Mom.

di Mokusha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I fell apart. ***
Capitolo 2: *** Can you save us, now? ***
Capitolo 3: *** Imagine ***
Capitolo 4: *** Peter Pan ***



Capitolo 1
*** I fell apart. ***


26 DICEMBRE 1974
02 : 25 a.m

Una lacrima le rigò il viso, silenziosa e timida.
Constance sbattè le palpebre, per poi tornare a fissare il soffito del camper.
'Oggi è il compleanno di Jay' pensò 'E io non posso permettermi di regalargli nemmeno una matita e un pacco di fogli per disegare. Ieri era Natale. Natale. Il nostro primo Natale da soli. Il nostro prima Natale in mezzo ad una strada. Niente albero di Natale. Niente lucine. Niente regali. Niente tazzone di cioccolata calda che piace tanto ai miei bambini. Eppure loro, quando si sono svegliati, mi hanno sorriso, mi hanno abbracciata, e mi hanno detto: " Buon Natale, mamma.' Ed è stato il regalo più bello che potessero farmi. Non so perchè Dio abbia mandato queste due stelle proprio nella mia vita, fatto sta che se non avessi loro, in questo momento sarei completamente in pezzi. Distrutta. Lui mi ha distrutta.'

Constance abbassò lo sguardo sul figlio minore, che le dormiva accoccolato contro. Le si era addormentato in braccio finchè tornavano dalla mensa in cui avevano passato il Natale, finchè Shannon si trasinava stancamente per la strada, attaccato alla manica del cappotto della madre.
Tutto sommato non era stata una brutta giornata. Avevano avuto un tetto sopra la testa, ed erano stati in compagnia.
Shannon aveva corso come un forsennato tutto il tempo con gli altri bambini, mentre il più piccino aveva preferito rimanere seduto vicino alla mamma a colorare, finchè, al pomeriggio, si era lasciato trascinare dal maggiore nei suoi giochi.

In quel momento, Jared tossicchiò, e si raggomitolò ancora di più contro la madre, con un lamento.
'Appunto' pensò la ragazza 'Avete corso, sudato come non so cosa, e forse non eravate abbastanza vestiti. Per favore, Jay, non ti ammalare' supplicò tra sè, sollevandosi su un gomito per chinarsi a sfiorare con le labbra la fronte del bimbo.
Decise di alzarsi dal letto. Era inutile stare lì a cercare il sonno che non sarebbe mai arrivato. Rimboccò le coperte ai bambini, prese il suo vecchio album da disegno, e uscì in quella fredda notte di dicembre.
Si sedette sugli scalini della roulotte e si gurdò attorno.
Le strade della Louisiana erano deserte.
D'altronde, faceva talmente freddo che nessuno si sarebbe mai sognato di mettere il naso fuori casa.
Aprì l'album e riprese a lavorare al ritratto dei bambini, sfruttando quella poca luce che il lampione lì vicino le consentiva.
Sorrise.
Le bastava pensare ai suoi figli per sentirsi subito un po' meno devastata.
Amava Shannon e Jared con tutta l'anima, e non riusciva ancora a credere che il cielo le avesse regalato delle stelle tanto meravigliose.
Stranamente, avevano preso la nuova vita come un gioco.
Nella spensieratezza della loro età, vivere in una roulotte era come una nuova avventura.
La porticina si aprì, e Shannon fece capolino, tutto assonnato.
"Mamma?"
"Shan, tesoro, cosa fai qui? Forza, torniamo dentro, fa freddo" disse Constance prendendo in braccio il bambino, che posò subito la testa sulla sua spalla, aggrappandosi a lei.
"Non mi piace quando vai via" borbottò.
"Oh, piccolino, non ti preoccupare, io non andrò mai via, okay amore?"
"Me lo prometti?"
"Certo che te lo prometto" sussurrò la ragazza, tonando a stendersi sul lettuccio, stringendo forte il bimbo a se. "Adesso dormiamo però."
'Shannon non ha ancora quattro anni' pensò 'E nelle ultime settimane lo sto praticamente trattando da adulto. Ma che razza di madre sono?'
I sensi di colpa ultimamente erano all'ordine del giorno.
Si sentiva in colpa per essersi innamorata dell'uomo sbagliato, per non essere riuscita a tenere assieme la famiglia nemmeno per il bene dei bambini. Per non essere in grado di provvedere a loro come meritavano. Si ostinava a cercare di capire cosa avesse sbagliato.
Cosa?
Chiuse gli occhi, sperando così di impedire alle lacrime di bagnarle il viso, e si addormentò, ascoltando il respiro di quelli che sarebbero sempre stati gli unici uomini della sua vita.

Il mattino dopo, quando si svegliò, si accorse all'istante che qualcosa non andava.
Jared era tutto sudato, con le guance rosse, che si lamentava in preda alla febbre.
Il cuore di Constance accelerò furiosamente. Iniziò a scuotere il bambino, che sembrava non volerne sapere di svegliarsi.
La ragazza sentiva il panico crescere dentro di se.
"Jay, amore, apri gli occhi, su. Per favore."
Il piccino continuava a piagnucolare.
"Da bravo, svegliati."
La giovane mamma si rese conto che stava letteralmente implorando il figlio di svegliarsi.
Respirò profondamente, cercando di recuperare un po' di lucidità.
Si precipitò fuori dalla roulotte, attraversò la strada di corsa e prese a suonare furiosamente il campanello della casa di fronte.
La donna che vi abitava, Eloise, era un'anziana infermiera in pensione, che, nelle sue possibilità, aveva sempre cercato di dare una mano a quella ragazzina spaurita con due bimbi al seguito che viveva nella roulotte lì accanto.
"Connie, cosa succede, cara?" le domandò, quando se la trovò davanti, sull'orlo di una crisi di nervi.
"E'... è Jared" ansimò "Ha... Ha la febbre. Non riesco a svegliarlo. Devo... Devo portarlo all'ospedale."
"Cosa?"
"Ho bisogno che qualcuno rimanga con Shannon, io... Io..."
La vecchietta si avvolse uno scialle sulle spalle e uscì di casa.
"Fammi dare un'occhiata, okay? Ma stai tranquilla. Rimarrò io con Shan, andiamo d'accordo noi." sorrise, finchè entrava nella roulotte.
Le bastò uno sguardo per capire che il più piccolo aveva un febbrone da cavallo.
Aiutò la madre ad avvolgerlo in alcune coperte.
"Tesoro, come hai intenzione di arrivare all'ospedale?"
Le strade erano piende di neve, ma l'ospedale distava a poco più di un quarto d'ora a piedi da dove si trovavano.
"Andrò a piedi... Non... Non posso permettermi un taxi."
Prima che Eloise potesse replicare, Connie aveva già salutato Shannon con un bacio sulla fronte, finchè ancora dormiva, e si era precipitata fuori con il suo fagottino stretto tra le braccia.
"Aspetta!" le urlò dietro la più anziana "Chiedi del dottor Leto! Di che ti mando io!"

Finchè correva verso l'ospedale, la giovane continuava a mormorare al figlio: "Starai bene. Okay piccolino mio? Vedrai. Fai il bravo. Per favore. Per favore. Lo so che ho sbagliato con papà, che ho combinato un sacco di pasticci. Però perdonami, okay? Fai il bravo, Jay. Cerca di stare bene. Ti racconterò la storia di Peter Pan che ti piace tanto. Ma cerca di stare bene."
Quando entrò nell'altrio, era distrutta.
Aveva i piedi congelati, e la schiena a pezzi. Le braccia le dolevano talmente tanto da non sentirle più.
"Aiutatemi" supplicò le infermiere dell'accettazione. "Sono... Mi chiamo Constance Dev..." si interruppe di colpo.
Deglutì, ingoiando l'ennesimo nodo di lacrime.
"Sono la vicina di casa di Eloise Barmont. Il mio bimbo non sta bene. Devo... Devo parlare con il dottor Leto."

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Capitolo 2
*** Can you save us, now? ***


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Capitolo 3
*** Imagine ***


Eccomi qua!
Finalmente sono riuscita a pubblicare il trezo, che però non vale assolutamente la pena del tempo che vi ho fatto aspettare. ç_ç
Eh, diciamo che mi sono ingarbugliata in una situazione tutt'altro che semplice con questa storia, bwha.
Vi ringrazio di cuore per le recensioni positivissime che mi avete lasciato, non avrei mai pensato che la Fan Fiction vi prendesse tanto *-*
Grazie, sapete sempre come farmi allargare il cuore <3
Vi voglio bene, e spero che 'sta cosa non vi faccia troppo schifo :3
-Ale



Constance bussò alla porta di Eloise, che le venne ad aprire con un sorriso.
"Connie, cara" la accolse spostandosi per farla entrare "Com'è andata? Come sta il piccolino?"
La ragazza le rivolse un sorriso tirato.
"Un po' ...meglio. Carl, il... dottor Leto, ha detto che è solo un febbrone, ma che preferisce tenerlo sotto osservazione per un po'. Non... Ho idea di come farò a pagare le spese dell' ospedale", mormorò scuotendo la testa, finchè due lacrimoni le rigavano le guance "Proprio non lo so."
Eloise la abbracciò di slancio.
"Andrà tutto bene tesoro. Vedrai, si risolverà tutto. L'importante è che Jared stia meglio. Il resto lo risolveremo un po' alla volta. Okay?"
Constance si staccò dalla donna e annuì. Si asciugò gli occhi.
"Dov'è Shannon?"
"Di qua. Abbiamo fatto amicizia noi due." le spiegò, finchè la accompagnava in cucina.
Shannon era seduto a tavola, con uno scolapasta in testa, tutto preso a sbatacchiare delle pentole con due bacchette cinesi. Non appena vide la madre però, mollò i giochi e corse da lei.
"Mamma!"
Un sorriso si allargò subito sul volto della ragazza, che si abbassò al livello del figlioletto, abbracciandolo forte. Lo prese in braccio e gli tolse lo scolapasta dalla testa.
"Ciao ometto!" lo salutò, coprendolo di baci. "Come stai? Ti sei divertito con Eloise?"
Il bambino annuì, appoggiando le manine sulle guance della madre.
Constance adorava quando i figli la toccavano. Sentiva che ogni gesto dei bambini nei suoi confronti era amore.
Non si era di certo pentita di essere diventata mamma così giovane.
"Mamma, Eloise mi ha detto che sono un batterista!"
"Davvero?"
"Sì! Ma dov'è Jay?" chiese Shannon, guardando oltre la spalla della madre.
"Jay aveva un po' di febbre, amore. E' in un posto dove gliela manderanno via."
"Ma poi torna?"
"Ma certo che sì. Anzi, sai cosa ti dico? Questa sera lo andiamo a trovare."
"Ma è lì da solo?"
Contance ridacchiò. Era incredibile il senso di protezione che Shannon dimostrava verso il fratellino, pur essendo così piccino.
"No, ha un nuovo amico, che gli farà compagnia. Si chiama Carl."
"E gli manderà via la febbre?"
"Proprio così. E quando gli sarà passata, lo riporteremo a casa?"
"Nel camper?" domandò il bambino.
Constance sentì una fitta di dispiacere allo stomaco, ma si sforzò di nasconderla.
"Sì, amore." spiegò dolcemente "Nel camper."
Lo rimise giù per potersi togliere il cappotto di lana arancione, e gli accarezzò i capelli.
"Connie, Shan, che ne dite di una bella tazza di cioccolata calda?" domandò Eloise
"Direi che è un'ottima idea, non è vero?" rispose la mamma, sedendosi al tavolo, mentre il bimbo gli si arrampicava nuovamente sulle ginocchia.
Eloise servì loro due tazze fumanti di cioccolata. Osservò i suoi ospiti. Era incredibile come Constance fosse riuscita a nascondere tutte le sue angosce e ansie, di fronte al figlio e a mostrarsi sorridente e spensierata. Era un inno alla more vedere come si prendesse cura dei suoi figli, come li coccolasse, ed era una gioia vedere i suoi occhi azzurri illuminarsi ogni volta che li vedeva.
Ne aveva passate davvero tante, e lei stessa era ancora una bambina, tuttavia stava crescendo i figli in una maniera esemplare, trasmettendogli dei valori che molti adulti non avrebbero mai potuto arrivare a serbare in cuore.
Si sarebbe tolta l'anima per il bene di quei bimbi, che erano tutta la sua vita.
Ed Eloise sapeva quanto in realtà Constance si rimproverasse di poter fare abbastanza per loro. Avrebbe davvero voluto che vedesse che, nonostante la situazione, i suoi bambini erano felici.
Shannon, con i baffi di cioccolato, stava giocherellando con il ciondolo del simbolo della pace del braccialetto della mamma, mentre lei aveva poggiato il mento sulla sua testina, con lo sguardo perso, e milioni di pensieri ad affollarle la mente.

"Allora, come ti è sembrato il dottore?"
La voce di Eloise la fece sussultare.
Strinse più forte la tazza che aveva tra le mani.
"E' stato.. gentile" ammise, senza poter impedire alle proprie labbra di curvarsi all'insù.
L'anziana signora sorrise. Aveva lavorato per anni con Carl, e sapeva che era dotato di un'umanità e un'empatia disarmanti, tutto ciò di cui la ragazza aveva bisogno.
"Per una volta qualcuno è riuscito a farmi credere davvero che le cose si aggiusteranno. E che non sto per precipitare in continuazione. Che posso allontanarmi dal baratro, invece che sentirmene trascinata verso."
"Lo so, Carl è così. Ti dà sicurezza."
Constance annuì.
"Sì. E' riuscito a fare in modo che io mi fidassi di lui dopo pochi minuti. Se così non fosse stato non gli avrei mai lasciato il mio bambino."
"Certo. Non preoccuparti. Jared è in ottime mani."
"Lo so, ma..."
"Ma cosa, tesoro?"
"Il fatto che il dottor Leto sia stato così gentile con noi, non risolve i... problemi." sussurrò. "Rimane la questione che non ho i soldi per pagare l'ospedale, e probabilmente non avrò nemmeno quelli per le medicine, e l'inverno è appena cominciato, e io... Io non ho una soluzione."
"Connie, stai tranquilla. Cosa dice sempre John Lennon? 'Non esistono problemi, ma solo soluzioni.' Le cose si sistemeranno. Vedrai."


Jared spalancò gli occhioni, incrociando quelli dell'uomo in camice binaco seduto vicino a lui sul letto.
L'uomo gli sorrise.
"Ciao, piccolo Jay."
Il bimbo lo fissava.
"Io sono Carl, sono un amico della tua mamma."
"Mamma?" chiese il piccino.
"Sì. La tua mamma. "
Il labbro inferiore del bambino cominciò a tremare, finchè si guardava intorno spaurito.
"Ehi, soldato." gli disse Carl, prendedolo in braccio, tenendolo avvolto nelle coperte. "Non piangere. Sei in un posto che si chiama ospedale, che è un brutto nome per chiamare un grande palazzo pieno di stanze dove vengono mandati via la febbre e il raffreddore, sai?"
Jared si era ficcato il pollice in bcca ed aveva preso a tormentarsi un orecchio. Annuì timidamente.
"La tua mamma torna tra un pochino. E' andata a prendere Shannon."
Jared annuì di nuovo.
"E' il tuo compleanno oggi, vero? Guarda cos'ho qui." gli disse, prendedo dal comodino un pacchetto avvolta nella carta da regalo con orsetti e palloncini.
"Un regalo per te!"
Il bimbo lo fissò, ma non si mosse.
"Vuoi che lo scarti io?" gli domandò.
Il piccolo annuì. Carl scartò il pacchetto, e gli porse l'album da disegno e la scatola dei pennarelli.
Un sorriso si allargò sul volto del bambino, che, toltosi il dito di bocca, allungò le manine verso i suoi regali.
"Ti piace colorare, vero?"
"La mia mamma è una pittrice" spiegò Jared, strascicando le parole.
Carl annuì.
"Allora, possiamo essere amici io e te?"

 



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Capitolo 4
*** Peter Pan ***


Constance rovesciò l’ultima bacinella di acqua calda dentro la tinozza. Si arrotolò le maniche della camicetta e vi immerse un gomito, per assicurarsi che non fosse troppo calda.
“Shannon?” chiamò “Dove ti sei cacciato, ometto?”
Il bambino si tirò le lenzuola fino a sopra la testa.
“Non voglio fare il bagno!” protestò “Non voglio!” puntualizzò.
“Andiamo Shan, non fare così, comportati bene!”
“No!” gridò il bambino.
La madre lo scoprì, e gli arruffò i capelli.
“Se non ti sbrighi si raffredderà l’acqua, sai che non possiamo sprecarla, amore.”
“No!” ripeté il piccolo, mettendo il broncio. “Ho detto di no!”
La ragazza sospirò, cominciando a sentirsi frustrata.
“Perché non vuoi fare il bagno, tesoro?” chiese, mantenendo il suo tono di voce il più calmo possibile.
Il bambino sfuggì agli occhi della madre, voltandosi verso il lato del muro.
“Perché Jared non c’è” bisbigliò.
Constance fece fatica ad afferrare le parole del figlio, che, per quanto innocenti, arrivarono come una stilettata al suo cuore.
Di nuovo, si sentì orribile. Sapeva che da quando li aveva portati via dalla casa in cui vivevano, i bambini si erano fatti forza l’un l’altro. 
In particolare, Shannon aveva sviluppato un istinto di protezione verso il fratellino che era a dir poco sorprendente per un bambino di quattro anni.
Si sorprendeva spesso di come il maggiore fosse scrupolosamente attento ad ogni movimento di Jared, di come si prendesse attentamente cura di lui, aiutandolo persino a vestirsi, a versarsi il latte. Era rimasta incantata a vedere come gli strappasse i fogli dal blocco da disegno quando non era capace, e come gli allungasse i colori quando rotolavano troppo in fondo sul tavole, e come, ogni volta, prima di sedersi a tavola, lo accompagnasse a lavarsi le manine, insaponandogliele e asciugandogliele per bene.
Sembrava come se volesse sostituirsi alla figura paterna che avevano perso, e questo le spezzava il cuore, perché in nessun mondo un bimbo di neanche cinque anni avrebbe dovuto sentirsi così responsabile nei confronti di uno di due.
Quando Jared si faceva male, e piangeva, Shannon sembrava soffrire più di quanto non facesse lui.
Più volte, la ragazza, aveva cercato di fargli prendere le cose con leggerezza, provando ad evitare che si preoccupasse così tanto, ma con lui funzionava così: assorbiva tutto con i suoi occhioni cangianti, che spesso incontravano quelli della madre. Constance si sentiva quasi a disagio quando il figlio la fissava troppo a lungo, attenti, ed indagatori. Riusciva a decifrare ogni sua piccola emozione, era attento e vigile, ed in cuor suo, la giovane donna sapeva di non riuscire mai ad ingannarlo con i suoi deboli sorrisi, quando la sorprendeva ad asciugarsi in tutta fretta le lacrime, o persa nei suoi pensieri più bui.
Non si ritrovava a specchiarsi negli occhi di un bimbo, ma bensì in quelli di un uomo. E questo la spaventava, perché molte volte, nel celeste del suo sguardo, si celavano cose che nessuna creatura così piccola avrebbe dovuto nemmeno sospettare esistessero.
Invece lui, silenzioso e mesto, si faceva carico di tutte le responsabilità che sarebbero dovute spettare solo a lei, e a nessun altro.
Shannon e Jared erano soliti fare il bagno assieme, in quel modo lei poteva risparmiare acqua, e i due si divertivano a più non posso, e alla fine, il pavimento era più bagnato di quanto non lo fossero i bambini.
Il fatto di entrare nella vasca da solo era l’ennesimo cambiamento che Shan si era ritrovato a dover affrontare, per quello stava facendo i capricci.

“Oh, amore, mi dispiace tanto.” disse la ragazza abbracciando il figlioletto “Hai ragione, ma dopo che sarai bello profumato potremmo andarlo a trovare, e vedere come sta.”
“Non voglio essere bello profumato.” bofonchiò lui, incrociando le braccia.
Connie trattenne a stento un risolino.
“Ma io si.” spiegò “Esco solo con ometti belli profumati.” disse, facendogli il solletico.
Lui rise, dimenandosi. Poi si sistemò in ginocchio e mise le mani sulle gote della madre.
Era un gesto che ripeteva spesso, sembrava adorasse toccarle il viso.
“Se mi faccio il bagno sarò il tuo ometto?” domandò, serio.
“Certo.” rispose lei, con un sorriso.
“Come papà?”
La donna rimase un momento interdetta. Poi sbatté le palpebre, e baciò il figlio sulla fronte.
“Sai mantenere un segreto?”
Il bimbo annuì.
“Anche meglio.” sussurrò al suo orecchio. “Anche meglio.”
Jared era chino sul foglio di carta, impegnato a finire il suo disegno. Era talmente concentrato che gli si erano formate delle rughette tra le sopracciglia, e aveva tutte le orecchie rosse.
Carl era seduto vicino a lui, e lo osservava da sopra una spalla, seguendo interessato il lavoro del bambino, che era tanto assorto da non accorgersi della madre ed il fratello fermi sulla soglia della stanza.
Constance approfittò di quel momento per perdersi ad osservare il figlio, intenerita dalla scena che gli si prospettava davanti.
Le sembrava che per il medico fosse così facile prendersi cura di suo figlio, ma, probabilmente, si disse, si trattava solamente di inclinazione professionale.
Eloise non aveva mancato di decantare l’empatia fuori dal comune che tanto sembrava caratterizzare il dottor Leto.
L’uomo fu il primo ad accorgersi che li stava fissando,. Connie arrossì, quando la sorprese con un sorriso.
Toccò lievemente la spalla di Jared e gli fece cenno di guardare verso la porta.
Il bambino si illuminò alla vista della madre, e soprattutto, a quella del fratello.
“Shan!” trillò “Guarda cosa mi ha regalato Carl” cinguettò, strascinando le parole “Vuoi disegnare con me?”
Constance si sedette sul letto, baciando il figlio. Le labbra della ragazza esitarono sulla fronte del piccolo.
“Come stai tesoro?” chiese.
Jared guardò prima il dottore, che annuì, e poi tornò a guardare la madre.
“Carl ha detto che la febbre mi è passata!” esclamò, tutto contento. “E che tra due giorni torno a casa!”
“Carl?” domandò Connie al piccino con fare scherzoso “Sembra che siate diventati amici voi due.”
Il bambino annuì, tornando subito al suo disegno.
La ragazza alzò lo sguardo sorridendo, e questa volta fu lei a sorprendere gli occhi di Carl su di lei.
Arrossì nuovamente e sorrise, timida.
Quell’uomo sembrava emanare un senso di sicurezza a cui lei voleva disperatamente aggrapparsi, ma era troppo intimorita per farlo.
Come poteva fidarsi di qualcuno che conosceva da così poco tempo, in un momento in cui non osava rischiare riporre la sua fiducia in nessuno?
“Constance?” la chiamò Leto.
Lei sussultò, strappata ai suoi pensieri all’improvviso. “Sì?”
“Vuoi seguirmi un attimo nel mio studio?”
La ragazza annuì, staccandosi dai bambini.
“Shan, Jay. Esco solo un momento a parlare con il dottor Leto. Torno subito, va bene? Fate i bravi.”

Carl accompagnò la giovane nel suo ufficio, facendola sedere su una sedia e accomodandosi subito dopo su quella al suo fianco, piuttosto che usare quella di fronte a lei.
“Jared sta bene” cominciò “Si è trattato solo di una brutta infreddatura. Ma avrà bisogno di prendere uno sciroppo per almeno dieci giorni, rimanere al caldo e riparato e mangiare qualcosa di nutriente.”
La donna annuiva, mentre la sua mente calcolava freneticamente quanto avrebbe potuto costarle procurarsi tutto quello di cui Jared aveva bisogno. Non le ci volle molto per rendersi conto che non avrebbe mai potuto permetterselo.
Stava già decidendo che avrebbe potuto cedere la sua parte di buoni pasto in cambio di qualche soldo, per riuscire a pagare almeno le medicine e qualche nuova coperta, o, se era fortunata, una stufetta elettrica per la roulotte, quando la voce del medico la sorprese di nuovo.
“Constance, non so come dirtelo, ma… Non credo che la situazione in cui vivi sia l’ideale per i tuoi bambini, specialmente per Jay che è così cagionevole…”
Gli occhi chiari della ragazza, solitamente sempre agitati, insicuri e spaventati, diventarono di ghiaccio, inchiodando quelli del dottore, che si pentì all’istante di quello che aveva detto.
“Io… Non intendevo.”
I dolci lineamenti della mamma si indurirono.
“Intendevi eccome invece. Ma non preoccuparti, sono perfettamente consapevole di non essere una buona madre. Ti ringrazio comunque per avermelo sbattuto in faccia. Cominciavo a chiedermi quando avresti smesso di provare pietà per noi.”
Carl  scosse la testa, assumendo un’espressione dispiaciuta.
“Non ho detto questo, Constance… Non ho mai pensato a te come ad una pessima madre.”
“Ah no, dottore?” replicò lei “Ho avuto i miei figli troppo giovane. Seguo degli ideali che stanno scomodi alla maggior parte delle persone. Non sono riuscita a far funzionare le cose con il padre dei miei bambini, e invece di sforzarmi di tenere unita la famiglia almeno per il loro bene, ho preferito portarli via, privandoli di una casa sicura, mettendoli praticamente in mezzo ad una strada. La mia vita è un susseguirsi di errori madornali, ma puoi stare certo, Leto, che non è questo il futuro che ho sognato per i miei figli. E non è questo quello che avranno. Farò di tutto, di tutto perché abbiano la vita che meritano di avere, e non lascerò mai che niente di ciò che potrà accadere, possa privarli della capacità di sognare, e di guadagnarsi il loro destino.  Niente e nessuno priverà mai i miei figli di questo, è chiaro?”
Si alzò, girò i tacchi e tornò nella stanza di Jared prima che Carl avesse il tempo di proferire parola.

“Sei arrabbiata, mamma?” 
Gli occhi di Shannon indagarono prepotenti in quelli della madre, che sorrise subito.
“Certo che no, tesoro mio. Hai mostrato a Jared i regali per il suo compleanno?”
Shannon scosse la testa e scese subito dal letto, mettendosi a frugare in una borsa di tela tutta colorata.
Tirò fuori un cappello di cartoncino dalle tinte sgargianti.
“Jared!” spiegò “Qui c’è scritto il tuo nome, vedi?” mostrò al fratellino le lettere di carta che erano state tagliate ed incollate sul cappello “E questo è il numero tre, che sono gli anni che hai adesso.”
Il minore pendeva dalle labbra del maggiore e lo guardava incantato.
“E’ il tuo Cappello Dei Tre Anni. Adesso puoi metterlo perché sei grande!” continuò Shannon, posandolo sul capo del fratellino, che batté le mani, emozionato di essere stato definito ‘grande’ da Shannon.
“Poi Eloise ha fatto i biscotti! Mamma, Jared può prendere un biscotto?”
“Cero che sì, amore.”
Il piccolo festeggiato ridacchiò, prendendo un biscotto dal contenitore che Shannon gli porgeva, iniziando a mordicchiarlo.
“E mamma ha detto che puoi scegliere la storia di stasera!” concluse.
Jared si voltò verso la madre, spalancando gli occhioni blu con fare interrogativo.
Adorava essere lui a scegliere la favola della buonanotte.
Constance annuì sorridendo.
Si sistemò sul lettino accanto ai figli, che le si strinsero contro.
“Allora, amore, che storia vuoi sentire?”
Il bimbo non esitò neppure per un istante.
“Peter Pan.”  bisbigliò.
La madre non si sorprese. Jared sceglieva quella storia ogni volta che ne avesse l’occasione. 
‘Il mio piccolo sognatore’ pensò, scoprendo per l’ennesima volta la fantasia far brillare gli occhi di suo figlio. Era stata solita ritrovare quel luccichio anche nei propri, un tempo. Avrebbe dovuto imparare a ritrovarlo. Solo così avrebbe potuto uscire da quella situazione.
“La mia parte preferita è quando ci sono i pirati!” fece sapere Shannon. “E anche quella dei pellerossa!”
“Davvero?” domandò Connie. Il maggiore dei suoi figli annuì, sicuro.
“E la tua qual è, Jared?”
Il piccolo ci pensò su un momento.

“Quella dove si vola.”


«Dovete fare pensieri dolci e meravigliosi», spiegò loro Peter. «Saranno loro a sollevarvi in aria»


[Finalmente ho ripreso questa storia! Era ora! 
Devo sistemare alcuni errori nei capitoli precedenti, abbiate fede, lo farò. Nel frattempo godetevi i mini Leto (che ancora Leto non sono) e fatemi sapere cosa ne pensate. Avevo ricevuto molte recensioni/commenti positivi ai primi tre capitoli di questa storia, e molti di voi si erano detti dispiaciuti a vederla abbandonata a sé stessa… Spero abbiate ancora voglia di seguirla, che la vostra opinione non sia cambiata e di non deludervi.
Colgo l’occasione di questa pubblicazione per fare gli auguri alla nostra bellissima mamma Constance che compie gli anni proprio oggi.
Una donna meravigliosa, fortissima, che ha insegnato ai suoi figli la magia dei sogni, dell’arte e della creatività, e che nonostante tutte le difficoltà, e i momenti bui che ha attraversato ha cresciuto due uomini straordinari, che, grazie ai suoi insegnamenti, sono riusciti a ritrovare la strada giusta quando l’avevano perduta.
Credo che non la potremmo mai ringraziare abbastanza. <3
-Allie]

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