The King was dead, and it was for the Queen Checkmate

di Fenio394Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O1 > Le Pedine ***
Capitolo 2: *** Va' all'inferno. ***
Capitolo 3: *** Sorprese. ***
Capitolo 4: *** Sorprese pt2 ***
Capitolo 5: *** Cambiare Prospettiva ***



Capitolo 1
*** O1 > Le Pedine ***








Le pedine


 
La prima cosa che colpì Felix fu la poca luce che filtrava dal tubo di vetro. Saliva verso l’alto. Verso la sua morte.
L’atmosfera era cupa, l’aria che arrivava ai polmoni calda e densa.
«Signore e signori, che i Sessantanovesimi Hunger Games abbiano inizio!»

Cos’è? Dove siamo?

Felix non capiva, non capiva, non riusciva a comprendere dove li avessero rinchiusi gli Strateghi. Non appena emerse completamente e vide la Cornucopia a quaranta metri da lei iniziò a capire. Una caverna. No, no, molto più di una caverna. Troppo grande, troppo vasta, troppi ponti e strade e archi, troppe scale di pietra scura, sembravano unirsi e dividersi come in un labirinto, sembravano …. Sembravano una città sotterranea.
Doveva ammetterlo, erano le opere architettoniche più belle che avesse mai visto, persino più belle della capitale, grandi, solide e rifinite. Probabilmente erano metri e metri sottoterra, sepolti nella profondità della roccia, giù, in un abisso bluastro e scuro.
Un  urlo, acutissimo e pieno di paura, le confermò che non era la sola ad aver fatto quella considerazione.
Melania Phinehallows, Distretto 2, si tappava le orecchie come a non voler sentire le proprie urla agghiaccianti. Si muoveva sulla propria pedana irragionevolmente, avanti e dietro, strillando. Evidentemente non capì che non c’era via d’uscita, e forse per cercarne una girò sul posto, e il piede scivolò dalla pedana, e lei cadde.
Il urlo fu  coperto dal terribile boato causato dall’esplosione della mina sotto la sua pedana. La potenza fu tale che i peli sulla pelle di Felix si rizzarono e lei si trovò, senza nemmeno sapere come, in posizione fetale, la testa protetta dalle braccia e il viso premuto fra le ginocchia.
Si voltò verso la postazione di Melania. Di lei non rimaneva nulla se non coriandoli colorati – i resti dei suoi vestiti – e qualche brandello di carne qua e là.

Quaranta.
Melania non era però il suo problema più grande, anzi, un tributo in meno. Registrò che anche qualcun altro stesse urlando, ma sperava vivamente che non decidesse anche lui di saltare in aria. Temeva di non resistere ad un impatto di tale potenza una seconda volta.
Trentacinque.
La piana in cui si trovavano – completamente di pietra scura – era costellata di zaini di ogni colore: dal nero più scuro al rosa più sgargiante, e ci avrebbe scommesso la testa che erano quelli ad avere le scorte migliori.
Trenta.
Alcuni degli zaini erano riforniti di armi –fra i quali una spada, due lance, tre archi, daghe  e varie cerbottane con asce e coltelli assortiti – ma erano tutti gonfi, probabilmente pieni di cibo e rifornimento.
Venti.
Felix sudava non per il caldo ma per la frustrazione. Cosa fare? Correre verso la Cornucopia verso morte certa era escluso. Ma arrischiarsi a prendere quello zaino blu che la tentava tanto?
Quindici.
Lei non era molto veloce, ma Jack sì. Poteva arraffare qualcosa. Ma come avvertirlo? E se poi l’avesse uccisa? Dopotutto era almeno una spanna più alto di lei. Poteva benissimo farlo.
Dieci.
Non poteva chiamarlo, ma poteva cercarlo. Dove sei? Dove sei? Non lo trovava, non lo trovava! Se non l’avesse trovato … Probabilmente il suo unico amore sarebbe morto, e di una morte dolorosa. Inaccettabile.
Otto.
Sarebbe corsa verso di lui, lo avrebbe chiamato .. e poi sarebbero andati via, lungo la piana, avrebbero preso lo zaino e sarebbero fuggiti. Forse lui avrebbe potuto correre verso l’ascia lì vicino … e lei avrebbe preso i coltelli. Aveva scoperto di avere una discreta mira e una prontezza di riflessi non indifferenti.
Sei.
Jack si era adattato benissimo con spade e lance, ma quelli sarebbero stati i primi bersagli degli altri Tributi, e quelli del Sette si sarebbero fiondati verso le asce, quindi dovevano assolutamente privarli delle armi, non avrebbero di certo osato cercarli disarmati.
Quattro.
Il rischio non era minimo, ma non era nemmeno così elevato di come lo sarebbe stato se si fossero lanciati verso la Cornucopia. Un ottimo piano. Ma sarebbe funzionato meglio se avesse trovato Jack. Eleaonore, la sedicenne dell’11, Max, il dodicenne del dodici, Alexander, il diciottenne del 7 …  Ma Jack non si vedeva. Perché non c’era?

Due …
Dove sei?

Uno …
Eccolo lì! All’estrema destra della semicirconferenza che i tributi formavano sulle pedane.
Il Gong suonò.

Felix si buttò a testa bassa nella mischia. Accanto a lei volavano urla e imprecazioni, mentre l’adrenalina che aveva in corpo la spingeva a correre come non aveva mai corso in vita sua, come se la vita sua e del ragazzo che amava fossero in gioco. Non si accorse dell’ombra imponente fino a che non entrò nel suo campo visivo, troppo tardi perché potesse impedire che la scaraventasse a terra.
«Lasciami, lasciami!» strillò tentando di levarselo di dosso. Ma di certo non lo avrebbe fatto. Erano gli Hunger Games, la pietà non era ammessa. Tuttavia si rifiutava di mollare: agitava braccia e gambe come poteva e riuscì a schiaffeggiarlo con potenza. Lui – non poteva che essere un lui: mani callose, peso eccessivo, grugniti bassi – le spaccò il naso e diede un pugno allo stomaco. Il sangue caldo le colava sulla bocca, e lei, ansante, lo sputava per evitare di soffocare. Evidentemente il ragazzo aveva avuto la stessa idea, perché le mise le mani alla gola e cominciò a stringere.
Sgranò gli occhi e aprì la bocca alla disperata ricerca di aria. Completamente dimentica del dolore allo stomaco, si agitava anche più di prima, tentando di allontanarlo da sé con le mani, ma la sua presa era troppo forte.
I contorni cominciavano a farsi neri, i suoni ovattati – come se ascoltasse tutto attraverso un vetro – e a dire il vero … sì, non provava nemmeno più dolore.
Dopotutto, pensò Felix, morire non è così male. Magari rivedrò la mamma …
Tutto si tinse di rosso. Il ragazzo dai capelli di pece e dalla mascella squadrata le cadde addosso. Così come l’aria era rifluita ai polmoni, il dolore al naso e allo stomaco era tornato, più forte di prima. Non riusciva ad aprire gli occhi.

«Felix, FELIX!»
Qualcuno la chiamava, la scuoteva per le spalle, la liberava dal peso del Tributo. Le diede anche uno schiaffo.
Sorpresa, aprì gli occhi. Un ragazzo più alto di lei, i capelli nocciola e gli occhi verde oliva, la spronava con parole mute a scappare. I suoni erano ancora confusi, ma furono gli occhiali – la sua stessa montatura squadrata, quella standard del Distretto 3, solo  blu notte  invece che bianca – a farle ricollegare tutto.
«Gli occhiali …» Jack l’afferrò per una spalla e la fece rialzare a forza. La ragazza mormorò qualcosa sul dover prendere un’arma perché non poteva giocare senza, non poteva giocare a scacchi senza Re, blaterava senza logica, mentre il ragazzo acciuffava uno zaino per lei.
Lei prese una pettorina foderata di coltelli e si voltò un’ultima volta per osservare ciò che accadeva: il bagno di sangue non era ancora finito, e le urla, le colluttazioni e la violenza l’avrebbero uccisa, se Jack non l’avesse trascinata fuori dalla mischia.
 
 
Dopo una ventina di minuti di corsa Felix cadde a terra, tossendo. Sentiva la gola fredda e la milza che mordeva. L’attività fisica non era mai stata il suo forte.
«Non possiamo rimanere qui, Felix. I Favoriti saranno in giro e non possiamo farci trovare.»
La ragazza odiava sentirlo fare discorsi sensati, perché significava che la situazione era davvero seria. «Cinque minuti …»
Jack sbiancò per la sorpresa. Che vocina sottile. Si diede mentalmente dello stupido. Ovvio che aveva una vocina piccola piccola. Avevano tentato di soffocarla e poi avevano corso a perdifiato per venti minuti abbondanti. Cinque minuti di riposo se li meritava. Si abbassò sulle ginocchia per poterla guardare negli occhi. Le diede un buffetto sulla guancia e le sorrise. «Basta che ti muovi, Faelicis. Non ho ucciso un Tributo per niente.»
Felix restò impietrita. Il suo tocco sulla guancia, quelle parole … Aveva ucciso per lei. Cambiò discorso. «Cosa … cosa c’è nello zaino?»
«Vediamo» Jack tirò fuori il contenuto, elencando gli oggetti mano a mano che li tirava fuori. «Due sacchi di noci, due pagnotte, tre confezioni di carne, tre di tonno, fagioli …» Era davvero tantissima roba. Felix sentiva la gioia nella voce del compagno, ma lei vedeva la realtà per quella che era. Solo un motivo poteva giustificare una tale abbondanza. Non c’era cibo nell’Arena.
«E sorpresa delle sorprese … quattro stecche di cioccolato!»
Gli occhi di Felix brillarono. Cioccolato!
Dopo averle sorriso rimise tutto a posto e tese la mano. «Dobbiamo ripartire.»
Sospirando, Felix accettò la sua mano e si asciugò il naso, ancora dolorante e sporca di sangue. Anche gli occhiali erano sporchi, però nella foga del momento non ci aveva fatto caso.
Jack le indicò il viso. «Posso aggiustarti il naso, ho seguito il corso di base durante l’addestramento. Non sei tanto carina, con la gobbetta e il sangue.»
Voglio vedere te a combattere con uno grande il doppio, pensò con astio la ragazza, ma annuì. Si avvicinò, e con una mossa decisa Jack le rimise in sento il naso. Fece un male cane e vide le stelle, perciò per invitarlo a seguirla sul sentiero le uscì un ringhio mal celato.
Si asciugò le lacrime agli occhi e iniziò a pulire gli occhiali nella giacca. «C’è dell’acqua lì dentro?»
«Solo un paio di litri, dovremo razionarla.»
«E così dovremo ritornare alla Cornucopia a farci ammazzare!» Felix tirò un calcio ad un sassolino per la frustrazione. Quello rimbalzò ed echeggiò davvero troppo a lungo prima di tacere.
«Magari controlla la rabbia, eh? Non mi va di morire per uno stupido eco.»


Dieci colpi di cannone risuonarono nell’Arena, dieci vite spazzate via. Il Bagno di Sangue era terminato, portando con sé quasi metà dei tributi. Compresa Melania.
La bellissima mulatta dalla pelle liscia e i capelli ricci come molle, tanto lodati nelle interviste e invidiati dalle capitoline, giaceva ormai tutto intorno a loro, disintegrata dalla mina. Abile con la spada e la lancia, ferrata nel combattimento corpo a corpo. Avevano perso un’ottima alleata. Ania era arrabbiata, molto arrabbiata. Furiosa.
«Abbiamo perso Melania e Sebastian, maledizione. Voglio che restiamo uniti, ranghi serrati, turni di guardia di tre ore ciascuno, due guardie a turno. Tutto chiaro?!»
Vincent, l’insolente e affascinante tributo del Due sghignazzò. «Stai calma, Lagna, o ci toccherà farti fuori prima del tempo!»
Purtroppo era tutto muscoli e niente cervello. Ania lo odiava. Ringhiò, sul punto di avventarsi su di lui, ma la bionda del Quattro, Alicia, si frappose proprio in quell’istante, il meraviglioso sorriso svampito stampato in volto. «Calma, ragazzi. Dobbiamo prima scovare gli altri. Avrete tutto il tempo di scannarvi più tardi!»
L’idea di due persone che si fanno a pezzi sembrava eccitarla tantissimo. Ad eccitare tantissimo la fantasia di Ania, invece, erano le bionde trecce della ragazza. Voleva tirargliele fino a renderla calva. Odiava lei, odiava le sue trecce, odiava tutti. Ma il suo arco li avrebbe uccisi uno ad uno. A tempo debito,  si ripeté mentalmente.  A tempo debito.
«Me la lego comunque al dito» ringhiò verso Vincent. Lui le fece l’occhiolino e ci andò molto vicino per la seconda volta.
«Quindi … i turni di guardia?» domandò la timida voce di Lucy, la ragazza del Distretto Nove che si era unita a loro per il nove in addestramento. Non sapeva come avesse fatto, ma tanto era bastato per farla entrare nella loro alleanza. Anche Sebastian aveva preso un nove, sebbene fosse del Sei, ma si era fatto ammazzare lo stesso al Bagno di Sangue.
«Uriel con me, Vincent con Alicia e Michael con Lucy.»
 Aveva fatto le coppie a caso. Non era ancora sicura di poter partire alla ricerca degli altri Tributi, doveva prima inquadrare la situazione dei sui compagni, scovare i loro punti deboli, e poi, eliminati tutti gli altri, sarebbe passata ad uccidere i suoi. Gli altri ovviamente sospettavano di lei, ma alla fine tutti facevano così.
«Guardate che roba …»mormorò Lucy prendendo un’arma. Una falce. Stava indicando la lama. Una meraviglia. Sottile, dura come l’acciaio, di un bellissimo color azzurro ghiaccio, quasi trasparente. Sembrava cristallo. Lucy passò il dito sul filo della lama – stupida – e sibilò per il dolore. Un rivolo di sangue fluiva dalla ferita aperta.
«Medicala prima che si infetti» le suggerì Michael.
Ania non ci aveva fatto caso prima, ma tutte le armi erano fatte così, anche quelle che avevano abbandonato a terra perché zuppe di sangue. Lo sguardo le cadde su Vincent che mulinava la spada con ostentazione. Sarebbe stato perfetto poter recidergli la giugulare con una di quelle daghe.
A tempo debito. Avrebbe fatto tutto a tempo debito.






EDIT 08/11/2017

 

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Capitolo 2
*** Va' all'inferno. ***


«Non mi diventare troppo silenziosa, Felix.» Le disse Jack. Sembrava  … non triste. Deluso, piuttosto. Felix lo guardò con aria interrogativa, prima di alzare gli occhi al cielo e rispondere: «Mi pareva che avessi detto di non voler morire per l’eco. Se non te ne sei accorto, parlando si crea eco.» Lo trovava molto strano. In fondo aveva fatto la cosa più logica per risolvere il loro problema. Se parlando, muovendo sassi o facendo rumore in generale si creava eco, stando zitti non se ne creava. Ergo, niente eco niente morte. Semplice no? Felix credeva di sì. Aveva esaudito il suo desiderio. E allora perché non gli andava bene? «Ci siamo già dentro Felix. Nel migliore dei casi solo uno di noi uscirà vivo da questa Arena. Almeno, vorrei poter condividere con qualcuno i miei pensieri prima di andarmene. Tu no?» Le chiese, girandosi verso di lei. Gli occhi nocciola erano incorniciati dagli occhiali blu notte. Anche Felix portava gli occhiali, la stessa montatura squadrata di lui, solo che i suoi erano bianchi come la neve e i suoi occhi erano verde muschio, o grigio acciaio, dipendeva dalla luce. A differenza di quelli di Jack, però, che erano allegri, perfino nei momenti come quelli, i suoi erano tristi, seriosi, e sebbene la tonalità fosse più accesa, quelli che risaltavano di più erano gli occhi di Jack, non i suoi.

Dieci colpi di cannone risuonarono nell’Arena, dieci vite portate via. Una di queste, era Melania. Le era sembrata una ragazza altezzosa, tipica del Distretto 2, ed era convinta che vederla in cielo le avrebbe dato un senso di trionfo, o almeno di contentezza. Dopotutto, una Favorita in meno. Eppure non provò niente. Assolutamente niente. Seguirono Sebastian – con un fremito Felix riconobbe il suo quasi-assassino - e la compagna di distretto, entrambi quelli del 7, dell’otto, il ragazzo del 9, la ragazza del 10 e Alec, il dodicenne del dodici. Si sentì triste per il bambino, perché aveva grandi occhi azzurro ghiaccio, che comunque trasmettevano calore. Ed erano dolci, troppo dolci. Per questo Felix non gli aveva mai rivolto la parola: provava l’insensato desiderio di proteggerlo, di cullare quel dolce ragazzino del dodici. E aveva inveito contro la Capitale, perchè era colpa loro se Alec era morto. Era colpa loro se dei ragazzini si erano macchiati le mani di sangue, per colpa loro porteranno il marchio di assassini a vita. Era per quello che Jack le aveva chiesto se qualcosa non andava. Felix era arrabbiata. Peggio, furiosa. Ma aveva taciuto, limitandosi ad aumentare il ritmo della camminata. Se avesse parlato, avrebbe detto cose che avrebbero attirato l’attenzione degli Strateghi su di loro, avrebbero terminato la loro vita tirando un semplice leva o premendo un tasto. Tacere era la cosa più logica da fare.

«No, Jack, non posso condividere i miei pensieri.» Affermò gravemente la ragazza. Stavano camminando nel corridoio di basalto e marmo da ore. E il paesaggio – se così si poteva chiamare- non cambiava mai. Il tetto sopra di loro era identico alle pareti e al pavimento, anche se mano a mano che avanzavano da blu, le sfumature si facevano verdi. I cambiamenti di sfumature erano così impercettibili che se accorsero più tardi. Le pareti non erano piatte e uniformi: creavano archi, enormi, immense finestre che davano sui corridoi adiacenti, o su infiniti saloni, vuoti o straripanti di oro, gioielli e argenteria. Era tanto, troppo oro, gettava baluginii luminosi sulle pareti, creava spettrali ombre sulle pareti, e i ragazzi tenevano la guardia alta. Si sentivano osservati, spiati. Buffo, visto che erano tenuti sotto controllo ventiquattro ore su ventiquattro. «Non mi piace, Felix.» Disse ad un certo punto Jack. Si erano fermati davanti ad un arco immenso, di almeno venticinque metri di altezza e quindici di larghezza. Era affacciato sull’ennesimo salone – immenso- traboccante di tesori. Si vedevano delle scale – senza ringhiera- che portavano ai piani superiori. «Credo che dovremmo attraversare il salone, Jack. Se procediamo troppo rettilinei prima o poi ci troveranno. Sarà una giornata che camminiamo lungo questo corridoio.» Lui la guardò pensieroso prima di rispondere: « Ma quando finirà l’acqua non riusciremo a ritrovare la strada per la Cornucopia. Moriremo di sete entro pochi giorni.» La ragazza di sedette sugli scalini che portavano al salone. «Io dico che mi ricordo la strada. » Affermò  gelida. Non sopportava che venissero sottovalutate le sue capacità. Lei era la ragazza che si era imparata a memoria la piantina del Distretto 3 e la più grande giocatrice di scacchi del distretto. Forse di tutta Panem. «Non c’è bisogno di alterarsi. Facciamo così: noi facciamo come vuoi tu, però non fare la muta, ti prego. E’ già abbastanza deprimente così, senza che ti ci metti tu che non parli. Ok?» Si sedette accanto a lei. Sospirò, ma si concesse un sorrisino furbo, le labbra sottili appena increspate. Era raro che lei concedesse dei sorrisi. Perfino al ragazzo che amava: «Va bene.» rispose. Le offrì un po’ di cioccolato, che lei addentò senza pensare. Osservava il salone alla ricerca di qualcosa che le potesse tornare utile. «Felix.» La chiamò Jack con voce grave. «Questo non è cioccolato.»

Boom.

«Correte ragazzi!L’ho vista, sta andando di là!» Strillava Alicia, le lunghe trecce bionde svolazzavano dietro alla sua figura slanciata. Brandiva un tridente dalla lunga lama cristallina, e incitava gli altri a seguirla. Cassiel correva a perdifiato, salendo una rampa di scale verdognole e svoltando in un corridoio laterale. Stava per morire, tallonata dai Favoriti. Che stupida era stata, a restare nei pressi della Cornucopia, con il branco alle calcagna! Lo avrebbe rimpianto per tutto il resto della sua vita. Non che ne avesse poi molta da vivere. Carica d’adrenalina, girò a destra, buttandosi in un altro corridoio. La sua mente registrò un sibilo, ma non fece in tempo a spostarsi che venne buttata all’indietro, andando a cozzare con il muro. Un singulto le uscì dalle labbra: una freccia trasparente spuntava sul braccio sinistro, affondata fino all’osso. La percepiva, sentiva la punta fredda nella carne. Alzò terrorizzata lo sguardo, e riconobbe la figura della ragazza dell’1, piegata sulle ginocchia, pronta ad incoccare un’altra freccia, che la squadrava dall’alto, un corridoio adiacente al quale si sarebbe potuto accedere mediante una lunga scalinata. Non c’era pietà nel suo sguardo, solo una fredda determinazione, ma non percepì alcuna crudeltà in lei. Si spostò e iniziò a correre, tenendosi stretta i braccio al corpo, mentre si buttava a capofitto verso un ponte. «E’ là ragazzi!» Strillavano Ania e Alicia. Cassiel si girò e si spostò appena in tempo a sinistra. Piantata al terreno c’era un freccia trasparente, esattamente dove era stata lei qualche secondo fa. Ma correndo era giunta alla fine del ponte- che dava su uno strapiombo oscuro e senza fine- e svoltò a sinistra, trepidante. Era arrivata in un corridoio dagli intarsi d’orati e già credeva di avercela fatta, quando capì che aveva commesso l’errore più grande della sua vita.

«Ciao.» Ammiccò Uriel, sorridendo crudelmente, prima di fare un movimento fulmineo col braccio, e Cassiel sentì un dolore lancinante alla bocca dello stomaco. Barcollò all’indietro, e come al rallentatore, abbassò lo sguardo, e vide la cosa più raccapricciante della sua vita: un tridente, di un bell’azzurro pallido era sprofondato fino all’asta nella sua pancia, la mirabile fattura rovinata dal sangue scarlatto. Spalancò la bocca, quasi sorpresa, e un fiotto rosso colò giù dalle labbra già esangui. Barcollò all’indietro e cacciò un urlo terribile, inarcando la schiena all’insù, quando una lunga spada affilata la trapassò da parte a parte. Vincent le sussurrò all’orecchio: «Salutami tuo fratello da parte mia.» alludendo alla disgrazia che era successa alla ragazza: l’anno scorso suo fratello era morto alla Cornucopia.  Lei riuscì soltanto a dire, prima che la vita scorresse via da lei: « Va' all’Inferno .. » e il cannone suonò.

Il biondo del due estrasse la spada con uno strattone dal corpo della ragazza, che si afflosciò con un tonfo sonoro sul pavimento. Uriel arrivò al cadavere e recuperò il Tridente, pulendo disgustato il sangue sulla giacca della loro vittima. «Bleah!» esclamò divertita Alicia, dando un calcetto al cadavere. Aveva il fiatone per la corsa, sapeva che la ragazza del cinque fosse quella più veloce, quell’anno, ma non credeva che potesse esserlo fino a quel punto. Lei avrebbe voluto finirla, ma si era dovuta fermare a prendere aria, e lo stesso valeva per le due Alleate. «L’avete fatta soffrire?» Chiese invece la timida voce di Lucy, facendo capolino fra i Favoriti. Aveva due falci come armai. Non molto ortodosse, ma piuttosto comode da usare, della grandezza di una corta spada, corte con spietate lame ricurve. Rigorosamente fatte di cristallo. Aveva passato una vita nel 9 a falciare il grano, e lo stesso principio, ne era sicura e l’aveva già dimostrato alla Cornucopia,  valeva per le teste degli avversari. «Andiamocene prima che cominci a puzzare.» Dissero all’unisono i due dell’1. Si voltarono e il resto del gruppo fece altrettanto, procedendo a ritroso verso il ponte. «Cosa ci trovi di tanto divertente, Alicia?» Le chiese sottovoce Lucy. Del gruppo dei Favoriti, la ragazza del 4 era quella che preferiva di gran lunga agli altri. Forse perché era così infantile, forse perché sorrideva sempre. «Ma è così divertente giocare! Io mi sono offerta volontaria per questo!» le rispose sorridente la ragazza, un sorriso così ingenuo e sincero. Lei non ebbe il cuore di contraddirla e rispose con un sorriso poco convinto e stiracchiato. Era finita in una gabbia di matti e ci si era infilata da sola.

 

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Capitolo 3
*** Sorprese. ***


                  
Sorprese.

 
No, non era cioccolato. Era molto più buono. «Sì, hai ragione, Jack. Non è cioccolato … Sa di quel risotto tipico del Distretto 4 .. quello con gli scampi.» Eh sì. Si sentiva anche piena come se ne avesse mangiato un piatto. A casa, mangiava sempre pane raffermo fatto dai cereali ottenuti con le tessere e le verdure  coltivata nell’orto di casa. Molto spesso neanche erano buone, per via dei fumi e dell’alto tasso di smog del loro distretto, ma in giro c’era gente messa peggio. Era un po’ deprimente, questo è vero, però quando gli affari andavano bene in negozio, potevano permettersi di comprare dal macellaio il pollo, così potevano fare un pasto decente. Nei periodi di magra – per esempio quando fu vietato di avere coltivazioni proprie per via dell’inquinamento delle falde acquifere- il pane era l’unico sostenimento che avevano. Ma giunta a Capitol, aveva assaggiato quel risotto e se ne era ingozzata in un modo a dir poco scandaloso. Non ne aveva mai assaggiato di più buoni. Jack si sporse e le accarezzò delicatamente una guancia. La strinse a sé e sospirò di sollievo. «Ho creduto che saresti morta!» Le sussurrò all’orecchio, prima di alzarsi e rimettere in ordine lo zaino. Così, come se nulla fosse. Insomma, erano agli Hunger Games, e provare affetto per una persona non era ammesso: o uccidi o muori. Queste erano le regole. Nessuna eccezione. Felix lo sapeva, sebbene sapesse anche che nei migliore dei casi soltanto uno dei due sarebbe uscito vivo dall’Arena, ed era sicura che lo sapesse anche Jack. E allora perché l’aveva abbracciata, sussurrandole quelle parole? Non lo sapeva, non lo sapeva e non lo sapeva! Felix odiava non sapere le cose. In circostanze normali, si sarebbe messa lì, seduta stante, ad arrovellarsi sul perché avesse agito in quel modo. A cercare di capire il problema. Ecco come vedeva le cose lei: come problemi da risolvere. Anche quando giocava a scacchi, poteva passare anche mezz’ora prima che si decideva a fare una mossa, calcolando le probabilità e cercando di risolvere i potenziali problemi nei quali sarebbe incappata. Ma visto che quella non era una situazione normale, si alzò e offrì un pezzo di “cioccolata” a Jack: «Questo per molto tempo resterà chiuso in borsa: prima finiremo le noccioline e gli altri rifornimenti e dopo andremo ad intaccare queste tavolette. Intesi?» Mise molta enfasi sull’ultima parola, in modo accondiscendente, tipico di chi parla con dei bambini. Lui non la sopportava, quando faceva così. Aveva la presunzione di sentirsi superiore agli altri, e ciò gli dava fastidio. Ma gli dava ancora più fastidio il fatto che lei avesse buoni motivi per farlo. Quindi si limitò ad annuire, affabile – irritando Felix- prese un quadratino, lo portò in bocca ed esclamò: «Ma cos’hai al posto delle papille gustative, Felix? Questo sa di roast-beef e patatine.» La ragazza alzò gli occhi al cielo, diede il pacchetto a Jack e gli ordinò di metterlo a posto. «Ma perché?» si lamentò lui. «Vado ad esplorare, è ovvio.» rispose tranquillamente Felix, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Stava per andare, quando d’uno tratto lui l’acchiappò per un polso, in un gesto fulmineo, e la bloccò tra le sue braccia. La ragazza non capì se stesse per ucciderla –così, a tradimento- o se stesse facendo qualsiasi altra cosa. In ogni caso, lei si dimenò selvaggiamente, tentando di liberarsi. Lui le disse: «Mi raccomando, fai attenzione.» e la lasciò andare. La ragazza sparì dietro la prima montagna d’oro, prendendo nervosamente un coltello in mano.



 
« … Diciassette tributi/ si ammazzavano/ sopra il Corno/ della Cornucopia/ e ritenendo/ la cosa interessante/ andarono a chiamare/ un altro partecipante!/ Diciotto tributi  … »

Alicia cantava stonata, saltellando allegramente per i corridoi dell’Arena, le trecce bionde che si muovevano a ritmo. Sorrideva allegra, il viso infantile aperto in un’espressione serena tipica dei ragazzini del suo distretto, cresciuti sempre fra le onde del mare. Ania stava impazzendo, tirava calci e pugni ai muri dei corridoi, ma Alicia sembrava non farci caso, e continuava la sua canzoncina imperterrita. Michael se la rideva sotto i baffi. Credeva che Alicia fosse fortunata che Melania fosse morta: solo perché erano uno in meno – Lucy non contava, non era brava quanto loro, nonostante quel 9 in addestramento- perché se la se la mulatta del 2 fosse stata ancora viva Ania non avrebbe esitato un solo istante ad ucciderla. Lucy continuava a passare le dita lungo il piatto delle falci, nervosamente, come se si aspettasse un attacco all’improvviso. Non poteva darle torto, perché non appena fossero arrivati ai primi otto, lei sarebbe stato il primo bersaglio del gruppo dei Favoriti, e nessuno avrebbe avuto pietà di lei. Nemmeno Alicia, però lei era diversa. Era come se non comprendesse la situazione in cui si trovavano. Ragionava ancora come una bambina. Limitata nel ragionare, così piccola nel suo essere infantile.

«CRISTO SANTO!» tuonò all’improvviso Ania, facendo trasalire Lucy. Si avvicinò a grandi passi verso Alicia, che si era girata e la osservava incuriosita, non comprendendo lo stato d’animo della compagna. «Cosa c’è?» «Stai zitta! Non cantare! Taci! CHIUDI QUELLA MALEDETTA BOCCACCIA!»  rispose irata la ragazza del distretto 1. «No.» rispose Alicia, improvvisamente gelida. Aveva perso tutto d’un tratto la spensieratezza, e stava contrastando con improvvisa determinazione la compagna, tenendo minacciosamente il tridente davanti a sé. Ania lanciò un urlo rabbioso, estrasse un lungo pugnale dalla cintura e saltò in avanti, tentando di avventarsi sulla ragazza, quando due mani forti la costrinsero a rimanere ferma lì dove si trovava, dibattendosi e dimenandosi, menando fendenti a caso. «Stai ferma! Fermati!» Michael si abbassò, le torse il polso – uno strillo di dolore uscì dalle labbra della compagna- e le fece cadere il pugnale a terra. «avrete tutto il tempo per scannarvi dopo! Se continuiamo di questo passo ci decimeremo!» Ania si dibattè ancora un po’, sotto la stretta potente di Michael e gli occhi increduli del gruppo, prima di smetterla. Michael la lasciò andare e la ragazza si limitò a puntare il dito contro Alicia, prima di riprendere la propria marcia, mettendosi in avanscoperta. Lucy restò dietro, accanto alla ragazza del Quattro, che aveva in viso la solita espressione che hanno i bambini quando vengono sgridati. Le veniva da ridere anche se non ne era il caso, però.
 

Era molto affaticato, erano quasi .. tre giorni? Due? Che camminava. Aveva visto i Tributi morti del Bagno di sangue iniziale, poi aveva visto la sua compagna di Distretto in cielo, e la notte precedente non aveva visto nessuno. Poteva supporre che fossero passati tre giorni. Come se non fosse bastato, era stanco e affamato. Si mise seduto sul primo mucchio d’oro che trovò, il brontolio dello stomaco che si faceva insistente. L’unica cosa che aveva recuperato dalla Cornucopia era uno zainetto con un misero pacco di mandorle e un coltello. Si sentiva stranamente osservato e inquieto. Si alzò dal cumulo, facendo cadere delle monetine che tintinnarono rumorosamente. Un movimento improvviso e repentino mise in allarme Ithuriel, e un ruggito gli gelò il sangue nelle vene. Non era un ruggito conosciuto, né ne ricordava uno simile da un’edizione del reality. Avvertì i capelli rizzarsi sulla nuca, e si mise a correre velocemente, sfrecciando fa i corridoi. Ma il tintinnio che si creava guidava la bestia, che si avvicinava sorprendentemente veloce, quasi scivolando sui cumuli. Ithuriel svoltò, e gli occhi freddi e verdi della bestia gli restituirono lo sguardo.

 







 
Ehhh … lo so che faccio schifo, me tapina, me chiede umilmente venia. E sono una persona orribile, lo so. Però, proverò a fare una promessa: aggiornerò ogni settimana. Scrivetevelo: oggi è Lunedì, Lunedì prossimo devo aver postato il capitolo successivo, sennò Amen. Ringrazio voi che ancora mi venite appresso, in particolar modo Sara Lavigne  (
http://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=531696) per aver letto la mia FF tutto di botto, per aver detto che le è piaciuto un mio post su FB e per aver dato il mio nome alla protagonista della sua futura FF. *risata malvagia* no spoiler per voi, no. Grazie anche a Hope 13 (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=531804) per aver corretto il mio orrore grammaticale e per aver risposto ai miei quesiti *^* - grazie tesora, spero di averti sorpresa- e niente, anche voi lettori silenziosi.
Alla settimana prossima – si spera- FelixTentia <3

 
 

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Capitolo 4
*** Sorprese pt2 ***



                     

Non si fermò nemmeno a pensare, semplicemente, corse, anzi, sfrecciò via come vento dalle fauci della bestia che lo evitarono per un pelo.
Svoltò a sinistra ed imboccò un corridoio scuro e ampio, le fiaccole delle torce sempre più distanti l’una dall’altra, la luce sempre più lieve, luce soffusa ampliata dai cumuli d’oro che intralciavano il cammino. Era inevitabile che li toccasse, che ne spostasse diversi pezzi e che questi creassero eco. Tintinnavano, un suono cristallino, bello, così argentino e allegro che prima di essere sorteggiato Ithuriel avrebbe dato il braccio sinistro per poterlo udire e poter spendere e spandere la fonte di quel melodioso suono. Poi era entrato nell’Arena, e il suo sogno più grande si era trasformato in un incubo terrorizzante, dal quale c’erano poche possibilità di svegliarsi. Quasi nulle. E ora che correva, ora che la sua vita era appesa ad un sottile filo se ne accorgeva, capiva che c’erano altre cose per cui la vita valeva di essere vissuta, e si ripromise che semmai ne fosse riuscito fuori vivo avrebbe cambiato tutto, a cominciare il suo rapporto con il padre. La bestia era ancora dietro di lui, percepiva il suo corpo flessuoso seguirlo e fendere l’aria, annusando e ringhiando e sfrecciando per raggiungerlo. L’ultimo pensiero coerente di Ithuriel fu che doveva essere davvero pesante se non riusciva a raggiungerlo. Poi i suoi piedi incontrarono il vuoto e lui cadde, precipitando nell’oscurità più totale senza via di scampo. Urlando.

 



 
Felix si rigirava nervosamente il coltello fra le mani, mentre esaminava il salone adiacente a quello dove si erano accampati lei e Jack. Era identico. Gli stessi cumuli d’oro, le stesse fiaccole, stessa area, stessi corridoi spettrali comunicanti fra loro. Era frustrante. A casa, quando giocava a scacchi, non aveva mai avuto la necessità di esplorare il terreno di gioco, visto che aveva la visuale dall’alto e teneva tutto sotto controllo. E poi, era matematico: una scacchiera a quadrati bianchi e neri adiacenti l’una alla casella del colore opposto, otto quadrati per otto. Semplice, pulito e lineare. Si sedette a terra, piuttosto frustrata e stanca. Si ritrovò a pensare a suo padre, lì nel Distretto 3.
Come si deve sentire solo …
vedQuanto le mancava. Non si era resa conto di quanto avesse bisogno di lui fino alla Mietitura, perché quando il mondo le era crollato addosso lui c’era. Non si era sciolto in singhiozzi, solo delle lacrime silenziose gli avevano bagnato il viso, mentre la fissava senza realmente vederla. Lì per lì l’aveva interpretato come un apatico addio, come l’ennesimo batosta che avrebbe sopportato in silenzio, costruendo una barriera fra sé e il mondo, come quando era morta la mamma. Felix ne aveva sofferto, perché il padre non aveva mai avuto bisogno di lei e – o almeno credeva – lei di lui. Ma si sbagliava. Quando aveva aperto le braccia, quelle braccia lunghe e accoglienti che tanto aveva amato, la ragazza non aveva esitato a buttarcisi dentro. Lei non aveva pianto, aveva mantenuto il controllo, mentre il padre le accarezzava i capelli come faceva con la mamma. “Le mie donne, le mie intelligentissime donne.” Erano remoti i tempi in cui suo padre le chiamava così, Felix e la mamma. Che strano, lei non se la ricordava: ricordava tutto, tutto, tranne il volto di sua madre. Una volta aveva chiesto al padre se era un persona cattiva per questo, perché i figli non dovrebbero dimenticare i genitori. Lui le sorrise, quel sorriso triste e senza alcuna allegria che increspava ormai da anni le labbra de padre, e le rispose: «No, genietto, tu non sei cattiva. Tu sai tante, troppe cose, è logico che te ne dimentichi qualcuna. La ricorderò io per tutti e due. Vieni qui.» e le aveva teso le braccia, e lei ci si era fiondata come un razzo senza alcuna esitazione. Detestava il contatto fisico, ma non sentiva alcun bisogno di ritrarsi dal padre, l‘unica costante della sua vita.

«Felix Felicis!»
Figgy Pudding aveva sorriso radiosa, nel pronunciare il suo nome. Felix non ricordava di aver mai provato un tale gelo in vita sua. L’unica cosa che aveva percepito era un tocco energico sulla schiena e vari sospiri di sollievo. Il tocco sulla schiena la incitava ad andare, e prima di muoversi la ragazza aveva pensato scioccamente a lisciare la gonna perché era sciatta e a sistemarsi i capelli perché doveva dare una buona impressione di sé agli sponsor. Quindi prese un bel sospiro e si diresse a passi lunghi e ben distesi verso il palco, dove l’accompagnatrice la guardava radiosa nei suoi orrendi abiti verdi e grigi. Le diede un colpetto sulle spalle, magari per farla stare meglio, e passò all’urna maschile. La ragazzina neanche ci fece caso, presa com’era nel calcolare le probabilità di accaparrarsi sponsor e a che velocità avrebbe dovuto correre per raggiungere la Cornucopia con almeno due secondi di anticipo rispetto agli altri- e si stava per disperare perché non ce l’avrebbe mai fatta- quando una parola, un flebile eco proveniente come da un remoto passato, penetrò nella sua mente e un singulto le uscì dalle labbra quando il cervello rielaborò ciò che doveva significare. Jack Finnigan. Una fitta all’altezza del petto che non aveva mai provato prima le tolse il respiro, mentre la figura di un bel ragazzino dagli incredibili occhi nocciola si avvicinava a lei e le tendeva la mano. Lei la strinse, il cieco terrore dipinto in volto, sebbene lui le sorridesse.

Rischiava di mettersi a piangere, con quei ricordi che l’avevano trafitta come lame. Si alzò di scatto, gli occhi leggermente lucidi. Non avrebbe pianto, avrebbe mantenuto il controllo. Lei manteneva sempre, sempre il controllo. Non si faceva scaccomatto piangendo. Restando lucidi sì. Era tutta una questione di strategie. Innanzitutto avrebbero fatto bene a muoversi, perché restare fermi troppo a lungo non era un buon modo per restare vivi. Quindi si rimise sui suoi passi e tornò a testa alta verso il suo compagno, chiedendosi perché le girasse così tanto la testa e perché provasse un tale senso di vertigine.
 


«Ma no, Beetee! Non ho intenzione di sponsorizzarli! Non voglio perdere così tanti soldi per due sprovveduti che moriranno a breve! Tzè.» e il capitolino riprese a bere la sua bevanda amaranto. Beetee sospirò, mentre si alzava e si avvicinava a Wiress, la quale discorreva con Figgy Pudding, piuttosto laconicamente a dire il vero. Si avvicinò al loro tavolo e ordinò ad una Senza-Voce un bicchiere di succo d’arancia. Si lasciò cadere mollemente sul divano, e chiese senza molte speranze: «Trovato qualche sponsor?» Wiress scosse il capo, mentre Figgy picchiò il pugno sul tavolo, piuttosto rabbiosa. La risposta era sottintesa. Lanciò un’occhiata in giro: Haymitch era piuttosto ubriaco e fissava il soffitto senza una precisa ragione, Finnick Odair si intratteneva con un gruppo di ricche signore, mentre Cashmere, Gloss, Enobaria e Brutus chiacchieravano allegramente con degli Sponsor. Ruth Anne – altra vincitrice del 4- si era da poco unita a loro, ridendo forzatamente alle battute fiacche degli stupidi Capitolini che li circondavano. Ringraziò e congedò la Senza-Voce che gli aveva portato il succo, in un graziosissimo bicchiere di vetro azzurro. «Cosa possiamo fare? Se non otterranno quella medicina moriranno!» Figgy aveva iniziato a strepitare con l’accento affettato della Capitale, esponendo ad alta la più grave preoccupazione di Beetee in quel momento. La vita dei ragazzi era appesa ad un filo. Tutto per colpa degli Strateghi che avevano giocato loro un brutto tiro. Sarebbe stato il massimo per la capitale. Un veleno sonnifero, così lo avevano ribattezzato loro. Agiva in modo silenzioso, avvelenando l’organismo senza presentare alcuna complicazione – niente febbre, niente vertigini, niente di niente- ma quando i sintomi cominciavano a presentarsi era troppo tardi. E chi ne era infetto … Brr.  Beetee rabbrividì nel pensare a cosa sarebbe successo ai suoi tributi se non avesse mandato loro le medicine in tempo. Ma costavano tanto, troppo per potersene procurare due. Sapeva che le probabilità di trovare abbastanza fondi per entrambi i tributi erano davvero molto remote, dato che non riusciva a trovarne uno Sponsor, uno che fosse uno, disposto a comprare un altro litro di liquidi per loro. Erano al terzo giorno di Hunger Games e ancora non riuscivano ad aiutarli. Al settimo giorno cosa avrebbero fatto? Di una cosa sola era certo: se non avessero trovato abbastanza denaro per tutti e due, sarebbe stata Felix a salvarsi. Si era sentito peggio del solito, quell’anno, quando riconobbe l’esile figura della bambina che a sette anni era stata in grado di batterla a scacchi. Aveva sentito una stretta al cuore quando comparve l’espressione da guerriera sul viso dai tratti fanciulleschi, la stessa che ebbe quel giorno in cui lui entrò nel negozio del padre per farsi aggiustare un orologio, perché lui non ne aveva voglia. Si era sentito morire, quando aveva visto il modo in cui lei lo guardava, a come il panico affiorasse ogni volta che la conversazione verteva su di lui, a come sorrideva, impercettibilmente, quando lui la guardava negli occhi. Beetee si era sentito in colpa, nel capire che lei avrebbe potuto vincere, e che avrebbe potuto sopravvivere senza di Jack, che Felix era una ragazza davvero sfortunata, perché l’amore che non ricambiava era venuto agli Hunger Games con lei, perché si sarebbero dovuti uccidere a vicenda, perché, lui, Beetee, era stato fortunato e lei no. Lui allungò la mano e Wiress la strinse, e mentre l’amore che provava per lei zampillò nel suo petto come una fontana, riuscì solo a pensare che sebbene anche lui fosse rimasto distrutto dagli Hunger Games, non aveva perso il suo amore a causa di essi.
 

 

Ahahahaah! *risata malvagia* Eccomi qui! Vi sono mancata? Lo sapete che non mantengo fede alle promesse fatte- anche se ce la metto tutta- quindi non uccidetemi, vi prego. Dopotutto, abbiamo già un’edizione in corso, eh! *Ba da bum, tss* Allora, che ne dite? * rumore di grilli in sottofondo* E’ molto introspettivo come capitolo, sì v.v perché me può U_U sono la mamma – assieme a Hope <3 ( che è la sorellina maggiore) – ma ciancio alle bande, passiamo alle cose serie. Ossì, rischiano di morire, entrambi. E sarà una morte brutta, davvero brutta se nessuna anima pia si prenderà la briga di aiutarli. Potrei mentirvi e dirvi che so già come andrà a finire – bè, in effetti è vero, lo so- ma la verità è che non so come farò a far combaciare i puntini e ottenere il quadro della situazione. Basti pensare che prima Felix è nata come tributo del distretto 9 e che l’Arena doveva essere una torta al cioccolato – no, non è vero, sto bluffando- e quindi, niente. Vorrei farvi notare che questo capitolo contiene molti riferimenti allo Spin-Off su Felix che ha scritto Hope 13 – che ringrazio- e mlti altri su uno che ha scritto ma non pubblicherà mai! Muahahah!! * risata malvagissima* perché non le piace e perché le ho detto di aspettare per farlo anche perché me ne è venuto in mente uno a me che potrebbe fare, quindi …
Adios, e fatevi sentire <3

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Capitolo 5
*** Cambiare Prospettiva ***





 
Isaac stringeva il telecomando in mano, lo sguardo puntato sullo schermo. Stavano inquadrando il tabellone delle scommesse, dove i visi dei tredici tributi rimasti si muovevano chi a disagio e chi sorridendo sprezzante. Specie il biondo del 2, Isaac l’aveva visto in quel periodo di giochi, lui era il più tronfio di tutti. Una muscolatura definita e un bel faccino, ma si capiva a prima vista quanto fosse limitato intellettualmente. Tuttavia tanti capitolini puntavano su di lui, a testimonianza della loro stupidità. Molta gente, invece,  aveva investito su Ania, la ragazza dell’Uno, e purtroppo Isaac doveva dar loro ragione. Se avesse avuto dei soldi da investire, avrebbe puntato ad occhi chiusi su di lei. Aveva ucciso con un sangue freddo e con una grazia non indifferenti, e oltre al saper maneggiare la spada con estrema perizia era dotata di una mira praticamente infallibile. 
Era bellissima. Isaac non poteva negarlo. Bellissima di quel fascino da cattiva ragazza che lo aveva sempre attratto, completamente diverso da quello della compagna di sventure di suo fratello, Felix. Pochi puntavano su di lei, che fissava gli spettatori fredda, altera, quasi gelida, come se non fosse toccato a lei entrare in quell’Arena a morire. Gli era dispiaciuto molto, tanto, più di quanto si sarebbe aspettato, vederla salire il palco. Ma il terrore puro l’aveva colto quando aveva visto suo fratello, il suo unico fratello, seguirla verso la morte. Poca gente puntava su Jack, ma era messo meglio degli altri, specialmente di quelli dei distretti bassi. Se Felix aveva pochi ammiratori, loro ne avevano una percentuale così bassa da poter essere trascurata. Stavano mandando in onda un ampio reportage sulla morte della ragazza del cinque, trapassata da una freccia prima di essere impalata dal tridente del quattro e di essere finita da una spada. Erano due giorni che non succedeva nulla, la calma prima della tempesta, così l’aveva definita suo padre, dando voce ai propri pensieri. Stava per accadere qualcosa di orribile, qualcosa di incredibilmente eccitante per i Capitolini e qualcosa di incredibilmente pericoloso per i tributi. Non era sicuro di voler assistere, perciò sospirò, alzandosi con l’intenzione di uscire.
«Isy, che fai?»
Sentendo quel nomignolo alzò gli occhi al cielo: « Vado dall’Orologiaio, mà.»
«Ma tuo fratello è agli Hunger Games!»
Come se non lo sapesse! «Anche sua figlia.»
Lei lo fulminò con lo sguardo, staccando per un secondo gli occhi dalla tv.  «E allora?  Deve morire anche lei se vuoi che tuo fratello torni a casa!»
Isaac la guardò strabuzzando gli occhi, l’espressione ferita: « Lo so, mamma! Lo so! Ma credevo tu potessi capirlo, quell’uomo! Un figlio mandato a morire!»
L’espressione di sua madre mutò all’improvviso: «Tu .. tu credi che tuo fratello … morirà?»
Il ragazzo avrebbe voluto sotterrarsi. Sua madre aveva frainteso le sue parole. Lo fissava con gli occhi nocciola spalancati da terrore, le occhiaie più profonde del giorno precedente. Da quanto non dormiva? Probabilmente da quando erano entrati nell’Arena, pensò. Si costrinse a sorriderle conciliante, stringendole la mano in un gesto che voleva essere rassicurante: «No mà, certo che no. Non è uno sprovveduto, sa cavarsela. E poi facendo squadra con Felix se la caveranno per un bel po’. Nemmeno lei è una sprovveduta, lo sai.» Le diede un bacio sulla guancia, dirigendosi verso la porta.
Era quasi arrivato che la voce di sua madre lo fermò: «Isy!»
Si girò, le chiavi in mano: «Dimmi.»
Cinthya sembrava combattuta, più vecchia: « Non .. non voglio che Felix muoia. Ma voglio che tuo fratello torni a casa, Isaac. Deve farlo.» perfino la sua voce era più grave, più spenta. Isaac la capiva, ma non ce la faceva più a star chiuso in quella casa. Papà era uscito, probabilmente era andato al mercato per rifornire la dispensa di casa, qualsiasi cosa pur di sfuggire a quel clima teso che si era creato.
  «Ci vediamo dopo.» chiuse la porta dietro di sé, scese le scale che davano sul vialetto del loro condominio velocemente, dirigendosi verso la parte est del distretto, dove sorgeva la bottega dell’Orologiaio.

Lo chiamavano Orologiaio, ma non costruiva solo orologi. Riparava qualsiasi cosa: televisori, computer, microcip musicali e simili. La gente dei distretto poteva benissimo riparali da soli, ma la stragrande maggioranza faceva  lunghi turni di  lavoro in fabbrica ed erano pochi i negozi che offrivano questi servizi, la bottega dell’Orologiaio era la migliore. Tutti nel distretto se la passavano abbastanza bene, erano rari i periodi in cui la povertà dilagava, ma quando ciò accadeva erano i negozianti ad avere i problemi più grossi: la gente cominciava a riparare e costruire da sola i propri oggetti lasciando i negozianti praticamente in mutande. L’unico problema del Distretto 3 erano i frequentissimi incidenti che si verificavano per mancanza di controlli da parte di Capitol City e la bassa percentuale di tributi che sopravvivevano ai Giochi. E adesso era toccato a loro vedere il proprio fratello e la propria figlia mandati al macello. Il nome dell’orologiaio era Eddard, ma tutti lo chiamavano Ned, o Orologiaio, o Signor Felicis.

In meno di cinque minuti arrivò di fronte al negozio del signor Orologiaio, un bel locale spazioso ingombro di oggetti da lavoro. Bisognava essere proprio dei cretini per non comprendere il motivo di quel soprannome. Orologi. Orologi dappertutto. Grandi, piccoli, vecchi, nuovi, usati, imballati, di tutte le forme e dimensioni. Ogni singolo pezzo era diverso dall’altro, ognuno si distingueva per la cura dei dettagli e per raffinatezza; Isaac doveva ammettere che erano proprio belli. Il suo preferito era quello a forma di gufo lassù: in legno scuro, lo fissava torvo dalla sua posizione sopraelevata. Una volta, Isaac aveva provato a farselo vendere, ma l’Orologiaio era stato irremovibile su quello: non lo avrebbe mai ceduto. “Perché?” aveva chiesto il ragazzo. Lui lo aveva guardato malinconico, sorridendogli teneramente: “Era il preferito di Asha” e non avevano più toccato il discorso.
L’Orologiaio giocava distrattamente con un cacciavite e dei meccanismi, lo sguardo che andava dal lavoretto al televisore. Mostrava il gruppo dei favoriti e la bastardella del nove che si era unita a loro intenti a discutere di qualcosa- turni di guardia probabilmente. Isaac sapeva di odiare Lucy Hale, lo sapeva per due motivi: uno, non ci si metteva con i Favoriti, mai: secondo, aveva un orribile presentimento riguardo a lei. Sperava che qualcuno l’ammazzasse, e in fretta. Il nove non poteva esistere senza il tre perché era il proprio il tre ad originare il nove; e il tre poteva benissimo vivere senza di esso.

La campanella posta sulla porticina d’ingresso  aveva svegliato l’uomo dal suo torpore, scuotendolo un po’. «Spiacente, siamo chiusi, ma se volete aggiustare qualcosa lo metterò nel deposito e lo riaggiusterò a Giochi finiti …»
«No, signor Felicis. Volevo solo venirla a trovare.»
L’Orologiaio trasalì nel sentire la sua voce, alzò la testa e lo guardò interrogativo: « Isaac. Cosa ci fai tu qui? Non dovresti vedere gli Hunger Games con la tua famiglia?»
Il ragazzo si avvicinò un po’ al padre di Felix, passandosi a disagio una mano fra i capelli: « Ehm … anche mia madre la pensa così. Ma vede, mamma è davvero disperata in questo periodo. Poi lei ha papà e me a sostenerla. Però lei non ha nessuno»
Eddard sembrava non seguirlo, fissandolo curioso, perciò Isaac si sbrigò a spiegare: «Sì, insomma … Felix è alleata di Jack. Per un po’, può venire a vedere i giochi con noi. Se vuole.»

Eddard annuì, congiungendo le mani e passandole sul viso in un gesto stanco. Poverino, pensò Isaac, non ha più nessuno su cui contare. Si riscoprì a volere che Felix ce la facesse. Ovviamente lui tifava per suo fratello, il suo fratellino, ma era diverso: per Jack era qualcosa più sul “non doveva toccare a lui.” Per Felix invece “vorrei che fosse lei a vincere” ed era così, voleva che fosse lei a vincere se la sorte non fosse stata benevola con suo fratello.
Lo sentiva ancora, scherzoso per tirargli su il morale. «Dai, Isy, che dopo la Mietitura ce ne andiamo a cazzeggiare!» Quella era stata la sua ultima Mietitura, e temeva davvero di non farcela a superarla, e lui gli aveva detto di non preoccuparsi. «Hai visto, Isy?» gli aveva sorriso, abbracciandolo: «Hai superato la tua ultima Mietitura.»
Sì, ma a quale prezzo?
«Isaac, guarda!» Eddard aveva acchiappato il telecomando alzando il volume al massimo. La telecamera era puntata su Felix e Jack che correvano a perdifiato attraverso i sotterranei di quella città.
 Dietro di loro, i Favoriti.
 

«Credo che dovremmo inventare una strategia di gioco» disse la ragazza.
Lui la guardò perplesso: «Scusa?»
«Sì, bè, credo che dovremmo movimentare i Giochi.» affermò lei come se nulla fosse, sistemando la bottiglia dell’acqua nello zainetto.
Jack corrugò la fronte, assumendo poi un cipiglio disgustato: «Tu vorresti dire che sei disposta ad ammazzare qualcuno per movimentare i giochi!» le fece il verso, gesticolando persino ala stessa maniera di Felix.
«Non ho detto questo!» Esclamò lei sulla difensiva: «Ho detto che dovremmo movimentare i Giochi! Potremmo portare i Favoriti sulle nostre tracce e poi lasciarli nel Labirinto! L’hai visto, potremmo abbandonarli là e poi scappare! Moriranno d’inedia o ..»
«Non credo proprio.» La voce e il ghigno del ragazzo del Quattro le giunsero come una secchiata d’acqua gelida alle orecchie, così come la vista degli altri Favoriti scatenò una serie di brividi lungo la schiena.
Oh-oh.
Vincent e Michael li fissavano con un ghigno cattivo in volto, le armi già pronte, mentre Ania, Lucy e Alicia li guardavano soddisfatte, le posture dei loro corpi parlavano chiaro.
«Ehilà, ragazzi» li salutò Jack affabile.
Jack.
Si era dimenticata che anche lui fosse lì, persa com’era nel cercare una via d’uscita. Si sentì percorrere da una paura sorda, tremenda, il battito del suo cuore rimbombava nelle sue orecchie, la testa quasi che implodeva su sé stessa. Fu tentata di prenderlo per mano e scappare, correre via, metterlo in salvo, ma non lo fece; aveva capito a che gioco stesse giocando, e le stava donando tempo per cercare un modo di fuggire. Lo avrebbe sfruttato tutto.
«Nove, come te la passi?» avvertì il tono di disgusto di Jack nascosto dietro alla velata cortesia e sorrise con lui, alzando solo un lato delle labbra in un vero e proprio sorriso di scherno.
Lucinda Hale li fulminò con lo sguardo aprendo bocca per parlare, quando venne interrotta da Alicia: «Sì, infatti, come stai? Oggi non te l’ho chiesto!»
La ragazza del nove la squadrò stupita e sconcertata, sotto le risate generali dei Favoriti, ma Felix vide come lo sguardo si addolcì posandosi su di lei, come la postura si era leggermente rilassata nel parlare, come le avesse leggermente sorriso, e Felix seppe di aver trovato il punto debole di Lucinda Hale.
Sfortunatamente, non era lei il problema più impellente di cui sbarazzarsi.
«Sto bene, grazie. Comunque ..» fece la ragazza del nove, rivolgendosi a nessuno in particolare: « Voi piuttosto, come state? Sapete, eravamo molto curiosi di sapere come siate sopravvissuti così a lungo.»
«E’ vero, ragazzi» le fece eco Ania: «Di solito voi del 3 morite quasi subito, poverini.»
Jack le rispose con un sorriso completamente diverso da quello rivolto a Lucinda, un sorriso che fece salire più di una punta di gelosia in Felix. «Buffo che voi parliate. Felix, tu non pensi che manchi qualcuno fra loro?»
Sentirsi chiamata in causa la fece riempire di orgoglio, molto stupidamente in effetti, ma ciò non le impedì di gonfiare il petto per la fierezza: «Infatti .. dov’è Melania?»

Tutti, tranne le ragazze del 9 e del 4, s’infuriarono. Felix lo capì da come si fossero fatti più minacciosi, da come le mani scattarono sulle armi, da come avessero iniziato a scoprire i denti. Tuttavia fu la voce serena della biondina del 4 a rispondere: «Non è più fra noi, poverina. Si era offerta volontaria ed è morta per prima» sbattè la palpebre alzando gli occhi al cielo, come a dire “Che ci possiamo fare?”
Michaal prese parola, avanzando di un passo verso di loro. «Sì sì, ci dispiace moltissimo per Melania, ma tant’è, è morta e non possiamo fare nulla. Voi due, piuttosto» e qui sorrise, un sorriso tanto sadico e pericoloso che Felix e Jack scattarono via come due fulmini, riuscendo però a cogliere le ultime parole:
«Come scegliete di morire?»  





Ehhhhh ciaooooo <3
Sono anni che non aggiorno. E vabbè, pazienza, tanto a voi lettori non importava, e solo adesso in realtà io ho riavuto l’ispirazione :P
Quindi: vengono introdotti due nuovi personaggi, Isaac e l’Orologiaio, osservando però dal punto di vista del primo, fratello di Jack, se non si fosse capito u.u
All’inizio il chappy avrebbe dovuto essere più lungo, ma siccome ho tanta voglia id pubblicare, l’ho diviso a metà in modo da non farlo risultare più pesante alla lettura.
No, in realtà è perché non l’ho ancora passato al pc e non mi andava di fare attendere <3
Mi raccomando, recensite in tanti, anche solo per criticare – purchè ci sia un pretesto!- e farmi sapere le vostre opinioni.
E sì, ho cambiato Nick, vi piace? Trovo che mi riassumi bene :3
E L’AVETE VISTO IL BANNER? Dovete ringraziare la pagina Facebook “Graphic’s Universe” che mi perdonerà se non faccio il collegamento ipertestuale, ma con l’html sono negata. A voi basta solo andare nella barra di ricerca su FB e cercare il nome della pagina e divertirvi con le sue opere!
Grazie Sara <3
Feniah <3

 

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