Il fantasma della notte.

di Fenixia
(/viewuser.php?uid=503542)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Flashback. ***
Capitolo 2: *** Il custode del parco. ***
Capitolo 3: *** I preparativi. ***
Capitolo 4: *** Il torneo, la festa... e il cadavere. ***
Capitolo 5: *** Lo sconosciuto. ***
Capitolo 6: *** Il sogno. ***
Capitolo 7: *** Richiesta d'aiuto. ***
Capitolo 8: *** L'unione fa la forza. ***



Capitolo 1
*** Flashback. ***


Tutto finisce prima o poi, tutto ha una conclusione.
La fine di un viaggio, la fine di un’epoca, la fine di una storia, la fine degli studi.
Non per forza la fine dev’essere negativa, a volte è meglio così, a volte è il destino che decide per noi di scrivere la parola fine, noi non possiamo farci niente, quando è giunta la fine possiamo solo attenderla e lasciare che ella passi.
L’uomo non va tanto d’accordo con la fine, con il termine di qualche cosa; l’uomo è sempre proiettato all’eterno, al “per sempre”.
“Per sempre felici e contenti”, “amici per sempre”… ma chi l’ha mai detto che è per sempre?
                                                                                         ***
Ben tornò a casa.
Erano le due e mezza della notte e l’abitazione si era fatta terribilmente silenziosa, troppo silenziosa, lo stesso silenzio sinistro avvertito nella casa abbandonata nel parco.
Ben era ancora scosso per ciò che aveva visto e l’unica cosa che voleva fare in quel momento era stendersi sul divano cercando di dimenticare tutto.
Sarebbe stata una nottata lunga e piena di incubi, questo lui già lo sapeva.
Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di quella ragazza che giaceva a terra tutta bagnata e con gli occhi spenti ma ancora aperti che guardavano il vuoto.
Al solo ricordo Ben rabbrividì.
Aveva preso un tale shock che l’idea di andare in camera delle sorelline per controllare che stessero dormendo lo terrorizzava, aveva paura che avvicinandosi a loro le avrebbe viste con gli sguardi persi nel buio della stanza proprio come quelli della ragazza del parco.
Chi aveva ucciso quella ragazza? Perché? L’assassino era quella sagoma indefinita che Ben aveva visto affacciarsi dalla finestra quando ormai lui e i suoi amici erano usciti? E se era lui, aveva riconosciuto Ben? Sapeva chi fosse?
Il terrore si stava impadronendo del ragazzo come un parassita che dimora all’interno della sua vittima che lo priva della propria vitalità, doveva assolutamente calmarsi.
Uscì in giardino con un bicchiere di spremuta  in mano e guardò la strada che intravedeva dietro le siepi.
Si accorse che la mano stava tremando e il liquido arancione schizzava fuori dal bicchiere.
Erano appena passate le due e mezza. Era una notte fresca di metà Maggio.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il custode del parco. ***


Ben e Bart stavano aspettando che Matt uscisse dagli spogliatoi dopo l’allenamento in piscina per il torneo del giorno seguente.
Il torneo a cui si stava preparando l’amico era un evento particolare a cui partecipavano le due scuole superiori del paese.
Queste si riunivano per sfidarsi in gare in piscina, staffette in acqua, tuffi e palla nuoto.
Matt era il capitano della squadra di nuoto del liceo e di conseguenza era anche il ragazzo più popolare della scuola e quello più desiderato dalle ragazze.
Ma oltre a questo Ben vedeva in Matt anche un amico leale su cui poter contare sempre, e come ogni persona, anche Matt aveva i suoi difetti, come quello di impiegarci più di una ragazza per prepararsi.
< Ma ha finito di lavarsi???> si lamentò Bart.
< Sai com’è Matt> replicò Ben.
I due ragazzi erano comodamente seduti sul prato del centro sportivo sotto i primi raggi solari primaverili della stagione.
Mancava poco alla fine della scuola e Ben e i suoi amici avrebbero passato la miglior estate di sempre prima dell’inizio del college.. dovevano solo superare gli esami finali, il che era un compito arduo per colpa della bella stagione in arrivo.
I ragazzi abitavano in un piccolo paesino sul mare e col bel tempo era inevitabile farsi un bagno dopo scuola, prima di tornare a casa per l’ora di cena.
Bart sbuffò nuovamente e si distese completamente sul prato assaporando la brezza primaverile, l’aria fresca e i fiori che sbocciavano.
Ben tolse le scarpe e incrociò le gambe mentre si guardava intorno.
Una folla di persone della sua età si era ritrovata al centro sportivo per assistere agli allenamenti della squadra di nuoto.
Era un evento molto sentito da tutti i ragazzi quello del torneo in acqua perché coinvolgeva i tifosi, gli amanti del nuoto ed era un modo per legare maggiormente con i coietanei della stessa scuola oppure fare nuove amicizie con gente sconosciuta.
Perciò erano numerosi gli spettatori durante gli allenamenti.
I ragazzi della squadra di nuoto erano diventati simili a delle icone per gli altri, dei modelli da seguire, vincenti, erano i veri campioni della squadra e di conseguenza lo diventavano anche gli amici.
Gli occhi di Ben non finivano di saettare da una parte all’altra del campo alla ricerca del suo amico quando scorse una figura in mezzo alla folla che catturò la sua attenzione.
Helen. Gemella di Matt e da sempre cotta segreta di Ben.
Due occhi verdi che sorridevano sempre e le labbra più belle della terra avevano fatto si che Ben cominciasse a vagare tra i ricordi arrivando sino al giorno in cui i due si erano conosciuti tempo addietro a casa di Matt.
Erano dei ragazzini ancora piccoli e  ingenui all’epoca, avevano solo sette anni.
Ben ricordò quando sua mamma, che ancora non aspettava le sue sorelline, l’aveva accompagnato a casa del suo nuovo amico per la festa in giardino insieme a tutti gli altri bambini.
Sua mamma suonò al campanello e ad aprire venne una giovane signora sorridente a cui venne affidato per tutto il pomeriggio il piccolo Ben.
Quando entrò in quella casa così accogliente, Ben ricordò l’odore di torta appena sfornata provenire dalla cucina, i palloncini colorati che sfolazzavano in alto e si muovevano ad ogni spostamento d’aria erano appesi qua e là per tutta la casa, la rampa di scale ne era sommersa.
Appesi sui muri dipinti di rosso c’erano degli addobbi che dicevano “Buon compleanno Matty e Helly” , i soprannomi con cui erano chiamati da piccoli i due festeggiati.
Ben si avvicinò all’estremità opposta del corridoio, attratto dalle urla festose di bambini irrequieti che giocavano a rincorrersi o a spruzzarsi con le pistole d’acqua che i genitori di Matt avevano comprato per tutti i maschietti, per le bambine dei morbidi peluches a forma di animali diversi.
Si affacciò sulla veranda agghindata di festoni e preparata per accogliere un numero elevato di bambini scatenati e affamati, scorse l’amichetto del cuore dall’altra parte del giardino che arrivava spedito, veloce come una furia addosso a Ben tanto che quando Matt lo abbracciò i due bambini caddero a terra accompagnati da un tonfo spropositato.
Ben ricordò le risate gioiose dei due monelli. Ricordò anche che quel giorno era particolarmente soleggiato e caldo, perfetto per schizzarsi con l’acqua della canna in giardino e rincorrersi a piedi nudi sull’erba bagnata.
I ricordi che Ben aveva di quel giorno gli apparivano nella testa come fotografie che immortalavano bambini divertiti e sporchi di cioccolato con in testa i cappellini da festa di compleanno.
Solo un ricordo gli appariva in movimento, quello in cui vide per la prima volta la piccola Helen giocare nel prato con le amiche.
Indossava un grazioso vestitino azzurro a pois bianchi piccolini, sulla vita un nastrino blu legato con un fiocco fatto dalla mamma.
I corti capelli biondi, che non arrivavano ancora alle spalle, erano sistemati grazie a un cerchietto nero che teneva indietro la frangetta e che Helen adorava sfoggiare quel giorno.
Era circondata dalle amichette che continuavano a scappare da un branco di bambini inferociti e con in mano le pistole ad acqua, un po’ si schizzò sul vestito della dolce Helen così cominciò a rincorrere il colpevole.
Artù, il cane che all’epoca era un pastore tedesco di appena due anni, si eccitava nel vedere tutti quei bambini correre e così inseguiva il suo padroncino che gli spruzzava l’acqua.
Anche il ricordo in cui Helen parlò per la prima volta a Ben non era una semplice foto, ma un pezzetto di un film lungo diciott’ anni.
ricordò di aver sentito una voce armoniosa e gioiosa alle sue spalle.
Quando il piccolo Ben si girò vide l’immagine di quella ragazzina radiosa sorridergli apertamente, ancora bagnata per i giochi d’acqua.
Ben ricordò anche la figuraccia che fece quando rimase completamente in silezio, sorpreso da quell’insolita attenzione che sperava di ricevere un giorno.
Però da quell’incontro i due sarebbero rimasti amici, e all’alba dei diciott’anni, quando si incontravano e chiaccheravano venivano scambiati per fratelli….. già, fratelli.
< Ciao panzoneeeee!> Matt finì sulle spalle di Ben con tutto il peso che aveva facendo finire l’amico steso a terra.
“Proprio adesso che mi stava guardando Helen doveva fare l’idiota”  penso Ben quansi umiliato.
Matt era così, quando si trattava di un amico, gli faceva capire tutto il suo bene buttandosi addosso e facendogli i dispetti come un fratello maggiore farebbe con quell minore.
Matt e Helen non erano soli, avevano un fratello più grande, James che frequentava il college e tornava nel fine settimana.
Tra poco sarebbe tornato a casa, i due fratelli gli avrebbero fatto trovare una sorpresa al suo rientro e per organizzare una piccola festicciola, Matt aveva chiesto l’aiuto al suo migliore amico per eccellenza, Ben, il che lo faceva sentire più che importante, uno della famiglia.
I ragazzi raggiungiunsero il loro covo segreto che non era altro che una vecchia casa abbandonata in un parco pubblico.
Una casa dall’aspetto insolito e tetro che metteva paura alla maggior parte della gente.
Era più una villetta con le tapparelle sempre abbassate e quelle poche finestre aperte avevano i vetri rotti, il giardino intorno alla villetta era pieno di cianfrusaglie inutili e libri sul terzo occhio e argomenti abbastanza inquietanti.
Era la vecchia dimora del custode del parco e da anni correvano storie agghiaccianti sulla fine della famiglia che ci abitava.
La storia più diffusa raccontava che una notte il custode sentì dei rumori strani provenire dal parco.
Stanco morto e furioso pensando fosse l’ennesimo ubriaco che si intrufolava all’interno dello spazio per bere, prese la torcia e uscì con un bastone in mano pronto a colpirlo se avesse cercato di fargli del male.
Uscito dalla porta sul retro intravide due sagome fluttuanti in aria vestite di bianco, ma il buio della notte nascondeva bene i colori, quindi si intravedevano appena.
Le sagome pallide fluttuanti e il buio dietro di esse che non lasciava spazioe alla vista rendeva l’immagina macabra.
Per poco il custode non ebbe un attacco di cuore pensando fossero dei fantasmi.
Ma lui era un uomo troppo realista e concreto per credere a delle stupidaggini sui fantasmi.
Si avvicinò cautamente centrando di non fare rumore, il cuore a mille pompava il sangue a una velocità sconcertante.
Ad ogni passo il pover uomo sentiva la terra sotto i piedi tremare, si preoccupò che la torcia fosse salda nella mano sudata.
Una folata d’aria fece si che quelle due sagome indistinte iniziassero a fluttuare con maggior velocità.
Terrorizzato puntò la torcia contro quegli strani esseri nell’ombra e vide le facce piene di lividi e di sangue della moglie e del figlio strangolati dai cappi.
Preso dal panico l’uomo tentò di scappare nella speranza di chiedere aiuto a qualcuno ma si dice che il killer l’avesse sorpreso che correva verso l’uscita e l’avesse ucciso a pugnalate.
Il giorno dopo i primi a trovare il cadavere dell’uomo furono i mattinieri intenti a fare jogging alle sette del mattino di una domenica di pieno inverno.
Da quel momento le voci hanno sempre rivelato la presenza di fantasmi all’interno della casa e persone testimoniarono la loro apparizione mentre tutti e tre erano affacciati alla finestra della camera da letto del custode.
L’omicidio avvenne molti anni prima della nascita di Ben e dei suoi amici i quali non si sono mai fatti impressionare da storie macabre e sinistre.
Perché di storie simili venivano raccontate nei film, venivano modificate dalla gente a proprio piacimento e ormai loro erano ragazzi grandi per star dietro alle storie di fantasmi.
L’unico oggetto che poteva prestare sospetto e dare alla storiella un minimo di verità erano i due cappi appesi all’albero nel giardino sul retro, ma non per questo dovevano esserci fantasmi che girovagavano di notte in quella casa vecchia e sporca.
L’unico che un po’ credeva alla favoletta e che se la faceva sotto per ogni rumore che sentiva era Andy, che ora stava aspettando proprio fuori il cancello della villa che arrivassero i suoi amici.
< Ce ne avete messo di tempo!> si lamentò.
< è colpa di Matt! Ci mette più lui a prepararsi di sua sorella!> lo indicò Bart scocciato.
< Sei sempre il solito!> sbuffò Matt sentendosi alle strette.
“Helen…”
< Domani è il grande giorno! Vedi di fare un bel po’ di punti Leader!> disse Bart picchiettando la spalla di Matt in segno di incoraggiamento.
< Lo faccio sempre!> disse stizzito lui.
I ragazzi chiaccheravano animatamente quando Andy si paralizzò nell’istante in cui sentì un rumore sospetto venire dalla casa.
< L’avete sentito?> chiese agli altri.
< Sentito cosa?> domandò Ben.
< Quel rumore…>
< Te lo sarai sognato come sempre> replicò Bart.
< No,no ragazzi! L’ho sentito bene!>
E poi lo sentirono davvero tutti.
Un rumore strano che provenire dal giardino sul retro.
Come di un ramo spezzato in due.
E poi ancora un’altra volta e un’altra ancora.
Fino a che non videro comparire l’ombra di un uomo che veniva verso di loro.
< Oh no….>
< Scusate il disturbo mi levo subito…> disse il barbone del paese che tutti conoscevano come Willy.
< Era solo Willy, idiota!> disse Bart innervosito.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** I preparativi. ***


Era un sabato mattina e Ben si svegliò più carico che mai e pronto per assistere al torneo in acqua della sua scuola superiore.
Al torneo avrebbe partecipato il suo amico Matt e avrebbe fatto il tifo per tutta la squadra insieme agli altri suoi compagni e amici.
Quella mattina Ben si alzò prima e si fece una doccia fredda per svegliarsi.
Finita la doccia scese in cucina quando ancora era tutto spento e silenzioso e sua mamma non si era ancora svegliata.
Si versò un po’ di aranciata nel bicchiere e prese due fette di pane da tostare.
Poi attese affacciandosi alla finestra per vedere i primi movimenti mattinieri.
Ben spostò la tenda e incrociò il furgoncino che trasportava i rifiuti parcheggiarsi nella villetta affianco a quella del ragazzo.
Non c’erano ancora segni di traffico in giro anche perché era appena iniziato il week-end quindi la maggior parte delle persone ancora dormiva.
La macchina per il tostapane scattò e Ben si sbrigò a tirare fuori le fette e a spalmarci la marmellata.
Il cellulare vibrò all’improvviso facendo scivolare dalla mano di Ben il coltello con cui si serviva per la marmellata.
Corse a vedere chi gli avesse scritto e sul display apparve il nome di Andy: “Alle otto davanti ai cancelli della scuola, andiamo tutti insieme”.
Ben guardò l’orologio, erano le sette, aveva un’ora di tempo per prepararsi… non che ci mettesse tanto a prendere un paio di jeans puliti e una felpa dall’armadio.
Finita la colazione mise le stoviglie a lavare e ritornò in camera sua.
Prese un paio di jeans scuri, una maglietta a maniche corte e una felpa con la zip, prevedeva una giornata calda.
Decise di non venire con la divisa della scuola, in fondo non era un giorno scolastico, quindi non c’era l’obbligo.
Si lavò i denti, si diede una risciacquata alla faccia e si sistemò la crestina dei capelli e scese nuovamente afferrando la borsa a tracolla e le chiavi della bici all’ingresso.
Ben sapeva che giornata intensa l’aspettava.
Appena ritrovato con i suoi amici sarebbe dovuto andare al centro sportivo dove tutti i ragazzi delle due scuole avevano allestito stand della frutta e dei panini per il mezzogiorno, durante la pausa tra un gioco e l’altro.
Molti della sua classe si ritrovavano presto per addobbare la palestra e l’ingresso al centro sportivo.
Il compito di Ben era quello di distribuire i volantini per l’evento in giro di modo tale che non solo gli studenti partecipassero ma anche gente comune oppure i genitori che venivano con i propri bambini a a vedere il torneo per passare un giorno in compagnia.
In genere la pubblicità funzionava molto, alla fine si presentavano genitori di ex studenti del liceo oppure quelli i cui figli si sarebbero iscritti a breve.
Era un modo per quest’ultimo gruppo di persone per presentare i futuri licei e chiaramente chi vinceva faceva più bella figura.
Per questo tra le due squadre c’era molta competizione e il nervosismo sugli spalti dilagava, l'aria si tagliava a fette.
Le gare iniziavano alle dieci della mattina e chiudevano alle sei di sera, anche se come tutti gli anni questi giochi si protraevano più a lungo quindi si finiva anche per le sette.
Inoltre gli studenti del liceo della squadra vincitrice si ritrovavano per una festicciola tranquilla nel parco comunale, e si sa, quando i ragazzi festeggiano la serata va avanti per chissà quanto, in genere però tutto finiva  a mezzanotte circa.
L’anno scorso la vincitrice fu la squadra avversaria, due anni prima il liceo di Ben vide la vittoria, quest’anno era tutto nelle mani delle nuove promesse del nuoto e di Matt, il capitano che l’anno scorso non si è dato per vinto fino alla fine.
Ben fece per aprire la porta quando sentì dei passi provenire dal piano di sopra si fermò un secondo per vedere chi fosse.
< Già scappi Ben?> disse sua madre ancora mezza addormentata e con la vestaglia addosso.
< Mamma lo sai che ci si deve muovere presto per il torneo..>
Sua mamma borbottò qualcosa che Ben non riuscì a cogliere, lo salutò con un cenno del mento e tornò in camera a dormire.
< Vieni più tardi a preparare la festa al parco se vinciamo?> urlò Ben dalle scale.
< Tieni tu le bambine?>
Era un palese "no".
Ben sbuffò rumorosamente sperando che sua mamma lo sentisse, uscì di casa e sbattè la porta con violenza.
Odiava conversare con sua mamma.
La situazione famigliare di Ben era parecchio complicata.
A due anni dalla nascita delle gemelline Eleanor e Trudy, i suoi genitori si separarono a causa di un tradimento che sua mamma aveva fatto nei confronti nel padre, si portò a letto un suo collega e la relazione clandestina andò avanti per qualche mese.
Suo padre poi andò a convivere con una donna, anche lei divorziata e con due figli, a Londra.
Dopo il suo trasferimento Ben vedeva suo padre di rado, due settimane durante le vacanze estive e qualche giorno durante quelle invernali, alternava il giorno di Natale a quello di Capodanno con i suoi.
Sua mamma non si era mai perdonata per quello che aveva fatto e col tempo si rifugiò nel suo mondo solitario, sorridendo raramente e in casi eccezionali quando era a contatto col pubblico o quando i figli festeggiavano gli anni.
Non voleva apparire come la donna fragile e depressa, ma il punto era che tenendosi dentro tutto quel rancore e quell’odio verso sé stessa, aveva finito per farsi il sangue amaro e per uccidersi interiormente, logorando la sua povera anima e riducendola in mille pezzi.
Non parlava neanche più tanto con suo figlio, e questo perché secondo Ben, lui le ricordava suo padre anche nell’aspetto fisico.
Sta il fatto che col tempo Ben aveva imparato ad odiarla tanto quanto lei odiava sé stessa e non l’aveva mai perdonata per quello che aveva fatto né per il comportamento che adottò in seguito con lui.
Nell’ultimo periodo Ben aveva provato a lasciarsi tutto questo alle spalle, e aveva provato ad aprirsi con la madre cercando di restaurare un rapporto andato perso, ma il cammino era ancora lungo e tutto in salita.
Inoltre non perdonava ad entrambi i genitori di essersi divisi lasciando che tre ragazzini crescessero senza vedere mai un padre, lasciando che due povere creature così piccole non vedessero mai il proprio papà.
Ma ormai per le gemelline era la normalità quella.
Ben amava le sue sorelle, anche se erano pasticcione e combinavano solo casini facendo finire sempre nei guai il povero fratello maggiore.
Per lo meno ridevano ed erano le bambine più solari del mondo, il che era solo un bene per tutti.
Ben aprì il garage e prese la sua bici e partì alla volta della scuola passando prima a prendere Bart pochi isolati più avanti.
                                                                                                                      ***
< Ben hai portato i volantini?>
< Ho tutto nella borsa tranquillo..>
< Bravo ragazzo>
Ben, Andy e Bart si incamminarono alla volta del centro sportivo dove ad attenderli trovarono un centinaio di studenti che gironzolavano a destra e a sinistra con cartelloni in mano, sedie, cesti di bibite e borse termiche con dentro i panini freschi.
< Che bordello allucinante…> commentò Bart.
< Ok ragazzi io vado a destra, voi due a sinistra..>
< Si,si sappiamo cosa dobbiamo fare, rilassati Andy>.
Anche se all’apparenza non lo dimostravano, Andy e Bart erano migliori amici, solo che Bart aveva un modo tutto suo di dimostrare simpatia che si rivelava nello stuzzicare le persone e brontolare per qualsiasi cosa dicessero.
< Volevo solo che fosse tutto chiaro, quest’anno siamo solo noi a distribuire volantini della nostra scuola, poi ci sono solo gli sboroni dell’altro liceo… puzzoni!>.
Ma quando Andy si girò avrebbe voluto non aver mai pronunciato quelle sillabe.
Davanti ai tre ragazzi si piazzò un gruppo di cinque tipi ben piazzati che venivano dall’altra scuola, cinque zoticoni a giudicare dalla faccia.
Il primo ragazzo, anzi zoticone che apriva la fila, doveva essere il leader, serrò le mascelle e fissò i piccoli occhi di Andy che lasciavano trasparire tutta la sua ansia nel vederli lì, grandi e grossi, davanti a lui.
Poi si piazzarono due ai lati del boss e quello dietro si mise in mezzo a godersi la scena, mentre di tanto in tanto voltava lo sguardo verso Ben e Bart.
< A chi hai dato dei puzzoni?>
< A..a…> balbettò Andy.
Il boss gli fece il verso. Tutti risero ma Ben e Bart rimasero impassibili e i loro sguardi comunicavano odio profondo.
< Allora?>
< A nessuno!> disse infine il povero amico.
< Sicuro? Perché credo non essermi sbagliato quando ti ho sentito dire gli sboroni dell’altro liceo...>
< Ti sbagli>
< Io non penso proprio di sbagliarmi.. non succede mai>
Poi intervenne Bart.
< Io invece penso che origliare non sia galante e che dovreste farvi gli affaracci vostri!>
Il boss fulminò Bart e scansò Andy, che era la metà di quel ciccione obeso per raggiungere Bart dietro di lui.
< E tu chi sei?>
< Non ti è dato saperlo!>
Il boss rise e di conseguenza tutta la sua ciurma di idioti che facevano tutto quello che faceva il capo per paura di essere sbranati vivi.
Poi l’omaccione si avvicinò ancora di più a Bart con fare minaccioso.
Ben notò che strinse i pugni e le dita diventarono bianche per la stretta.
Poi si mise davanti a Bart con l’intento di difendere l’amico.
< Perché non girate al largo?>
< Tu chi ti credi di essere?>
< Di sicuro uno più sveglio di te e ora vattene per piacere!>
Ma quella frase non fece che mandare su tutte le furie l’omaccione che scagliò un pugno in faccia a Ben, stendendolo.
Bart lo prese da dietro, si sentì qualcuno urlare e altri ragazzi che Ben non conosceva si avvicinarono.
Dei bisbiglii provenivano all’orecchio di Ben.
Rissa! Rissa! Rissa!
Ma il ragazzo non ci fece molto caso, sperava solo che quel ragazzone non gli avesse rotto il naso.
Ben si assestò in piedi e quando fu sicuro di avere il pieno controllo del suo corpo si buttò sulla pancia di quel trippone prendendolo alla sprovvista.
I due si rotolarono a terra dandosi cazzotti e pugni a non finire, c'era gente che urlava per attirare l’attenzione mentre Ben veniva schiacciato da quell’armadio di ragazzo.
Sentì Andy chiamarlo per nome e dei ragazzi provarono a togliergli l’omone di dosso senza riuscirci.
Ben sferrò un pugno sulla mandibola del tipo e quello non esitò a tiragli una gomitata in pancia.
< Fermi! Fermi! Che fate razza di imbecilli!>
Il mister della squadra di nuoto era venuto in soccorso a Ben.
< Levati palla di lardo! E tu Wilson alzati, perdinci!>
Il mister era rude ma conosceva tutti i ragazzi della sua scuola, da anni spronava Ben ad entrare nella squadra dopo che la madre gli aveva confessato che il ragazzo aveva fatto nuoto da piccolo.
A Ben sarebbe piaciuto ma ai tempi frequentava dei corsi pomeridiani che si accavallavano e quindi era costretto a scegliere tra l’utile e il dilettevole.
Ben si alzò e i suoi amici gli vennero incontro per aiutarlo. I cinque zoticoni se ne andarono con la coda tra le gambe dopo che il Mister diede loro una lavata di capo davanti a tutti.
< Muovetevi a distribuire quei volantini voi tre!> ordinò il Mister.
Lo sguardo di Ben finì per terra, metà del suo mazzetto era finito un po’ nella pozzanghera accanto a lui e un'altra era stropicciata e inzuppata di fango, dananzzione a  quella stupida cartella che non si chiudeva mai bene.
< Stai bene?> chiese Andy.
< Tranquillo, non mi ha fatto niente…>
< Noi andiamo a distribuire volantini.. tu vieni?>
< Non ne ho.. resto seduto qua ad aspettarvi..>
< Sicuro?>
< Sicuro. Andate!> Ben liquidò i suoi amici.
Per rassicurarli sfoggiò per loro un sorriso che nascondeva la fitta di dolore che Ben provava alla milza, quel ciccione gli era piombato addosso con la delicatezza di un elefante che cade a terra a peso morto.
I due amici si allontanarono e Ben rimase solo, anche se per poco.
Si accasciò su un muretto appena fuori il centro sportivo e rimase un secondo seduto a massaggiarsi tutto l’addome.
Fino a che una voce non lo paralizzò all’istante.
< Ben!>
Il ragazzo si girò e cercò la voce che l’aveva chiamato.
Helen.
Gli venne un leggero tuffo al cuore, ormai aveva imparato a controllare le sue emozioni meglio di chiunque altro.
Fece l’indifferente e provò a nascondere il dolore che pulsava ai fianchi.
< Ciao Helen>
< Ti ha fatto tanto male quello là?>
Aveva visto la scena. Aveva visto che le aveva prese di santa ragione. Ottimo!
< No no… ma va, mi è solo finito il suo dolce peso da rinoceronte addosso ma sto bene>
Si mise a ridere.
Aveva il sorriso più bello del mondo.
< Che cosa devi fare adesso tu?>
< Oh beh dovevo distribuire i volantini prima che quel ciccione me li buttasse nella pozzanghera>
< Oh capisco.>
Helen si appoggiò al muro posando la borsa su una gamba per aiutarsi mentre frugava all’interno in cerca di qualcosa.
Poi estrasse un mazzetto scarno degli stessi volantini di Ben.
< Se vuoi ho questi io>
< Come fai ad averli?>
Helen sorrise ancora.
< Ben! Sono la sorella del capitano della squadra di nuoto. È logico che abbia queste cose>
< Giusto!>
Che idiota! Altra figuraccia.
< Ma tu?> chiese Ben. Esitò un attimo a prendere i volantini.
< Io sono allo stand della frutta! Dove c’è da mangiare ci sono anche io!> sorrise.
La cosa che adorava più di tutto dei fratelli Thompson era il loro umorismo, il fatto che sapessero scherzare su sé stessi, e quando si prendevano in giro da soli erano fenomenali.
Ben abbozzò un sorriso.
< Ottima scelta!>
< A dopo allora. Se vuoi vedere Matt è appena andato agli spoigliatoi… > disse mentre consegnava i volantini a Ben.
Poi si avvicinò al ragazzo. Ben ebbe un attacco di cuore e stavolta fece fatica  a controllare l'agitazione.
< Lui non lo ammetterà mai davanti a me. Ma stamattina era nervoso più del solito, un conforto dal suo migliore amico\ fratello gli farà bene>
Ben ingoiò la saliva che si era formata in bocca.
< Ci vado subito>
Il ragazzo aspettò che Helen si allontanasse per osservarla, non lo vedrà mai come qualcosa di più di un semplice amico, lo vedrà solo come un fratello acquisito, fine della storia.
Ben corse agli spogliatoi lasciando l’incarico di ditribuire i volantini a Jack, un ragazzo che faceva biologia con lui.
Erano le nove e mezza, tra mezz’ora cominciava lo spettacolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il torneo, la festa... e il cadavere. ***


Le urla dagli spalti risuonavano negli spogliatoi giù da basso.
La squadra di nuoto si era riunita tutta intorno al Mister che stava intrattenendo i ragazzi con il solito discorso per fare in modo che acquistassero fiducia in loro stessi e credessero in quello che facevano.
Matt era seduto sulla panchina.
Di fianco a lui il suo migliore amico gli aveva ripetuto per un’intera mezz’ora che avrebbe vinto e che sarebbe diventato più popolare di prima.
L’aveva calmato recitando alcune battute dei loro film preferiti e insieme avevano cominciato a vagare con la fantasia in un futuro prossimo.
Alla fine era servito per far comparire sul volto tirato del giovane atleta un sorriso.
Quella mattina Matt era parecchio nervoso, più del solito, tanto che anche sua sorella l’aveva capito al volo ed era rimasta in silenzio per tutto il tragitto in macchina, rispettando il fratello.
Ma come dargli torto, il suo era l’ultimo anno che passava in quel liceo, non mancava di certo tanto alla fine.
Concludere in grande stile sarebbe stato fantastico.
La coppa sarebbe finita nella vetrina all’ingresso del liceo e la foto della squadra vincitrice su tutti gli annuari, tutto ciò avrebbe riempito di orgoglio Matt e tutta la ciurma di marinai acquatici.
Matt era il capitano per giunta; non poteva farsi trovare poco convinto e col morale a terra, era il leader, era colui che doveva infondere fiducia nella squadra.
Per fortuna era arrivato in suo soccorso Ben!
< In gamba ragazzi!> gridò il Mister, sempre carico e pieno di energia.
La squadra lanciò un urlo liberatorio e tutti quanti i componenti si radunarono all’uscita che dava sulla piscina comunale.
Matt si alzò carico e pieno di adrenalina in circolo nel sangue, era pronto davvero!
< Io sono sugli spalti, se hai bisogno di incoraggiamento cerca uno striscione giallo, li ci siamo noi!> sorrise Ben.
< Grazie amico!>
I due si separarono e Ben corse sugli spalti.
Matt si fece largo tra le persone e raggiunse l’estremo opposto da cui era partito per mettersi a capo della fila.
Da dove era lui ora riusciva a scorgere gli spalti sopra la tua testa, alcuni ragazzi della scuola erano venuti con i propri strumenti musicali e avevano cominciato a suonare qualcosa per riscaldarsi e cercando di incoraggiare la propria squadra.
Le grida festose e il rumore che i gruppi sparsi facevano sbattendo i piedi sul cemento facevano rimbombare l’intero spazio al coperto tanto che nell’acqua si intravedevano le onde sonore vibrare leggermente.
Le luci sul soffitto erano potenti e guardarle facevano venire le vertigini.
Matt si concentrò sull’acqua. Chiuse gli occhi un istante.
Isolò sé stesso dalla platea e dal rumore assordante.
Nella sua testa comparve l’immagine della piscina.
Era grande, ma anche lui lo era, non gli faceva nessun effetto, era una piscina qualunque, che cosa avrebbe dovuto fargli?
Nuotò a dorso in quella piscina immaginaria a una velocità impressionante.
Matt aprì gli occhi, era più sicuro che mai e niente l’avrebbe fermato.
Si girò verso i suoi compagni: < Qua le mani!> disse.
Merda! Merda! Merda!
Un urlo di gioia.
L’arbrito fischiò e le due squadre con i rispettivi allenatori fecero il loro ingresso seguiti da una moltitudine di liceali schiamazzanti ed entusiasti.
La prima prova consisteva in una staffetta e il primo a partire era il capitano.
I ragazzi si sistemarono il costume, indossarono gli occhialini e alcuni il tappanaso.
Matt si posizionò sulla pedana e guardò a destra il suo avversario: altro, muscoloso ma anche lui nascondeva dietro gli occhialini la stessa tensione e adrenalina che provava il ragazzo.
Si posizionarono, Matt pose le dita delle mani a contatto con quelle dei piedi.
Ci siamo, era arrivato il momento.
Prima di concentrarsi solo e unicamente sulla gara sbirciò in alto in cerca dello striscione giallo.
Curiosò a destra e poi lo scorse sulla curva alla sua sinistra che svolazzava sotto il controllo di Andy e Ben che si agitavano per la gioia.
Matt sorrise. Tornò con gli occhi sulla piscina, era maledettamente piatta come una tavola, perfetta.
L’arbritro gridò, ai posti… via!
Matt si tuffò e cominciò la gara.
 
Ben vide l’amico fare un salto esteso e finire in acqua e nuotare più veloce di un fulmine, Matt era bravo, molto bravo nel nuoto.
Tre bracciate, respiro, tre bracciate, respiro, un movimento meccanico e regolato che gli permise di velocizzarsi e concludere la sua prova prima dell’avversario che era ancora in alto mare.
E così partì il secondo concorrente della propria squadra, poi il terzo, poi il quarto ed infine il quinto.
Durante la prova del penultimo concorrente della squadra di Matt aveva incontrato delle difficoltà facendo restare col fiato sospeso tutti i tifosi, successivamente riuscì a recuperare e il quinto per un millesimo di secondo arrivò primo dell’avversario.
Prima vittoria.
La giornata era iniziata bene.
A ruota seguì la prova dei tuffi che fu interrotta a metà mattinata dalla pausa pranzo.
Durante la pausa i ragazzi corsero negli spogliatoi per raggiungere l’amico.
Matt aveva appena finito la sua prova effettuando un semplice salto in avanti e finendo perfettamente in acqua senza troppi schizzi.
Avevano totalizzato un buon punteggio ma la differenza tra la squadra avversaria era minima, ma loro erano pur sempre in vantaggio.
Subito dopo la pausa pranzo i ragazzi avrebbero iniziato con i tuffi sincronizzati.
La squadra restava a digiuno, per evitare incidenti durante le prove.
Riprendevano le forze riposandosi e sorseggiando il proprio gatorade.
< Sei stato in gamba ragazzo!> disse Andy dandogli una stretta di mano.
< Ci hai visto sugli spalti?> chiese preoccupato Bart.
< Oh si che vi ho visto! Eravate i più casinisti!>
< Ammettilo ci sentivi da li..>
< Beh ovvio!>
La squadra di Matt era in vantaggio di appena quattro punti. Non era molto e quando sarebbero entrati in campo nuovi atleti, Matt doveva dare il meglio di sé per evitare che sorpassassero la squadra, l’adrenalina continuava ad essere in circolo e anche il nervosismo era abbastanza palese.
Ma Matt era più carico di prima, sapeva come muoversi, doveva solo stare attento.
< Andiamo a fare un giro> disse Ben e così i quattro ragazzi fecero due passi al fresco lontano dalla cappa che si era formata stando chiusi in una piscina comunale dove l’umidità era al cento per cento.
Bart e Andy corsero sulle altalene mentre Ben e Matt si posizionarono sul dondolo.
poco dopo si avvicinarono a loro Beatrix e Alyce, le due migliori amiche di Helen dai tempi della scuola materna.
Erano rimaste fuori a sistemare gli stand per la pausa pranzo.
< Come siamo messi ragazzi?> chiese Beatrix.
Bea era una ragazza dolcissima ma al tempo stesso sapeva trasformarsi in un maschiaccio e si trovava meglio con i ragazzi che con le sue coetanee.
In poche la capivano, semplicemente perché non si sistemava il trucco nei bagni durante il turno mensa, non si metteva in ghingheri per venire a scuola e perché il suo taglio sbarazzino non dimostrava affatto la sua dedizione per i capelli.
Per un breve periodo Ben pensò che fosse lesbica, non che ci sia niente di male nell’esserlo era chiaro.
Successivamente dovette ricredersi quando si mise insieme ad un certo Jason… Jacob.. oh insomma Ben non ricordava il nome di quel tizio, l’unica cosa che ricordava erano le idee andate in fumo dopo che li vide pomiciare nel giardino della scuola.
Molte ragazze erano invidiose di lei, dandole della poco di buono perché aveva più amici maschi che femmine, ma come già detto, Beatrix era un vero e proprio maschiaccio, era chiaro che i teenager provassero interesse per una ragazza che li capiva senza troppi giri di parola e senza che si scandalizzasse sentendo i loro discorsi, cosa fondamentale per i ragazzi.
Alyce invece era l’esatto opposto e una di quelle poche ragazze che apprezzavano la diversità dell’amica.
Veniva sempre a scuola con una pettinatura perfetta e alla moda.
Non potendo indossare ciò che voleva ma obbligata dalla divisa, si riempiva di anellini e bracciali che su di lei non stonavano nonostante il numero esagerato.
Sapeva di essere carina e far girare la testa a tutti i ragazzi… beh.. quasi tutti, Ben e i suoi amici non erano mai stati interessati a lei.
Era una ragazza un po’ lunatica e a volte insopportabile (e non era sempre dovuto al ciclo, era proprio nel suo DNA), tanto che Matt non amava averla troppo intorno quando Helen la invitava a casa sua, per questo stava in compagnia del super maschiaccio Beatrix o andava  a casa di Ben.
< Stiamo vincendo, cominciate  a chiamare rinforzi per la festa al parco di stasera> disse Matt.
Le due ragazze ridacchiarono.
Ben intravide il ragazzo che la stessa mattina aveva preso a pugni e cercò con indifferenza di nascondersi dalla sua visuale, a parte che il panzone era talmente rincitrullito che non si sarebbe ricordato di lui nemmeno per un istante.
Ben si tranquillizzò.
< Rientriamo? Tra poco riparte..>
Ben annuì e a ruota seguirono Andy, Bart e le due ragazze che appena dentro in piscina puntarono gli spalti dove ad aspettarle c’erano altre amiche.
Che fine aveva fatto Helen?
I quattro amici si separarono nuovamente e dopo qualche minuto le due squadre tornarono in campo per contendersi la vittoria.
Toccava ai tuffi sincronizzati e successivamente ci sarebbe stata l’ultima gara, ovvero una partita di pallanuoto che avrebbe decretato la squadra vincitrice dell’anno scolastico.
 
Nei tuffi sincronizzati Matt aveva dato il meglio di sé insieme ai suoi compagni, ma la squadra avversaria era riuscita di un soffio a superarli per qualche punto in più, occorreva rimettersi in sesto ed essere carichi per l’ultima gara decisiva.
Ci fu un breve intervallo di quindici minuti per permettere alle due squadre di organizzare la partita scegliendo i migliori giocatori e facendo riposare gli atleti più stanchi.
Sugli spalti il clima di tensione crebbe dopo la rimonta della squadra avversaria ed essendo l’ultima sfida i toni tra le due scuole si fecero abbastanza accesi.
< Si sta mettendo male ragazzi> disse Bart.
Il solito pessimista del gruppo.
< Che dici? Sono sotto di tre punti, si recuperano benissimo> intervenne Andy.
< Si.. sempre se gli altri non fanno altri punti>
Ci fu un attimo di silenzio.
Il primo a parlare fu Andy.
< Dite che è il caso di scendere a vedere come sta Matt?>
Se Bart era il solito pessimista, Andy, agli occhi di Ben, a volte pareva una mammoletta.
Aprì bocca per la prima volta da quando era iniziata quella conversazione togliendo la parola a Bart.
< Ragazzi! Matt se la sa cavare da solo senza che continuiamo a stargli tra i piedi… Si è già imbattuto in sfide come queste, lasciatelo respirare>
I ragazzi erano poco soddisfatti della risposta, ma vedendo la fermezza e la sicurezza di Ben, si accasciarono sugli spalti lasciando nelle mani dell’amico lo striscione giallo.
Pochi minuti dopo i ragazzi fecero nuovamente il loro ingresso in piscina ed erano tutti pronti per tuffarsi in acqua e prendere le postazioni.
Al liceo la pallanuoto veniva fatta a livello esclusivamente amatoriale, quindi le partite con la scuola avversaria non erano mai così tanto entusiasmanti.
Ben non amava tanto la pallanuoto, la trovava un po’ noiosa perché non riusciva mai a vedere la palla tra quella marea indistinta di schizzi provocati da persone esagitate che sguazzavano in acqua.
Non gliel’aveva mai detto a Matt e mai gliel’avrebbe detto, perché rischiare di offendere i gusti di un amico caro?
L’arbitro fischiò e cominciò la partita.
Sette giocatori della scuola misero anima e corpo in quella gara.
Ci furono alcuni falli che fecero partire scintille qua e là tra il pubblico.
L’atmosfera era sempre più gracchiante e i professori faticavano a contenere l'agitazione degli spettatori.
Matt era rimasto in panchina per tutta la durata del primo tempo fino a che all’inizio del secondo, il Mister lo sostituì con un giocatore che dava l’idea di essere morto distrutto.
Con l’entrata di Matt si sollevò un'onda seguita da un coro che partì dalla curva difronte a Ben e proseguì fino a che non si interruppe là dove si trovava un numero sempre più sostanzioso di liceali avversari.
Questo fu un buon modo per rendere fiducioso Matt che come non mai si sentiva carico e vincente.
Lo dimostrò mettendo a segno tre punti in porta avversaria.
Ora la squadra era più ottimista col proprio capitano in vasca e la partita non potè che concludersi nei migliori dei modi.
Al fischio di fine partita ci fu una seconda onda di gente esultante che si alzò dagli spalti per acclamare la squadra vincitrice.
I ragazzi appesi al parapetto sbattevano i piedi per terra producendo un rumore che via via divenne sempre più assordante.
I cartelloni sfolazzarono, gli striscioni che si muovevano ricordavano più dei budini in un piatto che ondeggiavano scossi da un movimento esterno.
I ragazzi erano ancora in acqua ma alcuni già si abbracciavano, facevano capriole, altri urlavano dalla gioia.
La piscina comunale era divisa in due, da un lato gli esultanti si unirono tutti insieme per formare un unico grande ammasso ondeggiante di gente allegra.
Dei ragazzi sui primi spalti disegnarono con i cartelloni le due dita alzate in segno di vittoria, si erano già organizzati una settimana prima, per fortuna che era servito a qualcosa tutto quel lavoro.
Dalla parte opposta c’era un via vai di gente che lasciava la piscina scendendo dalle gradinate e altri che semplicemente se ne restavano seduti a vedere la folla esultante.
Ce l’avevano fatta, avevano vinto, era il momento più bello di tutto l’anno scolastico, era un momento che i quattro amici non avrebbero dimenticato facilmente, neanche se fossero stati colpiti dall’ Alzheimer.
Ben corse a grandi passi giù dagli spalti e raggiunse il suo amico che era ancora in preda a uno stato di follia mista gioia che lo faceva impazzire.
Ben lo prese da dietro e per poco non caddero in acqua.
< Sei un grande! Sei arrivato tu e avete vinto! Sei il numero uno!> urlò all’amico con tutta l’aria che aveva nei polmoni.
Matt gli diede il cinque e lo abbracciò.
il rumore era ancora assordante.
< Pronto a festeggiare fratello?>
< Pronto a stare in piedi tutta la notte?> scherzò Ben.
< A rimorchiare? Uuh la cosa mi piace!>
 
I genitori avevano allestito una piccola zona del parco che sembrava fatta apposta per eventi quali feste, compleanni e ricevimenti simili.
All’interno del bosco gli alberi erano disposti in cerchio tanto da formare uno spazio enorme più o meno ovale su un terreno verde ideale per stendere i teli da mare e stare in compagnia.
Di inverno nessuno si azzardava andare in quel posto, non tanto per il freddo quanto perché per arrivarci bisognava fare un pezzetto a piedi tra gli alti busti degli alberi e c’era solo un piccolo sentierino a fare strada, il paesaggio metteva un po’ di inquietudine.
D’estate invece era una goduria.
I rami e i cespugli pieni zeppi di foglie nascondevano quel luogo appartato tanto è vero che una parte del sentiero assomigliava a una specie di tunnel.
Lo spazio ovale era protetto dall’afa grazie al venticello che si formava e gli alberi alti non permettevano al sole di insidiarsi troppo bruscamente. Era perfetto per le coppiette. era quasi un paesaggio bucolico.
I genitori avevano disposto un tavolo da buffet nel centro del luogo e per terra i primi ragazzi che erano arrivati avevano posizionato una serie di teli da mare e alcuni si erano già comodamente distesi mentre sorseggiavano gli analcolici (perché i genitori avevano espressamente chiesto niente alcol, almeno in quelle festività).
Un tran tran di gente accolse i quattro ragazzi che si buttarono subito sul buffet dalla fame, del resto erano le otto e mezza, in Inghilterra alle sei e mezza è già finita la cena.
Ben provò di tutto, dai salatini alle focaccine ripiene fino ad arrivare alla pasta.
Preso il piatto si allontanò da quella mandria imbufalita di gente affamata fino a scoppiare e si mise in un angolino ad aspettare i suoi amici affogati tra la folla.
Ben si guardò bene intorno, sembrava un raduno Hippie visti come erano vestiti certi ragazzi e soprattutto per il teli sul prato e gente distesa che conversava senza conoscersi.
Non stavano per caso aspettando l’arrivo di qualche rock band o di un musicista un po’ suonato e anche fatto che avrebbe cantato in un parco?
Beh se fosse stato così sarebbe stato bello.
I tre amici riemersero e lo raggiunsero in quell’angolino sedendosi sull’ultimo telo libero.
< Che ben di Dio ragazzi!> esclamò Andy.
< Dov’è il Mister? Tutti i genitori vogliono fargli i complimenti per il lavoro fatto> chiese Bart.
Matt cacciò giù un pezzo di mortadella e prese fiato per rispondere.
< Sai com’è lui. Non ama le feste, poi con la scusa che è appena nato suo figlio scappa sempre per tornarsene a casa con la famiglia..>
Rimase in silenzio un attimo, come per pensare, poi riprese il discorso.
< E poi si devono congratulare con noi, lui non è mica entrato in acqua a giocare!> disse infine.
Matt scherzava. Sapeva bene che il Mister li aveva allenati bene quell’anno, era merito suo se loro avevano vinto facendo sentire tutta la scuola orgogliosa della propria squadra di nuoto.
Ben rise. Poi controllò il cellulare visto che era tutto il giorno che non lo guardava.
Vide due messaggi da parte di sua mamma.
“Come siete messi? State vincendo?” , il primo mandato alle cinque meno dieci del pomeriggio.
Uno alle sette e mezza “Immagino abbiate vinto. Quando torni metti l’antifurto e non svegliare le bambine”.
Questa era sua mamma.
Una donna che non si preoccupava del figlio e qualunque cosa stesse facendo e con chi non era poi un grosso problema.
Non le interessava nemmeno di fare i complimenti alla squadra, di partecipare con gli altri genitori all’allestimento.
Come poteva riprendersi da quello stato vegetativo se non faceva niente per cambiare? Come poteva Ben sperare ancora di avere un rapporto con una persona come lei?
Era una fortuna che Ben non frequentasse cattive compagnie.
 
Erano passate tre ore da quando Ben e i suoi amici erano arrivati alla festa e dopo balli, chiaccherate e presunte avance a qualche bella ragazza, i quattro amici decisero di tagliare la corda e scappare nel loro covo segreto, lontano dagli occhi indiscreti dei genitori che stavano per levare le tende sistemando e togliendo il tavolo da lì.
I ragazzi fecero a gara per chi arrivasse primo e il campione fu Andy, seguito da Ben, Matt e infine, come sempre, Bart lo sfaticato che odiava l’attività fisica, l’unico ragazzo in tutto il liceo ad odiare educazione fisica.
I ragazzi arrivarono all’ingresso della villetta e spostarono un pezzo di legno per poter intrufolarsi all’interno dell’abitazione facendo attenzione a non calpestare la miriade di vetri rotti a terra.
< Io continuerò a dirlo, questo posto mette i brividi..> disse Andy con la voce tremolante.
< è per farti spaventare meglio!> ululò Matt mettendo la luce del cellulare sotto il mento e creare così quell’immagine macabra del suo volto.
< Ah-ah-ah che spiritoso!>
< Umorismo portami via, vero Andy?> lo schernì Bart.
< Tu sta’ zitto>
I ragazzi salirono le scale a passi molto lenti com’erano soliti fare per evitare che qualche gradino si crepasse e li facesse franare al piano di sotto.
L’interno della casa era chiaramente buio a quell’ora così per farsi luce i quattro amici utilizzavano i loro cellulari accesi.
Al piano di sopra, pieno zeppo di libri sparpagliati a destra e a sinistra con fogli strappati, trovarono due camere da letto e una stanza che i ragazzi non erano mai riusciti ad aprire ma che immaginavano fosse il bagno.
Raggiunsero la camera più piccola, quella cui secondo la leggenda appartenesse al figlio della sventurata famiglia.
La porta era chiusa, strano. In genere i ragazzi la lasciavano sempre aperta.
Sentirono dei rumori provenire da dentro la stanza e i nervi dei ragazzi presero a ballare in tutti i loro corpi.
Chi c’era?
I ragazzi si acquattarono nell’angolo, Andy che era un fascio di nervi completo.
Se era ancora il barbone, Andy gli avrebbe dato una strigliata bella e buona questa volta.
Ben impugnò la maniglia e la girò con uno scatto veloce spalancando la porta.
Irruppero tutti e quattro dentro la stanza ma rimasero con le bocche spalancate non appena riconobbero gli intrusi.
Helen, Beatrix e Alyce era dentro quella stanza sedute per terra e in cerchio intente a raccontarsi chissà quale storia di paura.
Alla vista improvvisa dei quattro amici le ragazze cacciarono un urlo assordante tanto che Matt corse dentro per cercare di calmarle.
< Ma siete pazzi? Ci avete fatto perdere dieci anni di vita, idioti!> sbraitò Alyce.
< Hei calma con le parole, siete voi che siete entrate nel nostro nascondiglio!> le fece testa Bart.
< Il vostro che? Ma cosa siete? Dei bambinetti di otto anni che giocano ancora ad avere il loro covo privato!!> continuò imperterrita Alyce.
Ben abbassò lo sguardo.
Ma chi si credeva di essere lei? Quattro amici non potevano avere un posto tutto loro dove poter fare ciò che volevano? Era proibito dopo una certa età?
Andy intervenne nella discussione.
< Ora basta! Che ci fate qua?>
Alyce fece per parlare ma Beatrix le tappò la bocca e diede la parola a Helen.
< Volevamo passare una serata un po’ particolare e siamo venute qua. Come potevamo sapere che era il vostro rifugio di cuori solitari?> disse con calma guardando verso il fratello.
Matt l’aiutò ad alzarsi.
La situazione agli occhi di Ben si stava facendo sempre più imbarazzante.
< Beh anche voi ci avete spaventato> disse Bart, ripensando alla scena spropositata di Alyce.
La ragazza sbattè i piedi a terra e si alzaò bruscamente.
Aveva un fare minaccioso e si avvicinò a Bart con tanta velocità che lo colse alla sprovvista.
“è pazza” pensò Ben.
Bart si fece scudo mentre la ragazza tentava di afferrarlo dimenando quelle manacce perfette con unghie lunghe che sembravano più gli artigli di una strega.
< Piantala Alyce!> tuonò Helen che tentò di immobilizzarle le mani.
Ma Alyce riuscì a dimenarsi da lei e a spingerla di lato facendola cadere sul pavimento.
La ragazza probabilmente non aveva calibrato la forza e quando si accorse di che cosa era successo si mise le mani davanti alla bocca e si rintanò in un angolino lontano dagli occhi severi degli altri ragazzi nella stanza.
Matt e Ben corsero ad alzare Helen che era caduta sopra un cumulo indistinto di sacchi neri.
< Tutto bene Helen?> chiese il fratello.
Alyce si avvicinò furtiva per vedere come stava veramente la sua amica.
Mortificata le chiese scusa.
< Ma non sono caduta per la spinta. Sono inciampata su qualcosa..> disse Helen.
Ben notò il cumulo indistinto nero.
Non l’aveva mai visto prima d’ora dentro quella stanza nell’angolo vicino alla finestra.
Quello in genere era l’angolo in cui si sedeva lui quando i ragazzi si ritrovavano il pomeriggio.
si avvicinò e poggiò le ginocchia per terra.
Ben tastò l’involucro per cercare di capire cosa ci fosse dentro.
Il materiale spesso e di plastica rese difficile l’analisi. Non sembrava un normale sacco dell’immondizia, anche se fu la prima cosa che Ben pensò.
Il ragazzo vide sul lato del sacco una cerniera a lampo.
Aprì a fatica il sacco poiché la cerniera si incastrava facilmente non essendo nuova di zecca e si bloccava spesso.
Il tessuto si ammorbidì e si accasciò sul pavimento.
Ben non aveva ancora capito cosa nascondesse quel sacco enorme.
Poi pian piano si srotolò definitivamente e ciò che trovarono i ragazzi fece venire la pelle d’oca a tutti.
le ragazze urlarono per lo spavento.
Il cadavere di una ragazza del tutto bagnata giaceva a terra con gli occhi ancora aperti e la pelle viola per quanto fosse fredda.
Gli occhi spenti di quella povera ragazza miravano a Ben che cominciò ad avere continui giramenti di testa e cadde a terra stordito, svenuto.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Lo sconosciuto. ***


Ben sentì una mano picchiettare sulla sua guancia e quando aprì gli occhi fece fatica a mettere a fuoco la vista.
Davanti a sé danzavano gli sdoppioni di Matt che cercavano di parlargli e dietro vide una moltitudine di gente che si era messa in cerchio a guardare la scena.
Cercò di stropicciarsi gli occhi e con l’aiuto del suo amico, lentamente si tirò in piedi.
Quando la vista ritornò a funzionare Ben capì che non era accorso nessuno a vedere cosa fosse successo, erano i suoi amici che lo guardavano preoccupati e coi fiati sospesi.
La testa gli pesava e girava vorticosamente.
Ben provò a chiudere gli occhi ma non faceva che peggiorare.
La sua mano sudata strinse più forte quella di Matt.
Le gambe cominciarono a tremare e ancora una volta Ben si sentì mancare.
< Ben! Amico riprenditi ti prego!> urlò Bart prendendolo da dietro.
Ancora una volta i suoi amici erano arrivati in tempo prima che crollasse al suolo.
Il ragazzo ricordava perfettamente cosa fosse successo prima che svenisse perdendo i sensi.
Helen era inciampata su un cumulo di sacchetti neri simili a quelli per la spazzatura.
Allora Ben era andato a controllare e quando aveva aperto il sacchetto aveva trovato all’interno un corpo senza anima di una povera ragazza.
Tutto quello che Ben ricordò fu una ventata d’aria pesante invadere il suo corpo.
Come se una forza sovrumana lo penetrasse e lo fece cascare a terra.
Ricordò il battito accelerato improvvisamente e dopo che quella strana onda si dileguò, tutto diventò di colpo più calmo e silenzioso.
Ora si trovava in quella stessa stanza, semi cosciente e sorretto dall’amico.
Sentì le orecchie tapparsi, come se qualcuno gli avesse inserito del cotone e bloccato i timpani, perciò i rumori che sentiva erano come ammortizzati, lontani, come se Ben fosse stato rinchiuso dentro una campana e i suoni sfuggissero.
Percepì la voce di Helen che diceva “Sdraiamolo e alziamogli le gambe!”, e poi percepì Andy con una voce tramolante “Sto per vomitare!”.
Ben lasciò che i suoi amici lo posassero delicatamente a terra.
In quel momento chiuse un’ ultima volta gli occhi e sentì una brezza estiva entrare nella stanza e accarezzagli il viso e il collo; inspirò profondamente riempiendo ogni angolo dei suoi polmoni e quando espirò si sentì un po’ più sollevato.
Aprì gli occhi e ne vide due paia che lo fissavano spaventati: Bea e Matt.
Ben si toccò la schiena umida per il sudore, le mani però erano tornate asciutte, si stava riprendendo.
Si alzò ancora lentamente dal pavimento senza fare troppi sforzi.
< No, sta’ giù! Sei ancora debole!> lo intimorì Beatrix.
< Sto meglio, aiutami ad alzarmi!>
Ben, che aveva ancora quell’immagine del cadavere stampata in testa, aveva paura a girarsi e sentiva ancora il peso di quegli occhi spenti che lo guardavano.
Un brivido lo percosse facendogli scappare una smorfia di dolore.
Bea, come lui, fissava la collanina che il ragazzo portava al collo per paura di girare lo sguardo e incontrare quello del cadavere a terra.
Ben le mise una mano sulla spalla e con uno sguardo rassicurante cercò di calmarla.
La voce di Bart ruppe il silenzio.
< Che… che cosa facciamo? Chi.. chi è?> disse, distogliendo lo sguardo dal soggetto preso in causa.
Andy si grattò rumorosamente il collo lasciando sulla pelle grossi graffi gonfi e rossi.
Matt, che tra tutti era il più coraggioso, si avvicinò a quella povera ragazza morta e la tastò con l’unghia di un dito tremolante.
Tutti percepirono il brivido percorrere la schiena del ragazzo.
< è…è m-molto fredda!>
Andy deglutì.
< Vuol dire che è morta da tanto?> azzardò con un filo di voce Helen.
< Non lo so..> Matt si allontanò velocemente.
Ben vide Alyce, fino a quel momento in silenzio, piangere e i suoi grandi occhi azzurri erano diventati due palle rosse e piene di lacrime.
Sentiva sempre quegli occhi vitrei puntati addosso e non poteva fare a meno di sentirsi a disagio e costantemente in pericolo.
Puntò la finestra in cerca di un’altra boccata d’aria, o forse era un’illusione per tentare di scappare.
Ingoiò avidamente zaffate d’aria fresca di una serata primaverile e scrutò nell’oscurità.
Immerso nei pensieri fece per tornare dai suoi amici, quando intravide nella penombra una sagoma indistinta e ferma, sotto la luce debole della luna che non riusciva ad illuminarla.
Ben si fermò di colpo e affondò le mani sul davanzale della finestra, quasi pietrificato e restò immobile a guardare quella sagoma.
Ben non riusciva bene a capire quanto fosse alta, ma gli pareva che fosse un uomo.
Riusciva ad intravedere una maglia a maniche corte e non scorgeva capelli lunghi ricadere sulle spalle, era quasi certo che lo fosse, che fosse un uomo.
Dietro di lui sentì Bart borbottare qualcosa che non colse e rimase a fissare la sagoma che non faceva un passo né avanti né indietro.
< Ragazzi, venite! C’è qualcuno là fuori!> disse frettolosamente.
Matt e gli altri ragazzi accorsero velocemente ma quando tutti quanti posarono gli occhi sulla strada non videro nient’altro che alberi, cespugli e piccoli pipistrelli svolazzare.
< Chi hai visto?> chiese scettica Beatrix.
< Non lo so chi era, ma c’era qualcuno vicino a quel lampione spento! Ve lo giuro!> disse Ben, indicando un punto preciso sul sentiero che portava all’uscita del parco.
< Avrai avuto un’allucinazione..> parlò tra sé e sé Andy.
Ben fece per ribattere ma fu interrotto dal lamento isterico di una Alyce spaventata a morte.
< Dobbiamo andrcene! È stata uccisa di sicuro e l’assassino potrebbe essere ancora qui, andiamocene ragazzi!> disse, quasi sul punto di inginocchiarsi e pregare gli amici.
Ben e tutti gli altri sapevano che aveva ragione.
Quella ragazza non poteva che essere stata uccisa, come spiegare il fatto che fosse bagnata? Poteva essere annegata nel lago poco lontano dalla casa; ma anche se fosse stato così, qualcuno doveva averla spostata e portata in quella stanza, qualcuno che al posto di chiamare la polizia aveva preferito sbarazzarsene  e pensare di farla franca.
Non poteva che essere un omicidio.
Dovevano andrsene immediatamente da quell’incubo e tornare alle proprie case.
< Ok.. a-andiamocene a-a-allora!> balbettò Bart.
L’idea di passare affianco al cadavere lo terrorizzava.
< Ok, stiamo uniti e in fila indiana scendiamo le scale rapidi, non voglio imbattermi in nient’altro, non vi fermate per nessuna ragione!> ordinò Matt.
Ad uno ad uno attraversarono la stanza passando vicino al cadavere, prima Matt, poi Andy, a seguire le tre ragazze che si erano unite e tenute per mano, poi Bart e infine Ben.
Il ragazzo si girò un istante quando il coraggio si era fatto sentire appena, poi ritornò dagli amici.
< Aspettate! Non possiamo lasciare lì quella ragazza!> disse.
< E cosa vuoi fare? Trascinarla via con noi?> piagnucolò Alyce.
< Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo andarcene senza aver fatto niente!> continuò Ben.
Nessuno parlò. Rimasero tutti ammutoliti e si guardavano intorno, evitando accuratamente gli sguardi degli altri.
Matt fu il primo a parlare.
< Hai ragione, con che faccia tosta ci svegliamo domani sapendo che c’è un…un cadavere qua..> Matt rabbrividì ancora.
< Cos’hai intenzione di fare?> chiese Andy con una voce strozzata.
< Domani mattina andiamo dalla polizia a denunciare il reato!> disse.
< Sei pazzo? Ci sono le impronte digitali di Ben sul sacchetto! Rischiamo di andare tutti nei casini!> si lamentò Bart.
< Ma non possono incirminarci tutti per aver testimoniato la presenza di un cadavere!> ribattè Helen.
La conversazione stava sfociando in una discussione senza fine.
Tutti dicevano la propria opinione ma non si arrivava mai ad un compromesso.
< Ragazzi zitti un attimo! Ho un’idea: potremmo aspettare domattina! Non sappiamo da quanto sia morta, magari i parenti andranno loro stessi dalla polizia e si aprirà il caso…> azzardò Ben.
< E se non trovano il cadavere? Saremo costretti ad andare dalla polizia e a quel punto ci chiederanno perché non ci siamo mossi prima…> disse Alyce.
< Ho paura ad andare dalla polizia! L’assassino può scoprire chi è stato a far la spia.. e se è un depravato? Un reietto della società? Non sappiamo con chi abbiamo a che fare, potrebbe vendicarsi!> piagnucolò Andy ormai in balìa del panico.
< Non essere idiota Andy! Come fa a scoprirci?> Matt.
< Questo è un cavolo di paesino, con appena duemila abitanti su per giù, aperto il caso sarà l’unica cosa che si sentirà ai telegiornali! Se scoprono che sette ragazzini sanno dove si trova il cadavere non ci metteranno tanto a scovarci e a chiedere interviste su interviste!>
< Adesso stai fantasticando…> disse Ben.
Di nuovo si riaccese la fiamma e ripartì un’altra discussione.
Alyce imprecava esausta, Beatrix si massaggiava le tempie, Matt, seduto sul primo gradino, era appoggiato al muro e pensava, Bart diceva la sua opinione e non c’erano santi che tenevano.
< Basta!> urlò Helen all’improvviso.
Tutti in silenzio che guardavano la ragazza per la prima volta visibilmente impaurita e arrabbiata nera.
< Statevene zitti tutti!>
Ben la guardò un attimo per capire se quella che aveva davanti era veramente la ragazza che conosceva da una vita.
Nessuno mai l’aveva vista così irata tanto che tutti si erano ammutoliti all’istante.
< Domani andiamo dalla polizia! Spieghiamo loro cos’è successo per filo e per segno così non possono in nessun modo sospettare di Ben> pausa.
< Non possiamo lasciare che questo omicidio passi inosservato, è morta una ragazza e non sappiamo chi sia il responsabile!> aveva le lacrime agli occhi.
Nessuno azzardò interromperla.
< Ora, per piacere, usciamo di qua!>
Senza farselo ripetere due volte, tutti scattarono fuori scendendo a due a due gli scalini coscienti del fatto che era pericoloso non prestar attenzione e scapparono fuori, presi nuovamente da una scarica di paura nell’ipotesi di ritrovarsi faccia a faccia con il killer.
All’aria aperta e lontano da quella gabbia tutti tirarono un respiro di sollievo, che durò molto poco.
Tutti avevano impressi nei loro occhi quella povera ragazza morta, fredda e bagnata che guardava nel vuoto.
Il pensiero di tutti era lo stesso: chi era il colpevole? Chi mai avrebbe dovuto uccidere una povera ragazza innocente? E come? Con quali brutalità l’aveva uccisa?
Tutti erano ammutoliti, nessuno osava parlare.
Ben sentì più volte un brivido che gli percorreva la colonna vertebrale facendolo sobbalzare ad ogni passo.
Sentiva la stessa energia che l’aveva travolto nella stanza pulsare dentro di lui, battere, proprio come un cuore… come un’anima.
Quella strana energia lo rassicurava in qualche modo, lo faceva sentire fragile e impotente ma allo stesso tempo lo faceva sentire protetto, sicuro da tutto.
Era una forza stranissima, che Ben non aveva mai sentito prima e che aveva percepito per la prima volta quando vide il cadavere di quella povera ragazza.
Una forza insistente che lo faceva sentire spoglio e nudo allo stesso tempo.
Non sapeva nemmeno lui descrivere che cosa fosse, era potetnte e martellava e martellava nel petto, forte come non mai, facendo battere a una velocità impressionante il cuore.
Forse Ben si stava immaginando tutto, forse era solo lo shock.
Si fermò per un istante e si voltò a guardare quella casa spettrale, tremando all’idea di sapere che lì dentro giaceva un cadavere.
Guardò verso la finestra della stanza incriminata ed ebbe un tuffo al cuore.
Uno spavento che gli provocò il battito accelerato che fu tanto forte e violento che dal male Ben fu costretto a portarsi una mano al petto.
Un uomo, forse lo stesso di prima, era affacciato a quella finestra, alla finestra maledetta dove pochi minuti prima si era affacciato il ragazzo e vaveva visto un’ombra spettrale aggirarsi nel buio.
Ora era là in alto e si affacciava, guardando esattamente nella direzione dei ragazzi.
Un uomo, indubbiamente, che aveva acceso dietro di lui.. forse una luce, una lampadina oppure una lanterna.
La luce fioca illuminava appena la stanza ma era sufficiente da far sfondo a quello strano individuo con una maglia a maniche corte, di corporatura abbastanza grossa, forse aveva un cappello in testa ma era troppo buio per dirlo.
Ben tentò di avvisare i suoi amici ma non aveva fiato, il battito del cuore era troppo veloce e Ben non riusciva a calmarsi.
Indietreggiò senza mai togliere gli occhi di dosso da quella sagoma che era rimasta ferma immobile a guardare il gruppo di amici allontanarsi.
Aveva sicuramente capito che Ben lo stava guardando, anche se al buio, le ombre si vedevano e da lassù era tutto più chiaro.
Ben sapeva di essere fissato.
Prese a stento la manica di Andy davanti a lui e lo costrinse a girarsi. Ben non riusciva a emettere nessun suono, appena un lamento, una smorfia.
< O ma chi cazz….> Andy.
Tutti si girarono sentendo Andy con una voce flebile pronunciare quella frase incompiuta.
Lamenti, urla soffocate, tutto faceva capire a Ben che i suoi amici erano spaventati quanto lui.
< Chi.. chi… è che ci sta fis-s-ssando da là in alto?> balbettò Bart.
< Ma..ma è la sta-stanza del cadav-v-vere?> piagnucolò Alyce.
Helen si mise le mani sulla bocca, aveva le lacrime agli occhi.
I sette amici si ritrovarono fermi immobili a guardare forse l’artefice di quella brutalità.
Forse ora si ritrovavano faccia a faccia con l’assassino che li stava guardando, consapevole di essere osservato.
A ben tremava il labbro inferiore. Cacciò indietro le lacrime. Matt invece non si fece problemi a farne scappare due o tre.
Avevano paura, questo era chiaro.
“Scappiamo vi prego”pensò Ben. Se solo fosse riuscito a parlare.
Apriva la bocca ma da lì non usciva nessun suono, era troppo spaventato per parlare.
Andy, tenendo gli occhi puntati sulla sagoma misteriosa, tirò fuori dalla tasca lo spray per l’asma e inspirò rumorosamente.
Tutti gli occhi erano concentrati su quell’uomo affacciato quando d’un tratto scomparì dietro la finestra.
All’improvviso Alyce cacciò un urlo potentissimo che fece scattare i ragazzi.
Raggiunsero il cancello, con l’adrenalina in corpo scavalcarono senz aproblemi l’entrata e corsero il più lontano possibile da quel posto, il desiderio di tutti era quello di fuggire.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il sogno. ***


Ben tornò a casa.

Erano le due e mezza della notte e l’abitazione si era fatta terribilmente silenziosa, troppo silenziosa, lo stesso silenzio sinistro avvertito nella casa abbandonata nel parco.

Ben era ancora scosso per ciò che aveva visto e l’unica cosa che voleva fare in quel momento era stendersi sul divano cercando di dimenticare tutto.

Sarebbe stata una nottata lunga e piena di incubi, questo lui già lo sapeva.

Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di quella ragazza che giaceva a terra tutta bagnata e con gli occhi spenti ma ancora aperti che guardavano il vuoto.

Al solo ricordo Ben rabbrividì.

Aveva preso un tale shock che l’idea di andare in camera delle sorelline per controllare che stessero dormendo lo terrorizzava, aveva paura che avvicinandosi a loro le avrebbe viste con gli sguardi persi nel buio della stanza proprio come quelli della ragazza del parco.

Chi aveva ucciso quella ragazza? Perché? L’assassino era quella sagoma indefinita che Ben aveva visto affacciarsi dalla finestra quando ormai lui e i suoi amici erano usciti? E se era lui, aveva riconosciuto Ben? Sapeva chi fosse?

Il terrore si stava impadronendo del ragazzo come un parassita che dimora all’interno della sua vittima che lo priva della propria vitalità, doveva assolutamente calmarsi.

Uscì in giardino con un bicchiere di spremuta  in mano e guardò la strada che intravedeva dietro le siepi.

Si accorse che la mano stava tremando e il liquido arancione schizzava fuori dal bicchiere.

Erano appena passate le due e mezza. Era una notte fresca di metà Maggio.

 

Quella notte Ben non riusciva a prendere sonno.

Era sgattaiolato in bagno e ad ogni rumore si fermava, chiudeva l’acqua e si concentrava sull’origine del suono.

Restava fermo immobile, paralizzato, poi, lentamente riapriva il rubinetto e riprendeva ciò che stava facendo.

Quando uscì dal bagno girò lo sguardo in tutte le angolazioni e schizzò in camera, chiuso a chiave e avvolto nelle coperte come una mummia nonostante il caldo soffocante.

Quando cercava di chiudere gli occhi l’immagine impressa della ragazza riaffiorava vivida in lui e non poteva far altro che sobbalzare ogni volta e ogni volta si alzava dal letto sudato e col cuore che spingeva per uscire dal petto.

Ben stava letteralmente impazzendo. Si sarebbe mai tolto quell’immagine dalla testa?

Guardò la sveglia di fianco sul comodino che segnava le tre e dieci della mattina.

Ancora nel cielo erano ben visibili spruzzi di stelle qua e là che luccicavano, sembravano vive, sembrava che danzassero nel cielo e guardassero Ben.

Sembrava volessero parlargli ogni volta che il loro bagliore tremolava nel cielo, come per dire “non ti agitare è tutto ok”.

Alchè Ben cominciò davvero a pensare che fosse pazzo.

Si sdraiò, per un attimo svuotato di ogni pensiero, poi pian piano riaffiorarono tutti e cominciarono ad intasare la testa del povero ragazzo e insistevano per essere ascoltati da Ben.

Sperava con tutto il suo cuore di riuscire a dormire almeno mezz’ora, non chiedeva molto, del resto non si aspettava granchè da quella notte.

Si ricordò che doveva disattivare la sveglia, altrimenti si sarebbe alzato presto anche di domenica… poi pensò che non avrebbe chiuso occhio tutta la notte, quindi non sarebbe servito a nulla.

Sentì la testa pesante, cedere, non farcela.

Una palpebra lottava faticosamente per restare alzata, l’altra era già stata sconfitta da un improvviso colpo di sonno.

Ben si lasciò cadere sul cuscino, incurante di proteggersi con le coperte dai demoni che popolavano i suoi incubi e i suoi pensieri più macabri.

Si sentiva un bambino quando, nel suo letto, pensa che le coperte siano l’unica arma di difesa contro i malvagi.

Non aveva importanza, aveva sonno, era rientrato tardi dopo una giornata faticosa e una conclusione abberrante.

Voleva solo dimenticare tutto e l’unico modo per evadere dalla realtà e vivere in pace era scappare nel proprio mondo, in quel mondo dominato da creature strane che non ti posso fare male, perché sono frutto della tua fantasia e risiedono solo in te.

 

Non sapeva per quanto avesse dormito pesantemente Ben, ad un tratto però si ritrovò fluttuare in una specie di tunnel fatto d’aria ventilata che lo trasportava con delicatezza, quasi lo volesse cullare.

Il movimento era regolare, lento, e per un attimo Ben ricordò il dolce abbraccio di una madre che tiene in grembo il figlio appena nato e lo culla tra le braccia, facendolo addormentare.

Quel vento lo accarezzava sulla pelle e lo conduceva qua e là in un posto che Ben non riconobbe immediatamente.

Era come se quel tunnel d’aria provocasse una leggera foschia, come se fosse tornato l’inverno e avesse portato con sé la nebbia.

Intravedeva un muro davanti a sé.. no non era un muro, un palazzo.. no neanche quello.

Intravide un tetto e una torretta ergersi su un lato, doveva essere una chiesa.

Si era una chiesa! Ben si era avvicinato, trasportato sempre da quell’onda d’aria e riconobbe il campanile della chiesetta del suo paese.

Stretto stretto si ergeva a malapena sul lato destro della chiesa e sopra era affissa una croce che però non si illuminava.

La chiesetta era vecchia e portava alcune crepe che ben presto il comune avrebbe dovuto sistemare, ma come al solito mancavano i fondi.

Ben, senza accorgersene, si ritrovò in piedi sul vialetto che accompagnava fino all’entrata della chiesa.

C’era ancora foschia sparsa qua e là e Ben sentì  un venticello freddo poggiarsi sulle sue guance facendole arrossire.

Di istinto Ben si fece piccolo piccolo per trattenere il più possibile il calore umano, faceva veramente freddo.

Nonostante la nebbia, Ben intravedeva il giardino costellato da lapidi vecchie e spaccate che il corso del tempo aveva fatto sì che queste assumessero posizioni traballanti e scomode.

La nebbia si abbassò bruscamente formando un enorme tappeto bianco tutto intorno all’edificio vecchio.

Fu allora che Ben riuscì a capire dove si trovava veramente; uomini e donne vestiti in nero, bambini insolitamente tranquilli che restavano al fianco dei genitori.

Le donne più anziane portavano cappelli con le reticelle nere che coprivano parte dei visi.

Ben era nel bel mezzo di un funerale.

Per un attimo si ritrovò spiazzato.

Non conosceva la gente che era accorsa al funerale, non l’aveva mai vista in giro per il paese e tanto meno sapeva di chi fosse quel funerale.

Un’idea gli balenò nella mente ma preferì eliminarla prima che potesse prendere il sopravvento e avere la meglio su di lui.

Si sentì a disagio, fuori luogo, perché si trovava lì? Non era nel suo letto caldo, lontano da quella foschia insolita di Maggio? Qualcosa non quadrava.

Le persone si facevano avanti per entrare nella chiesa, nessuno guardava in faccia nessuno, ognuno restava chiuso in sé e i più timidi si guardavano le scarpe.

La gente non badava a dove metteva i piedi, alcuni si scontravano ma nessuno si rivolgeva la parola.

Non sembravano persone reali, c’era qualcosa in loro che non andava, non sembravano nemmeno persone e quei pochi che avevano una parvenza di umano sembravano schizzati.

Ben si sentì sempre più a disagio e mai come in quel momento desiderava scappare, rifugiarsi nelle braccia sicure di qualcuno che non l’avrebbe lasciato mai, qualcuno che gli trasmettesse sicurezza e protezione e che gli togliesse quel gelo dalle ossa.

Stava tremando e battendo i denti.

Si sfregò le braccia producendo un minimo di calore. Stava congelando, quando si sarebbe svegliato? Nemmeno più il mondo dei sogni era rassicurante? Sperava che qualcuno arrivasse e gli desse un pizzicotto per svegliarlo sul serio.

< Fa freddo lo so. Adesso passa>

Ben sentì una voce provenire dalla sua destra.

Una voce femminile, mai sentita prima, spettrale, febbrile che si insinuò strisciando nella testa di Ben come un serpente e rimase inchiodata lì continuando a rimbombagli nelle orecchie, come un eco.

Ben si girò stizzito.

Una ragazza dal trucco pesante e un piercing sotto il labbro inferiore lo guardava inespressiva.

Indossava un vestito nero lungo, lo scollo a V e senza maniche.

In fondo alla gonna il colore sfumava in un grigio spento, triste.

Portava una catenina al collo con un ciondolo, una pietruzza color rubino che luccicava ogni volta che la luce la colpiva.

Portava una cavigliera sottile sul piede sinistro, non indossava scarpe, né calze.

La pelle pallida. I capelli erano di un castano chiaro, gli occhi grigi che guardavano Ben.

Il ragazzo l’aveva già vista da qualche parte. Poi quella misteriosa ragazza girò lo sguardo e fissò un punto non preciso al suolo.

Occhi spenti e lontani ma lo sguardo fisso su qualcosa.

A Ben venne un tuffo al cuore e ancora si mise una mano sul petto per paura che il cuore facesse le valigie e uscisse.

Il respiro si fece affannoso, “Svegliati! Sveglia Ben, ora! Svegliati, svegliati, svegliati!”.

< Non aver paura, non ti voglio far del male!> disse la ragazza, disinvolta.

Ben indietreggiò, a tratti gli sembrava che la ragazza riprendesse le sembianze da morta, pelle viola, bagnata e fredda da far paura.

Ma invece no, era sempre la stessa immutabile ragazza vestita di nero, come una dark.

< Ho bisogno del tuo aiuto…> disse.

Quella voce, risuonava come un eco sempre più forte ogni volta.

Ben si allontanò ancora, questa volta soffocando un urlo. Si mise una mano sulla bocca.

La ragazza alzò un braccio, la mano tremanva, mirava a Ben, al suo petto.

Ben si allontanò ancora.

Il ragazzo vide una strana scritta incisa sulla pelle della ragazza, all’altezza della clavicola sinistra.

Erano delle iniziali, incise forse con una lama tagliente, forse erano state fatte con un taglierino. B.M.R.

Le inziali di un nome?

La ragazza si avvicinò ancora di più a Ben.

< Lasciami stare!>

< Scopri chi mi ha uccisa!>

< Non posso, lasciami stare>

< Sei l’unico che mi può aiutare… scopri chi mi ha uccisa>

< Perché io?> Ben stava urlando.

La voce della ragazza strideva nella testa del ragazzo.

Era terrorizzato.

La ragazza lo fissava ancora, erano faccia a faccia.

La luce di lei cominciò ad essere sempre più fioca, i contorni del viso e del corpo cominciarono  a farsi meno definiti.

La pelle diventò trasparente.

Alla fine scomparve.

Ben si ritrovò di nuovo nel tunnel d’aria, non faceva più freddo, non tremava di più.

Ma la voce della ragazza persisteva nella testa di Ben, come se lei fosse ancora lì.

< Aiutami ti prego. Sei il solo che può farlo. Scopri chi mi ha uccisa.. Ben!>

< Come sai il mio nome??> Ben si tappò le orecchie in preda al panico.

< Ti prego…>

Adesso anche la voce si era fatta più lontana, sempre più lontana, il rumore meno assordante nelle orecchie.

Ben stava svenendo di nuovo? Impossibile.

Si svegliò di nuovo di soprassalto.

Grondava, le coperte tirate fino al mento.

Tremava, si agitava.

Una mano si posò sulla sua spalla.

Premeva contro la forza che il ragazzo emanava. Qualcuno lo chiamò per nome.

Una voce familiare questa volta, meno sinistra, una voce calda che sussurrava il suo nome preoccupata.

La mamma.

Ben aprì gli occhi.

< Ben che hai?>

Il ragazzo la guardò.

Guardava le labbra della madre muoversi, ma da esse non usciva il suono tipico della donna, usciva nuovamente la voce sinistra di quella ragazza, la ragazza che Ben trovò morta nella casa abbandonata del parco.

“Aiutami, Ben. Ti prego ho bisogno di te, sei l’unico in grado di riuscirci, scopri chi è stato”.

Il tono di quella voce era sempre più alto tanto da isolare il ragazzo dal resto degli altri suoni attorno.

Percepì però una nota di dolore, di tristezza, come se quella ragazza stesse per piangere.

Non era un sogno, Ben era sveglio, era lì, seduto sul letto cosciente mentre sua mamma cercava di parlargli ma lui non la sentiva.

Non era più in un sogno. Non era pazzo, non poteva essere impazzito improvvisamente, lo shock?

< Ben!!??> sua mamma continuava a squoterlo.

Di colpo la sua voce tornò normale e Ben guardò sua mamma terrorizzato.

Sugli occhi della madre si posò un velo di preoccupazione che fece spegnere la luce nei suoi occhi.

Cominciarono a diventare lucidi, poi lacrime accennarono l’inizio di un pianto.

Sua mamma si stava preoccupando seriamente del figlio per una volta dopo anni.

< Mamma sto bene, sto bene. Era un incubo> si affrettò Ben.

Non era un incubo, non poteva essere un incubo.

< Hai preso freddo ieri sera vero? A che razza di ora sei tornato a casa? Hai le allucinazioni?> sua mamma gli strinse forte la spalla.

Ben odiava gli interrogatori.

Erano ritornati al rapporto di prima, non che sia mai cambiato, alla fine quel momento di apprensione era durato un attimo appena.

Forse era meglio così, tornare alla “normalità”.

< Mi fai male mamma! Sto bene ti ho detto, era un incubo!> Ben alzò la voce.

Si strattonò dalla presa della madre.

Lei lo guardò sbalordita, non che fosse una novità.

Lo lasciò andare e si alzò in piedi.

< Torna a dormire! Sono le sei del mattino!> disse fredda.

Uscì dalla stanza e chiuse la porta dietro di sé.

Ben si accasciò sul cuscino.

Si coprì il viso con le mani e rimase ad ascoltare il silenzio.

< Non era un incubo…> disse con un filo di voce.

Sentì una ventata d’aria gelida che gli fece alzare i peli delle braccia.

Un brivido gli percosse la colonna vertebrale.

Scrollò le spalle e si coprì.

Non era un fottuto sogno e io non sono un fottuto pazzo!” pensò, frustrato.

Fece un respiro profondo.

< Grazie..>

Un sussurro, lieve, quasi impercettibile. Una voce calma, ora calda.

Ben la sentì.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Richiesta d'aiuto. ***


Alle sette di mattina Ben era ancora sdraiato nel letto immobile, stanco e debilitato, neanche fosse ammalato.
Era rimasto sotto le coperte a fissare costantemente la finestra, non badava al caldo che faceva a stare sotto le lenzuola.
La fronte era imperlata di sudore, la salivazione era a zero.
Il cellulare sul comodino vibrò e Ben, con movimenti lenti e affaticati, si trascinò dalla parte opposta del letto per afferrarlo e vedere chi lo stava cercando.
Un messaggio di Matt “Ci troviamo tutti al bar Angelo di fronte casa tua, fa’ presto!”.
Due chiamate perse, una dall’amico, l’altra dalla sorella.
All’idea di rivedere tutti i suoi amici montava in Ben un senso di ansia e preoccupazione che lo costringevano a farsi aria per ritrovare il respiro. Niente da fare, Ben non aveva superato lo shock.
Si alzò dal letto e andò in bagno a farsi una doccia ghiacciata per schiarire le idee e cercare qualche vano tentativo di riprendersi.
L’acqua cadde e lo colpì con violenza sulle spalle, era talmente ghiacciata che Ben fece davvero fatica a respirare.
Per un attimo i pensieri rei svanirono dalla mente confusa di Ben lasciando il vuoto e la calma.
La doccia aveva fatto bene.
Quando uscì il ragazzo corse a cambiarsi d’abito e poco dopo si presentò in cucina dove trovò la madre intenta a seguire un programma di giardinaggio in televisione.
La vestaglia aperta sul davanti che mostrava il pigiama.
< Buon giorno!> lo accolse lei, stranamente sorridente.
Ben prese la sua inseparabile aranciata e una brioche dalla dispensa, ma quando fece per rompere l’involucro del dolce, a Ben si chiuse lo stomaco in un pugnetto grande quanto quello di un bambino.
La rimise dentro lo scaffale.
< Non hai fame?> chiese sua madre che aveva osservato tutte sue le mosse.
< Devo uscire tra poco..> Ben evitò il discorso.
< E dove vai? Sei sempre in giro coi tuoi amici..>
Il ragazzo percepì una nota di disapprovazione nella voce della madre.
< Non starò via tanto..>
< Vorrei ben vedere… Ben che ti succede? Non ti drogherai, vero?>
< Mamma! Non sono a quei livelli!>
< Sei sempre in giro, alle ore più strambe! Ieri sei tornato alle due e mezza di notte, esci di domenica mattina alle sette e mezza, ma a chi verrebbe in mente di alzarsi a quell’ora di domenica mattina?>
< A un drogato forse..>
< Fai poco lo spiritoso! E comunque sei strano!>
< Lo sono sempre per te!>
La donna evitò di discutere col figlio anche quel giorno, prese il telecomando e cambiò canale sintonizzandosi sul TG.
Proprio in quel momento Ben sentì una notizia che gli fece rizzare i peli delle braccia, aprì bene le orecchie e si bloccò di scatto ad ascoltare.

“… Una ragazza è stata ritrovata morta alle prime luci di questa domenica mattina da un uomo che aveva deciso di correre e si è avventurato nel parco del paese..”
< Oh povera ragazza..> commentò la mamma di Ben.
Il ragazzo smise di respirare, il suo cuore non batteva più.
Fermo immobile a trattenere il respiro continuava ad ascoltare la notizia al TG.

“… L’autopsia verrà fatta nei prossimi minuti ma nel frattempo la scientifica presuppone che la ragazza sia deceduta già da parecchie ore, la causa della morte è ancora da accertarsi. Nessun parente ha per ora denunciato la scomparsa della ragazza.. è giallo”.
Nessuno aveva avvisato i carabinieri. I genitori non avevano ancora mosso i primi passi per ritrovare la figlia.
Ben rimase in silenzio fino alla fine del servizio.
Ora i giornalisti stavano intervistando l’uomo che aveva ritrovato il corpo senza vita di quella povera ragazza.

“Stavo correndo lungo le rive del lago quando mi sono accorto che c’era qualcosa incastrato tra i rami di un albero che pendeva. Mi sono avvicinato è ho trovato la giovane che galleggiava in acqua…”.
Dietro l’uomo intervistato la telecamera inquadrava il lago che Ben riconobbe subito e la via principale del bosco; non c’era dubbio, Ben riconobbe il parco all’istante, era quello maledetto, quello della casa abbandonata, era QUEL parco!
La mente di Ben cominciò viaggiare, a farsi mille interrogativi, in particolare ce n’era uno che lo assillava: “La ragazza giaceva sulla riva del lago, vuol dire che qualcuno l’aveva spostata…”.
La mente del ragazzo continuava i suoi viaggi sempre più sinistri quando ad un certo punto Ben decise di fermarsi perché un oscuro presentimento aveva cominciato a vagare e a parlare al ragazzo terrorizzato ancora per l’abberrante notizia.
Il cellulare vibrò e Ben saltò in aria trattenendo a stento un urlo, che uscì come una smorfia.
Era Helen “Ti stiamo aspettando corri!”.
La mano che teneva il cellulare tremava, Ben si accorse che lo strava stringendo con forza.
Di colpo si ricordò di respirare.
< Ben?> sua mamma lo risvegliò da quello strano stato di coma in cui era caduto.
< Devo andare..> disse con un filo di voce.
< Ben posso sapere dove andate?> sua mamma si era alzata dalla sedia e aveva raggiunto il figlio sull’uscio di casa.
< Siamo qua nei dintorni, non mi buco, te lo giuro!> il ragazzo alzò le mani in segno di resa.
La madre sbuffò e sparì dietro la colonna per tornare in cucina.

 

Ben raccontò il servizio che aveva appena visto prima di uscire di casa.
I ragazzi restarono in silenzio fino alla fine, guardandosi ogni tanto alle spalle con l’ansia di essere sentiti da qualcuno.
< Ma è una tragedia!> commentò Bart.
< Ma aspetta, hai detto nel lago?> chiese Beatrix.
Ben annuì.
I ragazzi rimasero ancora svariati secondi in silenzio per assimilare ciò che avevano sentito.
< Ho un brutto presentimento ragazzi..> disse Andy, il primo a rompere il silenzio.
< Qualcosa non mi torna…> gli diede corda Helen.
< Se la ragazza è stata ritrovata nel lago… vuol… vuol dire che..> la voce di Andy tremava.
Beatrix finì la frase per lui.
< Vuol dire che qualcuno l’ha… l’ha spostata…?> l’ultima parola la pronunciò appena.
Di nuovo un silenzio di tomba si abbattè sul gruppo di adolescenti.
Ben ragionò.
Andy e Beatrix non avevano torto, la ragazza era nella stanza quando è stata ritrovata da loro, poi magicamente era nel lago.
O che da morta camminasse lo stesso, o invece, l’ipotesi più convincente… è stata spostata da qualcuno.
< Se è stata spostata…> Matt sembrava avesse letto i pensieri di Ben < Vuol dire che quell’uomo che abbiam visto era… era…>
Non finì la frase, non ce n’era bisogno, e in ogni caso Alyce non gli diede la possibilità.
< Oh no ragazzi non posso crederci!> sbattè i pugni sul tavolo facendo rumore disse, era ancora fortemente turbata.
Ancora silenzio.
Per quanto a Alyce l’idea non piacesse, era l’unica risposta plausibile.
Quella notte i ragazzi erano evasi dalla casa terrorizzati a morte e quando si erano girati avevano visto qualcuno affacciarsi dalla finestra. Da quella finestra! Quella in cui giaceva a terra la povera ragazza.
Chiunque fosse entrato dopo di loro doveva averla per forza vista.
Quella sagoma indistinta era rimasta per minuti a fissare i ragazzi che se ne andavano, poi si era dileguata scomparendo nel buio.
Era veramente l’assassino?
I ragazzi si erano ritrovati faccia a faccia con lui? Non sapevano chi fosse.
Doveva già essere lì dentro da un bel po’.. da prima che i ragazzi arrivassero.
O almeno sapeva della loro presenza, perché un uomo normale che entra per sbaglio in quella casa ed è innocente, chiama subito la polizia, non resta a guardare un gruppo di adolescenti scappare.
Doveva averli sentiti e aveva aspettato che se ne andassero, per forza, non c’era altra spiegazione logica.
Ben sentì un brivido percorrere la colonna vertebrale, ne aveva sentiti fin troppi quella stessa notte.
Ben si guardò intorno.
Vide un uomo alto, sulla sessantina, indossava un cappellino e una camicia bianca.
Poteva essere lui l’uomo che si era affacciato alla finestra.
Poi girò lo sguardo verso il tavolo affianco fissando un uomo più robusto del primo che leggeva il giornale e sorseggiava il suo the.
Che fosse lui?
Di sicuro, l’uomo alla finestra aveva riconosciuto parte dei ragazzi, ma loro non erano riusciti nella stessa impresa, loro erano allo scoperto, quell’uomo misterioso sapeva chi fossero ma non viceversa.
< Che facciamo adesso?> Matt interruppe i pensieri di Ben.
< Andiamo alla polizia! L’abbiamo deciso ieri notte!> Alyce, ferma, drastica.
< Io non ci voglio andare!> protestò Andy.
< Bene, tu non ci verrai!>
A fermare quella che poi sarebbe sfociata in una sfuriata, intervenne Beatrix.
< Sentiamo prima come si sviluppa la vicenda… magari dall’autopsia sapranno già svelare questo giallo…> le parole della ragazza erano speranzose, ma pure lei non ci credeva.
Tutti erano terrorizzati all’idea di andare in questura, nessuno voleva ritrovarsi faccia a faccia con i poliziotti.
Poi a Ben venne in mente il sogno che fece.
Quella voce, quelle parole… significavano qualcosa? O si era inventato tutto?
Del resto era un sogno, i sogni sono irrazionali.
Forse era nervoso per ciò che aveva visto, quindi il suo incoscio aveva tirato brutti scherzi.
Cosa fare? Fidarsi di una scemenza, o andare davvero dai carabinieri?
La seconda opzione lo allettava di più.
Di colpo sentì il gelo pararsi su di lui.
Lo avvolgeva come in una nube ghiacciata.
Ben cercò di reprimere un brivido che pian piano si fece sentire sulla schiena.
Si strofinò le braccia.
< Non sentite freddo?> chiese.
Tutti lo guardarono ammutoliti.
Helen fu la prima a parlare.
< C’è l’aria condizionata, forse è quella…>
Tutti cercavano di evitare l’argomento inutilmente.
Ben si sentì strano, molto strano.
Un senso di nausea nacque all’imboccatura dello stomaco e pian piano salì fino alla gola che si retrinse fino a diventare piccolissima.
Ben passò dai brividi di freddo alle vampate di calore.
< Ragazzi vado un attimo in bagno..> disse a stento e si alzò senza aspettare risposta.
Si diresse verso il bagno del bar e corse ad appoggiarsi su un lavandino e aprì l’acqua.
Se ne gettò un po’ sulla faccia per rinfrescarsi e pian piano si sentì meglio, anche se col fiatone.
Chiuse l’acqua e si asciugò appena con i fazzolettini che vendevano in quel locale, inutili.
Mentre si tamponava il viso vide una porta del bagno aprirsi leggermente e una sagoma dietro immobile che non usciva.
Ben mise bene a fuoco la vista e guardò attraverso lo specchio, era proprio dietro di lui.
Si reggeva con le braccia sul lavandino e aspettò diversi minuti per vedere come si evolveva la situazione, poi si decise a parlare.
< Tutto bene là?>
Nessuna risposta, nessun cenno.
Poi la porta si spalancò di colpo mostrando una ragazza inquietante, pallida e coi capelli scuri lunghi cadere sul petto.
Ben truccata, Ben la riconobbe immediatamente.
La ragazza del sogno.
La ragazza uccisa.
Ben si girò di scatto e la guardò intensamente.
Aveva le allucinazioni, non poteva essere reale.
Il ragazzo per un istante ebbe paura di andare in iperventilazione.
Il cuore minacciava di uscire dalla cassa toracica.

"è una stupida visione, solo una fottutissima allucinazione” ripeteva tra sé e sé.
< Non è un’allucinazione, e tu non sei pazzo!> disse la ragazza, la stessa voce che Ben percepì nel sogno.
Ben stava per tagliare la corda, ma sentendo quelle parole si bloccò di colpo, si girò e guardò nuovamente la ragazza.
Aveva uno sguardo smarrito, impacciato.
< Ti vuoi calmare adesso?> ripetè lei.
< Chi sei? Che vuoi da me?> disse Ben.
< Te l’ho già detto cosa voglio. Ho bisogno del tuo aiuto…>
< Ma come..>
La ragazza alzò un dito per zittirlo.
< Mi devi aiutare a scoprire che mi ha eliminato!>
Quelle parole erano così fredde, terribili.
Suonavano dure e aspre, forti come un pugno nello stomaco.
Ben restò in silenzio a guardarla.
Era più smarrito di prima, poi balbettò.
< Ma io non so da dove cominciare… ci penserà la polizia..>
< Per favore… secondo te ce la faranno mai a scoprire chi sia l’assassino?>
La polizia di quel paese non aveva una reputazione stellare.
Non tanto perché non fosse capace nel suo lavoro, quanto perché era un paese talmente piccolo che il peggior reato che potesse capitare era una rapina in una cartoleria, era un paese troppo piccolo perché succedessero reati da C.S.I.
E quello era proprio un reato bello grosso, proprio da C.S.I. una ragazza uccisa e trovata poi in un lago, era una storia abberrante, mai sentita prima in quel luogo.
Era normale la preoccupazione della gente.
< Ti starò accanto, non ti abbandono ma mi devi aiutare…> la sua voce si era fatta calda e premurosa.
Ben per un attimo restò imbambolato a guardarla e ad assaporare quelle paorle così calde e speranzose, come se fosse in uno stato di coma.
Poi si risvegliò bruscamente.
< Sei tu che mi fai questo?> chiese.
Il viso della ragazza si tramutò in un’espressione interrogativa.
Incrociò le braccia.
< Che intendi dire?>
< I continui brividi di freddo, la nausea…> sbraitò Ben.
La ragazza si strinse le spalle.
< Quando ti sono accanto, tu sei l’unico in grado di percepirmi, se voglio farmi vedere, tu sei l’unico che mi vedi, mi percepisci anche sulla pelle..>
< Quindi tutte le volte che mi sarai accanto dovrò patire il freddo artico??> disse ironico Ben.
La ragazza fece una smorfia di insoddisfazione.
In quel momento entrò Matt.
Spalancò la porta e si diresse verso l’amico.
< Ben, come stai? È da un’ora che sei qui dentro!>
< Si scusami, non mi sentivo tanto bene>
< è lo shock..>

No Matt, è lei..
< Forse>
< Comunque abbiano deciso di aspettare ad andare dalla polizia..>
Alla fine si erano decisi, avrebbero atteso dei miglioramenti.
Ma ora Ben sapeva cosa doveva fare, sarebbe stato compito suo risolvere il crimine, ma aveva bisogno del sostegno dei suoi amici, aveva bisogno che approvassero quello che aveva in mente di fare, era necessario.
Aveva bisogno del suo migliore amico vicino.
I due amici fecero per tornare al gruppo seduto al tavolo e ben, con la coda dell’occhio, vide la ragazza fantasma camminare pochi passi dietro di lui.
Sentiva freddo, batteva i denti, così la ragazza si allontanò ancora, dileguandosi completamente.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'unione fa la forza. ***


Ben alle 7 di sera si trovava di fronte all’ingresso del parco che ormai aveva soprannominato nella sua testa “Il parco degli orrori”; c’era da immaginare il perché di quel nome tanto azzeccato purtroppo.
Dopo che aveva raggiunto i suoi amici quella mattina al bar, aveva proposto a tutto il gruppo di fare qualche piccola indagine, giusto per capire chi fosse quella ragazza e perché erano stati loro a trovare il cadavere prima di tutti ma non avevano ancora riferito niente alla polizia, insomma Ben sperava nel far salire un certo senso di colpa ai ragazzi per convincerli ad aiutarlo nella sua impresa.
Il ragazzo sapeva bene che era l’unica cosa che poteva fare e poi non voleva essere perseguitato da quel fantasma per tutta la vita solo per non aver indagato sull’assassinio.
Per tutto il giorno lo spirito della ragazza non si fece più vedere, il che era solo un bene per il ragazzo, visto il modo che aveva di presentarsi, così macabro e terrificante, era meglio che non gli facesse visita.
I suoi amici non avevano approvato l’idea, specialmente Alyce che aveva categoricamente rifiutato la gentile offerta e aveva incrociato le braccia in segno di disapprovazione.
Gli altri erano tutti scettici all’idea che dei giovani ragazzi potessero risolvere un mistero tanto grande e grave come quello.
< Non è un film d’avventura dove dei semplici adolescenti sono più avanti dei poliziotti come in Virals!> aveva detto Helen.
< Scendi dalle nuvole Ben, ci metteremo solo nei guai!> aveva fatto eco Andy.
Ben del resto non aveva biasimato i suoi amici, erano ancora scossi e poi loro erano molto più razionali e intelligenti di lui… ma come poteva rifiutare l’aiuto di un fantasma che l’avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni per quel caso?
Ben si domandò se non fosse totalmente impazzito e nel pomeriggio, andando a fare le commissioni per la madre, era passato davanti allo studio dello psicologo e aveva fatto un mezzo pensierino di entrarci e chiedere un appuntamento.
Ma poi proseguì dritto preso da una strana forza che lo fece camminare senza badare alla scritta in alto: Non vergognarti dei tuoi problemi, parlamene!
Che fosse stato il volere del fantasma? Bah!
In ogni caso Ben ora si trovava davanti a quel posto maledetto, senza un piano, senza una strategia, senza nessuna arma per difendersi qualora si fosse trovato davanti l’assassino… si sa, l’assassino torna due volte sulla scena del delitto, ma forse la seconda volta era quella sera famosa quando i ragazzi avevano visto affacciarsi qualcuno alla finestra.
Chi lo sa?
Ben cominciò a tremare non appena fece un passo in avanti, in direzione del parco.
Chi glil’aveva fatto fare? Ah si il fantasma ok…
Si ma dove aveva trovato tutto quel coraggio per arrivare fin lì da solo, alle 7 di sera, quando tutto sono  acasa a guardarsi la partita e a godersi le ultime ore di domenica?
Il fantasma? Dov’era ora? Se doveva stargli vicino, Ben si augurava che lo proteggesse anche, dov’era?
Ben fu preso dal panico!
Fece per voltarsi e tornare sui suoi passi, pronto a tornare a casa sano e salvo a sorbirsi le soap opere della madre che aveva registrato su un DVD.
Ma poi Ben, voltandosi, si ritrovò davanti chi non si aspettava di trovare: i suoi amici.
Matt, Helen, Bea, Andy e Bart…
Alyce mancava.
Ben non riuscì a dire niente, assolutamente niente, era immobile, impassibile, la gola secca, tutto merito del suo panico misto allo stupore che ne era seguito.
< Abbiam pensato che fossi pazzo… ma che era ancora più da pazzi lasciarti da solo.. visto che sei talmente testardo che non ci avresti mai ascoltato..> disse Matt.
Ben quasi pianse dalla contentezza, ma non lo fece no, lui era un ragazzo e i ragazzi non piangono.
< Grazie ragazzi!> disse infine.
< Allora, che cosa hai in mente di fare?> chiese Beatrix.
< A dire il vero non lo so, sono stato portato qui dall’istinto ma… ma il fatto è che non ho la minima idea di che cosa fare>
I ragazzi restarono zitti, non era una situazione facile la loro ma per Ben era un sollievo vederli.
< Beh.. entriamo!> esortò Andy anche se non era granchè convinto.
I ragazzi percorsero i primi dieci metri di strana ma rallentavano ad ogni passo che conduceva alla casa.
Ben sentì un brivido percorrere la sua schiena e capì che il fantasma della ragazza era vicino a lui, da qualche parte ma pur sempre vicino.
Girò lo sguardo a destra e a sinistra, poi si voltò e la vide in fondo alla fila, dietro a Andy e a Bart che si strofinavano le braccia: percepivano anche loro la sua presenza.
Forse allora non era tutto inventato, forse esisteva realmente il fantasma e non era solo frutto del suo incoscio, se anche Bart e Andy avevano freddo in sua presenza, allora forse era reale.
La ragazza accennò ad un sorriso, per la prima volta da quando Ben la vide, poi il ragazzo si girò e continuò la camminata.
Ad un certo punto i ragazzi si fermarono di colpo avendo sentito un rumore circospetto venire dalla loro destra.
Sbucò un gattino grigio e bianco che miagolava forte tanto da rendere più nervosi i ragazzi.
< Fate tacere quel gatto!> sibilò Bart.
Ben provò a cacciarlo ma non ci fu verso di mandarlo via, però si azzittì subito quando Helen lo prese in braccio per calmarlo, era piccolo e indifeso.
< Per piacere non è il momento di fare da mamma-gatta a un micio, lascialo giù sarà pieno di pulci!> la rimproverò il fratello.
I ragazzi continuarono a camminare fino a che non arrivarono davanti alla porta della casa.
Ben la aprì leggermente e quella scricchiolò da matti.
< Torce alla mano ragazzi..> ordinò Matt.
< Ma non le abbiamo..> mugugnò Andy.
Porca vacca! Niente torce, e come facevano adesso a vedere oltre il proprio naso senza sbattere da qualche parte?
Porca vacca!
< Bene non si entra!> concluse Andy, ormai terrorizzato.
< E allora che siamo venuti qui a fare?>
< Bella domanda! Torniamocene a casa>
< Ma non possiamo!>
< Ragazzi! Non abbiamo un piano, né delle protezioni, niente! Torniamo domani più preparati e con delle idee ora rischiamo solo di metterci nei guai.> disse infine Beatrix.
L’idea allettava molto Ben, in fondo cosa avrebbero potuto fare quella sera.
D’un tratto tutti i ragazzi si arrestarono, non emisero fiato avendo sentito un rumore che catturò la loro attenzione.
< Avete sentito?> chiese Helen.
< Ma che cosa?> intervenne Matt.
Restarono ammutoliti, fermi immobili, trattennero il fiato, il cuore che minacciava di esplodere in petto.
Ben allungò il collo per sentire meglio, non un passo in più in avanti, non un singolo rumore coi piedi.
Poi li sentirono di nuovo e questa volta erano chiari e precisi.
Rumori di passi scendere le scale e farsi sempre più forti sempre più concreti e precisi… sempre più vicini!
Quando Ben realizzò che c’era qualcuno là dentro che si stava avvicinando sempre di più al gruppo di amici, era troppo tardi.
Iniziò a sudare freddo e il panico si insidiò come un serpente velenoso tra i compagni, agitando la massa.
Dietro la stanza qualcuno aprì leggermente la porta e il suo scricchiolio provocò nei ragazzi un’esplosione di adrenalina che li indusse a fare retromarcia e schizzare via senza chiedersi chi fosse, senza sapere che ci facesse lì e senza vedere chi era!
Corsero alla velocità della luce avendo come unico scopo quello di raggiungere l’uscita del parco ed essere sani e salvi.
Non importava se dietro quella porta ci fosse stato il barbone Willy che aveva preso quella baraca come la sua unica casa, erano spaventati i ragazzi e in quel momento desideravano solo andarsene a casa.
Ben quasi inciampò nello schivare il micio che li aveva seguiti fin lì.
Il micio piangeva disperato.
Ben si ritrovò di colpo in un bivio.
Scappare o tornare indietro a prendere il gatto?
Quando si voltò a guardare l’uomo, quello stava uscendo dalla casa, nella penombra e stava smanettando con qualcosa che aveva in mano..un fucile?
Ben era spaventato ma valutò la situazione.
Se tornava indietro avrebbe accorciato il tempo che lo separava da quello strano sconosciuto che ora stava avanzando.
< Ben ma sei impazzito! Muoviti!> urlava Matt più avanti di lui, fermo nella speranza che l’amico si muovesse.
Matt coraggiosamente tornò indietro a recuperare l’amico, spaventato che il suo blocco fosse dovuto da un attacco di panico.
Ben non esitò ancora molto, con uno scatto si liberò dalla stretta del suo amico e tornò indietro e recuperare il gatto.
Appena in tempo per evitare un proiettile che rimbalzò a terra e per poco non prese il gatto e la mano di Ben.
< Ben!!!!!!> urlò Helen.
Quel disgraziato aveva davvero un’ arma in mano e la stava usando su dei ragazzi innocenti come loro.
Dannato!

"Brucia all’inferno!” sentì nella propria testa una voce strozzata, la voce della ragazza morta.
Ben, con stretto in grembo il micio, si girò e prese al volo il suo amico per un braccio.
Ricominciarono la corsa stenuante fino alla fine del parco.
Dietro l’uomo misterioso continuava a sparare, in aria, in terra.
Ben, in cuor suo strinse i denti e iniziò a pregare qualsiasi Dio ci fosse per evitare i proiettili.
Non poteva girarsi e guardare, sarebbe stata la sua condanna a morte.
Ben e Matt corsero e corsero fino a che raggiunsero gli amici che li stavano aspettando fuori dal cancello laterale e schizzarono via protetti dagli alberi che davano ombra e dalla luce che cominciava a mancare.
Le urla e le grida degli amici disperati si placarono nel vedere che Matt e Ben erano sani e salvi e scomparvero del tutto quando, superati parecchi quartieri si ritrovarono nel centro del paese inondato di luci, bar aperti e musica dal vivo al centro della piazza.
L’avevano scampata, erano riusciti a fuggire dal raptus omicida di un uomo che aveva avuto il sangue freddo di sparare contro degli adolescenti.

Erano in pericolo ora, ne erano consapevoli, l’uomo li aveva riconosciuti, forse si sarebbe messo sulle sue tracce e, dopo quella sera, il problema di scoprire chi fosse l’assassino era un caso che li coinvolgeva, erano delle vittime, delle possibili future vittime di un pazzo maniaco.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2051445