Love will remember

di xxonemixsoxygen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Stava arrivando la pioggia. La enunciava il vento; quell’odore di pioggia danzava qua e là nell’aria.
Aprii dolcemente la finestra e la tenda fu inghiottita dalla forza del vento. Poi, quando riuscii a rispedirla in camera, iniziò a svolazzare nella stanza.
La brezza mi colpì il viso. Chiusi gli occhi. Volevo godermi quel momento anche perché l’indomani sarebbe tornata la signora McDirty a farmi lezione.
Era settembre e immancabilmente, quando riprendevano le scuole in Inghilterra, arrivava lei. Mi faceva lezione a casa, dalle 9 alle 12 e poi il giovedì anche il pomeriggio.
Era una professoressa. Poi rimase incinta e, non potendo andare più a scuola, iniziò a dedicarsi all’insegnamento privato a casa, o almeno così mi diceva mia madre.
Non ero al passo con i miei amici per quanto riguarda la scuola. Mi sarebbe bastato fermare il tempo,  qualche lezione in più e forse dopo lo sarei stata.
Ma in fondo non era quello l’importante.
Faccio parte di una band e per me questo è l’importante.
No, non canto. Anche se nella mia vita ho fatto anche canto non basta, non sono brava come il nostro cantante. Si chiama Aaron. Siamo cinque in tutto.
Aaron; io, che suono la chitarra; Pearl che si occupa del pianoforte; James che si scatena ogni volta con la sua batteria e Daniel che suona la seconda chitarra, ma che quando non ce n’é bisogno sta al mixer.

I Five Hurricanes sono tutto per me. Si, Five Hurricanes è il nome della band. Mi piace essere paragonata ad un uragano.
Regna la calma finché non saliamo sul palco. Basta poco per sprigionare una quantità smisurata di emozioni. Grintosi fino all’ultimo accordo come anche le nostre canzoni. Dentro c’è tutto ciò che proviamo, quello che viviamo. Sono dei piccoli tornado da tre minuti e mezzo che stravolgono i cuori. Non abbiamo molto successo, è vero, non abbiamo fatto neppure un album ma intanto andiamo avanti con alcune cover e due inediti. Dopotutto abbiamo quindici anni.
Lasciai pensierosa il vetro della finestra e mi diressi verso la libreria iniziando a prendere i libri che avrei dovuto usare il giorno dopo riponendoli ordinatamente in pila sulla scrivania. Sistemai le penne sparse sul comodino in un astuccio e lo posai su un block notes rosso che sarebbe diventato il mio diario. Ero ancora in pigiama ed erano quasi le cinque di pomeriggio.

Mamma, tornando da lavoro, si era fermata a prendermi un panino al Nando’s dietro casa. Questo è stato il mio pranzo. 
Sentivo mamma parlare al telefono nonostante avessi la porta della camera chiusa. Pensai che stesse parlando con nonna. Strilla sempre quando le telefona: nonna è sorda.
Papà invece dovrebbe tornare a momenti. Stasera c’è un party all’Overboard che sarebbe un locale dove si canta, si balla e a volte fanno anche concertini. Mi piace il posto anche perché il nome lo hanno preso da una canzone di Justin e della Jarrell. Non ho mai capito se lo hanno fatto apposta o è stata un’idea casuale.
Pensando al party mi ero sdraiata sul letto con gli occhi chiusi, mi misi ad ascoltare la pioggia che ormai scendeva senza sosta. Era rilassante.
Mi vibrò il telefono, era Pearl: ‘’Ehi, stasera usciamo? Aaron sta organizzando una pizza con la band ;)’’
Risposi senza esitazioni: ‘’Scusatemi tanto, ma stasera vado all’Overboard con i miei, se siete in giro fateci un salto così staremo insieme lì’’
Pearl allora chiamò Aaron e dopo varie telefonate agli altri decidemmo di vederci tutti alle nove all’Overboard.
Mamma bussò alla porta ed entrò.
«Tesoro, non sarà meglio che ti vesta? Alle otto dobbiamo stare lì.» disse mia madre spalancando la porta della mia camera.
«Si mamma. Un quarto d’ora e sono pronta.» risposi ancora sdraiata sul letto.
Attaccai la musica, mi piace prepararmi a ritmo di qualche canzone. Aprii l’armadio e presi un mucchietto di vestiti che avevo sistemato la mattina. Calze scure, canottiera Hollister blu stropicciata nei pantaloncini a vita alta e Converse bianche.
Il tutto ornato dalla mia collana preferita con le ali e i diamanti e qualche bracciale. Feci per andare in bagno a truccarmi quando sentii la porta aprirsi. Era tornato papà finalmente. Lasciai matita, rossetto e phard sul lavandino e gli corsi incontro come una bambina. Ricambiò l’abbraccio affettuosamente.
«Come stai amore?» disse schioccandomi un bacio sulla guancia.
«Bene!» esclamai tra i suoi abbracci.
Dopo qualche secondo ci staccammo e io gli dissi di Pearl, Aaron, James e Daniel che avevo invitato alla festa. Papà mi scompigliò i capelli e capì subito perché li avevo invitati all’Overboard.
«Vorresti suonare con loro la vostra nuova canzone?» mi chiese guardandomi negli occhi, dolce come non mai.
«Bhè in realtà si papà. Stasera ci saranno le più grandi celebrità, vorremmo far conoscere la nostra musica.» risposi sincera.
Papà acconsentì. Era una serata tra musica e balli, cantavano quasi tutti.
Corsi di sopra a truccarmi e mandai rapidissima un messaggio ai Five Hurricanes con scritto: ‘’Papà mi ha dato il permesso, stasera canteremo! A dopo (:’’.
Non mi aspettavo una risposta da nessuno, era più che altro per dare una conferma, ma fatto sta che risposero tutti, più entusiasmati che mai.
Salimmo in macchina. Le gocce rigavano ancora i finestrini. Arrivammo dopo poco.
La serata mi piacque molto, feci conoscere ai miei amici le grandi celebrità del momento fin quando ci decidemmo e salimmo sul quel palco in uno dei momenti morti della serata. Un signore che doveva probabilmente essere il ‘presentatore’ delle canzoni ci enunciò con enfasi appena noi ci fummo sistemati con gli strumenti.
Tutti sembravano interessati e curiosi della nostra musica.
«Ed ecco a voi sul palco cinque ragazzi giovanissimi, i Five Hurricanes! Al microfono Aaron Softer, al pianoforte Pearl Delavigne, alla batteria James Taylor e alle chitarre Daniel Wintos e Darcy Styles!».
 

 
 
 
 
 
 
 
 
L’applauso sembrava non terminare più.
Eravamo felici di aver suonato davanti quegli artisti di un certo livello e, sentirsi dire da loro stessi che potremmo avere un futuro perché siamo bravi era il massimo che poteva capitarci.
Quella sera rimanemmo all’Overboard fino alle 3 inoltrate e così Aaron, Pearl, Daniel e James rimasero a dormire a casa mia.
Abbiamo due stanze in più perché in precedenza la casa era di papà e dei suoi amici, ma nonostante ciò ci sistemammo tutti nella mia stanza.
Facemmo tutto, meno che dormire.
Iniziammo con il gioco della bottiglia, con ‘obbligo o verità’, insomma, tutti quei stupidi passatempi.
Si fecero le 4 e mezza, Daniel aveva già proposto di andare a dormire ma nessuno sembrava ascoltarlo.
«Ragazzi, ma… se noi andassimo a riposare?» domandò per la decima volta.
Lo fissammo per qualche attimo e poi ognuno riprese a fare ciò che stava facendo.
«Solo per riposare gli occhi..» continuò poco dopo Daniel.
«Questo è il letto e quello è il cuscino.» ribatté Pearl.
Daniel fece l’offeso e si buttò sul letto. Dopo dieci minuti scarsi cadde in un sonno profondo.
 
Il silenzio regnava. Sarebbero bastati altri pochi minuti e ci saremmo addormentati anche noi sicuramente.
«No ragazzi! Così non va bene! Dobbiamo riuscire ad arrivare svegli alle 7! Abbiamo promesso.» disse alzandosi Pearl.
Non aveva tutti i torti. Avevamo giurato di resistere fino alle 7. Beh in realtà anche Daniel aveva giurato, ma pazienza, sono solo dettagli.
«Si Pearlita cara, hai ragione.» rispose Aaron. «Organizziamo qualcosa da fare. È l’unica soluzione!» continuò gesticolando come sa fare solo lui.
Io gli studiavo le mani. Ha delle mani incantevoli, che riescono a farti invidiare il microfono quando lo impugna. Per non parlare della voce. Mettevo spesso le nostre canzoni solo per ascoltarla.
Immersa nei miei pensieri non mi ero accorta che stavo fissando un punto indefinito, oltre i ragazzi.
«Cassandra! Sveglia!» mi disse la mia amica scuotendomi una mano davanti il viso come se stesse salutando il mio cervello in preda ai pensieri, ai sogni.
Cassandra è il mio secondo nome.
Darcy Cassandra Styles.
Ma abbreviano tutti quando mi devono chiamare per intero.
Darcy Cassie Styles.
Feci un sussulto e tornai in quella stanza dal bagliore offuscato con i miei amici.
«Raccontiamoci delle storie» disse James che era seduto a terra con la schiena appoggiata alla sponda del letto e con gli occhi chiusi.
«Ma non dormivi?»
«No, riposavo gli occhi.» mi rispose tranquillamente non sforzandosi minimamente di aprire gli occhi.
«Comunque io ci sto. Mi sembra ottima come idea» disse Pearl alzandosi e sedendosi sulla scrivania dove era seduto anche Aaron.
«Si va bene. Ma non so cosa ne potrà uscire fuori a quest’ora.» affermai.
«Te potresti raccontarci dei tuoi genitori. Di come si sono conosciuti…»
All’inizio non ero d’accordo con Aaron ma poi iniziò a gesticolare, a parlare come lui solo sa fare e accettai.
Volevano la romantica e complessa storia dei miei genitori.
L’amore di un famoso cantante verso una comune ragazza di Holmes Chapel.
Il racconto di Harold Harry Edward Styles e Cathleen Amelia Evans.


*spazio autrice*
Su twitter sono @woundedwjngs, cercatemi per qualsiasi cosa.
Parlerò poco nello *spazio autrice* lol 
Bacioni, Ila xx

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


POV Cathleen
 
Avevo solo diciassette anni quando successe. A mala pena oggi mi ricordo bene i particolari e forse è meglio. Non pensavo fosse davvero così, ma dopo l’accaduto mi ritrovai circondata da persone pronte a fare di tutto per me. Questo durò all’incirca un mese, poi tutti scomparvero. Gli unici che rimasero furono Lilith, Harry e Wayne, i miei tre migliori amici.
Lo stupro avvenne un sabato pomeriggio. Era autunno, questo me lo ricordo bene perché il marciapiede brulicava di foglie brune e gialle. Non vedevo l’ora di prendere quel maledettissimo autobus per tornare a casa, faceva tanto freddo. Ogni tanto arrivavano delle folate di vento incontrollabili e forse era proprio per il tempaccio che non c’era anima viva in giro. Ormai ero rimasta solo io alla fermata, maledicendomi per aver perso l’autobus precedente.
Successe tutto troppo in fretta, l’autobus non lo vidi arrivare per niente, fui subito caricata su un furgone. Non ebbi il tempo neanche di reagire. Mi assalirono alle spalle. Cercai di urlare ma per quanto mi sforzassi loro erano più forti di me e mi tapparono la bocca. Ricordo che mi cadde la borsa della Jack Wills contenente tutti gli spartiti, il cellulare, il portafoglio e il resto. Non la presero i miei rapitori perché mamma mi raccontò che proprio dalla borsa a terra ricostruirono l’accaduto. Mi addormentarono forse con qualche narcotico e il risveglio vi posso assicurare che fu uno dei peggiori.
Erano quattro ed uno per uno mi violentarono tutti. Le loro parole taglienti e le loro porcherie mi ronzano ancora in testa la notte, quando non riesco a prendere sonno. Rimasi in quello scantinato tre giorni, poi la polizia mi trovò ed ebbe la prontezza di arrestarli tutti. Stetti in ospedale una settimana anche per via di una rottura alla costola che mi avevano procurato e lì uno dei tanti test che feci fu quello di gravidanza.
Nulla, non ero incinta. Poi si venne a scoprire che la mia probabilità di avere figli era una su mille. Potevo dire di essere sterile.
 
‘’Cath, stiamo venendo a casa tua. Baci Lil xx’’
 
‘’Bellissima, c’è una sorpresa per te. Harry xx’’
 
‘’Caaath, aprici il cancello, due minuti e siamo lì. W xx’’
 
Il giorno dopo fui chiamata la mattina presto per andare a testimoniare e una volta tornata si presentarono a casa mia i miei amici, prima dei parenti. Passai una bella mattinata e decisi di restare in camera con loro piuttosto che scendere a salutare gli zii e i cugini, venuti solo perchè guidati dalla pietà e per far sentire la loro fastidiosa presenza.
Harry era sempre stato affettuoso con me e Lilith, ma nell’ultimo periodo avevo saputo dalla mia amica che al signorino Styles piacevo ancora io. Ho aggiunto la parola ‘ancora’ perché noi eravamo stati già fidanzati all’età di quindici anni. Durò circa sei mesi, poi finì tutto per colpa della ‘ragazza più popolare’ del college, tale Tania. Li sorpresi a baciarsi negli spogliatoi della palestra.
«Io amo solo te. Lo capisci che Tania sta facendo di tutto per separarci? È stata lei a baciarmi.» continuava a ripetermi Harry. Io mi fidavo di lui ma ci lasciammo ugualmente. Vedevamo chiaramente che il nostro rapporto funzionava meglio da semplici migliori amici. 
 
«No Lilith, lo sai come la penso. Voglio bene a Harry come ne voglio a te o a Wayne. È il mio migliore amico» dicevo.
In realtà sia io che Lil sapevamo la verità, quindi, a chi volevo mentire?! Forse perché non avevo più voglia di soffrire per amore, forse perché ero ancora sotto shock.
 
-
 
Harry si era dato ad una carriera da cantante. Fin da piccolo aveva questo particolare interesse verso la musica e il canto. Mi ricordo che quando all’età di cinque o sei anni andavo a casa sua ci divertivamo solamente a stare sul letto, con lo stereo acceso a giocare con le sue macchinine mentre lui intonava qualche strofa delle canzoni. Oppure quando quella volta a casa mia con Lilith ci siamo fatti portare dei microfoni da mio padre e abbiamo iniziato a cantare con il karaoke. Avremmo avuto otto anni.  Da adolescenti poi ad ogni festa tra amici il karoke era l’unica cosa che non mancava mai.
 
Poi, in quell’anno, Harry decise di osare iscrivendosi per alcuni provini.
 
-
 
L’ultima uscita a quattro la ricordo alla perfezione. Ormai Harry era 1/5 degli One Direction ma noi lo trattavamo sempre come il solito coglione dai quattro capezzoli. Il giorno dopo sarebbe dovuto partire in touneé con i ragazzi della band e così io, Lilith e Wayne organizzammo una serata da Fray’s.
È un locale molto carino e accogliente e soprattutto conosciamo bene il figlio del proprietario.
 
Si chiama Richard e frequentava il nostro stesso college. È un tipo notevolmente socievole e amichevole. La simpatia non se la fa mancare di certo. Lui, insieme alla sua famiglia, sono venuti tre o quattro volte a casa mia dopo il mio abuso sessuale. Fu proprio in quella circostanza, dato che i miei genitori erano molto amici dei suoi, che socializzai con Richard.
 
Ci sistemammo al solito tavolo in fondo alla sala. Non ordinammo nemmeno, Chris sapeva già cosa avrebbe dovuto portarci.
«Come andiamo? È da parecchio che non ci si vede eh!» esclamò Harry a Chris.
«Ohw si. Dai si tira avanti, qui al locale il lavoro è sempre inalterato.» rispose il cameriere.
«Ma Richard? Non c’è stasera?»
«È appena uscito, credo che sarà qui tra dieci minuti.» replicò Chris aprendo la porta della cucina e dileguandosi tra i fornelli.
Harry sapeva che non ci saremmo visti più per parecchi mesi, si leggeva benissimo nei sui occhi quella malinconia, che però si alternava ad un’emozione speciale. Non si poteva certo dire che non fosse felice di partire. I suoi sogni si stavano avverando.
Da Fray’s non ci sono solo le sedie. Per i tavoli Fray aveva usato anche delle panche di legno.
Mi accomodai tra Harry e Lilith mentre Wayne sedette a capo tavola. Lasciammo un posto per Richard.
Chris portò un piccolo antipasto che finimmo velocemente in silenzio.
 
Appoggiai il capo sulla spalla di Harry gli presi la mano calda e grande.
«Ti voglio tanto bene.» gli sibilai.
Lui mi strinse la mano.
«Anche io.»
 
Avevamo già finito di cenare quando arrivò Richard. Entrò maestoso, scusandosi ancor prima di varcare la porta.
«Davvero ragazzi, scusatemi ma ho avuto dei contrattempi!» ripeté.
«Rich tranquillo.» disse Wayne.
Rimanemmo lì a parlare per più di un’ora e a fine serata decidemmo di andare in una discoteca lì vicino. Harry si sarebbe dovuto svegliare presto il giorno dopo ma pur di passare un po’ più di tempo con noi non esitò ad accettare.
 
-
 
«Sei solo mia, ricordalo sempre. Aspettami, tornerò presto. Non dimenticare a chi appartieni. Ti amo.» e a quelle parole mi baciò. Ricambiai appoggiando le mie braccia attorno al suo collo. Le nostre lingue danzarono a ritmo del lento che il dj aveva appena lanciato in pista. Continuava a stringermi a lui mentre ci baciavamo. Inutile contare le farfalle nel mio stomaco, ora non riuscivo neppure a capire se fossero farfalle o bisonti.
«Harry.. Il telefono.» disse timidamente Lilith porgendo il telefono squillante ad Harry.
Mi ritrassi al bacio e mi feci indietro mentre Harry discuteva forse con un tizio della crew del tour.
Sentii un ‘okay, arrivo’ e abbassai il capo. Harry staccò il telefono e  venne da me alzandomi il mento. Mi baciò di nuovo e se ne andò via dopo aver salutato Lil e Wayne. Bevemmo molto quella sera. Mi girava la testa.
 
Io rimasi lì, immobile, in pista con tanta gente che ballava. Sentii le lacrime rigarmi il viso. Harry era andato via.  Varcò quella porta troppo velocemente, il mio cuore rimase come squarciato. Vuota, in lacrime e con la testa che girava come una trottola. Alcune persone mi urtarono e di colpo mi svegliai.
«Che cazzo ti spingi coglione!?» urlai io contro un ragazzo.
«Ehi calmati, questa è una pista. Qui si balla e non puoi stare immobile, esistono delle sedie se non vuoi ballare.» rispose infastidito ma comunque pacato.
«Senti, non devi dirmi certo come devo comportarmi in questo locale. Vaffanculo!» ribattei perdendo la calma e raggiungendo Lilith e Wayne.
«Cazzo andiamocene!» dissi prendendo la borsa e uscendo di corsa.
I ragazzi mi seguirono. Mi sedetti su un muretto e iniziai a piangere. Lilith rimase per un attimo interdetta, poi venne ad abbracciarmi.
«Lasciami!» la strattonai. Mi baciò la fronte e sussurrò «Harry tornerà.»



*spazio autrice*
Finora come vi sembra la storia? 
Vi prego, recensite almeno so come migliorare:)
Ilaria xx

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Non risposi neppure, lasciai solo che le lacrime scendessero sul mio viso. Wayne mi tese un fazzoletto che presi senza degnarlo di uno sguardo.
 
La vita fa schifo. Sempre le persone che ami ti lasciano e ti abbandonano. Harry non tornerà, so come vanno queste cose. Diventerà famoso e il tempo di venire a Holmes Chapel non lo troverà più. Poi, anche se lo trovasse, so che non riuscirò a sopportare i paparazzi. È finita ormai, finita, ma la colpa di tutto questo è solo mia. Mi ero promessa di reprimere i miei sentimenti per Harry, non avevo intenzione di soffrire per la sua mancanza. Ne parlavo spesso con Lilith:
‘Lui ti ama, tu lo ami! È una cosa che va avanti da quando eravate piccoli! Basta a nascondervi dicendo di essere migliori amici.’
‘Non capisci Lil! Non è una di quelle relazioni possibili e anche se fosse non sarà una relazione rose e fiori. Lo capisci che una volta partito per lui diventerei un peso! Essere un peso è l’ultima cosa che voglio.’
Si, un peso cara amica mia.
«Sei una puttana! Non ti prenderà mai nessuno, credimi. Se lo farà qualcuno sarà solo per pietà! Chi vuole prendersi una ragazza stuprata? Chi?! Sarai solo un peso, per tutti!» mi aveva detto uno dei quattro mostri che mi violentarono. Quelle parole stavano ancora lì, bastava perdersi d’animo, bastava piangere che ritornavano insieme ai flash di quei giorni infernali. Chiudevo gli occhi, urlavo per non sentire quelle parole ma esse risuonavano sempre più forti dentro di me. Come se avessi ancora quel figlio di puttana a sussurrarmele all’orecchio ogni giorno per ricordarmele.
Harry potrà avere tutte le ragazze che vorrà tra qualche mese. Io non gli servirò più. Si dimenticherà di me di sicuro. Perché l’ho baciato? Perché? Cosa voglio dalla mia vita? Una storia con Harry?
Lui non è qui, non c’è per dare una risposta a queste domande. Non abbiamo neppure avuto il tempo di parlare, c’è stato solo il bacio e lui che mi ha detto di aspettarlo che sarebbe tornato. Io non ho aperto bocca. Avevo tante di quelle cose da dire ma sono rimasta muta a fissarlo mentre usciva dal locale. Mi faccio schifo da sola. Non fa schifo la vita, sono io che faccio schifo. Non so gestire una situazione, sono insicura, non riesco a far funzionare una relazione, ho paura di fare l’amore, ho paura del passato, ho paura del futuro.. Una volta ho sentito il mio psicologo parlare con i miei:
‘Lo stupro l’ha rovinata, poteva essere una ragazza piena di sé e felice ma purtroppo certe cose non si superano facilmente.’
Se quel giorno non avessi perso l’autobus delle quattro e dieci a quest’ora sarei una ragazza felice e piena di sé? Beh, sicuramente non sarei come sono ora. Forse ora sarei corsa a casa a preparare le valigie per partire insieme ad Harry; sarei andata a casa sua e l’avrei baciato prima ancora che potesse salutarmi. Avrei preso tutta la forza dentro di me per dirgli ‘ti amo, voglio stare con te’, ma la verità è che io la forza non ce l’ho. La verità è che ‘lo stupro mi ha rovinata’ e tanto vale togliersi di mezzo perché non si può più tornare come si era una volta.
 
«Dico che sarebbe meglio tornare a casa..» disse il mio amico.
Le lacrime avevano cessato di scendere sulle mie guance. Ora il mio sguardo era vuoto, senza espressione. Non avevo più acqua da espellere.
«Si Wayne, portami a casa.»
Salimmo in auto tutti e tre e non parlammo per tutto il tragitto. Io mi limitavo ad osservare fuori dal finestrino come se aspettassi qualcosa che non ritornerà.
«Vuoi che rimanga da te a dormire Cath?» mi disse Lil una volta arrivati a casa mia.
«Non ce n’è bisogno Lil, ci vediamo domani da Fray’s, pranziamo insieme no?»
«Insisto Cath.» mi fissò Lil.
Vidi Wayne dare una pacca sulla coscia di Lilith «Dai Lil, lasciala riposare.»
Lil guardò prima Wayne e poi me.
«Okay Cath, domani da Fray’s. Però ho lezione quindi credo di arrivare per le due.»
«Non fa niente.»
Salutai Wayne e scesi accompagnata da Lil. Prima di aprire la porta mi abbracciò e io la strinsi forte bisbigliandole un ‘grazie’. Mi accarezzò la schiena e tornò in auto.
Non se ne andarono subito, aspettarono come sempre che io entrassi in casa. I miei quella sera non c’erano. Papà era fuori per lavoro, mamma non avevo la più pallida idea di dove fosse. Chiusi la porta e sentii la Range Rover di Wayne andare via sgommando sulla breccia.
 
-
 
Mi spogliai rimanendo in intimo. Presi la borsa e iniziai a svuotarla.
«Dove cazzo sono?!»
Solo dopo mi ricordai di non averle portate con me. Le sigarette stavano ancora nel cassetto della scrivania. Non sono una a cui piace fumare, anzi mi da anche fastidio il fumo, ma spesso lo faccio per sfogo e per sentirmi meglio. Mi concentro sul fumo, su quanto puzzi e su quanto faccia male e non penso ai problemi. Ne sfilai una dal pacco e la accesi. Non mi andava di andare fuori, non mi interessava se avrei affumicato la camera.
Mi sdraiai sul letto, musica a palla pompata da un paio di cuffie, sigaretta in mano, serata ‘no’.
 
‘Come stai?’
E inevitabilmente sussurri un ‘bene’,
Senza neanche accorgertene.
Dentro sei morta e proprio quando pensi di essere arrivata al limite
Continui a morire sempre di più.
Un dolore incessante e irreversibile
Difficile da sopprimere.
È proprio allora che decidi di morire anche fuori.
 
La lametta era sempre lì, nel porta spazzolini sul lavandino. Ho iniziato a tagliarmi dopo lo stupro. Mi vergognavo solo ad uscire di casa, tutta la città sapeva di me. Così passavo le giornate in casa da sola, mentre i miei erano a lavoro. Non mi accettavo. Guardavo il mio corpo allo specchio e provavo ripugnanza, una terribile ripugnanza che disgustavo persino io. Dopo lo stupro non riuscivo neppure a spogliarmi e farmi una doccia. Il semplice fatto di stare nuda non lo sopportavo. I baci poi, ho ricominciato da poco ad accettarli. Braccia lacerate, maglioni e felpe larghi per coprire le ferite. I miei non si accorgevano di nulla anche perché erano poco presenti. Wayne, Lilith e Harry invece passavano le notti da me per tranquillizzarmi e per farmi buttare le lamette e le sigarette. Non ho mai pensato che Lilith e Wayne siano rimasti con me per compassione, cosa invece che ho pensato e che talvolta penso di Harry. Non lo so perché. Lui mi ama con tutta l’anima. Forse lo penso perché aver trovato qualcuno che mi ami sul serio non sembra vero, sembra troppo bello per essere vero. Solo che è la realtà e dovrei smetterla di andarmi contro.
 
Ero ancora in intimo e mi guardai i polsi e le braccia. Nessuna cicatrice, tutte si erano rimarginate. Tolsi le cuffie e guardai la sigaretta ancora fumante su una sottospecie di portacenere di carta. Mi alzai e senza pensarci due volte presi la lametta e sedendomi sul water iniziai. Mi tagliai una, due, tre volte. La prima fece male e urlai, alla seconda già non sentivo molto il dolore, tagliarmi ancora ormai era facile. Sette tagli, sette ‘squarci’ sulle mie braccia. A salvarmi è stato il trillo del cellulare. In lacrime e sanguinante buttai l’occhio sullo schermo del telefono: era un messaggio da Harry.
Non avevo la forza per fare nulla, a fatica medicai le ferite.
 
‘‘Buonanotte Amelia, ti amo xx Harry’’
 
Amelia? Non è possibile. Fissai quel messaggio per minuti interi. Mi aveva chiamata proprio Amelia. Mi ricordo che adorava il mio secondo nome e che da fidanzati lui mi chiamava sempre in questo modo ma, non mi sarei mai aspettata che lo rifacesse. Erano anni che nessuno pronunciava quel nome.
Per un attimo, sul mio viso bagnato dal pianto, comparve un sorriso. Harry mi aveva fatta sorridere.
Varrà la pena rispondere al messaggio? Varrà la pena provarci?
Andai a farmi una doccia, ne avevo proprio bisogno. 



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Sfilai l’intimo facendo attenzione a non piegare troppo le braccia. Dietro i tagli c’erano ancora sottili e affilate gocce di sangue pronte a rivelarsi nuovamente. Diedi un’ultima occhiata al cellulare ed entrai nella doccia. Aprii l’acqua e cacciai un urlo.
«Merda!» L’acqua era gelida e non aveva nessuna intenzione di intiepidirsi.
Riflettei sulla possibilità di andare al piano di sotto per far ripartire la caldaia, ma sbuffai e mi accasciai a terra lasciando che il getto d’acqua mi bagnasse anche il capo. Non mi insaponai neppure, mi alzai e chiusi l’acqua aprendo delicatamente l’anta scorrevole.
Afferrai distrattamente l’asciugamano e lo attorcigliai intorno al mio corpo umido. Raccolsi i capelli bagnati in un acconciatura quasi indecente e uscii dal bagno.
Un altro trillo. Un altro messaggio.
‘’Cath, è successo qualcosa? Perché non rispondi a Harry? Xx W.’’
A Wayne risposi. ‘’Stavo facendo una doccia.. Buonanotte. Xx ‘’
Quasi mi irritava il fatto che Harry avesse parlato con Wayne. Deve sempre andare a raccontare i fatti nostri agli altri. E poi se non voglio rispondergli saranno fatti miei. A volte però dimenticavo che i miei amici facevano così solo perché erano preoccupati per me.
 
‘’Ehi Edward, buonanotte. Ti amo anche io. Cath xx’’
 
Troppo tardi, inviato. Nel mio corpo percepivo due forze contrastanti: una che gridava ‘Non avresti dovuto farlo. Adesso non uscirai più da questa situazione.’ e l’altra ‘Fidati, hai fatto la cosa giusta.’
Stavo per diventare pazza oppure lo ero già?
Avevo il telefono in mano in attesa di una risposta da Harry. Passarono dieci minuti, ma di Harry nessuna traccia. Due potevano essere le opzioni: la prima è che si fosse addormentato e la seconda è che non sapesse cosa scrivere. La seconda è la più probabile. Ora più che mai avevo paura della sua risposta.
In quello stesso istante suonarono alla porta. Doveva essere mia madre, era molto tardi, quasi notte inoltrata. Mi coprii meglio con l’asciugamano e corsi di sotto. Abbassai la maniglia e la porta si aprì.
Rimasi immobile sull’uscio. Harry mi fissava serio, mentre sul mio viso scese una lacrima. Feci due passi indietro come per invitarlo ad entrare e non dissi nulla. Lui chiuse la porta dietro di sé con un calcio senza mai staccarmi gli occhi di dosso.
«Ciao Amelia.» disse spalancando le braccia.
«Ciao Edward.» risposi di rigetto abbracciandolo. «Cosa ci fai qui?» gli domandai sottovoce.
«Non potevo andarmene senza aver fatto una cosa.» rispose stringendomi a lui.
 
La risposta era arrivata. Non sottoforma di messaggio, ma era arrivata.
 
«Scusami l’abbigliamento. Vieni sopra almeno mi vesto anche.» gli presi la mano precedendolo sulle scale.
Si bloccò di scatto. «Cosa cazzo hai fatto Cathleen?»
Non capii all’inizio, ma poi vidi Harry che scrutava il mio polso, il mio braccio e lo ritrassi subito.
«Niente.» dissi abbassando lo sguardo ed entrando in camera.
«Mi avevi promesso che non lo avresti fatto più! Me lo avevi promesso diamine! Saresti morta se non fossi arrivato!»
«Non ti avevo promesso nulla Harry. Sei stato tu a capire che non lo avrei fatto più perché ti faceva comodo. Comunque non mi sono fatta tanto male, ne ho fatti solo sette.»
Sbuffò e si sedette sul letto con il viso tra le mani. Singhiozzava, non potevo permetterlo.
«Harry..» gli accarezzai i capelli.
«Tu non capisci Cathleen. Non capisci che sei tutto ciò che ho e che non posso perderti. Ho paura che un giorno ti farai ancora più male fino a morire. Già è successo Cath, non voglio che accada di nuovo.»
Ora piangeva, piangeva a dirotto.
«Tu sei forte mio piccolo Edward. Non devi piangere.»
«Non fare l’egoista per una volta! Non stai male solo te al mondo. Io ti amo Amelia, io ti amo da morire e non sopporto che tu continua a farti del male. Se non vuoi smettere per te almeno smetti per me. Ti ricordi quella volta che tentasti sul serio il suicidio? Poi mi desti la mano e finì tutto. Sei ancora in tempo per salvarti Cath. Pensi di essere destinata al dolore, alla pena e alla morte ma tutto si supera e si vince se si vuole. Puoi ancora ottenerla la felicità.»
Ora eravamo in due a piangere. Non sapevo cosa rispondere e rimasi seduta a testa bassa.
«Nessuno è forte Amelia, la forza si acquista con il tempo e dopo le esperienze. Nessuno ha una ragione di vita finché non la trova. La mia sei tu, sei sempre stata tu. Immagina io come posso sentirmi quando la mia ragione di vita si fa del male e pensa di scomparire da questa terra.» continuava Harry asciugandosi le lacrime e asciugando le mie. «Parlami Amelia, parlami!»
«Io.. Io ti amo.» dissi e lui mi guardò negli occhi.
I nostri visi si avvicinarono lentamente e così successe di nuovo. Ci baciammo con tutta la passione di questo mondo. Lui mi faceva stare bene, mi faceva sentire accettata anche se io faticavo a capirlo. 



*spazio autrice*
Ormai la trama l'avete inquadrata, spero vi convinca:)
Aggiornerò presto e.. grazie davvero a tutte le ragazze che seguono la storia<3
Ilaria xx

 

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