Ti fidi di me?

di sophie97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap.1 - Confessione ***
Capitolo 3: *** La scatola dei ricordi ***
Capitolo 4: *** Scelta obbligata ***
Capitolo 5: *** Operazioni e rimorsi ***
Capitolo 6: *** Senso di colpa ***
Capitolo 7: *** Ti fidi di me? ***
Capitolo 8: *** Indagini ***
Capitolo 9: *** Ti amo ***
Capitolo 10: *** Rami secchi ***
Capitolo 11: *** Asfalto bagnato ***
Capitolo 12: *** Riunione e Ricerche ***
Capitolo 13: *** Sotto copertura ***
Capitolo 14: *** Buio ***
Capitolo 15: *** Tortura ***
Capitolo 16: *** Bugie ***
Capitolo 17: *** Fuga ***
Capitolo 18: *** Sparo ***
Capitolo 19: *** Viaggi e Ferite ***
Capitolo 20: *** Inferno ***
Capitolo 21: *** C'era una volta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Prologo


 

 
Un altro calcio dritto nello stomaco.
«Io penso di non essere stato abbastanza chiaro… voglio sapere dove si trova Jager. E lo voglio sapere subito.».
L’uomo accovacciato a terra sollevò la mano destra a toccarsi il labbro spaccato sanguinante prima di rispondere, con un filo di voce: «Gli sta… gli sta già rovinando la vita. Cosa… cos’altro vuole da lui?».
L’altro sorrise e fece cenno ad un ragazzone che aveva di fianco di continuare.
Questo assestò altri due calci al prigioniero e si fermò per fargli riprendere fiato.
«Sa cosa succede quando si ha un obiettivo ben preciso da raggiungere? Succede che spesso questo obiettivo, una volta raggiunto, non basta più. Non mi basta rovinargli la vita. Voglio qualcosa di più grande per lui.» riprese con voce calma il primo che aveva parlato «Voglio vederlo qui, ai miei piedi. Voglio vederlo supplicarmi, pregarmi. Lo voglio totalmente sotto il mio comando. Voglio vederlo soffrire… e solo dopo tutto ciò, voglio vederlo morire.».
Un pugno. Un altro. Un terzo calcio.
Il prigioniero cominciò ad avere la vista annebbiata. Avrebbe voluto pregare quel criminale di smetterla, ma sapeva che non sarebbe servito. Sapeva che avrebbe continuato a torturarlo fino ad estorcergli in un modo o nell’altro il nome del luogo dove si trovava Ben Jager.
Ma non poteva cedere… non ancora.
«Le do ancora un po’ di tempo per pensarci, quindi stia certo che non mi farò degli scrupoli a farla fuori. Se non parla lei non mi serve a niente, vedrò di farmi aiutare da qualcun altro.» concluse l’uomo avviandosi verso l’uscita della stanza.
Il ragazzone lo seguì dopo aver rifilato qualche altro colpo al prigioniero che, esausto, sentì che i sensi lentamente lo stavano abbandonando.



 
 
Ed eccoci qua con la mia nuova storia che, come avevo preannunciato, sarà quella conclusiva della serie “3 poliziotti, 3000 avventure”.
Vi avviso già in anticipo: sarà lunga e nemmeno troppo allegra ma ho deciso di renderla più leggera suddividendola in capitoli piuttosto corti.
Che dire? Spero che il prologo vi abbia incuriosito, aggiornerò presto con il primo capitolo. Grazie a chi è arrivato a leggere fin qui e grazie anche a chi lascerà un commento.
A presto
Sophie :D

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Capitolo 2
*** Cap.1 - Confessione ***


Confessione

 



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«Il Tamigi!».
Mirtillo alzò il muso dal pavimento per capire chi lo avesse svegliato gridando.
Semir aggrottò la fronte sollevando lo sguardo dai fogli che stava compilando agli occhi dell’amico seduto alla scrivania di fronte a lui: «Il Tamigi?».
«Bagna Londra… il Tamigi!» spiegò Ben con aria soddisfatta, mettendosi a scrivere qualcosa su un giornalino.
«Non ci posso credere, ancora con quelle parole crociate? Ma Ben, quello è il giornale preferito dagli over settanta!» lo criticò l’amico sbirciando la settimana enigmistica del collega.
«Intanto io, a differenza tua, tengo sempre il cervello in allenamento…».
«Già, e anche la mascella vedo.» commentò il turco alludendo alla manciata di patatine che il ragazzo aveva appena estratto da un sacchetto appoggiato sulla scrivania.
Mirtillo, che ormai passava le intere giornate in commissariato perché si rifiutava di abbandonare il proprio padrone, si avvicinò al ragazzo nella speranza di ottenere qualche snack da mordicchiare. L’odore di quelle patatine sembrava alquanto invitante.
«Ma cosa posso farci Semir? È il sedici di agosto, siamo in servizio e non c’è assolutamente niente da fare: sembra che persino i criminali abbiano deciso di andare in vacanza in questo periodo.» si giustificò l’ispettore più giovane chiudendo il giornalino, dispiaciuto di aver esaurito tutti i cruciverba contenuti in quel numero.
Semir sorrise osservando la mano dell’amico che di nuovo cercava il pacchetto di patatine. Ogni tanto quell’anello d’oro alla mano sinistra attirava la sua attenzione, non ci si era ancora abituato. Ben sposato. Ben Jager, quel ragazzo che passava da una ragazza all’altra senza troppa esitazione, ormai, da poco più di due settimane, era un uomo sposato. Era appena tornato dal suo viaggio di nozze, tra l’altro.
Già… e non sapeva cosa fosse successo lì, a Colonia, in quel commissariato, durante il suo viaggio di nozze. Prima o poi avrebbe dovuto dirglielo. O meglio, avrebbe dovuto dirglielo subito.
In quel momento Clara entrò sorridente nel loro ufficio salutando il cane che corse immediatamente ad accoglierla dimenticandosi addirittura delle patatine.
Ultimamente Clara era sempre di buon umore, forse per la consapevolezza che presto sarebbe diventata madre. Ancora la pancia non si notava ma si scorgeva facilmente che c’era qualcosa di diverso in lei, o comunque era evidente agli occhi di chi la conosceva almeno un po’.
Dopo tutto era giusto: aveva un lavoro che adorava, era appena diventata moglie dell’uomo di cui era innamorata e aspettava un bambino, proprio ogni cosa come avrebbe sempre desiderato!
«Buongiorno!» esclamò rivolta verso Semir.
Quindi si avvicinò a Ben e lo salutò con un leggero bacio sul naso. Si mise poi dietro di lui appoggiando il mento sulla sua spalla destra: «Cruciverba? Ma dai Ben, non ci posso credere! Da quando ti sei dato alle parole crociate?».
«Oh brava, diglielo anche tu che è ridicolo!» rincarò la dose Semir, senza perdere l’occasione.
Fu allora che Ben mostrò una delle sue espressioni da cucciolo bastonato: «Uffa, qui nessuno mi capisce! Per fortuna che Bianca invece è sempre dalla mia parte…» borbottò posando lo sguardo sul ventre della ragazza.
«Bianca? Hai deciso che sarà una signorina, Ben?» domandò Semir sorpreso.
Clara scoppiò a ridere: «Sì, non te lo aveva detto? Questa adesso è un’altra delle sue fissazioni… e pensare che secondo me sarà un maschietto! Tu cosa dici?».
L’ispettore guardò prima la ragazza, poi Ben con fare pensieroso: «Vorrei dirti anch’io ma poi Ben si lamenta e dice che sono tutti contro di lui!».
L’ispettore più giovane lanciò un’occhiataccia all’amico provocando una risata generale.
 
Seguì un attimo di silenzio che fu interrotto dalla voce di Clara: «Semir, tutto bene? C’è qualcosa che devi dirci?». La domanda arrivò con una decisione ed una semplicità disarmanti.
Il turco rimase un attimo a fissare la collega. Era incredibile.
Quella donna aveva la capacità di riuscire a studiare le persone e i loro stati d’animo in maniera perfetta. Certo, conosceva bene Semir. In fondo conosceva molto meglio lui di quanto conoscesse Ben, visti gli anni passati a lavorare insieme tempo prima.
Eppure era sicuro che lei sarebbe stata in grado di capire se qualcosa non andava anche nella persona a lei più estranea in assoluto. Un criminale, una vittima, un semplice cameriere di un ristorante mai visto prima.
«Ehm, ecco, in effetti… una cosa dovrei proprio dirvela. Anzi, mi sento in colpa per non averlo fatto prima, è che non me la sono sentita…».
Mirtillo drizzò le orecchie come se avesse percepito la leggera tensione che si era creata in fretta nella stanza.
«Cosa è successo?» lo incalzò Ben cominciando a preoccuparsi. Clara intanto osservava l’amico attenta.
Semir sospirò. Tanto in un modo o nell’altro avrebbe dovuto dirlo.
«Domani sarà la mia ultima giornata di servizio.».
 



 
E già cominciamo con le sorprese :)
Ecco il primo capitolo, spero vi sia piaciuto! Ringrazio chi mi sta seguendo e in particolare Maty66, Iuccy_97, capitanmiki e Fred_Deeks_Ben per le recensioni.
Al prossimo capitolo!
Sophie :D

 

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Capitolo 3
*** La scatola dei ricordi ***


La scatola dei ricordi



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«Domani sarà la mia ultima giornata di servizio.».
Ben alzò un sopracciglio e aggrottò la fronte, sperando di non aver capito bene. Clara invece rimase immobile, come se si aspettasse una risposta del genere. Si limitò a fissare il collega dritto negli occhi, scrutandolo.
Semir annuì per eliminare il tacito dubbio dell’amico di fronte a lui.
«Come sarebbe l’ultima…?» l’ispettore più giovane lasciò la frase spezzata a metà, cercando di analizzare le otto parole pronunciate pochi istanti prima dall’amico.
«Ho consegnato la mia lettera di dimissioni mentre eravate in viaggio di nozze e domani sarà la mia ultima giornata di lavoro. Ho dovuto farlo. Armstrong mi ha detto che avrei dovuto farlo ed io… ed io l’ho fatto per la mia famiglia. Perché tengo al mio lavoro ma tengo anche a loro. Tanto.».
Ben annuì. Capiva. Lo capiva, ma in quel momento la notizia lo aveva lasciato a dir poco senza parole. Pensò a tutte le situazioni che erano riusciti ad affrontare insieme, a tutte quelle volte in cui si erano salvati la vita a vicenda; a tutti i giorni in cui avevano scherzato, in cui si erano presi in giro. Gli sarebbe mancato Semir. Perché sì, senza dubbio sarebbero rimasti amici, ma entrambi sapevano che comunque non sarebbe mai stata la stessa cosa.
Ben abbassò lo sguardo per evitare di incrociare quello del collega. Pensò a quante notti dovesse aver passato in bianco prima di prendere questa decisione. Pensò al contrasto di sentimenti che doveva essersi impossessato di lui in quei giorni. Pensò alle espressioni che avrebbero fatto gli altri colleghi quando avessero saputo la notizia.
Semir Gerkhan, l’ispettore che aveva vissuto in quel commissariato da quando era giovane e inesperto fino ad adesso. Semir Gerkhan, che aveva stretto rapporti più o meno profondi con tanti colleghi diversi. Semir Gerkhan, che ora si preparava a varcare per l’ultima volta la porta di quella caserma così, in silenzio.
Clara non abbassò lo sguardo. Rimase invece ad osservare l’amico ancora mentre questo si alzava, avvicinava la sedia alla scrivania e si dirigeva a testa bassa verso l’uscita, chiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle.
 
Quando, poco dopo, Semir rientrò al comando, trovò la Kruger sulla porta del suo ufficio e tutti i colleghi immobili e zitti rivolti verso di lei. Ben e Clara vicini, in un angolo.
L’ispettore appena entrato si appoggiò allo stipite della porta aspettando che il commissario iniziasse il suo discorso. Sapeva che non l’avrebbe fatto l’indomani perché preferiva avvisare i colleghi almeno un po’ prima.
La ascoltò appena mentre faceva il suo nome e non fece caso alla ventina di occhi che si voltarono verso di lui ad osservarlo.
La sentì distrattamente mentre spiegava i motivi del suo lasciare il servizio e rimase immobile quando lei, finito il suo discorso provocando un tenue applauso di incoraggiamento da parte degli altri, rientrò silenziosa nella sua stanza.
Aspettò che gli altri riprendessero il proprio lavoro e si diresse verso il suo ufficio evitando i loro sguardi. Per i saluti ci sarebbe stato tempo l’indomani. Ora doveva cominciare a preparare lo scatolone dove avrebbe riposto tutte le sue cose.
In fondo alla scatola, invisibile, incastrato tra decine di fogli e piccoli oggetti, sarebbe rimasto per sempre un pezzo del suo cuore.
 




Capitolo molto di passaggio, come avete letto non è successo assolutamente niente, ma dal prossimo comincia la vera storia!
Grazie a Fred, Iuccy, Maty, Chiara e capitanmiki per le recensioni e a presto.
Sophie :D

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Capitolo 4
*** Scelta obbligata ***


Scelta obbligata






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«E dai, Ben! Non è mica morto nessuno, che ti prende questa mattina?» esclamò Semir mentre superava una vecchia Panda gialla in autostrada.
Il ragazzo accanto a lui scosse il capo. Era pallido e aveva gli occhi rossi. Da quando era cominciato il turno non aveva accennato a voler parlare di niente. Non si era nemmeno lamentato di avere fame, il che agli occhi del collega poteva essere veramente grave.
Mirtillo mugulò e poggiò il muso sulla spalla sinistra dell’ispettore più giovane sporgendosi dal sedile posteriore.
«Non sarà per la mia ritirata, voglio sperare.» continuò il turco staccando lo sguardo dalla strada per osservare l’amico accasciato sul sedile di destra.
Ben scosse il capo: «No, tu non c’entri.».
«È successo qualcosa ieri sera? Non hai dormito stanotte? Qualcosa non va con Clara, che succede?».
«Semir, non sono affari tuoi.» ribattè secco il più giovane.
A questa risposta Semir non replicò. Tornò a guardare la strada e decise di ignorarlo per un po’, sperando che il collega si riprendesse, o almeno gli dicesse cosa non andava. E dire che lui era uscito di casa con tanta buona forza di volontà, deciso a passare una giornata serena nonostante fosse l’ultima di servizio.
Sospirò e temette tra sé e sé di aver sbagliato qualcosa con Ben il giorno precedente; eppure quando si erano salutati alla fine non era sembrato di cattivo umore! Doveva essere accaduto qualcosa a casa la sera oppure durante la notte. Probabilmente aveva semplicemente litigato con Clara, che tra l’altro in quel momento non era in servizio.
 
Ben aggrottò la fronte sperando che quel mal di testa che lo attanagliava da ore e ore si attenuasse almeno un po’. Si sentiva malissimo, pensava persino di avere la febbre. Gli spiaceva di aver risposto male a Semir, ma in quel momento le sue domande insistenti erano proprio l’ultima cosa di cui avesse bisogno. Aveva freddo. Ma la cosa peggiore era il fatto che non si ricordasse assolutamente niente di cosa fosse successo durante la notte. Ricordava solo di essersi svegliato e di aver detto a Clara di dover uscire per un turno straordinario al comando quando invece non era vero. Perché le avesse mentito? Dove fosse andato? Proprio non riusciva a capire…
Sentì la macchina su cui viaggiava fermarsi e vide Semir scendere e dirgli qualcosa dal finestrino: «Io vado a prendere un caffè, vieni?». Fu allora che Ben si accorse di trovarsi in un’area di servizio, la Colonia Est, peraltro. Scese dall’auto assicurandosi che Mirtillo rimanesse chiuso in macchina e seguì il collega all’interno del bar, rimanendo in disparte mentre l’altro ordinava al bancone.
Osservò il cielo da dietro le vetrate, trovando solo un’immensa distesa di nubi grigie: niente male per essere nel pieno dell’estate.
«Ben, il solito?» gli gridò Semir a qualche metro di distanza.
Il ragazzo annuì tornando alla sua contemplazione. Non si accorse nemmeno che qualche secondo dopo il collega gli stava porgendo il suo caffè fumante e non battè ciglio quando il turco gli comunicò che aveva dimenticato una cosa abbandonando entrambi i caffè in mano a lui per tornare al banco.
«Ti aspetto fuori.» sussurrò il ragazzo più rivolto a se stesso che all’amico. Quindi uscì e non appena fu fuori dal locale si stupì di riuscire a stare in piedi da quanto gli girava la testa. Doveva proprio avere la febbre.
Si diresse a passo insicuro verso il retro dell’autogrill, dove era parcheggiata l’auto di servizio, tenendo in mano le due bevande calde.

Rallentò quando sentì delle voci concitate provenire da quella direzione.
Quasi si fermò quando riuscì a distinguerne i discorsi.
Si bloccò a una ventina di metri dalla macchina quando li vide.
Vide un uomo che, il braccio intorno al collo di un bambino, se ne faceva scudo e gli puntava una pistola alla tempia. Vide un altro uomo a pochi metri da questo scongiurare il criminale di non sparare. Si voltò, quell’uomo. E, non appena scorse Ben, lasciò perdere le sue preghiere e cominciò a correre, scomparendo in pochi attimi nel bosco dietro all’area di servizio.
L’uomo che minacciava il bambino guardò quindi l’ispettore, che nel frattempo aveva lasciato cadere i due caffè bollenti per terra e aveva estratto la pistola.
Ben tolse la sicura.
«Non fare una mossa o lo ammazzo.» minacciò lo sconosciuto.
Ben rimase immobile, l’arma puntata davanti a sé. La testa gli girava sempre più violentemente e le mani gli tremavano.
«Lo ammazzo… lo ammazzo, hai capito? Ora lo ammazzo!» urlava intanto l’uomo ponendo sempre più pressione sulla tempia del piccolo con la canna della pistola.
Ben sistemò il dito sul grilletto. Non poteva permettere che quell’uomo sparasse. Non l’avrebbe permesso.
 
 
Semir uscì dall’autogrill dirigendosi con calma verso la macchina. Durante il tragitto si fermò qualche attimo a leggere i titoli dei giornali appesi fuori dal negozio, poi proseguì. Svoltò l’angolo cominciando a dare un’occhiata al quotidiano appena comprato.
 
 
L’uomo strinse la pistola nella mano destra e mosse le dita preparandosi a sparare il colpo.
Ben non provò nemmeno a farlo ragionare. Chiunque fosse quell’uomo e qualunque cosa volesse, era troppo tardi. Tentò di prendere bene la mira, evitando il bambino con cui lo sconosciuto si faceva scudo. La testa gli girava, la vista era appannata ma soprattutto, gli tremavano terribilmente le mani.
Il criminale applicò una leggera pressione sul grilletto.
E Ben sparò.
 
 
Semir fece giusto in tempo ad assistere alla scena.
Fece in tempo a lasciar cadere il giornale a terra sentendo due colpi partire dalla pistola di Ben e vedendo l’uomo armato che si accasciava a terra dolorante ma che subito dopo si alzava e fuggiva verso il bosco, abbandonando l’arma sull’asfalto.
Vide il collega lasciar cadere la pistola e cedere, cadendo in ginocchio in mezzo al piazzale.
Sentì il bambino urlare e gli corse incontro.
Gli prese le mani chiedendogli se fosse tutto a posto. Ed il piccolo annuì, diventando però pallido all’istante.
Si accasciò quindi tra le braccia di Semir e chiuse gli occhi.
 
 
 
Semir si inginocchiò tenendo il bambino tra le braccia.
Cercò con lo sguardo il collega per chiedergli di chiamare un’ambulanza, ma questi era lontano, in ginocchio, con lo sguardo perso nel vuoto.
Il turco tirò fuori il cellulare, compose il numero dei soccorsi e non appena ebbe terminato la telefonata tornò ad occuparsi del piccolo mollando il telefono a terra.
Provò a tamponare l’emorragia con scarso risultato, gli accarezzò la fronte sperando che aprisse gli occhi, lo chiamò per nome
«Jonas… Jonas rispondi! Svegliati, Jonas!» gridò a perdifiato, fino a che non si accorse che non sarebbe servito a nulla.
Si diresse verso Ben con il bambino tra le braccia: «Cosa hai fatto? Ben, ti rendi conto di cosa hai fatto?».
L’altro alzò lo sguardo, gli occhi colmi di lacrime.
In quel momento si sentirono in lontananza i suoni delle sirene e pochi istanti dopo il bambino era stato caricato sull’ambulanza, che correva verso l’ospedale sulla corsia d’emergenza.
 

 
Girava tutto.
Ben provò a stringere gli occhi e a riaprirli ma la testa continuava a girare. Aveva la vista appannata e uno strano senso di nausea si era appena impossessato di lui.
Ti rendi conto di cosa hai fatto?
No.
Non capiva.
Non capiva più niente. Eppure non riusciva a smettere di piangere. Continuò anche mentre qualcuno lo tirò in piedi con uno strattone; non smise quando quel “qualcuno” gli fece abbassare la testa perché entrasse in una volante della polizia.
L’ultima cosa che vide, dal finestrino dell’auto, fu l’autogrill.
L’autogrill e quell’enorme macchia di sangue che sporcava l’asfalto del parcheggio.
 
 
 



Ehm… ok… io vi avevo avvertito che da qui sarebbe iniziata la storia vera e propria! Certo, come inizio non è molto allegro, me ne rendo conto. Cosa succederà adesso? Temo che per Ben questo non sarà un periodo molto semplice.
Grazie a chi continua a seguirmi e a Iuccy, Maty, Fred e capitanmiki per le recensioni!
A presto
Sophie :D

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Capitolo 5
*** Operazioni e rimorsi ***


Operazioni e rimorsi





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Era stato più movimentato, quell’ospedale.
Probabilmente era a causa del periodo, appena dopo Ferragosto.
O forse era a causa del reparto, quello degli interventi d’urgenza. Fortunatamente non girava molta gente in quei corridoi.
Comunque fosse, sembrava tutto stranamente silenzioso.
Semir se ne stava solo, seduto su una sedia in quel corridoio, fermo a guardare il pavimento, tentando di riordinare i pensieri e i ricordi.
Dunque: lui e Ben si erano fermati all’area di servizio per prendere un caffè; Ben era uscito prima dal negozio; lui lo aveva raggiunto poco dopo nel piazzale e aveva visto il suo collega sparare, colpendo un bambino. Quel bambino era il figlio della sorella di Andrea.
Semplice, davvero semplicissimo da spiegare.
Eppure Semir sapeva che quando fosse arrivata in ospedale Katrin, la madre del bambino, la spiegazione sarebbe stata leggermente più complicata.
Quando infatti la vide varcare trafelata la soglia del corridoio, seguita da Andrea, non potè fare altro che alzarsi e aspettare che si avvicinasse nella speranza di riuscire a trovare le parole giuste da utilizzare.
 
 
In un’altra stanza di ospedale, al piano di sotto, Ben aprì gli occhi.
Era stato portato lì in seguito al suo svenimento, avvenuto poco prima nella volante della polizia.
Si sentiva strano, come immerso in un mondo di suoni e visioni ovattate. E aveva un gran mal di testa.
Richiuse gli occhi provando a far mente locale su cosa fosse successo. Inizialmente fece fatica, ma poi i ricordi tornarono con una velocità ed una violenza non previste.
Il parcheggio, quell’uomo, gli spari, il bambino, le sirene, la polizia… tutto si accavallò nella sua mente, creando confusione, sconforto, paura.
Ed incoscienza. Già, perché ancora non riusciva a realizzare una cosa. Era stato lui a sparare? Aveva davvero colpito lui quel bambino?
 
 
«Cosa è successo? Dov’è Jonas?» domandò Katrin spaventata.
«Adesso è in sala operatoria, sta subendo un intervento. Katrin, mi dispiace ma…» cominciò Semir, ma venne presto interrotto dalla madre del bambino, nei cui occhi si leggeva solo terrore: «Cosa è successo?».
«Un uomo lo stava minacciando con una pistola, poi la situazione è degenerata e…».
«Chi è stato?».
Semir si morse il labbro. Non ci riusciva. Non riusciva ad ammetterlo a se stesso.
«Chi è stato?» ripetè la donna, gli occhi velati dalle lacrime.
«Il mio collega.» l’ispettore abbassò gli occhi, facendo appena in tempo a notare lo sguardo interrogativo di Andrea alle spalle della sorella.
 
 
Il rumore di una maniglia abbassata interruppe i suoi pensieri.
Ben posò lo sguardo sulla porta della stanzetta che si stava spalancando, approfittando del fatto che le immagini gli fossero tornate più nitide.
«Come stai?» gli chiese Semir entrando. Ma non lo guardò negli occhi. Non sarebbe riuscito a sostenere il suo sguardo.
Il ragazzo steso sul letto annuì, facendo intendere che si sentiva meglio. «Come sta il bambino?» chiese di rimando, sentendo il macigno posato sul suo petto che si appesantiva sempre di più.
«Lo stanno operando.» mormorò l’ispettore rimanendo in piedi, poco distante dal letto.
Il macigno stava diventando insopportabile. Allora era vero, lo aveva colpito sul serio; per un attimo aveva sperato si trattasse solo di un’allucinazione, magari un incubo causato dalla febbre. Invece era tutto terribilmente vero: aveva sparato ad un bambino.
«Semir…» sentì che le lacrime gli salivano agli occhi e non provò nemmeno a fermarle quando scoprì che una goccia salata già correva sulla sua guancia.
Il turco alzò lo sguardo e finalmente incontrò gli occhi dell’amico: «Ben, lo so. So che ti dispiace, so che speravi di salvarlo, so che avresti voluto colpire quell’uomo al posto di Jonas… » Ben sussultò: Semir conosceva il bambino?
«… ma non avresti dovuto sparare.» continuò il poliziotto. Quelle parole furono peggio di un pugno nello stomaco per il più giovane.
«Stavi male, ti girava la testa, non avresti dovuto rischiare. Perché in gioco Ben, c’era la vita di un bambino, un bambino di otto anni. Un bambino che in questo momento è sotto i ferri, che ha la vita appesa a un filo… perché tu hai scelto di rischiare.».
Ben aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì alcun suono. Il fatto che fosse proprio il suo collega, il suo migliore amico a dirgli quelle cose gli faceva ancora più male. E la cosa peggiore era che  avesse assolutamente ragione.
«Semir, io…» cominciò, ma si interruppe comprendendo che qualsiasi parola detta in quella circostanza sarebbe stata di troppo. Sarebbe risultata insulsa, amara, crudele.
 
Semir si pentì immediatamente di ciò che aveva detto. Le parole gli erano uscite spontanee, senza che lui riuscisse a trattenerle. Capiva come si sentiva l’amico, sicuramente in quel momento non avrebbe avuto bisogno di essere sgridato. Però era tutto tremendamente vero: se solo avesse contato fino a dieci prima di sparare, se solo non fosse stato così impulsivo!
Retrocedette di qualche passo fino a raggiungere la porta della stanza e poi, senza aggiungere niente, uscì diretto al piano di sopra, dove lo aspettavano Katrin e Andrea.
Ben affondò la testa nel cuscino e pianse.
 
 

«Sei un imbecille, Holsen! Sei un vero imbecille! E sai che io non ammetto errori.» sibilò un uomo stringendo i pugni dietro alla sua scrivania.
«Mi… mi dispiace! Io… io posso rimediare.».
«Rimediare?» ruggì il primo «Se va bene in questo modo quello sbirro passerà anche per l’eroe di turno che ha tentato di salvare il bambino pur non sentendosi bene! Ma ti rendi conto di come si è ribaltata la situazione? Voglio rovinare la vita di Jager, non renderla piena di gloria, chiaro?».
Il ragazzo che gli stava di fronte guardò il capo tremando. Si soffermò un attimo ad osservarlo: sulla cinquantina, i capelli leggermente ingrigiti, era un uomo alto e robusto, che un tempo probabilmente era stato molto apprezzato. Portava un sobrio vestito blu ed una cravatta scura.
«Posso rimediare.» ripetè in un sussurro il giovane. Sapeva che con quell’uomo che aveva davanti non ci si poteva permettere di fare un passo falso; e lui aveva appena commesso un errore troppo grande.
«Tuttavia» riprese l’uomo prendendo posto sulla poltrona dietro alla scrivania, con una voce fattasi improvvisamente calma e rassicurante «ucciderti adesso non mi porterebbe alcun vantaggio. Voglio darti un’altra possibilità. Vedi di far incolpare Jager dell’accaduto, ti do tre giorni. Quel bastardo deve pagare per quello che ha fatto, ad ogni costo.»
 
 


Bene, Ben è in ospedale, schiacciato dal senso di colpa.
Il bambino è sotto i ferri (se la caverà?).
Semir non sa cosa pensare: è stata o no colpa di Ben?

Ma diciamo che sta andando tutto per il meglio -.-
Grazie a chi mi sta seguendo e in particolare a chi recensisce costantemente, come potrei fare senza di voi?
Sophie ;D

 

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Capitolo 6
*** Senso di colpa ***



 

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«Voleva salvarti sai? È solo che non stava bene, non è riuscito a prendere la mira…».
Semir parlava ormai da un po’ al bambino che aveva accanto disteso sul letto, completamente incosciente. Era entrato in coma subito dopo il termine dell’intervento.
Il poliziotto era seduto vicino a lui e gli accarezzava dolcemente la fronte. Era affezionato a Jonas, tanto. Spesso giocavano insieme loro due, le bambine e ultimamente anche Mirtillo. Si divertivano per pomeriggi interi mentre Andrea e Katrin stavano magari a guardarli o a chiacchierare.
Era da quando aveva cinque anni che Jonas diceva che da grande avrebbe fatto il poliziotto come lo zio e da quel momento non aveva più cambiato idea.
L’ispettore sorrise a quei ricordi.
Era riuscito a far uscire dall’ospedale Katrin almeno per qualche minuto accompagnata da Andrea ed era rimasto solo con il piccolo. Il silenzio era interrotto solo da quell’instancabile e monotono “bip” causato dall’elettrocardiografo.
«Quando sarai guarito faremo una bella gita insieme, cosa ne dici? Anche Mirtillo ne sarà entusiasta!» continuò Semir fissando il bambino «Poi scegliamo insieme l’itinerario, va bene?».
L’uomo si interruppe all’improvviso.
Gli ci volle qualche attimo per comprendere che qualcosa nella stanza era cambiato. Si guardò intorno… quel rumore.
Sgranò gli occhi mentre si accorgeva che il suono intermittente mandato dall’apparecchio posto accanto al letto del bambino era stato sostituito da una nota fissa. Un lungo ed interminabile “bip”.
Si alzò di scatto dirigendosi fuori dalla porta per chiamare aiuto e un uomo e una donna in camice bianco lo raggiunsero in fretta all’interno della sala.

«Presto, un arresto cardiaco, prepara la carica!»

Quelle voci sembravano così lontane!
«Jonas… Jonas ti prego resisti… ti prego!» mormorò Semir seguendo l’operazione. Nel frattempo nella stanza era entrata qualche altra persona, sempre in camice bianco, e tutti si erano posizionati attorno al letto su cui giaceva il bambino.

«Carica 200, su!»

Non sarebbe finito tutto così in fretta… non poteva finire così!

«Carica 300, forza.»

«Reagisci…»

«Carica 360!»

«Ti prego fermati Jonas, non mollare…»

«Ancora, vai!»

Semir scosse il capo fissando il corpo immobile del bambino. Poi gli cadde lo sguardo sul corridoio che vedeva dalla porta a vetri, nonostante ci fossero le tendine: sua madre stava tornando, lei e Andrea si stavano dirigendo a passo incerto verso quella stanza.

«Accidenti, non reagisce! Maledizione, lo stiamo perdendo!»

No, no, no…

«Mi dispiace… ispettore, mi sente? Mi dispiace, è troppo tardi.»

Mi dispiace? Troppo tardi?
Semir continuò a scuotere il capo incrociando lo sguardo del medico che gli stava parlando.

Mi dispiace…

No. Non lo avrebbe permesso.
Gli uomini in camice bianco si scostarono dal letto liberando del tutto la visuale. Jonas era ancora lì, immobile, senza vita.
All’improvviso il poliziotto sentì la rabbia crescergli dentro fino a diventare un peso troppo grande. Si scagliò sul piccolo e lo prese per le spalle scuotendolo nella speranza di ricevere una reazione: «Jonas! Jonas, accidenti, rispondi!».
Due medici lo immobilizzarono da dietro e lo allontanarono dal lettino gridando che ormai era tutto finito, che non c’era più niente da fare.
Semir si divincolò ancora per qualche istante urlando il nome del bambino. Poi, semplicemente, si fermò, cadde in ginocchio e pianse.
 
 
 
«Semir, cosa è successo?» domandò Katrin vedendo il cognato uscire dalla stanza a testa bassa.
L’uomo alzò lo sguardo incrociando prima quello di Andrea, poi quello della madre del bambino, ma non disse niente.
Tuttavia probabilmente la sua espressione fu abbastanza eloquente, perché Katrin cominciò a scuotere il capo mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
«No, dimmi che non è vero, ti prego. Dimmi che non è vero!» sussurrò avvicinandosi al poliziotto. Lui la abbracciò semplicemente, mentre lei continuava a piangere e gridare.
«Non è possibile, Jonas, il mio bambino! Non è possibile… Non è possibile, voglio vederlo… Vi prego…».
 
 

Andrea si sedette accanto al marito in quel corridoio che ormai da ore li stava ospitando.
«Dimmi cosa è successo, Semir. È stato davvero Ben a sparare? Come…?».
L’ispettore sospirò scrutando gli occhi lucidi della moglie. Katrin era sola nella stanza col bambino ormai da un po’.
«Avrei dovuto fare qualcosa, avrei dovuto fermarlo, ma sono arrivato troppo tardi. Un uomo stava minacciando Jonas e Ben voleva salvarlo ma non si sentiva bene, non è riuscito a prendere la mira. Andrea, non ci capisco più niente. Dovrei andare giù e parlare con Ben, ma non ci riesco. Lui non sa niente. Non sa che quel bambino è… era il figlio di Katrin.».
La donna rimase praticamente senza parole. Allora era vero: era stato Ben.
I suoi pensieri furono interrotti dallo squillo del cellulare del marito, che rispose subito: «Sì, Semir.».
«Gerkhan, ho saputo cosa è successo. Ho saputo che Jager ha sparato ad un bambino di otto anni nell’area di servizio dove vi siete fermati, ora vi raggiungo all’ospedale. Come sta il piccolo?».
«Capo. È morto, poco fa.».
«Accidenti… E Jager?» domandò il commissario dall’altro capo del telefono.
«Non lo so. Cioè… è qui, lo tengono sotto controllo, penso che gli abbiano fatto delle analisi.».
«Pensa?  Non è con lui?».
«No, sono al piano di sopra, dal bambino… Capo, il bambino era il figlio della sorella di Andrea ma Ben non lo sa.».
«Cosa?» la voce della Kruger mutò in un istante, addolcendosi, perdendo il tono autoritario che la accompagnava sempre «Io… non lo sapevo, mi dispiace. Mi dispiace, ora arrivo in ospedale, ci vediamo lì.» e riattaccò.
 
Andrea guardò il marito ancora una volta in attesa di spiegazioni.
«Devo andare giù, sta arrivando la Kruger.» fece Semir alzandosi, ma venne trattenuto per un braccio dalla donna: «Semir, lo sai che Ben aveva tutt’altre intenzioni.» gli ricordò prima che lui, annuendo, si dirigesse verso le scale.
 
 
 
«Buongiorno capo.».
«Gerkhan! Mi dispiace molto per quello che è successo. Ha già parlato con Jager?» domandò la Kruger.
«No.». Si trovavano nel corridoio al piano di sotto, esattamente davanti alla porta della stanza di Ben.
«Allora ci conviene andare, deve essere aggiornato. E voglio anche che mi spieghi cosa è successo. Tra non molto qui piomberà l’LKA, il caso ovviamente è di loro competenza.» spiegò il commissario posando una mano sulla maniglia della stanzetta.
«Posso aspettarla qui? La prego, parlerò più tardi con Ben.» domandò Semir allontanandosi di un passo da quella porta.
«Va bene.». La donna entrò.
 
«Capo, buongiorno, ha novità sul bambino? Semir non mi ha più detto niente.» le chiese Ben senza neanche darle il tempo di entrare. Si sentiva decisamente meglio, fisicamente almeno, perché quel macigno che gli premeva sul petto proprio non voleva saperne di andarsene. Il giovane non era sicuro di cosa fosse esattamente. Qualcuno lo chiamava senso di colpa.
«Innanzi tutto, lei come si sente?» domandò di rimando il commissario.
«Bene, meglio… ma il bambino?».
«Non ce l’ha fatta.» comunicò la donna il quello che risultò poco più di un sussurro.
Ecco che il macigno di nuovo si appesantì in una maniera insopportabile: «Mi sta dicendo che…».
«Mi dispiace.».
«Commissario, posso farle una domanda?» chiese l’ispettore dopo qualche attimo di silenzio «Chi era quel bambino? Come faceva Semir a conoscerlo? Ho sentito che lo chiamava per nome.».
Kim cominciò a sentirsi seriamente a disagio. Avrebbe dovuto dirgli tutto oppure aspettare che lo facesse Gerkhan? Rimase un attimo ferma, titubante, tentando di scegliere le parole giuste. Raramente si era sentita così in difficoltà.
 «Quel bambino, Jager, era il figlio di Katrin, la sorella di Andrea.» rispose poi semplicemente.
Ecco. Ora davvero il macigno era diventato insostenibile.
«Ne… ne è sicura?» fece Ben accorgendosi della stupidità di quelle parole mentre le pronunciava. Certo che ne era sicura! Infatti la donna si limitò ad annuire tristemente.
«Ma capo, lui adorava quel bambino! Me ne parlava spesso, era come un terzo figlio per lui!» esclamò il poliziotto mentre troppi pensieri gli affollavano la mente troppo velocemente. Cominciava a non capire più niente, di nuovo iniziò a girargli vorticosamente la testa.
Il commissario fece per dire qualcosa ma venne interrotta dal rumore della porta che si apriva. Ne fece capolino Semir, che fece cenno alla Kruger di uscire, probabilmente aveva novità.
Poi, per un attimo, incrociò lo sguardo di Ben.
I due si fissarono per qualche istante e quando Semir parlò lo fece rivolto alla Kruger ma senza smettere di fissare gli occhi del collega: «Può venire capo? Ci sono novità.».
Il commissario uscì dalla stanza rivolgendo un cenno di saluto a Ben, che probabilmente neanche lo notò. Quando Semir però fu sul punto di uscire in corridoio e richiudere la porta della stanza, la voce dell’altro ispettore lo fermò: «Semir! Aspetta. Io… non lo sapevo, non potevo sapere. Mi dispiace. Mi dispiace…».
«Questo dovresti dirlo alla madre del bambino, Ben.» rispose il turco e avrebbe voluto aggiungere altro ma si trattenne, pensando alle parole della moglie di poco prima.
Sospirò: doveva semplicemente convincersi di una cosa.
Ben non ha colpa.
Uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle.
 
«Allora, quali sono le novità?» domando la Kruger, impaziente.
«Ho parlato con un medico che aveva i risultati delle analisi di Ben. Aveva tracce di alcool nel sangue, e anche tracce di droga, risalenti a questa notte probabilmente. Ecco perché non stava bene. Non ho idea di cosa abbia fatto ieri sera, ma comunque sia non doveva essere in servizio, non con quella roba in circolazione. Non voglio sapere perché abbia fatto uso di droga e alcool, poteva semplicemente rendersi conto dei propri limiti dopo aver assunto sostanze del genere.».
«Magari non è tutto così semplice. Magari lo hanno drogato. Bisogna cominciare ad indagare, Gerkhan. Lei vada a parlare con Clara, che tra l’altro non sa ancora niente di ciò che è successo perché non è in servizio, la troverà a casa penso. Io avviserò il signor Konrad Jager e intanto vedo se riesco a portare Ben al comando prima dell’arrivo dell’anti-crimine. Poi bisogna andare da Hartmut che nel frattempo analizzava la pistola che l’uomo che minacciava il bambino ha abbandonato nel piazzale, ci vediamo lì.» organizzò il commissario, decisa a far luce su quella faccenda.
«Perfetto, a dopo allora.».
Semir uscì a passo veloce dall’ospedale.
 



Ed ecco che iniziano le indagini vere e proprie. Il bambino non ce l’ha fatta e Ben è schiacciato sempre più da questo insopportabile senso di colpa. Semir, dal canto suo, sembra voler occuparsi del caso con lucidità, apparendo freddo e tenendo da parte i suoi sentimenti… ma per quanto potrà resistere?
Grazie a chi mi segue, al prossimo!
Sophie :D

 

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Capitolo 7
*** Ti fidi di me? ***


Ti fidi di me?


 
 
«Semir, che succede?» domandò Clara aprendo la porta di casa e trovandosi di fronte all’amico.
Il poliziotto era rimasto qualche minuto immobile davanti a quella casa prima di decidersi a suonare. Non voleva darle una brutta notizia, non era giusto!
«Vieni, entra.» continuò lei non ricevendo risposta dall’ispettore. Si sedettero entrambi sul divano del salotto, uno di fronte all’altro. Clara portava una maglietta molto attillata e Semir notò per la prima volta un piccolo rigonfiamento all’altezza del suo ventre.
«Clara, mi prometti di stare tranquilla? Promettimi di non agitarti, va bene? Per il bambino.» premise accennando al futuro figlio della collega.
«Semir, così sì che mi fai preoccupare, cosa è successo? Ben? È successo qualcosa a lui, come sta?» domandò la ragazza con il cuore che le batteva sempre più forte.
«Ben sta bene ma qualche ora fa… eravamo in un’area di servizio, la solita, la Colonia-Est e lui ha… ha… ucciso… un bambino.».
Clara sgranò gli occhi e si fece pallida in un istante.
Semir si accorse di aver sbagliato frase ma aveva le idee talmente confuse che neanche sapeva cosa stesse dicendo!
«Lo stavano minacciando, voleva salvarlo ma ha sbagliato mira.» lo giustificò l’uomo cercando di riparare al danno procurato con la frase precedente.
«Non è possibile.» sussurrò la ragazza mentre gli occhi le diventavano lucidi.
Semir tacque per qualche istante. Doveva dirle tutto, se lo fosse venuto a sapere dopo sarebbe stato peggio. Fece un profondo respiro per incoraggiarsi a continuare: «Quel bambino era Jonas.».
 
Il poliziotto temette che la collega gli svenisse lì, da un momento all’altro. Era diventata davvero pallidissima, apriva la bocca per parlare ma la richiudeva senza riuscire a proferire alcuna parola.
«Ora Ben è in ospedale ma sta bene, la Kruger lo sta portando al comando. I medici hanno trovato tracce di alcool e di droga nel suo sangue, è per questo che stamattina ha sbagliato mira, perché non si sentiva bene. Ora però Clara, prova a stare tranquilla, va bene?».
Non ricevendo risposta, Semir le prese una mano tra le sue e la strinse dolcemente: «Clara…».
Lei mostrò un contegno fin troppo esagerato, sospirò e annuì: «Sto bene. Ma Jonas? Non posso crederci, Ben ha… ha…Tu come stai? Tenevi così tanto a quel bambino!».
«Ora non ti preoccupare per me, va tutto bene. Solo, ho bisogno del tuo aiuto: cosa è successo a Ben stanotte?». Domandò l’ispettore trattenendo le lacrime che insistenti minacciavano di ripresentarsi.
«È uscito verso le due dicendo che lo avevano chiamato dal comando per un turno straordinario. Gli ho chiesto se potevo andare con lui ma mi ha detto di no. A quanto pare non è mai andato in commissariato… Non capisco, perché mai sarebbe dovuto andare a bere o peggio ancora a drogarsi? Non è da Ben, lo sai anche tu, maledizione.» spiegò Clara agitata.
«Non lo so, non ci sto capendo più niente. Ora ti accompagno al comando va bene? Ma ti prego, stai tranquilla.».
La poliziotta annuì seguendo l’amico fuori da casa sua e verso la sua BMW.
 
 
«Susanne, dov’è la Kruger?» domandò Semir entrando in caserma, mentre Clara veniva trattenuta un attimo a parlare da Otto.
«Alla scientifica, ha detto che vi vedevate lì.» rispose la segretaria con un sorriso triste.
«E Ben?» chiese di rimando l’ispettore.
«Nella stanza degli interrogatori, ha parlato con il capo fino ad ora.».
L’uomo si diresse a passo deciso verso quella stanza ed entrò chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle.
«Ben, penso che noi dovremmo parlare.» esclamò appena entrato, prima di vedere il collega che, seduto davanti a lui al tavolino, lo fissava ancora con gli occhi segnati dal pianto.
«Semir, mi dispiace per quello che ho fatto, davvero, se avessi saputo…».
«Saputo cosa?».
Ben restò in silenzio, osservando l’amico che cercava di contenersi.
Aveva davanti l’assassino di Jonas.
Tuttavia Semir si costrinse a pensare che quello che aveva davanti, oltre ad essere l’assassino di Jonas, fosse un poliziotto.
E soprattutto che fosse il suo migliore amico, Ben Jager.
«Ben, cosa è successo questa notte?».
«Non mi ricordo.» mormorò il più giovane con un filo di voce.
«Ti hanno trovato tracce di alcool e di droga nel sangue, Ben. Eri drogato e sei comunque entrato in servizio. Sei un poliziotto, accidenti! Se solo non fossi stato così incosciente adesso forse…» l’ispettore si interruppe non sapendo come continuare.
Adesso forse Jonas sarebbe ancora vivo.
«So che forse non mi perdonerai mai per quello che ho fatto, Semir. E ti capirei perfettamente se accadesse così, perché neanche io mi perdonerò mai. Stavo male è vero, non avrei dovuto sparare. Ma ti giuro che non mi ricordo niente, io non sapevo di essere drogato, altrimenti non sarei entrato in servizio per nulla al mondo.».
«Potevi chiamarmi appena hai visto cosa stava succedendo nel piazzale, prima di uscire allo scoperto.» affermò Semir, assertivo.
«Semir…».
«Potevi dirmi chiaramente che non ti sentivi bene quando eravamo in macchina…» continuò alzando leggermente la voce.
«Semir…» riprovò a interromperlo il più giovane.
«Potevamo trovare una soluzione, potevi aspettare! Potevi prendere tempo, accidenti Ben, sei un poliziotto, non era la prima volta che ti trovavi in una situazione del genere.».
«Semir, ascoltami, non avevo scelta!» gridò Ben facendo pressione con le mani sul tavolino che aveva davanti. Aveva la fronte imperlata di sudore e guardava il collega con un’espressione al tempo stesso mortificata e supplichevole.
«C’è sempre una scelta, sempre. Soprattutto quando a viverne le conseguenze può essere un bambino di otto anni.».
Ben scosse il capo.
«Semir, io posso solo giurarti che non mi ricordo niente di cosa è successo. Ricordo solo di essere uscito di casa, ma non ne ricordo il motivo. Poi ricordo di essere arrivato al comando, ma tra questi due avvenimenti ho un vuoto… non ricordo. Fidati Semir, ti fidi di me?».
Seguì un lunghissimo attimo di silenzio.
L’ispettore in piedi abbassò lo sguardo.
«Sì… Sì, lo so Ben, scusami. Mi dispiace, davvero, scusa. Non dovrei parlarti in questo modo, né pensare neanche lontanamente che possa essere stata colpa tua. È che… io non ci capisco più niente. Davvero, non so più cosa pensare, non so cosa fare! Scusami.» concluse Semir prima di abbandonare l’aula evitando di incrociare lo sguardo dell’amico.
Percorse il commissariato verso l’uscita senza curarsi né degli sguardi stupiti dei colleghi, né delle domande di Clara, né di tre uomini dell’LKA che entravano al comando al seguito di Alex Bronte.
Uscì, salì in macchina e partì a tutto gas.
 
 
La BMW argentata si fermò davanti all’edificio della scientifica sgommando pochi minuti dopo.
Semir ne scese rapidamente e si diresse verso l’entrata senza una minima esitazione. Trovò Hartmut e la Kruger dietro al banco su cui il ragazzo dai capelli rossi teneva una marea di strumenti dai nomi più assurdi.
Stavano parlando concitatamente tra di loro ma si fermarono non appena scorsero l’ispettore che si stava avvicinando.
«Ci sono novità? Impronte?».
«Sì» rispose l’interpellato con una nota di indecisione nella voce «Ci sono le impronte di un uomo, un certo Karl Maiser. È molto conosciuto nel mondo della droga, è stato in carcere qualche anno ma sembrava che ne fosse uscito completamente cambiato. A quanto pare è tornato sulla brutta strada…».
«E poi?».
«E poi cosa, Gerkhan?» intervenne cauta la Kruger.
«Cosa altro abbiamo di nuovo? Hartmut, sai qualcos’altro, ti conosco ormai, ti si legge in viso.» indagò il poliziotto avvicinandosi al bancone.
«Ma non c’è niente che…».
«Hartmut, dimmelo, cosa hai scoperto?» lo interruppe l’uomo senza troppa gentilezza.
Il ragazzo deglutì a fatica e lanciò un’occhiata di richiesta d’aiuto al commissario, che però non sembrò notarla. Quindi sospirò e si decise a parlare: «La pistola con cui Maiser minacciava il bambino… era di cloruro di polivinile.».
«Di che cosa?».
«Di PVC Semir, di plastica. Era una pistola giocattolo.».
 


 
Ehm… Okay, la situazione sta un po’ degenerando. Come lo vedete voi adesso il rapporto tra Ben e Semir?
Grazie mille ai lettori e a Fred, Rebecca, Maty e miki per le recensioni!
Un bacio
Sophie :D

 

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Capitolo 8
*** Indagini ***


Indagini

 
 

«Di PVC Semir, di plastica. Era una pistola giocattolo.».
L’ispettore scosse il capo e fissò Hartmut, spaesato.
«Di… di plastica.» ripetè, come per confermare a se stesso che avesse capito bene.
«Già.» disse l’uomo dai capelli rossi «Però ecco, da lontano… voglio dire, io non so se sarei riuscito a riconoscerla… sai, se poi non si sentiva bene… probabilmente non…».
Semir lo interruppe levandogli la busta trasparente che conteneva la finta arma dalle mani. La osservò un attimo cercando per quanto possibile di mantenere la calma: era grigia, con la canna marroncina. Non avrebbe potuto avere colori più finti.
Guardò il commissario, poi si voltò e si diresse in silenzio verso la macchina.
 
«Gerkhan! Gerkhan, aspetti un attimo, dove va?» la Kruger lo raggiunse di corsa e lo fermò a pochi passi dalla BMW, trattenendolo per un braccio.
«Al comando ad aggiornare Ben e a cercare questo Maiser.».
«Ci sarà l’LKA. Vengo con lei.» affermò la donna entrando in macchina dal lato del passeggero.
 
 
Entrarono a passo veloce al comando seguiti dagli sguardi interrogativi di tutti i colleghi. Bronte sostava davanti alla porta della stanza degli interrogatori a braccia conserte e Semir alla vista di quell’uomo non potè far altro che innervosirsi ancora di più.
Non lo degnò di uno sguardo ed entrò nella stanza, dove Ben era seduto così come lo aveva lasciato.
«Novità?» domandò senza lasciare all’amico neanche il tempo di avvicinarsi.
L’ispettore annuì: «Abbiamo le impronte di un certo Maiser, ti dice niente?».
«Maiser… Maiser, no, direi proprio di no. Erano sulla pistola con cui minacciava Jonas?» chiese il più giovane.
«Sì.».
«Semir, che altro c’è?».
Il poliziotto guardò il ragazzo seduto davanti a lui: appariva stanco, provato. Doveva essere a causa del peso che si stava portando sulla coscienza. Come avrebbe reagito a quella notizia?
Semir estrasse da una tasca interna della giacca la busta trasparente con dentro la pistola giocattolo e la porse a Ben, evitando di guardarlo negli occhi.
Lui la prese con mano tremante, temendo di cominciare a capire. Quando la ebbe tra le mani impallidì, aprì la bocca e rimase immobile: era così leggera! La guardò per qualche istante prima di posarla sul tavolino davanti a lui cercando conforto negli occhi del collega: «Cosa ho fatto, Semir… cosa ho fatto?!».
 
 
«Adesso è tutto risolto.» annunciò il ragazzo sollevato, ma con una punta di nervosismo nella voce.
«Tutto risolto eh?» gli fece eco l’uomo seduto al di là della scrivania. La stanza appariva più buia del solito, sicuramente a causa della brutta giornata di pioggia.
«Sì, adesso Jager avrà guai per un bel po’. Nessuno riuscirà a provare la sua innocenza.» confermò il primo, tentando di apparire sicuro agli occhi del suo capo.
«Neanche il suo collega, Gerkhan?».
«Penso di no signore, anche perché ho fatto in modo che i due siano, per così dire, in “conflitto”.».
L’uomo più anziano fissò negli occhi il ragazzo: «In conflitto? E come, sentiamo.».
Desiderava avere tutto assolutamente sotto controllo.
«Vede, il bambino ucciso da Jager era il figlio della sorella di Andrea Schäfer, la moglie di Gerkhan.» spiegò fiero il ragazzo, certo di ricevere complimenti da parte di quel capo tanto temuto… ma non fu esattamente così. L’uomo alzò un sopracciglio ripetendosi nella mente la frase che uno dei suoi uomini gli aveva appena comunicato.
«Cosa? Cosa ha fatto?» domandò con un tono che avrebbe fatto tremare chiunque.
«Io… ho… in questo modo saranno in conflitto tra di loro e…».
«Stupido idiota!» lo interruppe il superiore in un urlo spaventoso «Ti rendi conto di cosa hai fatto? Maledetto idiota, se va a monte tutta questa storia io ti disintegro chiaro? Non ti avevo forse avvisato dell’amicizia che c’è tra Jager e quell’altro? Eh? Maledetto idiota e stupido io che mi sono potuto fidare di un uomo così incompetente. Sparisci, prima che ti faccia fuori con le mie mani.».
Il ragazzo annuì a dir poco terrorizzato e in pochi secondi fu fuori da quella stanza.
Ma si allontanò abbastanza poco velocemente da sentire pronunciare da quell’uomo un’ultima frase, in un sussurro.
«Potresti essermi ancora utile… ma non per molto, temo.».
 
 
«Gertrür Strasse, 14, è una piccola villetta.» fece Susanne porgendo un foglio a Semir, che lo lesse velocemente.
«Gertrür Strasse, grazie.» mormorò quindi «Hai trovato altro?».
«Come ti ha detto già Hartmut, Maiser è stato parecchio nel mondo della droga prima di venire arrestato, nove anni fa. È uscito da mesi ormai, sembra pulito… sembrava almeno. Non ha famiglia, è completamente solo.» spiegò la segretaria abbozzando un sorriso.
«Perfetto, vado a controllare, magari è a casa, anche se temo che sarebbe un po’ troppo facile.» affermò l’ispettore sempre rivolto alla ragazza.
«Dov’è che deve andare Gerkhan? A controllare dove? A mio parere, visto il coinvolgimento personale, lei dovrebbe rimanere fuori dal caso.» lo interruppe una voce maschile da dietro le sue spalle.
Bronte gli si avvicinò con un mezzo sorriso.
«Scusi? Coinvolgimento personale?» ripetè Semir incredulo. Aveva sempre odiato quell’uomo.
Il commissario dell’LKA annuì: «Sbaglio o era parente del bambino che è stato ucciso?».
«Io non…».
«Non mi sbaglio. Di conseguenza lei è temporaneamente sospeso dalle indagini.».
«Commissario Bronte, vorrei chiarirle due cose.» fece l’ispettore evitando per poco di dare in escandescenza «Innanzi tutto, fino a prova contraria, è mia moglie ad essere parente del bambino, non io. E poi, se non le dispiace, io obbedisco agli ordini del mio superiore e non ai suoi.».
Fu a quel punto che la Kruger si avvicinò, seppur con aria titubante: «Gerkhan, il commissario Bronte ha ragione: lei è troppo coinvolto personalmente.».
«Sta scherzando?».
«Affatto, non mi sembrerebbe proprio il momento di scherzare.» ribadì Kim, seria «Mi servono la sua pistola e il suo distintivo.».
Semir scosse il capo guardando i due che si trovava davanti. Poi lanciò un’occhiata di richiesta d’aiuto a Susanne che, lì vicino, osservava la scena intimorita. Non ricevette una risposta.
«Sa che le dico capo? Va bene. Tra mezz’ora finirebbe il mio turno e con questo anche la mia ultima giornata di lavoro. Non tornerò più qua commissario, da questo momento in poi non mi ritengo più un poliziotto dell’autostradale.» estrasse dalla giacca la pistola e il tesserino e li consegnò alla donna «Ma niente potrà impedirmi di indagare per conto mio e capire cosa è successo. Arrivederci.» aggiunse quindi, rivolto anche a Bronte.
Si voltò è uscì dall’ufficio, diretto verso la casa di Maiser. Ma in cuor suo sapeva che avrebbe di nuovo varcato presto la soglia di quel commissariato. Lo avrebbe fatto per Ben e per Jonas.
 
 
«Tieni.» sussurrò dolcemente Andrea porgendo una tazza di tè caldo a sua sorella.
Katrin abbozzò un sorriso tra le lacrime e afferrò la bevanda. Erano ormai passate ore da quando era accaduto il peggio e adesso le due donne si trovavano sedute a casa di Andrea ad attendere il papà di Jonas che, all’estero per lavoro, sarebbe arrivato da lì a poco.
La sorella maggiore non sapeva più come consolare la mamma del bambino. D’altra parte, ci sarebbe mai potuta riuscire? Sospirò ripensando agli avvenimenti di quel giorno. E dire che Semir aveva consegnato la sua lettera di dimissioni proprio per evitare il coinvolgimento della sua famiglia in situazioni del genere. A quanto pare non era servito.
Provò a chiamare il marito ma lui non le rispose.
Sperò semplicemente che capisse cosa fosse realmente successo, e soprattutto che non si mettesse nei guai.
 
 
Un altro calcio ben assestato e la porta si spalancò, lasciando libera l’entrata.
Semir entrò nella piccola villetta della periferia di Colonia guardandosi intorno con precauzione: non aveva più la sua pistola.
Sentì un rumore e si voltò di scatto.
Un gatto. Gli si avvicinò per strusciarsi addosso ai suoi pantaloni.
L’uomo sorrise: «Ciao micio» sussurrò «Non c’è il tuo padrone? Non è in casa?».
Non ebbe il tempo di terminare la frase che scorse un’ombra immobile, dietro la porta scorrevole semi-trasparente della cucina.
La aprì.
Il corpo di un uomo senza vita gli piombò addosso.
 

 
 
Ed eccoci qui! Avevo detto che sarebbero cominciate le indagini!
Mi scuso per la lentezza con cui ho aggiornato, ma con la scuola sono ricomparsi anche altri impegni vari che mi lasciano poco tempo per la scrittura. Vedrò comunque di postare almeno un capitolo a settimana. Ringrazio chi mi segue e in particolare Fred, Iuccy, Maty e Vale per le recensioni, a presto.
Sophie :D
 
PS: dal prossimo capitolo ricominciano le immagini iniziali, ho avuto qualche problema con il programma che uso per modificarle :)

 

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Capitolo 9
*** Ti amo ***


Ti amo


 
 
«Gli hanno sparato da distanza ravvicinata, non più di un’ora fa. Se arrivavi un po’ prima ti ritrovavi faccia a faccia con l’assassino.» disse Hartmut togliendosi i guanti che aveva utilizzato per una prima analisi sul cadavere di Maiser.
«Già, e forse sarebbe stato meglio.» sbuffò Semir osservando il morto che veniva delicatamente coperto con un telo. Per poco non lo aveva travolto quando aveva aperto la porta della cucina.
«Semir, ascolta un attimo: ma tu non sei fuori servizio? Perché prima che mi chiamassi tu mi aveva telefonato la Krüger e…» cominciò il tecnico della scientifica prima di venire interrotto dall’ispettore.
«Hartmut, per favore, non anche tu con questa storia! Sono fuori servizio ma non ho alcuna intenzione di lasciare che il caso sia esclusivamente nelle mani dell’LKA.» si diresse verso la porta della villetta per uscire ma si bloccò vedendo il diluvio che si stava consumando fuori.
Ci mancava anche questo, pensò.
«Tienimi informato!» urlò all’uomo dai capelli rossi prima di gettarsi sotto la pioggia nel disperato tentativo di raggiungere la macchina prima di ritrovarsi completamente inzuppato.
 
 
Mezz’ora più tardi, il poliziotto si trovava in un’ autogrill sull’A 32, bagnato fradicio, aspettando un caffè seduto al banco.
Diluviava veramente troppo, era quasi impossibile riuscire a vedere la strada; per questo il poliziotto aveva pensato di fermarsi qualche minuto prima di proseguire verso casa.
Non sentì dietro di lui i passi che si avvicinarono e nemmeno riconobbe immediatamente la voce dell’uomo che si sedette accanto a lui.
«Buongiorno Gerkhan.» fece Bronte con un mezzo sorriso.
Semir alzò gli occhi al cielo senza nemmeno preoccuparsi che il commissario lo notasse: «Cosa vuole?» domandò, secco.
«Vede, ho come l’impressione che io e lei abbiamo cominciato con il piede sbagliato…» cominciò l’uomo «Ma forse potremmo rimediare. Potremmo collaborare insieme al caso-Jager.».
Semir udendo queste parole per poco non si ustionò con il caffè che era appena arrivato.
«Come ha detto?» domandò incredulo.
«Ha capito bene ispettore.» confermò il capo dell’LKA ordinando a sua volta un caffè macchiato.
«Commissario, io da questo momento non sono più un poliziotto, non so se la cosa sia risultata chiara.» ribadì il turco posando la tazzina sul bancone.
«Chiarissima Gerkhan, ma non mi faccia credere che non abbia interesse a capire cosa ci sia dietro tutta questa storia. Io le sto semplicemente offrendo di tenerla costantemente informata delle indagini, così che lei possa aiutare, anche se magari non in modo diretto, il suo amico Jager. E così che possa avere anche giustizia per il bambino che è stato ucciso.».
Bronte fece una lunga pausa e finì il suo caffè.
«Ci pensi, non deve rispondermi subito. Nel caso decidesse, sa dove trovarmi.» concluse quindi, alzandosi ed avviandosi verso l’uscita con un cenno di saluto.
Semir rimase attonito a guardarlo mentre si allontanava prima che lo sguardo gli cadesse sul biglietto da visita con il numero di telefono che l’uomo aveva lasciato scivolare sul bancone.
 

 
Ben sospirò fissando il pavimento.
La stanza in cui si trovava, nella caserma dell’LKA, era ancora più fredda di quanto non gli fosse sembrata la stanza degli interrogatori del suo comando.
Era stato trasferito lì da poco, ma già gli sembrava fosse passata un’eternità.
In quel momento sperava solo che Semir scoprisse cosa fosse successo e soprattutto che credesse a quanto gli aveva raccontato.
Aveva avuto qualche minuto per parlare con Clara prima di essere trasferito e le era apparsa così debole! Quanto avrebbe desiderato trovarsi con lei e con il suo bambino.
Infilò le mani in tasca sospirando nuovamente.
E fu allora che lo sentì. Qualcosa di cilindrico, di plastica forse. Tirò fuori l’oggetto misterioso e rimase sconcertato nel ritrovarselo in mano: una siringa.
Corrucciò la fronte, mentre immagini e ricordi confusi cominciarono a tormentarlo: un locale, delle persone, grida, caos…
 
 

«No, non ha risposto nemmeno a me.» disse Andrea, rispondendo alla persona che attendeva dall’altro capo del telefono.
«Ho provato a chiamarlo per avere notizie su Ben… Andrea, non ci sto capendo più niente! Come sta Katrin? Mi dispiace davvero tanto, credimi, scusa se…».
«Clara, tu non devi scusarti proprio per niente, tranquilla. Piuttosto, prova a non agitarti, va bene? Per il bambino. Stai tranquilla, appena sento Semir ti richiamo, va bene?».
«Grazie, grazie davvero.» rispose Clara, riattaccando.
Andrea chiuse il cellulare e rimase per qualche attimo immobile ad osservare la pioggia che insistente batteva contro le vetrate prima di riaprirlo e comporre il numero del marito.
Mirtillo, seduto in un angolo, con il capo chinato, stava a fissarla in silenzio.
 

 
«Sì, Semir!».
«Semir, finalmente, ero in pensiero! Dove sei?» domandò la voce preoccupata e distante di Andrea dall’altro capo del telefono.
«Scusa Andrea, hai ragione. Sono in autostrada, arrivo a casa, mi sono fermato perché pioveva veramente troppo, ma non è cambiato un gran che. Katrin?» domandò l’ispettore tentando di vedere la strada nonostante la pioggia intensa.
«Sono andati via adesso, è arrivato anche Paul, finalmente. Volevano stare un po’ da soli, così sono andati a casa.» la voce le si incrinò leggermente «Semir, ho bisogno di te.» aggiunse quindi tra le lacrime, in un sussurro.
Il poliziotto premette sull’acceleratore.
Andrea era rimasta da sola a gestire quella situazione, a cercare di consolare sua sorella, era naturale che prima o poi sarebbe crollata. E lui aveva pensato solo alle indagini, senza peraltro raggiungere alcun risultato.
«Sto arrivando… ti amo, Andrea.».
 


 
Corto, di passaggio e, soprattutto, in ritardo… ma vedrò di riscattarmi con i prossimi capitoli! Grazie a chi continua a seguirmi e a recensire, un bacio!
Sophie :D

 

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Capitolo 10
*** Rami secchi ***


 
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«Commissario! Commissario, devo parlarle, mi ricordo cosa è successo!» esclamò Ben senza lasciare a Bronte nemmeno il tempo di entrare nella stanza.
L’uomo alzò un sopracciglio, interdetto, prima di notare la siringa tra le mani dell’ispettore, che però non gli lasciò il tempo di formulare alcuna domanda a riguardo.
«Guardi, ho trovato questa siringa nella tasca del mio giubbotto, devono esserci le impronte di chi mi ha iniettato quella droga che mi hanno trovato nel sangue. Non aveva i guanti, me lo ricordo! E mi ricordo anche…».
«Piano, piano Jager, calma. Se parla così in fretta non capisco niente.» fece il commissario sedendosi al tavolino e raccogliendo la siringa dalle mani di Ben.
 

 
«Hanno le mie impronte.» mormorò il ragazzo con un tono di voce talmente basso che risultò praticamente inudibile.
«Come hai detto?» domandò infatti l’uomo seduto dietro alla sua solita scrivania.
«Hanno… hanno la siringa su cui ci sono le mie impronte e quelle di Lucas. Lui ieri sera l’ha lasciata cadere nella tasca del giubbotto dello sbirro ripromettendosi di riprenderla ma poi c’è stato quell’imprevisto, la polizia che pattugliava la zona, e abbiamo dovuto fare di fretta. Mi è tornato in mente adesso, temo non l’abbia più ripresa.» raccontò tutto d’un fiato il primo alzando leggermente la voce per sovrastare il rumore della pioggia.
Il capo rimase immobile per qualche attimo tentando di contenere la sua rabbia. Sapeva che comunque i poliziotti non sarebbero potuti arrivare a lui tanto facilmente.
«Dov’è?» tuonò «Voglio sapere all’istante dov’è quell’incosciente.».
«A casa sua penso, signore.».
«A casa sua? Probabilmente gli sbirri sanno chi è e lui sta a casa sua?» gridò l’uomo alzandosi violentemente dalla sedia. Strinse i pugni, maledicendosi. Quello che ai suoi occhi era un piano perfetto si stava lentamente sgretolando.
No, lui non l’avrebbe permesso. Era abituato a non perdere mai, e avrebbe continuato a vincere, anche questa volta.
Eppure qualcosa non gli quadrava. Un errore così stupido? Quel ragazzo gli era sembrato piuttosto sveglio. Un pensiero orribile gli passò per la mente.
Si sedette nuovamente e incrociò le braccia con un mezzo sorriso prima di aggiungere: «Bene, sai cosa devi fare di Lucas. Potrebbe esserci d’intralcio. Quanto a Jager, se non posso rovinargli la vita mandandolo a marcire in prigione, lo farò in un modo ancora più divertente. Chiama Goirer e fa venire qui la squadra, si entra in azione.».
«Signore» ebbe il coraggio di obiettare il giovane «Lucas è solo un ragazzo, è appena entrato, forse era agitato per la sua prima azione importante… voglio dire, magari bisognerebbe scusarlo…».
«I rami secchi sono d’intralcio, Marcus, mai sentito dire? Non permettono alla pianta di venire fuori in tutta la sua perfezione. Ecco, vedi, nel nostro caso anche i boccioli sono d’intralcio. Impediscono una visione chiara del piano.» lo interruppe il capo con voce gelida.
 

 
«Commissario, io ho ricevuto una telefonata verso l’una di notte, era un uomo che mi chiedeva di dirigermi il prima possibile in un locale di Kaeser Strasse senza dire niente a nessuno. Mi ha minacciato, ha detto che altrimenti sarebbe successo qualcosa a mia moglie…».
Bronte ascoltava attento, esaminando il suo interlocutore con la fronte corrucciata.
«Del locale ricordo solo voci e grida confuse, poi un uomo che mi ha iniettato qualcosa dicendo ad un altro che era con lui che questo piano “avrebbe di sicuro funzionato”. Poi ho perso i sensi e la mattina dopo mi sono svegliato su una panchina lungo il Reno… mi girava la testa, non stavo bene, ma non ricordavo! Sono andato al comando e ho cominciato il mio giro di routine con il mio collega, non potevo immaginare che…».
«Jager.» intervenne finalmente il commissario dopo una lunga pausa di silenzio «Si rende conto che il suo racconto è decisamente confuso ed impreciso, vero? Faremo analizzare questa siringa, che tra l’altro con capisco come sia potuta rimanere tutto il giorno nel suo giubbotto senza essere notata dai miei uomini, quindi le farò sapere.» si alzò dalla sedia rumorosamente «Tornerò tra poco Jager, non ne dubit…».
Non terminò la frase.
Un rumore sordo lo distrasse e l’uomo si voltò, senza credere ai propri occhi.
 

 
Semir girò le chiavi nella toppa e tirò un profondo sospiro di sollievo entrando in casa. Posò le chiavi sul mobile nell’ingresso e si sfilò la giacca completamente inzuppata, rivolgendo un mezzo sorriso alla moglie che gli stava andando incontro.
I due si abbracciarono per qualche lungo istante, poi andarono entrambi a sedersi sul divano.
Andrea aveva ancora gli occhi segnati dal pianto, restò immobile e zitta per qualche minuto tra le braccia del marito.
«Hai scoperto qualcosa?» domandò poi, quasi in un sussurro.
«No.» sospirò il poliziotto in risposta «Abbiamo solo trovato il cadavere dell’uomo che minacciava Jonas, nient’altro. Ben è all’LKA. E io da circa tre ore non sono più un poliziotto. Carino come quadretto, no?».
La donna sospirò a sua volta, prendendo la mano dell’ispettore «Sembra che sia crollato tutto in un istante. Fino a stamattina era tutto perfetto e adesso… adesso non quadra più niente. Mia sorella è distrutta, Ben è accusato di omicidio e le bambine non sanno niente. È tutto assurdo.».
«Capirò cosa è successo Andrea, te lo prometto.».
«Semir, non voglio che ti metta nei guai anche tu! Ricordi cosa hai passato tre anni fa per colpa di quella maledettissima operazione di polizia? Hai rischiato di morire sul serio, sei stato talmente male che io stessa ho pensato veramente che fosse la fine! E ora che lasci la polizia perché dopo ciò che è successo non sei più comunque quello di prima… Ora vuoi di nuovo rischiare la vita.» gridò quasi Andrea, mentre gli occhi di nuovo le si inumidivano.
«Ma non posso lasciare tutto andare così, come se il caso non mi riguardasse. Jonas è stato ucciso, il mio migliore amico è accusato di omicidio, come potrei lasciare tutto in mano a quel pallone gonfiato dell’LKA?» ribattè il poliziotto con altrettanto fervore.
La donna si strinse più tra le sue braccia «Le indagini sono in mano a Bronte?».
Semir annuì, mostrando alla moglie il biglietto da visita che il commissario gli aveva lasciato «Mi ha detto che potremmo “collaborare”, tenerci informati reciprocamente.».
Gli occhi di Andrea si illuminarono «Sì!».
«Ma Andrea, sai com’è Bronte, hai lavorato anche tu con lui, è un…».
«Si crede di essere chi sa chi, lo so, e spesso è davvero insopportabile, ma non è uno stupido. Semir, contattalo, ti prego. Almeno forse avrai meno probabilità di cacciarti nei guai! Ho un brutto presentimento, non puoi indagare da solo, non hai nemmeno più una pistola. Ascoltami, ti prego!».
L’ispettore si morse il labbro, esitando.
Voleva risolvere il caso, ad ogni costo. Ma forse Andrea aveva ragione.
La fissò qualche attimo negli occhi, prima di prendere il cellulare per comporre il numero.
Non fece in tempo, il dispositivo cominciò a squillare, mostrando sul display un numero mai visto prima.
«Sì, Semir!» rispose curioso.
«Gerkhan!» fece una voce ansimante e preoccupata dall’altro capo del telefono «Gerkhan… l’hanno preso… l’hanno preso!».
 


 
L’hanno preso! Chi hanno preso? Sono aperte previsioni...
Non vi sembra un po’ strano che un criminale, per quanto inesperto, si dimentichi una siringa con le proprie impronte addosso ad un poliziotto?
Grazie a miki, Iuccy, vale, Fred e maty che continuano a seguirmi e a commentare, un bacio.
Sophie :D
 

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Capitolo 11
*** Asfalto bagnato ***



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Semir premette ancora di più col piede sull’acceleratore.
Non gli importava niente di rischiare.
Non aveva paura della pioggia e dell’asfalto bagnato.
Non temeva la visuale limitata a causa del diluvio.
Proseguiva a tutto gas sull’autostrada mentre un sentimento di angoscia lo stringeva incredibilmente.
Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa, ma  non si sarebbe aspettato che Bronte lo chiamasse comunicandogli che degli uomini incappucciati avevano fatto irruzione nel commissariato e avevano prelevato Ben per  caricarlo su un furgone ed imboccare la A41 in direzione nord.
«Dove si trova ora?» domandò al capo dell’LKA che seguiva i movimenti del furgone dal commissariato, grazie a due suoi uomini che si erano immediatamente gettati all’inseguimento del veicolo e lo tenevano costantemente informato.
«Al chilometro sei.» il commissario si allentò il nodo della cravatta asciugandosi la fronte imperlata di sudore.
Molti dei suoi uomini ancora erano sconvolti da quanto appena accaduto, compreso lui stesso; all’interno del commissariato sembrava fosse appena passato un uragano: computer sul pavimento, vetri rotti e schegge ovunque, miste a qualche proiettile incastrato nelle pareti.
«Li vedo.» annunciò Semir con il cuore che gli batteva all’impazzata. Doveva fermarli.
Vide la macchina degli uomini di Bronte alla destra del furgoncino, mentre il suono di alcune sirene si avvicinava alle sue spalle: stavano arrivando rinforzi.
Forse avrebbe dovuto aspettare che se ne occupassero loro, ma se fosse successo qualcosa a Ben non se lo sarebbe mai perdonato. Affiancò il veicolo alla sinistra tentando di scrutare all’interno di esso nonostante la pioggia. Questo accelerò ancora, ma non abbastanza da seminare l’ispettore, che recuperò terreno in fretta. Quindi passò all’azione.
Superò il furgone, posizionandosi davanti ad esso, quindi rallentò progressivamente. Il veicolo tamponò la BMW, senza alcuna intenzione di fermarsi.
Semir provò a mantenere il controllo dell’auto spinta dall’altro mezzo, ma non vi riuscì per molto e fu costretto a tornare sulla sua corsia.
Quindi provò a stringere il furgone lateralmente mentre l’auto dell’LKA dal lato opposto faceva lo stesso.
Il furgoncino riuscì a liberarsi dalla stretta e a mandare fuori strada l’auto di destra.
Strinse poi quella di Semir contro il guard rail.
L’ispettore imprecò tentando di mantenere fermo il volante. Provò un immediato senso di sollievo quando il furgone allargò la stretta tornando sulla propria corsia. Ma non si accorse dell’autista che apriva il finestrino, facendone uscire la canna di una grossa arma.
Non si accorse nemmeno dello sparo.
Sentì solo che la macchina non rispondeva più ai comandi.
Vide tutto ribaltarsi in pochi attimi, mentre l’esterno rimaneva invisibile ai suoi occhi, coperto dalla pioggia.
Sentì un colpo, mentre l’airbag scattava prontamente.
Poi solo buio.
 

 
Kim Krüger posò il telefono con un sospiro, mentre tutti all’interno del commissariato si voltavano a guardarla.
Tutti inclusa Clara, che era appena entrata e si stava dirigendo proprio verso di lei: «Cosa succede commissario, novità?».
«Era Bronte.» fece la donna, ferma «Degli uomini armati hanno fatto irruzione al comando e hanno prelevato Jager. I suoi uomini li stanno seguendo, c’è anche Semir.».
 

 
«Signore, Lucas non si trova.» annunciò Marcus con il cuore in gola.
Odiava dare questo genere di notizie al suo capo e ultimamente stava capitando un po’ troppo spesso.
«Come sarebbe a dire “non si trova”?» fece l’uomo, scuro in volto.
«Non sappiamo dove sia finito, la casa è deserta, ma lo stiamo ancora cercando.» ribadì il ragazzo intimorito.
«Vedete di trovarlo. Ti ho già perdonato un errore Marcus, sai che non farò altrettanto con il secondo. Spero che almeno con Jager sia andato tutto a posto.
 
 

«Ispettore! Ispettore, si svegli, ispettore!».
Semir socchiuse gli occhi, confuso. Gli girava la testa. Cosa stava succedendo? Chi lo stava chiamando? Passò qualche secondo prima che riuscisse a mettere a fuoco il volto del commissario dell’LKA sotto alla pioggia.
«Gerkhan accidenti, si svegli!» lo chiamò ancora mentre la sua voce veniva sovrastata dal rumore incessante dell’acqua che proprio non voleva saperne di fermarsi.
Semir cominciò lentamente a realizzare. Si trovava per metà dentro ad una macchina, la sua macchina, e per metà disteso sull’asfalto bagnato.
«Chiamate un’ambulanza!» gridò Bronte tornando poi a fissare il poliziotto dell’autostradale.
«No…» riuscì a mormorare Semir riprendendo lentamente lucidità «No, non serve, sto bene.».
Con l’aiuto del commissario uscì totalmente dall’auto e si alzò in piedi, rimanendo immobile a contemplare la macchina ribaltata e quasi completamente distrutta. Si sentiva tutto rotto ed era, come tutti del resto, bagnato fradicio.
Il diluvio continuava ad imperversare su di loro, fermi in mezzo all’autostrada, mentre il cielo ormai era diventato buio.
Fu solo dopo un po’ che Semir riuscì a realizzare cosa fosse veramente successo e un lampo di terrore gli si accese negli occhi «Ben?» domandò al commissario, senza essere sicuro di voler ascoltare la risposta.
«L’hanno preso Gerkhan, i miei uomini hanno fermato quei criminali, è andato tutto bene. È in macchina, venga, andiamo anche noi, sicuro di non aver bisogno di un’ambulanza?».
Semir si toccò la tempia sanguinante ma annuì, seguendo Bronte verso la sua macchina.
Aveva le mani e il viso pieno di tagli provocati dal vetro del parabrezza andato in mille pezzi, gli usciva il sangue dal naso e gli girava la testa.
Ma Ben era vivo, erano riusciti a fermarlo, questa era la cosa più importante.
 


 
Bene, capitolo concluso in modo positivo, qualche buona notizia ci voleva: Ben è salvo (almeno per ora). Ma ancora abbiamo parecchie cose da capire, come per esempio chi sia questo Lucas…
Grazie a chi mi segue e a maty, Fred, miki, Iuccy e vale per le recensioni, grazie davvero!
Un bacio
Sophie :D

 

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Capitolo 12
*** Riunione e Ricerche ***


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Da quando Semir era salito in macchina nessuno aveva più fiatato.
Lui e Ben, seduti sui sedili posteriori, osservavano con finto interesse la strada fuori dai rispettivi finestrini; l’ispettore alla guida si occupava semplicemente di tenere in parabrezza il più sgombro possibile dall’acqua mentre Bronte sedeva immobile, lanciando di tanto in tanto un’occhiata all’orologio o allo specchietto retrovisore, da cui controllava la situazione dei colleghi dell’autostradale.
Si sentiva solo il rumore incessante della pioggia.
Ben aveva gli occhi lucidi. Aveva ringraziato Semir e i colleghi dell’LKA che l’avevano salvato ma continuava a sentirsi profondamente in colpa. Se poi ripensava a come tutto era cominciato, alla mattina stessa in autogrill, rabbrividiva e sperava fosse tutto solo un incubo. Era sollevato di non essere finito in mano a quei criminali ovviamente, ma adesso si sentiva ancora più confuso di prima: cosa volevano da lui? E soprattutto, chi erano?
Semir nel frattempo provava a domare quel senso di angoscia che ancora non si era liberato di lui. Prima c’erano state la paura, la rabbia, il dolore, ora rimaneva solo quella, l’angoscia. Il suo sesto senso gli diceva che qualcosa non andava, che Ben era in pericolo. Sentiva che gli stava sfuggendo qualcosa. Chiuse gli occhi sperando che la testa smettesse di girare e li riaprì solo sentendo la macchina su cui si trovavano fermarsi.

Scesero tutti e quattro dall’auto ed entrarono al commissariato dell’autostradale sempre mantenendo il silenzio. Avevano deciso di dirigersi lì, il comando dell’LKA nelle condizioni in cui era stato ridotto non era più sicuro.
Non ebbero nemmeno il tempo di varcare la soglia d’entrata che Clara corse incontro a Ben, stringendolo in un abbraccio interminabile.
«Ben, grazie, al cielo, stai bene!» esclamò con le lacrime agli occhi. Il marito le sorrise e di nuovo i due si abbracciarono, godendosi quel momento di serenità, l’unico della giornata e probabilmente anche dei giorni successivi.
Fu Bronte a riportare tutti alla realtà prendendo in mano la situazione con il suo solito tono da superiore: «Bene, ora che ci siamo salutati» esordì lanciando un’occhiata quasi di rimprovero a Ben e Clara «potremmo passare a definire il da farsi. Intanto suppongo che Jager e Gerkhan abbiano bisogno di vestiti asciutti. Detto ciò, mi sembra evidente che qualcuno ce l’abbia con Jager il che, chiariamoci, non lo scagiona assolutamente. Tuttavia ritengo che l’ispettore vada portato in un luogo sicuro.».
«Commissario» si introdusse la Kruger decisa «Io avrei in mente un luogo dove…».
«Ho già pensato io al luogo commissario, lo trasferiremo domattina. Preferisco però comunicarle il “dove” nel suo ufficio, per sicurezza nessuno qui deve esserne a conoscenza. A parte la signorina Offback, che per precauzione dovrebbe trasferirsi con il marito nel luogo stabilito.» la interruppe il capo dell’LKA.
Clara annuì, sollevata di poter rimanere con Ben, che già avrebbe accettato mal volentieri l’idea di vivere sotto protezione.
La Kruger annuì a sua volta, anche se infastidita dal tono dell’uomo.
«Allora venga nel mio ufficio.» gli fece strada seguita da Ben, Clara e Semir.
I cinque fecero per entrare ma Bronte fermò Semir prima che questo varcasse la soglia della stanza: «Gerkhan, mi dispiace ma lei deve rimanere fuori per ragioni di sicurezza.».
«Come scusi?» fece l’ispettore incredulo.
«Il luogo dove Jager sarà messo sotto protezione deve essere conosciuto dal minor numero di persone possibile e lei non rientra tra queste.» ribadì il commissario, assertivo.
«Ma, Ben è… io sono… sono il suo collega, non posso rimanerne all’oscuro!» si ribellò il poliziotto dell’autostradale senza credere alle parole di Bronte.
«Commissario, garantisco io per l’ispettore Gerkhan, può essere informato tranquillamente.» intervenne la Kruger nella speranza di convincere il collega, che però non ne volle sapere.
«Le ricordo, commissario Kruger, che il caso è di mia competenza. Quanto a lei Gerkhan, se non sbaglio è l’ex collega di Jager, non è più un poliziotto, giusto? Ora le sarei grato se mi facesse chiudere la porta. Sono le dieci di sera, vorrei poter cominciare la riunione.».
Bronte chiuse la porta a vetri, lasciando Semir immobile davanti ad essa, fuori dall’ufficio, senza parole.
 
Si diresse lentamente verso la scrivania di Susanne, che aveva appena assistito a tutta la scena.
«Ma chi si crede di essere quel pallone gonfiato?» domandò la ragazza tornando a guardare lo schermo del suo computer sempre acceso.
L’ispettore scosse il capo «È assurdo. Tutta questa storia è assurda.» mormorò sospirando.
«Semir» fece la segretaria preoccupata «sei pallidissimo, ti senti bene?».
Il poliziotto annuì nonostante la testa continuasse a girargli come una trottola «Sì sto bene, tranquilla, sono solo un po’ stanco.».
«Sicuro? Aspetta che tiro fuori i cerotti per quel taglio lì, ho anche il disinfettante.» continuò lei premurosa, alludendo alla piccola ferita sulla tempia di Semir.
«Grazie Susanne.».
 
«Andrea? Sì… no, sto bene. Sì, è tutto a posto, l’hanno fermato, sta bene anche lui. Appena riesco vengo Andrea, scusami, è che vorrei provare a capire qualcosa… sì, a tra poco, ciao.» Semir chiuse la comunicazione e si sedette alla scrivania del suo ufficio.
 Da lì poteva osservare la riuniuone che si stava tenendo ormai da quasi un’ora nell’altra stanza grazie ai vetri dell’ufficio.
Bronte camminava avanti e indietro gesticolando nervosamente mentre la Kruger lo ascoltava, di tanto in tanto alzando gli occhi al cielo. Ben e Clara invece sembravano come spaesati invece.
Dal canto suo, Semir provava a pensare chi potesse avercela a morte con il collega e perché avesse inscenato tutta la storia del bambino nell’autogrill.
«Susanne!» gridò alla segretaria dal suo ufficio «Mi faresti una lista delle persone arrestate da Ben attualmente in libertà?».
«Certo, comincio subito.» rispose la ragazza iniziando subito a lavorare.
Non c’erano indizi? Benissimo, allora sarebbe partito da zero.
 
Stava esaminando alcuni rapporti scritti da Ben recentemente quando sentì bussare alla porta del suo ufficio. Si voltò aspettandosi di vedere Bronte e la Kruger che annunciavano la fine della riunione oppure Susanne con i fogli in mano.
Gridò un “avanti” distratto e corrucciò la fronte vedendo entrare un ragazzo mai visto prima.
«Ispettore Gerkhan? Sono Michael, Michael Storm.».
 

 

Ebbene sì, non sono sparita!
Mi scuso per questo enorme ritardo ma adesso dovrei riuscire ad aggiornare più velocemente dal momento che ho terminato di scrivere la storia.
Grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi, un bacio!
Sophie :D

 

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Capitolo 13
*** Sotto copertura ***



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«Ispettore Gerkhan? Sono Michael, Michael Storm.».
Semir si alzò dalla sedia, confuso «Buonasera, in cosa posso aiutarla?».
«Degli uomini mi stanno cercando, vogliono uccidermi!» esclamò il nuovo arrivato. Sembrava piuttosto agitato.
«Si sieda.» gli disse l’ispettore facendolo accomodare mentre lui rimaneva in piedi a guardarlo, sperando che, chiunque fosse, questo ragazzo avesse a che fare con il caso di Ben.
«Lavoro per la polizia.» esordì lui.
Semir alzò un sopracciglio: quello che aveva davanti appariva più un ragazzino appena uscito dalle scuole superiori che un poliziotto.
«All’anticrimine di Dusseldorf, può controllare.» continuò scorgendo il lampo di sorpresa negli occhi del suo interlocutore «Nella sezione che si occupa principalmente di operazioni sotto copertura. Mi avevano affidato il caso di un traffico d’armi di cui ora non le sto nemmeno a raccontare la storia, dovevo infiltrarmi nella banda spacciandomi per autista. È proseguito tutto tranquillamente fino a che uno dei criminali non mi ha raccontato che lavorava anche per un altro uomo che attualmente aveva per le mani un affare molto importante. Mi ha detto di aver fatto il mio nome a quell’uomo che aveva bisogno di aiutanti perché gli ero sembrata una persona “seria”. Così ho accettato, temendo che altrimenti sarebbe saltata la copertura; ma non potevo sapere… non potevo sapere di cosa si trattasse! Non pensavo avessero in mente una cosa del genere! E soprattutto non avrei mai immaginato che in programma ci fosse anche l’omicidio di un bambino…» il giovane si interruppe, quasi avesse paura di proseguire.
Semir intanto cominciava a capire.
«Jonas?» domandò.
«Esatto, Jonas era il nome del piccolo.».
«Vada avanti.» lo esortò l’ispettore mentre sentiva che finalmente avrebbe potuto capire cosa stesse succedendo realmente.
 
 

«Non esiste nessun Lucas, capo.».
L’uomo alzò lo sguardo ad accogliere l’ennesima cattiva notizia della giornata. Diede un’occhiata veloce all’orologio, un antico pendolo decorato a mano, prima di fare cenno all’altro di proseguire.
22.07.
«È un poliziotto sotto copertura. Si chiama Michael Storm.».
L’uomo fissò il suo interlocutore negli occhi, scrutandolo con il suo sguardo gelido, poi annuì semplicemente.
Non c’era bisogno di parole, Marcus sapeva già esattamente cosa fare. Bisognava eliminare questo Storm prima che parlasse.
 
 

«Voleva incastrare un ispettore dell’autostradale, Ben Jager, lo voleva in prigione! Ma io ho lasciato cadere la siringa che abbiamo utilizzato per drogarlo nella tasca di questo poliziotto perché voi aveste le impronte di Maiser, uno della banda.» continuò Storm.
«Di cui oggi io ho trovato il cadavere.» concluse Semir «A quanto pare questa “banda” non ha scrupoli. Lei teme quindi che adesso abbiano scoperto la sua vera identità?».
«No ispettore, io ne sono certo! E mi creda, quelli sono ovunque, non so da che parte girarmi. Ho bisogno che mi mettiate sotto protezione! Sono venuto qui all’autostradale perché ho preferito raccontare direttamente a voi dato che questo Jager lavora qui.» spiegò ancora Michael alzandosi dalla sedia. Si torturava le dita delle mani, sembrava ogni momento che passava sempre più agitato.
«Ha fatto bene, la proteggeremo noi. Ancora una cosa però… sa perché? Perché quest’uomo voglia fare questo al mio collega? E soprattutto, sa quale sia il suo nome?».
«No, niente, il massimo che posso dirle è il nome di alcuni suoi uomini ma mi creda, da loro non caverà un ragno dal buco. E poi conosco la loro base ma sicuramente l’avranno già cambiata. Sono professionisti, ispettore… Ed io non ho mai visto in volto il loro capo, che però ha fama di essere un uomo terribile, senza cuore.».
Semir annuì, assorto. Adesso aveva se non altro la prova che Ben fosse stato incastrato.
«Ma quella roba che gli avete iniettato…».
«Era una droga molto potente, i cui effetti si scontano in modo violento alcune ore dopo la sua assunzione. Era tutto previsto, tutto calcolato. Sapevamo che voi a quell’ora vi sareste trovati in quell’area di servizio e la presa in ostaggio del bambino è stata tutta una messa in scena. Nessuno sapeva ancora della scomparsa del piccolo, l’abbiamo prelevato prima che entrasse a scuola. Una sola cosa non avevamo previsto: che il bambino fosse parente di un poliziotto. È lei vero? Mi dispiace, non ho potuto impedirlo.» si scusò Storm abbassando lo sguardo.
«Lei non ne poteva niente, non si deve scusare. Ora penserò a farla mettere sotto protezione, dovrà fornire però la sua testimonianza anche al commissario Br…» Semir venne interrotto dal rumore di una porta che si apriva: da dietro i vetri scorse Bronte, la Kruger, Ben e Clara che uscivano dall’ufficio del capo e si catapultò fuori dalla stanza, chiedendo al giovane Michael di attendere un momento.
«Capo! Capo, avete…?» fece rivolto alla Kruger.
«Gerkhan, ma lei non demorde mai?» lo salutò invece “cordialmente” il commissario dell’LKA andandogli incontro «Non ha ancora capito che questo caso non la riguarda?».
L’ispettore si trattenne dal mollargli un pugno sul naso solo per evitare di creare altri problemi.
«Non parlavo con lei Bronte. Comunque, se proprio vuole sapere, ho la prova che il mio collega è stato incastrato.».
Queste parole risuonarono nette nel silenzio che si era appena venuto a creare.
Gli occhi di Ben si illuminarono mentre Clara mostrò un sorriso meraviglioso. La Kruger guardò il collega attendendo ansiosa una spiegazione.
Semir sorrise a sua volta contemplando l’effetto che quelle parole avevano provocato.
«La prova di cui parlo in questo momento è seduta nel mio ufficio. Se volete seguirmi…».
 

 
«Adesso, ho detto. No, forse non sono stato chiaro, mi servono adesso, ora, in questo istante. Abbiamo due persone in grave pericolo, voglio che siano al sicuro entro… sì, lo so, avevo detto domani mattina ma la situazione è cambiata nel frattempo… sì, perfetto, muovetevi.» Bronte posò il telefono chiudendo la comunicazione e si allentò nervosamente il nodo della cravatta.
Aveva ascoltato il testimone e deciso di anticipare il trasferimento di Jager, di sua moglie e di questo Storm alla sera stessa, per precauzione.
Avrebbero agito nel modo più discreto possibile, non ci sarebbero stati problemi di alcun tipo.
 

 
«Capo, la prego, è assurdo!» gridò Semir fissando la Kruger negli occhi.
Da qualche minuto erano chiusi nell’ufficio di quest’ultima da soli, mentre gli altri si preparavano al trasferimento.
Il commissario sospirò: «Gerkhan, ma non capisce che riferendole il luogo metterei a rischio anche lei e la sua famiglia? È uscito dalla polizia per non mettersi nei guai, accidenti!».
«Capo, diciamoci la verità: lei non mi vuole mettere al corrente solo perché quel pallone gonfiato di Bronte non è d’accordo.».
«Lui non si fida, tema possa esserci una talpa persino nella polizia!» spiegò Kim senza sapere più come fare a distogliere il collega da quel pensiero. Quando si metteva in testa qualcosa era impossibile riuscire a fargli cambiare idea, questo ormai lei lo sapeva bene.
«Sì certo, e questa talpa magari sarei io. Ma capo, si rende conto di cosa mi sta dicendo?» controbattè ancora Semir.
«Gerkhan, è testardo come un mulo.».
«Già, lo so, me lo dicono tutti.».
 
 

Ben stava guardando il pavimento assorto nei suoi pensieri quando Clara gli si sedette accanto con un sorriso: «Ehi… non sei contento? Abbiamo la prova che sei stato incastrato!».
Il ragazzo annuì lentamente.
«Cosa succede Ben? Ti scoccia dover stare sotto protezione, è questo?».
«No no, ho solo un brutto presentimento… ma magari mi sbaglio.».
Il poliziotto tentò di sorridere a sua volta, posando un lieve bacio sulle labbra della moglie.
Ancora pochi minuti e sarebbero partiti.
Ancora pochi minuti e si sarebbero dovuti nascondere.
Di lì a poco avrebbero dovuto cominciare a non esistere.
 
 

«È troppo rischioso, ci sarà pieno di sbirri. Sì, lo so che siamo ben organizzati ma non voglio correre il rischio che accada come oggi pomeriggio. Capiremo dopo dove lo hanno nascosto… penso di sapere già a chi chiederlo cortesemente…».
L’uomo chiuse la comunicazione sedendo a braccia conserte alla scrivania.
Aveva ripreso il controllo della situazione.
Questa volta niente e nessuno l’avrebbe fermato: avrebbe avuto Jager ad ogni costo.



 
Capito chi era Lucas in realtà? Un collega!
Bene, Bronte sarà sempre insopportabile ma almeno sembrà aver afferrato la gravità della situazione. Chissà se andrà tutto liscio…
Grazie a voi lettori e in particolare a chi continua a recensire!
Un bacio
Sophie :D

 

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Capitolo 14
*** Buio ***



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Ben si svegliò di soprassalto, tutto sudato.
Si mise a sedere sul letto tentando di riprendere fiato mentre Clara, al suo fianco, accendeva la piccola lampada posta sul suo comodino.
«Cosa succede Ben? Ben?» domandò preoccupata, vedendo il marito ansimante e con lo sguardo terrorizzato.
«Semir…» mormorò lui cercando conforto negli occhi della moglie «Semir è in pericolo…».
«Semir? Era solo un incubo Ben, stai tranquillo. Semir non sa neanche dove siamo, non può essere in pericolo! Deve essere la prima notte che passiamo qui a fare questo effetto.» lo tranquillizzò Clara, sebbene non credesse nemmeno lei alle proprie parole. Ormai aveva imparato che il marito aveva una sensibilità particolare quando si trattava di situazioni di pericolo che riguardavano lei o il suo collega.
«Devo chiamarlo.» disse il poliziotto afferrando il cellulare dal proprio comodino e componendo il numero dell’amico.
«Ma Ben, non sono nemmeno le sei del mattino!» provò a dissuaderlo Clara, ma senza successo: l’ispettore aveva già fatto partire la telefonata.
 
 
Semir si girava e rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno. Osservava Andrea sdraiata accanto a lui, che finalmente era riuscita ad addormentarsi, e tendeva le orecchie, trattenendo il respiro ad ogni rumore. Si chiese se stesse diventando paranoico.
Quando sentì lo squillo acuto del suo cellulare per poco non gli venne un colpo. Chi poteva essere alle sei meno un quarto del mattino? Doveva essere successo qualcosa… forse Ben era in pericolo!
Afferrò il telefono e rispose, senza nemmeno preoccuparsi di accendere la luce, cosa che fece Andrea pochi secondi dopo.
«Semir, tutto bene?» domandò una voce agitata non appena aprì la comunicazione.
«Ben? Sì, ma tu stai bene? È tutto a posto?» domandò l’ispettore preoccupato, mentre la moglie ormai completamente sveglia lo osservava temendo il peggio.
«Sì tutto bene, scusami. Ho avuto un… un brutto presentimento… scusami, sto diventando paranoico a quanto pare. Clara mi aveva detto di non chiamare.» fece il ragazzo dall’altro capo del telefono.
«Tranquillo Ben, ero sveglio. Prova a stare tranquillo però va bene? Non dovrai stare sotto protezione per molto, scoprirò cosa è successo, promesso.».
«Non metterti nei guai Semir, ti prego.».
«Tranquillo. Notte socio.» fece Semir riattaccando, sollevato.
«È tutto a posto?» chiese Andrea, preoccupata.
«Sì, per fortuna.» rispose il marito posando il telefono e prendendo dei fogli dal comodino.
«Cosa fai?».
«Non riesco a dormire, penso che mi studierò un po’ la lista delle persone che potrebbero avercela con Ben che mi sono fatto stampare da Susanne. Devo capire chi è e cosa vuole da lui quest’uomo.» spiegò l’ispettore passandosi una mano sugli occhi. Quante notti era che non riusciva a prendere sonno? Da quando aveva deciso di dimettersi non aveva più chiuso occhio: non era per niente convinto di quella decisione che gli stava provocando un enorme numero di notti in bianco. Con tutto ciò che era successo nelle ultime trentasei ore poi, la situazione non avrebbe potuto far altro che peggiorare.
 
 
«Aspettate che esca di casa da solo, voglio che venga fatto tutto con la maggiore discrezione possibile.» sibilò la voce fredda dell’uomo nella cornetta del telefono.
«Ricevuto capo, stia tranquillo. Lo portiamo alla nuova base, giusto?».
«Certo. A Jager non rimane ancora molto tempo.» concluse l’uomo con un’orribile risata.
 
 
«Tutto a posto Jager?» domandò la Kruger entrando nella grande stanza in cui si trovavano Ben e Clara.
«Sì capo, anche se sono già stufo di stare rinchiuso.» sbuffò il giovane poliziotto andandole incontro.
La donna alzò gli occhi al cielo scuotendo il capo.
«Ci sono novità, capo?» chiese invece Clara speranzosa. Il commissario fece cenno di no dispiaciuta.
«Bronte sta lavorando ed io in questo momento non sono nelle condizioni di fare un gran che. Ma vedrete che si risolverà tutto più in fretta di quanto pensiate. Ovviamente Jager, lei non ha idea di chi possa odiarla a tal punto, vero?».
«No… io non ci capisco più niente.» rispose Ben con un sospiro.
 
 
Semir sbattè i fogli sul tavolo con rabbia. La lista dei criminali che Ben aveva arrestato era lì di fronte a lui ed il fatto che tra quelle decine e decine di nomi probabilmente ci fosse il criminale che stava cercando lo faceva infuriare ancora di più.
A separarlo da quel nome c’erano solo una ventina di centimetri in linea d’aria.
Il nome di quell’uomo era lì, tra quelle righe, immobile tra gli altri, impresso sulla carta con un semplice inchiostro nero.
Eppure lui non aveva idea di quale potesse essere.
Di fronte al tavolo Mirtillo stava sdraiato sul pavimento e lo osservava. Persino lui sembrava agitato, non riusciva a dormire e si alzava spesso per cambiare posizione.
«Forse è meglio se facciamo due passi, tu che dici?» gli chiese Semir, come se il cane potesse effettivamente rispondergli. Questo rizzò le orecchie, pronto a seguirlo ovunque.
Il poliziotto quindi si alzò, prese la giacca e uscì.
Andrea era dalla sorella e le bambine dalla nonna, per sicurezza. Non sapeva dove sarebbe andato, aveva semplicemente bisogno di un po’ d’aria.
Guardò l’orologio.
09.22.
Constatò che finalmente aveva cessato di piovere chiudendo la porta.
Non si accorse dei passi felpati che si facevano sempre più vicini dietro di lui mentre girava la chiave nella serratura, sentì solo un forte colpo alla testa preceduto da un abbaio da parte di Mirtillo, che forse cercava di avvisarlo di qualcosa.
 Poi il buio più totale.
 
 
«Capo? Capo, l’abbiamo preso, stiamo arrivando.».


 
 
E si riparte con l’azione…
Grazie a maty, redbullholic, Iuccy, miki e Fred per le recensioni, a presto!
Sophie :D

 

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Capitolo 15
*** Tortura ***



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Semir non aprì gli occhi appena riprese conoscenza.
Rimase invece immobile, cercando di capire cosa lo circondasse.
Non voleva aprire gli occhi, aveva paura di quello che avrebbe visto.
Sentì il dolore alla nuca causato dal colpo ricevuto poco prima e percepì un fastidioso odore di chiuso. Il caldo in quel luogo era insopportabile, doveva trovarsi in una stanza piccola, probabilmente senza finestre.
Le caviglie e i polsi gli bruciavano a causa delle corde ruvide che gli tagliavano la pelle attorno ad essi: le mani erano fissate in alto, forse ad una specie di trave, e i piedi larghi a quelle che potevano sembrare gambe di una sedia.
Il prigioniero era quindi costretto a stare in piedi, in quella posizione a dir poco insopportabile.
Aprì gli occhi, finalmente.
Le sue deduzioni erano esatte: la stanza in cui si trovava, dalle spesse pareti di pietra, era piccola e illuminata esclusivamente dalla luce di una candela mezza consumata. Dalla porta provenivano delle voci concitate.
Faceva caldo. Troppo caldo.
 

 
Kim Kruger parcheggiò l’auto sotto il commissariato e ne scese sbattendo la portiera.
Il caso a cui stavano lavorando la stava veramente stressando. Non aveva niente, assolutamente niente su cui lavorare e questo la innervosiva ancora di più.
Stava per entrare al comando quando udì un mugolio seguito da un timido abbaio alle sue spalle.
Si voltò bloccandosi di scatto e corrucciò la fronte nel trovarsi davanti un bel bovaro bernese che, seduto in mezzo alla strada, la fissava con la testa piegata su un lato.
«Mirtillo! Che ci fai qui? Gerkhan?» gli chiese riconoscendo il cane del poliziotto.
L’animale abbaiò due volte e si alzò dirigendosi verso l’uscita del parcheggio. Quindi si voltò di nuovo ad osservare la donna, aspettando che lo raggiungesse.
«Che succede? Vuoi che ti segua?» domandò ancora il commissario andando dietro a Mirtillo che, catturata ormai completamente l’attenzione della Kruger, riprese per la sua strada controllando di tanto in tanto che la donna lo stesse seguendo.
 
 

La porta sbattè con un rumore sordo.
Semir alzò il capo di scatto. Un uomo era appena entrato nella piccola stanza seguito a ruota da due ragazzi incredibilmente muscolosi.
L’ispettore temette che quei due potessero farlo a pezzi con il solo dito mignolo e cominciò a sudare freddo. Tuttavia, chi lo preoccupava di più era quell’uomo in giacca e cravatta che ora era a poco più di un metro di distanza da lui.
«Buongiorno Gerkhan.» esordì questo con voce incredibilmente calma.
Semir avrebbe voluto gridare, insultarlo… ma non parlò. Rimase immobile a guardarlo negli occhi, scrutando quei due pozzi grigi che somigliavano così tanto a due sottili lame mortali.
Sulla cinquantina, capelli appena ingrigiti, piglio sicuro. Tentò di fare mente locale ma niente: non aveva mai visto quell’uomo.
«Sono onorato di poterla finalmente incontrare, ispettore. A proposito, mi presento, non vorrei apparire scortese. Il mio nome è Thomas Sherder.» continuò.
A quelle parole Semir sentì una specie di stretta allo stomaco. Thomas Sherder, il ventunesimo della lista.
«Chissà, magari qualche volta Jager le avrà raccontato di un uomo a cui ha completamente rovinato l’esistenza. Bene, quell’uomo ero io, Gerkhan.» proseguì con un mezzo sorriso.
«Ora voglio semplicemente fargliela pagare per ciò che mi ha fatto. Chiedo troppo, forse? Ho provato con i modi “gentili” ma a quanto pare non sono bastati. Non mi basta più lasciarlo marcire in prigione a vita, adesso. Anche perché ho saputo che grazie a qualcuno di troppo chiacchierone la colpevolezza di Jager non è più provabile, o sbaglio?».
Il poliziotto non rispose.
«No, non sbaglio. Forza ispettore, mi dica dove lo hanno portato.».
I due ragazzoni alle spalle dell’uomo si avvicinarono sfregandosi le mani l’una contro l’altra con una specie di ghigno: il loro momento stava per arrivare.
E Semir sapeva benissimo cosa sarebbe successo di lì a pochi attimi.
Mostrò un sorriso amaro continuando a fissare quel criminale negli occhi «Non lo so.» esclamò «E anche se lo sapessi non lo direi certo a lei.».
Non terminò la frase che una ginocchiata gli arrivò dritta nello stomaco, mozzandogli il respiro.
Il poliziotto non emise nemmeno un lamento, non distolse lo sguardo dall’uomo che ora sorrideva soddisfatto. Si limito a riprendere fiato preparandosi ad incassare i colpi successivi.
«Ma guardi» fece Sherder sarcastico «Questi due miei amichetti sembrano non voler andare molto per il sottile. Ma che possiamo farci, in fondo sono abituati così. Sanno benissimo che il loro capo ottiene sempre ciò che vuole in qualche modo.».
«Lei è un lurido, por…» cominciò Semir prima di essere interrotto dall’uomo.
«Gerkhan, Gerkhan, si calmi, la prego. Siamo entrambi persone rispettabili, vediamo di dialogare civilmente.».
Semir strinse i pugni tentando di contenersi. Aveva davanti l’uomo che in quel momento odiava di più al mondo. Era il responsabile della situazione in cui si trovava Ben. Era il responsabile della morte di Jonas.
 

 
La Kruger corrucciò la fronte ritrovandosi a furia di seguire il cane davanti alla casa di Semir.
Raggiunse Mirtillo che si era fermato sul pianerottolo e notò subito che qualcosa non andava. L’abitazione sembrava deserta ma le chiavi di casa giacevano sul pavimento vicino alla porta. Una macchietta di sangue sorgeva a pochi centimetri da esse.
“Santo Cielo…” pensò afferrando il cellulare per comporre il numero della scientifica.
Mentre aspettava che qualcuno rispondesse dall’altra parte, sentì una macchina parcheggiare lì davanti e alzò lo sguardo: era la macchina di Andrea.
 

 
«Ho detto che non lo so.» disse per l’ennesima volta Semir sentendo il gusto metallico del sangue sulle sue labbra «Non so dove si trovi Ben, non sono più un poliziotto da ieri, mi sono dimesso.».
Un calcio nello stomaco. Un altro.
«Non ha ancora capito che con me non si scherza Gerkhan? Questo non è un gioco, non per me almeno. Voglio il nome di quell’uomo.».
«Non… non lo so.» mormorò ancora il poliziotto sforzandosi di rimanere lucido. Il dolore al torace era insopportabile, doveva avere qualcosa di rotto. Se non fosse stato per le corde che lo tenevano sollevato si sarebbe sicuramente accasciato a terra, senza essere in grado di reggersi in piedi.
Quanto tempo era che lo stavano picchiando? Un’ora? Due? E nonostante ciò non aveva intenzione di mollare. Non si sarebbe dato per vinto davanti a quel criminale.
 

 
«Cosa è successo?» chiese Andrea avvicinandosi, nel vedere la Kruger sul pianerottolo di casa sua.
Non ebbe bisogno di una risposta. Le chiavi sul pavimento, le orecchie abbassate di Mirtillo e l’espressione preoccupata del commissario raccontavano già fin troppe cose.
 
 

Ben continuò a camminare avanti e indietro misurando la stanza in tutta la sua larghezza mentre Clara lo guardava seduta su una sedia.
«Ben, cerca di stare tranquillo, va tutto bene!».
Il ragazzo scosse il capo «No, non va tutto bene Clara. Semir è in pericolo, io lo sento… Chiamo la Kruger.».
La donna annuì con un sospiro: temeva tremendamente che il marito avesse ragione.
 
 

Un altro calcio dritto nello stomaco.
«Io penso di non essere stato abbastanza chiaro… voglio sapere dove si trova Jager. E lo voglio sapere subito.».
L’ispettore accovacciato a terra sollevò la mano destra a toccarsi il labbro spaccato sanguinante prima di rispondere, con un filo di voce: «Gli sta… gli sta già rovinando la vita. Cosa… cos’altro vuole da lui?».
L’altro sorrise e fece cenno al ragazzone che aveva tagliato le corde lasciando cadere  il prigioniero sul pavimento di continuare.
Questo gli assestò altri due calci e si fermò per fargli riprendere fiato.
«Sa cosa succede quando si ha un obiettivo ben preciso da raggiungere, Gerkhan? Succede che spesso questo obiettivo, una volta raggiunto, non basta più. Non mi basta rovinargli la vita. Voglio qualcosa di più grande per lui.» riprese Sherder con voce calma «Voglio vederlo qui, ai miei piedi. Voglio vederlo supplicarmi, pregarmi. Lo voglio totalmente sotto il mio comando. Voglio vederlo soffrire… e solo dopo tutto ciò, voglio vederlo morire.».
Un pugno. Un altro. Un terzo calcio.
Semir cominciò ad avere la vista annebbiata. Avrebbe voluto pregare quel criminale di smetterla, ma sapeva che non sarebbe servito. Sapeva che avrebbe continuato a torturarlo fino ad estorcergli in un modo o nell’altro il nome del luogo dove si trovava Ben Jager. Nome che tra l’altro lui ignorava sul serio.
Ma non poteva cedere… non ancora.
«Le do ancora un po’ di tempo per pensarci, quindi stia certo che non mi farò degli scrupoli a farla fuori. Se non parla lei non mi serve a niente, vedrò di farmi aiutare da qualcun altro.» concluse l’uomo avviandosi verso l’uscita della stanza.
I due ragazzoni lo seguirono dopo aver rifilato qualche altro colpo al prigioniero che, esausto, sentì che i sensi lentamente lo stavano abbandonando.
 

 
Ehm… okay… non odiatemi, una torturina qui ci stava! Siamo finalmente giunti al prologo presentato all'inizio.
Un bacio a chi continua a seguirmi, a presto!
Sophie :D

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Capitolo 16
*** Bugie ***


Andrea sembrava come in trance.
Era rimasta immobile, lo sguardo fisso su quel mazzo di chiavi abbandonato a terra, ed era impallidita all’improvviso.
La Kruger osservò per qualche attimo la donna che aveva accanto e poi il cane che, con le orecchie basse, la fissava implorante. Quindi si decise finalmente a parlare: «Andrea, la scientifica sta arrivando.» furono le uniche parole che riuscì a pronunciare prima che lo squillo del suo cellulare la interrompesse.
«Kruger.» rispose, ferma come sempre.
«Capo, sono Ben. Tutto bene? Ci sono novità?» fece una voce agitata dall’altra parte del telefono.
Il commissario sospirò. Era incredibile quanto Jager e Gerkhan fossero uniti: quando uno era in pericolo l’altro lo sentiva, sempre.
«Jager, sì, va tutto bene.» mentì «Tra poco tornerò lì, ora devo sbrigare alcune cose al comando, a dopo.». E riattaccò.
Andrea la guardò fissa negli occhi: «Perché non gli ha detto la verità?» mormorò. Ma non lasciò al commissario il tempo di rispondere alla domanda che ne aggiunse subito delle altre, alzando sempre più il tono di voce.
«Perché non gli ha detto che Semir è stato rapito da quei criminali? Che non sappiamo dove si trova e nemmeno se è vivo? Che potrebbe essere ferito o magari, peggio, che potrebbero averlo ucciso?» arrivò a gridare scoppiando poi in lacrime e rifugiandosi tra le braccia della Kruger che, impotente, si limitò a tentare di consolarla attendendo l’arrivo della scientifica.
 


«Allora?» domandò Clara vedendo il marito posare il cellulare perplesso.
Ben scosse il capo «Dice che va tutto bene e che ha da lavorare ma io non ci credo. E poi Semir non risponde, perché mai non dovrebbe rispondere? È successo qualcosa, lo so.».
«Magari è impegnato… Comunque la Kruger arriverà e a voce non potrà mentirti.» affermò la moglie, fiduciosa.
 


«Allora ispettore, le si sono chiarite un po’ le idee oppure no?» esordì Sherder rientrando nella stanza seguito dai suoi soliti due “amici”.
Semir, che da poco aveva ripreso conoscenza, lo fissò con uno sguardo carico d’odio.
«No? Be’, peccato…» proseguì l’uomo girando intorno al poliziotto, ora inginocchiato per terra con le mani legate dietro alla schiena.
Il colpo che ne seguì fu rapido ed improvviso, il prigioniero non ne notò nemmeno l’arrivo.
«Sa Gerkhan,» continuò il criminale con quel tono pacato che tanto faceva innervosire l’ispettore «Ho saputo che lei ha una bella famiglia…».
Semir alzò il capo di scatto, temendo il peggio.
«… Una bella moglie, due graziose bambine… sarebbe un peccato se a qualcuno di loro accadesse qualcosa di spiacevole, non trova?» concluse, fermandosi di fronte al poliziotto e guardandolo negli occhi.
«Provi anche solo a toccarle e io giuro che…».
«Basta un attimo, Gerkhan. Basta che lei ora mi riferisca il nome di quel luogo e le do la mia parola che alla sua famiglia non accadrà niente. Altrimenti» estrasse dalla tasca del giubbotto il cellulare «basta un tasto perché uno dei miei uomini intervenga e prenda una delle piccole.» affermò Sherder con una risata insopportabile.
Semir non parlò.
«Come vuole.» fece il criminale componendo il numero del suo uomo. Schiacciò il verde e attese che qualcuno dall’altra parte gli rispondesse. Quando questo qualcuno gli disse che lo stava ascoltando, lui gli riferì di avere un lavoro importante per lui.
Fu allora che Semir lo bloccò, gridando con quanto fiato gli rimaneva in gola, prima che Sherder rivelasse il nome della bambina da rapire al suo uomo.
«No aspetti, glielo dico. Le dico il nome del luogo!».
«Vedo che cominciamo a ragionare.» mormorò l’uomo chiudendo la comunicazione senza curarsi di chi, dall’altra parte, lo stava ascoltando.
Semir fissò il criminale negli occhi.
Avrebbe bluffato. Doveva farlo.
 


La Kruger entrò nella casa con passo deciso, nonostante fosse molto agitata.
Il sole, dopo il temporale del giorno precedente, splendeva alto nel cielo, in contrasto con l’atmosfera sempre più buia che si stava venendo a creare.
Passò i controlli delle numerose guardie che controllavano il poliziotto e raggiunse finalmente la stanza in cui si trovavano Ben e Clara.
«Buongiorno.» esordì entrando.
«Buongiorno capo, novità?» la incalzò subito il ragazzo, senza nemmeno darle il tempo di togliersi la giacca.
Il commissario scosse la testa, sicura.
Ben e Clara si scambiarono uno sguardo di intesa: quella risposta non convinceva nessuno dei due.
«Capo» cominciò Clara con fare sospettoso «lei sa che…».
Fu interrotta dallo squillo acuto del telefono della Kruger, che con un sospiro tirò fuori dalla tasca l’apparecchio e guardò il numero apparso sul display: «È Bronte, esco un attimo.» fece uscendo nuovamente dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Rispose solo una volta arrivata in corridoio, per evitare che i colleghi la ascoltassero. Non immaginava che Ben e Clara avrebbero seguito ugualmente tutta la comunicazione ad orecchie tese da dietro la porta della camera.
«Buongiorno. Sì… cosa? Davvero? Quindi abbiamo un testimone? Ma è fantastico! Ha visto un uomo di bassa statura e… sì, sì, perfetto. Allora vengo al comando, ha imboccato la Grendur Strasse ha detto? Va bene, penso che non sarà difficile a questo punto capire dove tengono Gerkhan… sì, perfetto, ci vediamo in commissariato.».
 


«Pheiph Strasse.».
Sherder alzò un sopracciglio, sorpreso.
«Si trova in Pheiph Strasse, alla fine della via, c’è una casa abbandonata, Ben è lì.» ripetè Semir cercando di apparire il più convincente possibile.
Il criminale sorrise, soddisfatto: «Bene Gerkhan, davvero molto bravo… Manderò i miei uomini a controllare. Sappia che se si sta inventando tutto sul momento, non mi farò problemi a farle vedere l’Inferno con i suoi stessi occhi.» affermò dirigendosi verso l’uscita della stanza.
Si fermò rivolto ai due ragazzoni che gli stavano alle spalle, prima di uscire: «Potete divertirvi un po’.» fece con aria compiaciuta «Ma non finitelo… se il luogo è sbagliato mi serve ancora vivo. Buon lavoro.».
Uscì, e i due ragazzi fissarono Semir negli occhi per qualche istante, prima di entrare in azione.
 


La Kruger chiuse la telefonata dirigendosi verso l’uscita, senza preoccuparsi di tornare nella camera dove si trovavano Ben e Clara per salutarli. Li avrebbe avvisati per telefono, non aveva un minuto da perdere.
Sperava che Bronte si muovesse ad organizzare le forze speciali per raggiungere il luogo e fare irruzione nell’edificio dove poteva trovarsi Gerkhan. In fondo nella via che il commissario dell’LKA le aveva comunicato, l’edificio adatto poteva essere uno solo: si trattava di un ex museo di storia naturale in periferia che aveva chiuso per mancanza di fondi qualche anno prima. Nei sotterranei c’erano delle stanze molto simili ad antiche caverne per come erano state appositamente costruite, che erano adibite infatti all’esposizione di utensili primitivi. L’ispettore magari si trovava in una di quelle stanze… non aveva tempo da perdere.
Salì in macchina, mise il piede sull’acceleratore e partì a tutto gas verso il commissariato.
 

Ben si allontanò dalla porta e guardò la moglie, tra il terrorizzato ed il furioso: «Lo sapevo. Lo sapevo, lo hanno rapito! Penseranno che sappia dove mi trovo, accidenti!».
Clara si portò una mano alla fronte preoccupata: «E ora?» domandò mentre troppi pensieri le si affollavano disordinati nella mente.
«Bronte ci metterà una vita ad organizzare la squadra speciale per intervenire. Conoscendolo studierà prima la mappa dell’edificio metro per metro… E poi io non mi fido di quell’uomo, potrebbe far andare tutto all’aria!» esclamò l’ispettore girando per la stanza agitato.
«C’è la Kruger con lui.» provò a tranquillizzarlo Clara, inutilmente.
«Ma il caso non è di sua competenza, è già tanto se lei e l’LKA stanno collaborando… Vado io.».
 


Mi scuso per l’enorme ritardo, vedrò di pubblicare più velocemente! Piccolo capitoletto di passaggio, il prossimo sarà più movimentato.
Grazie a maty, red e miki che continuano sempre a seguirmi, grazie davvero!
Un bacio
Sophie :D

PS: mi scuso per la grafica diversa dal solito, stasera l'editor non ne vuole sapere di rispondere ai comandi!

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Capitolo 17
*** Fuga ***


Ben chiuse piano la porta, in modo che le guardie che sostavano appena dietro l’angolo del corridoio non lo sentissero. Quindi si avviò cauto verso la stanza da bagno e vi si chiuse a chiave, sempre facendo il minimo rumore.
Si guardò intorno e aprì la finestra della piccola stanzetta, che dava subito sulla strada: da lì, in piedi sopra il bidè, analizzò la situazione. Due guardie sostavano davanti alla porta d’ingresso, che però da lì non si vedeva bene, un’altra guardia era proprio sul marciapiede sotto di lui.
Sospirò pensando al da farsi. Clara lo aveva pregato di non andare, di lasciar fare a Bronte, ma Ben non si fidava di quell’uomo, era più forte di lui! Così aveva insistito ancora ed ancora, ed ora si ritrovava a cercare un metodo per fuggire alla stretta sorveglianza che lo accompagnava ormai da due giorni, ventiquattro ore su ventiquattro. Doveva raggiungere Semir e portarlo in salvo, in qualche modo. Era sicuro che altrimenti gli uomini dell’LKA sarebbero arrivati troppo tardi.
Fissò ancora per qualche attimo la strada dalla posizione in cui era, quindi si decise ad agire.
Con una spinta si ritrovò sul davanzale e, pochi secondi dopo, con un salto piombò sul marciapiede. Non lasciò alla guardia nemmeno il tempo di voltarsi, la immobilizzò da dietro tappandogli la bocca, gli prese la pistola e le chiavi della macchina dalla tasca: «Questi li prendo io.» mormorò.
«Scusa.» aggiunse poi colpendo l’uomo sulla nuca con il calcio della pistola in modo che perdesse conoscenza per il tempo necessario alla sua fuga.
Aprì quindi il portellone dell’auto parcheggiata lì davanti e partì.
Era stato fin troppo facile.
Alcuni poliziotti di guardia si accorsero della macchina che si allontanava e del loro collega steso a terra ma ormai era troppo tardi: Ben era lontano.
Troppo lontano: non udì le grida delle guardie che gli intimavano di fermarsi, né uno degli uomini che gridava all’altro che la macchina rubata da Jager aveva un guasto al motore.
Accelerò semplicemente, seminando in poco tempo gli uomini che avevano tentato di seguirlo.



«Dunque, l’edificio si trova qui.» esclamò Bronte indicando con una penna un punto preciso sulla mappa che occupava l’intera scrivania «I miei uomini potrebbero fare irruzione da dietro. Il problema è che non sappiamo quanti siano lì dentro.».
«Commissario,» intervenne la Kruger, stizzita «Io penso che dovremmo velocizzare l’operazione, è passata quasi mezz’ora e ancora non abbiamo risolto niente. Gerkhan potrebbe essere ucciso da un momento all’altro.».
«Non mi distragga, sto provando a ragionare.» fu la semplice, rabbiosa risposta del capo dell’LKA che, senza degnare la donna di uno sguardo, tornò ai propri pensieri.



Ben parcheggiò la macchina accostata al marciapiede, a pochi metri dall’edificio, assicurandosi di non essere visto da nessuno.
Scese lasciando le chiavi inserite e si avvicinò cauto all’entrata dell’antico museo. Un uomo vestito di nero e armato di mitraglietta stava appena dietro l’angolo, ma fortunatamente non si accorse del poliziotto che, la pistola rubata puntata davanti a lui, lo aggirò abilmente.
Appena dopo la soglia stavano altri due uomini, stessi abiti e stesse armi. Ben sopraggiunse alle loro spalle e li colpì uno dietro l’altro, senza lasciare a nessuno dei due il tempo di capire cosa stesse accadendo.
Quindi entrò nel lungo corridoio che poi si diramava nelle tante stanze. Una piccola discesa conduceva invece ad una camera chiusa con una porta di metallo.
Ben la adocchiò subito ma dovette nascondersi in fretta non appena da questa uscirono due ragazzoni grandi e grossi, ridendo tra loro.
Lì doveva trovarsi Semir.
Rimase immobile dietro alla colonna che lo stava nascondendo ancora qualche minuto, giusto il tempo che i due si allontanassero, quindi uscì allo scoperto.
Strano, si sarebbe aspettato una sorveglianza più serrata. Ma d’altra parte come poteva immaginare che la maggior parte dei criminali si trovasse in quel momento dall’altra parte della città grazie ad un’ informazione falsa di Semir?
Girò lentamente la maniglia di quella piccola porta e, attento, entrò.
Subito lo investì un pesante odore di chiuso. La stanza era completamente buia, non aveva finestre. Una sedia giaceva rovesciata in un angolo, insieme ad alcune corde.
Poi, nel mezzo del pavimento, distesa, la sagoma di un uomo. La sagoma di Semir.



«Ha mentito, quel bastardo!» sibilò Sherder al telefono, furioso come non mai «Ha mentito, qui non c’è traccia di Jager!».
«Vuole che facciamo qualcosa capo?» domandò dall’altra parte uno dei ragazzi.
«Voi non fate proprio niente, niente! Aspettate che arrivi io e quel poliziotto si pentirà di essere nato!» concluse gridando il criminale, chiudendo la comunicazione e ordinando all’autista di partire a tutto gas.
«Alla base, muoviti.».



«Semir! Semir, Santo Cielo, svegliati, Semir!».
Ben scuoteva il corpo immobile del collega, terrorizzato.
Si calmò leggermente solo quando vide che finalmente l’amico stava aprendo gli occhi, seppur con fatica.
«Ben…» mormorò l’ispettore con un filo di voce.
Gli occhi del ragazzo, nel frattempo abituatisi al buio della sala, scorsero il viso sanguinante del prigioniero, che quasi non riusciva a respirare.
«Che… che diavolo… che diavolo ci fai qui, Ben? Ti uccideranno, vattene!» sussurrò ancora Semir, tanto piano che l’amico a mala pena udì le sue parole.
«Semir, ascoltami, dobbiamo scappare, hai capito? Devi alzarti, ce la fai?».
L’ispettore scosse il capo. Aveva male ovunque, in quel momento si sentiva un ammasso di ossa rotte raggruppate insieme per una strana coincidenza.
«Dai, devi alzarti, dobbiamo muoverci.» lo intimò Ben provando a tenerlo mentre con fatica Semir provava a mettersi in piedi.
Il dolore al torace non gli permetteva nemmeno di stare dritto, doveva avere delle costole rotte.  E il naso non voleva saperne di smettere di sanguinare.
«Su, appoggiati a me, così.» fece Ben reggendo l’amico e avviandosi lentamente verso la porta.
Ci misero tanto.
Ad entrambi sembrò un viaggio interminabile ma finalmente dopo alcuni minuti i due furono fuori dalla stanza e poi fuori dall’edificio. Si stavano avviando verso la macchina quando sentirono le grida e gli spari degli uomini armati dietro di loro, che tentavano di fermarli. Riuscirono a salire in macchina prima che quei criminali li raggiungessero e Ben partì con una sgommata.
Una decina di uomini, dietro di loro, si indaffarava a salire sulle numerose auto per iniziare l’inseguimento del prigioniero e del suo salvatore.



Andrea fissava la mappa su cui stavano lavorando Bronte e la Kruger, spaesata. Aveva ottenuto dal commissario il permesso di seguirla al comando ma adesso si sentiva totalmente inutile.
Avrebbe dovuto insistere perché Semir non lavorasse a questo caso, per quanto fosse coinvolto. Avrebbe dovuto, ma non lo aveva fatto e adesso ne stava pagando le conseguenze.
Poteva solo sperare che sarebbe andato tutto bene.
Si sedette con un lieve sospiro su una sedia e aspettò.
 


Entrambi gli ispettori rimasero in silenzio per almeno una decina di minuti.
Ben era concentrato nel tentare di seminare gli inseguitori, mentre Semir lottava ogni istante per rimanere lucido: gli girava la testa, respirava a fatica, aveva fitte terribili all’altezza delle costole. Non era nemmeno riuscito a ringraziare l’amico per esserlo venuto a prendere.
«Ben, ma dico, cosa ti è saltato in testa?»  irruppe ad un tratto, in quello che risultò poco più di un sussurro.
Il ragazzo staccò un attimo gli occhi dalla strada per guardare il collega seduto accanto, quindi tornò a pensare alla guida: «Cosa mi è saltato in testa?».
«Sei venuto qui quando… quando sai benissimo che quelli vogliono te…» Semir si interruppe con una smorfia di dolore «Ti vogliono morto, Ben, ma che diamine gli hai fatto? Sherder…».
«Sherder? Dietro tutto questo c’è Thomas Sherder?» domandò Ben incredulo.
L’ex prigioniero annuì, aspettando che l’amico gli desse delle spiegazioni.
«Quello è un pazzo. Quando lavoravo alla criminale aveva tentato addirittura di far saltare in aria il comando, figurati! C’era stato tutto un’ affare di droga, di traffici vari. Lui aveva la moglie gravemente malata, che poi è morta durante la sua prigionia. Pensa, diceva che sarebbe sopravvissuta se noi non l’avessimo arrestato, se non fosse rimasta sola… ma non è vero, non ha alcun senso, la donna aveva un tumore in fase terminale, le avevano dato al massimo due mesi di vita!» Ben controllò le macchine che lo seguivano dallo specchietto retrovisore e con sollievo notò che non ne era rimasta nemmeno una: a quanto pare li avevano seminati.
Aprì la bocca per dare la buona notizia al collega seduto accanto ma non fece in tempo a parlare che un rumore sordo proveniente da sotto di loro li allarmò. La macchina cominciò piano a rallentare e poi a fermarsi, mentre una leggera nuvola di fumo fuoriusciva dal cofano dell’auto.
«Che succede?» mormorò Semir corrucciando la fronte.
«Accidenti!» fece Ben spaventato «Accidenti!» ripetè, scendendo dall’auto per controllare il cofano.
Guardò dietro di loro verso la fine della via. Le macchine dei criminali che li seguivano non si vedevano ancora all’orizzonte ma se ne cominciava a sentire il rumore dei motori: li stavano di nuovo raggiungendo.
Si guardò intorno e l’unica cosa che vide in quell’area deserta fu un cartello davanti a sé che indicava che la via era senza sbocco.
Sulla sinistra vide invece che la via correva parallela al bosco… la loro unica via di fuga.
«Semir… Semir, dobbiamo andare nel bosco e scappare, la macchina è morta. Non abbiamo nemmeno un cellulare, dobbiamo muoverci o ci prenderanno.».
Semir scosse il capo: «Ben, vai tu, non… non ce la faccio a correre, ci prenderebbero.».
«Senza di te non vado da nessuna parte, lo sai benissimo. Dai, ti aiuto io, andiamo.».




Grazie a maty, red, Iuccy e miki per le recensioni! Ci avviamo pian piano verso la fine della storia, spero di non deludervi…
Un bacio
Sophie :D

PS: di nuovo problemi con l'editor, scusate -.-

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Capitolo 18
*** Sparo ***




Dieci minuti.

Erano dieci minuti, ormai, che correvano imperterriti inoltrandosi sempre più verso l’interno del bosco, tra i cespugli e le radici sporgenti degli alberi che ostacolavano la strada.

Semir si era fermato più volte durante quei dieci minuti ma era sempre ripartito: alle loro spalle i due ispettori sentivano sempre più vicini i latrati dei cani e le grida degli uomini di Sherder che li seguivano.
Ad un tratto Ben si voltò indietro, e quando non vide l’amico gli venne un colpo.
Lanciò un’occhiata tra gli alberi alle sue spalle mentre il cuore cominciava a battergli sempre più forte, quando finalmente lo trovò: era accasciato a terra, la schiena appoggiata ad un grosso tronco, il dolore dipinto sul volto.
Gli andò vicino controllando che i criminali non avessero guadagnato nel frattempo troppo terreno.
«Semir, che succede?» domandò preoccupato.
«Non ce la faccio, Ben. Davvero, non ce la faccio più. Vai tu, dammi retta, scappa.» fece il poliziotto, ansimante.
«Ma sì che ce la fai, dai, andiamo!» esclamò Ben porgendo la mano all’amico per aiutarlo ad alzarsi, ma questi rifiutò.
«No Ben, davvero, basta. Non so se hai idea di quante botte mi abbiano dato in quella stanza, non ce la faccio.».
«Non possiamo rimanere qui, se ci trovano siamo morti!» ripetè il più giovane, agitato.
«Infatti non rimaniamo qui, rimango io qui. Ben vai, infondo è te che vuole morto, io posso ancora essergli utile.».
«Semir, non ti lascio qui da solo in mano a quei criminali!».
Semir sospirò, pregando fra sé che Ben provasse a ragionare razionalmente:
«Facciamo così: hai presente la vecchia capanna a due chilometri da qui? Quella parallela all’A46? Tu corri ad avvisare la Kruger e fai arrivare lì la squadra speciale, io provo a prendere tempo con loro e dico a Sherder che tu ti trovi lì, nella capanna. Se quando arriviamo la squadra speciale è già lì, il gioco è fatto.».
«Ma chi ti dice che Sherder vorrà darti un’altra possibilità?» obiettò ancora Ben.
«Proviamo, andrà tutto bene, non mi faccio ammazzare da quel bastardo.» affermò sicuro il collega.
Il ragazzo scosse il capo: «Semir, ascoltami, non ti abbandono nelle loro mani, non lo farei mai! Soprattutto nelle condizioni in cui sei.».
«Ben sto bene!» mentì Semir «Ma ti prego, fai come ti dico… vai.».
Ben guardò nella direzione da cui erano venuti.
I latrati dei cani erano ormai vicini, molto vicini.
Doveva scegliere, in fretta.



«Che significa Jager è scappato?» sbraitò la Kruger nel telefono con quanto fiato aveva in gola.
«Mi dispiace, non abbiamo potuto fermarlo, ha rubato la pistola ad un collega…» si giustificò una delle guardie in tono sommesso.
«Mi sta dicendo che ve lo siete lasciati fuggire da sotto il naso? Ma possibile che non siate in grado nemmeno di fare un turno di sorveglianza come si deve? Sappiate che se succede qualcosa a Jager la responsabilità sarà solo vostra, intesi? Vostra!» concluse la donna chiudendo la comunicazione e gettando con rabbia il cellulare sulla scrivania.
 


Semir, rimasto solo, provò a riprendere fiato appoggiato a quel tronco.
Chiuse gli occhi e non pensò a niente, nemmeno a ciò che di lì a poco avrebbe dovuto dire agli uomini di Sherder. Avrebbe improvvisato, di nuovo.
Era riuscito a far andare via Ben dopo aver insistito ed insistito, adesso doveva solo sperare che l’amico avvisasse in tempo la Kruger e la squadra.
Sentì i passi veloci degli uomini che si avvicinavano.
Fece un profondo respiro ed aprì gli occhi, pronto ad affrontarli.



Clara si accarezzò il ventre, seduta ai piedi del proprio letto.
Era preoccupatissima, per Ben, per Semir, per tutto. In quei momenti davvero si sentiva terrorizzata. Pensava al bambino ch sarebbe nato ed un pensiero orribile le attraversò la mente: il pensiero di lei a crescerlo da sola, senza l’aiuto di Ben, morto in qualche operazione di polizia…
Odiava quel pensiero e spesso odiava anche se stessa per questo: come poteva immaginare una cosa del genere?
La ragazza sospirò.
Sarebbe andato tutto bene. Doveva andare tutto bene…



Uno degli uomini più fidati di Sherder ora era lì, di fronte a lui, a puntargli una pistola contro.
Semir si sentì veramente in trappola mentre tutti gli altri criminali si accerchiavano intorno a lui, seduto per terra: era il momento di agire.
«Io… Io posso dirvi dove si trova Jager… E sul serio, questa volta.» affermò.
«Pensi davvero che noi ti crederemmo, sbirro? Eh?» rispose il ragazzo che aveva davanti con voce crudele.
Semir annuì, facendosi forza da solo, pensando che in quel momento tutto dipendeva solo ed esclusivamente da lui: non solo la propria vita, ma anche la risoluzione del caso.
«Ascoltatemi, vi dirò il luogo giusto, davvero. In fondo… in fondo quell’uomo ha ucciso mio nipote, perché mai dovrei rischiare la vita per lui?» disse, senza nemmeno credere alle sue stesse parole.
Notò negli occhi del criminale un lampo di esitazione, ma il ragazzo non allentò la presa sulla pistola, né la abbassò.
Al contrario, tolse la sicura, con un mezzo sorriso.
«Non mi freghi, sbirro.» mormorò, cominciando a premere il dito sul grilletto dell’arma.
Semir chiuse gli occhi, attendendo il colpo. Ormai a quanto pare non ci sarebbe stato nulla da fare.
Sentì la canna nella pistola praticamente attaccata alla sua tempia.
Sospirò, sperando semplicemente di morire in fretta.
Il suo piano non era riuscito.
 

«Fermo.» gridò una voce forte alle sue spalle.
Semir aprì gli occhi, sorpreso di essere ancora vivo. Notò con sollievo che la canna della pistola si era allontanata dalla sua testa e che tutti i criminali non fissavano più lui, ma guardavano in un’altra direzione.
Sentì passi pesanti farsi sempre più vicini fino a che da dietro agli alberi non spuntò l’ormai conosciuta figura di Thomas Sherder.
«Ci si rivede, Gerkhan. Sa, questo suo giochetto le costerà molto caro. Tuttavia per adesso può considerarmi il suo angelo custode, d’altra parte se non fossi arrivato in tempo il mio uomo le avrebbe sparato…».
L’ispettore fissava quel criminale come ipnotizzato. Com’era possibile che tutto fosse sempre nelle sue mani? Come faceva quell’uomo ad avere tutto sotto controllo, sempre?
Sherder continuò, avvicinandosi sempre di più: «Invece io ho deciso di darle un’altra possibilità. Mi porti da Jager.».
Semir prese un grande respiro: «Si trova in una capanna a due chilometri da qui. Vi ci devo portare io, non è facile da trovare.».
Sherder annuì soddisfatto: «Bene Gerkhan, vedo che cominciamo a ragionare. A questo punto mi auguro solamente per lei che il posto sia corretto. Andiamo.» fece allontanandosi di pochi metri per poi tornare immediatamente sui propri passi: «Anzi no, prima facciamo in modo che lei non possa più scappare, forse è meglio. Marcus, occupatene tu, ma non ucciderlo.» aggiunse quindi rivolto all’uomo che aveva tenuto sotto tiro il poliziotto fino a quell’istante.
Semir non si accorse nemmeno di quello che accadde negli attimi successivi.
Sentì che due uomini lo sollevavano per le spalle portandolo in piedi, vide l’uomo che prima lo aveva minacciato avvicinarsi di nuovo e puntargli nuovamente contro la pistola.
Sentì delle risate e vide il ghigno malvagio di quel Marcus che pregustava lo svolgimento del suo compito.
Non ebbe nemmeno il tempo di chiudere gli occhi.
Uno sparo risuonò nitido nell’aria.




Ehm… uno sparo…
Io non anticipo niente :) Grazie a chi continua a seguirmi e in particolare a miki, maty, red, Iuccy e Reb per le recensioni!
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 19
*** Viaggi e Ferite ***


 

Semir udì il rumore sordo dello sparo, solo in un secondo momento sentì il dolore.
Si riaccasciò a terra nonostante i due uomini continuassero a tenerlo fermo e portò istintivamente le mani alla gamba sinistra, ritrovandosele poi piene di sangue.
Sbiancò vedendo la ferita e il sangue che gli macchiava i pantaloni e alzò lo sguardo ad incontrare quello di Marcus che, soddisfatto, metteva via la pistola: «Forza, andiamo.» fece quindi con aria di sfida.
Semir strinse i denti per non gridare mentre si stringeva come poteva la ferita con le mani nel vano tentativo di arrestare l’emorragia. La gamba tremava, non riusciva a controllarla.
Ed il sangue continuava a scorrere tra le sue mani.
 


Ben sentì lo sparo alle sue spalle e si fermò.
Da quando aveva lasciato il collega aveva corso senza interruzione fino a quel momento, ma al rumore del colpo di pistola il ragazzo si arrestò di colpo.
Semir.
Dovevano averlo trovato. Dovevano avergli sparato!
Il poliziotto si voltò verso la direzione da cui era venuto e fu tentato di tornare indietro.
Cosa aveva fatto? Come aveva potuto abbandonare il suo collega da solo in balia di quei criminali? Si maledisse per questo, mentre le lacrime gli salivano agli occhi.
Forse lo avevano ucciso.
Forse.
Scosse il capo in preda alla disperazione e ricominciò a correre verso la sua meta.
Non potevano averlo ucciso. No, perché altrimenti lui non se lo sarebbe mai perdonato.



I due uomini di nuovo lo sollevarono di peso, mettendolo in piedi.
«Devi condurci alla capanna, sbirro.» gli sussurrò all’orecchio uno dei due.
Semir strinse i pugni per reprimere la rabbia che aveva in corpo. Cominciò ad avanzare sorretto dai due giovani, chiedendosi per quanti metri avrebbe potuto resistere. Sentiva il sangue colargli giù lungo la gamba e la ferita bruciare ad ogni minimo movimento.
Tuttavia sorrise: un aspetto positivo c’era.
Essendo ferito avrebbe dovuto camminare più lentamente, e Ben avrebbe avuto più tempo per chiamare i rinforzi.



Lo squillo del telefono provocò una confusione quasi inverosimile all’interno del commissariato, quasi come se tutti avessero percepito che quella telefonata potesse portare notizie importanti.
La Kruger afferrò la cornetta con gesto stizzito: «Polizia autostradale, buongiorno.».
«Capo… Capo sono Ben… Capo, dovete venire subito, Semir è in pericolo!».
«Jager.» l’espressione sul viso del commissario mutò in un istante, mentre tutti all’interno del comando si fermavano a guardarla, tentando di interpretare le sue mosse «Cosa è successo, dove si trova?».
«Sull’A46, al chilometro 72… dovete venire alla capanna nel bosco parallela all’autostrada, la conosce, capo? Dovete venire subito, gli uomini di Sherder saranno lì a momenti.» la voce del ragazzo sembrava sconvolta.
«Sherder? Chi è Sherder, Jager? So dov’è la capanna, arriviamo. Ma lei sta bene? È ferito?» domandò preoccupata il commissario sentendo la voce rotta dal pianto dell’ispettore.
«Sì, Sherder, è la mente di tutta questa storia. Io sto bene ma venite… vi prego.» supplicò Ben prima di chiudere la telefonata.
Kim posò il telefono sulla scrivania contemplando il silenzio che intorno a lei si era venuto a creare.
«La squadra speciale nel bosco parallelo all’A46 all’altezza del chilometro 72, ora. Muovetevi. Hertzberger, Bonrath, con me. Bronte, porti in macchina i suoi uomini. Susanne, avverti dell’operazione.» la Kruger coordinò tutti i poliziotti, preoccupata per il tono che aveva sentito al telefono al suo collega. Sembrava disperato, doveva essere successo qualcosa.
Il suo sguardo cadde quindi su Andrea che, seduta poco distante, la guardava con occhi interrogativi.
«Andrea, sappiamo dove si trovano le persone che hanno organizzato tutto, andiamo a prenderli.» le spiegò in fretta.
«Semir era con Ben?» domandò la donna alzandosi.
La Kruger abbassò lo sguardo «No, non era con Ben… lo troveremo Andrea, stia tranquilla.».
«Posso venire anch’ io? La prego.».
Il commissario fu tentata di rispondere “no”, cosa che ufficialmente avrebbe dovuto fare, ma non ce la fece. In fondo capiva benissimo il terrore, la preoccupazione di quella donna.
«Sì… ma resterà in macchina. Andiamo.» rispose con un sospiro per poi dirigersi, con i colleghi, verso l’uscita del commissariato.
 


Ben restituì il telefono al conducente dell’auto che aveva fermato a lato della carreggiata.
«La ringrazio, mi scusi, era una questione di polizia.».
«Si figuri.» rispose l’uomo, sulla sessantina, che poi si allontanò verso la propria auto con l’incomprensione dipinta in volto.
Una volta solo, Ben si inoltrò nuovamente nel bosco: doveva controllare che i criminali non precedessero la polizia nell’arrivo alla capanna.
E doveva capire se Semir era ancora vivo.
 


Semir arrancava ormai da più di mezz’ora sorretto dai soliti due uomini.
L’emorragia ancora non si era fermata e lui si sentiva sempre più debole. Gli girava la testa, sudava freddo. Arrivò a sperare di essere arrivato alla capanna pur di poter smettere di camminare.
Ma nonostante tutto ciò durante il tragitto non si era mai lamentato. Si era fermato qualche volta per far perdere tempo ai criminali, ma mai aveva urlato e mai si era divincolato dalla stretta dei due uomini.
Quando vide il tetto della capanna in lontananza non seppe se esserne felice o meno. Erano stati abbastanza lenti? Ben era riuscito ad avvisare il comando?
Non sapeva nemmeno se l’avrebbe mai potuto costatare.
Sentiva che la lucidità lo stava abbandonando.
Ancora qualche passo e avrebbe ceduto.
Ed infatti, dopo pochi metri, piombò a terra.



Grazie ancora a chi segue e per le recensioni.
Ancora due capitoli e questa infinita storia sarà terminata. Storia che, vi ricordo, era stata pensata come ultima della serie. Qualcuno però si sarà accorto che ho cambiato nome alla mia serie… andate un po’ a leggere il titolo! Eh sì, avete letto bene, 10 storie. I miei programmi sono cambiati, vi aspettano ancora ben tre storie poi, promesso, smetterò di stressarvi con i miei pastrocchi.
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 20
*** Inferno ***


«Che succede?» domandò Sherder con voce scura notando che gli uomini davanti a lui si erano appena fermati.
Quando li raggiunse e poté vedere Gerkhan a terra diventò a dir poco furioso.
«Cosa è successo?» sbraitò paonazzo in volto.
«È svenuto, signore. Ha perso troppo sangue.» spiegò uno dei due uomini che fino a poco prima reggevano il poliziotto.
«Accidenti…» sibilò «Accidenti, Marcus, avevo detto che mi serviva vivo! Vivo!» urlò quindi contro il ragazzo che prima aveva sparato all’ispettore.
«Ma capo…».
«Ma capo un accidenti, Marcus! È già la seconda volta che disobbedisci agli ordini, e ti posso assicurare che non ce ne sarà una terza.».
Sherder non diede nemmeno tempo al ragazzo di replicare. Semplicemente, estrasse la pistola e sparò, osservando Marcus che, in silenzio, cadeva con gli occhi spalancati al cielo.



Il cuore di Ben perse un battito nell’udire quel secondo sparo.
Sherder doveva trovarsi vicinissimo, forse appena dietro gli alberi. E i rinforzi ancora non erano arrivati… come avrebbe potuto agire da solo contro tutti quei criminali? Erano almeno una ventina, non ce l’avrebbe mai fatta.
Il poliziotto sentì un tocco sulla spalla e si voltò di scatto, terrorizzato: Kim Kruger era ora davanti a lui, mentre decine di uomini armati dietro di lei si posizionavano all’esterno e all’interno della capanna, ben mimetizzati in mezzo al fogliame.



«La casa è appena qui dietro.» comunicò uno degli uomini al suo capo.
Sherder annuì pensieroso.
«Lasciamolo qui.» fece quindi, alludendo al corpo immobile di Semir steso a terra «Non mi serve più, penso che questa volta abbia detto la verità.».
I criminali proseguirono silenziosi ancora per qualche metro, ritrovandosi quindi davanti all’entrata della capanna.
Sherder diede il segnale di entrare. Non sapeva che, appena dietro di lui, il commissario Kruger stava dando a sua volta un segnale, quello di intervenire.
Al suo via si scatenò l’inferno.



Vincitrice del premio per il capitolo più breve mai scritto u.u
Scusate, ma dovevo finirla qui. Ce la fate a sopportare ancora un mini capitoletto che poi è finita la storia?
Un bacio
Sophie ;D

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Capitolo 21
*** C'era una volta ***


C'era una volta




 

Tre settimane più tardi…


“… Allora ella prese la bestia con due dita, la portò di sopra e la mise in un angolo. Ma quando fu a letto, il ranocchio venne saltelloni e disse: «Sono stanco, voglio dormir bene come te: tirami su, o lo dico a tuo padre.»…” la vocina sottile di Aida riempiva facilmente quella piccola stanza di ospedale nel centro di Colonia.
Le pareti le donavano un’atmosfera piatta e triste, che però era contrastata dal tono sempre allegro della bambina che leggeva la favola.
«Perché ti sei fermata?» le chiese Semir ad un tratto, seduto sul letto.
Erano ormai passate più di tre settimane da quando tutto era finito e l’ispettore stava per essere dimesso dall’ospedale. Le costole erano quasi a posto, per la gamba ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo.
Il giorno seguente sarebbe tornato a casa e avrebbe utilizzato per un po’ una stampella, la ferita si era presentata più profonda di quanto non sembrasse inizialmente.
Ma nonostante ciò si poteva dire che tutto si fosse concluso per il meglio. I criminali erano stati arrestati, Sherder compreso, Ben se l’era cavata con una lievissima ferita al braccio e tutto si era risolto.
L’innocenza di Ben per l’omicidio di Jonas era stata provata, gran parte degli ex uomini di Sherder avevano deciso di confessare.
Tutto bene insomma, nonostante tutto.
«Perché tu non mi stavi ascoltando, papà.» rispose Aida lievemente imbronciata.
«Ma sì che ti ascoltavo, cucciolo mio. Dai, vai avanti, che ti ascolto.» le sorrise Semir.
La bambina aprì la bocca per ricominciare a leggere il libro di favole che aveva posato sulle ginocchia, ai piedi del letto del papà, ma il rumore della porta che si apriva la interruppe.
«Zio Ben!» esclamò la piccola saltando in braccio al nuovo arrivato.
Semir sorrise: era incredibile quanto quei due si volessero bene.
«Ma ciao principessa!» ricambiò il ragazzo stringendola forte a sé «Cosa fai, bellissima? Leggi le storie a papà?».
Aida annuì mentre il poliziotto la faceva scendere dalle sue braccia: «Sì, gli sto leggendo “La principessa e il ranocchio”, ma papà oggi non è tanto attento…».
«Papà non sta attento mentre leggi?!» fece Ben con aria scandalizzata «Ahi, ahi, allora mi sa che dovremmo dargli una bella lezione a questo papà disattento… facciamo così, ci penso io. Tu vai di là in corridoio che ti aspetta la mamma, va bene?».
Il ragazzo le fece l’occhiolino e la bambina sorrise soddisfatta, uscendo dalla stanzetta e tirandosi dietro la porta.
Ben, rimasto solo con il collega, si sedette sulla sedia posta accanto al suo letto «Allora come andiamo, socio?».
«Bene» rispose Semir «Meglio. Domani mi dimettono, finalmente. E poi passerò al comando a salutare i colleghi, questa volta ho davvero chiuso con la polizia.».
«Non ne sei ancora convinto però, vero?» domandò l’amico con comprensione.
«Come potrei esserne convinto? L’autostradale ormai era come una seconda famiglia per me… Ma pazienza, ci farò l’abitudine. Il vero problema è che non potrò più impedirti di ungermi la macchina con le mani fatte di quelle schifezze che mangi!» ironizzò Semir con un sorriso.
«Vorrà dire che ungerò da cima a fondo la macchina del mio nuovo collega! La Kruger ha già fatto qualche colloquio, non vuole che rimaniamo soltanto Clara ed io, chissà chi arriverà!» si lamentò il più giovane storcendo il naso.
L’altro alzò le spalle: «Magari qualcuno meno rompiscatole del sottoscritto!».
I due scoppiarono a ridere.
«Mi mancherai, comunque, socio.» mormorò Ben tentando di nascondere la commozione che si celava dietro a quelle parole «Mancherai a tutti noi.».
«Anche voi mi mancherete…».

«Bene.» fece quindi il ragazzo dopo qualche attimo di silenzio, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l’uscita «Vado, la Kruger mi aspetta a compilare rapporti. C’è Andrea qui fuori, penso ti voglia parlare. Il dottore che è qui dietro è insopportabile, non vuole che si entri più di uno alla volta nella stanza! Ciao socio!».
«Ciao.» salutò Semir, chiedendosi quando il suo ex collega avrebbe perso l’abitudine di chiamarlo così.
Socio…


 

Clara vide entrare Ben al comando e gli andò incontro con un enorme sorriso «Ben, finalmente! Devi aiutarmi con queste carte, sono un’infinità.».
Il poliziotto le sorrise a sua volta e si sedette sulla sedia del loro ufficio, davanti ad una scrivania piena di rapporti da ultimare.
Clara gli si sedette in braccio con aria maliziosa: «Forza, che a casa stasera troverai una sorpresa. Prima di venire al lavoro mi sono improvvisata cuoca…».
«Uhm, questa sì che è una buona notizia!» sussurrò Ben appoggiando le mani sul ventre della moglie. E fu allora che lo sentì.
Leggero, impercettibile, ma lo sentì.
«Hai sentito?!» esclamò la ragazza, entusiasta.
L’ispettore spalancò gli occhi e rimase a bocca aperta, annuendo, mentre un altro lieve calcio veniva assestato a Clara dal suo interno.
Il bambino, per la prima volta, si era fatto sentire.
Il loro bambino.



 

Andrea entrò nella piccola stanza con sguardo preoccupato, tanto che Semir non le diede nemmeno il tempo di chiudere la porta prima di domandarle cosa fosse successo.
«Perché quella faccia? È successo qualcosa?».
La donna scosse il capo lentamente, sedendosi accanto al marito.
«Semir…» cominciò.
Il poliziotto si sporse leggermente verso la moglie per ascoltare.
«Ho avuto tanta paura, sai? Ho avuto paura di perderti, come tante altre volte, ma adesso è tutto finito, vero? Semir, dimmi che non hai cambiato idea, che la tua esperienza in polizia finisce qui, ti prego… fallo per le bambine.».
Semir annuì controvoglia.
Odiava toccare quell’argomento e da due settimane ormai succedeva in continuazione.
A salvare la situazione arrivò Aida, che in quel momento rientrò nella stanza con il libro di favole in mano e riprese posizione ai piedi del letto del papà.
«Mamma scusa, dovevo finire di leggere la storia a papà, è importante.» spiegò in tono serio serio.
Entrambi i genitori sorrisero, dimenticando per un attimo tutti i discorsi, tutti i pensieri, tutte le paure.
Infondo in quel momento avevano davanti una delle due cose più meravigliose che la vita avesse mai donato loro: una delle loro due figlie.
Il silenzio si creò nella stanza dalle pareti bianche e fredde quando Aida, con vocina solenne, cominciò: «Papi, ti ricordi, dove eravamo arrivati? Ecco: “…Allora la principessa andò in collera, lo prese e lo gettò con tutte le sue forze contro la parete «Adesso starai zitto, brutto ranocchio!». Ma, quando cadde a terra, non era più un ranocchio: era un principe dai begli occhi ridenti…”».

Ci fu un attimo di silenzio.
«È finita? Mancava solo questo pezzetto?» si meravigliò Semir notando che la bambina aveva girato pagina e scorreva con lo sguardo le righe successive.
«No, ma l’ultima parte è noiosa… non posso leggerne un’altra? La maestra dice che devo fare tanto esercizio.».
«Ma certo che puoi leggerne un’altra tesoro, sei bravissima.».
«Bene, allora vado.» annunciò Aida «Sì, questa andrà bene. Dunque, “C’era una volta, in un regno molto lontano…”».

 



THE END




The end. Eh sì, the end.
Che brutto dover scrivere queste due piccole paroline, ancora non mi ci sono abituata. Il problema è che mi affeziono troppo alle mie storie.
Vorrà dire che ne pubblicherò subito un’altra, pazienza!
Intanto ringrazio chi mi ha seguito fin qui, chi ha letto silenziosamente e soprattutto chi ha recensito, aiutandomi così ad andare avanti. Un grazie speciale quindi va a maty, Rebecca, capitanmiki, Iucy, red, Fred, vale_jager e Chiara, grazie davvero!
Vi aspetto alla prossima storia, ottava della serie, che arriverà sicuramente entro la fine delle vacanze e intanto vi auguro buon Natale e buone feste!
Un bacio e grazie ancora
Sophie :D

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