I want you to be happy this Christmas Eve

di mareear
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Come with me, my love ***
Capitolo 2: *** I know, you are alone ***
Capitolo 3: *** Lisbon? ***
Capitolo 4: *** Who would you think I am? ***
Capitolo 5: *** You know that Barlow was right ***
Capitolo 6: *** Angry Little Princess has found her Prince ***



Capitolo 1
*** Prologo-Come with me, my love ***


Note: Red John è morto. Jane l'ha ucciso. Tutto è tornato come prima, senza due anni di esilio, senza FBI e senza il crollo del CBI. Per chi, come me, sente un pò la mancanza dell'atmosfera che ci ha accompagnato per cinque stagioni.







Il fracasso che quella porta faceva ogni qualvolta si ritrovava ad aprirla, continuava a darle un' inquietudine che non si spiegava. Forse era solo perché era pesante, spessa, metallica.
Perché metteva un'enorme distanza tra lui ed il mondo.
Entrò nell'attico, silenzioso, illuminato solamente da un piccolo abatjour che rischiarava la stanza, lasciando però gli angoli bui.
La città in fermento si stagliava con prepotente fascino da oltre le finestre.
"Ehi, Jane." Si fermò vicino alla scrivania dove lui, seduto, le rivolgeva le spalle e sorseggiava il suo tipico the. Si girò un poco, tanto per poterla guardare negli occhi.
Occhi in trepidante attesa di qualcosa, occhi lucidi che preannunciavano da soli le sue frizzanti parole.
"Ehi a te. Tutto bene?"
Annuì, facendo rimbalzare due boccoli sfatti con il suo cenno.
"Sto andando a casa. Volevo augurarti buon Natale." Dicendolo, si era sentita male. Le ginocchia non la reggevano, il respiro le mancava, lo stomaco le si era stretto in una morsa cattiva.
Cattiva come lei. Che lo lasciava lì, solo. Senza Angela  senza Charlotte, senza nessuno.
Si morse la lingua a sangue avvertendo il sapore metallico spargersi tra i denti, nauseandola.
"Grazie Lisbon, anche a te! Che farai di bello stasera?" Se non l'avesse detto lui sarebbe suonato come un autoinvito. Ma il suo tono falsamente allegro, i suoi occhi genuinamente incuriositi, lasciavano spazio ad altre interpretazioni.
"James mi ha invitato a cena da loro." Ammise, come fosse una colpa.
Dopo tre esatti secondi in cui gli occhi smeralidini di lei lampeggiarono nella stanza, riprese.
"Vuoi venire?" Non l'aveva nemmeno chiesto a suo fratello, nonostante sapesse che non avrebbe avuto nulla in contrario, era comunque tristemente rassegnata ad un rifiuto.
Che, naturalmente, non si fece attendere. Lui scosse la testa con fare spensierato, fingendo ancora.
"Non ti preoccupare per me, cara Lisbon, divertiti. Io devo fare visita ai miei angeli." Un sorriso malinconico gli attraversò il volto, lasciando Lisbon straziata.
Annuì ancora, accarezzandogli affettuosamente il braccio ed uscendo dall' attico.
Chiusa la porta dietro di se, vi si appoggiò sospirando pesantemente. Avrebbe voluto piangere, avrebbe potuto. Ma trattenne ancora una volta le lacrime amare che si negava ormai da anni e, riprendendo controllo di se stessa, scese le scale.

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Capitolo 2
*** I know, you are alone ***


Suonò un paio di volte il campanello dopodiché attese.
Era vestita a festa ma non si sentiva in vena di passare una serata all'insegna della gioia, come si presuppone debba essere quella della vigilia di Natale.
La voce gracchiante del citofono le ricordò il motivo che l'aveva spinta a farsi forza ed uscire di casa.
"Zia Reese?" Chiese la vocina, distorta ma inconfondibile, di Matthew, il figlio minore di James.
"Si, sono io!" Rispose.
Pochi attimi dopo si ritrovava nell' ascensore di quel grande condominio, ad osservare la sua figurina allo specchio.
Aveva indossato i leggins neri, arricciati sui polpacci ed un vestitino semplice che le arrivava alle ginocchia. Era rosso sangue, un accostamento che, pensato, la fece rabbrividire.
Cercò di concentrarsi ancora sul suo aspetto.
Il vestitino aveva una piccola scollatura a barca e si arricciava, riprendendo lo stile dei pantaloni, appena sotto il seno.
Terminava con una gonna a palloncino, non troppo marcata ma sufficiente a rendere la sua mise femminile e semplice quel tanto che bastava a farla sentire a suo agio.
Aveva raccolto i capelli scuri in una treccia interna e, per l'occasione, aveva indossato un paio di orecchini pendenti neri che, aveva dovuto ammetterlo, le piacevano davvero.
Le porte si aprirono lasciandola uscire con un lieve sospiro.
Chissà cosa faceva Jane. Chissà se era ancora nel suo attico. Chissà se avrebbe potuto fare di più per convincerlo.
Le ballerine rosse ticchettavano nervosamente sulle piastrelle del corridoio.
Giunta alla porta, prima ancora di essere riuscita a salutare, fu travolta dai bambini di James che la abbracciavano gioiosi.
"Ehi, ehi, diavoletti, come state?" Esclamò lei, beandosi alla vista dei suoi nipotini.
"Bene zia Teresa!" Ripose allegra Molly, di sette anni, la più grande dei tre.
Allison, invece, dal basso dei suoi quattro anni, si era attorcigliata contro le gambe della zia senza lasciarle libertà di movimento.
"Lasciate respirare vostra zia, o prenderà paura e scapperà via!" Sentì gridare Lisbon, dalla cucina.
Pochi istanti dopo, di fatto, né uscì la moglie di James, Alicia, raggiante.
"Ciao Teresa, benvenuta." Sorrise, facendola entrare nell' atrio e chiudendole la porta alle spalle.
"Ehi, come va? Come ti senti?" Si informò lei, alludendo al pancione della donna, incinta di sei mesi. Quella sorrise ancora, prendendo per mano Matthew.
"Pensavo peggio, ammetto. Poi tuo fratello è un angelo, è sempre pronto quando ho bisogno di lui."
Neanche fosse stato chiamato, James fece la sua comparsa nella stanza tenendo le braccia tese, per un abbraccio alla sorella. Lei gli andò incontro, felice di rivederlo, ed affondò tra le braccia di lui.
"Da quanto diavolo di tempo è che non ci vediamo, Reese?" Sbottò lui stringendola forte.
"Troppo fratellino, troppo!"
Sciolto l'abbraccio Molly si appese letteralmente alla mano della zia, intenzionata a ricevere udienza. "Le vuoi vedere le mie bambole? Le vuoi vedere?" Cinguettò trascinando Lisbon verso la sua camera.
Incapace di dirle di no, lei la seguì.
La stanza piccola, calda, era addobbata con festoni natalizi che la rendevano allegra e festosa.
"Allora zia Teresa, queste sono le Barbie della principesse." Enunciò estraendo da una scatola una decina di bambole con abiti sontuosi.
Teresa, seduta sul letto di Molly, la guardava attenta mentre le venivano esposti i nomi e le storie delle suddette principesse.
Era una bella bambina. I capelli biondi come quelli di Alicia e gli occhi verdi che riprendevano esattamente i propri e di James.
Si muoveva con foga, snocciolandole nozioni che, sebbene non le interessassero, la rendevano felice per il solo fatto di esserne partecipe.
"Questa invece è Jane, la sposa di Tarzan. I vorrei chiamarmi Jane, è un bellissimo nome, vero zia?" Molly spostò lo sguardo smeraldino su Teresa con allegria, brandendo la bambola vestita in giallo come se si trattasse di un coltello da cucina.
Gli occhi di Lisbon saettarono un momento, giunti alll'inevitabile collegamento della sua mente.
Jane.
Chissà cosa stava facendo. Aveva detto che sarebbe andato a trovare le sue donne, probabilmente era già al cimitero. L'anno scorso, come quello prima, le aveva detto di aver passato le notti di Natale davanti alle loro tombe, ad enunciare tutta la sua vita, senza escludere nulla. Era certa che fosse lì anche quell'anno.
Per un secondo un impulso che non si spiegò le fece venir voglia di correre da lui, giurandogli che non sarebbe mai più stato solo.
Si alzò di scatto sotto gli occhi attoniti di Molly che la guardavano interrogativi.
L'attimo passò, quell'istinto venne domato e con nonchalance si sedette sul tappeto vicino alla bambina.
"Oh, è proprio un bel nome...però preferisco il tuo, non trovi?" Mormorò raschiandosi la voce, sorpresa di riuscire ad emettere un qualsiasi suono.
La piccola la guardò scettica e tornò alla sua bambola.
"No. Il tuo invece è bello zia. Se non potessi chiamarmi Jane vorrei essere Teresa. Teresa Lisbon mi chiamerebbero, come te! Non è un bel nome?" Propuppe ridendo alla faccia incuriosita della zia.
Lisbon si era, in realtà, di nuovo persa nei suoi pensieri.
Al primo giorno in cui lo aveva incontrato. Alla prima volta in cui i loro occhi avevano fatto contatto.
Alla prima volta in cui lo aveva sostenuto, rialzato, aiutato, che già anticipava le mille che sarebbero seguite.
Com'era perso quel giorno. Trasandato come un senzatetto, gli si leggeva la paura negli occhi.
E le aveva detto che il suo era un bel nome. Normalmente, ad un tale complimento ricevuto da un estraneo, si sorride cortesi, ringraziando e cercando di cambiare quanto prima l'argomento della conversazione.
Invece no, quella volta il cuore di lei aveva perso un battito, aveva sentito una bolla di calore salire dallo stomaco per imporporarle le guance. La sensazione provata poteva essere comparabile a quella di ricevere un complimento dal proprio amante.
"È pronto in tavola!" Gridò James dall'altra parte dell' appartamento. Lisbon prese Molly per mano ed insieme si diressero verso la sala da pranzo.
Al centro di essa vi era una tavolata apparecchiata di tutto punto, con delle candele natalizie come superbo centrotavola.
Nell' angolo vicino alla finestra vi era un albero addobbato con luci di mille colori ed Allison stava giocando proprio lì con le pecorelle del presepe.
Teresa le si avvicinò prendendola in braccio e facendola ridere. "Ehi, piccolina!" Esclamò baciandole la guancia.
"Zia!"
Pochi minuti dopo erano tutti seduti a tavola e mangiavano il tacchino preparato da Alicia chi con più appetito, chi con meno.
"Mamma, non mi piace!"
"Matthew, devi mangiarne almeno un pò, senno nessun dolce per te!"
Lisbon sorrise osservando la scena familiare come se stesse guardando un film. In un certo senso era così: un film a cui lei non aveva accesso, se non per qualche ora all' anno.
Pensava a Jane, a quanto doveva sentirsi solo, ed improvvisamente le passò l'appetito.
"Ehi Reese, non indovinerai mai cos'ho trovato in cantina la settimana scorsa!" Esclamò James, poggiando la forchetta allegro.
"Insomma, ci ero andato con Molly per cercare le luci dell' albero e mi sono ritrovato tra le mani i vecchi scatoloni che ti avevo tenuto quando sei andata a vivere a Sacramento." Sorrise, bevendo un sorso di vino.
"Due scatole piene dei tuoi vecchi dischi e cd, compreso quello che avrai ascoltato fino alla nausea..."More than words" mi pare..."
Gli occhi di Lisbon si illumimarono riportandola, ancora una volta, a Jane. Quando avevano ballato, anni fa, alla rimpatriata degli studenti di Rancho Rosa... sembrava passato un secolo.
James mise su il cd e lo fece partire su quella canzone.
"Mamma mia, quanti ricordi, eh?" Teresa annuì, cercando di soffocare i suoi pensieri con un sorso di vino rosso.
"Ma dimmi, come ti va il lavoro? E quel tuo consulente? Se l'è cavata bene mi è parso di sentire..." Commentò Alicia, che lavorava come giudice nel tribunale minorile di Sacramento.
Teresa sospirò, preparandosi mentalmente a quella che ormai era una conversazione annuale: il suo lavoro.
I bambini andarono a guardare la televisione, dove cartoni animati sul natale erano praticamente ovunque, Si raschiò la gola, pronta a quel discorso che inevitabilmente finiva sempre per convertire su Jane.
"Beh, formalmente non è stato lui ad uccidere Thomas McAllister, alias Red John. Non c'erano prove sufficienti a suo carico." Sospirò sotto gli occhi attenti di Alicia la quale, nonostante le volesse bene, non approvava quella specie di insabbiamento.
Prese un altro respiro profondo, proseguendo. "È tornato a lavorare al CBI con la squadra, praticamente è come se non fosse successo nulla." Era vero. Niente era cambiato. Né lui, né i suoi atteggiamenti da prestigiatore, né le sue maschere. Non era felice, non aveva preso quella tristezza che ogni tanto le spezzava il cuore e non si era liberato dai sensi di colpa.
E lei se ne sentiva terribilmente responsabile, come se fosse a causa di una sua mancanza che lui non potesse essere felice.
Non era riuscita, in quel decennio che si conoscevano, a mitigare quel dolore che si portava dentro, e aveva cominciato a sentirlo suo.
"Spero stia meglio. So che siete molto amici." Commentò James, con un'occhiata apprensiva alla sorella.
No, non stava meglio. Era solo, la notte di Natale, a piangere sulla tomba di sua moglie. A troturarsi su quella di sua figlia. Solo, perennemente solo.
Ma chi era lei, per decidere cosa era meglio per Jane?
Chi era lei, per imporgli di essere felice?
Chi era lei, per poter decidere cosa fosse giusto o sbagliato?
Nessuno, ecco chi era.
Si alzò dal tavolo, mezz'ora dopo, per andare via.
Avevano scambiato i regali di Natale ed era il momento per lei di tornare a casa, cosicché sarebbe riuscita ad arrivare per tempo alla messa di mezzanotte.
Salutò tutti con allegria, ringraziando e sorridendo, abile nel nascondere il peso che le premeva sul cuore.

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Capitolo 3
*** Lisbon? ***


Era nel suo SUV, la ballerina rossa che premeva con forza sull'acceleratore, incurante del codice stradale.
Aveva deciso e nulla avrebbe potuto farle cambiare proposito. Doveva andare da lui, doveva vederlo, doveva dirgli che non sarebbe più stato solo.
Si era accorta di aver lasciato la giacca da James. Ma non le importava per nulla. Voleva solo vederlo.
Le luci della città, tutto intorno, erano magnifiche. Ogni palazzo era perennemente illuminato, in occasione della grande festa. Le strade erano quasi deserte e, non fosse stato per i semafori, avrebbe certamente percorso quei venti minuti che la sparavano da Jane in dieci.
Non sentiva più le lacrime premere per essere liberate. Ora avvertiva solo un viscerale bisogno di potergli giurare che sarebbe andato tutto bene, come si dice ad un bambino.
Parcheggiò il SUV senza troppa grazia e, sbattendo la porta, corse verso l'entrata del cimitero. Era tutto avvolto nel buio e per un momento ebbe quasi paura.
Poi si riscosse. Lei, stimata agente del CBI aveva paura di entrare in un cimitero!
Corse ancora, su prati, tra le tombe, finché non lo vide.
Seduto su una lapide, con un paio di candele vicino, guardava avanti a sè.
In un attimo tutti i propositi di Lisbon crollarono. Gli si avvicinò piano, quasi avesse paura di farlo scappare via.
"Ehi, Jane." Mormorò, muovendo qualche altro passo verso di lui.
Jane alzò la testa, sorpreso ma non stupito di trovarla lì, davanti a sé.
Sorrise, di quel sorriso falso che le faceva male.
Quel sorriso che equivaleva ad una pugnalata al cuore.
Teresa vacillò, dubitando in un momento di ogni sua decisone.
Perché era venuta? Lui non la voleva lì con sé.
Poi ricordò, cos'aveva pensato mentre raggiungeva il suo SUV, andando via dall' appartamento di suo fratello.
Si era resa conto di essere semplicemente una donna, tra i miliardi di persone che popolano la Terra. Di essere soltanto una, delle centinaia di agenti che si adoperano per rendere sicuro il paese. Di non essere forse nemmeno l'unica "Teresa Lisbon" dello stato. Di non essere né la prima né l'ultima donna ad aver perso la madre da ragazzina e ad aver avuto un padre alcolizzato che si sia ucciso.
Ma su tutto il pianeta, era l'unica donna, l'unica in assoluto, che quella sera, alla Vigila di Natale del 2013, a Sacramento, California, avrebbe potuto fare qualcosa per rendere Patrick Jane meno triste.
E, nei suoi pensieri, quella possibilità era divenuta diritto, quel diritto dovere.
Ed ora era lì, l'unica tra sette miliardi e passa di persone, ad avere la possibilità di cambiare le cose, per lui.
"Jane, fra un quarto d'ora ho la messa di mezzanotte. Se non vuoi venire con me, sappi che appena finita la celebrazione andrò a casa mia. E se non ti troverò lì, farò ritorno in questo cimitero che mi mette i brividi e ti ci trascinerò di peso."
Il suo tono di voce era ferreo ed il suo atteggiamento, la sua posizione gli ricordarono le mille volte in cui aveva cercato di impedirgli di compiere qualche azione avventata.
Gli ricordarono la sua telefonata, prima dell' esplosione a Malibù. Ed inevitabilmente, lo riportarono a quando l'aveva lasciata sola, promettendole una sorpresa che non sarebbe mai arrivata.
La guardò, con negli occhi uno sguardo indecifrabile.
La sua principessa, quanto la amava.
Nel suo essere buona e paziente, nella punta di cinismo che spesso compariva  nei suoi discorsi, nelle rughette che negli anni si erano formate quando sorrideva.
E solo il Cielo sapeva quanto gli piaceva farla sorridere.
I suoi pensieri vennero interrotti quando lei gli lanciò le chiavi della sua casa.
"Non ti saltasse in mente di sparire, è l'unica copia che ho!" Esclamò, prima di allontanarsi per tornare al suo SUV.
Con quel vestitino grazioso e senza giacca. Nel buio di quel cimitero, con solo la luce delle candele a rischiararla, era ancora più splendida.
Fu un momento e la richiamò a sé.
"Lisbon?"
Teresa si girò, sorpresa, forse spaventata all'idea che lui potesse tornarle le chiavi. Il cuore le martellava forte e certamente non era per il freddo.
"Si?" Mormorò.
Lo vide esitare un momento, abbassare lo sguardo e poi riportarlo su di lei. Dopodiché fu un soffio, un attimo, qualcosa che non si aspettava.
"Sei bellissima."

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Capitolo 4
*** Who would you think I am? ***


La messa era finita e a Lisbon mancava poco per arrivare alla sua casetta. Aveva quasi paura.
Paura di non trovarlo lì, che lui non avesse voluto andare da lei.
Paura di trovarselo in casa e non sapere cosa dire.
Era evidente oltre ogni limite che lui non ricambiava i suoi sentimenti. Dopotutto, perché avrebbe dovuto?
Strinse le mani sul volante come se volesse romperlo.
'Ecco cosa ti mancava, Teresa, un amore non corrisposto trascinato avanti per dodici anni.'
Si impedì di piangere. Avrebbe fatto di quella sera, un ricordo felice per Jane.
Scese dal SUV titubante, ma poi lo vide. Sotto la misera luce del suo ancora più misero portico c'era Patrick Jane, nel suo completo grigio antracite, seduto sulle scale.
E la guardava.
"Ehi, non sei entrato?" Fece lei, avvicinandosi.
"Ho un grosso problema, Lisbon. Quasi insormontabile." Ammise, posando lo sguardo sulle proprie mani e poi nuovamente su di lei.
"Non sono entrato perché lì dentro" ed indicò la porta "lì dentro non so chi devo essere." Confessò, facendo assumere a Lisbon quell'espressione confusa che metteva su, di norma, solo per lui.
"Al CBI sono per tutti il consulente un pò matto che ne tira fuori sempre una nuova e non mi è difficile tenere quella maschera, sapendo che comunque qualcuno ci vede oltre." Disse, alludendo a lei.
"A casa tua, Lisbon, chi devo essere? Il consulente del CBI mi sembra tanto una presa in giro, ma d'altra parte, il vero me ti ha già fatto abbastanza danni." Concluse con un sorriso amaro.
Poi, guardando via, aggiunse. "Chi ti piacerebbe che io sia?"
Lisbon lo aveva ascoltato, quasi commossa da quelle cose che, lo sapeva, non aveva confessato mai a nessuno.
Avrebbe voluto gridargli in faccia che lo amava, che, dannazione, amava ogni cosa, ogni lato di quella personalità frammentata che si trovava.
Invece se ne stava lì, le mani aggrovigliate sulla borsetta, tremante per il freddo e lo guardava con gli occhi lucidi.
Gli si accucciò davanti, come si fa con i bambini piccoli, per parlare faccia a faccia. Mettendogli le mani sulle ginocchia, lo fece voltare.
Erano vicini, molto vicini.
Sorrise.
"Dio, Jane, sii te stesso, per l'amor del Cielo!" Esclamò, sottovoce, con una voce che, ne era sicura, tardiva più di quanto non avesse dovuto.
Lui la guardò negli occhi, sorpreso, felice. Da quanto non gli veniva chiesto?
Si alzò in piedi, tenendola per le spalle per far alzare anche lei. Lei sorrise, accorgendosi però che una lacrima aveva eluso le barriere che si era imposta.
Jane gliela asciugò in fretta, baciandole poi la fronte.
La teneva stretta a sé, come in un abbraccio. "Grazie Lisbon."
"Ora andiamo dentro, che tremi."

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Capitolo 5
*** You know that Barlow was right ***


La luce calda, soffusa, delle luci di un presepe illuminava debolmente il piccolo salotto. Un albero di Natale vi troneggiava sopra, addobbato con dolce semplicità da chi aveva avuto la cura di sistemare a festa quella stanza, rendendola meravigliosamente accogliente.
Per un momento Jane si perse in quell'atmosfera di casa, di famiglia, di festa che da molti anni non aveva più avuto il piacere di vivere.
Era tutto così perfetto, che avrebbe voluto rimanere lì per sempre.
Guardò un momento Lisbon, che gli sorrise. "Ti va una cioccolata calda...o un the?" Propose, liberandosi della borsa e delle scarpe ed accendendo la piccola luce del cucinino.
"Tu cosa bevi?" Ribattè lui, ondeggiando sui propri piedi, in mezzo al salotto.
"Ho chiesto prima io!"
"Ha! Lo sapevo...cioccolata calda!" Esclamò lui, portandole un dito contro, con fare a accusatorio e divertito.
Lei sorrise, come colta in fallo. "Guarda che non ci metto nulla a farti un the..." Mormorò mentre prendeva due tazze dai pensili.
"Va bene la cioccolata, sul serio..." Le si avvicinò, appoggiandosi al bancone che stava al centro della piccola cucina.
"Casomai il the te lo preparo più tardi, va bene?" Decise, dolce, cominciando a scaldare il latte sul fuoco.
Lui annuì continuando a guardarla muoversi nella sua casa, con sicurezza e tranquillità. Da brava agente, sentì subito il suo sguardo puntato su di lei.
Si voltò con un sorriso interrogativo, tenendo il barattolo di cacao a mezz'aria. "Che c'è?" Lo interpellò, tornando a versare la polvere nel latte.
"Ti ho già detto che sei bellissima?"
Oh, sì. L'aveva già detto. La prima volta, però, aveva potuto nascondere l'imbarazzo- e, sì, anche la felicità- nel buio del cimitero, ed aveva potuto defilarsi velocemente da quella situazione così inusuale, adducendo la colpa al ritardo per la messa.
Ma ora?
Abbassò lo sguardo, arrossendo, ma non trattenendo un piccolo sorriso, lusingato d imbarazzato, a quel complimento che non si sarebbe mai aspettata da Jane. Non di nuovo.
"Grazie." Sussurrò, voltandosi nuovamente sui fornelli.
Trascorsero qualche minuto in religioso silenzio, mentre Lisbon finiva di preparare la loro "cena".
Quando la cioccolata fu pronta, lei la versò in due tazze e ne diede una a Jane, che ancora conservava quel sorriso a metà tra il divertito e l'intenerito. Lisbon si bloccò un momento, come fulminata da un'idea.
"Mi sono dimenticata una cosa, Jane! Il tuo regalo!" Esclamò, salendo le scale per raggiungere il piano di sopra.
Prima che sparisse dalla sua visuale, Jane uscì dalla casa un momento per tornarvi subito dopo con quello che, evidentemente, doveva essere il regalo di Lisbon.
Lei lo raggiunse con uno sguardo sospettoso e divertito, nel vedere quell'oggetto lungo, liscio e rettangolare, tutto incartato, nelle mani di Jane.
"Prima io." Esclamò prontamente il consulente, porgendole il regalo. Lei sorrise, curiosa.
"Quando accidenti hai avuto il tempo di farmi un regalo? Credevo che..."
"Credevi che fossi rinchiuso nella mia bolla di solitudine, lo so. Ma non potrei mai dimenticarmi di prenderti il regalo di Natale." La interruppe lui, invitandola con un cenno ad aprirlo.
Lei tolse la carta, quasi titubante, rivelando la meravigliosa stampa di una fotografia, che ritraeva l'orizzonte sul mare all' Alba. La cornice di legno scuro era a dir poco perfetta.
"Oh...grazie Jane." Disse, avvicinandosi a lui per posargli un piccolo bacio sulla guancia. L'uomo le carezzò la schiena affettuosamente.
"Ora tocca a me!" Fece notare l'agente, porgendo al mentalista una scatola quasi cubica, con un enorme fiocco rosso. Senza provare ad indovinare, Patrick lo scartò ed aprì la scatola che lo conteneva. Era una teiera.
"È giapponese, fatta in ghisa. Tiene il the più caldo." Spiegò lei, osservando la sua reazione.
"Grazie Lisbon! È perfetta." Esclamò Jane, abbracciandola.
Quando si staccarono lui le portò una ciocca di capelli dietro all' orecchio, dolcemente.
"Sai...c'è una cosa che devi assolutamente sapere." Esordì, guardandola fisso negli occhi smeraldo.
Lei annuì, quasi spaventata di sapere.
"Hai presente quando finsi di spararti?"
Annuì ancora, incapace di proferir parola.
"Mi ricordo cosa ti dissi. Me lo ricordo perché ogni santissimo giorno vorrei fartelo sapere. E Dio solo sa quanto mi dispiace di averti mentito, quella volta." Sospirò, cercando nei suoi occhi qualcosa che non sarebbe riuscito a decifrare.
"E Lorelai aveva ragione. E non sai quanto spero che anche Barlow ne avesse."
"Oh, Jane..." Sussurò Lisbon spostando gli occhi lucidi ovunque, ma non su di lui.
"Mi dispiace Lisbon, Teresa, mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto. Mi dispiace tantissimo."
La vide piangere, con le spalle scosse dai singhiozzi e gli parve bella. Splendida anche nel pianto, la sua principessa.
E, sebbene lo volesse più di ogni altra cosa, non la baciò. Perché non era di un bacio che Teresa aveva bisogno.
La cinse con le braccia e lei affondò il viso nel suo petto, tentando di calmare quel pianto che non avrebbe voluto mostrargli.
"Oddio Jane...tu lo sai che Barlow aveva ragione..." Mormorò, stringendo la sua giacca.
Fu lei a staccarsi, quando riuscì a calmare il pianto.
Gli accarezzò il viso con una mano, tracciando dolcemente le linee delle sue sopracciglia e poi la curvatura delle labbra.
E fu in quel momento, che nessuno dei due resistette più.
Che ogni cosa taciuta in quei dodici anni si liberò con forza nel loro bacio, che fu il più bel bacio che Lisbon avesse mai ricevuto, che fu il più atteso che Jane avesse mai dato.



Note:
Questo è l'ultimo vero e proprio capitolo, dopodiché pubblicherò il piccolo epilogo della mia mini-long.
Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno recensita e che hanno aggiunto la mia storia tra le seguite/ricordate/preferite. Vuol dire tanto sapere di essere apprezzati.
Al prossimo e ultimo aggiornamento!
Mareear

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Capitolo 6
*** Angry Little Princess has found her Prince ***


L'anno dopo fu un versetto di neonato a rispondere al citofono: indubbiamente si trattava di Emily, l'ultima dei figli di James ed Alicia.
Teresa aprì la porta del palazzo e si diresse senza esitazione nell' ascensore.
Come dodici mesi prima, non poté evitare di guardarsi allo specchio.
Portava un vestito lungo nero con arabeschi dorati, un regalo dell'uomo che stava affianco a lei in quello splendido riflesso.
"Quant'è bella la mamma, vero Eileen?" Mormorò quest'ultimo, al fagottino che teneva tra le braccia.
La piccola agitò le manine emettendo dei versetti che sciolsero il papà in un sorriso luminoso.
Teresa si voltò verso di lui, ed i loro sguardi si incrociarono per un momento prima di convergere sulla bambina.
Dopodiché Lisbon alzò nuovamente gli occhi sul viso del marito, con un'espressione che voleva essere minacciosa.
"Jane, non ti azzardare ad ipnotizzare di nuovo Molly! Guarda che torni a casa a piedi!"
Patrick rise, avvicinandosi alla moglie per posarle un bacio sulla tempia.
"Tanto non lo faresti mai, mia piccola principessa arrabbiata."
"Ah, no? E sentiamo perché non dovrei farlo...?" Patrick sorrise giocoso.
"Ha-ha! Perché io sono il principe che ti ha riportato la corona!"

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