All that I am (under the mistletoe)

di piuma_rosaEbianca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 23.12 ***
Capitolo 2: *** 24.12 ***
Capitolo 3: *** 25.12 ***
Capitolo 4: *** 26.12 ***
Capitolo 5: *** 1368 ***
Capitolo 6: *** New year's eve. ***
Capitolo 7: *** Fine delle vacanze ***



Capitolo 1
*** 23.12 ***


2312 23 dicembre.
Iniziano oggi le vacanze in molte scuole, Hogwarts compresa. Grantaire ed Enjolras sono in vacanza e anche io lo sono, non è meraviglioso?
*no*
Niente, ok, vi lascio subito alla lettura.
Ci rivediamo giù.

Grantaire si aggiustò la cravatta rossa e oro e sospirò.

Si sentiva stranamente in ansia. In teoria avrebbe dovuto essercisi abituato ormai, dopo cinque anni. E, comunque, passare due settimane da solo non era un problema così grosso per avere tutta quella preoccupazione.

Lui e gli altri avevano evitato l'argomento per giorni, sin da quando il professor Paciock era passato a prendere i nomi di chi sarebbe rimasto a scuola per le vacanze. Non si era premurato di chiedere conferma a nessuno, ormai abituato ad essere l'unico a non avere una famiglia che lo volesse a casa, che sentisse la sua mancanza. L'unico per cui Hogwarts, nonostante fosse una semplice scuola, era sempre e comunque meglio di casa sua.

Sospirò di nuovo e scese le scale, lentamente, per niente frettoloso di constatare quanto deserta fosse la sala comune.

Nonostante si fosse alzato tardi di proposito per evitare di intristirsi nel salutare i suoi amici, lo amareggiava sempre un po' vedere di essere effettivamente solo. Portava ancora fresco il ricordo della sera prima, vivo nel suo mal di testa e nell'odore di alcool che permeava il dormitorio, e voleva tenerselo stretto per il resto delle vacanze, fino a quando i suoi amici non sarebbero tornati e avrebbero ripetuto l'esperienza.
Era così che superava la malinconia: aggrappandosi ai ricordi. I pochi belli che aveva appartenevano quasi tutti a quelle vecchie mura di pietra, a quelle tende di velluto rosso e ai sorrisi dei suoi migliori amici. Quei pochi che riuscivano a fargli dimenticare cosa lo aspettava a casa, cosa nascondeva dietro al suo sarcasmo e la sua sfacciataggine.

Caracollò nella sala comune occupata solo da un paio di ragazzini del primo anno e un gruppetto di ragazze del terzo, e andò a sedersi in una delle poltrone più vicine al fuoco, pensando di rimanerci sprofondato fino all'ora di pranzo.

«Gli altri ti salutano.» disse all'improvviso una voce molto familiare dalla poltrona accanto.
Grantaire sobbalzò girandosi di scatto. In un attimo, la sua ansia prese senso e pesò un po' di più sul suo cuore già stanco.
«Enjolras!» esclamò stupidamente, rivelando si essersi completamente dimenticato che anche lui sarebbe rimasto per le vacanze. O forse non l'aveva proprio mai saputo, dopotutto non l'aveva chiesto.
Enjolras fece un mezzo sorriso alla sua sorpresa prima di riportare la sua attenzione al libro che teneva aperto sulle ginocchia.

Grantaire non riusciva a capire se fosse o meno felice della presenza dell'amico. Certo, era bello non essere completamente solo per una volta, ma, fra tutti, non avrebbe mai scelto Enjolras come unica compagnia per quasi due settimane.

Non che non gli facesse piacere. Anzi. Diamine, gli faceva fin troppo piacere.
Nel tentativo di ignorare l'orrenda torsione che il suo stomaco aveva appena deciso di effettuare, decise di infastidire l'amico distraendolo dalla sua lettura.

«Come mai sei rimasto? Non mi ricordo di avertelo sentito dire nei giorni scorsi.» disse in tono che voleva essere casuale.
«Non l'ho fatto, infatti. Non avrei dovuto, in teoria. L'ho deciso pochi giorni fa, e non mi andava di darvi preoccupazioni inutili.» rispose l'altro rivolgendogli un altro mezzo sorriso. Sospirò prima di continuare.
«Mi hanno mandato una lettera la settimana scorsa, i miei genitori, ricordandomi che a casa ci sarebbe stata la famiglia al completo e che avrei dovuto trattenermi dal litigare di nuovo con mio zio. Avrei dovuto, cito, “tacere le mie stupide e infantili idee sull'uguaglianza, e almeno fingere di essere una persona ragionevole nel conversare con i miei parenti”. Ho deciso che i miei ideali valgono di più di loro. Se non vogliono avere ogni parte di me, non ne avranno nessuna.» disse, infuocandosi un po' sulle ultime parole.

«Come se gli interessasse, poi.» aggiunse poi in un sussurro amareggiato.
«Hai fatto bene.» mormorò Grantaire in risposta, ed Enjolras lo guardò sorpreso.
«Una volta che mi dai ragione! Un miracolo di Natale, proprio.» scherzò, alleggerendo la tensione dell'argomento spinoso.

Grantaire fece una smorfia, trattenendosi dal commentare.

«Tu, invece? I tuoi ancora litigano?» chiese poi Enjolras, tornando serio.
«A dire il vero non ne ho idea. Non li sento da mesi. Ho passato tutta l'estate al Musain, lo sai. Solo che non mi sembra mai una buona idea tornare a casa, e adesso non ho nessun altro posto dove andare. Ma sai anche questo.» rispose Grantaire, e sorrise. Ne avevano parlato e riparlato.

Il Musain era un campo estivo completamente gratuito per giovani maghi, dove molti studenti con problemi familiari passavano l'estate. Grantaire ci andava ogni estate sin da quando aveva scoperto i suoi poteri e i litigi erano cominciati. Aveva sette anni.

Dall'anno precedente era passato da essere ospite a far parte dello staff come volontario. A sorpresa, tutti i suoi amici si erano uniti a lui, sacrificando parte delle loro estati potenzialmente tranquille e felici a lavorare duramente.

Molti dei ragazzi che frequentavano il campo avevano problemi dovuti allo stato di sangue. Tantissimi, come Grantaire, avevano un genitore con poteri e uno Babbano in continua disputa, altri erano Nati Babbani i cui genitori non capivano o non accettavano la loro diversità. C'era perfino una minoranza di Maghinò disprezzati ed emarginati dalle loro famiglie, incapaci di sostenere la tensione che si creava nelle loro case.

Lavorare al Musain aveva fomentato le idee di Enjolras sul dover cambiare la società magica, sulla necessità di una completa rivoluzione, l'abolizione degli stati di sangue, la fusione del mondo magico con quello babbano e la fine di quella auto ghettizzazione nel quale l'intero mondo magico si rifugiava, ancora ferito dagli anni di violenta persecuzione.

Grantaire, ogni tanto, ci pensava, e quasi si sentiva in colpa per avere portato Enjolras a discutere con la sua intera famiglia, tutta di Purosangue estremamente conservatori, ma poi lo osservava fare uno dei suoi infiammati discorsi alla sala comune affollata, vedeva la luce brillare negli occhi dei suoi compagni di casa, sentiva il cuore gonfiarsi di qualcosa così simile alla speranza, qualcosa che non aveva mai avuto modo di provare, e non c'era niente che potesse fargli rimpiangere quello che Enjolras era diventato.

«Già, lo so.» disse amaramente e sospirò, giocherellando distrattamente con il bordo delle pagine del libro che teneva ancora aperto fra le mani.

«Non che importi più di tanto, ormai. Il Natale ad Hogwarts offre molto più di quello che sembra. Fosse anche solo per il banchetto, diamine. E la neve. E i corridoi deserti.» disse Grantaire, e un pensiero attraversò veloce la sua mente, abbastanza veloce per far colorare le sue guance di un rosso così lieve da poter essere imputato al calore del fuoco.
«Me lo mostrerai.» commentò Enjolras con un sorriso, ovviamente innocente, ma il basso ventre di Grantaire non riuscì a trattenere uno spasmo piuttosto violento.
Si insultò mentalmente prima di tornare a sprofondare nella sua poltrona, lasciando Enjolras al suo libro.
Sarebbero state due settimane davvero, davvero lunghissime.

▲▲

Dopo pranzo, stranamente privo di silenzi imbarazzati, Grantaire avrebbe tanto voluto ritirarsi nel dormitorio e giacere inerme sul letto per tutto il pomeriggio, magari avrebbe anche tirato fuori dal baule una di quelle vecchie riviste babbane che facevano sempre comodo nei momenti di solitudine, ma sapeva quanto Enjolras avesse bisogno di compagnia. Non era abituato al silenzio o alla solitudine, necessitava costantemente di un pubblico, di un uditorio attento, di qualcuno che gli facesse eco o che gli rispondesse.

O almeno, così Grantaire sosteneva di credere, per non ammettere che le sue abitudini e le sue voglie passavano tutte in secondo piano quando aveva la possibilità di star vicino ad Enjolras.

Così nidificarono intorno all'unico divano della sala comune, Enjolras mezzo disteso a leggere il solito libro della mattina e Grantaire seduto sul pavimento per appoggiarsi al tavolino da caffè, con un blocco di carta riciclata e un astuccio pieno di matite.
C'era un silenzio opprimente, infranto solo dallo scoppiettio del fuoco e dal respiro dei due ragazzi.

«Sai,» proruppe Grantaire, giusto per fare rumore. «Dovresti includere nei tuoi discorsi il bisogno che hanno i maghi di aprirsi agli oggetti babbani. Non dispiacerebbe a nessuno poter avere uno stereo in questa cavolo di scuola.»
«Ci stavo pensando giusto qualche giorno fa. È così ridicolo, ci sono stati un sacco di esperimenti sulla modifica degli apparecchi elettronici, e hanno visto che possono funzionare perfettamente con la magia, ma non ne vogliono sapere. Dobbiamo andare avanti a gufi e grammofoni.» commentò Enjolras con uno sbuffo.
«C'è da dire che mi accontenterei anche di quaderni e penne a sfera, eh. Dovrebbero rendersi un po' conto del limite fra vintage e antiquato. A volte mi stupisco del fatto che usiamo libri stampati.» rise Grantaire, e anche Enjolras sorrise.
«Si sentono tutti tanto superiori per i loro poteri e poi non sanno usare un telefono. O una televisione.»
«O un computer.» aggiunse Grantaire, lanciando un ghigno a Enjolras, che gli fece una brevissima linguaccia. In quel campo anche lui era un completo inetto. Al Musain si teneva sempre ben lontano dalla sala informatica, quasi come se quelle macchine lo spaventassero.

«Anni fa qualcuno provò a far passare una legge a riguardo, ma il Ministero non ne volle neanche sentir parlare. Ignorò completamente tutte le prove scientifiche e continuò per la sua strada. Dei folli, a mio parere. Ma prima o poi ci arriveranno, giuro su Merlino.» Enjolras cambiò argomento con decisione. Grantaire sorrise dell'espressione tipicamente da mago che gli era sfuggita, ma non commento.

«Lo spero proprio. Non hai idea di quanto mi manchi la mia tavoletta grafica, ad esempio. Odio dover colorare a mano.» disse poi, appuntando per l'ennesima volta una matita bianca consumatissima che continuava a sporcarsi prima di averlo portato alla sfumatura che cercava.
«Cosa stai disegnando?» chiese curioso Enjolras spostandosi di lato, lasciando il libro aperto sul divano e accucciandosi al suo fianco.
Grantaire fece del suo meglio per ignorare il suo fiato caldo che gli accarezzava il collo e gli lanciava brividi lungo la schiena.

«Niente di che. Credo voglia essere una scena apocalittica, ma non riesco a far risaltare le fiamme sul verde e questi fulmini non saranno mai abbastanza chiari.» commentò noncurante, un po' infastidito dalla propria inettitudine.
Enjolras aveva la bocca spalancata. Portò una mano a sfiorare il disegno, tastando i diversi strati di colore e i solchi che matite troppo dure avevano lasciato sulla carta, come a volersi accertare del fatto che fosse vero.

«È...è magnifico.» mormorò, facendolo arrossire.
«Non esagerare, andiamo. Non è neanche finito.» ribatté l'artista con poca convinzione, ma Enjolras scosse la testa incredulo.
«Voglio proprio vedere cos'altro puoi aggiungerci. A me sembra perfetto così.»
«Vedrai.» sorrise Grantaire, prendendola come una sfida, e si chinò di nuovo a cercare di dare la giusta luminosità ai fulmini.

Enjolras tornò a sedersi sul divano, cercando per un po' di riprendere la sua lettura, ma ritrovandosi a fissare con sguardo vacuo il retro della testa di Grantaire, pensando a tutt'altro.
Passò un'ora. Forse erano due.

Erano circa le quattro del pomeriggio e fuori il sole stava già tramontando.
Un paio di ragazzini del primo anno rientrarono coperti di neve, stettero un po' vicino al fuoco senza rivolgergli neanche uno sguardo e salirono nel loro dormitorio.
Grantaire li guardò con disprezzo mentre se ne andavano.

«Questi bambini...» mugugnò.
«Ti va di uscire?» disse all'improvviso Enjolras, sconvolgendo l'amico. Di primo impatto pensò che intendesse tutta un'altra cosa e il cuore gli schizzò in gola per qualche istante, prima che capisse e riuscisse a impostare il suo miglior sguardo da “Ma sei sicuro?”.
«Lo so che fa freddo, ma non ce la faccio più a stare chiuso qui.» disse Enjolras, quasi implorando.

Grantaire sorrise, aspettò un po', come se stesse ponderando la questione, come se fosse stato davvero capace di dirgli di no, e poi si alzò deciso.
Il sorriso immenso che fiorì sul volto dell'altro lo riscaldò abbastanza per permettergli di affrontare l'uscita.
Raccolse i suoi strumenti e salirono insieme nel dormitorio per indossare vestiti più pesanti e prendere i mantelli.

Mentre passavano davanti al dormitorio del primo anno sentirono uno dei due ragazzini che diceva qualcosa come “ma 'sti vecchi del quinto che non sanno godersi la vita” e non riuscirono a trattenere una risata. Continuarono a sparlare dell'arroganza dei primini di queste generazioni per tutta la discesa dalla Torre di Grifondoro al portone d'ingresso.

Un puttino di vetro trasfigurato uscito svolazzando dalla Sala Grande tentò di ammaliare Grantaire con una carola nella speranza di convincerlo a farlo stare sulla sua testa, ma il ragazzo lo scacciò con una mano.
«Anche gli angeli sono impertinenti al giorno d'oggi.» commentò, facendo ridere Enjolras.
Per sfuggire ad eventuali altri angioletti stregati attraversarono veloci il portone, ritrovandosi al freddo.

Altra gente passeggiava fra la neve. Qualcuno aveva acceso un falò clandestino in riva al lago. Qualcun altro si vedeva in lontananza fare cerchi sul campo da Quidditch.
Uno stormo di uccelli si sollevò all'improvviso da un albero nella Foresta Proibita e volò verso il lago, nel quale il sole si stava lentamente immergendo.
Nonostante tutti i difetti che aveva, era innegabile che Hogwarts fosse bellissima.

I due ragazzi si incamminarono lentamente verso il lago, parlando di decorazioni natalizie e attività invernali.
Grantaire pensò che Enjolras fosse adorabile immerso in conversazioni così frivole e serene.
Enjolras trovò che fosse davvero piacevole parlare con Grantaire senza discuterci, una volta tanto.

Si fermarono a un paio di metri dal falò, non volendo avvicinarsi troppo al gruppo di burberi Tassorosso del settimo anno che l'aveva acceso, ma allo stesso tempo desiderandone almeno un po' il calore.
Rimasero per un po' fermi rivolti verso l'orizzonte ad osservare il ghiaccio, la neve e le nuvole che si tingevano di oro e arancio e rosa.
«Come lo dipingeresti?» chiese all'improvviso Enjolras, a bassa voce, come a non voler disturbare lo spettacolo della natura.

Grantaire ci pensò un po', ponderando varie tecniche, vari colori.
Poi rispose:
«Olio su tela bagnata. Prima il bianco-azzurro del ghiaccio, e poi il tramonto sopra. Pesca, corallo, oro, rosa antico, anche vermiglio, dipende. Non tutti i tramonti hanno gli stessi colori. Sfumerei sul grigio chiaro le nuvole, grigio-blu dove non arriva la luce. Poi dipende da quanto è esteso il campo visivo. Se deve arrivare ai monti, bisogna vedere quanta luce colpisce gli alberi e scegliere i colori di conseguenza. E le mura del castello, il fatto che siano bagnate dalla neve le rende più scintillanti del solito. Se la neve fosse vecchia, sarebbero di un oro più opaco. È importante il contesto.» mentre parlava gesticolava molto, descrivendo l'ambiente in movimenti dolci, come se già stesse proiettando le pennellate su una tela invisibile. Enjolras lo guardava ammirato, nascondendo a fatica un sorriso orgoglioso.

Era bello vedere Grantaire appassionato a qualcosa che non fosse dargli torto. Vederlo sereno nella concentrazione, sentirlo parlare in tono non di accusa né sarcastico.
«Potresti farmelo? Esattamente così com'è adesso.» chiese prima di riuscire a trattenersi. Grantaire si voltò lentamente a guardarlo, un po' incredulo, un po' compiaciuto.
«Potrei.» sorrise. Enjolras rispose al sorriso.

La conversazione cadde lì, ma il silenzio che seguì non fu imbarazzante. In pace aspettarono che il sole sparisse, godendosi la vista, Grantaire così immerso nei suoi pensieri da dimenticarsi del freddo e Enjolras cercando di non tremare troppo visibilmente.
I Tassorosso se ne erano andati portandosi via il fuoco, così che la temperatura sembrava scesa di diversi, significativi gradi.

Quando anche l'ultimo raggio di sole fu sparito e il tramonto ebbe lasciato spazio al crepuscolo, Enjolras batteva i denti. Era chiaro che, essendo stato lui a proporre di uscire, non voleva suggerire di rientrare. Grantaire rise quando se ne accorse. Si sarebbe ammazzato, quel cretino, pur di non risultare incoerente con se stesso.
Mosso a pietà alla vista della sfumatura violacea che le labbra dell'amico avevano assunto, Grantaire lo prese per mano, in silenzio, e lo tirò delicatamente. Quando si girò a guardarlo e capì che voleva rientrare, il sollievo sul suo volto quasi brillò nella penombra del crepuscolo.

Per qualche ragione non sciolse la stretta per tutto il tragitto fino al castello. Forse perché gli rendeva più facile camminare nella neve alta, forse in cerca di un po' di calore, forse per qualche altro motivo che Grantaire non riusciva a trovare, ma di cui era comunque molto, molto grato.
In Sala Grande la cena era già sui tavoli, in porzioni ovviamente ridotte, e tutti gli studenti presenti nella scuola erano già seduti a mangiare.
«Dovremmo....» mormorò Enjolras, che chiaramente aveva solo voglia di tornare in sala comune e rannicchiarsi vicino al fuoco.

«No, ho un'idea migliore.» rispose Grantaire con un ghigno enorme. «Seguimi.» disse e scartò velocemente di lato per imboccare un corridoio a sinistra della scalinata di marmo. Varcarono una porta alla fine di quel corridoio e scesero veloci giù per una ripida scala di pietra fino a ritrovarsi in un ampio corridoio di pietra, illuminato da torce e decorato da allegri quadri che raffiguravano soprattutto cibo.
Circa a metà del passaggio si fermarono davanti a un grosso quadro raffigurante una gigantesca ciotola d'argento piena di frutta.
«Dove siamo?» chiese Enjolras confuso.

Grantaire si limitò a sorridere mentre tendeva un indice e faceva il solletico a una grossa pera verde, la quale prese subito a contorcersi, ridacchiando, e si trasformò in una maniglia. Il ragazzo la afferrò e spalancò la porta, per poi attraversarla trascinandosi dietro Enjolras.
Subito un gruppetto di elfi domestici gli venne incontro, tutti sorridenti e disponibili.
«Gavroche.» salutò Grantaire, riconoscendo il piccolo elfo nella massa.

Aveva grandi occhi azzurri, il naso piccolo che quasi si perdeva nella grande faccia sorridente, e sulla testa alcuni ciuffi di peli biondi spuntavano da sotto un cappellino. Era piuttosto giovane, ma figlio di una generazione intera di elfi liberati a seguito della Riforma Granger, così non era mai stato costretto a servire una famiglia. Nonostante tutto, nutriva un profondo rispetto per i maghi, e gli anni di lavoro ad Hogwarts lo avevano formato all'obbedienza.

«Grantaire, signore! Ha bisogno di qualcosa, signore? Gavroche è al suo servizio.» squittì, gli occhi acquosi fissi sul ragazzo.
«Vorremmo qualcosa di caldo da portare in sala comune, se non vi dispiace.» disse Grantaire con gentilezza, sorridendo al piccolo elfo.
«Oh! Salve amico di Grantaire.» esclamò Gavroche, accorgendosi solo in quel momento della presenza di Enjolras. «Devo raddoppiare le bottiglie quest'anno, signore?» chiese l'elfo a Grantaire, che arrossì violentemente.
«No, no, niente bottiglie quest'anno.» rise nervosamente, cercando di ignorare lo sguardo inquisitore di Enjolras. «Delle brocche di cioccolata calda sarebbero più gradite da tutti, se poteste.» si affrettò a cambiare argomento.
«Ma certo.» squittì un elfo che stava ascoltando la conversazione, prima di correre via verso i fornelli.
«Possiamo farvela trovare tutte le mattine in sala comune.» disse un altro, seguendo poi il collega.
«E riempirla ogni volta che si svuota.» aggiunse un terzo, raggiungendo gli altri due.
«Sarebbe grandioso.» sorrise Grantaire.

Quelli che avevano parlato erano tutti elfi liberati. Si distinguevano facilmente, se non dall'abbigliamento, dal modo di fare. Quelli ancora a servizio tendevano a evitare troppi contatti con gli studenti, servendoli quando venivano nelle cucine ma non portando il cibo fuori dalla Sala Grande. Gli altri, invece, se qualcuno, come Grantaire, era abbastanza furbo da farseli amici da subito, diventavano estremamente disponibili a fare qualsiasi cosa questi gli chiedesse, pure se andava contro le regole della scuola.

Enjolras era più che sorpreso, quasi sconvolto, nel vedere tutto quello.
Chiunque sapeva che nelle cucine di Hogwarts lavoravano centinaia di elfi, e dall'inizio della battaglia del Fronte di Liberazione degli Elfi Domestici, nel 2003, tutti erano a conoscenza delle condizioni di sfruttamento in cui erano sempre vissuti, ma vederlo con i propri occhi era tutta un'altra cosa.

Per Enjolras, sopratutto, che aveva vissuto in prima persona la ribellione di un elfo, in quanto il vecchio elfo domestico di suo nonno era stato fra i primi ad unirsi alla ribellione, era abbastanza sconvolgente vedere che alla fine aveva ragione e che il suo gesto era stato più che giusto, cosa che non aveva pienamente capito al tempo.
Allo stesso tempo, il pensiero che la sua famiglia era stata in torto anche su quello lo riempiva di una sorta di perversa soddisfazione.

Prima che potesse anche solo pensare a qualche domanda da fare ai piccoli rivoluzionari, Grantaire gli mise in mano una borsa di cibo caldo e lo spinse fuori, voltandosi per salutare le creaturine prima di richiudersi la porta alle spalle.
Non appena fuori prese il sacchetto dalle braccia di Enjolras, lo nascose sotto il mantello e, ridendo, si avviò verso le scale.
Enjolras gli trotterellò dietro, guardandolo come se non l'avesse mai davvero visto prima.
«Chi sei tu? Dove hai messo il Grantaire che conosco?» disse mentre risalivano lentamente il castello fino alla Torre di Grifondoro.

«Le feste mi mettono allegria, credo.» rise Grantaire. Si sentiva euforico e non riusciva a capire perché. Aveva improvvisamente voglia di fare cose, di parlare, di ridere. Per un attimo si chiese se stare fuori tutto quel tempo non gli avesse dato la febbre, arrivò perfino a mettersi una mano sulla fronte per sentire se era calda, ma niente.
Una parte di lui gli suggerì che forse era la presenza di Enjolras, ma la ignorò.
«Raccontami un po', da quant'è che frequenti le cucine?» chiese allora il biondo, rinunciando a capire l'amico e accontentandosi di spiegazioni più facili.

«Metà primo anno, credo. Mi ci portò quella Tassorosso che ci provava con me, una certa Smith mi pare. Poi andò male, come sai, ma continuai a frequentare gli elfi. Erano meno appiccicosi di lei, dopotutto. E decisamente più utili.» spiegò Grantaire, imboccando una scorciatoia dietro un arazzo al terzo piano.
«Perché non ce l'hai mai detto?» chiese allora Enjolras.

«In realtà l'ho fatto. Beh, alla maggior parte di voi.» disse Grantaire. «Ok, forse solo a Courfeyrac.» ammise sotto lo sguardo accusatore di Enjolras.
«Ma capisci, non posso certo rivelare i miei segreti a tutti. Non posso più tenervi nascosto neanche cosa faccio durante le vacanze, lasciami almeno il gusto di non dire a tutti da dove prendo l'alcool.» disse, e sorrise, e Enjolras sorrise di rimando.

Arrivarono alla torre dopo un altro paio di rampe di scale, dissero la parola d'ordine in coro e entrarono nella sala comune deserta. Dovevano essere tutti ancora in Sala Grande. Dopotutto durante le vacanze il coprifuoco veniva spostato e si poteva stare in giro più a lungo.
«Mi sento un po' uno sfigato a rientrare così presto.» mugugnò Enjolras togliendosi sciarpa e mantello e lasciandosi cadere sul divano.

«Preferiresti essere a prendere gli spifferi in Sala Grande o in qualche aula a far casino? Il bello delle vacanze ad Hogwarts è che puoi goderti il castello in solitario.» disse Grantaire sedendosi al suo fianco. Aprì il sacchetto di carta degli elfi e tirò fuori dei panini al tacchino ancora caldi, porgendone uno all'amico, e una bottiglia di succo di zucca, che appoggiò sul tavolo.

Mangiarono per un po' in silenzio osservando il fuoco, e, di nuovo, Grantaire si stupì della leggerezza di quel momento. Non era quasi mai successo prima che fra loro ci fosse una tale pace, forse perché la presenza degli altri spingeva entrambi a comportarsi in modo diverso, forse perché la stanchezza e la fame e il freddo li avevano indeboliti abbastanza da fargli cadere di mano l'ascia di guerra con la quale litigavano sempre, o forse davvero era il Natale in arrivo.

In ogni caso, era incredibile. E rimase incredibile per tutta la sera, mentre continuarono a mangiare e a chiacchierare di niente e a sorridersi come mai prima.
Quando si diedero la buonanotte, qualche ora più tardi, a Grantaire tremavano le mani nel chiudere le tende del suo baldacchino, e quasi si convinse a dar la colpa al freddo, mentre il cuore, incurante dei suoi tentativi, saltava un battito nel vedere Enjolras sorridere un'ultima volta.

▲▲▲

Ebbene quindi, così inizia. Questa cosina che avete letto è la prima parte di un progetto che ho iniziato a scrivere un paio di settimane fa e che non ho ancora finito, ma che inizio a postare oggi con l'idea di postare un giorno al giorno, almeno fino al 29, per poi riprendere probabilmente il 3. 
Ma comunque. 
Questa storia è ispirata a questo post trovato per caso sulla mia dashboard tumblr. Uno di quei post che ti fa brillare gli occhi e ti riempie il cuore di gioia e ti fa allegramente svenare su qualcosa di immenso e insostenibile. Non è stupendo?

Questa fanfiction è un regalo per la mia Sammy, perché la mia ossessione per l'Enjoltaire è in gran parte colpa sua (e di George Blagden, ma non posso davvero incolpare lui, come si fa a dire qualcosa a quel faccino? çwç ). Buon Natale, giuro che un giorno imparo a fare regali decenti.
Devo inoltre un ringraziamento alla mia compagna di banco e di sventure, Valeria, che non so come riesce ancora a leggere la mia roba dopo sei anni che la ossessiono, e che sono due settimane che sostiene conversazioni praticamente monotematiche su whatsapp. Non so come fai, davvero. Grazie ♥

E poi ringrazio, ovviamente, chi è arrivato a leggere fino a qua, chi recensirà o seguirà o anche solo chi avrà la forza di aprire questa cosa.
Buone feste, spero di potervi accompagnare nelle vostre giornate di ozio vacanziero come questi due scemi faranno per me. 
A domani, 

Piuma_

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Capitolo 2
*** 24.12 ***


2412

Come promesso, torno subito da voi. È la vigilia di Natale! 

Buone feste, di nuovo. E buona lettura c:

▲▲▲

La mattina dopo, Grantaire, appena sveglio, credette di essere solo.
Sentì l'acqua scorrere nel bagno, ma lì per lì non ci diede peso, pensando che potesse essere un qualche fantasma o anche la sua mente ancora mezza addormentata.
Poi ricordò, e una morsa di panico gli afferrò lo stomaco.

Si sollevò a sedere di scatto per aprire la tenda del suo baldacchino e constatare come il letto al suo fianco fosse vuoto ma disfatto, segno che il giorno prima non era stata una sua fantasia.
Respira, R, va tutto bene, si ripeté mentalmente, mentre ricadeva pesantemente sul letto e ascoltava l'acqua scorrere.

Poi, dal brusio, si levò una voce. Enjolras stava cantando sotto la doccia.

Era qualcosa che Grantaire aveva sentito fin troppo spesso alla radio durante l'estate, ma non aveva la minima idea di quale fosse il titolo, né tanto meno l'autore.
Apparentemente Enjolras ne era un grande fan, dato che la sapeva tutta, parola per parola. Quando l'ebbe finita, passò a un medley di canzoni natalizie babbane e Grantaire scoppiò a ridere, sentendo distintamente il panico lasciare il suo corpo.

Rimase disteso ad ascoltare, ridacchiando ogni tanto, forse riaddormentandosi per qualche minuto, e pensò solo distrattamente a quanto Enjolras fosse bravo (anche in quello, maledizione), e ancora più di sfuggita a quanto avrebbe voluto essere sotto la doccia con lui.
Forse dormiva quando l'acqua si spense, forse stava solo pensando ad altro, in ogni caso non ebbe modo di prepararsi e sobbalzò quando Enjolras uscì dal bagno in accappatoio, ancora canticchiando.

«Ah, buongiorno!» esclamò il biondo non appena vide che l'amico era sveglio. «Non ti ho svegliato io, vero?» chiese poi mentre si chinava sul suo baule per prendere dei vestiti puliti.
«No, no. Anzi, il tuo concerto mi ha conciliato qualche ora in più di sonno.» rispose Grantaire, nascondendo un ghigno mentre Enjolras arrossiva violentemente, assumendo lo stesso colore della tenda alle sue spalle.

«Tranquillo, non svelerò i tuoi punti deboli al nemico. Anche se mi stupisce che in quattro anni nessuno se ne sia mai accorto.» sorrise Grantaire, cercando di non fissare l'amico mentre si vestiva.
«Di solito mi trattengo quando so che c'è qualcuno. Infatti ero sicuro che tu dormissi.» spiegò, sempre arrossendo, mentre si infilava la biancheria da sotto l'accappatoio prima di toglierselo e appenderlo dietro la porta del bagno.

Lo stomaco di Grantaire fece una sorta di capriola che somigliava più a un triplo salto mortale su una voragine piena di lava, ma fu bravo a celare il profondo disagio che quella situazione gli procurava.
«Non credo dovresti, hai una bellissima voce.» si lasciò sfuggire, senza pensarci troppo. In quel momento era tutt'altro che capace di controllare le sue parole.
Enjolras arrossì di nuovo e si affrettò ad infilarsi un maglione per nascondere il sorrisetto compiaciuto che gli era apparso sul volto. Grantaire portò lo sguardo al soffitto.

«Potremmo mettere su degli spettacoli per raccogliere fondi per il Musain.» disse, sovrappensiero, e non notò lo sguardo dell'amico che si illuminava. «Marius sa suonare il pianoforte, Jehan può scrivervi qualcosa, sarebbe bello.» continuò, fantasticando su folle così ammaliate dalla loro musica, da donare metà dei loro possedimenti all'associazione.

«Se quello che sogno per la nostra società diventasse realtà, potremmo espanderci al mondo babbano per cercare fondi. Sono sicuro che un sacco di associazioni si unirebbero a noi.» intervenne Enjolras, spegnendo le fantasie dell'amico.

«O potremmo semplicemente non dire a cosa vanno i proventi. Tanta gente fa beneficenza giusto per sentirsi in pace con se stessa, senza neanche preoccuparsi di che fine facciano i propri soldi. Abbiamo vissuto di questo per anni, solo che vendere dolci porta a porta ultimamente serve più a tenere i bambini impegnati, che a guadagnare seriamente.» ribatté Grantaire cercando, come al solito, di tenere le cose sul reale.
«Preferisci fingere per quei bambini, invece di combattere per dargli un futuro migliore?» domandò Enjolras, accalorandosi, cercando una reazione da parte dell'amico.
Grantaire gli puntò addosso uno sguardo severo.

«La maggior parte dei ragazzi che passa l'estate lì non sogna, non ci riesce. Come puoi dare speranza a qualcuno rifiutato dalla sua stessa famiglia? Come pretendi che loro combattano quando hanno a malapena la forza di svegliarsi ogni mattina? A te sembra tutto così facile, ma non hai davvero idea di come ci si senta.» disse, con calma e amarezza, ed Enjolras abbassò lo sguardo, un po' vergognandosi della sua insistenza da sognatore contro l'esperienza dell'altro.

Grantaire approfittò del silenzio per alzarsi, prendere i suoi vestiti e andare in bagno, mentre l'altro rimase seduto a rimuginare.
Durante la colazione, e poi per tutta la mattinata, Grantaire sparì con un gruppetto di Corvonero del sesto anno che conosceva, ed Enjolras, rimasto solo, tornò in sala comune, cercando di riprendere il libro del giorno prima, ma continuando a distrarsi pensando alle parole dell'amico.

Era sempre così fra loro: Enjolras parlava con il fuoco della ribellione che gli bruciava nel cuore, e Grantaire gli rispondeva con il freddo scetticismo derivato dalla propria esperienza. Per essere dei ragazzini, entrambi avevano dentro fin troppo da sfogare, solo che Enjolras lo faceva con ardore, con lunghi discorsi e piani di battaglia, e Grantaire se lo lasciava sfuggire, quando ascoltare in silenzio gli diventava troppo insopportabile, in aspri commenti e sguardi pesanti.

Grantaire era il suo Socrate, sempre a porre domande, a insediare dubbi nella sua mente, a smontare passo per passo le sue convinzioni. La domanda che a Enjolras rimaneva sempre, alla fine, era la motivazione di tutto quello. Voleva fargli da maestro, distruggerlo per aiutarlo a ricostruire su basi più solide, o era una forma di inconscia vendetta, quell'infrangere sogni altrui nello stesso modo in cui credeva che la vita avesse infranto i suoi?

Era convinto che la risposta giusta fosse la prima, che Grantaire, alla fine, volesse spingerlo a trovare una vera soluzione senza mettersi apertamente dalla sua parte.
O, almeno, lo sperava.
Passò tutta la mattinata a rimuginarci sopra e, quando si rividero a pranzo, voleva quasi chiederglielo, ma riuscì a trattenersi.

«Cosa avete fatto di bello?» gli chiese distrattamente, servendosi una porzione di lasagne al ragù.
Grantaire trattene una risata mentre si voltava a guardarlo. «Niente di che, siamo stati in cortile a perdere tempo.» rispose, e abbassò lo sguardo sul suo piatto, sorridendo.
«Tu?» chiese poi, affondando in una coscia di pollo.
«Uhm, niente, ho letto.» mentì Enjolras, e il sorriso di Grantaire si allargò.

Silenzio. Mangiarono in silenzio per un po'. Grantaire continuava a soffocare risatine nel suo piatto.

«Smettila di ridere, di grazia. O almeno spiegami il perché.» disse Enjolras serio, pulendosi la bocca con un tovagliolo.
«Di grazia?» rise Grantaire, girandosi a guardarlo con uno sguardo ostentatamente incredulo.
«Eddai.» si lamentò Enjolras, allungando la i finale in modo adorabilmente infantile.

«Rido perché fai ridere, Enjolras. Mi sembra ovvio. Se non lo capisci da solo te lo spiego a cena, il perché.» rispose Grantaire, sempre sorridendo, guardando Enjolras con uno sguardo carico di affetto. Si ripulì la bocca e le mani, prese un sorso d'acqua e si alzò, uscendo in fretta dalla Sala Grande, lasciando l'amico solo, di nuovo, a guardarlo andare via con un'adorabile espressione imbronciata. A cena avrebbero risolto la cosa, decise il biondo.

Peccato che Grantaire non si fece vedere, né per il pasto né per il resto della serata. Quando andò a letto, intorno alle undici, Enjolras non riusciva a capire se fosse più irritato o preoccupato.

Stava quasi per decidere di aspettarlo alzato, anche solo per farsi spiegare il motivo di tanta ilarità a pranzo e magari sgridarlo per aver infranto il coprifuoco, assolutamente non per accertarsi che effettivamente tornasse e che stesse bene, figuriamoci, cosa poteva importargliene.

Solo quando sobbalzò sentendo una porta sbattere al piano di sotto decise che forse era meglio evitare.
Avrebbero fatto i conti al mattino, decise mettendosi giù e chiudendo le tende del suo baldacchino.
Pochi minuti dopo già dormiva.

▲▲▲▲

Oooookay. 
Ringrazio chiunque abbia letto il capitolo precedente e questo, specialmente Dark Shines, che ha messo la storia fra le seguite. 
Inoltre, rinnovo i ringraziamenti a Valeria, a Marta, e stavolta aggiungo Anna, la mia migliore amica, che ha betato questo capitolo. 
Ah e sì, ho cambiato il titolo della storia. Non sono mai un genio con i titoli e mi è venuto in mente solo oggi. Scusate per l'eventuale disagio.
Spero che qualcuno sia così buono da farmi un bellissimo regalo di Natale e lasciarmi una recensione, anche piccolina. 
That's all, folks. 
A domani, 
Piuma_

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Capitolo 3
*** 25.12 ***


25.12

▲▲▲▲

Natale arrivò leggero e silenzioso, come la neve, come le pennellate di un pittore su una tela, come i passi dei piccoli elfi domestici che sistemavano i regali ai piedi dei letti dei ragazzi, come i respiri dei suddetti ragazzi immersi in sonni sereni.
Assolutamente non come Grantaire che risalì le scale del dormitorio all'alba, dopo aver dormito in sala comune per qualche ora, e si lasciò cadere a peso morto sul suo letto in un concerto di cigolii e grugniti.

Quando si risvegliò, qualche ora dopo, il sole invadeva il dormitorio ed Enjolras, seduto sul proprio letto, lo fissava.
«Sei un coglione.» disse, ma sorrideva. Grantaire, ancora non del tutto sveglio, rispose al sorriso e mormorò «Buon Natale anche a te.»
Ai piedi del letto di entrambi stava una piccola pila di regali ancora impacchettati. Enjolras ne aveva scartato solo uno, un grosso dipinto che ora era appoggiato alle colonne del suo baldacchino.
Raffigurava un lago ghiacciato circondato da boschi e montagne e neve, e immerso in uno spettacolare tramonto. Le nuvole, di mille sfumature di rosso, rosa e giallo, si muovevano lentamente, così come le cime degli alberi, come se tutto fosse accarezzato da una brezza leggera.
Nell'angolo in basso a destra, una piccola R verde scuro, confusa in una macchia di alberi, firmava e completava l'opera.

«Ti piace?» chiese Grantaire una volta riscosso dal sonno, mettendosi seduto.
Enjolras sbuffò incredulo. «Se mi piace, santo Cielo. È meglio di una foto!» rispose, e sembrò arrossire nel dirlo.
Grantaire sorrise compiaciuto, evitando inutile falsa modestia.

«Allora mi perdoni per averti lasciato con te stesso ieri?» disse con un ghigno, e stavolta Enjolras arrossì per davvero.
«Se tu mi perdoni per essere stato uno stronzo.» rispose, abbassando lo sguardo.
«L'ho già fatto, evidentemente.» rise Grantaire indicando il quadro.

Poi, per togliere entrambi da quell'imbarazzante conversazione, esclamò «Apriamo gli altri regali!» e balzò giù dal letto.
Entrambi avevano ricevuto un pacco di dolci da parte dei loro amici, era una tradizione.

Enjolras fece una smorfia nel trovare una calzamaglia di lana pesante da parte di sua madre, e si affrettò a nasconderla, ma Grantaire era troppo distratto per ridere di lui.
Teneva fra le mani una piccola valanga di biglietti di auguri, tutti fatti a mano dai bambini e ragazzi del Musain. Una lettera allegata, scritta da uno dei responsabili che Grantaire conosceva fin da quando era piccolo, spiegava che quell'anno, grazie ai fondi raccolti durante l'estate, erano riusciti ad aprire anche per le vacanze di Natale, e che, per farsi perdonare di non essere riusciti ad avvertirlo in tempo, i bambini avevano deciso di mandargli qualcosa.
Grantaire sfogliò i biglietti, li aprì e lesse uno per uno, quasi li accarezzò.

Enjolras lo sentì tirare su col naso, rumorosamente, e lo vide passarsi il dorso di una mano sugli occhi, ripetutamente.
Quando alzò il volto, Grantaire aveva gli occhi arrossati e sorrideva come nessuno l'aveva mai visto.
Senza dire una parola rimise i biglietti nella grossa busta con la quale erano arrivati e li ripose sul fondo del suo baule, per poi concentrarsi sul pacco rimasto.

Sua nonna gli aveva mandato una sciarpa, fatta a mano, di lana verde bottiglia, insieme a un bigliettino di auguri e raccomandazioni. Non una parola sui suoi genitori, neanche un minuscolo accenno.
Cercò di non farci caso. Si avvolse la sciarpa al collo, inspirando forte il profumo di lavanda che emanava, il preferito di sua nonna, e sorrise ad Enjolras che era rimasto a fissarlo per tutto il tempo.

«I tuoi ti hanno mandato qualcosa?» chiese.
«Mia madre mi ha mandato una calzamaglia di lana, per paura che prenda freddo, e un biglietto di auguri. Il resto della famiglia mi ignora completamente, probabilmente sotto ordine di mio padre, ma ritengo di dover ringraziare per l'assenza di lettere minatorie.» rispose Enjolras, alzandosi dal letto per buttare via la carta da pacchi che avvolgeva i regali.

Era chiaro che gli dispiacesse, che gli mancasse la sua famiglia numerosa, le comodità di casa sua, ma non l'avrebbe mai ammesso. Testardo come un mulo, avrebbe perfino negato di averla mai avuta, una famiglia, se fosse stato per sostenere al meglio la sua causa. Si impuntava ad ignorare il dolore che gli causava, cercando di dimenticarsi di avere ancora solo sedici anni, di avere difficoltà nel separarsi dalle sue abitudini, nascondendo tutto dietro a uno sguardo triste quando pensava che nessuno lo stesse guardando.
Grantaire sorrise con affetto e amarezza nel vederlo strappare la carta con rabbia prima di gettarla, e fece seriamente fatica a trattenersi dall’andare ad abbracciarlo.

«Scendiamo. Sto morendo di fame. Spero che ci sia ancora della cioccolata giù.» disse Grantaire balzando in piedi, la scatola di dolci in una mano e l'altra su una spalla di Enjolras.
«È da ieri a pranzo che non mangi?» chiese il biondo, scrollando la spalla distrattamente per allontanare la mano e precedendolo giù per le scale.
«No. Mi sono fatto portare qualcosa per cena da Gavroche, ma stare tutta la notte alzato mette fame. E Hogwarts non ti abitua a saltare la colazione.» rispose Grantaire.

«Hai passato la notte in bianco per finire il quadro?» domandò Enjolras sconvolto mentre l'altro si fiondava sulla mensola sopra il camino dove stava una brocca di cioccolata calda ancora fumante e una piccola pila di tazze. Se ne riempì una, sorridendo, e si rannicchiò sul divano.
Enjolras si sedette al suo fianco, fissandolo, aspettando una risposta.

Grantaire scrollò le spalle. «Non è la prima volta che lo faccio.» disse semplicemente, concentrandosi poi sulla sua colazione.
«Dove hai imparato a dipingere?» chiese Enjolras, più curioso che inquisitorio.
«Nella mia stanza.» rise Grantaire. Enjolras lo guardò male. «Già a quattro anni riempivo casa mia di disegni stupidi. Uno dei miei primi incantesimi involontari credo sia stato proprio animare un disegno. Terrorizzai mio padre.» continuò affogando il suo sorriso nella cioccolata calda. Enjolras continuava a non essere soddisfatto della risposta.

«Poi al Musain ho seguito corsi di pittura per anni. C'era un tipo piuttosto fuori di testa che ci insegnava. Un genio assoluto. Credeva di aver inventato un incantesimo per estrarre i colori dagli oggetti. Quando ce lo insegnò, un ragazzo si distrasse nell'estrarre il colore da un pezzo di torta e nessuno riusciva a capire da dove provenisse quel penetrante odore di cioccolata. Poi scoprimmo che l'incantesimo era molto più potente di quello che sembrava e poteva estrarre molte più proprietà di un oggetto, oltre che il colore. Anche la sua stessa essenza, se usato nel modo giusto. Ci divertimmo per un'intera estate a disegnare cibo e fiori. Nessun altro se n'è mai accorto, ma il costante odore di cibo nella mensa non proviene dalla cucina.» raccontò in tono casuale.

«E io chi mi chiedevo chi diamine aveste assunto per cucinare ad ogni ora del giorno e della notte!» esclamò Enjolras sorpreso, e Grantaire rise.
«Una volta disegnai un campo di lavanda per mia nonna. Mi concentrai un po' troppo e tutt'ora l'odore è quasi insopportabile, ma lei dice di adorarlo.» aggiunse il pittore, prendendo l'ultimo sorso di cioccolata e posando la tazza sul tavolino basso di fronte al camino.
Enjolras gli sorrise intenerito, e lui gli tirò una gomitata per farlo smettere.

«Non guardarmi come se fossi un cucciolo di foca, ti prego.» disse.
«Scusami, è solo che è strano sentirti dire certe cose. Ho sempre pensato che tu fossi un cinico anaffettivo di natura.» rivelò il biondo, un po' imbarazzato.
«Seriamente? Dopo tutto questo tempo?» Grantaire era piuttosto sconvolto. Offeso, quasi.

«Beh sì. Non ti sei mai lasciato andare a grandi effusioni di affetto, dopo tutto. Anche quest'estate al Musain non ti ho visto particolarmente dolce con nessuno. Ma forse sono io.» si affrettò a rispondere Enjolras vedendo le sopracciglia dell'amico aggrottarsi sempre di più.
Grantaire scrollò le spalle, cercando di mostrarsi disinteressato. «Va be'. Non che sia davvero sorpreso. Credo sia la prima volta in cinque anni che mi chiedi qualcosa di personale.».

Enjolras aprì e richiuse un paio di volte la bocca, incerto su cosa rispondere.
«Non puoi neanche dire che abbiamo mai intrattenuto una vera conversazione, dopotutto. Se non conti le discussioni dell'ultimo anno.» si risolse a dire. Grantaire, nonostante tutto, sorrise. «È un peccato. È bello sentirti parlare come una persona normale.». Stavolta fu il turno del biondo di sentirsi offeso.

«Io sono una persona normale! E come ogni persona normale dovrebbe fare, combatto per i miei diritti e per i diritti dei più deboli!» esclamò, e Grantaire sospirò esasperato. «Intendevo come un normale ragazzo di sedici anni che non si sente in colpa per la sua condizione sociale.» ribatté, e fu abbastanza soddisfacente vederlo arrossire.
«Non combatto perché mi sento in colpa, combatto perché so che è giusto farlo, perché non lo fa nessun altro!» si infervorò.
«Fare il lavaggio del cervello a greggi di studenti tu lo chiami combattere? Ma fammi il piacere.» quasi sputò Grantaire, irritato all'inverosimile.

Enjolras avrebbe voluto rispondere a tono, ma la rabbia nel tono e nello sguardo dell'amico lo spinse a desistere. Non voleva litigare. Non voleva turbarlo di nuovo. Almeno non per Natale.
Sospirò, abbassò lo sguardo sul tappeto tarmato, sospirò di nuovo.

«Non posso fare altro. Sono solo un normale ragazzo di sedici anni.» disse in tono sconsolato
Nonostante la sua irritazione, nonostante non se lo meritasse, Grantaire non riuscì ad evitare di dispiacersi per lui. Lentamente, ma senza pensarci troppo, portò una mano sul retro della sua testa, invitandolo delicatamente a girarsi e a guardarlo.

«È proprio quello che intendevo, Enjolras. È bello sentirti parlare come un essere umano.» disse in tono calmo e comprensivo, facendo del suo meglio per ignorare la stretta allo stomaco che quel contatto gli provocava.
«Perché di solito cosa sembro?» chiese l'altro, ora con un mezzo sorriso.

Rha. Apollo. L'arcangelo Michele. furono le risposte che attraversarono la mente di Grantaire come proiettili, schiantandosi contro il suo autocontrollo e facendolo vacillare pericolosamente.
Ritirò lentamente la mano e pensò a un'opzione meno compromettente.
«Non so. Qualcosa a metà fra Martin Luther King e Gesù.» borbottò, stemperando l'indecisione in una mezza risata.

Anche Enjolras rise, scuotendo la testa. «Eviterò di chiedere ulteriori spiegazioni, è meglio per tutti.» disse, rubando un dolcetto dalla scatola di Grantaire e alzandosi per andare a prendere il suo libro, riposto da chissà chi sulla mensola del camino.
Passarono un paio d'ore di ozio totale, Grantaire pisolando sul divano, Enjolras leggendo.

Di tanto in tanto il biondo incappava in un passaggio che gli piaceva talmente tanto da doverlo leggere ad alta voce, aspettandosi ogni volta una risposta da parte dell'amico che fosse più di un mugolio distratto, e rimanendo puntualmente deluso.
Quando scesero per pranzo, però, erano entrambi svegli e emozionati, pregustando il banchetto di Natale.

Fedele alle aspettative, la Sala Grande era magnifica. I tavoli erano ricoperti di cibo dall'aria squisita, tacchini ripieni, ciotole di purè, piselli al burro e salse dense e saporite alla carne e al mirtillo. Era decisamente troppo cibo per le poche persone che c'erano, ma nessuno ci fece troppo caso, distratti dalle montagne di crackers magici che spuntavano fra un vassoio e l'altro.

Grantaire li aveva sempre un po' snobbati, non era così divertente dividerli con dei semi-sconosciuti, ma quando Enjolras gli porse l'estremità di uno, sorridendo come un bambino, la tirò con entusiasmo.
Ne uscirono un paio di pantofole a forma di testa di unicorno, seguite da una nuvola di brillantini arcobaleno. «Sei moralmente obbligato a indossarle costantemente per il resto della tua vita, sappilo.» rise Grantaire mettendole in mano ad Enjolras.

Il secondo cracker che scoppiarono si aprì facendo il suono di una pernacchia e ne uscì un gattino microscopico, accompagnato da una serie di gomitoli di lana dai colori assurdi. Il gattino corse via prima che riuscissero anche solo a guardarlo per bene, lasciando la lana in mano a Grantaire.
«Sembri una vecchietta.» lo prese in giro Enjolras. «Ti ci farò una sciarpa.» rispose Grantaire, scuotendogli un po' di brillantini addosso.
Continuarono a giocare come due bambini, riempiendosi di cibo, oggetti assurdi e tanti, tantissimi brillantini.

Alcuni dei Corvonero amici di Grantaire li raggiunsero e festeggiarono tutti insieme. Le bottiglie di vino al tavolo dei professori erano già tutte vuote, così nessuno si accorse dei ragazzi che cambiavano tavolo né tanto meno delle bottiglie di vino travestite da succo di zucca che uno aveva tirato fuori e stava versando nelle coppe di tutti.
A fine pasto, per smaltire la leggera sbornia, tutti si imbacuccarono in sciarpe, guanti e mantelli e uscirono.

Enjolras aveva in testa un cappellino di lana trovato in uno dei cracker, su cui erano cuciti grossi fiori, mentre Grantaire indossava un paio di guanti pelosi di una tonalità di verde improponibile che lo facevano sembrare il grinch.

Una delle amiche di Grantaire, una certa Samantha, possedeva una macchina fotografica e si divertì a scattar loro foto imbarazzanti. Enjolras storceva il naso ogni volta che sentiva il suono dell'otturatore, e Grantaire mandava occhiatacce all'amica, anche se in realtà era più che felice di poter avere qualche prova del tempo passato con Enjolras, aspettandosi di vederlo diventare solo un ricordo lontano a vacanze finite.

Ad ogni modo, approfittando della neve fresca, i due ragazzi passarono il tempo a fare pupazzi di neve che assomigliavano ai loro amici e li fecero fotografare a Samantha, già ridendo delle facce che avrebbero fatto i ragazzi non appena avessero ricevuto le foto.
Tornarono dentro quando iniziò a fare buio, tremando, appena in tempo per la merenda di Natale, composta dagli avanzi del pranzo e fiumi di tè.
Quando caracollarono fino alla Torre di Grifondoro, esausti e infreddoliti, non avevano neanche la forza di pensare.

Giusto il tempo di cambiarsi che si rannicchiarono sotto le coperte, gli occhi che già si chiudevano.
Prima di addormentarsi, Enjolras si ricordò di una cosa.
«Ah, comunque, buon Natale.» mormorò. Grantaire ebbe appena la forza per uno sbuffo di risata prima di abbandonarsi al sonno.

▲▲▲▲▲

Oggi posso farvi gli auguri per davvero! Buon Natale a tutti che siete arrivati fino a qui, avete il mio amore imperituro, seriamente.
Ringrazio di nuovo Dark Shines per aver recensito, mi hai resa una fanwriter più felice. 
Non ringrazio invece la mia poca ispirazione e la mia infiammazione alla gola che stanno lottando per non farmi scrivere i prossimi capitoli. Spero di vincerli e di riuscire a farveli arrivare tutti puntuali come promesso. 
Ancora auguri. 

A domani,
Piuma_

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Capitolo 4
*** 26.12 ***


2612

▲▲▲▲▲

Erano di nuovo sul divano. Alcune ragazze del terzo anno li guardarono male, prendendo delle poltrone e portandole vicino a una finestra. «Ma guarda questi che monopolizzano la sala comune. Se ne andassero in dormitorio a fare i piccioncini.» borbottò una. Enjolras neanche la sentì, leggeva, ma Grantaire non poté che sorridere.
Sembravano una coppia. Il suo sorriso si incrinò quando si ricordò che non lo sarebbero mai stati.

Mosse pigramente la bacchetta, mormorando un incantesimo, in direzione dei ferri da maglia che lavoravano a mezz'aria. Il filo iniziò a cambiare colore a tratti, creando delle figure che assomigliavano a renne, rosa su verde pistacchio.
Enjolras gli lanciò un occhiata e si accigliò, in parte di nuovo sorpreso dall'abilità di Grantaire con certi incantesimi, in parte chiedendosi chi mai si sarebbe messo quella sciarpa orrenda.

Riabbassò lo sguardo sul libro prima che Grantaire si accorgesse della sua distrazione e parlasse. Non aveva voglia di parlare, non oggi.
Grantaire sbuffò, cambiando posizione sul divano. Si stava annoiando e non c'era abituato affatto.
Era quasi tentato dal prendere i ferri e continuare il lavoro a mano, ma i suoi incantesimi erano più bravi di lui, non volendo rovinare il lavoro si risolse nell'andare a prendere il suo album da disegno.

Quando tornò giù dal dormitorio, una ragazza aveva preso il suo posto e stava parlando con Enjolras, il quale stava perfino sorridendo.
Sentì una fitta allo stomaco, come se qualcuno glielo stesse stringendo fra le mani.

Qualcosa gli suggerì che fosse gelosia, tremenda gelosia, ma decise di rivolgerla al posto perduto piuttosto che all'amico che lo aveva ignorato tutta la mattina e che adesso era così loquace con questa sconosciuta appena arrivata.
Ad ogni modo, decise di ignorarla, accettando la decisione del suo posto di accogliere il di dietro di qualcun altro, pensando che si sarebbe seduto per terra, comunque, e andò a prendere posto sul tappeto, appoggiando la sua roba al tavolino.

Si sforzò di non guardare né sentire i due che chiacchieravano appena sopra di lui.
Ci riuscì per una discreta quantità di tempo, abbastanza per riuscire a concentrarsi sul disegno e quasi a dimenticarli, quando Enjolras ebbe la pessima idea di ridere, facendogli girare la testa di scatto.

La ragazza era seduta sul divano in un modo oscenamente strategico che Grantaire studiò a metà fra il disgusto e l'ammirazione. Teneva le gambe piegate in modo che la gonna salisse il più possibile senza però essere volgare, il busto girato per tre quarti, le spalle strette, a darle un'aria timida, una mano sulle sue stesse gambe e l'altra appoggiata sul divano, protesa verso quelle di Enjolras.
I capelli lunghissimi erano raccolti in un'altrettanto lunga treccia che, portata davanti, scendeva lungo il suo petto decisamente troppo scoperto per la stagione.

Grantaire la detestò con furore per qualche secondo prima di notare la sua espressione: i suoi occhi brillavano, le sue labbra erano piegate in un perenne sorriso che poteva apparire dolce ad un occhio disattento, ma che, ad una seconda occhiata, si riconosceva perfettamente come inebetito.
Ogni traccia di rabbia o gelosia sparirono. La capiva perfettamente, la compativa anche un po'. Era una compagna in quel dolore, un'altra povera vittima della perfezione di Enjolras.

Rivolse allora lo sguardo e l'irritazione all'amico. Quell'inconsapevole bastardo.
Enjolras sorrideva con gentilezza, rideva con educazione, ma i suoi occhi erano vuoti. Grantaire lo sapeva bene. L'aveva visto succedere decine di volte negli ultimi anni. Niente toccava il cuore di Enjolras tranne i suoi ideali. Niente era altrettanto bello ai suoi occhi, niente poteva soddisfarlo.

La ragazza si stava complimentando con lui per l'ultimo discorso fatto, dicendo che non aveva mai avuto abbastanza coraggio per venire a parlare con lui, e lui stava ridendo, dicendole che non doveva avere paura del cambiamento.
La povera fanciulla forse sentì lo sguardo di Grantaire addosso, perché riuscì a distogliere il suo da Enjolras per guardare il ragazzo seduto sul pavimento.

Enjolras guardava il suo libro, inconsapevole, e i due si scambiarono una breve conversazione muta. Grantaire scosse leggermente la testa, sinceramente dispiaciuto, e la ragazza non sorrideva più. I suoi occhi erano imploranti, come a chiedergli aiuto. Grantaire la guardò come a dire "non c'è niente da fare". Lei rispose con un "e tu allora?" e lui alzò le spalle, scuotendo di nuovo la testa, con un sorrisetto triste.
Lei capì quello che c'era da capire.

«Va be', torno al mio posto. Credo che mi fermerò più spesso a sentire i vostri comizi.» disse ad Enjolras, di nuovo sorridendo. Lui neanche le rispose, limitandosi ad annuire con una certa soddisfazione, come se avesse guadagnato qualcosa, prima di tornare al suo libro.
Lei si alzò e, sconsolata, raggiunse di nuovo le sue amiche, che si trattenevano a stento dal ridere.

«Enjolras, ti giuro, sei una persona orribile.» commentò Grantaire, tornando al suo disegno. Enjolras si degnò di guardarlo, per la prima volta nell'intera mattinata
«Che ho fatto stavolta?» disse, acido. «Niente, niente, al solito. Un giorno capirai.» rispose brevemente Grantaire.
Cadde il silenzio. Ognuno continuò a farsi gli affari propri.

Enjolras voltò una pagina con forza, quasi strappandola. Una voce nella sua testa gli urlò che era un idiota. Lui le dette ragione.
Non voleva trattare male Grantaire. Davvero, era l'ultima delle sue intenzioni. Avrebbe voluto strappare via quello sguardo perennemente deluso dal suo volto. Avrebbe voluto vederlo sorridere come nei giorni passati.

Ma ogni volta che anche solo pensava di rivolgergli la parola, il suo stomaco si contorceva e sentiva caldo e allora lasciava perdere. Era stressante. Si chiese quanto ci avrebbe messo a fare pace con il suo subconscio e a lasciare che la realtà gli ritornasse presente e sicura davanti agli occhi.
Se solo ci fosse stato un modo per dimenticarsene o almeno per essere sicuro che fosse stato davvero solo un sogno innocente, che non lo riguardasse.
Se solo non fosse stato così realistico da tornargli in mente alla perfezione ogni volta che guardava Grantaire.

Se solo avesse potuto tornare ad ignorare i piccoli dettagli che neanche sapeva di conoscere prima di quella notte.
Il lento ondeggiare dei suoi riccioli, la ruga di concentrazione fra le sue sopracciglia, la tensione dei muscoli delle sue mani nello stringere la matita, il modo in cui i vestiti si tendevano sulle sue spalle e le sue labbra si arricciavano inconsapevolmente quando era assorto in qualcosa.

Tutto era tornato alla perfezione nel suo sogno, tutto gli era sembrato così vero.
Arrossì di nuovo nel ripensarci, il suo stomaco si strinse di nuovo.
Se solo non gli fosse piaciuto così tanto...


Grantaire dovette aspettare fino a metà pomeriggio perché Enjolras gli rivolgesse di nuovo la parola.
Era sparito poco prima di pranzo senza dire niente, lasciando Grantaire da solo con la sua noia e il terribile dubbio di aver fatto qualcosa di orrendamente sbagliato. Nel primo pomeriggio, appena risaliti dalla Sala Grande, la sfortunata ragazza innamorata di Enjolras si avvicinò a Grantaire con l'intenzione di chiedergli spiegazioni, ma quando si avvicinò e vide il foglio che il ragazzo aveva davanti, pieno di bozze del volto di Enjolras, non ebbe bisogno di domandare niente se non «Sai per caso chi di noi due ha meno speranze?».

Grantaire si voltò di scatto a quelle parole, ma sorrise con dolcezza non appena la vide.
«Non sono mai riuscito a capirlo. Ha sempre rifiutato tutti nello stesso modo.» rispose con tranquillità.
Lei abbassò la testa e se ne andò senza aggiungere altro.

Grantaire rimase da solo, seduto sul tappeto, il fuoco come unica compagnia. Chiuse l'album e andò a sdraiarsi sul divano.
A qualche decina di centimetri da lui, fluttuanti a mezz'aria, ticchettavano ancora i ferri che aveva stregato, instancabili, disegnando composizioni di fiocchi di neve, renne e trecce di un ridicolo rosa confetto. La sciarpa era già lunga quasi un paio di metri probabilmente, ma Grantaire non aveva voglia di fermare il lavoro.

Osservò per un po' i due bastoncini di ferro muoversi in perfetta armonia mentre i gomitoli, appoggiati sul pavimento, quelli che erano usciti dal cracker magico del giorno prima, diminuivano più in fretta di quanto sperato.
Il silenzio della sala comune era rotto solo dallo scoppiettare del fuoco, il ticchettare dei ferri e il sussurrare sommesso di un paio di studentesse dall'altra parte della stanza.

Grantaire si addormentò senza neanche accorgersene.
Qualche ora dopo, qualcuno lo scosse per una spalla con delicatezza ma decisione, chiamandolo in tono sommesso.
«Grantaire...Grantaire svegliati, dai. È quasi ora di cena.» mormorava.

Il ragazzo aprì lentamente gli occhi, sbadigliando rumorosamente, e per poco non gli prendeva un infarto a trovarsi il volto sorridente di Enjolras così vicino.

«Ehi! Mi hai spaventato.» disse, tirandosi su e stiracchiandosi. La schiena e il collo gli facevano un male terribile. Maledì mentalmente i divani e la loro falsa comodità prima di rivolgersi all'amico, il quale, nel frattempo, si era seduto al suo fianco.
«Dove sei stato tutto questo tempo?» domandò con la voce ancora impastata di sonno, strofinandosi gli occhi.
«In giro.» ripose Enjolras, vago, con un sorriso nella voce. Grantaire lo guardò male, facendolo ridere.

Dato che non aggiungeva altro, Grantaire andò a sistemare il suo lavoro a maglia che, mentre lui dormiva, era andato avanti fino a stancarsi e rifiutarsi di lavorare. I gomitoli, che aveva scoperto essere praticamente infiniti, giacevano per terra insieme ai ferri e a una sciarpa lunga diversi metri.
La raccolse da terra, ripiegandola fino a farla diventare un voluminoso gomitolo che appoggiò sul tavolo, poi tornò a sedersi sul divano, dove Enjolras era stato tutto quel tempo a fissare il vuoto, immobile.

«Senti.» proruppe il biondo, tradendo un po' di indecisione nel tono tremante. Grantaire aspettò.
«Lo so che i regali non dovrebbero portare nessun obbligo, che non ce n'era bisogno, che davvero non importava, ma non mi sembrava giusto comunque. Non è niente di che, niente di altrettanto bello, avrei voluto farti qualcosa a mano ma non sono capace, non so fare niente tranne parlare, quindi ho risolto nel darti qualcos'altro di mio, di me. Dio, sembro così egocentrico, non so neanche perché ti dovrebbe interessare.» continuò, incespicando nelle sue stesse parole, prendendo fiato troppo spesso. Grantaire continuò ad aspettare, trattenendo a fatica un ghigno.
«Niente, okay. Buon Natale, di nuovo. Questo è il mio regalo.» concluse tirando fuori da una borsa un pacchetto e porgendolo a Grantaire, che si lasciò finalmente sorridere.

La carta era decorata con piccoli alberi di natale stilizzati, bianchi su rosso. Grantaire la strappò senza troppe cerimonie, rivelando due volumi al suo interno. Uno era un libro piuttosto vecchio, con la copertina leggera graffiata in più punti e con gli angoli consumati, intitolato Rivoluzioni Francesi: la magia del tricolore. L'altro era un quadernino a spirale dalla copertina rigida e nera e le pagine completamente bianche di carta di alta qualità. Attaccato ad esso mediante un elastico stava una matita di una marca magica rinomata per le sue mine praticamente indistruttibili.

Grantaire sfogliò il libro, inspirando il delicato odore di carta stampata e sorridendo, scuotendo leggermente la testa. C'erano un sacco di passaggi sottolineati o evidenziati e di annotazioni a margine con svariate matite e penne diverse.

«È uno dei miei libri preferiti. Ho pensato che avrebbe potuto aiutarti a capirmi. È una cosa terribilmente egocentrica. Sei autorizzato a bruciarlo. Mentre in quaderno, beh, ho pensato potesse piacerti. Lo avevo comprato diverso tempo fa prima di ricordarmi che non so né disegnare né scrivere. Sta meglio in mano tua.» spiegò nervosamente Enjolras in assenza di risposta da parte dell'amico.

Grantaire alzò lo sguardo sorridendo. «Sei un coglione.» mormorò. Poi, d'impulso, agendo prima di riuscire a pensare, lo abbracciò. Dopo un secondo di rigidità Enjolras portò le braccia intorno alla vita dell'altro e si lasciò andare, sciogliendosi nell'abbraccio.

Enjolras constatò con soddisfazione di non sentirsi più in imbarazzo, nonostante non potesse dimenticare il sogno. Era stato, appunto, solo un sogno. Uno scherzo della sua stanchezza. Non sarebbe mai potuto succedere nella vita reale, non era interessato a cose del genere con altri, figuriamoci con Grantaire.
Concentrandosi sul suo non disagio fu abbastanza facile ignorare l'ondata di calore che investì il suo basso ventre non appena sentì il corpo dell'amico così vicino, e ancora più facile incolpare la fame per la stretta allo stomaco che ebbe quando Grantaire si staccò da lui.

Andava tutto bene. Ogni cosa era assolutamente sotto controllo.
Entrambi si rilassarono sul divano, osservando il fuoco, Enjolras immerso nella sua soddisfazione, Grantaire sul punto di alzarsi e iniziare a cantare ballate romantiche.
Dopo un po', Enjolras si riscosse e indicò la pila di lana sul tavolino come se la vedesse solo in quel momento.

«Cos'è quella...cosa?» domandò, dubbioso.
«Ah! Il mio mantenere promesse. Più o meno. Ti avevo detto ieri che ti avrei fatto una sciarpa.» rise Grantaire, prendendola in mano. Enjolras ci mise un po' a ricordare, poi collegò la lana ai cracker e rise anche lui. «Dai, sei ridicolo. È orrenda!» commentò, scherzoso.
«Guarda che mi offendo. È solo un po'... fuori misura.» disse Grantaire con un finto broncio, svolgendola dal gomitolo in cui l'aveva pressata.
«Potresti dividerla e condividere la mia vergogna.» propose Enjolras, ma ci sperava poco.
«Sei tu quello freddoloso qui. La divido, ma non per me.» dichiarò seriamente Grantaire.

Eseguì una serie di complicati movimenti con la bacchetta, borbottando un incantesimo dietro l'altro. Tempo un paio di minuti e la sciarpa era stata accorciata di diversi metri, diventando di una misura plausibile, mentre la lana avanzata era di nuovo fra i ferri e stava velocemente diventando un cappello.
Grantaire ghignò come un bambino che ha appena fatto uno scherzo a una maestra, prese la sciarpa e iniziò ad avvolgerla intorno al collo di Enjolras. Riuscì a fare quattro giri completi e a chiuderla senza soffocarlo, cosa che ritenne una grande vittoria.

«Ti sta benissimo.» disse, reprimendo una risata. «Si sposa divinamente con i tuoi capelli.» dovette premersi una mano sulla bocca per non ridere.
«Non voglio neanche immaginare.» mugugnò la povera vittima, lottando per togliersi quell'orrore di dosso.

Rimasero a becchettarsi in modo scherzoso sulle rispettive scelte di stile fino a quando il cappello non fu finito. Grantaire voleva che Enjolras se lo provasse, ma non poté lottare per molto perché il biondo si alzò di scatto un attimo prima di perdere.

«Devo andare in bagno. Porto questa roba su e poi scendiamo a cena, sì? Perfetto.» disse in fretta, prendendo il suo nuovo completo e il regalo fatto a Grantaire e avviandosi verso le scale.
«Non sperare di liberartene! Posso sempre rifarli!» gli gridò dietro Grantaire, ridendo.

Si lasciò andare contro lo schienale del divano, sospirando profondamente, un sorriso ebete stampato sul volto.
Sentì distintamente il rumoroso singhiozzo che proruppe dall'altra parte della stanza e dei passi che correvano su per le scale del dormitorio femminile, li associò con facilità a quella povera ragazza probabilmente ferita a morte da quanto appena visto, ma non riuscì davvero a sentirsi triste per lei.

Dopotutto lui era arrivato prima, aveva più diritti su Enjolras, se così poteva dire.
E, in ogni caso, non gli importava davvero di nient'altro quando poteva stare con lui così vicino, così sereno, ed essere felice della sua vita, una volta tanto.
Quando Enjolras tornò nella sala comune e gli sorrise, aspettando che si alzasse per aprire il ritratto e uscire, Grantaire si sentì per fino fortunato.

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Capitolo 5
*** 1368 ***


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Quella mattina, il solito gruppo di ragazze del terzo anno si sorprese quando entrò nella sala comune a metà mattinata e trovò il divano libero.
Se fossero andate in biblioteca in quel momento, avessero svoltato a sinistra fino ad arrivare al reparto di Babbanologia e lo avessero percorso fino all'unico, sgangherato tavolo che c'era in quella zona, avrebbero trovato Enjolras e Grantaire, assonnati e silenziosi, chini sui libri.

A dire il vero, solo Enjolras stava davvero studiando.
Aveva accanto una pila di manuali di tecnologia babbana e si stava impegnando a scrivere mezzo metro di tema.
Grantaire stava piuttosto cercando di non addormentarsi sul suo dizionario di Rune Antiche, o almeno di evitare di sbavare sulla traduzione che stava facendo.

Quella mattina, i due ragazzi si erano alzati presto e si erano ricordati di essere al quinto anno, a metà delle vacanze, e di non aver ancora aperto libro.
I G.U.F.O. incombevano, e c'erano appunti da sistemare, vecchi libri da rileggere, lezioni dei primi anni da riguardare, e in più i compiti assegnati per le vacanze.
I questionari simil-esame di Trasfigurazione e Incantesimi non si sarebbero fatti da soli, dopotutto.

«Quanto ti manca? Dovremmo fare anche almeno uno dei tre temi di Pozioni.» chiese Grantaire, scuotendo la testa nel tentativo di scacciare il sonno e cercando una runa.
«Venti centimetri circa, anche meno.» rispose Enjolras, prendendo un altro manuale.

Grantaire lo guardò e non riuscì ad evitare di sorridere vedendolo così concentrato.
Enjolras era uno dei pochi, pochissimi studenti nell'intera Hogwarts che davvero si impegnasse nei temi, specialmente in quelli di Babbanologia.

Essendo nato e cresciuto in una famiglia di maghi, nonostante i tanti amici Nati Babbani e Mezzosangue, ci teneva davvero ad andare bene in quella materia che la maggior parte della gente riteneva completamente inutile. Voleva conoscere quello per cui combatteva, dopo tutto.
Delle altre materie facoltative seguivano solo Cura delle Creature Magiche, giusto per avere l'opportunità di distrarsi un po' fra le lezioni. Al terzo anno avevano iniziato anche Aritmanzia, ma l'avevano mollata tutti dopo poco, una volta constatato quanto difficile e decisamente poco utile fosse.

Grantaire tornò un po' a fatica alla sua traduzione.
Era già la quarta che faceva, e l'aveva quasi finita. Dopo tre anni era diventato abbastanza bravo, complice anche il fatto che fosse una delle poche materie che lo interessassero davvero, e riusciva a tradurre interi paragrafi senza guardare al dizionario neanche una volta.

Era come studiare Greco antico e Latino classico insieme, cosa che faceva nel suo tempo libero durante l'estate, serviva memoria, concentrazione e logica. Doveva trascrivere le rune in alfabeto latino, ricostruire le frasi secondo la sintassi inglese e poi tradurre. Un procedimento macchinoso se fatto passo passo, ma una volta colto il sistema veniva piuttosto facile, sopratutto con l'aiuto del suo quaderno di tabelle e schemi, elaborato già al terzo anno e ormai indispensabile.

Finì la traduzione e la spostò di lato ad asciugare, mentre iniziava la quinta. Enjolras sembrava ancora lontano dalla conclusione, notò quando lo vide cancellare con la bacchetta diverse righe e sfogliare freneticamente un libro.
Sospirò. E meno male che erano in vacanza.


Il pomeriggio Grantaire si rifiutò categoricamente di tornare a rinchiudersi in biblioteca, avevano già fatto ben due temi di Pozioni, e trascinò Enjolras fuori dal castello.
Lo aveva costretto a mettersi la sciarpa e il cappello regalati il giorno prima, e fu felice di vedere che Enjolras non se la prese troppo quando i suoi amici risero di lui.
L'accostamento dei colori fluo con i suoi capelli dorati unito al rosso vivo del suo mantello faceva quasi male agli occhi, ma Grantaire non riusciva a smettere di guardarlo.

Iniziarono una battaglia di palle di neve, e il povero innamorato se ne beccò fin troppe a forza di distrarsi a guardare Enjolras sorridere con la neve fra i capelli, e ridere spensierato, e giocare come un bambino ed essere semplicemente l'essere più bello che Grantaire avesse mai visto.
Samantha cercava di sfuggire alla battaglia e scattava foto a chiunque, ridacchiando ogni tanto nell'incrociare lo sguardo di Grantaire.

Gli altri continuarono a combattere, incuranti del freddo e della neve che si infilava sotto ai mantelli e dei capelli e i vestiti bagnati.
Tutti persero il conto delle cadute, dei colpi presi e mandati a segno, della neve mangiata nel tuffarcisi dentro. Era un tutti contro tutti all'ultimo respiro.
Si fermarono solo quando si fece buio e il cielo si aprì di nuovo, mandando altra neve. Allora, tremanti ma felici, rientrarono tutti insieme per la cena.

Il calore della Sala Grande non era niente rispetto a quello che trovarono quando risalirono ognuno alle proprie torri.
Per quanto la neve fosse bella e stare fuori fosse liberante, non c'era niente come raggomitolarsi davanti al fuoco fino a sentire la pelle bruciare.
Andarono a dormire di nuovo sfiniti e sorridenti, e perfino Enjolras non riuscì a pensare a niente di serio o importante quella sera.

«Non pensavo che dei Corvonero potessero essere così divertenti.» rise buttandosi sul letto.
«Dovresti vederli fuori scuola. Sono ancora più pazzi.» rispose Grantaire con un sorriso affettuoso, infilandosi sotto le coperte e sbadigliando rumorosamente.
«Vorrei che queste vacanze non finissero mai.» mormorò Enjolras, già mezzo addormentato.

Grantaire non aveva la forza di parlare, e forse fu una fortuna perché tutto quello che avrebbe voluto dire era «Vorrei non dover tornare a condividerti con gli altri.» e poteva rovinare l'atmosfera.
Si addormentarono senza neanche chiudere le tende dei baldacchini.
Nel sonno, nella notte, una mano di Enjolras scivolò da sotto le coperte e si tese per un attimo verso Grantaire e strinse il vuoto, come a cercarlo, come a volerlo afferrare, prima di ricadere a peso morto ed essere ritirata al caldo sotto il piumone.


I giorni seguenti passarono più o meno allo stesso modo.
La mattina studiavano, riguardandosi appunti a vicenda, scambiandosi schemi, spiegandosi vecchie lezioni.
In cinque anni Enjolras non si era mai accorto davvero di quanto Grantaire andasse bene a scuola e di quanto gli piacesse studiare. Si era aspettato una grande confusione di appunti presi a metà e compiti fatti senza troppo sforzo, rimase perciò basito davanti a interi quaderni di tabelle e schemi precisi ai limiti dell'assurdo.

«Dove hai trovato il tempo di fare tutta questa roba?» chiese, sfogliando estremamente dettagliate relazioni su pozioni fatte in classe.
«Hai presente quando voi fate finta di studiare e non vi zittite un secondo? Ecco, io in quei momenti studio davvero.» disse, sorridendo.
Enjolras arrossì ed evitò di rispondere.

Grantaire ebbe il piacere di lasciarlo sbigottito fin troppe volte, correggendogli temi, strappandogli intere pagine di appunti sbagliati o incompleti, o interrompendolo almeno un centinaio di volte mentre ripeteva.
L'unica materia in cui Enjolras andava meglio era Difesa contro le Arti Oscure e solo perché Grantaire la reputava inutile per la vita reale.
«Dai, seriamente pensi che quella roba serva a qualcuno se non agli Auror?» gli aveva chiesto, ed Enjolras non aveva voluto rispondere.

Di pomeriggio Grantaire gli proibiva di aprire un qualsiasi libro di testo, trascinandolo fuori.

Le altre persone non erano che contorno, cornice alla loro serenità, quando giocavano nella neve come due bambini, spintonandosi e infilandosi pezzi di ghiaccio nei vestiti, insultandosi sorridendo e tirandosi palle di neve
Entrambi avrebbero potuto giurare di non essersi mai visti così felici, di non essere mai stati così a lungo senza discutere e urlarsi contro ed esasperarsi a vicenda.
E la sera, di solito, la passavano in sala comune, Enjolras sul divano a leggere e Grantaire sul tappeto a disegnare.

Generalmente parlavano poco. Enjolras leggeva qualche passaggio ad alta voce e Grantaire lo commentava distrattamente. Grantaire di tanto in tanto imprecava, per una matita spuntatasi all'improvviso o per un punto che non gli veniva come doveva, e Enjolras si sporgeva a vedere, trattenendo i complimenti.
Una sera fecero tardi a bere cioccolata calda e a parlare, seduti di lato ai capi opposti del divano, le gambe quasi intrecciate, le voci basse e il fuoco come unica luce.

Grantaire aveva di nuovo parlato di sé, spinto dalle domande dell'amico, e aveva osservato i suoi occhi cambiare luce, cambiare modo di guardarlo.
Aveva raccontato della sua infanzia, dei suoi genitori, di sua nonna. Dei litigi, della scoperta dei suoi poteri, delle lacrime di sua madre davanti alle sue prime magie involontarie, delle urla di suo padre ogni volta che lo vedeva. Delle notti passate a piangere e a non capire, del sentirsi sbagliato, del voler scappare. Della prima estate al Musain, dei primi amici, del sentirsi per la prima volta nel posto giusto, di capire che il suo era un dono, non un errore.

Enjolras ascoltava rapito quel fiume di ricordi e confessioni che mai avrebbe potuto immaginare, e si stupiva di continuo, e si commuoveva talvolta.

«Mia nonna avrebbe voluto adottarmi definitivamente, ma mia madre non glielo permise. Minacciava di suicidarsi se avesse chiamato i servizi sociali. Sosteneva che io avevo bisogno di stare con i miei genitori, che papà si sarebbe calmato col tempo, che avrebbe capito e saremmo stati felici. Mi sono ritrovato a dover scappare di casa. A volte potevo stare via per giorni prima che se ne accorgessero, dato che lei beveva e lui non era altro che contento di non avermi fra i piedi. Andavo da mia nonna con lo zaino di scuola e un cambio di vestiti e stavo da lei, e potevo stare sereno per un po', prima che venissero a riprendermi. Quando lo facevano, iniziavano ad urlare contro mia nonna, dicendo che voleva rubarmi, privarmi della mia famiglia. Io non potevo sopportarlo. Una volta feci saltare in aria la macchina per la rabbia. Mio padre mi picchiò così a lungo che si slogò un polso.»

Enjolras era allibito.

«Quando arrivò la lettera da Hogwarts, mio padre non voleva mandarmi. Diceva che non aveva alcuna intenzione di pagare per mandarmi in una scuola ad imparare ad essere un mostro. Il Musain mi ha salvato. Il direttore andò a parlare con mia nonna e, insieme, chiesero aiuto alla scuola. Lo sai che Hogwarts ha un fondo per gli studenti in difficoltà? Sia di soldi che di materiale. E aiuta anche a trovare lavori estivi per metter da parte qualcosa. L'estate fra il primo e il secondo anno l'ho passata a fare lo smista posta al Ministero. Fra i gufi e quei maledetti aeroplanini di carta non so come ho fatto a non perdere neanche un occhio. Però sono riuscito anche a fare pubblicità al Musain, non era poi così difficile stregare fogli di carta e farli volare, alla fine. Ho fatto l'inventario in quasi ogni negozio di Diagon Alley, lavato piatti e pavimenti in qualsiasi bar e ristorante. Nel mondo babbano non sarebbe stato molto legale, ma lì nessuno ci ha mai fatto troppo caso. La cosa migliore è sempre stata conoscere altri ragazzi come me, sentire le loro storie, cercare di aiutarli attraverso la mia. E raccogliere fondi per il Musain, costantemente.»

«Quel centro è casa mia. Lo staff, i volontari, i ragazzi che lo frequentano da una vita, sono la mia famiglia. Non vi ho mai davvero detto quanto è stato importante avervi lì quest'estate. Hogwarts è l'unico altro posto dove mi sento al sicuro, e vedere riuniti gli unici due punti saldi della mia vita evo ammettere che è stato un colpo abbastanza forte. Siete riusciti a farmi sentire fortunato, una volta tanto.» e Grantaire distolse lo sguardo, imbarazzato. Enjolras sorrideva.

«Credo di iniziare a capire il tuo punto di vista, perché sei così scettico verso i nostri ideali, verso la mia voglia di rivoluzione. Ma so che sai che non tutti sono come tuo padre. Alcuni dei nostri ne sono la prova, tipo Cosette o Jehan. O anche tua nonna stessa. Capisco che dopo aver sentito così tante storie e dopo tutto quello che hai vissuto in prima persona ti sia difficile crederci, ma le persone possono cambiare. La società può cambiare, se ci mettiamo d'impegno. Ma se non iniziamo neanche come si può pretendere di arrivare a un qualsiasi risultato? Poi, una volta iniziato, potrebbe anche fallire tutto, ma cosa costa provare?» e, una volta tanto, Enjolras era calmo.

Stava parlando da amico, non da leader, con il cuore in mano, non attraverso il fuoco della rivoluzione.

«Costa una vita di delusioni» era la risposta di Grantaire, prevedibile.
«Ma tutto può cambiare. La tua vita è cambiata quando hai conosciuto il Musain, poi quando hai conosciuto Hogwarts. Potrà farlo di nuovo, se riesci a trovare il coraggio di buttarti. Potresti provare una volta in più e magari vedere che questa volta va finalmente bene. Ma se non provi neanche, come puoi saperlo?» ribatté Enjolras, sporgendosi in avanti appoggiandosi alle ginocchia di Grantaire e guardandolo dritto negli occhi.

Lo scettico si sentì girare la testa per un attimo. Aveva creduto di vedere un lampo negli occhi dell'amico, di sentire qualcosa nella sua voce che, per un secondo almeno, lo aveva fatto sperare in un senso nascosto nelle sue parole. Ma si era chiaramente sbagliato.
Si sentì stupido e improvvisamente molto stanco.

«È che non riesco davvero a crederci.» rispose tristemente prima di accorgersi che si erano fatte le tre e di proporre di andare a dormire.
Il giorno successivo fu come se niente fosse successo. O quasi.
Non tirarono di nuovo fuori l'argomento, ma Enjolras si comportava in modo strano.

Mentre studiavano si fermava per interi minuti a fissarlo, in completo silenzio, e abbassava lo sguardo ogni volta che Grantaire lo alzava per chiedergli cosa volesse.
Fra metà mattinata e metà pomeriggio riuscirono a finire tutti i compiti delle vacanze. Rimandarono ulteriori ripassi all'anno nuovo, quando sarebbero tornati i loro amici e avrebbero potuto confrontarsi meglio.

Quando uscirono dalla biblioteca Grantaire tirò un sospiro di sollievo. Non aveva mai sentito tanta tensione fra loro e non riusciva a capire se fosse positiva o meno. Nel dubbio, fece di tutto per evitarla, andando nel parco a cercare i suoi amici, ma Enjolras continuò ad essere distratto per tutto il giorno, bloccandosi con lo sguardo perso nel vuoto immerso in chissà quale lontano pensiero.

Grantaire fece del suo meglio per non farci caso, richiamandolo ogni volta che lo vedeva assorto, facendo di tutto per farlo parlare o ridere, o anche solo reagire con qualcosa di più che un sorrisetto. A sera era spossato e non aveva risolto niente.
«Com'è possibile che ti conoscessi così poco fino ad una settimana fa?» gli domandò Enjolras dopo ore intere di silenzio passate a fissare il suo libro, sfogliandolo troppo raramente per dare davvero l'impressione di star leggendo.

«Perché sei un idiota.» rise Grantaire, cercando di provocargli una qualche reazione.
Tutto inutile. «Già. Probabilmente lo sono, sì.» fu tutto quello che riuscì a tirargli fuori.
Era ufficialmente terrorizzato.

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Capitolo 6
*** New year's eve. ***


New year's eve.

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«No, non capisci!» esclamò Enjolras, furioso.
«Non mi stai neanche ascoltando!» rispose Grantaire, altrettanto arrabbiato.
I respiri di entrambi si condensavano nell'aria fredda, facendoli assomigliare vagamente a due tori pronti a caricare l'uno contro l'altro.

«Ho sentito abbastanza! Tiri fuori sempre gli stessi argomenti del cazzo su come la gente non abbia speranza, né forza di sognare e neanche la minima volontà di combattere. E se non fosse vero? E se non tutti fossero come te?» sputò con cattiveria Enjolras. Grantaire rimase un attimo spiazzato.

«Tu non sai...» cominciò a rispondere, ma l'attivista lo bloccò subito.

«Io non so mai niente. Davvero credi che non sappia cosa sia la povertà solo perché non l'ho provata io stesso? Credi che la mia solitudine sia inferiore alla tua? Che il rifiuto della mia famiglia sia solo uno scherzo? O forse che io parli giusto per prendere aria? Non è così, Grantaire, non ci sei solo tu al mondo e non solo tu hai problemi. Capiscilo una volta per tutte.» stringeva forte i pugni, affondando le unghie nella lana dei guanti, come se si stesse trattenendo dal prendere a pugni l'avversario.

«Non ci sono solo io, no. Ci sono altre decine di migliaia di persone esattamente come me, però. Tu non riesci a concepire che esista qualcuno che non riesce a credere in qualcosa come tu fai. Qualcuno reso scettico dall'evidenza che il mondo fa schifo e continuerà a fare schifo, che le rivoluzioni finiscono consumate dallo stesso fuoco che le aveva iniziate, che potrai occupare anche tutte le piazze del mondo con i tuoi cori e i tuoi striscioni, ma chi sta in alto ti sputerà sempre addosso senza neanche dover prendere la mira.» gridò Grantaire per tutta risposta. Aveva ancora sulle mani le tracce della palla di neve che aveva iniziato quella discussione.

Voleva essere una battuta innocente, la sua. Non ci aveva neanche pensato. Se solo Enjolras non fosse stato così odiosamente suscettibile. Se solo Grantaire fosse riuscito a chiedere scusa in tempo, prima di arrabbiarsi.

«No che non lo capisco, per Dio. Come potrei? Mi risulta completamente inconcepibile che qualcuno possa sottomettersi così tanto al proprio destino. Il tuo passato dovrebbe essere una spinta a combattere, non un freno. Anche se non serve a niente, non ti darebbe gioia sentire mille voci gridare contro ciò che ti ha fatto male? Non ti riempirebbe di forza unirti a quel coro e combattere per te stesso?» ribatté Enjolras, adesso più calmo, quasi sicuro di aver trovato la strada giusta per aggirare l'offensiva dell'amico.

«Per me? Chi mai combatterebbe per me?» disse Grantaire con una risata senza gioia, piena di amarezza e delusione.
«Le decine di migliaia di persone di cui parlavi prima. Se davvero sono tutte uguali, combattendo per loro stesse non sarebbe come se combattessero per ciascun altro? Se dici di essere uno di loro, allora combatterebbero anche per te.» rispose il rivoluzionario.

Grantaire ammutolì e abbassò lo sguardo sulla neve. Enjolras si lasciò sorridere.

«Ma no.» mormorò dopo un po', rialzando lo sguardo e incrociando quello dell'amico. «Io non combatterei neanche per me stesso. So che non servirebbe a niente, e a che pro dovrei illudermi, sforzarmi, rischiare forse la vita, per qualcosa che non arriverà mai? No. Io non combatterei proprio.» continuò, e il sorriso di Enjolras si spense. Scosse la testa lentamente, incredulo, demotivato.

«Che ci fai fra i Grifondoro, Grantaire? Dov'è il tuo coraggio? La tua cavalleria?» tentò infine, come ultima speranza di suscitare in lui una qualche reazione.
Per tutta risposta, Grantaire ghignò. «Il coraggio e la cavalleria sono i valori che più apprezzo al mondo, ma li cerco negli altri, proprio perché io non ne sono in possesso.» disse, avvicinandosi all'amico. «Così funziona lo smistamento, anche se pochi lo capiscono.» aggiunse, sempre ghignando.

«E allora perché disprezzi me?» domandò Enjolras, dando finalmente voce ai suoi dubbi.
«Io non ti disprezzo. Come puoi anche solo pensarlo?» rispose Grantaire con amarezza.
Lo intristiva avere la conferma della cecità di Enjolras. In tutto quel tempo aveva pensato che lui lo disprezzasse. Non si era mai reso conto della sconfinata adorazione che Grantaire aveva nei suoi confronti, di quell'amore stupido e testardo che lo consumava giorno giorno.

«Non fai altro che contestare quello che dico, darmi contro, annullarmi. Non mi sembra affatto apprezzamento.» risposte Enjolras, ma non ne era più così convinto.
«Io non lo faccio per annullarti. Io non...» e Grantaire non sapeva davvero cosa dire.
Erano vicini adesso e avevano smesso di gridare. Molta della gente che si era avvicinata per assistere allo scontro era adesso tornata a farsi gli affari propri, e nessuno tranne Enjolras aveva sentito quelle parole, ma Grantaire si sentì comunque scoperto, osservato.

«Lascia stare.» mormorò e cercò di andarsene.
Si voltò e si incamminò verso il castello, reso incapace di correre dalla neve alta e le gambe tremanti, combattendo contro la voglia di rannicchiarsi per terra e venire sepolto dal ghiaccio.

Non aveva fatto che pochi passi quando sentì qualcuno che gli afferrava il braccio e lo tirava con forza per farlo voltare.
Enjolras aveva le guance arrossate per aver corso e sorrideva. Malgrado la situazione, Grantaire non riuscì a non pensare a quanto fosse bello.
«Lo facevi per me allora.» disse, e sembrava un bambino davanti alla sua prima nevicata. «Non sei mai stato davvero contro la causa. Ci stavi aiutando.»

Aveva lo sguardo fiero e infuocato di quando qualcuno faceva eco ai suoi discorsi durante le riunioni. Quello sguardo che Grantaire aveva spento innumerevoli volte e di cui adesso, per la prima volta, era la causa.
Si guardarono e sembrò che si vedessero per la prima volta.
Grantaire aveva ancora voglia di correre, ma era indeciso sulla direzione.

«Come, come si chiama? Socrate! Tu cercavi di essere Socrate e io ho fatto il sofista per tutto questo tempo. Sono stato così stupido. Avrei dovuto prestare più attenzione a quello che dicevi, piuttosto che a cosa risponderti. Avrei dovuto pensare di più. Avrei dovuto, non so, magari davvero ascoltarti, ogni tanto. Sono stato davvero, davvero un idiota. Avrei potuto imparare così tanto e invece sono sempre il solito coglione.» continuò Enjolras, scuotendo la testa, e Grantaire riuscì a sorridere.

«Io non ho mai provato ad insegnarti niente, Enjolras. Io volevo che tu pensassi, che vedessi il quadro nella sua completezza. E ci sono riuscito, in questi giorni. E sotto tua richiesta. Non ti sembra abbastanza?» rispose con serenità e l'espressione di Enjolras cambiò. Si distese e lo fece sembrare allo stesso tempo più grande, perché più consapevole, e più piccolo, perché in un certo senso innocente, rinnovato.

Grantaire alzò lo sguardo, giusto per fare qualcosa che non fosse fissare l'amico e sorridere come un ebete, e notò quasi per caso un rametto di vischio attorcigliato intorno a uno dei rami dell'alta quercia sotto la quale stavano.
«Guarda...» disse piano, indicandolo.
Enjolras alzò lo sguardo e sorrise incredulo. «Vischio...» mormorò scuotendo la testa, senza riuscire a crederci. Era così stupido, così scontato.

Quando abbassò lo sguardo e incrociò gli occhi di Grantaire, enormi, lucidi e quasi spaventati, che lo guardavano fisso, si sentì per un attimo mancare l'aria e la terra sotto i piedi e ogni sicurezza.
Gli sarebbe piaciuto dire che fu improvviso, istintivo, che nessuno dei due riuscì a pensarci su troppo, ma la verità era un'altra.

Fu lento. Così lento da sembrare calcolato.
Grantaire posò una mano sul collo di Enjolras, delicatamente, con il pollice che gli accarezzava la guancia e i polpastrelli delle altre dita che premevano sulla sua pelle fredda.

Fu calmo, almeno all'apparenza.
Il cuore di entrambi sembrava sul punto di spiccare il volo da quanto forte batteva, a Grantaire tremavano le gambe, i suoi neuroni erano una melma fumante, mentre Enjolras stava impazzendo, diviso fra l'urgenza di correre via e la voglia di attaccare le labbra dell'amico.

Fu silenzioso.
Quando, dopo secondi interminabili di avvicinamento e paura e brividi, le labbra di Grantaire si appoggiarono su quelle di Enjolras, entrambi si aspettavano che il mondo gli esplodesse intorno.
Non successe. Tutto rimase al suo posto.

Grantaire premette finché il suo labbro inferiore non scivolò in avanti e si aprì la strada fra le labbra di Enjolras.
Nessuno riuscì ad andare oltre.
Grantaire si staccò, sempre molto lentamente, ma rimase lì. Il naso accanto a quello di Enjolras, la fronte appoggiata contro la sua, i loro respiri irregolari fusi in un'unica nuvola di calore umido che si attaccava alla faccia di entrambi.

Calma. Silenzio.
Grantaire ridacchiò, Enjolras sorrise.

Le loro labbra si sfiorarono di nuovo, si toccarono, si scontrarono.
Una, due, tre volte, prima di perdere il conto.
Grantaire non riusciva a smettere di sorridere mentre anni di sogni bruciavano nella sua testa, scoppiavano ad ogni nuovo unirsi di labbra impacciate, brillavano contro le sue palpebre chiuse e tremanti.

Qualcuno, in lontananza, rise. Qualcun altro applaudì.
Il ramo vischio ancora pendeva sulle loro teste, con aria innocente, come se non avesse appena cambiato la vita di forse un po' troppe persone, come se la sua presenza lì fosse passata inosservata.

«Ho voglia di correre via, gettarmi nel lago e affogarci dentro.» mormorò Grantaire quando si fermarono, fronte contro fronte, labbra arrossate e sorridenti, guance infuocate.
«Io ho voglia di correre in sala comune e gettarmi nel fuoco, se ti consola.» rispose Enjolras.
Risero. Sospirarono.

«E adesso?» chiese Enjolras dopo un po', risvegliandosi e rendendosi conto di quanto era appena successo.
«Non ne ho idea. Dipende da te, credo.» rispose Grantaire, tornando anche lui alla realtà.
«Cosa intendi?» domandò Enjolras confuso Ancora non capiva.

Dopo un attimo di esitazione Grantaire decise che non aveva più senso trattenersi, continuare a nascondersi.
A quel punto non aveva più niente da perdere. Poteva solo giocare tutte le sue carte e sperare per il meglio.
«Enjolras, sono innamorato di te da più o meno la prima volta che ti ho visto. Sono anni che sogno questo momento e, se fosse per me, non lo farei finire mai. Quindi sta a te decidere cosa fare.»

Enjolras tacque, sguardo al pavimento. Pensava, esitava.
Grantaire cercava di ricordarsi come si facesse a respirare.

«No non so cosa provo.» proruppe poi il biondo, alzando gli occhi sull'amico. «Mi sembra di averti appena conosciuto, non capisco come sia potuto essere così cieco per così tanto tempo, e penso che tu sia la persona migliore che conosco. Mi piaci, ma non so in quale senso.» spiegò con una sicurezza quasi fuori luogo.
Grantaire lo invidiò e lo detestò per un attimo prima di assimilare le sue parole e sentire le gambe cedere.
«Lo capirei se tu ne avessi avuto abbastanza di aspettarmi, comunque.» aggiunse Enjolras in tono grave.
Grantaire rise di nuovo, di cuore.
«Dopo tanto, come potrei smettere proprio adesso?» disse con leggerezza ed Enjolras sorrise quasi timidamente.

Senza aggiungere altro Grantaire si staccò da lui e riprese a camminare verso il castello, con Enjolras indietro di pochi passi.
Risalirono tutto il castello in completo silenzio, ma non c'era più imbarazzo o tensione. Enjolras stava ancora pensando alle sue parole di poco prima, e ad altre domande da potergli fare, quasi come se il bacio non ci fosse stato. Grantaire era solo molto, molto felice.

Quando entrarono nella sala comune la ragazza innamorata di Enjolras si girò a guardarli e sul volto di Grantaire si allargò incontrollabile un ghigno spaventoso, pieno di gioia selvaggia.
La ragazzina li fissò con occhi sgranati e cuore a mille mentre si sedevano sul divano ed Enjolras si rannicchiava contro Grantaire.

«Tutta questa tenerezza improvvisa?» chiese il moro, sorridendo affettuosamente.
«Mi sembra appropriata. Non ti pare?» disse Enjolras, ricambiando il sorriso.

Rimasero in silenzio per un po', guardando il fuoco e ascoltandosi respirare.

«Continuerai ad aiutarmi, anche se adesso lo so? Possiamo non dirlo agli altri e fargli credere che sei sempre ostile a tutto quanto.» chiese poi il biondo.
«Tutti gli altri sanno già tutto. Sei l'unico che non ci era arrivato.» risposte Grantaire con un ghigno. «Ma comunque sì. Certo. Non posso mica lasciare che tu dica stupidaggini. E adesso che lo sai, potrai farlo tu con gli altri. Stai sicuro che arriverà qualcuno di più sveglio dei nostri compagni di scuola che tenterà di controbattere più seriamente di quanto io abbia mai fatto. E tu potrai smontare loro.» aggiunse.
«Credi davvero che ne sia capace? Alla fine le discussioni fra noi due le hai sempre vinte tu.» chiese Enjolras, mostrando una fragilità che la maggior parte delle volte era solo intuibile.
«Lo diventerai. La scuola serve per imparare, no? L'importante è perseverare.» rispose. Era davvero strano ritrovarsi a fare un discorso del genere ad una persona come Enjolras. Non si sarebbe mai immaginato, neanche nei suoi sogni più incredibili, di potergli mai dire niente del genere.

Si sentì fuori dal suo personaggio in quella dolcezza, in quel rassicurare.
Dovette pensarlo anche Enjolras perché aggrottò le sopracciglia a quelle parole, nonostante stesse sorridendo.

«Che sia chiaro, non è che adesso sono d'accordo con quello che dici e mi vedrai mai a darti ragione. Pensavo davvero quello che dicevo e lo penso ancora. Io non credo davvero nella tua causa e non combatterò per essa, ma credo in te, e posso sostenere te nelle tue follie.» disse, ed Enjolras non poté trattenersi dal ridere.
«Se credi in me, credi anche nella causa. Ma non ti preoccupare, continua pure a negare l'evidenza.» scherzò. Anche lui non scherzava in quanto ad incoerenza col personaggio.

Giusto per aumentare la sensazione da pessimo spin-off, Enjolras ebbe la splendida idea di stupire Grantaire.
Si girò verso di lui, gli posò delicatamente una mano su una guancia per farlo girare, per guardarlo negli occhi, e gli sorrise in modo così dolce, come non gli aveva mai sorriso.

«Ho tanta voglia di baciarti di nuovo. Posso?» chiese, a voce alta, senza curarsi delle altre persone presenti nella sala comune.
Grantaire aveva quasi voglia di tirarsi un pizzicotto per essere sicuro che non fosse un sogno.
«Puoi baciarmi anche per sempre, diamine.» rise, e si lasciò andare contro di lui, e fu diverso da prima, più consapevole, più convinto, e lo fece tremare da capo a piedi e lo riempì di un calore che non aveva davvero niente a che fare con il fuoco.

Non gli importò di niente, né della ragazza che se ne andava singhiozzando, né delle risate delle sue amiche, né dei versi disgustati dei ragazzini del primo anno.
Non gli importò di niente che non fosse Enjolras e le sue labbra calde e la sua mano sulla sua guancia e il suo stupido maglione a cui si stava aggrappando quasi disperatamente.

«Credo di averti detto una cazzata prima.» disse il biondo sorridendo imbarazzato quando si separarono.
«Cioè?»
«Sul non sapere cosa provo per te o in che modo mi piaci.» disse mordendosi il labbro inferiore. «Ma devo comunque pensarci.» concluse, ma il sorriso di Grantaire non si spense.
«Devo trattenermi dallo stimolare i tuoi pensieri, allora?» chiese, a un soffio dalle sue labbra.
«Sarebbe meglio.» rise Enjolras, baciandolo di nuovo, a stampo.

«Ma andatevene in dormitorio!» gli gridò uno dei ragazzini del primo, fallendo nel cercare di farli arrabbiare.
Si separarono e fu straordinario come, nel giro di qualche secondo, era tutto esattamente come prima. Enjolras recuperò il suo libro, sempre sulla mensola del camino, e Grantaire fece una corsa in dormitorio a prendere il quaderno e la matita che lui gli aveva regalato pochi giorni prima.
La prima cosa che disegnò lì sopra fu un ritratto abbozzato dell'amico, o qualcosa di simile, che leggeva. Non se ne stupì, era solo l'ennesimo ritratto di Enjolras che gli capitava di disegnare quando era distratto o non sapeva che altro fare.

Enjolras era seriamente assorto nella sua lettura e non ci furono altri commenti, almeno fino a cena.
Non appena entrarono in Sala Grande, Samantha gli corse incontro e li abbracciò, entrambi contemporaneamente, stretti stretti, congratulandosi con un entusiasmo fuori dal normale.

Quando fu tornata al tavolo gli altri Corvonero lanciarono occhiate e fischi di approvazione dal loro posto. I professori non si preoccuparono neanche di zittirli.
Dopo il pasto, leggermente più abbondante del solito, agli studenti fu concesso rimanere fuori fino a dopo la mezzanotte per riuscire a vedere i fuochi d'artificio dalle colline dietro Hogsmeade e, subito dopo, di fare un brindisi con vero champagne in Sala Grande.

Enjolras e Grantaire rimasero nel cortile interno, illuminato e più riparato dal freddo rispetto al parto, aspettando lo scoccare della mezzanotte.
Tutti si stupirono di Enjolras che, diversamente dai giorni passati in cui stava per lo più dietro a Grantaire e non parlava mai con nessuno in particolare, adesso era felice ed espansivo, tanto dal fare perfino battute.
Samantha provò a costringere i due a rispondere ad alcune domande spinose, ma a nessuno interessava davvero così fu facile ignorarla.

Verso le undici e mezzo si mossero tutti in massa verso il lago, punto migliore da dove osservare lo spettacolo perché quando arrivavano ad una certa altezza le luci si riflettevano sul ghiaccio, rendendo il tutto due volte più bello.
Enjolras e Grantaire stavano uno accanto all'altro in mezzo al gruppo festante.

«È un po' un segreto che ci piace tenere questo dell'ultimo dell'anno. Credo che molta più gente rimarrebbe qui per le vacanze se lo sapesse, ma quando siamo più di un certo tot non ce lo permettono. Non è sicuro tenere troppi ragazzi fuori fino a tardi, perché si rischia che qualcuno si dispera e non rientri. Noi pochi eletti costretti a rimanere ad Hogwarts ogni anno, comunque, siamo felici di non dirlo a nessuno.» spiegò Grantaire, molto vicino al suo orecchio per farsi sentire sopra la confusione generale.
«Quindi devo ritenermi fortunato?» rise Enjolras, passandogli un braccio attorno alla vita per tenerlo il più vicino possibile.
«Esattamente.» rispose Grantaire con un ghignò, appoggiandosi a lui.

Proprio in quel momento un primo scoppio risuonò da dietro la cittadina e calò il silenzio sulla piccola folla di alunni e professori.
Una campana iniziò a suonare i dodici rintocchi della mezzanotte, e tutti la accompagnarono urlando il conto alla rovescia.
Sullo zero, mentre l'ultimo rintocco ancora riecheggiava fra le montagne, il primo fuoco d'artificio partì dalla collina ed esplose, illuminando il primo vero, significativo bacio dei due ragazzi.
Fu lungo, approfondito e immensamente dolce.
Ci fu un flash alle loro spalle, confuso nella luce del fuoco, e una risatina, insieme a qualche fischio.

Sentendosi stupidi e melensi si staccarono ridendo l'uno a un soffio dalle labbra dell'altro, e in quel momento non avrebbero scambiato la loro vita con nient'altro, perché quella felicità così pura superava ogni delusione e ogni sofferenza che li aveva accompagnati fino a lì.
Erano solo due ragazzini ma si sentivano molto di più.

Abbracciati sotto quello spettacolo, circondati da persone che non li giudicavano ma li apprezzavano per il loro essere finalmente loro stessi, si sentirono entrambi i ragazzi più fortunati sulla faccia della terra.
Per i dubbi e le spiegazioni avevano il resto delle loro vite.

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Capitolo 7
*** Fine delle vacanze ***


Fine

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La mattina dopo Grantaire si svegliò con il sole negli occhi e, mentre si girava dall'altra parte strofinandoseli, pensò che il giorno prima fosse stato un sogno.
Si alzò con tutta calma senza quasi fare caso all'assenza di Enjolras e andò a farsi la doccia, pensando solo che i suoi sogni stavano diventando davvero troppo vividi e che forse aveva bisogno di aiuto.
Si lavò via il freddo, il sonno e la stanchezza, lasciandosi coccolare a lungo dall'acqua bollente.

Non pensava a niente. L'acqua calda amplificava la quieta malinconia in cui amava crogiolarsi quando era solo e zittiva ogni riflessione, bloccava la sua testa in una bolla di calore e rilassamento, così che gli fosse impossibile ragionare, divagare, far girare le rotelle poco oliate del suo già stanco cervello.
Quando ne ebbe abbastanza uscì. Si strinse nell'accappatoio. Si asciugò i capelli con la magia. Rise per la narrazione noiosa che doveva essere la sua vita.

Poi tornò in stanza per vestirsi e quasi gli prese un colpo nel vedere Enjolras seduto sul suo letto.
«Ehi! Avevo quasi paura fossi entrato in coma. Lo sai che è quasi l'una?» disse sorridendo e alzandosi e andandogli incontro.
Ci fu un momento imbarazzante in cui Enjolras rimase in piedi immobile davanti a lui, in attesa di qualcosa, che Grantaire non capiva.

«Ok, scusami. Non siamo ancora a quel punto, vero? Non me ne intendo molto di queste cose. Va be'. Ti aspetto giù.» disse allora dopo un po', avviandosi verso la porta.
«Di cosa stai parlando?» chiese Grantaire confuso.
Enjolras si voltò aggrottando le sopracciglia. «Almeno non prendermi in giro.» disse.

«Ti giuro che non ho la più pallida idea di cosa stai parlando.» rispose Grantaire facendo qualche passo verso di lui.
Una certa idea stava bussando alla sua mente assonnata ma aveva così poco che senso che non la prese minimamente in considerazione.
«Ieri, Grantaire.» disse Enjolras, chiaramente contrariato. «Ti ricordi di ieri?».

Un momento di silenzio, quasi si poteva sentire il cervello di Grantaire processare informazioni.
Poi, all'improvviso, scoppiò a ridere. Rise fino a piegarsi in due, inginocchiato sul pavimento. Rise fino a sentire male alla pancia. Rise fino a seccarsi la gola.
Enjolras lo osservò perplesso, aspettando che si riprendesse.

«Non l'ho sognato!» esclamò Grantaire non appena ebbe abbastanza fiato.
Sì alzò dal pavimento un po' a fatica e andò dall'amico, ancora perplesso.
«Non l'ho sognato...» ripeté a voce più bassa, sorridendo come un completo idiota.
Allora Enjolras capì, e sorrise di rimando. «Sei un idiota.» disse e coprì la distanza che li separava per baciarlo.

E in quel bacio Grantaire ricollegò ogni cosa che aveva creduto di essersi immaginato.
Ogni momento, ogni parola andò al suo posto in quel puzzle di perfezione che era stata la giornata precedente.
E quasi si sentì esplodere il cuore, e aveva voglia di correre e di urlare e di passare il resto della sua vita così, fra le braccia di Enjolras, con le mani sui suoi fianchi e le sue labbra contro le proprie.

«Dovresti vestirti.» mormorò Enjolras quando si staccarono.
«Dici?» rispose Grantaire, ridendo contro la sua bocca, baciandolo di nuovo.
«Direi, sì.» e rise, il biondo, abbassando lo sguardo sul punto in cui la spugna sottile dell'accappatoio di Grantaire lasciava davvero poco all'immaginazione.
«Ti direi che mi dispiace, ma mentirei spudoratamente.» rise anche lui senza neanche arrossire, baciandolo una terza volta.
«In realtà non dispiace neanche a me.» aggiunse Enjolras, sporgendosi per il quarto bacio. «Però è ora di pranzo, e ho fame. Quindi muoviti.» concluse, e il quinto fu l'ultimo prima che Grantaire si separasse da lui ridendo, scuotendo lievemente la testa, per prendere dei vestiti puliti dal baule e andare in bagno per metterseli.

Passarono la giornata ad oziare in sala comune, e Grantaire non riusciva a credere alla sua fortuna ogni volta che Enjolras fermava qualsiasi cosa stessero facendo per baciarlo, con una dolcezza che non avrebbe mai creduto possedesse. Non riusciva neanche a capire come fosse possibile che il giovanissimo rivoluzionario fosse cambiato così tanto in così poco tempo. Gli erano bastati così pochi giorni per aprire gli occhi, così pochi che Grantaire non riusciva a non chiedersi quanto tempo avessero perso, quanto dolore si sarebbe risparmiato se Enjolras gli avesse mai prestato ascolto, lo avesse mai guardato davvero.

A vederli adesso, nessuno avrebbe mai detto che giusto un paio di settimane prima occupavano la stessa stanza urlandosi addosso e resistendo a fatica alla voglia di prendersi a pugni.
Eppure, Grantaire non riusciva a rimpiangere niente.

Era stato tutto così naturale e così perfetto che non riusciva ad immaginare come altro sarebbe potuto essere. Forse, si diceva, prima Enjolras non era pronto. Forse se fosse successo in un altro momento sarebbe andato malissimo, e avrebbero rovinato tutto per sempre.

Non che Grantaire fosse davvero capace di credere che le cose sarebbero andate bene in futuro, che sarebbe mai potuta durare, che Enjolras non si sarebbe stancato di lui, ma per ora era tutto così bello che riusciva quasi a non pensarci. Non costantemente almeno.

La ragazzina innamorata di Enjolras non faceva altro che lanciargli occhiate truci, ma gli occhi cerchiati di rosso la rendevano davvero poco minacciosa.
Enjolras continuava a non notarla, comunque, e Grantaire non riusciva davvero a dispiacersi per lei.

Non quando Enjolras aveva occhi solo per lui e gli sorrideva come se non ci fosse altro di bello al mondo, non quando non riusciva a tenere le labbra libere per più di dieci minuti, non quando la conversazione fra di loro consisteva in confidenze e cazzate, sussurri e risate, ed era così dolce e leggera e lo rendeva felice come quasi mai prima.
Andava tutto bene, e, per quanto sembrasse impossibile, per il momento sembrava bastare.


Quando gli altri tornarono, nella tarda mattinata del due gennaio, Enjolras e Grantaire erano ad aspettarli nella sala comune, perché rivedersi nella folla della Sala Grande non andava mai a nessuno, e stavano pomiciando.
Il primo ad entrare fu Bossuet, un manico del baule in mano e un sorriso enorme.
«E bravo Grantaire! Dieci giorni da soli e fai diventare un essere umano il nostro Enjolras.» esclamò.

Grantaire ghignò e si alzò per andare ad abbracciarli. Enjolras aspettò un secondo in più, nel vano tentativo di far sparire l'imbarazzo.
Tutti batterono pacche sulla loro schiena e si congratularono.
Combeferre strinse Grantaire in quasi un minuto di abbraccio soffocante, e gli mormorò all'orecchio che era davvero l'ora e che si meritava quella felicità e che era davvero contento per loro. Quando lo lasciò, Grantaire aveva le lacrime agli occhi, ma diede la colpa al respiro mancante.

Courfeyrac ed Eponine furono i primi due stronzi ad iniziare a fare domande inopportune. Jehan cercò di sviare il discorso con altre domande, più sul lato romantico della cosa, ma era tutto comunque molto imbarazzante.
Fu Marius, stranamente, a riportare tutti a terra di colpo, spostando la conversazione sullo studio. Grantaire non aveva mai apprezzato tanto la sua impossibile severità.

Fu chiaramente ignorato da tutti, ma almeno riuscì a distogliere l'attenzione dalla coppia e spinse tutti ad andare a sistemare i propri bagagli, per poi tornare in sala comune e disporsi attorno al fuoco a raccontarsi le loro vacanze.

Rivederli tutti lì, sorridenti e rumorosi, era per Grantaire allo stesso tempo strano e meraviglioso, dopo tutto quel tempo solo con Enjolras. Non riusciva a smettere di sorridere mentre li ascoltava, stretto in un angolo del divano con Enjolras che teneva le dita intrecciate alle sue e la testa sulla sua spalla. Quando il biondo si permise di alzare la testa per dargli un bacio ci fu un momento di imbarazzo, brevissimo, in cui tutti si zittirono e li fissarono.

Quando scesero per pranzo fu ancora più strano rivedere la Sala Grande piena di gente, i tavoli affollati, le porzioni di cibo triplicate.

«Credo che potrebbe mancarmi stare da solo con te.» sussurrò Enjolras all'orecchio di Grantaire mentre prendevano posto su una panca. Grantaire rise.
«Ti passerà fra qualche giorno, fidati. A me succede sempre così.» gli disse con tranquillità.
«Ne sono certo. Ma ritengo che sarà necessario ritagliarci un po' di tempo, ogni tanto, per stare da soli.» disse Enjolras, ed entrambi risero e si baciarono e poi arrossirono quando si ricordarono che i loro amici li stavano guardando.
«Dai ragazzi, smettetela di stupirvi.» sbottò Courfeyrac, rivolto alle facce divertite o lievemente imbarazzate dell'intero gruppo. «Sapevamo tutti che prima o poi sarebbe successo.»

Grantaire sorrise di gratitudine mentre Enjolras lo guardava storto.

«Cosa vuol dire che lo sapevate?» domandò, e tutti risero.
«Sappiamo tutti che Grantaire ti muore dietro da anni. Era solo questione ti tempo prima che tu aprissi gli occhi e facessi qualcosa al riguardo.» spiegò Courfeyrac.
«Non hai idea di quante volte abbiamo dovuto rammendare il povero cuoricino spezzato del nostro amico qui.» disse Combeferre battendo una pacca sulla spalla di Grantaire.
«''Come può essere così cieco?'' ''Possibile che non riesca neanche a guardarmi negli occhi?'' ''Come faccio a dimenticarmelo, come cazzo faccio?''» citò Bossuet in tono piagnucolante. Stavolta fu il turno di Grantaire di arrossire, ma Enjolras non si unì alla risata degli altri.

«Sono stato così stupido. Sono felice che tu non abbia mollato, comunque.» disse invece, con dolcezza, guardando dritto negli occhi.
Qualcuno, probabilmente Joly, soffocò un gemito intenerito in una mano.
«Io pure.» rispose Grantaire con una risata sommessa, dandogli un tenerissimo bacio a labbra chiuse che fece squittire diverse ragazze al tavolo di Corvonero.

«Okay, piccioncini, siete naus...ehm, dolcissimi, adesso basta però.» disse Eponine, mettendogli del cibo nel piatto.
«Grazie, 'Ponine.» disse Grantaire inforcando un broccolo e mangiandolo con gusto.

L'argomento cadde lì, e tutti continuarono a mangiare parlando d'altro.
Dopotutto, era andata abbastanza bene. Grantaire sapeva che nessuno l'avrebbe presa male, e sapeva anche che sarebbe stato difficile per tutti, all'inizio. Era giustamente strano per tutti confrontare i piccioncini che non si erano ancora stancati di essere con i due quasi amici che non potevano parlare a lungo senza iniziare a litigare.

Combeferre aveva scherzato spesso sul chiuderli in una stanza e obbligarli a parlare finché non avrebbero chiarito come stavano le cose fra loro, e alla fine era stato davvero quello che li aveva fatti sbloccare.

Éponine aveva sostenuto per così tanto tempo che erano decisamente perfetti l'uno per l'altro, e che sarebbe bastato che Enjolras lo conoscesse giusto un po' meglio perché si innamorasse di lui, e alla fine così era andata.

Prouvaire gli aveva detto milioni di volte che fra loro non poteva andare in modo normale, che doveva succedere qualcosa di assurdamente cinematografico per farli finire insieme, perché nient'altro poteva essere abbastanza efficiente, e alla fine il provvidenziale ramo di vischio era arrivato.

Courfeyrac credeva fermamente che se fosse iniziata, fra loro, non sarebbe mai finita. Grantaire poteva solo sperare che avesse ragione anche lui.


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Ebbene, è finita. In terribile ritardo sulla tabella di marcia, ma a chi interessa davvero? (shh, shh, lo so, scusatemi)
Non posso dire di essere felice, perché MY BABIEEES, ma allo stesso tempo lo sono perché questa è la prima long fic che riesco a portare a termine. Giuro. E in più è venuta anche esattamente come volevo che fosse e non in tempi biblici. Probabilmente non succederà mai più, quindi gioisco adesso.
Ma comunque, non è davvero finita. Potrebbe arrivare un qualche seguito, forse anche abbastanza presto.
Felici, eh? Vabbe'.
Mi sembra doveroso ringraziare tutte le persone che mi hanno seguita in questa fatica, prima fra tutti Valeria, fidata compagna di banco e di plotting e di sclero. Credo sia più felice di me che questa cosa sia finita.
Poi Anna, che ha betato i primi capitoli, e Marta, per la quale questa storia è stata scritta in first place. Aggiungo le altre povere Les Mis dipendenti che so che mi hanno letta e mi hanno resa felice così.
E, ultimi ma non meno importanti, tutti voi che avete anche solo aperto questa storia poco invitante.
Grazie a tutte, mi dispiace per i feels, vi voglio bene. ♥

La smetto, okay. Ci vediamo al sequel (presto?).
Piuma_

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