Pieces Of Me

di wolfsbane97
(/viewuser.php?uid=577067)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wounded ***
Capitolo 2: *** Stupid Cupid ***
Capitolo 3: *** Smoking Heart ***
Capitolo 4: *** Escape. ***
Capitolo 5: *** Shadow ***
Capitolo 6: *** Victim ***
Capitolo 7: *** Too Good To Be True ***
Capitolo 8: *** The Beginning Of The End. ***
Capitolo 9: *** My turn to play ***
Capitolo 10: *** Red Dress And Some Bother ***
Capitolo 11: *** Don't let them see what goes on in the kitchen ***
Capitolo 12: *** Grenade ***
Capitolo 13: *** Suffocating Mind ***
Capitolo 14: *** Summertime Fights ***
Capitolo 15: *** Meetings ***
Capitolo 16: *** A New Me - 2017 ***
Capitolo 17: *** Warrior - 2018 ***



Capitolo 1
*** Wounded ***


Potevate sentire un secco "crack" se in quel momento vi foste avvicinati a me. Un "crack" proprio in mezzo al petto. Assemblea scolastica, concerto in palestra. "Un'ottima occasione per farmi notare, del resto, mi saluta, se mi vede potrebbe anche sparare un ciao" pensavo. Che ingenua. Lui, L., che cercavo con gli occhi ogni due minuti, sperando di incontrare il suo sguardo, sperando in uno stupidissimo "ciao", era avvinghiato a una ragazza. Ma non una ragazza qualsiasi. Era LA ragazza, J.: non molto alta, capelli rossi lisci e lunghi, occhi chiari, lentiggini, fisico perfetto e uno stile impeccabile. Praticamente tutto quello che io non riuscirò mai a essere. Erano in mezzo alla folla, appena fuori dalla massa affinchè io riuscissi a vederli molto, molto chiaramente, a guardare il concerto. Che poi, non è che lo seguissero, era solo una scusa per intrecciare le mani e muovere insieme le braccia a ritmo di musica. Poi lei si gira verso di lui, lui le sposta una ciocca di capelli dal viso, si avvicina lentamente e le sussurra qualcosa all'orecchio. Distolgo lo sguardo. Stavolta anche il cuore si rifiuta di soffrire tanto. I miei amici notano che il mio atteggiamento è cambiato, e mi chiedono se vada tutto bene. Fingo un sorriso, e riesco a stento a dire "certo", mentre dentro di me tutto sanguina. È come se una fredda lama di ferro mi avesse trapanato il cuore, e una mandria di cavalli lo avesse calpestato mille volte. Mi ferisce che i miei cosiddetti "amici" abbiano creduto al mio "sto bene".  Mi giro nella direzione di L. e J., tentando di vederli. Non ci sono più. Disperatamente spero di trovarli in un altra posizione in mezzo alla folla, ma nulla. Non sono in palestra. Passano due minuti. Cinque. Dieci. Venti. Finalmente riesco a vedere lui entrare dalla porta posteriore della palestra. Il cuore si risolleva per un nano secondo. Dopo due secondi entra lei, abbottonandosi l'ultimo bottone della camicetta sotto il maglione, e si aggiusta il colletto. Poi controlla che il trucco sia intatto con il suo telefono. E riecco la lama ghiacciata. Le loro mani si intrecciano di nuovo, mentre si riavvicinano al concerto. Mi volto verso i miei amici. Comincia a mancarmi l'aria, ho bisogno di urlare, migliaia e migliaia di pensieri affollano la mia mente, la tormentano, le scene di loro due insieme si ripetono all'infinito nella testa, c'è confusione, sto per scoppiare, mi gira la testa. Solo una mano amica riesce a interrompere il caos della mia mente. Tutto si calma, per quei dieci secondi. Si avvicina a me. "Hai visto, non è vero?" le dico cercando di sorridere. Lei annuisce con un aria dispiaciuta. Sospiro. "Fa nulla", dico con il filo di voce che mi è rimasto. Riesco a sentire le lacrime che disperatamente tentano di uscire dai miei occhi, ma riesco a tenerle a bada. Riesco a continuare il resto della mattinata con una forza tale che ancora mi chiedo da dove l'abbia presa. Ma quando torno a casa, mi madre nota che c'è qualcosa che non va. "Che è successo?" mi chiede con quell'unico tono di voce che mi fa sentire amata. "Sono distrutta" dico con la voce strozzata, e poi le lacrime mi sommergono.
S.

http://media.tumblr.com/tumblr_m8dj3sYscM1qe6njv.gif

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Stupid Cupid ***


Martedì notte. Ore 00.30. “Non ho niente da perdere, non ho niente da perdere, non ho niente da perdere…” mi ripeto nell’attesa di premere su quella dannatissima icona con scritto “invia”. Lo stavo proprio per fare. Stavo per scrivere al ragazzo della festa. Il bellissimo abbronzato, capelli chiari e occhi magnetici. Sì, lui. In effetti non avevo nulla da perdere: quasi nessuno mi conosce, non avevo un ragazzo che si sarebbe ingelosito (in realtà non ho nemmno un ragazzo), e di figuraccie ero abituata a farne praticamente a ogni respiro. Quindi lo feci.

Gli scrissi una cosa senza senso, per poi scusarmi immediatamente dicendo che qualcuno che aveva la mia password stava inviando cose del genere a tutti i contatti online su facebook (sono patetica, me ne rendo conto). Il suo profilo l’ho trovato grazie a M., che, non so come, lo ha trovato il giorno dopo la festa e mi ha subito inviato il suo profilo in chat. Richiesta d’amicizia, un paio di “mi piace” e fine. Si chiamava H., e a detta di M. era albanese.

Parlammo per un bel po, del più e del meno, mi sorprendevo di me, stavo parlando con un bellissimo ragazzo, e miracolosamente non avevo fatto ancora nessun passo falso. Mi sentivo felice e soddisfatta, cominciavo a pensa che quasi quasi ce l’avrei fatta, forse sarebbe successo qualcosa. Ma come al solito, devo smetterla di cantare vittoria troppo presto.

«conosci una certa B.?»

«sì, è mia amica, perché?»

«perché mi sto sentendo con lei, ma non mi sta rispondendo più. Mi piace, è una bellissima ragazza, potresti chiederle perché non mi risponde?»

«ehm, sì, certo..»

«grazie, sono in debito J»

«sì, lo sei..»

Avete presente quel crack? Sì, quello della lama fredda eccetera. Deve proprio essersi affezionata a me, perché eccola che ritorna a fare visita.

Mi ritrovai a parlare con B., cercando spiegazioni. Ora non sto a spiegarvi il motivo per cui lei non le rispondeva, ma solo per farvi rendere conto, quando riferì a H. lui iniziò a sfogarsi con me di alcune voci che circolavano su di lui, e di quanto lui fosse stanco di queste. Tutto finì con un “sai, anche se stiamo parlando da così poco, sei davvero una buona amica. Potresti essere un cupido perfetto sai?”

Cupido.

Questa parola me la sono ripetuta tantissime volte. Sapete perché? Spiego brevemente.

Tutti i miei “amici” (metto tra virgolette perché.. beh ve ne parlerò un’altra volta) sono fidanzati. E con tutti intendo davvero tutti. Io sono la pecora nera del gruppo, quella che non ha idea di cosa si provi ad avere un ragazzo, però sono anche quella che quando si tratta di consulenze amorose dovrebbe avere un oscar. Ebbene sì, io sono quel tipo di persona: ho salvato praticamente tutte le coppie intorno a me, le aiuto costantemente, quando litigano, quando si stanno per lasciare. Io sono lì. E sono sempre coperta di lodi per la mia grande capacità di risolvere i conflitti tra amanti.

Per quanto aiutare i miei amici mi renda felice, potrete ben capire come mi possa sentire: tanto brava in teoria, ma pratica inesistente. Sono il CUPIDO della situazione.

Cupido. E’ la parola che mi ripeto quando piango. Cupido. Non voglio essere Cupido, voglio essere una maledetta vittima delle sue freccie, non l’arciere.

Ma sembra che le freccie che lancio non tornino mai verso di me, nemmeno per sbaglio. In qualsiasi situazione quando vedo finalmente che una freccia sta tornando verso di me, qualcun altro si mette di fronte a me, e quella punta non colpisce mai me. E poi diventa tutto una «Grazie, S., ci hai salvato, senza di te ci saremmo lasciati!». «Tranquilla, la ruota gira per tutti!», beh si vede che io ci sono finita sotto.


http://24.media.tumblr.com/854d34052843832128a6e57f44aaf525/tumblr_mktywuiZXs1rgfb88o1_500.gif

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Smoking Heart ***


Finalmente stasera la festa della scuola.  Il dolore provato la mattina prima all'assemblea scolastica non mi bastava, evidentemente, perché lo avrei rivisto. Anche se una cosa mi faceva sentire meglio: J. Aveva confermato che non sarebbe potuta venire alla festa, per altri impegni. Devo ammettere che una piccola speranza era nata in me. Sognavo balli al buio con L., illuminati solo dalle fascettine fosforescenti che venivano distribuite all’entrata, poi mi avrebbe presa per mano e saremmo andati in un luogo più appartato. La scena mi faceva vedere i brividi. Era su questa speranza che avevo costruito tutta la serata, quindi mi preparavo meglio di come avrei fatto al mio matrimonio. Quasi quasi mi piacevo, il vestito copriva i punti giusti, e nonostante non fosse scollato poteva quasi essere provocante, o qualcosa del genere. I capelli ondulati sulle punte, scuri e lunghi. I tacchi mi facevano molto male, ma ero disposta a soffrire.
Appena arrivata, cerco M., la mia amica, con cui avevamo precedentemente fatto una scommessa: le avrei offerto una birra se mi fosse successo qualcosa, e lei l’avrebbe offerta a me se non mi fosse accaduto nulla. La trovo, finalmente, ma lei era col suo ragazzo,A., e non volevo starle troppo appiccicata, perché comprendevo che lei avrebbe voluto passare una bella serata col suo ragazzo, che le aveva fatto una sorpresa venendo alla festa senza avvisarla. Quindi ogni tanto la raggiungevo, ballavo un pò con lei per poi lasciarla in pace con A., andando successivamente dalle amiche di M., con cui non ho una grande amicizia, ma almeno avrei avuto qualcuno con cui ballare. La serata andava avanti così: io cercavo costantemente i suoi occhi scuri nella folla,e quando li incontravo riuscivo a stabilire un micro contatto visivo, che svaniva dopo pochi istanti; ballavo, senza farmi vedere troppo, uscivo perché dentro si moriva di caldo, per poi ritornare dentro e ripetere tutto daccapo.
Mentre ballavo, M. mi lanciò un’occhiata, come a dire “guarda dietro di te”. Mi voltai, e questo bellissimo ragazzo dalla carnagione scura, biondo e occhi chiari stava palesemente tentando di ballare con me, ma io mi girai e continuai a ballare, non curante che questo ragazzo stupendo ci stesse provando con me. Durante la serata notai più di una volta che lui mi cercava, ma io non ne volli sapere niente.
Una volta uscita per fare una pausa, M. mi chiese subito “come mai non hai ballato con lui?? Era così preso da te, ed era anche un bellissimo ragazzo!”, ma io risposi “non mi piace, era bruttino.”. Ecco, questa è stata la bugia più grande che avessi detto da un mese a quella parte. La verità non era che non mi piacesse. La verità era che non volevo ballare con lui, perché sapevo che la cosa si sarebbe limitata a un ballo, un bacio e fine. E io non volevo soffrire. Non più di quanto non lo stessi già facendo. Inoltre, come facevo a ballare con qualcuno mentre tutto di me cercava disperatamente L. nella sala? Ma come al solito, the show must go on.
Mi accesi una sigaretta, non tanto per la voglia di fumo, quanto per farmi notare da lui, fumatore accanito, e non solo di tabacco. In effetti, forse quella era stata una mossa vincente, perché anche M. mi disse “brava, fuma” con un tono di approvazione. Avevo già visto prima dove si trovava L., in un angolo distante da me cira tre metri, insieme a altri ragazzi, a fumare beh, dall’odore di certo non tabacco; ero di spalle alla sua posizione, ma ogni tanto mi giravo verso quella zona, senza mai guardare lui direttamente, ma di scorcio, solo per qualche istante. Poi inspiravo profondamente dal filtro e buttavo il fumo verso l’alto, in modo da non impuzzolire nessuno vicino a me. Probabilmente in quel momento mi aveva vista, probabilmente no. Probabilmente aveva scelto di non pensarmi per nulla durante tutta la serata, probabilmente non mi aveva nemmeno notata. La serata finì nel peggiore dei modi che avevo immaginato: il nulla. Non accadde nulla, non mi salutò nemmeno, il che era strano, perché di solito quando mi vede lancia una “ciao” o un “heeeeei”, sempre in tono simpatico e scherzoso. Ma in fondo me lo aspettavo. Forse qualcosa era successo dopo che gli avevo scritto un paio di volte in chat. Conversazioni che si fermavano quando lui, probabilmente per noia, smetteva di rispondermi. Del resto, era uno dei possibili risvolti della serata. Era proprio quello che speravo non accadesse mai. Tornai a casa accompagnata da M., salì le scale, buttai via vestito e scarpe e, senza nemmeno struccarmi, mi buttai a letto, dove mi addormentai in cinque minuti rivedendo nella mia mente le immagini del concerto a scuola.
Una cosa positiva è successa: M. mi deve una birra.

http://31.media.tumblr.com/tumblr_ly6q3xeqPI1qm6oc3o1_500.gif
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Escape. ***


Terzo liceo. 21 alunni. Nessun vero amico. Completamente, inevitabilmente sola.
È questa la mia situazione dal primo anno. Qualche amico ce l'ho, certo. Forse 2. Ma non sono quel tipo di amici che per difenderti si prenderebbero una pallottola, no. Sono quel tipo di "amici" che quando vieni presa in giro o attaccata dicono "eh però ha ragione". Trovano i compromessi. E quando faccio vedere loro quanto sia evidente quanto gli altri mi trattino male, stanno in silenzio. Nemmeno una parola. Piango ogni giorno, rileggendo i loro messaggi sul gruppo di whatsapp della classe. Ogni singolo giorno rileggo come loro si fanno beffe di me, si coalizzino, e appena uno lancia la presa in giro, ecco che tutti lo appoggiano a ruota. E io? Nulla. Sto in silenzio. Sono fatta così, se mi prendono in giro non trovo mai le parole per rispondere. Loro sembrano avere un repertorio istantaneo di risposte alla mano ogni volta che qualcuno prova a controbattere. Io no. Io sto in silenzio. O peggio, dico cose stupide, e la situazione peggiora.
 Si è creata questa specie di coalizione,  e a quanto pare io sono il membro più debole in tutta la classe. La cosa peggiora considerando il fatto che sono molto goffa, inciampo e cado su chiunque, e più che le mie stupide scuse non so che dire. Quindi bene, ottimo bersaglio: problemi fisici, stupidotta e anche goffa. Davvero perfetto, il sogno di tutti.
E dentro ho solo questa rabbia. Rabbia infinita, voglia di rispondere nei modi peggiori, di prenderli a schiaffi alle volte. E contemporaneamente, vigliaccheria. Sì, vorrei scappare, cambiare classe, scuola, paese, nazione. So benissimo che ovunque andrò ci sarà gente pronta ad approfittarsi di me, ma qui davvero non ci voglio stare. Perché pensate che voglia fare così tanto l'anno scolastico negli Stati Uniti? Per entrare nelle cheerleader? Per entrare in una serie tv? No. Io voglio scappare. Ma, non avendo tutti quei soldi, devo solo stare zitta e incassare.
Sembra proprio che non ti vada bene nulla, S. . Proprio nulla.
Ti pare che non lo sappia? Sembrerò lagnosa, melodrammatica, tutto ciò che volete, ma provate un'attimo a immaginare quanto queste piccole cose possano far male a un'adolescente in piena crescita. È in questo periodo in cui si forma il carattere, e se il mio continuerà a rimanere così, non penso che avrò un futuro così roseo.
"E allora cambia le cose!"
Giusto. Ma pensate che non ci provi da praticamente.. Uhm.. 11 anni?
Già. 11. Prima elementare. Vittima di stupide e infantili prese in giro. Ogni giorno, per 5 anni. Scuole medie: aspetto a dir poco catastrofico, goffa (anche se leggermente di meno) e vittima delle solite vipere/buffoni. Liceo: ci risiamo. Solo che ora la gente che mi tratta così si suppone stia "maturando. Beh, si suppone ho detto.
Ogni tanto penso "se andassi a finire in ospedale forse la gente penserà a me e si preoccuperà per me, o almeno farà finta". Rendiamoci conto: dovrei finire in ospedale per essere trattata bene dalla gente?
Piango, piango tanto, forse troppo per la mia età. Vorrei urlare, prendere a pugni il muro. Invece scrivo. Zitta zitta, tra un'interrogazione di latino e una lettura obbligata di un libro orribile. Scrivo. Perché a quanto pare, mentre scrivo non c'è nessun'altro, nessuno a trattarmi in quel modo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Shadow ***


Rieccola, S., il tormento ambulante!
Non scrivo da molto tempo, ma dovete comprendermi, la scuola mi toglie il respiro. 
Comunque sono qui, di nuovo, a rompervi le scatole. 
I miei "racconti" non riscuotono un grande successo, ma per me è uno sfogo stupendo, raccontarvi i miei pensieri, le mie emozioni. E ci tengo a ringraziare i pochi che mi seguono. Davvero. Grazie mille.
Allora, faccio un breve riassunto: J. e L. si sono messi insieme, e apparte il grande dolore iniziale, sto lentamente imparando a dimenticarlo e ad andare avanti. Le cose non vanno ne bene ne male. Sono abbastanza piatte, solita routine, solite persone intorno. Come da programma. 
Con M. tutto bene, naturalmente. Ma ecco che appare una nuova insidia all'orizzonte: festa di carnevale (che poi non può essere definita di carnevale, dato che non è in maschera, ma vabbè), e non una semplice festa della nostra scuola, ma una festa di TUTTE le scuole del mio paese. 
"Beh meglio no? Più gente, più occasioni!"
Certamente. Ma non quando il 95% delle persone presenti sono:
•accoppiate
•grezzi
•troiette
•appena 14enni
•stupidi zoticoni.
Bello, vero? Il problema del mio paese è questo, la "qualità della gente". Certo, sono presenti un pò ovunque, ma la razza peggiore sono sicuramente i montati. Oh, Dio mio, falsi alternativi, vestiti come una donna in menopausa uscita da un ritrovo per cuori solitari, cocktail immancabilmente in mano, perseguitati dal fotografo di turno che gli fa il servizio. E tu sei lì, con quei tre amici che ballano solo su richiesta scritta del Papa, a fumare una sigaretta, a guardare gli altri divertirsi, o peggio ancora, a guardare gli altri in procinto di procreare. ANZI, a guardare molti di NOI in procinto di procreare.
E la cosa ancora più fastidiosa per me è rimanere con un ragazzo, amico nostro, E., che poverino è seriamente disperato, ha bisogno di una paio di gambe aperte all'istante. E sei li, con lui, che ti tocca anche per sbaglio, e tu senti strana, non vorresti essere lì, vorresti andartene via solo per non dover rimanere con lui. Gli voglio bene, ma mi sento incredibilmente a disagio. Quindi che fai? Fai finta di scrivere al telefono? Lo intossichi con una sigaretta? Prima o poi le scuse finiranno. È un imbarazzo infinito.
Ecco perchè io a questa festa non ci voglio proprio andare. Sarò stupida, ma il solo pensiero di dover passare una serata così mi turba abbastanza.
Tralasciando il fatto che non ho la minima idea di cosa potrei mettermi, ma non centra (o "c'entra"? Non ho mai capito come si scrive, boh).
"Eh ma che depressa che sei! Vai e divertiti!"
Non quando balli come un ebete e il massimo che riesci a bere è una birra. Mentre i tuoi amici limonano alla stragrande e si tengono per le manine.
Quando faccio questi pensieri mi odio così tanto. Sono incredibile.
Ah, altro fatto interessante: sono perseguitata da un incubo. Lo faccio ogni sacrosanta notte.
Corro in un bosco, non so ancora perchè. Poi mi giro, e dietro di me c'è questa entità nera che mi insegue. Allora corro più veloce, ma cado. Quando m rialzo la mia corsa rallenta sempre di più, fino a quando mi sento come paralizzata. In quel momento l'entità si avvicina, sempre di più, sta per toccarmi, ma urlo e mi sveglio. Urlando. 
Molto mi dicono che quell'entità oscura sono io. È una parte di me che non voglio accettare.
È un ipotesi che mi ha incuriosita molto. Forse c'è un lato di me represso, che tenta di uscire. Forse è migliore di ciò che sono ora, o forse è solo peggiore. E poi come si fa a farla uscire? Devo farmi prendere invece che scappare? Dio, se è complicato.
Sono parecchio strana, lo so. 




http://www.celebquote.com/wp-content/uploads/2012/11/tumblr_mdecr7ZdC21qzfpuxo1_500.gif

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Victim ***


VICTIM.
"Ti dicono il modo per superare le cose ma nonostante loro si facciano il culo per aiutarti tu devi continuare a fare la vittima perché ti senti una disperata.  Non ho ancora capito se per il fatto che ti sei abituata a fare la vittima o perché ti noia cambiare o perché te ne frega per un po' ma poi mandi tutto a quel paese, ma tu continui a ripetere che è difficile e a non cambiare. "

Che bella parola, la parola "vittima", non è vero?

vìttima s. f. [dal lat. victĭma, di etimologia oscura]: Chi soccombe all’altrui inganno e prepotenza, subendo una sopraffazione, un danno, o venendo comunque perseguitato e oppresso; anche in riferimento a chi si danneggia da sé stesso.

Davvero bella. Eppure, mi suona così familiare. L'ho sentita così tante volte, ma non ricordo dove di preciso. Ah, ecco, ora ricordo. Nelle parole dei miei amici. O meglio, quelli che credevo fossero miei amici. Già. La suddetta citazione proviene direttamente e senza alcuna modifica da un messaggio da colei che credevo fosse la mia migliore amica. O almeno speravo lo fosse. Vedete, ho sempre avuto problemi con le amicizie: alle elementari ero sogetto di numerose prese in giro da parte della mia classe, ed ero succube di una bambina cattiva (non esagero, questa ragazza è tutt'ora maligna); alle scuole medie ho trovato M., cosa di cui ora sono estremamente grata, ma che in quel periodo persi per una tragica litigata, abbastanza pesante; e oggi, beh, ve ne ho già parlato: non ho un migliore amico, e quelli che pensavo potessero essere dei potenziali migliori amici non fanno altro che trattarmi .. come dire.. come una vittima. Non penso di avere parole giuste per descrivere il mio attuale stato d'animo. Ho un sacco di pensieri che mi scorrono nella mente, ma sono così incasinati che non ho idea del modo in cui scriverle. Forse è meglio farvi leggere la mia risposta. Penso sia abbastanza eloquente.

"essere aiutata mi fa sentire una cogliona. Cosa si provrebbe a sentirsi dire da tutti che devo cambiare? Ci provo  ogni cazzo di giorno, tento di modificare il modo in cui mi comporto, come mi pongocon gli altri, e appena dico a qualcuno dei miei problemi mi viene detto che faccio la vittima. No, non faccio la vittima, cerco conforto dai miei cazzo di amici. Apprezzo il vostro aiuto, ma un "devi cambiare" non serve a NULLA. Sto provando a cambiare, e nemmeno lo notate. Se ho un problema dite "non sono questi i veri problemi". Vuoi sapere i veri problemi? I miei sono disperati per mio fratello, che verrà sicuramente bocciato. La relazione tra mia madre e mio padre degenera di giorno in giorno, e mia madre è sul punto del collasso. La notte non dormo più perchè sono tormentata da tutta 'sta situazione. Il mio peso aumenta a dismisura, nonostante mangi sempre di meno.  Mio padre diventa sempre più violento. In casa c'è il terrore e non riusciamo a respirare tranquilli. Questi sono i miei problemi seri, ma non ve ne parlo perchè ognuno ha i suoi "problemi seri". Quindi vi parlo dei miei problemi "minori", e mi venite a dire che non sono problemi importanti e che devo "cambiare". Secondo te non vorrei uscire da questa situazione di merda? Vi ringrazio per il tentativo di aiutarmi, ma dirmi "devi cambiare" non mi aiuta. E sapere che per voi faccio la vittima mi fa male."

Beh, penso basti.

Ho la sensazione che tutto mi stia crollando addosso. Sotto tutti gli aspetti, non riesco a vedere nessuna soddisfazione. In Petrarca, questo sentimento è chiamato "accidia", e viene classificato dai valori morali cristiani come un peccato capitale. Petrarca provò tutto questo dopo che la sua amata Laura morì: in poche parole era letteralmente depresso, e in tutto ciò che lo circondava non riusciva a trovare un lato positivo. Triste, non è vero?

Beh, caro Franceschino, siamo sulla stessa barca. Per fortuna non ho nessuna donna amata nell'altro mondo per cui soffrire tutti i restanti giorni della mia vita, ma i postumi penso siano gli stessi.

Sento di non avere una spalla su cui piangere, una figura di riferimento con cui sfogarmi, e che mi assicurerà che andrà tutto bene. Tutto ciò che fanno le persone che ho intorno è darmi addosso non appena esprimo un mio dolore. "Eh ma non fai niente per cambiare!". Ah sì? Non faccio niente? Sai qual è la cosa peggiore? Che io ci provo tutti i giorni. Ma nessuno se ne accorge.

"Mandi tutto a quel paese." . Beh, logico, quando vedo che le persone che dovrebbero starmi accanto e darmi forza al contrario mi dicono che tutto ciò che faccio è lamentarmi.

"Anche gli altri hanno problemi, ma tu giri subito la situazione su di te.". Giusto. Perchè quando tu fai soffrire e maltratti il tuo povero ragazzo è tua sorella che ci parla anche per ore. E fidati, che non sono io quella che gira la situazione su se stessa.

Questo non vuole essere un testo minatorio a una persona in particolare, ma a tutte le cose che mi sono state dette in passato dai miei cosiddetti amici.

E volete sapere un dettaglio della mia cosiddetta "comitiva"?

Quando usciamo o stiamo a casa di qualcuno, molto spesso ci disponiamo in file, o in piccoli gruppi da due, così, casualmente. Diciamo, viene naturale: mentre camminiamo non ci stiamo tutti sul marciapiede, o se stiamo a casa, alcuni per terra e altri al tavolo. Provate a indovinare chi rimane sola in mezzo a un gruppo da due e uno da tre sul marciapiede. E provate a indovinare chi rimane sola alla sedia vicino alla tv a casa di uno di noi.

Altro esempio: a mano a mano che arriva gente prima di uscire o sempre a casa di uno di noi, gli altri si buttano disperatamente addosso, abbracciandosi anche per cinque minuti. Poi arrivano a me, un bacio volante sulla guancia e un "oi", giusto per essere simpatici.

Eppure, non noto nessun comportamento brusco o scontroso con loro. Anzi, essendo loro i miei unici amici (apparte M., che però ha ormai un mondo tutto suo di cui però io, spero anche in minima parte, faccio parte), cerco in tutti i modi di essere più accondiscendente e disponibile possibile. E sfido chiunque a dirmi il contrario. Non sarò perfetto, non sarò un angelo, avrò dei difetti pessimi, e questo lo capisco. Ma non aspettate il momento in cui cerco supporto per rinfacciarmeli.

Per la prima volta, non chiedo di recensire per un parere formale (ma se ne avete, benvengano assolutamente, ne sono ansiosa), ma un consiglio a ME, S. .

Sì, sempre la solita S. . La vittima.


http://25.media.tumblr.com/bf15b7f74b1222592d2c5d5ecbdf3346/tumblr_mx0isyKoEW1rlqghxo1_500.gif      

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Too Good To Be True ***


CAPITOLO FLASHBACK

Ah, l’estate. Tempo di avventure, di divertimento, di storie stupide.
E io, la mia l’ho vissuta. Già, proprio io, S., la sfigata. E voglio raccontarvela.
Vigilia di Ferragosto, 2013. Siamo tanti, quasi una ventina (considerando i miei standard, eravamo veramente tantissimi), tra amici di mio fratello minore, amici miei, e amici di altri amici. Abbiamo montato un gazebo, e poco lontano, avevamo acceso un piccolo fuoco per riscaldarci. A circa 500 metri di distanza da noi, dall’altra parte della spiaggia, su un vecchio palazzo abbandonato proiettano Just Dance, ci sono quasi 600 persone a ballare sulla spiaggia. Decidiamo di andare a ballare. Siamo io, una mia amica ospite a casa mia in quel periodo, D. (una ragazza molto “aperta”, diciamo), una mia compagna di classe con sua sorella minore e due amici di uno dei ragazzi con cui trascorro l’estate. Prima avevo già detto a D. che uno dei due ragazzi venuti con noi a ballare era carino secondo me, e lei mi aveva risposto che lo vedeva bruttino.
La mia compagna di classe e sua sorella incontrano delle loro amiche e si allontana da noi. Rimaniamo io, D. e i due ragazzi. Balliamo, e noto che uno dei ragazzi (quello più brutto) stava disperatamente tentando di ballare con me, ma me ne allontano subito (era un ragazzo davvero stupido, infantile, e io non volevo averci nulla a che fare). Smetto di ballare, perchè ero sfinita, e K., il ragazzo carino, mi prende di forza e mi butta a terra, e scherzosamente finge di volermi strozzare con uno di quei nastri bianchi e rossi che di solito si usano per delimitare le zone di lavoro, ma che quella sera era impiegata per recintare la zona in cui ballare. Ridendo mi dice “ti conviene ballare!” e io rispondo “altrimenti?” e noto che sta cominciando ad avvicinare il suo viso al il mio. Stavamo per toccarci, quando il suo amico lo prende e lo alza, per fargli vedere un loro amico che avevano appena trovato lì a ballare. Viene trascinato via, mentre io mi libero da quel nastro e mi alzo. Ritornano popo doco, e iniziamo di nuovo a ballare. Passa più o meno mezz’ora, e ad un certo punto noto che D. e K., non ci sono più. Smetto subito di ballare, e comincio a guardarmi intorno, cercando di trovarli. Mi sposto da quel luogo, e mi inoltro nella parte di spiaggia che separava il nostro gazebo dalla “pista da ballo”; è tutto buio, e a mala pena si distinguono gli scogli per terra. Accendo il flash del telefono, per evitare di cadere, quando da lontano ho l’impressione di vedere una figura. Anzi, due. Meglio avvicinarmi col flash.
Illumino le figure di fronte a me. Erano D. e K., impegnati a controllarsi gli organi. Con la lingua.
Clamoroso ritorno della fredda lama perforante! Ed ecco un colpo, due, tre, dritti al cuore! S. è K.O.! *ding ding ding* incontro finito. GAME OVER.
Ferita e arrabbiata, ritorno al gazebo. Mi siedo, e mi faccio passare subito una birra ghiacciata. Dopo dieci minuti ecco ritornare K. e D., viscidi come due serpenti. Si siedono difronte a me, mentre io fisso il fuoco lì vicino, bevendo e senza dire una parola. Dopo un po’ D. mi dice “S. va tutto bene? Sei strana”, al quale io rispondo con il massimo della freddezza “Sì, va tutto perfettamente”, senza togliere gli occhi dal fuoco. Passo più o meno un’ora in quella situazione. Poi decido di lasciar perdere, non voglio rovinarmi la serata.
K. mi lancia un cappello, e mi dice “oh, ma che hai?”, e io rispondo “nulla, davvero”, e gli rilancio il cappello, senza nemmeno guardare in che direzione lo avevo lanciato. “Scommetto con non mi centri la testa” mi dice subito dopo. “accetto la sfida” dico. Dovete sapere che ho una mira PESSIMA. Quindi, prima di darmi una pistola in mano, pensateci due volte. In ogni caso, mi rilancia il cappello, tento di mirare e lancio. Un lancio pessimo. “Dio, S., se questo è il meglio che sai fare.. ok scommettiamo. Se ti centro, smetti di fare l’asociale e vieni vicino a noi”, “accetto”, dico un po’ amareggiata. Indovinate? Fa centro, il cappello mi finisce in testa. “Ora, vieni qui!”, “ok, ok, vengo”, mi alzo e mi siedo dietro a lui e D., che stava iniziando a provarci con un altro ragazzo, amico di K. . K si gira di spalle, e appoggia la testa sulle mie gambe incrociate, e sposta le mie mani sulle sue spalle, cominciando ad accarezzarmi le braccia. Ero veramente sconvolta. Non credevo potesse succedere a me, non una cosa del genere. Ma perché non godersi l’esperienza? Ma sì, godiamoci questo ferragosto, al diavolo le cose serie! Quindi ero lì, a giocare con la sua faccia, ad allungarli le guancie, a stringerle. Era tutto perfetto. Poi allunga le mani dietro al mio collo, e avvicina il mio viso sul suo. Sì, stava per essere un bacio alla Spiderman, ma decido di giocare un po’, e gli dico “pensi che io sia così facile? Te lo devi guadagnare!”, “ah sì?” la sua voce non è più scherzosa. E’ profonda, e mi fa venire i brividi. Dei brividi piacevoli. Allora ci alziamo, stavamo per andare a ballare, quando gli squilla il telefono. Era la madre, doveva tornare perché era in punizione. All’una di notte, a Ferragosto. PROPRIO QUELLA SERA, IN QUEL MOMENTO. Vi lascio immaginare come potessi stare. In ogni caso decido di accmpagnarlo fino alla zona da ballo, dato che se ne doveva andare da quella parte. Camminavamo, mano nella mano (non che io sia mai stata fan di questa cosa delle mani unite mentre si cammina), e all’improvviso, si gira verso di me, mi attira a se e mi abbraccia. Ricambio (cosa estremamente rara per me, davvero, faccio fatica ad abbracciare anche mia madre – lo so, faccio schifo), e stiamo così per circa due minuti. Lentamente mi bacia la fronte, poi la punta del naso, per poi darmi quel bacio bellissimo, lento, senza volgarità. “E ora che ti ho conosciuta come farò senza di te?” Dio, questa frase mi ha stesa letteralmente. Era uno dei miei sogni nascosti. “Sappi che non ti lascerò andare così facilmente, S.” avevo i brividi. Lo bacio, per poi lasciarlo andare. Torno al gazebo, e tutti mi applaudono. Sì, quello era il mio secondo bacio con un ragazzo in tutta la mia vita (il primo lo avevo dato il Ferragosto precedente – God bless Ferragosto!). Già, a quasi 16 anni (li avrei compiuti a inizio Settembre).
Il giorno dopo, ci diamo appuntamento per la sera vicino alle giostre. Appena ci vediamo, non diciamo nemmeno una parola, mi bacia subito. Ero elettrizzata, sopra le nuvole. D. si era data appuntamento con il ragazzo con cui aveva iniziato a provarci la sera prima, con il quale aveva già consumanto abbondantemente. Ci dividiamo, e lui mi dice “ti voglio portare in un posto”, così mi prende la mano e mi trascina fino alla fine del porto. Qui c’era un grosso cumulo di massi, mi invita a salirci e mi aiuta a scendere dall’altro lato. Mi trovo davanti uno spettacolo da togliere il fiato: eravamo dall’altro lato del muro che circonda la zona del porto, e di fronte a noi, tutto il litorale, illuminato solo dalla luna e da qualche luce lì vicina. Sono in piedi, appoggiata al muro, e lui, difronte a me, mi mette le mani sui fianchi e inizia a baciarmi il collo. Ero su di giri, avevo la senzazione di essere leggera come una piuma. Poi mi afferra il viso e mi bacia lentamente, con una delicatezza inaudita. Stanca di tutta quella leggerezza, lo attiro ancora di più a me, e da lì i nostri baci si fecermo molto più intensi e passionali. Ha una mano appoggiata al muro,e con l’altra mi accarezza il collo. Passiamo ore così, staccandoci solo per un sorriso, o per prendere fiato. Dopo un po’ mi fermo, e gli dico “ma non ti da fastidio come sono?” ,”perché? Come sei?”, “Beh..” gli indico le gambe. Purtroppo, non sono magra. Peso 63 kg per 1,69 m. Lui mi afferra, mi sbatte al muro e mi sussurra “non ti azzardare nemmeno a farti venire queste idee così stupide” e mi bacia con ancora più passione di prima. Mi bacia il collo, mi attira a se, gioca con i miei capelli, insomma la serata dei miei sogni. Ma come tutte le cose, deve avere una fine,e arrivata mezzanotte è costretto ad andarsene, sempre per la punizione. Recupero D. e torniamo a casa anche noi, raccontando tutta la notte cosa è accaduto a ciascuna di noi.
Il giorno dopo, gli chiede se sarebbe tornato da noi, ma mi dice che non poteva, perché aveva promesso ai suoi amici che sarebbe uscito con loro. Un po’ triste, gli dico che va bene. Io e D. decidiamo di passare la serata a un bar poco lontano da casa mia, una splendida pinetina vicino alla spiaggia, aperta tutta la notte.
Tornate a casa, ci sediamo sulle sdraio in giardino, e decido di chiamarlo, così, giusto per chiacchierare. Il telefono squilla, squilla tante volte, quando alla fine si apre la chiamata. E a rispondere, è una voce femminile, con un accento strano. Mi dice che K. era molto occupato al momento, così, non avendo nemmeno voglia di continuare a parlare con questa persone, passo il telefono a D., che riesce a parlare con K. . Stanno al telefono per 10 minuti, ma non riesco a sentire nulla, perché si allontana da me. Sento solo delle risate ogni tanto. Ma da una persona come lei mi aspetto benissimo questo comportamento di menefreghismo. Quando si tratta di ragazzi, D. non guarda in faccia nessuno, deve farli suoi, anche se è il "quasi ragazzo" della ragazza che ti sta ospitando da due settimane. Una volta finita la telefonata, si avvicina a me, con l’aria di chi sta per dire a qualcuno che ha il cancro (wow, e io che pensavo che si stessero divertendo al telefono). Si siede accanto a me, e mi dice ciò che stava succedendo. Mi dice che in quel momento si stava “dando da fare con questa ragazza, francese, e che la nostra storia (se così si può definire) era qualcosa da una notte sola. Mmh, strano, perché quando mi diceva “Dio, a settembre non sarà facile lasciarti” lasciava intendere tutt’altro. Dice che per me non prova nulla di serio, e che lo devo dimenticare.
Ho le lacrime agli occhi, così scappo in bagno, mi chiudo e inevitabilmente scoppio a piangere. D. è ancora in giardino, scherza con mio fratello, e cerca anche di richiamare K. . Io invece, cerco di soffocare il pianto, per non svegliare i miei genitori, che dormivano nella stanza di fronte. Ero distrutta, tutti i miei sogni riguardo a un ragazzo si stavano quasi avverando, ma come un colpo di vento riesce a buttare giù un castello di carte, così io ero stata buttata a terra da un maledetto verme disgustoso.
Era troppo bello per essere vero? Probabilmente sì.
Ma, hey! Io sono S.! E’ la mia specialità sopravvivere.

http://24.media.tumblr.com/tumblr_m8rmatZwoG1r7561ao1_500.gif

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** The Beginning Of The End. ***


E’ l’inizio della fine. La mia famiglia sta cadendo a pezzi.

Sì, mio padre ha confermato che è stato con un'altra. E mia madre mi ha detto che non è la prima volta.

Sì, mia madre vuole finirla qui. E sì, lo voglio anch’io.

Ma non lui, lui vuole combattere per tenere la famiglia unita, per “salvarla”. La nostra famiglia è morta molto tempo fa ormai, solo che lui non se n’è accorto. E guarda caso, solo ora si ricorda di noi, solo ora dice “pensa al male che faremo ai nostri angeli”. Beh, i tuoi “angeli” sono stanchi di te e del tuo comportamento. O almeno, io lo sono. Mio fratello, 14 anni sulla carta, 5 in testa, non vuole che si lascino. Vuole la famigliola unita e felice. Ma non capisce che questa cosa non è mai accaduta e che non accadrà mai. Mio padre è ancora a casa solo per mio fratello.

“Sto soffrendo anch’io, sai? Ma di me non se ne frega nessuno”. Oh, mi scusi tanto, signor HoTraditoMiaMoglieSonoCosìTristeBuHu, ma quello che sta male qui non sei certo tu. Non sei certo tu quello che ogni giorno piangeva, quello che si confidava con sua figlia di quanto stesse male, quello che faceva i sacrifici per abitare con una bestia che ti sfrutta solo per mangiare e tenere pulita la casa. No, non sei proprio tu. Tu ti sei divertito.

Quello che mi manda in bestia è come abbia potuto fare tutto questo tempo a tornare a casa, facendo finta di nulla, a parlare ai suoi figli come se nulla fosse e a dormire nello stesso letto con la donna che lo ha sopportato da 18 anni a questa parte consapevole e vittima delle sue pocherie?
Mangiamo pizza da 5 giorni. Mia madre non vuole cenare, dice che se non mangia pensa alla fame, e non al dolore mentale che prova.

Ho paura per lei. Si sta uccidendo, è mangiata dal senso di colpa e dalla rabbia.

Non voglio questo per lei, per la donna che amo più di ogni altra cosa esistente al mondo. E’ la persona più dolce, caritatevole, gentile, genuina e intelligente che conosca. E di certo non merita tutta questa merda.

Oggi mio padre (ci credete che faccio fati ca a scrivere “mio padre”?) mi ha chiamato, serissimo, ero fuori casa e mi ha detto di tornare perché mia madre non stava bene. Ho immediatamente chiamato mia madre, era in lacrime, e mi ha vietato di raggiungerla. Avevo il cuore a pezzi, mia madre era da qualche parte a piangere, da sola. Che cazzo gli aveva detto ora quel bastardo?

Gli ho scritto subito. Gli ho detto che avrei potuto sopportare fino a quando la cosa non sarebbe degenerata. Abbiamo raggiunto quel limite, ora non sopporto più. Gli voglio bene, è mio padre, e nonostante come mi/ci ha trattato in tutti questi anni resterà mio padre. Ma la cosa non può andare avanti così. Mi ha chiesto scusa, ha detto “spero che un giorno i miei figli riusciranno a perdonarmi”. A queste cose dovevi pensarci mentre ti scopavi quella sgualdrina.

E’ tornato a casa, dopo il lavoro. Non ci ha salutati, si è chiuso in cucina con mia madre, mentre io e mio fratello eravamo in camera mia. Dopo un’ora, vedo mia madre andare in camera da letto, predere il suo pigiama e cuscino e andare a dormire in camera di mio fratello (meglio del divano su cui sta dormendo da 3 giorni; sì, lei dormiva sul divano mentre mio padre dormiva tranquillamente nel suo comodo letto). Alle 7 di sera. Entra mio padre in stanza, chiede qualche informazione a mio fratello di come siano andati gli allenamenti di nuoto. Non riesce a guardarmi in faccia. Meglio.

Dopo mezz’ora ci dice di andare a comprare delle pizze. Io aspetto mio fratello sulla porta di uscita, non riesco nemmeno a predere dei soldi da lui.
Ceniamo, in silenzio, finisco la mia pizza, cercando di non guardarlo per niente. Mi chiede a che ora entro o esco da scuola domani. Lo freddo con tre parole: “entro alle 9”. Fine. Dopo due minuti mi dice “se vuoi alzarti da tavola puoi”, allora afferro la mia coca cola e mi sposto in camera. E ora sono qui che scrivo e mi sfogo.

E, naturalmente, non è finita qui.

Avanti ieri sono tornata dalla gita a Firenze, 4 giorni e 3 notti. Sì, sono partita la sera del giorno in cui è cominciato il dramma in casa, e non sono riuscita a stare vicina a mia madre, continuamente perseguitate da mio padre e da mio fratello, senza l’unica fonte di forza, che sono io. Apparte le telefonate, non sapevo come starle vicino. Mi sentivo così inutile. In ogni caso, inutile dire che sono stata completamente sola. Tutti con i propri ragazzi/ragazze. L’unica che non era “materialmente” con il suo ragazzo, ci passava ore e ore al telefono. Le uniche volte in cui pronunciavano il mio nome era per farsi scattare o inviare una foto. Ho passato il viaggio di ritorno a fissare fuori dal finestrino, mentre accanto a me F. (che si suppone sia mia amica) si coccolava con A., il suo ragazzo. Senza contare che all’andata, quando mi sono sentita male e mi sono messa avanti, nessuno mi ha calcolata. Avrei anche potuto morire, loro erano lì dietro liberi di scherzare e buttarsi l’uno sull’altro in una gigantesca orgia. Tanto la guastafeste non c’era.
È dal ritorno dalla gita che la situazione è così. Le loro relazioni sentimentali si sono intensificate così tanto da tagliarmi completamente fuori. Oppure, se sono io a provare a parlargli il loro comportamento è freddo, mi rispondono con sufficienza, e se provo a fargli notare queste cose mi si scagliano addosso, tirando fuori per l’ennesima volta il discorso della lagna, che mi incazzo per tutto eccetera.

Se fanno cose simpatiche tra di loro (tra amiche intendo), tipo fare una torta per un compleanno di una nostra amica sabato, non gli passa nemmeno lontanamente per la mente di chiamarmi e chiedermi di fare un salto. Senza contare che F. sia riuscita tranquillamente ad andare a casa di V., mentre quando gli  propongo di passare un pomeriggio con me usa sempre scuse del passaggio, dei troppi compiti, o impegni assurdi.
Cristo santo, se non volete stare con me ditelo, invece di usare queste scuse immonde.

Principalmente, ecco la mia situazione al momento.

Completamente, infinitamente sola.

Mi sento così male, soprattutto la cosa che mi deprime di più è che non riesco a parlarne con nessuno. Non sento nessuno abbastanza vicino da parlarne. Tranne forse M., ma con la quale per non so quale strano motivo, penso di non riuscire a parlare abbastanza bene con whatsapp quanto con epf.
Sono orribile lo so, M., e mi vergogno del fatto che tu debba sapere queste cose tramite efp. Spero tu mi possa perdonare se non te ne ho parlato prima. Mi dispiace.

Ecco tutto, per ora.

S.

http://24.media.tumblr.com/627a0726bf76562db7ae0877116399cf/tumblr_mt3p8at8sz1rjd8mco1_500.gif

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** My turn to play ***


Ero stesa sul letto, svagavo con i giochi sul telefono. I miei erano nella stanza accanto. Urlavano, come al solito. Ogni tanto sentivo il rumore di qualcosa che sbatteva a terra. A un certo punto non senti più parlare, ma colpi. Mi alzo di scatto, spalanco la porta.
Si stavano picchiando. Li separo, butto mia madre fuori dalla loro camera.
Ora urlo io.
Urlo che non ce la faccio più.
Basta.
Vattene via.
Urlo che mi uccido. Li minaccio di uccidermi. Mia madre piange, mi dice di andare via. Urlo di no. Urlo ancora. Tutti questi mesi passati così stanno emergendo da dentro di me.
Mio padre dice ok, prende l'indispensabile e se ne va.
Mia madre viene ad abbracciarmi. La respingo. Voglio stare sola. Non voglio parlare con nessuno.
Sono seduta, fisso di fronte a me. Rivivo ciò che è appena successo.
È il limite. Ora gioco anche io, non solo i miei. Basta.
Cerco di non piangere, non ho la forza necessaria di gestire un pianto.
Ora basta.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Red Dress And Some Bother ***


E ci siamo, l’ultima festa del mio terzo anno di liceo. Non sono più una “bimba” del biennio, ora sono vista in maniera diversa, o almeno, io vedo in maniera diversa gli altri. Non sono piccola come le ragazze del primo e del secondo anno, ma di certo non sono grande come quelle di quarto e quinto. Sono nel bel mezzo, e questo dovrebbe avvantaggiarmi. Ho comprato un vestito rosso acceso, lungo fino a sopra il ginocchio, con taglio in vita e schiena scoperta: il mio acquisto migliore da molto tempo. Misi dei tacchi neri e il giubbotto di pelle, presi il cellulare e la borsetta nera, e si parte. Mi ritrovai con il mio gruppo di amici all’entrata, aspettammo i ritardatari ed entrammo. Nemmeno a farlo apposta, chi è la prima persona che notai entrando? Ma certo, un ragazzo di 1,80 m, in camicia bianca e jeans. L.
No. Mi ero ripromessa di non pensarci più. Era fidanzato, anche se della ragazza nemmeno l’ombra per tutta la sera, e di lì a poco non lo avrei rivisto più. O almeno, questo era ciò che pensavo il sabato precedente: come ho già detto negli scorsi capitoli, il sabato abbiamo educazione fisica alla stessa ora, e dividiamo la palestra; beh, la settimana prima, appunto il sabato a seconda ora, ero partita con l’intenzione di vederlo per l’ultima volta, perché poi si sarebbe diplomato e chissà dove sarebbe andato poi. Insomma, entro in palestra e la sua classe non c’è, siamo solo noi. Inutile dire che una specie di piccolo vuoto mi si è formato dentro: per quanto mi ripetessi che non mi importava, mi importava eccome. Non lo avrei più rivisto.
Avevo completamente rimosso la possibilità di rivederlo alla festa, e in un certo senso mi aveva fatto bene: niente preoccupazioni, potevo pensare solo a me. E lo feci. Peccato che tutto finì nel preciso istante in cui lo vidi appena entrata. Era bello, perché prenderci in giro, e anche involontariamente lo cercavo in continuazione. I miei occhi combattevano con il mio cervello, che tentava di convincermi a non fregarmi di lui, o di nessuno: dovevo andare sulla pista e ballare, senza pensieri, solo divertimento. Per una volta, decisi di non farmi altro male, e convinsi gli altri (sì, ogni volta devo convincerli, perché chissà perché, ma i drammi esistenziali emergono solo alle feste) a venire con me a ballare. Ben presto ci separammo tutti, e io rimasi con una coppietta (quale novità). Per quanto potesse sembrare una situazione scomoda, è stata la più “vivibile” fino ad ora: mi hanno coinvolta, per non lasciarmi sola, e mi andava bene se ogni tanto mi ritrovavo per qualche minuto sola mentre loro si succhiavano l’anima a vicenda.
Ok, non mi crederete mai, ma alcune persone hanno provato a ballare con me.
Sì, S. era ricercata! Peccato fossero al 90% maniaci.
Ma hey, c’è sempre quel 10%.
Va bene,  procediamo con calma: il primo fu un mio vecchio compagno di elementari, che era solito prendermi in giro in continuazione. Non essendo abituata a sentire le mani di un ragazzo addosso, mi venne spontaneo spostarmi. Forse era la mia me interiore di 10 anni che mi obbligava a prendermi una piccola vendetta. Ma non ci avevo perso molto.
Il secondo fu un malato psicopatico che mi toccava ovunque, e ebbe anche il coraggio di dirmi all’orecchio “Stai tranquilla, non ti faccio niente”. Beh, prontamente spostata verso la coppietta, che aveva notato la mia situazione di disagio e mi aveva tirata a se.
Il terzo fu un ragazzo che un tempo mi scrisse in chat: dolce sì, ma allo stesso tempo freddo. Era un chitarrista se non sbaglio, capelli lunghi fino alle spalle, ingelatinati indietro. Okay, la mia situazione con questo ragazzo è complicata: penso che lui sia l’unico ragazzo che si sia mai leggermente interessato a me, ma che, purtroppo, non era contraccambiato. Ho cercato in tutti modi di dire a M, che faceva da mediatrice tra me e lui che io non ero per nulla interessata, e che me ne dispiaceva moltissimo, e forse in reazione a questa notizia, smise di scrivermi. Mi sono sentita malissimo, ma non per averlo perso (alla fine non avevamo legato): ero uno schifo perché troppe volte ho provato il dolore di essere rifiutata, e non avrei mai pensato di poter essere l’artefice di un atto del genere. Ho potuto vedere la cosa dal punto di vista di chi rifiuta, per una volta. Penso con un' eccezione, però: non credo nessuno si sia mai sentito così male a rifiutare me.
Insomma, questo ragazzo, che chiamerò R, mi cercava tra la folla dall’inizio della serata, l’avevo notato, ma per nessuna ragione al mondo avrei voluto avvicinarmi. Perché? Semplice: tutto ciò avrebbe comportato un mio rifiuto (a ballare, logicamente), e non volevo sentirmi a disagio come mi sono sentita quando l’ho respinto qualche mese fa. Starete pensando “Oh, è arrivata l’anima santa”. Chiamatemi come volete, ma davvero, lo giuro, non volevo creare la stessa situazione di nuovo (scomoda e imbarazzante per me, e penso triste per lui). Quindi ero lì, a ballare con E e B (che si sono messi insieme, è vero, non ve l’ho detto), e tutto a un tratto sento delle mani sui miei fianchi: fu istintivo voltarmi a vedere chi fosse, e quando capii che era lui una morsa mi prese lo stomaco. No, no no! Feci una cosa di cui so che mi sarei pentita, ma che era l’unico modo per liberarmene (che brutta parola, Dio mio): lo fulminai con uno sguardo da stronza, come a dire “scollati”. Fare la stronza è davvero qualcosa che non mi appartiene, non l’ho mai fatto e di certo non sono brava. Peccato che questa volta penso abbia funzionato davvero bene: sparì. Non lo vidi più per tutta la serata; mi preoccupai anche un po’, a dire il vero. Anche semplicemente scriverlo, mi mette un' angoscia incredibile, mi sento davvero male.
Il quarto ragazzo fu davvero un bel ragazzo: alto, muscoloso, capelli biondo scuro con un ciuffo alzato, un po’ di barbetta e occhi castani: mi stava appiccicato dietro come una cozza. Qui dalle mie parti si dice “presciarsi”, ovvero essere soddisfatti di se stessi o di qualcosa; beh, ero davvero davvero presciata.
Ma secondo voi, chi viene a bussare alla porta del piccolissimo ego di S.? Ma certo, è il senso di colpa!
E chi aveva più il coraggio di ballarci insieme? All’occorrenza, un trenino di persone mi divide da E e B, lasciandomi sola con questo ragazzo semiperfetto. Era quasi il mio momento, ma B afferra la mia mano, fermando il trenino e mi tira a sé. Del ragazzo con cui ballavo nessuna traccia: era come evaporato. Non mi stupirei se fosse stata solo la mia immaginazione. Alla fine, però, fui quasi sollevata di esserne stata separata. Quella odiosa vocina dentro di me collegata al cuore mi diceva che non era giusto. E io l’ho ascoltata.
Continuavo a ballare con E e B, mentre cercavo in tutti i modi di avvicinarmi a L. Non ci fu storia, non ci riuscii. Poco prima di andarcene tutti a casa, lo vidi: appoggiato al muretto, fuori il locale, con un drink in mano, aspettando che i suoi amici uscissero con la macchina per accompagnarlo. Quella era davvero l’ultima volta che l’avrei mai visto. Lo guardavo, cercando di ricordarmi quanti più dettagli possibili, mentre sorridevo come un' idiota. La macchina che doveva portarlo a casa alla fine uscì, e lo vidi lentamente allontanarsi e scomparire tra le tante altre macchine che attraversavano la strada per portare in paese.
Era davvero finita.
Penso che una parte di me sia finita con tutta questa storia: di certo, ora ci penserò due volte a fissarmi con qualcuno (sempre che il controllo di questo sia nelle mie facoltà). Eppure non mi è dispiaciuto tanto stare male: è stata un esperienza; dolorosa, ma pur sempre esperienza. Voi direte che sono pazza, beh probabilmente sì. Sì, direi proprio di essere pazza.
Ma hey, non sarei S altrimenti.


http://24.media.tumblr.com/tumblr_mcdk25qwVn1qmd2xko1_500.gif
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Don't let them see what goes on in the kitchen ***


Avevamo appena finito di cenare, e io ero  in camera a vedere il finale di stagione di The 100: la mia unica preoccupazione al momento era che Bellamy e Finn non fossero morti per davvero (spoiler, ops).
Mio padre entrò in camera, piangendo e con la testa fra le mani. “Mi ha alzato di nuovo le mani, aiutami, non ce la faccio più! Basta, basta!” mi alzai e di corsa raggiunsi mia madre in cucina, che stava sbraitando mentre mio fratello la tratteneva. “Vogliamo dire ai ragazzi quello che hai detto? Eh? Hai il coraggio? Verme! Torna qua e dillo ai ragazzi!” aveva le lacrime agli occhi, ma queste non erano abbastanza forti da mascherare l’ira che ne trapelava.
Non ricordo nemmeno cosa ho detto, ma ricordo che mio padre si spostò in salone, e iniziò a urlare che l’avrebbe uccisa. Mio fratello si intromise, urlando che non ce la faceva di più, aveva la voce strozzata dal pianto. Se ne andò da mia madre in cucina, piangendo. Mio padre si sedette sul bracciolo del divano, continuando a piangere e a sussurrare di volerla uccidere.
“Papà, non capisci? Non possiamo continuare così”
“Cosa ho fatto io?? Cosa?? È lei che mi ha alzato le mani!”
Come se non sapessi qual è la causa matrice di tutto ciò.
“Papà non possiamo vivere così. Non capisci?”
Stavo per dirlo.
“Papà.. perché sei ancora qui?”
Si mise le mani in faccia, annuendo. Tornò in cucina, e si arrabbiò di nuovo. Non ricordo bene, ma rivivo ogni istante il momento in cui aveva preso le cuffie di mia madre (che lei usa per ascoltare la televisione, dato che ha problemi di udito), e aveva cominciato a girarle furiosamente tra le mani, fino a distruggerle completamente e a scaraventarle via. Tornai in camera mia, non voleva parlare con nessuno. Continuavo a tirarmi i capelli a mantenermi la testa, a convincermi che fosse l’ennesimo incubo. Il problema è che ero sicura che non lo fosse.
Urlai. Urlai come urla qualcuno in un film horror. In effetti ero in un film horror, e non avevo idea di come il film sarebbe finito. O se sarebbe mai finito.
Mia madre, mio fratello e mio padre si precipitarono in camera mia, ma li cacciai tutti, non volevo nemmeno essere toccata. Tornarono in cucina quando gli chiusi la porta in faccia. Iniziarono di nuovo a urlare. Non ce la facevo più, tornai in cucina, e iniziai a ordinarli di smetterla. Mio padre iniziò ad arrabbiarsi con me, minacciava di uccidermi, anche a me, con il solito ringhio schifoso e i pugni stretti mi diceva che se non fossi stata zitta mi avrebbe uccisa. E mia madre mi ordinava di stare zitta, anche lei.
“Ok, dai, sfogatevi su di me, se vi fa stare meglio”. Mio padre sbraitava ancora di più. Mi ordinoò di stare immobile lì, e di non fiatare. E così feci: era quello che voleva? Va bene. Mi piantai lì, e non dissi una parola.
“S, stai tranquilla” disse ironicamente mio padre. In quel momendo mi odiava. “me ne sto andando.”
E scomparse in camera sua, mentre con la voce più dolce del mondo chiamava mio fratello per farsi aiutare a prendere tutte le cose. È logico, sfrutta mio fratello, sfrutta il cuore più debole. Mentre sbatteva furiosamente le cose nella valigia, io ero ancora lì, immobile, e mia madre seduta alla poltrona dietro di me, e piangeva silenziosamente.
Alla televisione passavano un film con Hilary Duff, con una famiglia composta da madre e due figlie. Stavano ballando in una stanza, ridevano e scherzavano. Quell’immagine mi spezzò il cuore, perché noi non siamo mai stati così, felici, spensierati. E probabilmente mai lo saremo. Cercavo di combattere con le lacrime che volevano a tutti i costi uscire, strozzavo ogni minimo lamento, ma sapevo benissimo che era una battaglia persa. Mi coprì gli occhi con la mano, mentre tentavo di non farmi vedere. Piangevo, sai che novità. Non appena mio padre chiuse la porta mia madre mi abbracciò, e mi accompagnò fuori al balcone della cucina, per prendere un po’ d’aria, che in effetti mi serviva, dato il respiro estremamente corto. Ci avranno sentiti tutti nel vicinato, del resto avevamo urlato forte, e non era nemmeno la prima volta. Chissà cosa penserà la gente dei palazzi accanto o degli altri piani quando mi vede. Quandi CI vede. Ma poco mi importava: stavamo cercando di mettere fine a una tortura, non importa a quale prezzo.
Mia madre mi disse poi cosa le aveva detto mio padre, ma non me la sento di scriverlo. Vi serve solo sapere che è un verme. Perché colpire mia madre è troppo facile per lui: lui vuole colpire persone innocenti a lei care, per vederla soffrire nel modo peggiore.
Questo è mio padre. A volte mi vergogno al solo pensieri di essergli imparentata.
Devo ammettere di essere brava a recitare: nessuno si accorge mai di quando accadono queste cose. Eppure, penso che nei miei occhi sia così evidente il dolore che provo. O dovrei ricevere un Oscar, o semplicemente gli altri non riescono a notarlo. E questo mi ferisce.
Non parlo molto di tutto ciò che accade a casa, perché so che a mia madre non piacerebbe. Ma ho un tale bisogno di sfogarmi che.. non so, penso prima o poi avrò un seria crisi.
Tutto quello che sta succedendo mi sta marcendo dentro. E non solo ciò che accade a casa, no: anche amici, scuola (che anche se è finita mi reca preoccupazioni in vista dei quadri di sabato), il mio corpo orribile.
Sì, ancora il mio corpo. La dieta è durata poco quanto niente, e io sto aspettando che gli altri finiscano questo maledetto corso della Croce Rossa per poter ritornare a correre. Sono ritornata come prima, quei pochi chili che avevo perso non sono ricomparsi sulla bilancia, ma fisicamente sono ancora tutti lì, tra pancia e coscie. E la cosa che mi fa più rabbia è sapere che io non mi sto nemmeno sforzando! Quasi come se il corpo perfetto mi arrivi grazie a una specie di miracolo. Mi odio così tanto.
Ho solo una buona notizia: mia madre qualche giorno fa ha chiamato il chirurgo che l’ha operata tante volte alle orecchie, a cui ha chiesto un parere per la mia operazione, quella per il naso. Dice che se trovano una deviazione del setto nasale si risparmieranno molti soldi, l’operazione sarà disponibile a distanza di circa una settimana dalla visita di controllo. Se non troveranno deviazione, dovrò aspettare intorno ai 20 giorni, e dovrò pagare l’intero intervento, in quanto puramente estetico. Eppure io mi ricordo, non so come, che qualcuno mi ha detto in passato che ho il setto nasale deviato. È la prima volta che lo dice qualcuno, ma spero di avere un qualche problema al naso. Prendetemi a parole, ditemi che è presto per la chirurgia, tutto quello che volete, ma non lo faccio per diventare bellissima. Forse, in parte. Ma per il 99,9% lo faccio per stare bene con me stessa, per quanto posso. Voglio almeno potermi vedere allo specchio e farmi piacere ciò che vedo: non voglio evitare gli specchi, gli sguardi altrui. Non voglio scappare da me stessa. Direte “che discorso poetico per giustificare un intervento di chirurgia estetica”. Probabilmente avete ragione. Ma per me è così, e non mi importa di cosa la gente dirà.
Testarda, eh?
Mio padre continua a scrivere a mia madre che ce la possono fare.
Sono io che non ce la faccio.
È mio fratello che non ce la fa.
Questo matrimonio è finito molto tempo fa, ed è irrecuperabile. Sta facendo soffrire tutti, e anche quando non litigano il clima è orribile e invivibile. Non può rimanere qui.
Capisco che è anche casa sua, ma se ama come dice DOPO che se n’è andato di casa (un bel po di volte ultimamente), lo farà. Per il nostro bene. Per il bene di tutti.
Non ho idea di come finirà questa storia.
Voglio solo che finisca.
S.

 



http://24.media.tumblr.com/98721f7d0817a17f38f6af462c83ab1e/tumblr_n72zeddwvE1s9x7ewo1_500.gif

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Grenade ***


     Avete presente la sensazione che provate prima di urlare? Se non sapete di cosa stia parlando, è una morsa che ti stringe lo stomaco verso l’alto, quasi a spingere qualsiasi cosa fuori di te. È come l’adrenalina, il tuo cervello cerca di accumulare più informazioni possibili per spingerti a urlare, come se ti motivasse, come se ti dicesse “Vedi quante cose ti sono accadute? Urla!”. È come prima dell’esplosione di una bomba a orologeria: tu sei lì che fissi il countdown, e sai che l’inevitabile sta per accadere. Chiudi gli occhi e trattieni il fiato. Ecco, io mi sento così.
     Con l’unica differenza che io non posso esplodere. Il mio countdown si ferma a -1.
     So chi è, la donna, o meglio la persona che ha distrutto le nostre vite (inconsapevolmente o non, non importa). So anche dove trovarla. Ma non posso fare nulla: in teoria io non so niente, come al solito.
     Mi sento così impotente difronte a tutto ciò che accade in casa mia. Sono una spettatrice, non recito con loro. Anzi, sono uno strumento degli attori: tirato in ballo quando serve. Giuramenti, promesse su di me, su me e mio fratello, sull’amore che loro provano per noi. Chi glielo dice che sappiamo che queste promesse sono solo falsità? Come lo so? Beh, non è solo mamma che cerca informazioni su di te e su quest’altra persona.
     Come vuoi che gli dica che so che si vedono ancora, che si sentono ancora, che nulla di ciò che aveva promesso è poi diventato realtà?
     Sei così falso. Eppure ogni volta che parliamo sono felice, rido, scherzo, dimentico tutto. È quando non ti parlo che ricordo ciò che ci fai, ogni giorno. Il tuo perenne nervosismo, la tua idea di padre-capo, i tuoi ordini che vanno eseguiti senza dubitare, la paura e il disprezzo che abbiamo quando fai la besta e ti arrabbi per delle stupidaggini. Come fai a tornare la sera a casa e a guardarci in faccia? Come fai a far finta che vada tutto bene? Con che coraggio chiedi a mia madre di riprovarci? Con che coraggio riesci a farti preparate pasti dalla donna che ti odia? Che poi, ti lamenti anche di quello che ti cucina.
     Dovresti solo vergognarti, provo un disprezzo e una pena grandissima.
     Tutto mi si sta accumulando. Passo dalla tristezza alla rabbia con una velocità incredibile.
     Mi tremano le mani, a scrivere. Voglio piangere, ma non ci riesco più. Non ho più le forze. Voglio solo urlare.
     Sento che impazzirò a non parlarne con nessuno. Il problema è che io non posso. O, almeno, sento di non averne la possibilità. F. e A. si sono lasciati, V. si è messa con una ragazza, F. ha subito trovato qualcun altro, così come A. e io sono estremamente felice per loro. Ed è brutto pensare che non riesco a mostrarmi felice, perché tormentata da pensieri infelici, come “perché io non ho nessuno?”, “perché non posso provare la loro stessa felicità?”, “perché non possono brillare gli occhi anche a me come i loro?”.
     Probabilmente la risposta è “Arriverà”. Ma, a questo punto, non so più cosa mi riservi il destino.
     Vedete, potrebbe sembrare un semplice capriccio di avere un ragazzo, ma non è il ragazzo in sé che voglio: voglio le sensazioni che provano gli altri, quel senso di soddisfazione, di eccitazione, di appagamento, che io non ho mai provato. So benissimo che queste sensazioni si possono provare anche in altri modi, ma personalmente non penso di averne la possibilità.
     Sapete, ho fatto leggere Pieces Of Me a una persona, di cui non dirò il nome. Le ho fatto leggere ciò che non ho mai avuto il coraggio di dire a nessuno: nessuno, infatti, delle persone che “ho accanto”, sa così bene come sto e cosa provo. Volete sapere cosa mi ha risposto?
     “È scritto male”.
     Certo, dopo averle fatto notare che non era certo quello l’aspetto che mi importava, ha tentato di dire la sua, con il solito “cambia la situazione”, pretendendo che io non ci stia nemmeno provando, per poi freddarmi prima di andare a letto, lasciandomi a mani vuote. Certo, posso provare a risolverla dal punto di vista fisico, per il mio peso, ma come volete che cambi la situazione negli altri campi?
     Ma non è questo il punto.
     Il punto è che la sua prima reazione è stata una critica negativa all’aspetto tecnico di ciò che ho scritto. Il punto è che quella che si spera sia sua amica ha parlato dettagliatamente della sua situazione, che a chiunque penso non sembrerebbe rose e fiori. Certo, sapeva già qualcosa, ma non quanto ho scritto in questi capitoli.
     E dopo questa piccola, insulsa conversazione, non si è sentita nemmeno di riparlarne, come se non ne valesse la pena o qualcosa del genere.  Forse era troppo presa dalla sua di situazione, prettamente sentimentale penso. Lo capisco. Ma pensavo di valere un po’ di più di quanto evidentemente valgo in realtà.
     E sono sicura che anche se le ho inviato il link della “storia”, questo capitolo e quelli successivi non li leggerà mai. Se ne sarà già dimenticata. Era un test, ed è finito come prevedevo. Nemmeno sbattendo in faccia il mio dolore a qualcuno sarei stata considerata.
     A parte le battute quando usciamo, che comunque riesco a fare, nessuno nota il dolore nascosto. O se lo nota, fa finta di nulla. E so che lo notano: capitano momenti in cui mi spengo, in cui non voglio parlare ne ascoltare, e incontro lo sguardo di qualcuno, che mi ha notata diversa. Peccato che come al solito distolgono lo sguardo, e continuano come se nulla fosse. E vi assicuro che non c’è nulla che faccia più male dell’essere consapevoli di essere ingnorati.
     Non so, penso che farò leggere Pieces Of Me a qualcun altro, forse, un giorno. E probabilmente si sentiranno in dovere di cercarmi, vorranno consolarmi, parlarmi.
     Beh, a te, “amico mio”, che stai leggendo, vorrei dire questo: se fino ad ora non hai notato il mio dolore, non pensare di poter recuperare tutto ora, con qualche promessa magari. Perché, a quanto spero avrai capito, io alle promesse non ci credo più.
     La settimana prossima mi trasferirò a mare, e non tornerò fino a settembre. Per quanto sola starò, penso che questo periodo mi servirà a pensare bene a tutto. “Amici”, “famiglia”, relazioni.
     Mi sento vuota, ormai. Non ho più lacrime, non ho più la forza di parlare di come sto a qualcuno senza avere risultati. Sono così stanca.




https://31.media.tumblr.com/20daae5fe85f8eaff4926d6f23a35b4e/tumblr_inline_mvcb18QNww1rhasyf.gif

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Suffocating Mind ***


Eccolo lì, dopo circa un anno, il posto in cui io e K, lo scorso Ferragosto, siamo stati insieme: un ammasso di enormi pietre, alla fine del porto, circondati solo dalla notte e dalle barche.
Siamo uscite, io, F, sua cugina e una sua amica, e stiamo raggiungendo mio fratello e il cugino di F, che proprio infondo al porto erano andati a fumare, e decisamente non tabacco. Avevo deciso che forse era meglio andare a controllare mio fratello, essendo due anni più piccolo di me (quindi 15), perché non volevo poi tornare a casa portandomelo sulle spalle perché non si sarebbe retto in piedi. Insomma, lo chiamo, e mi dice di raggiungerli al porto, solo un po' più infondo del solito posto (ovvero una panchina su cui di solito il cugino di F e i suoi amici si riunivano per fumare). Una volta arrivati, ricordo: quelle pietre, quel tipo di illuminazione.. era proprio lì che un anno prima pensavo di star vivendo un sogno. Rivivo ancora alcuni momenti. 
"Come farò a lasciarti andare a Settembre?".
"I tuoi capelli sono spettacolari".
"Sei fottutamente bella".
Già.
Un brivido mi percorre la schiena e ritorno alla realtà, rendendomi conto di aver fissato quel cumulo di pietre per troppo tempo.
"Tutto bene?" Mi chiede F.
"Certo" rispondo io sorridendo.
Tutto benissimo.
L'ho rivisto, qualche sera fa. Erano sulla suddetta panchina, a fumare insieme al cugino di F, con cui passo l'estate quando F non c'è. Li avevo raggiunti, e una volta arrivata mi resi conto di chi, a meno di un metro da me, evitava il mio sguardo. Non lo vedevo da un anno. E la sua voce: Dio, quanti ricordi ritornavano vividi risentendo la sua voce.
Con le altre usavo la scusa "mah, ero mezza ubriaca","dai, era bruttino". No, non ero ubriaca, e no, non era definitivamente bruttino.
Sono io, il problema.
Devo accettarlo, era solo un'avventura estiva. Una cosa da una notte.. O nel mio caso, massimo due. Devo andare avanti, e pensavo di esserci finalmente riuscita.
Ma, come al solito, come potrebbe MAI S stare serena? In fondo, ho un abbonamento giornaliero al tour dei ricordi.
Com'è possibile che non riesca a staccarmi da certe cose? Forse perché questo tipo di esperienze per me sono più uniche che rare. Ho baciato un ragazzo solo due volte. A 17 anni. Sembrerò disperata, forse lo sono, ma certe esperienze per me lasciano un segno indelebile.
"Arriverà" maledizione a quante volte ho sentito questa parola.
Lo so, dannazione, lo so.
Ma nel frattempo cosa faccio? Mi crogiolo con le serie tv? Non sarebbe una brutta idea, se solo non mi ricordassero costantemente della mia infinita solitudine.

Mi è capitato il telefono di F nelle mani, e ho deciso di scrivere, per scherzo, al suo nuovo ragazzo, Y, con il quale ormai ci prendiamo in giro all'infinito. Per sbaglio, ho aperto la conversazione di F con V: F starà una settimana a mare da me, e V è completamente devastata per questo, così come anche lei.
"Mi manchi, non parliamo da tempo, ti voglio bene".
Non mi ha mai detto queste cose.
Nessuno.
Non si tratta di gelosia, però. Non di loro, per lo meno, ma di quello che hanno. È così triste pensare che non ho mai letto o sentito queste parole per me. Sto via due mesi per stare a mare? Ah, va bene, ci vediamo a settembre. Lei va via per una settimana? Scherziamo? Come farò senza di te per ben una settimana?

Pensavo che l'estate sarebbe stato un periodo per pensare, e in effetti lo è: il problema è proprio questo. Pensare mi fa male.
"E allora non pensare!"
Credetemi se vi dico che CI STO PROVANDO. Ve lo giuro. Se solo funzionasse.

S.


---------------------
Scusate la pessima estetica, ma posso pubblicare solo dal telefono per il momento. Un grosso bacio, S.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Summertime Fights ***


Salve a tutti! Mi dispiace di non poter essere così attiva su Efp, e di non poter aggiornare così assiduamente Pieces Of Me e Half Blood (di cui il quinto capitolo è a metà. Purtroppo, ci sto mettendo un'eternità a scriverlo, un po per noia, un po per poca ispirazione, un po per impossibilità, ma vi prometto che lo pubblicherò appena lo avrò finito, connessione permettendo), ma purtroppo, essendo a mare, campo solo con il 3G del telefono. Davvero, spero mi perdonerete e che non mi abbandoniate. Qui a mare, PER ME, tutto molto piatto: esco con una o due amiche ogni tanto, sigarette, una coca al bar, una passeggiata in centro e poi a casa. Non scendo molto in spiaggia, perché la "mattina" mi alzo molto molto tardi (il record è stato le 3 e mezza di pomeriggio), ma se ho voglia, scendo verso le 5, sola o con mia madre (dato che le mie amiche, pur avendo entrambe la macchina e abitando al paesino praticamente attaccato al nostro, non possono venire ogni pomeriggio/sera). 
Oh, vi aggiorno sulla situazione a casa: mia madre è sempre più decisa a lasciarlo, e lui è sempre più ostinato ad accettarlo. È stato cinque giorni con noi, solo a casa, qui a mare, e non ha fatto altro che urlare, lamentarsi e dare ordini. E indovinate? Sempre, e dico sempre, con il telefono in mano. Perché dovete sapere che questa persona, mentre a noi prometteva amore e felicità, continuava a parlare con questa lurida puttana. Ora, ditemi se questo può essere chiamato uomo, o padre, o "marito". Anche se padre o marito non lo è mai stato. Poi, beh, poi è scappato. È venuta mia madre, hanno convissuto due giorni qui, tra urla e litigi, e poi è tornato a casa, in città, tra l'altro mentre io e mio fratello eravamo fuori casa.
E oggi, oh, oggi sarebbe dovuto ritornare lui a mare, si sarebbero dovuti dare il cambio. Naturalmente, non è venuto più alla fine. Perché? Perché hanno litigato di nuovo, pesantemente, al telefono, mentre la cugina di mio padre (una consulente per i divorzi o una cosa del genere) era a casa, a aiutare mia madre e noi  con questa situazione.
È curioso di mio padre, come possa passare dal "Perdonami" al "Ti distruggo", quando mia madre gli nega, in lacrime, di rimettersi insieme. 
Questa situazione sta diventando sempre più soffocante, invivibile, insopportabile, e chi più ne ha più ne metta.
E la cosa peggiore, è che continuo a essere costantemente sola. Vi spiego:
Avete presente F? Sì, la mia migliore amica. Beh, almeno, lei per me è la mia migliore amica, io per lei no.
Perché, vedete, questa cosa l'ho "notata" tempo fa, e lei non dico che l'abbia confermata, ma non l'ha mai smentita. La sua migliore amica è V, e lo so benissimo.
Sono gelosa? No.
Ci sto male? Assolutamente sì. Ma non gliene faccio una colpa. Non si può forzare qualcuno a voler bene a qualcun altro.
Abbiamo litigato, stanotte, perché è da quando io mi sono trasferita a mare per l'estate, che lei non mi cerca: non mi chiama, non mi invia messaggi. O almeno non è lei la prima: sono sempre io quella che chiama, che cerca, che si interessa.
Ora, so benissimo che anche lei sta passando un brutto periodo col suo fidanzato G e con suo padre, ma non può assolutamente rinfacciarmi che io non mi sia interessata a lei riguardo la sua complicata situazione: l'ho chiamata ogni giorno, da quando mi ha spiegato la sua situazione, cosa che lei non si sogna nemmeno di fare, anche se è a conoscenza di ciò che sto passando da molti mesi prima che il suo problema "nascesse".
È imbarazzante da dire, ma io mi diverto a paragonare noi due a Stiles e Scott, di Teen Wolf. Sì, sono una fangirl malata. È impressionante le caratteristiche che lei ha in comune con Scott e io con Stiles, davvero, e prima o poi ve le elencherò, giuro.
C'è solo una piccola grade differenza tra loro due e noi due. Loro due, beh, morirebbero l'uno per l'altro, sono i migliori amici che possano esistere, mentre noi due.. Noi due non ci avviciniamo nemmeno minimamente a tutto questo. O almeno, io per lei penso che sarei capace di finire sotto un treno, lei non credo proprio. Ma non posso darle la colpa, come ho detto prima non posso obbligarla a volermi bene quanto io ne voglio a lei.
Io davvero, mi sento sempre più stanca, e sempre più indotta a mandare tutto a quel paese. Ma resisto, affronto ciò che posso e vado avanti. Soffro, perché non ho nessuno con cui piangere, urlare, sfogarmi, se non la tastiera del mio iPhone.
Nessuna buona notizia all'orizzonte per S, ma sono fiduciosa nello sperare che prima o poi qualcosa di bello accada anche a me.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Meetings ***


Ferragosto 2014, ve la faccio breve: coppie in tenda dalle 11 di sera alle 7 di mattina; ballo in spiaggia; un ragazzo mezzo inglese ci prova con me, ma io non ci sto.
Emozionante, eh? 
Non puntualizzo su Ferragosto, perchè tra mio fratello ubriaco e quei quattro che non si sono fatti vivi per niente se non per cacciarci da davanti le loro tende, ero abbastanza incazzata.
Vorrei concentrare invece la vostra attenzione su qualcosa che mi è successa ieri sera.
In piazzetta, a mare da me, ci sarebbero stati molti concerti, e io, curiosa, sono andata a sbirciare un gruppo che fanno cover di canzoni rock inglesi. Insomma, sono li con il gruppo di amiche con cui esco le sere estive, quando noto che uno-due metri più in la, c'è un ragazzo abbastanza carino. Non mi soffermo molto su di lui, un po per abitudine, un po per imbarazzo, e ritorno a osservare il gruppo. Passano circa cinque minuti, e lui mi si avvicina, chiedendomi una sigaretta. Gliela do, e iniziamo a parlare. Mi dice di dov'è, che ha 18 anni, che scuola frequenta, e poi propone di uscire. Sono entrata in modalità "l'estate sta per finire, me la godo più che posso" quindi accettai, cosa che io non faccio quasi mai. Ci spostiamo sul molo, arriviamo in fondo e siamo soli, seduti a guardare il mare agitato e la spiaggia. Parliamo per due ore, delle nostre esperienze, passioni, di che tipi siamo. Beh, vi stupirete se vi dico che abbiamo praticamente tutto in comune: ha una jeep, e le fan di Teen Wolf che stanno leggendo capiranno il mio disagio quando l'ho saputo,  è fissato con la luna, le stelle, o comunque il cielo notturno, anche lui ha problemi in famiglia, e ultimamente fuma molto per colpa dello stress, fa il liceo artistico, con indirizzo architettura, quello che avrei preso io se non avessi fatto lo scientifico, a entrambi piace ascoltare più di un tipo di musica, passando dal rock alla dubstep senza problemi, non gli piace il calcio, ma pratica football americano (fangirl mode on). E queste sono solo le cose che momentaneamente ricordo, perchè c'è molto, MOLTO di più.
Di lui ho apprezzato il fatto che non si è comportato come un ragazzo che cerca di appartarsi, ma abbiamo parlato tanto, di brutti momenti, di hobby, passioni, senza nemmeno una punta di malizia. Mi ha detto che ha avuto solo due relazioni serie nella sua vita, entrambe da circa un anno e mezzo: per quanto possa sembrare irrilevante o fuori luogo, questa piccola informazione mi ha fatto capire molto, o almeno che non tratta le ragazze come oggettini del piacere. Mi ha fatto anche capire quanto lui sia disponibile per le persone a cui tiene, e questo dettaglio mi ha fatto molto piacere.
Fisicamente, beh, alto 1,70m (quasi quanto me, quindi è relativamente basso, ma poco importa), muscoli da atleta, occhi castano chiaro e capelli neri, con annessa barba, e carnagione scura.
Bello, eh?
Voi non avete idea di quanto questa cosa mi stia facendo sentire BENE.
Finalmente, anche per S. la ruota sembra girare, ma non potrò mai sapere cosa in realtà mi stia riservando il destino.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** A New Me - 2017 ***


Ciao, sono S. e sono le 3:41 del mattino di un’anonima domenica sera. Mi è improvvisamente venuta voglia di rileggere questo mio breve diario, e ho pensato, perché non aggiornarlo?

Cominciamo.

Ora ho 19 anni, e sono passati circa tre anni dall’ultimo aggiornamento, credo. Sto attualmente ripetendo l’ultimo anno di liceo (sì, l’incubo non è ancora finito), essendomi ritirata semplicemente per una questione psicologica. Avevo fatto fin troppe assenze, superando il limite concesso, senza che mia madre non ne sapesse niente. Quando gliene parlai, arrivammo alla conclusione che non avrei potuto affrontare la maturità con quelle poche conoscenze che avevo, e la situazione di solitudine, stress psicologico e fisico (ho iniziato a soffrire di attacchi di panico) erano degli altri fondamentali fattori. Così, il giorno 9 Aprile 2016, fu il mio ultimo giorno di assenza. Dopo, ero ufficialmente una ragazza ritirata dall’anno scolastico, e avrei iniziato a settembre il mio quinto anno di scuola, per la seconda volta, in una scuola in un paesino vicino. Decisi di cambiare scuola per non incontrare gli sguardi taglienti degli studenti che ormai mi conoscevano, e sicuramente si sarebbero divertiti molto a parlare tra di loro del motivo per cui quella ragazza di quinto era ancora lì. In più, i professori da cui mi aspettavo un minimo di sostegno mi avevano chiaramente detto che molto probabilmente non avrei superato l’anno, senza minimamente preoccuparsi della mia situazione a prescindere. Quindi, perché continuare? Penso che quella sia stata la decisione migliore, e non me ne pento assolutamente.

Settembre 2016, inizio il mio anno scolastico in una nuova struttura, con nuovi professori tutti molto disponibili e una nuova classe. Certo, in ogni classe ci sono le pecore nere, gli stronzetti che ti lanciano le occhiatine e sussurrano tra di loro indicandoti di nascosto, ma la cosa non mi toccava più. Avevo una corazza troppo spessa per farmi toccare da certe cose. Oltre a loro, ho trovato un gruppo di tre ragazze, in particolare, che mi hanno accolta e guidata nella nuova scuola. Sono tre ragazze, una che a me piace chiamare Regina George, sì, quella di Mean Girls, perché è esattamente come lei, una ragazzo un po’ stupida ma comunque gentile e simpatica, e un'altra, con cui ho riscoperto molte passioni in comune, simpaticissima, gentilissima e senza standard così alti come le altre. Lei era la mia compagna di banco, ed è stata soprattutto lei a farmi sentire bene nel nuovo ambiente.

Vi starete chiedendo perché parlo al passato. Beh, perché anche quest’anno, ho deciso di ritirarmi, e di prepararmi da sola per la maturità. È stata una scelta che ho preso al ritorno delle vacanze di Natale, e non per problemi con i professori o con la classe, che comunque mi hanno accolta e trattata sempre molto bene. La mia è stata un’insofferenza alla situazione. Non riuscivo a sopportare il concetto della scuola in se per se, e sentivo solo quanto sbagliato fosse che io fossi ancora lì. Il pensiero di dover essere già lontana da casa, emancipata e all’università mi logorava, e proprio per questo motivo avevo iniziato di nuovo con le assenze, lasciandomi dietro una marea di argomenti da studiare, con cui non riuscivo a riprendere il passo. Ho capito di avere un particolare problema con le scadenze: infatti, non riuscivo a studiare sapendo che magari il giorno dopo avrei avuto un interrogazione o un compito in classe. Come ho capito che è questo il mio problema? Perché i giorni in cui saltavo la scuola, mi chiudevo nella biblioteca comunale, e sapendo di non potermi muovere per tutta la mattina per la paura di essere scoperta da qualcuno, riuscivo tranquillamente a studiare, senza appunto obblighi o scadenze. Studiavo perché mi andava, e un po perché comunque non avrei avuto altro da fare per l’intera mattina, ma soprattutto riuscivo a studiare in modo perfetto, ricordandomi tutti i dettagli necessari e trovando gli argomenti quasi interessanti. Quindi adesso sto gestendo i moduli di ritiro e di iscrizione all’esame di stato, mentre aspetto che la mia professoressa d’italiano, che non so per quale strano motivo mi ha preso molto a cuore, mi passi il programma della sua materia e quello delle altre materie. Sono in una situazione un po’ di stallo, e per quanto grande mi sembri la sfida di affrontare la maturità da sola, non ho paura. Sono al punto in cui un 60 basta e avanza, il mio obbiettivo è solo farla finita ed andare avanti con la mia vita.
Vi ricordate il ragazzo di cui ho parlato nell’ultimo capitolo, quello conosciuto durante quel concerto? Beh, siamo diventati amici, e sono ormai tre anni che ci sentiamo ancora, e tentiamo di organizzarci per rivederci. A parte una breve cotta iniziale, siamo diventati molto amici, parliamo generalmente di tutto senza problemi, scherziamo e ci punzecchiamo sempre. Sono contenta di averlo incontrato.

Oltre a questo, vi aggiorno anche per quanto riguarda il mio lato da fangirl: sì, l’ossessione per Teen Wolf è ancora decisamente viva, ed esattamente un mese fa ero a Roma, pronta a iniziare la mia terza convention con gli attori del cast. Durante queste esperienze ho conosciuto delle persone fantastiche, fatto delle belle amicizie che mi hanno permesso di viaggiare, abitando lontani da me, e nonostante alcuni abbiano un bel caratterino, ho imparato a gestirli senza problemi, e in ogni caso mi trovo decisamente bene con loro. Mi mancano quasi sempre, e decisamente con tristezza penso che questa sia stata la mia ultima convention. Ma sapete una cosa? Ho tanti di quegli splendidi ricordi, con i miei amici e con gli attori, che non ci sto male. Mi guardo indietro e sorrido al pensiero. Sono contenta così.

Mio padre e mia madre sono ufficialmente separati, continuano a parlare, a litigare e a punzecchiarsi di continuo, ma ormai non voglio più starci in mezzo. La vita senza mio padre a casa è decisamente migliore, sono libera, leggera come una piuma, senza terrore o paura. Certo, abbiamo pesanti difficoltà economiche dato che mio padre ha perso il lavoro e mia madre deve pagare tutto con il suo compenso da insegnante, ma tiriamo avanti. Mio padre ora vive con la sua compagna, sì, sempre la stessa donna, colei che ci ha dato l’occasione di liberarci di lui, e ogni tanto lo rivedo. Per un caffè, al massimo, ma ci incontriamo ogni tanto, raramente dovrei dire, parlando molto generalmente per mia volontà. Non si è mai interessato a me e alla mia vita, e ora che lo fa, gli do informazioni a piccole dosi, con cautela. Mia madre è giustamente esaurita dai mille problemi economici e legali che questa separazione comporta, e ogni tanto ci scontriamo, ma le cose ritornano sempre al loro posto, e se serve ci facciamo forza a vicenda. Non parlo più con la famiglia di mio padre, dopo aver scoperto che hanno sempre appoggiato e spronato la persona che ha causato la separazione, ma soprattutto dopo aver scoperto come parlavano di mia madre. In due anni di separazione l’intera famiglia di mio padre non si è mai interessata a me e a mio fratello, né un messaggio né una chiamata, quindi, ora che invece cercano di riallacciare i rapporti, siamo noi a respingerli, con la coscienza completamente pulita.
Ora io e mia madre facciamo doposcuola a tre ragazzi, giusto per avere una piccola quantità di soldi in più a fine mese, e sto valutando la proposta di mia madre di seguire per bene uno dei ragazzi e tenermi il compenso alla fine del mese. Contemporaneamente, ho un piccolo lavoretto ad un Escape Game qui nel mio paese. Nulla di che, prendo solo 5 euro per ogni stanza che seguo, ma sono comunque soldi che mi permettono di potermi andare a prendere un caffè senza chiedere soldi a nessuno. Nel mio piccolo, mi sento più indipendente, e la cosa mi fa decisamente piacere.
Mio fratello va ad una scuola privata che lo sta aiutando a recuperare gli anni di scuola persi, e a settembre inizierà il quinto anno di scuola superiore. Mentalmente, è sempre lo stesso bambino, senza alcun senso di responsabilità e impegno, ma comunque limitiamo i danni come possiamo, ora che mio padre non c’è. L’importante è che ce la faccia, non importa come.

In questi anni ho avuto una relazione durata due mesi e mezzo, con un ragazzo di sei mesi più piccolo di me, mollata da lui perché beh, era evidente non fosse più interessato. A parte la rabbia e la tristezza iniziali, mi sono ripresa senza troppi problemi, e ogni volta che lo rivedo comunque mi viene un piccolo colpo al cuore, più che altro dovuto alla sua bellezza: sta crescendo bene, il ragazzo! Ho avuto poi una storia durata forse una settimana, una storia decisamente solo fisica: avevo solo il bisogno, come ogni essere umano, di essere in certi limiti appagata fisicamente, e sì, posso dire consapevolmente di aver fatto la stronza, chiudendo la cosa quando si faceva un po’ più seria. Non penso lui ci sia rimasto male, anche perché penso ormai avesse già capito quali erano le mie intenzioni. Poi ho avuto un piccolo flirt con un mio amico, qualche anno più grande di me, cosa che si è interrotta in meno di una settimana, quando ho capito quanto sbagliato fosse avere quel rapporto con lui. Lo sentivo come un fratello più grande, non ero più a mio agio in quei rapporti. Lui l’ha presa decisamente meglio di quanto mi aspettassi, voci mi hanno confermato che comunque ci sia rimasto male, ma adesso, a distanza di quasi un anno, i rapporti sono anche meglio di prima. Per il momento, nessuna relazione all’orizzonte, non mi piace un ragazzo da tanto, tanto tempo, e nemmeno mi importa molto. Certo, non mi dispiacerebbe avere qualcuno, ma sopravvivo benissimo anche senza. Prima o poi arriverà, arriva per tutti.

Dopo tanti sforzi vani di riconciliarmi con il mio vecchio gruppo di amici, ho deciso di staccarmi da loro completamente. Non ci parlo da più di un anno, ne tantomeno so qualcosa di loro. Hanno parlato alle mie spalle, come mi aspettavo, ma facendo così hanno solo confermato che quella era la cosa giusta da fare. Ho avuto altre amicizie in questi anni, provando con varie persone, ma non ha mai funzionato. Perché ormai, per me funziona così: se non sono trattata come credo di meritare, per me il rapporto finisce lì. Non sprecherò più una briciola del mio tempo con persone che non mi meritano. In compenso, ho trovato quella che io ormai reputo la mia migliore amica, che chiamerò V., con cui ho praticamente qualsiasi cosa in comune. Ha il mio carattere, la pensa come me, abbiamo le stesse passioni e cerchiamo di istruire l’altra su quelle che non condividiamo. Ha una storia molto simile alla mia, gusti simili ai miei, e insieme cerchiamo di farci “crescere” a vicenda. Passiamo quasi tutte le giornate insieme, tutti i giorni tutto il giorno, lei ormai è entrata nella mia famiglia come io nella sua. Finalmente, sento di poter essere me stessa, senza filtri ne limiti, e non potrei esserne più felice.
M., non so se ve la ricordate, mi è stata vicina per un po’ di tempo, ma da dopo il mio ritiro da scuola, l’anno scorso, è semplicemente sparita. Non si è fatta più sentire, e se ero io a contattarla era fredda e tagliava subito la conversazione. Non so cosa sia successo, non so se ho potuto farle del male in qualche modo o se è semplicemente stata una sua scelta, sta di fatto che ormai non parliamo più, ma a me sta bene così. Se volesse ricontattarmi, sarei felice di risentirla, ma come ognuno di noi dopo il liceo è andata avanti con la sua vita, e non la biasimerei se in ogni caso non le interessasse più sentirmi.

Nonostante il mio passato e la situazione attuale non del tutto rosea, posso dire di tirare avanti. Tiro avanti tutti i giorni, stringendo i denti quando serve, ridendo quando posso. Sto decisamente meglio, e nonostante ho ancora mille sfide davanti, mi sento pronta. Pronta ai successi, alle delusioni, ho grandi sogni che mi spingono ad andare avanti, quindi io continuo ad andare avanti. Come si dice, sangue sudore e lacrime, no? Sono pronta.
Sono cambiata, sono cresciuta, e rileggendo i vecchi capitoli non riuscivo a fare altro che sorridere, ricordando una me di 15 anni che si sfoga sul computer. Non so perché ho scritto tutto ciò, magari nel frattempo questo sito è morto, magari non ci entrerà più nessuno, magari nessuno leggerà mai questo mio capitolo, ma sono comunque contenta di aggiungere questo ultimo capitolo. Chissà, magari tra qualche giorno mi andrà di continuare a scrivere, magari di sfogarmi per qualcosa, di parlare di qualcosa in particolare, non lo so.

Per adesso, riguardo la S. del passato e sorrido, pensando al fatto che sono cresciuta, sono cambiata, e nonostante le ferite io sono ancora qui. Guarita, viva e pronta a combattere ancora.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Warrior - 2018 ***


24/08/2018

03:02
 
È da un bel po’ che non scrivo.

A dire la verità, il solo pensiero di mettermi a scrivere mi sembrava ridicolo all’inizio: mettermi al computer a continuare questa specie di diario, voglio dire, ho quasi 21 anni, e pensavo “ma che stai facendo?”. Ma alla fine ho detto beh, fanculo. Facciamolo.

Onestamente non so nemmeno da dove iniziare, ma direi di fare un riassunto degli ultimi due anni.

Proprio quando pensavo che le cose non potessero andare peggio, per via della mia situazione con le amicizie, la famiglia e la scuola, beh tutto è crollato.
La mia migliore amica mi ha tradito e ferito in un modo così profondo da aver lasciato una cicatrice incredibile dentro di me. Quella fu la goccia che fece traboccare il mio ormai fragilissimo vaso. A fine maggio del 2017, dopo un altro tentativo fallito di affrontare la maturità, è arrivata la depressione, e mi ha colpito in un modo che non avrei mai potuto immaginare. Tre mesi di buio, tre mesi di lacrime, di vuoto totale, di rabbia, di ogni cosa negativa la mia testa potesse partorire. La mia mente si era così annebbiata di negatività, ricordi infelici e pensieri negativi che è come se il mio cervello fosse collassato su sé stesso. Non mangiavo più, ho perso 9 chili in poco più di un mese e mezzo, non uscivo più, il pensiero di parlare con qualcuno mi terrorizzava, non dormivo più e vivevo con un costate peso sul petto che mi soffocava costantemente. Centinaia di euro da una psicologa, ma non riuscivo a sbloccarmi.

Mi sono ripresa solo verso la fine di luglio, decidendo di partire per Londra, prendendomi una vacanza da tutto, con una mia amica. In effetti, quel viaggio mia ha quasi salvato, mi ha aperto gli occhi: ho subito pensato che quella città mi avesse curata. Una città così grande, varia, e così piena di possibilità, era il mio biglietto vincente della lotteria. Tornata da quel viaggio avevo deciso: era lì che dovevo andare, ad ogni costo. Così iniziò settembre, e un altro anno scolastico. Decisi di non iscrivermi a nessuna scuola, e a ottobre partì di nuovo, questa volta completamente da sola, per tornare di nuovo lì. Camminare da sola per quelle strade non mi spaventava, anzi direi che mi calmava. Ero io, e nessun altro intorno a me: tutti i problemi, i pensieri e gli impegni erano rimasti a casa mia, lì niente e nessuno mi avrebbe raggiunta. Si potrebbe definire come una fuga da codardi, e forse lo è stata davvero, ma Dio solo sa quanto ne avessi bisogno.
Una volta tornata ero ancora più decisa a finire quell’incubo che la mia vita ormai era diventata, e trasformare l’incubo in un sogno, per una volta. Così a gennaio 2018 presi la fatidica decisione: iscrivermi al mio liceo da privatista, e diplomarmi una volta per tutte. Dopo mesi di notti insonni, lezioni di matematica private e ore sui libri, il 3 luglio 2018 sono tornata a respirare, almeno un po’. 80/100. Non male per una privatista.

Ho finalmente chiuso il capitolo scuola, e con esso annessi tutti i brutti ricordi, dal bullismo, alle delusioni, all’imbarazzo, al sentimento di inadeguatezza, finendo con la solitudine. Era tutto parte di un vecchio libro, finito in fondo in una vecchia libreria. Tutti mi dicono che un giorno, ripensando ai giorni del liceo riderò, pensando a quanto stupida fossi stata a dare peso a delle stupidaggini. Ma io mi permetto di discordare.
Ciò che ho passato in questi anni di scuola è stato il puro inferno. Dentro e fuori la scuola, era una continua battaglia, con gli altri ma soprattutto me stessa. Non sapevo chi fossi, o chi sarei dovuta essere per stare bene con gli altri. Solo ora capisco che avrei dovuto concentrarmi sul capire chi io volessi essere per me stessa. Beh, meglio tardi che mai, no?
Non negherò di avere dei brutti, brutti momenti ancora adesso, forse piccole ricadute di depressione, anche se nulla come l’anno scorso. E a volte continuo a non sentirmi abbastanza, a non sentirmi adeguata, a sentirmi sempre due passi indietro rispetto a tutto il mondo. Sento ancora di deludere le persone a cui tengo, e continuo ad avere ogni tanto persone intorno che non fanno altro che ricordarmi perché non ho mai avuto troppi amici.

Ma adesso, a differenza di prima, cerco di guardare a queste cose come sfide. Come battaglie, che devo vincere, per me stessa, per la ragazzina di 14/15 anni che passava le ore a piangere di nascosto in bagno. Voglio essere ciò che avrei voluto essere qualche anni fa. Voglio vincere.

Così ho sviluppato questa drastica ma efficace tecnica: se non ti fa stare bene, buttalo via.
Certo, le persone sbagliano, errare è umano, ma non accetterò più di sentirmi in quel modo tremendo, soprattutto non per colpa di altri.
Ho chiuso quasi del tutto i rapporti con mio padre, che ormai è una causa persa. Penso solo a mia madre, a mio fratello, ai miei nonni. Loro sono l’unica cosa che conta per me. Potranno essere strani, a volte pesanti, insistenti, ma non esiste cosa al mondo che non farei per loro. Sono tutto ciò che ho, e tutto ciò di cui ho bisogno.
In realtà loro sono l’unico motivo per cui ho dei piccoli dubbi sul trasferirmi in Gran Bretagna.

Mio fratello sta passando adesso ciò che io ho passato un anno fa: gli amici lo hanno abbandonato, lui si ritrova solo, e in balia di una depressione che lui stesso non riesce ad ammettere. Lui non piange mai davanti a me, è come se senta di doversi mostrare forte per me. L’unico maschio in casa, anche se è il più piccolo non accetta di farsi vedere in certe condizioni da me. Non vuole spaventarmi, non vuole farmi credere di essere debole. Lui ha sempre portato questa corazza di silenzio addosso, come se nulla lo toccasse o lo ferisse. Ciò che a tutti sembrava indifferenza, per lui era l’unica difesa possibile. Ma prima o poi, qualsiasi corazza cede dopo così tanti colpi, ad alcuni prima di altri. A lui è ceduta adesso, e scoperto com’è ora, sta crollando. Mi si spezza il cuore di sapere che anche lui va da uno psicologo, che piange di nascosto con mia madre, e ancora di più al pensiero che mia madre veda i suoi due figli in questo modo.

Devo vincere anche questa, ad ogni costo.

Per me, per loro.

Se loro non hanno la forza di rialzarmi, lo farò io per loro, con ogni goccia di sudore che ho in corpo.

Devo farlo, voglio farlo.

A costo di affrontare la solitudine, la tristezza, la stanchezza, voglio andare lì, costruirmi una carriera, aiutarli anche economicamente, tornare qui e promettergli che tutto il dolore è finito, che possono e devono poggiarsi su di me. Prima o poi il dolore finirà, e lo farò finire.

Lo prometto.
 
5 settembre 2017, il giorno del mio ventesimo compleanno.
Ho fatto il mio primo tatuaggio.
“Warrior”, sulla clavicola sinistra.
Un indelebile richiamo, per ricordarmi sempre chi devo essere, chi voglio essere, chi sono e chi sarò.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2357981