Tutto come prima-RELOADED

di Violet2013
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Merry Christmas (I don't wanna fight tonight) ***
Capitolo 2: *** Il grande freddo ***
Capitolo 3: *** Specchi riflessi ***
Capitolo 4: *** Rose nere ***
Capitolo 5: *** Quando si è pagato il debito ***



Capitolo 1
*** Merry Christmas (I don't wanna fight tonight) ***


Where are you? and I'm so sorry
I cannot sleep I cannot dream tonight,
I need somebody and always
this sick strange darkness
comes creeping on so haunting every time.
And as I stared I counted
the Webs from all the spiders,
catching things and eating their insides.
Like indecision to call you
and hear your voice of treason.
Will you come home and stop this pain tonight?
Stop this pain tonight.
''I miss you'', Blink 182.



''Vieni ad appendere la stella?''
Sua sorella glielo aveva chiesto con molta dolcezza, nonostante non fosse mai stata tipo da grosse smancerie, rimanendo sulla porta per non essere invadente.
Per la prima volta dopo circa tre anni i capelli arrivavano a sfiorarle le clavicole, provocandole un fastidioso prurito a contatto con la pelle.
Ogni centimetro in più che vedeva nel suo riflesso allo specchio era un piccolo passo che la allontanava dalla vecchia Akane, quella che la stava uccidendo, consumandola dall'interno.
4 mesi, 27 giorni, più o meno 12 ore.
Annotò il conteggio sul suo diario, quello che le aveva regalato il caro Mousse una delle tante sere in cui era passato a trovarla.
Era sua abitudine farlo una volta alla settimana, per rendersi conto di essere ancora viva. Di aver resistito, tutto sommato.
Sarebbe stata una vigilia di Natale particolare, tutta al femminile. Suo padre e Genma erano ancora in Cina, Mousse lavorava e Ryoga era disperso chissà dove.
Non avrebbe dovuto combattere con nessuna delle sue rivali quel giorno, non c'era più nessuno per cui combattere.
Prese in braccio il suo P-Chan, che dormiva placidamente sul letto della sua stanza, e scese lentamente in cucina, calibrando bene i suoi movimenti. Faceva quelle scale talmente di rado da aver smesso di considerarlo un gesto automatico, di quelli che si fanno senza pensare.
Entrò nel Dojo, buttò un'occhiata al grande albero illuminato e sforzò un sorriso.
Ranma aveva ragione quando le diceva che era sgraziata e priva di senso estetico, era decisamente più bello addobbato da Kasumi.
Prese la stella, salì sulla scala e la pose in cima all'abete, pensando a quanto le mancasse e chiedendosi cosa stesse facendo, sperando che stesse bene.
Cacciò una lacrima per non rovinare la festa alle sue sorelle ed uscì dal Dojo, salendo sul tetto della sua camera e lasciando che il suo sguardo si perdesse all'orizzonte.
Buon Natale, Ranma.





Sometimes I want to say to myself,
sometimes I say
I won't miss you, child.
I guess I'm lying to myself,
it's just you and no one else.
Lord I won't miss you child .
You've been blotting out my mind,
fooling on my time.
No, I won't miss you, baby.
Lord, I miss you child.
''I miss you'', Rolling Stones





In vita sua aveva festeggiato il Natale solo due volte, eppure nulla gli era mai mancato tanto.
Chiuse le tende e si voltò dando le spalle alla finestra ed alla meravigliosa vista di Time Square illuminata dalle chiassose insegne pubblicitarie e dagli addobbi natalizi.
Un anno, 4 mesi, 27 giorni e più o meno 23 ore e mezza.
Chissà come se la passava senza di lui.
Prese il telefono della stanza e premette 0, il numero della reception.
''Sì?''
''Che numero devo fare per chiamare in Giappone?''
''+81, signore''
Riappese.

Iniziò a camminare per la stanza, tracannando succo d'arancia direttamente dalla bottiglia e recitando a memoria, nella sua mente, il numero di casa Tendo, l'unico che fosse mai riuscito ad imparare a memoria.
Chiamarla.
Chiamarla?
Chiamarla per dirle cosa, poi?

Un insistente bussare alla porta lo fece tornare in sè e lo costrinse ad infilarsi una canottiera sopra ai pantaloni della tuta grigi e ad andare ad aprire.
Melissa -o forse Meredith o MaryLou o Martha, chi se lo ricordava?- gli sorrideva con un rametto di vischio in mano, portato sopra alla testa.
''E' quasi mezzanotte, è troppo chiedere di essere baciata?''
''Entra, dai.''
La fece accomodare, aiutandola a togliersi le scarpe e porgendole dei biscotti al cioccolato.
''Ti va di vedere un film? Ho il dvd di Romeo e Giulietta''
''Non ti facevo così romantico...''
''Mi piace Shakespeare, tutto qui.''
''Il mese prossimo mettono in scena L' Amleto a Brodway, potremmo andare a vederlo''
''Il mese prossimo sarò a Parigi, mi dispiace''
''Anche a me. Oh, è mezzanotte!''
''Buon Natale, Melissa''
''Buon Natale, Ranma''
Buon Natale, Akane.










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Capitolo 2
*** Il grande freddo ***



We are on a hiding to nowhere
we still hope, but our dreams
are not the same
And I, I lost before I started
I'm collapsing in stellar clouds of gas.


Shampoo camminava infreddolita per le vie di Pigalle.
L'inverno parigino era decisamente più rigido di quello nipponico.
Si fermò in un caffè a prendere una cioccolata d'asporto, concedendo a se stessa una piccola trasgressione alla rigida dieta cui si era sottoposta, poi riprese a camminare.
I nomi, le strade, i volti. Tutto le era sconosciuto.
Una sciarpa grigia a trama fitta le copriva la metà inferiore del viso arrivando fino al naso, che faceva capolino da quell'agglomerato di lana per permetterle di respirare; dei grossi occhiali da sole, nonostante non ci fosse troppa luce, le permettevano di estraniarsi da quella città così ostile, mentre un pesante cappello con visiera coordinato alla sciarpa proteggeva i suoi lunghi capelli, tenendole al caldo la testa e permettendo al suo cervello iperattivo di continuare a perdersi nei suoi pensieri senza ibernare.
Aveva iniziato a lavorare come ballerina in uno squallido locale di lapdance proprio di fronte al suo appartamento.
Il suo titolare, Il Viscido, come amava chiamarlo, non faceva che chiederle di fare un passo in più, di dare la sua disponibilità ad intrattenere i clienti al di là delle semplici danze, visto che la sua bellezza non passava inosservata nemmeno oltreoceano, ma se ne era sempre rifiutata.
Benchè la vita ed il suo stesso popolo le avessero giocato un brutto scherzo era sempre un' Amazzone, e le Amazzoni hanno cuore e cervello. E orgoglio, tanto orgoglio.
L'unica speranza a cui appigliarsi, nelle notti in cui piangeva disperata davanti a film romantici sottotitolati dei quali non capiva una parola, era proprio quella parte di sè che amava e odiava, ma che le impediva di disprezzare del tutto se stessa quando si guardava allo specchio la mattina.
Quanto diavolo poteva essere stata stupida?
Mentre Rue du Moulin Joly scorreva sotto i suoi passi, camminando velocemente cercando, invano, di trovare un po' di calore nel movimento, Shampoo si rese conto di quanto la dura realtà fosse sempre stata sotto ai suoi occhi, fin dall'inizio. Ranma non la voleva, non l'aveva mai voluta.
E, sotto sotto, nemmeno lei lo aveva mai voluto.
Aveva scambiato l'amore per una sfida e, come tale, voleva vincerla a tutti i costi, usando qualsiasi mezzo a sua disposizione, come le avevano insegnato sin da piccola.
Peccato che il premio non fosse mai stato all' altezza dei suoi sforzi.
La sfacciataggine con cui il codinato l' aveva rifiutata, perennemente e continuamente, la leggerezza con cui si prendeva gioco di lei ed approfittava della sua devozione quando sperava di ottenere qualche filtro magico per guarire dalla sua maledizione, il gelo nel suo sguardo il giorno in cui aveva inghiottito quintali di orgoglio per andare a mandare a monte il suo matrimonio in un ultimo, disperato atto di speranza l'avevano smontata come un puzzle, lentamente ed inesorabilmente, fino a farla arrivare lì, in quella che le sembrava la città più fredda del mondo.
Se Ranma Saotome fosse stato una sensazione, sarebbe stato il freddo di una doccia gelata che t'investe all'improvviso e ti trasforma in qualcosa che non sei, che ti rende mostruoso agli occhi degli altri.
Un po' come la maledizione di cui fortunatamente si era liberata.

Uno sconosciuto alto ed imponente, non che avesse perso tempo a guardarlo, la urtò con una spallata.
Nonostante il colpo fosse stato abbastanza violento, se ne accorse a malapena.
Mormorò uno stentato Excusez moi senza nemmeno alzare la testa per guardarlo in faccia, mentre sentiva il ragazzo fare lo stesso.
Poi riprese a camminare.


***



Healed, or are you still just reeling?
Are you fine? Have you found
a way to escape?
Are you here, just because I need you?
Can we hole up, a big freeze
is headind our way?




Era il gennaio più freddo che ricordasse, e dire che il clima di Tokyo non era famoso per essere dei più rigidi.
Suo padre l'aveva convocata in palestra e le aveva chiesto di prenderne le redini, finalmente.

''Te la senti?''
No, che non me la sento. Questo avrebbe voluto dirgli.

Era cresciuta in quella parte della casa, l'aveva difesa strenuamente quando qualche pazzo venuto da chissà dove decideva che voleva portargliela via, aveva riso e pianto tra quelle quattro mura di cui aveva fatto il suo rifugio. E ci si era quasi sposata dentro.
Dopo la partenza di Ranma e la ristrutturazione che aveva seguito il disastro del matrimonio mancato lo aveva deciso: non avrebbe combattuto mai più. Le arti marziali avevano portato solo drammi nella sua vita: un' adolescenza passata ad odiare gli uomini e a disprezzarli perchè più deboli di lei, un fidanzamento combinato sulla base di uno stupido accordo tra scuole di lotta, l'arrivo di una mandria di pazzi mutaforma violenti, l'amore scoperto troppo tardi, l'abbandono, la disperazione, l' umiliazione, la voglia di chiudere gli occhi e non riaprirli mai più.


''Non sono nemmeno cintura nera'', fece notare mestamente a Soun, che la guardava preoccupato. Nemmeno un drammatico per natura come lui avrebbe mai immaginato di vedere sua figlia nelle condizioni in cui aveva versato nei mesi precedenti.
Ma Akane era in ripresa e voleva renderla felice, a qualunque costo.

Era diventato vedovo quando le sue figlie erano ancora troppo piccole per avere la personalità pienamente formata ed aveva fatto quello che poteva per crescerle al meglio e lasciare che seguissero le loro inclinazioni, ma Akane era la sua legittima erede, di questo era certo. Se ci fosse stata ancora la sua povera moglie, probabilmente, gli avrebbe consigliato di regalare alla figlia minore un viaggio o dei vestiti nuovi, ma lui era un uomo ed un artista marziale, non immaginava nulla di più bello e grande al mondo che ricevere un tale riconoscimento dal proprio padre e maestro, ed aveva deciso che la sua piccolina lo meritava.

''C'è una competizione la settimana prossima, la vincerai e poi faremo una grande festa per comunicare a tutti che sei diventata la capopalestra''
''Una settimana?'', obiettò lei, stupita e spaventata, ''Non ce la farò mai, papà, sono troppo debole!''
''Akane, io credo che tu in questi anni ti sia sottovalutata troppo. Da quando, hem...'', tossì.
''Puoi dirlo'', rispose cupa abbassando gli occhi davanti al palese imbarazzo di suo padre, ''Puoi dire il suo nome, non mi ucciderà''
''Scusami, figliola, non volevo fartelo tornare in mente''
Come se non fosse sempre nella mia mente, pensò la giovane sorridendo amaramente.
''Intendevo solo dire che da quando lui... Hem... Ranma'', sputò quel nome come se fosse stato avvelenato, ''Da quando Ranma è arrivato a casa nostra la tua forza è stata ingiustamente messa in ombra. Sei perfettamente in grado di vincere e diventare cintura nera, se gli eventi degli ultimi tempi non ci avessero tenuti occupati probabimente lo saresti già da tempo''
Riaprire il vaso di Pandora e ripensare a tutto quello che le era capitato in quei folli tre anni fu questione di un attimo, e ad Akane non piacque ciò che ci vide dentro.
Un giovane era piombato in casa sua, in veste di suo promesso sposo.
Le aveva causato una serie infinita di problemi a casa, a scuola e nei rapporti con gli altri, l'aveva derisa e svilita in tutti i modi possibili in cui una donna potesse essere umiliata, si era portato dietro una schiera di nemici non troppo amichevoli e non sembrava mai realmente dispiaciuto o intenzionato a rimediare a tutti i danni, in primis economici, che aveva causato alla sua famiglia.
Ma c'era dell'altro.
In qualche modo, inspiegabilmente ed in punta di piedi, si era fatto strada nel suo cuore, nonostante le pessime premesse, fino a rendersi indispensabile.
Da indesiderato ad indispensabile.
L'aveva messa in condizione di fidarsi, di aprirsi a lui, di non vergognarsi dei suoi sentimenti che sembrava addirittuta ricambiare.
E poi era sparito nel nulla.
Se Ranma Saotome fosse stato una sensazione sarebbe stato il freddo pungente che si prova in inverno quando si esce dal letto la mattina presto. Un secondo prima sei avvolto nel tepore delle coperte, nella loro familiare sicurezza, ed un attimo dopo il buio ed una sensazione molto simile al dolore s'impossessano di te, cogliendoti di sorpresa e non lasciandoti scampo, togliendoti quasi il respiro.

Alle spalle di suo padre vide una piccola crepa nel muro.
Impercettibile, un'altra parola con la i.
Talmente nascosta allo sguardo da essere sfuggita alle minuziose opere di ristrutturazione che sua sorella Nabiki aveva provveduto a pagare, stranamente di buon grado.
Il primo squarcio in quella parete risaliva al primissimo incontro tra lei e Ranma, quando lui era solo una ragazzina arrivata a casa sua in braccio ad un grosso panda e lei, tanto per essere gentile, l'aveva invitata in palestra per un combattimento amichevole.
Ranma si era scansato all'ultimo ed il suo pugno aveva colpito il muro.
Praticamente una metafora di quella che sarebbe stata la loro relazione.
Lo squarcio era stato riparato e riaperto a più riprese nei mesi a seguire, ma il giorno del matrimonio Ranma, dopo che Happosai aveva bevuto l'acqua della Nan Nichuan scambiandola per sake, si era accanito contro quel muro, proprio quello ironicamente, ed aveva scaricato tutta la sua rabbia sulle sue ormai vecchie e stanche assi di legno, lasciando una traccia di sè, l'ultima.
Akane l'aveva ritrovata poche settimane prima, quando era finalmente uscita dalla sua stanza per festeggiare il Natale con le sue sorelle, ed aveva custodito gelosamente quella scoperta, non facendola notare a nessuno per paura che potessero portarle via anche l'ultima prova del passaggio di quel deficiente del suo primo, grande amore nelle loro vite.
Tornò a prestare attenzione a suo padre, sorrise.
''Accetto''
Se tutto era iniziato e finito in quel luogo, forse, tutto poteva ricominciare da lì, pensò.
   


***


Fight, or will you show me mercy?
We've expelled the goodness
from our hearts.
Are you here just to prove you're winning?
Can we hole up, and ride out this electrical storm?

We destroyed something beautiful.
We have faith, but our truths
are not the same.



Excusez moi.
Lo sussurrò piano a quella giovane minuta ed infagottata che aveva investito, perso come sempre nella sua guerra interiore.
Si voltò un istante a guardarla, mentre camminava spedita nella direzione opposta alla sua, pestando le mattonelle di strada che lui aveva appena percorso.
Non ci aveva trovato nulla di buono, augurò a quella ragazza un destino migliore. Chissà se anche lei si sentiva sola ed estranea al mondo come lui.
Frugò nelle tasche per cercare un biglietto utile della metropolitana, scartandone alcuni già usati e buttandoli in un cestino, dopodichè scese le scale della stazione e si sedette su una panchina ad aspettare il treno.
Lì sotto il freddo era ancora più pungente, gli spostamenti d'aria causati dai convogli in movimento lo facevano rabbrividire e la febbre da cui era appena guarito sembrava minacciarlo di volersi ripresentare da un momento all'altro.
Un ragazzo di colore accanto a lui mise una sigaretta in bocca e lo guardò, dicendogli una frase incomprensibile in francese che Ranma aveva interpretato come la richiesta di un accendino.
''Non'', sorrise scuotendo la testa, era una delle poche parole che aveva imparato.
Il treno arrivò e, stranamente, riuscì a trovare un posto a sedere. Aprì la cartina che aveva nella tasca dei jeans, si tolse un guanto per essere agevolato nella scrittura ed iniziò a segnare le zone che avrebbe dovuto visitare quel giorno.
La scheggia di legno infilata lungo il suo indice destro gli faceva sempre male quando cambiava il tempo.
Risaliva ad uno dei suoi ultimi giorni in casa Tendo, un anno e mezzo prima. Happosai si era letteralmente bevuto il suo sogno più grande e lui si era sfogato contro uno dei muri del Dojo, come sempre.
Con il pollice accarezzò dolcemente quel pezzettino di legno conficcato sottopelle, piccolo e fragile come qualcuno che conosceva molto bene e, proprio come il perenne oggetto dei suoi pensieri, destinato a far parte di lui per sempre.
Tornò a volgere il suo sguardo alla cartina, cercando di capire che percorso fosse più conveniente fare per raggiungere la sua prima meta: la Défense, il quartiere moderno.
Aveva praticamente buttato i soldi del corso serale di francese, avendo imparato a malapena ad ordinare una ciotola di riso al ristorante cinese sotto casa, ma ricordava precisamente cosa significasse quella parola, a lui molto cara: difesa.
Sei lettere che definivano un'esistenza, la sua.
La sua vita era sempre stata scandita da quel lemma così semplice, che era anche una delle prime basi delle arti marziali.
Da bambino, in viaggio con suo padre, aveva imparato a difendersi dalla fame e dalle intemperie, dalle situazioni imprevedibili e dai malintenzionati che gli era capitato di incontrare lungo la via.
A Nerima, quando aveva iniziato a vivere in maniera più o meno stabile, aveva imparato a difendersi dai continui attacchi dei suoi rivali in amore e da quelli ancora più pericolosi delle sue sedicenti fidanzate, dai pettegolezzi dei compagni di scuola e dallo strozzinaggio di Nabiki.
Con Akane, poi, non si trattava d'altro.
Doveva continuamente difendere se stesso dai suoi attacchi d'ira, dalla sue secchiate d'acqua e reazioni violente, per non parlare della sua cucina creativa.
Aveva imparato a difendersi dal suo fascino, da cui risultava essere l'unico immune mentre, in realtà, ne era la prima vittima. Aveva imparato a chiudere il suo cuore ed a difendere se stesso da quel sentimento che era la più grande debolezza e principale causa di rovina di ogni combattente: l'amore. O almeno così credeva, così gli era stato insegnato.
Se avesse dovuto descrivere se stesso paragonandosi ad una sensazione avrebbe optato per il freddo di una lastra di ghiaccio che sembra invincibile ed impenetrabile, ma è comunque sensibile alle crepe, dalle quali può filtrare praticamente ogni cosa. Se scalfita troppo a fondo, una lastra di ghiaccio  rischia di sgretolarsi, pur non perdendo mai la consistenza dura e gelida, la sua grandezza.
Questo, ovviamente, a meno di una giornata particolarmente soleggiata.
Ranma non era scappato dall'amore che provava per Akane, si era semplicemente reso conto di essersi avvicinato troppo al sole.
Chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale del sedile mentre il treno della metropolitana correva veloce sotto il suolo parigino.
Il tornare a casa era un'opzione che aveva considerato più di una volta, da quando era tornato un ragazzo normale, ma con che faccia lo avrebbe fatto dopo aver abbandonato la famiglia che lo aveva accolto con tanto amore e, soprattutto, dopo aver perso il primato dell'imbattibilità, forse l'unica cosa che lo rendeva degno di Akane?
Scese dal treno, salì le scale della stazione ed uscì all'aria aperta, venendo colpito in pieno volto dal freddo di quella città che per lui rappresentava allo stesso tempo un rifugio ed una sfida.
E riprese a camminare.




Scusate l'eccesso d'introspezione, prometto che non sarà sempre così.
La canzone è Big Freeze dei Muse, ascoltatela!
Grazie di cuore a chi ha letto il precedente capitolo e leggerà anche questo. sono felice che Tutto come prima non sia finita nel dimenticatoio! (si capisce che anche qui la parte di Akane è ambientata un anno prima rispetto alle altre due?)
A presto!





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Capitolo 3
*** Specchi riflessi ***


Non puoi ferirmi più adesso che non sei più dentro ai sogni miei, non puoi.
Amica mi ritorni,se vuoi sbarrando i limiti,
non senza inibizioni, che sciolgo ormai.
Ah, io e te. Come siamo andati d'accordo, non so più.
Noi due specchi in contro riflessi ma lontani,
in un gioco di intermittenze e di vuoti strani.
Sospesi in aria allo stesso piano, come due palloni di gas con uno spillo in mezzo
e tenuti in volo da un vento costante e lento,
che ad un primo cambio di verso li scoppi così, da un lato o dall'altro.






La prima volta può essere davvero un trauma.
Può essere dolce, romantica, intensa. Ma anche squallida, breve, deludente.
Può essere imbarazzata ed imbarazzante, tenera, divertente, dolorosa, sofferta, piacevole, insperata, perfetta, rubata, sognata, sbagliata, complice, violata, giocosa, tranquilla, silenziosa.
E ancora: piacevole, terribile, indimenticabile, passionale, fredda, programmata, disgustosa, inaspettata, studiata a tavolino, poetica, rumorosa, inesperta, tardiva, precoce, fantastica, appicciosa, meravigliosa, sgradevole, incantevole.
La prima volta segna definitivamente il passaggio all'età adulta ed è una delle poche cose insieme alla morte da cui non si può tornare indietro.
La prima volta può suscitare la più vasta gamma di emozioni, ma difficilmente ti lascia del tutto indifferente.
A meno che il tuo nome non sia Ranma Saotome.

Era arrivato alla locanda del vecchio Xian-Lu nella notte più piovosa che ricordasse di aver vissuto, coperto di fango e ferite, con gli occhi arrossati e totalmente seccati dalle forti raffiche di vento che gli bruciavano come se qualche sadico vi avesse puntato dentro tanti spilli lunghi e sottili come capelli.
Aveva zoppicato aggrappato a quel bastone in legno che era stato il suo unico supporto lungo i chilometri che aveva macinato per cercare rifugio, mentre l'aria che passava attraverso gli squarci della sua casacca bruciata sembrava tagliargli la carne, e le labbra, secche a causa del freddo, lo facevano rabbrividire dal dolore ogni volta in cui la lingua vi si posava.
Man-Lo lo aveva accolto correndogli incontro preoccupata non appena aveva varcato la soglia dell'ostello. Era una ragazzina più o meno della sua età, magra e molto più bassa di lui, con i capelli neri raccolti in una folta coda bassa.
Si era presa cura di lui per tutta la sera, tralasciando le sue mansioni di cameriera e medicandolo con pazienza, proprio come qualcuno una vita prima di lei usava fare, con la stessa dolcezza mista a rassegnazione negli occhi.
''Tu sei pazzo''
''Perchè?''
''Guarda come ti sei fatto conciare! Cosa sei, un combattente?''
Poteva ancora considerarsi tale, dopo la sconfitta appena subita?
Jordan lo aveva messo a tappeto con un solo, efficace colpo, dopo che lui gli aveva tenuto testa per quasi un'ora. Ad un certo punto era stato addirittura sicuro di vincere.
Sarebbero potuti passare cento anni, ma Ranma non avrebbe mai dimenticato l'imponenza del fascio di luce che lo aveva investito e la sensazione che aveva provato, per la prima volta in vita sua, quando aveva capito che non ci sarebbe stato più niente da fare.
Ci aveva messo così tanto ad acquisire un briciolo di stima per se stesso.
Ad un occhio poco esperto, forse, sarebbe sembrato un pallone gonfiato borioso ed arrogante, ma Ranma in cuor suo sapeva di non essere mai stato all'altezza di niente in tutta la sua vita.
Incompleto, irrisoluto, immaturo, vigliacco. Così si era sentito dopo aver lasciato la casa dei Tendo e per larga parte del tempo in cui vi aveva abitato.
Dopo aver riacquistato la sua forma normale a Jusenko ed aver combattuto e vinto più di cento incontri, si era sentito quasi pronto a tornare a casa, da lei. Si era sentito quasi all'altezza.
Ma la vita era strana, imprevedibile e beffarda, e quel maledetto pomeriggio aveva costretto se stesso ad accettare di malavoglia la sfida di un ragazzino con gli occhiali, nonostante il suo codice d'onore gli impedisse di confrontarsi con qualcuno così visibilmente più debole di lui.
Ed ora era lì, sdraiato e coperto solo da un paio di boxer bianchi, mentre i suoi vestiti sgualciti centrifugavano nella lavatrice della locanda ed una diciannovenne cinese di nome Man-Lo stava passando un panno inzuppato di disinfettante sulle ferite che ricoprivano tutto il suo corpo.
''Ahia, brucia! Sì, hem... Sono un combattente'', ammise.
''Voi uomini...'', sbuffò lei.
Nel sentire quella parola tutte le terminazioni nervose del giovane si erano attivate: uomo.
Se c'era una cosa che Ranma Saotome avrebbe difeso fino allo strenuo delle forze era la sua virilità, ma nonostante questo tutti sembravano dubitarne. Nessuno mancava di fargli pesare la sua dualità, e l'insulto più gettonato, quando si trattava di lui, era sempre lo stesso: mezzo uomo. Per questo la leggerezza con cui la giovane aveva pronunciato quell'epiteto lo aveva colpito. Lo dava per scontato, lo vedeva per la prima volta e vedeva un uomo. Non un mezzo uomo, uno intero.
Si era soffermato a lungo ad osservare i suoi occhi a mandorla e le sue labbra, scure e carnose, ed era certo di aver notato uno sguardo compiaciuto quando la giovane, intenta a medicargli la pancia, aveva passato la mano sui suoi addominali scolpiti dai duri allenamenti.
Con un rapido movimento della mano le sciolse la coda, alzandole il mento con un dito e guardandola negli occhi, in silenzio.
Le aveva portato i capelli dietro all'orecchio con una carezza ed aveva notato un piccolo neo sul lato destro del collo della giovane, molto simile a quello che Akane aveva nello stesso punto, una delle cose che amava di più di quella ragazza di cui non osava nemmeno pronunciare più il nome, nemmeno nella sua testa.
Mentre Man-Lo si leccava le labbra, sensuale, in attesa di una sua mossa, Ranma pensava a quante volte avesse immaginato di baciare quel neo, a quanto fosse stato felice di vedere che Akane quel caschetto non se lo voleva proprio far ricrescere, e che, inconsapevolmente, gliene facilitava la vista.

Ranma Saotome diventò uomo una fredda sera di autunno, probabilmente la più fredda e piovosa che avesse mai visto, in una spoglia ed impolverata camera da letto di una locanda dimenticata dal mondo, illuminata solo da una vecchia e consunta lampada ad olio, con il sottofondo dello scoppiare dei tuoni e dello scrosciare della pioggia.
Con una ragazza di nome Man-Lo che, lo sapeva bene, non avrebbe mai potuto rendere felice.
L'aver posseduto per anni un corpo femminile e la conoscenza anatomica di esso che ne era derivata, suo malgrado e con non poco imbarazzo, nel tempo lo aveva facilitato nell'arduo compito di capire cosa, come e soprattutto dove, e poteva giurare di non avere fatto nemmeno troppo schifo, per essere un principiante.
Prima di entrare in lei la aveva guardata a lungo, cercando di imprimersi in mente quel viso che sembrava scivolare via dalla sua vista, diventare evanescente e venire sovrapposto da quello di qualcun altro, e le aveva detto, semplicemente, che non le avrebbe mai potuto dare niente, che la mattina dopo tutto sarebbe tornato come prima, mentre la giovane sorrideva ed annuiva come se per lei fosse stato scontato, come se fosse stata abituata a quel genere di cose.

La mattina dopo si era svegliato e Man-Lo non c'era.
Era sceso al ristorante, aveva chiesto di lei e gli era stato risposto che era tornata a casa a riposare, non prima di avergli pagato il conto.
Aveva consumato una colazione abbondante offerta dalla casa e scambiato due parole con un anziano maestro di arti marziali che gli ricordava tanto quel vecchio maniaco di Happosai.
Il vecchio gli aveva detto che lo aveva visto in combattimento e che era bravo, che non doveva buttarsi giù per la sconfitta e che, se fosse partito per l'America con lui quella sera stessa, lo avrebbe fatto diventare l'uomo più forte del mondo.
Senza nemmeno pensarci su, Ranma aveva accettato, conscio del fatto che la notte precedente era stata solo un rito di passaggio e che ora, lo aveva visto nello specchio quella mattina, lo era, un uomo.




***




lo non vorrei che tu gettassi ancora idee, con fiumi di parole, per noi.
Io non direi che sia difficile così com'è; ma lo sarebbe certo, se fossi qui.
Ah, io e te. Ma che tempo abbiamo lasciato, non so più.
Noi, due oasi in un deserto di allegrie, con di tanto in tanto miraggi di poesie.
Presi dal vento allo stesso modo, con la sabbia che dalle dune ci viene incontro,
ed all'acqua limpida e chiara rapisce il posto.
Noi, un gusto perso nel tempo, un odore che poi con l'aria se ne va.






La prima volta può essere davvero un trauma.
Può essere dolce, romantica, intensa. Ma anche squallida, breve, deludente.
Può essere imbarazzata ed imbarazzante, tenera, divertente, dolorosa, sofferta, piacevole, insperata, perfetta, rubata, sognata, sbagliata, complice, violata, giocosa, tranquilla, silenziosa.
E ancora: piacevole, terribile, indimenticabile, passionale, fredda, programmata, disgustosa, inaspettata, studiata a tavolino, poetica, rumorosa, inesperta, tardiva, precoce, fantastica, appicciosa, meravigliosa, sgradevole, incantevole.
La prima volta segna definitivamente il passaggio all'età adulta ed è una delle poche cose insieme alla morte da cui non si può tornare indietro.
La prima volta può suscitare la più vasta gamma di emozioni, ma difficilmente ti lascia del tutto indifferente.
A meno che il tuo nome non sia Akane Tendo.

Akane ed Ataru erano la coppia più bella ed invidiata di tutta Nerima.
Stavano insieme da sei mesi ormai, quando il bel fotografo le aveva proposto di partire insieme per un week end romantico nella sua casa al mare.
I due avevano già dormito insieme diverse volte, ma il ragazzo aveva sempre rispettato il desiderio di Akane di aspettare, e nonostante fossero già molto intimi, non si era mai spinto oltre il limite consentitogli.

Benchè Soun fosse ormai abituato a vederlo girare per casa in mutande o a vedere la sua bambina fare avanti ed indietro da casa sua con una pesante borsa del cambio per la notte, non aveva smesso di piangere nemmeno quando la moto coi due sopra era ormai troppo lontana per sentirne anche solo il rumore, quando quella mattina era uscito sulla soglia per salutarli prima della partenza.
Akane era diventata una donna, ormai lo sapeva.
E la cosa, stranamente, lo rendeva felice.
Dopo averla vista crollare fisicamente ed emotivamente in seguito alla fuga di Ranma non aveva fatto altro che desiderare di rivederla sorridere, di sentire ancora la sua voce squillante chiamarlo per la cena o di sentire il rumore dei suoi passi mentre tornava dopo la corsa mattutina. Alla fine di una lunga e disperata agonia il suo esiderio fu esaudito, e Soun sapeva bene che il merito era, in parte, anche di quel giovane amico di Nabiki e che davvero non poteva opporsi a quell'amore per cui non era stato lui a decidere, ma che in qualche modo gli sembrava così giusto, puro, naturale.



Avevano passato una giornata splendida, Ataru si era preso cura di lei dedicandole ogni attenzione potesse venire in mente ad una giovane ventenne innamorata.
Erano stati in spiaggia quando ancora era deserta, ed avevano fatto un lungo bagno a riva beneficiando del cullare delle deboli onde mattutine. Avevano passeggiato sul bagnasciuga fino a raggiungere un ristorantino sulla spiaggia, ed il nuotatore si era preoccupato di tenere la mano della giovane quando aveva dovuto arrampicarsi su una scaletta di legno per raggiungerne la terrazza sul mare.
Dopo pranzo avevano camminato ancora, raccolto conchiglie, visitato i negozietti tipici della città e mangiato un gelato. Ataru faceva tutto quello che Akane chiedeva e non si era spazientito nemmeno quando la giovane era stata ferma mezz'ora davanti ad una bancarella di braccialetti d'argento, gliene aveva addirittura comprato uno.
La sera aveva cucinato per lei i migliori piatti della tradizione giapponese e glieli aveva serviti sul tavolo bianco della sala da pranzo di casa sua, totalmente illuminata da candele di ogni forma e dimensione e con un piacevole sottofondo musicale.


Era rilassata, distesa, finalmente serena dopo tanto tempo. Il suo corpo ed il suo cuore erano pronti a donarsi a lui completamente.
Imbarazzata e timorosa di perderlo gli aveva confessato che con quell'ex fidanzato con cui era stata tre anni e di cui non amava parlare non si era mai spinta oltre il punto di non ritorno, che per lei era la prima volta. Lui aveva sorriso felice e le aveva chiesto ancora se fosse sicura, se non preferisse aspettare.

Akane Tendo diventò donna in una calda sera di fine luglio, nell'anniversario di un giorno che le aveva cambiato la vita*. In una splendida camera da letto in stile occidentale arredata nei toni del beige, con la luna che splendeva alta nel cielo e si rifletteva sull'enorme vetrata che dava sulla spiaggia ed il rumore del mare in sottofondo. Con un ragazzo di nome Ataru Dakashi, un ragazzo che non era irruento, presuntuoso ed iracondo ma dolce, gentile, premuroso e pacato. Un ragazzo la cui anima era di un rassicurante colore tenue, beige, come la loro storia d'amore e come quelle pareti.

Era stata una prima volta piuttosto canonica: Ataru, da vero gentiluomo, aveva messo da parte i suoi desideri per dedicarsi esclusivamente al corpo della sua fidanzata, in modo da renderlo pronto a quell'esperienza nuova. Si era unito a lei con estrema lentezza e dolcezza, preoccupandosi di cosa stesse provando, chiedendole in continuazione cosa desiderasse, coprendone il viso di baci, in particolare un punto preciso: quel piccolo neo sul suo collo che diceva di adorare tanto.

Si era dovuta fingere addormentata per permettergli di alzarsi dal letto ed andare in bagno a fare una doccia: dopo aver fatto l'amore, il giovane non avrebbe smesso di accarezzarla e stringerla, rassicurarla, farle sentire la sua costante presenza, per nessun motivo al mondo, finchè lei fosse stata cosciente.
Dopo aver sentito la porta chiudersi era scattata in piedi per vedere quali e quanti danni il dolore sordo che aveva provato avesse causato alle morbide lenzuola bianche. E dire che era stato dolce ed aveva fatto piano, se l'avesse fatto con quello zoticone di Ranma cosa sarebbe successo?
Coprì con un cuscino la prova del cambiamento che l'aveva appena travolta, si avvicinò ad uno specchio a figura intera e guardò il suo corpo ancora nudo cercando invano di coglierne anche la benchè minima differenza con l'Akane di prima, con il maschiaccio totalmente privo di sex- appeal dalla vita larga ed i modi poco aggraziati.
Possibile che non fosse cambiato nulla?
Perchè non si vedeva?
Perchè non si sentiva diversa?
Rasseganta si sedette sul letto con la schiena appoggiata al muro e chiuse gli occhi, inspirando profondamente ed aspettando che Ataru tornasse da lei.





*Ho ambientato la prima volta di Akane ed Ataru nel giorno dell'anniversario della partenza di Ranma perchè sono una persona drammatica di natura e totalmente priva di fantasia. Non ho riletto la mia storia e quindi non so se ho sbagliato qualcosa con l'ordine cronologico degli eventi, in caso notaste qualche grossa incongruenza fatemi sapere.
La colonna sonora è, come suggerisce il titolo, ''Specchi riflessi'' di Mina ed Adriano Celentano.

Scusate il ritardo nell'aggiornamento di questa raccolta di missing moments di cui mi ero sinceramente un po' dimenticata. Spero non l'abbiate dimenticata anche voi perchè mi metto a piangere come Soun Tendo, sappiate che mi sto dannando per tirar su un seguito quanto meno decente di Tutto come prima!
Siamo quasi alla fine, qui ho voluto descrivere un momento importante per entrambi e fare anche un po' di esercizio di stile per alcune cose che dovrò fare e che mi spaventano un po'. Sappiate che ODIO scrivere di sesso, mi sento stupida, vedo aggettivi sbagliati, inopportuni e ridondanti in ogni dove e, quando mi rileggo, sbuffo scocciata come se leggessi qualche fan fiction sfigata in stile 50 sfumature.
Sono scema, eh?
In ogni caso, non vorrei dirlo troppo forte ma questo capitolo (che è il terzultimo, salvo ''complicazioni'') mi piace tanto, e sapete quanto sia critica con me stessa. Potevo fare meglio, ma considerando il topic e la mancanza di ispirazione che, ahimè, ancora mi affligge, non mi è andata male! Voi che ne pensate?
Fatemi sapere, se vi va, e grazie di cuore perchè se siete qui significa che non avete dimenticato la mia prima storia!
Alla prossima!











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Capitolo 4
*** Rose nere ***





Prima parte: La canzone dell'amore perduto.






I walk a lonely road,
the only one that I have ever known,
don't know where it goes,
but it's home to me and I walk alone.
I walk this empty street,
on the blvd. of broken dreams,
where the city sleeps,
and I'm the only one and I walk alone.

My shadow's the only one that walks beside me,
my shallow heart's the only thing that's beating.
Sometimes I wish someone out there will find me,
'til then I walk alone.
Green day, Blvd of broken dreams.





''Ma non capisci che stai camminando a vuoto?''

Gliel' aveva urlato in faccia con tutta la forza, rivolgendosi a lei come a se stesso davanti ad uno specchio.



Facile chiedersi cosa ci facesse lì. Con Ukyo, poi.
Dopotutto ad Akane aveva rinunciato da lungo tempo, o almeno così si era imposto di fare, e non è sentisse più di tanto la mancanza di Ranma.
La cuoca di okonomiyaki non era certo un tipo che le mandava a dire, e l'eterno disperso non ci aveva messo molto a capire che, finchè quel folle viaggio in Cina non fosse giunto al termine, le loro serate sarebbero finite sempre nella stessa maniera.
Litigando.
''Ryoga, sei un deficiente! Sei stato tu a decidere di partire, te ne sei dimenticato?''
''Io sono partito solo per rendere felice la mia Akane riportando Ranma a casa'', rispose cupo con tono piatto, cercando, ancora una volta, di convincere se stesso più che la sua interlocutrice.
''Bene, allora siamo qui per la stessa ragione'', prese a passare con vigore uno straccio umido sulla piastra per cucinare che si era portata dietro.
''No, stupida, tu speri ancora che torni da te!". Era sicuro di aver visto i capelli della giovane muoversi come spinti dal vento, tanto forte era stata la sua ultima affermazione.
Ukyo abbassò lo sguardo, ferita.
''Tu non capisci, non capirai mai... Vattene''.



Solo i kami sapevano quanto avesse bisogno di lei, per cui si guardò bene dall'allontanarsi troppo per evitare di perderla di vista mentre, lasciandola seduta davanti al fuoco a consumare da sola la cena che aveva preparato per due, si avvicinava alla riva del fiume.
Non poteva perdersi, non quella volta.
Ryoga Hibiki, l'eterno disperso, colui che aveva fatto della solitudine la sua bandiera, che aveva imparato ad accompagnarsi solo a se stesso ed ai suoi pensieri, non poteva permettersi il lusso di intraprendere quel viaggio da solo, non da quando la fretta di riportare Ranma a casa e rivedere Akane serena lo avevano portato in una dimensione temporale tutta nuova, in cui i secondi correvano veloci ed i giorni passavano troppo in fretta.
Il suo tempo era scandito dalla paura di vedere la ragazza che aveva imparato ad amare, quella che forse avrebbe quasi potuto considerare almeno un'amica, crollare di nuovo, e quando ogni istante è prezioso, non c'è davvero tempo da perdere girovagando o andando ad esplorare luoghi nuovi e sconosciuti, com'era solito fare.

Non questa volta, Ryoga, si era detto, questa volta andrai in Cina nel tempo previsto, non un secondo di più.
Aveva realizzato solo in un secondo momento che forse, arrivato a Jusenkyo, si sarebbe anche potuto liberare dalla sua maledizione. Non era partito con quell'obiettivo.
Aveva chiesto ad Ukyo di accompagnarlo perchè, frequentandola tramite i suoi amici, aveva notato quanto la ragazza fosse sveglia, abile, risoluta.
Ukyo non si vestiva solamente come un uomo, aveva anche la razionalità degli uomini, la loro intelligenza. Quando non si trattava di Ranma nulla la toccava, era forte e decisa come un ariete.
E poi lei ce l'aveva, il senso dell'orientamento.

Erano giorni che camminavano ed erano giorni che il giovane si chiedeva perchè gli desse tanto fastidio vedere la sua compagna di viaggio soffrire in quel modo per colpa di Ranma.
Forse perchè non aveva mai sopportato i modi da casanova di quello sbruffone, pensò.

La scrutò.
Era carina, non bella come Akane, forse, e non così dolce, ma c'era stato un momento, dalle parti di Nagoya, Sapporo o forse Yokohama, in cui si era messa un fiore tra i capelli e gli aveva sorriso, mentre lui era intento a pescare, e l'aveva fatto arrossire. Strano, aveva pensato, in fondo Ukyo era l'unica ragazza che non l'aveva mai messo in imbarazzo.
D'altro canto la cuoca nominava Ranma sempre meno, e, quando si riferiva a lui, aveva pian piano eliminato l'odioso suffisso -chan che tanto dava fastidio ad Akane, quando la sentiva rivolgersi così al codinato.
Nel vederla mangiare da sola un pasto pensato per due persone, in silenzio, col capo chino sul piatto e l'aria stanca, triste e forse impaurita di chi è stata strappata dalla propria vita per intraprendere un viaggio che aveva come scopo il far tornare il ragazzo che amava dalla sua legittima fidanzata, s'intenerì.
In fondo era una ragazza, una bella ragazza, ed era da sola al buio in una foresta.
Raccolse un ramoscello di glicine e la raggiunse, grattandosi la testa imbarazzato.









Seconda parte: La ballata dell'amore cieco.






You never turned around to see the frowns,
on the jugglers and the clowns.
When they all come down and did tricks for you
you never understood that it ain't no good.
You shouldn't let other people get your kicks for you,
you used to ride on the chrome horse with your diplomat.
Who carried on his shoulder a Siamese cat.
Ain't it hard when you discover that
he really wasn't where it's at,
after he took from you everything he could steal.
How does it feel
to be on your own,
with no direction home,
like a complete unknown,
Like a rolling stone?
Bob Dylan, Like a rolling stone.





''Dannazione, Xian Pu! E' possibile che tu non veda più in là del tuo naso?"

Gliel' aveva urlato in faccia con tutta la forza, rivolgendosi a lei come a se stesso davanti ad uno specchio.



Aveva scagliato il piatto nel lavandino così forte che il disco di ceramica aveva rimbalzato due volte nella vaschetta del lavabo prima di rompersi in mille pezzi, uno dei quali era andato conficcandosi nel suo dito indice e l'aveva tagliato, facendone sgorgare quello che sembrava un fiume di sangue.

''Lo vuoi capire o no che quel bastardo di Saotome s' interessava solo di se stesso?'', strillò ancora prendendo un tovagliolo e coprendo goffamente la ferita, cercando di fermare l'emorragia, mentre la donna che amava da sempre lo guardava incredula.
Non si era mai rivolto a lei con quel tono, Mousse, e non le aveva mai parlato nella loro lingua madre. Nonostante fosse in Giappone da molto meno tempo di lei, lui l'idioma del posto l'aveva imparato.
Tacque, abbassando lo sguardo. Dopotutto aveva ragione lui.

Per Mousse non era stata facile, la vita.
Anche il maschio alpha per eccellenza avrebbe avuto non poche difficoltà nel villaggio amazzone di Nujiézu, figurarsi un tipo strambo, sensibile ed eccentrico come lui.
Saotome sì, che ci sarebbe stato bene.
Ci avrebbe sguazzato in mezzo a tutte quelle femmine.

''Mu si, molla quella robaccia'', lo ammonì -dolcemente, sembrava- Shampoo mentre si accendeva l'ennesima sigaretta della giornata, raggiungendola in sala.
Avevano appreso della partenza di Ranma da quattro giorni, e da quattro giorni aveva iniziato a fumare.
Tutto, pur di distrarsi dalle scenate cui la sua amica -se così poteva definirla- e collega lo sottoponeva ogni mezz'ora.
''Vai a letto, sei stanco. E... Scusami. Per tutto, dico''
Deglutì. L'ultima volta in cui Shampoo gli aveva chiesto scusa era una bambina di sei anni che gli aveva rovesciato per sbaglio una porzione di ramen bollente sulla testa.
E si era scusata solo dopo che suo padre, uomo tutto d'un pezzo e fissato con le buone maniere, l'aveva praticamente obbligata.

Aveva fiutato il pericolo e capito che qualcosa non andava nell'esatto momento in cui la sua adorata aveva reagito con tanta arrendevolezza alla sua sfuriata, per cui glielo disse un'altra volta, in caso non le fosse stato chiaro.
''Ti amo, Xian Pu, ti amo più della mia stessa vita e sarà così per sempre, da qui a tutto il tempo che mi verrà concesso su questa Terra. Ti aspetterò''.
Si aggiustò gli occhiali sul naso, in attesa di una risposta che, sapeva, non sarebbe arrivata.
''Sì'', rispose con tono sbrigativo lei evitando il suo sguardo, alzando l'ultima sedia sul tavolo della sala principale del Nekko Haten ed allungando la mano verso l'interruttore della luce, guadagnando l'uscita, ''A domani, Mu Si, buonanotte''.
Ed a luci spente ci vide bene per la prima volta in vita sua. Non ci sarebbe stato nessun domani, non per loro.
Rientrò in cucina, passò nuovamente il dito ferito sotto l'acqua fredda e vi arrotolò intorno un tovagliolino pulito.
Si sedette sul davanzale della finestra, e non fu una sorpresa vederla andare via, scappare nella notte come una ladra.
In fondo, se Obaba non avesse avuto la febbre per tre giorni di fila, lo avrebbe fatto molto prima.
Accese un'altra sigaretta e, nel vederla allontanarsi, si sentì improvvisamente colto dal bisogno di parlare con l'ultima persona con la quale avrebbe mai pensato di poter avere a che fare.
Non aveva mai provato più di tanto trasporto per Akane Tendo, nemmeno più di tanta simpatia, in realtà, ma lei poteva capirlo. Lei era l'unica che avrebbe potuto capirlo.
L'indomani le avrebbe comprato un regalo e sarebbe andato a vedere come se la passava, pensò guardando l'amore della sua vita allontanarsi.


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Terza parte: In direzione ostinata e contraria.




 Lascio libero uno spazio per potermi avvicinare, per sentire la mancanza e un vuoto da riempire.
Mi allontano dal tuo abbraccio per poterci ritornare,
 perché sia sempre una scelta e non un patto da onorare.
Niccolò Fabi, Lontano da tutto.



 ''Non sei per niente, per niente carina! Chi mai potrebbe amare una persona come te?''
Gliel' aveva urlato in faccia con tutta la forza, rivolgendosi a lei come a se stesso davanti ad uno specchio.

 Ed aveva sbattuto la porta della sua stanza, buttandosi a faccia in giù sul futon e chiudendo gli occhi un secondo prima di sentire sbattere anche la sua, di porta.
Si girò sulla schiena.
Perchè faceva così caldo, quella sera?
Un minuto, dieci minuti, un'ora.
Era incredibile quanto una casa che era tanto caotica di giorno potesse diventare silenziosa di notte.
L'aveva sentita spogliarsi e buttare i vestiti per terra, l'aveva sentita chiamare l'odioso P-Chan a sè ed abbracciarlo, l'aveva sentita piangere soffocando i singhiozzi ed infine addormentarsi.
Verso la mezzanottte sentì la porta della sua camera aprirsi, e corse a vedere se per caso fosse uscita per andarsi a preparare un bicchiere di latte, magari avrebbe potuto prepararglielo lui per farsi perdonare.
Certo, pensò, come se un disastro di quelle proporzioni fosse stato riparabile in qualche modo.
Sai, Akane, ho vissuto a scrocco a casa tua per tre anni, ho messo quasi tutti i giorni in pericolo la tua vita, ti ho piantata sull'altare dopo aver fatto finta di non averti detto che ti amavo, ti ho distrutto la casa, ho spezzettato, sbriciolato e calpestato ripetutamente e di proposito la tua autostima e stasera ti ho dato del mostro psicopatico, ma hey, ti sto preparando un bicchiere di latte caldo, baby, vieni qui ed abbraccia il supereroe.
Non avrebbe mai funzionato. E comunque era solo Ryoga che cercava il bagno, allontanandosi e scendendo le scale in direzione della cucina.
Uscì a prendere una boccata d'aria ed iniziò a correre per le vie del quartiere fino a rimanere senza fiato.
Era passato davanti al Furinkan, a casa Kuno, al parco, all'U-Chan, al Nekko Haten, alla clinica del dottor Tofu. Poi si era fermato, stanco, sopra ad un ponticello che si affacciava su di un fiumiciattolo, ed aveva iniziato a fare quello che più odiava fare al mondo. Pensare.
Tre anni da mezzo uomo. Tre anni a Nerima. Tre anni da promesso sposo di una ragazza che non amava.
Di una ragazza che amava, si corresse scuotendo vigorosamente la testa. Almeno con se stesso poteva, doveva, essere sincero, era uno dei pochissimi lussi che poteva ancora permettersi.
Akane non aveva preso bene la faccenda del matrimonio mancato: ci aveva provato a comportarsi come sempre, Ranma gliene era riconoscente anche solo per aver tentato, ma i pettegolezzi dei loro compagni di scuola, le continue pressioni dei suoi corteggiatori, più agguerriti che mai dopo quanto accaduto, e le umiliazioni inflittale di proposito dalle sedicenti fidanzate di lui l'avevano resa diversa, peggiore. Mentre Ranma non sarebbe riuscito a togliersi dalla testa l'immagine di lei in abito da sposa nemmeno se avesse vissuto cento anni, lei sembrava aver archiviato la faccenda del matrimonio sotto il file: ''Non ci sposeremo mai, che cazzo ci fai ancora a casa mia?''. Era fredda, cinica, arrogante. Non passava giorno in cui non gli ricordasse che era un ospite indesiderato, un mangiapane a tradimento, uno scroccone. Non c'era giorno in cui non gli rinfacciasse la sua dualità sessuale, come se quella dannata maledizione se la fosse cercata lui, non c'era giorno in cui non gli facesse presente il fatto che voleva sposarlo, sì, ma solo per cedergli l'acqua della Nan-Nichuan.
E quella sera lui gliene aveva dette quattro.
O forse cinque, o sei.
Ranma aveva sofferto principalmente per l'inganno, la menzogna cui era stato vittima. Di tutte le donne con cui aveva avuto a che fare nella vita, mamma e Kasumi escluse, Akane era l'unica che non si era mai servita del ricatto per ottenere ciò che voleva. Avrebbe immaginato di svegliarsi vestito da sposo dopo un sonno imposto e trovarsi davanti Shampoo, forse Ucchan, certamente Kodachi, ma non Akane. Certo, lei glielo aveva spiegato che voleva solo fargli avere il dono di nozze, da lui stesso definito più importante della sua stessa vita, ma tant'era.
Le aveva detto che era uguale a tutte le altre, e che comunque non avrebbe mai, nemmeno sotto tortura, sposato un maschiaccio violento e privo di sex appeal come lei. Le aveva sbattuto la porta in faccia, ed ora era su un ponte, di notte, da solo.
E la tentazione di buttarsi di sotto per tagliare la gola a quel maledetto cane che continuava a mordersi la coda era forte, ma l'idea di morire annegato, e per giunta nel corpo di una donna, era troppo umiliante anche solo per pensarci.

Tornando a casa, camminando lentamente, si rese conto che l'aver pensato al suicidio -anche se in maniera decisamente superficiale e poco convinta- era stata la cosiddetta goccia, quella che faceva straripare il mare.
Entrò nella sua stanza dalla finestra ed iniziò a preparare lo zaino, infilandoci le pochissime cose di cui era in possesso prima di arrivare in casa Tendo. Non il portafogli, regalo di Natale di Nabiki, non la sciarpa gialla e malconcia che gli aveva confezionato Akane, non l'orologio antico che gli aveva ceduto Soun. Se avesse portato via anche solo uno di quegli oggetti gli sarebbe sembrato di rubare. Più di quanto non avesse già fatto.
In effetti anche la casacca verde che indossava non era realmente sua, gliel'aveva confezionata Kasumi con le sue mani, ma quella rossa che era solito utilizzare, o almeno i brandelli che ne erano rimasti dopo la lotta con Obaba del giorno prima, era rimasta al Nekko Haten.
Lanciò uno sguardo a suo padre, che dormiva placidamente ed ignaro di tutto, ed aprì l'ultimo cassetto del suo comodino.
Nella foto Akane aveva ancora i capelli lunghi ed indossava il solito karateji. Era una delle immagini che aveva requisito a Kuno quel giorno al parco, poco dopo essere arrivato a Nerima. Chissà che ci faceva lì.
 Sorrise e la rimise al suo posto, mantenendo il proposito di non portarsi via niente che non fosse stato realmente suo. Aprì lentamente la porta della sua stanza, uscì in punta di piedi e si fermò davanti a quella della fidanzata, dell'ex fidanzata, da quel momento in avanti.
Stette ben dieci minuti immobile davanti alla paperella gialla che portava il suo nome, chiedendosi se gli fosse concesso un ultimo saluto, poi decise che, in fondo, la sua vita era sempre stata regolata dal destino, dal caos, e che tutto sommato non era stata nemmeno troppo male.
Mise una mano nella tasca dei pantaloni e vi trovò pochi spiccioli. Non sapeva come avrebbe fatto ad andare in Cina con un budget che avrebbe potuto a stento pagare un pranzo in un fast food, ma sapeva perfettamente cosa fare di una delle monete poggiate sul palmo della sua mano.
Testa, pensò, se esce testa entro e la sveglio, le chiedo scusa per tutto, e.... No, no. Se esce testa me ne vado senza dire niente. No, se esce testa entro, le scrivo un biglietto e... Mmh, no, un biglietto è troppo scontato. Se esce testa entro e la bacio. Ma che dici, Ranma, sei scemo? Se esce testa, semplicemente, entro e la guardo. La guardo un attimo e poi me ne vado. Testa la guardo, anzi no, la bacio. Un bacino d'addio, un bacio innocente sulla fronte. Ok, Ranma, ci sto. Qua la mano. Testa la bacio e poi me ne vado, croce me ne vado e basta.
Lanciò la moneta, con il cuore e lo stomaco in subbuglio.
Croce.
La bacio lo stesso.





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Ciao a tutti!
Dopo più di un mese di assenza e lettura silenziosa (chiedo scusa a tutti coloro che aspettano le mie recensioni, in settimana mi metto in pari, lo prometto!) sono tornata con questo missing moment, le cui fanart sono come sempre della splendida Spirit99, che sapeva di questa mia idea da mesi, mesi e mesi (in realtà lei sa già anche quali saranno gli altri due capitoli mancanti!). Inizialmente ero stata ispirata da un'altra canzone (di cui vi do indizio nel titolo del capitolo), ma non è proprio il mio genere musicale, e poi stava troppo male con i sottotitoli che ho scelto per le tre parti (che sono tutti di Fabrizio De Andrè), quindi ho cambiato le colonne sonore, che per me sono essenziali quasi quanto il testo stesso.
So che lo stile di scrittura della terza parte (Ranma) è più frammentario e meno curato, ma ho diviso il capitolo in tre parti distinte proprio per separare bene i vari stati d'animo, ed ho pensato alla sua confusione ed esasperazione e spero di non aver toppato, fatemi sapere!
Con gli ultimi due capitoli di questa raccolta di one shot andrò più spedita, ve lo assicuro, ho avuto un periodo davvero pieno, ma ora mi sto organizzando meglio.
Vi ringrazio tanto per essere ancora qui, dopo più di un anno, a leggere di Tutto come prima e... Finita questa, ho partiamo col seguito!
Un bacio e tutti e buona estate (o quello che ne resta!)













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Capitolo 5
*** Quando si è pagato il debito ***


lllll
'Cause I'm too proud, I'm too strong,
life by the code that you gotta move on.
Feeling sorry for yourself ain't got nobody nowhere.
So I held my head high, knew I'd survive.
Well I made it, I don't hate it, that's just the way it goes.
So I'm done made it through, stand on my own two,
I paid my dues.
Tried to hold me down, you can't stop me now,
I paid my dues.
Anastacia, Paid my dues


Si dice che veniamo al mondo con un debito nei confronti della vita e che passiamo l'interezza della nostra esistenza a scontarlo.
Ad un certo punto, però, può capitare che si senta di essercisi messi in pari, con la vita. Anche se è appena cominciata.



Se qualcuno avesse detto, per esempio, ad Ukyo Kuonji che la sua penitenza non era ancora finita, la cuoca si sarebbe arrabbiata e non poco.
In fondo nella sua breve esistenza ne aveva vista qualcuna. Quanti, in poco più di venti anni, avevano pagato così tanto solo per essere stati messi al mondo?
Era stata strappata dalla propria vita da un padre-padrone che voleva farne una degna erede quando era ancora in fasce, promessa in sposa ad un bambino incosciente quanto lei, che meno di lei sapeva cosa volesse dire essere fidanzati e che era addirittura scappato portandosi via il suo carretto di okonomiyaki, praticamente tutto quello che possedeva. E tutto in cambio di una ciotola di riso.
Una ciotola di riso, il peso specifico del suo cuore.
Negli anni a venire aveva rifiutato e rinnegato la sua femminilità, prendendo l'irrevocabile decisione di diventare un uomo. O almeno di sembrarlo.
Un'identità che non era la sua, del duro lavoro giornaliero e nessuna possibilità di innamorarsi. Questo fino all'arrivo di Ranma.
Non che le cose fossero migliorate, dopo averlo ritrovato.

Poi c'era Shampoo, la gatta morta, la sexy amazzone.
Sebbene fosse sempre stata considerata da tutti poco più di un'oca giuliva molto forte, anche la sua vita non era stata delle migliori.
Cresciuta in un villaggio regolato da leggi vecchie di secoli, in cui gli uomini si impara ad odiarli, non certo a conoscerli, Shampoo aveva fatto i compiti più che bene.
Amata, rispettata e vezzeggiata da tutti. Più forte della guerriera anziana più forte, più bella della fanciulla più bella. Desiderata dai pochi maschi, temuta dalle molte femmine.
Shampoo aveva tutto, ma non aveva niente.
Dopo l'avvento di Ranma nella sua vita la sua esistenza era stata segnata da un dictat ben preciso.
Devi sposare Ranma Saotome.
Shampoo spesso non capiva, e non era solo una questione di lingua. Shampoo non capiva e basta.
Era venuto prima Ranma o la necessità di diventare sua moglie?
E la neccessità di legarsi a quel giovane col codino, che la riservava le stesse cautele che si riservano ad un malato di peste, era nata dal suo cuore o da quello della vecchia Obaba?
Quanto poteva pagare una ragazza solo per essere nata in un certo punto del mondo?

Infine Kasumi, la carta della Temperanza.
Anche lei era creditrice nei confronti della vita, non c'era dubbio.
Infatti, alla luce di un pensiero razionale e ponderato, cos'altro avrebbe potuto chiedere, un'entità ultraterrena, a qualcuno che aveva dato tutto se stesso agli altri come la più grande delle sorelle Tendo?
Kasumi era stata mamma, amica, sorella, figlia, massaia, cuoca, ospite, donna delle pulizie, maestra, educatrice, compagna di giochi, confidente, infermiera, animatrice alle feste, parrucchiera, spalla su cui piangere e studentessa modello. E solo dopo che tutto, ma proprio tutto, aveva trovato una giusta collocazione, tra le mura di casa come tra quelle ben più fragili del cuore dei suoi abitanti, era diventata moglie, amante, donna.
Kasumi aveva messo da parte la sua vita, quella di una bambina prima e di una giovane donna poi, ed anteposto i bisogni di chiunque altro ai suoi, e l'aveva sempre fatto col sorriso sulle labbra, senza lamentarsi, fare i capricci o anche solo concedersi un sospiro rassegnato.
Ma se la vita avesse avuto l'ardire di chiederle anche solo un altro yen, forse persino lei avrebbe perso il suo impeccabile contegno.




Akane pensava a queste ed altre cose mentre ammirava la capitale francese dall'alto della Tour Eiffel.
Era arrivata da una settimana e finalmente aveva trovato il tempo, tra una lezione del corso intensivo di lingua e l'altra, di concedersi quella visita.

''Bonsoir, lei è japponese?''
''Bons... Buonasera'', tossicchiò. Come chiunque ami studiare le lingue straniere, era in imbarazzo ad usarle senza essere sicura di possederne una competenza perfetta.
''Je m'appelle Jacques. Lei è japponese, oui?''
''Oui...'', chinò la testa in segno di rispetto,  ''Ma come ha fatto a capirlo subito?''
''Vede, sono uno studente di lingue orientali. Ho un amico japponese ed abbiamo praticato tanto, insieme. L'ho conosciuto proprio qui, sa?''
''Che coincidenza'', sorrise, ''Io sono appena arrivata, mi chiamo Akane''
''E mi dica, mademoiselle, anche lei è qui per riflettere?''
''Mi scusi?''
''Per riflettere. Chi è venuto qui prima di lei mi diceva sempre: Sai Jacques, solo qui riesco a pensare''
''Ed a cosa pensava questo suo amico giapponese?''
''Amour'', sospirò con le labbra tirate in un sorriso sognante, ''Pensava sempre ad una donna. E' tornato in Jappone a cercarla, sa?''
''E l'ha trovata?'', chiese affascinata.
''Non saprei, non l'ho più sentito. Me lo auguro, però. Era un giovane très passionale''

Si era allontanato in silenzio per tornare alle sue mansioni di addetto all'ascensore e l'aveva lasciata sola.
Effettivamente, pensò, l'ambientazione suggestiva favoriva l'introspezione, l'accompagnava per mano come una madre con il suo bambino.

Ranma era partito, Ataru era partito, ed entrambi le avevano giurato eterno amore. Due uomini meravigliosi, benchè molto diversi.
Cos'altro poteva desiderare, una ragazza normale?

Ma Akane non era una ragazza normale, non lo sarebbe mai stata.
Aveva subito il più grande dolore della vita durante l'età più spensierata, aveva rinnegato le continue ed insistenti attenzioni maschili anche per rispettare la volontà di suo padre, aveva anteposto la sicurezza del Dojo alla sua.
Akane era Ukyo, era Shampoo, era Kasumi.
Akane era tutte le donne: quelle imperfette, quelle che a volte sono nevrotiche, quelle distratte che in gelateria scelgono sempre la coppetta, perchè sanno che, per loro, è impossibile mangiare il gelato direttamente dal cono e non sporcarsi. Quelle emotive ed irrazionali.
Akane era maldestra e non sapeva cucinare, e non aveva mai imparato a truccarsi gli occhi o a depilarsi le sopracciglia in modo che risultassero perfettamente identiche. Non avrebbe mai avuto un fisico dalle proporzioni impeccabili e non sarebbe mai stata alta quei cinque centimetri in più che l'avrebbero resa soddisfatta di sè. I suoi capelli non sarebbero mai stati in piega per più di cinque minuti ed i suoi vestiti non sarebbero mai stati sempre perfettamente coordinati, senza contare che avrebbe sempre anteposto la comodità all'apparenza, la schiettezza alle buone maniere.

Dopo un lungo periodo, intercorso tra il ritorno di Ranma e la partenza di Ataru, passato a sentirsi un essere deprecabile per la sua impossibilità di scegliere tra i due, passato sentendosi una miracolata dalle quali labbra pendevano due uomini totalmente al di fuori della sua portata, passato a pensare di essere una sporca debitrice nei confronti della vita e dei suoi affezionati, Akane capì che, forse, anche la vita le doveva qualcosa, e che le sarebbe bastato puntare un dito, fare una scelta definitiva, per prenderselo, e quindi scelse.
E scelse Ranma.






She moves like she don't care. Smooth as silk, cool as air.
Ooh, it makes you wanna cry.
She doesn't know your name and your heart beats like a subway train.
Ooh, it makes you wanna die.
Ooh, don't you wanna take her?
Wanna make her all your own?
Maria, you've gotta see her go insane and out of your mind.
Regina, Ave Maria. A million and one candlelights.
Blondie, Maria


Chi invece i debiti li aveva sempre riscossi era Nabiki Tendo.
Sveglia, cinica, fredda e senza scrupoli. Almeno in apparenza.
Facile per chi le stava intorno pensare che a Nabiki non fregasse niente di niente.

Camminava per le vie di Roma stanca ed infreddolita, con la reflex al collo, pronta ad immortalare la bellezza della Città Eterna in ogni suo manifestarsi, decisa a superare l'esame finale del corso di fotografia con il massimo dei voti.

''Valentina, Valentina''
''Scusami?'', sorrise voltandosi verso Ataru, intento a scattare delle foto alle sue spalle.
''Crepax. E' un fumettista italiano, a quanto pare qui è molto famoso. Guarda, l'ho visto e ti ho pensato''.
La sua mano sfiorò quella del giovane fotografo, e giurò di aver sentito più di un brivido mentre l'amico e collega le passava un piccolo albo a fumetti. La copertina ritraeva una splendida e molto sensuale ragazza con un caschetto nero sbarazzino ed una macchina fotografica al collo.
Sorrise. Il brivido era probabilmente fittizio e dovuto alla sua testardaggine ed al non voler spendere qualche migliaio di lire per comprare un paio di guanti come aveva caldamente consigliato Giovanna, la loro guida ed insegnante, ma la sensazione di calore che quel gesto le aveva procurato all'altezza del petto era certamente autentica.

''Hai sentito Mousse?''
''No'' scosse la testa, indifferente, ''E' finita, non me ne frega più niente''.
''Ma come fai?''
''A fare cosa?''
''Ad essere così... Così. Anche io sento che con Akane è finita, ma ci penso comunque continuamente. Tu invece pensi solo a fare shopping!''

Ce la faccio perchè nella mia vita ho dovuto soprassedere su cose ben più gravi. Perchè sono l'unica figlia che papà non ha mai preso in considerazione: quella di mezzo, non la degna sostituta di mamma nè l'erede della Palestra. Perchè nessuno mi ha mai dato niente, al di fuori delle cose materiali, pensò.

''La ami ancora?'', chiese invece, conscia del fatto che tra lui e sua sorella era comunque definitivamente finita.
''No, decisamente no. E' finita, ma ciò non toglie che la pensi continuamente, che mi chieda come sta, cosa fa, a cosa pensa e soprattutto se con Ranma starà bene''
''Beh, io non sono fatta di quella pasta'' scosse la testa.
''Voglio conoscere il tuo segreto''
''Diecimila yen''
''Ho contanti solo in valuta locale''
''Va bene anche un assegno'', gli strizzò la guancia con due dita infreddolite.
''Ma tu pensi solo ai soldi?''
''Certo, possono comprare le cose migliori''
''Non tutte, però'', sorrise posandole un bacio sulla fronte ed aiutandola a voltarsi alle sue spalle, dove, la mora non se n'era davvero accorta, faceva bella mostra di sè il Colosseo.
Mentre ammirava il simbolo di Roma, Nabiki pensava che la vita aveva tanto da dare quanto da prendere, e che, proprio come la città che la ospitava, non sarebbe certo bastato un solo giorno, un solo amore, a costruirla e darle forma. Dunque avrebbe continuato a riscuotere e pagare qualsiasi debito più che volentieri.



Grazie, grazie, grazie per aver aspettato. Questo capitolo è il penultimo, ma so per certo che l'ultimo non lo scriverò subito, quindi perdonate ed abbiate pazienza!
Sappiate che la nostra Anto ha disegnato delle fanart STUPENDE per questo capitolo, ma ahimè non riesco a pubblicarle. Provvederò il prima possibile.
Come sempre grazie per aver letto e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate!
V.









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