa.

Aveva con lei un grimaldello. Pochi abili movimenti e la cella si aprì.

-Ecco mio signore! Riuscite ad alzarvi?-

Robert non rispose. Stava pensando. Shereen era mezza vurkaniano, poteva essere stata una spia fin dall'inizio. Poteva aver complottato con Gorander. Essere una vukaniana la rendeva una nemica.

Poi, senza che nemmeno se ne rendesse conto, una forza brutale si impossessò di lui. Il dolore al fianco parve un ricordo lontano, così come quello alle mani. La sua mano destra saettò sul collo di Shereen. Lei venne totalmente colta alla sprovvista e venne sbattuta contro le sbarre.

Robert ringhiò tutta la sua rabbia.

Vurkaniana, pelle rossa, nemica. Nemica. Nemica!-

-Chi mi dice che sei dalla mia parte? I tuoi capelli sono neri come l'ebano! La tua pelle rossiccia! Tu non sei nordica... sei solo una lurida carne vurkaniana!-

La stretta aumentò d'intensità. La faccia di Shereen parve diventare ancora più rossa.

-Chissà quanti letti vurkaniani hai scaldato! Quanti di loro ti sei scopata! Sei solo una puttana rossa, ecco cosa sei! Dovrei spezzarti il collo e gettarti tra i cadaveri dei miei fratelli nordici!-

-Io... non ho avuto... parte in questo scempio. Maledizione ragiona! Ti... sto... liberando!- riuscì a dire la donna.

Robert aumentò la stretta.

Non voleva sentirla parlare, non voleva sentire quell'accento nordico con quell'inflessione dell'est. Non voleva. Voleva solo vederla morire. La prima vurkaniana di una lunga fila. L'inizio.

-Usa... questa rabbia e quest'odio per riprenderti ciò che è tuo, Re del Nord. Usala per trionfare. Ma... io sono... con te, cazzo!-

Usare quella rabbia e quell'odio per riavere il suo regno? Per riprendersi ciò che gli spettava?

Sì, era vero. Poteva aver perso la sua famiglia ma aveva ancora il suo regno. E finché il Supremo non l'avesse preso con sé nel Giardino della Luce quel regno era ancora suo!

Mollò la presa e Shereen si toccò il collo, riprendendo fiato.

-Cazzo!-

lei lo guardò, forse aspettandosi delle scuse.

Scuse che non ci furono.

Il tempo delle scuse era finito.

-Tutto chiaro.- disse sospirando. -Andiamo. C'è qualcuno che ti aspetta.-

Robert spalancò gli occhi.

-Cosa?-

-Seguimi.-

E lui lo fece.

 

Vedere Bjorn gli diede un colpo al cuore.

-Zio!- urlò avvicinandosi.

-Robert! Oh sia lodato il Supremo sei vivo!- Bjorn si lanciò su suo nipote, abbracciandolo. Il contatto fece esplodere di dolore il fianco fasciato di Robert.

Robert gemette.

-Ah scusa. Oh santo cielo sei vivo davvero? Non ci avrei mai creduto se non ti avessi visto! Ti ho visto morire.-

Robert sorrise, malgrado il dolore.

-Una ferita al fianco non mi può uccidere.-

Bjorn si accigliò.

-Una ferita al fianco? Oltre a quella sei stato colpito altre due volte, Robert. Sempre nello stesso punto. Un uomo normale sarebbe morto. Sei stato... graziato.-

Robert era perplesso. Bjorn era sicuro di quello che diceva?

Si trovavano in un corridoio nel piano superiore delle segrete. Avevano raggiunto quel luogo attraverso un passaggio segreto che Shereen conosceva.

Come facesse a conoscerlo Robert non sapeva dirlo.

-Come hai fatto a sopravvivere, vecchio?- chiese Robert a Bjorn.

-Fortuna. Un po' di abilità con la mazza. E lei.- disse indicando Shereen.

-Lei?-

-Già, io.- disse lei.

Robert la guardò accigliato.

-Tu sei più di quello che hai detto di essere, donna.-

-Oh suvvia non essere così duro con lei, nipote. Se non fosse stato per Shereen ora saremmo entrambi morti.-

Bjorn si fidava troppo delle belle donne, questo Robert l'aveva sempre saputo.

-Ci sono molte cose che devi spiegarmi.- disse Robert a Shereen.

-Lo farò. Ma ora dobbiamo andarcene.-

-Dove sono i miei figli?-

Shereen non rispose e guardò Bjorn.

Bjorn sospirò e guardò Robert, scuotendo la testa.

-Non abbiamo visto da nessuna parte né Bremar né Elda.-

Robert strinse i denti. Si rifiutava di credere che fossero morti. Non erano morti, lo sapeva.

Ma... come potevano essere sopravvissuti dei bambini così piccoli e indifesi?

-Dobbiamo cercarli.-

-Robert...-

Robert lo fulminò con lo sguardo.

-Calmate i vostri bollenti spiriti.- disse una voce dietro di loro.

Robert la riconobbe. Era Hosttmar.

Robert si girò verso di lui e vide che assieme all'arciere vi era il capitano della cavalleria Walgard.

Robert fu felice di vederli, aveva combattuto al loro fianco ed erano sopravvissuti.

Allora le tradizioni sono vere. Non sono solo delle stupide cose da fare con la speranza che quel risultato sperato venga. Quando quattro uomini collaborano in una battaglia e vincono il loro legame è sancito dalle catene del destino.

-Mio signore, c'è qui qualcuno che vuole vedervi.- disse Walgard sorridendo. Da dietro di lui, due piccoli esserini sbucarono correndo verso di lui. Uno era un ragazzino di dieci anni, gli occhi di un azzurro chiaro quanto quello di Robert e i capelli chiari come la neve. L'altra era una ragazzina di sette anni, dai lunghi capelli ricci del colore del grano, dei grandi occhioni verdi e delle lentiggini sul viso.

Bremar e Elda corsero piangendo di gioia verso loro padre.

Robert sentì il proprio cuore esplodere. Cadde in ginocchio e non riuscì a trattenere i singhiozzi. I sue due figli rimasti si lanciarono su di lui e lui li strinse entrambi con tutta la forza che aveva in corpo. Bremar stringeva talmente tanto che avrebbe potuto soffocare suo padre, Elda riempiva le guance di Robert di baci. Si lamentava sempre di come pizzicavano le sue guance per colpa della barba ma ora non gli importava molto.

-Oh, piccoli miei. Piccoli miei. Siete vivi.- disse Robert in preda alle lacrime. Non sentiva nemmeno più dolore al fianco.

-Padre! La mamma...- cercò di dire Bremar ma non riuscì a finire e scoppiò a piangere ancora più forte di prima.

-la mamma non c'è più papà? Io... l'ho vista cadere a terra... sembrava così triste.- disse Elda. I suoi grandi occhi verdi erano arrossati per le lacrime.

-Shh, va tutto bene. Non dite nulla. La mamma... non può essere qui ora. La mamma non c'è più. Ma ci sono qui io, piccoli miei, c'è qui il vostro papà.-

E rimase con i suoi più grandi tesori tra le braccia per molto tempo. E anche quando Bjorn gli disse che era ora di andare lui non smise di abbracciarli e baciare i loro piccoli visi, ad asciugare le loro lacrime e a dir loro che andava tutto bene.

Erano tutto ciò che gli rimaneva e Robert giurò a se stesso che avrebbe difeso quei due angioletti con tutte le sue forze. E avrebbe usato il ferro e il fuoco.

Sì, farò così. Non mi importa più di tutti quei discorsi. Non mi importa più di quello che Shereen a detto. Ucciderò chiunque si metterà tra me e loro, senza pietà. Questo è quello che faccio. Nulla me li porterà via.

 

-Siamo riusciti a sopravvivere per miracolo. Pensavamo foste morto, Altezza. Io... ho visto un soldato vurkaniano infierire sul vostro corpo e... eravate effettivamente morto.- disse Hosttmar, mentre si avviavano verso un'uscita nascosta.

-Anch'io lo pensavo, Hosttmar.- disse Robert.

-Il Supremo vi ha graziato, mio signore. Questo è un segno. Dio appoggia noi e non i noveriani e men che meno i vurkaniani.- disse Walgard con un tono di voce che tradiva la sua immensa gioia.

Ma non c'era nulla di cui essere felici.

Robert, che faticava a tenere il passo degli altri, guardò torvo Shereen.

-E tutti quei bei discorsi sul non usare la violenza?-

-Tu non sai niente di me.-

-No, infatti. Voglio saperne di più. Non pensare di essere al sicuro.-

-Cammina.-

Robert fece finta di non notare i suoi modi. Stava parlando ad un Re infondo.

Ma re di cosa?

-Da questa parte. Usciremo attraversando i sotterranei.-

Robert finalmente riconobbe quel posto. I Sepolcri vennero costruiti da re Fannir II come possibile via di fuga dal castello. Dopo tutti quegli anni si rivelavano utili.

Avanzarono tra le tenebre, i suoi figli gli stringevano saldamente le mani ma non si fermarono. Continuarono ad avanzare, verso la libertà.

O qualcosa di simile ad essa.

 

Gorander camminava tra i corridoi di quell'antico castello con fierezza. Infondo se Icehold era in mano loro era solo grazie a lui. Mesi di pianificazione, parole sussurrate, lame celate e tante bugie. Ma alla fine Daften Holdar era diventato suo e ucciderlo era stato il premio migliore che il suo re potesse dargli. Pochi erano gli Emissari che avevano avuto un tale onore. Sergan Krossdem, un emissario ai tempi del Primo Re Laskan, venne inviato a trattare la pace coi Lakaviani. Poi, seguendo gli ordini del Re del Vulcano, dovette stuprare le tre figlie del capo dei ribelli e ucciderle.

Ma era stato un onore, poiché l'aveva ordinato il Primo re, il figlio del vulcano, il padre della fiamma. Questi freddi nordici non capivano nulla delle loro tradizioni. Il regno vurkaniano era giovane ma i vurkaniani vivevano lì da molto tempo, sin dall'Epoca d'Oro, quando il loro regno era ancora chiamato Dokharsiss. I vurkaniani nacquero nelle appendici di Grantizzone, o Grytfair nella loro lingua. Per anni le tribù vurkaniani si combatterono finché Laskan, il primo dei Falltayer, unificò i vurkaniani col ferro e col fuoco. Laskan era un uomo d'acciaio, spietato e crudele secondo molti. Ma nonostante la sua spietatezza unificò un regno che prosperò per anni. Gli anni di Sakal e Hattor furono fiorenti ma con Vashtar iniziò un declino. Penn aveva odiato con ogni fibra del suo corpo quell'uomo. Per anni l'unica cosa che l'aveva spinto a viverre era stato il sogno di vedere il volto di quel bastardo senza vita. E così fu.

Per arrivare dov'era ora aveva dovuto fare cose terribili, cose per cui inizialmente aveva pianto, afflitto dal rimorso. Ma il pensiero di sua sorella, di ciò che poteva capitarle se non avesse svolto gli ordini, lo spingeva sempre a continuare. Finché non era diventato insensibile, come un pezzo di pietra. Anzi, riuscì quasi a trarre piacere in quello che faceva.

L'ho fatto per te, Modae. Si sono presi una parte di te ma non prenderanno nient'altro,. L'ho giurato.

Era cresciuto con Argon e pur mantenendo il tipico distacco che si poteva avere con un Re, poteva considerarlo un suo amico.

Aveva odiato Argon quando l'aveva visto piangere alla morte di suo padre. Era un mostro! Come poteva piangere una bestia simile. Vashtar aveva ucciso senza pietà chiunque lo infastidisse minimamente ma senza veri e propri motivi.

Argon era differente. Lui aveva motivi. Aveva l'ambizione di portare alto il suo regno.

E lo farà. L'ho odiato quel giorno ma poi ho sempre avuto fiducia in lui. E tutti i piani hanno funzionato. Tutto è andato secondo i piani e io ho avuto parte in questo trionfo.

Raggiunse il tetto di una delle torri del castello e lì vi trovò il suo Re.

Korsak Demyrost stava al suo fianco, con la sua imponente corazza nera e il mantello nero anch'esso.

Argon portava una corazza di Brightfire nero ornato con incredibili decorazioni. Il suo mantello era rosso come il fuoco.

Gorander si mise alla sua destra.

Davanti a loro c'erano le fiamme.

Era come se Grantizzone fosse stato trasportato ad Icehold per inghiottirla. Ogni singolo edificio bruciava e le urla degli abitanti si sentivano fin lassù.

Argon aveva gli occhi chiusi.

-Robert Holdar è morto?-

-Sì, mio signore.- una piccola bugia ma non era poi lontana dalla verità. Holdar non sarebbe durato un altro giorno solo tra i cadaveri. Quell'uomo aveva perso tutto.

-Eccellente, Penn. Eccellente.- disse lentamente il re di Vurkan.

Suo padre gli aveva ordinato di uccidere dei suoi amici, gli aveva ordinato di gettare nella lava delle persone e l'aveva fatto. Poi Argon dovette marchiargli sulla schiena il marchio del Vulcano, per renderlo un Emissario.

Eppure ogni volta che guardava il suo re provava un brivido di terrore. Gli stessi occhi di suo padre, di un giallo brillante. Gli stessi occhi di Vashtar che lo scrutavano divertiti dal Trono Cinereo.

-Senti, Penn? Questo odore?-

-Sì, mi signore.-

-è l'odore di persone che bruciano. Mio padre me lo fece sentire da piccolo e non me lo tolsi mai dalla testa. E risentirlo ora, dopo tanti anni... è quasi inebriante, vero?-

Anche Penn l'aveva sentito anni fa, quando suo padre era stato sciolto nella piscina di lava al centro di Grantizzone. Aveva vomitato tutto ciò che aveva in corpo. Eppure ora... a sentirlo bene...

-E osserva. Guarda le fiamme che divampano. Senti il fuoco, il suono che emette mentre brucia ogni cosa. Non è meraviglioso, Penn? -

Ora sembrava davvero suo padre.

Ma quando Gorander osservò Icehold in fiamme non potè che ammirarne la bellezza. Era più bella ora che il fuoco la abbracciava.

Vashtar aveva ragione, alla fine.

 

Attraversarono i sotterranei di tutta la città finché non giunsero ina nzi a dei gradini. Li salirono e sopra di loro trovarono una botola.

-Dobbiamo aprirla.

-Lasci a fare a me, bella fanciulla.- disse Walgard sorridendo galante.

Gli anni passati al Sud lo avevano reso un pappa molle dai modi galanti, dicevano molti soldati dell'esercito.

Ma Robert sapeva che Walgard era un guerriero degno di rispetto. Lui sarebbe stato al suo fianco, lo sapeva. E Hosttmar con lui.

Walgard usò la sua possente lancia per aprire la botola. Il gelido vento del Nord colpì i loro visi, abituati al caldo soffocante dei tunnel sotterranei.

Uscirono e Robert vide che si trovavano fuori dalle mura cittadine, vicino ad un colle.

Erano dalla parte opposta in cui si erano accampate il grosso delle truppe vurkaniane e quelle dei Signori della Guerra.

-Ah dannazione. Anni a difendere le strade della città, a catturare furfanti, a fermare bande criminali, per poi mandare tutto a puttane per colpa di u8n branco di fottuti fiammiferi.- disse Hosttmar con una nota di grande amarezza nella voce.

-Ci sono dei Signori della Guerra sopravvissuti?- chiese Bjorn a tutti loro, speranzoso di avere una risposta.

-Ho sentito che Occhio Bianco Wyrn e Arryn Il Rosso hanno tenuto testa hai vurkaniani ma credo si siano dovuti ritirare. Se non sono morti, ovviamente. Rimbold Sei Dita è stato ammazzato e con lui Garnyor Occhi Blu. Treblak Lo Scuoiatore è sparito, credo sia scappato.- rispose Shereen incamminandosi verso la collina.

Quella ragazza sapeva troppe cose e sapeva pure lottare, Robert era sempre più dubbioso sul suo conto. Eppure se non fosse stato per lei ora lui sarebbe chiuso in quella cella pestilenziale, senza i suoi figli.

Elda guardava con gli occhi spalancati le dita mancanti di suo padre.

-Tranquilla, fiocco di neve. Non ha fatto poi tanto male.-

Lei mandò giù la saliva e annuì.

-Avremmo dovuto capirlo da quando quei bastardi Sepolcrali ci hanno attaccato! Era tutto organizzato, siamo stati ciechi.- disse furioso Hosttmar. Robert sapeva del suo odio per i Sepolcrali anche se non sapeva dire a cosa fosse dovuto.

-Inutile pensare al passato ormai.- disse sospirando Walgard. -La nostra città è caduta.-

Raggiunsero la sommità della colline Bremar, che stringeva la mano di suo padre, si fermò.

Robert lo guardò e vide che il ragazzino si era girato verso la città. Robert avrebbe voluto impedirglielo ma non fece in tempo.

Bremar stava stringendo i pugni talmente forte che le sue unghie avevano tagliato i palmi delle mani, stava sanguinando.

Tirò su col naso e iniziò a singhiozzare.

-Casa nostra è in fiamme... papà io ho paura. Gli Uomini Rossi ci seguiranno e ci uccideranno. Ci uccideranno!-

-è vero papà. Anch'io ho paura.- disse Elda.

Oh no, non permetterò che i miei figli abbiano paura dei fiammiferi. Mai!

Li prese entrambi e li abbracciò.

-No, no, no piccoli miei. no. Non c'è nulla di cui avere paura.- prese le loro piccole mani tra le sue.

-Ascoltatemi bene. Nulla al mondo può farvi perdere il coraggio.-

-Ma io ho paura padre!- disse Bremar.

-E questo è un bene! È dalla paura che nasce il coraggio, figlio mio. Devi prendere tutta quella paura e trasformarla in forza.- Voi cosa volete ora?-

-Vivere.- dissero quasi all'unisono.

Robert avrebbe sperato ad un “Uccidere tutti i vurkaniani” cosa che lui voleva sentir uscire dalla bocca di qualcuno, ne aveva bisogno, ma andò bene anche quello.

-Allora trasformate la vostra paura in forza per poter vivere! Altrimenti morirete. Questo modo è crudele, piccoli miei, nessuno viene risparmiato.-

-Ma cosa faremo padre?- chiese Elda.

Robert si alzò e guardo Icehold, la sua città, andare alle fiamme. Il fumo si sollevava alto nel cielo.

-Ora ci cureremo le ferite, faremo una sana dormita, ci riposeremo e poi... ci riprenderemo ciò che ci appartiene.-

Bjorn guardò Robert e il Guerriero di ghiaccio riuscì a sentire qualcosa negli occhi dello zio.

Robert ripensò al discorso che Bjorn gli aveva fatto il giorno dell'attentato.

Un simbolo... Zio Bjorn mi chiese se potevo essere un simbolo per il mio popolo. Ma in quei giorni non lo consideravo il mio popolo. Ero stufo della guerra. Era il popolo di Daften, era lui il re, non io. Ma ora le cose sono cambiate. Ora sento il richiamo della spada.

-Cercheremo i Signori della Guerra vivi e ci riorganizzeremo.-

-Ma i vurkaniani dilagano nella nostra terra!- disse Hosttmar.

-Hai detto bene, la nostra terra. Il Nord appartiene hai figli di Nordor e sarà così sempre! Non permetteremo che un branco di fiammiferi stuprì la nostra terra col suo rossore, figli miei. Useremo il ferro e il fuoco ma ciò che è nostro resterà sempre nostro!- lo disse con rabbia. Lo disse con voglia di uccidere.

-Io sono disposto a seguirvi. Finché un Holdar vivrà sulle terre del Nord la mia lancia sarà nelle sue fila.- disse Walgard lisciandosi i baffi.

-Hanno bruciato le strade in cui ho fatto rispettare la legge per anni. Bene, ora capiranno che c'è ancora qualcuno che fa rispettare la legge del Nord a casa sua.- disse Hosttmar, con un ghigno sul viso.

-Vostro padre sa quello che fa, marmocchi. Avete difronte a voi la speranza del nord-- disse Bjorn sorridendo.

-La Speranza del Nord!- urlarono Hosttmar e Walgard.

-Zio...-

Bjorn lo guardò, attendendo quelle parole.

-Posso essere il simbolo che questo regno merita.- disse quelle parole con tale solennità che lui stesso rimase stupito.

Bjorn sorrise e annuì.

Robert credeva davvero a quelle parole.

Era il momento di tornare a essere ciò che sarebbe sempre dovuto essere. Non solo per se stesso ma per tutto il Nord. Gli uomini del Nord avrebbero seguito i suoi passi, avrebbero urlato il suo nome e avrebbero combattuto fino alla morte per lui. Ma non solo per lui inteso come persona ma per ciò che rappresentava. La Vendetta del Nord, La Furia del Nord, La Speranza del Nord. I Vurkaniani avrebbero sussurrato il suo nome negli accampamenti e non avrebbero mai dormito per il terrore del suo arrivo. Lui che era l'ultimo dei re, lui che era stato graziato ed era sopravvissuto. Era tornato dal regno dei morti per attuare la sua vendetta contro i cani vurkaniani. La sua furia ardeva a tal punto che fin nelle rosse lande di Vurkan gli uomini rossi temevano il suo sguardo glaciale.

-Tieni.- disse Bjorn dandogli un ascia. Una semplice ascia, ma quella sarebbe diventata la sua ascia. L'ascia che avrebbe usato per uccidere i suoi nemici, i nemici del regno. Perché chi era contro di lui era contro tutto il Nord.

Lui era il Nord.

-Dalle un nome.-

Robert la guardò.

-Quest'oggi mi prendo carico della responsabilità che grava sulle mie spalle e giuro, giuro che il Nord non perdonerà! Il Nord non resterà a guardare! Noi ci riprenderemo, pezzo per pezzo, il nostro regno! E se dovranno essere versati fiumi di sangue, così sia! Se si dovrà soffrire, così sia! Se si dovrà morire, così sia! Purché il Nord torni ai suoi legittimi proprietari! I Vurkaniani hanno lanciato una sfida e, che le stelle mi siano testimoni, io la accetto! Poiché chi sfida il Nord sfida me! Poiché io sono il Nord!-

Sentì la rabbia crescere, riversarsi su tutto il suo corpo e dargli una forza che mai avrebbe pensato di avere. Allora seppe come chiamare la sua ascia.

-Il suo nome sarà Rynios, Ira! Poiché la rabbia che scorre nelle mie vene è potente come un orso! Devastante come una tromba d'aria! Sono figlio del gelo eppure il mio cuore arde! Arde di rabbia!-

Elda e Bremar non furono spaventati da loro padre, anzi si avvinghiarono ancora di più alle sue gambe. I loro visi più sicuri. Si sentivano protetti.

-Finché avrò fiato in corpo nei vostri cuori non ci sarà spazio per la paura.-

E guardando i loro visi capì perché combatteva. Vedendo la sicurezza nei loro occhi capì perché doveva diventare un simbolo. Non distolse mai lo sguardo dalla sua città in fiamme. Nemmeno per un secondo. Una parte di lui, quella parte che lo aveva indebolito e distratto, moriva tra le fiamme di Icehold. Dalle ceneri nasceva qualcosa di nuovo, un nuovo Robert. Il Simbolo di cui il Nord aveva bisogno.

Shereen lo guardò dritto negli occhi. Non sembrava colpita da quelle parole.

-Parole audaci.- disse lei.

Lui la guardò, impugnando saldamente Rynios sulla sua mano senza due dita. Nonostante quella mancanza riusciva a reggere perfettamente l'ascia. Era nato per impugnare un arma. Era sempre stato così.

-Le parole di un Re. Da ora in poi chiamami Maestà. Io sono il Re del Nord.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 41
*** La nascita di una Messia ***


Capitolo 41

La nascita di una Messia

 

La cicatrice gli bruciava ancora a volte. Nonostante Ayliss fosse riuscita a impedire che infettasse ancora adesso, dopo tutti quei giorni trascorsi dallo scontro con Marxal, la cicatrice sul volto di Kalad continuava a bruciare. Copriva gran parte del suo volto, attraversando anche un occhio e rendeva il suo aspetto ancora più minaccioso. Il ruscello in cui si era lavato aveva l'acqua abbastanza limpida e riusciva a vedere il suo riflesso. I capelli raggiungevano ormai le spalle, dopo giorni trascorsi senza radersi la barba stava crescendo più del solito. Le sue mani erano ricoperte di calli ed erano molto dure. La cicatrice poi gli dava un aspetto terribilmente minaccioso, contando pure i suoi occhi marroni che sembrano essere diventati molto più chiari del solito. Non potevano nemmeno essere definiti marroni, erano troppo chiari. Finì di lavarsi e uscì dal ruscello. Si rivestì e tornò vicino al loro piccolo accampamento.

Camminare lontano dalle strade, nei territori selvaggi, era estremamente pericoloso. Ma seguire le strade lo sarebbe stato ancora di più. Truppe Inquisitorie e Celestiali che dilagavano per tutto il regno, per non parlare poi dei Vurkaniani a Est. Noveria ormai era un enorme campo di battaglia.

Ayliss era seduta per terra e ascoltava Ulfric parlare e sembrava molto divertita. Ulfric sapeva come mantenere l'attenzione, gesticolando e non perdendo mai il filo del discorso.

Appena Ayliss vide Kalad avvicinarsi gli sorrise.

Incredibile come lei mi trovi tanto bello. Il mio riflesso sembrava fin troppo minaccioso.

Certo le ragazze avevano sempre considerato Kalad un bel ragazzo e lo restava tutt'ora nonostante quella cicatrice, ma ora era molto più minaccioso. Il suo sguardo emanava pericolo.

Ma lei non ha paura di me perché si sente protetta. Sono il suo Guardiano.

Anche se credo sappia benissimo difendersi da sola, la Pressione non le ha fatto nulla, anzi è riuscita a respingerla.

-Kalad! Ulfric mi sta raccontando di quando ha viaggiato alla corte del Re d'Oro Hestoran dei Traviani!-

Kalad sbuffò. -Ho sentito mille volte questa storia.-

Ulfric mise il broncio.

-Ah si? Be' dimmi quello che hai sentito, forza su su.-

Kalad si sedette vicino ad Ayliss e sospirò.

-La storia dice che Ulfric Mangiafuoco venne invitato alla reggia di Hestoran per narrare una storia. La storia emozionò talmente tanto Hestoran che premiò Ulfric facendogli dono di una meravigliosa pietra d'oro. La pietra era talmente luccicante che accecava chiunque la guardasse. Ulfric restò ospite nella reggia del re per una settimana finché non arrivò un altro cantastorie, Tommet Lievecanto, uno dei più grandi bardi della storia. La sua voce ammaliò Hestoran che volle premiare Tommet dandogli in dono quella stessa pietra che ora apparteneva a Ulfric. Questo fu un affronto terribile per Ulfric che, furioso, usò i suoi poteri di piromante per dare alle fiamme la reggia di Hestoran, fondendo l'oro.-

Ulfric aveva gli occhi socchiusi e la bocca piegata in una smorfia.

-È davvero questo che si dice?-

Kalad guardò Ayliss e lei annuì.

-Già. Conosciamo la stessa storia.-

Ulfric alzò gli occhi al cielo.

-Oh per le palle del Supremo!-

Ayliss rise di gusto sentendo quella che forse nemmeno si rese conto fosse una bestemmia.

-Ora capisco perché di questi tempi così poca gente ascolta i bardi!-

Kalad fece spallucce. -Eh dai Vecchio, è solo una delle tante storie da taverna.-

Ulfric schioccò la lingua seccato.

-Appunto. Un tempo i bardi narravano incantevole ballate! Sono piuttosto offeso nel sapere che viene cantata una tale puttanata su di me. Perciò lasciate che vi narri i fatti reali.-

Kalad diede una leggero colpo di gomito ad Ayliss.

-Monologo in arrivo.-

Lei rise e il suono della sua risata fu angelico.

Ulfric indicò Ayliss.

-Se suo padre ci ha gentilmente concesso le orecchie ci sarà un motivo! Dunque in quegli anni non disdegnavo narrare storie a coloro che mi chiedevano di farlo. Non sapete i soldi che feci in quegli anni! La piromanzia rendeva le mie storie molto più coinvolgenti. Ero in rivalità con Tommet Lievecanto che ahimè viene tutt'ora considerato il più grande cantastorie di sempre. Certo la sua voce era angelica, devo darne atto. Ma fidatevi se vi dico che era un vero figlio di puttana, passami il termine Fiammetta. Un vero leccaculo, infatti fu proprio questo a renderlo un bravo cantastorie. Lecca il culo dei nobili giusti e sarai dannatamente richiesto. Io non ero così. Un giorno venni convocato dal Re d'Oro di Travian, Hestoran. A Travian i nobili vivevano nel lusso più sfrenato da centinaia di anni. Vivevano in enormi torri d'oro! E la più alta di tutte era chiaramente del Re. Odiavo tutta quella opulenza. Ma rifiutare l'invito di Hestoran sarebbe stato un suicidio per la mia carriera. Hestoran aveva indetto una festa in cui parteciparono tutti i nobili del regno. Nonostante fossi circondato da gente che odiavo e stessi cantando per un Re che disprezzavo feci ciò che più odiavo. Avrei voluto cantare di come tutto quello che mi circondava fosse sbagliato ma non lo feci. Narrai la ballata del Colosso d'Oro, la più famosa ballata di Travian. Narrai di come il giovane Mersavyon costruì un colosso d'oro per sconfiggere i barbarici Neggart, i seguaci dell'argento. Narrai tutte quelle stupidaggini e Hestoran pareva uno stupido bambino da quant'era felice. Mi premiò con quella dannata pietra. Ma dentro di me provavo una terribile vergogna. Avevo fatto ciò che mi ero ripromesso di non fare mai, solo per avere una dannata pietra. Guardandola, nonostante brillasse in modo stupendo, non vedevo niente di valore. Il vero valore era vedere i volti sognanti di chi ascoltava le mie storie, anche le più traumatiche. Lasciavo a tutti qualcosa. Loro volevano solo sentirsi dire quello che più li rendeva orgogliosi, non volevano vedere la verità. Quella pietra rappresentava tutto ciò che non volevo.

Ma non dissi nulla e attesi l'arrivo di Tommet. Lui, quel viscido verme, narrò la Ballata di Halaphos Il Portatore di Luce, il fondatore di Hestoran che scavando con le sue stesse mani trovò l'enorme miniera d'oro di cui il regno si vantava. Leccò il culo molto più di me e Hestoran, gonfio d'orgoglio per il successo di Tommet, decise di dargli la mia pietra. E qui la storia stravolge tutto. Io gliela diedi, gliela diedi senza pensarci due volte. Ero stato completamente ignorato, messo in secondo piano. Eppure ero davvero felice! Era quello che volevo. Ma volli prendere per l'ultima volta la loro attenzione. Cantai di come odiassi la loro ricchezza, la loro arroganza, tutto. La mia voce fu talmente forte che tutta la città d'oro mi sentì. Il mio canto fu talmente potente, coinvolgente, intenso che le mie fiamme cantarono con me. La loro voce fu rovente e l'oro si sciolse.-

Kalad aveva ascoltato ogni parola senza distrarsi nemmeno un istante.

A Ulfirc era stata offerta ricchezza ma lui aveva rifiutato. Nessuna ricchezza poteva superare i suoi ideali. Nessuna promessa in oro può diventare più importante dell'ideale di un uomo, questo Kalad aveva capito.

E si sentì forte come un orso. Perché ebbe una conferma.

Se qualcuno gli avesse offerto tutte le ricchezze del mondo per avere Ayliss lui avrebbe categoricamente rifiutato. Non solo perché l'amava, ma anche perché lei rappresentava un ideale. L'ideale che un mondo in pace poteva esistere.

Un ideale che nonostante lui portasse con sé la morte avrebbe realizzato.

Un mondo in pace, forse tra centinaia di anni, esisterà. Lo so.

 

-Tu sei la Messia Fiammetta, è giusto che tu sappia di tutte le religioni di questo vasto mondo!- disse fuori di sé Ulfric.

-Ma... Ulfric dovrebbe importarmi solo della Suprema Rivelazione... non credi? Dato che sono figlia del Supremo.-

-Solo gli ignoranti non conoscono nulla di chi la pensa diversamente da loro.

Dunque durante l'Epoca d'Oro negli Alti Luoghi nessuno credeva. Tutti atei. Finché, dopo che il regno divenne il Nord unificato, Fannir Holdar I impose come religione del Nord la venerazione dei Signori dei Sepolcri. Secondo quella dottrina i Signori dei Sepolcri erano degli Dei molto numerosi che difendevano i Sepolcri, luoghi dove i Nordici venivano sepolti. Secondo alcuni i Sepolcri sono intrisi di grandi poteri magici poiché le loro mura sono adornate con simboli runici. A Travian erano venerati i Celestiali che risiedevano poco lontano dalla capitale del regno nella loro immensa città Konderham. I Celestiali erano poi venerati anche dai piccoli regni dell'epoca. A Zarkan veniva venerata la Fiamma Eterna, colei che dava calore al mondo intero. Nel regno degli Abissi era venerato il Dio degli Abissi l'enorme mostro marino che dicevano avesse generato dal suo stesso corpo gli Uomini Acquatici e i Litumani e che morendo avesse creato l'isola che ora viene chiamata Aquamar. Nei molti anni che seguirono la fine dell'Epoca d'oro e del Grande Gelo nacquero i regni che conosciamo ora. Il Nord ormai consolidato come potenza del Grande Continente rimaneva fedele ai Signori dei Sepolcri. Vurkan, che durante l'Epoca d'Oro era stato un regno desolato e pericoloso unificato da Laskan durante gli anni della Guerra Santa divenne subito fedele alla Suprema Rivelazione. A Q'uoian, che per millenni mantenne fede alla scelta di non avere niente a che fare con gli umani, venerano e veneravano sin dall'alba del mondo Zumtharaan, il Creatore di ogni forma di vita, colui che risiede tra i rami dell'Albero del Cosmo. Nel regno che ora è Noveria, dopo il Grande Gelo, si svilupparono svariate religioni a seconda della posizione geografica delle persone. A Nord, a confine con il regno degli Holdar, era venerato Luttan, nell'entroterra Arromen, il Dio Cieco. Poi gli Spiriti della Natura a Ovest, I Venti della Costa a Sud e così via. Poi venne il grande Inquisitore, con la sua Inquisizione e la Suprema Rivelazione divenne la religione di ogni Noveriano e ogni abitante delle Terre Occidentali.-

Ayliss era sconvolta.

-Tutte queste religioni?-

-E ho parlato solo del nostro continente, fiammetta.-

-E... aspetta e i Quattro Padroni Elementali?-

-Loro non erano venerati. Erano entità ancestrali, antichi quando il mondo stesso: ancora più antichi dei Q'uoin. C'era chi credeva che avessero creato il nostro continente o addirittura il mondo intero ma i più pensavano semplicemente che fossero degli stregoni incredibilmente potenti in grado di controllare gli elementi. Io combattei Silgvander ed egli era tutto fuorché divino. Certo potente in un modo difficile da spiegare, crudele come pochi e abile a combattere come nessun altro. Ma non era divino.-

Ayliss annuì.

-E nelle altre terre?-

-Be' nelle Terre d'Oriente, nel Regno delle Zanne, vigeva anni fa una Teocrazia. Il governo era gestito dagli Animalorr, reincarnazioni di una delle Tre Divinità Animali, il Grande Dio Elefante, il Dio Leone e la Dea Tigre. Ora che la Teocrazia è caduta il Regno della Zanne è una terra senza legge ma in cui la fede verso le Tre Divinità Animali è mantenuta. Nell'Impero del Sole è presente l'unica teocrazia attualmente esistente. L'Imperatore è Figlio del Sole, Dio sceso in terra e ciò gli da potere assoluto. Nelle Terre Meridionali, molto giovani, abbiamo residui di antiche religioni. Ad Aghta si venera un residuo della Fiamma Eterna di Zarkan, il Dio dei Tizzoni. A Lysiux, regno fondato dal mio vecchio amico Lysandrus si venera la Dea Lysa, Signora della Dimora Aurea e il suo amato sposo, Lysandrus. Ah, che storia. Lysandrus ora è venerato mentre io sono dimenticato. A Tarpazzi si venerano molte divinità, molti Dei tutti diversi tra loro. Vi sono Dei per i Veleni, per l'omicidio, per il mare, per il fuoco, per il sesso, per le piante e così via. Dei eccentrici per persone eccentriche, no?-

-Sono... parecchie divinità.-

-Ah già non ti ho detto delle precedenti religioni dell'Impero del Sole prima che diventasse un Impero!-

Ayliss aveva la faccia più sconvolta che Kalad avesse mai visto e non poté fare a meno di ridere.

 

Kalad accarezzò dolcemente il viso di Ayliss e si stupì nel sentire com'era liscia la sua pelle, soprattutto se paragonata alle sue ruvide mani da guerriero. Entrò nuovamente dentro di lei, passò le sue mani sulle cosce di Ayliss e lei cinse il suo corpo con le gambe.

Un invito a non andarmene? Come se ci fosse la remota possibilità che io lo faccia.

Entrò ritmicamente dentro di lei, mentre il sapore delle sue labbra e della sua lingua lo inebriava.

Ayliss aveva detto che non poteva rimanere incinta, glielo aveva detto Kanda. Era una sorta di conseguenza all'essere una divinità. Non poteva generare figli, altrimenti le conseguenze sarebbero state catastrofiche. Quindi il Supremo l'aveva creata in modo diverso dalle altre donne.

Le mani di Ayliss giunsero nei folti capelli di Kalad e strinsero leggermente. Quel leggerissimo dolore non fece altro che eccitarlo e aumentò il ritmo. Le mani di lei raggiunsero poi la sua schiena e lo graffiarono.

Quello fece più male e il ritmo aumentò ulteriormente.

Le mani di Kalad raggiunsero il seno di Ayliss e strinse e a lei parve piacere. Passo le dita nei capezzoli turgidi della ragazza mentre i loro volti erano a pochi centimetri di distanza, i loro respiri che parevano unirsi come stavano facendo loro. Un ultimo bacio e il ritmo iniziò a calare.

Kalad si distese a pancia in su, vicino a lei. Ayliss si accoccolò a lui e iniziò ad accarezzargli lentamente il petto sudato.

-Sai... quasi vorrei che restasse tutto così.- disse Kalad a bassa voce.

-Cioè?-

-Io e te... e magari Ulfric, certo, da soli in una foresta o in un qualunque luogo isolato. Senza essere braccati, senza pensieri, senza un enorme peso sulle spalle.-

Lei annuì. -Già, sarebbe bello. Ma sai che non è possibile.-

Lui la guardò accigliato.

-Ormai ho deciso Kalad. Io voglio cambiare il mondo. Ok, so che è una cosa impossibile. Ma voglio almeno provarci. Fare un primo passo e poi chi è abbastanza forte da tenere il passo mi seguirà. Un mondo di pace può esistere, Kal. Sembra impossibile ma io l'ho visto.-

-L'hai visto?-

-Nei miei sogni. Ho visto un mondo di rigogliosi campi verdi, alberi che crescevano fino alle nuvole. Enorme torri, nessuna povertà, fratellanza, unione, amicizia, onore, rispetto, gioia. Ho visto persone felici di vivere con il minimo indispensabile e ho visto uomini ricchi dare le loro ricchezza a chi soffriva la fame. Ho visto nazioni in cui ogni religione era accettata, ho visto un mondo privo di guerre religiose. Ho visto persone ampliare le loro menti e non ripudiare più chi veniva stupidamente considerato diverso. Ho visto nobili e contadini, re e schiavi, sacerdoti e atei, guerrieri e mercanti, uomini e donne, vecchie e giovani stringersi per mano e sorridere, illuminati dalla luce di un nuovo sole radioso. Io ho visto tutto questo e finché avrò fiato in corpo lotterò per poter realizzare questo sogno.-

Kalad sorrise. Lei credeva davvero quelle parole, era lo stesso che aveva pensato quel giorno Kalad. Lui credeva ciecamente in lei e nonostante l'impresa si dimostrasse ardua una parte di lui era certo che lei avrebbe reso reale quel sogno.

-Il tuo sogno è anche il mio sogno. Io e te condivideremo tutto. So che è strano pensare che uno come me possa avere un sogno simile ma... se per raggiungere quel sogno bisognerà combattere... io sarò in prima linea, Ayliss. Lo giuro. Io sono tuo. Il mio corpo, il mio cuore, la mia anima e la mia spada, ogni cosa.-

Lei gli strinse forte la mano.

-Kalad ciò che Ulfric ci ha raccontato mi ha colpito molto. Non ho fatto altro che pensarci e... io voglio che tu faccia lo stesso.- le lacrime non tardarono a raggiungere i suoi bellissimi occhi. -Se la situazione diventerà insopportabile io voglio che tu...-

-Non dirlo!-

-... mi uccida!-

Quelle parole fecero perdere un battito al cuore di Kalad. Solo sentirle era come un pugno sullo stomaco.

-Ayliss, ascoltami bene. Mai e dico mai perdere la speranza. La speranza è l'unica cosa che resta quando tutto è perduto!-

-Ma ti sto dicendo che se non ci fossero vie d'uscita..-

-Ci saranno! C'è sempre una via d'uscita!-

-Come fai a dirlo?-

-Lo so e basta. Se non ci saranno userò tutta la mia forza per crearle ma niente al mondo, Ayliss, mi porterà anche solo a pensare di fare quella cosa. Io troverò una via d'uscita, dovessi metterci anni, braccato e ferito, ma la troverò. Sempre.-

Lei lo guardò dritto negli occhi e a Kalad sembrò di affogare in quegli occhi blu.

-Promettimi che non mi lascerai. Ti prego.-

Kalad sapeva che Ayliss voleva veramente quello che aveva detto ma il solo pensiero distruggeva pure lei.

Lui la accarezzò dolcemente e le asciugò le lacrime.

-Te lo prometto. Niente al mondo può essere tanto forte da separarci. Niente e nessuno, né in cielo né in terra. E se ci divideremo ci sarà sempre una forza invisibile che ci spingerà a ritrovarci, per quanto la nebbia possa essere fitta. Se me ne andrò tornerò sempre, lo giuro.-

Lei sorrise e lo accarezzò a sua volta.

-Ti amo, Kal.-

Lui sussultò.

Nessuna donna glielo aveva mai detto. O almeno, non con quell'intensità.

E grazie a quegli occhi, quelle lacrime, quelle carezze, quel battito così forte del suo cuore capì che diceva la verità.

-Anch'io, Ayliss.-

 

Erano ancora assieme, lontani dal loro piccolo accampamento, quando Kalad sentì i suoni.

-Aspetta.-

Si alzò. Indossava solo i pantaloni.

Ecco cosa succede a scopare in un bosco, Kal. Complimenti.

Strani suoni, rumori, passi e poi... un forte dolore al petto.

Era la prima volta che la Pressione lo colpiva ma la sensazione fu parecchio sgradevole. Gli parve come se un uomo molto più grosso di lui si fosse seduto sulla sua pancia e stesse saltellando felicemente. Quello... quadruplicato. Le orecchie iniziarono a fischiare in un modo tale da fargli credere che anche Ayliss potesse sentire il fischio. Non fu troppo forte, il luttaniano era abbastanza distante, ma la pressione lo raggiunse ugualmente e lo sbalzò all'indietro. Cadde di schiena e rotolò sul terreno. Rimase accasciato al suolo, senza riuscire a fare nemmeno il più fievole respiro. Sentì un urlo, era Ayliss. Si alzò, nonostante lo sforzo fosse immenso e davanti a se vide quattro luttaniani... anzi cinque, di cui due donne. La sua spada era in mezzo a loro.

Una delle donne urlò -Ladro!- e si lanciò su di lui.

La rabbia diede forza al suo corpo. La spada della donna sfiorò la testa di Kalad ma le mani del ragazzo furono velocissime. Raggiunsero il braccio della donna e con un colpo ben assestato lo spezzò. La spada cadde dalla sua mano ma Kalad la prese al volo e con un fendente mozzò la testa della donna.

L'unica cosa che ho rubato sono le vostre vite, bastardi.

Ayliss era stata colpita al viso ed era trattenuta per i capelli da un uomo grande e grosso.

Prima che uno dei luttaniani tendesse il braccio per lanciare la Pressione Kalad gli mozzò di netto la mano. La spada poi raggiunse il suo compagno, sventrandolo come un maiale. Tornò poi dal monco e gli tagliò la gola, il sangue spruzzò fuori dal collo come una fontana.

-Fermo dove sei, ladro, o la puttana è morta!- disse il bestione che teneva Ayliss, aveva un pugnale sulla gola della ragazza.

-Lasciala andare se non vuoi fare compagnia ai tuoi...- si dimenticò della seconda ragazza, che stava dietro di lui. La Pressione lo investì sulla schiena e questa volta la situazione del bestione che saltella si ripeté ma con maggior forza. Il colpo lo fece volare e ancor prima di aver toccato terra era già privo di sensi.

 

Si risvegliò legato e dolorante.

Aveva le mani legate ad un palo, nel palo alla sua destra c'era Ayliss e alla sua sinistra Ulfric.

Ayliss aveva il labbro inferiore rotto e sanguinava, sembrava sveglia già da un po'.

Diamine lei nemmeno è svenuta.

Ulfric aveva una ferita alla fronte ed era privo di sensi, fortunatamente respirava.

Non c'era nessuna illuminazione ma Kalad riusciva a vedere i suoi compagni di viaggio.

-Kal! Kal sei sveglio?-

Kalad sbatté forte le palpebre e la guardò.

-Sì, sono sveglio. Ma dove cazzo siamo?-

Lei scosse la testa.

Kalad imprecò. I luttaniani li avevano rapiti ma a quale scopo? Per quella storia del calice rubato?

Poi Kalad ricordò, quel calice l'aveva preso durante una comune missione di uccisione di Infedeli. Quegli Infedeli erano luttaniani, Kalad aveva collaborato ad ucciderli, diamine ne aveva pure uccisi alcuni. Poi aveva preso quel calice e l'aveva tenuto con sé.

Merda... credo che questo sia un affronto indicibile per i luttaniani.

-Ehm... scusate se non sono giunto in vostro soccorso ma... cazzo quei bastardi sono sbucati all'improvviso e, insomma, sono umano! Un colpo ben assestato mi manda nel mondo dei sogni ecco.- disse Ulfric che si era appena svegliato.

Kalad lo guardò e sorrise.

-Felice di vederti sveglio, dormiglione. Grande Piromante Ulfric Mangiafuoco eh?-

Ulfric socchiuse gli occhi.

-Devo prenderla come una sorta di... presa per il culo questa?-

-Ti ho solo chiamato per nome.-

-Fottiti.-

Ayliss sbuffò. -Volete smetterla voi due? Siamo prigionieri in caso non ve ne foste accorti. E io non riesco ad usare nessuno dei miei poteri, dannazione! Sono troppo stanca.-

-Questo è quello che succede quando si scopa in un bosco braccati dal mondo intero.- disse Ulfric a bassa voce.

Kalad e Ayliss non dissero nulla, semplicemente arrossirono come dei pomodori.

Kalad tossì, cercando di cambiare discorso.

-Vecchio non puoi usare il fuoco per liberarci?-

Ulfric sbuffò.

-Macché. Mi hanno rubato i barattoli questi stronzi. Le mie care fiamme, c'avevo messo così tanto per catturarle. E qui non c'è nemmeno un piccolo fuocherello. E, in caso non l'abbiate ancora capito, no. Noi piromanti non creiamo il fuoco dal nulla, abbiamo bisogno di una fonte.-

-Ok, ok, chiaro.-

-Avete molta voglia di parlare eh?- disse una voce davanti a loro. C'erano tre figure, illuminate da una fievole luce. La luce proveniva da un cristallo che quello al centro portava alla cintura. Kalad sapeva cos'era, era un dei Syridae, dei cristalli luminosi usati nei tempi antichi, soprattutto dai Celestiali.

L'uomo col Syridae era un uomo di mezz'età, dalla corta barba grigia, capelli ricci tagliati corti e il suo occhio dentro era coperto da una benda nera. Il suo occhio sinistro era piccolo e marrone scuro. Indossava un armatura a pezzi, come i luttaniani che li avevano attaccati. Protezioni per le gambe e le braccia e del cuoio per difendere il petto. Kalad continuava a non capirne il senso. La donna alla sua sinistra portava i capelli a spazzola castani, aveva il naso aquilino ma era una bella donna, forse sui trent'anni o più. I suoi occhi erano verde scuro e le sue labbra erano sottili. Alla sinistra dell'uomo col Syridae c'era il bestione che aveva preso Ayliss. Era alto, con un ventre prominente, due braccia grosse come dei tronchi e due gambe ancor più grosse. I suoi occhi erano marroni e li teneva perennemente socchiusi, come se facesse fatica a vedere. Era completamente pelato ma le sue sopracciglia erano folte e nere come l'ebano, la sua pelle era abbronzata.

Kalad li scrutò con la faccia più furioso che riuscisse a fare. Sembrò fare effetto, la donna si allontanò di un passo.

-Guardalo, Ger, sembra un lupo in gabbia.-

Ger, che era quello col Syridae, annuì.

-Già. Un animale, ecco quello che è. Una bestia inquisitoria.-

Il bestione sorrise.

-Un piccolo lupacchiotto in gabbia, ecco cosa sei. Senza un armatura a difendervi voi soldati inquisitori non siete poi tanto minacciosi, dico bene?-

-Fanculo.-

Quello che la donna aveva chiamato Ger sorrise.

-Oh perdonami ragazzo. Siamo stati scortesi per caso?-

Kalad non rispose.

-Lascia che mi presenti allora, io sono Geralt Morgase, Pressore di Luttan. La donna qui con me è Katryn Levar e il bestione è Yorgh Merwas. Siamo fedeli a Luttan. E prima che diciate qualcosa sappiamo che lui è Ulfric Mangiafuoco, per questo sto usando questo Syridae e non una torcia e sappiamo anche chi sei tu, Kalad di Gothfresh, oppure dovrei chiamarti Kalad Raaka?-

Kalad spalancò gli occhi. Come faceva a sapere il suo nome completo?

-E ovviamente... so chi è lei.- disse indicando Ayliss.

-Ascoltatemi...-

-Non parlare, ragazzo. Nessuna parola potrà salvarti la vita. Assurdo... un Raaka che osa uccidere dei suoi fratelli. Questo è completamente senza senso.-

-Potrei almeno avere delle spiegazioni?-

-Spiegazioni? Cosa dovrei spiegarti? Sono cose che sai.-

-No, cazzo! Non so di che accidenti stai parlando.-

Geralt guardò Yorgh, che pareva sconvolto da quelle parole.

-Ragazzo tu sei un Raaka! Il Primo Pressore di Luttan fu un Raaka secoli fa. Merphos Raaka, uno dei luttaniani più potenti di sempre. Sei di Gothfresh, no? Anch'io sono di lì. Raaka non è un tipico cognome noveriano, è originario delle terre a nord di Noveria, a confine col Nord. Gente di montagna.- Geralt era di Gothfresh? Ma non l'aveva mai nemmeno sentito nominare! E dire che Gothfresh è una piccola città.

-I Raaka erano rispettati! Ma poi, duecento anni fa, quando il Grande Mentitore del cazzo arrivò su queste terre Lerkas Raaka Il Piegato si arrese prontamente al Grande Inquisitore... per poi essere ammazzato come un maiale.- disse Yorgh, la sua voce rimbombava dentro... il posto in cui si trovavano. Kalad doveva ancora capire dov'erano. Era completamente sconvolto da quelle parole.

Non ne sapeva nulla! Ed era la sua famiglia, i Raaka!

-Io... non sapevo nulla di tutto questo.- disse a bassa voce Kalad.

-Nemmeno io se è per questo.- disse Ulfric.

Geralt fece un sorriso a Ulfric che fu tutt'altro che amichevole.

-Sono molte le cose che non sai, Piromante. Essere vecchio non ti rende saggio.-

Poi guardò Kalad e il suo volto era carico di una profonda amarezza.

-È terribile per me vedere un Raaka nell'Inquisizione. Per anni i Raaka ebbero almeno la decenza di fare i contadini, per non infangare il nome di Luttan... ma poi Jor entrò a far parte dell'Inquisizione. Io conoscevo tuo padre, sai?-

-Tu conoscevi... aspetta...-

-Inizi a ricordare?-

Kalad annuì. Ora ricordava. Era molto piccolo, avrà avuto sei o sette anni. I ricordi erano confusi ma lui aveva già visto Geralt. Spesso suo padre invitava a casa qualche suo amico e cenavano lì. Bowen il fabbro, Kerhmin il pescatore con i capelli color carota, Fertyon l'apprendista di Bowen, un ragazzo giovane ma che si trovava perfettamente a suo agio con loro e molti altri.

E Geralt. Allora non aveva quella benda, i suoi capelli non erano ingrigiti dal tempo ma erano neri come la notte ed era senza barba. Il fisico asciutto e atletico e un pugnale sempre in tasca. Era un cacciatore di grande abilità e con l'arco era davvero abile. Kalad ricordava che spesso parlava di come l'Inquisizione fosse la rovina del regno, di come la loro influenza malvagia avesse plagiato le menti dei più deboli.

“Non capisci Jor? La loro religione blasfema sta infangando il nome del nostro Dio! Noi siamo Luttaniani! Gothfresh è fedele a Luttan da centinaia di anni! Chi sono loro per imporci la loro religione?-

Jor aveva scosso la testa lentamente.

“Non essere così duro, amico mio. Esiste luce anche nelle tenebre.”

“Ma finiscila, Jor!-

Bowen aveva guardato Geralt e gli aveva detto qualcosa per calmarlo ma Geralt non aveva voluto sentire ragioni.

-Taci, Bowen! Ti ho visto distruggere un Calice giorni fa, semplicemente per ricavarne qualche moneta.-

Poi avevano cambiato discorso e Kalad non ricordava altro.

-Tu eri amico di mio padre.-

Geralt annuì cupamente.

-Sì, lo ero. Molto tempo fa.-

Yorgh scrocchio minacciosamente le nocche delle sue enormi mani.

-Le voci girano in fretta, Raaka, lo sai? Ho sentito che Jor era un codardo.-

Prima che Kalad potesse insultarlo Geralt si girò verso Yorgh e gli scoccò un occhiata minacciosa. Quel piccolo occhio marrone era talmente scuro da sembrare un gorgo di oscurità. L'Oblio stesso.

-Tappati quella cazzo di bocca Merwas o te la tapperò io... definitivamente.-

Yorgh, che era almeno due volte Geralt, abbassò lo sguardo e tacque.

-Io e Jor fummo... in pessimi rapporti. Ma era un grande uomo.-

Kalad ricordò quando suo padre diede la notizia di essere entrato nell'inquisizione. Aveva otto o nove anni. Geralt era entrato in casa sbattendo la porta con forza. La madre di Kalad aveva cercato di fermarlo ma Geralt l'aveva spinta con rabbia.

“Che diavolo ti salta in mente, Ger?” chiese suo padre.

“Jor come hai potuto farmi questo? Come?! Eri il mio migliore amico dannazione! Sei entrato nell'Inquisizione... io... sono senza parole. Come hai potuto farmi questo? Mio padre è morto per mano loro, bastardo! Solo perché venerava ancora Luttan! L'hanno ammazzato davanti ai miei occhi e avevo sei anni! Sei... sei così crudele. Io... io...”

Jor si avvicinò a Geralt, tendendo le mani verso di lui per calmarlo.

“Tranquillo, Geralt. Tranquillo. L'ho fatto per un motivo. Sono entrato nell'Inquisizione per...”

“Taci! Non mi importa perché l'hai fatto. Non me ne frega un cazzo, dannazione! Sei senza cuore, Jor. E io che ti consideravo mio amico.

Ti... ti odio!”

E dovo aver detto quelle parole se n'era andato.

Kalad aveva chiesto perché Geralt fosse così arrabbiato, era piccolo e non capiva quelle cose.

Suo padre si accucciò e gli scompigliò i capelli.

“A volte le persone si arrabbiano perché non vanno oltre le prime apparenze.”

Geralt guardò Kalad con disprezzo.

-Vedo che hai seguito le orme di tuo padre, eh? Ti ha abbindolato con tutti quei bei discorsi, con tutte quelle menzogne.-

Kalad non rispose.

Katryn guardò attentamente Kalad.

Tutto sommato era una donna attraente, nonostante il naso aquilino e la quasi totale mancanza di seno.

-Yorgh una cosa l'ha detta giusta però. Le voci girano in fretta. E non facciamo altro che sentir parlare del Lupo, del Traditore, dell'Uccisore di Gorvashor, dell'Assassino di Marxal l'Arciere, del Difensore della Figlia del Supremo, del Guardiano della Messia, del Possessore della Spada di Fuoco... tanti nomi per una sola persona.-

Kalad sorrise.

-Tutti nomi meritati, dolcezza.-

-Oh non ne dubito. Francamente sono rimasta sorpresa da quello che si dice. Sei un Deicida, l'unico ancora in vita almeno. Hai ucciso tre dei nostri nonostante ti avessimo colto di sorpresa.-

-Almeno ora so chi devo ringraziare per il dolore che ho alla schiena.-

-Prego.-

Geralt sbuffò.

-Sei bravo a combattere e allora? Non sopravviveresti un ora contro di me, ragazzo.-

-Mettimi alla prova.-

Yorgh rise divertito.

-Oh, io non lo farei se fossi in te, stronzetto.-

Geralt sorrise davanti alla spavalderia di Kalad e poi si avvicinò ad Ayliss.

Nel frattempo Kalad sentì Ulfric fare la corte a Katlyn.

-Gentil donzella il colore dei vostri occhi inebria la mia mente delle più fantastiche sensazioni. Il vostro fisico così atletico non può far altro che rinforzare i muscoli da tempo indolenziti del mio corpo, non so se mi spiego. Certo la mancanza di seno può tranquillamente essere compensata da quello che si trova alle vostre spalle, sapete? O almeno credo. Non ho avuto la fortuna di guardarla da dietro, mia cara.-

-Taci.-

-Oh e va bene.-

Kalad sorrise.

-Stai per caso perdendo il tuo fascino?-

-Nessun commento, grazie.-

Geralt si accucciò davanti ad Ayliss. Lei non distolse nemmeno per un attimo lo sguardo dal suo occhio.

-E tu sei... la figlia del Supremo, dico bene?-

Lei annuì.

-Sai... io sono luttaniano. E per questo mio padre è stato ammazzato e io per poco non feci la stessa fine. Mia madre si è suicidata perché non riusciva a mantenermi. Me la sono dovuta cavare da solo, sono cresciuto soffrendo. E per questo devo ringraziare tuo padre, i suoi seguaci... e te.-

-Geralt lei...- iniziò a dire Kalad ma Ayliss lo interruppe.

-Non devi incolpare mio padre e nemmeno me.-

-Certo.- disse seccato Geralt. -Sgancia la colpa sugli altri.-

-Sono i seguaci di mio padre i mostri.-

Kalad spalancò gli occhi. Lui le aveva detto quelle parole tempo fa.

-Ah sì? Eppure il tuo amichetto è uno di loro, e suo padre prima di lui. Anzi, mi correggo, era uno di loro. Ora è un traditore blasfemo che fugge con la figlia del Dio Bugiardo che ha abbindolato suo padre.-

Ayliss indurì il suo sguardo.

-Non posso impedirti di dare del bugiardo a mio padre e non posso nemmeno costringerti a credere in lui. Ma tu devi credere in me.-

Morgase mostrò i denti.

-Arrogante ragazzina. Vuoi essere una divinità, vero? Vuoi che io creda nella tua... missione?-

Lei annuì e Yorgh, dietro di Geralt, rise.

-Ma sentitela! Osi metterti al disopra di Luttan?-

Ayliss scosse la testa frustrata.

-Non sto dicendo questo, dannazione! Cercate di ampliare la vostra mente. Luttan vuole la pace vero?-

-Ogni Dio vuole la pace, solo il vostro vuole la morte.-

-Ti sbagli. Ti assicuro che mio padre desidera la pace come ogni altro Dio.-

Geralt sbuffò.

-E come fai a saperlo? Hai parlato con lui?-

Ayliss scosse la testa.

-Be' almeno apprezzo l'onestà, ma questo non ti mette di certo in un ottima posizione. Parli a nome di un Dio, un padre, che nemmeno ti parla.-

-Luttan ti ha mai parlato?-

Geralt tacque.

-Ognuno trae le parole che più lo possono aiutare dal proprio Dio. Tu cosa trai da Luttan?-

Geralt tacque per un breve istante.

-Pace e fratellanza.- disse a bassa voce.

-Anch'io voglio queste cose, più di ogni altra cosa. Tu ora mi vedi, senti la mia voce e puoi toccare la mia pelle. Io sono qui e non mi definisco una Dea. È vero sono la Messia ma sono fatta di carne, posso morire proprio come te e Kalad, e voglio fare qualcosa di importante per il mondo prima che le guerre lo distruggano. Io non voglio trarre qualcosa solo dal Supremo. E nemmeno dal solo Luttan. Io voglio trarre qualcosa da ogni Dio esistente e ti assicuro che tutti vogliono la stessa cosa. Pace. Io posso... almeno provare a portarla. So che è un impresa quasi impossibile, se non assolutamente impossibile ma io voglio provarci e userò tutti i miei poteri per realizzare questo sogno. Possiamo venerare Dei diversi ma tutti vogliamo la stessa cosa: la pace. E Geralt, ti giuro che non voglio altro che la pace. Sono arrogante a parlare a nome di ogni Dio? Forse. Ma lo faccio per una giusta causa. A volte una persona deve trovare la forza di mettersi sulle spalle un peso che nessun altro porterebbe. Io sono quella persona.-

Geralt tacque e con lui Yorgh e Katrin. Ayliss non distolse lo sguardo dal piccolo occhio nero di Geralt e il viso del Luttaniano parve addolcirsi.

Che Ayliss stesse usando i suoi poteri per convincerlo? Kalad non seppe dirlo, fatto sta che Geralt sorrise.

-Allora c'è ancora speranza.-

Yorgh si scrocchio le dita nervosamente.

-Che mi venga un colpo...-

Katrin sorrise ad Ayliss, aveva davvero un bel sorriso.

-Io le credo.-

-E come non potresti, mia cara?- disse Ulfric divertito.

Mentre Yorgh tagliava le corde che li legavano Kalad non smise di guardare Ayliss e in quel momento capì cosa aveva visto in quegli occhi illuminati dalle fiamme di Ulfric, giorni prima.

Aveva visto la nascita di una Messia.

 

Kalad capì che si trovavano in una sorta di enorme grotta ma era davvero troppo grande per esserlo, non esistevano grotte così grandi.

-Ci troviamo dentro il Monte di Hermag.- disse Geralt.

-Cosa? Dentro il monte?-

-Già. Ci abbiamo messo molti anni a costruire tutto questo ma la Pressione ha favorito il tutto. Senza il nostro potere tutto questo non sarebbe mai esistito.-

Kalad si ritrovò davanti una vera e propria cittadella all'interno di una montagna. Un insieme di carrucole portava nei piani superiori e nei muri erano incavate delle cuccette in cui dormire. Nei muri, fino in cima, erano attaccate delle torce che davano un illuminazione soffusa e nonostante le torce fossero numerose l'interno del monte era enorme e non bastavano a dare un illuminazione totale ed era comunque un ambiente buio.

-Non abbiamo costruito sull'intero monte chiaramente, sarebbe stato un lavoro eccessivo. Molti di noi sono morti, ma il lavoro finito è stato più che soddisfacente.-

Ulfirc osservò estasiato quei maestosi anelli di torce che li circondavano.

-Oh è meraviglioso! Il fuoco qui si sente protetto e rispetta questi uomini. Sto iniziando a prendere in simpatia questi luttaniani... nonostante abbiano tentato di ucciderci. Due volte.-

Katris abbassò lo sguardo.

-Non vi abbiamo nemmeno detto perché l'abbiamo fatto.

La prima volta avevamo percepito che qualcuno nelle vicinanze portava un calice e abbiamo percepito che non apparteneva a un fedele di Luttan. Questo, per Luttan, è un grave insulto e siamo subito intervenuti. Ma i nostri sono stati massacrati ma non da voi, abbiamo saputo. Uno stregone oscuro della Terra delle Zanne, roba da cui è meglio stare molto alla larga. Uno dei nostri che non aveva partecipato ma era rimasto ad osservare, sotto nostro ordine. Appena ci ha informati di chi portava quel calice io e Merwas siamo venuti da voi. Avevamo sentito parlare di voi, per questo motivo non vi abbiamo uccisi. Volevamo parlare.-

Kalad guardò Geralt che camminava spedito non si sa dove.

-Morgase, possiamo almeno sapere dove ci stai portando?-

Geralt grugnì e non rispose.

Dentro la montagna c'erano molti altri luttaniani. Alcuni col fisico da guerriero, altri erano fabbri, artigiani o mercanti. C'erano anche molte donne e bambini e pure anziani.

Infine arrivarono in una cavità nella roccia al cui interno trovarono quella che sembrava effettivamente una stanza.

-Questa è la mia stanza, nessuno ci disturberà.- disse Geralt.

-Durante la strada ho preso una decisione.- respirò profondamente e guardò Ayliss.

-Vi aiuteremo. Volete portare la pace e per portarla è necessario combattere, purtroppo. Ma è l'unica alternativa. Sono certo che Luttan capirà. Quali sono i vostri piani.

Fu Ayliss a parlare.

-Appena Kalad mi fece fuggire dall'Inquisizione il nostro obbiettivo, che è restato tale fino a pochi giorni fa, era quello di scappare più possibile a Ovest e raggiungere Q'uoian e sperando nella bontà dei Q'uoin ci saremmo fatti accogliere.-

Yorgh sbuffò.

-Una causa persa. Gli Elementali della Foresta sono famosi per essere degli altezzosi bastardi.-

Katrin annuì. -Questo è vero ma tanto vale provare, potrebbero riconoscere qualcuno di importante nella ragazza e accoglierla.-

Yorgh fece spallucce.

-Be' potete provarci certo ma degli umani non vengono accolti nella Grande Foresta da centinaia di anni. L'ultimo si chiamava Darrius Asterion ed era un piccolo stronzetto che aveva cercato di rubare un arma antichissima. E se tocchi le cose del Popolo Eterno, be' sei nella merda fino al collo.- disse Yorgh con la sua voce possente.

Geralt manteneva lo sguardo fisso nel vuoto.

-È un ottima idea. I Q'uoin sono arroganti ma sanno riconoscere una persona importante quando la vedono. E poi credo che il grande potere della ragazza incuriosirà i Q'uoin, loro hanno sempre a che fare con tutto ciò che riguarda la magia. E soprattutto sanno l'importanza della Messia, di ciò che sta succedendo a questo continente per la sua presenza, loro potrebbero essere coinvolti. In questa guerra sono in moto forze a noi sconosciute e oscure.- disse il Pressore.

Kalad notò l'assurdità di tutto ciò, Geralt si fidava di più di Ayliss, che era la figlia di un Dio a cui lui nemmeno credeva, che di Kalad. Non lo guardava mai e gli rivolgeva raramente la parola.

Katrin invece lo guardava molto spesso.

-Abbiamo discusso sulla questione e... io ritengo possiate stare qui con noi per il tempo necessario che vi occorre per riprendervi. Avete dormito sul freddo terreno e vi siete lavati in dei ruscelli per troppo tempo. È ora che vi facciate una bella lavata e che dormiate su un morbido letto.-

Kalad pensò seriamente di amarla sentendo quelle parole.

Lavarsi, profumarsi, radersi e dormire comodi. Un sogno.

-Geralt... credo tu debba dirglielo. Anche se io non sono affatto d'accordo.- disse seccato Yorgh.

Geralt annuì, non sembrava particolarmente felice nemmeno lui a quell'idea.

Guardò Kalad e il ragazzo rimase stupito nel vedere quanto l'occhio di quell'uomo potesse essere nero. Era molto più minaccioso l'occhio della benda, sembrava pure più nero.

-Per quanto sia seccante per me dire questa cosa... be' tu sei il suo guardiano, siete... uniti in modo indissolubile. Perciò è necessario che diventi ancora più forte ragazzo. Sei un Raaka... e hai un calice anche se non voglio sapere chi hai ammazzato per averlo.- sospirò.

-È necessario che tu beva dal calice e ottenga il potere di Luttan.-

 

-Non mi piace molto come idea. Ayliss io sono fedele alla Suprema Rivelazione, non a Luttan.- disse Kalad a bassa voce.

Lei lo guardò indispettita.

-Oh la vuoi finire? Hai ascoltato quello che ho detto a Geralt oppure no? Tutti gli dei hanno lo stesso obbiettivo. Io... lo percepisco, ok? È una cosa difficile da spiegare. Luttan ci può aiutare, lo sento. La Pressione ci potrà essere estremamente utile, credimi.-

Kalad non era molto convinto ma guardando la cosa oggettivamente non c'erano scelte migliori. La Pressione era utile ma Yorgh, probabilmente per intimorirlo, gli aveva detto che la Pressione agiva su chi Luttan riteneva degno, altrimenti l'acqua sarebbe diventata veleno.

Prego il Supremo che non sia così. O Luttan... oh, cazzo, non so nemmeno più chi pregare.

Arrivarono in un ampio salone. Tutto attorno c'erano decine e decine di uomini, donne e bambini. Guardavano Geralt con grande riverenza e rispetto, infondo egli era un Pressore, un sacerdote di Luttan.

Al centro dell'ampio salone incavato nella rocca vi era un piedistallo, anch'esso di roccia dipinta di bianco.

Yorgh aveva consigliato a Kalad di togliersi l'armatura da soldato Inquisitorio, quella gente non l'avrebbe affatto vista bene. Sapevano chi era Kalad ma era meglio non fomentare la cosa. Ora Kalad indossava solo una semplice maglia grigia sporca e dei pantaloni marroni sporchi anch'essi. I luttaniani lo guardavano attentamente. Alcuni intimoriti, altri addirittura terrorizzati, altri ancora con odio. Nessuno però aveva voluto andare contro la decisione di Geralt.

Kalad vide che un ragazzino, anzi più di uno, indicavano il suo viso facendo notare a tutti (come se fosse poco visibile) la sua vistosa cicatrice. Le donne, quelle che lo guardavano almeno, avevano sul viso un misto tra timore e curiosità.

Ayliss gli aveva spiegato bene cosa significava.

“Kal cerca di capire. Tu sei davvero un bel ragazzo e nonostante quella cicatrice resti comunque bello, una sorta di fascino selvaggio. Incuti timore ma sei dannatamente affascinante... e sexy.”

Kalad aveva sorriso a quelle parole, convinto che a parlare fosse la parte innamorata di Ayliss. Ma capì che aveva ragione.

Geralt non disse nulla, i luttaniani erano molto essenziali. Prese il calice che Kalad aveva nella sua sacca, lo poso sul piedistallo e Yorgh gli porse una brocca d'acqua. Geralt riempì il calice. L'acqua cambiò colore e divenne bianca come la neve e iniziò a fumare.

Geralt guardò Kalad e indicò il calice con la testa, il ragazzo annuì e si avvicinò.

Esitò guardando il calice. L'acqua sembrava bollente. Appena toccò il calice si stupì nel sentirlo gelido, nonostante l'acqua stesse fumando. Guardò Ayliss e Ulfric tra la folla. Ulfric gli sorrise, forse per fargli capire che l'acqua non era così calda come sembrava.

Kalad bevve tutto in un sorso, pregando che Luttan lo considerasse degno.

L'acqua era gelida e Kalad sentì tutto il suo corpo gelare. Chiuse gli occhi ma il freddo stava diventando insopportabile, poi improvvisamente sentì caldo e iniziò a sudare copiosamente. Il tutto si alternò per altre tre volte e Kalad sentì il mondo capovolgersi e con lui il suo stomaco. Trattenne il vomito, non sarebbe stata una bella figura (considerando lo sguardo “curioso” delle donne) e strinse i denti. Poi, dentro di sé, sentì un energia prorompente, come se il suo corpo stesse per esplodere da un momento all'altro. Trattenne quell'energia incredibile ma iniziò a soffrire, sentiva il suo cuore battere all'impazzata, sembrava che il suo petto stesse per disintegrarsi.

Credi di essere degno?

Ehm... sì, lo sono.

Apprezzerei maggior convinzione, sai?

Sì, sono degno!

Hai ucciso i miei figli, molti di loro. Dovrei ucciderti per questo, Kalad Raaka.

È vero. Dovresti. Ma ti chiedo umilmente pietà e, se vuoi, anche perdono. Sono profondamente pentito per le mie azioni, questo viaggio è la mia strada verso la redenzione.

La strada verso la redenzione è lunga e irta di pericoli, mortale.

La mia strada è la più lunga e pericolosa di tutte.

Cosa desideri più di ogni altra cosa?

La pace.

E?

Essere qualcosa di più. Posso essere di più di ciò che sono. Voglio fare qualcosa per cambiare il mondo.

E vuoi usare il mio potere?

Una piccola parte che mi faciliti la strada.

Vuoi cambiare il mondo, figlio di Jor Raaka?

Sì e voglio affrontare chiunque mi dica che è impossibile.

Credi sia possibile?

Difendo colei che mi ha fatto capire che lo è.

Sei degno.

Kalad aprì gli occhi, chiedendosi se quella voce l'aveva davvero sentita o se l'era solo immaginata.

Vide la folla ma... era come se fosse fatta di fumo. Era strano, molto strano. Sentiva ovattato eppure i suoni sembravano più nitidi. Vedeva tutto fumoso ma gli sembrava di vedere meglio. Guardò il suo corpo e si accorse che attorno ad ogni parte del suo corpo si muoveva e avvinghiava, come un serpente, del vapore bianco che sembrava brillare da quant'era bianco. Guardò il suo braccio e vide che il vapore avvolgergli il braccio come delle catene. Era stupendo, quel fumo si muoveva in modo armonioso e a ritmo col battito del suo cuore. Poi il vapore si ritirò e gli sembrò entrare nel suo corpo e raggiungere il suo cuore. Flesse i muscoli e irradiò tutta la sua energia. La Pressione uscì dal suo corpo come un ondata di vapore dalla potenza devastante. La folla venne sbalzata all'indietro e tutti caddero a terra. Rimasero in piedi pochissimi uomini e donne, e una manciata di anziani. Katrin quasi inciampò e Yorgh barcollò. Geralt rimase immobile.

-Guardatelo! Il suo corpo brilla di luce bianca! È un Raaka!- disse un anziano e tutti iniziarono ad urlare “Raaka” con tutta la forza che avevano in corpo, alzando i pugni al cielo.

Kalad sospirò e assaporò la meravigliosa sensazione che la Pressione gli provocava.

 

Kalad passò le ore successive acclamato dai luttaniani.

Il fatto che fosse un Raaka portava odio a causa del suo antenato che si arrese ma anche grande rispetto per ciò che i suoi antenati prima del Piegato avevano fatto. L'emanazione di potere di Kalad aveva fatto capire ai luttaniani cosa sapeva fare il ragazzo (anche se lui non sapeva dire come avesse sprigionato quel potere, gli era venuto naturale) ora sentiva come se qualcosa dentro di sé avesse bisogno morboso di uscire ma riusciva a controllarlo e non era una sensazione sgradevole, anzi, si sentiva incredibilmente bene. Ayliss gli disse che la Pressione aveva anche modificato il suo corpo, le sue ferite erano guarite ma la cicatrice sul volto era rimasta ed era diventata bianca come la neve, i suoi occhi avevano modificato ulteriormente il loro colore ed erano diventati ancora più chiari, ora sembrava davvero un lupo. Katrin sembrava ammirare Kalad, Yorgh lo guardava in modo diverso, sempre con quell'aria di sfida ma con del timore, seppur nascosto dalla sua spavalderia. Geralt... lo guardava raramente.

Nonostante ciò Geralt lo prese e lo portò in un luogo appartato, mentre la vita nel nascondiglio dei luttaniani tornava alla relativa normalità.

Geralt finalmente lo guardò negli occhi, il suo occhio nero come le tenebre che lo analizzava.

-Il tuo corpo sta cambiando. Succede a tutti. È il contatto con gli Dei, lo sto studiando da anni. Il corpo cambia, gli occhi soprattutto. Il mio occhio non era così nero prima che Luttan mi giudicasse degno. È una cosa che va oltre la nostra concezione ma gli Dei ci cambiano e stare vicino a quella ragazza ti ha cambiato radicalmente, dentro. Quindi non so se congratularmi con te o con lei per questo cambiamento. Fatto sta che Luttan ti ha considerato degno e Luttan non sbaglia. Io... non ho voluto rivolgerti la parola in queste ultime ore perché... rivedo tuo padre in te. Tu sei davvero un bravo ragazzo, Kalad, sei un ragazzo onesto, sincero e io leggo nei tuoi occhi il pentimento di aver ucciso dei miei fratelli. Tu non sei un uomo malvagio, figliolo. Hai solo fatto cose di cui ti penti, sperando di essere nel giusto.-

Kalad annuì.

-Ti ringrazio Geralt. Mio padre voleva aspettare l'età adatta per dirmi tutta la verità ma non ha fatto in tempo. Quando è morto mi ha chiesto scusa e dopo molto tempo ho capito perché. Voleva dirmi la verità ma non ha fatto in tempo, la morte la preso prima. Aveva...-

Geralt lo interruppe.

-Dimmelo. Ti prego, dimmi perché Jor entrò nell'Inquisizione.-

Kalad tacque, guardando l'occhio nero di Geralt. Quell'occhio così cupo ora appariva tremendamente triste.

-Lo fece per cambiare le cose. Anche se dissero che era un codardo lui in realtà fece tutto il possibile per cambiarla ma... forse non era l'uomo adatto. Mio padre non era un abile guerriero ma so che salvò la vita a dei suoi compagni ma si nascose anche durante qualche battaglia per paura di morire. Era un uomo, come me e te. Ma entrò nell'Inquisizione per capire come funzionavano le cose e convincermi, seppur... con l'inganno a farne parte, sapeva che il mio carattere mi avrebbe spinto a cambiare le cose, per quando fosse catastrofica come scelta. Forse mio padre fece tutto nel modo sbagliato, questo lo capisco... ma lo fece per una giusta causa.-

La voce di Geralt tremò.

-Quindi... era questo che voleva dirmi? Tuo padre era entrato nell'Inquisizione per vedere il marciume dall'interno e... permettere a te, in futuro, di cambiarla?-

Kalad annuì e rimase di stucco vedendo l'occhio di Geralt lacrimare, ora il suo occhio sembrava così luminoso.

-Io... ho detto quelle parole terribili a tuo padre... oh Luttan... Jor era il mio migliore amico e io... l'ho visto per l'ultima volta dicendogli che lo odiavo! Ma ero furioso non avrei mai voluto dire quelle cose, lo giuro. Non c'è stato giorno in cui non sentissi il peso di quelle parole. Mi hanno tormentato per anni. Jor era un brav'uomo, il migliore che io abbia mai conosciuto, non meritava quelle parole... cazzo non le ha mai meritate.-

-Geralt.-

Lui alzò lo sguardo e incontrò gli occhi ormai gialli di Kalad.

-Mio padre non ti ha mai odiato per quelle parole. Davvero. Lui ti ha sempre considerato il suo migliore amico, anche dopo quelle parole. Aveva capito che era la rabbia ad averti fatto parlare. Lui... ti ha sempre voluto bene, Geralt.-

Geralt sorrise, il primo sorriso che Kalad vide in quell'uomo, era un sorriso incredibilmente dolce nonostante l'occhio nero e la benda.

Poi Geralt non riuscì più a trattenere le lacrime e pianse. 

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Capitolo 42
*** Tenebre e Divoratori ***


 

Capitolo 41

Tenebre e Divoratori

Centinaia di anni fa, durante l'Epoca d'Oro

-Le senti?- chiese Eymin.

Kanda scosse la testa.

-Oh... forse me lo sono solo immaginato. È che... mi sembra di sentirle in continuazione.-

Kanda annuì. -Già è normale, tranquillo. Dopo l'attacco di stamattina siamo tutti un po' scossi.-

Eymin annuì anche se appariva davvero agitato.

Kanda sospirò.

Si sentiva dannatamente stanco. Era quasi un anno che stavano lì, nel Confine, a combattere contro quelle bestie infernali.

La guarnigione era piena di soldati. Rimaneva sempre estasiato vedendo come potevano essere stupende le armature del suo popolo, nodose come se fossero corteccia e decorate in modo sensazionale da fabbri dall'abilità innata. La grande muraglia che si estendeva per tutto il confine ovest della Grande Foresta era stato costruito millenni fa ma manteneva ancora la sua antica resistenza. Costruito con le pietre dell'antico Impero Eterno, le mura e le fortezze a difesa del Confine resistevano ormai da tempo immemore agli attacchi provenienti da quella striscia di terra che si trovava a ovest di Q'uoian che nonostante le sue piccole dimensioni si rivelava essere una minaccia fin troppo pericolosa.

I soldati erano in perenne movimento, non c'era un attimo di pausa. Chi portava le armi da una fortezza all'altra, chi doveva riparare qualche falla nelle antiche mura, chi ancora sbraitava ordini. Gli unici momenti di quiete erano durante le due ore di Meditazione per Zumtharaan.

Era bello guardare oltre le mura, verso casa, e vedere quell'enorme foresta dagli alberi talmente alti da raggiungere il cielo. Ma era altrettanto inquietante guardare dalla parte opposta, verso la costa, e vedere una distesa desolata.

Lì era dove Zumtharaan aveva perso il suo verde tocco, dove l'abbraccio della natura aveva lasciato spazio alla più cupa desolazione.

-Kanda, dai vieni. Scendiamo e andiamo a cenare.-

Kanda non sentì Eymin.

Il suo amico, dalla fluente chioma blu, si avvicinò.

-Mi hais entito?-

-Guarda.- disse Kanda.

Eymin guardò e il suo volto si fece scuro.

-Non dovresti guardare troppo la Terra senza Dio, lì Zumtharaan non è presente.-

Kanda annuì.

-Lo so ma... lo trovo così affascinante. Una striscia di terra in cui la foresta è morta. Credi che le leggende siano vere?-

Eymin fece spallucce. -Si parla di migliaia di anni fa, il tempo modifica molte cose e moltissime cose vengono dimenticate. Se quello che si dice è vero risale tutto a millenni fa, prima di questa “Epoca d'Oro”. Si dice che quando la Grande Foresta si estendeva in tutto il continente il primo dei Figli Neri, traditori del nostro popolo, Kromanth S'teryman, utilizzò la Voce per modificare il corpo di una persona in modo drastico. Sai cosa facevano i Figli Neri, no? Utilizzando le parole proibite trasformavano un essere vivente in un terribile essere demoniaco. Iniziò una guerra senza precedenti e il principato di S'teryman, una delle parti dell'Impero comandata da Kromanth, si ribellò. Kromanth e i suoi Figli Neri crearono delle aberrazioni che provocarono terribili spargimenti di sangue. Alla fine fu solo grazie ai Dodici del Verbo, i più grandi utilizzatori della Voce della storia, che Kromanth venne ucciso e i suoi Figli neri con lui. Per centinaia di anni abbiamo cercato ogni residuo di quei terribili giorni ma... è come se fossero infiniti. Alla fine, dopo migliaia di anni, riuscimmo ad allontanare quei “residui”, le Bestie Nere, a Ovest. E... be' da quello che si dice la sola presenza di così tanti di quei demoni in un posto estirpò il toccò di Zumtharaan da quella terra.-

Kanda sapeva già la storia ma era talmente antica che poteva essere una bugia. Eppure lui aveva visto quei mostri e... erano demoniaci. Troppo forti e brutali per appartenere a questo mondo.

Eymin chiaramente non sapeva nulla dei suoi poteri, nessuno lo sapeva.

Non aveva voluto dire niente a nessuno perché sapeva cosa succedeva a chi possedeva la Voce. Una vita intera da trascorrere nel Circolo a essere addestrato per essere un Consigliere o un funzionario del regno o un Cantore della Natura oppure un Osservatore dei Pozzi Trasparenti. Tutte cose che lui trovava terribilmente noiose (a quel tempo non avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato consigliere del re). Essere un consigliere? Noioso. Funzionario? Pure, anche se i soldi non mancherebbero. Cantore? Be' vedere la natura muoversi ad ogni tua parola mentre canti è affascinante e senza di loro la foresta morirebbe ma... noioso. Osservatore dei Pozzi Trasparenti? Passare la propria vita a chiedere a dei... pozzi, se la Foresta era in pericolo? Oh cielo!

Aveva optato per diventare un soldato perché quella era la vita che voleva! Combattere, difendere la propria patria usando la forza e la spada!

Però... quando W'orshan, donandogli Shamalash, gli chiese una cosa.

“Hai scelto la tua strada, T'mail. Ma sappi che quella spada è una grande responsabilità. Da ora in poi, qualunque sia la strada che sceglierai, anche se non sarà quella del guerriero cioè quella per cui ti ho addestrato, ricorda che avrai grandi responsabilità. È questo il destino di un uomo, Kanda. Prendersi le proprie responsabilità e dare anche la vita per esse! È tua responsabilità difendere una persona? Morirai per lei! È tua responsabilità difendere un regno? Morirai per esso! Non si sfugge dalle proprie responsabilità ragazzo... che diamine, alcune nemmeno le decidiamo noi!”

Quelle parole lo avevano così... colpito. In negativo, s'intende. Responsabilità. Quella parola suonava così male alle sue orecchie! Sembrava un peso inimmaginabile e lui non voleva proprio quel peso. Certo avrebbe difeso il suo regno e anche le persone che amava (se davvero ce n'erano) ma... no, non avrebbe dato la vita per loro.

Era così egoistico? Chi morirebbe per un altra persona? Insomma la propria vita è la cosa più importante! Questo pensava sempre. Se le cose si sarebbero messe male se ne sarebbe andato da quelle dannate mura. Lui era lì solo per dimostrarsi abile agli occhi di un comandante, anche se il comandante E'rkah non l'aveva preso poi tanto in simpatia, ma se le cose avessero preso una piega drammatica... be' era stato bello e tanti saluti. Lui non era disposto a morire per qualcun altro! Che discorso ridicolo.

Mentre guardava la Terra senza Dio però si chiese come mai, dopo tutte quelle battaglie contro quei demoni, era ancora lì.

Chi morirebbe per qualcun altro?

 

Kanda si svegliò con un forte mal di schiena. Era stufo di dormire sulla terra, voleva un comodo letto ma questo era il suo destino ormai.

Certo, con Lem aveva dormito anche in posti più angusti, come ad esempio le celle della prigione di Ogashi nell'Impero del Sole. Lì erano anche stati fortunati, nell'Impero del Sole i Q'uoin sono visti con enorme rispetto quindi non gli successe niente di brutto, anche se Kanda l'aveva davvero combinata grossa e un mese in una cella stretta e sporca non glielo aveva tolto nessuno.

A volte sentiva la mancanza di Lem. Il vecchio barista era un suo vecchio amico, da quando Lem faticava a restare fermo in un posto e partecipava ad ogni rissa che vedeva. Per anni Kanda e Lem avevano viaggiato assieme e Kanda aveva trovato in Lem un amico soprattutto considerando che Lem fuggiva da ogni tipo di responsabilità. Niente mogli, figli e un lavoro. Viveva la vita come gli capitava e se la godeva. Uno stile di vita che Kanda aveva sempre rispettato anche se per lui era diverso. Gli anni di Lem a passare quella vita non sarebbero stati che briciole per la lunga vita di Kanda. Eppure erano stati davvero amici, accomunati da uno stile di vita simile e Kanda, con la scusa di essere uno storico, lo aveva portato nei viaggi più assurdi. Viaggiare fino all'Impero del Sole per vedere i frutti della ribellione degli Akumata, andare a Tarpazzi per scoprire cos'era andato storto nella tentata unificazione dei Morevingi e così via. Quasi gli dispiaceva aver portato il povero Lem in situazioni spiacevoli ma almeno ne erano usciti vivi.

Quelli sì che erano bei tempi. Affrontavo la vita per come veniva, senza pensieri, preoccupazioni o che so io. Dopo anni trascorsi senza sapere cosa fare della propria vita, dopo tutte quelle cocenti delusioni, scoprì che non fare nulla era l'idea migliore.

Ripensò alle parole di Hiroma e soprattutto ai pensieri che aveva fatto.

Riguardandosi ora non sapeva che pensare di se stesso. Anni passati a cercare la propria via che ora apparivano come centinaia di anni sprecati, gli anni poi fuori da Q'uoian, con Lem, furono davvero emozionanti per lui.

Ma era proprio quello il punto, gli anni che più aveva amato della sua vita furono quelli in cui la sua vita era praticamente allo sbando.

Poi scosse la testa, alzandosi e ripensò ai 17 anni passati con Ayliss.

Ripensò a quel piccolo neonato piangente che aveva trovato nella foresta, circondato dalle ceneri degli alberi. Ripensò a quei grandi occhioni azzurri che lo guardavano, a quelle piccole manine che lo accarezzavano.

Ricordò quella piccola bambina di sei anni, così dolce e gentile, che si divertiva a disegnare distesa sul pavimento della loro piccola casetta. Si ricordò delle serate passate davanti al caminetto, con Ayliss accoccolata tra le sue braccia che dormiva placidamente e lui che le cantava una dolce ninnananna. Ricordò le giornate passate a scrivere poesie, a cantare antiche canzoni, a insegnarle a leggere, scrivere, contare.

Ricordò la prima volta che l'aveva vista camminare.

Ricordò che gliela avevano portata via.

E questo gli diede la forza di stringere Shamalash con forza e incamminarsi.

 

Mentre si incamminava riuscì a percepire che Ayliss si era fermata.

Bene, questo era un bene.

O forse no.

Forse... quel Kalad stava facendo qualcosa alla sua piccola.

No, no, no Kanda, vecchio mio, non pensarci. Cammina e non pensarci o ammazzi qualcuno. Cammina.

Mentre si incamminava vide poco distante un uomo seduto a terra, con dietro di sé un carro decorato manco dovesse andare ad una festa.

L'uomo seduto a terra aveva un fisico asciutto e un sorriso smagliante, una veste nera con dei bottoni di cui gli ultimi due in alto erano aperti, degli eleganti pantaloni e degli stivali neri abilmente lucidati, i suoi capelli erano corti e neri come la notte, la sua pelle abbronzata e i suoi occhi color cioccolato. Le sue dita portavano tutte anelli dei tipi più diversi. Un dito portava un anello c on un rubino talmente rosso da sembrare fatto di fuoco, un altro con uno zaffiro che sembrava fatto del mare stesso, un altro ancora era a forma di dragone e un altro aveva un inquietante teschio. Portava poi svariati braccialetti, d'oro, d'argento e di bronzo su entrambe le braccia e portava due collane. Una era corta e culminava con quello che sembrava un dente di un qualche animale (cosa che non era, poiché il “dente” era di legno) e l'altra collana, più lunga, era tutta attraversata da pietre preziose nere, rosse, verdi e blu e culminava con un tizzone di pietra. Il corpo dell'uomo poi, in larga parte, era ornato da tatuaggi bianchi che risaltavano sulla sua pelle abbronzata. Aveva anche due tatuaggi neri, uno sul collo e uno sulla guancia. I tatuaggi non erano articolati e non rappresentavano niente in particolare, erano sol graziose decorazioni.

Tutte quelle cose fecero capire a Kanda che si trovava davanti ad un Aghti.

Gli anelli, bracciali e collane erano un segno distintivo di quel popolo, soprattutto per un mercante come l'uomo seduto. La collana che culminava col tizzone di pietra era simbolo del credo di Aghta, il Dio dei Tizzoni, residuo religioso di Zarkan. Aghta infatti discende dall'antico popolo degli Zarkani che emigrarono durante il Grande Gelo nelle Terre Meridionali. I tatuaggi invece erano l'antica tradizione di Aghta. I tatuaggi bianchi, i Moràn, rappresentavano le opere di bene fatte da un uomo. Cioè coltivare con cura un campo, crescere una famiglia numerosa, essere ricco, essere un sacerdote oppure essere un mercante. I Toràn, quelli neri, erano i tatuaggi adibiti al combattimento. Ogni uomo ucciso era un tatuaggio, ma doveva essere un uomo ucciso in combattimento oppure per vendetta o difesa personale. Ogni persona, sia uomo che donna, poteva avere sia Toràn che Moràn, proprio come il mercante seduto. Colui che aveva il maggior numero di entrambi diventava il re, chiamato Il Tatuato. C'era poi chi poteva focalizzarsi solo su un tipo di tatuaggio. Chi aveva solo Moràn era chiamato Moràno, chi solo di Toràn era chiamato Toràno.

Quell'uomo sembrava sulla quarantina e, considerando la sua mercanzia e tutti i gingilli che portava sul suo corpo sembrava un mercante molto ricco.

Esiste un mercante Aghti che non sia ricco? Be' almeno non sono criminale come i Tarpazzi.

Dietro di lui c'erano però due bestione, con le braccia ricoperte di Toràn.

I mercanti Aghti erano soliti usare dei Toràni per difendere i loro carri. Quei due uomini erano dei tipici Aghti guerrieri, braccia muscolose, gambe larghe e colli taurini. Le loro braccia tatuate apparivano ancora più grosse grazie a quei segni neri come la pece. La loro pelle era maggiormente abbronzata rispetto a quella del mercante e i loro capelli erano rasati, come ogni Toràno e portavano quei pizzetti che andavano tanto di moda ad Aghta.

Il mercante, appena vide Kanda (chiaramente coperto dal suo cappuccio) sorrise amabilmente.

-Oh il Dio dei Tizzoni me l'ha mandata buona! Era da ore che aspettavo un viandante in queste terre squarciate dalla guerra!-

Kanda alzò un sopracciglio.

-Sei coraggioso a venire a mercanteggiare in queste terre, mercante.- deisse Kanda sedendosi a gambe incrociate davanti di lui.

Conosceva le tradizioni Aghti ed era di buon gusto sedersi davanti ad un mercante appena lo si vedeva e, per quanto i mercanti Aghti non fossero Tarpazzi, i Toràni che li difendevano potevano costringere qualcuno a sedersi, quindi tanto valeva farlo.

-Lascia che mi presenti, caro amico. Il mio nome e Arfonso Sendovàl, Mercante della meravigliosa città di Dos Hervanez. I due ragazzoni dietro di me sono Drugo e Marbo, salutate ragazzi.-

-I due fecero un impercettibile movimento con la testa. Il saluta principale erano le due armi che portavano ai fianchi. Drugo aveva una spada lunga e una spada corta, mentre Marbo aveva due mazze.

Era tipico degli Aghti combattere con due armi, derivava tutto dal loro campione, Zermon.

-Dimmi, caro amico, vuoi ammirare le cose che ho in vendita?-

-Be' consigliami qualcosa, viaggio da molti giorni.-

Sendovàl schioccò le dita e Drugo portò due oggetti.

Uno erano un paio di stivali neri e lucidi, di grande fattura.

Sendovàl li prese e sorrise osservandoli.

-Ammira, caro amico, stivali provenienti dalla lontana città di Condrova. Sai quanti Duchi hanno indossato questi eleganti stivali? Se li indossi ti sentirai un vero guerriero, te lo assicuro. Stivali simili li aveva indossati il Duca Montares durante la Guerra per usurpare il trono. Certo alla fine ha perso ma resta comunque un grande condottiero.-

-Un condottiero morto. Il Tatuato l'ha decapitato.-

Sendovàl sbuffò.

-Oh e va bene, vedo che il mio caro amico non è interessato a questi stivali di ottima fattura. Allora ti può interessare questo pugnale? Pugnale forgiato nelle grandi fucine di Torrena, città del nostro Tatuato. Questo pugnale, semplicemente sfiorando la gola di un uomo, può ucciderlo. Posso farti un ottimo prezzo!-

-Oh non ho dubbi ma ahimè le mie ricchezze scarseggiano e per quanto tu possa fare un buon prezzo dubito di raggiungere quello che desideri.-

Nonostante gli occhi di Sendovàl tradissero una certa seccatura sorrise nuovamente, mostrando tutti i suoi denti.

-Forse so cosa può interessare a un caro amico come te che non possiede abbastanza pezzi. Marbo, caro, porta qui il ciondolo.-

Marbo lo fece, il ciondolo rappresentava quello che sembrava un dente ma questo, a differenza di quello di legno di Sendovàl, era fatto di roccia.

-Questo, caro amico, è un dente di Gorvashor, staccato dalle terribili fauci di un Elementale della Terra. Sono in stretto contatto con voi Q'uoin, dico bene? Non sono sacri da quello che so ma ce ne sono parecchi lì nella Grande Foresta, eh?-

Questo era interessante. Kanda osservò il dente di Gorvashor e non era di grandi dimensioni, probabilmente apparteneva ad un Gorvashor che non aveva ancora raggiunto la fase adulta, in quel caso metterlo al collo sarebbe stato decisamente stupido. I Gorvashor erano particolarmente legati ai Q'uoin poiché Terra e Foresta sono uniti, ma gli Elementali della Terra non erano considerati sacri perciò portare un dente di quelle bestie non sarebbe stato sacrilego.

E soprattutto quel dente sarebbe stato incredibilmente utile poiché era un essere vivente formato dalla Natura stessa e, dato che Kanda era un Kotash'malann, avrebbe potuto fare cose molto utili con quel dente. Cose che aveva imparando addestrandosi da solo.

-Ecco, questo può interessarmi.-

Sendovàl sorrise malignamente, probabilmente vedeva già il luccichio dei pezzi d'oro.

-Il mio caro amico ha ottimi gusti. Posso farti un prezzo buono, certamente. Direi... cinque pezzi d'oro e due d'argento.-

Ok questo è decisamente troppo. Di questi tempi un solo pezzo d'oro è una fortuna inestimabile.

Kanda sospirò.

-Ahimè non posseggo una simile cifra. Non ti sembra di esagerare? C'è una guerra in corso e ottenere un pezzo d'oro può essere una difficile impresa.-

Sendovàl iniziò a perdere i metodi gentili mostrando un lato decisamente seccato e scontroso.

-Ascolta, sono tempi difficili per tutti, ok? Nella mia patria si vive bene, lo ammetto e ho ottenuto grandi ricchezze ma mi sono messo nei casini e mi sono dovuto allontanare... a tempo indeterminato. Ho perso parecchia della mia fortuna in patria. Il Tatuato sa essere magnanimo ma non è molto tollerante con chi trasgredisce alle sue regole.-

Kanda non era ben disposto ad ascoltare la triste storia di quell'uomo (che ora gli appariva più come un truffatore di Tarpazzi che come un mercante di Aghta)

perciò decise di puntare sul baratto, voleva quel dente.

-Possiamo barattare. Ho con me cose... che potrebbero interessarti.-

-I pezzi sono l'unica cosa che mi interessa.-

Kanda frugò nelle ampie tasche della tunica, cercando qualcosa che potesse interessare a Sendovàl. Nelle due ampie tasche aveva la piccola boccetta con il capello di Ayliss, un vecchio disegno, un elisir di Lunga vita e un altra boccetta piccola con un Elisir falso e la pietra di Aldruin. Sulla schiena portava Shamalash.

Chiaramente la sua spada e la pietra erano escluse dal baratto, il capello di Ayliss pure così come l'Elisir di Lunga Vita.

Già non mi sta particolarmente simpatico, farlo vivere dieci anni in più non mi pare assolutamente il caso. Perciò... l'inganno mi sembra la via migliore.

Ho anch'io diritto di divertirmi, infondo.

Tirò perciò fuori dalla tasca la boccetta fasulla.

-Osserva bene, caro amico- disse Kanda scimmiottando Sendovàl. -Questa è un Elisir di Lunga Vita. È poco, è vero, non ha le dimensioni base di un Elisir. Forse non aggiungerà alla tua vita dieci anni ma... otto o nove sicuramente sì.-

Gli occhi di Sendovàl parvero brillare per un attimo, poi li socchiuse, sospettoso.

-Cosa mi assicura che quella sia un vero Elisir? Non hai pezzi per comprare nulla ma hai un Elisir? Seppur piccolo.-

Kanda, sotto il cappuccio, fece un sorriso furbo.

-Be' diciamo che... non l'ho propriamente comprata, ecco. Sono tempi difficili, no?-

-Oh, non sai quanto.- fece gesto a Kanda di porgergli la boccetta.

Sendovàl la prese, la annusò e la agitò.

-Hai mai visto un Elisir di Lunga Vita prima?- chiese Kanda.

-Be' certo che sì!- disse spavaldo l'Aghti, non ostante i suoi occhi dicessero “Mai prima d'ora.”

-Puoi già berla se vuoi. Per poter testare la veridicità delle mie parole. Un solo sorso. Se fosse veleno come temo tu creda, non ti succederebbe nulla.-

Sendovàl rifletté un po' su cosa fare, poi bevve un lieve sorso e subito i suoi occhi si illuminarono.

-Cielo! Oh per il Dio dei Tizzoni mi sento così... così... bene. Oh... wow... vedo tutto più luminoso e ho bevuto un solo goccio! Caaaazzo amico è.... cioè... wow-

Kanda sorrise soddisfatto mentre quell'idiota si faceva praticamente drogare da quella che era un insieme di erbe, radici essiccate e sciroppi di vario tipo che portavano ad una forte sensazione di euforia, adrenalina e una gran voglia di fare. Sendovàl non lo sapeva ma ora era dipendente da quella bevanda.

Che è effettivamente una droga. Come potrei chiamarla? No Kanda fermati subito, finiresti per dare a una droga il tuo nome parzialmente modificato e sarebbe particolarmente ridicolo.

-Quindi immagino di potermi tenere il dente?-

-Oh tienilo, tienilo. Tieniti quel fottuto affare e levati dai coglioni! Oh cazzo è una bomba!- disse Sendovàl bevendone un sorso più sostanzioso.

Kanda sorrise e si alzò, incamminandosi per la sua strada.

 

Centinaia di anni fa

-Sapete cosa penso? Che prima o poi queste mura cadranno.- disse Meddruk sorseggiando del succo di Lexyn.

-Oh ma vaffanculo Med!- disse seccato Rotmar.

-Andiamo, cerchiamo di essere onesti. Quanti anni sono che le Bestie Nere sono a Ovest? Centinaia? Migliaia? Hanno distrutto quel territorio semplicemente vivendoci, tutte ammassate. Da quanti anni le stiamo combattendo? Molti cazzo, davvero molti. Guardate il vecchio Shorman qui!- disse indicando un Q'uoin dai capelli viola.

-Lui è su queste mura da quanti anni?-

-Trecento.- disse Shorman alzando gli occhi al cielo. Non era la prima volta che Meddruk faceva quei discorsi.

-Ecco! Trecento anni, solo lui. E le Bestie nere sono mai diminuite? No! Anzi sono sempre di più, non finiscono mai. Ecco perché penso che queste mura cadranno, prima o poi. Nulla dura per sempre e quei demoni sono troppi.-

-Nulla dura per sempre?- disse Rotmar divertito. -Amico noi siamo il Popolo Eterno, ti dice niente? Mio padre è vivo da talmente tanto tempo che nemmeno immagini e sai perché? Perché evitava di dire cazzate in momenti simili.-

Eymin annuì. -Già. Pensa a mangiare il tuo cervo e tappati quella boccaccia.-

Kanda sorrise a Eymin.

-Meddruk sì che sa come tirare su il morale eh?-

Eymin scosse la testa.

-È irrecuperabile. Come può dire quelle parole dopo sta mattina?-

Kanda fece spallucce. -Bah, siamo tutti parecchio scossi. Nessuno si aspettava un attacco a quell'ora. Non eravamo pronti. Forse il suo è solo un pessimismo post-attacco. Fa spesso così.-

-Già, l'ho notato. Ma come possiamo pensare di difendere la Foresta se abbiamo guerrieri come lui tra le nostre fila? Non siamo decisi, non abbastanza Kanda. È il nostro popolo che stiamo difendendo. Le nostre famiglie.-

parli con la persona sbagliata, amico mio, pensò Kanda. Non lo disse, ovviamente. Eymin vedeva Kanda come uno dei pochi guerrieri davvero decisi. Se solo avesse saputo la verità.

Kanda non poté fare a meno di stimare il suo amico. Eymin era determinato, fiero, deciso e ligio al dovere. Suo padre, Fendlass K'orvar, era Comandante della Brigata della Foglia ed era uno dei più rinomati soldati di tutta Q'uoian. Chiaramente Eymin aveva seguito le orme del padre e aveva dimostrato di essere il degno figlio di quell'uomo. Voce tonante, sguardo deciso e la capacità di mantenere il controllo anche nelle situazioni peggiori. Decisamente diverso da Kanda. Eymin era deciso e non avrebbe mai abbandonato le mura, nemmeno se le Bestie Nere le avessero abbattute. Eymin era altruista, non combatteva per se stesso, per dimostrare qualcosa alla sua persona. Combatteva per rendere fiera la sua famiglia, per difendere i suoi compagni e per proteggere il suo popolo. Mentre Kanda... voleva solo dimostrare di saperci fare e se le cose fossero andate male sarebbe scappato.

Vicino a Eymin Kanda si sentiva un dannato fallimento vivente, eppure erano diventati molto amici, fin dagli addestramenti prima di essere inviati alle mura. Eymin gli parlava spesso di come suo padre sapesse essere estremamente duro e rigido ma anche generoso e, nonostante non dimostrasse molto spesso l'orgoglio che provava nel vedere suo figlio su quelle mura, Eymin sapeva che era orgoglioso. Gli parlava anche di sua sorella, che aveva una sessantina di anni (che per gli standard Q'uoin era poco), la quale nome era Olyana. Eymin diceva che aveva ereditato i capelli dorati della madre, quel tipo di biondo che tra gli umani nemmeno esisteva, con dei meravigliosi occhi verdi. Kanda non l'aveva mai vista ma le descrizioni di Eymin erano accurate. Andava davvero orgoglioso di sua sorella, per la sua straordinaria bellezza e intelligenza e per il suo sogno di diventare sacerdotessa di Zumtharaan. Kanda desiderava vederla, la differenza di età era di una cinquantina d'anni, niente di insormontabile.

Magari... chissà... potremmo pure sposarci. E diventerei imparentato con una delle famiglie più importanti di Q'uoian. Sì... non sarebbe affatto male, pensava.

E poi si arrabbiava con se stesso, perché non capiva come potesse pensare solo a se stesso in quel modo, senza considerare nemmeno gli altri.

Un egoista egocentrico.

Guardò Eymin e si chiese se, nell'alto del suo egoistico egocentrismo, se le cose fossero andate davvero male lui, Kanda T'mail, sarebbe rimasto a rischiare la vita per salvare il suo amico.

Non seppe darsi una risposta.

 

Era talmente assorto dai suoi pensieri che Kanda non sentì nemmeno i passi dietro di sé, quando si rese conto che c'era qualcuno alle sue spalle ormai era troppo tardi. Sentì un forte dolore alla testa e poi tutto si fece nero.

Vaffanculo a te Kanda e al tuo perderti nei ricordi

 

Si risvegliò probabilmente lontano dalla strada, nel folto di un bosco. Kanda faticava a vedere ma si accorse di essere circondato da piccole tende, adatte per un viaggio. Vide degli uomini. Molti di loro avevano i capelli biondi e gli occhi azzurri e indossavano pesanti pellicce. Alcuni portavano degli orecchini molto semplici, anche sul labbro inferiore o sulle sopracciglia.

Uomini del Nord... non credo siano Holdar, troppo... barbarici.. Possono essere uomini al servizio di un Signore della Guerra o peggio, dei Sepolcrali.

Il dolore alla testa era lancinante.

Aspetta... che sappiano chi sono? Sono... sì, sono legato. Senza cappuccio. Se sapessero che sono un Kotash'malann non mi avrebbero legato eppure... l'avermi colpito così forte alla testa e l'avermi catturato non sono coincidenze. Devono sapere il punto debole di un Kotash'malann, un forte colpo alla testa che ti intontisce. E non mi hanno imbavagliato, che sarebbe stata la scelta più saggia quindi vogliono parlarmi.

Dopo un po' Kanda notò che davanti a lui era seduto, a gambe incrociate, un uomo coperto da una grande pelliccia. Portava un anello attaccato al sopracciglio destro, i suoi occhi erano azzurro cielo e i suoi capelli, che erano una scompigliata zazzera, erano biondi. Sembrava avere una cinquantina d'anni e la sua barba era altrettanto scompigliata come i suoi capelli. Disteso sulle sue gambe incrociate aveva un lungo bastone. Una punta sembrava intagliata per conficcarlo al terreno, quell'altra sembrava invece la cima di un qualche idolo, con punte acuminate su entrambi i lati. Il bastone era interamente ricoperto di strani simboli.

L'uomo sorrise.

-Lieto di vederti sveglio, Sveyarm.-

Sveyarm era il nome che i nordici davano ai Q'uoin, significava “Colorato” che era di certo la prima cosa che saltava all'occhio del suo popolo.

-È proprio vero quello che dicono di voi. Capelli verdi e occhi viola, proprio strano.-

Kanda non aveva la forza per parlare, si sentiva intontito.

-Mi aspettavo delle orecchie a punta però. Sono un po' deluso.-

Quelle sono solo stupidissime favole. Avere le orecchie a punta è assolutamente ridicolo!

-Perdonami per il modo brusco con cui ti abbiamo portato qui ma era necessario. Sì, sapevo della tua identità già da molto tempo, ti stavo seguendo. Sì, so come funzionano i poteri di un Q'uoin, un forte colpo alla testa annulla i vostri poteri per circa... tre ore. Spero che tu ora sia in grado di parlarmi. In ogni caso, credo sia di buon gusto spiegarti dove ci troviamo, vero? Questo è un piccolo accampamento della mia gente, del mio popolo. Presumo tu l'abbia intuito, noi siamo Sepolcrali.-

Fantastico.

-Volete i cinquecento pezzi d'oro?- chiese Kanda con un filo di voce.

-Esattamente. Sono tempi difficili, amico mio. Il mio popolo sta soffrendo, ormai da troppo tempo. La nostra ultima alleanza ha portato solo morte e distruzione in un modo che mai avrei immaginato. Sono dovuto fuggire dalla mia patria e sono venuto qui. Ho portato con me alcuni tra i più abili guerrieri del mio popolo per cercarti. Avevo sentito parlare del Q'uoin fuggitivo, uno dei pochi a essere fuggito dalla Torre dell'Inquisizione. Sulla tua testa pende ancora una taglia di cinquecento pezzi d'oro, nonostante l'orrore di questa guerra l'abbia fatto dimenticare a molti. Cazzo, alcuni nemmeno sanno perché è iniziata questa guerra, lo sai? Ormai tutto è allo sbando. I Celestiali erano scesi dalla loro città per uccidere la Messia ma hanno finito per iniziare una guerra di conquista. Noveria sta ancora cercando la ragazza ma si ritrova circondata in ogni lato ed è pure impegnata ad assediare Aquamar. L'unico che ha la strada spianata è Vurkan, ahimè.-

Kanda si accigliò.

-E il Nord? Vurkan non è alleata col tuo popolo?-

Il volto dell'uomo si fece cupo.

-Era alleata col mio popolo. Tutta l'alleanza è stata una presa in giro, una burla. E io ho avuto parte a tutto il disastro che ne è conseguito.-

-Di che stai parlando?-

Silenzio.

-Dimmi di che stai parlando, uomo del Nord!-

-Icehold è in fiamme.-

Kanda spalancò gli occhi.

-L'alleanza di Vurkan era stata tutto un inganno. Un giorno un uomo minuto e dal sorriso infido, chiamato Penn Gorander, mi raggiunse nella mia città, Iffrith. e volle parlare con me. Mi parlò dei suoi piani e mi fece una promessa, che finalmente il mio popolo, i Sepolcrali, avrebbero potuto professare la loro fede liberi. Per raggiungere questo sogno era però necessario versare sangue. E io accettai, spinto dall'odio che provavo per gli uomini che avevano ucciso la mia famiglia. Compimmo un tentato assassinio di Robert Holdar e della sua famiglia, che però non andò a buon fine. Ma questo credo che permise a Gorander di rafforzare la fiducia che gli Holdar provavano per lui. Gli fui utile, in un certo modo. Poi, finalmente, avvenne ciò che più aspettavo. Gli Holdar vennero uccisi. Ma... a caro prezzo. Gorander non mi aveva detto che Icehold sarebbe stata data alle fiamme e con lei tutto il Nord! Ora il mio regno è ricoperto dalle corazze rosso sangue dei vurkaniani. Nessuna città sfugge alla loro conquista, nemmeno Iffrith.

Sono dovuto scappare e ho ordinato al mio popolo di nascondersi negli antichi Sepolcri, là saranno al sicuro.

Sono il figlio di un regno in fiamme, Sveyarm. E il peggio... è che io ho avuto parte in tutto questo male-

Kanda iniziò a guardare con disprezzo quell'uomo.

Certo, aveva solo voluto salvaguardare il suo popolo, vendicare la sua famiglia e cercato di permettere ai Sepolcrali di praticare il loro credo ma era stato comunque uno stolto.

Smettila di essere così critico, anni fa avresti abbandonato le mura e avresti lasciato morire il tuo popolo solo per salvare la tua dannata pellaccia.

-Perciò... vuoi portarmi dal Grande Inquisitore per poter avere i soldi e aiutare il tuo popolo?-

Lui annuì.

-Mi nasconderò con loro e aspetterò la fine di tutto questo dolore. Poi, con quei cinquecento pezzi d'oro, fonderò un nuovo regno i cui i Sepolcrali potranno vivere liberi.-

Kanda sbuffò.

-Sei convinto che il Grande Inquisitore accetterà il fatto che tu voglia creare un regno in cui un altra religione possa essere praticata? Devo ricordarti ciò che succede ai Luttaniani?-

-Assieme ai cinquecento pezzi d'oro ha promesso che, se a portargli il fuggitivo fosse un uomo fedele a un altra religione, egli sarà libero di praticarla a patto che non disturbi gli interessi di Noveria. So già tutto, sono molto informato, non pensare di ingannarmi.-

Ok, questo non me l'aspettavo. Quindi... pessima situazione.

-Questo è quanto. So che sei in viaggio anche tu per cercare la Messia, l'hai... cresciuta come se fosse una figlia. Capisco che significa. Ho una figlia di sedici anni, figlia della mia seconda moglie. Ha proprio un bel caratterino. Si chiama Astrid, bel nome vero? Nella mia lingua significa Colei che scalda. Ha un significato particolare ma non credo ti interessi saperlo. Quindi ti rispetto, Sveyarm, davvero. Stai compiendo un viaggio irto di pericoli per salvare... tua figlia. Questo lo rispetto. Purtroppo sono proprio io a dover interrompere il tuo viaggio.-

-Lei non è mia figlia.- disse Kanda.

Ed era la verità, per quanto lui l'avesse cresciuta come una figlia e nonostante avesse cercato anche di convincere se stesso di poter essere un padre.

Ayliss non era sua figlia, era la figlia di un Dio che non era nemmeno il suo.

L'uomo non fece molto caso a quella frase.

Kanda si guardò attorno, era davvero un piccolo accampamento. Pochi Sepolcrali, forse una decina.

Kanda guardò il loro capo.

-Dimmi almeno il tuo nome, visto che tu sai così tanto di me.-

L'uomo si alzò e Kanda rimase sbalordito.

Quello era decisamente l'uomo più grande che Kanda avesse mai visto.

-Io sono Harod l'Immenso, Signore di Iffrith e Leader dei Sepolcrali.-

Kanda ammirò quell'uomo in tutta la sua poderosa statura. Immenso era decisamente un termine adatto.

Sotto le pellicce Kanda poteva scorgere un petto degno di un guerriero nordico.

Esistesse un nordico che non abbia un fisico statuario, cazzo.

-Prima dimmi una cosa.-

Harod, che si stava allontanando, si fermo.

-Sei libero di chiedere.-

-Come hai fatto a sapere tutte queste cose di me?-

Harod sorrise.

-Me l'hanno detto degli amici.- disse facendogli l'occhiolino.

Poi si allontanò, andando dai suoi uomini.

 

Harod informò Kanda che si sarebbero diretti a Nibeluria e lo sconforto lo assalì. Lui era fuggito da Nibeluria e ora doveva tornarci?

Si ma ci ero fuggito con ridicola semplicità... me lo sarei dovuto aspettare.

Eppure qualcuno parve udire le sue suppliche.

Poiché, all'improvviso, una nube viole, che sembrava muoversi a comando di qualcuno, colpì in pieno petto un Sepolcrale, sbalzandolo all'indietro e uccidendolo sul colpo. Kanda finalmente vide quanti erano i Sepolcrali. Quindici.

O meglio quattordici.

La nube frustò l'aria e due Sepolcrali vennero quasi divisi a metà da quel colpo spietato.

-Cazzo cos'è? Cosa diavolo è?-

-Non lo so, cazzo!-

Un Sepolcrale venne attaccato da uno stormo di corvi che gli divorarono gli occhi e beccarono senza pietà il viso.

Dal terreno uscirono degli enormi scorpioni che si arrampicarono sul corpo di un sepolcrale terrorizzato che scappò, urlando come un pazzo.

Le vesti di uno presero fuoco e divenne una torcia umana.

-Basta con questa follia! Chi osa!- urlò Harod e sbatté a terra il suo bastone.

I simboli si illuminarono di un intensa luce blu

Oh cazzo, Rune! Sono delle Rune!

-Affrontami da uomo, guerriero della notte! Stregone!

Il bastone ora brillava di luce blu e bianca, ma sembrava che l'accampamento fosse circondato da una fitta coperta di oscurità.

-Kanda riuscì a vedere qualcosa uscire dalle tenebre ma era impossibile vederlo, sembrava solo una sagoma.

La sagoma sprigionò dal suo braccio destro un raggio di energia rosso, un getto di fiamma concentrato.

-Io non ti temo!- il bastone di Harod defletté il raggio e scintille di fuoco svolazzarono ovunque.

Harod ruggì e dalla punta del bastone la luce blu e bianca si lanciò verso la sagoma oscura che defletté il colpo in modo simile a Harod.

Rune di difesa e d'attacco! E io che pensavo non esistesse nemmeno un tale potere!

La sagoma parve ridere divertita, come un essere demoniaco uscito dall'Oblio.

La nube viola circondò Harod, ormai nemmeno badava più gli altri Sepolcrali. Harod sbatté nuovamente il bastone a terra e una bolla bianca lo circondò. La nube spingeva ma non riusciva a penetrare nella barriera.

-Vengo a prenderti!-

Gli stivali di Harod brillarono di luce blu e Kanda vide delle rune anche lì.

Questa poi! Stivali runici! Chissà che fanno.

Poi lo vide.

Harod superò la nube e corse a velocità disumana. Dietro di lui parevano correre delle sue proiezioni fatte di luce blu che seguivano la sua scia. Si lanciò e puntò il bastone contro la sagoma che scomparve e riapparve qualche metro alle sue spalle. La sagoma emanò dell'energia verde, esalazioni pestifere che avrebbero ucciso Harod, ma il suo bastone nuovamente lo difese.

La sagoma mosse la mano e quello che sembrava un grande chiodo nero sfrecciò verso Harod. Egli intercettò il colpo e lo distrusse con un colpo del bastone. Così fece con gli altri tre grandi chiodi.

Kanda osservò la sagoma e vide cosa generava quella magia. Un bastone, abbastanza semplice.

Se non fosse stato per quel teschio inquietante sulla sua punta.

La sagoma puntò il suo bastone verso Harod e la bocca del teschio si aprì. Fulmini neri e viola uscirono dalla bocca morta del teschio e dentro di essa si creò un buco nero. Le foglie, le pietre, anche l'aria, tutto venne assorbito e polverizzato. Anche Harod iniziò a venire trascinato. Puntò il bastone per non farsi risucchiare ma ciò non bastò, venne trascinato ugualmente e il bastone lasciò una lunga striscia sulla terra. Allora Harod si lancio e il bastone runico brillò di un intensa luce bianca. La punta del bastone runico entrò nella bocca del teschio e vi fu un forte scontro di magie.

Da una parte le saette nere e viola della sagoma, dall'altra la luce blu e bianca di Harod.

Kanda osservava a bocca spalancata, sembrava un bambino che vedeva uno spettacolo circense di Tarpazzi.

Uno scontro magico!

Le due magie continuarono a scontrarsi, rilasciando talmente tanta energia da far tremare il terreno. Alla fine la sagoma si allontanò e annullò la sua magia, saltellò verso l'oscurità attorno a loro e tornò ad essere parte di essa. L'oscurità pareva vorticare attorno a loro, come a essere nell'occhio del ciclone. Poi, dall'oscurità, uscirono quattro esseri oscuri, che parevano fatti di inchiostro. Sagome umani, dalle braccia lunghe e senza volti.

-Pensi di impaurirmi, stregone? Io posso portare i Divoratori di Tenebra a combattere!- sbatté il suo bastone e si aggiunsero nuove rune, di un rosso demoniaco.

Quattro cerchi rossi apparvero attorno a Harod e da essi, come se l'Oblio stesso gli avesse rigettati fuori, uscirono quattro corpi.

Kanda notò poi, con terribile orrore, che erano dei cadaveri.

I non-morti, dotati di armature e spade arrugginite, uscirono dai quattro cerci e si alzarono in piedi e urlarono, facendo dei versi molto poco umani. Gli esseri di oscurità li attaccarono ma vennero colpiti dalle spade e divorati da quei morti vivente evocati da Harod. Mangiarono letteralmente l'oscurità e infine, dopo aver finito il pasto, urlarono nuovamente. Il loro urlo, ora, era molto più gutturale. Parevano indossare dei mantelli di oscurità che coprivano un minimo la parte superiore dei loro corpi morti. I loro occhi perdevano oscurità, come se fosse fumo.

-Hai visto? I Divoratori di Tenebra sono dalla mia parte, dannato! Osi ancora sfidarmi! Eh? Oasi ancora metterti contro Harod l'Immenso? Contro Harod il Necromante?-

I Divoratori di Tenebra urlarono con lui, urla stridule e gutturali al tempo stesso.

Harod sbattè per l'ennesima volta il bastone, con entrambe le mani, e sul terreno circondato dall'oscurità apparvero numerose Rune luminose.

Queste presumo siano rune di assorbimento e di epurazione. Allontanano una stregoneria. Oh per Zumtharaan cosa vedono i miei occhi. Cazzo...

Si accorse che stava tremando.

-Se n'è andato. Fottuto Negromante. Ma ora siamo prigionieri della sua oscurità. Ma non per molto... be' ci vorranno giorni, però, per uscire da qui.-

Harod poi guardò Kanda, stupendosi forse nel vederlo così sconvolto.

-Oh, te l'avevo detto no? Ho degli amici.-

 

 

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Capitolo 43
*** Senza amore ***


Capitolo 42

Senza amore

Nodamor passò l'ennesima notte insonne. Erano passati giorni da quando Emakoon era stato ucciso da Rathborn e il Dio del Coraggio aveva deciso di seguire il piano del Dio della Notte, dimostrando grande codardia.

Cercava di ragionare sulla sua scelta, oggettivamente era stata la cosa giusta da fare.

Nel modo sbagliato, ma era la cosa giusta. Eppure le sue notti erano insonni, vedeva gli occhi di Emakoon che lo guardavano sconvolti.

“Perché?” chiedevano. “Perché l'hai fatto? Io ti ho servito fedelmente e tu... mi lasci morire?”

Vedeva quello sguardo appena chiudeva gli occhi e il sonno gli sfuggiva.

Sono il Dio del Coraggio ma ho preferito far uccidere un uomo che affrontare una guerra senza degli importanti aiutanti. Ho avuto paura di perdere le mie truppe... e ho fatto uccidere un innocente.

Ho trovato il coraggio di mentire a tutte quelle persone e infangare la memoria di un amico.

Uscì dalla sua tenda e si guardò attorno. Poche torce illuminavano la quietezza della notte, che sembrava avere forma attorno a lui. La tenda di Rathborn, poco distante dalla sua, sembrava essere circondata da un oscurità ancora maggiore.

Il silenzio era quasi assordante. Si incamminò in silenzio tra le tende dei suoi uomini. Fare rumore sembrava quasi un insulto a quel silenzio, un silenzio che pareva sacro. Il silenzio. Una cosa che aveva imparato ad amare, nei suoi molteplici significati. Si potevano odiare certi silenzi, come quello che fa una persona amata. Quel silenzio che ti lascia vuoto. Ma si poteva anche amare il quieto silenzio della notte che segue una battaglia, quando guardi il tuo corpo e vedi che sie ancora vivo, cammini, respiri, assapori l'aria che entra nei tuoi polmoni e li culla col suo abbraccio. Questo era un silenzio misto. Lo odiava perché quel silenzio gli faceva sentire i suoi pensieri, che lo tenevano sveglio. Ma lo amava, perché era il silenzio dopo una battaglia, un silenzio che gli faceva quasi sembrare che il mondo fosse in pace.

Una dolce bugia, certo, ma la sua dolcezza era così bella che rifiutava di vedere la realtà.

Almeno per quella notte. Si allontanò dall'accampamento e arrivò in una piccola collina, che però gli permetteva di vedere l'intero accampamento. Visto da lì era veramente grande, ormai le sue truppe superavano abbondantemente le centomila unità forse superavano anche le centocinquantamila.

No, quello era impossibile. In molti erano morti. A volte quando guidi le truppe non lo noti, soprattutto se ne esci vincitore. Sei esaltato per la vittoria e noti solo le truppe nemiche morte... ma non vedi tutti i ragazzi che hai fatto morire.

O almeno, ti rifiuti di vederli.

Si volse dall'altra parte e osservò l'immensa piana che si stendeva davanti i suoi occhi. Sembrava così calma, protetta, fuori da quel vortice d'orrore, sofferenza e morte che è la guerra. Si sedette e restò a guardare la piana illuminata dalla luce della luna. Quante volte si era seduto in una collina, con vicino Allyma, ad osservare la bellezza della luna. Ad accarezzarsi, baciarsi e a farsi promesse.

Molte promesse, ben poche mantenute.

Solo una l'ho mantenuta, amarla per sempre.

Ma come potrei non mantenere quella promessa? Basterebbe averci parlato, anche solo per pochi minuti, per capire che questa è l'unica promessa che posso mantenere.

Tutte le altre... be' ormai il tempo era passato e perdersi nei ricordi era inutile.

Poi rise tra sé. Proprio lui pensava questo, lui che si perdeva nei ricordi nel campo di battaglia.

Eppure non sentì amarezza, non sentì quelle odiate lacrime raggiungere i suoi occhi ma anzi si sentì sollevato nel notare come i ricordi della sua amata questa volta gli portarono un senso di gioia e non di tristezza. Si rincuorava nel notare come l'amore per lei era intatto, nonostante la morte li avesse divisi.

Ripensò per un attimo allo sguardo di Emakoon.

Aveva spesso guardato negli occhi un uomo che muore, per i Celestiale era doveroso guardare negli occhi la persona che si ha ucciso. È un segno di rispetto finale verso il proprio nemico, per quanto lo si possa odiare.

Eppure quello sguardo era così... deluso e sconvolto. Aveva sempre odiato gli sguardi delusi.

Quante volte, negli anni in cui era l'odio a guidare la sua lancia, Allyma l'aveva guardato in quel modo. Lui a malapena aveva notato quello sguardo, ci volle la sua morte per farglielo notare. Che tale idiota era stato.

Ma quello sguardo gli aveva ricordato soprattutto lo sguardo di Donthamar, quando tutto era finito.

Erano tempi così distanti, remoti, che quasi sembravano confondersi nei numerosi ricordi della sua lunga vita. Donthamar era decisamente diverso da lui, lo era sempre stato. Rissoso, arrogante, con un autostima praticamente infinita, un ribelle. Aveva sempre rispettato il suo ruolo di Dio del Cambiamento. Aveva sempre avuto chiaro il suo ruolo e aveva sempre puntato in altro, verso cambiamenti che potessero smuovere le cose. Era stato il primo e ultimo dio del cambiamento.

“Tutto cambia, Noda, fidati di me. Se nulla cambiasse non avrebbe senso di esistere, non trovi? Una cosa che rimane tale per sempre è come se fosse morta. Il cambiamento è una cosa positiva... per quanto a volte possa essere brutale e doloroso.”

Il suo desiderio di cambiamento l'aveva spinto in una strada di morte e distruzione che lo aveva cambiato.

Eppure... inizio a pensare che in realtà nulla fosse cambiato per lui. Lui è rimasto sempre lo stesso, fino alla fine, nonostante le atrocità che ha commesso e la morte che ha causato. Forse... sono io ad essere cambiato.

Ripensò alla sua vita.

Era stato un giovane allievo ignaro del suo ruolo di divinità che doveva essere addestrato e passava il tempo a fare cazzate con Attuk.

Era stato un degno amante e aveva dato il suo cuore per la donna che amava.

Era stato un condottiero che aveva avuto la forza di uccidere il suo migliore amico.

Era stato un mostro guidato solo dall'odio, focalizzato solo sull'uccidere.

Era stato un Dio affranto, solo e privo di motivazioni.

E ora era nuovamente un condottiero, in un' ennesima guerra che non avrebbe fatto altro che svuotarlo di tutto ciò che era.

Ora non aveva certezze, non sapeva nemmeno perché stavano conquistando Noveria, non aveva nemmeno contattato Elomer per sapere se era d'accordo con quella scelta. Diamine, nemmeno sapeva se era davvero un Dio del Coraggio.

“Noda ascoltami bene. Il cambiamento ti spinge anche ad essere cose che non vorresti essere, ma quelle cose ti assicuro che sono importanti. Se in futuro tu non diventerai una cosa che odi, forse non riusciresti nemmeno a diventare qualcosa di meglio, mi capisci? I sentieri della vita sono così numerosi, fratello mio. Potresti diventare un mostro ma poi diventare un salvatore. Sono queste le cose che ti segnano, chiaro? Affronta anche le cose brutte, perché ti faranno apprezzare quelle belle ancora di più. E chissà, magari... devi necessariamente diventare un mostro per poter essere un salvatore.”

Iniziava, dopo centinaia di anni, a vedere il vero che celavano quelle parole. Non puoi capire cosa significa essere un salvatore se prima non sei stato un mostro.

Eppure sapeva benissimo di essere stato un mostro... ma in tutti quegli anni non si era nemmeno lontanamente avvicinato ad essere un salvatore.

Eppure quello sguardo... quando Nodamor e Donthamar avevano combattuto in cielo, in sella ai loro Work, lo scontro era stato brutale. Alla fine Nodamor aveva ucciso Qybrun, il Work di Donthamar ed era precipitato ai piedi della Torre d'Avorio. Mentre Nodamor si avvicinava, impassibile, lo sguardo di Donthamar era... sconvolto. I suoi occhi erano spalancati e guardava fisso Nodamor, non capacitandosi di ciò che stava succedendo.

“Non... non è possibile. Fratello! Tu... tu dovresti essere con me... Nodamor...”

Nodamor non aveva detto nulla, l'aveva semplicemente ucciso.

Lo sguardo di Donthamar, alto nel cielo, era fisso sulla Torre d'Avorio, da lui tanto ambita ma mai raggiunta.

Giorni così lontani... eppure solo ora capisco che ho sempre pensato sbagliato. Non era Donthamar ad essere cambiato, ero io.

Eppure Nodamor non aveva mai provato odio per Donthamar, in un tempo estremamente remoto era comunque stato il suo migliore amico, nonostante i numerosi litigi e le risse.

Era talmente assorto da quegli antichi ricordi che nemmeno sentì il melodioso battito d'ali del Work verde che si avvicinava. In sella all'Elementale dell'Aria vi era una Celestiale.

Nodamor quasi non credette ai suoi occhi quando vide Shenshenat la Misericordiosa.

-Shenshenat? Sei davvero tu?-

La Celestiale scese dal suo Work e osservò Nodamor.

Shenshenat indossava una veste verde scuro, che la copriva con armonia, indossava pure una sciarpa di leggerissima seta che proseguiva avvolgendo le sue braccia e pendeva verso le mani. I suoi occhi erano di un verde scuro come non ne esistono in natura, le sue labbra erano linee sottili, la sua pelle, nonostante l'età, era ancora liscia come quella di una ragazza. I suoi capelli erano acconciati in uno chignon. Nodamor si alzò e guardò la vecchia Celestiale.

-Lieta di rivederti, fratello mio.- disse Shenshenat, la sua voce era antica, trasudava saggezza e un intrinseco potere.

-Cosa vuoi Shenshenat? Perché sei qui?- chiese Nodamor. -Ti ha inviato Elomer?-

-No e lo sai. Io sono stata distante, torno in questo vecchia e decadente terra dopo molti anni.-

Nodamor strinse i pugni, lo sapeva fin troppo bene.

-Sei stata a Lysiux, vero?-

Lei annuì.

-Ho voluto passare il resto della mia eterna vita nella terra di Lysandrus, glielo dovevo. Ho visto cos'è diventata la terra fondata dal mio vecchio amico. È un paradiso e un inferno al tempo stesso.-

Nodamor sbuffò.

-Come ogni posto al mondo.-

-Questo è vero.-

Silenzio.

-Provi ancora rancore nei miei conforti?-

Nodamor sorrise beffardo.

-Non hai fatto nulla per smentire i miei pensieri, sorella.-

Shenshenat resse lo sguardo.

Nodamor ricordò ciò che si erano detti, alla fine della Guerra Santa, mentre la Città Volante veniva sollevata dal potere di Elomer.

“È inaccettabile, Nodamor. Noi siamo Dei... come possiamo venire segregati in questo modo? Un tempo eravamo adorati...”

Le parole della Dea della Misericordia erano state dette con un tono così carico di incredulità che Nodamor si era addirittura stupito.

Dopo meno di una settimana passata a vivere in quello che restava di Konderham, Shenshenat aveva affrontato una profonda crisi che l'aveva spinta a lasciare i suoi fratelli.

Con lei se n'erano andati altri Celestiali ma a Nodamor non era importato molto. Shenshenat invece era un altro discorso.

“Questa non è la nostra casa. Io mi sento sporca solo a vivere in questo posto, non è che un pezzo di una grande città. Questo è tutto ciò che resta, Nodamor. Un pezzo... di qualcosa che un tempo era immenso. Proprio come noi, no? Non siamo che pezzi... di una cosa che un tempo era immensa. Addio, fratello.”

E poi, con un sospiro, se n'era andata.

-Sono passati duecento anni.- disse lui.

-Lo so.-

-Con quale coraggio ti mostri al mio cospetto, Shenshenat?-

-A Lysiux è giunta voce di ciò che sta succedendo qui.-

-E con ciò? Sei venuta... ad aiutare? Lo trovo improbabile.-

-A modo mio voglio farlo.-

-A modo tuo? Intendi scappando? Allora vai, fai come hai sempre fatto, piccola sgualdrina.- disse Nodamor con rabbia.

Shenshenat non si scompose.

-Capisco la tua rabbia.-

-La capisci? Ah sì?- fece un verso di scherno. -Cosa vuoi saperne tu, bastarda! Cosa vuoi saperne?! In quanti mi hanno aiutato a guerra finita? In quanti si sono fatti avanti? Solo uno! Athamor! E nonostante la tensione che c'è tra noi due in questo momento è l'unico che posso considerare mio amico. Tu non sei niente! E arrivi un po' troppo tardi. Avevo bisogno del tuo aiuto duecento anni fa, dannata egoista!- si ritrovò ad urlare. La rabbia aveva preso il sopravvento, non l'avrebbe immaginato.

-Nodamor, io...-

-Tu eri la sua migliore amica.-

Calò il silenzio.

Prima o poi doveva venire fuori.

Shenshenat era stata la migliore amica di Allyma da quando Nodamor aveva memoria. Shenshenat era molto più vecchia di loro ma Allyma l'aveva subito conquistata.

Come si poteva resistere alla mia Ally? Era perfetta.

-Io ero a pezzi, mi capisci? No... come puoi? Avevo perso per sempre un pezzo del mio cuore, il pezzo più importante. Ero spezzato. E sai una cosa? Non sono ancora riuscito a riforgiarmi. Nessuno può essere riforgiato... nemmeno un Dio. Ho dovuto prendere tutti i pezzi sparsi per terra, Shenshenat, e cercare di ricostruire una città in cui i nostri Discepoli potessero vivere. Ho sudato migliaia di camicie e ho versato infinite lacrime. E sai perché? Perché era quello che lei avrebbe voluto. Ma ero a pezzi, uno straccio, un vegetale che però continuava a lottare. E tu? Tu dov'eri, vecchia amica? A fare quello che hai sempre fatto, immagino! Nulla! Assolutamente nulla che non fosse sporcare ancora di più questo fottutissimo mondo con la tua sola presenza!-

Il silenzio si fece terribilmente pesante.

Shenshenat non disse nulla.

Nodamor sospirò.

Sembri un ragazzino.

-Avevo bisogno di te, Shenshenat.-

Nodamor stava facendo una cosa che raramente aveva fatto.

Stava mostrando la sua debolezza, stava togliendo la sua armatura. Nodamor era dio del coraggio, era un simbolo per tutti gli uomini, e in quel momento stava ammettendo... di aver avuto paura.

Paura di tutto quello che il futuro gli avrebbe riservato, perché era solo. Non aveva più i suoi amici e la sua amata. Era solo. E aveva avuto paura.

Aveva ancora paura.

Shenshenat si prese il suo tempo prima di rispondere, poi disse: -Sai perché me ne sono andata? Non era solo per i motivi che ti dissi quel giorno. Ma anche per altri. Per un altro. In ogni luogo, ogni via, ogni casa, ogni torre... io vedevo Allyma. Vedevo il suo sorriso meraviglioso, sentivo la sua risata, sentivo il suo profumo di mille fiori. Era... troppo doloroso, Nodamor. Troppo. Era un perenne ricordo, era come se ogni cosa mi dicesse “lei era qui e ora non c'è più” Non potevo sopportarlo. Non potevo e basta. Ti ho lasciato solo, lo so, è stato sbagliato. Ma sarei morta, lì. Sarei morta.-

-Allora saresti dovuta morire.-

Si pentì subito di quelle parole. Erano sbagliate, Shenshenat aveva provato il suo stesso dolore.

NO! Non era lo stesso. Allyma era la donna che amavo. Lei era il mio sole e la mia luna.

Ma Nodamor non poteva sopportare la vista di quella Celestiale.

-Immagino che la mia presenza non sia necessaria, allora. Lascia che ti dica qualcosa però, Dio del Coraggio. E poi giuro che non mi vedrai mai più.-

-Allora parla in fretta.-

Shenshenat accarezzò dolcemente il suo Work.

-Io ti ho praticamente visto crescere. Ti ho visto quand'eri appena nato dai Cieli ed eri nel Campo d'Addestramento, che desideravi così ardentemente essere il Dio adatto al tuo ruolo! Ti ho visto appena sei uscito da quel Campo e hai preso le redini del tuo ruolo da Dio con una forza che raramente ho notato. Ti ho visto lottare contro nemici che molti avrebbero considerato imbattibili. Ti ho visto uccidere un Gorvashor usando solo la forza delle tue giovani braccia. Poi, quando Donthamar ci ha traditi, ti ho visto mettere da parte l'amicizia per il bene comune e hai nascosto dentro di te tutto il dolore che hai provato. Ti ho visto prendere il comando di tutto il nostro esercito durante la Guerra Santa e ti ho visto perdere tutto. Ti ho visto cambiare profondamente. Ti ho visto perdere le tue speranze, i tuoi sogni. Ti ho visto diventare una cosa che nemmeno tu avresti mai voluto essere. Poi ti ho visto affranto, disilluso, dubbioso.

Ma una parte di te io non ho mai visto... la parte che si rialza dopo essere caduta, che decide di essere di più di ciò che è, di ciò che è stato. Noi possiamo essere tutto ciò che vogliamo, amico mio. Tu sei stato tante cose... ma sei mai stato un salvatore?-

Nodamor sospirò. -Durante le guerre che ho combattuto ho salvato molte vite.-

-Questo è diverso, fratello. Salvare delle vite come mostro non è salvare davvero. Salvarle come un salvatore è tutt'altra storia. Un giorno capirai, Nodamor il Valoroso, Dio del Coraggio e figlio dei Cieli.-

Nodamor non perse nemmeno tempo a riflettere su quelle parole. Non gli importava nulla!

-Ora va via. Vattene via, Shenshenat, e non farti mai più vedere.-

Shenshenat annuì in modo impercettibile, salì in sella al suo Work e volò via.

Mentre volava via Nodamor sentì le lacrime raggiungere i suoi occhi. Si sedette, guardando il sole sorgere.

E provando quel dolore, sentendosi improvvisamente così solo e impaurito, si sentì terribilmente umano.

 

-Non avrei mai pensato che sarebbe potuto succedere.- mormorò Eshelyn affranta.

Nodamor cercò di ignorare quelle parole, mentre osservava l'esercito smontare le tende per un giorno di marcia verso Homana. Quel giorno avrebbe dovuto avvertire Elomer della loro scelta di interrompere la ricerca della ragazza. Homana era a Nord, a tre giorni di marcia. Aveva già inviato un migliaio di Discepoli e dai messaggi che aveva ricevuto erano entrati senza ricorrere alla violenza e avevano iniziato a predicare il Credo Celestiale. Nodamor puntava a conquistare la città, magari senza ricorrere alla violenza. Homana era una grande città, molto più grande e ricca di Sharkar. Quella poteva essere un ottima base per le loro operazioni.

-Emakoon era un grande uomo. Vendicheremo la sua morte. I Noveriani avranno quello che si meritano.-

Eshelyn strinse i pugni. -Tutto questo odio. Cosa aveva fatto Emakoon per meritare la morte? Era così buono! E dolce... mi diceva sempre che ero bella e gli ricordavo sua figlia.-

Nodamor sentì il cuore stringersi.

Cosa aveva fatto per meritare di morire? Si era messo in mezzo ai nostri piani, immagino...

-Quindi marceremo verso Homana?-

Nodamor annuì.

-Homana è una grande città, dobbiamo smetterla di essere nomadi.- disse con disprezzo.

Devan si avvicinò a loro e salutò con reverenza il suo Dio. Poi fece un cenno a Eshelyn e lei arrossì, ma appena guardò Nodamor parve quasi pentirsi di quel rossore.

Ma perché? Che cosa vuoi da me, cazzo, io non ti amo!

-I preparativi sono a buon punto, Vostra Altitudine. Ho parlato con Garydorr nelle ultime ore.-

-E?-

-E Sua Altitudine Garydorr è davvero quello di cui avevamo bisogno. È gioviale e allegro, sa tirare su il morale con qualche battuta e gli uomini sembrano adorarlo.-

Nodamor guardò verso il Dio del Tuono, che scherzava allegramente con dei Ferventi. Già, avevano bisogno di Garydorr. Nodamor, Athamor e Rathborn erano ben distanti dall'idea di giovialità. Forse Marxal sarebbe stato all'altezza.

Marxal... Nodamor non pensava a lui da molto. Era passato molto tempo dalla sua morte, non erano nemmeno andati a recuperare il corpo. Era rimasto lì, non si sa dove, a marcire e a venir mangiato dai corvi. Quel giovane io... quel Kalad l'aveva ucciso.

Nodamor fremeva dalla voglia di incontrare quel Kalad e combatterlo. Riusciva a sentirsi orgoglioso di lui (nonostante non volesse esserlo, ma era lo svantaggio di rappresentare il coraggio degli uomini) per il suo coraggio indomito. Quell'uomo stava letteralmente fuggendo da un intero continente per difendere ciò che riteneva più importante.

Merita rispetto quel Kalad, nonostante le parole ingiuriose che ho usato su di lui.

-Mio signore avete udito le notizie provenienti dal Nord?- chiese Eshelyn, la sua voce tradiva una forte tristezza.

-Sì. Una tragica notizia. La dinastia Holdar era antica quanto le pietre delle sue montagne innevate. Una dura perdita. Ma se la guardiamo dal nostro punto di vista è un vantaggio, un nemico in meno da lottare. Le mire espansionistiche del Nord e di Vurkan si sarebbero presto dirette verso Noveria, il nostro territorio. Ora restano solo i Vurkaniani, meglio avere meno nemici... ne abbiamo già abbastanza.-

Eshelyn annuì. -Questo è vero ma... distruggere Icehold. Metterla a ferro e fuoco, uccidere tutti i suoi abitanti... anche i bambini. È mostruoso!-

-È la guerra, mia cara.- disse una cupa ma al tempo stesso suadente. Rathborn si avvicinò con un sorriso cupo stampato sul volto.

Devan si irrigidì subito.

Nodamor aveva notato la rigidezza di Devan verso Rathborn, chiaramente lo rispettava, era pur sempre un suo Dio, ma era palpabile la paura che Devan provava per Rathborn. A dire il vero tutti erano impauriti da Rathborn ma quello era naturale, la notte, le ombre, il buio, erano tutte cose che facevano paura alle persone.

-Triste faccenda, la guerra. Spinge gli uomini a fare brutte cose. Modestamente ho fatto i miei malanni ancor prima di usare la guerra come scusa per sfogare la mia parte sadica, a differenza di certa gente.-

Nodamor strinse i pugni.

Rathborn guardò Eshelyn, inchiodandola con quegli occhi chiari come nessun altra cosa al mondo.

-E poi ricorda questo, Fannir III disse “una città non necessita di essere abbellita. Poiché quando verrà assediata e data alle fiamme, cosa che succederà ad ogni città di questo mondo, il popolo non si tratterrà nell'andarsene. Nulla, in quella città, deve essere fonte di affetto per il popolo”. È un duro insegnamento di vita, ma è la verità. Nessun insegnamento è privo di dolore, cara. O meglio, nessun insegnamento che valga la pena di essere seguito.-

Poi guardò Nodamor, e gli occhi azzurri e gli occhi grigi si incrociarono.

-Sai, cara, Kyshan subì lo stesso destino, una ricca città a Est di Noveria. Durante la Guerra Santa un Celestiale ordinò di raderla al suolo. Non venne risparmiato nessuno, nemmeno i vecchi e i bambini. Vennero tutti passati a fil di spada. I signori della città vennero impiccati, tutta la famiglia del lord. Le fiamme della città erano visibili nel buio della notte. Avresti dovuto vedere gli occhi dei noveriani, erano terrorizzati... avevano paura di noi. Dei Falsi Dei. E di quel Celestiale che aveva ordinato quel massacro.-

Nodamor sentì un gelo terribile attanagliargli le viscere.

I ricordi giunsero all'improvviso.

Vedeva occhi imploranti, sentiva preghiere, fiutava odore di sangue.

Ma ciò lo aveva fermato? No... non l'aveva fatto.

“Spero vivamente che il dolore non offuschi la tua mente, Valoroso. So le cazzate che il dolore ti può portare a fare.” aveva detto Rathborn. Indossava la sua tunica corazzata nera come la notte. Le mura di Kyshan erano a pochi metri.

Nodamor non aveva detto nulla, fissava semplicemente quelle mura, ancora intatte.

Rathborn aveva sbuffato.

“Guarda i tuoi occhi, Valoroso. Sei davvero tu?”

“Tu segui semplicemente i miei ordini e taci.”

Rathborn era stato zitto per una manciata di secondi, poi la sua bocca si era distorta in un ghigno. Aveva afferrato la sua lancia.

“Farò quello che dici, Comandante. Farò ciò che hai ordinato. Ma poi non azzardarti a criticare nuovamente i miei metodi, dannato arrogante. Farò tutta la merda che hai ordinato ma poi, Nodamor, spero tu la smetta di guardare gli altri con quello sguardo saccente. E spero tu la smetta di nasconderti dietro quella facciata di Dio onorevole.”

E poco prima di salire in sella a Noktuah, il suo Work, aveva detto: “Nodamor?”

Lui si era voltato e finalmente aveva smesso di fissare quelle mura.

“Tu sei un mostro. Esattamente come me.”

Nodamor continuò a guardare Rathborn e parve quasi che quel sorriso si stesse allargando. Era come se Rathborn avesse letto nella sua mente.

Nodamor cercò di reggere lo sguardo il più possibile ma poi quegli occhi gelidi divennero insopportabili e distolse lo sguardo.

Rathborn è l'unica persona al mondo con cui fatico a reggere lo sguardo. È come... come se mi facesse paura.

Eshelyn guardò Nodamor e socchiuse gli occhi.

Sapeva la storia, no? Oppure non sapeva nulla?

Merda.

-È la verità? Avevo sentito delle storie ma non ho mai creduto a una parola.-

Nodamor esitò.

Lo sguardo di Eshelyn sembrava così duro... anzi no, era esattamente così duro. Sembrava fatto di roccia.

Il Dio della Notte osservava, divertito.

-Mio signore i preparativi sono quasi terminati, è questione di poche ore.- disse Devan. L'aveva chiaramente fatto apposta. Lui era chiaramente più informato e sapeva tutto, ragazzo sveglio.

Nodamor continuò a guardare Eshelyn, cercando di non sentirsi minuscolo davanti a quello sguardo.

-Va bene Devan.- disse e si allontanò.

 

-La nostra direzione è Homana. La città è grande ma ha scarse difese ed è stata notevolmente indebolita grazie ai tumulti che i nostri Discepoli hanno provocato.- disse Nodamor.

Attorno a lui c'erano Garydorr, Rathborn e Athamor. Devan era come sempre a fianco di Nodamor.

-Athamor mi ha informato della tua intenzione di dividere l'esercito. È una scelta saggia ma ora come ora credo possa peggiorare la situazione. Dobbiamo stare uniti. Siamo minacciati da troppi punti. Vurkan e Noveria sono nemici potenti e l'ultima volta che avete diviso l'esercito avete rischiato di farvelo spazzar via, se non fosse stato per l'intervento mio e di Rathborn.- disse Garydorr.

Nodamor ci rifletté.

L'idea di dividere l'esercito era sembrata buona prima ma ora... sì, era meglio restare uniti. Certo una parte dell'esercito poteva andare al comando di Garydorr ma sei lui stesso aveva optato per restare uniti era di certo la scelta migliore.

Nodamor annuì.

-Hai ragione Garydorr, ora che Vurkan controlla parte del Nord subiremo un attacco congiunto da Nord e da Est, senza escludere Noveria, questo è pur sempre il suo territorio. Dobbiamo mantenere il controllo dell'Ovest e l'entroterra, il Sud è da escludere, l'influenza di Nibeluria è grande.-

Tutti furono d'accordo.

Athamor si fece avanti.

-Riceviamo numerosi rapporti da Sharkar. La città sta avendo un aumento di abitanti impressionante, grazie soprattutto al nostro stendardo che sventola sulla città. È stata un ottima scelta conquistarla, il commercio lì è fiorente e possiamo rifornirci di legname, cibo e altro. Basterà caricare qualche Work con gli approvvigionamenti e giungeranno a noi in brevissimo tempo. Il problema è che gli Inquisitori stanno minacciando la città e quel Gayorn sembra fermamente intenzionato a riprendersi la città in cui predicava o meglio, farneticava. Ha stabilito un avamposto poco distante dalla città. Gli abitanti sono impauriti e gli Inquisitori non sono pochi, Nodamor. Sharkar è una piccola città è vero, non aveva nemmeno un Lord, ma è ricca e abbiamo bisogno di Sharkar per dare da mangiare al nostro esercito. E per costruire armi d'assedio e chissà che altro.-

Benissimo, ci mancava solo quel vecchio coglione di Gayorn a infastidirmi.

Nodamor sospirò.

-Se le pressioni di Gayorn diventeranno eccessive invierò delle truppe. La seduta è conclusa.-

Mentre uscivano dalla tenda Athamor si avvicinò abbastanza da sussurrargli all'orecchio.

-Io e te dobbiamo parlare, sta sera.-

Ecco, aggiungiamo pure questo.

Nodamor annuì e Athamor si dileguò.

Devan si schiarì la voce e si rivolse a Nodamor.

-Io so cosa accadde a Kyshan, mio signore. Non ho motivo di accusare il mio Dio per ciò che accadde quel giorno, eravate distrutto, lo so. Avevate perso così tanti amici... il dolore vi ha fatto commettere errori. Tutti sbagliamo. Voi siete un Dio misericordioso.-

Nodamor rimase stupito da quelle parole.

-Lo credi davvero?-

Lui annuì.

Sì, aveva perso ogni cosa. Quando Kyshan venne rasa al suolo Allyma era morta da soli tre giorni. Ma questo giustificava davvero un massacro?

-In guerra non c'è posto per la misericordia, Devan.-

 

Il cristallo brillò di luce verde e apparve la figura luminosa di Elomer il Superiore. L'Olokronion permetteva di entrare in contatto diretto, nonostante la distanza. Magia Celestiale.

-Vostra Altissima Eccellenza Celestiale.- disse Nodamor inchinandosi.

-Alzati, Nodamor, non servono tutti questi fronzoli, lo sai.- disse la vecchia voce di Elomer. Sembrava ancora più vecchio dall'ultima volta che si erano visti.

-A quale scopo mi hai chiamato, Valoroso?-

-Per informarti degli sviluppi, ho notizie importanti.-

-Allora parla.-

Nodamor prese un lungo respiro.

Sperava che la scelta di non cercare più la Messia non facesse infuriare Elomer. Negli anni passati aveva dimostrato ben poca pazienza, soprattutto con chi osava disubbidire ai suoi ordini.

Nodamor lo informò.

Il sospiro di Elomer fu lungo, più del dovuto.

-Capisco. Col tempo ho imparato... ad adeguarmi, amico mio. Uccidere la Messia sarebbe stato un atto che avrebbe gettato nel più totale sconforto i nostri nemici, ma anche conquistare il loro regno è un ottima cosa. Sarà un impresa ardua, Valoroso. Noveria è grande quanto Zarkan, Travian e i Piccoli Regni messi assieme. È un territorio vasto.-

Nodamor annuì.

-Sarà una cosa molto lunga, ma punto a fare qualcosa di grande... per quello che vale.-

Elomer lo osservò socchiudendo gli occhi.

-Tu non ci credi, vero?-

-No.-

Elomer annuì.

-Lo immaginavo.-

Nodamor osservo il Superiore e lo vide... così incredibilmente vecchio. Sembrava avere duecento anni in più.

-Trova qualcosa che ti spinga a lottare, vecchio amico. Fallo anche per me.- disse Elomer con voce roca.

Nodamor osservò il Celestiale che aveva difeso gli uomini durante il Grande Gelo e che aveva guardato negli occhi Silgvander, senza provare timore. Colui che aveva difeso Konderham dalla furia degli Spettri di Ghiaccio.

-Sei davvero invecchiato, vecchio mio.-

Lui sorrise tristemente.

-Oh... lo so.-

 

Stava guardando i Discepoli che sbaraccavano le zone di addestramento quando si avvicinò Eshelyn.

Aggiungiamo un'altra cosa.

-È vero.- disse subito lui e lei parve colpita in pieno petto da un pugno.

-Tutto quello che Rathborn ha detto è vero. Diedi l'ordine di uccidere tutti, anche i bambini. L'ho fatto.-

Il volto di Eshelyn divenne rosso come un pomodoro.

-Ma... un Dio non dovrebbe ordinare atti tanto crudeli!-

Nodamor tacque.

-Nulla può giustificare una cosa simile! I Celestiali dovrebbero essere migliori, dovrebbero essere perfetti! Questo non è perfetto, questo è impuro! È orribile!-

Nodamor ringhiò di rabbia e parve diventare più alto di svariati metri.

-Taci, dannazione! Vuoi forse giudicarmi, donna? Vuoi giudicare il tuo Dio? Sono stanco di essere giudicato da voi umani! Chi diavolo vi credete di essere? Io ero vivo quando voi piccoli insetti eravate ancora attaccati ai vostri inutili tesori terreni! Io ero vivo quando voi scimmie sguazzavate nel fango dopo il Grande Gelo! Come osate voi giudicare me, il vostro Dio?!-

Il silenzio che calò fu pesante come un incudine, se non di più.

Prima Athamor, poi Irash, poi ancora Shenshenat... e ora pure lei?

Ma che ti prende, Noda? Sembri pazzo. Datti una calmata, lei non merita questo. Ti sei già fatto vedere come privo di misericordia, cerca di non farti vedere privo di controllo.

Nodamor sospirò.

-Non ti augurerò mai di passare quello che ho passato io, Eshelyn. Certe cose possono lasciare delle cicatrici... cicatrici che non se ne andranno mai. Sono stato un mostro. Ho fatto cose di cui altri hanno paura di parlare. Ma ti assicuro... ti assicuro che non c'è giorno in cui non mi penti di ciò che ho fatto. Questo non cambia le cose... ma è la verità.-

Eshelyn lo guardò e Nodamor affogò in quegli occhi.

-Non dovete dirmi questo, Mio Signore. Sono stata io a sbagliare.-

Nodamor scosse la testa.

-So ammettere i miei errori.-

Lei rise divertita e Nodamor aggrottò la fronte.

-Questo rende incredibile la nostra religione. Un fedele della Suprema Rivelazione non può parlare col suo Supremo... io posso arrabbiarmi col mio stesso Dio!- e rise ancora più forte.

Nodamor notò l'assurdità della situazione e rise anche lui.

E per un attimo gli parve di essere tornato in cima alla torre di Konderham, a ridere assieme ad Allyma.

 

Calò la notte e come stabilito Nodamor entrò nella tenda di Athamor.

Athamor stava leggendo un polveroso tomo. La caduta di Mael Shenar

Nodamor conosceva quell'antichissimo racconto, era la prima cosa che gli insegnarono nel Campo. La leggenda di Raod e della Falsa Guerra.

Athamor alzò lo sguardo e guardò Nodamor.

-Mi hai chiamato.-

-Oh me lo ricordo.-

Nodamor si sedette e restò ad osservare Athamor che aveva appena chiuso il pesante tomo.

-Sono preoccupato, Nodamor.-

-Per cosa?-

-Per te. Per quello che prova il tuo cuore.-

Nodamor si accigliò.

-Ho visto come la guardi. La guardi con gli occhi di uno che ha disperato bisogno di essere amato. Ed è normale, amico mio. Tutti vogliamo essere amati. Ma ci sono dei limiti, ci sono delle leggi.-

Nodamor mostrò i denti.

-Non immischiarti, vecchio bastardo! Pensi davvero che io ami Eshelyn? Non dire sciocchezze.-

Athamor sospirò.

-Perché neghi? Io l'ho capito.-

-Tu pensi di capire molte cose.-

-In queste cose ho un occhio attento.-

-Sta zitto.-

-Nodamor...-

-Sta zitto!-

Athamor indurì lo sguardo.

Nodamor sbuffò.

-Io ho perso con Allyma la capacità di amare.-

Athamor annuì.

-Oh, lo so. Ma il cuore di un uomo non è solo un organo. È una forza potente quanto una lancia. Un cuore ha bisogno di essere amato e ha disperato bisogno di amare, è così che trae forza. È la sua energia. L'amore è l'energia del nostro cuore. E per quanto tu possa ostinarti a negare, cocciuto come sei, non puoi impedire al tuo cuore di amare.-

Nodamor rispose con voce cupa.

-Ma sarebbe solo una pallida imitazione.-

-Ma è così che funziona il cuore.-

Tacque.

-Ma, Nodamor, ci sono cose che non possono essere fatte. Devo ricordarti di Raod?-

-So già tutto, Athamor.-

-Oh non credo proprio. Narrami la sua storia.-

-Athamor...-

-Fallo.-

Nodamor sbatté forte un piede per terra.

-Come vuoi. Raod nella nostra lingua significa Falso. Nacque dal rapporto proibito tra Shaladan, uno degli Dei della Guerra, e un'umana. Raod era un Mezzosangue e dentro di sé deteneva i poteri di un Celestiale corrotti però dal tocco umano. Ciò porto ad una corruzione corporea che amplificò a dismisura i suoi poteri. Il tutto sarebbe stato positivo se non fosse che l'indole di Raod era meschina e crudele. Subito usando i suoi poteri ammaliò la mente delle persone creando un immenso esercito per conquistare i Cieli, dato che a quel tempo vivevamo ancora nella nostra antica dimora e i Dragoni Celesti non si erano destati dal loro sonno. Raod attaccò una delle città dei cieli, Mael Shenar, e la distrusse.

Raggiunse le mura della Konderham dei cieli ma Elosan lo distrusse scatenando su di lui la furia dei Cieli. Da quel giorno venne proibito ad ogni Celestiale di concepire un figlio con sangue umano, porta solo morte e falsità.-

Athamor annuì e batté la mano sul tomo.

-Esattamente. Venne vietato anche l'amore per un essere umano.-

-Athamor...-

-No, Nodamor, non voglio ascoltare. So che è difficile comandare il proprio cuore ma tu devi importi di non amare quella donna!-

Nodamor sentì la rabbia salire vertiginosamente.

-Smettila! Fai tanti discorsi sull'amore tu ma cosa vuoi saperne? Cosa vuoi saperne?! Tu non sai cosa significa perdere l'amore della propria vita, perdere la persona con cui desideravi passare tutta la vita! Tu non sai cosa significa vederla morire tra le proprie braccia e sentirsi totalmente impotenti!-

Athamor si alzò furibondo.

-Smettila di crederti unico al mondo, dannazione! Falla finita, scendi da quel piedistallo di dolore che ti sei creato! Pensi di aver perso l'amore solo tu? Io sono l'unico qui che ti capisce perché io ho passato lo stesso! Conoscevi Kanyma la Buona? La Dea della Bontà? Io l'amavo! L'amavo come poche altre persone hanno fatto nella loro vita ma durante la Guerra Santa la persi! Eravamo in un forte e un colpo di catapulta abbatté il muro. Quando il fumo si diradò cercai il suo corpo ed era sotto un grumo di macerie. Cercai di liberarla ma nonostante fossi un Dio non ero abbastanza forte! E lei morì, morì col sorriso sulle labbra, Nodamor, dicendomi che andava tutto bene. Sorrideva! Io mi sentì perso nel vuoto, come un viandante nel deserto. E sentì il mio cuore spezzarsi. E ti assicuro che io ho provato con tutto me stesso ad amare ancora, ma non ci sono mai riuscito! Quindi... io ti invidio, Nodamor. Ma ci sono delle leggi.-

Nodamor rimase a bocca aperta.

Athamor... oh per i Cieli! Come sono stato egoista. Ho pensato esclusivamente al mio dolore, per tutti questi anni. Athamor ha sofferto tanto quanto me. E anche Shenshenat.

-Athamor io...- non trovò le parole e la sua gola divenne arida.

-Ma... ma chi voglio prendere in giro. Io... io ti invidio! Vorrei riuscire ad amare. Vorrei trovare una persona che mi ricordi Kanyma ma... dove? Dove?!-

Athamor venne scosso da potenti singhiozzi.

Nodamor si avvicinò immediatamente e lo abbraccio.

-Tranquillo, amico mio. Tranquillo.-

-Mi manca così tanto, Nodamor. Non riesco a vivere senza di lei. Non ci riesco.-

Non ci riesco.

-Lo so, amico mio. Lo so.-

Nodamor strinse il più possibile il suo amico, come se avesse paura che potesse volare via.

E si rese conto che Athamor era il suo unico amico rimasto.

 

Il giorno dopo partirono e raggiunsero Homana. Le mura della città erano imponenti e subito si notò la differenza tra Sharkar e una grande città.

La bandiera porpora dell'inquisizione sventolava fiera nel palazzo del Lord, che si trovava sopra un colle. Homana era famosa per il suo palazzo costruito in cima al colle che dava una posizione strategica eccellente.

Mano a mano che Nodamor si avvicinava intravide qualcosa nelle mura, qualcosa di indistinto ma quando capì cos'era fermò le sue truppe.

Rathborn si avvicinò e sorrise deliziato.

-Oh oh oh... questa poi.-

Nodamor chiuse gli occhi e sospirò, cercando di mantenere la calma, sentendo la mano di Athamor che si posava sulla sua spalla.

Lungo tutte le mura c'erano i corpi di svariati Discepoli impiccati.

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Capitolo 44
*** L'ombra di un folle ***


Capitolo 43

L'ombra di un folle

Thomas si alzò per sgranchirsi le gambe. Era seduto attorno a quel fuoco da troppo tempo ed era terribilmente annoiato. In quei giorni avevano combattuto diverse schermaglie contro Discepoli Celestiali e altri soldati che Thomas non era riuscito a riconoscere. Nel campo era diventato particolarmente famoso dopo i fatti della Battaglia del Bosco in Fiamme e ora doveva fare i conti con la nuova fama. Spesso, camminando nel campo, vedeva soldati guardarlo con ammirazione. Non che avesse fatto chissà che cosa, aveva semplicemente ammazzato un nordico in fuga. Ma quel nordico era importante e questo l'aveva reso famoso, c'era chi lo chiama Freccia Nera oppure Arciere Cupo o Fosco Arciere.

Nomi ridicoli, non li sentiva nemmeno suoi. Lui non voleva essere famoso, non voleva essere il centro dei discorsi dei suoi compagni. Non voleva essere un bel niente.

Ma forse a volte ci si ritrova al centro di cose che non vorresti... vero Kal?

Ma subito si rese conto che sbagliava, Kalad aveva le idee ben chiare. Kalad aveva preso tutti i nomi che gli erano stati dati e li aveva resi suoi, li aveva usati come un armatura. Diamine, alcuni li aveva inventati lui stesso.

Ricordava gli anni passati con lui nell'Inquisizione. Kalad era ligio al dovere, raramente metteva in discussione gli ordini se non in qualche occasione in cui la follia di Atras prendeva il sopravvento.

Anche se devo dire che in questi giorni Atras sta dando il meglio di sé.

Ma Kalad era andato contro la sua società, aveva voluto cambiare le cose. E ci stava riuscendo.

A differenza tua, Thom. Che te ne stai qui a seguire gli ordini.

 

Stava migliorando ogni giorno, la sua precisione era davvero ottima. Quando si allenava a tirare con l'arco una grande folla lo circondava.

-Vai così, Nibeluria! Siamo della stessa città io e te sai? Siamo della capitale, gente!- disse un soldato che Thomas non aveva mai nemmeno visto da ragazzino.

-Certo io ero del Distretto dei Valori ma siamo della stessa città!-

Distretto dei Valori uguale una famiglia facoltosa e con la puzza sotto il naso. La peggior feccia per Thomas.

Nel mentre si allenava vide Petros appoggiarsi comodamente ad uno dei bersagli inutilizzati, guardava Thomas soddisfatto. Thomas aveva sentito le voci che vedevano Petros come molto soddisfatto dell'Arciere Cupo. Questo riempiva d'orgoglio Thomas poiché Petros era uno dei pochi soldati Inquisitori degno di rispetto, un uomo tutto d'un pezzo a cui era stato affidato il controllo di un grande esercito. Certo Petrus doveva comunque rispondere ai due Capitani Scelti Selek e Korvan che a loro volta, come ogni soldato dell'Inquisizione, rispondevano agli ordini di Aysheld. Eppure Thomas si sentiva importante, per la prima volta in vita sua, ad essere stato adocchiato da Petros di Homana.

Atras passò a fianco di Petrus e lo superò.

-Ammirate la Freccia Nera! Sapete quanti poveracci muoiono ogni settimana per ricavare il ferro di quelle frecce? Non avete idea. Ma non vengono sprecate, proprio no, dato che ad usarle è il prode Arciere Cupo, vero?-

Tutti esultarono ma Thomas rimase impassibile.

-Io ero con lui quando ha ammazzato il comandante nordico. Ha preso la mira- mimò il gesto. -E... bum, un tiro perfetto. Cazzo se era perfetto. Dritto qui, qui, sul collo.- disse Atras indicandosi il collo.

-Il bastardo a fatto qualche altro passo e poi le sue gambe hanno ceduto ed è caduto come un sacco di patate.- rise. -Dovevate vedere la sua cazzo di faccia, era tipo “Eh, cosa? Ma che cazzo è stato?”- rise ancora più forte e alcuni si unirono a lui, forse più per paura.

-Oswald c'è fuggito, lo stronzo ha corso come se il culo gli andasse in fiamme... il che non è lontano dalla verità. Con tutto quel fuoco, quelle fiamme del cazzo. Però sai.- disse prendendo un soldato lì vicino, gli teneva la testa, come per paura che potesse staccarsi. -Il fuoco ha il suo fascino, mh? Quel fascino... primordiale. Conosci le Profezie no? Nel libro delle profezie, scritto dal Grande Inquisitore in persone sotto ordine del Supremo stesso si dice che il nostro mondo è nato dalle mani del Supremo, nato da un calore intenso come la lava di Grantizzone e si dice che alla fine del suo ciclo sarà un grande calore a distruggerlo per poi farlo rinascere. Il fuoco ha in sé il calore della vita e quello della distruzione. È vita e morte al tempo stesso. È vivo e morto. Vivo... morto.-

Strinse ancora di più la testa del poveraccio.

-Ehi Atras! Tu comandi la Freccia Nera ma ormai è più popolare lui di te! Mica prenderà il tuo posto?- non si seppe chi parlò ma di certo era nascosto tra i soldati e non si fece vedere.

Atras gettò a terra il soldato e ringhiò.

-Chi cazzo ha parlato? La lurida faccia di merda che ha parlato deve avere la faccia tosta di mostrare il suo brutto muso! O ha paura, eh? Eh? Hai paura, sacco di merda! Io ti fotto lurido stronzo!-

Poi guardò Thomas e poi il bersaglio.

-Ok, ok, ok, mh. Mh, ok.- disse Atras in preda a quel tic nervoso. Si avviò verso il bersaglio e si mise in mezzo.

Guardò Thomas, gli occhi azzurri freddi come il ghiaccio.

-Colpiscimi-

Thomas spalancò gli occhi.

-Cosa?-

-Ho detto... colpiscimi.-

-Atras mi sembra una cazzata, sai che non voglio farlo, dai-

-COLPISCIMI!-

Thomas si blocco. Guardò Petros e il Capitano lo stava guardando intensamente, voleva vedere cosa avrebbe fatto.

Thomas sospirò e prese la mira. Calò il silenzio, tutti i soldati osservavano trattenendo il fiato e tutti, dal primo all'ultimo, sapeva che in quel momento Thomas aveva l'opportunità di ucciderlo. Poteva farlo e nessuno l'avrebbe fermato o si sarebbe lamentato. Nessuno.

Ma lo sguardo di Atras, quegli occhi, lo trattenevano. Era come se Atras stesse guardando dentro di lui, come se lo conoscesse così dannatamente bene! E quello lo disgustava, si sentiva sporco, violato. Lui poteva ucciderlo, doveva farlo ma... Atras era il suo capitano. Ucciderlo avrebbe stravolto le cose, le sue abitudini sarebbero cambiate, sarebbe diventato ancora più popolare. Lui non voleva cambiare le cose... lui voleva restare un ombra.

La freccia sfiorò la testa di Atras ma non gli fece nemmeno un graffio.

Molti soldati si allontanarono e con loro lo fece pure Petros.

Atras sorrise e si avvicinò a Thomas e avvicinò le labbra al suo orecchio.

-Non montarti troppo la testa, ragazzino. Tu non sei Kalad e mai lo sarai. Tu sei passivo, tu odi il cambiamento, lo temi come se fosse un vecchio malato di lebbra. Tu sei fatto per seguire gli ordini, per essere comandato a bacchetta, per essere un ombra. Tu sei solo un ombra... la mia ombra. Quindi non montarti la testa.-

Mentre si allontanava Thomas abbassò lo sguardo.

Era solo un ombra e non sarebbe mai stato come Kalad. Nemmeno in un'altra vita.

 

-Avete sentito? È arrivato nell'accampamento un Inquisitore Nero.- disse un soldato dai capelli biondi e ricci ai suoi compagni.

Thomas alzò lo sguardo.

-Caesar Radamant, questo è il suo nome. Io ho sempre provato timore dei Neri... sono tipi troppo inquietanti.-

Un soldato con un grosso neo sulla fronte grugnì.

-Be' difficile non provare timore di un torturatore. Alcuni dei Neri sono sadici bastardi, ne ho conosciuti alcuni. A Montaran, da dove vengo io, conobbi un Nero, Sheynar Eixav. Era un sadico bastardo, godeva come un maiale ad uccidere i prigionieri. Già perché spesso li ammazzava non si limitava a carpire informazioni.-

Thomas ebbe un brivido. Gli Inquisitori Neri erano i torturatori dell'Inquisizione, coloro che carpivano informazioni dai prigionieri usando pinze, ganci, ferri ardenti, chiodi, coltelli e quant'altro.

Thomas si guardò attorno e, tra i vari soldati in movimento, vide una sagoma nera come la notte. Radamant lo stava osservando, chissà da quanto tempo. Era un uomo alto e magro, dalle braccia eccessivamente lunghe. La sua pelle era leggermente scura, i suoi occhi color nocciola e portava corti capelli neri, quasi quanto i suoi vestiti. Il suo volto sembrava incredibilmente annoiato, come se tutti quei soldati non esistessero.

Gli Inquisitori Neri, nonostante molta gente li disprezzasse, erano persone autoritarie ed importanti ed era doveroso porgere saluto... soprattutto se uno di loro ti fissava in quel modo.

Thomas si avvicinò e fece un rapido inchino.

-Dimmi il tuo nome.- chiese Radamant.

Thomas rimase perplesso, cosa poteva importare a quell'Inquisitore Nero?

-Thomas Metan, signore.-

Lui annui.

Thomas fece una smorfia. -Mi stavo chiedendo come mai mi stavate guardando, signore.-

-È normale che tu te lo sia chiesto.-

Thomas annuì ma non ricevette risposte.

-Quindi?-

-Mi incuriosivi.-

-E per quale motivo, se mi è permesso chiedere?-

Un breve silenzio, quasi Radamant temesse di parlare.

-Assomigli a uno che ho ucciso.-

-Oh.-

Thomas aveva decisamente voglia di allontanarsi.

-No, non fraintendere. Non l'ho ucciso per odio o altro, anzi. Provavo profondo rispetto per quell'uomo. Mi venne ordinato di torturarlo per ottenere informazioni, era a capo di una grande ribellione. Be' grande per modo di dire. Lo torturai per un'intera settimana e non disse una sola parola, non urlò nemmeno. Non mi diede nessun informazione e fui costretto ad ucciderlo. Ma sopportò, come un vero uomo. Io non ne sarei in grado.-

Thomas si accigliò. -Ma gli Inquisitori Neri vengono addestrati anche a sopportare le torture, vero?-

-Sì, ma io temo il dolore. Provocarlo è diverso, sei estraneo a quel dolore. Quando ti feriscono sei il protagonista assoluto. È brutto essere protagonisti, non trovi?-

Oh eccome.

-Tu gli assomigli ma non credo tu sia come lui, senza offesa. È solo un fattore estetico. Capelli biondicci e ricci, occhi marrone chiaro. Ma tutto lì. Ho osservato quello che è successo con quell'uomo, il tuo capitano. Era una prova, un test. E non l'hai superato. Lui ha dimostrato superiorità e la fama che mi sembrava tu avessi ottenuto sta già lentamente svanendo, il che mi mostra come il successo sia soggetto alle azioni. Un errore e verrai odiato anche se prima ti idolatravano. Patetico. Comunque lui ha vinto e tu glielo hai lasciato fare. E io so perché.-

-Perché?-

Salazar fece un gesto con la grande mano, liquidando il discorso.

Thomas non riuscì a trattenere la curiosità.

-Spero di non risultare scortese, signore... ma mi sono sempre chiesto perché un uomo scelga di diventare Inquisitore Nero.-

-Dipende a chi lo chiedi. C'è chi lo fa solo perché ama far soffrire, chi perché la paga è buona.-

-Io lo chiedo a lei.-

-Non lo so. Mi venne imposto da mio padre. Mia madre era contraria, lei veniva da Savanah, una città portuale di Aghta, dove non si fa altro che pescare e si evita la violenza. Ma mio padre era un pezzo di ferro mal temprato. Io da piccolo, come ora del resto, ero decisamente passivo e lasciai fare senza battere ciglio. Mi abituai presto a torturare e ad uccidere. Ho imparato a farlo. Altrimenti sarei impazzito. A volte sei costretto ad abituarti, vero? Per terrore che il cambiamento potrebbe portare ad una situazione peggiore dell'attuale. E spesso è così. È per questo che il cambiamento è così temibile... stravolge tutto. Ed è per questo che persone come me non vogliono cambiare ciò che sono.

Così faccio io... e così fai tu.-

Thomas rimase inquietato dal modo di parlare di quell'uomo, carico di pause, come se parlasse spezzettando le frasi. Radamant non salutò nemmeno, all'improvviso se ne andò.

Thomas rifletté a lungo su quelle parole. Radamant si era trasformato in un manichino insensibile per non impazzire e non voleva cambiare nulla perché temeva il cambiamento e il caos che poteva portare.

E aveva ragione! Il cambiamento era caotico, distruttivo, pericolosissimo. Poteva portare alla luce ma poteva portare nelle tenebre più buie. E spesso bisogna attraversare le tenebre per vedere la luce... ma Thomas temeva di perdersi in quelle tenebre.

Trovò stranamente punti in comune con quell'uomo. Nei recessi oscuri della sua mente Thomas rivide il cuscino, stretto tra le sue mani, che veniva premuto sul volto di suo padre addormentato. L'assassinio di suo padre era una cosa che ovviamente nessuno sapeva. Odiava suo padre, un parassita, uno stupido ubriacone dalla mano eccessivamente pesante. Aveva perso il lavoro e gli era morta la moglie e si era dato all'alcol fino a morirci. Certo non era stato l'alcol ad ucciderlo ma aveva contribuito. Thomas aveva voluto risolvere la cosa uccidendolo e l'aveva fatto con incredibile freddezza, con decisione. Un ragazzino non avrebbe dovuto essere così, rovinarsi così in fretta. Eppure lui l'aveva fatto, aveva ucciso il suo stesso padre.

E ripensandoci ora, dopo così tanti anni, lui avrebbe fatto la stessa fine di suo padre se fosse stato al suo posto, che diritto aveva di ucciderlo?

Ma infondo, chi ha diritto di uccidere?

E poi... non aveva provato nulla, assolutamente nulla.

Io ero un manichino già allora.

 

-I Celestiali hanno interrotto le ricerche della Messia.- disse Petros.

Si trovavano all'interno della tenda di Petros, abbastanza grande da contenere lui, Atras, Thomas, Kef e Sugnam. Thomas e Sugnam non erano capitani ma accompagnavano i loro superiori, Atras e Kef.

-Be' questo è un bene, no? Il Nord ormai è caduto e pare che gli Holdar siano cibo per i vermi e i Celestiali hanno abbandonato l'impresa. Restano solo i Vurkaniani ma sono ben distanti e troppo impegnati a saccheggiare il Nord.- disse Kef.

Petros scosse la testa.

-Ti sbagli, questo è un problema. Nodamor il Valoroso ha dato inizio ad una vera e propria guerra di conquista. Si stanno focalizzando sul conquistare il nostro regno e noi siamo impegnati su troppi fronti. Ma avere la ragazza deve essere il nostro vantaggio.- disse Petros risoluto.

Atras sghignazzò.

-Qualunque cosa voglia farci il Grande Inquisitore, ovviamente.-

Petros sospirò.

-Ella è la figlia del nostro Dio, del Supremo stesso, unico Dio di questa terra. Ella detiene il potere di cambiare il mondo, il Grande Inquisitore, per quanto potente, non potrà costringerla a fare un bel niente, Atras. So a che pensavi. Non può dirle “distruggi i miei nemici”, lei è un pezzo dell'Eternità stessa. Ma il solo... averla, se così vogliamo dire, ci porrà sopra ogni altro regno al mondo. Quando i vurkaniani vedranno che siamo noi ad avere l'appoggio della Divina si arrenderanno anche solo per timore, ve lo assicuro.-

Atras scosse la testa.

-Vecchio stolto. Le persone sono marce fino al midollo, sono merda pura. E del tipo più fetido, direi. Appena la gente vedrà che abbiamo noi la Ragazza sarà un bagno di sangue... un vero bagno di sangue... urla e dolore... e Rosy potrà mangiare e bere. Oh sì... una bella cenetta.-

Petros lo ignorò, era la cosa migliore da fare.

-Per questo vi ho convocati. Kef, tu sei ligio al dovere e Sugnam sa il fatto suo. Tu Atras, per quanto mi dolga ammetterlo, sei abile a cercare le cose e anche a combattere e Thomas è promettente. Quindi ho bisogno di voi, signori. Sono giunte notizie di un alto numero di luttaniani in movimento a Sud da qui, nei pressi del monte di Hermag e questo è sospetto. Lei potrebbe essere lì. Attendete un mio segnale, perché a breve partiremo per cercare la Messia. Lo faremo per conto nostro, senza aggiungere soldati.

E se il Supremo lo vuole... forse riusciremo a porre fine a questa guerra.-

 

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Capitolo 45
*** Farsi rispettare ***


Capitolo 44

Farsi rispettare

Robert restò a osservare Icehold bruciare per troppo tempo. La sua città se ne andò con un triste lamento e quando Bjorn gli disse di incamminarsi lui esitò ancora qualche istante, per poi avventurarsi verso una nuova vita.

 

-Te sei certa?- chiese Bjorn a Shereen.

La donna dagli occhi marrone glaciale (un colore che Robert nemmeno credeva potesse esistere) annuì.

-Arryn e Wyrn sono nei paraggi.-

Hosttmar si grattò il mento.

-Come fai a dirlo, serva?-

Lei sbuffò.

-Secondo te quei due sono scappati? Si sono allontanati, quello è certo, ma sono ponti a contrattaccare. È il loro regno quello che sta venendo bruciato. Prima di andare nelle segrete a salvare il Re ho visto dalle mura un gran baccano fuori dalla città. I Signori della Guerra erano fuori dalle mura assieme a molte truppe vurkaniane. È stato un bagno di sangue, ma per entrambe le parti ve l'assicuro. Ho visto lo stendardo di Arryn e di Wyrn allontanarsi, è stato necessario o sarebbero morti. Molti altri Signori della Guerra sono morti.-

Robert guardò verso la Foresta di Volfkan, luogo dove Shereen diceva si fossero diretti i due Signori della Guerra.

Walgard si sedette su una pietra, mentre Bremar cercava in tutti i modi di rubargli la lancia.

-I Signori della Guerra... nel Sud non capiscono cosa sono, sapete? È una cosa troppo nordica.-

Hosttmar alzò gli occhi al cielo.

Robert sorrise, aveva scoperto che i due erano buoni amici, lo erano diventati servendo Daften, e Hosttmar si era sorbito decine e decine di racconti del Sud da parte di Walgard. Quando il capitano della cavalleria parlava del Sud non era mai chiaro se rimpiangesse i cinque anni passati laggiù oppure no.

-È pure difficile da spiegare per noi. Un contadino che decide di difendere la sua terra senza badare al volere del suo re, una figura carismatica che si fa circondare da altri uomini che abitano nella sua terra. Certo il nome Signore della Guerra agli inizi era soprattutto per fare paura... ma ora credo che calzi a pennello.-

Hosttmar rise.

-Hai mai visto Wyrn? Quel tipo è otto volte me, te e Bjorn messi assieme. Eccome se calza a pennello.-

Elda stava sempre attaccata alla gamba del padre, anche se iniziava a mostrare maggior coraggio senza nascondersi sempre quando qualcuno gli rivolgeva la parola. Bremar era molto più socievole e faceva amicizia con molta facilità, anche se sembrava restio a prendere le redini di certe situazioni.

È ancora piccolo ma un giorno sarà re. Deve imparare ad essere deciso.

Bjorn guardò verso la foresta.

-Spero che Arryn e Wyrn non siano restii a concederci il loro aiuto.-

Robert guardò assieme a lui.

-Lo faranno, nonostante le grandi differenze che ci dividono posso considerarli dei compagni.-

Bjorn annuì.

-Hai combattuto con loro durante la spedizione a Iffrith. Wyrn ha scalato le mura a mani nude vero?-

Robert rise ricordando l'assurdità del momento.

-Già, sembra assurdo ma l'ha fatto. Quando combatte Wyrn sa essere parecchio... distruttivo.-

Bjorn sorrise, lui e Wyrn erano sempre andati d'accordo. Nonostante la brutalità Wyrn era incredibilmente amichevole con chi era per lui degno di rispetto.

-Arryn è un altra storia, sa essere intrattabile a volte?-

Robert rise sentendo quelle parole.

-A volte? Con me e Daften lo è sempre stato.-

Bjorn annuì ma parve nascondere qualcosa, era come se sospettasse qualcosa.

-Di certo... ha i suoi motivi, Rob. O almeno temo.-

Robert lo guardò con la coda nell'occhio ma non fece molto caso a quelle parole.

-Ti fidi di lei?- chiese Robert a bassa voce, il soggetto era chiaro.

Bjorn sospirò.

-Sì. Di certo è più di chi dice di essere e... sono abbastanza sicuro che almeno all'inizio non fosse dalla nostra, Robert.-

Robert annuì con amarezza.

-Lo sospettavo.-

 

L'odore del sangue fu percepibile fin da quando misero piede dentro la foresta. Subito trovarono corpi smembrati di vurkaniani, l'orrore era stampato sul loro volto. Alcuni erano scozzati, altri impalati sugli alberi da grosse lance.

Hosttmar sorrise.

-Sento puzza di Signori della Guerra.-

-Tu dici?- disse scherzoso Walgard.

Avanzarono seguendo la scia di cadaveri e di sangue finché non videro un gran numero di persone. Tra di loro sventolava lo stendardo dell'Occhio Bianco, cioè una semplice cerchio dipinta di bianco su sfondo nero, simbolo di Wyrn.

-Oh il Supremo sia benedetto in eterno, Wyrn!- esclamò Shereen.

Due guerrieri, appena li avvistarono, corsero subito verso di loro impugnando le loro asce. Essendo soldati di un Signore della Guerra, perciò non indossavano armature pregiate ma sembravano molto più minacciosi di un qualunque soldato che Robert avesse avuto al suo comando.

-Abbiamo visite!- sbraitò uno dei due.

L'altro socchiuse gli occhi e poi li sgranò.

-Che mi venga un cazzo di colpo! Quello è Holdar! Wyrn! Vecchio stronzo, guarda chi ti portiamo.-

I due condussero il piccolo gruppo di sopravvissuti verso il loro accampamento senza troppe cerimonie. Attorno a loro c'era un gran numero di guerrieri e tra loro anche molte donne armate fino ai denti. Un Signore della Guerra non faceva molte differenza tra uomo e donna, se sai difendere la sua terra lui ti premiava. Gli uomini osservavano Shereen come se fosse il bocconcino più prelibato che avessero mai visto e forse era proprio così. Robert non poteva negare la bellezza di Shereen, con quei capelli corti neri come il carbone e quel corpo sinuoso e provocante. Per non parlare degli occhi.

Vi erano varie tende e ad occhio e croce Robert identificò almeno diverse migliaia di guerrieri eppure si ricordò che Wyrn al suo comando aveva molti più guerrieri.

Evidentemente la battaglia fuori dalle mura è stata più sanguinosa di quanto pensassi.

Seduto sopra il ceppo di un albero stava un uomo massiccio, dalle spalle e il collo poderosi. Portava una folta barba riccia che pareva nascondergli la bocca e i suoi capelli erano un folto groviglio castano. Il suo naso era una grossa patata e il suo occhio buono era azzurro. Il suo altro occhio era candido come la neve e solcato da una brutta cicatrice, il motivo del suo soprannome. Le sue braccia erano un fascio di muscoli che con una stretta avrebbero potuto spezzare la schiena di un uomo, cosa che era effettivamente successa.

Seduto sul suo grosso ginocchio vi era una ragazza vestita da guerriera ma piuttosto attraente, nonostante il taglio sulla guancia. L'uomo era intento a palparle un seno e a ridere per una qualche battuta sconcia.

-Wyrn! Quante volte devo chiamarti?- disse un guerriero.

Occhio Bianco Wyrn sbuffò con forza.

-Vuoi dirmi cosa cazzo vuoi, Etty?- la sua voce era gutturale e sembrava rimbombare in quella foresta.

-Non chiamarmi così! Guarda.- disse Etty, o qualunque fosse il suo vero nome, e finalmente Wyrn alzò lo sguardo da quelle tette.

L'occhio buono si sgranò, l'altro... be' rimase com'era.

-Che mi venga uno stramaledettissimo colpo! Robert Holdar!- fece alzare la ragazza e si avvicinò a Robert. Inizialmente parve minaccioso ma poi prese Robert in un grandissimo abbraccio e lo alzò da terra.

-Sei vivo! Questa poi, sei vivo davvero! Pensavo fossi stato ammazzato da quei fiammiferi del cazzo!- e rise di sincera felicità.

Finalmente Robert si rese conto di quantos entiva la mancanza di quell'uomo.

-Pensavo fossi morto pure tu, vecchio bastardo! Ora però mettimi giù o finisco morto davvero.-

Wyrn rise ancora e lo mise giù.

-In cuor mio sapevo che saresti sopravvissuto, lo sapevo! Ma... come hai fatto?-

Robert tacque un secondo, poi disse: -Non lo so... fortuna credo.-

-O la grazia del Supremo.- disse Walgard. -Ho visto anch'io ciò che è successo. Ho tentato di soccorrere il Re ma era stato ferito... e un soldato ha infierito sul suo corpo per altre tre volte, dico tre. Pensavo davvero fosse morto e m i sono messo in salvo con gli altri ma poi... poi l'ho visto in piedi, ferito ma... vivo.-

Iniziarono numerosi brusii, alcuni di stupore altri di assoluto scetticismo.

Wyrn si mise le mani sui fianchi.

-Quindi sei stato graziato. Oppure maledetto? Sei costretto a vivere altri dolore in questa vita piena di sofferenza. Credi sia un dono o una maledizione, Robert.-

Robert ci rifletté un attimo. Un dono o una maledizione? Avrebbe sofferto ancora e molto anche e avrebbe perso altre persone che amava.

Ma aveva l'opportunità di vendicarsi... e non l'avrebbe lasciata sfuggire per nessuna ragione.

-Un dono. Ho l'opportunità di insozzare questa terra col sangue reale di Vurkan. Col sangue di ogni singolo Vurkaniano che troverò nel mio cammino e lo farò. Mi riprenderò la mia terra, Wyrn. Dovessi metterci anni e dovessi perdere tutto ciò che ho. Io mi riprenderò ciò che mi appartiene.-

Wyrn divenne molto serio guardando gli occhi glaciali di Robert.

-Parole audaci.-

-Sono le parole di un Re.-

Calò il silenzio.

Molti si guardarono, dubbiosi su cosa fare. Non volevano seguire nessun re, era quello il motivo che li aveva spinti a seguire Wyrn. Ma se il loro capo avesse seguito Robert, loro cosa avrebbero fatto?

-Ho combattuto al tuo fianco anni fa. Eri più giovane, parecchio più stupido e uno stronzetto arrogante ma mi piacevi. Pure io sono un gran coglione, testardo e arrogante. Ma avevi un tuo codice, ti sapevi mettere alla prova e conoscevi le tue capacità. Eri consapevole di essere il migliore. Molti di questi uomini hanno combattuto con te, anche se le voci che dicevano di un tuo... addolcimento, hanno girato davvero in fretta. E hanno iniziato a dubitare.-

Wyrn si avvicinò alla ragazza che palpeggiava.

-Drumilda, tu che storie hai sentito su quest'uomo?-

La ragazza non tardò a parlare.

-Ho sentito che ha ucciso Grendel dei Sepolcrali in duello, qeul tizio era una montagna.-

Wyrn annuì.

Si avvicinò a Etty.

-E tu?-

-Io ho sentito che ha ammazzato un uomo a testate.-

Poi si avvicinò ad un vecchio guerriero.

-E tu, Vecchio Sly?-

-Io ho sentito che è sopravvissuto a una Caccia dei Predatori, i dannati Skarahaad.-

Wyrn rise. -Sbagliato, a due cacce. In una c'ero pure io, eravamo assieme. E abbiamo lottato fino all'ultimo respiro e siamo sopravvissuti. Immersi nel sangue e nel piscio e nella merda- rise ancora. -Ma cazzo, eravamo vivi.-

I volti dei guerrieri si fecero più decisi e Bjorn si fece avanti.

-Ma nella prima era da solo, immerso nella neve e sferzato dal gelido freddo nel Nord.-

-Impossibile!-

-Nessuno può essere sopravvissuto ad una caccia da solo!-

-Raccontacene un altra, Bjorn!-

Robert alzò una mano e si zittirono.

-È la verità. Siete liberi di non credermi, ma posso giurarlo sul nome di mio fratello. Ero da solo e sono diventato mio malgrado protagonista di una Caccia.-

-Quanti erano gli Skarahaad?- disse un guerriero.

-Non me lo ricordo, ero troppo impegnato a salvarmi la vita.-

-Più o meno di cinque?-

-Sono abbastanza sicuro che fossero stati più di cinque.-

Un altro silenzio, questo quasi incredulo.

Wyrn parlò. -Se non credete a questa caccia credete almeno a quella a cui ho partecipato anch'io! L'ho visto ammazzare decine e decine di Skarahaad e l'ho visto salvare molti suoi compagni. Cazzo, ha salvato pure me e io ho fatto lo stesso con lui.-

Robert stava iniziando a stufarsi, cosa diavolo volevano questi? Lui era il Re ora e volenti o nolenti loro avrebbero seguito.

Ma era meglio usare le parole che avrebbero voluto sentire.

-Ascoltatemi bene. Daften è morto e ora sono io il legittimo Re del Nord e finché un Re sarà vivo il Nord continuerà ad appartenere a noi! Non vi chiedo di seguirmi perché sono il re, questo no! Osservatemi. Sono ferito, senza due dita e ricoperto di sangue. Sono un uomo e posso essere ferito e anche ucciso, essere un Re non mi rende al di sopra di nessun altro uomo. Io voglio che mi seguiate e che mi diate il vostro supporto contro un nemico comune poiché è la vostra terra ad essere minacciata! È la vostra terra a bruciare per mano di un oppressore straniero! La nostra terra. E finché anche solo un nordico sarà vivo il Nord continuerà ad appartenerci! Ora chiunque deve prendere in mano un arma, appianare le vecchie dispute e contese e unirsi a me. Dovremo unirci per riprenderci ciò che ci è sempre appartenuto fin dall'alba dei tempi! Abbiamo resistito agli Zarkani e abbiamo resistito addirittura a Silgvander! Noi siamo gli uomini di ghiaccio e ferro, noi siamo figli delle montagne innevate e progenie degli orsi! Ci riprenderemo ciò che è nostro!-

E sarà stata la situazione disperata, sarà stata la voglia di vendicare gli amici caduti, sarà stato il desiderio patriottico di salvare la loro casa, ma ogni singolo guerriero urlò tutta la sua furia verso Vurkan.

Anche Bremar e Elda urlarono assieme ai guerrieri e risero divertiti. Hosttmar era incredulo e Walgard scuoteva la testa divertito e incredulo. Shereen non mosse un muscolo ma guardò Robert incuriosita. Bjorn fece un respiro profondo, come per allontanare la tensione accumulata e sorrise.

Wyrn rise alzando alzando lo sguardo verso il cielo.

-Queste sì che sono parole degne di un Re! Un re che vale la pena di essere seguito, almeno. A Nord da qui si trova Arryn, ho sentito che sta combattendo contro delle truppe vurkaniane. Andiamo ad aiutarlo, un aiuto in battaglia varrà più di mille parole per lui, lo sai. Ma ricordatelo, Robert, lui non apprezzava per niente tuo fratello e ha sempre apprezzato poco anche te, seppur riconosca i tuoi numerosi meriti. Con lui essere un re non servirà poi molto. La tua autorità sarà inutile davanti Il Rosso.-

 

Il rumore della battaglia fu inconfondibile. Il suono di una lama di ferro ben affilata che taglia il cuoio, una mazza che fracassa un elmo, una freccia che trapassa un occhio. E urla, molte urla. Di paura, di dolore, di rabbia.

Erano ben nascosti nel fogliame e stavano assistendo alla battaglia. Quelle di certo non erano tutte le truppe del Rosso, Robert ricordava bene le migliaia di truppe che difendeva lo Shjurmand, il territorio di Arryn. I guerrieri che stavano combattevano quella battaglia forse erano poco più di quattrocento.

-Io ho perso molte truppe ma il grosso dei miei uomini si trova a est di qui, sono dovuti fuggire per sopravvivere. Stesso discorso per Arryn, queste sono solo un terzo delle sue truppe.- disse Wyrn e Robert annuì.

Robert si volse verso Shereen e portò con sé i suoi figli.

Tienili con te, al sicuro, vi voglio lontani dalla battaglia.-

Shereen si accigliò.

-Prima volevi soffocarmi ora mi affidi i tuoi figli?-

-Non farmene pentire, altrimenti soffocarti sarà un atto di bontà paragonato a quello che ti farò.- disse duro Robert, quasi si stupì del tono della sua voce.

Lei annuì, era la cosa giusta da fare.

Bjorn si avvicinò a Robert, preoccupato.

-Non vorrai partecipare allo scontro, vero?-

Robert prese Rynior, poteva sentire la furia che quell'ascia emanava.

-Un Re del Nord combatte in battaglia con i suoi uomini, lo sai.-

-Ma non un Re del Nord ferito e che ha quasi raggiunto l'Oblio!-

Robert prese il braccio di Bjorn e quasi si commosse vedendo la preoccupazione negli occhi di suo zio.

Quasi, la commozione non è per un Re.

-Se sono stato graziato... è solo per poter impugnare ancora un arma.-

Poi guardò Wurn.

-Wyrn! Dammi uno scudo, voglio attaccare quella feccia dell'Est!-

Wyrn si volse e non fece molto caso alle condizioni di Robert, poiché gli lanciò subito uno scudo.

Wyrn chiamò Etty che gli portò la sua spada.

-Ah Arktos, mio vecchio amico. È il momento di lottare ancora assieme. Non tradirmi proprio oggi, eh?- disse Wyrn al suo spadone. Era una poderosa arma, dalla lama massiccia e talmente affilata da aver paura di tagliarsi solo guardandola. Il ferro era scuro ed era chiaro che servisse una grande forza per maneggiare uno spadone di quella mole.

-Pronti a versare sangue?-

Il ruggito dei guerrieri fu chiaro. I soldati corsero fuori dal loro nascondiglio e si lanciarono urlando imprecazioni verso i loro nemici.

Robert si rese conto che correre, portando scudo e ascia, era notevolmente difficile, soprattutto considerando le sue condizioni. Hosttmar e alti arcieri si mantennero indietro e tempestarono i vurkaniani con le loro frecce, ben presto cinque nemici vennero trucidati. Un guerriero nordico si girò, guardando quell'inaspettato aiuto e si mise a ridere, una risata quasi folle. Aveva la testa sanguinante e aveva dei minuscoli occhietti perfidi.

-Che il Supremo se la rida di gusto! Occhio Bianco Wyrn!-

Wyrn rispose dilaniando un vurkaniano.

-Yurfag, non sei ancora stato inculato da un orso?-

Yurfag rise ancora e trafisse un vurkaniano con la sua spada.

Walgard aveva la faccia di uno che sentiva la mancanza di un cavallo, aveva abbandonato la sua lancia per usare spada e scudo e cercava di uccidere più vurkaniani possibili.

Cavalli, c'è bisogno di cavalli. Ma dove trovarli di questi tempi? Ci vorrà fortuna.

Robert deviò un colpo col suo scudo, poi un altro e un altro ancora.

E sopraggiunse il problema delle dita mancanti ma non doveva pensarci o sarebbe morto. Colpì con la sua ascia alla nuca uno dei soldati a cui aveva deviato il colpo. Si abbassò per schivare un altro attacco e Rynior colpì il fianco del soldato per poi abbattersi nuovamente su quel fianco. Il vurkaniano vomitò sangue che finì dritto sulla testa di Robert.

L'odore del sangue, così forte e intenso, lo spinse a colpire un vurkaniano con lo scudo. Al secondo colpo, dato con troppa forza, il vurkaniano cadde con un ematoma rosso sulla fronte. Robert girò di trecentosessanta gradi e abbatté subito Rynior sul colo di un vurkaniano. Premette con forza, godendosi gli occhi sconvolti del suo odiato nemico e quando sentì Rynior raschiare sull'osso la tirò fuori da quel collo vurkaniano e il sangue sprizzò come una fontana di sofferenza.

Troppo concentrato nel vedere soffrire quel soldato, Robert non percepì la vicinanza del pericolo alle sue spalle.

Ferro, freddo e nemico. Anzi no... era quel dannato Brightfire, rosso come il fuoco, che si abbatté sulla sua schiena. Il colpo fu forte ma il dolore fu amplificato dalla ferita al fianco. Gli si smorzò il respiro e perse l'equilibrio. Appena si girò, cercando di salvarsi la vita, una lama saettò verso di lui, fortunatamente alla sua sinistra. Alzò lo scudo, con tutta la velocità che gli era permessa e parare il colpo fu altrettanto doloroso poiché il suo fianco esplose di un terribile bruciore. Qualunque fosse il punto in cui veniva colpito il fianco gli ricordava di essere messo in malo modo. Il vurkaniano stava per preparare un altro attacco quando una possente lama trapassò il suo torace. Wyrn gettò a terra il corpo e estrasse Arktos.

-Sta diventando noioso salvare la tua pellaccia.-

-Ti offrirò da bere, promesso.-

Wyrn sorrise.

-Allora te la salverò tutte le volte che serve.

Il suo successivo fendente divise quasi a metà un vurkaniano e quello dopo ancora ne sbudellò un altro.

Vedere Wyrn portare morte con una tale maestria spinse Robert a rialzarsi e a stringere i denti per i successivi due nemici che uccise. Gole recise e crani spaccati, quello fu il suo canto. Vide Bjorn gettare a terra un vurkaniano con la sua mazza per poi spaccargli la testa provocando una nuvola di sangue.

Era bello vedere suo zio in battaglia, nonostante gli anni era ancora un prode guerriero e i Vurkaniani avrebbero presto iniziato a temere la sua mazza e il suo urlo. Oh sì, avrebbero fatto bene.

Ma avrebbero fatto bene anche a temere Robert, a temere Rynior, a temere la sua rabbia, la sua sete di vendetta, la sua ambizione.

Avrebbero dovuto temere il Re del Nord.

Urlò con tutta la furia che aveva, con tutta la sua ira e Rynior urlò con lui.

E poi fu morte.

Il sangue lo seguiva, la morte lo seguiva e tendeva le sue lunghe e pallide braccia verso i suoi nemici ed essi morivano. Morivano in urla di dolore, di paura e di stupore. L'ascia dell'ira dilaniò e portò il verbo del dolore, la sofferenza inondò l'aria e lui respirò la morte e la rese parte dei suoi polmoni, parte del suo essere. Lui era il suo araldo. Il rosso incontrò il bianco, il ghiaccio si scontrò col fuoco e anche il fuoco venne congelato. Il canto del Nord si riversò tra di loro e lui era la voce più forte, la più alta e potente e poderosa.

La voce di un Re.

 

Robert, alla fine della battaglia, sentì il dolore al fianco diventare insopportabile e si sedette, cercando di trattenere le lacrime. Bremar e Elda corsero da lui e lo abbracciarono, come un esplosione di gioia.

-Padre! Sei vivo, avevamo pensato il peggio!- disse Elda riempiendolo di baci.

Bremar sorrideva e annuiva, quasi senza notare i cadaveri.

Robert lo guardò, senza sapere se suo figlio voleva abbracciarlo oppure no. Ma Robert gli sorrise e annuì.

Sta diventando un uomo, ed è giusto così. Siamo in guerra e deve crescere.

Shereen si avvicinò, guardando con disprezzo quell'ammasso di cadaveri e di sangue.

-Vuoi rendere anche i tuoi figli insensibili alla morte?- disse con voce fredda.

Robert si alzò e la guardò inclinando la testa.

-Sbaglio o hai ucciso anche tu? Le parole che mi hai detto tempo fa hanno perso tutto il loro effetto. Non avrei mai pensato che una serva potesse essere... altro.-

Lei cercò di parlare ma Robert la interruppe nuovamente.

-Non puoi farmi tutti quei bei discorsi se poi fai quello che mi dicevi di non fare! Sei incoerente.-

Shereen parve trattenere le lacrime.

-Tu proprio non capisci. Una persona sa bene cos'è... ma non è mai consapevole di cosa potrebbe diventare. E quando lo capisce vede che la strada da fare è irta di difficoltà e si rifiuta di percorrerla. Preferiamo la strada facile.-

Abbassò lo sguardo e si allontanò.

Hosttmar e Walgard si assicurarono che il loro re stesse bene e così fece Bjorn.

Wyrn stava intrattenendo i suoi uomini raccontando di come avesse quasi diviso a metà un vurkaniano.

-Ma non sono riuscito nel mio intento. Devo addestrarmi a colpire più forte, già già.-

Poi guardò Yurfag.

-Dove cazzo è il tuo capo, Yurfag? Io ho appena spento questi fiammiferi e Il Rosso non si vede!-

-Dovevi darmi tempo.- disse una voce.

Arrivarono altri soldati, dai volti segnati da cicatrici e con quello sguardo spietato tipico del Nord.

Questi erano molti, davvero molti, ed erano sporchi di sangue. Alcuni erano feriti. Sembravano uscire da un'altra battaglia.

Alla loro testa stava il loro capo, il Signore della Guerra.

Il motivo per cui Arryn fosse soprannominato Il Rosso saltava subito all'occhio.

Arryn portava lunghi capelli rossi come il fuoco, un rosso talmente acceso da sembrare tinto.

Il suo volto era segnato da numerose cicatrici e i suoi occhi erano verdi come l'erba. Il suo corpo sembrava scolpito, al di sotto della sua corazza si potevano percepire i poderosi muscoli. Gli mancava mezzo orecchio destro e il suo labbro inferiore era solcato da una profonda cicatrice. Portava una corta barba, anch'essa rossa. La sua armatura era di buona qualità ma a saltare all'occhio era la pelliccia di orso di Shjurmand che indossava come mantello.

-Arryn Il Rosso, il Supremo ha parato il culo pure a te, dico bene?- disse Wyrn.

-Il Supremo non ha fatto un bel niente, devo ringraziare Noki e Doki.- disse indicando le sue asce.

Arryn si avvicinò e ben presto riconobbe Robert.

E appena lo fece si fermò.

-Pensavo che gli Holdar fossero morti tutti.-

Robert scosse la testa.

-Mi vedi qui, assieme a mio zio e ai miei figli. La dinastia Holdar non ha nessuna voglia di finire.-

Arryn sbuffò. -Già, questo lo sapevo.-

Tutti i guerrieri stavano osservando i due che si osservavano.

-Tuo fratello era un povero stolto e si è lasciato abbindolare. È colpa sua se ora la mia casa brucia.-

Robert strinse i pugni.

-Anche tu eri fuori dalle mura o sbaglio? Per caso anche Il Rosso è stato abbindolato?-

Un attimo di silenzio.

-Mi era stato promesso dell'oro. Molto oro.-

-E hai avuto morte.-

-Quella l'ho vista anche da solo.-

Arryn sospirò.

-Dimmi, perché dovrei seguirti? Io non sono come Wyrn, non do il mio aiuto a chiunque mi faccia un bel sorriso o mi porti una puttanella da scopare.-

-Abbiamo già combattuto assieme.-

-Sì, molti anni fa. Prima che ti rammollissi.-

-Sono cambiato ancora.-

-Ancora? Un altro cambiamento? Ma tu sai chi sei, Holdar? Oppure credi di essere un giullare?-

-Io sono il Re del Nord.- disse con sicurezza.

Arryn rise.

-Oh sì, è vero. Sei il Re del Nord ora. E cosa vuoi fare, vostra maestà?- disse in tono di scherzo il Signore della Guerra.

-Ottenere vendetta. E riprendere ciò che ci appartiene.-

-Quello lo voglio anch'io. Avere una corona sulla tua bella testolina non ti rende superiore a me.-

-Io non porto nessuna corona, Arryn.-

-Eppure millanti tanto di essere il Re.-

-Perché è ciò che sono. Ma per prima cosa sono un guerriero e dobbiamo essere uniti se vogliamo riprenderci il nostro regno. E che tu lo voglia o no, combatterai con me.-

-Io rivoglio la mia casa... ma niente mi convincerà a combattere per un Holdar. Non un'altra volta.-

-Se non vuoi combattere per un Holdar... allora combatti per il Guerriero di Ghiaccio.-

Arryn esitò, poi sorrise.

-È ancora vivo?-

Il pugno di Robert saettò e colpì in pieno volto Arryn, Arryn reagì ma Robert prese il suo braccio e lo torse, gli fece lo sgambetto e lo fece cadere al suolo. Robert impose il suo braccio sul collo di Arryn e spinse.

-Eccolo il Guerriero di Ghiaccio. Noi ci riprenderemo il nostro regno e ho bisogno di te per farlo. Ma se non farai ciò che dico non esiterò un solo istante a spaccarti la faccia, chiaro?-

Arryn rise, nonostante la pressione sul collo.

-Questo è il Robert Holdar che ricordo!-

Robert mollò la presa e lo lascio andare.

-Ok, ok. Ci sto. Ma sappi... che se cercherai davvero di spaccarmi la testa io spaccherò la tua.-

-Andata.-

Arryn annuì e poi guardò Elda, che sembrava terrorizzata alla vista di quell'uomo dai capelli rossi.

-Ehi piccolina.- disse Arryn e il suo sorriso, nonostante le cicatrici, fu davvero dolce e per niente teminile.

Elda notò la dolcezza di quel sorriso e sorrise anch'essa. Forse, per la prima volta, senza provare paura.

Wyrn e Arryn si misero ai fianchi di Robert.

-E adesso?- chiese Wyrn appoggiando Arktos sulla sua spalla.

Robert respirò profondamente e il suo sguardo si fece duro come il ferro della migliore delle spade.

-Adesso ci riprendiamo ciò che ci appartiene.-

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Capitolo 46
*** Salvare il mondo ***


Capitolo 45

Salvare il mondo

Alenna sorseggiava tranquillamente il suo tè, importato direttamente dalle piantagioni dell'Impero del Sole. Era seduta su una comoda poltrona, talmente decorata e bella che sembrava un insulto sedersi.

Ricordava che, la prima volta che giunse a Nibeluria per sposare Petyr, appena aveva visto Villa Sethmire aveva spalancato la bocca e sgranato gli occhi.

Ampi portici, colonne di marmo, rampicanti che decoravano le terrazze, tendaggi dai colori più vari, provenienti dalle Terre Meridionali, arcate maestose.

Gli interni poi erano ancora più lussuosi, con mobili di legno pregiato, tappeti talmente grandi da coprire il pavimento di una stanza intera (e le stanze di Villa Sethmire corrispondevano a una casa intera) splendidi arazzi. Teste di alci, lupi e addirittura l'enorme testa di un Gorvashor, messa in bella mostra nel salone principale, come trofei.

Poi i caminetti, che riscaldavano l'ambiente nei periodi più freddi.

Vi erano poi, nel corridoio che conduceva allo studio di Petyr, delle armature stupende, nel puro stile noveriano, con la Spada Benedetta nel pettorale e gli elmi dotati di una sorta di aureola di ferro.

Intenta a fare le pulizie vi era Nadette, la serva più anziana della villa nonché colei che comandava a bacchetta tutte le altre.

Nadette era decisamente scorbutica e acida, eppure Alenna aveva subito trovato in lei un'amica.

E questo la dice lunga sugli abitanti di questa villa.

Nadette conosceva Petyr fin da fanciullo e aveva servito anche suo padre, Gordon Sethmire. Spesso Nadette ricordava come Gordon fosse un vero galantuomo, sempre elegante e gentile. Ancor più spesso parlava della madre di Petyr, Ada. Le voci su Ada Morvisan le aveva sentite pure Alenna, in gioventù. Ada era morta quando Petyr aveva solo quattro anni ma era ricordata da tutti come una Lady dalla bellezza e dalla classe sopraffina, trattava con grandissimo rispetto tutti i suoi servi e molto spesso andava in giro per i negozi di Nibeluria con loro, elargendo generosi regali.

Gordon era un galantuomo e Ada una donna generosa... e Petyr...

Alenna strinse i pugni.

Nadette era l'unica che le era stata vicina quando Petyr cedeva all'alcol... o semplicemente quando Alenna osava rispondere a tono a un suo insulto.

“Vieni qui, piccola. Vieni. Shh, va tutto bene, va tutto bene. Piangi piccola, sfogati, fallo ora che ci sono io. Non dare mai la soddisfazione a quel mostro di farti vedere mentre piangi.”

Alenna sorseggiò nuovamente il tè mentre in sottofondo udiva le continue lamentele di Nadette.

-Nady, hai conosciuto Ygrena Foleria?- chiese Alenna.

Nadette smise di spolverare e ci pensò un attimo.

-No, non credo di aver avuto la fortuna. Chi sarebbe?-

Alenna sospirò.

-Dovresti saperle certe cose Nady. È la moglie di Aysheld, il Primo Rivelato dei Cavalieri del Braccio.-

-Tarzz?-

-Già. Da Dothenna, nella Morganta, quel territorio a confine con Lysiux.-

Nadette annuì. -Interessante.-

Alenna annuì.

-Sì, lo è. Quella donna... non lo so, è strana.-

-È Tarzz.-

-A parte quello, Nady. Ho come il presentimento che nasconda qualcosa. Durante la cena di una settimana fa non ha fatto altro che parlarmi... e ha menzionato il veleno. E sembrava sapere davvero tante cose... troppe.-

Nady si gratto la testa, lo faceva spesso quando rifletteva.

-Be' so che a Tarpazzi l'uso dei veleni è molto diffuso, spesso i Sovrani delle Città-Stato hanno cercato di uccidersi usando quegli intrugli diabolici. Pensate che il Sovrano di Dronika, Emilyano Garsadi, si dice sia addirittura immune al veleno!-

Alenna fece finta di essere stupita da tale affermazione ma in realtà era una cosa assolutamente possibile, nonostante incredibilmente rischiosa. Garsadi ingeriva ogni mattina, ormai da anni, dosi non letali di veleno e questo l'aveva reso immune a quasi ogni veleno.

Alenna comunque provava forti sospetti verso quella donna di Tarpazzi. Aveva spesso sentito parlare di lei, soprattutto per la sua innegabile bellezza. Era sposata con Aysheld da solo due anni, era nuova in città, eppure pareva sentirsi totalmente a suo agio, l'aveva dimostrato alla cena nella Torre, dove aveva parlato senza timore con tutti, anche con figure inquietanti come Jonos o taciturne come Gasfettel, aveva sorriso a tutti e riso amabilmente a tutte le pessime battute di Petyr.

Poi quando mi ha toccata... sapevo di quello che sanno fare i Tarzz ma la sua voce... c'è mancato davvero poco che le saltassi addosso.

Da ragazzina, molto prima che venisse promessa in sposa a Petyr, aveva pregato il Supremo di avere le capacità seduttive dei Tarzz, per riuscire a sedurre quel bel ragazzo biondo della fattoria poco distante dalla villa in cui era nata.

Le mancava quel posto, nonostante tutto.

Villa Tekiel, la villa di suo padre. Una dimora ricca ma modesta se paragonata a Villa Sethmire, distante dal caos cittadino, lontana dalle vie strette e interminabili di Nibeluria.

Certo non provava la mancanza di suo padre, Rupert. A comandare a casa non era di certo lui, quel pappamolle, era sua madre il capo.

Sua madre... Lysa.

Aveva odiato quella donna con ogni fibra del suo corpo.

La odiava ancora.

E per sempre la odierà.

Ricordava ancora quando lei aveva rifiutato di sposare Petyr, non aveva nemmeno avuto il tempo di fidanzarsi, di parlare con un ragazzo a momenti, e già doveva andare in sposa ad un totale sconosciuto.

“Ma non lo conosco, madre! Come posso sposare un uomo che non conosco? Io non voglio!”

“Aly non è una cosa che puoi scegliere, è così e basta. Tu sposerai Petyr Sethmire, per quanto lui possa essere brutto o brufoloso”

“Solo perché tu hai sposato un uomo che non amavi non significa che io debba fare lo stesso”

Poi le aveva preso i capelli, li aveva tirati con talmente tanta forza che Alenna aveva avuto paura che potesse strapparli tutti.

“Ascoltami bene, mocciosetta presuntuosa, tu sposerai Petyr Sethmire per garantire un futuro ricco a questa famiglia. Non è una cosa che puoi scegliere, non sarà il tuo stupido cuoricino da verginella a guidare le tue scelte. I matrimoni si basano solo sui soldi, sul potere, non sull'amore, mi dispiace davvero tanto rovinare i tuoi sogni da principessa delle favole. Apri gli occhi, Alenna, in questo mondo non c'è spazio per i propri sogni!”

Fortunatamente una guardia la distolse dai suoi pensieri.

-Mia Lady, ha visite.-

-Da chi?-

-Ygrena Foleria, mia Lady.-

Tu guarda.

-Falla entrare.-

Ygrena entro con grazia, accompagnata dalla guardia. Indossava un bellissimo vestito giallo, che sembrava risplendere assieme ai suoi capelli biondi, ricci in un modo che forse Alenna ci avrebbe messo anni a eguagliarli, gli occhi erano due meravigliose pietre preziose, luminose come il cielo di quella giornata afosa. La veste era aperta ai lati e lasciava visibili le cosce, a Tarpazzi era particolarmente apprezzato quello stile.

E come non essere d'accordo, pagherei tutte le mie ricchezze per il fisico di questa donna.

Il caldo rendeva ancora più aderente il vestito di Foleria e i suoi seni erano impossibili da ignorare.

Alenna si sforzò di non arrossire e di non deprimersi, quella donna era esageratamente bella e lei si sentiva decisamente fuori posto vicino a lei.

Certo Alenna non era brutta, lunghi capelli color grano, occhi nocciola e un fisico snello ma di certo non possedeva i seni di Foleria.

E nemmeno un marito altrettanto bello.

-Mia Lady, vi ringrazio per avermi permesso di incontrarvi, avevo urgenza di parlare con voi.-

Alenna scosse la testa, sorridendo.

-Oh no, non serve ringraziare. Sedetevi pure.-

Foleria si sedette nella poltrona davanti quella di Alenna e accavallò le gambe.

Oh cielo, vuole farmi morire d'invidia o cosa? Per il Supremo!

-Ditemi, Foleria, perché avete così urgentemente voluto parlarmi?-

Foleria guardò Nadette, facendo intendere che dovevano restare sole.

Alenna sorrise. -Può fidarsi di Nadette, Foleria.-

-Oh non dubito della fedeltà della signora, Lady Sethmire, ma ci sono cose che davvero non possono essere udite se non da persone selezionate.-

Nadette se ne andò brontolando.

Alenna la guardò andarsene e poi osservò attentamente Foleria.

-Perché tanta segretezza?-

-Perché sto per parlarvi di cose molto delicate che necessitano la vostra totale attenzione. Siete con me?-

Alenna annuì, perplessa.

-Vi ho osservata alla Torre, giorni fa, e mi avete davvero incuriosita. Ho fatto delle ricerche sul vostro conto, a dire il vero ancor prima di venire qui a Nibeluria, e ho scoperto cose davvero curiose. Voi avete studiato l'arte dei veleni a Vurkan, nella bottega di Mastro Yansed. Avete studiato veleni molto rari e pericolosi e da quello che Mastro Yansed ha riferito eravate davvero molto abile a creare veleni. Riuscivate addirittura a manomettere le vesti di un uomo per fare in modo che il veleno aderisse alle vesti ed entrasse in contatto con la pelle. Davvero notevole, ve lo concedo.-

Alenna iniziò a sudare e si guardò attorno, intimorita.

-Come fate a sapere queste cose?-

-Io e il mio Ordine siamo molto informati, mia cara. Lascia prima che ti spieghi perché ho scelto di chiedere il tuo aiuto. Innanzitutto le tue doti da avvelenatrice mi hanno piacevolmente sorpreso, Yansed mi ha raccontato anche altre cose molto interessanti, ad essere riduttivi. So che il tuo matrimonio con Lord Sethmire non è dei più rosei e temo che Lord Sethmire possa essere un duro ostacolo per gli obbiettivi del mio Ordine. So anche che sapete destreggiarvi in politica e questa è una qualità che io stimo molto. Voi conoscete bene questa città, siete qui da molto più tempo di me, mi so destreggiare piuttosto bene ma ho comunque bisogno di voi.

E per finire, la cosa davvero importante. Siete l'unica persona di cui mi posso fidare in questa città.-

-E... come fate a dirlo?-

-Sono nata a Tarpazzi, mia cara. Riesco a capire chi è degno della mia fiducia e chi no.-

Alenna era confusa. Di cosa diavolo stava parlando Foleria? Era curiosa, perciò la fece parlare.

-Illuminatemi, Foleria. Cosa volete?-

Foleria sorrise soddisfatta.

-Conoscete l'Ordine di Narovagi?-

Alenna alzò un sopracciglio.

-Come immaginavo. Voi credete nel Supremo, vero?-

-Be' chiaramente.-

-Bene, credo dobbiate credere a tutti gli Dei.-

Alenna era sempre più perplessa.

-E... per quale motivo?-

-Perché tutti gli Dei esistono, dal primo all'ultimo, anche quelli venerati da due persone in croce.-

Alenna rise, che sciocchezza!

-Ma è ridicolo! Solo il Supremo esiste, lo dicono le Profezie. “nelle distese del mondo un solo Dio osserva con orgoglio la sua creazione. Il Supremo, padre di ogni cosa.”- recitò Alenna.

Alenna fece una smorfia.

-La sua creazione? Pff, certo.- disse Foleria con tono di scherno.

Alenna si stava innervosendo ma finalmente Foleria iniziò a spiegare.

-Nel nostro mondo esistono svariate divinità. Non so dire come possano esistere, credo vada oltre la nostra comprensione... semplicemente esistono. E, badate bene, nessuna di loro ha creato gli esseri umani. Gli uomini esistono da molto tempo, forse si sono sviluppati da altre forme di vita, chissà, ma di certo non siamo nati dal nulla.-

Alenna subito ebbe da ridire.

-E allora com'è possibile che i Vurkaniani, gli uomini acquatici, i Pellescura e gli Imperiali siano diversi da noi?-

-Per quello c'è una semplice spiegazione. Il Mio Gran Maestro ha ipotizzato, dopo decenni di ricerche, che il Dio venerato da quel popolo abbia deciso di modificare il corpo di quell'umano, secondo i suoi capricci.-

Alenna si accigliò.

-Quindi mi sta dicendo che... il Dio Abissale ha deciso di dare dei segni blu sul corpo degli Uomini Acquatici?-

Foleria annuì.

-Ridicolo.-

Foleria la ignorò.

-Le Divinità possono trasmettere parte della loro... Essenza Divina. È così che nasce la magia.-

Alenna fece finta di essere sorpresa.

-È così che nasce?-

-Certo. L'Aura Divina, così il mio ordine la chiama, può influenzare le persone, gli oggetti e addirittura interi luoghi.-

-Mi faccia degli esempi.-

-Volentieri, mia cara. I Sepolcri del Nord sono luoghi carichi di Aura Divina, lì il contatto con i defunti è maggiore di qualunque altro luogo. La Città Volante è un enorme concentrato di Aura Divina, è sopratutto questo a farla volare, sommato ai poteri di Elomer Il Superiore. I Calici Luttaniani sono oggetti infusi di Aura Divina, permettono di donare ad un essere umano parte dei poteri di Luttan, stesso discorso per le rune, simboli infusi di Aura Divina in grado di dare diversi vantaggi. L'Intera Q'uoin è infusa di Aura Divina, altrimenti com'è possibile che le torce noveriane non siano mai riuscite a bruciarla?-

Alenna era incredibilmente confusa, tutte quelle informazioni erano... totalmente assurde! Le divinità potevano modificare il corpo di una persona in modo così drastico? Poteva infondere la loro... energia in oggetti e luoghi? Era assolutamente ridicolo e assurdo e insensato e...

Non riusciva a trattenere la sua curiosità, era sorprendete. Assolutamente sorprendete!

-E i Celestiali, Foleria? Di loro non hai parlato. Come fanno ad essere così... divini? Più di chiunque altro? Sono Dei?-

-No, non lo sono. Ma riteniamo che siano il perfetto Avatar di una Divinità. Secondo Narovagi i Cieli sono delle divinità particolarmente arroganti e hanno scelto di trasformare in modo drastico degli esseri umani, infondendoli di Aura Divina in quantità. I loro poteri derivano da quell'enorme quantità di Aura Divina dentro di loro. -

-E i Piromanti? Che mi dici di loro? Secoli fa veneravano la Fiamma Eterna di Fyamorash, quella fiamma era... la loro divinità?-

Foleria arricciò le labbra.

-Narovagi ha dubbi in proposito. In caso fosse davvero stata la Divinità, sarebbe stato il primo e unico caso di una Divinità in forma fisica nel nostro mondo. Ha dubbi in proposito poiché Azoth usò il suo stesso Dio contro Silgvander... possibile che la Fiamma Eterna fosse stata una divinità così debole da lasciarsi usare come arma? Ne dubitiamo.-

Le domande erano tante, la curiosità insaziabile.

-E come influisce quest'Aura Divina negli umani?-

-dipende. Influisce sul corpo in svariati modi, dipende come vuole la divinità. Nei casi più estremi, ma lì Narovagi ipotizza sia stato il volere della divinità, il corpo può cambiare molto, basta guardare i Vurkaniani o i Pellescura, per fare due esempi. L'Aura Divina può colpire la pelle e l'altezza, ma si concentra soprattutto sugli occhi. Abbiamo notato che gli occhi sono i primi a subire l'Aura Divina, non sappiamo perché. Tendono a scurirsi in modo eccessivo, fino a diventare neri come la notte, oppure diventano grigi, rossi, viola, gialli. Può colpire anche i capelli, basta guardare i Q'uoian.-

-E loro? I Q'uoian cosa sono? Umani?-

Foleria esitò.

-È complicato. Secondo Narovagi essi potrebbero essere umani. O meglio lo erano millenni fa. Forse sono stati i primi umani a subire l'Aura Divina,.. Ma il fatto che siano stati i primi mostra come i loro occhi e i loro capelli siano stati così drasticamente modificati. Vedi? L'Aura Divina nel loro caso ha colpito occhi e capelli, mentre nel caso dei Celestiali la statura e gli occhi.

Ovviamente può anche colpire la fisicità. Il fisico dei Celestiali, anche i più vecchi, è migliaia di volte più prestante e atletico di un qualunque essere umano. Vuoi sapere perché quel Kalad di Gothfresh è diventato così incredibilmente forte e pericoloso? Perché è vicino alla Messia. La sola vicinanza con quella ragazza l'ha profondamente cambiato.-

Foleria si massaggio lievemente il mento.

-Ora che ci penso prima ho mentito. Ho detto che la Fiamma Eterna era stato l'unico caso di Divinità in forma fisica. Sbagliato. La Messia è forse il primo caso in cui una vera e propria divinità, in grado di parlare e agire, sia giunta sulla terra. È questo che è, mia cara, una divinità. La Messia è un Dio sceso in terra... ecco perché le fondamenta stesse del mondo stanno tremando ad ogni suo passo.-

Alenna si rese conto che stava trattenendo il fiato. Respirò profondamente.

-E... questo Narovagi chi sarebbe?-

-Il mio gran maestro, Adalberto Narovagi. Ha fondato l'Ordine per studiare l'Aura Divina, come influenza il mondo e cosa fa. E ti assicuro che molto spesso l'Aura Divina ha rischiato di scatenare immani disastri. Siamo in molti a far parte dell'Ordine, io ormai da una decina di anni, e il nostro compito è indagare, catalogare, analizzare e nel peggiore dei casi... agire.-

Alenna sentì le gambe tremare.

-Agire?-

-Sì. Non siamo gli unici a sapere dell'Aura Divina, anche altri sanno. Uomini malvagi. I Figli del Buio o le Divinlame. Ma non sono importanti, almeno non ora. Alenna, cara, c'è un motivo per cui sono qui.-

-Dimmelo.-

Attese, con tutta la pazienza che aveva in corpo, con tutta la calma che riusciva a trovare.

-Sono qui per fermare il Grande Inquisitore. Narovagi sospetta che egli non sia chi dice di essere, che nasconda qualcosa di oscuro e antico, e che voglia avvalersi della Messia non per affermare il potere di Noveria ma per... farci qualcos'altro.-

-Qualcos'altro... cosa?-

-Narovagi sospetta che il Grande Inquisitore voglia usare qualcosa, ancora non sappiamo cosa, per sfruttare l'Aura Divina della ragazza, senza il consenso della Messia.-

-Vuole usarla come arma?-

-No, mia cara, vuole diventare lui stesso un'arma. L'arma più potente e devastante che il mondo abbia mai visto.-

Alenna sussultò. Erano accuse terribile!

-E perché vorrebbe farlo?-

-Un uomo che ha passato l'intera vita a estirpare ogni religione e affermare la sua secondo te cosa vuole fare? Temiamo il peggio Alenna. Se il Grande Inquisitore riuscisse davvero, in qualche oscuro e terribile modo, e non lo escludiamo, a... assorbire l'Aura Divina della Messia... egli diventerebbe un Dio.-

La stanza parve congelare.

Alenna ricordava ciò che era successo alla Torre. Il signore di Noveria era crudele, violento, megalomane e ambizioso fuori da ogni misura. Era una minaccia, stava gettando a ferro e fuoco il mondo intero, si erano mobilitati addirittura da Tarpazzi! Nibeluria era in serio pericolo... lei era in serio pericolo.

-Lascia prima che ti dica cosa intendo fare. Se non vorrai seguirmi ti capirò, poiché rischierai la tua stessa vita.

Il Grande Inquisitore ha annunciato che la prossima settimana si assenterà da Nibeluria a tempo non determinato... e temo voglia già prepararsi a ciò che succederà. Dobbiamo approfittare di questa assenza per impadronirci della città. Se conquisteremo la capitale potremmo avere potere, Alenna. Ed è ciò che ci serve. Quando il Grande Inquisitore perderà la capitale perderà potere su Noveria e se riusciamo a far capire al popolo la minaccia che egli rappresenta riusciremo a portargli contro un regno intero. Sarà solo, senza nessuno ad appoggiarlo. Ma per fare ciò dobbiamo usare... le nostre doti femminili.-

Alenna non capiva.

-Useremo la seduzione, il fascino, il carisma per manipolare gli uomini, mia cara. Ti assicuro che questa.- disse indicandosi in mezzo alle gambe. -È un arma estremamente potente e gli uomini perdono completamente la testa quando c'è di mezzo lei, poveri idioti. Otterremo l'appoggio dei maggiori esponenti del culto della Suprema Rivelazione, in un modo o nell'altro. Otterremo l'appoggio delle guardie cittadine e conquisteremo la Torre. Tutta la città sarà nostra, dalle fogne fino alla cima della Torre. Dobbiamo farlo, Alenna, per salvare il mondo. Capisci, vero? Capisci cosa c'è in gioco?-

Lo capiva. Percepiva la portata di ciò che stava succedendo. E ci credeva, ci credeva davvero, nessuno avrebbe inventato una farsa tale. Ci credeva e aveva paura, aveva paura di ciò che aveva fatto quell'uomo.

È un umano ed è l'uomo più malvagio che io abbia mai visto... se diventasse un Dio... cosa potrebbe fare?

Lei poteva fare qualcosa, poteva avere una parte fondamentale nel fermare quel mostro... lei era la Lady di Nibeluria. Era suo dovere fare qualcosa.

Sembrava assurdo dirlo... ma era la verità.

Lei doveva far parte di coloro che avrebbero salvato il mondo.

-Dimmi cosa devo fare.-

Foleria sorrise e il suo sorriso era così seducente che Alenna non riuscì a trattenere l'eccitazione. Ygrena era così bella, così perfetta. La voleva, voleva toccarla, baciarla, assaporarla. Voleva passare la notte con lei, prima di iniziare una guerra. La desiderava, ardentemente.

-Devi diventare la signora di Nibeluria. Perciò, mia cara, devi uccidere tuo marito.-

E ripensando alle botte, ai calci, agli sputi, agli insulti, alla meschinità e debolezza di quell'uomo Alenna non esitò un solo istante.

-Lo farò.-

 

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Capitolo 47
*** Rinascita ***


Capitolo 46

Rinascita

Il sole stava iniziando lentamente ad apparire all'orizzonte, ma la sua luce non aveva ancora illuminato Aquamar. Ad illuminarla ci pensava il fuoco, i carri distrutti dati alle fiamme dai noveriani, gli edifici che ardevano. Hidan non aveva chiuso occhio nemmeno per un ora, nonostante Toran glielo avesse detto. A tenerlo sveglio era stato il suono del legno che brucia, i continui rumori delle schermaglie che erano continuate ininterrottamente per le vie della città e le urla. Le urla strazianti e di terrore di donne che venivano tirate per i capelli e stuprate per le strade o le urla di ragazzini che venivano rincorsi per le vie strette della sua città.

Suo padre si era chiuso nella sua stanza e non aveva più dato segni di vita, Olbo aveva cercato di parlargli ma Godan Naustrarer aveva rifiutato di vedere addirittura il suo servo che, col passare degli anni, era diventato un amico.

Nalyssa era stata tutto il tempo nel capezzale di Kordovar. Nonostante la situazione drammatica i servi avevano cercato di dare tutti gli onori possibili al loro principe, in attesa del funerale.

Se si farà mai un funerale. La città è in fiamme. La mia città.

Sentì bussare alla porta. Si alzò dal letto, stare disteso non aveva comunque aiutato ad addormentarsi e aprì la porta. Toran si ergeva imponente davanti la porta, con addosso ancora la splendida armatura delle Guardie Blu, ornata con le decorazioni di squali.

-Hai dormito?-

Hidan scosse la testa.

-Non ci sono riuscito.-

Toran alzò le spalle.

-Nemmeno io, tanto sarebbe servito a poco, immagino.-

Toran uscì dalla sua stanza e si avviò assieme a Toran verso la sala medica dove Quellon Feshila, il soldato sotto il comando del Tenente Shikinar, era a riposare. Il ragazzo aveva rischiato di morire per informare Hidan che Shikinar era vivo, già solo per il coraggio dimostrato il ragazzo meritava una medaglia.

Feshila era in pessime condizioni, aveva occhiaie profonde e la sua gamba era fasciata.

-Soldato.- disse Toran.

Feshila non poté alzarsi ma subito rispose col saluto militare.

-Signore!- poi guardò Hidan e subito divenne paonazzo.

-Mio Signore! Perdonatemi, non sono nelle condizioni adatte per parlare col mio principe.-

Hidan sorrise e scosse la testa.

-Tranquillo Quellon, va tutto bene. Abbiamo bisogno di sapere tutto quello che sai. Dove si trova Shikinar, cosa sta facendo?-

Feshila strinse forte i pugni e trattenne un gemito, nonostante le cure le sue ferite erano davvero gravi. Non sarebbe morto, quello no, ma il dolore lo avrebbe tormentato ancora per un bel pezzo.

-Il tenente Shikinar è barricato nella Casa dell'Anguilla, mio signore.-

Ottima mossa, Shikinar, La casa dell'Anguilla è la sede delle Anguille, i Sicari di Aquamar. Sono temuti a Onnyuga come qui. Sicuramente molti di loro saranno vivi, possono essere un ottimo aiuto.

Toran sorrise annuendo.

-Shikinar ci sa fare, lo ammetto. Le Anguille sono spietate e sanno come uccidere, lo sanno fare dannatamente bene, potrebbero essere nostri alleati.-

Feshila annuì, il suo respiro era irregolare a causa del dolore.

-Ero con loro fino a ieri, abbiamo respinto numerosi noveriani, finché quei bastardi ci hanno rinunciato e si sono diretti a castello. Non nego di aver temuto il peggio ma sono stato un idiota. I noveriani non hanno superato nemmeno le mura di difesa, le storie che avevo sentito da ragazzo su Masusharan l'Impallatore sono vere allora!-

Hidan guardò Toran con la coda dell'occhio. Non aveva mai sentito quel soprannome ma era decisamente adatto a Toran, con quella sua lancia aveva impallato un gran numero di nemici.

Certo Toran era molto di più di un Impallatore... ma questo importava a poche persone, soprattutto nell'esercito.

Toran non parve molto felice di sentire quel nome, Hidan ipotizzò gli fosse stato dato quando uccise il suo amico, e scosse la testa.

-Non è tutto merito mio, soldato, anche il principe ha avuto parte a quella vittoria.-

Inaspettatamente Feshila annuì deciso.

-Ho sentito pure questo! Mentre mi medicavano non ho fatto altro che sentire i medici parlare di come Hidan lo Squalo ha ucciso i noveriani con le sue frecce blu! Dicono che le sue frecce si siano trasformate in squali che hanno divorato i soldati inquisitori.-

Hidan trattenne una risatina. Era incredibile come le voci girassero in fretta e soprattutto come le cose venissero modificate. La battaglia era avvenuta diverse ore prima, non era passato neanche un giorno completo e già giravano queste voci.

Ma a Hidan piacque, piacque davvero.

Hidan lo Squalo... non suona male! Non suona male affatto.

-Be' non posso negare...- Hidan venne fortunatamente interrotto dall'occhiataccia di Toran.

E andiamo, non posso nemmeno aggiungere qualche dettaglio? Potrei dire che le mie frecce hanno attraversato la corazza di un bruto noveriano, oppure potrei dire che una delle mie frecce è esplosa, sbaragliando cinque noveriani in un colpo solo!

-Il Principe ha dimostrato grandi doti da leader, è per questo motivo che ha deciso di guidare personalmente le truppe verso la città, per riprenderci la nostra casa.- disse Toran.

Non era esattamente vero, il piano era di Toran ma Hidan non ebbe niente da ridire.

Feshila annuì deciso.

-Verrei con voi se potessi, odio quei bastardi Noveriani. Non so cosa ne è stato della mia famiglia... io sono di qui, nato e cresciuto. E ci morirò qui, un giorno. Ma di certo non morirò sotto l'oppressione straniera, dovessi prosciugare tutti i mari del mondo.-

Hidan provò forte rispetto per Feshila, centinaia di ragazzi come lui avevano dato la vita per salvare Aquamar.

Fallire sarebbe un insulto a tutti quei ragazzi morti, ecco perché io non fallirò.

-Le truppe noveriane hanno momentaneamente rinunciato ad attaccare le mura del castello, vero? Ora sono di sicuro in città, ho sentito per tutta la notte il suono delle loro scorrerie. Non ho chiuso occhio. Ci saranno palizzate, carri date alle fiamme, negozi svaligiati, morti... tipica guerriglia urbana. La Casa dell'Anguilla non è molto distante da qui, ma potreste metterci molto tempo a raggiungerla a causa dei disordini. Vi consiglio di prendere la Via di Hiffshan, dovrebbe essere parzialmente sicura, Shikinar ha inviato molti dei suoi lì.- disse risoluto Feshila.

Hidan annuì e guardò Toran, lo sguardo del vecchio soldato fece capire a Hidan che era ora di partire.

-Ah, mio principe.-

-Dimmi, Quellon.-

-Ehm... il tenente Shikinar sa essere... molto brusco, a volte. Per non dire sempre. Ha proprio un bel caratterino. E... non vorrei essere io a dirglielo, mio signore, ma... l'ho sentito molte volte lamentarsi di... voi.-

Perché la cosa non mi stupisce?

Hidan sospirò.

-Allora cercherò di fargli cambiare idea sul mio conto.-

 

Con loro partirono cento tra le cinquecento Guardie Blu a difesa del castello. I soldati, con indosso le corazze ornate di zaffiri preziosi, seguivano il loro Primo Difensore, Toran. Blanka aveva insistito per venire con loro e anche molti della guardia cittadina, desiderosi di vendicare il loro capitano Wethra. Hidan stringeva forte l'arco di Vashet, sperando che il suo maestro tornasse dagli Abissi per aiutarlo.

In quei giorni sentiva davvero la mancanza di Vashet, quell'uomo aveva provato in tutti i modi a sbloccare Hidan, a farlo uscire dalla bolla che si era creato attorno. Forse era morto con la convinzione di aver fallito.

No, ne dubito. Vashet aveva una brutta caratteristica, sembrava che ogni cosa andasse esattamente come voleva lui. Aveva sempre quel sorrisetto soddisfatto, come se ogni cosa fosse parte di un piano più grande ordito dalla sua mente.

E poi non ha fallito... io sono qui, ora. Sei felice Vashet? Bastardo.

L'alba si avvicinava e il cielo stava lentamente, molto lentamente, iniziando a schiarirsi.

Le vie che Hidan conosceva a memoria erano un lontano ricordo, le bianche mattonelle delle strade erano crepate, carri in fiamme occupavano le vie minori impedendo il passaggio.

E poi i corpi. Donne con le vesti strappate, uomini sventrati come se fossero animali e poi... Hidan vide un ragazzino. Avrà avuto poco più di dieci anni, giaceva a pancia in giù e la testa aveva un grumo di sangue tra i capelli.

Hidan sentì i soldati bestemmiare.

Toran imprecò a bassa voce.

-Cani bastardi. Luridi cani bastardi.-

Hidan cercò di ignorare ciò che vedeva, ma come fare? Non poteva.

Memorizzò quell'immagine e la usò per alimentare la sua rabbia.

Avanzarono lentamente, le vie sembravano sgombre ma sapevano bene che non era così.

-Non so nemmeno che faccia ha.- disse Hidan.

Toran lo guardò perplesso.

-Quel Denthor, l'assassino di Kordovar. Come faccio a capire che è lui?-

-Non è importante ora, Hidan. Dobbiamo salvare la città, questo conta davvero.-

Hidan lo guardò duro.

-Anche vendicare mio fratello è importante. Ho fatto un Giuramento di vendetta, Toran. E lo voglio mantenere.-

-I Giuramenti di vendetta sono tradizione antica quanto gli scogli di questa città, abbiamo superato queste cose centinaia di anni fa.-

-Non mi importa!- ringhiò Hidan.

Era finalmente riuscito a distruggere la bolla in cui era stato imprigionato per troppi anni, nessuno lo avrebbe fermato.

Il Giuramento di vendetta era un vincolo che obbligava l'uomo che aveva subito un torto a rispondere con la morte di chi lo aveva compiuto, era un giuramento antico, quasi tribale, ma aveva fatto parte della cultura di Aquamar per centinaia di anni. Chi Giurava avrebbe dovuto seguire con la sua nave il suo nemico anche in capo al mondo.

All'improvviso, da sopra i tetti dei piccoli edifici ai loro lati, sbucarono dei noveriani. Armati di arco, puntarono subito le truppe degli Uomini Acquatici.

La reazione fu immediata, Hidan venne circondato dai bellissimi scudi circolari della Guardia Blu e i guerrieri, armati dei loro giavellotti da lancio, tempestarono i noveriani. Un noveriano venne colpito dritto al collo e il suo rantolo di dolore fu esageratamente forte. Una freccia centro alla gamba una Guardia Blu ma la loro corazza era di mirabile fattura e la freccia la scalfì soltanto. In compenso l'arciere venne trapassato da due giavellotti contemporaneamente.

-Pensano che noi Uomini Acquatici non sappiamo difenderci solo perché ci facciamo i fatti nostri?- disse un soldato, sorridendo soddisfatto per il suo lancio.

Toran non sorrise. -Non sottovalutate i noveriani, il loro esercito è enorme e ben addestrato.-

Continuarono ad avanzare e Hidan dovette cercare di trattenere le lacrime. Quelle vie un tempo erano così belle, lucenti e anche da lassù si poteva sentire il profumo del mare e il suono delle onde che accarezzavano la spiaggia. Ora, in lontananza, vedeva solo una distesa nera come la pece, in cui fluttuavano relitti infuocati.

Hanno insozzato il nostro mare.

Molte navi erano giunte ma moltissime erano affondate, distrutte dalle baliste nelle mura. Altre navi della flotta noveriana avevano virato a Est e Ovest, dirigendosi a Onnyuga, a Shereka e Orseya. Ovviamente non avevano potuto ricevere notizie ma Hidan sperava che stessero resistendo. Lo sperava davvero.

Passarono vicino ad un edificio distrutto e dall'altra parte videro dei noveriani, allarmati dai suoni della battaglia. Subito la Guardia Blu si lanciò. Erano quattro noveriani, quindi la schermaglia fu più lunga della precedente ma Hidan ebbe tempo di osservare. Un noveriano venne trapassato e la lancia della Guardia Blu toccò il muro alle sue spalle. Un noveriano recise di netto la testa di una Guarda per poi venire impalato. Stesso destino attese gli altri due.

Hidan non aveva ancora usato il suo arco e una parte di lui sperava di non usarlo nemmeno. Nell'unica battaglia a cui aveva partecipato aveva visto crani frantumati, volti letteralmente sciolti e altro ancora. E aveva ucciso davvero tanta gente e questo... non sapeva come lo faceva sentire.

Per almeno metà della battaglia nemmeno aveva capito quello che stava facendo, era come se qualche strano spirito si fosse impossessato di lui e lo avesse usato per uccidere.

Quasi ringraziò di essersi sentito così estraneo a quella carneficina.

-Uomini.- disse Toran.

-È il momento di dividersi. Reksha, tu guiderai le truppe a Est, verso il Viale di Ashun. Tu, Korafah, vai a Nord verso la piazza di Caeldar.

Noi proseguiremo verso ovest, verso la casa dell'anguilla, sperando di trovare Shikinar vivo.-

Le truppe si divisero e Hidan si ritrovò col grosso delle Guardie Blu e Blanka, che nonostante stesse tremando come una foglia camminava in prima linea. Quando Blanka aveva rivelato a Hidan di non aver salvato Kordovar... aveva pensato di ucciderlo. Era un pensiero che gli era subito balenato nella mente, senza esitare, avrebbe subito preso un pugnale e lo avrebbe ammazzato lì sul posto. E nessuno avrebbe detto nulla, perché lui era il principe.

Ma... si sentì subito un idiota. Blanka era stato paralizzato dalla paura, a vederlo sembrava più giovane di lui e Hidan non aveva nemmeno superato i vent'anni, come poteva criticarlo? Lui stesso era terrorizzato e doveva stringere l'arco per non tremare. Ora Blanka combatteva in prima linea e sulle mura del castello lo aveva visto lottare come una belva, una belva disperata e terrorizzata certo, ma pur sempre una belva.

Solo perché ora uccidi, Hidan, non significa che tu possa giudicare gli altri come se fossi un guerriero vissuto.

-Crepate, pesciolini!- urlò una voce davanti a loro e dalle case in rovina sbucarono... molti noveriani. Alcuni nemmeno indossavano le armature, ma una parvenza di pigiama. Impugnavano le loro arma e si ergevano inanzi a loro come se indossassero le loro meravigliose armature con aureola.

Alcuni, invece, indossavano armatura completa e impugnavano lunghe lance e ampi scudi.

-Ora non si scherza più.- disse Toran e la sua voce fu graffiante. Il suo secondo, Yovak, gli lanciò lo scudo e la Guardia Blu si lanciò all'attacco.

Gli arcieri della guardia cittadina rimasero indietro assieme a Hidan.

Già, ora non si scherza più.

Hidan prese una freccia dalla sua faretra e iniziò il suo lavoro. Cercare di non colpire le Guardie era difficile ma non impossibile. Le sue frecce puntarono sui poveracci in pigiama (anche se chiamarlo pigiama era stupido) e subito caddero come birilli. Uno lo centrò dritto in fronte e quando cadde, provocando il disgusto di Hidan, continuò a muovere il suo corpo in preda alle convulsioni. Un altro lo prese sul ginocchio, lo scemo era distratto dal dolore che non vide la lancia che gli trapassò il collo. Il suono che emise fu simile ad un colpo di tosse molto forte. Hidan avrebbe riso se non avesse rischiato di vomitare.

Vide Blanka mulinare la sua sciabola cercando in tutti i modi di ammazzare i suoi nemici. Cosa che fece, più di una volta. Hidan gli diede man forte. Toran sbaragliava tre noveriani alla volta con la sua lancia, sentiva le loro urla e le loro imprecazioni. Toran non era più un ragazzo ma aveva ancora la forza di uno squalo. Hidan puntò agli arcieri sui tetti, a quanto pare i noveriani avevano colonizzato pure i tetti con i loro fottuti arcieri. Le sue frecce saettarono e ne centrarono tre a destra e due a sinistra. Dopo aver scoccato l'ultima freccia Hidan si concesse un sorriso pensando alle parole di Feshila.

Non sarebbe male se diventassero degli squali, non sarebbe male affatto.

Nella mischia davanti a lui Hidan vedeva corpi che venivano schiacciati e teste che rotolavano, i loro volti erano particolarmente sconvolti. Di certo non si aspettavano di staccarsi dal loro collo.

Sembrava che la schermaglia stesse per finire a favore dei suoi uomini.

Non proprio miei ma me lo lascio credere.

E poi, quando si concesse di tirare il fiato, la sentì.

Una voce, gracchiante, sembrava modificata, come se stesse parlando immersa nell'acqua.

Gavuk mu rasha Karasha marey Fasheyka, nu ra la!

Hidan si acciglio. Non capiva, chi stava parlando? E che diamine di lingua era? Alla lontana poteva sembrare aquamari ma era troppo spezzettato, troppo arcaico. Forse aquamari antico, dei tempi del Regno degli Abissi, prima del Grande Gelo, prima che il mare gelasse. Quando l'ultimo Re Abissale, Shukshaka, morì e a governare Aquamar, da quel giorno, furono i Naustrarer.

Nereki ha ta neigha mu rafaki gha!

Eppure sembrava una lingua straniera. Qualche parola era effettivamente aquamari, seppur antico. Karasha significava re e rasha assomigliava molto a cantare o cantore. Fasheyka veniva usata per indicare un uomo annegato, oppure un uomo che giace sul fondo del mare. Anche se era abbastanza retorico che fosse morto pure in quel caso. Nereki era noi... erano in molti a parlare? Rafaki assomigliava molto all'Aquamari reyfiki che significa attendere.

Ma chi diamine era? Gli altri lo sentivano? Era strano, sembrava quasi una cantilena.

Quando finalmente Hidan rinsavì la battaglia stava per terminare. Molti corpi giacevano a terra, in posizioni assurde. Hidan si toccò la fronte, sentiva la testa pulsare.

Ci mancava solo il mal di testa... oltre alle voci. Sento pure le voci, cazzo.

Toran aveva la corazza sporca di sangue e ora appariva come uno dei Cavalcatori delle Onde, i leggendari guerrieri delle storie aquamari.

Il vecchio guerriero si avvicinò sorridendo.

-Anche durante la mischia hai un ottima mira, ho sentito parecchie delle tue frecce sfiorarmi senza toccarmi. Ottima mira davvero.-

Hidan fece un mezzo sorriso.

-Taci, vecchio. Ho cercato di beccarti un sacco di volta, ho solo sbagliato mira.-

Toran rise e gli batté la mano corazzata sulla spalla. Il colpo fece cedere le gambe di Hidan. Toran svettava davanti a Hidan, certo il principe di Aquamar non era mai stato alto, anzi, ma Toran era imponente. Molto più di suo padre, Kordovar e Vashet.

Be' Vashet era più piccolo di me ma quel piccoletto aveva una forza inumana. Ci sarebbe stato bisogno di lui ieri. Cazzo se ce ne sarebbe stato bisogno.

Poi, alle spalle di Toran, oltre le Guardie Blu, Hidan vide un sopravvissuto. Uno dei poveracci in “pigiama”, probabilmente rimasto nascosto durante la schermaglia. Il soldato toccò il terreno con la fiamma e poi... poi il terreno prese fuoco seguendo una striscia. Il fuoco si mosse molto lentamente ma inesorabilmente, attraversando le Guardie Blu che si dispersero al passaggio delle scintille.

-Ma che cazzo...- disse Hidan.

Pensò. Cosa diamine poteva essere? Cercò di riflettere, si spremette le meningi. Cos'era successo recentemente ad Aquamar?

Molte cose e ben poche positive. Ma prima dell'arrivo dei noveriani, prima della morte di Kordovar... era giunto ad Aquamar un ricco mercante imperiale. Diceva di chiamarsi Jin Rui ed era famoso nell'impero per i suoi straordinari fuochi artificiali. Nel Grande Continente erano una cosa sconosciuto ma ad Oriente i fuochi artificiali erano famosissimi. Venivano lanciati con dei razzi ed esplodevano in cielo, emettendo delle fiamme colorate. Venivano prodotti con la polvere nera, ampiamente usata nell'avanzato Impero del Sole. Veniva anche usato per la guerra, infatti Hidan aveva spesso sentito storie su enormi cilindri in grado di sparare delle pesanti palle di ferro. Le battaglie che combatteva l'Impero si risolvevano sempre molto in fretta.

Polvere nera... infiammabile... esplosione.

La striscia di fuoco si avvicinò all'entrata dell'edificio al loro fianco destro e poi, finalmente, Hidan capì.

I noveriani avevano piazzato tatticamente la polvere nera che il caro signor Rui aveva portato ad Aquamar.

Oh merda...

-Scap...- non riuscì nemmeno a finire la parole che un bagliore accecante illuminò l'alba e l'onda d'urto lo strattonò, facendogli perdere il fiato. Fu come cadere in mare dopo una caduta di svariati metri. Sentì i muri crollare con lui e le macerie accompagnarlo ad abbracciare il duro terreno. Il colpo alla schiena fu veramente doloroso, ma non si fermò lì. Rotolò per svariati metri, cercando di capire dove stava finendo. Finché non si ritrovò, dolorante fuori da ogni misura e parecchio confuso, ad osservare un soffitto in pessime condizioni. Le sue orecchie fischiavano. Cercò di rialzarsi, ma sentiva le ossa doloranti. Si distese su un fianco e vomitò, poi si guardò attorno, cercando di capire ciò che stava succedendo. Una Guardia Blu era divisa a metà, come se una gigantesca spada l'avesse tagliato in due, un altra era priva di una gamba e di un braccio, un'altra ancora era martoriata, le interiora spalmate sui muri.

Hidan trattenne un secondo conato di vomito, ma doveva alzarsi. Doveva anche se... potevano essere tutti morti. I Noveriani avevano usato la sua città contro di lui. Avrebbero sofferto molto per questo.

Certo non sapeva come ma ci sarebbe arrivato, intanto era vivo.

Dolorante, con una coscia ricoperta di sangue e tre o quattro pezzi di pietra impiantati nelle braccia... ma vivo.

Un corpo si avvicinò, temendo che fosse un noveriano afferrò subito il suo pugnale ma, quando il corpo fu vicino, riconobbe Blanka.

-Principe, siete vivo! Forza, afferrate la mia mano, dobbiamo andarcene subito di qui!- disse il ragazzo, Hidan notò che gli mancava almeno metà mano destra e aveva la fronte sanguinante. Hidan afferrò la mano sana di Blanka e riuscì finalmente ad alzarsi. Toran si stava avvicinando, la sua corazza era totalmente ammaccata, una spalla era scoperta e il suo occhio destro era sanguinante.

-Hidan, figliolo, stai bene?-

Hidan cercò di parlare ma non fece altro che vomitare una mistura tra bile e sangue. L'impatto gli aveva smosso l'intestino.

-Merda. Ascoltami, ehi ascoltami.- disse Toran prendendogli la testa.

-Noi ora ce ne andiamo, ok? Mh? Stanno arrivando dei noveriani, vedo le torce. Non siamo morti tutti, mi senti? Ne abbiamo perso tanti ma il grosso delle Guardie è vivo. Mi hai capito, Hidan? Non mollare, ok figliolo? Fammi questo piacere. Non mollare cazzo, non ora.-

Hidan riuscì finalmente a parlare.

-Toran... cazzo quello... merda, Toran uno era... cazzo era spalmato sul muro!-

-Non è importante, Hidan! Non lo è. Dobbiamo restare vivi, ok? Non posso perdere anche te, sei l'unica cosa che mi resta. Mi hai sentito?-

Quelle parole, totalmente inaspettate in quel momento, smossero lo spirito di Hidan. Si fece forza, si impose di muoversi. Dovevano allontanarsi, procedere verso gli edifici crollati per l'esplosione, dovevano raggiungere la Casa delle Anguille.

-Bene, ragazzo, bene. Ora...- Hidan venne interrotto dalla carica di un noveriano in armatura, che lo abbatté a terra. Blanka urlò e sfoderò la sua sciabola. Altri quattro noveriani arrivarono, armati e incazzati. Blanka carico, nel folle tentativo di difendere Hidan. La sua sciabola saettò a velocità spaventosa, cosa che stupì Hidan. La sciabola recise metà faccia ad un noveriano.

Toran stava cercando di liberarsi dalla ferrea presa del noveriano che lo ancorava al suolo. Le grosse mani di Toran si abbatterono sul volto del noveriano, finché la sua faccia non divenne una poltiglia rossa. Toran si alzò, ma il noveriano gli afferrò una gamba e infilzò un pugnale sulla coscia di Masusharan. Toran ringhiò, afferrò la sua lancia e trapasso il corpo del suo nemico, impallandolo al suolo. Ringhiò tutta la sua furia mentre la lancia usciva dal corpo senza vita del suo nemico. Hidan strinse il suo pugnale e si lanciò su un noveriano. La lama saettò sul collo del soldato inquisitore, entrò e uscì subito dopo, accompagnata da spruzzi di sangue. Il ragazzo cadde in ginocchio, reggendosi il collo, ma Hidan abbatté nuovamente il suo pugnale nella nuca del ragazzo. Il pugnale uscì dal mento del soldato. Fece fatica a tirare fuori il pugnale dal cranio del suo nemico ma lo fece in tempo per reagire alla mazza che per poco non gli spaccò la testa. Hidan si abbassò, schivando il colpo, poi ne schivò un altro, allora si lanciò verso il noveriano. Il terzo colpo lo prese sulla spalla destra e Hidan sentì un brutto scricchiolio. Ciò diminuì la forza della sua carica ma non la fermò. Hidan sbatté il pesante corpo del noveriano contro i resti di un muro, il quale crollò a contatto con i due corpi bellicosi. Hidan portò con sé a terra il suo nemico e lo tenne saldo al terreno, impedendogli qualunque movimento. Il pugnale poi fece il resto del lavoro. Prima perforò la trachea, recise tutto ciò che c'era da recidere, poi puntò al petto e decorò di rosso lo stomaco. Hidan si alzò subito dopo aver finito il lavoro, per evitare di vedere lo stato in qui versava quel poveraccio, avrebbe di certo vomitato.

-VIA!- sbraitò Toran, ma i noveriani si riversarono come un fiume in piena. Poi, dalle macerie, sbucarono numerosi come le formiche, dei soldati aquamari. Indossavano le loro divise blu ma erano tutte rovinate e sporche, di terra e sangue. Le loro urla bellicose accompagnarono le loro sciabole, che fecero a pezzi i noveriani. La battaglia non aveva lo spazio necessario per svolgersi e i corpi si spingevano, erano più i soldati a cadere per le spinte che per i colpi di sciabola. Un ragazzo dai capelli color sabbia e dagli occhi viola, un colore tipico ad Aquamar anche se molto più raro rispetto al blu mare, afferrò il braccio di Hidan.

-Principe! Seguitemi, dovete venire al sicuro!-

Hidan lo seguì.

I minuti successivi furono di corsa disperata, mentre l'intera città si risvegliava, pronta a diventare il teatro di una battaglia sanguinaria. Falò si accesero, altre case andarono a fuoco, altre urla presero parte alla melodia di morte. Le vie di Aquamar si stringevano sempre più finché il ragazzo non condusse Hidan Toran, Blanka e tutti gli altri soldati davanti un ampio portone nero. Tutti entrarono e vennero accolti da altri soldati aquamari, anche se la maggior parte erano uomini e donna che indossavano vesti verde scuro e avevano uno strano vortice tatuato sulla fronte.

-Chi sono?-

-Ma che cazzo?-

-Chi diavolo hai portato qui Ewyh?-

Il ragazzo, Ewyh, riprese fiato.

-Il principe. Dannazione non lo riconoscete? Il principe e l'Impallatore!-

Tutti i soldati si guardarono allibiti ma nessuno si inchinò.

Un uomo dalla calvizia incipiente indicò alle sue spalle.

-Portali da Sothar.-

 

La casa dell'Anguilla era un enorme villa, dal salone talmente ampio da contenere centinaia di persone. Nei muri vi erano degli enormi quadri, dipinti dal famoso pittore Tyrron Reshyum. Uno rappresentava il Primo Naustrarer, circondato dalla sua corte, all'alba della nascita di Aquamar. Un altro rappresentava l'imponente Torre di Corallo, sede dei Re Abissali, nelle ere antecedenti al Grande Gelo. Un altro rappresentava l'immenso Santuario dell'Abisso di Onnyuga dove era protetto quello che, almeno così si diceva, fosse un dente dell'antico Dio degli Abissi. Quel Santuario era stato difeso strenuamente nel corso degli anni dai Shulann, i Difensori del Dente. Alla fine il Grande Inquisitore aveva rinunciato alla distruzione di quel tempio. Un po' per timore dei Shulann... un po' perché quel dente non gli suscitava tutto questo grande interesse. Le colonne di corallo, che erano costate una fortuna, erano snelle e alte e decorate con venature azzurre. Al centro della sala stavano vari uomini, spiccavano due tra questi. Uno aveva i capelli scompigliati, gli occhi viola come Ewyh, le labbra sottili e il naso aquilino. Il suo fisico era slanciato ed era piuttosto basso, nonostante paresse svettare tra i suoi compagni.

No compagni, seguaci.

Quello era il famosissimo e temuto Sothar Katardis e quello che anche lui aveva sulla fronte non era un vortice, ma un anguilla che vorticava su se stessa.

Le Anguille erano il temibile ordine di Sicari di Aquamar, non si sapeva nulla della loro nascita, anche se pareva fosse stato un ex membro della Guardia Blu a fondarle. Le Anguille erano, molti anni fa, i sicari reali. Lo furono fino al regno di Yuran Naustrarer, il Re che cedette al Grande Inquisitore. Da allora le Anguille hanno smesso di seguire gli ordini della corona e lavorano in proprio o sotto lauto pagamento, senza mai, però, andare contro il loro stesso popolo (o almeno contro la famiglia reale).

Di Sothar Hidan aveva sentito le più varie storie, ma una cosa sapeva per certo, che fosse un guerriero temibile. Fu l'unico a sconfiggere Vashet durante i grandi Tornei della Festa del pesce d'oro. Hidan ricordava tutto, anche se era un ragazzino. Vashet aveva duellato usando tutte le sue forze, lo aveva capito, e lo stesso aveva fatto Sothar. Alla fine i due erano in condizioni pietose, a malapena si reggevano in piedi, ma Vashet era caduto circa un secondo prima di Sothar.

Vicino a Katardis stava un uomo massiccio, dal volto rude e dai capelli rasati. I suoi occhi erano piccoli e rabbiosi e il suo mento era così ampio da incutere timore.

Difficile non capire chi fosse, Rosald Shikinar era famoso per essere un uomo rabbioso e terribilmente lunatico ma anche per essere un abile stratega e un uomo d'onore, mosso da un grande patriottismo. Era figlio del vecchio Grendis, il maestro di Kordovar.

E questo chiariva il motivo del caratteraccio di Shikinar.

Sothar si volse a guardare Hidan e il principe non provò stupore quando il saluto del Gran maestro delle Anguille fu rivolto a Toran e non a lui.

-Felice di vederti vivo, Masusharan.-

-Hai davanti a te il principe, Katardis.-

Sothar alzò un sopracciglio.

-Lo so.- ma non lo salutò affatto.

Shikinar rivolse un saluto frettoloso ma niente di più.

Rosald si avvicinò a Toran lo avvolse in un caloroso abbraccio.

-Sapevo che non saresti morto, vecchio squalo! Abbiamo sentito della battaglia al castello, roba da non credere. Soprattutto...- disse guardando Hidan. -Quello che si dice sul suo conto. Hai inventato delle belle cazzate, eh ragazzino?-

Hidan strinse forte i pugni.

-Stai parlando al tuo principe, Shikinar!- Ringhiò Toran.

Shikinar strinse ancora di più gli occhi.

-Il mio principe, Masusharan, è morto laggiù sulla spiaggia, trafitto alle spalle. Ero lì, ho visto il bagno di sangue che c'è stato. Se non fosse stato per Sothar saremmo tutti morti.-

Toran, senza badare alle parole dell'altro soldato, lo afferrò brutalmente per il colletto.

-Allora sei stato inutile! Kordovar è morto e ora il principe è solo Hidan. E tu porterai l'adeguato rispetto o ne pagherai le conseguenze, stupido stronzo!-

-Mollami, bastardo! Anche tu saresti scappato! Chiunque l'avrebbe fatto! Chiunque!-

Hidan guardò Blanka e si stupì nel vedere il ragazzo avvicinarsi.

-Io non l'ho fatto. Mi sono gettato sul corpo del principe Kordovar per difenderlo. Io non sono scappato. E nemmeno il principe Hidan l'ha fatto, sulle mura del castello. Io ero lì, ho visto tutto.-

Shikinar rise a sentire quelle parole.

-Voi siete abili guerrieri, lo so, e il mio rispetto per Masusharan è alto. Ma non potete chiedermi di seguire lui! Uccidetemi pure se volete, ma io non seguirò mai un pappamolle come lui. Sempre impegnato a farsi bello, per tutta la vita, ma appena era il momento di sporcarsi le mani subito pronto a tirarsi indietro! E cazzo se volevo dirle queste cose!-

-Tappati quella fottuta bocca, ammasso di alghe!- ringhiò Hidan prendendo una freccia e puntandola al collo di Shikinar.

-Io sono un Naustrarer e sono stato addestrato da Vashet Ankarer. So molti, ma molti più trucchi di te. Ero sulle mura del castello, io, il principe. Proprio come Kordovar ha fatto sulla spiaggia. Ho ucciso degli uomini, ho cavato gli occhi ad un soldato e poi l'ho gettato dalle mura. Ho preso un barile carico di olio bollente e l'ho gettato sulla faccia di un noveriano e ho guardato la sua faccia sciogliersi! Ho combattuto, esattamente come Kordovar, ma io, Shikinar, sono sopravvissuto!-

Tutti si ammutolirono.

Hidan indicò Blanka.

-Questo ragazzo è più piccolo di me! Ed è molto più piccolo anche di te. Era nella spiaggia, senza avere l'allenamento necessario per combattere dei soldati inquisitori. E sai cos'ha fatto, informe sacco di merda? Ha difeso mio fratello in fin di vita. Se non fosse stato per lui non avrei potuto dire addio a Kordovar. Se non fosse stato per lui io ora non sarei qui e tutti voi sareste morti! Perché è grazie a me che le mura non sono cadute. Grazie a me! Tu cos'hai fatto, Shikinar, se non fuggire e nasconderti qui? Cosa? Se ti sento, anche solo un'altra volta, parlarmi in un modo che non sia adeguato al mio ruolo, questa freccia ti trapasserà il collo. E mi ringrazierai, perché sarà il tuo principe ad ucciderti. Ne andrai orgoglioso perché sarò IO a farlo! Ora tappati quella fottutissima bocca.-

La tensione divenne palpabile e attraverso tutti i loro corpi come una scarica elettrica.

Sothar sorrise deliziato e si mise ad applaudire.

-Questo è esattamente come dovrebbe parlare un Naustrarer, esattamente così! Il Principe è stato addestrato da Vashet e io più di tutti posso affermare che Vashet era una vera macchina da guerra. Il ragazzo è stato addestrato bene.-

Hidan guardò Sothar e lo indicò con la freccia.

-Tu. La prossima volta dovrai inchinarti, io non sono il tuo facchino. Io sono il tuo Principe.-

Sotghar sorrise ancora di più e subito si inchinò.

Toran sembrava stesse per esplodere per l'orgoglio e con lui Blanka.

Shikinar abbassò lo sguardo e si allontanò.

E Hidan si sentì molto, ma molto bene.

 

-La Casa presto verrà attaccata, è un dato di fatto.- disse Sothar cupo.

-Possiamo difenderla, certo, la casa è ricca di trappole piazzate da me in persona. Ma in noveriano hanno dalla loro un armamentario migliore e pare che abbiano portato un ariete.-

Hidan spalancò gli occhi.

-Un ariete? Ne sei sicuro?-

-Così mi hanno riferito le mie spie. L'hanno fatta uscire da una delle loro grandi navi da carico e la stanno portando qui. Tempo qualche ora e ci ritroveremo il portone sfondato.-

-Non se noi lo difenderemo.- disse Hidan deciso. E ci credette davvero.

Passi avanti.

Sothar fece un mezzo sorriso.

-Apprezzo la vostra audacia ma spesso essa porta alla morte, bisogna essere saggi, mio principe. Pazienti. Organizziamo le difese, piazziamo ulteriori trappole e attendiamo. I noveriani non ci troveranno impreparati, questo ve lo posso assicurare.-

Toran mise le mani sui fianchi e sospirò.

-I Noveriani sono tanti, sono in vantaggio... la vittoria è praticamente loro. Lo sanno.-

Sothar fece un gesto con le mani, come per evidenziare un concetto da lui non ancora detto.

-L'esperienza mi ha insegnato, caro Masusharan, che sono i nemici più sicuri di vincere quelli che sono più facilmente ingannabili.-

Shikinar sbuffò.

-I noveriani sono degli arroganti bastardi, non si aspettano nemmeno le nostre trappole. Caricheranno come dei tori, mentre le nostre trappole li faranno a pezzi.-

Blanka non riuscì a trattenere la sua curiosità.

-Ma... che genere di trappole?-

Sothar sorrise, con quel suo sorriso deliziato. Come se la morte di centinaia di uomini fosse una cosa così soddisfacente.

-Oh vedrai ragazzo, vedrai.- disse facendogli l'occhiolino.

 

Aspettarono. Molto a lungo. Molto tempo.

Molta noia.

La quiete prima della tempesta poteva essere incredibilmente noiosa, anche se Hidan sapeva che appena la tempesta fosse arrivata avrebbe desiderato di nuovo la quiete con tutto se stesso.

Shikinar si avvicinò lentamente a lui.

-Mio principe.-

-Vedo che hai imparato.-

-Io... volevo scusarmi. A volte ho proprio un brutto carattere.-

-Credo che il termine giusto sia carattere di merda.-

-Giusto.-

-Provaci a negarlo.- disse Hidan guardandolo con un mezzo sorriso.

Shikinar parve stupito. Forse era convinto che Hidan lo odiasse ma... no, non lo odiava. L'unica persona che Hidan odiava era Denthor di Fassband. E l'avrebbe ucciso, molto presto anche. Era lì, da qualche parte. Lo sapeva, poteva sentirlo.

-Vostro fratello era un abile guerriero, è morto solo perché quel bastardo di Denthor l'ha preso alle spalle. Denthor è famoso, sapete, lo chiamano Il Toro. Non vi sto a dire perché, insomma è abbastanza chiaro. All'inizio vi consideravo... be' non vi consideravo molto, lo ammetto. Il mio Principe! Che razza di soldato sono? Dovrei essere giustiziato per quello che ho detto.-

-Non ho intenzione di perdere un valido soldato.-

-Vi ringrazio, mi rendete onore. Prima... prima di sentirvi parlare pensavo che Denthor fosse oltre la vostra portata ma ora... ora credo che voi possiate addirittura ucciderlo da solo. Con una freccia ben assestata. Ho sentito che avete una buona mira. Quel cane deve pagare. Sapete...-

la voce di Shikinar si inclinò e Hidan si volse verso di lui.

-Sulla spiaggia... ho... merda.- mandò giù la saliva. -Ho perso tutto il mio reggimento. Quasi tutto. Sono rimasti... pochissimi soldati. Tutti gli altri... tutti gli altri sono morti.... morti. Ragazzi... dei cazzo di ragazzini morti per colpa mia. E io... non lo, merda, non lo so ho avuto paura. Ho salvato il salvabile e sono scappato. Non ho pensato al Principe. Sono fuggito. Quel Blanka si è gettato sul corpo del principe e io... sono scappato. Merda, cosa cazzo mi era preso?-

Hidan quasi si pentì di quello che aveva detto.

-Rosald, ascoltami. So cosa significa, io ho vissuto nella paura per tutta la mia vita. Siamo umani, tutti abbiamo paura. Tutti. La vera forza sta nel rendere quella paura un arma. Bisogna prendere le nostre debolezze e farle diventare dei vantaggi. È un bene provare paura, sai? Ogni paura poi diventerà parte di un armatura e quell'armatura diventerà indistruttibile. Io ora ho una grande armatura che non si distruggerà mai e sai perché? Perché ho avuto paura, per tutta la vita.-

“È dalla paura che nasce il coraggio”

Shikinar annuì, come se una strana forza lo avesse improvvisamente rinvigorito.

-È vero. È vero... sì, voi siete un Principe degno di essere seguito. Quando sarete Re vi servirò con tutto me stesso, lo giuro. E non avrò più paura.

No, anzi. Trasformerò tutte le mie paure in un armatura.-

Hidan sorrise e annuì. -È esattamente così che dovete fare.-

Poi Hidan, mosso da un insaziabile curiosità, chiese: -Cosa sapete dirmi di... Denthor Il Toro?-

-Quel nome non è da prendere troppo alla lettera.-

-Ah be' questo mi...-

-A Denthor mancano le corna.-

E Hidan si pentì subito di aver fatto quella domanda.

 

Hidan osservava attentamente Sothar. Sembrava così incredibilmente sicuro di sé, tutto ciò che Hidan non era mai riuscito ad essere. Camminava con passo deciso, guardava dritto negli occhi le altre persone senza distogliere mai lo sguardo. E aveva sempre quel sorriso soddisfatto, come se tutto ciò che succedesse attorno a lui fosse già pianificato. Forse lo era.

Supremo! Quanto mi ricorda Vashet.

Appena vide Hidan si avvicinò subito con quel suo passo deciso.

-Principe! Posso farle i miei complimenti per quello che è successo prima? State dimostrando grande determinazione, ve ne devo dare atto. Perdonate i miei modi sgarbati appena siete giunto qui. Ahimè non ho mai provato particolare affetto per i Naustrarer.-

-Tranquillo.-

-Allora, cosa mi dite della mia umile dimora?-

Hidan si guardò attorno.

-È davvero notevole. Ho il perenne dimore che ci sia una trappola sotto i miei piedi.-

Sothar rise deliziato.

-Oh ma è esattamente così!-

Hidan era davvero incuriosito da quell'uomo.

-Cosa mi dite di voi, Katardis?-

-Oh ci sarebbe molto da dire sul mio conto, vostra maestà.-

-Giuratemelo.-

Si toccò il cuore.

-Giuro. Potrei scrivere svariati libri su ciò che ho fatto nel corso della mia vita. Ho amato, riso, pianto, lottato, sofferto. Ho fatto cose belle e brutte. Cose di cui andare orgoglioso e cose di cui vergognarmi. Cose che i bardi cantano e altre nascoste nel mio cuore, vive solo nei recessi della mia memoria. Ho fatto talmente tante cose che non basterebbero mille vite per raccontarle tutte. Ma non è così per ogni uomo, principe? Ogni uomo ha la sua storia. Facciamo talmente tante cose che ci sembrano insignificanti... ma in realtà tutto serve sapete? Tutto. Creiamo la nostra storia con ogni nostra minima azione. Ho sempre amato pensarla a questo modo.-

Indicò Shikinar, impegnato a parlare con due soldati.

-Guardi Shikinar. Avete una brutta immagine di lui, anche se ho visto che vi parlavate prima. Ha una moglie e due figli. Come si comporta con quei figli? Racconta loro favole prima di andare ad uccidere uomini? Bacia sua moglie ogni mattina? Da ragazzo cosa faceva? Correva a piedi scalzi per le vie di Aquamar? Baciava giovani fanciulle in riva al mare? Si distendeva al sole pensando alla sua vita? Vedete? Ci sono così tante domande, così tante risposte, così tante storie!-

Si incamminò vicino ad una magnifica libreria.

-Ogni pagina scritta racconta una storia. Ma dietro ogni pagina, ogni libro, vi è la storia dell'uomo che l'ha scritto. Dietro una poesia vi è la vita del poeta. Dietro un campo vi è la vita di un contadino. Dietro una nave vi è la vita di un navigatore. Dietro una spada vi è la vita di un soldato. Questo ricordatelo sempre, principe.-

Hidan era affascinato. C'era una storia dietro ogni cosa. C'erano così tante storie, così tante storie che nessuno conosceva! Che dovevano essere ancora raccontate. Così tanta... vita.

-Come fate ad essere così?- chiese Hidan.

-Così come?-

-Non lo so... sicuro.-

Sothar parve molto stupito, per la prima volta.

-Sicuro? Io? Io sono insicuro, come ogni essere umano. Chi è sicuro di qualcosa? Non si può essere sicuri, proprio no. Ho trascorso l'interezza della mia vita con l'insicurezza di vedere un domani. Vivevo per la strada, senza un soldo, difendevo mia sorella e rubavo per avere un lavoro. Feci vari lavoretti per il precedente Gran Maestro delle Anguille, Ratysh Yatrarer. Poi lui prese mia sorella... e volle fare cose con lei. Cose brutte. Era un sadico bastardo. Andò avanti così per molto tempo, sapete? Mi costrinse a guardare a volte. Io non potevo sopportarlo. Allora decisi di lavorare per lui, in cambio della libertà di mia sorella. Uccisi chiunque lui mi dicesse di uccidere per liberarla. Ma col passare del tempo iniziai a capire come funzionavano le Anguille, come si comandavano, come ci si affermava leader. Allora lo uccisi. Uccisi Ratysh, lo castrai, lo gettai in pasto ai pesci e costrinsi sua moglie a guardare. E sapete una cosa? Della sua storia non mi importa proprio un cazzo.-

-Anch'io avrei fatto lo stesso.-

-Chiunque avrebbe fatto lo stesso. Ora mia sorella è sposata è bella come il sole e ha un marito che la protegge dai pericoli. Ma ho trascorso così tanto tempo insicuro e spaventato. Per così tanto tempo ho avuto paura della mia stessa ombra. Ma sapete cosa credo? Le persone insicure sono quelle che dentro di loro hanno una forza prorompente e sono costretti a trattenerla perché quando si sprigiona scuote il mondo intero. Si resta insicuri ma poi succede qualcosa che distrugge la bolla di insicurezza... e nasce il vero uomo. Voi siete rinato, principe?-

Disse quelle parole come se lo conoscesse, come se sapesse benissimo tutto quello che era successo a Hidan. Come se avesse trascorso con lui gli ultimi giorni.

-Sì.- disse Hidan e sentì un incredibile convinzione riempirgli le vene e scorrere al posto del sangue. La bolla si era distrutta, ora il nuovo Hidan si ergeva. E nessuno l'avrebbe più fermato, nemmeno il Supremo stesso.

-Sono rinato.-

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Capitolo 48
*** Allenamenti, ideologie e amicizie ***


 

Capitolo 47

Allenamenti, ideologie e amicizie

-Ma... il fuoco non mi dice nulla Ulfric.-

-Oh sì che lo fa! Solo che tu hai le orecchie tappate e non lo vuoi ascoltare, fiammetta.-

-Dico davvero.-

-No, Fiammetta, dici sciocchezze. Ascoltalo. Questo... è un fuoco delicato, vuole solo illuminare, però se ci parli lui ti racconterà una storia. Senti il suo odore? Forza.-

-Ulfric ti dico che... aspetta... sento un ronzio!-

-Ecco ecco! Benissimo.-

-È come se volesse... non lo so... sento come se questo fuoco volesse stare vicino a un umano, sentire perennemente il suo calore.-

-Infatti è così, è un fuoco di compagnia, vuole stare vicino ad un umano per sentire sempre il suo calore corporeo. Gli piaci.-

-Che carino! Quindi basta che...-

-Devi solo volerlo, devi desiderarlo. Toccalo. Tranquilla, non ti brucerà. Forza toccalo, accarezzalo, lui saprà cosa fare.-

Ayliss lo fece e il fuoco della torcia non le fece alcun male, parve diventare rosso come il sangue, avvolse il suo braccio e infine si poggiò sulla sua spalla. Divenne una piccola fiammella gialla che non faceva altro che ronzarle attorno.

-Ulfric ce l'ho fatta!- disse lei piena di entusiasmo.

-Già. Ecco il tuo primo Fuoco Fatuo. Può essere molto utile, può difenderti poiché vede in te una madre e ti difenderà da qualunque pericolo. Ricordi il giorno in cui vi ho incontrati? Ecco, viaggiavo all'interno del mio Fuoco Fatuo, Calcifer.- dopo averlo menzionato, vicino Ulfric sbucò un piccolo fuocherello che subito si mise a giocare con quello di Ayliss.

-Posso dargli un nome?-

-No, non se ne parla.- disse Ulfric muovendo l'indice. -Non è un giocattolo, lui ha già un nome. Chiediglielo.-

Ayliss non dovette nemmeno parlare, basto un pensiero e immediatamente seppe il nome di quel Fuoco Fatuo.

-Cinder! Si chiama Cinder!-

Ulfric rise di gioia e abbracciò forte Ayliss.

-È proprio come immaginavo!-

-Sono una Piromante?- disse Ayliss spalancando gli occhi.

-Si! Ma non solo! Tu sei... tutto!-

Ayliss parve perplessa.

Ulfric le fece cenno di sedersi.

-Anni fa conobbi un uomo, a Tarpazzi. Ero andato a trovare mio fratello Toddar e a fare un giro d'ispezione dei bordelli di Venethika.-

Ayliss lo guardò con sguardo severo.

Lui alzò le mani.

-Giro d'ispezione ho detto! Era per lavoro.-

-So io che lavoro facevi Ulfric.- disse lei seccata.

-Certo che lo sai, è il tuo passatempo preferito.- disse lui facendogli la linguaccia come i bambini.

Lei fece un urletto stizzita e lo colpì con uno schiaffetto, nonostante stesse ridendo. Lui la accompagnò volentieri nella risata.

-Ascoltami un attimo. A Tarpazzi conobbi un uomo, Adalberto Narovagi. Quell'uomo mi disse di possedere uno strano potere. Vedeva attorno a certe persone... una sorta di energia incorporea e incolore, difficile anche solo da spiegare. La chiamò Aura Divina. Mi disse che era l'energia stessa degli Dei, la loro influenza. La vedeva nelle persone, negli oggetti, addirittura in certi luoghi. Mi disse che quell'Aura era alla base della Magia stessa.-

-Cosa intendi?-

-Ogni magia ha qualcosa in comune, tutte hanno... come dire... lo stesso filo conduttore. Sono alimentate dall'Aura Divina, dagli Dei stessi. Non mi seppe dire come gli Dei esistano e dove siano... ma non è importante. E da li capì tutto, Fiammetta. La Voce dei Q'uoin per esempio, permette loro di comandare ogni cosa, anche il fuoco. In modo parzialmente simile al mio, seppur la Piromanzia sia mille volte più potente e articolata. Il Canto dell'Abisso era un potere antichissimo, usato dai Re Abissali durante l'Epoca d'Oro, permetteva loro di comunicare con gli animali marini, compresi i Litumani. In modo simile alla Voce dei Q'uoin ma anche in questo caso in un modo più profondo, più viscerale, si trattava di una simbiosi stessa col mare, un legame quasi spirituale tra il Grande Blu e i Cantori, era una forma di reciproco rispetto. La Voce dei Q'uoin poi controlla la volontà ma ha strani effetti quando viene usata nella Grande Foresta, ho sentito storie che parlano di strani pozzi che si congelano ogni qualvolta nella Grande Foresta succede qualcosa di pericoloso. Ho addirittura sentito che la loro Voce acquisisce strane potenzialità se usata sugli antichissimi alberi di Q'uoian e viene addirittura amplificata a dismisura se usata utilizzando una parte degli Elementali. Per esempio una piuma di Work, gli Elementali dell'Aria, dona loro un incredibile potenziamento al controllo del vento.

Tutto questo è dovuto all'Aura Divina, è il filo conduttore che collega ogni magia.

Nell'Era del Tempo Antico, ancor prima dell'Epoca d'Oro, quando la Grande Foresta si estendeva per tutto le Terre d'Occidente, esisteva una forma di magia talmente antica da essere stata dimenticata. La Magia Antica derivava forse da un Dio Ancestrale, proveniente da uno dei Rami dell'Albero del Cosmo forse? Non so dirlo... ma quella magia rappresentava Aura Divina Pura, la totale essenza della divinità.

Tu Ayliss sei Aura Divina Pura, sei tutto ciò che resta della Magia Antica che ha dato vita a tutte le altre forme di magia. Perciò tu puoi fare... ogni cosa.-

Ayliss era incredibilmente stupita, sentiva il cuore battere all'impazzata.

Nemmeno lei sapeva dare una spiegazione all'esistenza di suo padre, non sapeva dove si trovasse, se esistesse fisicamente, come l'aveva messa al mondo. Non l'aveva mai nemmeno visto... ma se nulla succede a caso iniziò finalmente a capire, a trovare una motivazione dietro tutto quel caos.

Lei era tutto ciò che restava della Magia Antica, Aura Divina Pura, Essenza Totale di Dio.

Ma non solo del Supremo... di ogni Dio.

Tutto divenne chiaro.

-Ora ho capito... era così chiaro. Il Supremo è davvero un Dio d'amore allora... un Dio di pace. Io rappresento non solo lui... ma tutti gli Dei. Io esisto per dimostrare al mondo che può esistere la pace anche se le persone hanno credo differenti. Un mondo in pace può esistere, Ulfric. E forse sarà necessario lottare, forse ci sarà la malvagità, quella intrinseca negli uomini, che cercherà di impedire la realizzazione di questo sogno. Ma forse posso fare qualcosa. Forse si dovrà uccidere ma potrò cambiare anche la morte Ulfric, potrò renderla qualcosa di diverso. Ora non so spiegarlo ma un giorno capirai, davvero.

Forse... nasceranno degli eroi. Forse sono già nati.-

Ulfric la guardava e sorrideva e lei parve notare della luce nei suoi occhi.

-Piangi? Perché?-

Lui rise e si asciugò gli occhi.

-Perché sono felice, Ayliss. E orgoglioso. Davvero tanto, tanto orgoglioso.-

 

-Quindi come funziona esattamente questo potere?- chiese Kalad ai suoi tre maestri, Geralt, Katrin e Yorgh.

-Lo sai, si tratta di un emanazione di energia, una potente pressione che sbaraglia i tuoi nemici.- disse Katrin.

-Fin là c'ero arrivato anche io, ma come lo uso.-

-Basta volerlo. Dai, tendi la mano verso di me.- disse Yorgh.

Kalad lo fece e si concentrò, percepì una forza prorompente fuoriuscire dalle sue mani, forse era addirittura troppa forza. Infatti il contraccolpo lo fece cadere al suolo e il dolore al braccio fu maggiore di quello che pensava. Yorgh barcollò leggermente, ma non come Kalad avrebbe desiderato.

Yorgh rise rumorosamente e di gusto, Katrin fece un mezzo sorriso mentre Geralt rimase impassibile.

-Avresti dovuto un attimo riflettere, non credi? Cos'hai notato su tutti i luttaniani che hai ucciso ragazzo?-

Quella frase fece star male Kalad, non era orgoglioso di aver ucciso dei luttaniani. Anche se il loro intento era ammazzarlo.

Provava rimorso per quelli che aveva ucciso prima.

-Indossavano l'armatura solo nelle braccia e nelle gambe.-

-Avrai capito perché, spero.-

-Ora sì.- disse Kalad tastandosi il braccio, niente di rotto per fortuna, solo una brutta botta. -La Pressione colpisce anche il corpo dell'utilizzatore, perché la pressione deve avere un punto d'appoggio.-

Geralt annuì. -Nella fattispecie le tue braccia o le tue gambe. Quindi, la tua bella armatura inquisitoria può anche andare tra i rottami.-

Kalad annuì e non ne sentì nemmeno la mancanza, quell'armatura era di un altro mondo, di un altro Kalad. Suo padre voleva cambiare l'Inquisizione ma non ci era riuscito, aveva passato la staffetta a Kalad che aveva capito una cosa molto importante.

L'Inquisizione era sbagliata, non poteva essere migliorata, poteva solo essere distrutta.

La sua armatura era il primo passo.

Gli vennero date delle protezioni per le braccia e le gambe e una tuta di cuoio molto resistente per difendere il corpo, ma niente che una spada ben affilata non potesse trapassare.

Non sarà un problema, ho sempre combattuto facendo in modo che i miei nemici non mi toccassero, ora dovrò affinare ancora di più il mio stile.

-In realtà la Pressione non agisce solo su braccia e gambe ma in ogni altra parte del corpo, anche la testa può emettere della Pressione ma fidati, senza il giusto allenamento non te lo consiglio.- disse Geralt.

-Tu sai farlo?-

-So fare molte cose.-

Kalad sbuffò e Geralt fece un mezzo sorriso divertito.

-Ma tu potrai fare molto di più, Kalad Raaka. Il tuo sangue è luttaniano, quando Luttan ti ha concesso il suo potere hai brillato di un intensa luce bianca, come tutti i Raaka prima di te. Tu puoi fare molto di più di quanto il tuo stesso corpo si limiti a fare, il potere di Luttan ha modificato il tuo corpo ma la tua costante vicinanza ad Ayliss ti ha cambiato ulteriormente, basta che tu lo voglia e la Pressione non sarà altro che una lieve carezza.-

Kalad ripensò a quando aveva chiesto a Geralt se Luttan gli avesse mai parlato e Geralt era rimasto in silenzio, eppure Kalad aveva sentito la voce di Luttan, antica, potente, l'aveva percepita ogni singolo millimetro del suo corpo, come un brivido intenso, un formicolio costante.

-Perché mi hai mentito? Luttan ti ha parlato, ti ha fatto delle domande, vero?-

Geralt annuì.

-L'ha fatto con tutti noi, per essere certo della nostra idoneità. Ora è innegabile la sua esistenza, vero?-

-Sì, come è innegabile quella del Supremo vedendo Ayliss. Ho letto il tuo sguardo, tu le hai creduto davvero, non l'hai fatto per trarne vantaggio.-

Geralt tacque per qualche istante, massaggiandosi lentamente il braccio destro.

-Sì, credo nell'esistenza del tuo Dio. Il fatto è che dovrebbero tutti fare così. Credo che esista, ma seguo la filosofia di Luttan perché rispecchia maggiormente me stesso. Luttan spinge gli uomini a essere decisi, intraprendenti, inarrestabili nelle loro decisioni, proprio come lo è la Pressione. Rispetto il tuo credo, Kalad, nonostante tutto.-

Kalad strinse forte i pugni, quanto era stato ottuso, cieco. Quanto era stato idiota. Le persone devono pensare con la loro testa e non seguire ciò che dice un'istituzione religiosa. La Fede nasce dal cuore, non dalle parole di altri uomini.

-Anche io rispetto la tua, nonostante tutto quello che ho fatto.-

-Lo so, Luttan ti ha considerato degno.-

-Ed è un segno più che sufficiente.- disse Yorgh sorridendo.

Kalad provava profondo rispetto per loro, avevano lottato, resistito, difeso la loro fede. L'avevano difesa per la sua ideologia.

Difendere un ideologia, sapeva cosa significava. Lui difendeva Ayliss.

-Forza, iniziamo l'addestramento.-

 

L'addestramento si protrasse per l'interezza dei tre giorni, Geralt era un maestro estremamente severo, spingeva Kalad a sforzare il suo corpo il più possibile ben sapendo che ormai il corpo del ragazzo era stato fortemente potenziato dai recenti avvenimenti. Kalad supervisionava gli allenamenti poiché a spiegare il grosso della Pressione erano Katrin e Yorgh.

Kalad scoprì che la pressione poteva essere usata in svariati modi, dalla semplice emanazione di potere dalle proprie mani o dai propri piedi, in quel caso permetteva al proprio corpo di saltare per grandi altezze, come avevano fatto molti luttaniani con cui Kalad aveva combattuto, fino a fare cose molto più complesse, come emanare la Pressione dall'interezza del proprio corpo, come aveva fatto Kalad appena ottenuto il potere.

Quella Geralt la chiamava Pressione Totale ed era molto complessa da usare, poiché bisognava focalizzare ogni singola parte del proprio corpo nel compito di emettere la Pressione, ogni arto, ogni millimetro della propria pelle doveva essere coordinato, come gli strumenti musicali durante un concerto. Yorgh usava uno stile di combattimento diverso, basato sulla possente stazza del suo corpo. Ovviamente chi era massiccio come lui aveva un grosso vantaggio, il Punto d'Appoggio (così lo chiamavano) era un corpo ben più massiccio di quello di Kalad.

Yorgh non apriva i palmi delle mani ma li teneva chiusi, utilizzava direttamente i suoi pugni per colpire i suoi avversari, pugni accompagnati dalla Pressione che non sbalzavano necessariamente via il nemico ma lo tramortivano. Yorgh insegnò a Kalad a colpire ripetutamente il suo nemico con i pugni di Pressione finché il nemico è così tramortito da non riuscire nemmeno a pensare. Era una tecnica difficile da padroneggiare poiché la Pressione pretendeva di uscire dal corpo e un palmo aperto era un uscita molto più sicura di un palmo chiuso. Ma Yorgh spiegò che non si trattava di emanare la Pressione, il palmo chiuso serviva appunto per trattenerla, potenziare il proprio pugno e renderlo Pressione concentrata, il rischio era che ti si rompessero tutte le dita. Katrin invece utilizzava una tecnica differente, chiamata Pressione a Taglio. Katrin non spalancava il palmo e nemmeno chiudeva il pugno, la mano era aperta ma le dita erano perfettamente dritte, parallele e ben vicine, quasi volesse emulare una spada. E il concetto era proprio quello. Katrin spiegò a Kalad che la Pressione in quel caso doveva uscire dai bordi della mano e non dal palmo, ciò faceva in modo che la Pressione uscisse come una violenta sferzata che invece di spingere tagliava.

Geralt osservava, dava qualche consiglio, spingeva Kalad a riprovare decine e decine di volte finché non riusciva ad usare al meglio il suo potere.

Geralt poi spiegò che la Pressione poteva essere immagazzinata, bastava concentrarsi sulla propria mano e immagazzinare più Pressione possibile, poi emanarla dal proprio palmo per colpire il proprio nemico. La pressione non solo diventava più potente ma si protraeva tanto quando era stata immagazzinata, senza bisogno di mantenere il braccio teso. Questo era estremamente utile poiché bloccava un proprio avversario e ti permetteva di concentrarti su qualcun altro.

Geralt, il secondo giorno, mostrò a Kalad le tecniche più pericolose e complesse, come quella di emettere la Pressione Totale il più velocemente possibile, questo permetteva non solo di resistere ad un altra Pressione indirizzata verso di te ma ti permetteva di respingere qualunque tipo di attacco. Ma era estremamente complessa da padroneggiare, poiché si trattava di una concentrazione totale e una flessione muscolare estrema veloce che metteva in serio pericolo il proprio corpo. Geralt era addirittura in grado di concentrare la pressione su un solo dito e spararla come se fosse una freccia, questo era altrettanto pericoloso poiché il colpo era addirittura superiore ad una Pressione normale ma veniva immagazzinato in uno spazio estremamente ristretto.

Geralt mostrò a Kalad anche come emettere una raffica di Pressioni consecutive, una dopo l'altra senza nemmeno una pausa, quella tecnica era estremamente stancate ma devastante se utilizzata nel giusto modo.

Gli allenamenti si protrassero per tutti e tre i giorni, intervallati da qualche pausa per mangiare, lavarsi e stare con Ulfric e Ayliss.

 

Appena Kalad vide Ayliss non poté fare a meno di baciarla.

-Ehi.-

-Ehi.- rispose lei sorridendo.

-Come stai?-

-Stanca, Ulfric mi ha fatto faticare. E ha parlato, tanto, davvero tanto.-

-Tipico.-

-Tu come stai?-

-Esageratamente stanco ma... felice. Sento di star facendo qualcosa di buono. Ho distrutto la mia armatura sai?-

-Davvero?-

-Già. E non mi è importato.-

-È il passato.-

-Sì, lo è. Non ignorerò ciò che ero, neanche per sogno. Se voglio guardare verso il futuro devo togliere le mie radici dal passato ma devo sempre volgere lo sguardo indietro, per non dimenticare. E poi sempre avanti.-

Lei lo accarezzò.

-Ce la faremo, andremo a Q'uoian e staremo al sicuro, ci riposeremo, ci prepareremo. E poi...-

-Poi?-

-Poi saremo pronti.-

Kalad non dovette sapere per cosa, sapeva già tutto.

 

-Ha detto che vuole... non so, modificare la morte, renderla qualcosa di diverso. Sembra una cosa assurda, eh? Eppure ci credo. Ritengo sia impossibile non crederle a dire il vero.-

-Cambiare la morte?-

Ulfric annuì accompagnando il movimento con un suono della bocca.

-Quella ragazza mi stupisce sempre di più.

-Verrebbe quasi voglia di morire per vedere che combina, eh?- disse il piromante ridendo.

-Non ho tutta questa fretta di morire a dire il vero.-

Ulfric guardò davanti a sé pensieroso.

-Credo non ci sia niente di meglio di capire quando è arrivato il proprio momento e sentire... di aver vissuto. Vissuto davvero. Capire di aver fatto tutto quello che poteva essere fatto. Dev'essere davvero una bella sensazione.-

Kalad iniziava a vedere in Ulfric ben più di un alleato, ormai lo vedeva come un fratello. Poteva essere strambo, logorroico e poteva anche aver fatto cose discutibili ma aveva fatto così tanto, talmente tanto che una vita sola non bastava per raccontare tutto.

-Sai...- iniziò Kalad.

Ulfric lo guardò.

Erano seduti in un vasto salone, sedevano per terra e attorno a loro c'erano svariati luttaniani, alcuni vecchi, altri giovani. C'erano pure dei bambini che si divertivano guardando i giochi pirotecnici di Ulfric. Il lavoro che i luttaniani avevano fatto era incredibile, avevano usato la loro pressione per creare una tana all'interno di una montagna.

Era l'ora di riposo, in cui tutti si trovavano in quel salone e discutevano, ridevano, giocavano a carte e bevevano. Una cameriera non smetteva mai di portare caraffe di vino che Ulfric non rifiutava mai.

-Sto aspettando la risposta.- disse Ulfric con un mezzo sorriso, ironizzava sempre sulla cupezza di Kalad.

-Niente volevo solo dirti che... ti considero un buon amico, davvero.-

-Oh.-

-Oh?-

Ulfric fece spallucce.

-Niente non... non me l'aspettavo. Cioè iniziavo a pensare che il tuo parere su di me fosse maggiormente positivo ma... ecco non pensavo mi considerassi tuo amico.-

Kalad era perplesso.

-Perché non dovrei considerarti mio amico?-

-No, non dico che tu non debba farlo. È che... gli ultimi amici che ho avuto sono stati centinaia di anni fa... e sono tutti morti.-

-E gli amici che hai ora sono vivi e vegeti. Sai... io non ho mai avuto degli amici. Ho sempre preferito restare solo.-

Kalad stava aprendo il suo cuore ad un'altra persona che non fosse Ayliss, se solo Ulfric avesse capito quale atto di fiducia era quello.

Sono sicuro che lo stia capendo.

-Spesso mi prendi in giro per il fatto che sono sempre cupo e be' non posso negare di esserlo. Ma... non ho mai trovato delle persone che potessi considerare amici. Un amico è una persona per cui sei disposto ad accettare i difetti e ad esaltare i pregi. Sei amico di una persona anche per i suoi difetti, tanto di quelli non ti importa, perché quando si è amici si è complici, si è uniti da qualcosa che non può nemmeno essere spiegato, come se una strana forza ti faccia sentire a casa vicino a una persona. Amicizia e amore sono così simili, infondo. La differenza sta che nell'amore si da tutto se stesso per l'altra persona, perché non esiste nulla di più importante. Con l'amicizia basta dare la propria presenza, una battuta scherzosa, una bevuta, una pacca sulla spalla. L'amicizia è meno pretenziosa, no?-

Ulfric rise. -Diamine non ti avevo mai sentito parlare così tanto. Cos'è, vuoi rubarmi il ruolo di logorroico nel gruppo?-

Rise pure Kalad e il ragazzo si stupì nel notare quanto gli piacesse il suono della sua risata.

-Dai, sto cercando di essere serio!-

-Io c'ho rinunciato secoli fa, la vita è troppo breve per essere seri.-

-Disse l'uomo in vita da secoli, forse millenni.-

Ulfric annuì facendogli un gesto col bicchiere e sorrise bevendo il vino.

Kalad bevette e si godette quell'attimo di silenzio, sapeva benissimo che le sue parole avevano colpito profondamente Ulfric, la risposta infatti non tardò.

-Sono stato solo per molti anni, dopo il Grande Gelo mi ritirai in un angolo remoto del Nord, aiutando i bisognosi quando serviva ma senza stringere amicizie. Il tempo era passato, io e i miei compagni ci eravamo divisi e mi ero ritrovato... solo. Provai la solitudine, persi ogni contatto con loro poiché tutti loro presero strade differenti, continuarono la loro vita. Mi resi conto di essere solo, davvero davvero solo. Anche i miei fratelli se ne andarono. Provai la solitudine. Non è bello restare soli, Kalad. Solo quando resti solo capisci quanto sia bello avere degli amici.-

Kalad sorrise e annuì. Era davvero bello avere degli amici.

-Credo tu sia il mio migliore amico, vecchio.- disse Kalad prendendo il bicchiere di Ulfric e facendolo riempire dalla cameriera, poi fece lo stesso col suo.

Ulfric annuì e ripenso al suo passato. Ai suoi fratelli, Kolmat dal carattere schivo ma determinato, Ursuul sempre pronto a combattere e a mettersi in mostra, Toddar che non disdegnava mai una bella bevuta.

Ripensò a Skaring, col suo sguardo glaciale ma la sicurezza che trasmetteva, Lysandrus col suo sorriso splendente e il suo incredibile senso di giustizia, Zermon con quel suo sguardo malinconico, sempre con una parola di conforto per tutti e infine Novarak, col suo sguardo truce ma che appena entravano in una città metteva sulle sue spalle i bambini e passeggiava accompagnato dalle loro risate.

E poi Kalad, con i suoi occhi da lupo, la sua cupezza ma al tempo stesso la sua incredibile purezza. Con quegli occhi decisi, ora puntati verso il futuro, dritti verso un sogno che per molti poteva essere irrealizzabile, ma sempre ben consapevoli di ciò che era stato nel passato.

Un buon uomo da avere come migliore amico.

-Credo che pure tu lo sia per me, ragazzo.-

I due fecero tintinnare i loro bicchieri e si rilassarono, godendosi ogni istante di quel meritato riposo.

 

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Capitolo 49
*** Padre ***


Capitolo 48

Padre

 

I Divoratori di Tenebra facevano ciò che diceva il loro nome. Stavano letteralmente mangiando la bolla di oscurità densa come l'inchiostro che li circondava. Kanda non sapeva dire chi li avesse attaccati e perché l'avesse fatto, di certo per guadagnare tempo. Non sapeva per cosa però. Quella era Magia Nera, praticata nel lontano regno delle zanne. I servi di Yagdra, lo Scheletro dalle Ossa Luminose, il quale vomita oscurità e terrore, la praticavano ed erano temuti in tutto il mondo conosciuto. Aveva visto il teschio umano... sembrava vivo. Anche se lo terrorizzavano molto di più quei cadaveri ambulanti che indossavano l'oscurità come mantello, la quale usciva dai loro occhi e dalle loro bocche fameliche come se fosse fumo.

-So per certo che consideri la mia arte... vergognosa, Sveyarm.- disse Harod l'Immenso, il suo bastone brillava ancora dell'intensa luce rossa delle rune proibite.

Kanda fece un versaccio.

-La disprezzo. Disturbare il sonno eterno dei morti per usarli come armi per la tua arte oscura è offensivo. I morti devono restare morti.-

Harod fece spallucce.

-Portano un servizio al mio popolo. Il Dio delle Rune, uno dei Signori dei Sepolcri, ha donato la sua arte al mio popolo e sarebbe offensivo non utilizzarla. Soprattutto dopo che il grande Inquisitore ha tentato di farla dimenticare... e c'è quasi riuscito. Potrebbero sembrarti dei mostri, potrebbe sembrarti un arte maledetta... e forse lo è. Ma anche la cosa peggiore, se usata a fin di bene, è rispettabile.-

Esitò, poi fece uno strano sorriso a Kanda.

-Tu invece sei strano, Sveyarm. Hai offerto il tuo servigio ad un altro Dio, il Supremo, non il tuo Zumtharaan, crescendo la sua stessa figlia. Fai tanto l'indifferente, parli come se di lei non ti importasse, ma la stai cercando da giorni interi, senza chiudere occhio e già ti ho detto che ti capisco. Un padre farebbe di tutto per proteggere la propria figlia.-

-Ti ripeto, lei non è mia figlia.-

Harod schioccò la lingua seccato.

-Il legame di sangue non è importante! È il legame che nasce dal cuore che conta davvero. Puoi essere padre anche di una persona proveniente da un altro mondo se le dai tutto il tuo amore. Quello non ha confini, sai? Se è vero e sincero l'amore può cambiare ogni cosa. Tu l'hai cresciuta amorevolmente, quindi sei un padre per lei.-

Kanda scosse la testa. -Ti assicuro che non sono la persona che credi. Ho passato gran parte della mia vita, che ti assicuro è molto lunga, a sfuggire dalle responsabilità. Di ogni tipo. Ho cercato di dimostrare qualcosa a me stesso entrando nell'esercito... e ho ottenuto solo anni trascorsi ad allenarmi per scacciare gli incubi. Divenni consigliere del mio re e quello fu il massimo che riuscì a fare nella mia vita. Ma poi ovviamente rovinai tutto.-

Harod si sedette, quell'uomo amava parlare a differenza degli altri nordici, soprattutto i suoi taciturni compagni.

-Sei stato consigliere del tuo re?-

Kanda sospirò. -Uno dei tanti a dire il vero, il Supremo Re cambia consigliere di giorno in giorno. Io però restai al suo fianco per vari anni.-

-Che uomo è?-

-Non è un uomo, è un Q'uoin.-

Harod rise. -Siamo tutti uguali, amico! Un Q'uoin è molto diverso, uno che è nato e vive nella Grande Foresta, non un esterno come me. Anche solo passare un anno vicino a voi umani può cambiarci drasticamente, te lo assicuro. Comunque il Re passava anche diversi anni a meditare, attendendo che la Sapienza Cosmica di Zumtharaan illuminasse la sua mente. Il Supremo Re ha conoscenze enormi. Valanandiss è... vecchio. Molto vecchio. Era vivo centinaia di anni prima del Grande Gelo. Leggeva molto, era letteralmente affamato di conoscenza, non c'era una sola cosa che non volesse sapere. Voleva sapere tutto, ogni cosa. Forse... alla fine è stato lui a influenzarmi a spingermi verso il desiderio di sapere, in ogni sua forma. Peccato che il mio desiderio di conoscenza puntasse sempre nelle direzioni sbagliate.-

Harod ascoltava Kanda a bocca aperta, come un bambino.

Un bambino alto due metri, con dei muscoli d'acciaio e un bastone e degli stivali runici.

-E per quale motivo voleva sapere ogni cosa? Non hai detto che meditava per ottenere quella... Sapienza Cosmica, l'hai chiamata?-

-La sua meditazione durò 15 anni, ma non tutti i Re ottengono l'illuminazione. Per timore di non ottenerla studiò e lesse talmente tanti libri che la Biblioteca Vermiglia dovette essere ampliata. Ma infine ottenne la Sapienza Cosmica.

Anche se... c'era altro. Valanandiss mi disse che doveva affrettarsi ad ottenere conoscenza poiché si approssimava l'Era dell'Odio. Il Sole Nero calava sul mondo di Cenere e Fuoco e i Sei Astri Lucenti impugnavano le Chiavi della Salvezza. È la nostra apocalisse, predetta da Zumthaaran. I segni ancora non sono stati interpretati. Ma il mio re mi disse che li aveva visti, in sogno.

Harod si fece cupo. -L'Era dell'Odio... temo sia già arrivata.-

Kanda annuì tristemente.

-Già... già, lo temo anch'io.-

Harod guardò Kanda, lo indicò e sorrise. -Però ho davanti a me la prova che in mezzo a tutto questo odio c'è ancora amore. La fanciulla è stata fortunata ad averti conosciuto, ha avuto un ottimo padre.-

Ormai Kanda si era stufato di dirgli che non era suo padre. Era vero, non lo era! Ci aveva creduto, sperato addirittura... ma erano vani desideri. Sapeva il destino della povera Ayliss, della Messia. Aveva solo ritardato l'inevitabile, nel vano tentativo di diventare una persona migliore.

-Meritava di meglio. Ho fallito... troppo spesso.-

-Credo che a lei non sia mai importato dei tuoi fallimenti, ma di come li superavi. Sai... provo forte rammarico nel doverti portare dal Grande Inquisitore. Saremmo stati buoni amici, io e te, ma ne va della sopravvivenza del mio popolo. Ma lo faresti anche tu per salvare tua figlia, vero?-

Kanda non rispose.

-Dimmelo. Fammi almeno dormire la notte, non voglio che la mia scelta mi strazi per tutta la vita.-

Kanda lo guardò, vide un uomo disperato che stava facendo tutto il possibile per salvare il suo popolo.

-Io lo faccio solo per dare un futuro a mia figlia, Kanda.-

Kanda quasi volle distogliere lo sguardo. Diamine, non odiava quell'uomo! Per quanto si sforzasse non ci riusciva. Era un padre disperato, prigioniero di un mondo d'odio. Mentre il cuore di Harod era pieno di amore.

-Ti rispetto Harod. Non avere timore della tua scelta. Un uomo farebbe qualunque cosa per amore.-

Harod era solo un padre che voleva dare un futuro alla propria figlia, al suo tesoro più grande. Era solo un uomo flagellato dal peso delle sue decisioni ma che sentiva il dovere di farle per sua figlia.

Harod era solo un padre disperato.

E Kanda si odiò nello scoprire che provava le sue stesse sensazioni.

 

Durante l'Epoca d'Oro

Pioveva. Pioveva tanto, ininterrottamente. Pioveva ormai da svariati giorni, il freddo entrava fin dentro le ossa e il vento sferzava i corpi bagnati senza alcuna pietà. Kanda era avvolto da una spessa coperta ma questo non migliorava molto la situazione. Voleva andarsene da quel posto maledetto, dal Confine. Erano anni che stava su quel maledetto muro, prendendo freddo e mangiando da schifo. Voleva tornarsene a Yardun, a casa, e andare nella locanda di S'ittirl ad ascoltare i musicisti suonare meravigliose canzoni. Voleva ascoltare Aldruin il Primo Re, oppure Cuore nero e Lama Sanguinaria oppure ancora La Marcia della Leggenda. Voleva sentir cantare dei Sei Astri Lucenti, voleva ascoltare di come Aldruin aveva distrutto le Avvinghianti con la sua arma leggendaria, voleva ascoltare le gesta sanguinarie di Korth e voleva darsi forza ascoltando di come Dunedain, la Lama dell'Alba. aveva macellato migliaia di Bestie Nere

Già, Dunedain, proprio lui ci voleva. Era uno degli Eroi Leggendari, con la sua spada aveva sterminato migliaia di Bestie Nere e aveva difeso da solo la sua città, Navissyn, dopo che ogni resistenza era caduta. Kanda avrebbe proprio voluto avere la sua spada. Non voleva essere lì.

Eymin invece, seduto vicino a lui, beveva una tisana senza mostrare preoccupazione. E quando mai? Era perfetto lui. A volte Kanda proprio non lo sopportava, ma era un buon amico.

-Voglio andarmene, odio questo posto.- disse Kanda trattenendosi dallo sputare per terra.

-È il nostro dovere, amico mio.-

-Me ne fotto del dovere! Le bestie a volte attaccano, è vero, ma non sono mai numerose ma gli attacchi sono davvero sporadici. Se noi non fossimo qui non cambierebbe nulla!-

Eymin scosse la testa e sospirò, seccato.

-Kanda, sai benissimo cosa può fare una sola di quelle belve se si stanzia in un posto. Ogni forma vegetale avvizzisce e muore e ogni uomo o animale viene divorato, senza esclusioni. Una sola, Kanda.-

Kanda strinse i denti e tacque. I tuoni squarciavano il cielo, ricordava che suo madre lo coccolava sempre durante un temporale. Sua madre... a volte gli mancava da morire. Era stato fortunato ad avere genitori che lo amavano, non era una fortuna data a tutti purtroppo. Non vedeva sua madre da svariati anni e a volte sentiva la sua mancanza. Era l'unica persona che l'avesse mai capito e poi era davvero bello vedere tutto il suo amore nei suoi occhi. Lo faceva sentire importante. Forse è così solo quando accudisci qualcosa, lo proteggi, lo ami... capisci che vale la pena prendersi delle responsabilità.

Forse. Di certo non voleva scoprirlo.

Accudire qualcuno? Non se ne parla neanche!

 

L'attacco iniziò a tarda notte, togliendo a tutti il sonno. La vedetta urlò l'avvistamento di alcune Bestie nere e il comandante sbraitò di prepararsi. Kanda si vestì in tutta fretta e impugnò Shamalash saldamente. Le Bestie Nere si avvicinavano, ringhiando e sbavando. I loro occhi rossi brillavano nel buio e la loro pelliccia nera li rendeva invisibili nella notte. Solo occhi rossi e suoni disumani. Erano esseri antichi, ferali ma un tempo... un tempo erano stati uomini. Non erano molte, fortunatamente. Subito la maggior parte di loro vennero impallate dalle balliste. Appena Kanda ne vide una arrampicarsi Shamalash la trafisse in un occhio e perforò il cranio, facendola cadere già dalle mura. Altre due ne salirono ma una venne decapitata da due potenti fendenti di Eymin, mentre l'altra venne martoriata dai colpi di altri due soldati.

Kanda respirò profondamente, era andata bene, era vivo. Poteva andare molto peggio. Il vento si fece sempre più forte, la pioggia sempre più violenta e i tuoni sempre più rumorosi. Mnetre i soldati gettavano giù dalle mura i cadaveri dei due mostri Kanda vide qualcosa e non fu il solo. Esattamente davanti a loro, lontano.

-Ma cosa...-

-Occhi? Altri occhi?-

Kanda respirava a malapena.

-Molti occhi.-

Occhi rosso sangue brillanti nel buio. Centinaia.

Kanda non aveva mai visto così tante Bestie Nere, nemmeno nei suoi incubi peggiori.

-Oh cazzo.-

-Ma... no, non è possibile!-

-Mantenete i ranghi!-

-Rinforzi! Cazzo venga subito qui l'intera guarnigione!-

-Mantenete i fottuti ranghi!-

Poi calò il silenzio, le urla di cento Bestie Nere, urla gutturali quasi umane, risuonarono nella valle e coprirono addirittura il rombo dei tuoni. Urla di belve affamate, urla che gelavano il sangue.

Il silenzio era assordante, il silenzio di chi ha perso la speranza.

Poi il vecchio Shorman iniziò a cantare. Cantava la Lama dell'Alba. Cantava di Dunedain, il massacratore di Bestie Nere. Era un canto di speranza.

“Il fuoco ardeva

La fiamma danzava

Il bimbo piangeva

Nella mia preghiera”

La sua voce era roca, non era molto intonato e per la paura aveva sbagliato l'intonazione di alcuni versi. Eppure a nessuno importava. Continuò.

“La pelle nera

gli occhi di fiamma

oh cavaliere

ascolta

la mia

preghiera”

Assieme a lui stava cantando Ossan, poi si era aggiunto Kedrik, Jidrim e altri ancora. Le loro voci erano disperate ma manteneva orgoglio e valore.

“Oh Dunedain!

Ascolta la mia chiamata

Oh Dunedain!

Ascolta la mia preghiera”

Lo ripeterono per due volte e alla seconda altri si erano aggiunti. Kanda era senza parole, guardò Eymin e lo vide ancora più stupito. Poi si unirono al canto e con loro lo fecero tutti gli altri.

“Lui si fermò

La spada in mano

Ardente e fiero

lui avanzò”

Tutti sfoderarono le spade mentre la pioggia gelida e crudele batteva selvaggiamente sui loro corpi. Le belve sempre più vicine.

 

“La pelle nera

lui dilaniò.

Gli occhi di fiamma

Lui cavò”

Urlavano sempre più forte, attendendo l'arrivo delle bestie che correvano verso di loro. Kanda strinse forte la spada, dandosi forza con quel canto.

“E con la sua spada

La luce

Riporto!”

kanda cantava con tutta la sua forza e poco gli importava se stonava. Le loro voci, all'unisono, erano un incredibile melodia.

La melodia degli uomini morti.

“Oh Dunedain!

Ascolta la mia chiamata.

Oh Dunedain!

Ascolta la mia preghiera.

OH DUNEDAIN!

ASCOLTA LA MIA CHIAMATA.

OH DUNEDAIN!

ASCOLTA LA MIA PREGHIERA.”

Poi fu il massacro.

Le Bestie Nere saltarono, si arrampicarono ad una velocità mai vista prima e sbaragliarono i Q'uoin. Kanda sentì come un macigno andargli addosso. Si abbassò, cercando di sopravvivere a quell'ondata di muscoli, peli e bava. Sentì una zampa afferrargli la gamba ma lui subito la recise. Tagliò la gola ad un mostro e il sangue quasi lo accecò. Cercò di non notare i suoi compagni che venivano maciullati, dilaniati e divorati vivi. Avrebbe voluto usare i suoi poteri ma si era ripromesso di non farlo o il suo destino sarebbe stato segnato. Ma tanto ormai che importava? Con il vento avrebbe potuto sbaragliarle, con la terra inghiottirle in profonde voragini. Avrebbe potuto usare addirittura la pioggia! Ma chi voleva prendere in giro? Lui non era così potente. Vide Eymin menare fendenti a destra e a manca allontanando le bestie.

-Kanda! Aiutami!-

Kanda trafisse alle spalle una belva e successivamente menò un fendente al fianco di un'altra. Sapeva che non erano morte, avrebbe dovuto infierire, spesso le Bestie Nere sembravano morte ma non lo erano.

-Eymin! Dobbiamo andarcene! È tutto perduto ormai!-

-No! C'è ancora speranza!-

-Dannazione, sii ragionevole!-

-Finché avrò fiato in corpo difenderò queste mura!-

Entrambi vennero placcati da due enormi Bestie Nere. Kanda capì subito che la caduta non lo avrebbe ucciso ma gli avrebbe fatto molto, molto male. Essendo un Q'uoin la sua resistenza fisica era estremamente elevata ma la caduta gli smorzò il fiato e il dolore fu lancinante, sentì la schiena venire ferita dai sassi, alcuni entrarono nella pelle. Il peso della bestia gravava su di lui e gli inclinò una costola. O forse due?

La bestia, senza esitare un attimo, avvicinò le sue fauci affilate ricoperte di bava. Il suo alito era pestilenziale. La bestia, uno strano incrocio tra una scimmia, un orso e un leone, aveva la seria intenzione di divorare la faccia di Kanda. Il Q'uoin spinse con la mano verso quel muso bestiale e cercò Shamalash. Bastava chiamarla, era facile, aveva ricevuto sufficiente tatto. Poco gli importava se qualcuno avesse visto.

-Sh.. sh... SHAMALASH!-

La spada, poco distante, volò dritta sulla spalla della bestia che parve davvero sorpresa. Kanda allungò il braccio, prese la spada e con un movimento recise il braccio nero poi infilzò il collo taurino della belva. La Bestia cadde e Kanda respirò, ma il respirò parve raschiare come vetri rotti. Martoriò la testa del mostro con la spada, per assicurarsi che fosse morto. Le cervella sporcarono la sua armatura. Dove diavolo era Eymin?

Il caos era totale, vedeva soldati cadere dalle mura morti ma non una bestia raggiungeva la Grande Foresta. Stavano resistendo, incredibilmente.

Vide Eymin, la Bestia Nera gli stava stritolando la testa. Doveva correre. Lo avrebbe fatto, se non avesse notato il terribile squarcio che gli solcava la gamba. Sangue. Tanto sangue. Non ci pensò, lo ignorò, doveva salvarlo. Forse la gamba era rotta ma non poteva lasciarlo lì. Strinse la spada e si fece forza. Poi una bestia piombò su di lui con i suoi artigli gli ferì il braccio sinistro. Il dolore esplose, sentiva i tendini cedere. Gli aveva quasi mozzato il braccio. Cadde in ginocchio ma non esitò a trafiggere il piede della bestia. Osservò il sangue rosso uscire dalla ferita. Questo gli diede forza. Prima che la bestie potesse anche solo fare un movimento le trafisse lo stomaco, poi il petto e infine, con un brutale fendente, la colpì al volto, accecandola. Subito la bestia lo colpì con un pugno che gli ruppe il naso. Sentì il sapore metallico del sangue, cadde a terra e faticò a respirare. Il sangue gli andò per traverso e la gola bruciò come se vi fosse sabbia bollente dentro. Vide la bestia urlare alla luna, il pelo bagnato odorava di sangue e marciume. Poi la bestia scappò, entrando nella grande foresta. Poco gli importava, Eymin stava per morire. Avanzò a carponi, cercando di non impazzire per il dolore. Eymin stava per morire, il kanda di sempre lo avrebbe abbandonato per aver salva la pellaccia.

Ma lui odiava quel Kanda, l'aveva sempre odiato.

Fa qualcosa di buono, si disse. Fallo anche solo per te stesso, egoista quale se! Fai ciò che ti farà dormire la notte, idiota!

Con le sue ultime forze toccò la bestia e bisbigliò -Ucciditi.-

La bestia Nera mollò Eymin, si afferrò la testa e se la stritolò.

Kanda sentì le forze svanire, la vista annebbiarsi e le orecchie fischiare in modo assordante. Tossì sangue.

Eymin era pallido, si teneva il collo e tossiva ma respirava. Era vivo. Guardò kanda sconvolto. Forse per le sue ferite, forse perché lo aveva salvato o forse perché era un Kotash'malann e non glielo aveva mai detto.

Kanda si accasciò a terra e svenne. O morì. Non sapeva dirlo.

Quello era di certo il suo ultimo giorno nel Confine.

 

Ricordava così bene quel giorno. Molti erano morti ma avevano resistito. Eymin aveva continuato a lottare, dopo averlo portato al sicuro. Una Bestia era entrata ma non si seppe più niente di lei e a Kanda importava davvero poco. Era stata la prima volta in cui aveva fatto qualcosa di cui andare orgoglioso. Un bel ricordo davvero.

Un Sepolcrale l'aveva nuovamente colpito alla testa, non esageravano con la forza per non provocargli un trauma cranico, ma il colpo era forte abbastanza da annullare i suoi poteri. Che dannata fregatura, un potere immenso che poteva essere annullato con un colpo sulla testa.

La notte era calata, almeno così aveva intuito Kanda, e lui, incatenato al palo vicino la tenda di Harod, aveva notato che il vecchio Leader dei Sepolcrali aveva lasciato la sua sacca li vicino.

Non sarebbe mai così stupido.

Aveva infatti tolto tutto, a parte una cosa. Un vecchio pezzo di carta, un foglio tutto spiegazzato e logorato dal tempo. Kanda lo aveva preso nella sua vecchia casa, era stata un azione automatica. Non se ne separava mai.

Kanda lo prese, lo accarezzò e subito lo macchio con le sue lacrime.

Cercò di trattenersi, ma i singhiozzi furono così prepotenti che non potè far altro che lasciar lor libero sfogo.

Era un vecchio disegno di Ayliss, un disegno di quando era una bambina di appena quattro anni. Rappresentava un uomo dai capelli verdi e dal naso aquilino enorme che teneva per mano una piccola bambina dai lunghissimi capelli neri e dagli occhi enormi e blu. Sopra la bambina c'era scritto “Me” con la calligrafia incerta di una bambina. Sopra la figura alta c'era scritto...

C'era scritto “Papà”.

Kanda pianse, pianse tutte le lacrime che aveva in corpo e strinse forte il disegno. Lo avvicinò al suo cuore e non smise un istante di piangere.

Ayliss era sua figlia.

Lo era sempre stata.

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