Rosario Cuentas

di HamletRedDiablo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anima di Cristo ***
Capitolo 2: *** Ave Maria ***
Capitolo 3: *** Angelo di Dio ***
Capitolo 4: *** Padre Nostro ***
Capitolo 5: *** Atto di Carità ***
Capitolo 6: *** Atto di Dolore ***
Capitolo 7: *** Confesso ***
Capitolo 8: *** Stabat Mater ***
Capitolo 9: *** Dies Irae ***
Capitolo 10: *** Nunc Dimittis ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Anima di Cristo ***




Le dita tamburellarono annoiate, e i riflessi diabolici del rogo si spansero sul grosso anello d’oro che gravava sul dito medio.

Una corda di panico strozzava le gole di tutti i presenti, intrappolando nel cuore parole, pensieri e paure. Tutte quelle facce sbiancate di paura e tinte dei riflessi delle fiamme li facevano assomigliare ad un gruppo di spettri che assiste ad un Sabba infernale.

Nicolas de Torquemada fece vagare i suoi occhi raggelanti sui volti congestionati dei presenti, sulle fiamme crepitanti e, infine, sugli eretici intrappolati nel rogo. La sua spaventosa indifferenza non venne scalfita dalla visione delle due vittime in pasto alle fiamme. Dopo due settimane di torture pressoché ininterrotte, i due uomini si erano dichiarati pentiti, ma questo non era bastato a salvar loro la vita: il Tribunale aveva deciso che il pentimento non cancellava la colpa, ma avrebbe alleggerito la pena. Le guardie li avevano strangolati, prima di legarli al palo della piazza principale ed accendere il rogo.

Nicolas fece ruotare l’anello attorno al dito, insoddisfatto: quei due avanzi di galera erano degli eretici della peggior specie. Non meritavano tanta clemenza da parte del Tribunale.

Tornò a tamburellare le dita, impensierito dalla buona riuscita della sua missione.

Come poteva ripulire il mondo se perfino i suoi colleghi erano così ciechi?

Non avevano di certo aiutato le anime di quei due disgraziati, che ora sarebbero bruciate per l’eternità nelle fiamme ardenti della Gehena. Avrebbero potuto espirare tutto con un tempo assai minore nelle fiamme mortali.

Rimise l’anello a posto, in modo che lo stemma di famiglia svettasse al suo dito.

Sventagliò un foglio di pergamena nell’aria satura di morte e cenere, e lesse il luogo della sua successiva chiamata.

Gli occhi apatici ebbero un guizzo di incredulità nel riconoscere la cittadina in questione. Una brama famelica incupì le iridi predatrici, mentre le pupille smembravano il nome della località come un lupo fa con una carcassa.

Nicolas ripiegò il foglio e lo sistemò nel farsetto, esattamente sopra il cuore.

Le due sagome carbonizzate nel rogo ancora ruggente gli parvero improvvisamente più interessanti, e la riduzione della pena molto più giusta.

Si domandava che faccia avrebbe fatto Antonio nel rivederlo.

La perfidia del demonio gli spiegò un orribile ghigno sul viso.

Chissà…

 

 

 

Anima di Cristo

 

 

Lovino schioccò mollemente la lingua un paio di volte, irritato.

Detestava dormire con la bocca aperta: un sapore simile a quello della sabbia sporca gli impantanava il palato, e la lingua si seccava come se il cuoco l’avesse messa sotto sale assieme al pescato della giornata.

Fece compiere a guance e lingua strani movimenti per riacquistare una salivazione accettabile. Poi si presentò il secondo problema di quella e di mille altre mattine: uscire dal letto.

Apparentemente si trattava di un’operazione semplice – bastava far sgusciare i piedi fuori dalle coperte, appoggiarli sul pavimento e alzarsi - ma le circostanze non erano favorevoli quando a bloccarlo contro il materasso era un metro e ottanta di spagnolo addormentato.

Lovino cercò con gli occhi i suoi vestiti, rintracciandoli in un mucchio disordinato poco distante dal letto.

Si rigirò per osservare l’uomo che dormiva al suo fianco: Antonio dormiva tranquillo, inconsapevole del problema che stava creando al giovane.

Lovino cercò di sgusciare fuori dal suo abbraccio, che si rivelò però troppo stretto. Tentò allora di sciogliere la presa dell’uomo, ma era più ostinata dell’acciaio.

Sbuffò infastidito, e ricorse alla sua ultima strategia: senza troppi cerimoniali, appoggiò il pollice sulla palpebra superiore dell’uomo e tirò verso l’alto, aprendogli di malagrazia l’occhio.

«Devo andare a pescare» notificò, lasciando la presa.

Antonio non inveì per la barbara sveglia: batté ripetutamente gli occhi per scacciare la sensazione irritante dell’aria sotto la palpebra, stiracchiò le braccia allungandole sulla schiena del giovane e lo strinse di nuovo a sé mentre mormorava: «Buongiorno.»

«Devo andare adesso» sillabò Lovino, compiendo un ennesimo tentativo. Le braccia di Antonio erano più cocciute da sveglie che da addormentate: appena percepirono lo spostamento del ragazzo, premettero sulla sua schiena, immobilizzandolo.

«I pesci non scappano» soppesò Antonio, poggiando la guancia su quella del compagno.

«Il tempo sì» replicò Lovino, scrollandosi nella stretta dell’uomo come un uccellino in gabbia. «Ci vuole un po’ per pescare qualcosa di buono, dovresti saperlo.»

«Il mare non diventerà sterile in cinque minuti» protestò in uno sbadiglio Antonio. Gli carezzò le spalle con una mano e propose: «Puoi restare ancora un po’ senza che succeda nulla di irreparabile.»

La finestra confermò la tesi dell’ex-capitano, lasciando intravedere un’alba ancora acerba, rischiarata a malapena dai primissimi raggi di sole.

Un brontolio si sbriciolò contro il suo petto, e Antonio capì di aver vinto.

Lovino era diventato più accomodante da quando si era gettato dalla Queen of Pirates per tornare da lui. Scalciava con un asino e sbuffava come un toro, ma le sue arrendevolezze scontrose si erano fatte più frequenti.

Poggiò una mano al centro della schiena nuda del ragazzo, mentre con l’altra gli accarezzava i capelli ramati: una parte di mare era rimasta intrappolata in quella chioma, e Antonio aveva l’impressione di sentire l’odore della salsedine ogni volta che le sue dita districavano le ciocche annodate.

Lovino si acquietò sotto le sue carezze, ma l’espressione imbronciata non svanì del tutto. Lo spagnolo la lavò via sollevandogli il viso per baciarlo. Perfino il modo in cui Lovino lo seguiva gli ricordava l’oceano: le onde possedevano la stessa languida docilità quando permettevano alle maree di incresparle e condurle a riva.

Antonio fece scivolare le dita sul profilo della vita magra e del fianco e ancora più giù, fino a raggiungere lo spigolo delle ginocchia, in attesa del consenso del giovane. Le callosità dovute alla lotta con la canna da pesca e con i pesci troppo testardi sfregarono contro la cicatrice sulla coscia dell’uomo: era il modo silenzioso con cui Lovino dava l’assenso.

Lo spagnolo si portò su di lui, dischiudendogli le gambe un poco alla volta per assaporare fino in fondo la sua vicinanza con il giovane amante.

Lovino scattò come un animale selvatico quando bussarono alla porta.

«E’ permesso?» vociò accorata Consuelo al di là del legno.

Il disappunto fiaccò le braccia ad Antonio, che ricadde sul materasso ormai vuoto, mentre Lovino schizzava a recuperare i suoi vestiti.

«Aspetta un secondo, Consuelo, devo vestirmi» la avvisò, mettendosi a sedere e cercando a sua volta i propri abiti.

«E come le spiegherai la mia presenza?» soffiò Lovino come un gatto cui è stata pestata la coda. Si sedette sul letto per allacciarsi le scarpe, una colorita processione di insulti che si srotolava dalle sue labbra. «Lo sapevo, dovevo alzarmi prima!» esclamò a mezza voce quando ebbe finito.

Ma non riuscì a sollevarsi dal giaciglio: il petto dell’amante premuto contro la sua camicia e le braccia che gli avvolgevano il ventre glielo impedirono.

«Fai una buona pesca, Lovino» augurò, posandogli un bacio sulla spalla coperta dalla stoffa grezza.

«Lo farò se mi lasci andare!» strepitò con un filo di voce l’altro, rialzandosi bruscamente dal letto.

Uscì in fretta dalla porta, scoccando un frettoloso: «Ciao Consuelo» in direzione di una confusa cameriera in vestaglia.

«Ieri ha diluviato, ed ero preoccupata per la tua gamba…» spiegò discreta, dirottando lo sguardo verso il soffitto per evitare di scorgere nudità che non era tenuta a vedere. «Ho interrotto qualcosa?»

«La mia gamba sta bene, Consuelo, non dovevi preoccuparti» la tranquillizzò Antonio, infilandosi i pantaloni per evitare che la cameriera si slogasse il collo per guardare altrove.

La donna arricciò i capelli con le dita e notò:

«Stai molto bene da quando Lovino ti viene a trovare la sera.» Era un’affermazione spudorata, ma senza malizia: Consuelo non stava criticando né calunniando. Si limitava a giocare con l’imbarazzo nascosto del suo padrone. «Sono… mesi ormai che viene a farti visita quasi ogni notte.»

«Non viene così spesso» limitò Antonio.

«E la tua gamba sta meglio» Consuelo annuì convinta, gli occhi che scintillavano di allegria dispettosa. «Non pensavo fosse così bravo in medicina. Forse potrebbe curare anche il mio problema alla caviglia.»

Sorrise quando Antonio la guardò con finta minaccia, avendo intuito che la donna stava solo scherzando.

«Consuelo, se ci provi ti licenzio in tronco» la avvertì, picchiando un colpo a terra con il bastone per sembrare più intimidatorio.

La donna gorgheggiò una risata e poggiò una guancia abbronzata sulla mano.

«Peccato che non vi possiate sposare. Mi sarebbe piaciuto vestirmi elegante per festeggiarvi» trillò.

«Se anche fosse possibile, Lovino dovrebbe essere incatenato e drogato per essere portato all’altare» considerò Antonio.

La donna si inginocchiò di fianco al letto e congiunse le mani come per pregare.

«Forse non dovrei dirtelo, ma quando la sera rivolgo qualche parole alla Dea del Mare, la ringrazio di averti costretto a rimanere sulla terra, per quanto doloroso sia stato.»

Antonio la fissò senza capire e Consuelo proseguì:

«Non credo che il mare ti avrebbe mai reso felice come Lovino. Le donne sanno queste cose: un amore per cui vivere è molto meglio di un sogno per cui esistere. Sono convinta che sia per questo che Lei ti ha obbligato a rimanere sulla spiaggia.»

«Spiegazione poetica» concesse Antonio.

«Io ci credo davvero» finse di offendersi Consuelo. «Visto che stai bene, posso tornare a sdraiarmi prima di cominciare il turno» decise, avviandosi verso la porta. «E prometto che la prossima volta non entrerò prima di aver sentito Lovino uscire dalla porta principale.»

«Te ne sarò infinitamente grato» concordò Antonio.

«Se vuoi darmi un aumento per questa mia cortesia…» mercanteggiò la donna.

«Questo è un ricatto» la ammonì Antonio.

«Solo un’amichevole estorsione» sdrammatizzò lei, prima di sparire.

Lo spagnolo si distese sui cuscini, e appoggiò il bastone al muro.

Dunque la Dea del Mare lo aveva fatto per il suo bene?

Era una visione certamente più romantica del ricordo della pallottola che gli sfregiava la pelle.

Antonio chiuse gli occhi, riconoscendo una nota del profumo del suo amante rimasta impigliata nelle lenzuola.

La gratitudine gli addolcì le labbra in un sorriso.

Non sapeva se nei piani divini era prevista la sua vita sentimentale, ma di una cosa era assolutamente sicuro. Il mare sarebbe stato per sempre la sua più grandiosa vittoria: il suo nome veniva sussurrato con rispetto tra i mozzi e con ammirazione dai capitani. Riusciva ancora a consigliare i marinai sui periodi e i luoghi migliori in cui imbarcarsi, poiché conosceva gli umori mutevoli dell’oceano meglio di chiunque altro. I suoi sogni erano ancora popolati di onde spumeggianti e navi possenti, e bastava il sentore della salsedine ad innescare il carosello dei ricordi.

Ma Lovino era unico.

Non aveva l’abilità poetica per descrivere la sua complessa arroganza, e non riusciva a fare paragoni che non gli sembrassero troppo esagerati o troppo minimalisti.  

Lovino era diventato una costante della sua vita, come il respiro o il palpitare del cuore.

Poggiò una mano sullo sterno, quieto e soddisfatto.

E seppe che, da qualche parte tra quei battiti, si annidava un’immagine del giovane pescatore.

Si illanguidì in quel pensiero ancora per qualche istante, prima di alzarsi definitivamente dal letto.

Anche quella giornata si presentava piena di prenotazioni da annotare, vecchi lupi di mare da salutare e cameriere impiccione da gestire.

Si vestì solerte, riassumendo la compostezza del padrone della locanda.

Aveva giocato alla damigella innamorata anche troppo a lungo.

Era ora di tornare agli affari.

Il sorriso, però, non svanì quando chiuse la porta della stanza dietro di sé.

 

***

 

Non odiava Consuelo.

Era una donna molto premurosa, estremamente affettuosa, e le forme che le gonfiavano la camicetta e la gonna facevano girare stuoli di uomini nella sua direzione.

Ma avrebbe preferito che ogni tanto mettesse un lucchetto alla sua euforia.

A sua discolpa, bisognava prendere atto che non lo faceva con cattiveria: semplicemente, la gioia le gonfiava i polmoni, e il modo migliore per sfiatare quella festosa pressione era dare aria alla bocca.

Immaginava perfettamente lo svolgimento dei fatti: Consuelo aveva svolazzato per tutta la cucina, cinguettando la sua felicità e i fatti privati della camera da letto del padrone.

Se avesse anche solo immaginato i danni che quella donna poteva fare, sarebbe rimasto in mare tutta la giornata. Anzi, sarebbe rimasto in mare fino a diventare un vecchietto canuto: sarebbe morto come un eremita, ma la sua dignità sarebbe rimasta intatta.

Diego fu il più sfacciato di tutti, e lo accolse con un altisonante fischio non appena il pescatore mise piede nella cucina, con la cesta piena di pesci sottobraccio.

Il sorriso del cuoco svettò sopra l’enorme tegame ribollente, e la sua voce grassa intonò una battutaccia oscena sui pesci che Lovino riusciva a pescare. Consuelo, paonazza in volto, li rimproverò per mettere freno alle loro bocche, ma non poté fare lo stesso con gli occhi: sguardi maliziosi seguirono Lovino per tutto il tragitto dalla porta al tavolo su cui posò il canestro.

«Arrivederci» li salutò spicciolo, dirigendosi verso l’uscita con la testa chinata come un ariete.

«Lo sapevamo già da mesi» Diego lo colpì a tradimento alle spalle.

Lovino si voltò, il viso scurito in un misto di risentimento e feroce imbarazzo.

«Cosa?»

«Che tu e il capitano…» Consuelo corse ad abbassare le braccia del cuoco prima che potesse mimare cose indecenti con le mani.

«Io e il capitano cosa?» Lovino quasi ringhiò.

Diego scoppiò in una risata gioviale, e prese a sistemarsi i polsini per renderli simmetrici.

«Non c’è niente di male. Anzi, congratulazioni» si complimentò, uscendo per continuare il servizio.

Consuelo lo seguì, e strizzò l’occhio a Lovino prima di uscire.

Il pescatore ispirò a fondo, cercando di riassemblare i pochi frammenti di reputazione rimasti.

«Non è stato difficile associare le tue fughe notturne al buonumore del capitano.»

Il ruggito del cuoco distrusse i suoi tentativi.

Lovino si scaraventò su una sedia, sfregandosi con foga i capelli.

«Quanto a lungo ne parlerete?» volle sapere, esasperato.

«Oh, non molto» rombò il cuoco, assestando un’energica mescolata alla zuppa di pesce: un piccolo maremoto si agitò nel pentolone, e per poco un’onda anomala non debordò. «Ne abbiamo già parlato molto negli scorsi mesi. E abbiamo fatto molte scommesse su quando lo avreste ammesso… forse questo non dovevo dirlo» commentò, notando l’espressione di Lovino in cui si mescolavano orrore e tradimento.

«No, non avresti dovuto» confermò ruvido, stringendosi una tempia con due dita. Era stato oggetto dei pettegolezzi e delle puntate dei dipendenti. Era quasi contento di non essere sulla sua barca: in quello stato d’animo, probabilmente si sarebbe legato un’ancora al collo e avrebbe lasciato che i flutti facessero il resto.

Il cuoco si grattò la barba, corta e ispida come le setole di un cinghiale, e rimbrottò:

«Senti… io qui cucino e basta, quindi forse dovrebbe essere qualcun altro a dirti queste cose… qualcuno che si esprima un po’ meglio di me.»

Lovino appoggiò la testa sul tavolo e la infagottò con le braccia: quando il cuoco prendeva le distanze da un discorso, un colpo micidiale era in agguato. E lui non era sicuro di essere pronto.

«Vabbé, ci provo» decise, scrollando le montagne che aveva come spalle. «Prima Antonio sorrideva tanto, però sorrideva solo con le labbra. Aveva gli occhi vuoti. E per noi era un po’ uno strazio. Insomma, un brav’uomo ti offre un lavoro, ti tratta come un suo pari e tu non sei capace nemmeno di farlo stare sereno… non è stato un bel periodo, no» scosse la testa e riprese: «Poi sei arrivato tu. Quando sei arrivato ti avevo scambiato per un ragno, eri più testa che altro… forse anche questo non avrei dovuto dirtelo.»

Un mugolio incomprensibile si levò dall’intrico di braccia. Il cuoco vi passò sopra e continuò la sua stramba arringa:

«Beh, adesso sei più in carne. Meno male, altrimenti Antonio non avrebbe avuto niente da toccare…»

«Arriva al punto!» sbottò Lovino, sempre annidato nel suo fortino.

Il cuoco girò più volte la zuppa mentre concludeva:

«Insomma, ora Antonio sorride anche con gli occhi. No, di più. Sorride con… l’anima, sì. Tu gli fai sorridere l’anima.»

Lovino rovinò completamente la lirica di quelle parole immaginandosi mentre faceva il solletico ad un fantasma con le fattezze di Antonio, e il suddetto spettro che si ammazzava di risate. Scosse la testa per scacciare quell’assurda immagine dalla sua testa.

«Sei la cosa migliore che gli potesse capitare» decretò convinto il cuoco. «E poi, scommetto che non c’è un pescatore bravo quanto te in tutta la Spagna!»

La faccia di Lovino rimase ancora per qualche istante alloggiata dietro la protezione delle braccia. Poi si rialzò, togliendosi il cappello per dare una scrollata ai capelli.

«Vado di là» comunicò.

Il cuoco lo lasciò andare, bonario. Antonio non era l’unico ad avere imparato qualcosa del comportamento del giovane: anche il resto del personale aveva capito che Lovino comunicava molto di più con il silenzio e il linguaggio del corpo che con le parole.

E il cuoco si compiacque del suo operato, perché la posizione delle spalle del giovane gli aveva rivelato che Lovino era felice delle sue parole, ma era troppo orgoglioso e imbarazzato per dirglielo.

Tornò a occuparsi della zuppa, stando attento a non scatenare un maremoto con il mestolo.

 

***

 

La sera si era adagiata sui tetti delle case, ricoprendo le finestre con un velo zaffiro scuro. Entro pochi minuti la tinta si sarebbe rappresa in un color lapislazzulo per poi cedere al nero totale: quella sera era prevista la luna nuova, e le stelle non sarebbero state sufficienti a rischiarare le strade.

Lovino rientrò prima del solito proprio per quel motivo. La Spagna non pullulava di criminali desiderosi di aggredire un pescatore per rubargli il paniere, ma l’italiano preferì accelerare il passo: non gli era mai piaciuto il buio. Lo detestava come odiava tutte le cose che potevano offuscargli i sensi: sentiva l’ansia crescere quando non riusciva a mantenere il controllo su ogni elemento presente.

Rientrò veloce nella locanda e, per un attimo, desiderò essersi attardato qualche minuto di più all’esterno: Antonio era dietro al bancone, ad annotare le ultime prenotazioni prima di chiudere, e due donne civettavano con lui.

Lovino storse il naso a quella vista: le due tizie erano strette in quei corsetti che spaccavano le costole, funzionali solo ad evidenziare la generosa scollatura. I capelli erano stati spazzolati con cura e fermati da pettini e forcine, i volti sapientemente truccati. Era troppo lontano per stabilirlo con certezza, ma era sicuro che fossero avvolte da una nube di profumo, probabilmente pregiato e costoso.

Corse in cucina a buttare il pescato su un tavolo prima di precipitarsi su per le scale: non voleva che gli starnazzi di quelle oche gli offendessero le orecchie. La gola gli si ostruiva per la nausea nell’udire le moine affettate di quelle due: probabilmente il cervello pesava meno degli accessori conficcati nei capelli.

Ogni volta che un simile spettacolo aveva luogo, si sentiva male come se avessero usato il suo stomaco per pulire il ponte di prua. Perché persone del genere si offrivano così ignobilmente al padrone della locanda?

La stoffa dei suoi vestiti non si sarebbe di certo trovata in una sartoria di lusso, e l’odore di pesce e mare che lo permeava non sarebbe mai stato imbottigliato da un maestro dei profumi, ma almeno era in grado di sostenere una conversazione senza rifugiarsi dietro a risolini superficiali o svenevolezze gratuite. E, sicuramente, non si sarebbe mai ridotto a fare le fusa solo per ottenere un’occhiata da Antonio. Aveva ancora un orgoglio da difendere.

«Lovino?»

Il ragazzo non fu del tutto sorpreso nell’udire il richiamo dell’ex-capitano: il tonfo ritmico del bastone lo aveva preceduto sulle scale.

«Non ti ho visto tornare» disse, aprendo la porta della stanza.

«Lo so. C’erano due donne con tutta la loro mercanzia ad ostruirti la visuale» criticò sarcastico Lovino.

Antonio interruppe a metà l’apertura della porta.

«Sono stato vittima di un corteggiamento piuttosto serrato» ammise lo spagnolo, decidendosi ad entrare nella stanza. Il giovane attese un istante prima di seguirlo. «Ma ho respinto ogni loro offerta.»

«Offerta?» reagì il pescatore.

Le dita di Antonio si mossero sull’impugnatura del bastone, tormentate.

«Non credo tu voglia sapere. Alcune persone sono molto dirette» mediò, purificando quanto era stato detto in quella serata.

Lovino incrociò le braccia e mosse il mento con aria di sfida.

«Sembravano delle belle donne» lo provocò.

«Lovino, non mi sono sentito lusingato» chiarì l’altro.

Il ragazzo bloccò la sua offensiva quando Antonio si sedette sul letto e storse la bocca per una fitta improvvisa alla gamba: Consuelo non aveva sbagliato a preoccuparsi delle sue condizioni.

«Ti fa ancora male?» s’informò Lovino, inginocchiandosi di fronte al giaciglio. Tentò di mantenere un tono bisbetico, ma la preoccupazione impregnò con prepotenza le sue corde vocali, facendole tremolare anziché vibrare.

Antono sorrise, poggiando il bastone contro il muro.

«Ogni volta che succede, diventi geloso» allungò una mano per sfiorargli il viso, e la ritirò per timore che il pescatore gliela mordesse quando questo imprecò:

«Non sono geloso. Mi fa schifo vedere degli esseri umani comportarsi come animali in…»

«Lovino» lo frenò Antonio.

Il giovane masticò qualcosa a denti stretti, frustando il pavimento con gli occhi.

Sapeva di essere geloso, ma non voleva che Antonio se ne accorgesse. Le donne di quella sera, e delle sere precedenti, non erano di certo in grado di interessare l’ex-capitano: il padrone della locanda aveva conosciuto troppe persone e visitato troppi luoghi per farsi incantare da una civetteria querula o da un lembo di pelle scoperto. Ma forse un giorno sarebbe arrivata una donna di bell’aspetto e con un cervello sopraffino in grado di fargli perdere il senno.

Non gli piacevano quei pensieri, lo facevano sentire scoperto e vulnerabile per una cosa incerta come il futuro: come poteva temere qualcosa più inconsistente dell’aria? Eppure la paura era lì, e lo afferrava quando simili scene si presentavano.

Era abbastanza savio da riconoscere che una donna aveva certamente più prospettive da offrire, rispetto a lui: poteva garantire una discendenza, un buon matrimonio e un appagante status sociale. Lui… pescava.

I pensieri volarono via come i gabbiani al giungere di una nave quando Antonio gli passò le dita tra i capelli.

«Ho saputo che i camerieri sono in fermento» sorrise, poggiando le labbra sulla fronte del compagno. «Consuelo ha cantato come un usignolo, vero?»

«Ha sparlato come una comare» precisò Lovino.

«Se le voci ti danno fastidio, dovresti tornare in camera tua» prescrisse Antonio, allontanandosi.

«No» si risentì il ragazzo, afferrandolo per i gomiti perché non scappasse.

Un sopracciglio scuro si sollevò per la sorpresa.

«Domani mattina raddoppieranno la dose, se resti» lo avvisò l’uomo.

Lovino si rialzò da terra e si sedette senza troppa grazia sulle gambe dell’amante.

«Non mi interessa» borbottò, incastrando le braccia tra di loro.

Antonio gli fece scorrere un dito sulla schiena, per vedere i suoi occhi fremere dietro la maschera di offesa.

Non insistette oltre con le parole, consapevole che ogni sillaba era un azzardo: fare il primo passo e dover attendere la reazione dell’altro faceva sentire Lovino scoperto, il che aumentava esponenzialmente il suo pessimo temperamento. Bastava un accento fuori posto perché il giovane si sentisse denigrato o insultato.

Preferì parlare in un linguaggio che non avrebbe frainteso: lo guidò a poggiare la guancia sulla sua spalla, e lo avvolse con le proprie braccia, carezzandolo piano. Le mani del ragazzo si convinsero ad abbandonare la loro posizione conserta per cingere il busto dell’uomo.

Lovino chiuse gli occhi, distanziandosi dal resto del mondo per concentrarsi solo sul tepore del suo amante. Gli unici momenti in cui accettava di restare al buio, erano quando la presenza di Antonio lo circondava.

«Devi farti la barba» lo avvisò, quando l’uomo interruppe il bacio per sbottonargli la camicia.

«Provvederò» garantì, poco prima di lambirgli il petto con le labbra.

Lovino sospirò sulla sua zazzera scura, la bocca del compagno che risaliva lungo il collo.

Solo qualche mese prima si sarebbe agitato come un pesce catturato a mani nude, e avrebbe cercato in tutti i modi di rendere difficili le cose al suo datore di lavoro.

Da quando il brontolio aveva ceduto il passo all’accondiscendenza?

Il pensiero si smembrò quando le molle del letto cigolarono sotto il peso dei loro corpi avvinghiati.

 

***

 

Un bubbolio lontano si insinuò nelle sue orecchie, ma a svegliarlo fu la luce della lampada e lo schianto della porta quando Consuelo si precipitò nella camera.

La nebbia del sonno indugiò sui suoi sensi, e Lovino districò a fatica tra le sue percezioni fangose strilli sussurrati della donna.

«Antonio, Lovino, presto! Dovete vestirvi!»

Qualcosa si mosse sopra di lui, e il pescatore rabbrividì per l’improvvisa perdita di calore quando Antonio si alzò su un fianco.

«La locanda va a fuoco?» sbadigliò l’ex-capitano.

«Ah, magari!» esacerbò la cameriera. Si fece il segno della croce e mimò l’atto di sputare per terra. «Peggio, molto peggio! Lovino, svelto, alzati! E’ meglio se scendete a distanza uno dall’altro. Oh Signore!» Consuelo cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro di fronte alla porta, la luce della lampada che reggeva tra le mani sussultava sui muri.

La donna continuò a intervallare preghiere e maledizioni mentre loro si cambiavano, le dita che scattavano dalle labbra ai capelli, dalle ciocche corvine alla lampada.

«Cosa succede?» domandò Antonio, allacciandosi la fibbia dei pantaloni. «E’ entrato Satana, per caso?»

Lovino trasalì per la risata isterica di Consuelo: sembrava che una strega le stesse straziando la trachea con gli artigli.

«Hai quasi indovinato» ansò la donna, quando le risa insane si furono placate. Fece il segno della croce altre tre volte, e poi rintoccò funebre: «Nicolas»

Il bottone rimase a penzolare senza raggiungere l’asola: le mani di Antonio si congelarono alla notizia.

«Quel Nicolas?» soffiò, trasecolato.

Gli occhi castani del pescatore saettarono dall’uno all’altra, indecisi su cosa fare: una parte di lui voleva lanciare qualche battuta acida a Consuelo, che aveva distrutto la privacy altrui per la seconda volta in una sola giornata; l’altra era paralizzata dal pallore mortale della donna e dall’espressione di granito dell’uomo.

Antonio aveva visto il volto della Dea del Mare, e ne parlava con tranquillità. Aveva affrontato la morte migliaia di volte, e raccontava tutte quelle vicende da narratore appassionato. Dubitava che esistesse qualcosa al mondo in grado di spaventarlo davvero.

Lo aveva creduto fino a quel momento. Seppellito sotto una fitta coltre di autocontrollo, Lovino riusciva ad individuarlo: il panico si attorcigliava negli occhi dell’uomo come un nido di vipere.

«Vai di sotto più in fretta che puoi e chiuditi nella tua stanza» ordinò brusco Antonio, armeggiando con i polsini.

Normalmente Lovino avrebbe protestato per un ordine così perentorio e così immotivato. Ma lo scintillio di timore ancora palpitante nelle iridi del compagno lo persuase ad obbedire senza fiatare.

Consuelo si fece da parte per permettergli di passare, e richiuse la porta dietro di lui.

Il pescatore sistemò velocemente i capelli e riassestò il colletto storto della camicia. Poi scese le scale e, seguendo le indicazioni dell’ex-capitano, fece per dirigersi verso la sua camera.

«Oh. Dunque è questo il vostro nuovo aiutante?»

«Nuovo non direi, signore: Lovino lavora con noi da quasi due anni, ormai.»

La voce sconosciuta lo raggiunse contemporaneamente alle gambe, fiaccandogli le ginocchia, al collo, strozzandogli il respiro, e al cuore, bloccandone i battiti. Se le cavernose tonalità del cuoco non fossero intervenute subito dopo a tranquillizzarlo, sarebbe caduto a terra, tremante e paralizzato.

I vecchi bucanieri adoravano terrorizzare i bambini con i racconti delle sirene, le arpie del mare che seducevano le navi con le loro voci per attirarle sugli scogli e sbranare l’equipaggio, o che lanciavano le loro grida altisonanti per far impazzire i mozzi. Quella voce gli trasmise la stessa gelida sensazione: non poteva appartenere ad un essere umano.

Si voltò cauto, ed un volto brunito forgiato da furbizia e sottile sadismo ricambiò il suo sguardo. Mantenne la testa alta e la schiena dritta: chiunque fosse la creatura che attendeva di fianco al cuoco, non si sarebbe lasciato intimorire. Era troppo orgoglioso per permettere alle gambe di tremare.

Contenne un brivido quando gli occhi dell’uomo lo scrutarono alla ricerca di una breccia nella sua difesa. Aveva le iridi ferme e immote di un morto, la pupilla stretta di un rettile e lo sguardo penetrante di un assassino.

Lovino strinse le labbra quando capì perché l’uomo lo agitasse tanto. Sulla stoffa scura del farsetto, spiccava rosso sangue il simbolo del cacciatore di eretici.

Un Inquisitore.

«Non ho mai avuto il piacere di parlare con il vostro garzone» flautò l’uomo, facendo girare attorno al dito l’anello d’oro massiccio.

«E’ un pescatore» grugnì il cuoco.

«Vi chiedo scusa» sancì lo sconosciuto, chiaramente indifferente al perdono dell’altro. «Vi dispiace tenermi compagnia, mentre il vostro padrone termina i suoi preparativi?»

Vi fu un istantaneo scambio di sguardi tra Lovino e il cuoco: l’orso di mare gli fece cenno di accettare, e il ragazzo assecondò la sinistra proposta.

L’Inquisitore si accomodò su una poltrona, indirizzandogli un ghigno sbilenco mentre attendeva. Lovino si sedette con la rigidità del legno sul sedile limitrofo.

«Temo di non essermi ancora presentato» si schermì falsamente l’uomo. Gli tese una mano con altezzosa galanteria e proclamò: «Nicolas de Torquemada.»

«Lovino» replicò il giovane, stringendo a malapena la mano dell’altro: era sicuro che si sarebbe trasformata in un cobra e lo avrebbe morso a morte, se l’avesse indispettita.

Nicolas agitò distrattamente le dita come per rimuovere della polvere e proseguì:

«Nome davvero singolare. Non lo avevo mai sentito prima. Non è spagnolo.»

Lovino non era sicuro che quella dell’Inquisitore fosse una domanda, ma annuì ugualmente.

«Venite dall’Italia, giusto?»

Lovino assentì di nuovo, fissando un punto indefinito nello spazio circostante. Non ricordava se l’etichetta permettesse a lavoratori umili come lui di alzare gli occhi verso un Inquisitore. Preferiva comunque evitare quello sguardo: era viscido come una murena, e freddo come le correnti invernali. Ed era innaturale, come sentire la voce di un defunto rimbombare in una cripta. Rabbrividì a quell’idea.

«Non mi pare esista un nome simile, su quella penisola» meditò sicuro Nicolas.

«Con tutto il dovuto rispetto, signore, ma credo che il nostro Lovino ne sappia più di voi sulle consuetudini italiane.»

Nicolas rivolse al cuoco uno sguardo in cui si mescolavano disprezzo e superbia, fuse su una base di malignità.

«Probabilmente avete ragione. Ma spero che voi, Lovino, comprenderete…» continuò, voltandosi verso il ragazzo. «Che qui siamo nel mio paese, non nel vostro. E non solo conosco le consuetudini spagnole, ma posso crearle

La minaccia insita in quelle parole gli pizzicò il fegato, irrorando il coraggio necessario affinché Lovino recuperasse la sua sfrontatezza e controbattesse:

«Non capisco perché sono qui. Mi state accusando di qualcosa?»

«Niente affatto. Stiamo solo chiacchierando. Vi sentite a disagio, per caso?» sciorinò mellifluo l’uomo.

«Avete un modo piuttosto intimidatorio di chiacchierare, signore» il pescatore restituì il colpo, serrando spasmodicamente le dita tra loro.

«L’ansia risiede nei colpevoli» deliberò Nicolas. «E’ così che vi sentite? Colpevole?»

«Certo, sono colpevole» espresse una voce familiare alla loro destra. «Ben cinque minuti di ritardo. Imperdonabile.»

Nicolas si esibì in un sorriso da aspide nell’alzarsi per salutare il gestore della locanda.

«Antonio Fernandez Carriedo» il nome dell’ex-capitano si allungò untuoso sulle sue labbra sottili. L’Inquisitore si alzò per depositare un bacio fraterno sulla guancia ancora non rasata di Antonio.

Lovino provò l’impulso di rifugiarsi dietro lo schienale della sedia: fu come vedere Giuda dare il bacio del tradimento. Avrebbe preteso che Antonio si lavasse a fondo quella guancia, prima di accomiatarsi di nuovo con lui.

«Lovino ti ha tenuto buona compagnia?» si informò Antonio, stringendo la presa sul bastone: quel bacio gli aveva disarmonizzato i sensi, e faceva quasi fatica a reggere l’impugnatura tra le mani. «Ti ringrazio per avermi sostituito, Lovino. Ora puoi andare.»

Il giovane sarebbe stato ben felice di seguire il suo comando, ma Nicolas gliene impose un altro:

«No, fallo restare. Ha un’ottima retorica. Mi piacerebbe molto scambiare due parole con entrambi

Antonio arginò con enorme maestria il malessere per quella proposta, e si sistemò con apparente noncuranza tra Lovino e l’Inquisitore.

«Da quanti anni non ci vedevamo, capitano?» rimembrò con finta nostalgia Nicolas, tornando a tormentare l’anello.

Antonio fece scorrere le dita sull’elsa dorata del bastone, ripercorrendo il tracciato dei flutti scolpiti. Lovino ebbe l’impressione che il padrone della locanda si fosse posizionato al centro di proposito per proteggerlo dallo sterminatore di blasfemi. E la risposta dell’ex-capitano lo confermò.

«Da quando hai acceso i roghi nella mia città natale, Nicolas.»





E tornano i pirati anche qui<3
Come già detto in Rosa de los Vientos... anche questa fic era destinata a diventare un'originale. Ma il concorso ha deciso diversamente ergo... eccola di nuovo qui<3
E devo dire di essere molto contenta di vederla online una seconda volta<3 Mi è costato tanto toglierla, e sono felice di rivedere Lovino, Antonio, Arthur, Diego, Consuelo... sì, forse sono felice di rivedere perfino Nicolas XD
Spero che li apprezzerete di nuovo come la prima volta<3
E ancora grazie per avermi sostenuta durante la prima pubblicazione di questa storia<3 I vostri commenti sono salvati con cura nel mio computer<3
Grazie<3
Red

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Capitolo 2
*** Ave Maria ***


Ave Maria

 

La notizia scottò sulla pelle come un tizzone ardente, e Lovino faticò a restare fermo sulla sedia.

L’abitudine l’aveva convinto che Antonio fosse nato nella città in cui aveva avviato la sua locanda. Mai avrebbe immaginato che provenisse da un altro villaggio, per di più flagellato dall’Inquisizione.

Nicolas sfilò l’anello, lasciandolo penzolare sull’ultima falange.

«Vivevi in una cittadina ammorbata dagli eretici» si giustificò candido l’uomo. «Per quanto drastica, era un’operazione necessaria. Soprattutto per le anime di quei peccatori.»

«Sono sicuro che vi avranno benedetto per la vostra premura, mentre il rogo gli dilaniava le carni.»

Antonio non aveva mai usato parole meno che gentili, in sua presenza, le labbra perennemente curvate in un sorriso e la voce impostata su modulazioni calde e amichevoli come il sole spagnolo. Se non l’avesse visto con i propri occhi, non avrebbe mai creduto al distacco ghiacciato nelle iridi dell’uomo; se non l’avesse udito con le proprie orecchie, non avrebbe mai ipotizzato la lama del distacco nelle sue parole e il macigno del rancore nella sua gola. Strinse i pugni sulle ginocchia, sperando che quell’interrogatorio finisse presto: Antonio stava diventando la personificazione della vendetta, e quella sua trasformazione lo spaventava più delle insinuazioni dell’Inquisitore.

«Li abbiamo salvati dalle fiamme eterne, che si sarebbero cibate della loro anima, e non del loro corpo» classificò Nicolas.

«Ammirevole» si complimentò monocorde Antonio, stringendo la presa sul bastone e parandosi ulteriormente davanti a Lovino. «Hai intenzione di innalzare qualche rogo salvifico anche qui?»

«Solo se sarà necessaria una purificazione» l’anello tornò al suo posto, e Nicolas si accomodò tracotante sulla poltrona. «Non possiamo dimenticare la nostra missione contro le eresie, per quanto possa sembrare spaventosa. Satana non dorme mai.»

«Concordo» asserì Antonio, fissando eloquente l’Inquisitore.

Nicolas passò una mano tra i capelli in cui si mescolavano castano e argento, lentamente, lasciando che un silenzio teso si allungasse tra di loro.

«Ma non stasera. Sono venuto solo per farti visita» garantì infine. Studiò lo spazio circostante con attenzione e dichiarò, teatrale: «Temo che manchi una persona.»

Lovino lo fissò senza capire, e la medesima confusione passò anche sul volto di Antonio.

«La vostra amata» spiegò Nicolas. «Avete spezzato il cuore a molte fanciulle per quella donna. Ma non la vedo nella vostra locanda.»

Il pescatore si fissò le dita con vivo interesse. Un miscuglio di emozioni gli stava agitando le viscere: l’acido del tradimento gli attaccava lo stomaco, e il rombo della rabbia gli echeggiava tra le costole. Non sapeva niente di quella presunta donna. Ma non voleva rischiare di dire qualcosa che potesse mettere Antonio nei guai, o di battere le palpebre in modo compromettente: un Inquisitore poteva accusare sulla base di un respiro troppo rumoroso. Doveva aspettare; avrebbe fatto la sua scenata non appena si fossero trovati da soli e lontani da orecchie indagatrici.

Le sopracciglia dell’uomo scattarono nervose quando compresero le trame dell’Inquisitore.

«Hai mandato tu le due giovani di ieri sera» l’irritazione di Antonio, scacciata forzatamente dalla voce, migrò nelle nocche, sbiancandole completamente.

«Non sono le uniche ad essere state rifiutate per questa donna, presumo» Nicolas sorvolò la domanda con insolente noncuranza. «La tua prediletta è ormai una favola che gira per le strade.»

«E tu presti orecchio alle favole cittadine? Invidio il tuo tempo libero: io sono così indaffarato con la gestione della locanda che riesco a malapena a respirare» replicò l’ex-capitano.

«Ascoltare le voci di popolo fa parte del mio lavoro. I mormorii delle strade sono le confessioni del volgo: non hai idea di quanta verità possa nascondersi in esse. Ebbene?» insistette l’Inquisitore.

La mano di Antonio, ben nascosta dallo sguardo di Nicolas, sfiorò appena la coscia di Lovino. Non comprese cosa volesse comunicargli con quell’accenno di carezza, ma il pescatore serrò le labbra e contenne il malcontento. Fu così che riuscì a controllare il colpo che la successiva affermazione dell’uomo gli assestò dritto nello sterno.

«E’ vero, amo una donna. Ma la mia fede nuziale è in un sepolcro. E’ morta anni fa» rivelò Antonio.

Gli occhi rapaci del cacciatore di blasfemie si dilatarono in un’esagerata sorpresa.

«Davvero? Le mie condoglianze, non intendevo mancarti di rispetto» si scusò l’Inquisitore con squisita falsità. Le dita predatorie si appoggiarono sull’anello. «Immagino che le visite alla sua tomba siano frequenti…»

«Sarebbe complicato. Si trova oltreoceano» si difese Antonio.

«Oh… era un’indigena?»

«Un’emigrata spagnola. La sua famiglia si era trasferita nella colonia.»

«Doveva essere molto giovane, se l’hai conosciuta navigando. Come può…»

«Malaria» Antonio anticipò la domanda del rivale. «La febbre l’ha portata al delirio e alla morte in poco più di una settimana.»

Il lontano rombo di un tuono suonò come una campana funebre.

«Deve essere stato straziante» giudicò Nicolas, senza dispiacere nella voce. «E per questo hai deciso di esserle devoto fino alla tomba?»

«I motivi non dovrebbero interessarti, se davvero non vuoi mancarmi di rispetto» lo riprese Antonio, visibilmente seccato.

«Capisco. Ti chiedo di perdonarmi» si schernì l’altro. Si sporse per oltrepassare con lo sguardo l’ex-capitano, e Lovino percepì la lancia gelida della paura scorrergli lungo la colonna vertebrale.

«E’ in memoria della tua dama che hai dato rifugio ad un immigrato?» investigò l’Inquisitore, fissando il pescatore. «Entrambi hanno abbandonato la loro terra natia.»

«Sono un buon pescatore. E’ per questo che lavoro qui.»

La fronte di Nicolas si increspò al centro, come se avesse sentito parlare una statua. Sebbene un po’ gracchiante, la voce di Lovino era uscita chiara e comprensibile.

Il primo tuono fu seguito dal corteo dei suoi fratelli, preannunciati da alcune scariche si lampi che abbagliarono i vetri della locanda.

«Sei davvero generoso ad assumere un immigrato senza referenze e senza famiglia» considerò, prima di rivolgersi nuovamente a Lovino: «So che siete orfano.»

«Sì» convalidò. Non capiva perché si rivolgesse in tono tanto formale a lui, che era solo un pescatore, e parlasse con tanta familiarità ad una leggenda dei mari come Antonio. Forse era anche quella una tattica per disorientarlo.

«Siete molto devoto al vostro padrone, nevvero?» rimarcò Nicolas, congiungendo le punte delle dita. «Avete rifiutato l’occasione della vostra vita per lavorare qui.»

«Prego?»

«Far parte dell’equipaggio della Queen of Pirates è il sogno di molti marinai. Eppure voi avete preferito rimanere qui» espose l’uomo, un ghigno sardonico che si faceva strada sulle labbra maligne.

«Ho capito che la vita di mare non faceva per me» spiegò conciso Lovino.

Come faceva quell’uomo a sapere anche quello? Era una delle storie di cui parlava con più riserve, e certamente non gli faceva piacere che un Inquisitore cercasse di ritorcerla contro di lui.

«Eppure pescate ogni giorno» cercò di coglierlo in fallo l’altro.

«Mi bastano poche remate per pescare. È molto diverso dall’imbarcarsi per mesi» Lovino quasi ringhiò, nonostante le spalle abbassate e le dita contratte.

«E l’avete capito semplicemente salendo la passerella?» lo sfidò Nicolas.

«Sì, signore. Se voi foste un marinaio, capireste» attaccò a sua volta il ragazzo. Il suo cuore era raggrinzito dalla paura, ma non avrebbe permesso a quell’uomo di rigirarlo secondo i propri capricci come stava facendo con il suo anello.

Uno scroscio di pioggia si aggiunse allo spettacolo dei lampi e dei tuoni, riempiendo tutto il cielo con le musiche della tempesta.

Nicolas si voltò a fissare una finestra sferzata dalle intemperie, e decise fosse giunto il momento del commiato.

«Chiedo scusa per avervi sottratto tanto tempo. Vi ringrazio per la piacevole compagnia» salutò, dirigendosi tranquillo verso la porta.

«Fai attenzione ai fulmini» non vi era premura nelle parole di Antonio, ma Nicolas le accolse comunque come la più sentita delle preoccupazioni.

«Fai attenzione al tuo pescatore. Non lo farei uscire con una simile bufera» l’Inquisitore scoccò la sua ultima illazione prima di essere inglobato dalla tormenta.

Per un momento, il tempo smise di scorrere nella locanda: solo la pioggia che batteva furiosa sui vetri indicava che il mondo non si era fossilizzato.

Il primo a rompere quella quiete innaturale fu il cuoco.

«Stavo per strozzarlo!» barrì, furibondo. «Giuro, gli avrei cavato quel sorrisetto con… dove vai, tu?» esclamò, afferrando Lovino per il colletto.

«Devo andare a pesca» rispose brusco il ragazzo.

«A quest’ora? Con questo tempo?» lo rimproverò il cuoco, rispedendolo indietro con le sue mani da galeotto. «Sono le quattro di notte. E, con questa pioggia maledetta, non penso ti convenga andare a pescare.»

«Dovrei passare la giornata a oziare?» s’inasprì il giovane.

«Puoi aiutarli con il servizio. Che non comincerà prima delle cinque e mezzo, comunque» suggerì Antonio, alzandosi dalla sedia.

Lovino chinò sbrigativamente il capo e si diresse a passo veloce verso la propria stanza.

«Quell’Inquisitore l’ha innervosito parecchio» notò il gigante, poggiando i pugni contro i fianchi rocciosi.

«No, non è stato Nicolas. E’ arrabbiato con me» sospirò Antonio.

«Con te?» si sbalordì l’omone.

Non era molto difficile fare previsioni su Lovino. Era come indovinare l’indole del cielo: determinati segnali corrispondevano a precisi cambiamenti umorali. Nicolas lo aveva spaventato, ma lui lo aveva irritato. E conosceva anche il motivo.

«Vado a parlargli» il bastone si mosse con più fatica del solito mentre Antonio raggiungeva la stanza del ragazzo. Sperava che la stagione delle piogge finisse presto e, con essa, le torture alla sua gamba.

«Non sapevo nulla di questo tuo grande amore» sparò Lovino non appena il compagno varcò la soglia.

Il petto dell’uomo si rilassò nell’esalazione di un profondo sospiro: la sua intuizione si era rivelata corretta. Era stato il discorso sulla spagnola emigrata a indispettire Lovino, che ora se ne stava seduto a braccia conserte, appallottolato su se stesso come un riccio bellicoso.

Antonio trascinò in avanti la gamba fino a sedersi a sua volta sul letto. Come prevedibile, il giovane si spostò sul lato opposto.

«Non te ne ho parlato perché non esiste» il pescatore storse il capo per fissarlo con un cipiglio ostile, e l’uomo rincarò: «Ho dovuto mentire.»

«Perché?» volle sapere il ragazzo.

Antonio passò una mano sul viso, pesantemente.

«Perché l’Inquisizione considera sacrilego un rapporto come il nostro» esalò.

Quell’affermazione sciolse le spalle conserte di Lovino, e ne moderò impercettibilmente la tensione.

«Perché l’Inquisizione dovrebbe considerarlo sacrilego?» domandò il giovane.

Antonio inclinò la testa all’indietro per sciogliere i muscoli del collo, indolenziti dal poco riposo.

«Pensano che non sia nell’ordine naturale delle cose» raddrizzò la testa e continuò: «In Natura esistono uomini e donne, quindi è logico che gli uomini giacciano con le donne. Se la Natura avesse voluto diversamente, avrebbe creato solo uomini o solo donne. E poi, l’unione tra uomo e donna genera un figlio, quindi un futuro. Ed è innaturale che un uomo si privi da solo del proprio futuro, giusto?»

«Quindi per loro non è logico che un uomo possa volere un altro uomo» terminò Lovino.

«Non solo non è logico, è un’offesa ai più vincolanti dettami della Natura» ribadì Antonio. «Quindi, se un uomo sceglie di amare una persona del suo stesso sesso, sta infrangendo una delle leggi più sacre dell’universo. E per commettere un simile peccato, che non è proprio della sua indole, vuol dire che è stato fuorviato.»

«Fuorviato?» gli fece eco Lovino.

«Dal diavolo. Solo Lucifero può convincere una persona a commettere una tale blasfemia, secondo loro. Pertanto, il demonio va estirpato. E questo significa…» l’ex-capitano deglutì, incapace di finire la frase.

«Purificazione» sussurrò il giovane, appena udibile.

«Con il fuoco» Antonio asserì, serrando le mani all’impugnatura del bastone.

Il materasso di paglia scricchiolò a seguito dello spostamento di Lovino verso il compagno.

«Non hai bisogno di parlarne» lo consolò rudemente.

Il padrone della locanda impiegò qualche istante a rispondere: dovette scuotere la memoria per cacciare dagli occhi l’immagine di una città carbonizzata dal sospetto, e segnata dalle nere cicatrici dei roghi. Attirò a sé il ragazzo con un brusco strattone e respirò il profumo familiare dei suoi capelli, scacciando dalle narici il puzzo di quell’orrore ancora vivo nei suoi ricordi.

«Te ne parlerò» promise l’uomo, carezzandogli le ciocche sulla nuca. «Ma stasera… no.»

Lovino annuì contro la sua clavicola, poi rimase immobile.

Le sue labbra si piegarono poco dopo a formare una protesta tremolante. La voce vacillò sotto il peso delle lacrime trattenute, e lo stress per lo spavento di poco prima trasmise un lieve tremore alle mani chiuse a pugno.

«Diceva che ho sprecato la mia occasione. Ma cosa ne sa, lui, di me?»

«Cerca solo di confonderti. E’ uno specialista in questo» tentò di tranquillizzarlo Antonio, inutilmente. Le spalle del ragazzo quasi sobbalzarono, e la testa venne chinata di scatto per non mostrare le lacrime al compagno.

«Detesto che quella storia continui a saltare fuori. Ho fatto la mia scelta, d’accordo? Un estraneo non può venire a dirmi qual è l’occasione della mia vita.»

«Lovino…» Antonio lo costrinse ad alzare la testa con due dita sotto il mento: Lovino fece resistenza il più possibile e, quando si trovò a volto scoperto, deviò lo sguardo verso il basso, infuriato. Un’altra cosa che detestava era come Antonio avesse la capacità di coglierlo sempre nei suoi momenti di maggiore debolezza: doveva essere disgustoso mentre frignava come una donnetta. Tuttavia l’ex-capitano non sembrò nauseato nell’asciugargli le lacrime con il pollice, e nemmeno quando baciò la scia salata sulle guance.

«Non permettergli di sconvolgerti così. E’ quello che vuole» mormorò sulla sua tempia.

Lovino restò muto così a lungo che Antonio temette fosse svenuto. Poi una domanda flebile, dal retrogusto amaro, fuoriuscì dalle sue labbra:

«Davvero non c’è nessuna emigrata spagnola?»

L’uomo sorrise sulla sua capigliatura ramata. Anche quegli sbalzi di umore, quell’accatastare frasi sconnesse in un unico discorso, erano deliziosamente tipici del giovane pescatore.

«Lovino» lo chiamò, sollevandogli il viso. «La mia occasione sei tu.»

Avrebbe ripetuto quella frase un milione di volte solo per gustare lo sbigottimento che si rovesciò sul volto del ragazzo.

«Credevo fosse il mare» articolò Lovino.

«Era» catalogò brevemente l’altro.

Rimasero così, abbracciati sul letto senza proferire verbo, circondati dal rumore della tempesta e cullati dalla presenza del compagno.

«E’ meglio che vada» decise Antonio, cercando il bastone per alzarsi. «Tra poco cominceranno i preparativi per il servizio, e abbiamo un disperato bisogno di riposare…»

Le dita incerte del giovane si strinsero sulla stoffa al centro della schiena, bloccandolo.

«Ti fa male la gamba. Non devi fare le scale. Dormi qui» telegrafò, spostandosi per fargli spazio.

Antonio fissò critico il giaciglio, e stette ad osservare le manovre di Lovino per farli adagiare entrambi su un letto progettato per un’unica persona.

La soluzione finale per il pescatore fu stendere l’ex-capitano di schiena e sdraiarsi sul suo ventre.

«Sicuro di stare comodo?» lo prese in giro Antonio, circondandolo con un braccio perché non cadesse.

«No. Le tue costole mi stanno pugnalando» rimbrottò Lovino, accucciandosi su di lui.

«Non posso toglierle» fece notare il locandiere.

«Lo so. Buonanotte» troncò il ragazzo. Poggiò la testa sul suo petto, ben acciambellato sull’addome del compagno, e chiuse gli occhi nella pretesa di dormire.

Mascherare una gentilezza con il fiele. Anche quello era Lovino, il suo Lovino.

Allargò le dita sulla schiena del giovane, e le richiuse stringendolo a sé. Serrò a sua volta le palpebre, pronto a concedersi un po’ di meritato riposo.

Per quanto la bufera potesse essere spaventosa, per quella notte era sicuro che la gamba non gli avrebbe fatto male.

 

***

 

Le spine dell’agitazione tennero ben lontano il sonno, facendola quasi ballare sul letto alla ricerca di una posizione più comoda.

Alla fine desistette, e si rialzò con un verso risentito. Tentò di pettinare la chioma annodata dalla preoccupazione con le mani, e aveva ancora le dita infilate tra le ciocche crespe quando bussarono alla porta.

«Non riesci a dormire nemmeno tu, vero?» la salutò Diego, entrando nella stanza subito seguito da un burrascoso cuoco.

«Chiunque abbia visto Nicolas non dormirà affatto, questa notte» predisse la donna. Si sistemò uno scialle sulle spalle perché non la si accusasse di impudicizia: non era così libertina da accogliere ben due uomini nella sua camera vestita della sola camicia da notte.

«Quello è un topo di fogna» sberciò l’omone, emettendo un orribile verso con il naso. «Sta alle costole di Antonio da quando ha aperto questa taverna!»

«Io penso che l’abbia preso in antipatia da quando era corsaro» osservò Diego.

«Il successo ha come rovescio l’invidia altrui» completò Consuelo. «Oppure è arrabbiato con lui perché gli è sfuggito la prima volta. Avete sentito cosa ha detto Antonio del suo paese…»

Il raccoglimento per il dolore del padrone della locanda li zittì per un minuto intero.

«Ma, finché era capitano, godeva della difesa del re. Ora invece…» il giovane cameriere venne sorpreso dalla sua immagine riflessa nello specchio di bronzo della donna: «Buon Dio, oggi i clienti avranno l’impressione di essere serviti da un morto vivente» si raccapricciò, valutando l’estensione delle occhiaie e il gonfiore delle palpebre.

«Ho dei cosmetici, se vuoi rimediare» propose Consuelo.

«No, grazie. Meglio affondare con dignità che sopravvivere con infamia» dichiarò sicuro Diego.

«Io non credo che il re sia del tutto indifferente alle richieste di Antonio» echeggiò il cuoco, fermo alla discussione di poc’anzi. «Voglio dire, è stato uno dei suoi servitori più fedeli. Nonché uno di quelli che hanno ingrassato di più i forzieri reali.»

«Però il re è lontano» Consuelo si strinse nello scialle per un brivido improvviso. «Se anche Antonio dovesse chiedere un favore, passerebbero intere settimane prima che il sovrano ne sia informato.»

«Ma è comunque una delle persone più benvolute di questo posto!» protestò l’omone. «Sicuramente si ribellerebbero tutti se ad Antonio dovesse succedere qualcosa!»

«Io credo invece che starebbero zitti e quieti se l’Inquisizione minacciasse di buttare anche loro sul rogo» lo contraddisse Diego.

Consuelo giocherellò irrequieta con le nappine dello scialle e bisbigliò:

«Non ho paura solo per Antonio. Lovino è più indifeso, più vulnerabile… E’ una preda molto più facile.»

«Ma non può accusarlo di niente» confutò il cameriere.

«E quando mai questo ha fermato i fuochi dell’Inquisizione?»

Gli uomini si guardarono, pietrificati e inorriditi.

«Sarebbe capace di fargli del male solo per vedere Antonio soffrire» predicò mesta la donna.

«Forse ci stiamo preoccupando troppo» Diego cercò di risollevare il morale. «Voglio dire, prima li ho sentiti parlare. Non gli hanno dato motivo di sospettare, no?»

Consuelo si strinse nelle spalle, senza più la forza di aggiungere altro.

«E, comunque, è ora di cominciare il nostro lavoro» annunciò il giovane, trascinando fuori dalla stanza il corpulento cuoco.

La donna si alzò per seguire gli uomini ma, prima ancora di alzarsi dal letto, gettò uno sguardo al soffitto e mormorò una preghiera rivolta a qualunque santo, angelo o divinità avesse voglia di ascoltarla.

Che la locanda potesse rimanere sempre come negli ultimi mesi.

Che gli artigli dell’Inquisizione non ghermissero la loro pace.

E che la felicità di Lovino e Antonio potesse essere preservata.

 

Prega per noi peccatori

Adesso e nell’ora della nostra morte

Amen.

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Capitolo 3
*** Angelo di Dio ***


Angelo di Dio

Angelo di Dio

Che sei il mio custode

Illumina, custodisci, reggi e governa me

Che ti fui affidato dalla pietà celeste

Amen.

 

Il letto divenne incandescente come una graticola mentre Antonio bruciava nelle spire dell’incubo.

L’ex-capitano si rigirò nel sonno, alla ricerca di un angolo più fresco che potesse sciogliere l’illusione di incenerirsi tra le fiamme. Non lo trovò: il materasso era arroventato dal suo corpo teso, e le lenzuola inzuppate di sudore terrorizzato.

Dalla cicatrice scaturì una scossa elettrica che gli fece tremare tutte le membra, ricordandogli quanto fosse lontano l’asilo del mare.

Il sogno gli raschiò la schiena contro il legno duro di un palo, e gli graffiò i polsi con la memoria delle corde. Il puzzo dell’olio gli ostruì le narici con la sua presenza viscosa, e sentì le fascine di rami e paglia scricchiolare sotto i piedi nudi.

L’umidità ammorbava l’aria, e trascinò verso di lui il commento di una delle guardie:

«È fortunato: morirà soffocato più in fretta. Se il legno fosse stato più secco, avrebbe fatto meno fumo.»

Il crepitio di una torcia fendette l’aria, ed un muro infuocato si erse tutto intorno a lui.

E, tra quelle lingue d’Inferno, si fece strada una mano ornata di un grosso anello dorato. L’indice si protese verso di lui, e le fiamme tutto intorno intonarono un lamento: eresia.

Antonio scattò a sedere con un balzo raggelato, gli occhi sbarrati e la cicatrice impazzita.

Sfregò rudemente la gamba per lenire il prurito, ma non vi fu cenno di miglioramento, anzi: la vecchia lesione quasi esplose in una febbre pruriginosa, e Antonio resistette a stento all’impulso di strapparsi la pelle con le unghie.

Immobilizzò la gamba, sperando di attenuare il dolore. Passò una mano sul viso imperlato di sudore, attendendo che i brividi abbandonassero il suo corpo.

Aveva consigliato Lovino di non farsi sconvolgere; avrebbe fatto meglio a seguire la sua stessa raccomandazione.

Aveva sperato che l’acqua di tutti gli oceani che aveva solcato avesse soffocato e spento il ricordo di quel fuoco. Evidentemente, finché la sua memoria avesse continuato ad attecchire così bene alle torce dell’Inquisizione, quel tormento non sarebbe finito.

Restò steso sul letto rovente, permettendo all’aria di congelargli il sudore sul petto scoperto. Si rialzò con estrema flemma, e si diresse zoppicando verso la bacinella e la brocca in un angolo della stanza. Avrebbe dovuto lavarsi a fondo per rimuovere i segni di quella brutta esperienza dal suo corpo.

Per una volta, vide come una benedizione l’assenza di Lovino dalla sua stanza.

 

***

 

«Sei sicura che non si noterà?»

«Assolutamente sicura.»

«Quantifica il tuo “assolutamente”.»

«Diego, se non vuoi che ti metta questa roba in faccia, dimmelo subito. Almeno mi farai risparmiare del tempo.»

«No, voglio metterla. Ma non voglio che si noti.»

«Perché ti scambierebbero per un effeminato?»

«Perché mi scambierebbero per un uomo truccato

«Antonio ci ha raccontato che gli uomini di molti popoli oltreoceano si dipingono il volto e il corpo.»

«Sono pitture di guerra, non trattamenti cosmetici.»

«Restano comunque trucchi.»

«Ma…»

«Oh, per la sacra misericordia della Dea del Mare!» irruppe il cuoco, esasperato. «Diego, fatti mettere quella porcheria in faccia oppure butta le tue ossa fuori di qui!»

Il muggito dell’omone pietrificò entrambi nella posizione in cui si trovavano: Diego appollaiato su uno sgabello come un pappagallo in divisa, e Consuelo con la mano tesa a brandire un pennello da trucco.

«Non è una porcheria» s’inalberò la donna. «Gli ingredienti che la compongono sono ottimi.»

Il rimbombo del cuoco fu coperto dallo sferragliare delle stoviglie, appoggiate di peso sul tavolo da lavoro.

Diego si posizionò di nuovo sul sedile. Le sue occhiaie sembravano disegnate con il carbone, e aveva dovuto soccombere all’evidenza: aveva un disperato bisogno dell’aiuto della collega per non terrorizzare tutti i clienti.

«Procedi» accordò, con la solennità di un martire pronto ad immolarsi.

Il pennello gli spolverò le palpebre per due volte, e la terribile tortura ebbe termine.

«È stato così tremendo?» lo rimproverò Consuelo, rimettendo a posto l’equipaggiamento e avviandosi verso la porta.

«Ho temuto di morire» teatralizzò Diego.

«Allora non hai spina dorsale.»

«Buongiorno anche a te, Lovino» lo salutò arzillo il cameriere. «Il sole splende, gli uccelli cinguettano e tu sei di ottimo umore, noto.»

«È nuvoloso» franò il cuoco.

«E non c’è proprio niente che cinguetta» replicò la donna.

«Voi ammazzate la poesia, ragazzi» si afflisse Diego. Il giovane lo superò a testa bassa come un ariete per poi spalancare la porta che dava sul retro.

«Buona pesca, Lovino.»

L’augurio del cuoco non era ancora arrivato a destinazione quando il peggior presagio di sventura si materializzò sulla soglia della cucina.

«Buongiorno.»

Credeva che la prima volta fosse stata dirompente perché non era abituato al potere raggelante di quella voce. Invece la seconda fu, se possibile, peggiore: la carica artica del tono dell’Inquisitore sembrava crescere di pari passo con l’innalzamento di barriere da parte delle sue prede. Più loro tentavano di difendersi, più lui affinava le sue tecniche di caccia, quasi fosse perversamente stimolato dalla sfida.

«Buongiorno» ricambiò Lovino, trattenendo un brivido tra le scapole.

«Siete già operosi? Encomiabile» si complimentò asciutto Nicolas per poi rivolgersi solo al giovane: «State uscendo a pescare?»

Il ragazzo annuì meccanicamente.

«Allora non vi dispiacerà se vi accompagno» quella del predatore di innocenti non era una proposta, e nemmeno una richiesta di consenso: stava imponendo la sua presenza con il dispotismo di chi sa di non poter essere rifiutato. «Non temete, non vi disturberò durante il vostro lavoro.»

Un rasoio di sgradita sorpresa mozzò il respiro nelle gole del resto del personale. Lovino compì un grosso sforzo su se stesso per non arretrare e nascondersi all’interno della locanda, al sicuro da quegli occhi di ghiaccio.

«Ovviamente. Prego» rispose invece, sgusciando fuori dalla porta.

Nicolas si accostò come un’ombra di malaugurio a Lovino, maestoso e terribile nel suo completo nero: le ombre della divisa sacra parvero strisciare verso il ragazzo per agguantarlo, e il pescatore fu costretto a scacciare l’idea stringendo i pugni nelle tasche dei pantaloni.

Non appena furono spariti alla vista, Consuelo sfrecciò a tempestare la porta del padrone con i pugni.

«Antonio!» irruppe, una volta entrata. «È terribile! Nicolas è uscito con Lovino…»

Le parole si sfracellarono contro la gola occlusa nel vedere il colorito cadaverico dell’uomo: doveva essergli rimasta un’unica goccia di sangue in corpo, a giudicare dal pallore spettrale. L’impressione che Antonio fosse rimasto intrappolato nell’oltretomba fu rafforzata dalla sua mancata reazione. Di solito, bastava nominare il pescatore per accaparrarsi istantaneamente l’attenzione dell’ex-capitano; quella volta, invece, occorsero alcuni interminabili istanti perché la vacuità si ritirasse dalle iridi verdi e permettesse all’uomo di focalizzarsi di nuovo sul mondo reale.

«Nicolas?» scandì, rallentato dagli stralci dell’incubo e dalla gravità della situazione. «Con Lovino?»

«Cosa possiamo fare?» acutizzò la donna, intricando i capelli con le dita. «Lo torturerà con quella sua lingua biforcuta!»

«Possiamo solo sperare che Lovino sappia come rispondergli.»

Consuelo ignorò la replica del locandiere, troppo fiacca e arrendevole per essere uscita davvero dalle sue labbra. Antonio aveva l’animo di un leone, e il suo spirito ruggiva più forte quando si trattava del giovane pescatore; la donna pensò di essersi immaginata quell’affermazione priva di nerbo, e attese la reale risposta del padrone.

Le finestre si intiepidirono sotto i raggi del sole mattutino, e ancora il silenzio non era stato intaccato da una singola parola.

Consuelo si voltò, l’incredulità che le spalancava gli occhi e le sollevava le sopracciglia. Pensò che anche gli occhi la tradissero quando vide la posizione debole in cui si era abbandonato l’uomo, come un veterano ormai stomacato dalla guerra e desideroso di riposo.

«Vuoi lasciare tutto così?» le labbra incespicarono sulle parole troppo ricche di spavento, stupore e delusione per essere sostenute. «Che quell’Inquisitore lo torturi a suo piacere?» la voce salì di un’ottava quando graffiò: «Vuoi lasciare Lovino a Nicolas?»

«E’ ovvio che non lo voglio!»

L’improvviso ruggito del leone la fece trasalire. Finalmente riconosceva Antonio nella voce ardente e nei muscoli tesi, nonostante le ombre che aleggiavano nei suoi occhi e nella sua postura. Era il fantasma dell’ardore del locandiere, come se un drappo tenebroso fosse stato avvolto alla sua usuale passione.

Consuelo si strinse nella veste, infastidita: da quando era arrivato quell’Inquisitore, aveva riscoperto un’intera gamma di timori fino ad allora felicemente sconosciuti.

«Non lo voglio» ripeté l’uomo, febbrilmente. «Ma cosa possiamo fare? Qualunque nostro intervento non farebbe che aumentare i sospetti di Nicolas, e, credimi, non è il caso di fornirgli altro materiale.»

«Ma allora cosa…»

«Aspettare» la prevenne l’uomo con un sospiro esasperato. «E pregare.»

La cameriera si inchinò e uscì rapida dalla stanza.

Mentre scendeva le scale, strinse il piccolo amuleto che conservava nella tasca del grembiule: era una gemma color acquamarina che le onde avevano eroso formando una croce grossolana; sul braccio più lungo, da piccola aveva inciso poche parole con un chiodo arrugginito: buena suerte. L’unghia del medio si spezzò per la forza con cui la donna serrò le dita attorno al sasso.

Esaminò velocemente i danni riportati dal dito centrale: l’unghia si era rotta nel mezzo, e dalla sua diga sbeccata un fiumiciattolo di sangue colava lento fino alla nocca. Avrebbe dovuto bendarlo prima di servire i clienti.

«Ti prego, Dea del Mare. Hai salvato Antonio, anni fa… questa volta salva Lovino» bisbigliò, con il cuore più che con le labbra, per timore che i muri potessero sussurrare all’Inquisizione le sue invocazioni pagane.

 

***

 

Lovino cominciò a pensare che gli Inquisitori appiccassero il fuoco ai roghi semplicemente con lo sguardo.

Non riusciva a spiegarsi, altrimenti, perché gli occhi di Nicolas bruciassero tanto sulla sua schiena. Tastò veloce il tessuto della camicia sulle scapole, aspettandosi di sentire sotto le dita dei fori rotondi e inceneriti, ma la sua veste si rivelò intatta. Dunque le iridi dell’Inquisitore scottavano senza bruciare.

Avrebbe preferito comunque che non si fosse appostato alle sue spalle mentre preparava la barca per andare a pesca: si sentiva a disagio, come se un enorme avvoltoio stesse planando sulla sua testa in attesa di potersi avventare sul suo cadavere. Anzi, come se un gigantesco lupo lo stesse puntando dal cuore di un bosco: quell’immagine si addiceva certamente di più agli occhi predatori dell’uomo che svettavano sopra il nero dell’uniforme.

«Da quanto siete in Spagna?»

Il remo quasi gli scivolò di mano, e Lovino fu lesto a riprendersi prima che rovinasse sulla sabbia. Aveva quasi ultimato i preparativi, e aveva presunto che l’Inquisitore l’avrebbe lasciato in pace. Non si aspettava che iniziasse una conversazione proprio quando lui era sul punto di partire.

Appoggiò il remo al suolo e si voltò verso il suo lugubre interlocutore. Qualche mese prima si era verificata una situazione simmetrica, quando Arthur Kirkland lo aveva seguito sulla spiaggia per parlargli dei progetti di partenza della Queen of Pirates. All’epoca, però, il sole aveva conservato il calore dei suoi raggi: ora, sebbene vedesse l’astro del mattino allungare le sue dita su di lui, non percepiva il minimo conforto; la sua pelle restò congelata come se gli scorresse nelle vene ghiaccio anziché sangue.

«Da anni» rispose secco Lovino.

«Per quale motivo avete lasciato la vostra patria natia?» Nicolas attaccò la sua domanda sull’ultima sillaba del pescatore, e non gli permise di pensare ad una risposta perché seguitò con i suoi malsani ragionamenti: «L’Italia gode di un ottimo clima, è ricca di opere d’arte, e, non da ultimo, è un paese molto timorato di Dio» l’anello d’oro sostò vicino alle labbra e il respiro del cacciatore lo appannò nella successiva illazione: «Non riesco proprio ad immaginare perché lo abbiate abbandonato. Vi disturbava il clima? Vi era sgradita l’arte? O vi impauriva la Chiesa?»

«Non volevo restare nel luogo in cui erano morti i miei genitori.»

«Ma in questo modo disonorate vostro padre e vostra madre.»

Lovino ebbe l’impulso di calcare di più il cappello sulla testa, ma rinunciò quasi subito: non voleva che l’Inquisitore lo accusasse di nascondere il viso per mascherare le menzogne.

«Sono morti in un modo orribile che non voglio ricordare» arginò la questione il pescatore.

Il ragazzo si incamminò sulla battigia fino a sentire le onde accarezzargli i piedi e si inoltrò nello specchio plumbeo del mare fino a sentire la spuma a solleticargli le caviglie. L’umidità atmosferica aveva scurito l’acqua, e il colore cupo del cielo foriero di pioggia trovava il suo gemello nella tinta fosca del mare.

La tempesta di qualche sera prima si attardava sulla Spagna, ed era da giorni che una tediosa pioggerella sporadica annoiava la città marittima.

«La loro morte vi ha sconvolto così tanto?»

Il cuore di Lovino si scordò di battere per alcuni istanti.

Non lo aveva sentito arrivare. Ad essere onesti, pensava che gli Inquisitori riservassero alla loro divisa la stessa cura maniacale con cui rastrellavano le città, e che non avrebbero mai permesso alla salsedine di corroderla. Era per questo motivo, principalmente, che aveva mosso quei pochi passi in mare: si sentiva protetto dai flutti a lui cari e familiari.

Nicolas lo aveva seguito perfino lì, nel suo rifugio, incurante dell’acqua salata che gli turbinava attorno agli stivali, per sradicare anche la sua ultima illusione di protezione.

Le maree distorcevano il riflesso del cacciatore, facendolo apparire ancora più spaventoso: la sua immagine frammezzata dalle onde dava l’idea di un fantasma onnipresente, e Lovino distolse presto lo sguardo.

«Sì. E non ho piacere di ricordarla» ribadì, voltandosi per fronteggiarlo.

«Proprio come Antonio non vuole ricordare la sua amata» sibilò Nicolas. «Avete molte cose in comune» considerò vago, uscendo dal contorno ondoso del mare agitato.

Il pescatore si tolse il cappello, giusto per occuparsi di qualcosa che non fossero le risposte da fornire al predatore. Perfino quel semplice gesto procurò un nuovo pretesto all’Inquisitore.

«Avete dei riflessi rossi nei capelli» commentò felino, rigirando l’anello. «All’interno della locanda non si notavano.»

Il copricapo venne appallottolato dalle mani irrigidite del giovane; le rilassò poco dopo, memore che anche una contrazione nervosa poteva essere motivo di imputazione.

«Come il rame, il metallo dei poveri. Me lo diceva sempre il mio precedente padrone» minimizzò lui. Uscì a sua volta dall’acqua, lasciando dietro di sé una via di impronte bagnate.

Aveva appena lanciato il cappello all’interno della barca quando la sua schiena si impietrì come se avesse sentito un serpente scivolargli sulla spalla. Le dita sepolcrali dell’uomo gli strisciarono tra i capelli, attorcigliandogli la gola per la nausea. Non avevano niente in comune con il tocco rassicurante di Antonio; assomigliavano alla carezza di una lama: bastava muoversi un millimetro di troppo per essere feriti.

«Io credo che assomiglino di più al fuoco» decise Nicolas, ritraendo la mano. «E avete la medesima scintilla negli occhi. Nemmeno questo si notava, nella locanda.»

Lovino si trattenne a stento dal colpirlo con uno schiaffo. Odiava il contatto fisico non richiesto; Antonio aveva perseverato a lungo per ottenere i suoi privilegi. E quell’uomo certamente non avrebbe mai ottenuto gli stessi diritti.

«So che i vostri colleghi sono di liberi costumi, non è così?» domandò all’improvviso Nicolas.

Il pescatore ponderò intensamente la risposta per non sembrare falso e proteggere i suoi compagni allo stesso tempo.

«Non sono libertini. Sono solo di mentalità aperta» li difese.

«Aperta» l’aggettivo si srotolò lento sulle labbra insidiose del cacciatore, apparendo improvvisamente sconveniente. «Bisogna stare molto attenti: da una porta spalancata possono entrare molte cose. Anche cose… sataniche.»

«Non nella nostra locanda» lo dissuase Lovino.

«Potete garantire che la vostra taverna sia intoccabile? Che il diavolo non vi ha mai fatto visita?» insistette Nicolas.

«Posso garantirlo» asserì l’altro, sicuro.

Il sorriso che si stese sulle labbra del predatore lo fece dubitare delle sue parole: Satana aveva fatto una visita alla locanda. Era entrato usando le gambe dell’Inquisitore, li aveva confusi con la sua lingua e li aveva terrorizzati con il suo ghigno.

Nicolas, per quanto si ammantasse di pomposa santità, era la persona più vicina all’Inferno che avesse mai visto.

«Mi ricorderò delle vostre parole» si congedò l’uomo, sinuoso e raffinato. «Vi auguro una buona giornata, Lovino.»

Non gli piacque sentire il suo nome nella bocca di quell’uomo: era come se, pronunciandolo, riuscisse ad infangargli l’anima. Fece in modo che il suo disagio non gli si leggesse in volto, e salutò come la cortesia richiedeva.

Nicolas attese di essere sufficientemente lontano, e si voltò solo quando fu sicuro che il pescatore fosse troppo impegnato con le sue manovre attorno alla barca per voltarsi nella sua direzione.

Il fuoco dei sabba ardeva nei suoi capelli e nei suoi occhi, era chiaro come la Parola di Legge scritta nel Libro Sacro.

Quel ragazzo era chiaramente uno degli adepti del Maligno. Ne aveva avuto conferma quando aveva sfiorato quelle ciocche sacrileghe: una scarica elettrica gli aveva attraversato l’intero braccio e lo aveva colpito al cuore, in un attacco mortale. L’avrebbe certamente ucciso con la sua malia se la sua fede incrollabile non lo avesse protetto.

E se aveva un simile ascendente su di lui, un irreprensibile uomo di Chiesa, poteva ben immaginare cosa sarebbe stato in grado di scatenare nelle menti della plebe. O di uno scellerato capitano dal passato fin troppo avventuroso per un uomo d’onore.

Disordine, caos, perdizione. Non poteva permettere che un simile scompiglio sconvolgesse le zone sotto la sua austera protezione.

Quel morbo andava estirpato. O dominato.

E aveva il potere di fare entrambe le cose.

Girò di nuovo l’anello, sadico e deliziato.

Sarebbe stato un vero piacere gustarsi di nuovo il volto disperato dell’ex-corsaro

 

***

 

Antonio fu impeccabile, quel giorno.

Nonostante il timore che Nicolas potesse torturare psicologicamente Lovino fosse sempre presente, accucciato nelle sue viscere ad artigliarli lo stomaco, trascorse la giornata come se nulla fosse accaduto, sorridendo ai clienti e dirigendo la locanda come aveva sempre fatto.

Riuscì perfino a non tradirsi sciogliendo la tensione del viso quando vide il ragazzo spuntare dalla cucina, solo e integro, e dirigersi verso la sua stanza.

Anche Diego fu encomiabile: non fece domande quando Antonio gli chiese di sostituirlo, sebbene avesse intuito benissimo cosa si nascondesse dietro la barcollante scusa arrangiata dall’ex-capitano per non insospettire gli avventori.

La facciata di compostezza crollò non appena la porta della stanza li isolò dal resto del mondo. Lovino quasi non capì cosa fosse successo: all’improvviso si trovò a respirare sulla camicia dell’uomo, la schiena pressata da due mani forzute e il rumore secco del bastone da passeggio che cadeva a terra.

Una sottilissima eco a livello della nuca protestò per quelle effusioni smodate, e gli ordinò di ribellarsi; ma una voce più imperiosa e tonante mise a zittire la prima: Nicolas lo aveva torturato con le sue parole la mattina e con il ricordo della sua malvagità per tutto il resto del giorno; aveva diritto di godersi l’esuberante ma sincero calore di chi lo amava.

«Non respiro» brontolò, giusto per mantenere viva la tradizione della sua testardaggine.

«Io respiro solo ora» Antonio rilasciò finalmente l’ansia accumulata in quella giornata infernale, e cinse con maggior vigore il giovane. «Ho trattenuto il fiato tutto il giorno.»

«Esagerato» lo svilì Lovino. Ma allacciò le braccia attorno al busto dell’amante.

«No.»

Gli orrori del passato e i timori del futuro si scontrarono in quella negazione così assoluta da sembrare scolpita nella pietra. I palmi dell’uomo scivolarono ad abbracciare le spalle del giovane, e lo distanziò da sé il minimo sufficiente per ammonirlo: «Se sapessi di cosa è capace l’Inquisizione…»

L’uomo lo strinse di nuovo al petto, e Lovino percepì una forza nuova nel suo abbraccio: era l’energia di un naufrago che si aggrappa all’ultimo relitto della nave, era la determinazione di uno scoglio che resiste al maremoto.

«Questa sera» sussurrò sulle ciocche ramate poco sopra l’orecchio. «Questa sera te lo racconterò.»

Le labbra dell’uomo impressero un bacio sulla zazzera indomabile, e poco dopo l’ex-corsaro fu nuovamente fuori dalla stanza, assimilato dal festoso caos della locanda.

Lovino assecondò l’urgenza di buttarsi sul letto. Aveva sostenuto un incontro ravvicinato con un cacciatore di streghe, e quella sera avrebbe dovuto affrontare il peso delle malefatte passate dell’Inquisizione.

Aveva bisogno di un po’ di riposo, per affrontare tutto ciò.

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Capitolo 4
*** Padre Nostro ***


Padre Nostro

«Diego, abbassa la voce.»

Il cameriere lanciò un’occhiata furente al salone: c’era solo un ragazzetto rinsecchito gettato su una delle poltrone.

I pochi clienti rimasti si erano già ritirati nelle proprie stanze: quel pomeriggio si era verificato un vero e proprio esodo di gente in partenza. Non era stato difficile intuire il motivo di quei commiati affrettati: nessuno desiderava soggiornare in una locanda bersagliata dall’Inquisizione.

Ma non era il minore afflusso di frequentatori ad aver fatto tanto imbestialire Diego.

«Non capisco perché frugano negli affari delle persone comuni» sibilò, furioso. «Se davvero vogliono trovare il Diavolo, non dovrebbero cercarlo nelle taverne. Dovrebbero fare delle belle retate dei nobili che hanno votato per l’entrata in guerra, o dei benpensanti che hanno invocato la razzia degli infedeli…»

«Diego!» Consuelo lo zittì tappandogli la bocca con la mano, e si guardò attorno apprensiva: l’unico ascoltatore, il ragazzetto striminzito, non diede cenno di aver sentito. Osservò svogliato la propria camicia, sbadigliando annoiato. Si rialzò dalla poltrona solo qualche secondo dopo, e uscì a prendere una boccata di aria fresca.

«Modera le parole» s’inquietò la donna. «Non lo sai che anche i muri hanno le orecchie?»

«So che l’uomo è stato dotato di una bocca per usarla nel parlare» brontolò Diego.

«E gli sono state date delle mani per bloccare la bocca altrui quando straparla.»

Avrebbe sorriso per la replica della cameriera, se i suoi occhi lucidi di terrore non l’avessero trafitto allo sterno.

«Esistono ancora donne sagge per frenare gli uomini irrequieti, dunque» si complimentò Diego. Alcune ciocche corvine e arruffate scorsero tra le sue dita gentili mentre proseguiva: «Credevo fossero state strozzate dai corsetti e annegate nel profumo.»

«Io non porto il corsetto» dichiarò Consuelo, orgogliosa delle sue forme generose.

«Lo so» asserì l’altro. «E spero che non cambierai mai.»

Le diede solo il tempo di arrossire ma non di ribattere, perché scivolò veloce alla finestra.

Antonio e Lovino erano spariti nella camera del pescatore poco prima.

Sperava che le tenebre fossero più clementi con loro di quanto non lo fosse stato il giorno.

 

***

 

   La camera di Lovino era la più esterna tra quelle riservate al personale.

Il giovane l’aveva scelta perché, aprendo la finestra, era possibile udire in lontananza il tenue ululato del mare: bastava un piccolo sforzo di fantasia per immaginare di essere steso su uno scoglio anziché su un letto, con l’oceano che pulsava di vita tutto attorno, spumeggiante e movimentato.

Nonostante questo, non riuscì a capire la richiesta dell’ex-capitano: non appena entrato, domandò di aprire la persiana. Entrambi avrebbero potuto vivere con l’acqua oceanica al posto del sangue, tanto era sconfinato il loro amore per il mare, ma quella era una situazione di emergenza: chiunque poteva udire i mormorii della notte e riferirli ai falchi della Chiesa. Meglio privarsi della voce delle onde anziché finire i propri giorni su una pira ardente.

Una solida logica avvallava il ragionamento del pescatore, ma Antonio fu irremovibile: più testardo dei tori da corrida, andò lui stesso ad aprire la finestra.

Lovino dovette riconoscere che, in fondo, non fu un’idea così pessima: l’ex-corsaro sembrò tornare alla vita. Il pescatore si rese conto di quanto l’uomo fosse diventato la tomba della sua stessa vitalità solo quando vide le sue guance riprendere colore: era come se l’Inquisizione gli avesse risucchiato le energie, e il mare gliele stesse restituendo generosamente ad ogni nuova onda.

Antonio inspirò a fondo l’aria pregna del profumo salmastro a lui così caro, e richiuse le imposte solo dopo che i respiri di oceano ebbero scacciato anche l’ultima nota del fetore della paura.

Lovino protestò vigorosamente quando il compagno chiuse completamente gli scuri: all’improvviso gli odori del mare, i colori della luna e le sensazioni del vento rimasero sigillate all’esterno, e il mondo racchiuso in quella stanza divenne inaspettatamente immobile.

«Lovino.»

Veicolata dal buio, la voce dell’uomo apparve ancora più instabile di quanto non fosse, come un ramo sul punto di spezzarsi.

«Non voglio che tu mi veda in viso mentre ti racconto cosa avvenne tanti anni fa.»

«Avresti potuto chiedermi un parere» brontolò il ragazzo, più sostenuto del solito per riempire quell’odioso vuoto che si diramava intorno a lui.

«Per favore.»

Lovino riconobbe il comando camuffato da preghiera di cortesia, e non allungò ulteriormente le sue proteste. Continuò però a ruminare obiezioni in silenzio, mentre cercava a tentoni il letto. Trovato, vi si sedette sopra e poco dopo il materasso si piegò sotto il peso di un secondo ospite.

Il giovane pazientò a lungo prima di parlare di nuovo; quando pose la sua domanda, i suoi occhi si erano sufficientemente abituati al buio da permettergli di distinguere la fumosa sagoma del volto dell’ex-corsaro.

«Cosa è successo la prima volta che hai conosciuto Nicolas?»

La stoffa della camicia e della giacca ricamata frusciarono all’unisono nel movimento del braccio; Antonio aveva passato la mano sul viso.

«Non era ancora un Inquisitore potente come adesso. E io non ero nemmeno un mozzo» cominciò, la voce sofferente ma più ferma di prima, come se il dolore le donasse più forza del timore.

La paglia del materasso scricchiolò quando Lovino si agitò su di esso: per lui, l’ansia era una sedia di tizzoni ardenti.

«Cosa è successo?» insistette, mondando la replica più brusca che gli era sorta sulle labbra. Anche se per lui tutte quelle pause erano snervanti, per Antonio doveva essere infinitamente più penoso andare a dissotterrare gli scheletri dal sepolcro delle memorie sgradite. Lovino era una testa calda, ma non al punto da dimenticare completamente il rispetto per gli altri.

«Abitavamo nello stesso quartiere» il bastone dell’uomo batté un colpo tra una frase e l’altra. «Avevamo entrambi le idee molto chiare sul nostro futuro: io sognavo galeoni, lui incensi e preghiere.»

Lovino acutizzò la vista fin quasi a lacrimare, ma non servì a molto: le tenebre continuarono ad imbavagliare il volto del locandiere, impedendogli di scorgerne l’espressione.

«Poi un giorno arrivarono gli Inquisitori. E la nostra città cominciò a bruciare.»

Le parole caddero come pugnali, una dopo l’altra squarciarono le ombre circostanti, lasciando una fosca eco dietro di sé.

Uno spillo di luce scintillò sugli occhi dell’uomo per un attimo, prima che una manica lo portasse via. Lovino sentì qualcosa di freddo e poderoso serrargli le interiora con una morsa: sebbene la visione fosse stata istantanea, il pescatore era certo che si trattasse di una lacrima.

Avvicinò la mano al compagno ma non lo toccò, per comunicargli vicinanza senza essere troppo sdolcinato. Antonio lo tolse dalla griglia del tentennamento poggiando il proprio palmo sulle nocche del ragazzo.  Lovino tremò, ma resistette all’impulso di ritrarre le dita: la mano dell’ex-capitano era fredda come il mare del Nord.

«Avevo forse tredici anni, allora. Nicolas era più grande di me, aveva già pronunciato i suoi voti di fedeltà nell’abbazia più vicina. Avrebbe potuto restare in seminario ed estraniarsi da quelle atrocità…» Antonio dovette prendere fiato come faceva in passato prima di premere il grilletto dell’archibugio. «Invece si sporcò le mani nel massacro della nostra cittadina.»

Un angolo della bocca del pescatore si tirò per la repulsione; “sporcare” non era il termine adatto, sembrava che l’Inquisitore di fosse insozzato accidentalmente con quelle barbarie. A suo avviso, era più corretto dire che si era lavato le mani in quel bagno di sangue e si era assuefatto alla sensazione della linfa vitale sulla pelle. Un brivido gli accapponò i capelli sulla nuca, nello stesso punto in cui erano stati sfiorati dalle dita insanguinate del predatore.

«La mia famiglia fu la prima che accusò.»

La mano dell’uomo si serrò attorno alla sua, gelida, senza riuscire ad assorbire il calore di quella del ragazzo. Lovino strinse di rimando, condividendo con la presa quello che non riusciva a tradurre a parole.

«I miei genitori erano mercanti. Viaggiavano in continuazione, e penso di essermi innamorato del mare grazie ai loro racconti» nemmeno il buio riuscì a nascondere del tutto il sorriso di Antonio, che baluginò pallido per un istante prima di rimpiccolirsi. «Quando mia madre rimase incinta di me, decisero di stabilirsi in Spagna e di relegare ai loro sottoposti l’onere e il piacere del viaggio: aprirono una bottega dove confluivano i migliori commercianti dei dintorni con le loro merci. In questo modo, potevano farsi raccontare da loro i cambiamenti del mondo mentre gestivano sereni la vita famigliare» gli occhi lampeggiarono mansueti e tristi assieme al secondo sorriso, che il compagno indirizzò a lui. «In un certo senso, ho ripercorso le loro orme: quando non ho più potuto solcare le onde, ho aperto un’attività che mi permettesse di parlare con chi ancora conversava con il mare.»

«Tu non eri incinta» fu l’unica cosa che Lovino riuscì ad estrarre dalla sua gola essiccata.

«No, ma ho avuto fortuna» asserì morbido l’uomo, carezzandogli le nocche con il pollice. Il pescatore ritrovò in quel contatto un barlume del solito Antonio: le sue dita avevano finalmente cominciato a scaldarsi.

«I viaggi precedenti e l’attività successiva avevano permesso alla mia famiglia di guadagnare un discreto tesoro» continuò il locandiere, con disperata determinazione, come se ogni secondo potesse toglierli il coraggio di parlare. «Credo che il nostro patrimonio fosse il vero scopo degli Inquisitori: la città in cui abitavamo non era una delle più fiorenti di Spagna, ma questo non aveva impedito alla mia famiglia di prosperare. Ovviamente, non ci imprigionarono perché eravamo ricchi» la voce fuoriuscì in un sospiro squassato dai ricordi, e l’uomo fu costretto a deglutire per recuperare il timone delle sue corde vocali. «L’accusa ufficiale, annotata nei registri clericali, era la nostra fede pagana.»

«Eravate pagani?» domandò Lovino, la voce linda da qualunque pregiudizio: era solo un’informazione. A parer suo, ciascun individuo aveva il diritto di decidere spontaneamente a quale divinità votarsi; se era vero che nell’ultimo giorno ognuno sarebbe stato giudicato singolarmente, cosa importava agli altri delle colpe e dei meriti con cui il singolo si presentava al processo finale?

«I miei avevano attraversato molti paesi, ed erano venuti a contatto con moltissime culture e credenze» spiegò Antonio, un pesante manto di nostalgia ad intorpidirgli la voce. Il giovane gli si fece appena più vicino: sarebbe stato più facile sopportarne la pressione se quel mantello di tristezza fosse ricaduto anche sulle sue spalle. «Troppe per credere ciecamente in una sola di esse. Mi dicevano sempre: “Se avrai cura del prossimo e non seminerai dolore sul tuo cammino, qualunque dio sarà fiero di ammetterti nel suo Paradiso, o nel Nirvana, o nei campi elisi”.»

La mano di Lovino fu improvvisamente nuda quando quella di Antonio la abbandonò per andare ad appollaiarsi sull’elsa del bastone. L’uomo non voleva che i suoi sentimenti trapelassero, e perfino la pelle poteva essere un canale pericoloso.

«Nicolas era a conoscenza delle credenze della mia famiglia.»

«Ne era a conoscenza?»

«Era uno dei miei amici più fidati, all’epoca.»

Lovino si toccò istintivamente il collo: gli era parso che una ghigliottina fosse calata a recidergli la testa nel momento in cui le parole dell’ex-corsaro avevano raggiunto le sue orecchie.

«Prima che si facesse accecare dalla sua missione» specificò crudele il compagno.

«Ti ha tradito?» l’indignazione e la furia cieca ridussero la sua voce ad un filo aguzzo, come un fabbro che affina la lama per renderla più tagliente. Chi voltava le spalle ai propri amici in un modo così spregevole meritava davvero la pena del rogo.  

«È stato sufficiente riferire ai suoi superiori quanto sapeva della mia famiglia. E guidarli a casa nostra. In una prospettiva distorta, ha fatto solo il suo dovere.»

Un maremoto di rabbia bollente scosse da capo a piedi il giovane, e Lovino conficcò le unghie nei palmi per non scattare in piedi e urlare tutto quello che pensava dell’Inquisizione in generale e di quel cacciatore in particolare. Avrebbero sentito le sue grida perfino in Italia, e non voleva fornire a Nicolas una prova tangente della sua blasfemia.

«Era chiaro che nella mia famiglia fosse nascosto un demone. Occorreva solo capire chi, di noi tre, fosse il tramite con l’Inferno. Per questo mio padre e mia madre furono sottoposti all’ordalia germanica.»

Antonio attese una reazione vistosa come le precedenti, eclatante nonostante il buio, ma la completa immobilità del ragazzo gli fece intuire di dover essere più esemplificativo.

«Il giudizio divino» espose. «Scelsero la prova dell’acqua fredda: sarebbero stati immersi in un pozzo. Il diavolo li avrebbe fatti sopravvivere se fossero stati davvero suoi accoliti; la morte invece avrebbe sottolineato la loro estraneità ai peccati» un lungo silenzio si allungò sulle labbra dell’uomo; le parole scottavano come braci ardenti, eppure non riusciva a liberarsi dal loro flagello. Fu con enorme sforzo che terminò: «Annegarono e furono dichiarati innocenti.»

Non vi fu bisogno di aggiungere altro per avvertire un’ondata di solidarietà reciproca: entrambi conoscevano il ripido sentiero che si apriva davanti a chi restava solo al mondo, entrambi sapevano quanto fosse difficile inerpicarsi su di esso ed entrambi erano consci che non avrebbero mai smesso di percorrerlo. Era una ferita che sarebbe rimasta aperta tutta la vita: in alcuni momenti avrebbe fatto meno male, in altri li avrebbe fatti soffrire come il primo giorno, ma sarebbe rimasta sempre lì, i lembi mai rimarginati.

Non occorreva parlare per sentire la piaga del compagno sanguinare.

«Restavo solo io» continuò Antonio. «E fui dichiarato colpevole.»

«Ma sei riuscito a scappare» Lovino cercò di tamponare in qualche modo il dolore che i ricordi dell’amante trasudavano.

L’oscurità si agitò quando l’uomo scosse la testa in cenno di diniego.

«Sono arrivato sul rogo. Nicolas era assieme ai giudici che avrebbero presenziato alla sentenza.»

Le iridi ramate si incupirono di confusione, sparendo del tutto nell’oscurità.

«Quella volta, durante la tempesta, ho visto il volto della Dea del Mare» narrò Antonio, alludendo al giorno in cui, tra i flutti burrascosi, aveva scorto i lineamenti ineffabili della divinità dei flutti. «Ma non era la prima volta che quella dolce signora si manifestava.»

Lovino si agitò ancora di più sul letto, e Antonio non interpose altro tempo allo svelamento del mistero:

«Il cielo era gonfio di nuvole, e l’aria carica di umidità. Le guardie dissero che ero fortunato, che il fumo mi avrebbe soffocato prima che il fuoco potesse toccarmi. Sembra atroce, ma allora quella notizia mi parve quasi una benedizione» rimembrò amaro l’uomo: l’incubo di quella notte e le memorie di anni prima passarono come uno stiletto spettrale sulla sua schiena, irrigidendogli i muscoli. «Appiccarono il fuoco. Sarebbero stati sufficienti pochi minuti per farmi morire.»

Il pescatore passò la lingua sul palato arido, in febbricitante attesa del finale della storia.

«Al cielo bastò un minuto per salvarmi. Il fuoco aveva appena cominciato a mangiare la paglia quando le nuvole si aprirono. Non era la solita pioggerella debole di inizio estate: sembrava che la volta celeste si fosse spezzata, e che dal suo cratere fosse fuoriuscita tutta l’acqua accumulata dall’inizio dei tempi. Una pioggia così torrenziale che era impossibile vedere a più di un palmo. Il fuoco appena nato non poté fare nulla contro quella forza della natura, e si smorzò immediatamente. Per un attimo ho temuto che sarei affogato come i miei genitori, ma la burrasca di allontanò dopo qualche minuto, improvvisa come era giunta.»

Sentì il respiro ruzzolare fuori dalla sua bocca, e solo allora Lovino comprese di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo. Era ovvio che la storia si fosse conclusa bene, per quanto possibile, visto che Antonio era lì di fianco a lui, vivo e respirante; ma l’angoscia lo aveva catturato prima ancora che se ne rendesse conto, e lo aveva tenuto prigioniero per tutto quel tempo.

«C’era un vescovo, come giudice di fede» corse Antonio, desideroso di arrivare quanto prima alla fine di quella vicenda. «Sostenne che la pioggia fosse stata mandata dall’Altissimo per evitare che fosse giustiziato un innocente. Alcuni, tra cui sospetto ci fosse anche Nicolas, dichiararono che era invece opera del maligno che voleva proteggere un suo servo, ma il vescovo fu irremovibile: la pioggia veniva dal cielo, la dimora degli angeli e dei santi, e non poteva che essere un segnale divino. Non gli rivolsi nemmeno una parola, quando mi liberarono; in un certo senso, era come se fossi morto davvero: ero divenuto all’improvviso cieco, sordo e insensibile al mondo» l’ex-corsaro non approfondì oltre la descrizione di quei momenti e concluse sbrigativo: «Non appena mi slegarono, corsi verso il porto e mi imbarcai sulla prima nave disponibile. Il resto lo sai.»

Lovino annuì, silenzioso. Ora capiva perché Antonio avesse tanto insistito per sentire il mare, prima di cominciare a parlare: era un omaggio alla Dea che lo aveva salvato, e un balsamo per il suo animo straziato. Per quanto l’Inquisizione potesse essere spaventosa, l’oceano avrebbe sempre frapposto un esercito di onde e maree contro i nemici dell’ex-capitano, e per quanto i fuochi dei cacciatori potessero divorare la terra, non avrebbero mai potuto insidiare l’impero dell’acqua. Il mare sapeva come difendere i suoi eletti.

Antonio non gli lasciò il tempo di esprimere cordoglio o comprensione; sbriciolò il silenzio con una domanda a bruciapelo:

«Ora voglio che tu sia sincero con me, Lovino. Nicolas ti ha fatto qualcosa?»

Il giovane non avrebbe potuto difendere la propria innocenza, non dopo essere praticamente saltato sopra il letto per la sgradita sorpresa.

«Mi ha interrogato» tagliò corto lui.

Nonostante l’oscurità, sentì gli occhi verdi affiggersi su di lui con garbato sospetto. Lovino ringhiò a labbra strette quando fu costretto a riconoscere che il suo compagno meritava la sua onestà; gli aveva dato prova di fiducia totale, raccontandogli la sezione più tragica del suo passato.

«E mi ha toccato. Sulla nuca» sbuffò.

Sobbalzò di nuovo, ma fu un’emozione diversa a irrorargli le vene quando le dita dell’uomo gli dipanarono le ciocche alla base del collo.

«Qui?» mormorò Antonio.

«La nuca è quella, non ti puoi sbagliare» grugnì Lovino, scuotendo svogliatamente la testa. Si arrestò poco dopo per non colpire il compagno al viso: Antonio avvicinò le labbra alla chioma ramata, detergendo con un bacio i capelli ancora impregnati del tocco sacrilego.

«Mi dispiace che tu abbia dovuto subire il suo attacco» sussurrò affranto.

«Ti dispiace?» sbottò Lovino.

Nel buio fu ancora più difficile distinguere i movimenti convulsi del ragazzo: una stretta iraconda gli strozzò il colletto, e il peso del giovane gli crollò addosso costringendolo ad una strana posizione obliqua, incastrato malamente tra il muro e il materasso.

«Di cosa ti dispiace, brutto…» qualunque insulto il pescatore avesse intenzione di propinargli lo ingoiò seduta stante e cambiò: «Mi ha fatto qualche domanda, e allora? Credi che sia così debole da morire per questo? Sei un…» Lovino ingollò anche il secondo oltraggio. Tutte quelle infamie ingurgitate non giovarono alla sua voce, che uscì annacquata e affaticata: «Tu invece… Ti hanno strappato tutto! E sei scampato alla morte per un pelo! Sei tu quello che dovrebbe essere consolato! Lo vuoi capire o no quando è il momento di chiedere scusa e quando invece dovresti stare zitto e lasciare che siano gli altri a dire qualcosa?»

Il bastone rotolò a terra; all’ex-capitano occorrevano entrambe le mani per cingere le scapole del giovane. Nonostante la posizione assurda e precaria, Antonio riuscì a sembrare serio nel domandare:

«Ti ascolto. Cosa vuoi dirmi?»

Fu grato alla notte, poiché si fece da parte il tempo necessario a regalargli lo spettacolo del volto del ragazzo. Gli occhi ramati ribollivano di rabbia e luccicavano di lacrime, le labbra erano morse con rancore e tristezza, e il mento tremava per le scosse dell’ira e per i fremiti della compassione.

«Verrei censurato se ti dicessi cosa penso dell’Inquisizione e di quello che ti ha fatto» rimbrottò il ragazzo, scollandosi i veli di lacrime dagli occhi con poderosi sfregamenti di manica.

Antonio sorrise, falciando l’oscurità. Qualunque dono provenisse dal pescatore, fosse una lacrima, una risata o un’ingiuria, aveva il potere di mutare drasticamente il suo umore.

«C’è qualcosa che puoi dirmi senza essere censurato?»

La testa del ragazzo si schiantò senza nerbi sulla sua spalla; la bocca del giovane si mosse confusamente sull’osso, farfugliando qualcosa di incomprensibile.

«Cosa hai detto?» chiese Antonio, smarrito.

«Hai capito benissimo!» scattò Lovino, rialzando la testa di botto: se l’uomo non avesse voltato il viso con uno scatto felino, gli avrebbe spaccato il setto nasale.

«Ti giuro che non ho sentito» si discolpò l’altro.

Nemmeno l’ombra della stanza poté soffocare lo sguardo inceneritore che il ragazzo gli scoccò mentre scandiva:

«Puoi restare qui, per questa notte. Sei troppo scosso per riuscire a stare da solo.»

«Non era così lungo.»

«Se hai voglia di discutere, puoi anche andartene.»

«Immagino che anche questo sia un momento in cui devo stare zitto e lasciare che siano gli altri a parlare» Antonio capitolò, stendendosi di schiena sul letto.

«Come la volta scorsa» notificò, invitandolo a raggiungerlo. «Spero che le mie costole siano un po’ più comode.»

Il pescatore attese sul bordo del letto, il capo piegato e i pugni contratti sulle ginocchia, prima di allungarsi sul corpo del locandiere.

Antonio chiuse gli occhi, pronto ad abbracciare il suo volubile amante. Li sbarrò poco dopo, stupefatto.

Il ragazzo non si era limitato ad adagiarsi su di lui: la sua bocca aveva cercato quella del compagno, e l’ex-capitano avrebbe potuto pensare ad un contatto fortuito se il giovane non avesse indugiato così a lungo sulle sue labbra.

«Lovino…» lo chiamò nella sua bocca, circondando il viso amato con le mani.

Non era pietà per il suo drammatico racconto o la comprensione tra due orfani ad aver mosso il pescatore; il ragazzo non avrebbe permesso ad una compassione momentanea di spadroneggiare su di lui, calpestando l’orgoglio tanto faticosamente conquistato.

Lovino era una persona che inconsciamente reprimeva ogni emozione, che preferiva apparire intrattabile piuttosto che sentimentale. Tuttavia, gli avvenimenti di quei giorni avevano assestato duri colpi alla diga in cui confinava il fiume dei suoi affetti: le visite di Nicolas avevano creato delle crepe, e la paura che l’avvoltoio dell’Inquisizione calasse su di loro da un momento all’altro aveva scosso le fondamenta come un terremoto sotterraneo; l’amore incondizionato del compagno aveva gonfiato il torrente, facendolo evolvere in mare, e il racconto di quella sera lo aveva fatto traboccare, travolgendo la diga decrepita.

Non erano sentimenti del momento, quelli che poteva distinguere tra le ombreggiature sul volto di Lovino; erano le emozioni che il giovane aveva accumulato nel corso di una vita, finalmente libere dalle loro briglie.

«Se il mare era il tuo rifugio, perché l’hai abbandonato?» tartagliò burbero il pescatore, sull’orlo di un tracollo emotivo.

«Mi hanno sparato…»

«Potresti tornare sui galeoni» lo interruppe Lovino. «Per fare il navigatore, non importa avere delle gambe buone. E tu saresti adatto, visto che i marinai vengono sempre da te a chiedere consigli sul tempo e sulle maree.»

«Lovino.»

Gli bastò chiamarlo per zittirlo. Ambedue ricordavano il discorso di qualche sera prima; il giovane si portò una mano all’orecchio, dove la sua memoria aveva appena fatto scivolare le parole del compagno. La mia occasione sei tu.

Le dita dell’uomo scivolarono attorno alla sua mascella per attirarlo a sé, ma Lovino si liberò dalla presa dell’amante e si abbassò su di lui di sua spontanea volontà: non voleva lasciare sempre ad Antonio il vantaggio del primo passo.

Le sue labbra si ricongiunsero a quelle del compagno e quella volta fu lui a premere affinché l’uomo schiudesse la bocca. Le mani dell’ex-corsaro si intrufolarono sotto i lembi più larghi della sua camicia per esplorare la schiena nuda, ma Antonio gli lasciò condurre completamente il bacio: seguì i dettami del ragazzo senza opporne di propri, lievemente divertito dal tocco esitante della sua lingua.

Il rossore del giovane, quando si allontanò, fu così lampante che non occorse vederlo: Antonio lo poté percepire, tanto le sue guance si stavano infiammando.

Lo attirò nuovamente a sé, e questa volta non accettò le opposizioni del ragazzo: lo convinse con le sue carezze languide a restare docile mentre tracciava una dolce scia lungo la mandibola e poi sul collo, arrivando ad aprire alcuni bottoni della camicia per baciarlo sul petto.

Il cuore del pescatore danzava un ballo folle nella gabbia delle costole, e Antonio poggiò le labbra sullo sterno agitato: voleva che anche il muscolo cardiaco potesse udire la sua confessione.

«Ti amo.»

Lovino sentì gli organi perdere completamente l’orientamento: d’improvviso avvertì il palpito del cuore nelle orecchie, il cervello sprofondare nei piedi e lo stomaco contorcersi nella sua gola.

Aveva parlato in italiano.

Erano anni che non sentiva la sua lingua madre, da quando aveva poggiato le suole sulla banchina spagnola.

Udire la musicalità della sua terra natia sdraiarsi sulle labbra del suo amante gli provocò una scossa in cui si intrecciavano l’emozione per la patria perduta e il fremito per le parole del compagno.

Il corpo del giovane si perse su quello più robusto dell’uomo, le gambe abbandonate tra le sue, il petto che respirava in sincrono con quello dell’amante e il viso bollente incuneato nel declivio del collo dell’ex-corsaro.

«Hai una pessima pronuncia» rantolò, senza riuscire a inasprire del tutto l’emozione con il tono brusco. «È davvero orribile. La più brutta che abbia mai sentito.»

Il ginocchio dell’uomo si sollevò lentamente, divaricandogli con gentilezza le gambe.

«Sono desolato» mormorò Antonio, alzandogli il viso in modo da poter parlare ad un soffio dall’angolo della sua bocca. «Dovrò ripeterlo spesso per migliorare, allora. E anche dopo, dovrò continuare a dirlo per non perdere la corretta pronuncia.»

«Dovrai ripeterlo milioni di volte. Il tuo accento è davvero orripilante» lo smontò Lovino.

«Non ho fretta» replicò serafico l’altro.

Il pescatore rimase per un attimo così immobile che sembrò sparire nelle tenebre.

Avvertiva la pressione della coscia dell’uomo in mezzo alle sue, le mani del compagno appoggiate alla schiena ormai scoperta, la bocca calda ad un passo dalla sua.

Antonio era spaventato quanto lui dalla decadenza di tutte le loro protezioni di fronte allo spettro dei cacciatori di innocenti. Eppure il suo tocco era fermo come le altre sere, l’unica cosa rimasta costante in tutto il loro mondo a soqquadro: le carezze di Antonio spazzavano via l’inquietudine, allo stesso modo in cui la risacca ripuliva la spiaggia durante la notte, e i suoi baci sfilacciavano la tensione come i raggi del sole dissipavano un banco di nebbia.

Cercò di imitare il magnetismo delle effusioni del compagno, cimentandosi in un goffo sfioramento del suo viso: voleva essere di aiuto al suo amante, e non limitarsi a fare il bambino viziato per tutta la vita. Voleva che le sue carezze lo tranquillizzassero come quelle dell’uomo facevano con lui. Antonio seguì con il volto la mano del giovane, e stese il collo quando questa scese lungo la giugulare. I polpastrelli callosi si fermarono in mezzo alle clavicole, mentre un incerto pescatore decideva se avventurarsi ancora più a fondo oppure no.

Prima che il ragazzo avesse risolto i suoi dubbi, l’ex-capitano gli afferrò amorevolmente il polso, e condusse la mano del giovane dove gli fu possibile baciarne le dita una per una.

«Lovino» lo chiamò, cingendolo con tutta la sua forza. «Davvero ti domandi ancora perché io abbia preferito te?»

Il pescatore gorgogliò indistintamente contro la sua camicia, e Antonio fece terminare quei suoni inarticolati contro la propria bocca.

Se solo quel ragazzo avesse capito quanto lo rendesse felice con i suoi tentennanti tentativi, non avrebbe più avuto dubbi. Oppure se ne sarebbe andato, schifato dalla melensaggine dell’ex-corsaro. Ma Lovino non aveva modo di leggergli nel pensiero: avrebbe dovuto dimostrarglielo.

Lo spogliò lentamente, lasciando tutti gli spettri al di fuori di quella stanza, almeno per una notte.

Come se l’Inquisizione non fosse mai esistita, assaporò con gli occhi, con le mani e con la bocca il corpo del giovane, concedendosi tutto il tempo possibile per riscoprirlo tiepido e fremente. Lovino morse una nocca della propria mano quando i denti dell’uomo si strinsero delicatamente poco sopra l’anca sinistra, un punto dove inspiegabilmente la sua pelle era più sensibile.

Non si rivoltò quando Antonio cambiò le loro posizioni e lo adagiò prono sul letto. Afferrò il cuscino, intuendo le intenzioni del compagno: la sua camera non era separata come quella del padrone, e non volevano svegliare Consuelo e gli altri durante il loro riposo.

La spina dorsale si inarcò con forza sotto le lusinghe della lingua e delle labbra dell’amante, che la seguirono con dovizia, una vertebra per volta fino alla nuca violata.

Lovino lasciò andare il guanciale ed eseguì una strana torsione del busto per allacciare un braccio attorno al collo dell’uomo, strattonandolo per un bacio: Antonio era sopravvissuto al rogo, ed era lì con lui, la bocca avvinghiata alla sua; aveva la necessità di sentirlo vicino a sé per convincersi che non sarebbe arrivato nessuno a strapparglielo via.

Le labbra del giovane emisero uno schiocco ovattato quando si separarono da quelle del compagno; Lovino si stese di nuovo ad abbracciare il cuscino, e sospirò involontariamente sulla federa sentendo i palmi dell’uomo lambirgli i fianchi.

Il ragazzo sprofondò il viso e i gemiti nel guanciale quando l’amante scivolò dentro di lui.

Antonio si chinò per circondargli il petto con un braccio, il ventre che aderiva alla schiena palpitante del compagno. Consolò le spalle contratte con un lungo tappeto di baci, che si concluse alla base del collo del pescatore; i muscoli del ragazzo ebbero un attimo di cedimento, per poi tendersi con un tremito quando la mano dell’uomo scese dai pettorali alla parte più sensibile del suo corpo, viziandola con movimenti quasi estenuanti.

Le unghie del pescatore arpionarono il cuscino, incidendovi pieghe più profonde in accordo con i movimenti più intensi dell’amante, ed una mano sconfinò ad artigliare il materasso quando l’amante si liberò in lui.

Spinse via il guanciale e boccheggiò sul materasso mentre il sudore gli appiccicava alla fronte la frangia rossiccia.

Una mano calda si appoggiò sulla sua spalla per farlo ruotare su se stesso, ed una bocca arrossata dal piacere schiuse la sua senza difficoltà. I denti dell’ex-capitano sfiorarono le labbra tumide, e assestarono un morso appena accennato alla sua bocca gonfia.

«Ti amo» ripeté Antonio, coricandosi su di lui in un abbraccio.

«Non devi dirlo solo per allenarti» si risentì stancamente Lovino.

«Non mi stavo allenando.»

L’oscurità della stanza fu di enorme aiuto al pescatore, poiché senza di essa Lovino non avrebbe davvero saputo che espressione indossare in risposta alla confessione dell’amante. Non sapeva mai quale fosse la reazione appropriata quando l’uomo sfoderava la sua voce roca riservata alle grandi emozioni: quelle tonalità rauche riuscivano a graffiarlo nel cuore e nell’anima, lasciandolo piccolo e disorientato nell’oceano sconfinato dell’amore dell’ex-corsaro.

Lovino si accucciò contro il compagno, un piccolo riccio di mare capriccioso e pieno di imbarazzo. Antonio accolse il mutismo del giovane con serenità, e lo strinse a sé come il suo tesoro più prezioso, con passione e premura al contempo.

Le sopracciglia scure si sollevarono per la sorpresa e un sorriso deliziato lampeggiò sul viso dell’uomo quando la caviglia del ragazzo si mosse a sfiorare la sua, il ginocchio che sfregava leggero sulla sua gamba, vicino alla cicatrice.

Antonio si sollevò sulle braccia, e fece scorrere le mani sulla pelle levigata nell’interno del ginocchio del giovane. Lovino mantenne il suo incantevole broncio mentre distanziava le gambe ancora umide di piacere per accogliere nuovamente il suo amante, e l’ex-corsaro non resistette alla tentazione di baciare a fondo quell’adorabile viso corrucciato.

Lovino trattenne con forza la bocca dell’uomo sulla propria per soffiarvi all’interno gli ansiti che prima erano stati raccolti dal cuscino, e Antonio aderì a lui con le labbra e con il corpo, sfogando assieme al giovane il reciproco desiderio.

Bandirono i timori da quella camera per riscoprire la bellezza dell’essere vivi e di sentire i propri corpi muoversi insieme, condividendo il calore e i battiti del cuore. Ritrovarono il piacere di addormentarsi abbracciati dopo essersi saziati dell’amante, cullati da una stanchezza soddisfatta.

Le ciglia di Lovino si piegarono sotto la lievissima pressione del dito dell’uomo, e l’oscurità fagocitò i riflessi scarlatti che avrebbero insospettito alcune menti troppo attive. L’ex-capitano poggiò un bacio sulle palpebre chiuse, e depositò il gemello sulla fronte del giovane.

Era per quella piccola porzione di Italia che dormiva tra le sue braccia che Antonio avrebbe continuato a rifiutare l’universo dell’oceano.

 

***

 

Se qualcuno dei camerieri aveva udito il trasporto del padrone e del pescatore, fu così cortese da non farne parola la mattina dopo.

Vennero accolti con serenità alla tavolata in cucina dove il personale stava consumando la colazione.

«Ti sei messo qualcosa in faccia?» indagò Antonio, dopo essersi seduto e aver appoggiato il bastone alla sedia.

«Avevi detto che non si sarebbe visto!» s’inalberò Diego, puntando un dito accusatore verso Consuelo.

«Non si sarebbe visto, se tu mi avessi lasciato finire il lavoro» si giustificò la donna. «Ma tu ti divincoli come un’anguilla…»

«Ha ragione lei» decretò baritonale il cuoco.

«Come mai ti sei fatto truccare?» rise Antonio, nascondendo un ghigno irriverente dietro una fetta di pane.

Il cameriere si accasciò sulla sedia con un sbuffo privo di forze.

«Dormo poco, ultimamente» comunicò sfiancato. «Questa maledetta storia mi toglie il sonno.»

Una serie di colpi fece vibrare la porta sul finire della sua frase.

Perfino le briciole parvero arrestare la loro caduta sulla tovaglia, nell’immobilità sepolcrale che seguì.

I rintocchi sul legno si ripeterono, secchi e infausti come quelli di Sant’Orsola, lo spettro foriero di sventure.

«Vado ad aprire» si propose a stento Diego, dirigendosi all’entrata. Sfregò vigorosamente le palpebre con una mano perché il nuovo arrivato, chiunque fosse, non vedesse il maldestro trucco sul suo viso.

«Oh. Stavo cercando proprio voi. Che fortuna insperata!»

I capelli sulla nuca di Lovino si accapponarono orripilanti, e il pescatore li sedò con una mano; Antonio scivolò in piedi senza far strusciare le gambe della sedia a terra, parandosi davanti al giovane. Consuelo corse a stringere la mano con il dito fasciato attorno al suo talismano, mentre il cuoco borbogliò qualche imprecazione a labbra chiuse.

«Stavate cercando… me?» ripeté Diego. Sapeva di trasgredire al galateo trattenendo un ospite sulla porta, ma era il peccato che meno di tutti gli altri suscitava la sua preoccupazione.

«Vi dispiacerebbe recitare il Pater Noster

«Di cosa lo stai accusando?» Antonio irruppe nella conversazione, stanco di rimanere in cucina ad osservare il suo cameriere mentre veniva insidiato.

«Gli ho solo chiesto di recitare una preghiera.»

Perfino sotto la piena luce solare Nicolas sembrava propagare tenebre. I raggi dell’astro del mattino non riuscivano ad intaccare la sua aura umbratile, e parevano smorzarsi e morire sopraffatti dall’oscurità che albergava nell’uomo.

«Non una in generale: il Pater Noster. Esattamente la preghiera che si fa recitare ai sospettati di eresia, o di stregoneria.»

Diego impallidì a quella nuova informazione, ruggita dal padrone della locanda, e cercò di nasconderlo passando una mano sul viso. Al tavolo da pranzo, le guance di Consuelo appassirono in un bianco cadaverico.

Del tutto estraneo allo sconvolgimento del personale, Nicolas sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi nel flautare:

«I miei complimenti, Antonio. Noto che non hai dimenticato i procedimenti dell’Inquisizione.»

Il cuoco ricacciò con forza Lovino a sedere: l’intervento del pescatore collerico non avrebbe che peggiorato la situazione.

Le parole di Nicolas avevano acceso una miccia nell’animo infiammabile del giovane. Lovino aveva colto perfettamente il velenoso sottinteso di quella frase serpentina: alludeva al processo subito da un Antonio ancora bambino e dai suoi genitori. Gli avrebbe fatto rimangiare quelle parole una per una se solo il massiccio uomo non l’avesse trattenuto al suo posto.

«Se si rifiuta, dovrò portarlo dove avranno…» l’anello d’oro girò attorno alla falange, fosco. «… altri mezzi per convincerlo. Ebbene?»

«Non conosco il latino» ammise Diego.

Se avesse sparato una fucilata nel bel mezzo della locanda, l’effetto non sarebbe stato più devastante. L’apprensione che deformò i volti dei suoi colleghi fu proporzionale al sadismo che lisciò quelli dell’Inquisitore.

«Non lo conoscete» ribadì il predatore, per assaporare di nuovo il gusto di quella dichiarazione. «Eppure è la lingua degli uomini dotti.»

«La mia cultura non è particolarmente vasta.»

«Ed è anche la lingua degli uomini di Chiesa, dei fedeli. Devo dedurne che non frequentate la Chiesa e non siete credente?»

Le nocche dell’ex-capitano divennero ancora più livide delle gote del cameriere tanta fu la forza con cui Antonio strinse l’impugnatura dorata.

«Toglietemi una curiosità» insistette sardonico l’Inquisitore. «“Se davvero vogliono trovare il Diavolo, non dovrebbero cercarlo nelle taverne. Dovrebbero fare delle belle retate dei nobili che hanno votato per l’entrata in guerra, o dei benpensanti che hanno invocato la razzia degli infedeli”. Non sono state le vostre esatte parole, ieri sera?»

Consuelo strangolò un gemito con le mani: sapeva, sapeva che gli sarebbe stato presentato il conto per quelle ingiurie avventate!

«Il ragazzino…» Diego riuscì a mormorare solo quelle poche sillabe prima che Nicolas lo sovrastasse con la sua omelia:

«Un bravo fanciullo che ha deciso di aiutarci nel redimere un… figliol prodigo» concluse l’uomo, dopo aver soppesato con superbia e blando disgusto il cameriere.

«Su quali basi… sono accusato?» volle sapere in un soffio Diego.

«Noi Inquisitori siamo l’indegno esercito dell’Onnipotente nella sua lotta contro il Maligno. E voi avete messo in discussione la santità della nostra missione: screditando noi, avete fatto lo stesso con chi ci ha mandati. Avete bestemmiato nella maniera più orribile che esista» fu ben lieto di spiegare Nicolas, pur atteggiandosi a giudice afflitto. «E non conoscete nemmeno le preghiere più basilari nella vita di un buon credente. Come il vostro padrone sa, il paganesimo è da considerarsi eresia.»

Il cuoco fece ancora più fatica a trattenere lo scalpitante Lovino: il ragazzo aveva la forza di un bufalo e la capacità di sgusciare in mille direzioni diverse come una medusa; perfino il muscoloso energumeno sudò per tenerlo fermo sulla sedia.

Consuelo non prestò attenzione ai due lottatori di fronte a lei: le mani arpionate al suo amuleto, pregava sommessamente la Dea del Mare, gli occhi sbarrati fissi sulla schiena del collega.

«Non è detto che siate colpevole» lo rassicurò assassino Nicolas. «Vi scorterò dove potranno interrogarvi. Se sarete ritenuto innocente, sarete rilasciato.»

Diego mosse un passo in avanti, subito bloccato dalla ferrea stretta dell’ex-corsaro sulla spalla.

Se il suo volto era bianco per la paura, quello di Antonio era nero di rabbia.

«Devono solo farmi qualche domanda. Non ho nulla da temere» Diego si sforzò di essere positivo mentre scostava la mano del padrone.

Consuelo scattò in avanti con il viso: i lunghi capelli corvini scesero a tendina sulle sue guance, nascondendo le lacrime della donna. Il cuoco non rilasciò la presa da Lovino, ma non vi fu più bisogno di tenerlo inchiodato al suo posto: la strada che stavano imboccando gli eventi lo aveva pietrificato sulla sedia.

«Che uomo savio» lo lusingò perfido Nicolas, attendendo di essere raggiunto al di fuori della porta.

Diego avrebbe facilmente sopraffatto il cacciatore in uno scontro fisico, eppure era ridotto a seguirlo timoroso, come un cagnolino che teme nuove percosse da un padrone violento. Qualunque sua rimostranza avrebbe scatenato una pioggia torrenziale di accuse sul resto del personale; aveva già causato abbastanza problemi con il suo scervellato sfogo della sera prima. Non aveva intenzione di crearne altri con la sua testardaggine.

Diego venne fagocitato dalla presenza malevola dell’Inquisitore, divenendo quasi invisibile nella sua ombra.

Nicolas strinse le dita sul cerchio d’oro al suo dito, e inspirò a fondo l’aria.

«Potrei ingannarmi, Antonio, ma mi pare che tu odori di salsedine.»

«Siamo vicino al mare. È il profumo naturale dell’aria» ringhiò a denti stretti l’ex-corsaro.

Nicolas non si preoccupò troppo di nascondere il suo ghigno: Antonio non avrebbe protestato per paura di possibili ripercussioni sul cameriere, e Diego non si sarebbe ribellato per non far ricadere la colpa delle sue azioni sulla locanda. Meravigliosa invenzione, i legami umani. «Intendi lo stesso mare cui tu non puoi nemmeno avvicinarti per via della tua ferita?» lo sguardo dell’Inquisitore vagò con casuale noncuranza su Lovino prima di appuntarsi di nuovo sull’ex-capitano: «Ma forse hai trovato nuovi lidi in cui… immergerti senza soffrire.»

«Devo considerarmi sotto accusa?»

Nicolas decise di non proseguire oltre le sue fini torture. Abbozzò un vago inchino e si congedò, portando con sé Diego:

«Ovviamente no, Antonio.»

E aggiunse, quando furono ad una distanza sufficiente:

«Non ancora.»

Diego tremò, quando le labbra dell’Inquisitore si piegarono come se il diavolo in persona le stesse curvando.

Non conosceva le preghiere canoniche, ma innalzò dal profondo del suo cuore la più sentita invocazione che il mondo avesse mai udito.

Gli Inquisitori avrebbero deciso se anche le sue suppliche fossero atti di fede o meno.

 

[…] E non ci indurre in tentazione

Ma liberaci dal male.

Amen.

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Capitolo 5
*** Atto di Carità ***


Atto di Carità

Erano mani grandi, le sue.

Le esaminò a lungo, dal polso all’unghia: la fatica aveva indurito le nocche, il lavoro gli aveva ricoperto di calli le dita e i palmi, le disavventure avevano reso la sua pelle ruvida come carta vetrata. Erano tanto robuste da apparire intimidatorie: sembravano nate per rompere nasi e fracassare mascelle.

Ma c’era stata una persona, una creatura di squisita gentilezza, che non avrebbe mai temuto la carezza impacciata di quelle mani gigantesche.

Il cuoco girò la testa per sentire la fresca federa del cuscino sul viso, ed inspirò l’aroma di sapone avviticchiato alla stoffa: il profumo di bucato lo riportò ad un periodo lontano, talmente distante che perfino la memoria doveva usare il canocchiale per vederlo.

Era stato servitore in una colonia del Nuovo Mondo, una volta.

I suoi ricordi di quel tempo erano confusi come se il sole impietoso dei campi li avesse scoloriti, allo stesso modo in cui sbiancava le ossa dei naufraghi sulle spiagge.

C’era solo una cosa che ricordava benissimo di quei giorni: sua figlia. Forse il suo cuore di padre aveva ingentilito le memorie, ma rammentava benissimo come splendeva la treccia di capelli corvini sotto il sole, e come scintillavano gli occhi scuri sul suo viso mediterraneo.

Molti uomini alla coltivazione avevano notato quelle stesse qualità della giovane, e le lanciavano occhiate maliziose nei punti in cui il vestito da bambina cominciava a stringere.

Il padre l’aveva raccomandata più volte di prestare maggiore attenzione agli sguardi altrui, ma lei non riusciva a capire a cosa il genitore si riferisse: si vedeva ancora con gli occhi di una bimba, del tutto inadatta ad attirare l’attenzione altrui.

Era talmente ingenua da chiedergli ancora di raccontarle la favola della principessa dell’oceano: le ciglia scure tremavano per la contentezza quando il padre le narrava della bellissima fanciulla chiusa nel suo reame di flutti. Quel regno di onde cortesi e marosi ribollenti possedeva una piccolissima fenditura su uno scoglio, da cui la principessa di affacciava per sbirciare talvolta nel mondo degli uomini. Quella finestrella aveva una piccola serratura, che la pulzella chiudeva con una chiave ogni sera. Aveva promesso a se stessa che avrebbe donato quella chiave e, con essa, il privilegio di osservare il suo mondo, solo ad una persona molto speciale.

«Se fossi stata io, quella chiave l’avrei data a te, papà» concludeva sempre lei, schioccandogli un bacio sulla guancia e tornando alle sue mansioni. E lui restava seduto, a glorificarsi nell’orgoglio da pavone di un padre che non è ancora stato scavalcato da altri uomini nel cuore della figlia.

Avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione alle tensioni nella villa. Se lo avesse fatto, forse non sarebbe giunta quella maledetta mattina, in cui un nativo era corso da lui farneticando parole a metà tra uno spagnolo sgrammaticato e il suo idioma madre, e aveva gesticolato freneticamente in direzione del fiume.

I capelli splendevano ancora di più immersi nell’acqua, ma era una lucentezza gelida come il fiume che le lambiva le membra rigide; il sole si rifletteva scialbo sugli occhi vacui e sbarrati, mentre una corrente rossa, sottile come un filo, adornava funebre la corrente vorticosa.

Quel corpo immobile in mezzo alle acque in movimento era qualcosa di innaturale e repellente come un albero da cui germogliano frutti marci, e quegli orrendi squarci rossi sul suo addome sembravano i sorrisi di tanti minuscoli diavoli che lo schernivano.

Tutta una vita ad adorarla, ed eccola lì, la sua eterna bambina, ad intralciare la corrente di un fiume con il suo cadavere.

Il nativo aveva forse biascicato qualcos’altro nella sua strana lingua smozzicata, ma lui non vi aveva prestato orecchio: anche se il suo corpo si era mosso, la sua anima era rimasta su quel fiume fangoso, ad abbracciare il corpo freddo di sua figlia, a piangere sul suo viso e ad accarezzarle i capelli come faceva quando da piccola aveva paura del buio; chissà quanta paura doveva avere in quel momento, sola in un mondo sconosciuto e strappata a quel modo dalla sua casa, dal suo unico parente.

La finestra della principessa era stata chiusa per sempre.

Setacciò la colonia palmo a palmo, furioso, finché non trovò l’uomo che cercava: era riuscito a ripulire le mani, ma alcuni schizzi di sangue gli erano rimasti sotto le unghie e sulle maniche della camicia che non era riuscito a cambiare.

Senza dire una parola, lo aveva afferrato per la testa e lo aveva trascinato fuori dalla coltivazione, verso la “secca delle rocce”, una terra arida costellata di massi limati dai raggi cocenti del sole che distanziava il territorio del loro padrone da quello confinante.

Forse aveva scalciato e si era dibattuto, ma non lo ricordava: aveva sentito il fiume rombargli nelle orecchie, e il suo fango limaccioso scorrergli nelle vene; i suoi occhi erano divenuti vuoti come quelli della sua bambina, e l’unico motore del suo incedere incessante era una piccolissima fiammella di rabbia ardente, che ancora crepitava in un angolo remoto della sua testa.

Aveva qualche vaga memoria di scuse pronunciate tra le lacrime, ma non avevano sorpassato i suoi timpani in cui ruggivano le correnti tinte del sangue di sua figlia.

Lo aveva sollevato con le sue mani nerborute, quelle mani che mai, mai avrebbero fatto del male a qualcuno: sua figlia le amava, le copriva di baci e si lasciava accarezzare senza paura della loro forza erculea. Ma non c’era più nessuno a ricevere le premure di quelle dita mastodontiche; sua figlia non poteva più sporcarsi le labbra baciandole: erano libere di macchiarsi di sangue.

«Ti ha rifiutato. E tu l’hai portata via» aveva pronunciato la sua condanna senza emozione: il fiume aveva spazzato via anche i suoi sentimenti. «Ora lei è sola e spaventata nell’oltretomba. Assumiti le tue responsabilità e falle da guida.»

Nella sua memoria, quella scena era muta: in realtà quel disgraziato doveva aver urlato prima che il suo cranio fosse fracassato sulle rocce nude.

Si era spogliato della camicia macchiata di sangue e materia cerebrale e si era lavato in un corso d’acqua lì vicino, poi si era recato al porto per imbarcarsi: la terra era troppo piccola per tollerare un peccato come il suo, mentre nell’immensità del mare la sua colpa sarebbe stata non più grande di una goccia.

Era stato arruolato come mozzo sulla nave di Antonio, ed era stato lui a portarlo a braccia dal dottore quando il proiettile infausto l’aveva colpito alla gamba.

Aveva scelto di rimanere con Antonio poiché non aveva senso solcare il mare senza il capitano che per primo lo aveva accettato: anche il cuore degli uomini d’oceano era più grande di quello dei lupi di terra.

Il corsaro non approvava il suo comportamento di allora, e non glielo aveva tenuto nascosto. Ma la tolleranza, seppur lontana dalla solidarietà, era molto più di quanto l’assassino avesse osato sperare.

Le sopracciglia del cuoco si unirono in un cruccio dubbioso. Non era accondiscendenza, quella del capitano, ma comprensione; lo aveva capito in quei giorni, osservando il fuoco artico che gli turbinava negli occhi: se qualcuno avesse osato strappargli Lovino, lo avrebbe fermato con un proiettile in mezzo agli occhi senza alcuna esitazione. Chi come loro amava senza riserve, si vendicava senza pietà.

I viaggi per mare, la scoperta di tante culture e tante persone gli avevano fatto capire che, se da allora non era più riuscito a sentire sua figlia vicino a sé, non era colpa di uno straniero che aveva chiuso il regno della principessa del mare: era lui ad aver perduto la chiave. Dal momento in cui aveva ucciso quell’uomo, le sue mani erano diventate troppo sporche per poter aprire di nuovo l’entrata per il reame delle onde.

Fermo sul materasso, rifletteva sul dolore che non avrebbe mai dimenticato e la colpa che non avrebbe mai espiato: era diventato un assassino come l’uomo che gli aveva portato via sua figlia, e per questo lei sarebbe rimasta per sempre in un regno troppo lontano per un mentecatto come lui.

Se allora avesse avuto un pizzico di quella saggezza che la brezza marina gli aveva soffiato nei polmoni, forse sarebbe riuscito a contenere la furia e a fermarsi: ma a quel tempo era un uomo viscerale, che agiva senza l’autorizzazione della razionalità.

Passò una mano sugli occhi e la appoggiò sul petto: il suo cuore batteva ancora. Ogni tanto, aveva l’illogico timore che il suo peccato lo avrebbe pietrificato, come per gli esuli di Sodoma e Gomorra che osavano voltarsi indietro.

La poggiò di nuovo sulle palpebre, pensando a Diego, imprigionato quella mattina.

Qualunque cosa accadesse sperava che lui, almeno lui, non perdesse la chiave del reame del mare.

 

***

 

Lovino sollevò il capo per osservare l’uomo che dormiva al suo fianco.

Quella sera si erano ritirati nella stanza padronale. Anche Consuelo e il cuoco avevano preferito riposare al secondo piano, nelle camere lasciate vuote dai clienti: la stanza di Diego sembrava occupata dal fantasma della sua assenza, uno spettro inquieto e malinconico, e nessuno voleva passare la notte nelle sue vicinanze.

Antonio si era assopito solo pochi minuti prima, ed era caduto in una sonnolenza turbolenta: la preoccupazione non lo aveva abbandonato neppure in sogno, e gli aggrottava la fronte a scatti, incupendogli il viso e muovendogli le labbra in una preghiera o in un’ingiuria, entrambe troppo fioche per essere udite.

Lovino lo fissò, esausto ma incapace di dormire.

Si erano coricati sulle coperte, perfettamente vestiti, e Antonio non l’aveva quasi toccato, quella sera: erano rimasti sul letto in silenzio, le mani unite al centro delle coltri, in attesa che il sonno cogliesse uno dei due. Gli artigli dei cacciatori gravavano ancora sul loro tetto, e scorreva l’inesplicabile timore che qualunque parola avrebbe potuto convincerli a chiudersi su di loro in una morsa letale. Così erano rimasti muti: l’unico movimento in quella stanza immobile erano le loro dita che di tanto in tanto disfacevano l’intreccio per crearne uno nuovo.

Spostò lo sguardo sulle loro mani, inquieto: solo la sera prima aveva tremato al tocco di Antonio. Percepiva ancora quell’emozione riscaldargli le vene, ma pareva che quel fuoco bruciasse sotto strati e strati di pietra. Avvertiva solo una lontanissima eco del tepore di allora, come se perfino quel sentimento fosse costretto a nascondersi per paura.

Strinse le dita con più forza, smanioso di riappropriarsi delle sue sensazioni: era assurdo, irreale che un uomo vestito di nero potesse crocifiggere il suo cuore a quel modo.

Non vi fu alcun cambiamento sostanziale: il panico aveva inibito i suoi ricettori, ed era come vivere il suo amante attraverso una corazza.

Si allungò su di lui per premere le labbra sulle sue, sperando di riappropriarsi dei brividi che quel contatto gli aveva sempre dato. Fu come se il capitano venisse baciato da un’altra persona, e questo gli provocò un tale senso di nausea che fu costretto a staccarsi e ritirarsi sull’angolo più lontano del letto.

Fu in quel momento che Antonio si ridestò. Trascorse qualche secondo di intontita ricerca del compagno e, individuatolo, gli si accostò. Il modo in cui il giovane si ritrasse al suo tocco, rabbrividendo come per una febbre malarica, fu sufficientemente esplicativo: era per quel motivo che aveva evitato qualunque contatto fisico troppo intenso, poco prima.

«Passerà, Lovino» mormorò, mantenendosi distante. «L’Inquisizione può rubarti tante cose, ma non l’anima. Quella è solo tua.»

Il ragazzo rimase fermo nel suo angolo di letto, ancora appallottolato su se stesso. Antonio aspettò finché il giovane non scivolò di nuovo vicino a lui, abbastanza vicino da sfiorare la stoffa degli abiti con la sua.

Il locandiere stese il braccio, e Lovino vi si accucciò sopra dopo un istante di indecisione.

Antonio lo accarezzò con lo sguardo, senza toccarlo per non scuoterlo ancora di più. Sentì il cuore prosciugarsi e avvizzire alla vista del compagno spezzato: la sua testardaggine era ancora vivida nei suoi occhi, ma affievolita, come se l’Inquisizione l’avesse annegata.

Non avrebbe permesso che uccidessero il suo amato pescatore in quel modo vile, lacerandogli l’anima mentre ancora respirava.

Se fosse stato a conoscenza dei pensieri del cuoco, si sarebbe trovato d’accordo con lui.

Chi come loro amava dal primo battito di cuore, avrebbe lottato fino all’ultimo respiro di vita.

 

***

 

Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità

«Non ha detto una parola?»

«Ha urlato molto, ma non ha pronunciato un singolo vocabolo comprensibile.»

Ad un cenno dell’Inquisitore, il boia si ritirò sulla tortuosa scala a chiocciola che conduceva alle prigioni degli imputati.

Nicolas osservò con nauseata considerazione lo scarto di umanità che si deteriorava contro la parete di sassi ruvidi.

Era stato arrestato la mattina precedente, ed era stato interrogato per tutto il giorno, con metodi più o meno ortodossi. Nonostante tutto, non aveva ancora confessato nulla: la forza di volontà di quel rifiuto era impressionante. D’altronde era risaputo che, nel giardino del Signore, era l’erba malvagia quella più resistente di tutte.

Inalberò il capo con alterco quando l’accusato osò levare lo sguardo su di lui.

Il sudore e la tortura dell’acqua gli avevano appiccicato i capelli castani al viso, e le lacrime che perfino i più temerari versavano sotto la sferza della frusta avevano lasciato un’incrostazione trasparente sul volto. L’uomo nascondeva la schiena martoriata contro la parete alle sue spalle, per non dare all’Inquisitore la soddisfazione di vedere quanto a fondo avesse scavato il boia: solo gli schizzi amaranto aggrappati ai brandelli di camicia rivelavano lo stato increscioso del dorso.

Flagellato e combattivo: se non avesse avuto quel barlume di ferocia negli occhi, avrebbe potuto associarlo alle ineffabili immagini dei martiri.

«Mi riferiscono che siete restio a parlare» esordì Nicolas, muovendo un passo verso le sbarre.

«Ho già detto quello che dovevo dire» replicò secco Diego, con la disperata fierezza di chi si trova ad un vicolo cieco. «Il resto lo inventerete voi.»

«Mi offendete, in questo modo. Mi state accusando di trasgredire i Comandamenti con una falsa testimonianza?»

«Non oserei mai. Solo…» il cameriere si interruppe con una smorfia di dolore: una lesione alla schiena particolarmente profonda gli aveva ricordato la sua presenza. «Avete un modo piuttosto personale di interpretare i discorsi altrui.»

«E dove, nel vostro caso, avrei frainteso le vostre parole, i vostri insulti alla Spagna e alla Chiesa?»

«La mia non era una critica, solo un consiglio.»

«Un consiglio? Mi dispiace, non ho colto questa sfumatura del vostro discorso» l’anello tintinnò contro le sbarre quando Nicolas vi avvolse i pugni attorno. «Sareste così cortese da spiegarmi?»

Nonostante il dorso scarlatto di sangue e le membra fiaccate dalla prigionia, Diego si sollevò faticosamente in piedi, e traballò verso di lui come un morto appena uscito dalla tomba. Le mani del cameriere si strinsero attorno alle sbarre poco sotto le sue e il giovane esalò, la voce rovinata dal tormento dell’acqua:

«Se volete trovare davvero il demonio, dovreste cercarlo sui campi di battaglia. E sarebbe una grossa sorpresa, per voi.»

«Per quale motivo?» scandì vellutato e crudele Nicolas.

Diego si allontanò dalle sbarre, e tornò a sedersi nel suo angolo: indietreggiò senza mai mostrargli la schiena, ostinato fino in fondo a non farlo beare delle sue scorticature.

«Perché posso garantirvi che, dove infuria la guerra, è possibile vedere il male al suo stato più puro. Ma la cosa più sconvolgente è che…» il cameriere tirò un profondo respiro, forse per dare maggiore enfasi al discorso oppure per lenire il bruciore delle ferite. «Tutta quella sofferenza, tutte quelle bestialità… non sono opera del diavolo, ma degli uomini.»

«State dicendo che il diavolo non esiste?»

Sentì scottare sul viso lo sguardo febbricitante che Diego diresse verso di lui. Non vi era alcun dubbio, quel cameriere aveva il fuoco di uno stregone nel sangue.

«Sto dicendo che gli uomini sono capaci di trucidarsi senza che il demonio intervenga in alcun modo. Alcune persone sono peggio di Satana in persona» ogni parola sfrecciò verso l’Inquisitore come un’accusa, che si sgretolò in cenere contro la sua divisa nera. Qualunque fosse la colpa con cui quel sorcio di locanda lo infamava, non poteva fare altro che squittire: la decisione finale non era certo nelle sue mani immonde.

Fu proprio su quelle che si appuntò l’attenzione dell’Inquisitore: erano miracolosamente sfuggite ai supplizi. Il giovane doveva avere molta cura di loro, se perfino durante le sue sofferenze si era preoccupato di proteggerle.

L’anello girò, ed un ghigno ferino distese le labbra rapaci.

«Credo che sia giunto il momento per voi di ricevere un’altra sollecitazione» con questa promessa di patimenti futuri, Nicolas svanì nelle curve della scala a chiocciola.

Diego crollò contro il muro, esausto: era stato un martirio mantenere integra la sua dignità nella conversazione con il predatore. Più di una volta aveva desiderato rannicchiarsi e supplicarlo di andarsene, ma aveva coraggiosamente resistito: nessuno avrebbe potuto dire che i colleghi di Antonio fossero dei codardi senza spina dorsale.

E per amor tuo amo il prossimo come me stesso e perdono le offese ricevute.

L’ombra del boia, sbrecciata sulle irregolarità del muro di pietra, discese i gradini e sostò davanti alla sua cella. La luce delle torce s’infranse sul contorno di uno strumento metallico; la sensazione di angoscia che quel ferro trasmetteva era forgiata dalla sua forma foriera di oscuri presagi e dalle macchie di sangue che nemmeno le braccia vigorose del carnefice erano riuscite a lavare.

Il sudore che gli imperlava la fronte si ghiacciò all’istante non appena notò la direzione dello sguardo del boia: le sue mani.

Gli tremarono le labbra e il cuore al pensiero di quanto stava per avvenire. Aveva udito moltissimi mormorii atterriti su cosa accadesse alle dita dei sospettati di stregoneria: le falangi venivano spezzate una ad una, in modo che il mago non potesse più scagliare i suoi malefici.

Nicolas aveva deciso di estendere anche a lui il privilegio di quel tormento, ben sapendo quanto le mani fossero importanti in un mestiere come il suo.

Il suo stesso respiro gli scorticò la gola quando il boia gli si accostò per cominciare l’ennesimo interrogatorio.

«Non hai nulla da dire?» lo esortò rudemente l’uomo, ormai pronto a procedere.

Diego scosse il capo, tenace: avrebbe difeso la locanda fino alla fine.

Era stato un soldato per tanti anni, così tanti che ancora avvertiva l’odore del sangue e della polvere da sparo quando chiudeva gli occhi. Dopo l’ultima guerra, aveva deciso che non avrebbe mai più imbracciato un fucile, e aveva vagabondato per la città alla ricerca di un qualunque lavoro.

Il destino volle che la prima taverna in cui fece richiesta fosse quella di Antonio: era un’attività appena avviata, e l’ex-capitano aveva bisogno di un po’ di personale.

Il locandiere non aveva idea di quanto avesse salvato quel giovane, offrendogli un impiego e un alloggio. Antonio gli aveva garantito una via d’uscita dall’inferno delle baionette; non avrebbe ricambiato il favore gettandolo nella graticola dell’Inquisizione: le sue labbra sarebbero rimaste sigillate fino a carbonizzarsi sul rogo, se necessario.

Signore, che io ti ami sempre più.

Il fiato che gli aveva leso la gola fu rilasciato in un grido agghiacciante.

Il primo dito fu il pollice.

Amen.

 

***

 

Quella città era cambiata dall’ultima volta in cui aveva calato l’ancora: sembrava aver sviluppato un’allergia al dialogo, e centellinava le parole come un avaro avrebbe fatto con i suoi denari.

I rapporti tra il suo piovoso paese d’origine e quella terra baciata dal sole da decenni non erano ottimali: le continue schermaglie di pirateria e le dure battaglie navali avevano costruito la subdola storia della mai dichiarata guerra tra Spagna e Inghilterra, e i due popoli sopportavano gli scambi commerciali tra di loro come un male necessario. Tuttavia non aveva mai ricevuto un’accoglienza così fredda: era abituato a sguardi di ammirazione o di disprezzo, non ad essere ignorato come un essere invisibile. Si chiedeva quale mostro avesse potuto oscurare la sua controversa ma innegabile fama.

Il corsaro inglese stentò a riconoscere nella via spoglia che si snodava davanti a lui la strada pullulante di gente ciarliera dei suoi ricordi. Temette perfino che il mare lo avesse imprigionato in un sortilegio temporale, bloccando la sua clessidra e accelerando quelle altrui: la locanda di Antonio, anche se perfettamente intonacata, sembrava il rudere di se stessa, spenta e sciupata come una spiga di grano lasciata a seccare. Non udiva alcun vociare all’interno e non vedeva alcuna ombra alle finestre: sembrava che il cuore della taverna fosse congelato.

Bussò alla porta, e il suo sbigottimento non poté che aumentare alla vista della donna che andò ad aprire: collegò a fatica quella femmina smunta e abbattuta alla briosa Consuelo che lo aveva sempre accolto con larghi sorrisi.

«Cosa è successo?» domandò, anziché salutare.

«Il demonio, seňor» rispose lei, facendosi da parte per lasciarlo entrare.

Arthur mise piede nella locanda con il timore di venire contagiato da quell’aura di morte apparente. Aveva avuto un ragazzo di origini slave come mozzo, un tempo, e ricordava ancora i suoi terribili racconti sui vampiri, gli esseri spaventosi che uscivano nottetempo dalla bara per cibarsi di sangue umano; sembrava che una di quelle bestie mostruose fosse giunta alla locanda e avesse banchettato con i suoi abitanti.

Il cuoco lo salutò dall’altro capo del salone, mentre Antonio si sforzò di sorridere per accoglierlo.

«Arthur» lo salutò, festoso per quanto la sua espressione stremata gli consentisse. «Arrivi in un momento buio, purtroppo.»

«Ci fermeremo una settimana, abbiamo qualche trattativa commerciale in corso» spiegò sbrigativo il capitano. Si avvicinò ad Antonio abbastanza da sussurrare: «Cosa sta succedendo? È bastato un anno per spolpare la città?»

«Sei stato via più di un anno.»

«Non abbastanza da giustificare l’invecchiamento di questo posto: il villaggio intero sembra stanco e anziano. Cos’è accaduto?»

Antonio lo invitò a sedersi, ed entrambi gli uomini presero posto sulle poltrone dell’atrio. Per la prima volta, Arthur sentì il gemito soffocato della stoffa sotto il suo peso: di solito la locanda era così gremita che si era costretti ad alzare il tono della voce per essere uditi dal proprio interlocutore.

L’ex-corsaro appoggiò il bastone al bracciolo e congiunse le dita davanti a sé con fare riflessivo. Poi cominciò:

«Pensavo di essermene liberato, dopo tanti anni. La memoria dell’Inquisizione è più resistente di quanto pensassi.»

Gli occhi acquamarina del capitano si spalancarono per il raccapriccio.

«L’Inquisizione?»

«Nicolas» ad Antonio fu sufficiente quel nome per far capire all’amico quanto fosse ingente la portata di quella catastrofe.

«Non può accusarti per le colpe…» l’inglese marcò la parola di pesante disprezzo, facendola quasi inciampare sulle proprie labbra per il carico di sdegno con cui l’aveva appesantita. «... di tanti anni fa. Il vescovo ti ha assolto.»

«Ma può sempre trovare nuovi modi per accusarmi» il locandiere chiuse gli occhi, provato. «È esattamente come in passato: prima di colpire me, si avventa su chi mi sta vicino.»

A quella notizia, Arthur lanciò un’occhiata circolare tutt’intorno: non aveva ancora visto il pescatore.

«Lovino sta riposando nella sua stanza. Questa situazione ci sta sfiancando» specificò Antonio, notando le manovre del capitano.

«Immagino che sia diventato anche lui una sua vittima» asserì Arthur con la gravità con cui avrebbe annunciato la morte di un parente.

I rancori di Antonio impiegarono qualche istante a perdere il loro potenziale velenoso e permettergli di replicare:

«Sta cercando di distruggerlo psicologicamente.»

«Tipico di quella serpe» Arthur quasi sputò per il disgusto. La sua espressione mutò completamente non appena registrò l’assenza di un’altra persona: il cuoco e Consuelo si erano eclissati in cucina, Lovino era nella sua stanza, ma non aveva visto né sentito nominare il cameriere.

«Dov’è Diego?»

Passarono altri lunghi secondi tra il suo interrogativo e la spiegazione di Antonio:

«È stato catturato per degli accertamenti. Lo stanno interrogando da tre giorni.»

L’inglese impiegò meno di un secondo a richiudere le labbra. Sapevano entrambi cosa potesse accadere in tre giorni passati nel grembo dell’Inquisizione: Arthur lo aveva sentito bisbigliare nei vicoli più bui, e Antonio lo aveva vissuto sulla propria pelle.

L’ingombrante fardello di una conoscenza sgradita e spaventosa gravò sui loro petti, finché Arthur non decise di sbarazzarsene:

«Dovete andarvene da qui, o Nicolas vi distruggerà. In un modo o nell’altro, sai che lo farà.»

Antonio non ebbe modo di rispondere: in strada si scatenò un’agitazione violenta quanto improvvisa. Per un secondo, le pareti della locanda parvero tremare; l’attimo dopo il mondo era di nuovo fossilizzato.

Entrambi i capitani scattarono in piedi, Antonio appena rallentato per recuperare il bastone; il cuoco e Consuelo emersero dalla cucina, e Lovino fece la sua apparizione dalla camera.

La donna fu la prima a raggiungere la porta: aprì uno spiraglio e sbirciò all’esterno. Gli uomini trasalirono quando la cameriera esacerbò all’improvviso uno strillo acuto per poi precipitarsi in strada.

In qualunque altro momento della sua vita, Consuelo si sarebbe accuratamente esaminata allo specchio prima di uscire. Pur non essendo particolarmente vanitosa, desiderava che la gonna fosse linda dalle pieghe, che il colletto della camicia non fosse asimmetrico e che i capelli fossero domati in un’acconciatura semplice e salda. Inciampò nella sua stessa gonna, sporcandola e spiegazzandola, ma non se ne curò; l’orlo della camicia sgusciò fuori dalla cintura e i capelli si agitavano nell’impeto della corsa come anguille corvine, ma la donna non se ne accorse neppure: l’unica cosa di cui era cosciente era l’uomo martoriato che arrancava nella polvere della strada.

Si gettò in ginocchio a terra, e non avvertì neppure il dolore elettrico dell’osso battuto contro il lastricato: percepì solo la fragilità del corpo attorno al quale si strinsero le sue braccia, e la processione umida delle lacrime sulle sue guance emaciate.

Fu Antonio il primo a raggiungerli: la mano lasciò andare il bastone, che colpì il terreno, ed anche l’ex-capitano si piegò sulle ginocchia per poter osservare il volto piagato del suo dipendente.

Diego era di nuovo con loro, accasciato sul ciglio della via, macilento ma vivo: il petto e la schiena erano scoperti, il passaggio della frusta nitido sulla pelle cerea. La faccia era devastata dai segni del patimento e delle lacrime, ma lo spettacolo peggiore era offerto dalle mani: quasi indistinguibili sotto le spesse croste di sangue, le dita erano state frantumate e le unghie spezzate fin quasi alla radice, e giacevano scomposte in un modo orribile a vedersi.

Il cameriere roteò gli occhi verso il capitano, ancora stordito dagli interrogatori e annebbiato dal dolore fisico. Mosse le labbra a vuoto, le corde vocali troppo tese e la bocca troppo secca per far scivolare le parole; solo dopo qualche tentativo riuscì a raschiare:

«Mi hanno lasciato andare. Non ho parlato.»

Consuelo eruppe in un singhiozzo altisonante, bagnando di lacrime il viso dell’uomo e accarezzandogli i capelli incrostati.

Le poche frasi del cameriere avevano strangolato ogni possibile replica nei polmoni di Antonio: i segni sul suo corpo urlavano i supplizi a cui era stato sottoposto; la morte aveva sfiorato più di una volta il suo dipendente nel periodo di prigionia, ma per miracolo o per capriccio la nera signora aveva deciso di non falciare la sua giovane vita. E la prima cosa che Diego aveva voluto ribadire, una volta uscito da quell’inferno, era la sua lealtà nei confronti del proprio padrone. Una marea prepotente di commozione gli affogò la gola, impedendogli di parlare.

«Un medico…» riuscì a chiamare infine, rialzandosi in piedi con l’aiuto dal bastone. «Abbiamo bisogno di un medico!»

La folla attorno a loro scrutava e giudicava, ma non mosse un muscolo per soddisfare la richiesta dell’ex-capitano; anzi, arretrarono di un passo quasi avesse bestemmiato, bisbigliando tra loro con gli occhi e le labbra.

Arthur e il cuoco furono i salvatori di Diego: l’energumeno si chinò per sollevarlo tra le braccia, cercando di fare attenzione alla sua schiena lacerata e alle lesioni ancora fresche; Arthur si accostò all’amico e mormorò furtivo:

«Chiamerò il medico di bordo, Antonio. Rientriamo.»

L’inglese faticò a spingere fuori dalle labbra quelle poche sillabe. Antonio era una leggenda in quella città, come lo era sui mari: stentava a credere che una manciata di calunnie sobillate dall’Inquisizione potessero pugnalare a quel modo il suo buon nome. O forse quella in cui si trovavano era solo una città troppo arroccata in convinzioni anacronistiche per porgere una mano.

Rientrarono veloci nella locanda, lasciando gli astanti a commentare tra di loro.

Il cuoco poggiò con delicatezza Diego sul letto, aiutandolo a stendersi sulla pancia, sotto la supervisione di una singhiozzante ed esultante Consuelo; Arthur si affrettò in direzione del porto per condurre alla taverna il medico del loro galeone.

Antonio non riuscì a muoversi dall’anticamera: la mano del pescatore lo afferrò per il gomito, trattenendolo al suo posto.

«È vivo.»

L’ex-corsaro dovette sforzare l’udito per sentire il sommesso sibilo del ragazzo.

«È vivo. E si riprenderà» aggiunse, per confortare il giovane.

La testa di Lovino si chinò, il collo sparì in mezzo alle spalle; poi l’orgoglio gli raddrizzò il capo, una ventata di fierezza gli asciugò gli occhi umidi di lacrime trattenute.

«L’Inquisizione non può prendersi tutto» decantò, annuendo lievemente come per convincere se stesso.

L’ostinazione traballante del giovane gli fece albeggiare un sorriso sulle labbra. Antonio lambì delicatamente con la mano la guancia segnata dal mare del compagno: il pescatore fremette, quasi impaurito, ma non si ritirò come qualche sera prima. Era un miglioramento, seppur minimo.

«No» lo rassicurò l’uomo. Le dita scivolarono dalla gota ai capelli poco sopra l’orecchio, che sfiorarono con una carezza. «No, l’Inquisizione non può prendere tutto.»

Lovino sollevò gli occhi sull’amante, e Antonio si sentì avvolgere da quelle iridi ramate: le mani del pescatore si contorsero, desiderose di abbracciare l’ex-capitano e timorose di farlo; furono gli occhi a cingerlo come avrebbero voluto fare le braccia, circondandolo con uno sguardo profondo come il mare.

Il palmo dell’uomo gli incorniciò il viso in risposta a quell’abbraccio impalpabile; rimase immobile a sfiorare lo zigomo con il pollice, poi scese verso il mento, sollevandoglielo appena con gentilezza. Di solito, quella scena aveva luogo quando Antonio aveva intenzione di baciarlo: quella volta, le dita lo abbandonarono accompagnate dalla pacata notifica del compagno:

«Dobbiamo aiutare gli altri a prendersi cura di Diego. I suoi aguzzini non sono stati clementi con lui.»

Lovino lo seguì prontamente in direzione della stanza del cameriere.

Non poté trattenere la propria mano, che volò ad appoggiarsi sulle ciocche accarezzate dall’amante.

Aveva sentito qualcosa; attutito dall’ansia, sfibrato dalla tensione, ma aveva percepito chiaramente un tremito scorrere sotto la pelle.

Strinse con forza le palpebre e ficcò il pugno nella tasca dei pantaloni. Non avevano tempo per quelle frivolezze: Diego era stato torturato e aveva bisogno delle loro cure.

Ma un frammento della sua anima, ben nascosto dentro di lui, continuò a gioire per la piccola scossa avvertita al tocco dell’ex-capitano.

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Capitolo 6
*** Atto di Dolore ***



Atto di Dolore

 

Mio Dio,

mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dai miei peccati,

perché peccando ho meritato i tuoi castighi,

e molto più perché ho offeso Te,

infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.

L’abbazia risuonò cava come un osso spolpato.

Gli ultimi resti delle candele bianche bruciavano sugli altari votivi, e il loro fumo dolciastro si attorcigliava alle residue tracce dell’incenso consumato durante la messa del Vespro. Ogni passo rimbombava spettrale sulle pareti solenni del luogo di culto, e i santi intarsiati nelle vetrate osservavano con cipiglio corrucciato i peccatori che percorrevano la navata.

Nicolas attraversò il corridoio tra le panche di legno a passo spedito, fiero e dignitoso, e si inchinò di fronte all’altare principale su cui svettava una maestosa croce dorata.

Trovava gradevole l’aura eterea e soprannaturale che la chiesa assumeva in quel particolare periodo del giorno: pareva quasi che l’edificio si fosse avvicinato di un passo al cielo, e che la comunione con l’Altissimo fosse in qualche modo semplificata. Solo i pagani e i peccatori potevano trovarsi a disagio tra quelle possenti mura sacre; e lui non apparteneva a nessuna delle due categorie.

Prese posto sulla panca in prima fila, e fissò l’arazzo appeso di fronte a sé: la scena in cui l’angelo inviato dal Signore bloccava la mano di Giacobbe prima che questo potesse uccidere suo figlio Isacco: un padre disposto a sacrificare la sua progenie per un comando dell’Onnipotente, premiato per la sua lealtà incondizionata. La fede richiedeva enormi sacrifici, ma premiava i servi più devoti, e nessuno lo sapeva meglio di Nicolas De Torquemada.

L’Inquisitore sfilò l’anello e lo portò di fronte al viso: la pietra ovale distorse la forma aguzza dei suoi occhi glaciali e la linea volitiva della mascella.

«Il riflesso è un po’ cambiato dalla prima volta…» meditò, infilando nuovamente il monile al dito.

Quando quell’orpello gli era capitato tra le mani, sul topazio si era specchiato il volto di un ventenne ancora fresco di seminario e di voti. Erano passati diciotto anni da allora, ma ricordava ancora ogni particolare.

Era andato a fare visita al negozio gestito dalla famiglia di Antonio: era appena arrivato un carico, e Nicolas si era offerto di aiutare. Quella famiglia lo conosceva da anni, ed era naturale vederlo gironzolare nei pressi della casa o del negozio dei Fernandes Carriedo.

L’anello gli era rotolato tra i piedi, scivolato fuori da un piccolo forziere che stava trasportando. Lo aveva raccolto e, senza volerlo, ne era rimasto affascinato: era un accessorio semplice ed elegante, che non ostentava il materiale prezioso da cui era stato ricavato, e proprio per la sua modestia appariva ulteriormente apprezzabile. Il topazio incastonato non era pacchiano come un diamante o chiassoso come un rubino, e possedeva la dimessa nobiltà dell’umile.

«Ti piace?»

Aveva sollevato gli occhi per incontrare quelli verdi del suo amico. Antonio sembrava più grande della sua età sia per la corporatura, più alta e solida dei suoi coetanei, sia per le sue conoscenze del mondo, derivate dai racconti dei genitori e dei mercanti che commerciavano con loro.

«È molto ben fatto» si era schermito Nicolas, restituendogli l’anello.

Il ragazzo aveva scosso la testa, mandando ovunque gli arruffati capelli castani: aveva dimenticato di tagliarli, così come aveva scordato di legarli.

«Sei riuscito a realizzare il tuo sogno: accettalo come regalo di congratulazioni» patteggiò Antonio, arrotolando di nuovo una manica troppo larga.

Nicolas non aveva trovato ulteriori pretesti per opporsi e aveva accettato il dono. Lo avrebbe portato con sé, ma ben nascosto nella tasca dei pantaloni per onorare il suo voto di povertà e non esibire un aspetto troppo vistoso.

L’anello scintillò alla luce morente delle candele e Nicolas lo coprì con una mano.

Avrebbe dovuto capirlo da allora quanto Antonio potesse essere pericoloso. Con quel suo aspetto ingenuo e una proposta amichevole aveva cercato di corrompere i suoi voti appena pronunciati. E non si era limitato a quello.

Vivevano in un villaggio prevalentemente agricolo, per cui uno dei giochi preferiti dei ragazzini era lanciarsi sui cumuli di fieno dai soppalchi delle stalle. Lui aveva superato l’età in cui un semplice salto costituiva il più grande spasso esistente, ma Antonio, nonostante il suo aspetto più maturo, aveva ancora il cuore di un bambino non del tutto cresciuto.

Così, senza nemmeno capire bene come fosse accaduto, Nicolas si era ritrovato a planare nell’aria in direzione di una collina di paglia. Antonio riusciva sempre a convincere gli altri, con le parole o trascinandoli con le sue braccia robuste.

Non era consono che un messo clericale fosse scambiato per uno spaventapasseri squarciato: quel gioco si ritorceva contro i bambini che lo praticavano imbottendoli di fieno, e sicuramente i suoi superiori non avrebbero gradito vederlo in quello stato. Così Antonio aveva avuto la premura di chiudere la porta della stalla prima di cominciare a saltare.

Nicolas si era sollevato a sedere quasi istantaneamente, e aveva cominciato freneticamente a rimuovere i ciuffi di paglia dai capelli e dai vestiti; al contrario, l’amico aveva deciso di godersi quel divertimento fino in fondo, stendendosi nella paglia con una risata soddisfatta.

Era stato allora che aveva avvertito la prima scossa.

In altre occasioni aveva notato come Antonio riuscisse a mutare il suo umore con poche parole, ma aveva catalogato quel fremito come normale appendice dell’amicizia: in fondo, teneva a quel ragazzino più che ai colleghi di seminario, quindi era ovvio che le sue parole sortissero su di lui un effetto maggiore.  Era illogico, innaturale avere dei dubbi a riguardo: non solo li separavano ben sette anni d’età, ma erano entrambi maschi.

Quel giorno, Nicolas si era accorto per la prima volta di osservare l’amico come un altro uomo avrebbe potuto guardare una donna. Un senso di disagio gli aveva attorcigliato le viscere quando si era accorto di prestare troppa attenzione alle ciglia socchiuse e al modo in cui i capelli ricadevano sulla guancia liscia, un cappio di nausea gli aveva stretto la gola quando aveva considerato attraente la porzione di ventre che la camicia troppo larga aveva lasciato scoperta nella caduta, e i conati lo avevano costretto a voltarsi quando si era soffermato ad apprezzare la curva del fianco.

«Stai male?» si era preoccupato Antonio.

«Non avresti dovuto costringermi a fare questo gioco» si era arrabbiato Nicolas, dandogli ostinatamente le spalle.

«Ti sei fatto male?» aveva insistito l’altro, avvicinandosi.

Nicolas era balzato in piedi ad occhi sbarrati quando la mano dell’amico si era appoggiata sulla sua spalla.

«Non toccarmi!» era stata la sua ultima parola prima di lasciare quel posto.

Antonio non aveva capito di essere stato la causa del turbamento del nuovo prete, né di essere stato il motivo per cui il giovane fedele trascorse un’intera settimana chiuso nella chiesa, a pregare e punirsi per espiare i suoi pensieri empi.

Nicolas scosse la caviglia sinistra, infastidito.

Nonostante i suoi sforzi, quelle considerazioni immonde non avevano abbandonato il suo spirito. Così aveva deciso di fare nuovamente visita ad Antonio, per convincersi di essere stato vittima di un abbaglio momentaneo, dovuto alla stanchezza o al caldo di quel giorno.

Si rivelò la peggiore idea che avesse mai avuto: la presenza dell’amico nutrì i fantasmi sacrileghi che infestavano il suo cuore, facendoli diventare dei veri e propri mostri. Risvegliati dagli spettri della perdizione, altri demoni minori nella sua anima avevano preso ad ululare per ricordargli in quanti altri modi Antonio si fosse dimostrato blasfemo: quando i mercanti di ritorno dalla Cina avevano dichiarato che in quella terra l’omosessualità non era considerata un reato, non aveva denigrato quel costume lascivo in alcun modo; non aveva espresso commiserazione per gli stolti che adoravano altri dei, precludendosi così l’entrata nei beati reami del cielo, anzi, aveva ascoltato con ammirazione i racconti sui loro culti. Quell’apertura mentale era estremamente rischiosa: a Satana bastava uno spiraglio per potersi infiltrare nell’animo umano, e Antonio gli offriva un portone spalancato.

Il fardello di colpe era stato aggravato ulteriormente dai loro ultimi incontri: lo aveva corrotto con simulato candore offrendogli un anello, facendogli infrangere il voto di povertà, e aveva persino cercato di sedurlo con la stessa mascherata impudicizia.

Era arretrato di un passo, completamente sordo alle parole dell’amico.

«Che razza di bestia infernale sei?» aveva sibilato, prima di andarsene.

Era chiaro che doveva aiutare Antonio a ritrovare la retta via prima che la sua anima fosse perduta per sempre. Così si era rivolto all’Inquisizione: loro certamente avrebbero saputo come epurare il demonio che aveva fuorviato il figlio dei mercanti.

L’unghia dell’indice picchiettò sul topazio. Lo aveva rivisto all’incirca una settimana dopo, quando i suoi genitori erano già stati affogati.

Lo sguardo di fuoco che Antonio gli aveva lanciato nel vederlo comparire al di là delle sbarre aveva cancellato ogni dubbio residuo: il suo amico era stato traviato definitivamente dalle lusinghe del diavolo.

Il ragazzo era rannicchiato nell’angolo più lontano della cella, i vestiti sdruciti che lasciavano trapelare lembi di pelle tumefatta. La prigionia gli aveva prosciugato le carni e inselvatichito lo spirito, riducendolo ad un assembramento di membra dimagrite e furiose. Lo sporco accumulato in una settimana gli aveva appesantito i capelli e imbrattato il viso, tanto che la scia delle lacrime spuntava netta sul sudiciume.

Nicolas aveva cercato di rincuorarlo, facendogli capire che quel calice, per quanto amaro, doveva essere bevuto: solo in quel modo avrebbe potuto ottenere la salvezza eterna.

Antonio non lo aveva neppure lasciato iniziare: aveva diretto verso di lui gli occhi verdi, l’unica cosa del suo fisico restata immutata. Le iridi ribollenti lo avevano fissato con un disprezzo così totale che Nicolas si era sentito trafiggere al fianco come per una coltellata.

«Hai permesso che morissero. I miei genitori» aveva esalato Antonio, impassibile come uno scoglio e dirompente come un’onda anomala. «Ti hanno sempre voluto bene. E tu li hai fatti morire.»

Le ciglia si erano quasi congiunte quando il giovane aveva assottigliato gli occhi per scrutarlo attraverso il ghiaccio dell’odio.

«Ora sono io a chiederlo a te: che razza di bestia infernale sei?»

L’aria della prigione non era stata attraversata da altre parole: Antonio aveva seppellito il viso tra le braccia congiunte, e Nicolas aveva abbandonato i carceri. L’amico lo disprezzava, ma non aveva importanza: avrebbe compreso una volta raggiunta la porta del Paradiso.

Nicolas passò una mano tra i capelli brizzolati.

Contrariamente alle sue aspettative, il vescovo aveva dichiarato innocente Antonio, che era ben presto sparito nel mare.

Aveva deciso di diventare Inquisitore per quel motivo: avrebbe portato in tribunale prove così incontestabili che nemmeno un presunto miracolo avrebbe potuto far cambiare idea ai giudici. Che senso aveva imprigionare i colpevoli per salvarli se poi si permetteva loro di gettare la propria anima nella Gehena?

Nella sua onorata carriera, aveva conseguito notevoli successi e, sicuramente, il regno celeste era più affollato grazie al suo operato di redenzione. E quando finalmente aveva creduto possibile una disfatta totale dell’eresia, la divina provvidenza aveva posto sul suo cammino l’unico miscredente che gli fosse mai sfuggito: il suo amico Antonio.

Il capitano più famoso di Spagna era la maturazione adulta dei semi piantati da bambino: un uomo vigoroso e solare, con un’indulgenza troppo spiccata per le diversità.

Avrebbe potuto credere che i flutti fossero riusciti nell’impresa di purificazione in cui lui aveva fallito: un’opera sublime come il mare poteva riaccendere il desiderio di avvicinarsi al suo ineffabile creatore.

Avrebbe potuto, se l’ex-corsaro non fosse stato accompagnato da un demonio.

Quel Lovino era certamente uno dei frutti più pericolosi dell’albero proibito: bastavano le fiamme nascoste nei suoi capelli e nei suoi occhi ramati per capirlo. Anche lui, proprio come Antonio tanto tempo prima, era capace di corrompere le menti altrui con il solo respiro, di distorcere i pensieri verso rotte perverse.

Sollevò l’orlo del pantalone, e le candele gettarono la loro luce sul tessuto ruvido del cilicio che gli arrossava la caviglia sinistra. Nicolas lo strinse in modo che i nodi della cintura grezza si conficcassero con più forza nella pelle: per quanto si ritenesse un uomo integerrimo, preferiva avere una piccola assicurazione contro gli influssi dissoluti di quella locanda. Una piccola dose di dolore fisico avrebbe mantenuto la mente attiva e concentrata nonostante le loro malie.

Il fato gli stava chiaramente concedendo la possibilità di completare ciò che non era riuscito ad ultimare tanti anni prima. Indossava l’anello come emblema della debolezza che l’aveva portato al fallimento, e come monito a non essere altrettanto privo di difese in futuro.

Rigirò il monile, un ghigno ingordo e inflessibile ad incurvargli le labbra.

Quella volta sarebbe riuscito a salvarli.

Propongo, con il Tuo santo aiuto,

di non offenderTi mai più,

e di fuggire alle occasioni prossime del peccato.

Signore, misericordia, perdonami.

Amen.

 

***

 

L’acqua scrosciò nel catino sollevando qualche timido spruzzo.

Consuelo passò la pezza bagnata sul dorso martoriato del cameriere, con estrema delicatezza: non voleva strattonare i punti di sutura e causare ulteriori sofferenze al collega. Rimosse con delicatezza il sangue incrostato, liberando la pelle sottostante; il dorso dell’uomo si rivelò una selva frastagliata di nodi di filo scuro stretti su sottili crepacci rossi. Quelle ferite avrebbero impiegato molto tempo a rimarginarsi, e una costellazione di cicatrici sarebbe rimasta a memento dei tre giorni di agonia del cameriere.

«Non hai pulito abbastanza?» biascicò a fatica Diego.

Il medico di bordo aveva utilizzato l’anestesia più conosciuta sui campi di battaglia: aveva fatto ubriacare il giovane in modo che i suoi sensi annebbiati non si accorgessero dell’ago mentre questo gli ricuciva la schiena, ed il cuoco aveva immobilizzato lo sbronzo per evitare che si muovesse mentre il dottore suturava le sue ferite.

Erano passate diverse ore dalla delicata operazione, ma ancora i fumi dell’alcol si attardavano nello stomaco del cameriere e sulla sua lingua, impastandogli le parole. Non era così deprecabile, come situazione: non appena l’effetto del vino fosse svanito, Diego avrebbe potuto avvertire con estrema precisione ogni singolo punto cucito sul suo dorso.

«Ho quasi finito» replicò Consuelo, sciacquando la pezza nella bacinella: l’acqua si tinse di rosso, e la donna distolse lo sguardo più in fretta possibile.

Gli ultimi grumi di sangue vennero rimossi, e il quadrato di stoffa riposò finalmente a lato della bacinella.

Diego cercò di rialzare il capo con un arco dorsale, ma desistette immediatamente con un muggito di dolore: ebbro o meno, non poteva permettersi di sforzare troppo la sua schiena lacerata.

Consuelo lo aiutò pazientemente a stendersi di nuovo prono, e accostò una sedia al letto per poterlo vegliare.

«Sei rimasta solo tu?» bofonchiò contro il cuscino Diego.

«Credi che sia sconveniente che un uomo e una donna restino da soli in una camera?» s’informò lei.

Il cameriere provò a scrollare le spalle, ma si bloccò subito: avrebbe dovuto perdere molti vizi se non voleva squarciarsi la schiena rattoppata.

«Non mi importa molto di quello che pensa la gente. Mi fa piacere che tu sia qui.»

Consuelo lo guardò, incerta se fosse lo spirito dell’uomo o quello dell’alcolico a parlare: il viso di Diego, per quanto annacquato dalla sbornia, sembrava sincero.

La donna infilò una mano nella tasca del grembiule, strinse il suo amuleto personale, ed allungò l’altra a sfiorare quella massacrata dell’uomo, appoggiata sul cuscino. Non era di certo una femmina debole, eppure le occorse qualche secondo per controllare il cuore e la voce prima di parlare.

«Vorrei rincasare dalla tua stessa porta» confessò.

«Lo facciamo già» replicò ovvio Diego.

Consuelo si trattenne dal roteare gli occhi al cielo solo per rispetto delle condizioni pietose del collega, e fu più esplicita con la frase successiva:

«E che ci coricassimo nello stesso letto.»

Lo sfavillio di sorpresa fu visibile anche nelle iridi intorbidate dalla sbronza: gli occhi instabili si appuntarono su di lei, fissandola con serietà nonostante l’ubriachezza.

«Quello non lo facciamo» riconobbe strascicato l’uomo. La donna fu costretta a impedirgli di rialzarsi in piedi per il bene delle sue ferite rammendate, e Diego dovette arrendersi all’evidenza: avrebbe fatto uno dei discorsi più seri della sua vita in stato di ebbrezza, steso sul ventre come i pesci spiaggiati.

«Consuelo, stai veramente tentando di fare un discorso impegnativo con un uomo ubriaco e torturato?» smozzicò, vacillante.

«Non voglio sprecare altro tempo» ribatté semplice lei. Aveva rischiato di perderlo definitivamente solo pochi giorni prima: non avrebbe più permesso al destino di essere più veloce di lei.

«Di solito dovrebbe essere l’uomo a proporsi» contestò l’altro.

«Allora sbrigati a farlo, così potrò risponderti di sì» incalzò Consuelo.

Le sopracciglia scure del cameriere si sollevarono increspando la fronte sudata per i patimenti subiti.

«Non ti ho ancora chiesto nulla e tu mi hai già dato la risposta?» rumoreggiò lui.

«Diego, fammi la domanda» tagliò corto la donna.

Il collega non eseguì subito il suo ordine: trascorsero alcuni istanti riempiti solo dai loro sguardi.

Nemmeno nella novella scritta dal peggior imbrattacarte di Spagna avrebbero potuto assistere ad una scena più ridicola per una proposta di matrimonio: l’uomo incagliato nel letto, il dorso rappezzato come le vecchie coperte di alcune comari, succube del vino che si attardava nel suo corpo, e la donna scarmigliata da giorni di preoccupazioni, le occhiaie scavate dalla stanchezza e il vestito sgualcito.

Ma non fu su quei dettagli che si appuntarono i loro sguardi: Diego contemplò la giovane che stava per chiedere in moglie, il viso forte dalle labbra piene e gli occhi mogano, i capelli corvini arricciati in onde scarruffate che scendevano fino al petto prosperoso, in accordo con il fisico procace; Consuelo sfiorò con lo sguardo l’uomo che stava per farle la proposta: le guance più incavate di come le ricordava e la pelle più slavata, ma inconfondibile per le iridi scure come i capelli crespi e per il sorriso che aleggiava ovunque nella sua persona, perfino nei momenti di maggiore serietà.

Le labbra del collega sfregarono sul suo anulare come se le volessero infilare un anello e la voce affaticata di Diego dichiarò:

«Consuelo, sei sicura di voler condividere ogni giorno della tua vita con un uomo che ancora non sa quando deve smettere di parlare?»

La donna batté gioiosamente le mani quando accettò:

«Sì. Non posso permettere che quell’uomo continui a cacciarsi nei guai con il suo vizio di non stare mai zitto.»

E diede prova della sua buona volontà sporgendosi su di lui per baciarlo.

 

***

 

Arthur sapeva bene come farsi ubbidire: la sua era una delle ciurme maggiormente disciplinate grazie a quella sua capacità, che l’inglese aveva imparato a dosare e sfruttare con enorme maestria.

Adoperò la sua qualità quella sera stessa, obbligando Antonio e Lovino a discutere con lui nel salone svuotato. Spostarono tre poltrone in modo da potersi osservare negli occhi durante il dibattito, ed Arthur cominciò:

«Non potete più restare qui, con quell’avvoltoio su di voi. Dovete andarvene.»

«E dove?» confutò Antonio, puntando a terra il bastone. «La Spagna è vasta, ma l’Inquisizione può arrivare ovunque. E potrebbero comunque catturarci durante il viaggio.»

Lovino strinse il tessuto della camicia con il pugno. I suoi cinque sensi si unirono per creare l’immagine raccapricciante della loro possibile cattura: poteva vedere il ghigno del cacciatore, udirne la risata e sentire i suoi artigli sulla nuca. Schioccò la lingua a bocca chiusa: gli era parso perfino di sentire il sapore della cenere in bocca e il puzzo del fumo nelle narici.

«Per quanto i tentacoli dell’Inquisizione possano essere lunghi, non possono setacciare tutto il mare.»

Una ragnatela di silenzio viscoso incollò le lingue ai palati a seguito dell’asserzione dell’inglese, e fu Antonio a districarsi per primo dall’intreccio appiccicoso.

«Non posso imbarcarmi di nuovo» sancì, quasi atono. «Di quale utilità potrei essere, su un galeone? Non riuscirei nemmeno a camminare come si deve.»

«Non saresti utile come uomo d’assalto, ma saresti un eccellente navigatore.»

Lovino annuì istintivamente all’affermazione del capitano: aveva detto la stessa cosa ad Antonio la sera prima che portassero via Diego.

«Basta un po’ di pioggia a bloccarmi sul letto. Immagina cosa potrebbe fare il mare» sottolineò il locandiere.

«Hai un ottimo bastone, non è così? Al resto penserà la tua tenacia» Arthur fece scivolare le mani sui braccioli della poltrona, e le dita si strinsero sulla parte terminale. «Hai compiuto metà delle tue imprese solo grazie alla tua volontà. E hai attraversato disagi peggiori di una gamba immobilizzata.»

Le unghie dello spagnolo tamburellarono sull’elsa dorata del bastone.

Sapeva che il mare era una sicura via di salvezza: lo aveva capito tanti anni prima, fuggendo dal rogo, e ne era consapevole anche in quel momento. L’Inquisizione non aveva potuto rintracciarlo mentre cavalcava gli oceani, ma lo aveva stanato dopo pochi anni di sedentarietà sulla terraferma.

Tuttavia, il mare aveva una grande debolezza che perfino il prediletto dalla Dea riconosceva: non permetteva di mantenere dei legami solidi. Per tutto il tempo in cui era stato mozzo e poi capitano, non aveva mai nutrito grandi interessi per le relazioni umane: i suoi genitori erano morti, e il suo migliore amico era stato l’artefice del loro assassinio e del suo tentato omicidio. I legami affettivi erano un pesante fardello che inchiodava nel passato e uno stiletto avvelenato conficcato nel fianco. Era sufficiente avere il rispetto e la fedeltà della sua ciurma: non importava se non avrebbe mai più rivisto la donna che gli aveva dichiarato il suo amore o se non avrebbe mai più toccato il porto di una determinata città. Le onde corrodevano le catene in cui le persone sulla spiaggia cercavano di legarlo, lasciandolo libero da affetti gravosi.

L’unica eccezione nel suo periodo sulle navi era stato Arthur, il solo lupo di mare che avesse rispettato tanto da voler mantenere i contatti, per quanto possibile, a dispetto delle loro nazionalità contrastanti.

Poi un proiettile lo aveva ancorato alla terraferma che aveva fuggito per tanti anni.

Si era mostrato cortese, disponibile e con una battuta di spirito sempre pronta, ma pochi avevano capito quanta diffidenza si celasse dietro quella solarità; l’ex-corsaro si relazionava alle persone come avrebbe fatto con un’arma troppo affilata: le maneggiava con garbo e con cura, ma anche con acuta attenzione a non ferirsi.

Finché non era arrivato Lovino, un emigrato senza radici ed intollerante ai legami umani, considerati da quest’ultimo un onere inutile e dannoso. Aveva scorto il riflesso della sua anima in quelle iridi introverse, e non aveva potuto che interessarsi a chi viveva in modo tanto plateale ciò che lui nascondeva con dovizia. Non aveva previsto che si sarebbe innamorato perdutamente di quel giovane irascibile, ma aveva accettato quel nuovo sentimento come un dono: il pescatore era l’unica persona per cui fosse disposto a togliere il giogo dalle proprie emozioni.

Non voleva che il mare, da amante possessivo qual era, rovinasse il loro legame con le sue promesse sinuose e i suoi prolungati addii.

«Ha ragione.»

La frase uscì con un sibilo sottile dalle labbra del ragazzo, ma stupì enormemente uno dei presenti e ne raggelò un altro.

Lovino sollevò lo sguardo su Antonio, fermo e deciso.

«Dovresti fare il navigatore» ribadì. «Hai le capacità per farlo. E Nicolas non potrebbe più raggiungerti.»

«Ma potrebbe ancora raggiungere voi» lo spagnolo non aveva intenzione di replicare con tanta veemenza, ma la voce salì spontaneamente di qualche ottava, forse per sovrastare il maremoto del suo sangue in tempesta. «Tutta la locanda è sotto l’ombra degli Inquisitori!»

Arthur sospirò, aggrottando le assurde sopracciglia. Cominciava ad essere grato al loro passato regnante per aver divorziato dalla Chiesa prima di quella degenerazione totale.

«Potrebbero imbarcarsi anche loro» Arthur decise di essere più chiaro quando notò lo sguardo dubbioso di Antonio: «Non tutti entrereste a far parte della mia ciurma, ovvio. Ma potreste navigare con noi fino a raggiungere la Francia o l’Inghilterra, e pagare il viaggio lavorando a bordo.»

Il bastone di Antonio si puntò sul pavimento, le intarsiature dell’impugnatura coperte dai pugni dell’uomo.

«Spiegati meglio.»

Arthur intrecciò le dita davanti al volto, i gomiti poggiati ai braccioli, e scandì attentamente:

«Potrei offrire un lavoro permanente a te e Lovino: tu potresti fare da navigatore, e lui potrebbe cominciare come mozzo. Ma dubito che gli altri tuoi dipendenti vogliano ballare su un ponte di poppa per il resto della loro vita. Potrebbero viaggiare con noi fino ad un porto sicuro, e ripagarci per la traversata lavorando sulla nave.»

«Non credo che un porto inglese potrebbe essere un “porto sicuro”» contestò Antonio, non troppo acre per non offendere l’amico: si rendeva conto che la proposta di Arthur fosse più che generosa, ma c’erano altre variabili da considerare. «I nostri due paesi hanno diversi rancori sotterranei. Pensi davvero che tre esuli spagnoli sarebbero i benvenuti sulle coste britanniche?»

L’inglese si aspettava una contestazione simile a giudicare dal sorriso compiaciuto che gli attraversò le labbra.

«Faremo scalo in Francia» annunciò. «Abbiamo alcuni affari da concludere al porto di Marsiglia. E lì abita una mia conoscenza che potrebbe aiutarli ad ambientarsi.»

«Una tua conoscenza?» gli fece eco l’altro, perplesso.

Il labbro superiore del capitano ebbe una contrazione nervosa, e le dita accentuarono la loro presa sui braccioli per un istante al pensiero del pomposo, teatrale e malizioso francese in questione.

«Potrebbe aiutarli» concluse, in un sibilo teso. Inspirò a fondo e recuperò il suo contegno: quell’argomento richiedeva la massima serietà da parte sua. «Antonio, non potete restare qui. L’hai detto tu stesso: anche se sei stato dichiarato innocente, Nicolas potrebbe inventare delle nuove accuse. E, se non potrà torturare te, se la prenderà con i tuoi cari.»

Lo sguardo del locandiere virò subitaneamente verso il ragazzo alla sua destra. Lovino meritava di poter assaporare i suoi sentimenti senza il timore costante di essere gettato in gattabuia, aveva il diritto di vivere senza una corazza che lo schermasse da chi lo tormentava e da chi lo amava: Antonio aveva faticato a lungo per superare le barriere del pescatore, e non voleva vederlo regredire di nuovo ad uno stato di difesa isolata.

A sua volta Lovino sbirciò di sottecchi l’uomo. Aveva visto l’espressione di Antonio, mentre parlava di quanto era avvenuto diciotto anni prima: non gli avrebbe permesso di spingersi di nuovo in una situazione così perigliosa solo per proteggerlo. A costo di trascinarlo di peso sulla nave, lo avrebbe portato via dal nido dell’Inquisizione.

Arthur fissò entrambi e un’occhiata fu sufficiente per capire che i due avevano bisogno di parlare in privato.

«Avete comunque una settimana per decidere» ricordò loro, alzandosi dalla poltrona. «Ma è meglio che arriviate ad un accordo in fretta: i preparativi per un viaggio sono lunghi, come ben sapete.»

La tensione si aggravò quando l’inglese lasciò la stanza: con una schiena in meno a sostenerla, l’aria greve di pensieri opprimenti piombò sulle loro spalle, schiacciandoli.

«Perché non vuoi partire?» eruppe infine Lovino, stanco di quell’accidia soffocante. «Sai bene che è la tua unica possibilità! Temi una cicatrice più dell’Inquisizione?»

Antonio trasse un profondo respiro, alla ricerca di una risposta soddisfacente per il giovane. Si sarebbe incollerito se gli avesse rivelato il reale motivo per cui era così titubante riguardo la partenza: alla locanda tutti sapevano che il ragazzo apparteneva all’ex-capitano, ma su un galeone chiunque avrebbe potuto pensare di infastidirlo. Lo irritava l’idea che qualcuno potesse anche solo guardare il suo innamorato con pensieri licenziosi, e lo mandava su tutte le furie l’ipotesi che un mozzo qualunque potesse addirittura provare a mettergli le mani addosso: si potevano passare mesi interi sulle navi, senza mai vedere una donna, e alcuni marinai cercavano sfogo in altri modi. Pensare che Lovino potesse essere visto solo come una soluzione conveniente lo faceva adirare ancora di più: lui adorava ogni dettaglio di quel giovane, e non voleva che qualche maniaco lo profanasse.

La minaccia del rogo avrebbe dovuto cancellare simili apprensioni, ma non riusciva ad immaginare di vivere per mesi interi con la preoccupazione costante che Lovino potesse essere molestato. Sapeva che il pescatore non era facile da avvicinare e che non avrebbe permesso a nessuno di toccarlo; tuttavia, bastava l’idea che una persona qualunque potesse usare Lovino nelle sue fantasie oscene per fargli provare un senso di nausea.

Portò una mano alla tempia, dove stava germogliando un principio d’emicrania: da quando era diventato così asfissiante? Il giovane aveva operato una vera e propria metamorfosi nell’ex-capitano che un tempo schivava con eleganza ogni promessa troppo impegnativa e ogni legame troppo stretto: era riuscito perfino a fargli considerare la morte come un male secondario se paragonato al suo abbandono.

Un pensiero infausto gli fece sbarrare gli occhi: se fossero rimasti, Nicolas avrebbe certamente raggiunto Lovino. Il cuore si arrotolò su se stesso, adirato con i propri sentimenti: si era davvero fatto accecare dalla gelosia quando il vero rischio era perdere definitivamente il giovane?

Antonio espulse tutte le sue tribolazioni con un faticoso respiro.

«Hai ragione» capitolò, annuendo. «Non possiamo restare. Dobbiamo andarcene.»

Si alzò per raggiungere il capitano inglese, ma non riuscì a muovere nemmeno un passo.

La mano di Lovino si legò attorno al suo polso, e fu sufficiente quel tocco a fermarlo.

Il pescatore continuò a stringerlo in silenzio, intrappolato nelle proprie meditazioni.

Se Antonio avesse potuto scrutare nella testa del giovane, avrebbe visto come la trepidazione di provare di nuovo le carezze dell’amante e il timore di un altro insuccesso stessero lottando furiosamente tra di loro.

Poté vedere però il risultato di quelle elucubrazioni: Lovino condusse la sua mano verso il proprio viso, e appoggiò la gota nella culla del palmo. La piega indispettita era ancora visibile sulla sua bocca, ma Antonio non vi badò: la guancia del ragazzo era tiepida, e non aveva sussultato a quel contatto. E le dita di Lovino stringevano ancora il suo polso.

Antonio quasi non si accorse di essersi portato di fronte alla poltrona del giovane: quando si trattava del suo pescatore, le azioni si susseguivano spontanee come i respiri nei polmoni. Era quasi un processo naturale quello che lo portava ad avvicinarsi ogni volta a quel ragazzo mutevole che lui trovava semplicemente incantevole.

Fece perno con il ginocchio e la sua ombra si stagliò sul compagno, che lo fissò dal basso con il suo caratteristico cipiglio, come se stesse decidendo il punto migliore in cui sferrare una testata.

L’ex-capitano insinuò le mani nelle sue, e le fece salire sulla stoffa dello schienale fino a portarle ai lati della testa del pescatore; Lovino mantenne lo sguardo intimidatorio, ma non riuscì a mascherare del tutto l’indecisione: il labbro inferiore venne morsicato palesando incertezza. Non voleva provare di nuovo la sensazione di essere estraneo al suo stesso corpo, ma non desiderava nemmeno che ogni futuro contatto con il suo amante gli causasse un trauma.

Antonio sorrise della sua smorfia minacciosa, e Lovino seguitò ad inalberarla contro di lui. Conservò le sopracciglia corrucciate perfino quando le labbra dell’uomo scaldarono le sue con una pressione gentile.

Il pescatore avvertì gli artigli della tensione scorrergli sulla spina dorsale e il cuore cominciare a battere come se fosse sul punto di esplodere: l’amore per Antonio e il terrore per l’Inquisizione erano emozioni troppo forti per essere sopportate in contemporanea da un solo muscolo.

Serrò le dita su quelle del compagno tanto da incidergli le unghie sul dorso, e Antonio gli accarezzò i polsi con i pollici per acquietarlo. Non si mosse ulteriormente finché non avvertì il respiro del ragazzo placarsi contro la sua guancia, e i muscoli del giovane rilassarsi impercettibilmente una volta riacquistato il controllo del cuore.

Lo invitò con dolcezza a schiudere le labbra, attendendo la sua reazione. Lovino non rispose ai suoi inviti finché non fu pienamente sicuro che non si sarebbe scatenata una seconda ribellione nel suo petto se avesse approfondito il bacio con il suo amante.

Antonio si separò da lui quando avvertì il corpo del giovane intirizzirsi come per uno spiffero improvviso: aveva osato molto per risvegliare il compagno dal sortilegio dell’Inquisizione, e non voleva rischiare di spaventarlo ulteriormente con un approccio fisico che non sarebbe riuscito a gestire in quello stato d’animo. Lo baciò un’ultima volta a fior di labbra prima di rialzarsi e rilasciare la presa sulle sue mani.

«Vado ad avvisare Arthur» lo avvisò, carezzandolo sui capelli.

«Vai» Lovino scostò il capo, burbero, e Antonio si rassegnò ad avere quel brontolio come commiato.

L’ex-capitano uscì dalla stanza accompagnato dai rintocchi del bastone.

Se avesse ripreso il mare, avrebbe dovuto accettare i crampi alla gamba come in un sempiterno giorno di pioggia, avrebbe dovuto tollerare gli sguardi degli altri marinai sul suo pescatore, e avrebbe dovuto cercare di non farsi soggiogare dall’irritazione e gettarli in mare. Ma per Lovino avrebbe pazientato. In fondo, quel ragazzo si era gettato dalla Queen of Pirates pur di stare con lui.

Si bloccò all’improvviso a metà dell’atrio: Nicolas si era dimostrato imprevedibile e dotato di una memoria di acciaio. Non potevano fare affidamento su un unico piano di azione: dovevano avere una via di fuga alternativa, o per il predatore sarebbe stato fin troppo facile incarcerarli.

Una strategia si formulò nella sua mente, andando a disegnare un programma di battaglia che sicuramente avrebbe fatto strepitare Lovino e che invece persuase il locandiere.

Si avviò a passo spedito verso la stanza dell’inglese, bussò e, non appena Arthur aprì, lo salutò con la seguente richiesta:

«Ho un favore da chiederti.»

«Quale?»

«Non rivelare a Lovino nulla di quanto sto per dirti.»

Ed entrò nella stanza per esporre il suo progetto.

 

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Capitolo 7
*** Confesso ***


Confesso

Nei cinque giorni successivi, l’Inquisizione sembrò essere caduta in un profondo sopore: nessun individuo impaludato di nero bussò alla porta della taverna, nessuna accusa venne scagliata contro di loro.

La nera ombra del rogo pareva allontanarsi progressivamente ad ogni nuovo tramonto trascorso in relativa tranquillità.

Il primo giorno l’intera locanda non riusciva a credere a quella fortuna insperata: perfino i mattoni sembravano ergersi più silenziosamente del solito, quasi temessero di risvegliare la minaccia attenuata. I preparativi per la partenza proseguirono in una pace attentamente orchestrata, composta da silenzi elettrici e corse furtive da una stanza all’altra: tutti covavano il segreto desiderio che la minaccia fosse scomparsa, ma nessuno osava tramutare quel fragile sogno in parole.

Il secondo giorno l’atmosfera si fece ancora più vibrante di speranze nascoste: la meridiana segnava incessante lo scorrere delle ore, e la loro soglia non era stata varcata da alcun cacciatore.

Il terzo giorno l’aria sembrò rasserenarsi a ritmo delle chiacchiere più spontanee e più frequenti; il quarto trascorse quasi in allegria, con la prospettiva del viaggio sempre più vicina e il pericolo dell’Inquisizione sempre più lontano.

Sul tramontare del quinto giorno, l’annuncio delle prossime nozze tra Consuelo e Diego fece scintillare la locanda come non avveniva da tempo. Il cameriere cercò di minimizzare, ricordando a tutti quanti che ancora non avevano deciso il giorno, Consuelo non aveva terminato di ricamare la sua dote, non avevano gli abiti adatti e nemmeno una Chiesa in cui presentarsi senza essere sbattuti in una sala delle torture, ma non fu sufficiente a ridimensionare l’entusiasmo dei colleghi: i troppi giorni passati con l’ansia sfibrante a logorare i muscoli e la mente tagliarono le briglie della loro esaltazione.

Le pacche sulle spalle furono abolite, ma Diego non poté scansare in alcun modo la vigorosa scarmigliatura di capelli da parte del cuoco. Antonio, dopo un attimo di indecisione, gli strinse il gomito in sostituzione alla mano, e Lovino espresse il suo consenso a parole.

Consuelo, che non era infortunata, fu festeggiata con molto più clamore: l’energumeno la sollevò come se fosse senza peso, e allo stesso modo la fece girare nell’aria; fu abbracciata dal capo della locanda mentre era ancora intontita dalle vertigini, ma recuperò la sua disinvoltura per baciare su entrambe le guance Lovino, troppo testardo o troppo timido per prendere l’iniziativa.

Antonio inspirò a fondo quella pace frizzante. La pesantezza del periodo precedente era stata tale da far sembrare un minimo spiraglio di luce abbagliante come il sole di mezzogiorno: erano bastati pochi giorni di tregua per creare quella primavera illusoria.

«Farai vestire di lutto tutta la ciurma dell’inglese!» tuonò il cuoco. «Consuelo ha attirato gli sguardi di molti marinai!»

Diego sferrò all’omone uno sguardo di ferro che si guadagnò il compiacimento della donna e l’approvazione del locandiere.

«Non sono disposto a condividere» sibilò il cameriere, con una decisione tale da apparire minaccioso perfino in quello stato, bloccato su un letto con la schiena cucita e le mani fratturate.

Non potendo sfasciare il dorso del collega con una manata, il cuoco abbatté il palmo sul cuscino, a pochi centimetri dal suo viso: sarebbero bastati pochi millimetri per frantumargli il naso.

«Ben detto!» latrò quello, del tutto incurante dell’espressione atterrita di Diego. 

Consuelo sfoggiò la propria oculatezza mettendosi a sedere sul bordo del letto, esattamente tra il cuoco e il suo fidanzato: non voleva che l’irruenta festosità del collega la rendesse vedova prima ancora della cerimonia nuziale.

Una gradevole sensazione di appagamento gli distese i muscoli del volto, e Antonio assaporò la soddisfazione di curvare le labbra in un sorriso. I suoi dipendenti non avevano protestato alla prospettiva di partire con la Queen of Pirates, probabilmente poiché sapevano di non avere alternative: tra l’abbraccio dell’Inquisizione e quello del mare, i suoi uomini non avevano esitato a scegliere l’affetto dei flutti.

«È ancora convalescente, non farlo stancare troppo» lo rimproverò garbatamente Consuelo, accarezzando il suo uomo sul collo.

Il mastodonte scrollò le enormi spalle e si ritirò dopo un ultimo, altisonante augurio alla coppia:   

«Complimenti, Diego: non hai perso la tua chiave!»

Nessuno dei presenti comprese il senso di quella frase, e il cuoco non si prese il disturbo di spiegarla: sua figlia, dal lontano paese felice in cui si trovava in quel momento, sicuramente lo aveva sentito e stava sorridendo. E il suo sorriso sarebbe stato il miglior auspicio possibile per la neonata coppia.

«Di nuovo congratulazioni» si complimentò in maniera più classica Antonio.

«Congratulazioni» echeggiò Lovino. Negli ultimi tempi le guance del pescatore si erano tinte di un colorito più sano, e anche l’anima pareva in qualche modo rincuorata: pochi giorni erano stati sufficienti ad allentare il cappio che gli strozzava il collo e a permettergli di respirare di nuovo.

Diego mosse appena il braccio, nel modo goffo che gli permetteva di mantenere i punti di sutura in sede e le stecche alle dita ferme; attirato da quel segnale, Lovino si avvicinò al capezzale del malato.

«Tra due giorni sarà tutto finito» esultò a bassa voce il cameriere. «Non ti senti rinascere al solo pensiero?»

Gli occhi ramati si mossero irrequieti. Era successo: uno di loro aveva nominato a voce alta l’enorme fortuna che si stagliava sul loro cammino. Si augurava di tutto cuore che la capricciosa signora della prosperità non si sentisse offesa da tanto ardimento e non voltasse loro le spalle. Annuì velocemente e si issò nuovamente in piedi.

L’ex-capitano e l’italiano abbandonarono a loro volta la stanza, lasciando in intimità i due fidanzati.

Le aspettative di Lovino seguivano un semplice schema: il suo compagno gli si sarebbe accostato, lo avrebbe abbracciato, avrebbe mormorato una delle sue solite sciocchezze e si sarebbe così guadagnato una risposta pungente.

Antonio tradì tutte le sue previsioni: si avviò meditabondo verso la finestra, senza sfiorarlo nemmeno con gli occhi. Il vetro ritagliava un quadrato perfetto sul mare sanguigno del tramonto e sul sole che pian piano si nascondeva nelle onde rubino.

Il capitano rimase a fissare il panorama amaranto, i gomiti appoggiati alla balaustra e il bastone alla parete, e fu Lovino ad accostarsi a lui, contrariamente ad ogni programma iniziale.

Il pescatore incrociò le braccia sulla cornice di legno e vi poggiò sopra il mento, senza riuscire a sbuffare davanti allo spettacolo del cielo scarlatto e del suo specchio nel mare. Da quando Nicolas era piombato su di loro, aveva vissuto come se tutti i suoi sensi fossero stati improvvisamente offuscati: mangiava, camminava, pescava, ma nessuno dei suoi ricettori era realmente in ascolto. Il canto dell’oceano era un sottofondo rauco e appena udibile, i colori sembravano sfumati in un’onnipresente nebbia, perfino il cibo sembrava ammuffito nel sapore stantio dell’ansia. Solo con Antonio riusciva ancora a percepire qualcosa, fino alla sera in cui lo aveva baciato come se fosse un’altra persona a farlo.

Sfregò bruscamente la nuca, su cui si erano accapponati i capelli più corti: quel ricordo gli dava ancora i brividi.

Il mare lo aiutò a dimenticare: l’odore piccante della salsedine risvegliò il suo olfatto ingolfato, e le tinte cangianti sotto i dettami delle maree e dei raggi morenti gli fecero riscoprire i colori che aveva dimenticato. Ma la sensazione più forte non provenne dalla natura davanti a lui: come la bassa marea che al mattino avanza faticosamente fino a divorare la spiaggia, allo stesso modo il tepore del compagno si fece strada verso di lui fino ad abbracciarlo, sebbene l’ex-corsaro fosse rimasto fermo nella sua posizione.

Lovino chiuse piano gli occhi, lasciandosi cullare da quel torpore e dal rassicurante sciabordio dell’oceano.

«Non siamo mai stati sul mare insieme.»

La voce dell’uomo si incastrò armonicamente nel coro dei flutti, e Lovino impiegò qualche istante per isolare le tonalità roche dell’amante da quelle incorporee dei marosi.

«Per via della tua gamba» gli ricordò schietto il pescatore.

Non aveva quasi finito di dirlo quando Antonio si riappropriò del bastone con un movimento spavaldo; le iridi smeraldine si appuntarono su di lui, scintillanti di una gioia immotivata.

«Andiamo stasera» decise il locandiere.

«Perché?» lo incenerì Lovino. Entro due giorni avrebbero cavalcato le onde fino ad averne la nausea: non vedeva il motivo per cui dovessero recarsi al mare proprio in quel momento, con lo spettro della caccia agli eretici ancora presente tra di loro, seppur indebolito.

Le sue aspettative furono di nuovo deluse: Antonio non gli fornì alcuna spiegazione verbale. Si limitò a sorridergli e a imboccare la porta a passo spedito.

Lovino non poté fare altro che ruzzolargli dietro, sfoggiando il peggior corollario di insulti appreso durante gli anni da garzone al banco del fruttivendolo.

Se proprio Antonio voleva costringerlo ad assecondarlo nelle sue stramberie, avrebbe dovuto sapere esattamente quanto gli costasse seguirlo.

 

***

 

Si sarebbe scrollato di dosso la sabbia per giorni. Probabilmente, avrebbero trovato quei granelli infernali anche nella sua tomba.

Aveva seguito Antonio fino alla spiaggia, senza riuscire a spiegarsi come una persona munita di bastone potesse camminare a passo così spedito.

Quello sconsiderato non aveva scelto la solita banchina in cui il ragazzo ormeggiava la barca dopo aver pescato: lo aveva condotto fino ad uno sperduto litorale, poco più di una lingua di terra che fendeva il mare per qualche metro, e lì si era gettato a sedere sulla sabbia, in perfetto silenzio, con il bastone appoggiato di fianco.

Lovino lo aveva guardato con perplessità e lieve ritrosia quando l’uomo si era girato per fargli cenno di sedersi accanto a lui. Aveva sbuffato, imprecato e si era lamentato, ma aveva eseguito l’ordine: Antonio era una persona cordiale e responsabile, ma in alcuni momenti retrocedeva ad uno stadio decisamente infantile. In quei frangenti, non vi era alcuna possibilità di farlo ragionare: occorreva seguire la sua stravaganza fino in fondo, augurandosi che non portasse troppe catastrofi.

Lovino si dimenò, sciorinando un vastissimo vocabolario di invettive: la sabbia di quella spiaggia era molto più fine della sua solita banchina, e si stava infilando in ogni piega dei suoi vestiti veloce come un paguro che rientra nella sua conchiglia.

Rimasero in silenzio a fare da pubblico al sole che calava nell’orizzonte cremisi: la volta celeste si dipinse di un rosso sempre più cupo, contornato da una sottile corona di viola. Il mare si adombrò assieme al cielo, i colori scarlatti fagocitati dalle tenebre del crepuscolo ed infine dal manto vellutato della notte ancora giovane.

Fu il buio acerbo a veicolare l’esordio del capitano.

«Non sai difenderti, vero?»

Lovino scattò in piedi, sollevando una quantità di sabbia tale da riempire le clessidre di un intero negozio.

«Non sono una donnicciola indifesa!» turbinò come un uragano, fissando il punto dove era più probabile si trovasse la faccia del locandiere: le ombre non erano impenetrabili, ma le sue pupille non si erano ancora del tutto abituate al cambio di luce.

Le stelle più impazienti donarono uno spillo del loro argento agli occhi di Antonio, quando si appuntarono sul compagno.

«Intendo dire che non sai combattere.»

L’ex-corsaro approfittò del disorientamento del ragazzo per alzarsi in piedi e sovrastarlo con i suoi centimetri in più di altezza; il bastone affondò nella sabbia, muto.

«La Queen of Pirates è una delle navi più famose al mondo» premise Antonio. «Ma questo non la rende sicura. Al contrario, moltissimi pirati la prendono di mira per guadagnarsi la gloria del suo bottino, e lo stesso fanno molte altre navi» Lovino sentì le unghie dell’uomo battere una musica nervosa sull’elsa dorata prima che questo ammettesse: «E Arthur non è la persona più pacata che possa esistere su questa terra: non è raro che ordini un arrembaggio.»

La sabbia emise un sibilo prolungato quando venne calpestata dal locandiere nell’avvicinarsi al suo amante.

«Se durante la navigazione dovessimo essere attaccati, tu cosa faresti?» volle sapere Antonio.

«Combatterei» replicò ovvio Lovino.

«In che modo?» il tono dell’ex-capitano suonò duro e tagliente come le pietre degli scogli più aguzzi: era l’apprensione per il futuro del suo innamorato a farlo parlare in quel modo, ma gli anni passati al comando di un galeone avevano iniettato una traccia di autorevolezza adamantina nella sua esortazione.

«Non lo so» cedette Lovino, e subito l’altro replicò:

«È proprio questo il problema. Non lo sai. E non hai nemmeno le armi per difenderti.»

Antonio non gli permise di contrattaccare perché seguitò, inflessibile:

«Le battaglie che si consumano per mare non sono meno cruente di quelle che hanno per teatro la terraferma. In quei momenti non puoi avere indecisioni. Quando fronteggi il tuo avversario, sai che una vita abbandonerà la terra: se avrai il coraggio di premere il grilletto, sarà quella del tuo rivale, altrimenti la tua.»

«Non ho pistole. E non ho intenzione di usarle» rispose acido Lovino, usando il suo carattere abrasivo contro la gravità di quel discorso. Il suo amore viscerale per il mare lo aveva sempre portato a sognare galeoni, senza mai soffermarsi davvero sugli aspetti più selvaggi della vita su una nave. Non aveva mai considerato gli scontri tra imbarcazioni e, se lo aveva fatto, era stato con superficialità per non rimanerne troppo coinvolto.

«Dovrai farlo, se vuoi sopravvivere» lo redarguì Antonio.

«Userò qualunque altra cosa, ma non una pistola!»

L’acqua frenò lo strillo di Lovino, ma l’aria non fu altrettanto pietosa e lo amplificò fino a farlo riecheggiare in cielo.

La spuma delle onde notturne si infranse contro le caviglie del pescatore, che era corso ad immergere i piedi nel mare: come sempre, aveva bisogno della consolazione delle correnti e della salsedine per placare i suoi nervi scossi.

Un secondo profumo si sovrappose a quello delle maree, più indisciplinato di quello impersonale dell’oceano, e una seconda carezza si posò sulla sua spalla, più calda delle fresche dita che gli lambivano i calcagni. L’acqua scorse tra le sue caviglie e arrivò a spumeggiare attorno a quelle dell’uomo in piedi dietro di lui.

«Perché non vuoi usare una pistola?»

La voce dell’amante si abbassò fino a raggiungere quelle tonalità rauche che sembravano non rivolgersi solo all’orecchio, ma a tutto il corpo del giovane: Lovino sentì le parole dell’ex-corsaro avvolgergli la schiena, insinuarsi sul busto ed arrampicarsi sinuose sul collo prima di scivolargli nel timpano. Non era più un capitano che disciplinava un subalterno ribelle: era un innamorato che si prendeva cura di ciò che aveva di più prezioso. Ora che la sua voce si era spogliata della ferraglia autoritaria, poteva liberarne tutto l’accorato calore.

Lovino passò le mani sugli avambracci e le arrestò sui gomiti, stringendoli; i denti si digrignarono e gli occhi si strinsero prima che il giovane mormorasse:

«Mio fratello.»

Le braccia dell’uomo scivolarono sulle sue, circondandogli il petto. Non fu fatta altra domanda, se non quella inespressa di rimanere abbracciati in quel modo, stretti l’uno all’altro e accarezzati dal mare. Antonio non si sarebbe intestardito su quella questione così delicata: se un giorno il pescatore avesse voluto confidarsi con lui, lo avrebbe ascoltato attentamente. Fino ad allora, lo avrebbe abbracciato per fargli capire di non essere solo in quel mondo freddo.

«Dovrai imparare le nozioni base del combattimento» sussurrò dolce Antonio. «Ti avrebbe istruito Diego, se non fosse stato impossibilitato.»

«Posso cavarmela. Non sono sprovveduto come credi» si risentì in un borbottio Lovino.

I fatti successivi lo smentirono clamorosamente: Antonio non fece altro che compiere un passo indietro e spingerlo facendo leva sul retro delle ginocchia. L’ex-capitano rimase coinvolto nel putiferio di spruzzi che si sollevò con la caduta del giovane, e rise di gusto della sua espressione tradita.

«Non mi sembra proprio che tu sia così abile, Lovino!» la sua mascella era sull’orlo del tracollo per le risate, e quella disattenzione fu il suo fatale errore: in nome di una giusta e meritata vendetta, il pescatore si aggrappò al suo braccio e lo strattonò con forza fino a gettarlo in acqua. Il bastone impresse la sua forma sulla sabbia soffice, dimenticato dai due uomini impegnati in una strana lotta all’ultimo sangue. Una miriade di spruzzi fece da scenario alla loro sgangherata guerriglia, tra le risa dell’ex-corsaro e le maledizioni del giovane.

Antonio si ritrovò seduto sulla sabbia bagnata, i capelli inzuppati appiccicati al viso e il bordo dell’acqua che si infrangeva contro il suo sterno; Lovino si fermò in ginocchio, il pugno levato e la frangia sconvolta sulla fronte imperlata di lacrime d’oceano.

«Non ti fa male la gamba?» si ricordò all’improvviso.

Alcune gocce si staccarono dalle punte dei suoi capelli quando Antonio annuì, e atterrarono nell’acqua in un piccolo corteo di cerchi concentrici.

«Mi fa male da morire» notificò l’uomo.

«E allora perché non l’hai detto, idiota?» s’incendiò Lovino.

«Perché non stavo pensando alla gamba.»

Gli occhi del ragazzo si spalancarono per quella risposta semplice e diretta, per poi richiudersi subito dopo a causa dell’acqua salata che vi gocciolò dentro dai capelli.

«Che risposta stupida» inveì lui, sfregando le palpebre.

Antonio sfruttò la sua momentanea cecità per afferrargli un polso e tirarlo verso di sé. Il peso esiguo del ragazzo atterrò precisamente sul suo petto, e l’ex-corsaro fece in modo che non potesse muoversi da lì stringendolo con tutta la sua forza.

Le onde vennero agitate ulteriormente dai tentativi di liberarsi del giovane, del tutto inutili: Antonio non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare. Attese che il ragazzo si fosse stancato di dimenarsi come un’anguilla nel suo abbraccio, e lasciò che qualche secondo di silenzio creasse la calma necessaria per fare da preludio alla sua proposta.

«Resta con me, questa sera.»

Le iridi ramate lo fissarono disorientate e pronte ad infiammarsi, incerte se accettare o screditare quell’invito.

«Ma sei scemo? Non puoi aspettare che tutto finisca?» protestò alla fine Lovino, cercando per l’ennesima volta di staccarsi.

Il pescatore sentì le sue costole incrinarsi contro quelle del capitano quando questo rafforzò il suo abbraccio. Protestò vigorosamente per quella brutalità, ma Antonio parve non sentirlo. I suoi pensieri erano distanti da quella spiaggia: viaggiavano sul ponte di poppa di una nave, dove si sarebbero trovati entro pochi giorni e dove non avrebbero più avuto nottate tranquille come quella. Antonio sapeva bene quanto fosse frenetica la vita per mare, e voleva gustare gli ultimi momenti rimasti, anche con l’incubo del rogo nelle vicinanze.

«Lovino.»

Fu sufficiente chiamarlo per placarlo. Quel tono basso e roco con cui la prima volta gli aveva chiesto di rimanere e di non partire con Arthur, la modulazione con cui si era dichiarato in italiano… quel timbro greve confondeva Lovino abbastanza da ammansirlo.

«Lasciami andare.»

Antonio ubbidì. Anche lui sapeva leggere la voce dell’amante, e quella volta gli aveva comunicato che, anche se avesse allentato la presa, il suo compagno non sarebbe scappato.

Uno sciabordio malizioso accompagnò i movimenti del giovane quando questo si mise a cavalcioni su di lui; la marea più profonda non emise suoni quando le mani del capitano andarono a posarsi poco sopra il coccige dell’amante, spingendolo verso di sé.

Non fu uno dei due in particolare a prendere l’iniziativa: i loro volti sbiaditi nell’ombra avevano incrociato gli sguardi, e avevano improvvisamente sentito come eccessiva la distanza che li separava. Si incontrarono a metà strada, e non attesero oltre per approfondire il contatto: il sale invischiato nelle labbra si mescolò al sapore del compagno sulle loro lingue, e Antonio cinse più saldamente l’amante mentre si spingeva nella sua bocca, come se temesse che il mare potesse dissolverlo e portarlo via.

L’oceano riempì quel bacio con la sua musica e il suo profumo, ma Antonio non permise alle onde di avere altro dal suo pescatore: lo abbracciò in modo che quasi nulla potesse rimanere alle carezze delle correnti. Non voleva che la Dea del Mare si rendesse conto di quanto fosse preziosa quella perla bisbetica e decidesse di volerla per sé.

Lovino emise un singulto nella sua bocca quando la mano del compagno scivolò sotto la cintura dei suoi pantaloni, sulla curva della natica.

«Non qui» ansò, allarmato: l’incantesimo del mare era finito, e la paura di essere scoperti era tornata più prepotente che mai.

Antonio lasciò che il giovane si rialzasse e strizzasse i vestiti bagnati, per imitarlo subito dopo.

Afferrò di nuovo il bastone, e si preparò a fare ritorno alla locanda. Lovino gli si affiancò, e il suo imbarazzo fu visibile nonostante il buio della notte.

L’asilo del mare era stato breve, ma non aveva importanza.

Presto sarebbero tornati alla taverna.

E Lovino aveva promesso di restare con lui, quella notte.

 

***

 

Il topazio svettò nuovamente sul dito, dopo aver compiuto una rotazione completa.

Gli occhi gelidi dell’Inquisitore osservarono l’orizzonte quasi volessero divorarlo.

L’anello girò ancora una volta.

Era ora di stringere il laccio attorno alla preda.

Il vestito nero si stagliò sepolcrale nell’aria mattutina.

 

***

 

La luce dell’alba sfilò nella camera con grazia, e cosparse il torso nudo del ragazzo con i suoi raggi pallidi.

La coperta giaceva scomposta sul fondo del materasso, disfatta dal modo disordinato con cui i due uomini si erano amati quella notte.

Antonio aveva ignorato il dolore lancinante alla gamba durante l’escursione marina, e si era sforzato di farlo anche nell’intimità con il suo compagno. Lovino doveva conoscerlo meglio di quanto credesse, poiché dopo poco lo aveva costretto a sedersi per non sforzare troppo il muscolo della coscia, e si era portato ad arcioni su di lui, come aveva fatto mentre erano immersi nel mare serale. Antonio aveva sempre evitato quella posizione poiché era la più dolorosa per il suo amante, ma il pescatore non gli aveva permesso di unirsi a lui in altro modo. Lovino aveva versato qualche lacrima, il locandiere le aveva sentite sulla sua spalla mentre affondava nel corpo magro del giovane, ma era rimasto ostinatamente ancorato alla sua decisione. Antonio lo aveva amato con il massimo riguardo e l’italiano si era aggrappato a lui per seguirlo nelle sue movenze lente.

Le membra del ragazzo avevano tremato al suo tocco, ma non era stato lo stesso fremito selvatico delle prime volte o il sussulto impaurito degli ultimi tempi: le pelle che sfiorava sembrava ritrarsi per non essere vista, poi si arrendeva e si adattava al suo tocco. Era il riflesso dello spirito del giovane: il suo sangue si agghiacciava ancora per il terrore della cattura, ma il cuore che lo pompava ricordava con troppo ardore le effusioni dell’amato. Quella notte aveva vinto il cuore, sebbene non fosse riuscito ad esorcizzare del tutto le fosche ammonizioni del sangue.

Antonio osservò a lungo il suo compagno, disteso addormentato senza alcun velo a coprirlo. Il viso era sprofondato nel cuscino morbido, i capelli ingarbugliati contornavano l’espressione lievemente corrucciata anche nel sonno; la mano destra era adagiata mollemente vicino alla bocca dischiusa dal respiro addormentato, e quella sinistra premuta tra il ventre e il materasso. Nemmeno il sonno era riuscito a cancellare il suo pudore dispettoso: la gamba destra era piegata in modo da coprire la sua parte più intima, e il piede sinistro si era rifugiato sotto una piega delle coperte sconvolte, quasi cercasse di dimostrarsi più virtuoso del resto del corpo.

Antonio dischiuse le labbra sulla spalla scoperta del suo compagno, provocando un mugugno di malcontento da parte del dormiente. Il suo gioiello lunatico non sarebbe finito sul rogo, e nemmeno nelle carceri sante finché lui avesse avuto respiro.

Si rialzò senza fare rumore per andare ad infilarsi i pantaloni. Aveva appena finito di allacciarli quando un passo esitante si arrestò davanti alla porta. Antonio abbassò la maniglia con la massima cautela, e aprì uno spiraglio appena sufficiente per scorgere chi si fosse fermato davanti alla loro camera.

Il viso di Consuelo occhieggiò dalla fenditura, e Antonio si portò un dito alle labbra per imporle silenzio, facendole segno di aspettare subito dopo.

Accostò di nuovo la porta e si avvicinò al letto, dove afferrò le coltri per coprire Lovino fino al mento. Il ragazzo stropicciò le labbra quando le lenzuola si appoggiarono su di lui, e schiuse a fatica gli occhi appesantiti dalla sonnolenza.

«Antonio…?» le parole uscirono strascicate mentre cercava di mettersi a sedere. Una fitta traditrice a livello delle anche lo schiacciò contro il materasso: le conseguenze del suo ardimento gli avrebbero tormentato i fianchi per qualche tempo ancora.

«Riposati» l’ultimo bottone della camicia svettò al suo posto sul petto dell’uomo, e le lenzuola si arricciarono sotto il ginocchio puntato dell’ex-capitano. «Sarai stanco dopo ieri sera.»

Vide arrivare il cuscino, ma lasciò comunque che lo colpisse dritto in viso.

«Non dirlo come se ci fosse da vantarsi» gli rinfacciò Lovino, afferrando l’altro guanciale per nascondervi la faccia.

Solo il lenzuolo e la camicia divisero il petto dell’uomo dalla schiena del giovane quando Antonio si adagiò su di lui per baciargli la nuca. Lovino si intirizzì sotto le coperte sentendo le labbra del compagno appoggiate sul punto disonorato dall’Inquisitore, proprio come era avvenuto la sera prima che portassero via Diego.

«Aspettami qui. Tornerò subito.»

E con quella promessa Antonio svanì al di là della porta.

Il letto godette della sua compagnia per qualche secondo appena prima che il ragazzo si trascinasse fuori dalle coltri e zoppicasse in giro per la stanza alla ricerca dei suoi vestiti.

C’era una nota discordante nel modo in cui Antonio lo aveva salutato. E c’era una strana atmosfera ad ingrigire i colori tenui dell’alba.

Nonostante le anche gli dolessero, continuò a raccogliere da terra i suoi abiti e ad infilarseli sgangheratamente.

Voleva raggiungere Antonio il più in fretta possibile.

C’era qualcosa, quella mattina, che avrebbe potuto ottenebrare perfino l’ex-corsaro.

 

***

 

Antonio non fu sorpreso di trovare l’Inquisitore seduto su una delle poltrone dell’atrio: la sua presenza perfida aveva ammorbato l’aria della locanda fino alla stanza patronale.

«Non sembra che tu abbia dormito molto bene» lo salutò sardonico Nicolas, alzandosi in piedi. «Qualche pensiero ti ha tenuto sveglio? O è stato qualcosa di più materiale?»

«Hai torturato Diego meno di una settimana fa. Credo che la tua domanda sia superflua» replicò asciutto Antonio.

Il cacciatore si schermì con un vago cenno della mano, senza perdere la sua elegante vanagloria.

«Mi duole rovinare ulteriormente il tuo riposo. Sono tornato per prelevare un altro dei tuoi dipendenti.»

Gli occhi verdi di Antonio si raggelarono in una feroce durezza.

«Chi?»

L’indice rapace temporeggiò sfiorando il topazio.

«Per dire la verità, Antonio, ti sei circondato di persone sospette. La provenienza del tuo cuoco è sconosciuta…»

«Ha navigato con me per anni.»

«Questo non lo rende un uomo probo.»

«Ma nemmeno un eretico.»

Nicolas gli concesse quella piccola vittoria: la sua preda finale non era certo il gigante.

«La tua cameriera ha una dubbia reputazione.»

«Sta per sposarsi.»

«Oh. Felicitazioni» l’Inquisitore si piegò in un inchino chiaramente denigratorio. «Così diventerà una donna onesta.»

«Per cosa sei venuto qui?»

Riconobbe il ghigno ferino che allungò le labbra sottili del predatore. Era il decadimento del sorriso pulito e imbarazzato che esibiva da giovane, quando ancora la sua anima era realmente degna di servire gli angeli e i santi. Il Nicolas dei salti dai fienili era morto, e quella divisa ombrosa era la sua tomba.

«Sono qui per il tuo pescatore.»

I muscoli di Antonio mutarono in pietra tale fu la rigidità con cui accolse la notizia.

«Per quale motivo?» sibilò.

Nicolas si concesse tutto il tempo necessario a compiere un giro attorno a lui, prima di parlare: poteva annusare l’odore inebriante della sua anima arsa dalle fiamme della paura e della rabbia.

«Un immigrato italiano, senza genitori e senza patria, con il fuoco del diavolo negli occhi… la gente mormora, Antonio.»

«E gli Inquisitori ascoltano sempre le confessioni del volgo» l’ex-capitano citò le parole del predatore al loro primo incontro, e Nicolas parve gradire come un boia sadico si bea degli uggiolii vani della sua vittima.

«Inoltre, quel ragazzo esercita un’influenza malefica su chi gli sta intorno» seguitò il cacciatore. «Ricordi cosa ha fatto dire al tuo cameriere?»

«Non era Lovino a farlo parlare» ricordò a denti stretti Antonio.

«No, ma Diego non ha mai avuto problemi con la Chiesa prima del suo arrivo. Questo mi fa supporre che la sua mente sia stata manipolata dall’esterno» precisò con sapienza crudele l’Inquisitore. «E ha una pessima influenza anche su di te.»

Nicolas inalberò il collo, altero, quando Antonio gli rivolse lo stesso sguardo che gli aveva scoccato dalle sbarre del carcere, tanti anni prima.

«Hai detto di essere fedele ad un talamo nuziale ormai freddo, ad una donna che hai incontrato durante i tuoi viaggi nelle colonie. Eppure, solo negli ultimi anni hai cominciato a rifiutare le seduzioni femminili. Mi chiedo il motivo di una castità così tardiva» le dita grifagne dell’uomo si intrecciarono. «L’unica spiegazione plausibile è che sia una storia inventata per proteggere qualcosa di illecito» il mento del cacciatore si alzò con aria di sfida, e l’uomo proseguì: «Un’emigrata spagnola, senza legami e morta in un luogo troppo lontano per confermare la sua effettiva esistenza. Sai, Antonio, sono proprio le storie che non possono essere provate a farmi sospettare di più.»

«Non puoi arrestare Lovino sulla base di misere supposizioni» minacciò Antonio, plumbeo in viso.

«Gli eretici sono colpevoli fino a prova contraria» replicò serafico e malevolo l’Inquisitore.

Confesso a Dio onnipotente
E a voi, fratelli,
Che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni,
Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

Il suono secco del bastone gettato al suolo echeggiò livido per tutto l’atrio; l’elsa rimbalzò sul pavimento un paio di volte per poi fermarsi con un rumore sfiancato. Antonio spalancò le braccia muscolose e decretò, la voce infuocata come gli occhi:

«Allora ti fornirò la prova contraria. Sono io l’eretico corruttore.»

Nonostante il contegno inossidabile, Nicolas non riuscì a mascherare del tutto il suo sconcerto. Era preparato a lotte furiose per la salvezza del giovane, ma non aveva previsto una simile evenienza.

«Saresti tu l’eretico che ha distorto le parole del cameriere?»

«Sì.»

«E per mascherare la tua eresia ti saresti inventato la storia dell’emigrata?»

«Sì.»

«Quindi l’italiano sarebbe una tua vittima.»

«Sì. Sai che sono colpevole. Lo sai da diciotto anni.»

Nicolas chiuse le dita sull’anello, il cui oro aveva cominciato a scottare.

Il cielo gli aveva donato la possibilità di rimediare al suo madornale errore di tanti anni prima. E avrebbe potuto sottoporre l’italiano tentatore ad un regolare processo una volta purificato l’amico d’infanzia.

«Sei disposto a giurarlo in Tribunale?»

«Sono disposto a giurarlo di fronte agli dei.»

La bestemmia colpì l’Inquisitore come una colata lavica: ogni parola fu un lapillo incandescente che lo colpì dritto al cuore, e il tono sprezzante fu la cenere che gli inasprì la gola con la sua consistenza sabbiosa.

«Allora dovrai seguirmi» ordinò superbo.

Antonio annuì e si voltò in direzione delle scale: Consuelo lo fissava allucinata dall’ultimo gradino, una mano infitta nella tasca del grembiule e il respiro affannoso come un cerbiatto che intravede la scure del cacciatore.

Il locandiere le si avvicinò con un sorriso disarmante, che condivideva la dolcezza e la rassegnazione di quello degli eroi della fede nelle effigi sacre. La donna si aggrappò alle sue braccia, conficcandogli le unghie nella carne fino a farne uscire il sangue.

«Non andare» lo supplicò. Le labbra tremarono tanto da costringerla a ripetere per tre volte prima che l’ex-corsaro potesse comprenderla, e la sua dizione fu ostacolata ulteriormente dal torrente di lacrime che scorreva copioso sul suo volto. «Non tornerai più indietro!»

I singhiozzi esplosero nella sua gola quando l’uomo si sporse per baciarle la fronte gelida.

«Ve la caverete magnificamente anche senza di me. Arthur si prenderà cura di voi.»

La donna si aggrappò al corrimano per non cadere in ginocchio: le forze la abbandonarono assieme all’uomo, e rischiò di crollare a terra come un corpo morto.

La porta della camera del locandiere si spalancò quando quella principale si chiuse.

«Dov’è Antonio?»

Consuelo boccheggiò a vuoto un paio di volte prima di racimolare il fiato necessario ed esalare:

«L’ha portato via… Nicolas…»

Dovette fare appello a tutte le sue energie per bloccare il ragazzo prima che questo irrompesse in strada come una furia.

«Non puoi seguirli!» gridò, trattenendolo per la vita.

«Non posso lasciarli andare!» Lovino continuò a trascinarsi verso la porta, nonostante la donna arpionata al suo ventre, e ad esacerbare le sue proteste rasentando l’isteria.

Attirato dalle grida, il cuoco fece la sua comparsa nell’atrio, e la ribellione del pescatore fu ridotta ad uno scalciare nel vuoto quando l’energumeno lo sollevò da terra abbrancandolo per il torace.

«Dobbiamo andare da Arthur» urlò Consuelo, scorticandosi le corde vocali per sovrastare gli strilli di Lovino e i grugniti del cuoco.

«L’ha catturato! Cosa può fare Arthur?» strepitò il giovane.

«L’ha detto Antonio!»

Quel nome fu il balsamo per calmare il caos che l’Inquisitore aveva scatenato. Consuelo prese un respiro dall’aria finalmente ferma e chiarì:

«È l’ultima cosa che mi ha detto. Dobbiamo andare da lui.»

Il cuoco annuì e depositò a terra il ragazzo, improvvisamente muto.

Avrebbero seguito l’ultimo dettame di colui che per loro sarebbe stato sempre il più grande tra i capitani. Avrebbero seguito fino all’ultimo la fragile speranza che il comandante della Queen of Pirates sapesse come agire.

E avrebbero pregato la Dea del Mare di ripetere il miracolo di quasi vent’anni prima, salvando Antonio ancora una volta.

E supplico la beata sempre vergine Maria
Gli angeli, i santi
E voi, fratelli,
Di pregare per me il Signore Dio nostro.

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Capitolo 8
*** Stabat Mater ***


Stabat Mater

 

La fama mondiale di Arthur si basava su tre elementi fondamentali: la sua lungimiranza commerciale, la sua abilità strategica e il suo pessimo temperamento.

Per questo motivo solo i nuovi arrivati dalla locanda di Antonio sobbalzarono quando l’inglese sparò in aria per imporre silenzio: la sua ciurma si limitò a moderare il brusio che aveva scatenato l’irritazione del capitano.

«Dicevate?» domandò imperturbabile Arthur, in attesa che la pistola smettesse di fumare per rimetterla nella fondina.

«Hanno preso Antonio» vociò il cuoco.

Sembrava l’unico ancora in possesso del dono della parola: Consuelo teneva le mani tremanti abbarbicate alle labbra e Diego fissava per terra costernato. Lovino era chiuso in un mutismo altamente pericoloso: i suoi occhi brucianti e il suo viso temporalesco si addicevano ad un prigioniero che, segregato in galera, medita giorno dopo giorno la sua vendetta contro chi l’ha incarcerato.

L’inglese ripose l’arma, scostando i suoi pensieri dalla truppa di Antonio.

«Così si è fatto catturare…» sospirò, quasi seccato per l’avventatezza del suo ex-collega di galeone.

«Ha detto di venire qui» tartagliò Consuelo, profondamente scossa. «È stata l’ultima cosa che ha detto prima di…» la voce si disidratò nella sua gola, e la cameriera tornò a tormentarsi le labbra con le mani.

Arthur annuì, emettendo un fiato scocciato ad ogni cenno di capo. Avrebbe tanto voluto, almeno una volta nella vita, che i piani di emergenza di Antonio non si tramutassero effettivamente in programmi d’azione.

«Avevamo concordato una via di fuga alternativa» rivelò. Si concesse una seconda occhiata d’insieme, prima di procedere con la spiegazione: una donna, un cameriere inservibile, un gigante e un pescatore senza esperienza di combattimento. Sperava che la loro incondizionata fedeltà sopperisse all’evidente mancanza di materie prime, o tutto sarebbe finito in un disastroso, sanguinoso fallimento.

«Avrò bisogno della vostra massima collaborazione. E dovrete cooperare con il mio equipaggio» preannunciò, e finalmente espose il disegno strategico di Antonio.

Gli occhi di Consuelo si dilatarono per la sorpresa e quelli di Diego per l’orrore; il cuoco espresse la sua soddisfazione battendo rumorosamente un pugno sull’altro, e Lovino si rabbuiò finché il suo volto quasi non perse i connotati umani. Arthur non badò troppo alla furia che rombava nelle iridi ramate del giovane: non aveva dimenticato gli ammonimenti di Antonio circa gli sbalzi di umore dell’italiano.

«Andate sottocoperta. Tra poco vi raggiungerà la mia ciurma, e decideremo come agire» dispose sbrigativo.

Consuelo aiutò Diego ad incamminarsi verso la meta, ed il cuoco li seguì, pronto ad afferrare il collega in caso di necessità.

Arthur appoggiò la schiena al parapetto, le braccia incrociate e un ghigno lievemente marcato di superiorità sulle labbra. La testa di Lovino gorgogliava di pensieri, ed era sicuro che almeno uno di essi fosse indirizzato a lui.

Ebbe conferma della sua teoria pochi istanti dopo, quando il giovane puntò il viso burrascoso verso di lui. Arthur percepì il turbine dell’odio, i nembi della vendetta e i fulmini della rabbia agitarsi sotto la pelle del giovane: era un uragano che esigeva sangue per essere placato. Non poteva sbagliarsi: quel medesimo sconvolgimento aveva travolto il suo animo infiammabile milioni di volte.

Per questo non si stupì troppo per la sua richiesta:

«Insegnami ad uccidere un uomo.»

 

***

 

«Ha confessato?»

«Ininterrottamente, signore. Non ho mai visto un prigioniero più collaborativo.»

Gli incisivi si conficcarono con rabbia nel labbro inferiore.

Aveva scelto quella tortura appositamente per Antonio, per tormentarlo nel fisico e nel corpo al contempo: l’acqua gli avrebbe fatto esplodere i polmoni, la memoria lo avrebbe pugnalato con i ricordi dei patimenti dei genitori e il suo amore per il mare sarebbe stato flagellato e umiliato.

Credeva che avrebbe lottato, che gli avrebbe mostrato di nuovo quella febbricitante resistenza di diciotto anni prima. Invece non faceva che ripetere la solita frase, quasi fosse vittima di un sortilegio.

«Lasciateci soli» ordinò, brusco.

Nicolas aggirò la pozza che si spandeva sulla dura pietra del pavimento e si portò vicino alla sua vittima.

Antonio non lo degnò nemmeno di uno sguardo: rimase accasciato contro l’enorme tinozza di metallo in cui lo avevano ripetutamente immerso, la camicia fradicia e i capelli aggrovigliati sugli occhi. I polsi erano strettamente trattenuti dietro la schiena da pesanti manette di ferro, costringendolo a piegarsi in avanti con il busto in una posa degradante.

Le unghie feline sfiorarono il topazio. Antonio gli stava offrendo uno spettacolo molto diverso da quello che aveva inscenato quando aveva tredici anni: a quel tempo, le torture lo avevano sfinito, lasciando come unico memento della passata vitalità uno smorto barlume negli occhi verdi. Era l’ultimo baluginio di un faro affondato nei flutti, tenace ma sconfitto.

Il suo bastone era rimasto alla locanda ed era stato costretto a zoppicare per i corridoi umidi, era stato ammanettato e torturato. Eppure sulle sue labbra scosse dalla tosse spirava l’eco di un sorriso, i suoi occhi stanchi avevano ancora la forza di scintillare di una soddisfazione irragionevole, perfino la schiena, curva per via delle manette, sembrava piegata in maniera dignitosa. Abbattuto e assurdamente vittorioso.

Si rifiutava di credere che un misero pescatore potesse aver operato una simile metamorfosi. Era certamente stato il mare ad accendere quell’orgoglio impossibile da sottomettere e quella fierezza inesplicabile; non poteva essere opera di un italiano senza famiglia.

L’Inquisitore prestava attenzione solo alle azioni altrui, per poter incriminare il prossimo sulla base di esse, e aveva dimenticato come osservare il cuore che muoveva quegli stessi arti: non aveva mai notato quanto i due innamorati fossero cambiati grazie all’altro. Il passaggio era stato graduale, costituito dalle minuscole vittorie di ogni giorno, e nemmeno i diretti interessati se ne erano resi conto. Avevano guarito il compagno dalla ripugnanza per i legami e dal riserbo nei confronti del genere umano; Antonio aveva sbeccato gli angoli più aguzzi della personalità dell’italiano e Lovino aveva rinvigorito l’ardore dello spagnolo.

Il cambiamento era visibile in quella stessa cella: Antonio si era consegnato volontariamente per il bene di un’unica persona.

Ed era quell’aspetto della vicenda che Nicolas non riusciva a tollerare.

«Mi hanno riferito che ti sei dichiarato colpevole più volte» scandì l’Inquisitore.

«Ho ripetuto ciò che ti ho detto alla locanda» confermò Antonio.

Gli stivali del predatore produssero un leggero attrito al suolo quando quest’ultimo si accostò al prigioniero inginocchiato.

«Anni fa ero sicuro che tu fossi un adoratore del maligno» rivelò, metodico e spietato. «Tuttavia, temo che ora tu sia la vittima. Forse hai incontrato una malia più forte della tua a cui non sei riuscito a opporti. Ma se tu lo denunciassi…»

«Ho confessato. Di che altro hai bisogno?»

Le dita si strinsero convulsamente attorno all’anello sotto lo sguardo di Antonio.

Era assurdo che un condannato a morte avesse un’espressione così calma. Solo i santi vantavano una simile seraficità di fronte all’incontro con l’Altissimo, e Antonio era certamente la persona più lontana dal loro esempio salvifico. Non era possibile che un simile peccatore possedesse la loro stessa forza d’animo.

«Se sei una vittima, c’è ancora speranza di salvezza, per te. Ma non possiamo perdonare chi bacia le catene della propria schiavitù maledetta» aumentò Nicolas. «Devi purificarti perché il tuo aguzzino ti ha avvelenato con la sua esistenza corrotta. E puoi farlo in due modi: il rogo o la denuncia.»

«Scelgo il rogo.»

La risposta fu così repentina che lasciò l’Inquisitore in silenzio per qualche istante, impietrito per la sorpresa.

Che io non sia bruciato dalle fiamme,

che io sia, o Vergine, da te difeso

nel giorno del giudizio.

La cella madida di dolori passati fremette per lo scambio di sguardi tra i due: quello smeraldino di Antonio, calmo e lievemente superbo, e quello rovente di Nicolas, infuriato e sdegnoso.

L’ex-capitano roteò le spalle bloccate per sgranchirle dalla loro posizione scomoda, chiedendosi quanti prigionieri fossero stati in grado di gettare una simile espressione sul volto del cacciatore. Nicolas aveva guardato Lovino con disprezzo e superiorità, aveva parlato a Diego con gelo e veleno. Probabilmente lui era l’unico in grado di scuotere tanto l’impassibile Inquisitore.

Nicolas si voltò, per non permettergli di godere ancora del suo volto turbato.

«Sei così abbagliato dalle fiamme dell’Inferno che non ti accorgi della tua cecità» sibilò ferino. «Benedici lo stesso fuoco che ti sta consumando l’anima, difendi lo stesso stregone che ti ha condotto qui.»

«Ti sbagli, Nicolas. Tu mi hai condotto qui.»

Antonio rialzò la schiena, nonostante la gamba dolorante, e l’Inquisitore si sentì quasi schiaffeggiare dalla strenua fierezza dell’ex-capitano. Il ragazzino tremante e rabbioso era scomparso, lasciando il posto a un uomo pronto a lottare fino alla morte.

«Perché lo stai proteggendo?»

Tutti confessavano, senza eccezione. Tutti consegnavano l’amico, il fratello, perfino il genitore nelle grinfie dell’Inquisizione dopo alcune torture particolarmente crudeli. Per quale motivo nel caso di Antonio e di quell’orfano la storia non seguiva il suo naturale corso?

«Quel pescatore senza patria e senza Dio ti ha portato solo sciagure.»

«Preferiresti proteggere un ragazzo senza radici o compiacere un mostro senza cuore?»

Il cilicio avviticchiato alla caviglia sinistra scottò a quelle parole, percependo la calunnia malcelata.

«Questa sera innalzeranno il rogo» elencò atono Nicolas, ignorando la caparbietà del passato amico: se non vi avesse prestato attenzione, forse l’ostilità del prigioniero avrebbe perso di significato e avrebbe smesso di offenderlo. «Domani mattina sarai condotto a piedi nudi sul patibolo, e la tua anima abbandonerà questo mondo.»

«Conosco la procedura. Mi hai fatto fare le prove diciotto anni fa.»

Antonio non abbassò gli occhi quando l’Inquisitore si voltò verso di lui: i loro sguardi combatterono furiosamente, cercando di disintegrarsi a vicenda. Nicolas mise fine a quella guerra nel modo più radicale possibile: afferrò una verga di metallo alle sue spalle, e con essa colpì il carcerato alla tempia.

Il ferro contro l’osso produsse un rumore orribile e finalmente la schiena impertinente dell’uomo collassò, le mani gesticolarono freneticamente per raggiungere il punto leso, nonostante fossero impossibilitate dalle catene. Dalle labbra del capitano eruppe un rantolo sofferente, il viso reclinato verso il basso e gli occhi chiusi dal dolore lancinante al capo.

L’Inquisitore riacquistò la sua aria intimidatoria e altezzosa, come se i tormenti dell’ex-capitano fossero il balsamo rinvigorente per la sua alterigia. Appoggiò lo strumento di tortura sul tavolo sbeccato con un gesto fluido ed esalò, marmoreo:

«Domani il mondo sarà purificato dalla tua presenza immonda. Per quanto riguarda oggi, devi ancora espiare le tue colpe.»

Poté muovere solo due passi in direzione della porta: la voce dell’uomo si infisse nel mezzo delle sue scapole come una stilettata.

«Essere devoti ad una divinità… è un sentimento solitario» sentì strisciare alle sue spalle, e capì che l’uomo si era nuovamente, faticosamente issato in ginocchio. «Deve essere frustrante amare chi è così lontano da te. Hai scelto un amore freddo. E senza scambio.»

«È un sentimento puro che nobilita l’uomo» recitò adamantino Nicolas.

Le sue spalle tremarono di collera nel percepire il raspare di una risata amara.

«Forse. Ma quando sarai arrivato in fondo alla tua strada, ti renderai conto che tutto ciò che ti rimane è un sentiero distrutto alle tue spalle e un vicolo cieco di fronte a te.»

«Ciò che ti attende in fondo al tuo cammino, invece, è la Gehena» replicò gelido l’Inquisitore.

Antonio lo disturbava come aveva sempre fatto: la sua presenza, le sue parole, le sue azioni erano un costante insulto alle sue convinzioni e al suo stile di vita. Un satanasso come lui andava eliminato il prima possibile.

«Dovresti toglierti l’anello. Non è a te che l’ho regalato.»

Anche un miscredente come lui era capace di provare nostalgia. Nonostante il tragico passato che li divideva, la mente di Antonio non aveva mai cancellato del tutto il ricordo del suo vecchio amico con cui saltava sui cumuli di fieno. Vivevano nella sua mente come due persone distinte, il ragazzo timorato e l’implacabile cacciatore. Ma il predatore aveva soffocato il giovane puro, lo aveva fatto a brandelli fino a cancellarlo completamente. L’Inquisitore non avrebbe mai potuto capire quanto il cuore dell’ex-capitano si stringesse nel ricordare il compagno d’infanzia.

Fa' che io sia protetto dalla Croce,

che io sia fortificato dalla morte di Cristo,

consolato dalla grazia.

«Non dovresti preoccuparti del mio anello» fu la frase con cui lo salutò Nicolas.

Antonio inalò un profondo respiro, conscio che ben presto gli strazi sarebbero ricominciati.

L’Inquisitore non avrebbe capito la sua malinconia per l’amico di un tempo né il suo affetto per il pescatore italiano. Aveva scambiato i sentimenti con un cuore di pietra che gli permettesse di sopportare il suo atroce mestiere.

Una vita vuota, fredda e spoglia come un sepolcro.

Il cacciatore si era costruito il suo stesso mausoleo, una pietra per volta, e vi si era murato dentro mentre era ancora in vita.

Un morto non poteva capire la gioia di vivere di chi ancora amava i giorni trascorsi in quel mondo caotico.

Fu il suo ultimo pensiero prima che la sua testa fosse spinta di nuovo nell’acqua gelida.
E quando il mio corpo morirà

fa' che all'anima sia data

la gloria del Paradiso.

Amen.

 

***

La Queen of Pirates era in fermento, quel giorno.

Si rumoreggiava allegramente sul ponte nei preparativi per la partenza, e si bisbigliava sottocoperta per attività più nascoste.

In particolare, nella cabina del capitano aveva luogo una riunione che decisamente non avrebbe potuto vedere la luce del sole.

L’inglese fissò il ragazzo con evidente perplessità: il pescatore gli aveva chiesto di insegnargli ad uccidere un uomo senza alcuna esitazione o scrupolo morale. Alla luce di questa considerazione, proprio non comprendeva i motivi della sua recalcitranza.

«Non vuoi usare la pistola?»

Lovino scosse con vigore la testa, ostinato.

Gli occhi dell’inglese percorsero la distanza tra l’arma che teneva tra le mani e il ragazzo continuando a navigare nella confusione.

«Tu non hai mai ucciso nessuno, giusto?»

Questa volta il capo del giovane si chinò in un assenso.

«Non sei mai stato in battaglia.»

La seconda non era una domanda, ma Lovino annuì comunque.

Arthur fece roteare la pistola tra le dita e porse il calcio all’italiano, con un gesto più perentorio dei precedenti.

«Allora dovresti usare questa.»

Le mani del pescatore rimasero conficcate nelle tasche dei pantaloni e gli occhi infissi sull’arma che svettava sotto il suo naso.

«Ha un solo colpo. E non so come ricaricarla» notificò piatto Lovino.

«Devi usarla per difenderti, non per attaccare» gli ricordò Arthur. Antonio gli avrebbe staccato la testa a mani nude se fosse venuto a sapere che aveva spedito il suo prezioso italiano in prima fila.

«Non posso usare una pistola» s’incaponì il giovane.

L’inglese arretrò di un passo per appoggiare l’arma sulla pesante scrivania che torreggiava al centro della cabina. Aveva scelto un arredamento piuttosto minimalista per la sua stanza sulla nave: la sua vanità lo spingeva a custodire gelosamente i trofei guadagnati nei suoi numerosi viaggi, ma non era così frivolo da fare della sua camera uno stendardo al lusso inutile. I suoi tesori erano serrati in un baule inchiodato alla parete, e il resto della stanza era votato alla praticità.

Fece scivolare una mano sulla superficie interna del tavolo e afferrò l’elsa del pugnale. Aveva installato personalmente una piccola custodia di cuoio in quel punto e vi aveva inserito uno stiletto come misura di sicurezza aggiuntiva: se un nemico avesse cercato di sorprenderlo alle spalle mentre era alla scrivania, non lo avrebbe trovato disarmato.

Estrasse il pugnale e lo puntò al viso dell’italiano. La testa di Lovino scattò istintivamente all’indietro nel vedere il filo della lama così vicino.

«Preferisci un’arma da taglio?» volle sapere Arthur.

«Sì» dichiarò sicuro il pescatore.

Arthur scosse la testa con un sospiro, spostando lo stiletto dal viso del giovane.

«Non puoi difenderti dalla ressa con un pugnale, a meno che tu non sia un combattente esperto» assestò un’occhiata molto loquace alle braccia del ragazzo, forgiate dalla pesca e non dalle battaglie. «Inoltre, questo tipo di arma è troppo personale per un novellino.»

Le labbra di Lovino si arricciarono indispettite per quel commento, ma Arthur seguitò:

«Quando pugnali qualcuno, puoi sentirlo mentre muore.»

Nel tempo di un battito di ciglia, l’inglese ricordò la prima volta che aveva trafitto un nemico: lo aveva sconvolto sentire la cedevolezza della carne sotto la sua lama, e l’urlo che voleva lanciare era diventato un suono sconnesso quando un fiume di sangue gli aveva inondato le mani. Alcuni schizzi avevano raggiunto perfino il viso, ed era stata la sensazione di avere la morte di quell’uomo sulla faccia ad averlo fatto rigettare quando la battaglia era finita. Era più giovane di Lovino a quel tempo, e forse meno motivato di lui, ma dubitava che per il pescatore sarebbe stato meno traumatico.

Affermare di voler uccidere una persona e falciare una vita nella realtà erano due esperienze diametralmente opposte.

«Con una pistola, invece, ti basterebbe sparare un colpo in aria per creare il vuoto intorno a te. La gente ha una paura folle delle armi da fuoco e basta la loro presenza a creare il panico.»

«Non voglio creare il panico.»

Lo stiletto venne appoggiato di fianco alla pistola, e una domanda spazientita raschiò le labbra del capitano:

«Perché hai questa fissazione per i pugnali?»

Lovino non ebbe quasi bisogno di pensare alla risposta, che fu tempestiva:

«Non ho una fissazione per i pugnali. Odio le pistole.»

Lo scranno di legno massiccio sfregò rumorosamente sul pavimento quando Arthur lo girò per prendervi posto.

«Per quale motivo?» domandò, con il tono categorico di un capitano che si rivolge ad un suo sottoposto. Non gli importava quanto il giovane avrebbe potuto soffrire nel ricordare l’origine della sua avversione: non aveva intenzione di mandarlo al macello solo per una paranoia.

L’odio con cui Lovino fissò la pistola sembrò avvelenare l’aria, saturandola di rancore.

Non desiderava che l’inglese fosse il primo ad ascoltare quel racconto. Aveva progettato di rivelarlo ad Antonio, un giorno. Ma si rendeva conto che Arthur non gli avrebbe prestato alcuna arma, probabilmente non gli avrebbe nemmeno permesso di scendere dalla nave, se non avesse sputato ogni singola parola riguardo al suo rigetto per le pistole.

Strinse le dita sugli avambracci come per strizzare fuori dal corpo quelle memorie dolorose. Si arrese all’obbligo di confessare quando capì che quelle tossine potevano essere espulse solo con le parole.

«È successo dieci anni fa. Quando sono venuto in Spagna con mio fratello.»

Arthur gli fece cenno di continuare, per poi intrecciare le dita nella sua tipica posizione d’ascolto.

Lovino lanciò uno sguardo circolare alla stanza, nervoso, poi buttò fuori una parola dopo l’altra con enorme sforzo:

«Eravamo rimasti senza genitori. E in Italia non c’era più posto per noi.»

L’inglese non insistette su quel punto: Lovino aveva chiuso le palpebre un paio di volte, e ad ogni battito gli occhi si erano rivelati più lucidi. Era determinato a conoscere l’esatta motivazione della sua fobia, ma non era necessario ferire il giovane per questioni irrilevanti in quel momento. Lo lasciò libero di sorvolare sulla dipartita dei suoi genitori e attese il seguito.

«Siamo saliti su una nave diretta in Spagna.»

«Perché proprio la Spagna?»

«Conoscevamo abbastanza bene la lingua.»

Arthur non approfondì nemmeno quel punto. Aveva sospettato che il ragazzo provenisse dai territori del Sud d’Italia assoggettati alla potenza iberica per via della sua scioltezza nel parlato.

«Come avete pagato la traversata?» domandò invece.

«Eravamo orfani» rispose ermetico Lovino.

Il capitano aprì per un attimo le labbra, comprendendo il sottinteso di quella frase: due ragazzini senza padre e senza madre non posseggono denaro. Erano saliti da clandestini.

«Vi hanno trovato?»

L’italiano non rispose subito a quella domanda. Portò una mano alla testa, ingombra delle memorie di quei giorni: la fame e il cattivo odore, le gambe e le braccia che facevano sempre male per le posizioni anchilosate con cui si nascondevano, le mani premute sul viso per non far sentire il proprio respiro quando i marinai passavano troppo vicino.

E poi il giorno in cui suo fratello si era sporto troppo per respirare l’aria di mare, i suoi strilli quando era stato catturato. Dal suo nascondiglio, Lovino aveva sentito quegli uomini abbaiare contro Feliciano, e aveva udito il silenzio del consanguineo, deciso a non rivelare il rifugio del fratello.

Poi il colpo di pistola, e le lacrime che non avevano smesso di scorrere fino a quando non era giunto in Spagna…

«Hanno sparato a mio fratello» riassunse spicciolo.

«E lo hanno fatto su una nave» sottolineò Arthur. «È sorprendente che dopo un’esperienza del genere tu ami ancora l’oceano a tal punto.»

«Non è stato il mare a uccidere Feliciano, e nemmeno il galeone. Sono stati gli uomini.»

L’inglese non mascherò un leggero ghigno accondiscendente. Apprezzava i pragmatici come quel ragazzo, che non accusavano la natura di crimini squisitamente umani.

Lovino rafforzò la presa sulle braccia, amareggiato. Non aveva odiato le onde che lo avevano condotto in Spagna, e non aveva abbandonato il suo sogno di salire in futuro su una nave, ma aveva disprezzato tutto il genere umano da quel giorno in poi.

Suo fratello era il bambino più innocuo al mondo, ed un uomo nerboruto gli aveva sparato come al suo peggiore nemico. Non avrebbe mai più concesso un’oncia di fiducia a delle bestie di quel calibro, abiette e malevole.

Arthur premette il pugno chiuso contro le labbra, scrutando il pescatore.

L’italiano aveva continuato a vivere ringhiando al mondo intero fino a quando non aveva incontrato Antonio, e l’ex-corsaro non si era liberato della sfiducia nella gente fino a quando Lovino non era entrato nella sua locanda, anni prima, a consegnare un carico di pomodori.

«Vi siete salvati a vicenda» mormorò contro le proprie nocche, e aggiunse, a voce più alta: «Posso insegnarti ad usare le armi da taglio, ma ad una condizione.»

Lasciò sgocciolare qualche istante di attesa prima di proporre il suo patto:

«Userai ciò che ti insegnerò solo per autodifesa. Non dovrai attaccare. Non domani, almeno.»

La faccia di Lovino si contorse come se gli avessero passato un limone particolarmente aspro sulle labbra, ma acconsentì comunque.

Arthur sguainò il suo pugnale e allungò all’italiano quello sulla propria scrivania.

«Puoi colpire diversi punti vitali, in un attacco. Se vuoi uccidere, mira alla gola o al cuore» spiegò, spostando il filo della lama in modo che sfiorasse prima la giugulare e poi lo sterno del ragazzo. «Puoi colpire gli occhi, se il tuo avversario non è troppo più alto di te e il tuo scopo è la fuga. Oppure la gamba, per impedirgli di inseguirti. Qualunque cosa tu faccia, ricorda di rigirare il pugnale: in questo modo, la ferita non si rimarginerà, e sarà impossibile per il tuo assalitore raggiungerti.»

Lovino assorbì attento le sue istruzioni, pesando il pugnale tra le sue mani e ripetendosi i punti in cui colpire.

«Devi tenere a mente anche un’altra cosa: stai molto attento a proteggere il tuo ventre, mentre scappi.»

«Perché proprio il ventre?»

«Le ferite allo stomaco conducono ad una morta lenta e, soprattutto, dolorosa. Fai molta attenzione.»

Il pescatore asserì in silenzio, e Arthur si girò di lato per mostrargli alcune tecniche di affondo.

Non si fidava del tutto del giuramento di quell’italiano focoso.

Gli avrebbe messo alle spalle il cuoco: se non fosse riuscito ad addomesticarlo con le parole, avrebbe potuto placcarlo con le braccia.

E avrebbe anche dovuto sorvegliare il cameriere: aveva negli occhi gli stessi tizzoni di Lovino ed era certo che, pur con le mani massacrate e la schiena martoriata, avrebbe trovato il modo di tuffarsi in mezzo alla mischia se non gli avessero messo il guinzaglio.

Trattenne a stento un sospiro scontento.

La truppa di Antonio era piena di elementi problematici.

 

***

 

Per le vie della città si respirava l’aria strisciante e fredda di un cimitero abbandonato.

La notizia dell’arresto di Antonio era deflagrata nelle viuzze con la potenza di un colpo di cannone, e sul villaggio era calato il velo del lutto.

All’alba, quel gruppo di case appollaiato vicino al mare avrebbe dato l’addio al suo più illustre cittadino.

Portavano il peso di quel cordoglio silente le persone che ancora si attardavano nelle strade mentre il sole moriva, incrociandosi ad occhi bassi e senza scambiarsi nemmeno una parola. Alcuni paesani erano affacciati alla finestra, e i loro volti disegnavano un ovale spettrale nella cornice di legno.

Furono quei mesti spettri viventi i primi testimoni dell’infernale spettacolo che scosse la città fino alle fondamenta, in quello che sarebbe stato ricordato come “il Grande Sabba”.

Dapprima nessuno fece caso ai serpenti di fumo che si snodavano nella via centrale. Poi una ragazzina particolarmente curiosa seguì con lo sguardo quella striscia grigiastra e trovò all’altro capo del filo un essere partorito da un incubo.

La bambina strillò, e il secondo urlo fu quello della madre accorsa in suo aiuto.

«Oh buon Dio! Che cos’è quello

Una creatura incappucciata di rosso, bestiale e spaventosa, li fissava con i suoi occhi malevoli, emettendo mefitici sbuffi di fumo dalle fauci.

«È il Diavolo!» gridò qualcuno.

Il caos e il panico del Grande Sabba ebbero inizio.

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Capitolo 9
*** Dies Irae ***


Dies Irae

 

«Qual è il piano di azione?»

Così iniziò l’adunata sottocoperta per decidere la strategia di liberazione di Antonio.

I volti della ciurma, coniati dagli stampi di diverse nazioni, erano accumunati dal disorientamento: il capitano aveva loro ordinato di ammucchiare in quella stanza un quantitativo esagerato di stoffe scure, su cui spiccava un’unica mantella rossa; la catasta di tessuto era attorniata da alcuni barili dal contenuto ignoto, e un numero imprecisato di pipe era ruzzolato per terra. Le armi dalla foggia più strana che avevano immagazzinato durante i loro viaggi si accavallavano in una pila disordinata di metallo in un angolo, e alcuni contenitori di pitture ottenuti in lande esotiche attendevano ai piedi della montagna ferrosa. Uno sparuto gruppetto di marinai stava avvolgendo alcuni stracci attorno a nodosi pezzi di legno per creare delle torce rudimentali.

I tre nuovi arrivati apparivano confusi quanto loro; dunque il capitano non aveva ancora reso partecipe nessuno delle sue effettive intenzioni.

A giudicare dall’equipaggiamento, Arthur Kirkland aveva intenzione di assaltare la roccaforte dell’Inquisizione, e i loro animi paventavano quella possibilità: erano fedeli al più temuto degli inglesi e avrebbero seguito i suoi comandi fino alla fine, ma se avesse ordinato un simile attacco sarebbero morti tutti nel giro di poche ore. Gli Inquisitori predicavano la pace e la misericordia, ma lo facevano dietro la protezione di guardie esperte e robusti cancelli.

Un vecchio lupo di mare alzò il mento, sereno: il loro capitano non era uno stolto, e la sua posizione di corsaro al servizio della corona inglese lo dimostrava chiaramente. Non li avrebbe mai mandati al macello in quel modo.

Arthur si dimostrò degno della fiducia di quel marinaio e di tutti i suoi uomini con le sue successive parole.

«Ho corrotto un secondino che lavora al Palazzo di Giustizia» ammise candido l’inglese, senza la minima vergogna per le sue azioni. «Di notte, le porte vengono sprangate e i cancelli sigillati. La cella di Antonio è presidiata da due guardie giorno e notte.»

«Ma non sarà un problema per noi» abbaiò il marinaio di poco prima, la voce arrochita in ugual misura dalla salsedine e dal tabacco.

«Non se ti ricordi ancora come corteggiare le serrature, Thomas» ghignò il capitano.

I segni dello scorbuto vennero esibiti in un sorriso sgangherato quando l’uomo replicò:

«Non hanno ancora inventato un lucchetto che possa resistermi!»

«E per le guardie?» s’informò Diego, appoggiato alla parete sotto la supervisione della fidanzata.

«Antonio se la caverà. Faceva parte del nostro patto: lui si sarebbe liberato degli impicci umani, e io gli avrei aperto una via di fuga. Invierò solo un piccolo gruppo di recupero per aiutarlo ad uscire, il grosso della truppa sarà all’esterno.»

Lovino era distante almeno una ventina di uomini da lui, eppure gli parve di sentire lo stridio dei suoi denti digrignati. Quel ragazzo era davvero una forza della natura.

«Anche questa roba fa parte del piano?» vociò il cuoco, indicando con una mano alle sue spalle.

«Precisamente». Il capitano colmò con lentezza lo spazio tra lui e gli oggetti accatastati affinché il suo pubblico potesse ribollire nell’attesa. Il labbro superiore gli si arricciò con uno scatto nervoso: quello stupido marsigliese lo stava contagiando con la sua passione per la teatralità.

Decise di mettere fine a quello spettacolo afferrando con forza una stoffa scura e drappeggiandosela sulla spalla.

«Ho bisogno che alcuni di voi indossino queste. Dieci, massimo quindici persone. Non devono essere opere di sartoria, basta che vi coprano il volto e che arrivino fino a terra. Inoltre dovrete dipingervi la faccia con quelle» illustrò, indicando i contenitori più piccoli.

«Cosa sono?» bisbigliò Consuelo al marinaio al suo fianco.

«Polveri colorate che usano certe popolazioni come pitture di guerra» rispose veloce quello per non perdersi il resto del discorso del capitano.

«Chi di voi non sarà impegnato a tagliare il mantello e dipingersi il viso, dovrà costruire delle torce, il maggior numero possibile» l’inglese appoggiò la stoffa a terra e raccolse un bastone e uno straccio. «E dovrete spalmarci sopra un po’ di pece. Abbiamo bisogno che si infiammino velocemente.»

«Avete intenzione di assaltare il Palazzo di Giustizia?» chiese preoccupato uno dei mozzi più giovani. «Le armi…»

Lovino sentì un fremito corrergli lungo la schiena: la sua attenzione, ancora pregna di intenti aggressivi, era stata subito calamitata dalla luce assassina delle lame.

«No» Arthur deluse metà della truppa e rasserenò la restante parte con quella negazione. «Queste serviranno solo per creare un po’ di confusione. Non dovete usarle a meno che non si riveli strettamente necessario.»

«E le pipe?» volle sapere un marinaio curioso.

Il capitano attendeva quella domanda fin dall’inizio, e rispose con grande gusto:

«Sapete, qualche tempo fa ebbi la triste idea di fumare la pipa in pubblico. Si scatenò il panico: la gente credeva che fossi un diavolo perché mi usciva il fumo dalla bocca.»

Le facce rubiconde si distorsero in sorrisi più o meno sbilenchi quando i reali intenti del corsaro cominciarono ad emergere.

«L’Inquisizione ha fatto in modo che ogni singolo abitante di questa città temesse la visita del Maligno più di ogni altra cosa per convincerli che i roghi fossero un male necessario. Sfrutteremo il terrore che loro stessi hanno creato per abbatterli» predicò Arthur. Rigirò la pipa tra le mani per qualche istante prima di mordicchiare l’imboccatura; sulle sue labbra si aprì il ghigno perfido e geniale che tutti i suoi avversari conoscevano.

«Daremo agli Inquisitori ciò che cercano: un incontro ravvicinato con una coorte di demoni.»

La parte più grassoccia della pipa venne diretta verso la sua ciurma, e il sorriso sardonico si allargò ulteriormente sul suo viso quando chiese, mellifluo:

«Dite che riusciranno ad esorcizzarci?»

La ciurma esplose in un boato di approvazione barbarica, con urla da osteria e rumorose pedate.

Nella confusione che seguì, composta dallo stridio delle forbici, dagli ordini gridati e dal rumore fradicio degli stracci avvolti sui bastoni, Lovino si fece strada verso di lui per una semplice richiesta:

«Voglio fare parte della squadra di recupero.»  

La fronte dell’inglese si aggrottò sia per la pretesa del giovane che per il tono con cui era stata promulgata.

«Non puoi. Nicolas avrà certamente adottato delle contromisure nei tuoi confronti. Dubito che passeresti inosservato» caricò le sue parole con un’occhiata allusiva alla sua chioma ramata, abbastanza rossa da attirare l’attenzione di ogni cacciatore di streghe.

Le spalle di Lovino, pronte ad inalberarsi in una protesta, vennero abbassate dalle mani gentili di Consuelo.

«Forse esiste un modo per camuffarlo» propose la donna, subito affiancata dal cuoco. «E per proteggerlo al contempo.»

Arthur soffocò sul fondo della gola un sospiro rassegnato.

Sapeva che la loro alternativa avrebbe travalicato i limiti del buonsenso.

E sapeva altrettanto bene che avrebbe acconsentito alle loro folli richieste.

 

***

 

Si assicurò per l’ennesima volta che il mantello fosse ben fissato sulla sua spalla.

Anche tra i diavoli sarebbe stato il capo, per cui gli avevano cucito addosso il tessuto scarlatto e non quello di colore più anonimo.

Mosse i muscoli delle guance, vagamente infastidito dalla pittura che vi si seccava sopra. Cominciava a capire cosa provassero le donne di corte sotto gli strati di cipria: avrebbe acceso una candela in onore della loro forza di volontà appena possibile.

Il vincolo in cui aveva deciso di appostarsi era stretto e poco illuminato, dettagli essenziali per un buon nascondiglio e pessimi per il suo orgoglio, piegato come le sue ginocchia per entrare in quel pertugio angusto.

I suoi uomini non avevano goduto di miglior fortuna: ne aveva fatti posizionare cinque in alcune stradine che sfociavano direttamente nella piazza principale, altri attendevano il segnale accucciati sui tetti, e i restanti erano stati sparsi in vari punti della città per guidare la gente verso il centro come i mandriani fanno con le pecore.

Strinse con forza la pipa tra i denti, la accese e si calcò per bene il cappuccio sulla testa, in modo  che fossero visibili solo un mento innaturalmente nero e rosso e un cumulo di fumo.

Non avrebbero potuto mantenere quello spettacolo a lungo, o la paura avrebbe ceduto il posto al sospetto, e avrebbero corso il rischio di essere smascherati e incarcerati assieme ad Antonio per sobillazione.

La pipa generò una sottile coltre di fumo attorno a lui, e Arthur decise che fosse giunto il momento di uscire: la città stava scivolando in una penombra sempre più fitta, che avrebbe reso ancora più sinistri i loro travestimenti.

I passanti si congelarono alla sua apparizione.

Poté sentire il sangue farsi denso come pietra nelle loro vene, e i loro cuori diventare di acqua mentre lo fissavano agghiacciati.

Qualche bambino si mise a piangere e si aggrappò alla gonna della madre terrorizzata, alle fanciulle cedettero le ginocchia e le bocche degli uomini si spalancarono in un artico stupore, ma nessuno osò muoversi.

Arthur trasse un respiro profondo dalla pipa, ed una copiosa scia di fumo si srotolò dal suo cappuccio ombroso.

Il giorno dell'ira, quel giorno che
Dissolverà il mondo terreno in cenere
Come annunciato da Davide e dalla Sibilla.

«È il Diavolo!» sentì urlare da uno dei suoi uomini, deciso a spezzare l’incantesimo del silenzio.

Quelle parole furono la giusta miccia per le reazioni della folla: all’improvviso, la gente cominciò ad urlare e a correre scompostamente verso la propria abitazione.

Le madri si strinsero al petto i figli prima che qualcuno potesse calpestarli, i bambini senza genitori cominciarono a roteare su loro stessi come se avessero perso completamente l’orientamento, vecchi e giovani lanciavano al cielo implorazioni e preghiere mentre cercavano di abbandonare quel luogo.

Le strida raddoppiarono di intensità quando uno stormo di diavoli apparve sui tetti delle case brandendo orribili randelli infuocati. La gente all’interno di quegli edifici scrosciò in strada vomitando una mistura di bestemmie e scongiuri, aumentando il caos generale.

Due degli uomini di Arthur, quelli con la scorta maggiore di torce, gettarono i loro bastoni nella piazza, scatenando un putiferio infernale di gente pronta a schiacciare il prossimo al suolo pur di salvarsi dal tocco sacrilego di quel fuoco.

Alcuni cercarono scampo correndo verso le strade che portavano al lido, ma il passo fu loro bloccato da una selva di satanassi dalle bocche fumanti, armati di strane spade mai viste prima su quelle terre.

«È l’esercito di Lucifero!» si disperò un ragazzo anonimo nella folla.

Quanto terrore verrà
Quando il giudice giungerà
A giudicare severamente ogni cosa.

Qualunque via la gente tentasse di imboccare per la propria salvezza, un diavolo si materializzava per sbarrarla con le torce o con le spade. La calca ormai turbinava come una nave catturata da un uragano marino, impazzita di paura.

Arthur voltò la testa alla sua sinistra, causando un attacco di isteria alle persone sulla traiettoria del suo sguardo.

Il Palazzo di Giustizia si stagliava nella notte, crudele e terribile, compagno ingrato dell’abbazia poco distante. Si chiedeva se fosse stato un perverso gioco del destino o un intricato disegno umano ad aver disposto la dimora della tortura esattamente di fronte alla casa del perdono.

Scrollò le spalle, e quel suo semplice gesto fece aumentare le urla.

Lui, in fondo, non aveva mai trovato sostanziali differenze tra i due edifici: a parer suo, entrambi affondavano le proprie fondamenta nell’ipocrisia e nella mortificazione dell’essere umano.

Alzò le braccia al cielo, e la folla inorridì quando le sue ripugnanti mani di sangue e carbone emersero dalle maniche.

Mulinò le braccia e le abbassò di colpo, sibilando tra i denti qualcosa di incomprensibile.

Quello era il segnale convenuto.

La tromba diffondendo un suono stupefacente
Tra i sepolcri del mondo
Spingerà tutti davanti al trono.

I diavoli sui tetti lanciarono le torce alle uscite che conducevano al mare o fuori città, in modo che l’unica via usufruibile rimanesse quella che conduceva alla chiesa e al Palazzo di Giustizia.

Per convincere ulteriormente la folla a scegliere quella strada, i demoni armati di spade fecero volteggiare le lame incalzando la gente a cercare scampo su quel preciso percorso. I loro colleghi sui tetti contribuirono calandosi dall’alto con strani movimenti meccanici che li fecero assomigliare ad enormi insetti dalle fauci fumanti, e fecero fuggire la gente biascicando parole in un idioma incomprensibile e agitando verso di loro le mani orrendamente colorate.

Arthur si compiacque per la loro capacità di improvvisazione: dopotutto, erano i suoi uomini.

Un fiume umano vociante e sconvolto sciamò verso il Palazzo e l’abbazia e prese a tempestare i pesanti portoni con pugni e calci, alcuni perfino con i bastoni o le pietre raccolte da terra, invocando asilo e protezione contro quella masnada satanica.

Arthur e i suoi uomini si scambiarono un breve cenno: il loro scopo era stato raggiunto.

Avrebbero presidiato il luogo ancora per qualche minuto, per evitare che la gente si rilassasse per la loro scomparsa e smettesse di assillare quelle due costruzioni.

I suoi marinai ripresero ad esibirsi in rantoli convulsi e sibili strozzati, a far roteare le spade e a protendere le mani adunche verso la marmaglia farneticante. Uno di loro rovesciò la testa all’indietro in una risata che avrebbe fatto fuggire l’anima ad un morto.

Fissò le porte del Palazzo di Giustizia, ancora chiuse. Dovevano aprirsi, o la conclusione di quel parapiglia sarebbe stata una loro ignominiosa ritirata, e la promessa del rogo il giorno dopo.

Fece scivolare la mano verso un sacchetto che teneva ben cucito alla cintura. Era la sua ultima possibilità.

Corse a raccogliere una torcia caduta, badando bene di far volteggiare il più possibile le pieghe del suo mantello: agli occhi terrorizzati della folla, quelle sue movenze lo resero terribilmente simile ad un pipistrello madido di sangue.

Gettò la torcia a poca distanza dalle due masse supplicanti, una arrampicata sul portone della chiesa e l’altra premuta ai cancelli del Palazzo.

Si avvicinò con estrema lentezza: le urla delle persone più lontane da lui aumentarono di vigore, mentre quelle più vicine si affievolirono, asfissiate dalla paura. Sollevò il pugno chiuso, e si assicurò che tutti gli occhi fossero puntati su di lui prima di lanciare un’imprecazione inventata e aprire velocemente le dita mentre abbassava la mano.

La polvere da sparo scoppiò a contatto con il fuoco, gonfiando a dismisura le fiamme e producendo un suono terribile, che fece tremare i polsi a tutti i presenti.

Arthur gonfiò ulteriormente la coltre di panico creatasi infilando la mano nel tascapane, nascosto tra le pieghe del mantello, e gettando polvere da sparo sulle torce disseminate per la piazza. Ad ogni nuovo boato gli strilli, le percosse ai portoni e gli scongiuri aumentavano, addobbati da un corteo luttuoso di pianti e unghie sfregate contro il legno fino a sanguinare.

Nessuno di loro si lasciò impietosire: se avessero permesso al loro cuore di intenerirsi, quello di Antonio sarebbe diventato cenere entro l’alba.

Una donzella supplicava per la sua vita, una madre cercava di salvare il figlio tenendolo sopra la testa, uno stuolo di bambini piangeva disperato, un giovane zio implorava pietà per la nipote.

Finché, all’improvviso, una breccia fendette l’anima di pietra dell’edificio: il portone del Palazzo si aprì, e la gente vi si riversò come un’onda di maremoto su una nave.

La chiesa imitò l’esempio della sorella e aprì le sue braccia di legno al popolo, che accorse disperato.

Arthur si voltò verso i suoi uomini, e, senza bisogno di parole, presero tutti a correre verso il mare.

La gente era fuori di sé dallo spavento, e non sarebbe stato facile placarla, anche se i diavoli se ne erano andati. Aveva visto in molte occasioni quale fosse il potere di una ressa senza timone, ed era sicuro che l’Inquisizione e i preti non sarebbero riusciti a domare quegli animi turbolenti in poco tempo.

Il loro compito era terminato.

Il turno di Lovino e Antonio era appena cominciato.

E dunque quando il giudice si siederà,
Ogni cosa nascosta sarà svelata,
Niente rimarrà invendicato.

 

***

 

Lo sguardo invecchiato di Thomas virò sul colosso al suo fianco.

Durante le sue peregrinazioni per mare aveva visto uomini di tutti i tipi: rachitici, femminei, robusti, obesi e massicci.

Ma non aveva mai visto nessuno imponente come quella montagna nerboruta, per quanto la sua memoria scolorita potesse ricordare. Aveva dei muscoli di roccia e un’ossatura di scoglio; avrebbe potuto bere il mare con la tranquillità con cui un uomo normale avrebbe svuotato un calice di vino.

Nessuna sorpresa che gli avessero assegnato solo lui come scorta: un bestione del genere era più che sufficiente per sorvegliare l’uscita. Thomas aveva scassinato la porta sul retro in pochi minuti e con grande destrezza. Gli ordini di Arthur gli imponevano di aspettare con il gigante fino all’arrivo di Antonio e del presidio che si era infiltrato all’interno: il capitano preferiva smistare i suoi gruppi di azione in modo che, se fosse stata tesa loro un imboscata, sarebbe stata catturata solo una delle squadre, non l’intero battaglione.

Dovevano presidiare l’uscita per evitare che i loro compagni all’interno trovassero la strada sprangata dalle guardie nemiche, o da qualunque altro impedimento.

Thomas passò la lingua sui denti scheggiati, inquieto.

Quel posto non gli piaceva, gli sembrava di essere sotto lo sguardo avido di una gigantesca sanguisuga.

Sperava di tutto cuore che la combriccola della locanda si sbrigasse a portare fuori il loro capitano.

 

***

 

In quel momento che potrò dire io, misero,
chi chiamerò a difendermi,
quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?

La guardia spostò il peso da un piede all’altro, nervosa.

Qualche ora prima, Antonio era stato riportato indietro dalla camera delle torture, aveva rifiutato la sua ultima cena e si era ritirato sul suo pagliericcio senza dire una sola parola.

Sospirò, tamburellando le dita sull’elsa della spada al suo fianco.

Lo avevano liberato dalle manette: era una piccola grazia finale che lui e i suoi colleghi concedevano ai condannati a morte, in modo che potessero passare l’ultima notte della loro vita cullati dall’illusione di essere ancora liberi.

Avevano avuto qualche incertezza sull’elargire la medesima clemenza ad Antonio: era stato un corsaro per lungo tempo, e il mare aveva forgiato il suo corpo e il suo spirito in quell’immensa fucina che era l’oceano. Era stato l’eroe e la nemesi di innumerevoli genti, e le sue abilità tanto vantate in passato lo rendevano un prigioniero particolarmente pericoloso.

Tuttavia sarebbe stata una barbarie rifiutare quel piccolo favore al capitano che aveva portato tanti onori alla loro modesta città; inoltre, il muscolo sfibrato dallo sparo di tanti anni prima lo bloccava ad uno stadio innocuo.

Meditava in questo modo mentre aspettava faticosamente che il suo turno finisse, nonostante fosse appena cominciato.

Il suo amaro ruminare lo distrasse a sufficienza da non prestare troppa attenzione allo sgocciolio in sottofondo. All’inizio la sua mente brontolante lo sorvolò, archiviandolo come un regolare gocciolamento di umidità dal soffitto. Ma il suono era troppo regolare e troppo insistente per essere ignorato, e alla fine la guardia rimuginante si voltò.

I capelli imbiancarono come quelli di un vecchio dinanzi alla scena al di là delle sbarre: un braccio dell’ex-capitano era steso nel vuoto, a poca distanza dal suolo, e un fine corteo di gocce di sangue si gettava dal suo polso sul pavimento. L’uomo giaceva totalmente immobile, probabilmente svenuto per il salasso che si era auto inflitto.

La sentinella frugò velocemente tra le chiavi che portava appese alla cintura fino a trovare quella della cella di Antonio ed entrò, richiudendo le sbarre dietro di sé. Nicolas lo avrebbe ucciso, se il capitano fosse morto prima della sua esecuzione, e il Cielo sapeva quanto potesse essere terribile la vendetta di quell’uomo.

Si chinò a fianco del giaciglio per esaminare i danni. E si accorse troppo tardi di tre punti fondamentali.

Il primo, la lacerazione sul polso non era mortale.

Il secondo, il prigioniero non era affatto privo di sensi.

I vigilanti come lui erano abituati ad entrare nelle celle dei detenuti senza timore, poiché le torture li sfiancavano al punto da non renderli minacciosi per nessuno. Ma quello non era un prigioniero qualunque: era l’uomo che la stessa Dea del Mare aveva deciso di salvare, tanti anni prima. Quello era il terzo punto che aveva sottovalutato.

La mano su cui si era curvato si chiuse a pugno e sfrecciò verso la sua mascella ad una velocità tale che la guardia non capì nemmeno cosa l’avesse colpita: la testa si girò di lato, facendogli perdere l’equilibrio, e la cotta di maglia sferragliò ferocemente abbattendosi contro il pavimento.

Non ebbe nemmeno il tempo di alzarsi o di difendersi: la sua mano aveva quasi raggiunto l’elsa del gladio, ma dovette risalire freneticamente per tentare di allentare la stretta attorno al suo collo.

Le dita della sentinella rasparono all’indietro ciecamente, cercando il viso del prigioniero per graffiarlo agli occhi. L’unica cosa che riuscirono a ferire fu il collo del loro stesso padrone, quando questo si aggrappò alla striscia che gli stringeva il collo in un ultimo spasimo di resistenza.

Antonio attese fino a quando le membra del vigilante non si afflosciarono nell’incoscienza, e solo quando fu sicuro che il suo svenimento non fosse simulato lasciò andare la presa attorno alla sua gola.

Aveva stracciato il lembo finale del lenzuolo lercio che gli avevano propinato approfittando dei pochi secondi di cambio di guardia, e aveva nascosto la sua arma improvvisata all’interno della manica. Con quella aveva strangolato il guardiano fino a fargli perdere i sensi: quel povero diavolo non gli aveva fatto nulla di male, per cui non vi era ragione di ucciderlo. Bastava renderlo inoffensivo il tempo sufficiente per permettergli di scappare.

Aveva scorticato con le unghie la pelle poco sopra il polso fino a farlo sanguinare, e con quello stratagemma aveva attirato la sentinella. Osservò la ferita distrattamente, mentre strappava un secondo brandello di lenzuolo per fasciarla. Si augurò che lo sporco di quel tessuto non lo facesse morire di setticemia, mentre chiudeva la benda con un nodo.

Presso alcuni popoli tribali che lo avevano ospitato durante i suoi viaggi più lunghi, i giovani si aprivano volontariamente delle ferite sul corpo come prova del loro coraggio durante i riti di passaggio per l’età adulta. Dagli sciamani di quei luoghi aveva imparato che le ferite orizzontali sul polso non erano pericolose come quelle verticali: le prime potevano richiudersi, al contrario delle seconde. “Da una piccola porta non può passare tutto lo spirito, ma da una lunga porta sì”, dicevano i saggi dei villaggi.

«Avevano ragione» mugugnò a bassa voce, scendendo sulla guardia per rubarle le chiavi e i vestiti: il farsetto e i calzoni di quell’uomo erano sicuramente meno riconoscibili della sua divisa da eretico, un tempo bianca e ora incrostata per la nostalgia del sapone. Lo spogliò anche della cotta di maglia, pensando che un’armatura, per quanto leggera, si sarebbe rivelata molto utile per raggiungere la nave di Arthur sano e salvo. Infine si appropriò della spada corta e delle chiavi.

Secondo i loro accordi, l’inglese doveva aver scatenato un putiferio degno di una bolgia infernale e a giudicare dai boati provenienti dal piano superiore, aveva svolto egregiamente il suo lavoro.

Sistemò velocemente i capelli più lunghi in modo che coprissero lo squarcio malamente raggrumato sul suo zigomo ed uscì dalla cella.

Ricorda, o pio Gesù,
Che io sono la causa del tuo viaggio;
Non lasciare che quel giorno io sia perduto.

Una sinfonia di ululati lamentosi si levò quando oltrepassò le sbarre: erano gli altri prigionieri, destinati al rogo, al processo o ad ulteriori violenze, che supplicavano perché il capitano liberasse anche loro.

Tu che perdonasti Maria di Magdala
Tu che esaudisti il buon ladrone,
Anche a me hai dato speranza.

Antonio fissò il mazzo di chiavi che reggeva in mano, combattuto. Avrebbe perso troppo tempo se si fosse attardato ad aprire le carceri una ad una, ma non poteva rimanere impassibile di fronte a quella disperazione. Conosceva bene l’angoscia dei condannati alla salvezza feroce dell’Inquisizione. Vi era passato attraverso per ben due volte.

Le mie preghiere non sono degne;
Ma tu, buon Dio, con benignità fa'
Che io non sia arso dal fuoco eterno.

Afferrò l’anello di ferro che teneva unite le chiavi e lo lanciò nella cella più vicina.

«Apri la tua prigione, e poi passale ai tuoi vicini» comandò, mentre il detenuto si avventava sulla sua via di scampo.

Non furono le urla disumane che si levarono dalle sbarre, ognuna per reclamare la propria parte di salvezza, a farlo crollare contro il muro maleodorante: la cicatrice gli trafisse la coscia con un dolore acuto, e l’ex-corsaro dovette appoggiarsi alla pietra umida per non accasciarsi al suolo.

Aveva preteso molto dalla sua gamba, negli ultimi giorni: aveva rinunciato all’aiuto del bastone, aveva sopportato i supplizi dell’Inquisizione e lo aveva sostenuto nello scatto di poco prima, quando aveva aggredito la guardia.

Strinse i denti, augurandosi che i muscoli non lo tradissero proprio in quel momento, e, appoggiandosi alla parete con le mani, si avviò per lo stretto corridoio che lo avrebbe portato all’uscita concordata con Arthur. Lì ci sarebbero stati ad attenderlo un manipolo di uomini che lo avrebbero scortato fino alla nave.

Stava già assaporando la libertà quando un rumore lo colse alle spalle: passi, almeno tre persone, e volgevano nella sua direzione.

Estrasse la spada, pronto a difendersi.

Gli anni di guerriglie navali gli impedirono di lasciar cadere il gladio, nonostante la sorpresa.

In un primo momento non aveva riconosciuto l’uomo biondo, il giovanotto androgino e la ragazzina dai capelli scuri. Poi i suoi occhi si erano assottigliati e avevano strappato i volti a cui era tanto affezionato dalla penombra delle segrete.

Se avessero avuto tempo, Diego gli avrebbe raccontato di quanto avessse insistito con Arthur perché lasciasse partire anche lui: la sua schiena era martoriata, ma aveva ancora delle buone gambe. Gli avrebbe detto che avevano tinto i suoi capelli di giallo grazie ad una mistura particolare che producevano a Roma per camuffarlo, e gli avrebbe chiarito il motivo per cui portava dei guanti tanto spessi.

Se i carcerati non avessero fatto tanto baccano nell’aprire le gabbie, Consuelo gli avrebbe spiegato che si era lasciata travestire volentieri pur di partecipare al salvataggio del loro capitano: aveva bendato strettamente il seno, aveva usato il carboncino per disegnare delle sopracciglia più folte e si era spalmata una strana crema sulle labbra per farle sembrare meno carnose. Si era tagliata i capelli con gioia per fornire il travestimento a Lovino: nascosto da un mantello femminile e con la chioma di Consuelo che sporgeva dal cappuccio, sembrava una signorina troppo timida per guardare gli altri negli occhi. Lo avrebbe tranquillizzato dicendogli che aveva una pistola nascosta sulla schiena, tra le scapole, grazie ad una fondina che avevano modificato sulla nave.

Lovino, al contrario, non aveva alcuna intenzione di sdilinquirsi in spiegazioni: era stato sufficientemente umiliante farsi agghindare in quel modo, con una retina stretta in testa e cosparsa sulla sommità di una resina collosa per tenere appiccicati i capelli di Consuelo, e altrettanto degradante era stato sentire Diego che chiedeva asilo per la sua “nipotina”.

Erano entrati per la porta principale, seguendo la schiera di persone che era scrosciata dentro il palazzo, ed erano faticosamente sgusciati fino ai corridoi più oscuri che conducevano alle segrete. Non voleva ricordare nemmeno quei momenti, passati con il costante timore che qualcuno gli facesse cadere la parrucca o che colpissero la schiena di Diego, custodita da Consuelo.

Aveva solo una cosa da dire, e la disse a voce alta:

«La prossima volta che mi dirai: “Torno subito, aspettami”, non farmi ammuffire nell’attesa, idiota!»

La voce incespicò man mano che procedeva nella frase, e sull’ultima parola diventò quasi un singhiozzo. Mentre parlava, i suoi occhi sfrecciarono veloci sul corpo dell’amante: l’angolatura della gamba, accompagnata dall’espressione contratta dell’ex-capitano, rivelava chiaramente quanto gli stesse dolendo la cicatrice; sul tessuto sporco della pezza attorno al polso svettava nitida e spietata una chiazza rosso scuro, e la grossa crosta sullo zigomo era visibile nonostante gli sforzi dell’uomo per nasconderla con la frangia. Il resto non era scritto sulla sua pelle, ma nei suoi occhi. Erano dilatati dall’adrenalina, sciupati dalla stanchezza ed erosi da un dolore nascosto.

Se non ci fossero stati tutti gli altri intorno, se il tempo per fuggire non fosse stato così poco, si sarebbe lanciato verso di lui per abbracciarlo: gli avrebbe dato una testata, giusto perché non gongolasse troppo, e lo avrebbe insultato mentre Antonio tentava di baciarlo. E dopo avergli rovesciato addosso tutte le porcherie di quei giorni – la rabbia di essere stato impotente di fronte alla sua cattura, l’odio per l’Inquisizione e la paura furente che uccidessero il suo compagno sotto i suoi occhi – forse gli avrebbe fatto capire quanto fosse contento di averlo con sé, vivo.

Ma il tempo fu impietoso, e non concesse loro nemmeno un secondo per apprezzare il ritrovamento dell’amante.

«Dobbiamo andarcene» li incitò Consuelo, indicando la via d’uscita.

Gli uomini annuirono, e procedettero lungo il corridoio, Diego aiutato dalla futura moglie e Antonio sorvegliato da Lovino.

Quel giorno fu pieno di possibilità irrealizzate.

Diego, Consuelo e Lovino avrebbero voluto dire molte cose ad Antonio, ma non ne ebbero tempo.

L’italiano avrebbe voluto gettarsi contro il petto dello spagnolo e lasciare che le sue braccia lo stringessero, comunicando quello che le parole non riuscivano ad esprimere.

La libertà sarebbe stata ottenuta percorrendo un altro paio di corridoi.

Ma furono bloccati da una voce melliflua e da uno stuolo di armigeri.

Dalle uscite laterali che costituivano l’intricato dedalo delle segrete scintillarono delle lame, che si unirono formando un cerchio di guardie intorno a loro.

Antonio contò velocemente, rafforzando la presa sull’elsa. Dieci sentinelle a spada sguainata. Troppe per loro.

Consuelo gli si avvicinò con un passo e bisbigliò a voce bassa:

«Toccami la schiena.»

Antonio eseguì, immerso in una perplessità viscosa: doveva esserci un modo per uscire da quella situazione, ma la sua testa era sfuggente come una medusa, e non gli permetteva di analizzare correttamente le sue idee.

Avvertì la forma di una pistola sotto la camicia e la mantella che la donna indossava, e sibilò, riferendosi ai colpi in carica:

«Quanti?»

«Due.»

Antonio digrignò i denti, contrariato. Se anche gli spari della donna fossero andati a segno, avrebbero avuto altre otto sentinelle di cui occuparsi.

«Il cuoco ci aspetta fuori» aggiunse lei, calcandosi il cappello sul viso perché non vedessero che era una donna.

Il locandiere annuì distratto.

Erano in minoranza numerica, Consuelo aveva solo due colpi disponibili, Diego non poteva nemmeno afferrare una spada o premere un grilletto con le sue dita fratturate, e non sapeva se Lovino fosse armato.

«Cerca di estrarre la pistola senza farti notare» sussurrò Antonio. «E spara quando te lo dico io.»

La donna annuì brevemente con il capo, e fece un veloce cenno a Diego affinché le coprisse le spalle.

«Non credevo che avresti tentato davvero la fuga.»

Dovette frenare il braccio armato di spada, pronto a schizzare in avanti come una serpe in risposta alla voce artefice di tutte le loro disgrazie.

Le guardie si aprirono come il biblico Mar Rosso, facendo da sipario all’Inquisitore.

Nicolas assaporò le emozioni che inquinavano i volti dei presenti, e non trattenne un ghigno derisorio per la loro messinscena sciagurata. Compianse la donna, irrise il cameriere e si soffermò sul pescatore.

«Sostieni ancora l’innocenza di questo demonio italiano?» pesò una parola per volta nel proferire la sua accusa, appoggiandole come massi sulle schiene dei suoi ascoltatori. «Si è intrufolato nelle segrete dell’Inquisizione, spaventando la gente di questo villaggio con i suoi servitori infernali.»

Antonio contrasse le dita sull’elsa, e quel movimento non sfuggì alla vista da falco del cacciatore.

«Getta quella spada. E allontanala con un calcio» comandò imperioso.

Il respiro uscì dalla bocca dell’ex-corsaro in uno sbuffo di ribellione, come quello dei tori durante la corrida, ma uno sguardo fu sufficiente a placare il suo ardimento: le guardie erano troppe, e troppo vicine; il mantello di Lovino riusciva a riflettersi sulle lame lucidate.

Appoggiò la spada a terra e la spinse verso l’Inquisitore con un colpo del piede.

Nicolas osservò il ferro che scivolava verso di lui con astio.

Perfino quello.

Antonio aveva gettato la sua ultima difesa solo perché le spade delle sentinelle erano troppo vicine al suo prezioso italiano.

Qual era l’elemento di quel ragazzo che lo aveva ammaliato a quel modo? Non poteva essere il suo corpo acerbo scartavetrato dalla salsedine, o il suo carattere da diavolo. Era forse colpa di quegli occhi dove si agitavano i tizzoni di Lucifero?

Congelò l’anima perché il giovane non potesse cogliere il suo turbamento, quando le iridi ramate si alzarono su di lui. Era certamente colpa di quegli occhi malevoli: istigavano all’empietà con un solo sguardo.

Lovino mantenne un’aria di sfida e mosse un passo nella sua direzione.

Le guardie alzarono istantaneamente le armi, ma Nicolas fece loro cenno di attendere.

Antonio aveva deriso l’Inquisizione e tutte le sue sacrosante credenze quando, durante le torture, aveva inalberato la sua fierezza ferina per distruggerli.

Forse sarebbe riuscito a sbriciolare quella maschera di superbia se avesse ordinato alle guardie di sgozzare l’italiano davanti ai suoi occhi. O se l’avesse fatto lui stesso, con il pugnale che portava nascosto nello stivale.

Studiò la gola dell’italiano, vedendovi già un lungo spacco cremisi a dividere in due la sua pelle brunita dal sole.

La sua macabra fantasia fu interrotta dal breve discorso del pescatore.

«Forse i capelli lunghi vi hanno tratto in inganno, e vi siete dimenticato una cosa.»

Nicolas sentì le unghie dei satanassi graffiargli il cuore quando quelle iridi si accesero di un rancore selvaggio e totale. Quello era lo sguardo che Lucifero aveva lanciato a Gabriele quando era stato scagliato nelle viscere della Terra.

Giorno di lacrime, quello,
Quando risorgerà dalla cenere
Il peccatore per essere giudicato.

«Io non sono una donzella indifesa.»

Perdonalo, o Dio.

 

***

 

Thomas schizzò in aria con un salto quando la deflagrazione di uno sparo fece tremare l’aria.

«Cosa è stato?» barbugliò, il cuore in fibrillazione per lo spavento.

Il cuoco non pose domande inutili: piegò il capo come un ariete e corse veloce nel punto da cui era provenuto lo scoppio.

Qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbe perso le chiavi del regno del mare.

Non per la seconda volta.

Pio Signore Gesù,
Dona a loro la pace.

Amen.

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Capitolo 10
*** Nunc Dimittis ***


Nunc Dimittis

 

L’umidità della notte offuscò il lume, che fluttuò spettrale sul ponte di prua.

Il chiarore della lampada spalmò un colorito cereo sulla pelle del suo interlocutore, impallidito per gli avvenimenti della serata.

Arthur lanciò un’occhiata alla sagoma crudele degli scogli dietro di loro, punteggiata dalla spuma delle onde turbolente. Non era un fervido fedele, anzi, provava quasi compassione per quelle persone che non sapevano respirare senza una manciata di salmi in bocca; tuttavia, provò un forte desiderio di credere in un’entità superiore per potervi così rivolgere una preghiera.

Fece ondeggiare il lume, spostando lo sguardo acquamarina sulla persona di fianco a lui.

«Raccontami cosa è successo» esigette.

Le labbra del suo interlocutore si incresparono per un attimo, prima di schiudersi nel racconto.

 

***

 

Antonio aveva sentito il cuore fermarsi quando Lovino si era avvicinato a Nicolas e alle spade sguainate contro di lui: ogni passo gli aveva fatto perdere un battito e un anno di vita.

Poi Lovino aveva parlato.

«Forse i capelli lunghi vi hanno tratto in inganno, e vi siete dimenticato una cosa. Io non sono una donzella indifesa.»

Poi, il mondo impazzì. Si trovò catapultato in una baraonda simile agli arrembaggi più incontrollati dei suoi primi periodi in mare: non c’era tempo per pensare, non c’era tempo per respirare. Bisognava seguire il ritmo asfittico di un ballo con la morte, in cui ogni passo poteva essere l’ultimo.

L’Inquisitore urlò quando il pugnale dell’italiano, veloce come una serpe, si conficcò nel suo fianco. La ferita vomitò un getto copioso di sangue sulla mano guantata che era accorsa a premere i lembi della lesione, cercando inutilmente di sigillarli.

Le dita e i nerbi di Lovino vacillarono nel sentire le vene squarciarsi contro la lama del pugnale e l’odore dolciastro del sangue fare irruzione nelle sue narici; la facilità con cui lo stiletto aveva aperto le carni del cacciatore era quasi sconvolgente, e divenne improvvisamente consapevole delle gocce di sangue che scivolavano sul suo viso come vermi cremisi. Uno scatto nervoso involontario gli serrò la mascella e gli occluse lo stomaco, scatenando un’improvvisa urgenza di vomitare.

Le guardie sollevarono le spade, pronte ad affondarle nel fisico esile del giovane.

La gamba di Antonio decise di elargirgli un’ultima grazia, assistendolo nello scatto per recuperare la propria spada. Troppo concentrate sul ragazzo italiano, le sentinelle non colsero immediatamente il guizzo dell’ex-capitano: tutto il corpo del locandiere si allungò in avanti, finché le dita protese non sfiorarono l’elsa della spada.

Consuelo approfittò della confusione per estrarre la pistola sulla schiena: la sua fu una mossa dettata meramente dall’istinto di sopravvivenza, ma si incastrò egregiamente nell’improvvisato piano d’azione. La paura le inondò i palmi di sudore, ma la disperazione rafforzò la sua presa come mai prima di allora. La donna puntò la pistola verso i vigilanti più distanti da Lovino e Antonio, per paura di coinvolgere anche loro nel suo primo sparo.

Il tuono del colpo si propagò con una violenza tirannica, frantumando lo spazio circostante, e Consuelo dovette lottare per reggersi in piedi a causa del rinculo dell’arma. Non vi fu silenzio, dopo lo sparo: una guardia urlò come un’ossessa, fissando l’osso che sporgeva dalla sua spalla esplosa, macabro e sanguinolento. La durezza di quello spettacolo orrendo distolse la concentrazione delle guardie, e Antonio sfruttò quell’istante: facendo forza sulla schiena, poiché la gamba aveva ormai esaurito tutte le energie residue, ruotò su se stesso tenendo il gladio con le braccia stese. Un anello di sangue si aprì nell’aria, formato dai fiotti delle ferite aperte sull’addome delle sentinelle: tre di loro caddero a terra, lasciando andare le armi per portare le mani sulle ferite sanguinanti.

Nella calca, nessuno notò un guanto scivolare a terra. La sentinella di fianco a Diego avrebbe avuto una vita molto più lunga, se avesse prestato attenzione a quel piccolo dettaglio. Ma non vi badò e un’arma sconosciuta, saldata alle dita macilente dell’uomo, affondò nel suo collo. Il vigilante non seppe mai che quella puntura fu causata da una serie di piccoli aghi, aggrappati alle dita del cameriere mediante un’anima di stecche e anelli di metallo, che tenevano stese le ossa frantumate. Non seppe nemmeno che il veleno di cui erano intrise era curaro, lo stesso intruglio in cui alcuni popoli dell’America Latina intingevano le loro frecce mortali. L’unica cosa di cui fu consapevole fu la sensazione che le vene del suo corpo stessero inspiegabilmente lievitando, bloccando il passaggio dell’ossigeno con la loro mole; i polmoni parvero seccarsi e sfaldarsi come fogli di pergamena vecchia. Conficcò le dita nel polso del suo collega, fino ad escoriargli la pelle, tentando inutilmente di articolare una richiesta di aiuto con la sua gola troppo gonfia; trascorsero solo alcuni secondi prima che l’uomo si accasciasse al suolo, gli occhi sbarrati e le dita congelate in una strenua lotta per la vita. I suoi due colleghi non ebbero tempo di inorridire per quella morte, talmente improvvisa e insensata da apparire una punizione divina, che la fatale puntura si infisse anche sui loro colli: il pavimento sopportò i loro arti scalpitanti nella lotta per la sopravvivenza, feroce quanto inutile, e ospitò le loro membra immobili, abbandonate nel freddo sonno della morte.

Il palmo di Antonio si poggiò pesantemente sul pavimento, con l’ingrato compito di sorreggere il busto mentre la battaglia infuriava: incapace di rialzarsi in piedi, l’ex-corsaro fu costretto a combattere con una gamba inerte stesa a lato e l’altra ripiegata come per spiccare un balzo.

Lovino era stato istruito da Arthur, ma comprendere la teoria ed eccellere nella pratica erano concetti distanziati da un oceano; strinse le dita attorno al pugnale per sferrare un secondo colpo, ma lo sparo inaspettato e le grida delle guardie colpite lo fecero tentennare un secondo di troppo. Accecato dal dolore ed aizzato dall’acre sapore della sconfitta, Nicolas aveva mosso la sua ultima pedina: lo stiletto era emerso dal suo stivale, e si era diretto con precisione alla coscia del giovane.

La spada di Antonio affondò con particolare impeto nelle viscere della guardia di fronte a lui quando udì il rantolo di dolore del compagno. Il gladio saettò forsennato per aprirsi un varco tra i vigilanti, la lama che riemergeva più rossa e bagnata ad ogni colpo.

Consuelo tenne la pistola dritta davanti a sé, pronta a premere il grilletto in qualunque momento, ed i suoi occhi in fibrillazione colsero anche il più truculento dettaglio dello spettacolo innanzi a lei. Le sentinelle giacevano a terra, chi ancora gemente nell’agonia e chi paralizzato dalla morte, chi con la faccia immersa nella pozza del proprio sangue e chi con il viso orribilmente sfigurato dal veleno. Il puzzo ferrigno e malsano della morte era così acuto in quella stanza da non essere più immateriale; era percepibile come un liquido viscoso che scendeva lungo l’esofago e si depositava disgustoso sullo stomaco, provocando lancinanti conati di vomito. Ma ciò che calamitava il suo sguardo era il gruppo di fronte a sé: Antonio, circondato dalla truce corolla delle sentinelle uccise, che cercava inutilmente di rialzarsi in piedi per raggiungere il suo amante; Lovino, che si appoggiava al muro con il palmo libero dal pugnale, l’equilibrio irrimediabilmente compromesso dal taglio poco sopra il ginocchio; infine Nicolas, una mano premuta sulla ferita al fianco e l’altra stretta attorno ad uno stiletto, entrambe intrise di sangue.

«Finirai all’Inferno, pagano blasfemo» sibilò Nicolas. Il pugnale rintoccò argentino contro il suolo quando le dita dell’Inquisitore persero la forza necessaria a sostenerlo. Le palpebre dell’uomo si chiusero più volte, mentre le labbra si affaticavano a comporre quella che sarebbe stata la loro ultima frase. Nicolas non si illuse a riguardo; aveva visto mille volte il terribile angelo della morte troncare con un solo colpo di falce una vita umana: sapeva che quella lama ricurva si stava avvicinando sempre di più a lui, la avvertiva con maggiore chiarezza ad ogni goccia di sangue che la sua ferita sputava, sempre più sottili e sporadiche. Quel demonio italiano non aveva mai toccato un pugnale in vita sua, ma era stato tremendamente accurato nel colpirlo a morte: aveva l’assassinio nel sangue e chissà quali altri peccati, come tutti gli abietti diavoli della sua razza perversa.

«Il Quinto Comandamento recita: “Non uccidere”» esalò. «Ed è un peccato mortale contravvenire alle Tavole.»

«E i vostri roghi?» ringhiò Lovino, inalberando il capo; la parrucca scivolò al suolo, lasciando scoperta la sua malvagia chioma rossiccia. «Quante volte avete offeso il Comandamento, con quelli? State pur certo che, se esiste un Inferno, finirete in un girone molto più basso del mio.»

Il mondo diventò troppo buio, troppo indistinto, e le forze troppo scarse per rispondere. “Lo spirito è forte, ma la carne è debole”, stava scritto; sperava che, in virtù delle parole del Figlio, il Padre lo avrebbe perdonato se non fosse riuscito a salmodiare la sua ultima preghiera.

Un’improvvisa ondata di freddo lo avvolse, facendolo tremare da capo a piedi. Era il gelo della ghiacciaia del Cocito, quello che avvertiva? No, il diavolo orfano non poteva aver ragione su quel punto: la sua santa missione gli era stata affidata da Dio. Era solo un umile servo dell’Altissimo, del tutto indegno di sedere ai piedi del Suo trono, ma confidava che, nella Sua infinita bontà, Egli avrebbe riservato un piccolo spazio per il Suo indegno servitore.

Lo sguardo annebbiato deragliò su Antonio: non riuscì a distinguere la sua espressione a causa della fitta caligine che gli stava adombrando la vista, ma comprese comunque. Quello che aveva avvertito non era il gelo del ghiaccio, ma la sferzata artica del vento che infuriava nel girone della Lussuria: non sarebbe finito all’Inferno per la sua opera di pulizia, come profetizzato dall’eretico pescatore, ma a causa dei suoi vecchi sentimenti impuri, che non era riuscito ad estirpare nemmeno con un’esistenza votata alla rettitudine.

Sentì le pietre del pavimento battere contro le sue costole, ma le percepì come filtrate attraverso un corpo non suo. Ed era così: la sua anima stava lentamente abbandonando il suo involucro di carne, per dirigersi nel luogo del giudizio.

Stese un braccio, puntando un dito malfermo contro l’ex-capitano. Avrebbe voluto dirgli che era colpa sua se sarebbe stato dannato, perché non gli aveva permesso di purificarlo, tanti anni prima. Pur nella nebbia dell’agonia, avvertì il peso dell’anello al suo dito. Se era davvero solo colpa del capitano, perché non era mai riuscito a disfarsi di quell’inutile monile? Lo aveva conservato come ricordo della sua passata debolezza, ma la sua memoria era forte abbastanza da non dimenticarsene anche senza l’ausilio di quell’orpello. Lo aveva tenuto perché era l’unico ricordo del suo amico, della sola persona che avesse fatto vacillare la sua ineffabile vocazione.

La mano si abbatté al suolo, e il cerchio d’oro tintinnò contro la dura pietra.

Non lo aveva mai toccato, e si era maledetto ogni giorno per quei sentimenti indecenti, si era punito con il cilicio e con il digiuno. Pregò che il Signore fosse indulgente con il Suo servo peccatore, e che gli permettesse di scontare le sue colpe nella pace del Purgatorio.

«Oh Signore» l’ultimo, sottilissimo filo di voce volò instabile dalle sue labbra. «Perché hai fatto l’uomo così debole, di fronte al diavolo…»

Il fiato si condensò contro le pietre. Poi l’alone svanì. E non se ne formò un altro.

«È… morto?» balbettò Consuelo, che ancora non osava calare la pistola.

Antonio annuì, deglutendo nell’ugola inaridita.

«Dobbiamo andarcene, prima che arrivino altre guardie» li sollecitò con la voce scricchiolante.

Diego si mosse per aiutare Antonio a camminare, ma una voce stentorea lo bloccò.

«Hai la schiena cucita e le mani frantumate. Non esagerare con il fare l’eroe.»

L’enorme figura del cuoco occupava tutto il corridoio, e Consuelo quasi pianse per la gioia di vederlo lì in quel momento.

«Aiuta il ragazzo» le impartì l’energumeno, che, senza alcuna esitazione, aveva rialzato Antonio da terra e lo stava aiutando a camminare. In realtà, il cuoco lo stava portando in giro come un cesto di verdura, poiché i piedi dell’ex-capitano a malapena sfioravano il suolo.

Lovino rimase addossato al muro mentre la donna si inginocchiava per fasciargli la ferita con un lembo di tessuto, strappato dalla camicia troppo larga, per poi rialzarsi e offrirgli le spalle come appoggio. Il pescatore soffocò tra i denti digrignati una sonora imprecazione per il dolore al muscolo ferito, e si addossò a Consuelo per procedere.

Diego avanzava in mezzo ai due gruppi, zoppicante, aiutato a tratti dalla futura moglie e a tratti dal collega gigantesco.

La bestemmia ruvida di Thomas li accolse all’uscita di quel luogo infernale, e lo scalcagnato lupo di mare si affrettò ad aiutare il traballante Diego.

«Siete riuscito ad uscire!» sputacchiò il bucaniere, infervorato. «Per le balle di Nettuno, siete davvero il capitano leggendario!»

«È merito della mia ciurma» il sorriso si trascinò a fatica sulle labbra esauste di Antonio, e gli costò uno scrollone imbarazzato da parte del cuoco.

«Non essere modesto, capitano» ruggì quello, trasportandolo a viva forza.

La relativa tranquillità finì con la velocità di una fucilata: dalle guglie alle loro spalle, uno stuolo di guardie, accorse allo sparo di Consuelo e trovato l’Inquisitore privo di vita, cercava di purificare quel luogo dissacrato mediante la polvere da sparo. Tre colpi esplosero nella loro direzione, prima che le sentinelle si fermassero per ricaricare.

Antonio si sentì avvolgere da qualcosa di nerboruto, e la stessa sensazione fu avvertita dal resto del personale della locanda. Quando l’eco degli scoppi si allontanò nel cielo, si accorsero di essere schiacciati contro il petto mastodontico del cuoco, il cui viso era contorto in una smorfia sofferente. Ma non fu loro concessa nemmeno una domanda.

«Sbrighiamoci prima che ricarichino!» mugghiò l’uomo, sollevando di nuovo il capitano come se fosse senza peso. Consuelo si affrettò dietro di lui, e lo stesso fece Thomas.

Nella loro precipitosa corsa per guadagnare la spiaggia, Antonio fu l’unico ad avere un’idea precisa del progressivo aggravarsi delle condizioni del cuoco. Il punto rosso che gli aveva solleticato il palmo si espanse mentre percorrevano il primo vicoletto, fino a coprirgli tutta la mano. Il buio notturno in cui era sprofondata la città aveva ammantato anche le ferite del gigante, ma Antonio riuscì comunque a percepite la chiazza arrivare a sporcargli il polso.

Le guardie spararono una seconda raffica di colpi, prima che il gruppo riuscisse a sparire nel dedalo delle stradine laterali, e anche quella scarica fu schermata dal cuoco.

Lovino arrancava e incespicava, e, ad ogni passo, aveva la sensazione che un ferro arroventato gli martoriasse la ferita aperta. Si morse l’interno delle guance con forza, deciso a non lamentarsi: quello stupido di Antonio aveva sopportato quel patimento per anni interi, lui avrebbe potuto resistere per qualche ora.

I segni dello scompiglio portato da Arthur e dai suoi uomini erano ancora visibili nelle ceste rovesciate, negli oggetti sparsi per tutta la piazza e nei lumi irrequieti che si muovevano dietro le finestre della cattedrale e del Palazzo di Giustizia. Nonostante le ombre che sfumavano ogni cosa, era possibile respirare ancora il panico di quel pomeriggio.

Tutti loro accelerarono il passo quando le campane della chiesa e del Palazzo suonarono in sincrono: il corpo dell’Inquisitore era stato trovato, e quello era il modo per allertare le sentinelle alle porte della città.

Percorsero le stradine meno conosciute, evitando ogni possibile vicolo sorvegliato, tutti ammutoliti nel raccoglimento della fuga.

Thomas non si lasciò sfuggire l’occasione di inveire coloritamente contro il cielo quando il profumo e il rumore del mare furono distinguibili in quella notte di sangue e lotte, ed imprecò ulteriormente quando fu loro visibile il regno della Dea. Una piccola scialuppa li attendeva, attraccata al molo, e i due marinai su di essa si sbracciarono nella loro direzione non appena li videro sbucare dall’ultimo calle.

Raggiunsero la barca, e Thomas fu il primo a saltarvi dentro, aiutando poi gli altri a caricare i feriti. Lovino ringhiò nella sua direzione, quando il bucaniere tese le mani verso di lui, e salì con le sue sole forze. Consuelo lo seguì, ed assistette Diego ed Antonio durante la salita. Il cuoco si abbatté sulla scialuppa, e rischiò quasi di rovesciare la barca con il suo peso massiccio.

La donna si portò le mani alla bocca, ed il futuro marito le appoggiò le mani sulle spalle per calmarla. Gli occhi del pescatore si dilatarono per la sorpresa, e il locandiere si accostò all’uomo smisurato. Solo i due marinai furono abbastanza indifferenti da correre a sciogliere le cime e cominciare ad affondare i remi nell’acqua.

Antonio sentì un nodo amaro stringergli la gola. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva assistito un suo sottoposto durante gli ultimi attimi di vita, che i brividi di sconforto e tristezza tipici di quei frangenti lo avevano colto quasi senza difese, ma sollevò presto il fermo contegno che aveva imparato ad usare tanto tempo prima per non agitare ulteriormente chi stava per attraversare le porte dell’Oceano Infinito.

«Ci hai fatto da scudo» mormorò, composto. Gli occhi del cuoco si diressero verso di lui, affaticati e soddisfatti. Giaceva prono sul fondo della barca, scoprendo le inequivocabili macchie vermiglie, che si allargavano a partire da un piccolo punto più scuro laddove il proiettile era infitto.

«Sapevo che questa sarebbe stata la mia ultima battaglia, capitano» sospirò l’energumeno. Lo aveva deciso nel momento in cui erano stati scelti come squadra di recupero: si sarebbe sacrificato per i suoi compagni, se le cose fossero andate male. Diego aveva Consuelo, Antonio doveva ricongiungersi con il suo Lovino: tutti loro potevano ancora vedere quanto fosse meraviglioso il reame del mare. Lui no. Aveva perso la chiave, ormai.

«Ho solo un favore da chiedervi» mormorò contro il fondo legnoso. Antonio annuì, serio, ed il cuoco terminò: «Abbandonatemi sugli scogli, per favore. Voglio morire là.»

«A bordo ci sono dei medici. Potrebbero…»

«No, Consuelo» la interruppe con rude dolcezza l’energumeno. «Queste ferite vanno oltre la medicina.»

«Perché l’hai fatto?»

Il tono tremulo del pescatore fece rialzare lo sguardo opaco dell’omone. Gli occhi del cuoco si strizzarono, cercando di mettere a fuoco quello che poteva essere l’ultimo scherzo della sua mente stanca.

«Stai… piangendo per me?» domandò, incerto delle sue percezioni.

Vide il braccio sfocato di Lovino correre sotto il cappuccio e fregare la manica contro gli occhi e, da quel gesto irascibile, il cuoco comprese. Probabilmente era un pianto dovuto alla pressione di quel periodo, all’adrenalina degli ultimi due giorni e alla stanchezza per la fuga, ma non importava: almeno una lacrima era per lui, ed era sufficiente. Era convinto che nessuno avrebbe mai pianto per la sua sorte, che sua figlia fosse l’unica capace di emozionarsi per quel colosso che faceva paura a tutti.

Lovino non si allontanò quando una mano grande quanto una vanga si appoggiò sulla sua guancia per sentire se fosse effettivamente bagnata: le lacrime si schiacciarono contro quel palmo spropositato, ancora tiepide.

Il cuoco serrò la mano, e le gocce salate si spansero nelle pieghe del palmo. Qualcuno aveva pianto per lui: quelle lacrime erano la sua chiave.

«Grazie, Lovino» sussurrò il cuoco, fissandolo quasi con devozione. Il pescatore non gli fece notare che non aveva risposto alla sua domanda, e nascose il viso nell’ombra del cappuccio.

«Gli scogli…» uno dei due marinai si intromise con garbo nei loro discorsi. «Li stiamo raggiungendo. Dobbiamo…»

«Sì» ordinò pacato Antonio, senza staccare gli occhi da quel gigante che l’aveva seguito così a lungo. Conosceva due cose di quell’uomo: non era pentito del suo crimine, e tutto ciò che desiderava era un luogo al riparo dalla denigrazione degli altri. Per questo era scappato in mare, e per questo stesso motivo gli era rimasto fedele tanto a lungo: Antonio sapeva quali fossero le conseguenze dei giudizi totalitari, e per questo lasciava gli altri liberi di vivere nel bene e nel male, limitandosi a regolarla se andava contro i suoi interessi.

Aveva combattuto bene contro la vita e le sue asperità: che trovasse la pace che anelava nel luogo in cui desiderava giacere.

La scialuppa si accostò allo scoglio, e Antonio aiutò l’omone a rialzarsi in piedi. Anche Consuelo si accostò per soccorrerlo, le guance inondate da un fiume di lacrime.

Il cuoco la guardò, quasi perplesso.

«Anche tu piangi per me?»

«Non è ovvio?» protestò Diego, la voce strozzata dalla tristezza.

Il colosso li guardò tutti, uno per uno, con i suoi occhi ottenebrati. Ognuno di loro aveva sprecato almeno una lacrima per lui. Il capitano non aveva pianto, ma lo stava aiutando a scendere come avrebbe fatto con un caro amico.

Avendo sempre tenuto lo sguardo rivolto al reame del mare, non si era reso conto del piccolo regno affettuoso che si era stretto intorno a lui. Era triste accorgersi di una simile fortuna solo pochi minuti prima di perderla definitivamente.

Consuelo gli si avvicinò, e gli mise a forza un ninnolo tra le mani, rovesciandogli un torrente di lacrime sul palmo. Il cuoco dischiuse appena le dita, ed intravide la croce di acquamarina che la donna portava sempre con sé. Stava per rifiutare, ma lo sguardo della cameriera lo fece desistere sul nascere: non avrebbe accettato proteste di alcun tipo. Consuelo era una donna dolce, ma sapeva essere estremamente testarda.  In fondo, lei non aveva più bisogno di una pietra per garantire la propria felicità. Aveva Diego, e lui si sarebbe battuto per amor suo mille volte meglio di un semplice sasso. Lui, invece, necessitava un oggetto che gli ricordasse i suoi compagni e il loro affetto imperituro, durante le sue lunghe peregrinazioni nell’aldilà. L’omone accettò il dono, portandolo alle labbra per baciarlo.

La schiena bruciava e le forze lo abbandonavano; dovette appoggiarsi allo scoglio frastagliato per rimanere in piedi mentre si accomiatava:

«Grazie.»

Loro non avrebbero capito il motivo di quel ringraziamento, né quanto fosse profondo, ma non aveva importanza. Avrebbe portato con sé quel sentimento oltre la tomba, dove nessun uomo, nessun pregiudizio avrebbe potuto guastarlo. Si issò sugli scogli, sentendo Consuelo singhiozzare, Diego trattenere le lacrime e Lovino nasconderle, mentre il capitano si limitava a fissarlo immobile, come il cielo osserva il suo riflesso nel mare.

L’omone si adagiò su una conca naturale tra due creste di roccia, il mare che gli lambiva le gambe e la schiena insanguinata poggiata su un tappeto di alghe. Fece un cenno ai due marinai, e quelli ripartirono veloci per raggiungere il vascello maggiore, che galleggiava sulle acque più profonde.

Schioccò le labbra per godersi l’odore pungente della salsedine e delle alghe, e strinse le dita attorno alla croce di acquamarina, conficcandosi le braccia del monile nel palmo. Erano le sue ultime sensazioni in quel mondo, e voleva assaporarle fino alla fine.

«Arrivo a bussare alla porta del reame del mare» cantilenò, senza fiato. «C’è qualcuno ad aprirmi?»

Gli parve di sentire una risata argentina, appena sotto il pelo dell’acqua.

Al velo dell’agonia si sovrappose quello delle lacrime quando vide il volto dell’amata figlia sorridergli in mezzo ai flutti.

«Ti ho aspettato per tutto questo tempo, papà» lo salutò lei. «Ho tenuto la porta del reame aperta per te.»

La vide inclinare il capo in quel modo così grazioso, che la faceva assomigliare ad un gattino desideroso di coccole.

«Che storia mi racconterai questa sera, papà?»

Il respiro dell’omone uscì dalla sua bocca in rantoli strozzati, ostacolato dalla morte sempre più vicina e dall’emozione travolgente di aver ritrovato la figlia tanto amata. Riuscì a stabilizzarlo a sufficienza per rispondere:

«È una storia di avventura, tesoro. Parla di un capitano coraggioso e del suo innamorato. E della sua ciurma. E del suo amico inglese. E di come abbiano lottato contro uno spettro potentissimo.»

«Sembra interessante» gioì lei, sotto le onde.

Un accesso di tosse gli sconquassò il petto, e uno spruzzo di sangue colorò l’aria. L’entrata del reame era sempre più vicina…

«Per me, lui sarà sempre il miglior capitano… e loro la migliore ciurma.»

La mano del cuoco ricadde inerte sullo scoglio, e il monile di Consuelo affondò nel mare, rilasciato dalle dita socchiuse.

«Eccomi, tesoro. Sto venendo a raccontarti la loro storia…»

Il corpo dell’uomo sprofondò nelle onde, placido, quasi cullato dalla fredda corrente notturna.

Il reame del mare gli aveva aperto di nuovo le porte. E tutto era bello, lì.

 

***

 

«Così sono andate le cose.»

Arthur appoggiò il lume sul parapetto, meditabondo.

I suoi uomini erano corsi a cambiarsi non appena messo piede sulla nave: si erano ripuliti la tintura dal viso e avevano lanciato le cappe scure per riappropriarsi dei propri abiti, dopodiché avevano ripreso la vita di navigazione come se nulla fosse mai accaduto. Il mare non si limitava ad erodere spiagge e scogli: per vivere secondo le sue regole mutevoli, un uomo doveva adattare il suo cuore ai dettami delle maree, e permettere alle onde di ripulire il suo animo. Non vi era tempo per i compianti, perché l’oceano non permetteva a nessuno di essere più importante di lui, nemmeno ad un compagno caduto.

Antonio era stato il primo ad essere visitato dal medico di bordo, ed era stato sorprendentemente veloce: la cicatrice avrebbe continuato a fargli male per qualche giorno ancora, finché non si fosse totalmente assuefatto al dolore. Il dottore aveva poi controllato Diego, rimproverandolo per aver fatto saltare alcuni punti. Dopo averli ricuciti, si era occupato di Lovino, che si trovava ancora sotto l’occhio clinico del dottore.

Arthur appuntò lo sguardo sulla tomba del cuoco: gli scogli lo fissarono con i loro occhi di roccia, facendo spumeggiare le onde tutto intorno come una maestosa corona biancastra.

«Nicolas… non ti ha detto nulla?»

«Non ha avuto modo. Abbiamo combattuto, quando ci siamo incontrati.»

I due uomini restarono in silenzio qualche secondo, solo il rumore del mare tra di loro.

«Credo che sia stata la conclusione più giusta. Anche se avessimo parlato, non saremmo comunque riusciti a comunicare. È meglio che sia finita in silenzio» sentenziò Antonio.

«Ne sei certo?»

«Sì. Ne sono certo.»

Antonio si girò, in modo da appoggiare i gomiti al parapetto e dare la schiena all’oceano.

«Grazie per il tuo aiuto. Non ce l’avremmo mai fatta, senza di te.»

Arthur si strinse nelle spalle, girando la pipa tra le dita con noncuranza.

«Avevo un debito da estinguere. E credo di esserci riuscito, finalmente.»

I due capitani si fissarono, memori del medesimo episodio ed entrambi soddisfatti della conclusione degli eventi.

«È un onore averti a bordo» annunciò Arthur, battendogli una pacca sulla spalla. «Navigatore» gli ricordò, giusto perché Antonio non dimenticasse che su quel veliero avrebbe dovuto obbedire e non essere obbedito.

L’ex-corsaro sorrise per l’acida amicizia dimostrata dal capitano inglese, e non lo trattenne quando questo si avviò verso la propria cabina. Avevano tutti bisogno di riposare: c’erano rotte commerciali da stabilire, scambi da trattare, merci da sistemare. E, soprattutto, un periodo infernale da dimenticare.

La tasca venne alleggerita del suo piccolo tesoro. Gli anni passati come mozzo sulle navi e ladruncolo nei mercati avevano rivelato di nuovo la loro utilità: era riuscito a sfilare l’anello dal dito dell’Inquisitore senza che nessuno se ne accorgesse.

Scrutò il topazio, immerso nei suoi pensieri.

Aveva capito cosa intendesse Nicolas, quando aveva proteso la mano verso di lui. Era colpa sua, solo sua se l’Inquisitore sarebbe finito all’Inferno, non delle barbarie perpetrate dal cacciatore.

Il locandiere poggiò l’anello sul palmo. Si chiese in quale punto della sua vita, esattamente, avesse perso per sempre il suo amico. Era stato l’episodio del fienile? Se non lo avesse mai invitato a saltare, quel giorno, nulla di tutto ciò sarebbe mai accaduto?

Sospirò, chiudendo il gioiello nello scrigno delle sue mani. Aveva capito il motivo dell’ultimo gesto dell’Inquisitore, così come aveva intuito la vera ragione del suo odio. Aveva compreso, ma non aveva avuto pietà: per la cecità di quell’uomo di fronte ai suoi stessi sentimenti aveva perso i suoi genitori, e aveva rischiato di perdere anche Lovino. Se si fosse dimostrato pentito, o se avesse avuto il coraggio si ammettere che anche lui era un peccatore come tutti loro, forse si sarebbe mostrato più clemente nei suoi confronti, e gli avrebbe rivolto una parola di conforto al momento del suo ultimo respiro. Ma così non era stato, perciò aveva permesso che la sua morte trascorresse come l’Inquisitore aveva deciso di passare la sua vita: solo, arroccato nella torre costruita da lui stesso con le sue folli convinzioni, che certamente non avrebbero riscosso l’approvazione di nessun dio.

Riaprì le mani, e il topazio catturò la luce di una stella.

Aveva odiato l’Inquisitore, e aveva permesso che morisse senza alcuna assistenza. Ma per Nicolas, per il suo amico con cui da bambini avevano condiviso i racconti dei viaggi dei suoi genitori, per il ragazzo il cui sorriso non era ancora stato spento dal peso soffocante di una tonaca, aveva ritenuto giusto quell’ultimo rituale.

Portò il monile davanti alla fronte, e dichiarò agli astri notturni:

«In memoria del mio amico Nicolas de Torquemada, morto diciotto anni fa all’età di venti anni.»

La luna regalò un riflesso argenteo all’anello quando questo venne lasciato libero di tuffarsi nelle onde. I flutti si appropriarono del gioiello, ingoiandolo nelle loro profondità buie.

Gli occhi verdi dell’uomo seguirono il monile nel suo inabissamento e si risollevarono poi ad osservare il mausoleo di scogli in cui riposava il suo fedele cuoco.

I suoi occhi erano un deserto di malinconia, asciutti ma roventi di dolore. Batté le ciglia, per scacciare le lacrime che aveva disimparato a versare.

Salutò i defunti con un inchino e mormorò, prima di dileguarsi nella sua cabina:

«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola.»

Erano anni che le sue labbra pagane non pronunciavano un inno. Ma quello era uno dei momenti in cui perfino un miscredente come lui aveva voglia di pregare, anche solo per rendere omaggio ai morti.

«Che il prossimo mondo sia più indulgente.»

 

***

 

La porta della camera cigolò, e Antonio non ebbe nemmeno bisogno di accendere la candela per capire chi fosse entrato.

Tese una mano nel buio, ed una più piccola si appoggiò sul suo palmo, lasciandosi guidare fino al letto.

Antonio rimase fermo mentre il giovane si issava malamente sul giaciglio e su di lui: la stretta fasciatura ed il dolore sordo della ferita sottostante impedivano al ragazzo di muoversi con scioltezza. Furono quelle bende ad essere lambite dal palmo dell’uomo, con delicatezza per non risvegliare la lesione ancora fresca.

«Ti fa male?»

«No» mentì spudoratamente Lovino, afferrandogli il polso per spostargli la mano. Non voleva che Antonio toccasse troppo la fasciatura, oppure si sarebbe accorto dei punti che il medico gli aveva imposto per tenere ferma la ferita. E non voleva che il suo compagno si preoccupasse di nuovo per lui.

Antonio non polemizzò affatto, anzi, spostò rapidamente la mano sul fianco dell’amante, il punto che sfiorava così spesso quando erano in intimità.

«Non avresti dovuto correre un simile rischio» lo rimproverò senza cattiveria.

«Nemmeno tu» reagì Lovino. Batté una potente testata sul petto dell’uomo e brontolò sul suo sterno: «Idiota.»

Il viso del ragazzo si rialzò per scrutarlo in volto, e le iridi ramate assunsero quella loro aria indagatrice e perentoria nel chiedere:

«Ti hanno torturato?»

Antonio fu tentato di mentire, ma una bugia simile non sarebbe mai stata creduta: conoscevano tutti fin troppo bene le procedure dell’Inquisizione.

«Sì» replicò sterilmente.

Il pagliericcio scricchiolò vistosamente a causa delle goffe manovre del ragazzo nel fare leva sulle mani per toccargli con barbara gentilezza la crosta sullo zigomo.

«Tipo questo?» insistette il pescatore.

«No. Questo è… ho fatto arrabbiare l’Inquisitore» capitolò Antonio.

«Sei imprigionato e fai arrabbiare il tuo carnefice? Ma allora sei un cretino integrale!» per vendetta, Lovino picchiettò con la nocca la crosta, ottenendo un mugugno sofferente dal suo amante.

Il peso dell’italiano si scaricò di nuovo contro il suo petto, e Antonio carezzò con affetto la testa imbronciata sprofondata nella sua spalla.

Poi il pescatore formulò la domanda che aleggiava tra di loro da quando si erano separati.

«Perché hai fatto una cosa così stupida?»

L’ex-corsaro non rispose subito. Gli occorse del tempo per abbracciare il suo Lovino, per tranquillizzarlo con il calore del suo corpo e della sua presenza; erano lontani dalla terra dei cacciatori: il mare gli avrebbe protetti e, se non ci fosse riuscito, avrebbero provveduto da soli alla propria sicurezza, come avevano fatto in quella notte. Lo strinse finché non fu sicuro che il fantasma dell’Inquisizione non fosse stato esorcizzato, e finalmente rispose:

«Era la cosa giusta da fare.»

«Era la cosa più stupida da fare! Ti sei consegnato! E ti avevano già catturato una volta!» si alterò Lovino, battendo un pugno irato sulla clavicola del compagno.

«Tu sei più importante.»

«Non dirlo!» il pescatore quasi saltò sul letto, e si sarebbe probabilmente rialzato come un gatto se l’abbraccio dell’amante non gli avesse reso impossibile spostarsi. «Vuoi preoccuparti un po’ più di te stesso? Sto in ansia dalla mattina alla sera, per colpa tua! Devo sempre preoccuparmi che tu non faccia qualcosa di stupido per un presunto pericolo che potrei correre!»

«L’Inquisizione era un pericolo reale…»

«Stai zitto!»

Per quanto Lovino fosse collerico, non era mai arrivato a tanto, pur di essere ascoltato: imbavagliò la bocca dell’uomo con la propria mano, costringendolo al silenzio durante la sua invettiva.

«Hai mai pensato a come mi sarei sentito io, se mi fossi salvato a scapito della tua vita?» lo investì schiaffeggiandolo con tutta l’ansia, tutta la paura che gli avevano straziato le viscere in quei giorni di preparativi. «Credi che sarei stato capace di vivere felice e contento, sapendo che eri morto per proteggermi? È questa la tua idea di amore? Beh, allora fa schifo! Costringere l’altro ad una vita segnata dal senso di colpa… c’è qualcosa che non va nel tuo cervello!»

La voce suonò attutita dalle dita del ragazzo, ma la frase stupida di Antonio fu ugualmente comprensibile:

«Hai detto “amore”?»

«Non capire solo quello che ti fa comodo! E poi ti ho detto di stare zitto!» sberciò il giovane, sull’orlo di una crisi di nervi.

Una pioggia calda cadde sul volto dell’ex-corsaro quando le lacrime che il suo amante stava tanto faticosamente trattenendo eruppero.

«Smettila di trattarmi… come se fossi un oggetto da custodire. Posso difendermi da solo» brontolò, la voce appesantita dal pianto.

Gli occhi del capitano lo fissarono dal basso, ammorbiditi da una tristezza profonda. Non avrebbe mai voluto che il pescatore diventasse un assassino: lo aveva tutelato in tutti i modi perché le sue mani fossero monde da qualsiasi colpa di sangue. Ma non era stato abbastanza attento nel difenderlo. O meglio, aveva sottovalutato la determinazione del ragazzo. Rimpiangeva amaramente di averlo spinto su quella china, e quel rammarico avrebbe strisciato nei suoi polmoni ad ogni respiro, ma capiva con chiarezza che non avrebbe mai potuto fermare il giovane. Uccidere l’Inquisitore era stata una scelta cui Lovino si era votato, ed aveva dimostrato più volte quanto la sua tenacia fosse ferrea: nemmeno la Queen of Pirates era riuscito a trattenerlo, quando aveva deciso di condividere il destino con l’ex-capitano. Lovino si sarebbe comunque vendicato, in nome suo e del suo innamorato, e avrebbe scavalcato anche Antonio, se lo avesse ostacolato.

Si addolorava per quella scelta del giovane, ma comprendeva la sua fermezza. Antonio si era dimostrato ugualmente saldo nelle sue convinzioni quando si era consegnato all’Inquisizione.

«Non fare mai più… una cosa così azzardata» borbogliò Lovino.

Le braccia dell’uomo lo condussero gentilmente ad adagiarsi di nuovo contro di lui, dove venne cullato e vezzeggiato dalle carezze gentili del compagno.

«Mi dispiace» si scusò Antonio.

Sentì il ragazzo agitarsi appena nella sua stretta, per portare la propria mano davanti al viso e fissarla come se la vedesse per la prima volta.

«L’ho ucciso» soffiò, quasi non credesse alle sue stesse parole. L’Inquisitore che li aveva terrorizzati era morto. Per mano sua. Era stato lui a pugnalarlo al fianco, anche se aveva mirato allo stomaco. Era quasi surreale la facilità con cui un uomo poteva essere eliminato, e forse era proprio quello a dare all’Inquisizione il suo enorme potere: al carnefice bastava poco per uccidere la sua vittima, ma il dolore dei suoi cari non si sarebbe mai spento, e sarebbe diventato un deterrente contro futuri attacchi.

Era la memoria il vero potere del terrore.

Antonio trasse un respiro più profondo del solito, che Lovino individuò subito come il fiato che il compagno prendeva sempre prima di cominciare un discorso serio, per cui lo prevenne sul tempo:

«Ha detto che finirò all’Inferno, per questo. Ma non ci credo.»

O meglio, non credeva che sarebbe stato scagliato nel regno di Lucifero per l’uccisione dell’Inquisitore. Ci sarebbe finito perché era un sodomita, come i preti amavano additare le persone che, come lui, preferivano amare un uomo che fecondare una donna. Trasgredivano a ben due ordini celestiali, quello di non commettere atti impuri e quello di moltiplicarsi.

Aveva chiesto l’aiuto degli dei e dei santi quando si era ritrovato senza famiglia, lo aveva invocato quando suo fratello era stato trovato sulla nave, lo aveva supplicato quando il suo primo padrone lo percuoteva. Ma era stato un uomo a rispondere al suo appello, non una creatura alata e angelica. Quello stesso uomo che non aveva esitato a buttarsi nelle braccia del suo peggior nemico per proteggerlo. Se doveva finire all’Inferno per lui, lo avrebbe accettato. Quando si era unito al suo capitano dopo essersi gettato dalla Queen of Pirates, aveva giurato a se stesso che lo avrebbe amato fino all’ultima fibra della sua anima. Non avrebbe rinnegato quel giuramento solo perché persone che non avrebbero mai mosso un dito per aiutarlo pensavano che fosse un legame sconveniente.

Antonio gli circondò il volto con una mano, attirandolo vicino alle sue labbra.

«Se dovessi finire all’Inferno, almeno avresti una buona compagnia» bisbigliò, prima di baciarlo come avrebbe voluto fare nel Palazzo, quando lo aveva visto arrivare travestito da donna.

Lovino non aveva voglia di ribellarsi, quella sera: era stato diviso dal suo compagno, e aveva temuto che fosse una separazione definitiva, l’ennesima della sua vita. Aveva lottato, corso, perfino ucciso: le sue forze erano evaporate, e non ne aveva più disponibili per opporsi.

Le sue gambe scivolarono ad intrecciarsi a quelle dell’amante, mentre con le braccia gli circondava il viso; Antonio lo abbracciò con vigore, facendo scorrere una mano su tutto il profilo del giovane, dalla nuca alla natica, riscoprendo il corpo del suo innamorato.

Si baciarono a lungo, trasmettendo direttamente alle labbra del compagno le loro sensazioni: la prigionia e la lontananza, la preoccupazione e lo spavento, il sollievo di ritrovarsi e la gioia di essere insieme. Era tutto nelle labbra che cercavano quelle del compagno, nelle lingue che si incontravano.

«Resta qui» la voce arrochita dell’amante gli sfiorò le guance, e Lovino bofonchiò:

«Non ho altro posto in cui dormire.»

Si accasciarono esausti sul materasso, ma con ancora la forza di tenersi abbracciati nel sonno e la voglia di restare insieme per tutto il tempo possibile.

Lovino restò sveglio più a lungo del capitano: Antonio era più avvezzo di lui a simili spettacoli, per cui faticò di meno a trovare il sonno.

Il ragazzo si strinse a lui, poggiando la fasciatura sulla cicatrice del compagno.

Quando aveva scelto Antonio al posto del mare, gli aveva chiesto di non lasciarlo mai andare. Lo aveva fatto mentre il compagno dormiva troppo profondamente, e non aveva potuto né udirlo né rispondergli.

Anche in quell’occasione aveva qualcosa da dirgli, qualcosa che avrebbe potuto rivelare solo alla notte silenziosa e al segreto del sonno. Incuneò il viso nel collo dell’amante e vi soffiò sopra due parole. Poi sollevò il volto su quello dormiente dell’amante, lambì appena la sua bocca con la propria e mormorò:

«Questa è la pronuncia corretta. Hai capito?»

Ovviamente, Antonio non gli rispose, e Lovino si accoccolò contro di lui per poter finalmente riposare.

C’erano tante cose da fare, e tante da dimenticare. Ma avrebbero aspettato almeno una nottata, prima di essere affrontate.

In quel momento, voleva concentrarsi solo sulla persona che lo stava abbracciando nel sonno.

Con lui c’era Antonio.

Non aveva bisogno di altro.

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Non si vedeva più la Spagna.

Nemmeno le sue creste irregolari di sabbia bianca, o il bianco accecante delle case sotto il sole. La Spagna era sparita, inghiottita dall’immensità del mare.

Le spine della sofferenza si erano conficcate nel suo cuore con più forza quando aveva abbandonato l’Italia: aveva salutato la sua patria rannicchiato contro il pavimento scheggiato di quella nave maledetta, su cui il fratello aveva perso la vita.

Era arrivato in Spagna solo e arrabbiato, ed aveva trovato un padrone violento: credeva che avrebbe gioito, nell’abbandonare quel posto pieno di caldo e pomodori.

Poi era subentrato Antonio, e i giorni passati alla locanda. Anche se l’Inquisizione aveva scatenato una pioggia di veleno nei suoi ricordi, non aveva cancellato le memorie dei tempi più dolci.

Il tempo spensierato in compagnia di quella scombinata famiglia, le nottate passate nella stanza patronale, il cuoco che aveva scelto di esalare l’ultimo respiro ad un passo dal reame del mare… per tutte quelle memorie, il suo cuore aveva versato qualche lacrima.

Una mano solleticò il profilo del suo collo, allungato per scrutare fuori dall’oblò rudimentale.

«Non riesci a dormire, Lovino?» domandò la voce del suo amante, rauca per i residui di sonno.

L’italiano fu lesto come un gatto selvatico a strattonare un lenzuolo per coprire le sue nudità.

Non sapeva esattamente come avesse fatto – e forse nemmeno voleva saperlo – ma Antonio era riuscito a far valere i suoi diritti su di lui: nessun marinaio lo aveva mai infastidito. Non sapeva se attribuire quel fatto a segrete manovre dello spagnolo o all’espressione trucida che vestiva di solito.

«Questa sera il mare è troppo agitato» minimizzò in un brontolio.

Antonio si issò a sedere e gli colò addosso, quasi senza nerbo: le braccia dell’uomo si adagiarono sul suo grembo, ed il viso si accasciò sulla sua spalla, la bocca appoggiata alla sua pelle.

Lovino si dimenò senza una reale intenzione di scrollarsi l’amante di dosso: quella schermaglia di inseguitore e inseguito era una specie di rituale tra di loro che andava mantenuto.

«Sei pesante» il suo lamento si acutizzò in uno squittio: le dita dell’uomo, appoggiate apparentemente a caso, erano pericolosamente scivolate vicino alla sua intimità. «E sposta quelle manacce!» aggiunse, divincolandosi con più vigore.

«Sto dormendo» comunicò Antonio. Sopportò gli sgroppamenti di Lovino come un cavaliere fa con un cavallo troppo turbolento, e mormorò: «Non sono responsabile delle mie azioni.»

«Perché, anche quando dormi, una parte di te resta sempre in attività?» scalciò il giovane. La spudoratezza del compagno gli faceva spumeggiare il sangue per l’imbarazzo, specie quando erano soli e senza vestiti su di un letto, come in quel momento. Al contrario, lo spagnolo sembrava nutrirsi della sua vergogna, e più le guance dell’italiano si arrossavano, più lui diventava insistente.

«È colpa tua» mormorò contro il suo orecchio infuocato.

«Non darmi la colpa, bastardo!» si ribellò lui, rigirandosi nel suo abbraccio come un salmone nella rete del pescatore.

Un palmo dell’uomo fece forza sul suo petto, schiacciandogli la schiena contro il busto del compagno, mentre l’altra rimase ferma nell’incavo morbido della sua coscia.

Lo spagnolo dovette evitare l’ennesima gomitata, ed una lamentela fuoriuscì con il suo respiro:

«Credevo che mi amassi, Lovino.»

«Non l’ho mai detto» s’inasprì lui.

«L’hai detto» lo contraddisse dolcemente Antonio.

La mano del compagno si strinse sul suo bicipite, la bocca si appoggiò sulla sua spalla e la lingua si mosse nelle tonalità dell’italiano:

«Ti amo. Hai detto così.»

Per un istante, le membra del giovane si raggelarono per la sorpresa. Poi la rabbia le fece diventare più roventi del fuoco mentre sibilava:

«Eri sveglio?»

«Non potevo dormire, in un momento del genere» non riuscì a terminare la frase: il cuscino grezzo si schiantò sulla sua faccia, ed il ragazzo sgusciò fuori dalla sua stretta in un battito di ciglia.

«Ti odio» sputò, avvolgendosi le lenzuola attorno al collo e al capo. Quando Antonio riuscì a togliersi il guanciale dal viso, al posto del suo amante sul letto si ergeva uno strano bozzolo di coperte, aggrovigliato e fumante di collera.

«Lovino…» un uragano di lenzuola lo tempestò di colpi, mentre la voce del compagno esacerbava:

«Stai lontano!»

L’unica risoluzione possibile fu sporgersi verso quell’ammasso in fermento e sedarlo in una stretta amorevole. Le braccia dell’ex-capitano cinsero quell’involucro irrequieto, placando la sua ribellione contro il proprio cuore.

Se gli avesse detto quanto lo aveva reso felice, con quelle parole bisbigliate nella notte, probabilmente Lovino lo avrebbe colpito con una testata sul mento. Così si limitò ad abbracciarlo più forte, depositando dei baci su quel grumo di pieghe, dove supponeva si trovassero le guance e la fronte del giovane. Dal calore del suo corpo e dall’intensità del suo silenzio, Lovino avrebbe capito.

Sarebbe arrossito, avrebbe arricciato le labbra in quel suo broncio adorabile, poi sarebbe sgusciato fuori per dirgli qualcosa di acido: era il suo modo di arrendersi all’impetuosità dell’amante.

Poco dopo, infatti, un viso graziosamente corrucciato sbucò da un foro delle lenzuola, facendolo assomigliare ad un cammeo incollerito.

«Ti odio» sbuffò, con meno vigore e più cedevolezza nella voce.

Lo spagnolo insinuò una mano nell’apertura delle coperte, svolgendo piano quel guscio di tessuto che avviluppava il suo compagno.

«Peccato» sorrise Antonio. Lo adagiò piano sul letto, gli occhi calamitati dallo sguardo ostile e dalle guance infiammate. «Perché io ti amo.»

La sua clavicola assorbì gli sporadici insulti che Lovino gli barbugliò contro mentre le sue mani accarezzavano la muscolatura magra del giovane.

Antonio chiuse gli occhi, le dita che percorrevano il corpo dell’italiano, come un cieco che cerca la strada di casa. Lovino era la sua occasione, l’unica ed irrinunciabile.

Accarezzò i capelli ramati del ragazzo, appena rovinati dalla vita sul ponte principale; dischiuse le sue labbra con le proprie, ancora tiepide dei baci che si erano scambiati durante quella notte. Mordicchiò le screpolature che il sole e il vento pregno di salsedine avevano aperto sulla bocca del giovane, guadagnandosi un morso vendicativo.

Un ginocchio del ragazzo si incassò nel suo sterno, quando il pescatore divaricò le gambe per il suo amante. Anche se Lovino affermava di averlo fatto senza rendersene conto, Antonio sapeva che era la vendetta dell’italiano per essere stato udito mentre diceva le parole più imbarazzanti di tutta la sua vita.

Gli sollevò con garbo il bacino, senza staccare le labbra dal suo viso.

Erano dei protagonisti davvero bizzarri, loro due: Lovino dichiarava di odiarlo, e lo picchiava perfino nei loro momenti di intimità; le loro figure plasmate dalla rude forgia del mare non possedevano le labbra di rosa, i capelli di seta o la pelle vellutata degli eroi delle ballate d’amore.

Tuttavia, il loro sentimento non era secondo a quei personaggi inventati: si erano buttati entrambi nel loro peggiore incubo pur di salvarsi a vicenda.

Le gambe asciutte del ragazzo si strinsero contro il suo bacino e le sue braccia attorno al suo collo, ed Antonio baciò con più forza le sue labbra mentre si spingeva in lui.

Non erano protagonisti di poesie o di canzoni sentimentali.

Erano due persone vere, che avevano disprezzato i rapporti umani, chi con un sorriso e chi con un ringhio, finché non si erano innamorati l’uno dell’altro.

Ognuno dei due aveva ricevuto un’occasione dalla vita. E la strava abbracciando in quel momento.

 

***

 

Un urlo attutito si infiltrò nei loro sogni, svegliandoli con un mugugno.

Lovino si rialzò addentando una processione di imprecazioni, e Antonio lo imitò con uno sbuffo infiacchito.

La sua gamba protestò per l’umidità di quella cabina e per l’eccessiva attività notturna. Lo spagnolo cominciò a rivestirsi, totalmente incurante di quelle lagnanze: non avrebbe rinunciato alle notti con Lovino solo per una cicatrice.

Lanciò un’occhiata alle gambe ancora scoperte dell’italiano, trovando il sorriso sghembo della ferita sulla coscia. I punti erano stati tolti svariato tempo prima, e il ragazzo aveva affermato di non avvertire il minimo dolore. Si chiedeva se fosse del tutto vero: quando aveva provato a chiederglielo, Lovino gli aveva quasi fracassato lo sterno con un pugno.

«Cos’è questo baccano?» contestò il ragazzo, irritato per la sveglia indesiderata.

Antonio non ascoltò la sua domanda: si portò alle spalle dell’amante, e lambì con una carezza il ricordo della ferita. La conseguenza fu una gomitata nel suo stomaco.

«Ti ho fatto una domanda» gli ricordò Lovino.

Antonio sorrise, premendo un bacio sul suo collo.

«È la vedetta» sussurrò. «Siamo arrivati.»

L’italiano tese l’orecchio, e riuscì finalmente a distinguere le grida del marinaio sull’albero maestro:

«Vedo le luci del porto di Marsiglia! Prepararsi all’attracco!»

 

***

 

Una strana febbre sembrava aver agitato le sartine di quell’atelier.

Francis sospirò teatrale, rivolgendosi alla ragazzina che cuciva al suo fianco.

«A cosa è dovuta questa eccitazione?» domandò, scrollando con eleganza la chioma dorata.

«È arrivata, monsieur» cinguettò quella. Quasi si conficcò l’ago nelle dita per l’emozione. «La Queen of Pirates è arrivata!»

Gli occhi azzurri del francese si schiusero per la sorpresa. Sollevò il viso, sorridendo all’aria frizzante di aspettative.

«Ne sono lieto» soggiunse, a mezza voce. «Quella nave mi deve ancora un capitano.»

Il mantello drappeggiò con eleganza sulle sue spalle, fasciate da una camicia fabbricata dalla sua stessa sartoria – quindi di fattura impeccabile, la migliore della Francia.

«Serata libera, mademoiselles» annunciò, spalancando la porta. «Andiamo ad accogliere quei frigidi inglesi con un po’ di calore francese.»

I loro passi in corsa rintoccarono fino al porto.





Prosegue in: Stagioni Marsigliesi

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