Come Pepper conobbe i Vendicatori

di Aout
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


 

Parte I

Ragione & Pregiudizio

poca ragione e pregiudizi a palate




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Era una bella giornata.
Era domenica, che come base di partenza era già qualcosa, c’era il sole, altro punto a favore, e, più importante ancora, nessun esercito alieno aveva tentato di conquistare e/o distruggere la città, non fino a quel momento almeno. Il che, considerando gli eventi degli ultimi mesi, era cosa da non sottovalutare.
Perciò, Pepper era discretamente felice.
“Discretamente” perché quel giorno avrebbe dovuto sovrintendere ai lavori di riassetto degli impianti elettrici della Stark Tower e anche solo la prospettiva la annoiava a morte. In più, nel mentre, si sarebbe dovuta portare avanti con l’organizzazione degli eventi di beneficenza pro ricostruzione della città che avrebbero avuto luogo di lì a poco, cosa questa che, più che dispiacerle, la intristiva un po’.
Comunque, era una bella giornata. Era innegabile, da quella visuale. La finestra panoramica dell’ultimo piano della Torre le permetteva di dare uno sguardo a tutta Mead Town e, doveva ammetterlo, bastava quel sole tiepido, tanto diverso da quello ruggente di Miami, a risollevare gli animi, anche di fronte alle macerie in ricostruzione.
Mancano gli uccellini che cantano e potrei quasi sentirmi all’interno di un film della Disney.
- Pepper? – disse qualcuno dalle parti dell’ascensore, appena al di là della porta alle sue spalle.
E ho anche il mio bel cavaliere errante senza macchia e senza paura. Anche se di macchie qualcuna ne ha e pure con le paure scommetto che non scherziamo, non dopo quella faccenda della testata nucleare e del buco spazio-temporale...
- Sono qui, Tony. Come posso aiutarti?
- Ma buongiorno, Pepper. - Tony era appena entrato e la guardava con il suo sguardo sornione, - Ci svegliamo a quest’ora? Devo ammettere di essere un po’ deluso dal mio Amministratore Delegato. – disse, scotendo la testa.
- Già, peccato che, per la cronaca, io mi sia svegliata ben un’ora prima di te, abbia già rivisto i piani di oggi, contattato i costruttori, messo in riga gli assistenti e rivalutato e confermato l’intero piano organizzativo di JARVIS riguardo...
- Sì, sì va bene. – la interruppe lui, avvicinandosi, - Sai, non c’è affatto bisogno di inventarsi tutte queste scuse per stare un po’ a poltrire nel letto la domenica mattina, magari con della buona compagnia. Insomma, tutti perdono qualche colpo, prima o poi.
Pepper lo fissò di rimando, un sopraciglio elegantemente alzato. Tony l’aveva raggiunta e le aveva messo le braccia intorno ai fianchi. – Perdere colpi? Perdere, colpi? Scusami, ma credo che non ti farebbe piacere se ti ricordassi la nostra effettiva differenza di età, mi sbaglio?
- Ssh, - disse Tony, avvicinando le labbra alla sua guancia, - credi che tu non mi possa piacere, un po’ più stagionata? Insomma, si sa, gallina vec...
Pepper gli rifilò una poderosa gomitata nello sterno, - Terreno pericolo, Signor Stark. Molto pericoloso. Fossi in lei non mi farei innervosire.
Tony la fissò per qualche secondo, un sorriso molto poco celato sul volto.
Ma quanto si diverte a far arrabbiare la gente!
Poi, però, spalancò gli occhi ed esclamò: - Innervosire... mi sono appena ricordato perché ero venuto qui a chiamarti. Riesci sempre a distrarmi.
- Distrarti? Prima o dopo la gomitata?
Tony liquidò la sua protesta con un movimento del polso e sguardo paziente. Paziente, lui! – Ero venuto qui, comunque, perché volevo chiederti se potevi scendere un attimo, voglio presentarti una persona.
Pepper assottigliò lo sguardo: - Una persona?
- Sì, una persona. Perché mi guardi così? Cos’hai adesso contro le persone?- rispose Tony, sulla difensiva.
- Niente, ovviamente. Ma tutto questo mi pare... sospetto.
Non sapeva perché, esattamente, ma in quegli anni aveva stranamente sviluppato un sesto senso per le idee problematiche (malsane, a volte. Folli, anche.) di Tony.
Lui sbuffò, piuttosto evidentemente. – Bene, Miss Fletcher, quando vorrai verificare i tuoi sospetti ti aspetto di sotto, sì?
Lei scosse la testa. In fondo, era possibile che si fosse immaginata tutto. – Arrivo arrivo, d'accordo, scusami.
Tony le sorrise e le si avvicinò per darle un bacio veloce. - Tenterò. – disse in tono allegro, prima di avviarsi verso la porta.
Pepper gli sorrise di rimando, guardandolo allontanarsi. – Ah, Tony. – gli urlò alle spalle, - Non mi scorderò tanto presto la storia della “gallina vecchia”, tienilo presente.
Sentì echeggiare la sua risata dall’ascensore.
Era vero, era proprio una bella giornata.
 
Poi Pepper però scese le scale e si ricredette.
Ma andiamo per ordine.
 
Tony la aspettava al piano 63 prima stanza a sinistra lungo il corridoio parallelo all’androne centrare, o così almeno le aveva detto Happy. Il fatto che avesse bisogno di tutte quelle indicazioni era abbastanza inusuale, considerando che quell’edificio l’aveva pianificato lei (e più del 12 %, grazie). Tuttavia, i piani riservati a Tony, lei preferiva... riservarli a Tony, ecco. Un po’ perché “in una coppia ognuno deve avere i suoi spazi” un po’ perché con gli altri sessantanove piani a disposizione aveva già comunque il suo buon lavoro da fare e il settore “ricerca e sviluppo” non le interessava più di tanto.
Comunque, trovò Tony quasi subito. Era all’interno della stanza che le era stata indicata, riusciva a vederlo grazie alla parete di vetro (chissà perché poi l’ha voluta di vetro...), era in piedi di fianco ad un tavolo con una strana apparecchiatura con molti più fili elettrici di quanti potesse contarne e gesticolava animatamente verso un uomo con una camicia chiara e i capelli castani che lei non aveva mai visto.
Bussò piano alla porta aperta.
- Pep! – Tony si girò verso di lei, sorridendo. – Vieni, vieni che ti presento Bruce.
Pepper sentiva di nuovo riaffiorare il sospetto. Com’è che è così... euforico?
Bruce?
- Salve, è un piacere conoscerla. – disse lei, porgendo la mano a quell’uomo castano. Ebbe il tempo di dargli un’occhiata veloce e la prima impressione che ne ebbe fu che fosse... stanco, molto stanco, almeno a giudicare da quelle occhiaie.
- Non me lo dicono spesso. – rispose lui, la voce gentile e un sorriso accennato.
Pepper rimase un secondo interdetta.
Poi intervenne Tony a chiarificare la situazione: - Pepper Potts ti presento Bruce Banner. Bruce, Pepper. Ah, sì, lui ogni tanto si trasforma in un enorme mostro verde irritabile, forse non l’avevo accennato. Comunque anche lei non scherza, nei suoi giorni no.
Smise di respirare.
Poi, con calma, cercò di ridurre gli occhi a una dimensione normale, mentre diceva a Tony, nel modo più indifferente possibile: - Posso parlarti un secondo?
La voce non era uscita così stridula come le era sembrato, vero?
Tony la fissò, ignaro (mai che lo sia veramente!): - Ceerto. Scusaci, Bruce. – poi la seguì verso la porta.
 
- Cosa...?
- QUELLO. È. HULK? – gli chiese, con la voce bassa e rabbiosa. E no, è proprio stridula.
Tony pareva sconvolto. Ma lei era fin troppo esperta per lasciarsi ingannare. – Bruce? Beh, sì. Perché? Qualche problema?
Nessuno riesce a fare la voce innocente come lui. – Problema? Qualche prob... – Pepper prese un respiro, - Tony, qual è esattamente l’insana idea che sta dietro a questa storia, uh?
- In che senso?
- In che...? – altro respiro profondo. Mai servito a tanto poco come in questo momento... – L’ho sempre saputo che eri una persona infantile, Tony, ma adesso stai esagerando. È un gioco, questo, per te?
Lui alzò gli occhi al cielo e sbuffò. – Diamine, parli come Capitan Ghiacciolo.
- Chi?
- Senti, Pepper. Bruce è ok. Non si arrabbierà, non spaccherà niente. Sul serio, è tutto a posto. Ma lo sai che è stato costretto a vivere per tutto l’anno scorso in una baraccopoli indiana, perché non c’è nessuno disposto a dargli fiducia?
Pepper si sentiva davvero... arrabbiata, con lui. Dargli fiducia? Tony l’aveva portato lì per dargli fiducia? – Certo, come no. È compassione, la tua.
Lui la fissò ad occhi spalancati: -  No, Pepper non lo è. Io... non mi sarei mai aspettato questa reazione da te.
- Non te la saresti mai aspettata? Invece forse avresti dovuto considerando quello che è...
Improvvisamente, sentirono dei colpi leggeri dalla parete alla loro destra. La parete di vetro.
Bruce, dall’altra parte, rosso in viso, era rivolto verso di loro ma teneva gli occhi fissi a terra.
- M-mi dispiace interrompervi. Ma la parete è trasparente e... beh, la stanza non è nemmeno insonorizzata, quindi... sì, insomma, mi sento un guardone a stare qui e sentire i vostri discorsi, ecco.
Pepper si era girata di scatto verso di lui e sentì che, lentamente, il viso le diventava fucsia dalla vergogna. Non fece nemmeno in tempo a vedere la reazione di Tony, era già fuggita.
 
 
Sono un’idiota.
Seriamente.
Nella vita mi sono sempre considerata una persona sufficientemente intelligente, almeno per il lavoro che faccio. E invece adesso scopro di essere un’idiota.
Che tristezza.
Pepper era accucciata sul pavimento della camera da letto.
L’ultima volta che le era capitata una cosa simile... no, non le era mai capitata una cosa simile. Era sempre stata troppo fissata sui suoi obiettivi per lasciarsi abbattere da qualunque cosa avrebbe abbattuto un’adolescente, che fosse stato un ragazzo che la rifiutava o... qualunque altra cosa avrebbe abbattuto un’adolescente, al momento non le veniva in mente niente.
Era sempre stata abbastanza sicura di sé, più o meno. Gli errori si fanno, si ammettono e poi si ripara la situazione. Con tutti quegli anni come assistente personale di Tony, a “riparare” le cose era anche diventata piuttosto brava, manco fosse lei il meccanico.
Ma quella era una situazione diversa.
Era diversa innanzitutto perché... beh, Hulk era appena qualche piano sotto di lei e già questo bastava a renderla una situazione diversa.
Ma era così? La sua... paura, bastava a giustificare quella che era una più che evidente perdita di professionalità?
Insomma, lei era Pepper Potts, lei era la Professionalità, con la lettera maiuscola e pure un bel pedigree!
Gli errori si fanno, si ammettono e poi si ripara la situazione. Bene, almeno era già a un terzo dell’opera.
Pepper si alzò, si lisciò la gonna, prese un respiro profondo (mai avuto bisogno di tanto ossigeno come in questo momento) e si avviò verso la porta dell’ascensore.
Mancò di un soffio la testa di Tony, che stava entrando proprio in quel momento.
 
- Uh, ci mancava poco. – disse lui, sorpreso, afferrandola un secondo prima che andasse a decorare le piastrelle del pavimento. – Tutto ok?
Pepper si staccò immediatamente, lo sguardo fisso a terra.
Quanto l’ho combinata grossa stavolta?
La verità era che la risposta a quella domanda a Tony sfuggiva e il fatto che lui non sapesse effettivamente qualcosa, lo rendeva un po’ isterico. Era spesso così con Pepper, ma mai come in quel momento.
Che le succede?
- Pep? Ti dispiace se parliamo un momento? – Cavoli, che frase da libricino Harmony... ma tant’è, quando ci vuole ci vuole.
La verità era che la risposta a quella domanda gli sfuggiva, ma aveva come l’impressione che invece avrebbe dovuto conoscerla. Era una sensazione strana, ma il comportamento di Pepper era stato così diverso dall’ordinario che... che, beh, si sentiva confuso.
Pepper si morse il labbro e finalmente alzò lo sguardo ad incontrare il suo. – Tony...
- Pepper, senti. Io non... Banner non è pericoloso, sul serio, sa controllarsi. Non trovo... giusto, come mi suona male detta così, che venga discriminato... cioè... uff, niente le frasi buoniste mi rimangono in gola, non credo che il mio corpo sia abituato a cose del genere. Comunque, intendevo...
Lei lo fermò, poggiandogli una mano sul braccio. Quando parlò, sorrideva. – Lo so, Tony, cosa intendevi. Io mi fido di te, se tu ti fidi di lui, anch’io mi fido di lui. Vedila come una sorta di proprietà transitiva.
Quel sorriso cambiò immediatamente l'atmosfera, e non c’era nemmeno bisogno di dire che lui si sarebbe adeguato subito. – Ah, ci diamo alle speculazioni matematiche?
- Beh, avrei potuto parlare in termini di sillogismo aristotelico, ma forse per te era più facile capirlo così. – disse Pepper, il sorriso sempre più aperto, mentre la mano gli saliva il braccio e andava a poggiarsi dietro la sua nuca.
- Oh, grazie per esserti abbassata al mio livello allora. – rispose lui, prima di scoccarle un bacio.
Quando si staccarono, la parte razionale atta alle relazioni sentimentali del cervello di Tony, quella molto piccola e posizionata un po’ nascosta dietro alle parti di “ego” e “megalomania”, gli suggerì di stare zitto e, nel caso, mordersi la lingua. Ovvio che lui non la ascoltò.
- Comunque hai avuto una reazione molto... non “da te”. Che mi sono perso?
Pepper tornò a fissare il pavimento. E Tony si morse la lingua.
Mmh, credo che, razionalmente, avrei dovuto morderla prima di dire una cosa stupida.
 
Pepper non riusciva a dirglielo.
Perché? Perché... per un sacco di motivi.
Forse non voleva mostrare la sua debolezza, forse pensava che la sua immagine di impeccabile Amministratore Delegato senza macchia e senza paura (ecco, nemmeno io sono immune) potesse in qualche modo intaccarsi, da quell’idiota rivelazione. Forse perché era convinta che la compagna di un supereroe certe paure non dovesse averle, punto e basta.
Ma doveva dirglielo, anche perché altrimenti non avrebbe completamente esaudito la clausola “ammettere l’errore commesso” e nessuno avrebbe voluto che quel piccolo contratto che aveva stipulato con se stessa fosse annullato.
Inoltre, fortunatamente, la parte razionale del suo cervello era molto più sviluppata di quella del suo supereroe.
Così glielo disse.
 
♦♦♦
 
Bruce era seduto su uno degli sgabelli del laboratorio e si stava massaggiando l’attaccatura del naso, tentando di lenire un mal di testa che certamente non aveva voluto.
Quella giornata era cominciata davvero bene. Certo, ci aveva messo due mesi per accettare l’invito di Stark a tornare a New York, ma una volta che l’aveva fatto, tutto era andato per il meglio. Aveva passeggiato per Central Park e nessun passante l’aveva additato urlando, il che comunque gli faceva sempre un gran piacere, si era fermato a prendere un tè in una delle caffetterie che avevano appena riaperto i battenti vicino a centro (e ancora nessuno era scappato) e poi, quando aveva trovato un po’ di coraggio, e aveva dovuto cercarlo parecchio, si era finalmente deciso ad entrare alla Stark Tower.
Per quanto le condizioni fossero ancora abbastanza pessime e i lavori in alto mare, soprattutto agli ultimi piani, Bruce aveva davvero faticato a nascondere il suo sguardo ammirato di fronte alle meraviglie tecnologiche che si era trovato davanti nel grande laboratorio del sessantatreesimo piano, rimasto quasi del tutto illeso. Non c’era riuscito, comunque, a nasconderla bene, quella sorpresa, e quindi probabilmente Tony non avrebbe fatto altro che prenderlo in giro per il resto dei suoi giorni, ma andava bene anche così. Si sentiva molto più... sereno del solito, e questa era decisamente una cosa buona, non solo per lui ma anche per qualsiasi altro essere vivente e non che si trovasse nelle sue vicinanze.
Poi era arrivata Miss Pepper Potts e la situazione era radicalmente peggiorata.
Non che fosse colpa sua, ben inteso, ma così erano andate le cose.
Bruce sospirò, inforcò di nuovo gli occhiali e ricominciò a mettere via le sue cose in quella vecchia borsa che nessuno mai avrebbe avuto ancora il coraggio di chiamare ventiquattrore.
Poi sentì bussare alla porta. Senza voltarsi, disse un “avanti” poco convinto. In quel momento in laboratorio c’era solo lui, vista la pausa pranzo, e quindi probabilmente la persona che aveva bussato se ne sarebbe semplicemente andata, una volta scoperto che non era lì quel qualcuno che stava cercando.
- Signor Banner, le dispiace se scambiamo qualche parola? – disse invece una voce gentile, alle sue spalle. Quando si girò, Bruce notò che Miss Pepper Potts era sulla porta, l’espressione amichevole e un pacchetto bianco in mano.
- No, certo che... no.
Per un momento, ma solo per un momento, si chiese se l’avrebbe cacciato via. Magari intimandogli di non ritornare mai più.
Poi però si ricordò che quella era la vita reale e non film drammatico stile Hollywood intitolato “La tragica storia di Bruce Banner: un uomo, due volti”. Beh, un po’ lo era, d’accordo, ma di certo aspettarsi un trattamento del genere da ogni persona che incontrava era patologico persino per lui.
Pepper si avvicinò, appoggiò il pacco bianco sul tavolo di fianco a lui e gli porse la mano. – Mi rendo conto che la nostra precedente presentazione avesse qualche pecca. La prego di perdonarmi, se può.
Bruce rimase interdetto. La fissò come inebetito per qualche secondo e poi, poco coscienziosamente, le porse la mano e strinse la sua. – Non è un problema, glielo assicuro. Non sarò un problema, non si preoccupi.
Pepper fece per aprire la bocca, poi la richiuse, smise di guardarlo negli occhi, si morse il labbro, sbuffò, e alla fine ripiantò lo sguardo nel suo.
Pare quasi un toro pronto alla carica...
Il che razionalmente non avrebbe dovuto fargli paura, ma che in realtà un po’ lo faceva.
- Signor Banner, mi dispiace. Il mio atteggiamento di prima è stato... inadeguato.
- Senta...
- No, ascolti. Non era affatto mia intenzione comportarmi come mi sono comportata. Ciò che ho fatto è andato contro la mia razionale volontà. Vede, io avevo... ecco... – Bruce aveva la sensazione che stesse combattendo con se stessa in quel momento, - Avevo paura, insomma. Io c’ero. Sì, insomma, a New York, non molto tempo fa, quando lei... beh, la versione di lei più grossa e arrabbiata, ha raso al suolo mezzo quartiere del centro mentre combatteva con un mostro altrettanto grosso e altrettanto arrabbiato. Mi dispiace, davvero, credo che, per una volta nella mia vita, il mio istinto abbia prevaricato. La prego di scusarmi, glielo ripeto.
L’ultima parte del suo discorso l’aveva fatta così in fretta che Bruce aveva faticato a coglierne alcune parti. O forse era solo lui ad essere lento.
Comunque, alla fine capì.
- Capisco, glielo ripeto anch’io, non dovrà più avere paura... dell’altro tizio. Sul serio, me ne vado e...
- Lei non se ne va! Se non vuole. – disse Pepper, cercando di riaggiustare un tono che le era uscito lievemente autoritario. – Senta, io mi fido di Tony, per quanto possa essere... complicato. Sul serio. Se lui si fida di lei, anche io mi fido di lei.
Bruce la fissava scettico: - Una sorta di proprietà transitiva, in pratica.
Pepper gli sorrise: - Esatto. Ah, e ho anche portato questa, per lei. – disse, aprendo il pacco bianco che aveva con lei. Dentro, Bruce scorse delle ciambelle.
Ok, ciambelle. Mmh...
- Ehm...
- Quando sono scesa nella Hall mi hanno detto che non l’avevano vista passare, né per uscire né per andare in mensa. Ho ipotizzato che non avesse ancora pranzato e quindi... beh, questa è la conseguenza. Le consideri... un’aggiunta alle scuse.
Bruce abbozzò un sorriso. – È una specie di tradizione, tra lei e Tony, offrire del cibo agli altri?
Pepper lo fissò, un sopraciglio alzato.
Mai che riesca a tenere la bocca chiusa...
Poi però lei rispose amichevole: - Sì, sì credo di sì.
 
♦♦♦
 
- Le ciambelle dell’amicizia, è così? Carino.
Erano davanti allo stesso davanzale panoramico di quella mattina, l’unica differenza era, in effetti, che era calata la notte. Per qualche strana ragione, infatti Pepper credeva ancora che, in fondo, la giornata non fosse andata poi così male.
- Le ciambelle dell’amicizia? Dove l’hai sentito, in un cartone animato?
- Ah ah ah, che ridere. Comunque, pensi che Bruce tornerà? Mi dispiacerebbe sprecare energie per andare a recuperarlo in qualunque paese sperduto si rifugiasse.
- Tornerà, tornerà.
- Come fai a dirlo? Senza offesa, ma la tua sceneggiata...
Stavolta la gomitata riuscì a evitarsela. Eccone un altro che impara dai propri errori.
- Tornerà perché sa che altrimenti andresti a cercarlo in qualunque paese sperduto si rifugiasse.
- Adesso non farmi sentire uno stalker, però.
 
 
 
 
 

Note: Per cominciare, complimenti a chi è giunto alla fine di questa lunghissima one-shot (per i miei standard, ovviamente), meritate un biscotto *porge biscotto* e già sono contenta che l’abbiate letta.
Come avrete notato, questa non è una one-shot singola, ma una raccolta. Non ho ancora deciso se sarà composta da solo due altri capitoli o ce ne saranno di più (dipende se Steve mi si dimostrerà collaborativo o no e, anche, se alla fine mi deciderò a mettere quel siparietto “Pepper & Phil” che progetto da un po’ ma che non ho ancora scritto).
Se vi interessa sapere quale sia lo strano impulso che mi ha spinto a chiedermi come Pepper abbia conosciuto i Vendicatori, è colpa dell’altra mia raccolta Pepperony, da cui ho deciso di staccare questa mini-raccolta perché altrimenti avrei dovuto trasformare il tutto in un cross-over IronMan/The Avengers e la cosa... boh, non mi sembrava giusta, visto che tutti gli altri capitoli era prettamente "IronMan" e non avevano niente a che fare con "The Avengers"...
Comunque, di Bruce non ho mai scritto niente. Ho letto tanto, ma non mi ero mai presa l’onere, quindi non siate troppo duri che nei suoi panni mi trovo ancora un po’ scomoda.
Noticina tecnica: Il titolo è un mix dei titoli dei romanzi più famosi di Jane Austin: “Orgoglio e Pregiudizio” e “Ragione e Sentimento”. Perché? Mmh... perché no?

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Parte II

Mitologia spicciola




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- Sì, Tony. No, Tony. Scordatelo, Tony.
Happy la salutò con la mano e Pepper riuscì a rispondere appena con un sorriso veloce, visto il telefono stretto nella mano destra e, nella sinistra, i pesanti progetti di ampliamento dell’ala nord.
Da dove mi è uscito quel “tranquilli me ne occupo io”?
- Ho detto no, Tony. Ti supplico. Hai già dato via la mia amatissima collezione d’arte moderna ai boyscout... come quale? Non fare il finto ton-to.
Riuscì ad attraversare le porte scorrevoli dell’anticamera alla sala riunioni per un pelo. Sperò che nessuno avesse da ridire anche se i progetti erano un po’ stropicciati.
Molto impegno, notti in bianco, architetti famosi... sì, credo userò queste parole.
- No, Tony. Non ti permetterò di toccare gli impressionisti. La nuova palestra la puoi costruire da un’altra parte, la sala esposizioni resta lì dov’è. Non volevi una scusa per costruire una dependance della villa a Miami? Adesso ce l’hai.
- Signorina Potts, quando è pronta, gli azionisti stanno arrivando. – disse Katy, una delle ultime segretarie assunte.
- Grazie Katy, - le sussurrò in risposta, movendo appena le labbra e poggiando temporaneamente i progetti sul divanetto davanti a lei, - Come dici, Tony? Ah... sì, lo so, sono geniale. Senti, ora ti dispiacerebbe lasciarmi fare l’Amministratore Delegato per un attimo? Sei solo una cinquantina di piani sopra di me e mi sembra assurdo continuare a parlare al telefono. Ok, ci... preferirei il giapponese, lo sai. Ma la pizza va bene uguale. Ok, ci... no, niente mix dei due, non voglio la salmonella perché hai deciso di cuocere sulla pizza del pesce crudo. Ok, bravo, ciao, ciao. A dopo. Ciao.
Pepper pigiò sul riquadro luminoso del cellulare con una forza non necessaria ma che la fece sentire un po’ meglio. Poi alzò gli occhi al cielo, sbuffò e si girò verso il vetro chiaro della finestra panoramica dietro di lei, cercando di riprendere fiato prima di cominciare la riunione.
- Ma che cavolo...?
Ma le si presentò davanti una scena assurda. Due piani più giù, vicino all’entrata di un vicolo parallelo al parco, c’erano quattro persone: due ragazze che stavano indietreggiando, un uomo che brandiva una strana asta argentata e... mi sono persa l’arrivo del carnevale?
Poi, all’improvviso, quel coso... insomma, il quarto (è truccato come un serial killer, ma è senza motosega. Ha le orecchie lunghe ma temo che non ci sia niente di fantasy in tutto questo...) cominciò ad avanzare verso le due ragazze in prima fila. La seconda, con i capelli neri e gli occhiali, cacciò un urlo notevole.
La voce di Pepper le si sovrappose.
- Happy, Happy! Vieni qui, Happy!
 
 
Una decina di minuti prima, vicino all’entrata di un vicolo parallelo al parco
 
- Le mie dita si stanno congelando.
- Oh, Darcy, piantala di fare la melodrammatica.
- Non sto facendo la melodrammatica! – le rispose lei, piccata, - Dici che mi si staccheranno?
Jane sbuffò e accelerò il passo, tenendo sempre davanti a sé il rilevatore di onde a mo’ di GPS.
- Mi ricordi perché siamo venuti qui, adesso? Lo sai che fa freddo? A Londra non faceva così freddo...
Jane valutò per un secondo di non risponderle. Poi si ricordò che, per sfinimento, tanto Darcy le risposte le otteneva comunque.
- Lo sai perché.
Darcy mugugnò qualcosa di inintelligibile. – Jane, non hai bisogno che ti ricordi cosa è successo l’ultima volta che siamo andati alla ricerca di un’anomalia dello spazio-tempo, vero?
- Smettila di usare il tuo linguaggio da telefilm.
- Non è un linguaggio da telefilm! Diglielo, Ian. Tu ti ricordi che cosa è successo l’ultima volta? – continuò Darcy, rivolgendosi al suo stagista-quasi-fidanzato-ma-dipende, a qualche passo da loro e con in mano le attrezzature, senza tuttavia attendere una qualsivoglia risposta, - Non ti sarai scordata il tipo oscuro con la treccia, quella roba rossa cattiva e tutto il resto, vero? Vero?
Jane sbuffò di nuovo. – Potresti stare zitta un attimo? Ci siamo quasi. – le disse, mentre osservava il rilevatore impazzire in un modo che ormai associava istintivamente a qualcosa di straordinario.
Straordinario. Non piacevole, non bello, ma pur sempre straordinario.
Avanzò ancora qualche passo, ignorando le ultime lamentele sussurrate di Darcy e, in parte, anche la particina della sua coscienza che la stava insultando per la sua avventatezza.
Ci siamo, ci siamo.
Ah.
Davanti a loro, giusto alla fine del vicolo scuro tra due case in mattoni, stava uno strano cerchio luminoso con i bordi sfrangiati e, all’interno, quella che sembrava proprio una pianura di fuoco.
Scommetto che è Múspellsheimr.
Thor sarebbe fiero di me, ho studiato.
- Oh, cazzo. – dissero in coro Darcy e Ian. - Non è quello che sto pensando che sia, vero Jane? Jane? Dimmi che non è quello che sto pensando! – le chiese poi Darcy, con una voce decisamente stridula.
Ma Jane non la sentiva neanche. Aveva il rilevatore alzato davanti a sé, un sorriso sulle labbra e gli occhi fissi sul fuoco danzante a qualche metro da lei. Pareva quasi sentirne il calore.
Beh, no, non posso. I portali dimensionali non trasportano le onde termiche, ma fa comunque un certo effetto.
Fece un passo in avanti per avvicinarsi, consapevole che aveva lo sguardo lievemente spiritato.
Questa sì che è una scoperta! E posso studiarlo, finalmente!
- Jane, ma quella... cosa, non mi ricordo come si chiamava...
- La convergenza.
- Bravo, Ian, quella non avrebbe dovuto... insomma... essere finita? Questi cosi non dovrebbero più esserci, no? Jane? Jane, mi guardi un secondo?
No, non avrebbero dovuto esserci, non in teoria. Ma, supponendo che i portali si erano aperti un po’ prima della convergenza, non era logico credere ce ne fosse qualcuno anche un po’ dopo?
Jane era non era mai stata così contenta di avere ragione.
E la cosa migliore era che non c’era nessuno lì, a romperle le scatole con gemme liquide superpericolose o uffici governativi dal nome improponibile e quindi aveva tutto il tempo del mondo per studiare un fenomeno che le rompeva la testa da mesi.
- Jane? Ma ci sei ancora? Terra chiama Jane? Jane!
- Darcy, per l’amor del cielo, la pianteresti di urlare? Sto pensando.
In risposta, Darcy sbuffò sonoramente e si sedette arrabbiata sul marciapiede a qualche metro da lei.
Jane, sangue freddo.
Era davanti a lei! Un portale transdimensionale! Niente storie di alberi che reggono l’universo o discutibili trucchetti magici. Solo ed esclusivamente scienza.
Jane era così felice che si sarebbe messa a saltellare. Ma decise di trattenersi.
Osservando i dati schizzare a livelli astronomici sul misuratore davanti a lei, fece un altro passo sicuro in avanti verso la pianura di fuoco, ma successe qualcosa.
Jane non ricordò bene in che ordine fossero andate le cose, in seguito. Ma nel momento in cui sentì Darcy urlare, aveva già fatto un salto all’indietro lontano dall’elfo oscuro che si era affacciato sul portale e che adesso stava avanzano veloce verso di loro.
 
 
Intanto, da un’altra parte. Una parte molto molto lontana...
 
- Come sta il Padre degli dei, Thor?
Erano all’esterno del piccolo piazzare vicino al villaggio. Entrambi in piedi sulla cima delle scale, osservavano con attenzione l’allenamento dei giovani asgardiani, che si battevano con la ferocia di chi ancora non ha conosciuto la guerra.
È passato così tanto tempo... eppure anch’io ero così, una volta.
Ad un certo punto un ragazzino ben piazzato ne abbatté un altro con un colpo di spada. Erano armi in legno, Thor lo sapeva bene, ma non poté fare a meno di stringere istintivamente i denti in un moto di empatia, al ricordo dei tanti lividi che aveva accumulato nei suoi duelli in gioventù.
- Tutto bene, Lady Sif. È provato, ma come non giustificarlo? Devo ammettere che da qualche tempo la situazione sta comunque migliorando, prima non sembrava nemmeno più lui...
Lady Sif annuì pensierosa e poi continuò, lo sguardo perso tra i giovani combattenti ma rivolto molto più in là, – Com’è che oggi non sei dalla tua mortale?
Lui fece spallucce. – Jane mi ha chiesto un po’ di tempo per finire di sistemare la sua nuova casa nelle terre d’America, dice che altrimenti potrei “dubitare della civiltà umana”, anche se non sono certo di cosa intendesse dire...
Lady Sif alzò la testa verso di lui e cercò il suo sguardo, aprì la bocca ma fu interrotta prima di poter dire qualcosa.
- Thor! – tuonò infatti possente la voce di Heimdall, dall’altra parte della piazzetta. In due falcate, il Guardiano era già al loro fianco, la posa rigida e lo sguardo cupo, – Thor, la tua mortale. Devi venire subito.
 
 
Ma torniamo al vicolo oscuro...
 
- Jane, cavoli!
- Sì, lo so!
- E adesso come ne usciamo?
- Non lo so!
Pepper sentiva quelle ragazze urlare ma sapeva di aver già fatto tutto ciò che era in suo potere fare. Era stata chiamata prontamente la polizia, tutte le guardie presenti nella Stark Tower stavano per intervenire e Happy aveva già provveduto a sistemare qualcuno dall’altra parte della strada così da impedire che altri fossero coinvolti.
Pepper aveva fatto tutto il possibile ma il suo subconscio non doveva esserne poi così soddisfatto, dato che vide comunque se stessa scendere la scala antincendio e avvicinarsi a quello strano scontro, in barba a qualunque considerazione ragionevole.
Inizialmente, di “strano”, lì, c’era solo il pittoresco costume di quel... criminale, se così lo si poteva definire, ma Pepper era decisamente più a corto di definizioni del solito per trovare qualcosa di meglio. Piano piano poi, però, più o meno quando Pepper si era accorta che quelle orecchie non dovevano avere niente di finto e, in più, l’arma che il tizio stava usando lanciava proprio dei colpi laser, il tutto aveva cominciato a trasformarsi in una di quelle cose aliene con cui lei non avrebbe mai voluto avere a che fare.
Quando poi si era avvicinata al vicolo e aveva intravisto tra le mattonelle scure il cerchio luminescente infuocato aveva compreso infine che scendere quella scala era stata davvero una pessima idea.
- Ehi, persone! Persone che vengono a darci una mano! Persone, aiuto!
Pepper vide la ragazza con gli occhiali sbracciarsi verso i soccorsi che si stavano avvicinando e, in quel preciso momento, il criminale sparò un raggio laser verso di lei.
Per i primi secondi Pepper rimase convinta che l’avesse colpita, ma l’urlo che aveva in mente di cacciare le si strozzò in gola quando notò che, graziealcielo, il ragazzo con l’asta argentata si era buttato sulla ragazza e il colpo era finito su un auto parcheggiata a qualche metro dietro di loro, mentre i due erano sani e salvi a terra.
Continuò a ringraziare il cielo per altri sei o sette centesimi di secondo, prima di realizzare che adesso la ragazza con i capelli castani era rimasta sola davanti a quel criminale, lo sguardo spaventato e quella che sembrava una semplice radiolina scura davanti a lei come scudo.
Il criminale alzò la pistola o qualunque altra cosa fosse e si preparò al colpo.
No.
Successe tutto al rallentatore e Pepper rimane tutt’oggi convinta che i film d’azione di cui da adolescente era appassionata le abbiano evidente rovinato la psiche.
Perché, se così non fosse stato, lei non si sarebbe mai nemmeno sognata di intervenire. Perché, dai, sul serio? Cosa voleva fare, l’eroina tragica?
Fatto sta, comunque, che quella cosa da terra la raccolse (non aveva tempo da perdere per verificare cosa diamine fosse) e la lanciò.
Peccato che, se l’intenzione da eroina tragica c’era, quella cosa (doveva essere un sasso, si dirà in seguito) ovvio che non finì dove doveva finire e anzi rischiò di cavare un occhio alla povera ragazza dai capelli scuri.
Perché se può andare peggio, piove di certo.
Comunque, se l’obiettivo era distrarre quell’arlecchino inquietante, il piano riuscì. Se era quello in piano, Pepper non ne era certa.
Vide gli occhi vuoti della maschera fissarsi su di lei e in quell’esatto momento realizzò quanto avesse decisamente superato il suo limite di errori da commettersi in un’unica giornata.
Chiuse gli occhi e prese un respiro. Non aveva pensieri in testa e, se ci fosse stati, sarebbero stati tutti troppo dolorosi da sopportare.
Ma, ad un tratto, sentì un rumore fortissimo e vide attraverso le palpebre una luce intensa, come se fosse stata sotto il sole d’agosto a Miami, nella spiaggetta davanti alla loro villa.
Che metafora idiota...
Quando aprì gli occhi vide che un grosso omaccione biondo con la corazza e il mantello rosso era apparso tra il criminale e la ragazza bruna. Ebbe appena il tempo di verificare che un martello? Quello è veramente un martello? Che l’omaccione biondo mandò il criminale a schiantarsi a una ventina di metri di distanza con un fulmine. Un fulmine...
Pepper deglutì e scosse la testa per schiarirsi le idee.
Magari ho le allucinazioni per lo stress.
Speriamo.

 
Jane era indietreggiata più che aveva potuto, lo sguardo fisso verso le orbite vuote che aveva davanti e il cuore in gola. Aveva fatto appena in tempo a notare quella donna dai capelli chiari che tentava di distrarre l’elfo oscuro (ma a che pro? Perché non voleva colpire me, vero?) che una montagna in corazza le si piazzò davanti, salvandole la vita per la centesima volta in meno di tre anni.
Grazie a Odino! Sul serio!
Un battito di ciglia e l’elfo era una frittella sul vetro di un grattacielo.
- Jane! Stai bene? – chiese Thor, girandosi e guardandola negli occhi con lo sguardo tanto preoccupato da risultare quasi furioso.
Ooh... ehm, concentrati.
- Sì Thor, tutto bene. Io... bene... noi... – quando lui la baciò, Jane perse il filo del discorso.
- Oddio Jane! Jane, Jane! –realizzò che quella era la voce isterica di Darcy (la stessa che usava quando qualcuno finiva i suoi biscotti preferiti o le scaricava la batteria del PC) quando una cascata di capelli neri la sommerse.
Mi sta veramente abbracciando?
Un po’ impacciata, Jane rispose all’abbraccio, per poi discostarsi imbarazzata. – Sì, Darcy, tutto ok. Era imprevisto...
- Imprevisto? Imprevisto? Ma se sei andata a cercartela?
Jane aprì la bocca sconvolta, - Darcy!
- In che senso? – intervenne Thor, lo sguardo improvvisamente serio e calcolatore.
- Ehm... scherza! – tentò.
- No che non scherzo! – non la aiutò Darcy, - Ha cercato i portali, la tua fidanzatina, sai? Per studiarli! E ci ha quasi fatto uccidere!
- Oh, ma questo non...
- Scusate se vi interrompo, ma qualcuno sarebbe così gentile da spiegarmi cosa è successo?
Tutti e quattro (c’era anche Ian, era dietro di loro e aveva ancora lo sguardo un po’ scioccato) si girarono e si accorsero che, ah, c’erano schierati davanti a loro almeno almeno una ventina di agenti con tanto di pistole estratte, una decina di guardie con il completo scuro e, in testa, la donna con il tailleur che aveva cercato di accecarla, il tono fermo e lo sguardo tranquillo anche se aveva i capelli in disordine e la gonna che ormai era più nera che bianca.
Jane si guardò intorno e si accorse che, tra di loro, era meglio spiegasse lei le cose. Tentasse, almeno, - Dunque... – dunque, cosa? Vediamo, escludere a priori parole come “alieno” ed “elfo” era un buon inizio, giusto? – Ehm...
- Pepper! – urlò però improvvisamente qualcuno, interrompendola. Un secondo dopo un Tony Stark ommiodio (o almeno questo disse Darcy) trafelato li raggiunse. – Che sta succedendo? – disse, verso la donna per poi accorgersi di loro e tuonare un “Tu!” poco amichevole, - Che ci fai qui? Il fratellino pazzo ha nuove manie di conquista del mondo?
Thor si concesse qualche secondo per squadrarlo, poi parve riconoscerlo e assunse un’espressione altrettanto poco amichevole. - Stark, giusto? No, Loki non c’entra, lui... non è il momento giusto per parlarne. Comunque...
- E cos’era quella cosa prima di essere spiaccicata?
- Un elfo oscuro. – riprese Thor, - Faceva parte dell’esercito di Malekith, un antico nemico dei mondi che siamo riusciti a sconfiggere nelle terre Inglesi qualche...
Ma Stark lo interruppe, - Ah, a Greenwich, vero? Sospettavo qualcosa ma Fury non ha mai voluto dirmi niente a riguardo... e da dove è uscito?
- Da un portale...
- Mmh... – continuò Stark, dirigendo lo sguardo verso il portale luminoso a qualche metro da loro, sempre più piccolo, - Quella cosa, sì. Sì, ne ho sentito parlare, ma pretendere di sapere qualcosa dallo Shield è oltremodo utopistico, per i miei gusti. E non mi piace supplicare per avere informazioni. Ruberò qualcosa in seguito. Comunque è un fenomeno interessante... chissà quando si chiuderà...
- Fra qualche ora al massimo, credo sia l’ultimo. – intervenne lei, almeno qualcosa da dire l’aveva, in quel caso. Con la coda dell’occhio notò che Thor aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma aveva rinunciato in ultimo.
Stark alla sua risposta si girò verso di lei e la soppesò, quasi si accorgesse in quel momento della sua esistenza. Poi riprese, girandosi di nuovo e facendo finta di niente, - Beh, è qualcosa... dicevamo? Ah, sì. Pepper, cavoli, perché non mi hai chiamato?

 
 ***

- Non mi hai ancora risposto.
- Oddio, Tony, e cosa avresti potuto fare? Lanciargli addosso un computer? Paralizzarlo con un’osservazione arguta e sarcastica?
Erano in camera loro, all’ultimo piano del grattacielo e quindi molto molto lontano da possibili portali dimensionali di cui non ho capito niente, ma è meglio così. Santa ignoranza.
- Sei per caso arrabbiata con me? O sei ancora sotto shock? Comunque, da quello che ho capito, qualcosa lo hai lanciato tu...
Era notte inoltrata, erano a letto, l’uno vicino all’altro e Pepper avrebbe desiderato con tutta se stessa avere un altro sasso in mano in quel momento da lanciare sulla fronte del suo fidanzato.
- Oh, ma ti prego!
- Comunque, io avrei potuto...
- Ma se non hai nemmeno l’armatura! – sbottò alzandosi a sedere e rischiando di andare a sbattere contro la testa di Tony, che le si era avvicinato ed era quasi riuscito a prenderla tra le braccia.
- Ma, ma... io sono Iron Man! Ecco... – disse Tony, finendo la frase a bassa voce.
Pepper sbuffò. – Perché non ce l’hai, un armatura, giusto Tony? Perché già oggi ho incontrato un dio e una creatura delle fiabe, quindi credo di aver sopportato abbastanza rivelazioni!



 
 
 
 
 
Note: Ovvio che il capitolo sia ambientato dopo Thor: The Dark World. Jane e Darcy cominciano a piacermi sul serio, come personaggi, quindi temo che continuerò a rifilarveli lì dove posso ;)
Non ho molto da dire su questo capitolo... diciamo che, nella parte finale, mi riferisco ad un mio dubbio personale (cosacavolisuccederàinTheAvengers2), quindi potete anche ignorarla, come frase. Invece, quando parlo di Múspellsheimr, mi riferisco al regno dei fuoco, uno dei nove mondi di cui si parla sempre :)
Ci vediamo al prossimo (giuro che tenterò di introdurre Capitan America, il secondo capitolo doveva essere suo, ma mi manca un po’ di ispirazione al momento).
Aout ;)

 



 

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