Rosario Cuentas di HamletRedDiablo (/viewuser.php?uid=56405)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anima di Cristo ***
Capitolo 2: *** Ave Maria ***
Capitolo 3: *** Angelo di Dio ***
Capitolo 4: *** Padre Nostro ***
Capitolo 5: *** Atto di Carità ***
Capitolo 6: *** Atto di Dolore ***
Capitolo 7: *** Confesso ***
Capitolo 8: *** Stabat Mater ***
Capitolo 9: *** Dies Irae ***
Capitolo 10: *** Nunc Dimittis ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Anima di Cristo ***
Le
dita tamburellarono annoiate, e i riflessi diabolici del
rogo si spansero sul grosso anello d’oro che gravava sul dito
medio.
Una
corda di panico strozzava le gole di tutti i presenti,
intrappolando nel cuore parole, pensieri e paure. Tutte quelle facce
sbiancate
di paura e tinte dei riflessi delle fiamme li facevano assomigliare ad
un
gruppo di spettri che assiste ad un Sabba infernale.
Nicolas
de Torquemada fece vagare i suoi occhi raggelanti
sui volti congestionati dei presenti, sulle fiamme crepitanti e,
infine, sugli
eretici intrappolati nel rogo. La sua spaventosa indifferenza non venne
scalfita dalla visione delle due vittime in pasto alle fiamme. Dopo due
settimane di torture pressoché ininterrotte, i due uomini si
erano dichiarati
pentiti, ma questo non era bastato a salvar loro la vita: il Tribunale
aveva
deciso che il pentimento non cancellava la colpa, ma avrebbe
alleggerito la
pena. Le guardie li avevano strangolati, prima di legarli al palo della
piazza
principale ed accendere il rogo.
Nicolas
fece ruotare l’anello attorno al dito,
insoddisfatto: quei due avanzi di galera erano degli eretici della
peggior
specie. Non meritavano tanta clemenza da parte del Tribunale.
Tornò
a tamburellare le dita, impensierito dalla buona
riuscita della sua missione.
Come
poteva ripulire il mondo se perfino i suoi colleghi
erano così ciechi?
Non
avevano di certo aiutato le anime di quei due
disgraziati, che ora sarebbero bruciate per
l’eternità nelle fiamme ardenti
della Gehena. Avrebbero potuto espirare tutto con un tempo assai minore
nelle
fiamme mortali.
Rimise
l’anello a posto, in modo che lo stemma di famiglia
svettasse al suo dito.
Sventagliò
un foglio di pergamena nell’aria satura di morte
e cenere, e lesse il luogo della sua successiva chiamata.
Gli
occhi apatici ebbero un guizzo di incredulità nel
riconoscere la cittadina in questione. Una brama famelica
incupì le iridi
predatrici, mentre le pupille smembravano il nome della
località come un lupo
fa con una carcassa.
Nicolas
ripiegò il foglio e lo sistemò nel farsetto,
esattamente sopra il cuore.
Le
due sagome carbonizzate nel rogo ancora ruggente gli
parvero improvvisamente più interessanti, e la riduzione
della pena molto più
giusta.
Si
domandava che faccia avrebbe fatto Antonio nel rivederlo.
La
perfidia del demonio gli spiegò un orribile ghigno sul
viso.
Chissà…
Anima di
Cristo
Lovino
schioccò mollemente la lingua un paio di volte,
irritato.
Detestava
dormire con la bocca aperta: un sapore simile a
quello della sabbia sporca gli impantanava il palato, e la lingua si
seccava
come se il cuoco l’avesse messa sotto sale assieme al pescato
della giornata.
Fece
compiere a guance e lingua strani movimenti per
riacquistare una salivazione accettabile. Poi si presentò il
secondo problema
di quella e di mille altre mattine: uscire dal letto.
Apparentemente
si trattava di un’operazione semplice –
bastava far sgusciare i piedi fuori dalle coperte, appoggiarli sul
pavimento e
alzarsi - ma le circostanze non erano favorevoli quando a bloccarlo
contro il
materasso era un metro e ottanta di spagnolo addormentato.
Lovino
cercò con gli occhi i suoi vestiti, rintracciandoli
in un mucchio disordinato poco distante dal letto.
Si
rigirò per osservare l’uomo che dormiva al suo
fianco: Antonio
dormiva tranquillo, inconsapevole del problema che stava creando al
giovane.
Lovino
cercò di sgusciare fuori dal suo abbraccio, che si
rivelò però troppo stretto. Tentò
allora di sciogliere la presa dell’uomo, ma
era più ostinata dell’acciaio.
Sbuffò
infastidito, e ricorse alla sua ultima strategia:
senza troppi cerimoniali, appoggiò il pollice sulla palpebra
superiore
dell’uomo e tirò verso l’alto,
aprendogli di malagrazia l’occhio.
«Devo
andare a pescare» notificò, lasciando la presa.
Antonio
non inveì per la barbara sveglia: batté
ripetutamente gli occhi per scacciare la sensazione irritante
dell’aria sotto
la palpebra, stiracchiò le braccia allungandole sulla
schiena del giovane e lo
strinse di nuovo a sé mentre mormorava:
«Buongiorno.»
«Devo
andare adesso» sillabò Lovino, compiendo un
ennesimo
tentativo. Le braccia di Antonio erano più cocciute da
sveglie che da
addormentate: appena percepirono lo spostamento del ragazzo, premettero
sulla
sua schiena, immobilizzandolo.
«I
pesci non scappano» soppesò Antonio, poggiando la
guancia
su quella del compagno.
«Il
tempo sì» replicò Lovino, scrollandosi
nella stretta
dell’uomo come un uccellino in gabbia. «Ci vuole un
po’ per pescare qualcosa di
buono, dovresti saperlo.»
«Il
mare non diventerà sterile in cinque minuti»
protestò in
uno sbadiglio Antonio. Gli carezzò le spalle con una mano e
propose: «Puoi
restare ancora un po’ senza che succeda nulla di
irreparabile.»
La
finestra confermò la tesi dell’ex-capitano,
lasciando
intravedere un’alba ancora acerba, rischiarata a malapena dai
primissimi raggi
di sole.
Un
brontolio si sbriciolò contro il suo petto, e Antonio
capì di aver vinto.
Lovino
era diventato più accomodante da quando si era
gettato dalla Queen of Pirates per
tornare da lui. Scalciava con un asino e sbuffava come un toro, ma le
sue arrendevolezze
scontrose si erano fatte più frequenti.
Poggiò
una mano al centro della schiena nuda del ragazzo,
mentre con l’altra gli accarezzava i capelli ramati: una
parte di mare era
rimasta intrappolata in quella chioma, e Antonio aveva
l’impressione di sentire
l’odore della salsedine ogni volta che le sue dita
districavano le ciocche
annodate.
Lovino
si acquietò sotto le sue carezze, ma l’espressione
imbronciata non svanì del tutto. Lo spagnolo la
lavò via sollevandogli il viso
per baciarlo. Perfino il modo in cui Lovino lo seguiva gli ricordava
l’oceano:
le onde possedevano la stessa languida docilità quando
permettevano alle maree
di incresparle e condurle a riva.
Antonio
fece scivolare le dita sul profilo della vita magra
e del fianco e ancora più giù, fino a raggiungere
lo spigolo delle ginocchia,
in attesa del consenso del giovane. Le callosità dovute alla
lotta con la canna
da pesca e con i pesci troppo testardi sfregarono contro la cicatrice
sulla
coscia dell’uomo: era il modo silenzioso con cui Lovino dava
l’assenso.
Lo
spagnolo si portò su di lui, dischiudendogli le gambe un
poco alla volta per assaporare fino in fondo la sua vicinanza con il
giovane
amante.
Lovino
scattò come un animale selvatico quando bussarono
alla porta.
«E’
permesso?» vociò accorata Consuelo al di
là del legno.
Il
disappunto fiaccò le braccia ad Antonio, che ricadde sul
materasso ormai vuoto, mentre Lovino schizzava a recuperare i suoi
vestiti.
«Aspetta
un secondo, Consuelo, devo vestirmi» la avvisò,
mettendosi a sedere e cercando a sua volta i propri abiti.
«E
come le spiegherai la mia presenza?» soffiò Lovino
come
un gatto cui è stata pestata la coda. Si sedette sul letto
per allacciarsi le
scarpe, una colorita processione di insulti che si srotolava dalle sue
labbra. «Lo
sapevo, dovevo alzarmi prima!» esclamò a mezza
voce quando ebbe finito.
Ma
non riuscì a sollevarsi dal giaciglio: il petto
dell’amante premuto contro la sua camicia e le braccia che
gli avvolgevano il
ventre glielo impedirono.
«Fai
una buona pesca, Lovino» augurò, posandogli un
bacio
sulla spalla coperta dalla stoffa grezza.
«Lo
farò se mi lasci andare!» strepitò con
un filo di voce
l’altro, rialzandosi bruscamente dal letto.
Uscì
in fretta dalla porta, scoccando un frettoloso: «Ciao
Consuelo» in direzione di una confusa cameriera in vestaglia.
«Ieri
ha diluviato, ed ero preoccupata per la tua
gamba…»
spiegò discreta, dirottando lo sguardo verso il soffitto per
evitare di
scorgere nudità che non era tenuta a vedere. «Ho
interrotto qualcosa?»
«La
mia gamba sta bene, Consuelo, non dovevi preoccuparti»
la tranquillizzò Antonio, infilandosi i pantaloni per
evitare che la cameriera
si slogasse il collo per guardare altrove.
La
donna arricciò i capelli con le dita e notò:
«Stai
molto bene da quando Lovino ti viene a trovare la
sera.» Era un’affermazione spudorata, ma senza
malizia: Consuelo non stava
criticando né calunniando. Si limitava a giocare con
l’imbarazzo nascosto del
suo padrone. «Sono… mesi ormai che viene a farti
visita quasi ogni notte.»
«Non
viene così spesso» limitò Antonio.
«E
la tua gamba sta meglio» Consuelo annuì convinta,
gli
occhi che scintillavano di allegria dispettosa. «Non pensavo
fosse così bravo
in medicina. Forse potrebbe curare anche il mio problema alla
caviglia.»
Sorrise
quando Antonio la guardò con finta minaccia, avendo
intuito che la donna stava solo scherzando.
«Consuelo,
se ci provi ti licenzio in tronco» la avvertì,
picchiando un colpo a terra con il bastone per sembrare più
intimidatorio.
La
donna gorgheggiò una risata e poggiò una guancia
abbronzata sulla mano.
«Peccato
che non vi possiate sposare. Mi sarebbe piaciuto
vestirmi elegante per festeggiarvi» trillò.
«Se
anche fosse possibile, Lovino dovrebbe essere incatenato
e drogato per essere portato all’altare»
considerò Antonio.
La
donna si inginocchiò di fianco al letto e congiunse le
mani come per pregare.
«Forse
non dovrei dirtelo, ma quando la sera rivolgo qualche
parole alla Dea del Mare, la ringrazio di averti costretto a rimanere
sulla
terra, per quanto doloroso sia stato.»
Antonio
la fissò senza capire e Consuelo proseguì:
«Non
credo che il mare ti avrebbe mai reso felice come
Lovino. Le donne sanno queste cose: un amore per cui vivere
è molto meglio di
un sogno per cui esistere. Sono convinta che sia per questo che Lei ti
ha
obbligato a rimanere sulla spiaggia.»
«Spiegazione
poetica» concesse Antonio.
«Io
ci credo davvero» finse di offendersi Consuelo.
«Visto
che stai bene, posso tornare a sdraiarmi prima di cominciare il
turno» decise,
avviandosi verso la porta. «E prometto che la prossima volta
non entrerò prima
di aver sentito Lovino uscire dalla porta principale.»
«Te
ne sarò infinitamente grato» concordò
Antonio.
«Se
vuoi darmi un aumento per questa mia cortesia…»
mercanteggiò la donna.
«Questo
è un ricatto» la ammonì Antonio.
«Solo
un’amichevole estorsione» sdrammatizzò
lei, prima di
sparire.
Lo
spagnolo si distese sui cuscini, e appoggiò il bastone al
muro.
Dunque
la Dea del Mare lo aveva fatto per il suo bene?
Era
una visione certamente più romantica del ricordo della
pallottola che gli sfregiava la pelle.
Antonio
chiuse gli occhi, riconoscendo una nota del profumo
del suo amante rimasta impigliata nelle lenzuola.
La
gratitudine gli addolcì le labbra in un sorriso.
Non
sapeva se nei piani divini era prevista la sua vita
sentimentale, ma di una cosa era assolutamente sicuro. Il mare sarebbe
stato
per sempre la sua più grandiosa vittoria: il suo nome veniva
sussurrato con
rispetto tra i mozzi e con ammirazione dai capitani. Riusciva ancora a
consigliare i marinai sui periodi e i luoghi migliori in cui
imbarcarsi, poiché
conosceva gli umori mutevoli dell’oceano meglio di chiunque
altro. I suoi sogni
erano ancora popolati di onde spumeggianti e navi possenti, e bastava
il
sentore della salsedine ad innescare il carosello dei ricordi.
Ma
Lovino era unico.
Non
aveva l’abilità poetica per descrivere la sua
complessa
arroganza, e non riusciva a fare paragoni che non gli sembrassero
troppo
esagerati o troppo minimalisti.
Lovino
era diventato una costante della sua vita, come il
respiro o il palpitare del cuore.
Poggiò
una mano sullo sterno, quieto e soddisfatto.
E
seppe che, da qualche parte tra quei battiti, si annidava
un’immagine del giovane pescatore.
Si
illanguidì in quel pensiero ancora per qualche istante,
prima di alzarsi definitivamente dal letto.
Anche
quella giornata si presentava piena di prenotazioni da
annotare, vecchi lupi di mare da salutare e cameriere impiccione da
gestire.
Si
vestì solerte, riassumendo la compostezza del padrone
della locanda.
Aveva
giocato alla damigella innamorata anche troppo a
lungo.
Era
ora di tornare agli affari.
Il
sorriso, però, non svanì quando chiuse la porta
della
stanza dietro di sé.
***
Non
odiava Consuelo.
Era
una donna molto premurosa, estremamente affettuosa, e le
forme che le gonfiavano la camicetta e la gonna facevano girare stuoli
di
uomini nella sua direzione.
Ma
avrebbe preferito che ogni tanto mettesse un lucchetto
alla sua euforia.
A
sua discolpa, bisognava prendere atto che non lo faceva
con cattiveria: semplicemente, la gioia le gonfiava i polmoni, e il
modo
migliore per sfiatare quella festosa pressione era dare aria alla bocca.
Immaginava
perfettamente lo svolgimento dei fatti: Consuelo
aveva svolazzato per tutta la cucina, cinguettando la sua
felicità e i fatti
privati della camera da letto del padrone.
Se
avesse anche solo immaginato i danni che quella donna
poteva fare, sarebbe rimasto in mare tutta la giornata. Anzi, sarebbe
rimasto
in mare fino a diventare un vecchietto canuto: sarebbe morto come un
eremita,
ma la sua dignità sarebbe rimasta intatta.
Diego
fu il più sfacciato di tutti, e lo accolse con un
altisonante fischio non appena il pescatore mise piede nella cucina,
con la cesta
piena di pesci sottobraccio.
Il
sorriso del cuoco svettò sopra l’enorme tegame
ribollente, e la sua voce grassa intonò una battutaccia
oscena sui pesci che
Lovino riusciva a pescare. Consuelo, paonazza in volto, li
rimproverò per
mettere freno alle loro bocche, ma non poté fare lo stesso
con gli occhi:
sguardi maliziosi seguirono Lovino per tutto il tragitto dalla porta al
tavolo
su cui posò il canestro.
«Arrivederci»
li salutò spicciolo, dirigendosi verso l’uscita
con la testa chinata come un ariete.
«Lo
sapevamo già da mesi» Diego lo colpì a
tradimento alle
spalle.
Lovino
si voltò, il viso scurito in un misto di risentimento
e feroce imbarazzo.
«Cosa?»
«Che
tu e il capitano…» Consuelo corse ad abbassare le
braccia del cuoco prima che potesse mimare cose indecenti con le mani.
«Io
e il capitano cosa?»
Lovino quasi ringhiò.
Diego
scoppiò in una risata gioviale, e prese a sistemarsi i
polsini per renderli simmetrici.
«Non
c’è niente di male. Anzi,
congratulazioni» si
complimentò, uscendo per continuare il servizio.
Consuelo
lo seguì, e strizzò l’occhio a Lovino
prima di
uscire.
Il
pescatore ispirò a fondo, cercando di riassemblare i pochi
frammenti di reputazione rimasti.
«Non
è stato difficile associare le tue fughe notturne al
buonumore del capitano.»
Il
ruggito del cuoco distrusse i suoi tentativi.
Lovino
si scaraventò su una sedia, sfregandosi con foga i
capelli.
«Quanto
a lungo ne parlerete?» volle sapere, esasperato.
«Oh,
non molto» rombò il cuoco, assestando
un’energica
mescolata alla zuppa di pesce: un piccolo maremoto si agitò
nel pentolone, e
per poco un’onda anomala non debordò.
«Ne abbiamo già parlato molto negli scorsi
mesi. E abbiamo fatto molte scommesse su quando lo avreste
ammesso… forse
questo non dovevo dirlo» commentò, notando
l’espressione di Lovino in cui si
mescolavano orrore e tradimento.
«No,
non avresti dovuto» confermò ruvido, stringendosi
una
tempia con due dita. Era stato oggetto dei pettegolezzi e delle puntate
dei
dipendenti. Era quasi contento di non essere sulla sua barca: in quello
stato
d’animo, probabilmente si sarebbe legato un’ancora
al collo e avrebbe lasciato
che i flutti facessero il resto.
Il
cuoco si grattò la barba, corta e ispida come le setole
di un cinghiale, e rimbrottò:
«Senti…
io qui cucino e basta, quindi forse dovrebbe essere
qualcun altro a dirti queste cose… qualcuno che si esprima
un po’ meglio di me.»
Lovino
appoggiò la testa sul tavolo e la infagottò con
le
braccia: quando il cuoco prendeva le distanze da un discorso, un colpo
micidiale era in agguato. E lui non era sicuro di essere pronto.
«Vabbé,
ci provo» decise, scrollando le montagne che aveva
come spalle. «Prima Antonio sorrideva tanto, però
sorrideva solo con le labbra.
Aveva gli occhi vuoti. E per noi era un po’ uno strazio.
Insomma, un brav’uomo
ti offre un lavoro, ti tratta come un suo pari e tu non sei capace
nemmeno di
farlo stare sereno… non è stato un bel periodo,
no» scosse la testa e riprese: «Poi
sei arrivato tu. Quando sei arrivato ti avevo scambiato per un ragno,
eri più
testa che altro… forse anche questo non avrei dovuto
dirtelo.»
Un
mugolio incomprensibile si levò dall’intrico di
braccia.
Il cuoco vi passò sopra e continuò la sua stramba
arringa:
«Beh,
adesso sei più in carne. Meno male, altrimenti Antonio
non avrebbe avuto niente da toccare…»
«Arriva
al punto!» sbottò Lovino, sempre annidato nel suo
fortino.
Il
cuoco girò più volte la zuppa mentre concludeva:
«Insomma,
ora Antonio sorride anche con gli occhi. No, di
più. Sorride con… l’anima,
sì. Tu gli fai sorridere l’anima.»
Lovino
rovinò completamente la lirica di quelle parole
immaginandosi mentre faceva il solletico ad un fantasma con le fattezze
di Antonio,
e il suddetto spettro che si ammazzava di risate. Scosse la testa per
scacciare
quell’assurda immagine dalla sua testa.
«Sei
la cosa migliore che gli potesse capitare» decretò
convinto il cuoco. «E poi, scommetto che non
c’è un pescatore bravo quanto te
in tutta la Spagna!»
La
faccia di Lovino rimase ancora per qualche istante
alloggiata dietro la protezione delle braccia. Poi si
rialzò, togliendosi il
cappello per dare una scrollata ai capelli.
«Vado
di là» comunicò.
Il
cuoco lo lasciò andare, bonario. Antonio non era
l’unico
ad avere imparato qualcosa del comportamento del giovane: anche il
resto del
personale aveva capito che Lovino comunicava molto di più
con il silenzio e il
linguaggio del corpo che con le parole.
E
il cuoco si compiacque del suo operato, perché la
posizione delle spalle del giovane gli aveva rivelato che Lovino era
felice
delle sue parole, ma era troppo orgoglioso e imbarazzato per dirglielo.
Tornò
a occuparsi della zuppa, stando attento a non
scatenare un maremoto con il mestolo.
***
La
sera si era adagiata sui tetti delle case, ricoprendo le
finestre con un velo zaffiro scuro. Entro pochi minuti la tinta si
sarebbe
rappresa in un color lapislazzulo per poi cedere al nero totale: quella
sera
era prevista la luna nuova, e le stelle non sarebbero state sufficienti
a
rischiarare le strade.
Lovino
rientrò prima del solito proprio per quel motivo. La
Spagna non pullulava di criminali desiderosi di aggredire un pescatore
per
rubargli il paniere, ma l’italiano preferì
accelerare il passo: non gli era mai
piaciuto il buio. Lo detestava come odiava tutte le cose che potevano
offuscargli i sensi: sentiva l’ansia crescere quando non
riusciva a mantenere
il controllo su ogni elemento presente.
Rientrò
veloce nella locanda e, per un attimo, desiderò
essersi attardato qualche minuto di più
all’esterno: Antonio era dietro al
bancone, ad annotare le ultime prenotazioni prima di chiudere, e due
donne
civettavano con lui.
Lovino
storse il naso a quella vista: le due tizie erano
strette in quei corsetti che spaccavano le costole, funzionali solo ad
evidenziare la generosa scollatura. I capelli erano stati spazzolati
con cura e
fermati da pettini e forcine, i volti sapientemente truccati. Era
troppo
lontano per stabilirlo con certezza, ma era sicuro che fossero avvolte
da una
nube di profumo, probabilmente pregiato e costoso.
Corse
in cucina a buttare il pescato su un tavolo prima di
precipitarsi su per le scale: non voleva che gli starnazzi di quelle
oche gli
offendessero le orecchie. La gola gli si ostruiva per la nausea
nell’udire le
moine affettate di quelle due: probabilmente il cervello pesava meno
degli
accessori conficcati nei capelli.
Ogni
volta che un simile spettacolo aveva luogo, si sentiva
male come se avessero usato il suo stomaco per pulire il ponte di prua.
Perché
persone del genere si offrivano così ignobilmente al padrone
della locanda?
La
stoffa dei suoi vestiti non si sarebbe di certo trovata
in una sartoria di lusso, e l’odore di pesce e mare che lo
permeava non sarebbe
mai stato imbottigliato da un maestro dei profumi, ma almeno era in
grado di
sostenere una conversazione senza rifugiarsi dietro a risolini
superficiali o
svenevolezze gratuite. E, sicuramente, non si sarebbe mai ridotto a
fare le
fusa solo per ottenere un’occhiata da Antonio. Aveva ancora
un orgoglio da
difendere.
«Lovino?»
Il
ragazzo non fu del tutto sorpreso nell’udire il richiamo
dell’ex-capitano: il tonfo ritmico del bastone lo aveva
preceduto sulle scale.
«Non
ti ho visto tornare» disse, aprendo la porta della stanza.
«Lo
so. C’erano due donne con tutta la loro mercanzia ad
ostruirti la visuale» criticò sarcastico Lovino.
Antonio
interruppe a metà l’apertura della porta.
«Sono
stato vittima di un corteggiamento piuttosto serrato»
ammise lo spagnolo, decidendosi ad entrare nella stanza. Il giovane
attese un
istante prima di seguirlo. «Ma ho respinto ogni loro
offerta.»
«Offerta?»
reagì il pescatore.
Le
dita di Antonio si mossero sull’impugnatura del bastone,
tormentate.
«Non
credo tu voglia sapere. Alcune persone sono molto dirette»
mediò, purificando quanto era
stato detto in quella serata.
Lovino
incrociò le braccia e mosse il mento con aria di
sfida.
«Sembravano
delle belle donne» lo provocò.
«Lovino,
non mi sono sentito lusingato» chiarì
l’altro.
Il
ragazzo bloccò la sua offensiva quando Antonio si sedette
sul letto e storse la bocca per una fitta improvvisa alla gamba:
Consuelo non
aveva sbagliato a preoccuparsi delle sue condizioni.
«Ti
fa ancora male?» s’informò Lovino,
inginocchiandosi di
fronte al giaciglio. Tentò di mantenere un tono bisbetico,
ma la preoccupazione
impregnò con prepotenza le sue corde vocali, facendole
tremolare anziché
vibrare.
Antono
sorrise, poggiando il bastone contro il muro.
«Ogni
volta che succede, diventi geloso» allungò una
mano
per sfiorargli il viso, e la ritirò per timore che il
pescatore gliela mordesse
quando questo imprecò:
«Non
sono geloso. Mi fa schifo vedere degli esseri umani
comportarsi come animali in…»
«Lovino»
lo frenò Antonio.
Il
giovane masticò qualcosa a denti stretti, frustando il
pavimento con gli occhi.
Sapeva
di essere geloso, ma non voleva che Antonio se ne
accorgesse. Le donne di quella sera, e delle sere precedenti, non erano
di
certo in grado di interessare l’ex-capitano: il padrone della
locanda aveva
conosciuto troppe persone e visitato troppi luoghi per farsi incantare
da una
civetteria querula o da un lembo di pelle scoperto. Ma forse un giorno
sarebbe
arrivata una donna di bell’aspetto e con un cervello
sopraffino in grado di
fargli perdere il senno.
Non
gli piacevano quei pensieri, lo facevano sentire
scoperto e vulnerabile per una cosa incerta come il futuro: come poteva
temere
qualcosa più inconsistente dell’aria? Eppure la
paura era lì, e lo afferrava
quando simili scene si presentavano.
Era
abbastanza savio da riconoscere che una donna aveva
certamente più prospettive da offrire, rispetto a lui:
poteva garantire una
discendenza, un buon matrimonio e un appagante status sociale.
Lui… pescava.
I
pensieri volarono via come i gabbiani al giungere di una
nave quando Antonio gli passò le dita tra i capelli.
«Ho
saputo che i camerieri sono in fermento» sorrise,
poggiando le labbra sulla fronte del compagno. «Consuelo ha
cantato come un
usignolo, vero?»
«Ha
sparlato come una comare» precisò Lovino.
«Se
le voci ti danno fastidio, dovresti tornare in camera
tua» prescrisse Antonio, allontanandosi.
«No»
si risentì il ragazzo, afferrandolo per i gomiti
perché
non scappasse.
Un
sopracciglio scuro si sollevò per la sorpresa.
«Domani
mattina raddoppieranno la dose, se resti» lo
avvisò
l’uomo.
Lovino
si rialzò da terra e si sedette senza troppa grazia
sulle gambe dell’amante.
«Non
mi interessa» borbottò, incastrando le braccia tra
di
loro.
Antonio
gli fece scorrere un dito sulla schiena, per vedere i
suoi occhi fremere dietro la maschera di offesa.
Non
insistette oltre con le parole, consapevole che ogni
sillaba era un azzardo: fare il primo passo e dover attendere la
reazione
dell’altro faceva sentire Lovino scoperto, il che aumentava
esponenzialmente il
suo pessimo temperamento. Bastava un accento fuori posto
perché il giovane si
sentisse denigrato o insultato.
Preferì
parlare in un linguaggio che non avrebbe frainteso:
lo guidò a poggiare la guancia sulla sua spalla, e lo
avvolse con le proprie
braccia, carezzandolo piano. Le mani del ragazzo si convinsero ad
abbandonare
la loro posizione conserta per cingere il busto dell’uomo.
Lovino
chiuse gli occhi, distanziandosi dal resto del mondo
per concentrarsi solo sul tepore del suo amante. Gli unici momenti in
cui
accettava di restare al buio, erano quando la presenza di Antonio lo
circondava.
«Devi
farti la barba» lo avvisò, quando l’uomo
interruppe il
bacio per sbottonargli la camicia.
«Provvederò»
garantì, poco prima di lambirgli il petto con
le labbra.
Lovino
sospirò sulla sua zazzera scura, la bocca del
compagno che risaliva lungo il collo.
Solo
qualche mese prima si sarebbe agitato come un pesce
catturato a mani nude, e avrebbe cercato in tutti i modi di rendere
difficili
le cose al suo datore di lavoro.
Da
quando il brontolio aveva ceduto il passo
all’accondiscendenza?
Il
pensiero si smembrò quando le molle del letto cigolarono
sotto il peso dei loro corpi avvinghiati.
***
Un
bubbolio lontano si insinuò nelle sue orecchie, ma a
svegliarlo fu la luce della lampada e lo schianto della porta quando
Consuelo
si precipitò nella camera.
La
nebbia del sonno indugiò sui suoi sensi, e Lovino
districò a fatica tra le sue percezioni fangose strilli
sussurrati della donna.
«Antonio,
Lovino, presto! Dovete vestirvi!»
Qualcosa
si mosse sopra di lui, e il pescatore rabbrividì
per l’improvvisa perdita di calore quando Antonio si
alzò su un fianco.
«La
locanda va a fuoco?» sbadigliò
l’ex-capitano.
«Ah,
magari!» esacerbò la cameriera. Si fece il segno
della
croce e mimò l’atto di sputare per terra.
«Peggio, molto peggio! Lovino, svelto,
alzati! E’ meglio se scendete a distanza uno
dall’altro. Oh Signore!» Consuelo
cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro di
fronte alla porta, la
luce della lampada che reggeva tra le mani sussultava sui muri.
La
donna continuò a intervallare preghiere e maledizioni
mentre loro si cambiavano, le dita che scattavano dalle labbra ai
capelli,
dalle ciocche corvine alla lampada.
«Cosa
succede?» domandò Antonio, allacciandosi la fibbia
dei
pantaloni. «E’ entrato Satana, per caso?»
Lovino
trasalì per la risata isterica di Consuelo: sembrava
che una strega le stesse straziando la trachea con gli artigli.
«Hai
quasi indovinato» ansò la donna, quando le risa
insane
si furono placate. Fece il segno della croce altre tre volte, e poi
rintoccò
funebre: «Nicolas»
Il
bottone rimase a penzolare senza raggiungere l’asola: le
mani di Antonio si congelarono alla notizia.
«Quel Nicolas?»
soffiò,
trasecolato.
Gli
occhi castani del pescatore saettarono dall’uno
all’altra, indecisi su cosa fare: una parte di lui voleva
lanciare qualche
battuta acida a Consuelo, che aveva distrutto la privacy altrui per la
seconda
volta in una sola giornata; l’altra era paralizzata dal
pallore mortale della
donna e dall’espressione di granito dell’uomo.
Antonio
aveva visto il volto della Dea del Mare, e ne
parlava con tranquillità. Aveva affrontato la morte migliaia
di volte, e
raccontava tutte quelle vicende da narratore appassionato. Dubitava che
esistesse qualcosa al mondo in grado di spaventarlo davvero.
Lo
aveva creduto fino a quel momento. Seppellito sotto una
fitta coltre di autocontrollo, Lovino riusciva ad individuarlo: il
panico si
attorcigliava negli occhi dell’uomo come un nido di vipere.
«Vai
di sotto più in fretta che puoi e chiuditi nella tua
stanza» ordinò brusco Antonio, armeggiando con i
polsini.
Normalmente
Lovino avrebbe protestato per un ordine così
perentorio e così immotivato. Ma lo scintillio di timore
ancora palpitante
nelle iridi del compagno lo persuase ad obbedire senza fiatare.
Consuelo
si fece da parte per permettergli di passare, e
richiuse la porta dietro di lui.
Il
pescatore sistemò velocemente i capelli e
riassestò il
colletto storto della camicia. Poi scese le scale e, seguendo le
indicazioni
dell’ex-capitano, fece per dirigersi verso la sua camera.
«Oh.
Dunque è questo il vostro nuovo aiutante?»
«Nuovo
non direi, signore: Lovino lavora con noi da quasi
due anni, ormai.»
La
voce sconosciuta lo raggiunse contemporaneamente alle
gambe, fiaccandogli le ginocchia, al collo, strozzandogli il respiro, e
al
cuore, bloccandone i battiti. Se le cavernose tonalità del
cuoco non fossero
intervenute subito dopo a tranquillizzarlo, sarebbe caduto a terra,
tremante e
paralizzato.
I
vecchi bucanieri adoravano terrorizzare i bambini con i
racconti delle sirene, le arpie del mare che seducevano le navi con le
loro
voci per attirarle sugli scogli e sbranare l’equipaggio, o
che lanciavano le
loro grida altisonanti per far impazzire i mozzi. Quella voce gli
trasmise la
stessa gelida sensazione: non poteva appartenere ad un essere umano.
Si
voltò cauto, ed un volto brunito forgiato da furbizia e
sottile sadismo ricambiò il suo sguardo. Mantenne la testa
alta e la schiena
dritta: chiunque fosse la creatura che attendeva di fianco al cuoco,
non si
sarebbe lasciato intimorire. Era troppo orgoglioso per permettere alle
gambe di
tremare.
Contenne
un brivido quando gli occhi dell’uomo lo scrutarono
alla ricerca di una breccia nella sua difesa. Aveva le iridi ferme e
immote di
un morto, la pupilla stretta di un rettile e lo sguardo penetrante di
un
assassino.
Lovino
strinse le labbra quando capì perché
l’uomo lo
agitasse tanto. Sulla stoffa scura del farsetto, spiccava rosso sangue
il
simbolo del cacciatore di eretici.
Un
Inquisitore.
«Non
ho mai avuto il piacere di parlare con il vostro
garzone» flautò l’uomo, facendo girare
attorno al dito l’anello d’oro
massiccio.
«E’
un pescatore» grugnì il cuoco.
«Vi
chiedo scusa» sancì lo sconosciuto, chiaramente
indifferente al perdono dell’altro. «Vi dispiace
tenermi compagnia, mentre il
vostro padrone termina i suoi preparativi?»
Vi
fu un istantaneo scambio di sguardi tra Lovino e il
cuoco: l’orso di mare gli fece cenno di accettare, e il
ragazzo assecondò la
sinistra proposta.
L’Inquisitore
si accomodò su una poltrona, indirizzandogli
un ghigno sbilenco mentre attendeva. Lovino si sedette con la
rigidità del
legno sul sedile limitrofo.
«Temo
di non essermi ancora presentato» si schermì
falsamente l’uomo. Gli tese una mano con altezzosa galanteria
e proclamò: «Nicolas
de Torquemada.»
«Lovino»
replicò il giovane, stringendo a malapena la mano
dell’altro: era sicuro che si sarebbe trasformata in un cobra
e lo avrebbe morso
a morte, se l’avesse indispettita.
Nicolas
agitò distrattamente le dita come per rimuovere
della polvere e proseguì:
«Nome
davvero singolare. Non lo avevo mai sentito prima. Non
è spagnolo.»
Lovino
non era sicuro che quella dell’Inquisitore fosse una
domanda, ma annuì ugualmente.
«Venite
dall’Italia, giusto?»
Lovino
assentì di nuovo, fissando un punto indefinito nello
spazio circostante. Non ricordava se l’etichetta permettesse
a lavoratori umili
come lui di alzare gli occhi verso un Inquisitore. Preferiva comunque
evitare
quello sguardo: era viscido come una murena, e freddo come le correnti
invernali. Ed era innaturale, come sentire la voce di un defunto
rimbombare in
una cripta. Rabbrividì a quell’idea.
«Non
mi pare esista un nome simile, su quella penisola»
meditò sicuro Nicolas.
«Con
tutto il dovuto rispetto, signore, ma credo che il
nostro Lovino ne sappia più di voi sulle consuetudini
italiane.»
Nicolas
rivolse al cuoco uno sguardo in cui si mescolavano
disprezzo e superbia, fuse su una base di malignità.
«Probabilmente
avete ragione. Ma spero che voi, Lovino,
comprenderete…» continuò, voltandosi
verso il ragazzo. «Che qui siamo nel mio
paese, non nel vostro. E non solo conosco le consuetudini spagnole, ma
posso crearle.»
La
minaccia insita in quelle parole gli pizzicò il fegato,
irrorando il coraggio necessario affinché Lovino recuperasse
la sua
sfrontatezza e controbattesse:
«Non
capisco perché sono qui. Mi state accusando di
qualcosa?»
«Niente
affatto. Stiamo solo chiacchierando. Vi sentite a
disagio, per caso?» sciorinò mellifluo
l’uomo.
«Avete
un modo piuttosto intimidatorio di chiacchierare,
signore» il pescatore restituì il colpo, serrando
spasmodicamente le dita tra
loro.
«L’ansia
risiede nei colpevoli» deliberò Nicolas.
«E’ così
che vi sentite? Colpevole?»
«Certo,
sono colpevole» espresse una voce familiare alla
loro destra. «Ben cinque minuti di ritardo.
Imperdonabile.»
Nicolas
si esibì in un sorriso da aspide nell’alzarsi per
salutare il gestore della locanda.
«Antonio
Fernandez Carriedo» il nome dell’ex-capitano si
allungò untuoso sulle sue labbra sottili.
L’Inquisitore si alzò per depositare
un bacio fraterno sulla guancia ancora non rasata di Antonio.
Lovino
provò l’impulso di rifugiarsi dietro lo schienale
della sedia: fu come vedere Giuda dare il bacio del tradimento. Avrebbe
preteso
che Antonio si lavasse a fondo quella guancia, prima di accomiatarsi di
nuovo
con lui.
«Lovino
ti ha tenuto buona compagnia?» si informò Antonio,
stringendo la presa sul bastone: quel bacio gli aveva disarmonizzato i
sensi, e
faceva quasi fatica a reggere l’impugnatura tra le mani.
«Ti ringrazio per
avermi sostituito, Lovino. Ora puoi andare.»
Il
giovane sarebbe stato ben felice di seguire il suo
comando, ma Nicolas gliene impose un altro:
«No,
fallo restare. Ha un’ottima retorica. Mi piacerebbe
molto scambiare due parole con entrambi.»
Antonio
arginò con enorme maestria il malessere per quella
proposta, e si sistemò con apparente noncuranza tra Lovino e
l’Inquisitore.
«Da
quanti anni non ci vedevamo, capitano?» rimembrò
con
finta nostalgia Nicolas, tornando a tormentare l’anello.
Antonio
fece scorrere le dita sull’elsa dorata del bastone,
ripercorrendo il tracciato dei flutti scolpiti. Lovino ebbe
l’impressione che
il padrone della locanda si fosse posizionato al centro di proposito
per
proteggerlo dallo sterminatore di blasfemi. E la risposta
dell’ex-capitano lo
confermò.
«Da
quando hai acceso i roghi nella mia città natale,
Nicolas.»
E tornano i pirati anche qui<3
Come già detto in Rosa de los Vientos... anche questa fic
era destinata a diventare un'originale. Ma il concorso ha deciso
diversamente ergo... eccola di nuovo qui<3
E devo dire di essere molto contenta di vederla online una seconda
volta<3 Mi è costato tanto toglierla, e sono felice
di rivedere Lovino, Antonio, Arthur, Diego, Consuelo... sì,
forse sono felice di rivedere perfino Nicolas XD
Spero che li apprezzerete di nuovo come la prima volta<3
E ancora grazie per avermi sostenuta durante la prima pubblicazione di
questa storia<3 I vostri commenti sono salvati con cura nel mio
computer<3
Grazie<3
Red
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Capitolo 2 *** Ave Maria ***
Ave Maria
La
notizia scottò sulla pelle come un tizzone ardente, e
Lovino faticò a restare fermo sulla sedia.
L’abitudine
l’aveva convinto che Antonio fosse nato nella
città in cui aveva avviato la sua locanda. Mai avrebbe
immaginato che
provenisse da un altro villaggio, per di più flagellato
dall’Inquisizione.
Nicolas
sfilò l’anello, lasciandolo penzolare
sull’ultima
falange.
«Vivevi
in una cittadina ammorbata dagli eretici» si
giustificò candido l’uomo. «Per quanto
drastica, era un’operazione necessaria. Soprattutto
per le anime di quei peccatori.»
«Sono
sicuro che vi avranno benedetto per la vostra premura,
mentre il rogo gli dilaniava le carni.»
Antonio
non aveva mai usato parole meno che gentili, in sua
presenza, le labbra perennemente curvate in un sorriso e la voce
impostata su
modulazioni calde e amichevoli come il sole spagnolo. Se non
l’avesse visto con
i propri occhi, non avrebbe mai creduto al distacco ghiacciato nelle
iridi
dell’uomo; se non l’avesse udito con le proprie
orecchie, non avrebbe mai
ipotizzato la lama del distacco nelle sue parole e il macigno del
rancore nella
sua gola. Strinse i pugni sulle ginocchia, sperando che
quell’interrogatorio
finisse presto: Antonio stava diventando la personificazione della
vendetta, e
quella sua trasformazione lo spaventava più delle
insinuazioni
dell’Inquisitore.
«Li
abbiamo salvati dalle fiamme eterne, che si sarebbero
cibate della loro anima, e non del loro corpo»
classificò Nicolas.
«Ammirevole»
si complimentò monocorde Antonio, stringendo la
presa sul bastone e parandosi ulteriormente davanti a Lovino.
«Hai intenzione
di innalzare qualche rogo salvifico anche qui?»
«Solo
se sarà necessaria una purificazione»
l’anello tornò
al suo posto, e Nicolas si accomodò tracotante sulla
poltrona. «Non possiamo dimenticare
la nostra missione contro le eresie, per quanto possa sembrare
spaventosa.
Satana non dorme mai.»
«Concordo»
asserì Antonio, fissando eloquente l’Inquisitore.
Nicolas
passò una mano tra i capelli in cui si mescolavano
castano e argento, lentamente, lasciando che un silenzio teso si
allungasse tra
di loro.
«Ma
non stasera. Sono venuto solo per farti visita»
garantì
infine. Studiò lo spazio circostante con attenzione e
dichiarò, teatrale: «Temo
che manchi una persona.»
Lovino
lo fissò senza capire, e la medesima confusione
passò
anche sul volto di Antonio.
«La
vostra amata» spiegò Nicolas. «Avete
spezzato il cuore a
molte fanciulle per quella donna. Ma non la vedo nella vostra
locanda.»
Il
pescatore si fissò le dita con vivo interesse. Un
miscuglio di emozioni gli stava agitando le viscere: l’acido
del tradimento gli
attaccava lo stomaco, e il rombo della rabbia gli echeggiava tra le
costole.
Non sapeva niente di quella presunta donna. Ma non voleva rischiare di
dire
qualcosa che potesse mettere Antonio nei guai, o di battere le palpebre
in modo
compromettente: un Inquisitore poteva accusare sulla base di un respiro
troppo
rumoroso. Doveva aspettare; avrebbe fatto la sua scenata non appena si
fossero
trovati da soli e lontani da orecchie indagatrici.
Le
sopracciglia dell’uomo scattarono nervose quando
compresero le trame dell’Inquisitore.
«Hai
mandato tu le due giovani di ieri sera»
l’irritazione
di Antonio, scacciata forzatamente dalla voce, migrò nelle
nocche, sbiancandole
completamente.
«Non
sono le uniche ad essere state rifiutate per questa
donna, presumo» Nicolas sorvolò la domanda con
insolente noncuranza. «La tua
prediletta è ormai una favola che gira per le
strade.»
«E
tu presti orecchio alle favole cittadine? Invidio il tuo
tempo libero: io sono così indaffarato con la gestione della
locanda che riesco
a malapena a respirare» replicò
l’ex-capitano.
«Ascoltare
le voci di popolo fa parte del mio lavoro. I
mormorii delle strade sono le confessioni del volgo: non hai idea di
quanta
verità possa nascondersi in esse. Ebbene?»
insistette l’Inquisitore.
La
mano di Antonio, ben nascosta dallo sguardo di Nicolas,
sfiorò appena la coscia di Lovino. Non comprese cosa volesse
comunicargli con
quell’accenno di carezza, ma il pescatore serrò le
labbra e contenne il
malcontento. Fu così che riuscì a controllare il
colpo che la successiva
affermazione dell’uomo gli assestò dritto nello
sterno.
«E’
vero, amo una donna. Ma la mia fede nuziale è in un
sepolcro. E’ morta anni fa» rivelò
Antonio.
Gli
occhi rapaci del cacciatore di blasfemie si dilatarono
in un’esagerata sorpresa.
«Davvero?
Le mie condoglianze, non intendevo mancarti di
rispetto» si scusò l’Inquisitore con
squisita falsità. Le dita predatorie si
appoggiarono sull’anello. «Immagino che le visite
alla sua tomba siano
frequenti…»
«Sarebbe
complicato. Si trova oltreoceano» si difese
Antonio.
«Oh…
era un’indigena?»
«Un’emigrata
spagnola. La sua famiglia si era trasferita
nella colonia.»
«Doveva
essere molto giovane, se l’hai conosciuta navigando.
Come può…»
«Malaria»
Antonio anticipò la domanda del rivale. «La febbre
l’ha portata al delirio e alla morte in poco più
di una settimana.»
Il
lontano rombo di un tuono suonò come una campana funebre.
«Deve
essere stato straziante» giudicò Nicolas, senza
dispiacere nella voce. «E per questo hai deciso di esserle
devoto fino alla
tomba?»
«I
motivi non dovrebbero interessarti, se davvero non vuoi
mancarmi di rispetto» lo riprese Antonio, visibilmente
seccato.
«Capisco.
Ti chiedo di perdonarmi» si schernì
l’altro. Si sporse
per oltrepassare con lo sguardo l’ex-capitano, e Lovino
percepì la lancia
gelida della paura scorrergli lungo la colonna vertebrale.
«E’
in memoria della tua dama che hai dato rifugio ad un
immigrato?» investigò l’Inquisitore,
fissando il pescatore. «Entrambi hanno
abbandonato la loro terra natia.»
«Sono
un buon pescatore. E’ per questo che lavoro qui.»
La
fronte di Nicolas si increspò al centro, come se avesse
sentito parlare una statua. Sebbene un po’ gracchiante, la
voce di Lovino era
uscita chiara e comprensibile.
Il
primo tuono fu seguito dal corteo dei suoi fratelli,
preannunciati da alcune scariche si lampi che abbagliarono i vetri
della
locanda.
«Sei
davvero generoso ad assumere un immigrato senza
referenze e senza famiglia» considerò, prima di
rivolgersi nuovamente a Lovino:
«So che siete orfano.»
«Sì»
convalidò. Non capiva perché si rivolgesse in
tono
tanto formale a lui, che era solo un pescatore, e parlasse con tanta
familiarità ad una leggenda dei mari come Antonio. Forse era
anche quella una
tattica per disorientarlo.
«Siete
molto devoto al vostro padrone, nevvero?» rimarcò
Nicolas, congiungendo le punte delle dita. «Avete rifiutato
l’occasione della
vostra vita per lavorare qui.»
«Prego?»
«Far
parte dell’equipaggio della Queen
of Pirates è il sogno di molti marinai. Eppure voi
avete
preferito rimanere qui» espose l’uomo, un ghigno
sardonico che si faceva strada
sulle labbra maligne.
«Ho
capito che la vita di mare non faceva per me»
spiegò
conciso Lovino.
Come
faceva quell’uomo a sapere anche quello?
Era una delle storie di cui parlava con più riserve, e
certamente non gli faceva piacere che un Inquisitore cercasse di
ritorcerla
contro di lui.
«Eppure
pescate ogni giorno» cercò di coglierlo in fallo
l’altro.
«Mi
bastano poche remate per pescare. È molto diverso
dall’imbarcarsi per mesi» Lovino quasi
ringhiò, nonostante le spalle abbassate
e le dita contratte.
«E
l’avete capito semplicemente salendo la
passerella?» lo
sfidò Nicolas.
«Sì,
signore. Se voi foste un marinaio, capireste»
attaccò a
sua volta il ragazzo. Il suo cuore era raggrinzito dalla paura, ma non
avrebbe
permesso a quell’uomo di rigirarlo secondo i propri capricci
come stava facendo
con il suo anello.
Uno
scroscio di pioggia si aggiunse allo spettacolo dei
lampi e dei tuoni, riempiendo tutto il cielo con le musiche della
tempesta.
Nicolas
si voltò a fissare una finestra sferzata dalle
intemperie, e decise fosse giunto il momento del commiato.
«Chiedo
scusa per avervi sottratto tanto tempo. Vi ringrazio
per la piacevole compagnia» salutò, dirigendosi
tranquillo verso la porta.
«Fai
attenzione ai fulmini» non vi era premura nelle parole
di Antonio, ma Nicolas le accolse comunque come la più
sentita delle
preoccupazioni.
«Fai
attenzione al tuo pescatore. Non lo farei uscire con una
simile bufera» l’Inquisitore scoccò la
sua ultima illazione prima di essere
inglobato dalla tormenta.
Per
un momento, il tempo smise di scorrere nella locanda:
solo la pioggia che batteva furiosa sui vetri indicava che il mondo non
si era
fossilizzato.
Il
primo a rompere quella quiete innaturale fu il cuoco.
«Stavo
per strozzarlo!» barrì, furibondo.
«Giuro, gli avrei
cavato quel sorrisetto con… dove vai, tu?»
esclamò, afferrando Lovino per il
colletto.
«Devo
andare a pesca» rispose brusco il ragazzo.
«A
quest’ora? Con questo tempo?» lo
rimproverò il cuoco,
rispedendolo indietro con le sue mani da galeotto. «Sono le
quattro di notte.
E, con questa pioggia maledetta, non penso ti convenga andare a
pescare.»
«Dovrei
passare la giornata a oziare?» s’inasprì
il giovane.
«Puoi
aiutarli con il servizio. Che non comincerà prima
delle cinque e mezzo, comunque» suggerì Antonio,
alzandosi dalla sedia.
Lovino
chinò sbrigativamente il capo e si diresse a passo
veloce verso la propria stanza.
«Quell’Inquisitore
l’ha innervosito parecchio» notò il
gigante, poggiando i pugni contro i fianchi rocciosi.
«No,
non è stato Nicolas. E’ arrabbiato con
me» sospirò
Antonio.
«Con
te?» si sbalordì l’omone.
Non
era molto difficile fare previsioni su Lovino. Era come
indovinare l’indole del cielo: determinati segnali
corrispondevano a precisi
cambiamenti umorali. Nicolas lo aveva spaventato, ma lui lo aveva
irritato. E
conosceva anche il motivo.
«Vado
a parlargli» il bastone si mosse con più fatica
del
solito mentre Antonio raggiungeva la stanza del ragazzo. Sperava che la
stagione delle piogge finisse presto e, con essa, le torture alla sua
gamba.
«Non
sapevo nulla di questo tuo grande amore» sparò
Lovino
non appena il compagno varcò la soglia.
Il
petto dell’uomo si rilassò
nell’esalazione di un profondo
sospiro: la sua intuizione si era rivelata corretta. Era stato il
discorso
sulla spagnola emigrata a indispettire Lovino, che ora se ne stava
seduto a
braccia conserte, appallottolato su se stesso come un riccio bellicoso.
Antonio
trascinò in avanti la gamba fino a sedersi a sua
volta sul letto. Come prevedibile, il giovane si spostò sul
lato opposto.
«Non
te ne ho parlato perché non esiste» il pescatore
storse
il capo per fissarlo con un cipiglio ostile, e l’uomo
rincarò: «Ho dovuto mentire.»
«Perché?»
volle sapere il ragazzo.
Antonio
passò una mano sul viso, pesantemente.
«Perché
l’Inquisizione considera sacrilego un rapporto come
il nostro» esalò.
Quell’affermazione
sciolse le spalle conserte di Lovino, e
ne moderò impercettibilmente la tensione.
«Perché
l’Inquisizione dovrebbe considerarlo sacrilego?»
domandò il giovane.
Antonio
inclinò la testa all’indietro per sciogliere i
muscoli del collo, indolenziti dal poco riposo.
«Pensano
che non sia nell’ordine naturale delle cose»
raddrizzò
la testa e continuò: «In Natura esistono uomini e
donne, quindi è logico che
gli uomini giacciano con le donne. Se la Natura avesse voluto
diversamente,
avrebbe creato solo uomini o solo donne. E poi, l’unione tra
uomo e donna
genera un figlio, quindi un futuro. Ed è innaturale che un
uomo si privi da
solo del proprio futuro, giusto?»
«Quindi
per loro non è logico che un uomo possa volere un
altro uomo» terminò Lovino.
«Non
solo non è logico, è un’offesa ai
più vincolanti
dettami della Natura» ribadì Antonio.
«Quindi, se un uomo sceglie di amare una
persona del suo stesso sesso, sta infrangendo una delle leggi
più sacre
dell’universo. E per commettere un simile peccato, che non
è proprio della sua
indole, vuol dire che è stato fuorviato.»
«Fuorviato?»
gli fece eco Lovino.
«Dal
diavolo. Solo Lucifero può convincere una persona a
commettere una tale blasfemia, secondo loro. Pertanto, il demonio va
estirpato.
E questo significa…» l’ex-capitano
deglutì, incapace di finire la frase.
«Purificazione»
sussurrò il giovane, appena udibile.
«Con
il fuoco» Antonio asserì, serrando le mani
all’impugnatura del bastone.
Il
materasso di paglia scricchiolò a seguito dello
spostamento di Lovino verso il compagno.
«Non
hai bisogno di parlarne» lo consolò rudemente.
Il
padrone della locanda impiegò qualche istante a
rispondere: dovette scuotere la memoria per cacciare dagli occhi
l’immagine di
una città carbonizzata dal sospetto, e segnata dalle nere
cicatrici dei roghi.
Attirò a sé il ragazzo con un brusco strattone e
respirò il profumo familiare
dei suoi capelli, scacciando dalle narici il puzzo di
quell’orrore ancora vivo
nei suoi ricordi.
«Te
ne parlerò» promise l’uomo,
carezzandogli le ciocche
sulla nuca. «Ma stasera… no.»
Lovino
annuì contro la sua clavicola, poi rimase immobile.
Le
sue labbra si piegarono poco dopo a formare una protesta
tremolante. La voce vacillò sotto il peso delle lacrime
trattenute, e lo stress
per lo spavento di poco prima trasmise un lieve tremore alle mani
chiuse a
pugno.
«Diceva
che ho sprecato la mia occasione. Ma cosa ne sa,
lui, di me?»
«Cerca
solo di confonderti. E’ uno specialista in questo»
tentò di tranquillizzarlo Antonio, inutilmente. Le spalle
del ragazzo quasi
sobbalzarono, e la testa venne chinata di scatto per non mostrare le
lacrime al
compagno.
«Detesto
che quella storia continui a saltare fuori. Ho
fatto la mia scelta, d’accordo? Un estraneo non
può venire a dirmi qual è
l’occasione della mia vita.»
«Lovino…»
Antonio lo costrinse ad alzare la testa con due
dita sotto il mento: Lovino fece resistenza il più possibile
e, quando si trovò
a volto scoperto, deviò lo sguardo verso il basso,
infuriato. Un’altra cosa che
detestava era come Antonio avesse la capacità di coglierlo
sempre nei suoi
momenti di maggiore debolezza: doveva essere disgustoso mentre frignava
come
una donnetta. Tuttavia l’ex-capitano non sembrò
nauseato nell’asciugargli le
lacrime con il pollice, e nemmeno quando baciò la scia
salata sulle guance.
«Non
permettergli di sconvolgerti così. E’ quello che
vuole»
mormorò sulla sua tempia.
Lovino
restò muto così a lungo che Antonio temette fosse
svenuto. Poi una domanda flebile, dal retrogusto amaro,
fuoriuscì dalle sue
labbra:
«Davvero
non c’è nessuna emigrata spagnola?»
L’uomo
sorrise sulla sua capigliatura ramata. Anche quegli
sbalzi di umore, quell’accatastare frasi sconnesse in un
unico discorso, erano
deliziosamente tipici del giovane pescatore.
«Lovino»
lo chiamò, sollevandogli il viso. «La mia
occasione
sei tu.»
Avrebbe
ripetuto quella frase un milione di volte solo per
gustare lo sbigottimento che si rovesciò sul volto del
ragazzo.
«Credevo
fosse il mare» articolò Lovino.
«Era»
catalogò brevemente l’altro.
Rimasero
così, abbracciati sul letto senza proferire verbo,
circondati dal rumore della tempesta e cullati dalla presenza del
compagno.
«E’
meglio che vada» decise Antonio, cercando il bastone per
alzarsi. «Tra poco cominceranno i preparativi per il
servizio, e abbiamo un
disperato bisogno di riposare…»
Le
dita incerte del giovane si strinsero sulla stoffa al
centro della schiena, bloccandolo.
«Ti
fa male la gamba. Non devi fare le scale. Dormi qui»
telegrafò, spostandosi per fargli spazio.
Antonio
fissò critico il giaciglio, e stette ad osservare le
manovre di Lovino per farli adagiare entrambi su un letto progettato
per
un’unica persona.
La
soluzione finale per il pescatore fu stendere
l’ex-capitano di schiena e sdraiarsi sul suo ventre.
«Sicuro
di stare comodo?» lo prese in giro Antonio,
circondandolo con un braccio perché non cadesse.
«No.
Le tue costole mi stanno pugnalando» rimbrottò
Lovino,
accucciandosi su di lui.
«Non
posso toglierle» fece notare il locandiere.
«Lo
so. Buonanotte» troncò il ragazzo.
Poggiò la testa sul
suo petto, ben acciambellato sull’addome del compagno, e
chiuse gli occhi nella
pretesa di dormire.
Mascherare
una gentilezza con il fiele. Anche quello era
Lovino, il suo Lovino.
Allargò
le dita sulla schiena del giovane, e le richiuse
stringendolo a sé. Serrò a sua volta le palpebre,
pronto a concedersi un po’ di
meritato riposo.
Per
quanto la bufera potesse essere spaventosa, per quella
notte era sicuro che la gamba non gli avrebbe fatto male.
***
Le
spine dell’agitazione tennero ben lontano il sonno,
facendola quasi ballare sul letto alla ricerca di una posizione
più comoda.
Alla
fine desistette, e si rialzò con un verso risentito.
Tentò di pettinare la chioma annodata dalla preoccupazione
con le mani, e aveva
ancora le dita infilate tra le ciocche crespe quando bussarono alla
porta.
«Non
riesci a dormire nemmeno tu, vero?» la salutò
Diego,
entrando nella stanza subito seguito da un burrascoso cuoco.
«Chiunque
abbia visto Nicolas non dormirà affatto, questa
notte» predisse la donna. Si sistemò uno scialle
sulle spalle perché non la si
accusasse di impudicizia: non era così libertina da
accogliere ben due uomini
nella sua camera vestita della sola camicia da notte.
«Quello
è un topo di fogna» sberciò
l’omone, emettendo un orribile
verso con il naso. «Sta alle costole di Antonio da quando ha
aperto questa
taverna!»
«Io
penso che l’abbia preso in antipatia da quando era
corsaro» osservò Diego.
«Il
successo ha come rovescio l’invidia altrui»
completò
Consuelo. «Oppure è arrabbiato con lui
perché gli è sfuggito la prima volta.
Avete sentito cosa ha detto Antonio del suo paese…»
Il
raccoglimento per il dolore del padrone della locanda li
zittì per un minuto intero.
«Ma,
finché era capitano, godeva della difesa del re. Ora
invece…»
il giovane cameriere venne sorpreso dalla sua immagine riflessa nello
specchio
di bronzo della donna: «Buon Dio, oggi i clienti avranno
l’impressione di
essere serviti da un morto vivente» si
raccapricciò, valutando l’estensione
delle occhiaie e il gonfiore delle palpebre.
«Ho
dei cosmetici, se vuoi rimediare» propose Consuelo.
«No,
grazie. Meglio affondare con dignità che sopravvivere
con infamia» dichiarò sicuro Diego.
«Io
non credo che il re sia del tutto indifferente alle
richieste di Antonio» echeggiò il cuoco, fermo
alla discussione di poc’anzi.
«Voglio dire, è stato uno dei suoi servitori
più fedeli. Nonché uno di quelli
che hanno ingrassato di più i forzieri reali.»
«Però
il re è lontano» Consuelo si strinse nello scialle
per
un brivido improvviso. «Se anche Antonio dovesse chiedere un
favore,
passerebbero intere settimane prima che il sovrano ne sia
informato.»
«Ma
è comunque una delle persone più benvolute di
questo
posto!» protestò l’omone.
«Sicuramente si ribellerebbero tutti se ad Antonio dovesse
succedere qualcosa!»
«Io
credo invece che starebbero zitti e quieti se
l’Inquisizione minacciasse di buttare anche loro sul
rogo» lo contraddisse
Diego.
Consuelo
giocherellò irrequieta con le nappine dello scialle
e bisbigliò:
«Non
ho paura solo per Antonio. Lovino è più indifeso,
più
vulnerabile… E’ una preda molto più
facile.»
«Ma
non può accusarlo di niente» confutò il
cameriere.
«E
quando mai questo ha fermato i fuochi
dell’Inquisizione?»
Gli
uomini si guardarono, pietrificati e inorriditi.
«Sarebbe
capace di fargli del male solo per vedere Antonio
soffrire» predicò mesta la donna.
«Forse
ci stiamo preoccupando troppo» Diego cercò di
risollevare il morale. «Voglio dire, prima li ho sentiti
parlare. Non gli hanno
dato motivo di sospettare, no?»
Consuelo
si strinse nelle spalle, senza più la forza di
aggiungere altro.
«E,
comunque, è ora di cominciare il nostro lavoro»
annunciò
il giovane, trascinando fuori dalla stanza il corpulento cuoco.
La
donna si alzò per seguire gli uomini ma, prima ancora di
alzarsi dal letto, gettò uno sguardo al soffitto e
mormorò una preghiera
rivolta a qualunque santo, angelo o divinità avesse voglia
di ascoltarla.
Che
la locanda potesse rimanere sempre come negli ultimi
mesi.
Che
gli artigli dell’Inquisizione non ghermissero la loro
pace.
E
che la felicità di Lovino e Antonio potesse essere
preservata.
Prega
per noi
peccatori
Adesso
e
nell’ora della nostra morte
Amen.
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Capitolo 3 *** Angelo di Dio ***
Angelo di Dio
Angelo
di Dio
Che
sei il mio
custode
Illumina,
custodisci, reggi e governa me
Che
ti fui affidato
dalla pietà celeste
Amen.
Il
letto divenne incandescente come una graticola mentre
Antonio bruciava nelle spire dell’incubo.
L’ex-capitano
si rigirò nel sonno, alla ricerca di un angolo
più fresco che potesse sciogliere l’illusione di
incenerirsi tra le fiamme. Non
lo trovò: il materasso era arroventato dal suo corpo teso, e
le lenzuola
inzuppate di sudore terrorizzato.
Dalla
cicatrice scaturì una scossa elettrica che gli fece
tremare tutte le membra, ricordandogli quanto fosse lontano
l’asilo del mare.
Il
sogno gli raschiò la schiena contro il legno duro di un
palo, e gli graffiò i polsi con la memoria delle corde. Il
puzzo dell’olio gli
ostruì le narici con la sua presenza viscosa, e
sentì le fascine di rami e
paglia scricchiolare sotto i piedi nudi.
L’umidità
ammorbava l’aria, e trascinò verso di lui il
commento di una delle guardie:
«È
fortunato: morirà soffocato più in fretta. Se il
legno
fosse stato più secco, avrebbe fatto meno fumo.»
Il
crepitio di una torcia fendette l’aria, ed un muro infuocato
si erse tutto intorno a lui.
E,
tra quelle lingue d’Inferno, si fece strada una mano
ornata di un grosso anello dorato. L’indice si protese verso
di lui, e le
fiamme tutto intorno intonarono un lamento: eresia.
Antonio
scattò a sedere con un balzo raggelato, gli occhi
sbarrati e la cicatrice impazzita.
Sfregò
rudemente la gamba per lenire il prurito, ma non vi
fu cenno di miglioramento, anzi: la vecchia lesione quasi esplose in
una febbre
pruriginosa, e Antonio resistette a stento all’impulso di
strapparsi la pelle
con le unghie.
Immobilizzò
la gamba, sperando di attenuare il dolore. Passò
una mano sul viso imperlato di sudore, attendendo che i brividi
abbandonassero
il suo corpo.
Aveva
consigliato Lovino di non farsi sconvolgere; avrebbe
fatto meglio a seguire la sua stessa raccomandazione.
Aveva
sperato che l’acqua di tutti gli oceani che aveva
solcato avesse soffocato e spento il ricordo di quel fuoco.
Evidentemente,
finché la sua memoria avesse continuato ad attecchire
così bene alle torce
dell’Inquisizione, quel tormento non sarebbe finito.
Restò
steso sul letto rovente, permettendo all’aria di
congelargli il sudore sul petto scoperto. Si rialzò con
estrema flemma, e si diresse
zoppicando verso la bacinella e la brocca in un angolo della stanza.
Avrebbe
dovuto lavarsi a fondo per rimuovere i segni di quella brutta
esperienza dal
suo corpo.
Per
una volta, vide come una benedizione l’assenza di Lovino
dalla sua stanza.
***
«Sei
sicura che non si noterà?»
«Assolutamente
sicura.»
«Quantifica
il tuo “assolutamente”.»
«Diego,
se non vuoi che ti metta questa roba in faccia,
dimmelo subito. Almeno mi farai risparmiare del tempo.»
«No,
voglio metterla. Ma non voglio che si noti.»
«Perché
ti scambierebbero per un effeminato?»
«Perché
mi scambierebbero per un uomo truccato.»
«Antonio
ci ha raccontato che gli uomini di molti popoli
oltreoceano si dipingono il volto e il corpo.»
«Sono
pitture di guerra, non trattamenti cosmetici.»
«Restano
comunque trucchi.»
«Ma…»
«Oh,
per la sacra misericordia della Dea del Mare!» irruppe
il cuoco, esasperato. «Diego, fatti mettere quella porcheria
in faccia oppure butta
le tue ossa fuori di qui!»
Il
muggito dell’omone pietrificò entrambi nella
posizione in
cui si trovavano: Diego appollaiato su uno sgabello come un pappagallo
in
divisa, e Consuelo con la mano tesa a brandire un pennello da trucco.
«Non
è una porcheria» s’inalberò
la donna. «Gli ingredienti
che la compongono sono ottimi.»
Il
rimbombo del cuoco fu coperto dallo sferragliare delle
stoviglie, appoggiate di peso sul tavolo da lavoro.
Diego
si posizionò di nuovo sul sedile. Le sue occhiaie
sembravano disegnate con il carbone, e aveva dovuto soccombere
all’evidenza:
aveva un disperato bisogno dell’aiuto della collega per non
terrorizzare tutti
i clienti.
«Procedi»
accordò, con la solennità di un martire pronto ad
immolarsi.
Il
pennello gli spolverò le palpebre per due volte, e la
terribile tortura ebbe termine.
«È
stato così tremendo?» lo rimproverò
Consuelo, rimettendo
a posto l’equipaggiamento e avviandosi verso la porta.
«Ho
temuto di morire» teatralizzò Diego.
«Allora
non hai spina dorsale.»
«Buongiorno
anche a te, Lovino» lo salutò arzillo il
cameriere. «Il sole splende, gli uccelli cinguettano e tu sei
di ottimo umore,
noto.»
«È
nuvoloso» franò il cuoco.
«E
non c’è proprio niente che cinguetta»
replicò la donna.
«Voi
ammazzate la poesia, ragazzi» si afflisse Diego. Il
giovane lo superò a testa bassa come un ariete per poi
spalancare la porta che
dava sul retro.
«Buona
pesca, Lovino.»
L’augurio
del cuoco non era ancora arrivato a destinazione
quando il peggior presagio di sventura si materializzò sulla
soglia della
cucina.
«Buongiorno.»
Credeva
che la prima volta fosse stata dirompente perché non
era abituato al potere raggelante di quella voce. Invece la seconda fu,
se
possibile, peggiore: la carica artica del tono
dell’Inquisitore sembrava
crescere di pari passo con l’innalzamento di barriere da
parte delle sue prede.
Più loro tentavano di difendersi, più lui
affinava le sue tecniche di caccia,
quasi fosse perversamente stimolato dalla sfida.
«Buongiorno»
ricambiò Lovino, trattenendo un brivido tra le
scapole.
«Siete
già operosi? Encomiabile» si
complimentò asciutto
Nicolas per poi rivolgersi solo al giovane: «State uscendo a
pescare?»
Il
ragazzo annuì meccanicamente.
«Allora
non vi dispiacerà se vi accompagno» quella del
predatore di innocenti non era una proposta, e nemmeno una richiesta di
consenso: stava imponendo la sua presenza con il dispotismo di chi sa
di non
poter essere rifiutato. «Non temete, non vi
disturberò durante il vostro
lavoro.»
Un
rasoio di sgradita sorpresa mozzò il respiro nelle gole
del resto del personale. Lovino compì un grosso sforzo su se
stesso per non
arretrare e nascondersi all’interno della locanda, al sicuro
da quegli occhi di
ghiaccio.
«Ovviamente.
Prego» rispose invece, sgusciando fuori dalla
porta.
Nicolas
si accostò come un’ombra di malaugurio a Lovino,
maestoso e terribile nel suo completo nero: le ombre della divisa sacra
parvero
strisciare verso il ragazzo per agguantarlo, e il pescatore fu
costretto a
scacciare l’idea stringendo i pugni nelle tasche dei
pantaloni.
Non
appena furono spariti alla vista, Consuelo sfrecciò a
tempestare la porta del padrone con i pugni.
«Antonio!»
irruppe, una volta entrata. «È terribile! Nicolas
è uscito con Lovino…»
Le
parole si sfracellarono contro la gola occlusa nel vedere
il colorito cadaverico dell’uomo: doveva essergli rimasta
un’unica goccia di
sangue in corpo, a giudicare dal pallore spettrale.
L’impressione che Antonio
fosse rimasto intrappolato nell’oltretomba fu rafforzata
dalla sua mancata
reazione. Di solito, bastava nominare il pescatore per accaparrarsi
istantaneamente l’attenzione dell’ex-capitano;
quella volta, invece, occorsero
alcuni interminabili istanti perché la vacuità si
ritirasse dalle iridi verdi e
permettesse all’uomo di focalizzarsi di nuovo sul mondo reale.
«Nicolas?»
scandì, rallentato dagli stralci dell’incubo e
dalla gravità della situazione. «Con
Lovino?»
«Cosa
possiamo fare?» acutizzò la donna, intricando i
capelli con le dita. «Lo torturerà con quella sua
lingua biforcuta!»
«Possiamo
solo sperare che Lovino sappia come rispondergli.»
Consuelo
ignorò la replica del locandiere, troppo fiacca e
arrendevole per essere uscita davvero dalle sue labbra. Antonio aveva
l’animo
di un leone, e il suo spirito ruggiva più forte quando si
trattava del giovane
pescatore; la donna pensò di essersi immaginata
quell’affermazione priva di
nerbo, e attese la reale risposta del padrone.
Le
finestre si intiepidirono sotto i raggi del sole mattutino,
e ancora il silenzio non era stato intaccato da una singola parola.
Consuelo
si voltò, l’incredulità che le
spalancava gli occhi
e le sollevava le sopracciglia. Pensò che anche gli occhi la
tradissero quando
vide la posizione debole in cui si era abbandonato l’uomo,
come un veterano
ormai stomacato dalla guerra e desideroso di riposo.
«Vuoi
lasciare tutto così?» le labbra incespicarono
sulle
parole troppo ricche di spavento, stupore e delusione per essere
sostenute. «Che
quell’Inquisitore lo torturi a suo piacere?» la
voce salì di un’ottava quando graffiò:
«Vuoi lasciare Lovino a Nicolas?»
«E’
ovvio che non lo voglio!»
L’improvviso
ruggito del leone la fece trasalire. Finalmente
riconosceva Antonio nella voce ardente e nei muscoli tesi, nonostante
le ombre
che aleggiavano nei suoi occhi e nella sua postura. Era il fantasma
dell’ardore
del locandiere, come se un drappo tenebroso fosse stato avvolto alla
sua usuale
passione.
Consuelo
si strinse nella veste, infastidita: da quando era
arrivato quell’Inquisitore, aveva riscoperto
un’intera gamma di timori fino ad
allora felicemente sconosciuti.
«Non
lo voglio» ripeté l’uomo, febbrilmente.
«Ma cosa
possiamo fare? Qualunque nostro intervento non farebbe che aumentare i
sospetti
di Nicolas, e, credimi, non è il caso di fornirgli altro
materiale.»
«Ma
allora cosa…»
«Aspettare»
la prevenne l’uomo con un sospiro esasperato. «E
pregare.»
La
cameriera si inchinò e uscì rapida dalla stanza.
Mentre
scendeva le scale, strinse il piccolo amuleto che
conservava nella tasca del grembiule: era una gemma color acquamarina
che le
onde avevano eroso formando una croce grossolana; sul braccio
più lungo, da
piccola aveva inciso poche parole con un chiodo arrugginito: buena suerte. L’unghia del
medio si
spezzò per la forza con cui la donna serrò le
dita attorno al sasso.
Esaminò
velocemente i danni riportati dal dito centrale:
l’unghia si era rotta nel mezzo, e dalla sua diga sbeccata un
fiumiciattolo di
sangue colava lento fino alla nocca. Avrebbe dovuto bendarlo prima di
servire i
clienti.
«Ti
prego, Dea del Mare. Hai salvato Antonio, anni fa…
questa volta salva Lovino» bisbigliò, con il cuore
più che con le labbra, per
timore che i muri potessero sussurrare all’Inquisizione le
sue invocazioni
pagane.
***
Lovino
cominciò a pensare che gli Inquisitori appiccassero
il fuoco ai roghi semplicemente con lo sguardo.
Non
riusciva a spiegarsi, altrimenti, perché gli occhi di
Nicolas bruciassero tanto sulla sua schiena. Tastò veloce il
tessuto della
camicia sulle scapole, aspettandosi di sentire sotto le dita dei fori
rotondi e
inceneriti, ma la sua veste si rivelò intatta. Dunque le
iridi dell’Inquisitore
scottavano senza bruciare.
Avrebbe
preferito comunque che non si fosse appostato alle
sue spalle mentre preparava la barca per andare a pesca: si sentiva a
disagio,
come se un enorme avvoltoio stesse planando sulla sua testa in attesa
di
potersi avventare sul suo cadavere. Anzi, come se un gigantesco lupo lo
stesse
puntando dal cuore di un bosco: quell’immagine si addiceva
certamente di più
agli occhi predatori dell’uomo che svettavano sopra il nero
dell’uniforme.
«Da
quanto siete in Spagna?»
Il
remo quasi gli scivolò di mano, e Lovino fu lesto a
riprendersi prima che rovinasse sulla sabbia. Aveva quasi ultimato i
preparativi, e aveva presunto che l’Inquisitore
l’avrebbe lasciato in pace. Non
si aspettava che iniziasse una conversazione proprio quando lui era sul
punto
di partire.
Appoggiò
il remo al suolo e si voltò verso il suo lugubre
interlocutore. Qualche mese prima si era verificata una situazione
simmetrica,
quando Arthur Kirkland lo aveva seguito sulla spiaggia per parlargli
dei
progetti di partenza della Queen of
Pirates. All’epoca, però, il sole aveva
conservato il calore dei suoi
raggi: ora, sebbene vedesse l’astro del mattino allungare le
sue dita su di
lui, non percepiva il minimo conforto; la sua pelle restò
congelata come se gli
scorresse nelle vene ghiaccio anziché sangue.
«Da
anni» rispose secco Lovino.
«Per
quale motivo avete lasciato la vostra patria natia?»
Nicolas attaccò la sua domanda sull’ultima sillaba
del pescatore, e non gli
permise di pensare ad una risposta perché seguitò
con i suoi malsani
ragionamenti: «L’Italia gode di un ottimo clima,
è ricca di opere d’arte, e,
non da ultimo, è un paese molto timorato di Dio»
l’anello d’oro sostò vicino
alle labbra e il respiro del cacciatore lo appannò nella
successiva illazione: «Non
riesco proprio ad immaginare perché lo abbiate abbandonato.
Vi disturbava il
clima? Vi era sgradita l’arte? O vi impauriva la
Chiesa?»
«Non
volevo restare nel luogo in cui erano morti i miei
genitori.»
«Ma
in questo modo disonorate vostro padre e vostra madre.»
Lovino
ebbe l’impulso di calcare di più il cappello sulla
testa, ma rinunciò quasi subito: non voleva che
l’Inquisitore lo accusasse di
nascondere il viso per mascherare le menzogne.
«Sono
morti in un modo orribile che non voglio ricordare»
arginò la questione il pescatore.
Il
ragazzo si incamminò sulla battigia fino a sentire le
onde accarezzargli i piedi e si inoltrò nello specchio
plumbeo del mare fino a
sentire la spuma a solleticargli le caviglie.
L’umidità atmosferica aveva
scurito l’acqua, e il colore cupo del cielo foriero di
pioggia trovava il suo
gemello nella tinta fosca del mare.
La
tempesta di qualche sera prima si attardava sulla Spagna,
ed era da giorni che una tediosa pioggerella sporadica annoiava la
città
marittima.
«La
loro morte vi ha sconvolto così tanto?»
Il
cuore di Lovino si scordò di battere per alcuni istanti.
Non
lo aveva sentito arrivare. Ad essere onesti, pensava che
gli Inquisitori riservassero alla loro divisa la stessa cura maniacale
con cui
rastrellavano le città, e che non avrebbero mai permesso
alla salsedine di corroderla.
Era per questo motivo, principalmente, che aveva mosso quei pochi passi
in
mare: si sentiva protetto dai flutti a lui cari e familiari.
Nicolas
lo aveva seguito perfino lì, nel suo rifugio,
incurante dell’acqua salata che gli turbinava attorno agli
stivali, per
sradicare anche la sua ultima illusione di protezione.
Le
maree distorcevano il riflesso del cacciatore, facendolo
apparire ancora più spaventoso: la sua immagine frammezzata
dalle onde dava
l’idea di un fantasma onnipresente, e Lovino distolse presto
lo sguardo.
«Sì.
E non ho piacere di ricordarla» ribadì, voltandosi
per
fronteggiarlo.
«Proprio
come Antonio non vuole ricordare la sua amata»
sibilò Nicolas. «Avete molte cose in
comune» considerò vago, uscendo dal
contorno ondoso del mare agitato.
Il
pescatore si tolse il cappello, giusto per occuparsi di
qualcosa che non fossero le risposte da fornire al predatore. Perfino
quel
semplice gesto procurò un nuovo pretesto
all’Inquisitore.
«Avete
dei riflessi rossi nei capelli» commentò felino,
rigirando l’anello. «All’interno della
locanda non si notavano.»
Il
copricapo venne appallottolato dalle mani irrigidite del
giovane; le rilassò poco dopo, memore che anche una
contrazione nervosa poteva
essere motivo di imputazione.
«Come
il rame, il metallo dei poveri. Me lo diceva sempre il
mio precedente padrone» minimizzò lui.
Uscì a sua volta dall’acqua, lasciando
dietro di sé una via di impronte bagnate.
Aveva
appena lanciato il cappello all’interno della barca
quando la sua schiena si impietrì come se avesse sentito un
serpente
scivolargli sulla spalla. Le dita sepolcrali dell’uomo gli
strisciarono tra i
capelli, attorcigliandogli la gola per la nausea. Non avevano niente in
comune
con il tocco rassicurante di Antonio; assomigliavano alla carezza di
una lama:
bastava muoversi un millimetro di troppo per essere feriti.
«Io
credo che assomiglino di più al fuoco» decise
Nicolas,
ritraendo la mano. «E avete la medesima scintilla negli
occhi. Nemmeno questo
si notava, nella locanda.»
Lovino
si trattenne a stento dal colpirlo con uno schiaffo.
Odiava il contatto fisico non richiesto; Antonio aveva perseverato a
lungo per
ottenere i suoi privilegi. E quell’uomo certamente non
avrebbe mai ottenuto gli
stessi diritti.
«So
che i vostri colleghi sono di liberi costumi, non è
così?» domandò all’improvviso
Nicolas.
Il
pescatore ponderò intensamente la risposta per non
sembrare falso e proteggere i suoi compagni allo stesso tempo.
«Non
sono libertini. Sono solo di mentalità aperta» li
difese.
«Aperta»
l’aggettivo si srotolò lento sulle labbra
insidiose
del cacciatore, apparendo improvvisamente sconveniente.
«Bisogna stare molto
attenti: da una porta spalancata possono entrare molte cose. Anche
cose…
sataniche.»
«Non
nella nostra locanda» lo dissuase Lovino.
«Potete
garantire che la vostra taverna sia intoccabile? Che
il diavolo non vi ha mai fatto visita?» insistette Nicolas.
«Posso
garantirlo» asserì l’altro, sicuro.
Il
sorriso che si stese sulle labbra del predatore lo fece
dubitare delle sue parole: Satana aveva fatto una visita alla locanda.
Era
entrato usando le gambe dell’Inquisitore, li aveva confusi
con la sua lingua e
li aveva terrorizzati con il suo ghigno.
Nicolas,
per quanto si ammantasse di pomposa santità, era la
persona più vicina all’Inferno che avesse mai
visto.
«Mi
ricorderò delle vostre parole» si
congedò l’uomo,
sinuoso e raffinato. «Vi auguro una buona giornata,
Lovino.»
Non
gli piacque sentire il suo nome nella bocca di
quell’uomo: era come se, pronunciandolo, riuscisse ad
infangargli l’anima. Fece
in modo che il suo disagio non gli si leggesse in volto, e
salutò come la
cortesia richiedeva.
Nicolas
attese di essere sufficientemente lontano, e si
voltò solo quando fu sicuro che il pescatore fosse troppo
impegnato con le sue
manovre attorno alla barca per voltarsi nella sua direzione.
Il
fuoco dei sabba ardeva nei suoi capelli e nei suoi occhi,
era chiaro come la Parola di Legge scritta nel Libro Sacro.
Quel
ragazzo era chiaramente uno degli adepti del Maligno.
Ne aveva avuto conferma quando aveva sfiorato quelle ciocche
sacrileghe: una
scarica elettrica gli aveva attraversato l’intero braccio e
lo aveva colpito al
cuore, in un attacco mortale. L’avrebbe certamente ucciso con
la sua malia se
la sua fede incrollabile non lo avesse protetto.
E
se aveva un simile ascendente su di lui, un irreprensibile
uomo di Chiesa, poteva ben immaginare cosa sarebbe stato in grado di
scatenare
nelle menti della plebe. O di uno scellerato capitano dal passato fin
troppo
avventuroso per un uomo d’onore.
Disordine,
caos, perdizione. Non poteva permettere che un
simile scompiglio sconvolgesse le zone sotto la sua austera protezione.
Quel
morbo andava estirpato. O dominato.
E
aveva il potere di fare entrambe le cose.
Girò
di nuovo l’anello, sadico e deliziato.
Sarebbe
stato un vero piacere gustarsi di nuovo il volto
disperato dell’ex-corsaro
***
Antonio
fu impeccabile, quel giorno.
Nonostante
il timore che Nicolas potesse torturare
psicologicamente Lovino fosse sempre presente, accucciato nelle sue
viscere ad
artigliarli lo stomaco, trascorse la giornata come se nulla fosse
accaduto,
sorridendo ai clienti e dirigendo la locanda come aveva sempre fatto.
Riuscì
perfino a non tradirsi sciogliendo la tensione del
viso quando vide il ragazzo spuntare dalla cucina, solo e integro, e
dirigersi
verso la sua stanza.
Anche
Diego fu encomiabile: non fece domande quando Antonio
gli chiese di sostituirlo, sebbene avesse intuito benissimo cosa si
nascondesse
dietro la barcollante scusa arrangiata dall’ex-capitano per
non insospettire
gli avventori.
La
facciata di compostezza crollò non appena la porta della
stanza li isolò dal resto del mondo. Lovino quasi non
capì cosa fosse successo:
all’improvviso si trovò a respirare sulla camicia
dell’uomo, la schiena
pressata da due mani forzute e il rumore secco del bastone da passeggio
che
cadeva a terra.
Una
sottilissima eco a livello della nuca protestò per
quelle effusioni smodate, e gli ordinò di ribellarsi; ma una
voce più imperiosa
e tonante mise a zittire la prima: Nicolas lo aveva torturato con le
sue parole
la mattina e con il ricordo della sua malvagità per tutto il
resto del giorno;
aveva diritto di godersi l’esuberante ma sincero calore di
chi lo amava.
«Non
respiro» brontolò, giusto per mantenere viva la
tradizione della sua testardaggine.
«Io
respiro solo ora» Antonio rilasciò finalmente
l’ansia
accumulata in quella giornata infernale, e cinse con maggior vigore il
giovane.
«Ho trattenuto il fiato tutto il giorno.»
«Esagerato»
lo svilì Lovino. Ma allacciò le braccia attorno
al busto dell’amante.
«No.»
Gli
orrori del passato e i timori del futuro si scontrarono
in quella negazione così assoluta da sembrare scolpita nella
pietra. I palmi
dell’uomo scivolarono ad abbracciare le spalle del giovane, e
lo distanziò da
sé il minimo sufficiente per ammonirlo: «Se
sapessi di cosa è capace
l’Inquisizione…»
L’uomo
lo strinse di nuovo al petto, e Lovino percepì una
forza nuova nel suo abbraccio: era l’energia di un naufrago
che si aggrappa
all’ultimo relitto della nave, era la determinazione di uno
scoglio che resiste
al maremoto.
«Questa
sera» sussurrò sulle ciocche ramate poco sopra
l’orecchio. «Questa sera te lo
racconterò.»
Le
labbra dell’uomo impressero un bacio sulla zazzera
indomabile, e poco dopo l’ex-corsaro fu nuovamente fuori
dalla stanza,
assimilato dal festoso caos della locanda.
Lovino
assecondò l’urgenza di buttarsi sul letto. Aveva
sostenuto
un incontro ravvicinato con un cacciatore di streghe, e quella sera
avrebbe
dovuto affrontare il peso delle malefatte passate
dell’Inquisizione.
Aveva
bisogno di un po’ di riposo, per affrontare tutto
ciò.
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Capitolo 4 *** Padre Nostro ***
Padre Nostro
«Diego,
abbassa la voce.»
Il
cameriere lanciò un’occhiata furente al salone:
c’era
solo un ragazzetto rinsecchito gettato su una delle poltrone.
I
pochi clienti rimasti si erano già ritirati nelle proprie
stanze: quel pomeriggio si era verificato un vero e proprio esodo di
gente in
partenza. Non era stato difficile intuire il motivo di quei commiati
affrettati:
nessuno desiderava soggiornare in una locanda bersagliata
dall’Inquisizione.
Ma
non era il minore afflusso di frequentatori ad aver fatto
tanto imbestialire Diego.
«Non
capisco perché frugano negli affari delle persone
comuni» sibilò, furioso. «Se davvero
vogliono trovare il Diavolo, non
dovrebbero cercarlo nelle taverne. Dovrebbero fare delle belle retate
dei
nobili che hanno votato per l’entrata in guerra, o dei
benpensanti che hanno
invocato la razzia degli infedeli…»
«Diego!»
Consuelo lo zittì tappandogli la bocca con la mano,
e si guardò attorno apprensiva: l’unico
ascoltatore, il ragazzetto striminzito,
non diede cenno di aver sentito. Osservò svogliato la
propria camicia,
sbadigliando annoiato. Si rialzò dalla poltrona solo qualche
secondo dopo, e
uscì a prendere una boccata di aria fresca.
«Modera
le parole» s’inquietò la donna.
«Non lo sai che
anche i muri hanno le orecchie?»
«So
che l’uomo è stato dotato di una bocca per usarla
nel
parlare» brontolò Diego.
«E
gli sono state date delle mani per bloccare la bocca
altrui quando straparla.»
Avrebbe
sorriso per la replica della cameriera, se i suoi
occhi lucidi di terrore non l’avessero trafitto allo sterno.
«Esistono
ancora donne sagge per frenare gli uomini
irrequieti, dunque» si complimentò Diego. Alcune
ciocche corvine e arruffate
scorsero tra le sue dita gentili mentre proseguiva: «Credevo
fossero state
strozzate dai corsetti e annegate nel profumo.»
«Io
non porto il corsetto» dichiarò Consuelo,
orgogliosa
delle sue forme generose.
«Lo
so» asserì l’altro. «E spero
che non cambierai mai.»
Le
diede solo il tempo di arrossire ma non di ribattere,
perché scivolò veloce alla finestra.
Antonio
e Lovino erano spariti nella camera del pescatore
poco prima.
Sperava
che le tenebre fossero più clementi con loro di
quanto non lo fosse stato il giorno.
***
La camera di
Lovino
era la più esterna tra quelle riservate al personale.
Il
giovane l’aveva scelta perché, aprendo la
finestra, era
possibile udire in lontananza il tenue ululato del mare: bastava un
piccolo
sforzo di fantasia per immaginare di essere steso su uno scoglio
anziché su un
letto, con l’oceano che pulsava di vita tutto attorno,
spumeggiante e
movimentato.
Nonostante
questo, non riuscì a capire la richiesta
dell’ex-capitano:
non appena entrato, domandò di aprire la persiana. Entrambi
avrebbero potuto
vivere con l’acqua oceanica al posto del sangue, tanto era
sconfinato il loro
amore per il mare, ma quella era una situazione di emergenza: chiunque
poteva
udire i mormorii della notte e riferirli ai falchi della Chiesa. Meglio
privarsi della voce delle onde anziché finire i propri
giorni su una pira
ardente.
Una
solida logica avvallava il ragionamento del pescatore,
ma Antonio fu irremovibile: più testardo dei tori da
corrida, andò lui stesso
ad aprire la finestra.
Lovino
dovette riconoscere che, in fondo, non fu un’idea
così pessima: l’ex-corsaro sembrò
tornare alla vita. Il pescatore si rese conto
di quanto l’uomo fosse diventato la tomba della sua stessa
vitalità solo quando
vide le sue guance riprendere colore: era come se
l’Inquisizione gli avesse
risucchiato le energie, e il mare gliele stesse restituendo
generosamente ad
ogni nuova onda.
Antonio
inspirò a fondo l’aria pregna del profumo
salmastro
a lui così caro, e richiuse le imposte solo dopo che i
respiri di oceano ebbero
scacciato anche l’ultima nota del fetore della paura.
Lovino
protestò vigorosamente quando il compagno chiuse
completamente gli scuri: all’improvviso gli odori del mare, i
colori della luna
e le sensazioni del vento rimasero sigillate all’esterno, e
il mondo racchiuso
in quella stanza divenne inaspettatamente immobile.
«Lovino.»
Veicolata
dal buio, la voce dell’uomo apparve ancora più
instabile di quanto non fosse, come un ramo sul punto di spezzarsi.
«Non
voglio che tu mi veda in viso mentre ti racconto cosa
avvenne tanti anni fa.»
«Avresti
potuto chiedermi un parere» brontolò il ragazzo,
più sostenuto del solito per riempire quell’odioso
vuoto che si diramava
intorno a lui.
«Per
favore.»
Lovino
riconobbe il comando camuffato da preghiera di
cortesia, e non allungò ulteriormente le sue proteste.
Continuò però a ruminare
obiezioni in silenzio, mentre cercava a tentoni il letto. Trovato, vi
si sedette
sopra e poco dopo il materasso si piegò sotto il peso di un
secondo ospite.
Il
giovane pazientò a lungo prima di parlare di nuovo;
quando pose la sua domanda, i suoi occhi si erano sufficientemente
abituati al
buio da permettergli di distinguere la fumosa sagoma del volto
dell’ex-corsaro.
«Cosa
è successo la prima volta che hai conosciuto
Nicolas?»
La
stoffa della camicia e della giacca ricamata frusciarono
all’unisono nel movimento del braccio; Antonio aveva passato
la mano sul viso.
«Non
era ancora un Inquisitore potente come adesso. E io non
ero nemmeno un mozzo» cominciò, la voce sofferente
ma più ferma di prima, come
se il dolore le donasse più forza del timore.
La
paglia del materasso scricchiolò quando Lovino si
agitò
su di esso: per lui, l’ansia era una sedia di tizzoni ardenti.
«Cosa
è successo?» insistette, mondando la replica
più
brusca che gli era sorta sulle labbra. Anche se per lui tutte quelle
pause
erano snervanti, per Antonio doveva essere infinitamente più
penoso andare a
dissotterrare gli scheletri dal sepolcro delle memorie sgradite. Lovino
era una
testa calda, ma non al punto da dimenticare completamente il rispetto
per gli
altri.
«Abitavamo
nello stesso quartiere» il bastone dell’uomo
batté un colpo tra una frase e l’altra.
«Avevamo entrambi le idee molto chiare
sul nostro futuro: io sognavo galeoni, lui incensi e
preghiere.»
Lovino
acutizzò la vista fin quasi a lacrimare, ma non
servì
a molto: le tenebre continuarono ad imbavagliare il volto del
locandiere,
impedendogli di scorgerne l’espressione.
«Poi
un giorno arrivarono gli Inquisitori. E la nostra città
cominciò a bruciare.»
Le
parole caddero come pugnali, una dopo l’altra
squarciarono le ombre circostanti, lasciando una fosca eco dietro di
sé.
Uno
spillo di luce scintillò sugli occhi dell’uomo per
un
attimo, prima che una manica lo portasse via. Lovino sentì
qualcosa di freddo e
poderoso serrargli le interiora con una morsa: sebbene la visione fosse
stata
istantanea, il pescatore era certo che si trattasse di una lacrima.
Avvicinò
la mano al compagno ma non lo toccò, per
comunicargli vicinanza senza essere troppo sdolcinato. Antonio lo tolse
dalla
griglia del tentennamento poggiando il proprio palmo sulle nocche del
ragazzo. Lovino
tremò, ma resistette all’impulso di
ritrarre le dita: la mano dell’ex-capitano era fredda come il
mare del Nord.
«Avevo
forse tredici anni, allora. Nicolas era più grande di
me, aveva già pronunciato i suoi voti di fedeltà
nell’abbazia più vicina.
Avrebbe potuto restare in seminario ed estraniarsi da quelle
atrocità…» Antonio
dovette prendere fiato come faceva in passato prima di premere il
grilletto
dell’archibugio. «Invece si sporcò le
mani nel massacro della nostra
cittadina.»
Un
angolo della bocca del pescatore si tirò per la
repulsione; “sporcare” non era il termine adatto,
sembrava che l’Inquisitore di
fosse insozzato accidentalmente con quelle barbarie. A suo avviso, era
più
corretto dire che si era lavato le mani in quel bagno di sangue e si
era
assuefatto alla sensazione della linfa vitale sulla pelle. Un brivido
gli
accapponò i capelli sulla nuca, nello stesso punto in cui
erano stati sfiorati
dalle dita insanguinate del predatore.
«La
mia famiglia fu la prima che accusò.»
La
mano dell’uomo si serrò attorno alla sua, gelida,
senza
riuscire ad assorbire il calore di quella del ragazzo. Lovino strinse
di
rimando, condividendo con la presa quello che non riusciva a tradurre a
parole.
«I
miei genitori erano mercanti. Viaggiavano in
continuazione, e penso di essermi innamorato del mare grazie ai loro
racconti»
nemmeno il buio riuscì a nascondere del tutto il sorriso di
Antonio, che
baluginò pallido per un istante prima di rimpiccolirsi.
«Quando mia madre
rimase incinta di me, decisero di stabilirsi in Spagna e di relegare ai
loro
sottoposti l’onere e il piacere del viaggio: aprirono una
bottega dove
confluivano i migliori commercianti dei dintorni con le loro merci. In
questo
modo, potevano farsi raccontare da loro i cambiamenti del mondo mentre
gestivano sereni la vita famigliare» gli occhi lampeggiarono
mansueti e tristi
assieme al secondo sorriso, che il compagno indirizzò a lui.
«In un certo
senso, ho ripercorso le loro orme: quando non ho più potuto
solcare le onde, ho
aperto un’attività che mi permettesse di parlare
con chi ancora conversava con
il mare.»
«Tu
non eri incinta» fu l’unica cosa che Lovino
riuscì ad
estrarre dalla sua gola essiccata.
«No,
ma ho avuto fortuna» asserì morbido
l’uomo,
carezzandogli le nocche con il pollice. Il pescatore ritrovò
in quel contatto
un barlume del solito Antonio: le sue dita avevano finalmente
cominciato a
scaldarsi.
«I
viaggi precedenti e l’attività successiva avevano
permesso alla mia famiglia di guadagnare un discreto tesoro»
continuò il
locandiere, con disperata determinazione, come se ogni secondo potesse
toglierli
il coraggio di parlare. «Credo che il nostro patrimonio fosse
il vero scopo
degli Inquisitori: la città in cui abitavamo non era una
delle più fiorenti di
Spagna, ma questo non aveva impedito alla mia famiglia di prosperare.
Ovviamente, non ci imprigionarono perché eravamo
ricchi» la voce fuoriuscì in
un sospiro squassato dai ricordi, e l’uomo fu costretto a
deglutire per
recuperare il timone delle sue corde vocali.
«L’accusa ufficiale, annotata nei
registri clericali, era la nostra fede pagana.»
«Eravate
pagani?» domandò Lovino, la voce linda da
qualunque
pregiudizio: era solo un’informazione. A parer suo, ciascun
individuo aveva il
diritto di decidere spontaneamente a quale divinità votarsi;
se era vero che
nell’ultimo giorno ognuno sarebbe stato giudicato
singolarmente, cosa importava
agli altri delle colpe e dei meriti con cui il singolo si presentava al
processo finale?
«I
miei avevano attraversato molti paesi, ed erano venuti a
contatto con moltissime culture e credenze» spiegò
Antonio, un pesante manto di
nostalgia ad intorpidirgli la voce. Il giovane gli si fece appena
più vicino:
sarebbe stato più facile sopportarne la pressione se quel
mantello di tristezza
fosse ricaduto anche sulle sue spalle. «Troppe per credere
ciecamente in una
sola di esse. Mi dicevano sempre: “Se avrai cura del prossimo
e non seminerai
dolore sul tuo cammino, qualunque dio sarà fiero di
ammetterti nel suo
Paradiso, o nel Nirvana, o nei campi elisi”.»
La
mano di Lovino fu improvvisamente nuda quando quella di
Antonio la abbandonò per andare ad appollaiarsi
sull’elsa del bastone. L’uomo
non voleva che i suoi sentimenti trapelassero, e perfino la pelle
poteva essere
un canale pericoloso.
«Nicolas
era a conoscenza delle credenze della mia
famiglia.»
«Ne
era a conoscenza?»
«Era
uno dei miei amici più fidati,
all’epoca.»
Lovino
si toccò istintivamente il collo: gli era parso che
una ghigliottina fosse calata a recidergli la testa nel momento in cui
le
parole dell’ex-corsaro avevano raggiunto le sue orecchie.
«Prima
che si facesse accecare dalla sua missione»
specificò
crudele il compagno.
«Ti
ha tradito?» l’indignazione e la furia cieca
ridussero
la sua voce ad un filo aguzzo, come un fabbro che affina la lama per
renderla
più tagliente. Chi voltava le spalle ai propri amici in un
modo così spregevole
meritava davvero la pena del rogo.
«È
stato sufficiente riferire ai suoi superiori quanto
sapeva della mia famiglia. E guidarli a casa nostra. In una prospettiva
distorta, ha fatto solo il suo dovere.»
Un
maremoto di rabbia bollente scosse da capo a piedi il
giovane, e Lovino conficcò le unghie nei palmi per non
scattare in piedi e
urlare tutto quello che pensava dell’Inquisizione in generale
e di quel
cacciatore in particolare. Avrebbero sentito le sue grida perfino in
Italia, e
non voleva fornire a Nicolas una prova tangente della sua blasfemia.
«Era
chiaro che nella mia famiglia fosse nascosto un demone.
Occorreva solo capire chi, di noi tre, fosse il tramite con
l’Inferno. Per
questo mio padre e mia madre furono sottoposti all’ordalia
germanica.»
Antonio
attese una reazione vistosa come le precedenti,
eclatante nonostante il buio, ma la completa immobilità del
ragazzo gli fece
intuire di dover essere più esemplificativo.
«Il
giudizio divino» espose. «Scelsero la prova
dell’acqua
fredda: sarebbero stati immersi in un pozzo. Il diavolo li avrebbe
fatti
sopravvivere se fossero stati davvero suoi accoliti; la morte invece
avrebbe
sottolineato la loro estraneità ai peccati» un
lungo silenzio si allungò sulle
labbra dell’uomo; le parole scottavano come braci ardenti,
eppure non riusciva
a liberarsi dal loro flagello. Fu con enorme sforzo che
terminò: «Annegarono e
furono dichiarati innocenti.»
Non
vi fu bisogno di aggiungere altro per avvertire
un’ondata di solidarietà reciproca: entrambi
conoscevano il ripido sentiero che
si apriva davanti a chi restava solo al mondo, entrambi sapevano quanto
fosse
difficile inerpicarsi su di esso ed entrambi erano consci che non
avrebbero mai
smesso di percorrerlo. Era una ferita che sarebbe rimasta aperta tutta
la vita:
in alcuni momenti avrebbe fatto meno male, in altri li avrebbe fatti
soffrire
come il primo giorno, ma sarebbe rimasta sempre lì, i lembi
mai rimarginati.
Non
occorreva parlare per sentire la piaga del compagno
sanguinare.
«Restavo
solo io» continuò Antonio. «E fui
dichiarato
colpevole.»
«Ma
sei riuscito a scappare» Lovino cercò di tamponare
in
qualche modo il dolore che i ricordi dell’amante trasudavano.
L’oscurità
si agitò quando l’uomo scosse la testa in cenno
di diniego.
«Sono
arrivato sul rogo. Nicolas era assieme ai giudici che
avrebbero presenziato alla sentenza.»
Le
iridi ramate si incupirono di confusione, sparendo del
tutto nell’oscurità.
«Quella
volta, durante la tempesta, ho visto il volto della
Dea del Mare» narrò Antonio, alludendo al giorno
in cui, tra i flutti
burrascosi, aveva scorto i lineamenti ineffabili della
divinità dei flutti. «Ma
non era la prima volta che quella dolce signora si
manifestava.»
Lovino
si agitò ancora di più sul letto, e Antonio non
interpose altro tempo allo svelamento del mistero:
«Il
cielo era gonfio di nuvole, e l’aria carica di
umidità.
Le guardie dissero che ero fortunato, che il fumo mi avrebbe soffocato
prima
che il fuoco potesse toccarmi. Sembra atroce, ma allora quella notizia
mi parve
quasi una benedizione» rimembrò amaro
l’uomo: l’incubo di quella notte e le
memorie di anni prima passarono come uno stiletto spettrale sulla sua
schiena,
irrigidendogli i muscoli. «Appiccarono il fuoco. Sarebbero
stati sufficienti
pochi minuti per farmi morire.»
Il
pescatore passò la lingua sul palato arido, in
febbricitante attesa del finale della storia.
«Al
cielo bastò un minuto per salvarmi. Il fuoco aveva
appena cominciato a mangiare la paglia quando le nuvole si aprirono.
Non era la
solita pioggerella debole di inizio estate: sembrava che la volta
celeste si
fosse spezzata, e che dal suo cratere fosse fuoriuscita tutta
l’acqua
accumulata dall’inizio dei tempi. Una pioggia così
torrenziale che era
impossibile vedere a più di un palmo. Il fuoco appena nato
non poté fare nulla
contro quella forza della natura, e si smorzò
immediatamente. Per un attimo ho
temuto che sarei affogato come i miei genitori, ma la burrasca di
allontanò
dopo qualche minuto, improvvisa come era giunta.»
Sentì
il respiro ruzzolare fuori dalla sua bocca, e solo
allora Lovino comprese di aver trattenuto il fiato per tutto quel
tempo. Era
ovvio che la storia si fosse conclusa bene, per quanto possibile, visto
che
Antonio era lì di fianco a lui, vivo e respirante; ma
l’angoscia lo aveva
catturato prima ancora che se ne rendesse conto, e lo aveva tenuto
prigioniero
per tutto quel tempo.
«C’era
un vescovo, come giudice di fede» corse Antonio,
desideroso di arrivare quanto prima alla fine di quella vicenda.
«Sostenne che
la pioggia fosse stata mandata dall’Altissimo per evitare che
fosse giustiziato
un innocente. Alcuni, tra cui sospetto ci fosse anche Nicolas,
dichiararono che
era invece opera del maligno che voleva proteggere un suo servo, ma il
vescovo
fu irremovibile: la pioggia veniva dal cielo, la dimora degli angeli e
dei
santi, e non poteva che essere un segnale divino. Non gli rivolsi
nemmeno una
parola, quando mi liberarono; in un certo senso, era come se fossi
morto
davvero: ero divenuto all’improvviso cieco, sordo e
insensibile al mondo» l’ex-corsaro
non approfondì oltre la descrizione di quei momenti e
concluse sbrigativo: «Non
appena mi slegarono, corsi verso il porto e mi imbarcai sulla prima
nave
disponibile. Il resto lo sai.»
Lovino
annuì, silenzioso. Ora capiva perché Antonio
avesse
tanto insistito per sentire il mare, prima di cominciare a parlare: era
un
omaggio alla Dea che lo aveva salvato, e un balsamo per il suo animo
straziato.
Per quanto l’Inquisizione potesse essere spaventosa,
l’oceano avrebbe sempre
frapposto un esercito di onde e maree contro i nemici
dell’ex-capitano, e per
quanto i fuochi dei cacciatori potessero divorare la terra, non
avrebbero mai
potuto insidiare l’impero dell’acqua. Il mare
sapeva come difendere i suoi
eletti.
Antonio
non gli lasciò il tempo di esprimere cordoglio o
comprensione; sbriciolò il silenzio con una domanda a
bruciapelo:
«Ora
voglio che tu sia sincero con me, Lovino. Nicolas ti ha
fatto qualcosa?»
Il
giovane non avrebbe potuto difendere la propria
innocenza, non dopo essere praticamente saltato sopra il letto per la
sgradita
sorpresa.
«Mi
ha interrogato» tagliò corto lui.
Nonostante
l’oscurità, sentì gli occhi verdi
affiggersi su
di lui con garbato sospetto. Lovino ringhiò a labbra strette
quando fu
costretto a riconoscere che il suo compagno meritava la sua
onestà; gli aveva
dato prova di fiducia totale, raccontandogli la sezione più
tragica del suo
passato.
«E
mi ha toccato. Sulla nuca» sbuffò.
Sobbalzò
di nuovo, ma fu un’emozione diversa a irrorargli le
vene quando le dita dell’uomo gli dipanarono le ciocche alla
base del collo.
«Qui?»
mormorò Antonio.
«La
nuca è quella, non ti puoi sbagliare»
grugnì Lovino,
scuotendo svogliatamente la testa. Si arrestò poco dopo per
non colpire il
compagno al viso: Antonio avvicinò le labbra alla chioma
ramata, detergendo con
un bacio i capelli ancora impregnati del tocco sacrilego.
«Mi
dispiace che tu abbia dovuto subire il suo attacco»
sussurrò affranto.
«Ti dispiace?»
sbottò Lovino.
Nel
buio fu ancora più difficile distinguere i movimenti
convulsi del ragazzo: una stretta iraconda gli strozzò il
colletto, e il peso
del giovane gli crollò addosso costringendolo ad una strana
posizione obliqua,
incastrato malamente tra il muro e il materasso.
«Di
cosa ti dispiace, brutto…» qualunque insulto il
pescatore avesse intenzione di propinargli lo ingoiò seduta
stante e cambiò:
«Mi ha fatto qualche domanda, e allora? Credi che sia
così debole da morire per
questo? Sei un…» Lovino ingollò anche
il secondo oltraggio. Tutte quelle
infamie ingurgitate non giovarono alla sua voce, che uscì
annacquata e
affaticata: «Tu invece… Ti hanno strappato tutto!
E sei scampato alla morte per
un pelo! Sei tu quello che dovrebbe
essere consolato! Lo vuoi capire o no quando è il momento di
chiedere scusa e
quando invece dovresti stare zitto e lasciare che siano gli altri a
dire
qualcosa?»
Il
bastone rotolò a terra; all’ex-capitano
occorrevano
entrambe le mani per cingere le scapole del giovane. Nonostante la
posizione
assurda e precaria, Antonio riuscì a sembrare serio nel
domandare:
«Ti
ascolto. Cosa vuoi dirmi?»
Fu
grato alla notte, poiché si fece da parte il tempo
necessario a regalargli lo spettacolo del volto del ragazzo. Gli occhi
ramati
ribollivano di rabbia e luccicavano di lacrime, le labbra erano morse
con
rancore e tristezza, e il mento tremava per le scosse
dell’ira e per i fremiti
della compassione.
«Verrei
censurato se ti dicessi cosa penso dell’Inquisizione
e di quello che ti ha fatto» rimbrottò il ragazzo,
scollandosi i veli di
lacrime dagli occhi con poderosi sfregamenti di manica.
Antonio
sorrise, falciando l’oscurità. Qualunque dono
provenisse dal pescatore, fosse una lacrima, una risata o
un’ingiuria, aveva il
potere di mutare drasticamente il suo umore.
«C’è
qualcosa che puoi dirmi senza essere censurato?»
La
testa del ragazzo si schiantò senza nerbi sulla sua
spalla; la bocca del giovane si mosse confusamente sull’osso,
farfugliando
qualcosa di incomprensibile.
«Cosa
hai detto?» chiese Antonio, smarrito.
«Hai
capito benissimo!» scattò Lovino, rialzando la
testa di
botto: se l’uomo non avesse voltato il viso con uno scatto
felino, gli avrebbe
spaccato il setto nasale.
«Ti
giuro che non ho sentito» si discolpò
l’altro.
Nemmeno
l’ombra della stanza poté soffocare lo sguardo
inceneritore che il ragazzo gli scoccò mentre scandiva:
«Puoi
restare qui, per questa notte. Sei troppo scosso per
riuscire a stare da solo.»
«Non
era così lungo.»
«Se
hai voglia di discutere, puoi anche andartene.»
«Immagino
che anche questo sia un momento in cui devo stare
zitto e lasciare che siano gli altri a parlare» Antonio
capitolò, stendendosi di
schiena sul letto.
«Come
la volta scorsa» notificò, invitandolo a
raggiungerlo.
«Spero che le mie costole siano un po’
più comode.»
Il
pescatore attese sul bordo del letto, il capo piegato e i
pugni contratti sulle ginocchia, prima di allungarsi sul corpo del
locandiere.
Antonio
chiuse gli occhi, pronto ad abbracciare il suo
volubile amante. Li sbarrò poco dopo, stupefatto.
Il
ragazzo non si era limitato ad adagiarsi su di lui: la
sua bocca aveva cercato quella del compagno, e l’ex-capitano
avrebbe potuto
pensare ad un contatto fortuito se il giovane non avesse indugiato
così a lungo
sulle sue labbra.
«Lovino…»
lo chiamò nella sua bocca, circondando il viso amato
con le mani.
Non
era pietà per il suo drammatico racconto o la
comprensione tra due orfani ad aver mosso il pescatore; il ragazzo non
avrebbe
permesso ad una compassione momentanea di spadroneggiare su di lui,
calpestando
l’orgoglio tanto faticosamente conquistato.
Lovino
era una persona che inconsciamente reprimeva ogni
emozione, che preferiva apparire intrattabile piuttosto che
sentimentale.
Tuttavia, gli avvenimenti di quei giorni avevano assestato duri colpi
alla diga
in cui confinava il fiume dei suoi affetti: le visite di Nicolas
avevano creato
delle crepe, e la paura che l’avvoltoio
dell’Inquisizione calasse su di loro da
un momento all’altro aveva scosso le fondamenta come un
terremoto sotterraneo;
l’amore incondizionato del compagno aveva gonfiato il
torrente, facendolo
evolvere in mare, e il racconto di quella sera lo aveva fatto
traboccare,
travolgendo la diga decrepita.
Non
erano sentimenti del momento, quelli che poteva
distinguere tra le ombreggiature sul volto di Lovino; erano le emozioni
che il
giovane aveva accumulato nel corso di una vita, finalmente libere dalle
loro
briglie.
«Se
il mare era il tuo rifugio, perché l’hai
abbandonato?»
tartagliò burbero il pescatore, sull’orlo di un
tracollo emotivo.
«Mi
hanno sparato…»
«Potresti
tornare sui galeoni» lo interruppe Lovino. «Per
fare il navigatore, non importa avere delle gambe buone. E tu saresti
adatto,
visto che i marinai vengono sempre da te a chiedere consigli sul tempo
e sulle
maree.»
«Lovino.»
Gli
bastò chiamarlo per zittirlo. Ambedue ricordavano il
discorso di qualche sera prima; il giovane si portò una mano
all’orecchio, dove
la sua memoria aveva appena fatto scivolare le parole del compagno. La mia occasione sei tu.
Le
dita dell’uomo scivolarono attorno alla sua mascella per
attirarlo a sé, ma Lovino si liberò dalla presa
dell’amante e si abbassò su di
lui di sua spontanea volontà: non voleva lasciare sempre ad
Antonio il
vantaggio del primo passo.
Le
sue labbra si ricongiunsero a quelle del compagno e quella
volta fu lui a premere affinché l’uomo schiudesse
la bocca. Le mani dell’ex-corsaro
si intrufolarono sotto i lembi più larghi della sua camicia
per esplorare la
schiena nuda, ma Antonio gli lasciò condurre completamente
il bacio: seguì i
dettami del ragazzo senza opporne di propri, lievemente divertito dal
tocco
esitante della sua lingua.
Il
rossore del giovane, quando si allontanò, fu così
lampante che non occorse vederlo: Antonio lo poté percepire,
tanto le sue
guance si stavano infiammando.
Lo
attirò nuovamente a sé, e questa volta non
accettò le opposizioni
del ragazzo: lo convinse con le sue carezze languide a restare docile
mentre
tracciava una dolce scia lungo la mandibola e poi sul collo, arrivando
ad
aprire alcuni bottoni della camicia per baciarlo sul petto.
Il
cuore del pescatore danzava un ballo folle nella gabbia
delle costole, e Antonio poggiò le labbra sullo sterno
agitato: voleva che
anche il muscolo cardiaco potesse udire la sua confessione.
«Ti
amo.»
Lovino
sentì gli organi perdere completamente
l’orientamento: d’improvviso avvertì il
palpito del cuore nelle orecchie, il
cervello sprofondare nei piedi e lo stomaco contorcersi nella sua gola.
Aveva
parlato in italiano.
Erano
anni che non sentiva la sua lingua madre, da quando
aveva poggiato le suole sulla banchina spagnola.
Udire
la musicalità della sua terra natia sdraiarsi sulle
labbra del suo amante gli provocò una scossa in cui si
intrecciavano l’emozione
per la patria perduta e il fremito per le parole del compagno.
Il
corpo del giovane si perse su quello più robusto
dell’uomo, le gambe abbandonate tra le sue, il petto che
respirava in sincrono
con quello dell’amante e il viso bollente incuneato nel
declivio del collo
dell’ex-corsaro.
«Hai
una pessima pronuncia» rantolò, senza riuscire a
inasprire
del tutto l’emozione con il tono brusco.
«È davvero orribile. La più brutta che
abbia mai sentito.»
Il
ginocchio dell’uomo si sollevò lentamente,
divaricandogli
con gentilezza le gambe.
«Sono
desolato» mormorò Antonio, alzandogli il viso in
modo
da poter parlare ad un soffio dall’angolo della sua bocca.
«Dovrò ripeterlo spesso
per migliorare, allora. E anche dopo, dovrò continuare a
dirlo per non perdere
la corretta pronuncia.»
«Dovrai
ripeterlo milioni di volte. Il tuo accento è davvero
orripilante» lo smontò Lovino.
«Non
ho fretta» replicò serafico l’altro.
Il
pescatore rimase per un attimo così immobile che
sembrò
sparire nelle tenebre.
Avvertiva
la pressione della coscia dell’uomo in mezzo alle
sue, le mani del compagno appoggiate alla schiena ormai scoperta, la
bocca
calda ad un passo dalla sua.
Antonio
era spaventato quanto lui dalla decadenza di tutte
le loro protezioni di fronte allo spettro dei cacciatori di innocenti.
Eppure
il suo tocco era fermo come le altre sere, l’unica cosa
rimasta costante in tutto
il loro mondo a soqquadro: le carezze di Antonio spazzavano via
l’inquietudine,
allo stesso modo in cui la risacca ripuliva la spiaggia durante la
notte, e i
suoi baci sfilacciavano la tensione come i raggi del sole dissipavano
un banco
di nebbia.
Cercò
di imitare il magnetismo delle effusioni del compagno,
cimentandosi in un goffo sfioramento del suo viso: voleva essere di
aiuto al
suo amante, e non limitarsi a fare il bambino viziato per tutta la
vita. Voleva
che le sue carezze lo tranquillizzassero come quelle
dell’uomo facevano con
lui. Antonio seguì con il volto la mano del giovane, e stese
il collo quando
questa scese lungo la giugulare. I polpastrelli callosi si fermarono in
mezzo
alle clavicole, mentre un incerto pescatore decideva se avventurarsi
ancora più
a fondo oppure no.
Prima
che il ragazzo avesse risolto i suoi dubbi, l’ex-capitano
gli afferrò amorevolmente il polso, e condusse la mano del
giovane dove gli fu
possibile baciarne le dita una per una.
«Lovino»
lo chiamò, cingendolo con tutta la sua forza.
«Davvero ti domandi ancora perché io abbia
preferito te?»
Il
pescatore gorgogliò indistintamente contro la sua
camicia, e Antonio fece terminare quei suoni inarticolati contro la
propria
bocca.
Se
solo quel ragazzo avesse capito quanto lo rendesse felice
con i suoi tentennanti tentativi, non avrebbe più avuto
dubbi. Oppure se ne
sarebbe andato, schifato dalla melensaggine dell’ex-corsaro.
Ma Lovino non
aveva modo di leggergli nel pensiero: avrebbe dovuto dimostrarglielo.
Lo
spogliò lentamente, lasciando tutti gli spettri al di
fuori di quella stanza, almeno per una notte.
Come
se l’Inquisizione non fosse mai esistita, assaporò
con
gli occhi, con le mani e con la bocca il corpo del giovane,
concedendosi tutto
il tempo possibile per riscoprirlo tiepido e fremente. Lovino morse una
nocca
della propria mano quando i denti dell’uomo si strinsero
delicatamente poco
sopra l’anca sinistra, un punto dove inspiegabilmente la sua
pelle era più
sensibile.
Non
si rivoltò quando Antonio cambiò le loro
posizioni e lo
adagiò prono sul letto. Afferrò il cuscino,
intuendo le intenzioni del
compagno: la sua camera non era separata come quella del padrone, e non
volevano svegliare Consuelo e gli altri durante il loro riposo.
La
spina dorsale si inarcò con forza sotto le lusinghe della
lingua e delle labbra dell’amante, che la seguirono con
dovizia, una vertebra
per volta fino alla nuca violata.
Lovino
lasciò andare il guanciale ed eseguì una strana
torsione del busto per allacciare un braccio attorno al collo
dell’uomo,
strattonandolo per un bacio: Antonio era sopravvissuto al rogo, ed era
lì con
lui, la bocca avvinghiata alla sua; aveva la necessità di
sentirlo vicino a sé
per convincersi che non sarebbe arrivato nessuno a strapparglielo via.
Le
labbra del giovane emisero uno schiocco ovattato quando
si separarono da quelle del compagno; Lovino si stese di nuovo ad
abbracciare
il cuscino, e sospirò involontariamente sulla federa
sentendo i palmi dell’uomo
lambirgli i fianchi.
Il
ragazzo sprofondò il viso e i gemiti nel guanciale quando
l’amante scivolò dentro di lui.
Antonio
si chinò per circondargli il petto con un braccio,
il ventre che aderiva alla schiena palpitante del compagno.
Consolò le spalle
contratte con un lungo tappeto di baci, che si concluse alla base del
collo del
pescatore; i muscoli del ragazzo ebbero un attimo di cedimento, per poi
tendersi con un tremito quando la mano dell’uomo scese dai
pettorali alla parte
più sensibile del suo corpo, viziandola con movimenti quasi
estenuanti.
Le
unghie del pescatore arpionarono il cuscino, incidendovi
pieghe più profonde in accordo con i movimenti
più intensi dell’amante, ed una
mano sconfinò ad artigliare il materasso quando
l’amante si liberò in lui.
Spinse
via il guanciale e boccheggiò sul materasso mentre il
sudore gli appiccicava alla fronte la frangia rossiccia.
Una
mano calda si appoggiò sulla sua spalla per farlo
ruotare su se stesso, ed una bocca arrossata dal piacere schiuse la sua
senza
difficoltà. I denti dell’ex-capitano sfiorarono le
labbra tumide, e assestarono
un morso appena accennato alla sua bocca gonfia.
«Ti
amo» ripeté Antonio, coricandosi su di lui in un
abbraccio.
«Non
devi dirlo solo per allenarti» si risentì
stancamente
Lovino.
«Non
mi stavo allenando.»
L’oscurità
della stanza fu di enorme aiuto al pescatore,
poiché senza di essa Lovino non avrebbe davvero saputo che
espressione
indossare in risposta alla confessione dell’amante. Non
sapeva mai quale fosse
la reazione appropriata quando l’uomo sfoderava la sua voce
roca riservata alle
grandi emozioni: quelle tonalità rauche riuscivano a
graffiarlo nel cuore e
nell’anima, lasciandolo piccolo e disorientato
nell’oceano sconfinato
dell’amore dell’ex-corsaro.
Lovino
si accucciò contro il compagno, un piccolo riccio di
mare capriccioso e pieno di imbarazzo. Antonio accolse il mutismo del
giovane
con serenità, e lo strinse a sé come il suo
tesoro più prezioso, con passione e
premura al contempo.
Le
sopracciglia scure si sollevarono per la sorpresa e un
sorriso deliziato lampeggiò sul viso dell’uomo
quando la caviglia del ragazzo
si mosse a sfiorare la sua, il ginocchio che sfregava leggero sulla sua
gamba,
vicino alla cicatrice.
Antonio
si sollevò sulle braccia, e fece scorrere le mani
sulla pelle levigata nell’interno del ginocchio del giovane.
Lovino mantenne il
suo incantevole broncio mentre distanziava le gambe ancora umide di
piacere per
accogliere nuovamente il suo amante, e l’ex-corsaro non
resistette alla
tentazione di baciare a fondo quell’adorabile viso
corrucciato.
Lovino
trattenne con forza la bocca dell’uomo sulla propria
per soffiarvi all’interno gli ansiti che prima erano stati
raccolti dal
cuscino, e Antonio aderì a lui con le labbra e con il corpo,
sfogando assieme
al giovane il reciproco desiderio.
Bandirono
i timori da quella camera per riscoprire la
bellezza dell’essere vivi e di sentire i propri corpi
muoversi insieme, condividendo
il calore e i battiti del cuore. Ritrovarono il piacere di
addormentarsi
abbracciati dopo essersi saziati dell’amante, cullati da una
stanchezza
soddisfatta.
Le
ciglia di Lovino si piegarono sotto la lievissima pressione
del dito dell’uomo, e l’oscurità
fagocitò i riflessi scarlatti che avrebbero
insospettito alcune menti troppo attive. L’ex-capitano
poggiò un bacio sulle
palpebre chiuse, e depositò il gemello sulla fronte del
giovane.
Era
per quella piccola porzione di Italia che dormiva tra le
sue braccia che Antonio avrebbe continuato a rifiutare
l’universo dell’oceano.
***
Se
qualcuno dei camerieri aveva udito il trasporto del
padrone e del pescatore, fu così cortese da non farne parola
la mattina dopo.
Vennero
accolti con serenità alla tavolata in cucina dove il
personale stava consumando la colazione.
«Ti
sei messo qualcosa in faccia?» indagò Antonio,
dopo
essersi seduto e aver appoggiato il bastone alla sedia.
«Avevi
detto che non si sarebbe visto!»
s’inalberò Diego,
puntando un dito accusatore verso Consuelo.
«Non
si sarebbe visto, se tu mi avessi lasciato finire il
lavoro» si giustificò la donna. «Ma tu
ti divincoli come un’anguilla…»
«Ha
ragione lei» decretò baritonale il cuoco.
«Come
mai ti sei fatto truccare?» rise Antonio, nascondendo
un ghigno irriverente dietro una fetta di pane.
Il
cameriere si accasciò sulla sedia con un sbuffo privo di
forze.
«Dormo
poco, ultimamente» comunicò sfiancato.
«Questa
maledetta storia mi toglie il sonno.»
Una
serie di colpi fece vibrare la porta sul finire della
sua frase.
Perfino
le briciole parvero arrestare la loro caduta sulla
tovaglia, nell’immobilità sepolcrale che
seguì.
I
rintocchi sul legno si ripeterono, secchi e infausti come
quelli di Sant’Orsola, lo spettro foriero di sventure.
«Vado
ad aprire» si propose a stento Diego, dirigendosi
all’entrata. Sfregò vigorosamente le palpebre con
una mano perché il nuovo
arrivato, chiunque fosse, non vedesse il maldestro trucco sul suo viso.
«Oh.
Stavo cercando proprio voi. Che fortuna insperata!»
I
capelli sulla nuca di Lovino si accapponarono orripilanti,
e il pescatore li sedò con una mano; Antonio
scivolò in piedi senza far
strusciare le gambe della sedia a terra, parandosi davanti al giovane.
Consuelo
corse a stringere la mano con il dito fasciato attorno al suo
talismano, mentre
il cuoco borbogliò qualche imprecazione a labbra chiuse.
«Stavate
cercando… me?» ripeté Diego. Sapeva di
trasgredire
al galateo trattenendo un ospite sulla porta, ma era il peccato che
meno di tutti
gli altri suscitava la sua preoccupazione.
«Vi
dispiacerebbe recitare il Pater Noster?»
«Di
cosa lo stai accusando?» Antonio irruppe nella
conversazione, stanco di rimanere in cucina ad osservare il suo
cameriere
mentre veniva insidiato.
«Gli
ho solo chiesto di recitare una preghiera.»
Perfino
sotto la piena luce solare Nicolas sembrava propagare
tenebre. I raggi dell’astro del mattino non riuscivano ad
intaccare la sua aura
umbratile, e parevano smorzarsi e morire sopraffatti
dall’oscurità che albergava
nell’uomo.
«Non
una in generale: il Pater
Noster. Esattamente la preghiera che si fa recitare ai
sospettati di
eresia, o di stregoneria.»
Diego
impallidì a quella nuova informazione, ruggita dal
padrone della locanda, e cercò di nasconderlo passando una
mano sul viso. Al
tavolo da pranzo, le guance di Consuelo appassirono in un bianco
cadaverico.
Del
tutto estraneo allo sconvolgimento del personale,
Nicolas sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi nel flautare:
«I
miei complimenti, Antonio. Noto che non hai dimenticato i
procedimenti dell’Inquisizione.»
Il
cuoco ricacciò con forza Lovino a sedere:
l’intervento
del pescatore collerico non avrebbe che peggiorato la situazione.
Le
parole di Nicolas avevano acceso una miccia nell’animo
infiammabile del giovane. Lovino aveva colto perfettamente il velenoso
sottinteso di quella frase serpentina: alludeva al processo subito da
un
Antonio ancora bambino e dai suoi genitori. Gli avrebbe fatto
rimangiare quelle
parole una per una se solo il massiccio uomo non l’avesse
trattenuto al suo
posto.
«Se
si rifiuta, dovrò portarlo dove
avranno…» l’anello d’oro
girò attorno alla falange, fosco. «…
altri mezzi per convincerlo. Ebbene?»
«Non
conosco il latino» ammise Diego.
Se
avesse sparato una fucilata nel bel mezzo della locanda,
l’effetto non sarebbe stato più devastante.
L’apprensione che deformò i volti
dei suoi colleghi fu proporzionale al sadismo che lisciò
quelli
dell’Inquisitore.
«Non
lo conoscete» ribadì il predatore, per assaporare
di
nuovo il gusto di quella dichiarazione. «Eppure è
la lingua degli uomini
dotti.»
«La
mia cultura non è particolarmente vasta.»
«Ed
è anche la lingua degli uomini di Chiesa, dei fedeli.
Devo dedurne che non frequentate la Chiesa e non siete
credente?»
Le
nocche dell’ex-capitano divennero ancora più
livide delle
gote del cameriere tanta fu la forza con cui Antonio strinse
l’impugnatura
dorata.
«Toglietemi
una curiosità» insistette sardonico
l’Inquisitore. «“Se davvero vogliono
trovare il Diavolo, non dovrebbero
cercarlo nelle taverne. Dovrebbero fare delle belle retate dei nobili
che hanno
votato per l’entrata in guerra, o dei benpensanti che hanno
invocato la razzia
degli infedeli”. Non sono state le vostre esatte parole, ieri
sera?»
Consuelo
strangolò un gemito con le mani: sapeva, sapeva
che gli sarebbe stato presentato
il conto per quelle ingiurie avventate!
«Il
ragazzino…» Diego riuscì a mormorare
solo quelle poche
sillabe prima che Nicolas lo sovrastasse con la sua omelia:
«Un
bravo fanciullo che ha deciso di aiutarci nel redimere
un… figliol prodigo» concluse l’uomo,
dopo aver soppesato con superbia e blando
disgusto il cameriere.
«Su
quali basi… sono accusato?» volle sapere in un
soffio
Diego.
«Noi
Inquisitori siamo l’indegno esercito
dell’Onnipotente
nella sua lotta contro il Maligno. E voi avete messo in discussione la
santità
della nostra missione: screditando noi, avete fatto lo stesso con chi
ci ha
mandati. Avete bestemmiato nella maniera più orribile che
esista» fu ben lieto
di spiegare Nicolas, pur atteggiandosi a giudice afflitto. «E
non conoscete nemmeno
le preghiere più basilari nella vita di un buon credente.
Come il vostro
padrone sa, il paganesimo è da considerarsi
eresia.»
Il
cuoco fece ancora più fatica a trattenere lo scalpitante
Lovino: il ragazzo aveva la forza di un bufalo e la capacità
di sgusciare in
mille direzioni diverse come una medusa; perfino il muscoloso
energumeno sudò
per tenerlo fermo sulla sedia.
Consuelo
non prestò attenzione ai due lottatori di fronte a
lei: le mani arpionate al suo amuleto, pregava sommessamente la Dea del
Mare,
gli occhi sbarrati fissi sulla schiena del collega.
«Non
è detto che siate colpevole» lo
rassicurò assassino
Nicolas. «Vi scorterò dove potranno interrogarvi.
Se sarete ritenuto innocente,
sarete rilasciato.»
Diego
mosse un passo in avanti, subito bloccato dalla ferrea
stretta dell’ex-corsaro sulla spalla.
Se
il suo volto era bianco per la paura, quello di Antonio
era nero di rabbia.
«Devono
solo farmi qualche domanda. Non ho nulla da temere»
Diego si sforzò di essere positivo mentre scostava la mano
del padrone.
Consuelo
scattò in avanti con il viso: i lunghi capelli
corvini scesero a tendina sulle sue guance, nascondendo le lacrime
della donna.
Il cuoco non rilasciò la presa da Lovino, ma non vi fu
più bisogno di tenerlo
inchiodato al suo posto: la strada che stavano imboccando gli eventi lo
aveva
pietrificato sulla sedia.
«Che
uomo savio» lo lusingò perfido Nicolas, attendendo
di
essere raggiunto al di fuori della porta.
Diego
avrebbe facilmente sopraffatto il cacciatore in uno
scontro fisico, eppure era ridotto a seguirlo timoroso, come un
cagnolino che
teme nuove percosse da un padrone violento. Qualunque sua rimostranza
avrebbe
scatenato una pioggia torrenziale di accuse sul resto del personale;
aveva già
causato abbastanza problemi con il suo scervellato sfogo della sera
prima. Non
aveva intenzione di crearne altri con la sua testardaggine.
Diego
venne fagocitato dalla presenza malevola
dell’Inquisitore, divenendo quasi invisibile nella sua ombra.
Nicolas
strinse le dita sul cerchio d’oro al suo dito, e
inspirò a fondo l’aria.
«Potrei
ingannarmi, Antonio, ma mi pare che tu odori di
salsedine.»
«Siamo
vicino al mare. È il profumo naturale
dell’aria»
ringhiò a denti stretti l’ex-corsaro.
Nicolas
non si preoccupò troppo di nascondere il suo ghigno:
Antonio non avrebbe protestato per paura di possibili ripercussioni sul
cameriere, e Diego non si sarebbe ribellato per non far ricadere la
colpa delle
sue azioni sulla locanda. Meravigliosa invenzione, i legami umani.
«Intendi lo
stesso mare cui tu non puoi nemmeno avvicinarti per via della tua
ferita?» lo
sguardo dell’Inquisitore vagò con casuale
noncuranza su Lovino prima di
appuntarsi di nuovo sull’ex-capitano: «Ma forse hai
trovato nuovi lidi in cui…
immergerti senza soffrire.»
«Devo
considerarmi sotto accusa?»
Nicolas
decise di non proseguire oltre le sue fini torture.
Abbozzò un vago inchino e si congedò, portando
con sé Diego:
«Ovviamente
no, Antonio.»
E
aggiunse, quando furono ad una distanza sufficiente:
«Non
ancora.»
Diego
tremò, quando le labbra dell’Inquisitore si
piegarono
come se il diavolo in persona le stesse curvando.
Non
conosceva le preghiere canoniche, ma innalzò dal
profondo del suo cuore la più sentita invocazione che il
mondo avesse mai
udito.
Gli
Inquisitori avrebbero deciso se anche le sue suppliche
fossero atti di fede o meno.
[…]
E non ci
indurre in tentazione
Ma
liberaci dal
male.
Amen.
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Capitolo 5 *** Atto di Carità ***
Atto di
Carità
Erano
mani grandi, le sue.
Le
esaminò a lungo, dal polso all’unghia: la fatica
aveva
indurito le nocche, il lavoro gli aveva ricoperto di calli le dita e i
palmi,
le disavventure avevano reso la sua pelle ruvida come carta vetrata.
Erano
tanto robuste da apparire intimidatorie: sembravano nate per rompere
nasi e
fracassare mascelle.
Ma
c’era stata una persona, una creatura di squisita
gentilezza, che non avrebbe mai temuto la carezza impacciata di quelle
mani
gigantesche.
Il
cuoco girò la testa per sentire la fresca federa del
cuscino sul viso, ed inspirò l’aroma di sapone
avviticchiato alla stoffa: il
profumo di bucato lo riportò ad un periodo lontano, talmente
distante che
perfino la memoria doveva usare il canocchiale per vederlo.
Era
stato servitore in una colonia del Nuovo Mondo, una
volta.
I
suoi ricordi di quel tempo erano confusi come se il sole
impietoso dei campi li avesse scoloriti, allo stesso modo in cui
sbiancava le
ossa dei naufraghi sulle spiagge.
C’era
solo una cosa che ricordava benissimo di quei giorni:
sua figlia. Forse il suo cuore di padre aveva ingentilito le memorie,
ma
rammentava benissimo come splendeva la treccia di capelli corvini sotto
il
sole, e come scintillavano gli occhi scuri sul suo viso mediterraneo.
Molti
uomini alla coltivazione avevano notato quelle stesse
qualità della giovane, e le lanciavano occhiate maliziose
nei punti in cui il
vestito da bambina cominciava a stringere.
Il
padre l’aveva raccomandata più volte di prestare
maggiore
attenzione agli sguardi altrui, ma lei non riusciva a capire a cosa il
genitore
si riferisse: si vedeva ancora con gli occhi di una bimba, del tutto
inadatta
ad attirare l’attenzione altrui.
Era
talmente ingenua da chiedergli ancora di raccontarle la
favola della principessa dell’oceano: le ciglia scure
tremavano per la
contentezza quando il padre le narrava della bellissima fanciulla
chiusa nel
suo reame di flutti. Quel regno di onde cortesi e marosi ribollenti
possedeva
una piccolissima fenditura su uno scoglio, da cui la principessa di
affacciava
per sbirciare talvolta nel mondo degli uomini. Quella finestrella aveva
una
piccola serratura, che la pulzella chiudeva con una chiave ogni sera.
Aveva
promesso a se stessa che avrebbe donato quella chiave e, con essa, il
privilegio di osservare il suo mondo, solo ad una persona molto
speciale.
«Se
fossi stata io, quella chiave l’avrei data a te,
papà»
concludeva sempre lei, schioccandogli un bacio sulla guancia e tornando
alle
sue mansioni. E lui restava seduto, a glorificarsi
nell’orgoglio da pavone di
un padre che non è ancora stato scavalcato da altri uomini
nel cuore della
figlia.
Avrebbe
dovuto prestare maggiore attenzione alle tensioni
nella villa. Se lo avesse fatto, forse non sarebbe giunta quella
maledetta
mattina, in cui un nativo era corso da lui farneticando parole a
metà tra uno
spagnolo sgrammaticato e il suo idioma madre, e aveva gesticolato
freneticamente
in direzione del fiume.
I
capelli splendevano ancora di più immersi
nell’acqua, ma
era una lucentezza gelida come il fiume che le lambiva le membra
rigide; il
sole si rifletteva scialbo sugli occhi vacui e sbarrati, mentre una
corrente
rossa, sottile come un filo, adornava funebre la corrente vorticosa.
Quel
corpo immobile in mezzo alle acque in movimento era
qualcosa di innaturale e repellente come un albero da cui germogliano
frutti
marci, e quegli orrendi squarci rossi sul suo addome sembravano i
sorrisi di
tanti minuscoli diavoli che lo schernivano.
Tutta
una vita ad adorarla, ed eccola lì, la sua eterna
bambina, ad intralciare la corrente di un fiume con il suo cadavere.
Il
nativo aveva forse biascicato qualcos’altro nella sua
strana lingua smozzicata, ma lui non vi aveva prestato orecchio: anche
se il
suo corpo si era mosso, la sua anima era rimasta su quel fiume fangoso,
ad
abbracciare il corpo freddo di sua figlia, a piangere sul suo viso e ad
accarezzarle i capelli come faceva quando da piccola aveva paura del
buio;
chissà quanta paura doveva avere in quel momento, sola in un
mondo sconosciuto
e strappata a quel modo dalla sua casa, dal suo unico parente.
La
finestra della principessa era stata chiusa per sempre.
Setacciò
la colonia palmo a palmo, furioso, finché non
trovò
l’uomo che cercava: era riuscito a ripulire le mani, ma
alcuni schizzi di
sangue gli erano rimasti sotto le unghie e sulle maniche della camicia
che non
era riuscito a cambiare.
Senza
dire una parola, lo aveva afferrato per la testa e lo
aveva trascinato fuori dalla coltivazione, verso la “secca
delle rocce”, una
terra arida costellata di massi limati dai raggi cocenti del sole che
distanziava il territorio del loro padrone da quello confinante.
Forse
aveva scalciato e si era dibattuto, ma non lo
ricordava: aveva sentito il fiume rombargli nelle orecchie, e il suo
fango
limaccioso scorrergli nelle vene; i suoi occhi erano divenuti vuoti
come quelli
della sua bambina, e l’unico motore del suo incedere
incessante era una piccolissima
fiammella di rabbia ardente, che ancora crepitava in un angolo remoto
della sua
testa.
Aveva
qualche vaga memoria di scuse pronunciate tra le
lacrime, ma non avevano sorpassato i suoi timpani in cui ruggivano le
correnti
tinte del sangue di sua figlia.
Lo
aveva sollevato con le sue mani nerborute, quelle mani
che mai, mai avrebbero fatto del male a qualcuno: sua figlia le amava,
le
copriva di baci e si lasciava accarezzare senza paura della loro forza
erculea.
Ma non c’era più nessuno a ricevere le premure di
quelle dita mastodontiche;
sua figlia non poteva più sporcarsi le labbra baciandole:
erano libere di
macchiarsi di sangue.
«Ti
ha rifiutato. E tu l’hai portata via» aveva
pronunciato
la sua condanna senza emozione: il fiume aveva spazzato via anche i
suoi
sentimenti. «Ora lei è sola e spaventata
nell’oltretomba. Assumiti le tue
responsabilità e falle da guida.»
Nella
sua memoria, quella scena era muta: in realtà quel
disgraziato doveva aver urlato prima che il suo cranio fosse fracassato
sulle
rocce nude.
Si
era spogliato della camicia macchiata di sangue e materia
cerebrale e si era lavato in un corso d’acqua lì
vicino, poi si era recato al
porto per imbarcarsi: la terra era troppo piccola per tollerare un
peccato come
il suo, mentre nell’immensità del mare la sua
colpa sarebbe stata non più
grande di una goccia.
Era
stato arruolato come mozzo sulla nave di Antonio, ed era
stato lui a portarlo a braccia dal dottore quando il proiettile
infausto
l’aveva colpito alla gamba.
Aveva
scelto di rimanere con Antonio poiché non aveva senso
solcare il mare senza il capitano che per primo lo aveva accettato:
anche il
cuore degli uomini d’oceano era più grande di
quello dei lupi di terra.
Il
corsaro non approvava il suo comportamento di allora, e non
glielo aveva tenuto nascosto. Ma la tolleranza, seppur lontana dalla
solidarietà, era molto più di quanto
l’assassino avesse osato sperare.
Le
sopracciglia del cuoco si unirono in un cruccio dubbioso.
Non era accondiscendenza, quella del capitano, ma comprensione; lo
aveva capito
in quei giorni, osservando il fuoco artico che gli turbinava negli
occhi: se
qualcuno avesse osato strappargli Lovino, lo avrebbe fermato con un
proiettile
in mezzo agli occhi senza alcuna esitazione. Chi come loro amava senza
riserve,
si vendicava senza pietà.
I
viaggi per mare, la scoperta di tante culture e tante
persone gli avevano fatto capire che, se da allora non era
più riuscito a
sentire sua figlia vicino a sé, non era colpa di uno
straniero che aveva chiuso
il regno della principessa del mare: era lui ad aver perduto la chiave.
Dal
momento in cui aveva ucciso quell’uomo, le sue mani erano
diventate troppo
sporche per poter aprire di nuovo l’entrata per il reame
delle onde.
Fermo
sul materasso, rifletteva sul dolore che non avrebbe
mai dimenticato e la colpa che non avrebbe mai espiato: era diventato
un
assassino come l’uomo che gli aveva portato via sua figlia, e
per questo lei
sarebbe rimasta per sempre in un regno troppo lontano per un mentecatto
come
lui.
Se
allora avesse avuto un pizzico di quella saggezza che la
brezza marina gli aveva soffiato nei polmoni, forse sarebbe riuscito a
contenere la furia e a fermarsi: ma a quel tempo era un uomo viscerale,
che
agiva senza l’autorizzazione della razionalità.
Passò
una mano sugli occhi e la appoggiò sul petto: il suo
cuore batteva ancora. Ogni tanto, aveva l’illogico timore che
il suo peccato lo
avrebbe pietrificato, come per gli esuli di Sodoma e Gomorra che
osavano
voltarsi indietro.
La
poggiò di nuovo sulle palpebre, pensando a Diego,
imprigionato quella mattina.
Qualunque
cosa accadesse sperava che lui, almeno lui, non
perdesse la chiave del reame del mare.
***
Lovino
sollevò il capo per osservare l’uomo che dormiva
al
suo fianco.
Quella
sera si erano ritirati nella stanza padronale. Anche
Consuelo e il cuoco avevano preferito riposare al secondo piano, nelle
camere
lasciate vuote dai clienti: la stanza di Diego sembrava occupata dal
fantasma
della sua assenza, uno spettro inquieto e malinconico, e nessuno voleva
passare
la notte nelle sue vicinanze.
Antonio
si era assopito solo pochi minuti prima, ed era
caduto in una sonnolenza turbolenta: la preoccupazione non lo aveva
abbandonato
neppure in sogno, e gli aggrottava la fronte a scatti, incupendogli il
viso e
muovendogli le labbra in una preghiera o in un’ingiuria,
entrambe troppo fioche
per essere udite.
Lovino
lo fissò, esausto ma incapace di dormire.
Si
erano coricati sulle coperte, perfettamente vestiti, e
Antonio non l’aveva quasi toccato, quella sera: erano rimasti
sul letto in
silenzio, le mani unite al centro delle coltri, in attesa che il sonno
cogliesse uno dei due. Gli artigli dei cacciatori gravavano ancora sul
loro
tetto, e scorreva l’inesplicabile timore che qualunque parola
avrebbe potuto
convincerli a chiudersi su di loro in una morsa letale. Così
erano rimasti
muti: l’unico movimento in quella stanza immobile erano le
loro dita che di
tanto in tanto disfacevano l’intreccio per crearne uno nuovo.
Spostò
lo sguardo sulle loro mani, inquieto: solo la sera
prima aveva tremato al tocco di Antonio. Percepiva ancora
quell’emozione
riscaldargli le vene, ma pareva che quel fuoco bruciasse sotto strati e
strati
di pietra. Avvertiva solo una lontanissima eco del tepore di allora,
come se
perfino quel sentimento fosse costretto a nascondersi per paura.
Strinse
le dita con più forza, smanioso di riappropriarsi
delle sue sensazioni: era assurdo, irreale che un uomo vestito di nero
potesse
crocifiggere il suo cuore a quel modo.
Non
vi fu alcun cambiamento sostanziale: il panico aveva
inibito i suoi ricettori, ed era come vivere il suo amante attraverso
una
corazza.
Si
allungò su di lui per premere le labbra sulle sue,
sperando di riappropriarsi dei brividi che quel contatto gli aveva
sempre dato.
Fu come se il capitano venisse baciato da un’altra persona, e
questo gli
provocò un tale senso di nausea che fu costretto a staccarsi
e ritirarsi
sull’angolo più lontano del letto.
Fu
in quel momento che Antonio si ridestò. Trascorse qualche
secondo di intontita ricerca del compagno e, individuatolo, gli si
accostò. Il
modo in cui il giovane si ritrasse al suo tocco, rabbrividendo come per
una
febbre malarica, fu sufficientemente esplicativo: era per quel motivo
che aveva
evitato qualunque contatto fisico troppo intenso, poco prima.
«Passerà,
Lovino» mormorò, mantenendosi distante.
«L’Inquisizione può rubarti tante cose,
ma non l’anima. Quella è solo tua.»
Il
ragazzo rimase fermo nel suo angolo di letto, ancora
appallottolato su se stesso. Antonio aspettò
finché il giovane non scivolò di
nuovo vicino a lui, abbastanza vicino da sfiorare la stoffa degli abiti
con la
sua.
Il
locandiere stese il braccio, e Lovino vi si accucciò
sopra dopo un istante di indecisione.
Antonio
lo accarezzò con lo sguardo, senza toccarlo per non
scuoterlo ancora di più. Sentì il cuore
prosciugarsi e avvizzire alla vista del
compagno spezzato: la sua testardaggine era ancora vivida nei suoi
occhi, ma
affievolita, come se l’Inquisizione l’avesse
annegata.
Non
avrebbe permesso che uccidessero il suo amato pescatore
in quel modo vile, lacerandogli l’anima mentre ancora
respirava.
Se
fosse stato a conoscenza dei pensieri del cuoco, si
sarebbe trovato d’accordo con lui.
Chi
come loro amava dal primo battito di cuore, avrebbe
lottato fino all’ultimo respiro di vita.
***
Mio
Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché
sei bene infinito e nostra eterna felicità
«Non
ha detto una parola?»
«Ha
urlato molto, ma non ha pronunciato un singolo vocabolo
comprensibile.»
Ad
un cenno dell’Inquisitore, il boia si ritirò sulla
tortuosa
scala a chiocciola che conduceva alle prigioni degli imputati.
Nicolas
osservò con nauseata considerazione lo scarto di
umanità che si deteriorava contro la parete di sassi ruvidi.
Era
stato arrestato la mattina precedente, ed era stato
interrogato per tutto il giorno, con metodi più o meno
ortodossi. Nonostante
tutto, non aveva ancora confessato nulla: la forza di
volontà di quel rifiuto
era impressionante. D’altronde era risaputo che, nel giardino
del Signore, era
l’erba malvagia quella più resistente di tutte.
Inalberò
il capo con alterco quando l’accusato osò levare
lo
sguardo su di lui.
Il
sudore e la tortura dell’acqua gli avevano appiccicato i
capelli castani al viso, e le lacrime che perfino i più
temerari versavano
sotto la sferza della frusta avevano lasciato
un’incrostazione trasparente sul
volto. L’uomo nascondeva la schiena martoriata contro la
parete alle sue
spalle, per non dare all’Inquisitore la soddisfazione di
vedere quanto a fondo
avesse scavato il boia: solo gli schizzi amaranto aggrappati ai
brandelli di
camicia rivelavano lo stato increscioso del dorso.
Flagellato
e combattivo: se non avesse avuto quel barlume di
ferocia negli occhi, avrebbe potuto associarlo alle ineffabili immagini
dei
martiri.
«Mi
riferiscono che siete restio a parlare» esordì
Nicolas,
muovendo un passo verso le sbarre.
«Ho
già detto quello che dovevo dire»
replicò secco Diego,
con la disperata fierezza di chi si trova ad un vicolo cieco.
«Il resto lo
inventerete voi.»
«Mi
offendete, in questo modo. Mi state accusando di
trasgredire i Comandamenti con una falsa testimonianza?»
«Non
oserei mai. Solo…» il cameriere si interruppe con
una
smorfia di dolore: una lesione alla schiena particolarmente profonda
gli aveva
ricordato la sua presenza. «Avete un modo piuttosto personale
di interpretare i
discorsi altrui.»
«E
dove, nel vostro caso, avrei frainteso le vostre parole,
i vostri insulti alla Spagna e alla Chiesa?»
«La
mia non era una critica, solo un consiglio.»
«Un
consiglio? Mi dispiace, non ho colto questa sfumatura
del vostro discorso» l’anello tintinnò
contro le sbarre quando Nicolas vi
avvolse i pugni attorno. «Sareste così cortese da
spiegarmi?»
Nonostante
il dorso scarlatto di sangue e le membra fiaccate
dalla prigionia, Diego si sollevò faticosamente in piedi, e
traballò verso di
lui come un morto appena uscito dalla tomba. Le mani del cameriere si
strinsero
attorno alle sbarre poco sotto le sue e il giovane esalò, la
voce rovinata dal
tormento dell’acqua:
«Se
volete trovare davvero il demonio, dovreste cercarlo sui
campi di battaglia. E sarebbe una grossa sorpresa, per voi.»
«Per
quale motivo?» scandì vellutato e crudele Nicolas.
Diego
si allontanò dalle sbarre, e tornò a sedersi nel
suo
angolo: indietreggiò senza mai mostrargli la schiena,
ostinato fino in fondo a
non farlo beare delle sue scorticature.
«Perché
posso garantirvi che, dove infuria la guerra, è
possibile vedere il male al suo stato più puro. Ma la cosa
più sconvolgente è
che…» il cameriere tirò un profondo
respiro, forse per dare maggiore enfasi al
discorso oppure per lenire il bruciore delle ferite. «Tutta
quella sofferenza,
tutte quelle bestialità… non sono opera del
diavolo, ma degli uomini.»
«State
dicendo che il diavolo non esiste?»
Sentì
scottare sul viso lo sguardo febbricitante che Diego
diresse verso di lui. Non vi era alcun dubbio, quel cameriere aveva il
fuoco di
uno stregone nel sangue.
«Sto
dicendo che gli uomini sono capaci di trucidarsi senza
che il demonio intervenga in alcun modo. Alcune persone sono peggio di
Satana
in persona» ogni parola sfrecciò verso
l’Inquisitore come un’accusa, che si
sgretolò in cenere contro la sua divisa nera. Qualunque
fosse la colpa con cui
quel sorcio di locanda lo infamava, non poteva fare altro che
squittire: la
decisione finale non era certo nelle sue mani immonde.
Fu
proprio su quelle che si appuntò l’attenzione
dell’Inquisitore: erano miracolosamente sfuggite ai supplizi.
Il giovane doveva
avere molta cura di loro, se perfino durante le sue sofferenze si era
preoccupato di proteggerle.
L’anello
girò, ed un ghigno ferino distese le labbra rapaci.
«Credo
che sia giunto il momento per voi di ricevere
un’altra sollecitazione» con questa promessa di
patimenti futuri, Nicolas svanì
nelle curve della scala a chiocciola.
Diego
crollò contro il muro, esausto: era stato un martirio
mantenere integra la sua dignità nella conversazione con il
predatore. Più di
una volta aveva desiderato rannicchiarsi e supplicarlo di andarsene, ma
aveva
coraggiosamente resistito: nessuno avrebbe potuto dire che i colleghi
di Antonio
fossero dei codardi senza spina dorsale.
E
per amor tuo amo il prossimo come me stesso e perdono le
offese ricevute.
L’ombra
del boia, sbrecciata sulle
irregolarità del muro di pietra, discese i gradini e
sostò davanti alla sua
cella. La luce delle torce s’infranse sul contorno di uno
strumento metallico;
la sensazione di angoscia che quel ferro trasmetteva era forgiata dalla
sua
forma foriera di oscuri presagi e dalle macchie di sangue che nemmeno
le
braccia vigorose del carnefice erano riuscite a lavare.
Il
sudore che gli imperlava la
fronte si ghiacciò all’istante non appena
notò la direzione dello sguardo del
boia: le sue mani.
Gli
tremarono le labbra e il
cuore al pensiero di quanto stava per avvenire. Aveva udito moltissimi
mormorii
atterriti su cosa accadesse alle dita dei sospettati di stregoneria: le
falangi
venivano spezzate una ad una, in modo che il mago non potesse
più scagliare i
suoi malefici.
Nicolas
aveva deciso di
estendere anche a lui il privilegio di quel tormento, ben sapendo
quanto le
mani fossero importanti in un mestiere come il suo.
Il
suo stesso respiro gli
scorticò la gola quando il boia gli si accostò
per cominciare l’ennesimo
interrogatorio.
«Non
hai nulla da dire?» lo
esortò rudemente l’uomo, ormai pronto a procedere.
Diego
scosse il capo, tenace:
avrebbe difeso la locanda fino alla fine.
Era
stato un soldato per tanti
anni, così tanti che ancora avvertiva l’odore del
sangue e della polvere da
sparo quando chiudeva gli occhi. Dopo l’ultima guerra, aveva
deciso che non
avrebbe mai più imbracciato un fucile, e aveva vagabondato
per la città alla
ricerca di un qualunque lavoro.
Il
destino volle che la prima
taverna in cui fece richiesta fosse quella di Antonio: era
un’attività appena
avviata, e l’ex-capitano aveva bisogno di un po’ di
personale.
Il
locandiere non aveva idea di
quanto avesse salvato quel giovane, offrendogli un impiego e un
alloggio.
Antonio gli aveva garantito una via d’uscita
dall’inferno delle baionette; non
avrebbe ricambiato il favore gettandolo nella graticola
dell’Inquisizione: le
sue labbra sarebbero rimaste sigillate fino a carbonizzarsi sul rogo,
se
necessario.
Signore,
che io ti ami sempre più.
Il
fiato che gli aveva leso la
gola fu rilasciato in un grido agghiacciante.
Il
primo dito fu il pollice.
Amen.
***
Quella
città era cambiata
dall’ultima volta in cui aveva calato l’ancora:
sembrava aver sviluppato
un’allergia al dialogo, e centellinava le parole come un
avaro avrebbe fatto
con i suoi denari.
I
rapporti tra il suo piovoso
paese d’origine e quella terra baciata dal sole da decenni
non erano ottimali:
le continue schermaglie di pirateria e le dure battaglie navali avevano
costruito la subdola storia della mai dichiarata guerra tra Spagna e
Inghilterra, e i due popoli sopportavano gli scambi commerciali tra di
loro
come un male necessario. Tuttavia non aveva mai ricevuto
un’accoglienza così
fredda: era abituato a sguardi di ammirazione o di disprezzo, non ad
essere
ignorato come un essere invisibile. Si chiedeva quale mostro avesse
potuto
oscurare la sua controversa ma innegabile fama.
Il
corsaro inglese stentò a
riconoscere nella via spoglia che si snodava davanti a lui la strada
pullulante
di gente ciarliera dei suoi ricordi. Temette perfino che il mare lo
avesse
imprigionato in un sortilegio temporale, bloccando la sua clessidra e
accelerando quelle altrui: la locanda di Antonio, anche se
perfettamente
intonacata, sembrava il rudere di se stessa, spenta e sciupata come una
spiga
di grano lasciata a seccare. Non udiva alcun vociare
all’interno e non vedeva
alcuna ombra alle finestre: sembrava che il cuore della taverna fosse
congelato.
Bussò
alla porta, e il suo
sbigottimento non poté che aumentare alla vista della donna
che andò ad aprire:
collegò a fatica quella femmina smunta e abbattuta alla
briosa Consuelo che lo
aveva sempre accolto con larghi sorrisi.
«Cosa
è successo?» domandò,
anziché salutare.
«Il
demonio, seňor» rispose
lei, facendosi da parte
per lasciarlo entrare.
Arthur
mise piede nella locanda
con il timore di venire contagiato da quell’aura di morte
apparente. Aveva
avuto un ragazzo di origini slave come mozzo, un tempo, e ricordava
ancora i
suoi terribili racconti sui vampiri, gli esseri spaventosi che uscivano
nottetempo
dalla bara per cibarsi di sangue umano; sembrava che una di quelle
bestie
mostruose fosse giunta alla locanda e avesse banchettato con i suoi
abitanti.
Il
cuoco lo salutò dall’altro capo
del salone, mentre Antonio si sforzò di sorridere per
accoglierlo.
«Arthur»
lo salutò, festoso per
quanto la sua espressione stremata gli consentisse. «Arrivi
in un momento buio,
purtroppo.»
«Ci
fermeremo una settimana,
abbiamo qualche trattativa commerciale in corso»
spiegò sbrigativo il capitano.
Si avvicinò ad Antonio abbastanza da sussurrare:
«Cosa sta succedendo? È
bastato un anno per spolpare la città?»
«Sei
stato via più di un anno.»
«Non
abbastanza da giustificare
l’invecchiamento di questo posto: il villaggio intero sembra
stanco e anziano.
Cos’è accaduto?»
Antonio
lo invitò a sedersi, ed
entrambi gli uomini presero posto sulle poltrone dell’atrio.
Per la prima
volta, Arthur sentì il gemito soffocato della stoffa sotto
il suo peso: di
solito la locanda era così gremita che si era costretti ad
alzare il tono della
voce per essere uditi dal proprio interlocutore.
L’ex-corsaro
appoggiò il
bastone al bracciolo e congiunse le dita davanti a sé con
fare riflessivo. Poi
cominciò:
«Pensavo
di essermene liberato,
dopo tanti anni. La memoria dell’Inquisizione è
più resistente di quanto
pensassi.»
Gli
occhi acquamarina del
capitano si spalancarono per il raccapriccio.
«L’Inquisizione?»
«Nicolas»
ad Antonio fu
sufficiente quel nome per far capire all’amico quanto fosse
ingente la portata
di quella catastrofe.
«Non
può accusarti per le colpe…»
l’inglese marcò la parola di
pesante disprezzo, facendola quasi inciampare sulle proprie labbra per
il
carico di sdegno con cui l’aveva appesantita. «...
di tanti anni fa. Il vescovo
ti ha assolto.»
«Ma
può sempre trovare nuovi
modi per accusarmi» il locandiere chiuse gli occhi, provato.
«È esattamente
come in passato: prima di colpire me, si avventa su chi mi sta
vicino.»
A
quella notizia, Arthur lanciò
un’occhiata circolare tutt’intorno: non aveva
ancora visto il pescatore.
«Lovino
sta riposando nella sua
stanza. Questa situazione ci sta sfiancando»
specificò Antonio, notando le
manovre del capitano.
«Immagino
che sia diventato
anche lui una sua vittima» asserì Arthur con la
gravità con cui avrebbe
annunciato la morte di un parente.
I
rancori di Antonio
impiegarono qualche istante a perdere il loro potenziale velenoso e
permettergli di replicare:
«Sta
cercando di distruggerlo
psicologicamente.»
«Tipico
di quella serpe» Arthur
quasi sputò per il disgusto. La sua espressione
mutò completamente non appena
registrò l’assenza di un’altra persona:
il cuoco e Consuelo si erano eclissati
in cucina, Lovino era nella sua stanza, ma non aveva visto
né sentito nominare
il cameriere.
«Dov’è
Diego?»
Passarono
altri lunghi secondi
tra il suo interrogativo e la spiegazione di Antonio:
«È
stato catturato per degli
accertamenti. Lo stanno interrogando da tre giorni.»
L’inglese
impiegò meno di un
secondo a richiudere le labbra. Sapevano entrambi cosa potesse accadere
in tre
giorni passati nel grembo dell’Inquisizione: Arthur lo aveva
sentito
bisbigliare nei vicoli più bui, e Antonio lo aveva vissuto
sulla propria pelle.
L’ingombrante
fardello di una
conoscenza sgradita e spaventosa gravò sui loro petti,
finché Arthur non decise
di sbarazzarsene:
«Dovete
andarvene da qui, o
Nicolas vi distruggerà. In un modo o nell’altro,
sai che lo farà.»
Antonio
non ebbe modo di
rispondere: in strada si scatenò un’agitazione
violenta quanto improvvisa. Per
un secondo, le pareti della locanda parvero tremare; l’attimo
dopo il mondo era
di nuovo fossilizzato.
Entrambi
i capitani scattarono
in piedi, Antonio appena rallentato per recuperare il bastone; il cuoco
e
Consuelo emersero dalla cucina, e Lovino fece la sua apparizione dalla
camera.
La
donna fu la prima a
raggiungere la porta: aprì uno spiraglio e
sbirciò all’esterno. Gli uomini
trasalirono quando la cameriera esacerbò
all’improvviso uno strillo acuto per
poi precipitarsi in strada.
In
qualunque altro momento
della sua vita, Consuelo si sarebbe accuratamente esaminata allo
specchio prima
di uscire. Pur non essendo particolarmente vanitosa, desiderava che la
gonna
fosse linda dalle pieghe, che il colletto della camicia non fosse
asimmetrico e
che i capelli fossero domati in un’acconciatura semplice e
salda. Inciampò
nella sua stessa gonna, sporcandola e spiegazzandola, ma non se ne
curò; l’orlo
della camicia sgusciò fuori dalla cintura e i capelli si
agitavano nell’impeto
della corsa come anguille corvine, ma la donna non se ne accorse
neppure:
l’unica cosa di cui era cosciente era l’uomo
martoriato che arrancava nella
polvere della strada.
Si
gettò in ginocchio a terra,
e non avvertì neppure il dolore elettrico
dell’osso battuto contro il
lastricato: percepì solo la fragilità del corpo
attorno al quale si strinsero
le sue braccia, e la processione umida delle lacrime sulle sue guance
emaciate.
Fu
Antonio il primo a
raggiungerli: la mano lasciò andare il bastone, che
colpì il terreno, ed anche
l’ex-capitano si piegò sulle ginocchia per poter
osservare il volto piagato del
suo dipendente.
Diego
era di nuovo con loro,
accasciato sul ciglio della via, macilento ma vivo: il petto e la
schiena erano
scoperti, il passaggio della frusta nitido sulla pelle cerea. La faccia
era
devastata dai segni del patimento e delle lacrime, ma lo spettacolo
peggiore
era offerto dalle mani: quasi indistinguibili sotto le spesse croste di
sangue,
le dita erano state frantumate e le unghie spezzate fin quasi alla
radice, e
giacevano scomposte in un modo orribile a vedersi.
Il
cameriere roteò gli occhi
verso il capitano, ancora stordito dagli interrogatori e annebbiato dal
dolore
fisico. Mosse le labbra a vuoto, le corde vocali troppo tese e la bocca
troppo
secca per far scivolare le parole; solo dopo qualche tentativo
riuscì a
raschiare:
«Mi
hanno lasciato andare. Non
ho parlato.»
Consuelo
eruppe in un
singhiozzo altisonante, bagnando di lacrime il viso dell’uomo
e accarezzandogli
i capelli incrostati.
Le
poche frasi del cameriere
avevano strangolato ogni possibile replica nei polmoni di Antonio: i
segni sul
suo corpo urlavano i supplizi a cui era stato sottoposto; la morte
aveva
sfiorato più di una volta il suo dipendente nel periodo di
prigionia, ma per
miracolo o per capriccio la nera signora aveva deciso di non falciare
la sua
giovane vita. E la prima cosa che Diego aveva voluto ribadire, una
volta uscito
da quell’inferno, era la sua lealtà nei confronti
del proprio padrone. Una
marea prepotente di commozione gli affogò la gola,
impedendogli di parlare.
«Un
medico…» riuscì a chiamare
infine, rialzandosi in piedi con l’aiuto dal bastone.
«Abbiamo bisogno di un
medico!»
La
folla attorno a loro
scrutava e giudicava, ma non mosse un muscolo per soddisfare la
richiesta
dell’ex-capitano; anzi, arretrarono di un passo quasi avesse
bestemmiato,
bisbigliando tra loro con gli occhi e le labbra.
Arthur
e il cuoco furono i
salvatori di Diego: l’energumeno si chinò per
sollevarlo tra le braccia,
cercando di fare attenzione alla sua schiena lacerata e alle lesioni
ancora
fresche; Arthur si accostò all’amico e
mormorò furtivo:
«Chiamerò
il medico di bordo,
Antonio. Rientriamo.»
L’inglese
faticò a spingere
fuori dalle labbra quelle poche sillabe. Antonio era una leggenda in
quella
città, come lo era sui mari: stentava a credere che una
manciata di calunnie
sobillate dall’Inquisizione potessero pugnalare a quel modo
il suo buon nome. O
forse quella in cui si trovavano era solo una città troppo
arroccata in
convinzioni anacronistiche per porgere una mano.
Rientrarono
veloci nella
locanda, lasciando gli astanti a commentare tra di loro.
Il
cuoco poggiò con delicatezza
Diego sul letto, aiutandolo a stendersi sulla pancia, sotto la
supervisione di
una singhiozzante ed esultante Consuelo; Arthur si affrettò
in direzione del
porto per condurre alla taverna il medico del loro galeone.
Antonio
non riuscì a muoversi
dall’anticamera: la mano del pescatore lo afferrò
per il gomito, trattenendolo
al suo posto.
«È
vivo.»
L’ex-corsaro
dovette sforzare
l’udito per sentire il sommesso sibilo del ragazzo.
«È
vivo. E si riprenderà»
aggiunse, per confortare il giovane.
La
testa di Lovino si chinò, il
collo sparì in mezzo alle spalle; poi l’orgoglio
gli raddrizzò il capo, una
ventata di fierezza gli asciugò gli occhi umidi di lacrime
trattenute.
«L’Inquisizione
non può
prendersi tutto» decantò, annuendo lievemente come
per convincere se stesso.
L’ostinazione
traballante del
giovane gli fece albeggiare un sorriso sulle labbra. Antonio
lambì
delicatamente con la mano la guancia segnata dal mare del compagno: il
pescatore fremette, quasi impaurito, ma non si ritirò come
qualche sera prima.
Era un miglioramento, seppur minimo.
«No»
lo rassicurò l’uomo. Le
dita scivolarono dalla gota ai capelli poco sopra l’orecchio,
che sfiorarono
con una carezza. «No, l’Inquisizione non
può prendere tutto.»
Lovino
sollevò gli occhi
sull’amante, e Antonio si sentì avvolgere da
quelle iridi ramate: le mani del
pescatore si contorsero, desiderose di abbracciare
l’ex-capitano e timorose di
farlo; furono gli occhi a cingerlo come avrebbero voluto fare le
braccia,
circondandolo con uno sguardo profondo come il mare.
Il
palmo dell’uomo gli
incorniciò il viso in risposta a quell’abbraccio
impalpabile; rimase immobile a
sfiorare lo zigomo con il pollice, poi scese verso il mento,
sollevandoglielo
appena con gentilezza. Di solito, quella scena aveva luogo quando
Antonio aveva
intenzione di baciarlo: quella volta, le dita lo abbandonarono
accompagnate
dalla pacata notifica del compagno:
«Dobbiamo
aiutare gli altri a prendersi
cura di Diego. I suoi aguzzini non sono stati clementi con
lui.»
Lovino
lo seguì prontamente in
direzione della stanza del cameriere.
Non
poté trattenere la propria
mano, che volò ad appoggiarsi sulle ciocche accarezzate
dall’amante.
Aveva
sentito qualcosa;
attutito dall’ansia, sfibrato dalla tensione, ma aveva
percepito chiaramente un
tremito scorrere sotto la pelle.
Strinse
con forza le palpebre e
ficcò il pugno nella tasca dei pantaloni. Non avevano tempo
per quelle
frivolezze: Diego era stato torturato e aveva bisogno delle loro cure.
Ma
un frammento della sua
anima, ben nascosto dentro di lui, continuò a gioire per la
piccola scossa
avvertita al tocco dell’ex-capitano.
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Capitolo 6 *** Atto di Dolore ***
Atto
di Dolore
Mio
Dio,
mi
pento e mi dolgo con tutto il cuore dai miei peccati,
perché
peccando ho meritato i tuoi castighi,
e
molto più perché ho offeso Te,
infinitamente
buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.
L’abbazia
risuonò cava come un
osso spolpato.
Gli
ultimi resti delle candele
bianche bruciavano sugli altari votivi, e il loro fumo dolciastro si
attorcigliava alle residue tracce dell’incenso consumato
durante la messa del
Vespro. Ogni passo rimbombava spettrale sulle pareti solenni del luogo
di
culto, e i santi intarsiati nelle vetrate osservavano con cipiglio
corrucciato
i peccatori che percorrevano la navata.
Nicolas
attraversò il corridoio
tra le panche di legno a passo spedito, fiero e dignitoso, e si
inchinò di
fronte all’altare principale su cui svettava una maestosa
croce dorata.
Trovava
gradevole l’aura eterea
e soprannaturale che la chiesa assumeva in quel particolare periodo del
giorno:
pareva quasi che l’edificio si fosse avvicinato di un passo
al cielo, e che la
comunione con l’Altissimo fosse in qualche modo semplificata.
Solo i pagani e i
peccatori potevano trovarsi a disagio tra quelle possenti mura sacre; e
lui non
apparteneva a nessuna delle due categorie.
Prese
posto sulla panca in
prima fila, e fissò l’arazzo appeso di fronte a
sé: la scena in cui l’angelo
inviato dal Signore bloccava la mano di Giacobbe prima che questo
potesse
uccidere suo figlio Isacco: un padre disposto a sacrificare la sua
progenie per
un comando dell’Onnipotente, premiato per la sua
lealtà incondizionata. La fede
richiedeva enormi sacrifici, ma premiava i servi più devoti,
e nessuno lo
sapeva meglio di Nicolas De Torquemada.
L’Inquisitore
sfilò l’anello e
lo portò di fronte al viso: la pietra ovale distorse la
forma aguzza dei suoi
occhi glaciali e la linea volitiva della mascella.
«Il
riflesso è un po’ cambiato
dalla prima volta…» meditò, infilando
nuovamente il monile al dito.
Quando
quell’orpello gli era
capitato tra le mani, sul topazio si era specchiato il volto di un
ventenne
ancora fresco di seminario e di voti. Erano passati diciotto anni da
allora, ma
ricordava ancora ogni particolare.
Era
andato a fare visita al
negozio gestito dalla famiglia di Antonio: era appena arrivato un
carico, e
Nicolas si era offerto di aiutare. Quella famiglia lo conosceva da
anni, ed era
naturale vederlo gironzolare nei pressi della casa o del negozio dei
Fernandes
Carriedo.
L’anello
gli era rotolato tra i
piedi, scivolato fuori da un piccolo forziere che stava trasportando.
Lo aveva
raccolto e, senza volerlo, ne era rimasto affascinato: era un
accessorio
semplice ed elegante, che non ostentava il materiale prezioso da cui
era stato
ricavato, e proprio per la sua modestia appariva ulteriormente
apprezzabile. Il
topazio incastonato non era pacchiano come un diamante o chiassoso come
un
rubino, e possedeva la dimessa nobiltà dell’umile.
«Ti
piace?»
Aveva
sollevato gli occhi per
incontrare quelli verdi del suo amico. Antonio sembrava più
grande della sua
età sia per la corporatura, più alta e solida dei
suoi coetanei, sia per le sue
conoscenze del mondo, derivate dai racconti dei genitori e dei mercanti
che
commerciavano con loro.
«È
molto ben fatto» si era
schermito Nicolas, restituendogli l’anello.
Il
ragazzo aveva scosso la
testa, mandando ovunque gli arruffati capelli castani: aveva
dimenticato di
tagliarli, così come aveva scordato di legarli.
«Sei
riuscito a realizzare il
tuo sogno: accettalo come regalo di congratulazioni»
patteggiò Antonio,
arrotolando di nuovo una manica troppo larga.
Nicolas
non aveva trovato
ulteriori pretesti per opporsi e aveva accettato il dono. Lo avrebbe
portato
con sé, ma ben nascosto nella tasca dei pantaloni per
onorare il suo voto di
povertà e non esibire un aspetto troppo vistoso.
L’anello
scintillò alla luce
morente delle candele e Nicolas lo coprì con una mano.
Avrebbe
dovuto capirlo da
allora quanto Antonio potesse essere pericoloso. Con quel suo aspetto
ingenuo e
una proposta amichevole aveva cercato di corrompere i suoi voti appena
pronunciati. E non si era limitato a quello.
Vivevano
in un villaggio
prevalentemente agricolo, per cui uno dei giochi preferiti dei
ragazzini era
lanciarsi sui cumuli di fieno dai soppalchi delle stalle. Lui aveva
superato
l’età in cui un semplice salto costituiva il
più grande spasso esistente, ma
Antonio, nonostante il suo aspetto più maturo, aveva ancora
il cuore di un bambino
non del tutto cresciuto.
Così,
senza nemmeno capire bene
come fosse accaduto, Nicolas si era ritrovato a planare
nell’aria in direzione
di una collina di paglia. Antonio riusciva sempre a convincere gli
altri, con
le parole o trascinandoli con le sue braccia robuste.
Non
era consono che un messo
clericale fosse scambiato per uno spaventapasseri squarciato: quel
gioco si
ritorceva contro i bambini che lo praticavano imbottendoli di fieno, e
sicuramente i suoi superiori non avrebbero gradito vederlo in quello
stato.
Così Antonio aveva avuto la premura di chiudere la porta
della stalla prima di
cominciare a saltare.
Nicolas
si era sollevato a
sedere quasi istantaneamente, e aveva cominciato freneticamente a
rimuovere i
ciuffi di paglia dai capelli e dai vestiti; al contrario,
l’amico aveva deciso
di godersi quel divertimento fino in fondo, stendendosi nella paglia
con una
risata soddisfatta.
Era
stato allora che aveva
avvertito la prima scossa.
In
altre occasioni aveva notato
come Antonio riuscisse a mutare il suo umore con poche parole, ma aveva
catalogato quel fremito come normale appendice dell’amicizia:
in fondo, teneva
a quel ragazzino più che ai colleghi di seminario, quindi
era ovvio che le sue
parole sortissero su di lui un effetto maggiore. Era
illogico, innaturale avere dei
dubbi a riguardo: non solo li separavano ben
sette anni d’età, ma erano entrambi maschi.
Quel
giorno, Nicolas si era
accorto per la prima volta di osservare l’amico come un altro
uomo avrebbe
potuto guardare una donna. Un senso di disagio gli aveva attorcigliato
le
viscere quando si era accorto di prestare troppa attenzione alle ciglia
socchiuse e al modo in cui i capelli ricadevano sulla guancia liscia,
un cappio
di nausea gli aveva stretto la gola quando aveva considerato attraente
la
porzione di ventre che la camicia troppo larga aveva lasciato scoperta
nella
caduta, e i conati lo avevano costretto a voltarsi quando si era
soffermato ad
apprezzare la curva del fianco.
«Stai
male?» si era preoccupato
Antonio.
«Non
avresti dovuto
costringermi a fare questo gioco» si era arrabbiato Nicolas,
dandogli
ostinatamente le spalle.
«Ti
sei fatto male?» aveva
insistito l’altro, avvicinandosi.
Nicolas
era balzato in piedi ad
occhi sbarrati quando la mano dell’amico si era appoggiata
sulla sua spalla.
«Non
toccarmi!» era stata la
sua ultima parola prima di lasciare quel posto.
Antonio
non aveva capito di
essere stato la causa del turbamento del nuovo prete, né di
essere stato il motivo
per cui il giovane fedele trascorse un’intera settimana
chiuso nella chiesa, a
pregare e punirsi per espiare i suoi pensieri empi.
Nicolas
scosse la caviglia
sinistra, infastidito.
Nonostante
i suoi sforzi,
quelle considerazioni immonde non avevano abbandonato il suo spirito.
Così
aveva deciso di fare nuovamente visita ad Antonio, per convincersi di
essere
stato vittima di un abbaglio momentaneo, dovuto alla stanchezza o al
caldo di
quel giorno.
Si
rivelò la peggiore idea che
avesse mai avuto: la presenza dell’amico nutrì i
fantasmi sacrileghi che
infestavano il suo cuore, facendoli diventare dei veri e propri mostri.
Risvegliati dagli spettri della perdizione, altri demoni minori nella
sua anima
avevano preso ad ululare per ricordargli in quanti altri modi Antonio
si fosse
dimostrato blasfemo: quando i mercanti di ritorno dalla Cina avevano
dichiarato
che in quella terra l’omosessualità non era
considerata un reato, non aveva
denigrato quel costume lascivo in alcun modo; non aveva espresso
commiserazione
per gli stolti che adoravano altri dei, precludendosi così
l’entrata nei beati
reami del cielo, anzi, aveva ascoltato con ammirazione i racconti sui
loro
culti. Quell’apertura mentale era estremamente rischiosa: a
Satana bastava uno
spiraglio per potersi infiltrare nell’animo umano, e Antonio
gli offriva un portone
spalancato.
Il
fardello di colpe era stato aggravato
ulteriormente dai loro ultimi incontri: lo aveva corrotto con simulato
candore
offrendogli un anello, facendogli infrangere il voto di
povertà, e aveva
persino cercato di sedurlo con la stessa mascherata impudicizia.
Era
arretrato di un passo,
completamente sordo alle parole dell’amico.
«Che
razza di bestia infernale
sei?» aveva sibilato, prima di andarsene.
Era
chiaro che doveva aiutare
Antonio a ritrovare la retta via prima che la sua anima fosse perduta
per
sempre. Così si era rivolto all’Inquisizione: loro
certamente avrebbero saputo
come epurare il demonio che aveva fuorviato il figlio dei mercanti.
L’unghia
dell’indice picchiettò
sul topazio. Lo aveva rivisto all’incirca una settimana dopo,
quando i suoi
genitori erano già stati affogati.
Lo
sguardo di fuoco che Antonio
gli aveva lanciato nel vederlo comparire al di là delle
sbarre aveva cancellato
ogni dubbio residuo: il suo amico era stato traviato definitivamente
dalle
lusinghe del diavolo.
Il
ragazzo era rannicchiato
nell’angolo più lontano della cella, i vestiti
sdruciti che lasciavano
trapelare lembi di pelle tumefatta. La prigionia gli aveva prosciugato
le carni
e inselvatichito lo spirito, riducendolo ad un assembramento di membra
dimagrite e furiose. Lo sporco accumulato in una settimana gli aveva
appesantito i capelli e imbrattato il viso, tanto che la scia delle
lacrime
spuntava netta sul sudiciume.
Nicolas
aveva cercato di
rincuorarlo, facendogli capire che quel calice, per quanto amaro,
doveva essere
bevuto: solo in quel modo avrebbe potuto ottenere la salvezza eterna.
Antonio
non lo aveva neppure lasciato
iniziare: aveva diretto verso di lui gli occhi verdi, l’unica
cosa del suo
fisico restata immutata. Le iridi ribollenti lo avevano fissato con un
disprezzo così totale che Nicolas si era sentito trafiggere
al fianco come per
una coltellata.
«Hai
permesso che morissero. I
miei genitori» aveva esalato Antonio, impassibile come uno
scoglio e dirompente
come un’onda anomala. «Ti hanno sempre voluto bene.
E tu li hai fatti morire.»
Le
ciglia si erano quasi
congiunte quando il giovane aveva assottigliato gli occhi per scrutarlo
attraverso il ghiaccio dell’odio.
«Ora
sono io a chiederlo a te:
che razza di bestia infernale sei?»
L’aria
della prigione non era
stata attraversata da altre parole: Antonio aveva seppellito il viso
tra le
braccia congiunte, e Nicolas aveva abbandonato i carceri.
L’amico lo
disprezzava, ma non aveva importanza: avrebbe compreso una volta
raggiunta la
porta del Paradiso.
Nicolas
passò una mano tra i
capelli brizzolati.
Contrariamente
alle sue
aspettative, il vescovo aveva dichiarato innocente Antonio, che era ben
presto
sparito nel mare.
Aveva
deciso di diventare
Inquisitore per quel motivo: avrebbe portato in tribunale prove
così
incontestabili che nemmeno un presunto miracolo avrebbe potuto far
cambiare
idea ai giudici. Che senso aveva imprigionare i colpevoli per salvarli
se poi
si permetteva loro di gettare la propria anima nella Gehena?
Nella
sua onorata carriera, aveva
conseguito notevoli successi e, sicuramente, il regno celeste era
più affollato
grazie al suo operato di redenzione. E quando finalmente aveva creduto
possibile una disfatta totale dell’eresia, la divina
provvidenza aveva posto
sul suo cammino l’unico miscredente che gli fosse mai
sfuggito: il suo amico
Antonio.
Il
capitano più famoso di
Spagna era la maturazione adulta dei semi piantati da bambino: un uomo
vigoroso
e solare, con un’indulgenza troppo spiccata per le
diversità.
Avrebbe
potuto credere che i flutti
fossero riusciti nell’impresa di purificazione in cui lui
aveva fallito:
un’opera sublime come il mare poteva riaccendere il desiderio
di avvicinarsi al
suo ineffabile creatore.
Avrebbe
potuto, se l’ex-corsaro
non fosse stato accompagnato da un demonio.
Quel
Lovino era certamente uno
dei frutti più pericolosi dell’albero proibito:
bastavano le fiamme nascoste
nei suoi capelli e nei suoi occhi ramati per capirlo. Anche lui,
proprio come
Antonio tanto tempo prima, era capace di corrompere le menti altrui con
il solo
respiro, di distorcere i pensieri verso rotte perverse.
Sollevò
l’orlo del pantalone, e
le candele gettarono la loro luce sul tessuto ruvido del cilicio che
gli
arrossava la caviglia sinistra. Nicolas lo strinse in modo che i nodi
della cintura
grezza si conficcassero con più forza nella pelle: per
quanto si ritenesse un
uomo integerrimo, preferiva avere una piccola assicurazione contro gli
influssi
dissoluti di quella locanda. Una piccola dose di dolore fisico avrebbe
mantenuto la mente attiva e concentrata nonostante le loro malie.
Il
fato gli stava chiaramente
concedendo la possibilità di completare ciò che
non era riuscito ad ultimare
tanti anni prima. Indossava l’anello come emblema della
debolezza che l’aveva
portato al fallimento, e come monito a non essere altrettanto privo di
difese
in futuro.
Rigirò
il monile, un ghigno ingordo
e inflessibile ad incurvargli le labbra.
Quella
volta sarebbe riuscito a
salvarli.
Propongo,
con il Tuo santo aiuto,
di
non offenderTi mai più,
e
di fuggire alle occasioni prossime del peccato.
Signore,
misericordia, perdonami.
Amen.
***
L’acqua
scrosciò nel catino
sollevando qualche timido spruzzo.
Consuelo
passò la pezza bagnata
sul dorso martoriato del cameriere, con estrema delicatezza: non voleva
strattonare
i punti di sutura e causare ulteriori sofferenze al collega. Rimosse
con
delicatezza il sangue incrostato, liberando la pelle sottostante; il
dorso
dell’uomo si rivelò una selva frastagliata di nodi
di filo scuro stretti su
sottili crepacci rossi. Quelle ferite avrebbero impiegato molto tempo a
rimarginarsi, e una costellazione di cicatrici sarebbe rimasta a
memento dei
tre giorni di agonia del cameriere.
«Non
hai pulito abbastanza?»
biascicò a fatica Diego.
Il
medico di bordo aveva
utilizzato l’anestesia più conosciuta sui campi di
battaglia: aveva fatto
ubriacare il giovane in modo che i suoi sensi annebbiati non si
accorgessero
dell’ago mentre questo gli ricuciva la schiena, ed il cuoco
aveva immobilizzato
lo sbronzo per evitare che si muovesse mentre il dottore suturava le
sue ferite.
Erano
passate diverse ore dalla
delicata operazione, ma ancora i fumi dell’alcol si
attardavano nello stomaco
del cameriere e sulla sua lingua, impastandogli le parole. Non era
così
deprecabile, come situazione: non appena l’effetto del vino
fosse svanito,
Diego avrebbe potuto avvertire con estrema precisione ogni singolo
punto cucito
sul suo dorso.
«Ho
quasi finito» replicò
Consuelo, sciacquando la pezza nella bacinella: l’acqua si
tinse di rosso, e la
donna distolse lo sguardo più in fretta possibile.
Gli
ultimi grumi di sangue
vennero rimossi, e il quadrato di stoffa riposò finalmente a
lato della
bacinella.
Diego
cercò di rialzare il capo
con un arco dorsale, ma desistette immediatamente con un muggito di
dolore: ebbro
o meno, non poteva permettersi di sforzare troppo la sua schiena
lacerata.
Consuelo
lo aiutò pazientemente
a stendersi di nuovo prono, e accostò una sedia al letto per
poterlo vegliare.
«Sei
rimasta solo tu?»
bofonchiò contro il cuscino Diego.
«Credi
che sia sconveniente che
un uomo e una donna restino da soli in una camera?»
s’informò lei.
Il
cameriere provò a scrollare
le spalle, ma si bloccò subito: avrebbe dovuto perdere molti
vizi se non voleva
squarciarsi la schiena rattoppata.
«Non
mi importa molto di quello
che pensa la gente. Mi fa piacere che tu sia qui.»
Consuelo
lo guardò, incerta se
fosse lo spirito dell’uomo o quello dell’alcolico a
parlare: il viso di Diego, per
quanto annacquato dalla sbornia, sembrava sincero.
La
donna infilò una mano nella
tasca del grembiule, strinse il suo amuleto personale, ed
allungò l’altra a
sfiorare quella massacrata dell’uomo, appoggiata sul cuscino.
Non era di certo
una femmina debole, eppure le occorse qualche secondo per controllare
il cuore
e la voce prima di parlare.
«Vorrei
rincasare dalla tua
stessa porta» confessò.
«Lo
facciamo già» replicò ovvio
Diego.
Consuelo
si trattenne dal
roteare gli occhi al cielo solo per rispetto delle condizioni pietose
del
collega, e fu più esplicita con la frase successiva:
«E
che ci coricassimo nello
stesso letto.»
Lo
sfavillio di sorpresa fu
visibile anche nelle iridi intorbidate dalla sbronza: gli occhi
instabili si
appuntarono su di lei, fissandola con serietà nonostante
l’ubriachezza.
«Quello
non lo facciamo» riconobbe
strascicato l’uomo. La donna fu costretta a impedirgli di
rialzarsi in piedi
per il bene delle sue ferite rammendate, e Diego dovette arrendersi
all’evidenza: avrebbe fatto uno dei discorsi più
seri della sua vita in stato
di ebbrezza, steso sul ventre come i pesci spiaggiati.
«Consuelo,
stai veramente
tentando di fare un discorso impegnativo con un uomo ubriaco e
torturato?»
smozzicò, vacillante.
«Non
voglio sprecare altro
tempo» ribatté semplice lei. Aveva rischiato di
perderlo definitivamente solo
pochi giorni prima: non avrebbe più permesso al destino di
essere più veloce di
lei.
«Di
solito dovrebbe essere
l’uomo a proporsi» contestò
l’altro.
«Allora
sbrigati a farlo, così
potrò risponderti di sì»
incalzò Consuelo.
Le
sopracciglia scure del
cameriere si sollevarono increspando la fronte sudata per i patimenti
subiti.
«Non
ti ho ancora chiesto nulla
e tu mi hai già dato la risposta?»
rumoreggiò lui.
«Diego,
fammi la domanda»
tagliò corto la donna.
Il
collega non eseguì subito il
suo ordine: trascorsero alcuni istanti riempiti solo dai loro sguardi.
Nemmeno
nella novella scritta
dal peggior imbrattacarte di Spagna avrebbero potuto assistere ad una
scena più
ridicola per una proposta di matrimonio: l’uomo incagliato
nel letto, il dorso rappezzato
come le vecchie coperte di alcune comari, succube del vino che si
attardava nel
suo corpo, e la donna scarmigliata da giorni di preoccupazioni, le
occhiaie
scavate dalla stanchezza e il vestito sgualcito.
Ma
non fu su quei dettagli che
si appuntarono i loro sguardi: Diego contemplò la giovane
che stava per
chiedere in moglie, il viso forte dalle labbra piene e gli occhi
mogano, i
capelli corvini arricciati in onde scarruffate che scendevano fino al
petto
prosperoso, in accordo con il fisico procace; Consuelo
sfiorò con lo sguardo
l’uomo che stava per farle la proposta: le guance
più incavate di come le
ricordava e la pelle più slavata, ma inconfondibile per le
iridi scure come i
capelli crespi e per il sorriso che aleggiava ovunque nella sua
persona,
perfino nei momenti di maggiore serietà.
Le
labbra del collega sfregarono
sul suo anulare come se le volessero infilare un anello e la voce
affaticata di
Diego dichiarò:
«Consuelo,
sei sicura di voler
condividere ogni giorno della tua vita con un uomo che ancora non sa
quando deve
smettere di parlare?»
La
donna batté gioiosamente le
mani quando accettò:
«Sì.
Non posso permettere che
quell’uomo continui a cacciarsi nei guai con il suo vizio di
non stare mai zitto.»
E
diede prova della sua buona
volontà sporgendosi su di lui per baciarlo.
***
Arthur
sapeva bene come farsi
ubbidire: la sua era una delle ciurme maggiormente disciplinate grazie
a quella
sua capacità, che l’inglese aveva imparato a
dosare e sfruttare con enorme
maestria.
Adoperò
la sua qualità quella
sera stessa, obbligando Antonio e Lovino a discutere con lui nel salone
svuotato. Spostarono tre poltrone in modo da potersi osservare negli
occhi
durante il dibattito, ed Arthur cominciò:
«Non
potete più restare qui,
con quell’avvoltoio su di voi. Dovete andarvene.»
«E
dove?» confutò Antonio,
puntando a terra il bastone. «La Spagna è vasta,
ma l’Inquisizione può arrivare
ovunque. E potrebbero comunque catturarci durante il viaggio.»
Lovino
strinse il tessuto della
camicia con il pugno. I suoi cinque sensi si unirono per creare
l’immagine
raccapricciante della loro possibile cattura: poteva vedere il ghigno
del
cacciatore, udirne la risata e sentire i suoi artigli sulla nuca.
Schioccò la
lingua a bocca chiusa: gli era parso perfino di sentire il sapore della
cenere
in bocca e il puzzo del fumo nelle narici.
«Per
quanto i tentacoli
dell’Inquisizione possano essere lunghi, non possono
setacciare tutto il mare.»
Una
ragnatela di silenzio
viscoso incollò le lingue ai palati a seguito
dell’asserzione dell’inglese, e
fu Antonio a districarsi per primo dall’intreccio appiccicoso.
«Non
posso imbarcarmi di nuovo»
sancì, quasi atono. «Di quale utilità
potrei essere, su un galeone? Non
riuscirei nemmeno a camminare come si deve.»
«Non
saresti utile come uomo
d’assalto, ma saresti un eccellente navigatore.»
Lovino
annuì istintivamente
all’affermazione del capitano: aveva detto la stessa cosa ad
Antonio la sera
prima che portassero via Diego.
«Basta
un po’ di pioggia a
bloccarmi sul letto. Immagina cosa potrebbe fare il mare»
sottolineò il
locandiere.
«Hai
un ottimo bastone, non è
così? Al resto penserà la tua tenacia»
Arthur fece scivolare le mani sui
braccioli della poltrona, e le dita si strinsero sulla parte terminale.
«Hai
compiuto metà delle tue imprese solo grazie alla tua
volontà. E hai
attraversato disagi peggiori di una gamba immobilizzata.»
Le
unghie dello spagnolo
tamburellarono sull’elsa dorata del bastone.
Sapeva
che il mare era una
sicura via di salvezza: lo aveva capito tanti anni prima, fuggendo dal
rogo, e
ne era consapevole anche in quel momento. L’Inquisizione non
aveva potuto
rintracciarlo mentre cavalcava gli oceani, ma lo aveva stanato dopo
pochi anni di
sedentarietà sulla terraferma.
Tuttavia,
il mare aveva una
grande debolezza che perfino il prediletto dalla Dea riconosceva: non
permetteva di mantenere dei legami solidi. Per tutto il tempo in cui
era stato
mozzo e poi capitano, non aveva mai nutrito grandi interessi per le
relazioni
umane: i suoi genitori erano morti, e il suo migliore amico era stato
l’artefice del loro assassinio e del suo tentato omicidio. I
legami affettivi
erano un pesante fardello che inchiodava nel passato e uno stiletto
avvelenato
conficcato nel fianco. Era sufficiente avere il rispetto e la
fedeltà della sua
ciurma: non importava se non avrebbe mai più rivisto la
donna che gli aveva
dichiarato il suo amore o se non avrebbe mai più toccato il
porto di una
determinata città. Le onde corrodevano le catene in cui le
persone sulla
spiaggia cercavano di legarlo, lasciandolo libero da affetti gravosi.
L’unica
eccezione nel suo
periodo sulle navi era stato Arthur, il solo lupo di mare che avesse
rispettato
tanto da voler mantenere i contatti, per quanto possibile, a dispetto
delle
loro nazionalità contrastanti.
Poi
un proiettile lo aveva
ancorato alla terraferma che aveva fuggito per tanti anni.
Si
era mostrato cortese,
disponibile e con una battuta di spirito sempre pronta, ma pochi
avevano capito
quanta diffidenza si celasse dietro quella solarità;
l’ex-corsaro si
relazionava alle persone come avrebbe fatto con un’arma
troppo affilata: le
maneggiava con garbo e con cura, ma anche con acuta attenzione a non
ferirsi.
Finché
non era arrivato Lovino,
un emigrato senza radici ed intollerante ai legami umani, considerati
da
quest’ultimo un onere inutile e dannoso. Aveva scorto il
riflesso della sua
anima in quelle iridi introverse, e non aveva potuto che interessarsi a
chi
viveva in modo tanto plateale ciò che lui nascondeva con
dovizia. Non aveva
previsto che si sarebbe innamorato perdutamente di quel giovane
irascibile, ma
aveva accettato quel nuovo sentimento come un dono: il pescatore era
l’unica
persona per cui fosse disposto a togliere il giogo dalle proprie
emozioni.
Non
voleva che il mare, da
amante possessivo qual era, rovinasse il loro legame con le sue
promesse
sinuose e i suoi prolungati addii.
«Ha
ragione.»
La
frase uscì con un sibilo sottile
dalle labbra del ragazzo, ma stupì enormemente uno dei
presenti e ne raggelò un
altro.
Lovino
sollevò lo sguardo su
Antonio, fermo e deciso.
«Dovresti
fare il navigatore»
ribadì. «Hai le capacità per farlo. E
Nicolas non potrebbe più raggiungerti.»
«Ma
potrebbe ancora raggiungere
voi» lo spagnolo non aveva
intenzione
di replicare con tanta veemenza, ma la voce salì
spontaneamente di qualche
ottava, forse per sovrastare il maremoto del suo sangue in tempesta.
«Tutta la
locanda è sotto l’ombra degli
Inquisitori!»
Arthur
sospirò, aggrottando le
assurde sopracciglia. Cominciava ad essere grato al loro passato
regnante per
aver divorziato dalla Chiesa prima di quella degenerazione totale.
«Potrebbero
imbarcarsi anche
loro» Arthur decise di essere più chiaro quando
notò lo sguardo dubbioso di
Antonio: «Non tutti entrereste a far parte della mia ciurma,
ovvio. Ma potreste
navigare con noi fino a raggiungere la Francia o
l’Inghilterra, e pagare il
viaggio lavorando a bordo.»
Il
bastone di Antonio si puntò
sul pavimento, le intarsiature dell’impugnatura coperte dai
pugni dell’uomo.
«Spiegati
meglio.»
Arthur
intrecciò le dita
davanti al volto, i gomiti poggiati ai braccioli, e scandì
attentamente:
«Potrei
offrire un lavoro
permanente a te e Lovino: tu potresti fare da navigatore, e lui
potrebbe
cominciare come mozzo. Ma dubito che gli altri tuoi dipendenti vogliano
ballare
su un ponte di poppa per il resto della loro vita. Potrebbero viaggiare
con noi
fino ad un porto sicuro, e ripagarci per la traversata lavorando sulla
nave.»
«Non
credo che un porto inglese
potrebbe essere un “porto sicuro”»
contestò Antonio, non troppo acre per non
offendere l’amico: si rendeva conto che la proposta di Arthur
fosse più che
generosa, ma c’erano altre variabili da considerare.
«I nostri due paesi hanno
diversi rancori sotterranei. Pensi davvero che tre esuli spagnoli
sarebbero i
benvenuti sulle coste britanniche?»
L’inglese
si aspettava una
contestazione simile a giudicare dal sorriso compiaciuto che gli
attraversò le
labbra.
«Faremo
scalo in Francia»
annunciò. «Abbiamo alcuni affari da concludere al
porto di Marsiglia. E lì
abita una mia conoscenza che potrebbe aiutarli ad
ambientarsi.»
«Una
tua conoscenza?» gli fece
eco l’altro, perplesso.
Il
labbro superiore del
capitano ebbe una contrazione nervosa, e le dita accentuarono la loro
presa sui
braccioli per un istante al pensiero del pomposo, teatrale e malizioso
francese
in questione.
«Potrebbe
aiutarli» concluse,
in un sibilo teso. Inspirò a fondo e recuperò il
suo contegno: quell’argomento
richiedeva la massima serietà da parte sua.
«Antonio, non potete restare qui.
L’hai detto tu stesso: anche se sei stato dichiarato
innocente, Nicolas potrebbe
inventare delle nuove accuse. E, se non potrà torturare te,
se la prenderà con
i tuoi cari.»
Lo
sguardo del locandiere virò
subitaneamente verso il ragazzo alla sua destra. Lovino meritava di
poter
assaporare i suoi sentimenti senza il timore costante di essere gettato
in
gattabuia, aveva il diritto di vivere senza una corazza che lo
schermasse da
chi lo tormentava e da chi lo amava: Antonio aveva faticato a lungo per
superare le barriere del pescatore, e non voleva vederlo regredire di
nuovo ad
uno stato di difesa isolata.
A
sua volta Lovino sbirciò di
sottecchi l’uomo. Aveva visto l’espressione di
Antonio, mentre parlava di
quanto era avvenuto diciotto anni prima: non gli avrebbe permesso di
spingersi
di nuovo in una situazione così perigliosa solo per
proteggerlo. A costo di
trascinarlo di peso sulla nave, lo avrebbe portato via dal nido
dell’Inquisizione.
Arthur
fissò entrambi e
un’occhiata fu sufficiente per capire che i due avevano
bisogno di parlare in
privato.
«Avete
comunque una settimana
per decidere» ricordò loro, alzandosi dalla
poltrona. «Ma è meglio che
arriviate ad un accordo in fretta: i preparativi per un viaggio sono
lunghi,
come ben sapete.»
La
tensione si aggravò quando
l’inglese lasciò la stanza: con una schiena in
meno a sostenerla, l’aria greve
di pensieri opprimenti piombò sulle loro spalle,
schiacciandoli.
«Perché
non vuoi partire?»
eruppe infine Lovino, stanco di quell’accidia soffocante.
«Sai bene che è la
tua unica possibilità! Temi una cicatrice più
dell’Inquisizione?»
Antonio
trasse un profondo
respiro, alla ricerca di una risposta soddisfacente per il giovane. Si
sarebbe
incollerito se gli avesse rivelato il reale motivo per cui era
così titubante
riguardo la partenza: alla locanda tutti sapevano che il ragazzo
apparteneva all’ex-capitano,
ma su un galeone chiunque avrebbe potuto pensare di infastidirlo. Lo
irritava
l’idea che qualcuno potesse anche solo guardare il suo
innamorato con pensieri
licenziosi, e lo mandava su tutte le furie l’ipotesi che un
mozzo qualunque
potesse addirittura provare a mettergli le mani addosso: si potevano
passare
mesi interi sulle navi, senza mai vedere una donna, e alcuni marinai
cercavano
sfogo in altri modi. Pensare che Lovino potesse essere visto solo come
una
soluzione conveniente lo faceva adirare ancora di più: lui
adorava ogni
dettaglio di quel giovane, e non voleva che qualche maniaco lo
profanasse.
La
minaccia del rogo avrebbe
dovuto cancellare simili apprensioni, ma non riusciva ad immaginare di
vivere
per mesi interi con la preoccupazione costante che Lovino potesse
essere
molestato. Sapeva che il pescatore non era facile da avvicinare e che
non
avrebbe permesso a nessuno di toccarlo; tuttavia, bastava
l’idea che una
persona qualunque potesse usare Lovino nelle sue fantasie oscene per
fargli
provare un senso di nausea.
Portò
una mano alla tempia,
dove stava germogliando un principio d’emicrania: da quando
era diventato così asfissiante?
Il giovane aveva operato una vera e propria metamorfosi
nell’ex-capitano che un
tempo schivava con eleganza ogni promessa troppo impegnativa e ogni
legame
troppo stretto: era riuscito perfino a fargli considerare la morte come
un male
secondario se paragonato al suo abbandono.
Un
pensiero infausto gli fece
sbarrare gli occhi: se fossero rimasti, Nicolas avrebbe certamente
raggiunto
Lovino. Il cuore si arrotolò su se stesso, adirato con i
propri sentimenti: si
era davvero fatto accecare dalla gelosia quando il vero rischio era
perdere
definitivamente il giovane?
Antonio
espulse tutte le sue
tribolazioni con un faticoso respiro.
«Hai
ragione» capitolò,
annuendo. «Non possiamo restare. Dobbiamo
andarcene.»
Si
alzò per raggiungere il
capitano inglese, ma non riuscì a muovere nemmeno un passo.
La
mano di Lovino si legò
attorno al suo polso, e fu sufficiente quel tocco a fermarlo.
Il
pescatore continuò a
stringerlo in silenzio, intrappolato nelle proprie meditazioni.
Se
Antonio avesse potuto
scrutare nella testa del giovane, avrebbe visto come la trepidazione di
provare
di nuovo le carezze dell’amante e il timore di un altro
insuccesso stessero
lottando furiosamente tra di loro.
Poté
vedere però il risultato di
quelle elucubrazioni: Lovino condusse la sua mano verso il proprio
viso, e appoggiò
la gota nella culla del palmo. La piega indispettita era ancora
visibile sulla
sua bocca, ma Antonio non vi badò: la guancia del ragazzo
era tiepida, e non
aveva sussultato a quel contatto. E le dita di Lovino stringevano
ancora il suo
polso.
Antonio
quasi non si accorse di
essersi portato di fronte alla poltrona del giovane: quando si trattava
del suo
pescatore, le azioni si susseguivano spontanee come i respiri nei
polmoni. Era
quasi un processo naturale quello che lo portava ad avvicinarsi ogni
volta a
quel ragazzo mutevole che lui trovava semplicemente incantevole.
Fece
perno con il ginocchio e
la sua ombra si stagliò sul compagno, che lo
fissò dal basso con il suo
caratteristico cipiglio, come se stesse decidendo il punto migliore in
cui
sferrare una testata.
L’ex-capitano
insinuò le mani
nelle sue, e le fece salire sulla stoffa dello schienale fino a
portarle ai
lati della testa del pescatore; Lovino mantenne lo sguardo
intimidatorio, ma
non riuscì a mascherare del tutto l’indecisione:
il labbro inferiore venne
morsicato palesando incertezza. Non voleva provare di nuovo la
sensazione di
essere estraneo al suo stesso corpo, ma non desiderava nemmeno che ogni
futuro
contatto con il suo amante gli causasse un trauma.
Antonio
sorrise della sua
smorfia minacciosa, e Lovino seguitò ad inalberarla contro
di lui. Conservò le
sopracciglia corrucciate perfino quando le labbra dell’uomo
scaldarono le sue
con una pressione gentile.
Il
pescatore avvertì gli
artigli della tensione scorrergli sulla spina dorsale e il cuore
cominciare a
battere come se fosse sul punto di esplodere: l’amore per
Antonio e il terrore
per l’Inquisizione erano emozioni troppo forti per essere
sopportate in
contemporanea da un solo muscolo.
Serrò
le dita su quelle del
compagno tanto da incidergli le unghie sul dorso, e Antonio gli
accarezzò i
polsi con i pollici per acquietarlo. Non si mosse ulteriormente
finché non
avvertì il respiro del ragazzo placarsi contro la sua
guancia, e i muscoli del
giovane rilassarsi impercettibilmente una volta riacquistato il
controllo del
cuore.
Lo
invitò con dolcezza a
schiudere le labbra, attendendo la sua reazione. Lovino non rispose ai
suoi
inviti finché non fu pienamente sicuro che non si sarebbe
scatenata una seconda
ribellione nel suo petto se avesse approfondito il bacio con il suo
amante.
Antonio
si separò da lui quando
avvertì il corpo del giovane intirizzirsi come per uno
spiffero improvviso:
aveva osato molto per risvegliare il compagno dal sortilegio
dell’Inquisizione,
e non voleva rischiare di spaventarlo ulteriormente con un approccio
fisico che
non sarebbe riuscito a gestire in quello stato d’animo. Lo
baciò un’ultima
volta a fior di labbra prima di rialzarsi e rilasciare la presa sulle
sue mani.
«Vado
ad avvisare Arthur» lo
avvisò, carezzandolo sui capelli.
«Vai»
Lovino scostò il capo,
burbero, e Antonio si rassegnò ad avere quel brontolio come
commiato.
L’ex-capitano
uscì dalla stanza
accompagnato dai rintocchi del bastone.
Se
avesse ripreso il mare,
avrebbe dovuto accettare i crampi alla gamba come in un sempiterno
giorno di pioggia,
avrebbe dovuto tollerare gli sguardi degli altri marinai sul suo
pescatore, e
avrebbe dovuto cercare di non farsi soggiogare
dall’irritazione e gettarli in
mare. Ma per Lovino avrebbe pazientato. In fondo, quel ragazzo si era
gettato
dalla Queen of Pirates pur di stare
con lui.
Si
bloccò all’improvviso a metà
dell’atrio: Nicolas si era dimostrato imprevedibile e dotato
di una memoria di
acciaio. Non potevano fare affidamento su un unico piano di azione:
dovevano
avere una via di fuga alternativa, o per il predatore sarebbe stato fin
troppo
facile incarcerarli.
Una
strategia si formulò nella
sua mente, andando a disegnare un programma di battaglia che
sicuramente
avrebbe fatto strepitare Lovino e che invece persuase il locandiere.
Si
avviò a passo spedito verso
la stanza dell’inglese, bussò e, non appena Arthur
aprì, lo salutò con la
seguente richiesta:
«Ho
un favore da chiederti.»
«Quale?»
«Non
rivelare a Lovino nulla di
quanto sto per dirti.»
Ed
entrò nella stanza per
esporre il suo progetto.
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Capitolo 7 *** Confesso ***
Confesso
Nei
cinque giorni successivi,
l’Inquisizione sembrò essere caduta in un profondo
sopore: nessun individuo
impaludato di nero bussò alla porta della taverna, nessuna
accusa venne
scagliata contro di loro.
La
nera ombra del rogo pareva
allontanarsi progressivamente ad ogni nuovo tramonto trascorso in
relativa
tranquillità.
Il
primo giorno l’intera
locanda non riusciva a credere a quella fortuna insperata: perfino i
mattoni
sembravano ergersi più silenziosamente del solito, quasi
temessero di
risvegliare la minaccia attenuata. I preparativi per la partenza
proseguirono
in una pace attentamente orchestrata, composta da silenzi elettrici e
corse furtive
da una stanza all’altra: tutti covavano il segreto desiderio
che la minaccia
fosse scomparsa, ma nessuno osava tramutare quel fragile sogno in
parole.
Il
secondo giorno l’atmosfera
si fece ancora più vibrante di speranze nascoste: la
meridiana segnava
incessante lo scorrere delle ore, e la loro soglia non era stata
varcata da
alcun cacciatore.
Il
terzo giorno l’aria sembrò
rasserenarsi a ritmo delle chiacchiere più spontanee e
più frequenti; il quarto
trascorse quasi in allegria, con la prospettiva del viaggio sempre
più vicina e
il pericolo dell’Inquisizione sempre più lontano.
Sul
tramontare del quinto
giorno, l’annuncio delle prossime nozze tra Consuelo e Diego
fece scintillare
la locanda come non avveniva da tempo. Il cameriere cercò di
minimizzare,
ricordando a tutti quanti che ancora non avevano deciso il giorno,
Consuelo non
aveva terminato di ricamare la sua dote, non avevano gli abiti adatti e
nemmeno
una Chiesa in cui presentarsi senza essere sbattuti in una sala delle
torture,
ma non fu sufficiente a ridimensionare l’entusiasmo dei
colleghi: i troppi
giorni passati con l’ansia sfibrante a logorare i muscoli e
la mente tagliarono
le briglie della loro esaltazione.
Le
pacche sulle spalle furono
abolite, ma Diego non poté scansare in alcun modo la
vigorosa scarmigliatura di
capelli da parte del cuoco. Antonio, dopo un attimo di indecisione, gli
strinse
il gomito in sostituzione alla mano, e Lovino espresse il suo consenso
a
parole.
Consuelo,
che non era
infortunata, fu festeggiata con molto più clamore:
l’energumeno la sollevò come
se fosse senza peso, e allo stesso modo la fece girare
nell’aria; fu
abbracciata dal capo della locanda mentre era ancora intontita dalle
vertigini,
ma recuperò la sua disinvoltura per baciare su entrambe le
guance Lovino,
troppo testardo o troppo timido per prendere l’iniziativa.
Antonio
inspirò a fondo quella
pace frizzante. La pesantezza del periodo precedente era stata tale da
far
sembrare un minimo spiraglio di luce abbagliante come il sole di
mezzogiorno:
erano bastati pochi giorni di tregua per creare quella primavera
illusoria.
«Farai
vestire di lutto tutta
la ciurma dell’inglese!» tuonò il cuoco.
«Consuelo ha attirato gli sguardi di
molti marinai!»
Diego
sferrò all’omone uno
sguardo di ferro che si guadagnò il compiacimento della
donna e l’approvazione
del locandiere.
«Non
sono disposto a
condividere» sibilò il cameriere, con una
decisione tale da apparire minaccioso
perfino in quello stato, bloccato su un letto con la schiena cucita e
le mani
fratturate.
Non
potendo sfasciare il dorso
del collega con una manata, il cuoco abbatté il palmo sul
cuscino, a pochi
centimetri dal suo viso: sarebbero bastati pochi millimetri per
frantumargli il
naso.
«Ben
detto!» latrò quello, del
tutto incurante dell’espressione atterrita di Diego.
Consuelo
sfoggiò la propria
oculatezza mettendosi a sedere sul bordo del letto, esattamente tra il
cuoco e
il suo fidanzato: non voleva che l’irruenta
festosità del collega la rendesse
vedova prima ancora della cerimonia nuziale.
Una
gradevole sensazione di appagamento
gli distese i muscoli del volto, e Antonio assaporò la
soddisfazione di curvare
le labbra in un sorriso. I suoi dipendenti non avevano protestato alla
prospettiva
di partire con la Queen of Pirates,
probabilmente poiché sapevano di non avere alternative: tra
l’abbraccio
dell’Inquisizione e quello del mare, i suoi uomini non
avevano esitato a
scegliere l’affetto dei flutti.
«È
ancora convalescente, non
farlo stancare troppo» lo rimproverò garbatamente
Consuelo, accarezzando il suo
uomo sul collo.
Il
mastodonte scrollò le enormi spalle e si ritirò
dopo un ultimo, altisonante
augurio alla coppia:
«Complimenti,
Diego: non hai
perso la tua chiave!»
Nessuno
dei presenti comprese
il senso di quella frase, e il cuoco non si prese il disturbo di
spiegarla: sua
figlia, dal lontano paese felice in cui si trovava in quel momento,
sicuramente
lo aveva sentito e stava sorridendo. E il suo sorriso sarebbe stato il
miglior
auspicio possibile per la neonata coppia.
«Di
nuovo congratulazioni» si
complimentò in maniera più classica Antonio.
«Congratulazioni»
echeggiò
Lovino. Negli ultimi tempi le guance del pescatore si erano tinte di un
colorito più sano, e anche l’anima pareva in
qualche modo rincuorata: pochi
giorni erano stati sufficienti ad allentare il cappio che gli strozzava
il
collo e a permettergli di respirare di nuovo.
Diego
mosse appena il braccio,
nel modo goffo che gli permetteva di mantenere i punti di sutura in
sede e le
stecche alle dita ferme; attirato da quel segnale, Lovino si
avvicinò al
capezzale del malato.
«Tra
due giorni sarà tutto
finito» esultò a bassa voce il cameriere.
«Non ti senti rinascere al solo
pensiero?»
Gli
occhi ramati si mossero
irrequieti. Era successo: uno di loro aveva nominato a voce alta
l’enorme
fortuna che si stagliava sul loro cammino. Si augurava di tutto cuore
che la
capricciosa signora della prosperità non si sentisse offesa
da tanto ardimento
e non voltasse loro le spalle. Annuì velocemente e si
issò nuovamente in piedi.
L’ex-capitano
e l’italiano
abbandonarono a loro volta la stanza, lasciando in intimità
i due fidanzati.
Le
aspettative di Lovino
seguivano un semplice schema: il suo compagno gli si sarebbe accostato,
lo
avrebbe abbracciato, avrebbe mormorato una delle sue solite sciocchezze
e si
sarebbe così guadagnato una risposta pungente.
Antonio
tradì tutte le sue
previsioni: si avviò meditabondo verso la finestra, senza
sfiorarlo nemmeno con
gli occhi. Il vetro ritagliava un quadrato perfetto sul mare sanguigno
del
tramonto e sul sole che pian piano si nascondeva nelle onde rubino.
Il
capitano rimase a fissare il
panorama amaranto, i gomiti appoggiati alla balaustra e il bastone alla
parete,
e fu Lovino ad accostarsi a lui, contrariamente ad ogni programma
iniziale.
Il
pescatore incrociò le
braccia sulla cornice di legno e vi poggiò sopra il mento,
senza riuscire a
sbuffare davanti allo spettacolo del cielo scarlatto e del suo specchio
nel
mare. Da quando Nicolas era piombato su di loro, aveva vissuto come se
tutti i
suoi sensi fossero stati improvvisamente offuscati: mangiava,
camminava,
pescava, ma nessuno dei suoi ricettori era realmente in ascolto. Il
canto dell’oceano
era un sottofondo rauco e appena udibile, i colori sembravano sfumati
in un’onnipresente
nebbia, perfino il cibo sembrava ammuffito nel sapore stantio
dell’ansia. Solo
con Antonio riusciva ancora a percepire qualcosa, fino alla sera in cui
lo
aveva baciato come se fosse un’altra persona a farlo.
Sfregò
bruscamente la nuca, su
cui si erano accapponati i capelli più corti: quel ricordo
gli dava ancora i
brividi.
Il
mare lo aiutò a dimenticare:
l’odore piccante della salsedine risvegliò il suo
olfatto ingolfato, e le tinte
cangianti sotto i dettami delle maree e dei raggi morenti gli fecero
riscoprire
i colori che aveva dimenticato. Ma la sensazione più forte
non provenne dalla
natura davanti a lui: come la bassa marea che al mattino avanza
faticosamente fino
a divorare la spiaggia, allo stesso modo il tepore del compagno si fece
strada
verso di lui fino ad abbracciarlo, sebbene l’ex-corsaro fosse
rimasto fermo
nella sua posizione.
Lovino
chiuse piano gli occhi,
lasciandosi cullare da quel torpore e dal rassicurante sciabordio
dell’oceano.
«Non
siamo mai stati sul mare insieme.»
La
voce dell’uomo si incastrò
armonicamente nel coro dei flutti, e Lovino impiegò qualche
istante per isolare
le tonalità roche dell’amante da quelle incorporee
dei marosi.
«Per
via della tua gamba» gli
ricordò schietto il pescatore.
Non
aveva quasi finito di dirlo
quando Antonio si riappropriò del bastone con un movimento
spavaldo; le iridi smeraldine
si appuntarono su di lui, scintillanti di una gioia immotivata.
«Andiamo
stasera» decise il
locandiere.
«Perché?»
lo incenerì Lovino. Entro
due giorni avrebbero cavalcato le onde fino ad averne la nausea: non
vedeva il
motivo per cui dovessero recarsi al mare proprio in quel momento, con
lo
spettro della caccia agli eretici ancora presente tra di loro, seppur
indebolito.
Le
sue aspettative furono di nuovo
deluse: Antonio non gli fornì alcuna spiegazione verbale. Si
limitò a
sorridergli e a imboccare la porta a passo spedito.
Lovino
non poté fare altro che
ruzzolargli dietro, sfoggiando il peggior corollario di insulti appreso
durante
gli anni da garzone al banco del fruttivendolo.
Se
proprio Antonio voleva
costringerlo ad assecondarlo nelle sue stramberie, avrebbe dovuto
sapere
esattamente quanto gli costasse
seguirlo.
***
Si
sarebbe scrollato di dosso
la sabbia per giorni. Probabilmente, avrebbero trovato quei granelli
infernali
anche nella sua tomba.
Aveva
seguito Antonio fino alla
spiaggia, senza riuscire a spiegarsi come una persona munita di bastone
potesse
camminare a passo così spedito.
Quello
sconsiderato non aveva
scelto la solita banchina in cui il ragazzo ormeggiava la barca dopo
aver
pescato: lo aveva condotto fino ad uno sperduto litorale, poco
più di una
lingua di terra che fendeva il mare per qualche metro, e lì
si era gettato a
sedere sulla sabbia, in perfetto silenzio, con il bastone appoggiato di
fianco.
Lovino
lo aveva guardato con
perplessità e lieve ritrosia quando l’uomo si era
girato per fargli cenno di
sedersi accanto a lui. Aveva sbuffato, imprecato e si era lamentato, ma
aveva
eseguito l’ordine: Antonio era una persona cordiale e
responsabile, ma in
alcuni momenti retrocedeva ad uno stadio decisamente infantile. In quei
frangenti, non vi era alcuna possibilità di farlo ragionare:
occorreva seguire
la sua stravaganza fino in fondo, augurandosi che non portasse troppe
catastrofi.
Lovino
si dimenò, sciorinando
un vastissimo vocabolario di invettive: la sabbia di quella spiaggia
era molto
più fine della sua solita banchina, e si stava infilando in
ogni piega dei suoi
vestiti veloce come un paguro che rientra nella sua conchiglia.
Rimasero
in silenzio a fare da
pubblico al sole che calava nell’orizzonte cremisi: la volta
celeste si dipinse
di un rosso sempre più cupo, contornato da una sottile
corona di viola. Il mare
si adombrò assieme al cielo, i colori scarlatti fagocitati
dalle tenebre del
crepuscolo ed infine dal manto vellutato della notte ancora giovane.
Fu
il buio acerbo a veicolare
l’esordio del capitano.
«Non
sai difenderti, vero?»
Lovino
scattò in piedi,
sollevando una quantità di sabbia tale da riempire le
clessidre di un intero
negozio.
«Non
sono una donnicciola
indifesa!» turbinò come un uragano, fissando il
punto dove era più probabile si
trovasse la faccia del locandiere: le ombre non erano impenetrabili, ma
le sue
pupille non si erano ancora del tutto abituate al cambio di luce.
Le
stelle più impazienti
donarono uno spillo del loro argento agli occhi di Antonio, quando si
appuntarono sul compagno.
«Intendo
dire che non sai
combattere.»
L’ex-corsaro
approfittò del
disorientamento del ragazzo per alzarsi in piedi e sovrastarlo con i
suoi
centimetri in più di altezza; il bastone affondò
nella sabbia, muto.
«La
Queen of Pirates è una
delle navi più famose al mondo» premise
Antonio. «Ma questo non la rende sicura. Al contrario,
moltissimi pirati la
prendono di mira per guadagnarsi la gloria del suo bottino, e lo stesso
fanno
molte altre navi» Lovino sentì le unghie
dell’uomo battere una musica nervosa
sull’elsa dorata prima che questo ammettesse: «E
Arthur non è la persona più
pacata che possa esistere su questa terra: non è raro che
ordini un
arrembaggio.»
La
sabbia emise un sibilo
prolungato quando venne calpestata dal locandiere
nell’avvicinarsi al suo
amante.
«Se
durante la navigazione
dovessimo essere attaccati, tu cosa faresti?» volle sapere
Antonio.
«Combatterei»
replicò ovvio
Lovino.
«In
che modo?» il tono dell’ex-capitano
suonò duro e tagliente come le pietre degli scogli
più aguzzi: era
l’apprensione per il futuro del suo innamorato a farlo
parlare in quel modo, ma
gli anni passati al comando di un galeone avevano iniettato una traccia
di
autorevolezza adamantina nella sua esortazione.
«Non
lo so» cedette Lovino, e
subito l’altro replicò:
«È
proprio questo il problema.
Non lo sai. E non hai nemmeno le armi per difenderti.»
Antonio
non gli permise di
contrattaccare perché seguitò, inflessibile:
«Le
battaglie che si consumano
per mare non sono meno cruente di quelle che hanno per teatro la
terraferma. In
quei momenti non puoi avere indecisioni. Quando fronteggi il tuo
avversario,
sai che una vita abbandonerà la terra: se avrai il coraggio
di premere il
grilletto, sarà quella del tuo rivale, altrimenti la
tua.»
«Non
ho pistole. E non ho
intenzione di usarle» rispose acido Lovino, usando il suo
carattere abrasivo
contro la gravità di quel discorso. Il suo amore viscerale
per il mare lo aveva
sempre portato a sognare galeoni, senza mai soffermarsi davvero sugli
aspetti
più selvaggi della vita su una nave. Non aveva mai
considerato gli scontri tra
imbarcazioni e, se lo aveva fatto, era stato con
superficialità per non
rimanerne troppo coinvolto.
«Dovrai
farlo, se vuoi
sopravvivere» lo redarguì Antonio.
«Userò
qualunque altra cosa, ma
non una pistola!»
L’acqua
frenò lo strillo di
Lovino, ma l’aria non fu altrettanto pietosa e lo
amplificò fino a farlo
riecheggiare in cielo.
La
spuma delle onde notturne si
infranse contro le caviglie del pescatore, che era corso ad immergere i
piedi
nel mare: come sempre, aveva bisogno della consolazione delle correnti
e della
salsedine per placare i suoi nervi scossi.
Un
secondo profumo si sovrappose
a quello delle maree, più indisciplinato di quello
impersonale dell’oceano, e
una seconda carezza si posò sulla sua spalla, più
calda delle fresche dita che
gli lambivano i calcagni. L’acqua scorse tra le sue caviglie
e arrivò a
spumeggiare attorno a quelle dell’uomo in piedi dietro di lui.
«Perché
non vuoi usare una
pistola?»
La
voce dell’amante si abbassò
fino a raggiungere quelle tonalità rauche che sembravano non
rivolgersi solo
all’orecchio, ma a tutto il corpo del giovane: Lovino
sentì le parole dell’ex-corsaro
avvolgergli la schiena, insinuarsi sul busto ed arrampicarsi sinuose
sul collo
prima di scivolargli nel timpano. Non era più un capitano
che disciplinava un
subalterno ribelle: era un innamorato che si prendeva cura di
ciò che aveva di
più prezioso. Ora che la sua voce si era spogliata della
ferraglia autoritaria,
poteva liberarne tutto l’accorato calore.
Lovino
passò le mani sugli
avambracci e le arrestò sui gomiti, stringendoli; i denti si
digrignarono e gli
occhi si strinsero prima che il giovane mormorasse:
«Mio
fratello.»
Le
braccia dell’uomo
scivolarono sulle sue, circondandogli il petto. Non fu fatta altra
domanda, se
non quella inespressa di rimanere abbracciati in quel modo, stretti
l’uno
all’altro e accarezzati dal mare. Antonio non si sarebbe
intestardito su quella
questione così delicata: se un giorno il pescatore avesse
voluto confidarsi con
lui, lo avrebbe ascoltato attentamente. Fino ad allora, lo avrebbe
abbracciato
per fargli capire di non essere solo in quel mondo freddo.
«Dovrai
imparare le nozioni
base del combattimento» sussurrò dolce Antonio.
«Ti avrebbe istruito Diego, se
non fosse stato impossibilitato.»
«Posso
cavarmela. Non sono
sprovveduto come credi» si risentì in un borbottio
Lovino.
I
fatti successivi lo
smentirono clamorosamente: Antonio non fece altro che compiere un passo
indietro e spingerlo facendo leva sul retro delle ginocchia.
L’ex-capitano
rimase coinvolto nel putiferio di spruzzi che si sollevò con
la caduta del
giovane, e rise di gusto della sua espressione tradita.
«Non
mi sembra proprio che tu
sia così abile, Lovino!» la sua mascella era
sull’orlo del tracollo per le
risate, e quella disattenzione fu il suo fatale errore: in nome di una
giusta e
meritata vendetta, il pescatore si aggrappò al suo braccio e
lo strattonò con
forza fino a gettarlo in acqua. Il bastone impresse la sua forma sulla
sabbia
soffice, dimenticato dai due uomini impegnati in una strana lotta
all’ultimo
sangue. Una miriade di spruzzi fece da scenario alla loro sgangherata
guerriglia, tra le risa dell’ex-corsaro e le maledizioni del
giovane.
Antonio
si ritrovò seduto sulla
sabbia bagnata, i capelli inzuppati appiccicati al viso e il bordo
dell’acqua che
si infrangeva contro il suo sterno; Lovino si fermò in
ginocchio, il pugno
levato e la frangia sconvolta sulla fronte imperlata di lacrime
d’oceano.
«Non
ti fa male la gamba?» si
ricordò all’improvviso.
Alcune
gocce si staccarono
dalle punte dei suoi capelli quando Antonio annuì, e
atterrarono nell’acqua in
un piccolo corteo di cerchi concentrici.
«Mi
fa male da morire» notificò
l’uomo.
«E
allora perché non l’hai
detto, idiota?» s’incendiò Lovino.
«Perché
non stavo pensando alla
gamba.»
Gli
occhi del ragazzo si
spalancarono per quella risposta semplice e diretta, per poi
richiudersi subito
dopo a causa dell’acqua salata che vi gocciolò
dentro dai capelli.
«Che
risposta stupida» inveì
lui, sfregando le palpebre.
Antonio
sfruttò la sua
momentanea cecità per afferrargli un polso e tirarlo verso
di sé. Il peso
esiguo del ragazzo atterrò precisamente sul suo petto, e
l’ex-corsaro fece in
modo che non potesse muoversi da lì stringendolo con tutta
la sua forza.
Le
onde vennero agitate
ulteriormente dai tentativi di liberarsi del giovane, del tutto
inutili: Antonio
non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare. Attese che il ragazzo
si fosse
stancato di dimenarsi come un’anguilla nel suo abbraccio, e
lasciò che qualche
secondo di silenzio creasse la calma necessaria per fare da preludio
alla sua
proposta.
«Resta
con me, questa sera.»
Le
iridi ramate lo fissarono
disorientate e pronte ad infiammarsi, incerte se accettare o screditare
quell’invito.
«Ma
sei scemo? Non puoi
aspettare che tutto finisca?» protestò alla fine
Lovino, cercando per
l’ennesima volta di staccarsi.
Il
pescatore sentì le sue
costole incrinarsi contro quelle del capitano quando questo
rafforzò il suo
abbraccio. Protestò vigorosamente per quella
brutalità, ma Antonio parve non
sentirlo. I suoi pensieri erano distanti da quella spiaggia:
viaggiavano sul
ponte di poppa di una nave, dove si sarebbero trovati entro pochi
giorni e dove
non avrebbero più avuto nottate tranquille come quella.
Antonio sapeva bene
quanto fosse frenetica la vita per mare, e voleva gustare gli ultimi
momenti
rimasti, anche con l’incubo del rogo nelle vicinanze.
«Lovino.»
Fu
sufficiente chiamarlo per
placarlo. Quel tono basso e roco con cui la prima volta gli aveva
chiesto di
rimanere e di non partire con Arthur, la modulazione con cui si era
dichiarato
in italiano… quel timbro greve confondeva Lovino abbastanza
da ammansirlo.
«Lasciami
andare.»
Antonio
ubbidì. Anche lui
sapeva leggere la voce dell’amante, e quella volta gli aveva
comunicato che,
anche se avesse allentato la presa, il suo compagno non sarebbe
scappato.
Uno
sciabordio malizioso
accompagnò i movimenti del giovane quando questo si mise a
cavalcioni su di
lui; la marea più profonda non emise suoni quando le mani
del capitano andarono
a posarsi poco sopra il coccige dell’amante, spingendolo
verso di sé.
Non
fu uno dei due in
particolare a prendere l’iniziativa: i loro volti sbiaditi
nell’ombra avevano
incrociato gli sguardi, e avevano improvvisamente sentito come
eccessiva la
distanza che li separava. Si incontrarono a metà strada, e
non attesero oltre
per approfondire il contatto: il sale invischiato nelle labbra si
mescolò al
sapore del compagno sulle loro lingue, e Antonio cinse più
saldamente l’amante mentre
si spingeva nella sua bocca, come se temesse che il mare potesse
dissolverlo e
portarlo via.
L’oceano
riempì quel bacio con
la sua musica e il suo profumo, ma Antonio non permise alle onde di
avere altro
dal suo pescatore: lo abbracciò in modo che quasi nulla
potesse rimanere alle
carezze delle correnti. Non voleva che la Dea del Mare si rendesse
conto di
quanto fosse preziosa quella perla bisbetica e decidesse di volerla per
sé.
Lovino
emise un singulto nella
sua bocca quando la mano del compagno scivolò sotto la
cintura dei suoi
pantaloni, sulla curva della natica.
«Non
qui» ansò, allarmato:
l’incantesimo del mare era finito, e la paura di essere
scoperti era tornata
più prepotente che mai.
Antonio
lasciò che il giovane
si rialzasse e strizzasse i vestiti bagnati, per imitarlo subito dopo.
Afferrò
di nuovo il bastone, e
si preparò a fare ritorno alla locanda. Lovino gli si
affiancò, e il suo
imbarazzo fu visibile nonostante il buio della notte.
L’asilo
del mare era stato
breve, ma non aveva importanza.
Presto
sarebbero tornati alla
taverna.
E
Lovino aveva promesso di
restare con lui, quella notte.
***
Il
topazio svettò nuovamente
sul dito, dopo aver compiuto una rotazione completa.
Gli
occhi gelidi
dell’Inquisitore osservarono l’orizzonte quasi
volessero divorarlo.
L’anello
girò ancora una volta.
Era
ora di stringere il laccio
attorno alla preda.
Il
vestito nero si stagliò
sepolcrale nell’aria mattutina.
***
La
luce dell’alba sfilò nella
camera con grazia, e cosparse il torso nudo del ragazzo con i suoi
raggi
pallidi.
La
coperta giaceva scomposta
sul fondo del materasso, disfatta dal modo disordinato con cui i due
uomini si
erano amati quella notte.
Antonio
aveva ignorato il
dolore lancinante alla gamba durante l’escursione marina, e
si era sforzato di
farlo anche nell’intimità con il suo compagno.
Lovino doveva conoscerlo meglio
di quanto credesse, poiché dopo poco lo aveva costretto a
sedersi per non
sforzare troppo il muscolo della coscia, e si era portato ad arcioni su
di lui,
come aveva fatto mentre erano immersi nel mare serale. Antonio aveva
sempre
evitato quella posizione poiché era la più
dolorosa per il suo amante, ma il
pescatore non gli aveva permesso di unirsi a lui in altro modo. Lovino
aveva
versato qualche lacrima, il locandiere le aveva sentite sulla sua
spalla mentre
affondava nel corpo magro del giovane, ma era rimasto ostinatamente
ancorato
alla sua decisione. Antonio lo aveva amato con il massimo riguardo e
l’italiano
si era aggrappato a lui per seguirlo nelle sue movenze lente.
Le
membra del ragazzo avevano
tremato al suo tocco, ma non era stato lo stesso fremito selvatico
delle prime
volte o il sussulto impaurito degli ultimi tempi: le pelle che sfiorava
sembrava ritrarsi per non essere vista, poi si arrendeva e si adattava
al suo
tocco. Era il riflesso dello spirito del giovane: il suo sangue si
agghiacciava
ancora per il terrore della cattura, ma il cuore che lo pompava
ricordava con
troppo ardore le effusioni dell’amato. Quella notte aveva
vinto il cuore,
sebbene non fosse riuscito ad esorcizzare del tutto le fosche
ammonizioni del
sangue.
Antonio
osservò a lungo il suo
compagno, disteso addormentato senza alcun velo a coprirlo. Il viso era
sprofondato nel cuscino morbido, i capelli ingarbugliati contornavano
l’espressione lievemente corrucciata anche nel sonno; la mano
destra era
adagiata mollemente vicino alla bocca dischiusa dal respiro
addormentato, e
quella sinistra premuta tra il ventre e il materasso. Nemmeno il sonno
era
riuscito a cancellare il suo pudore dispettoso: la gamba destra era
piegata in
modo da coprire la sua parte più intima, e il piede sinistro
si era rifugiato
sotto una piega delle coperte sconvolte, quasi cercasse di dimostrarsi
più
virtuoso del resto del corpo.
Antonio
dischiuse le labbra
sulla spalla scoperta del suo compagno, provocando un mugugno di
malcontento da
parte del dormiente. Il suo gioiello lunatico non sarebbe finito sul
rogo, e
nemmeno nelle carceri sante finché lui avesse avuto respiro.
Si
rialzò senza fare rumore per
andare ad infilarsi i pantaloni. Aveva appena finito di allacciarli
quando un
passo esitante si arrestò davanti alla porta. Antonio
abbassò la maniglia con
la massima cautela, e aprì uno spiraglio appena sufficiente
per scorgere chi si
fosse fermato davanti alla loro camera.
Il
viso di Consuelo occhieggiò
dalla fenditura, e Antonio si portò un dito alle labbra per
imporle silenzio,
facendole segno di aspettare subito dopo.
Accostò
di nuovo la porta e si
avvicinò al letto, dove afferrò le coltri per
coprire Lovino fino al mento. Il
ragazzo stropicciò le labbra quando le lenzuola si
appoggiarono su di lui, e
schiuse a fatica gli occhi appesantiti dalla sonnolenza.
«Antonio…?»
le parole uscirono
strascicate mentre cercava di mettersi a sedere. Una fitta traditrice a
livello
delle anche lo schiacciò contro il materasso: le conseguenze
del suo ardimento
gli avrebbero tormentato i fianchi per qualche tempo ancora.
«Riposati»
l’ultimo bottone
della camicia svettò al suo posto sul petto
dell’uomo, e le lenzuola si
arricciarono sotto il ginocchio puntato dell’ex-capitano.
«Sarai stanco dopo
ieri sera.»
Vide
arrivare il cuscino, ma
lasciò comunque che lo colpisse dritto in viso.
«Non
dirlo come se ci fosse da
vantarsi» gli rinfacciò Lovino, afferrando
l’altro guanciale per nascondervi la
faccia.
Solo
il lenzuolo e la camicia
divisero il petto dell’uomo dalla schiena del giovane quando
Antonio si adagiò su
di lui per baciargli la nuca. Lovino si intirizzì sotto le
coperte sentendo le
labbra del compagno appoggiate sul punto disonorato
dall’Inquisitore, proprio
come era avvenuto la sera prima che portassero via Diego.
«Aspettami
qui. Tornerò
subito.»
E
con quella promessa Antonio
svanì al di là della porta.
Il
letto godette della sua
compagnia per qualche secondo appena prima che il ragazzo si
trascinasse fuori
dalle coltri e zoppicasse in giro per la stanza alla ricerca dei suoi
vestiti.
C’era
una nota discordante nel
modo in cui Antonio lo aveva salutato. E c’era una strana
atmosfera ad
ingrigire i colori tenui dell’alba.
Nonostante
le anche gli
dolessero, continuò a raccogliere da terra i suoi abiti e ad
infilarseli
sgangheratamente.
Voleva
raggiungere Antonio il
più in fretta possibile.
C’era
qualcosa, quella mattina,
che avrebbe potuto ottenebrare perfino l’ex-corsaro.
***
Antonio
non fu sorpreso di
trovare l’Inquisitore seduto su una delle poltrone
dell’atrio: la sua presenza
perfida aveva ammorbato l’aria della locanda fino alla stanza
patronale.
«Non
sembra che tu abbia
dormito molto bene» lo salutò sardonico Nicolas,
alzandosi in piedi. «Qualche
pensiero ti ha tenuto sveglio? O è stato qualcosa di
più materiale?»
«Hai
torturato Diego meno di
una settimana fa. Credo che la tua domanda sia superflua»
replicò asciutto
Antonio.
Il
cacciatore si schermì con un
vago cenno della mano, senza perdere la sua elegante vanagloria.
«Mi
duole rovinare
ulteriormente il tuo riposo. Sono tornato per prelevare un altro dei
tuoi
dipendenti.»
Gli
occhi verdi di Antonio si
raggelarono in una feroce durezza.
«Chi?»
L’indice
rapace temporeggiò
sfiorando il topazio.
«Per
dire la verità, Antonio,
ti sei circondato di persone sospette. La provenienza del tuo cuoco
è
sconosciuta…»
«Ha
navigato con me per anni.»
«Questo
non lo rende un uomo
probo.»
«Ma
nemmeno un eretico.»
Nicolas
gli concesse quella
piccola vittoria: la sua preda finale non era certo il gigante.
«La
tua cameriera ha una dubbia
reputazione.»
«Sta
per sposarsi.»
«Oh.
Felicitazioni»
l’Inquisitore si piegò in un inchino chiaramente
denigratorio. «Così diventerà
una donna onesta.»
«Per
cosa sei venuto qui?»
Riconobbe
il ghigno ferino che
allungò le labbra sottili del predatore. Era il decadimento
del sorriso pulito
e imbarazzato che esibiva da giovane, quando ancora la sua anima era
realmente
degna di servire gli angeli e i santi. Il Nicolas dei salti dai fienili
era
morto, e quella divisa ombrosa era la sua tomba.
«Sono
qui per il tuo
pescatore.»
I
muscoli di Antonio mutarono
in pietra tale fu la rigidità con cui accolse la notizia.
«Per
quale motivo?» sibilò.
Nicolas
si concesse tutto il
tempo necessario a compiere un giro attorno a lui, prima di parlare:
poteva
annusare l’odore inebriante della sua anima arsa dalle fiamme
della paura e
della rabbia.
«Un
immigrato italiano, senza
genitori e senza patria, con il fuoco del diavolo negli
occhi… la gente
mormora, Antonio.»
«E
gli Inquisitori ascoltano
sempre le confessioni del volgo» l’ex-capitano
citò le parole del predatore al
loro primo incontro, e Nicolas parve gradire come un boia sadico si bea
degli
uggiolii vani della sua vittima.
«Inoltre,
quel ragazzo esercita
un’influenza malefica su chi gli sta intorno»
seguitò il cacciatore. «Ricordi
cosa ha fatto dire al tuo cameriere?»
«Non
era Lovino a farlo parlare»
ricordò a denti stretti Antonio.
«No,
ma Diego non ha mai avuto
problemi con la Chiesa prima del suo arrivo. Questo mi fa supporre che
la sua
mente sia stata manipolata dall’esterno»
precisò con sapienza crudele
l’Inquisitore. «E ha una pessima influenza anche su
di te.»
Nicolas
inalberò il collo,
altero, quando Antonio gli rivolse lo stesso sguardo che gli aveva
scoccato
dalle sbarre del carcere, tanti anni prima.
«Hai
detto di essere fedele ad
un talamo nuziale ormai freddo, ad una donna che hai incontrato durante
i tuoi
viaggi nelle colonie. Eppure,
solo negli ultimi anni hai
cominciato a rifiutare le seduzioni femminili. Mi chiedo il motivo di
una
castità così tardiva» le dita grifagne
dell’uomo si intrecciarono. «L’unica
spiegazione plausibile è che sia una storia inventata per
proteggere qualcosa
di illecito» il mento del cacciatore si alzò con
aria di sfida, e l’uomo
proseguì: «Un’emigrata spagnola, senza
legami e morta in un luogo troppo
lontano per confermare la sua effettiva esistenza. Sai, Antonio, sono
proprio
le storie che non possono essere provate a farmi sospettare di
più.»
«Non
puoi arrestare Lovino sulla base di misere
supposizioni» minacciò Antonio, plumbeo in viso.
«Gli
eretici sono colpevoli fino a prova contraria»
replicò
serafico e malevolo l’Inquisitore.
Confesso
a Dio onnipotente
E
a voi, fratelli,
Che
ho molto peccato in pensieri, parole, opere
e omissioni,
Per
mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
Il
suono secco del bastone gettato al suolo echeggiò livido
per tutto l’atrio; l’elsa rimbalzò sul
pavimento un paio di volte per poi
fermarsi con un rumore sfiancato. Antonio spalancò le
braccia muscolose e
decretò, la voce infuocata come gli occhi:
«Allora
ti fornirò la prova contraria. Sono io l’eretico
corruttore.»
Nonostante
il contegno inossidabile, Nicolas non riuscì a
mascherare del tutto il suo sconcerto. Era preparato a lotte furiose
per la
salvezza del giovane, ma non aveva previsto una simile evenienza.
«Saresti
tu l’eretico che ha distorto le parole del
cameriere?»
«Sì.»
«E
per mascherare la tua eresia ti saresti inventato la
storia dell’emigrata?»
«Sì.»
«Quindi
l’italiano sarebbe una tua vittima.»
«Sì.
Sai che sono colpevole. Lo sai da diciotto anni.»
Nicolas
chiuse le dita sull’anello, il cui oro aveva
cominciato a scottare.
Il
cielo gli aveva donato la possibilità di rimediare al suo
madornale errore di tanti anni prima. E avrebbe potuto sottoporre
l’italiano
tentatore ad un regolare processo una volta purificato
l’amico d’infanzia.
«Sei
disposto a giurarlo in Tribunale?»
«Sono
disposto a giurarlo di fronte agli dei.»
La
bestemmia colpì l’Inquisitore come una colata
lavica:
ogni parola fu un lapillo incandescente che lo colpì dritto
al cuore, e il tono
sprezzante fu la cenere che gli inasprì la gola con la sua
consistenza
sabbiosa.
«Allora
dovrai seguirmi» ordinò superbo.
Antonio
annuì e si voltò in direzione delle scale:
Consuelo
lo fissava allucinata dall’ultimo gradino, una mano infitta
nella tasca del
grembiule e il respiro affannoso come un cerbiatto che intravede la
scure del
cacciatore.
Il
locandiere le si avvicinò con un sorriso disarmante, che
condivideva la dolcezza e la rassegnazione di quello degli eroi della
fede
nelle effigi sacre. La donna si aggrappò alle sue braccia,
conficcandogli le
unghie nella carne fino a farne uscire il sangue.
«Non
andare» lo supplicò. Le labbra tremarono tanto da
costringerla a ripetere per tre volte prima che l’ex-corsaro
potesse
comprenderla, e la sua dizione fu ostacolata ulteriormente dal torrente
di
lacrime che scorreva copioso sul suo volto. «Non tornerai
più indietro!»
I
singhiozzi esplosero nella sua gola quando l’uomo si
sporse per baciarle la fronte gelida.
«Ve
la caverete magnificamente anche senza di me. Arthur si
prenderà cura di voi.»
La
donna si aggrappò al corrimano per non cadere in
ginocchio: le forze la abbandonarono assieme all’uomo, e
rischiò di crollare a
terra come un corpo morto.
La
porta della camera del locandiere si spalancò quando
quella principale si chiuse.
«Dov’è
Antonio?»
Consuelo
boccheggiò a vuoto un paio di volte prima di racimolare
il fiato necessario ed esalare:
«L’ha
portato via… Nicolas…»
Dovette
fare appello a tutte le sue energie per bloccare il
ragazzo prima che questo irrompesse in strada come una furia.
«Non
puoi seguirli!» gridò, trattenendolo per la vita.
«Non
posso lasciarli andare!» Lovino continuò a
trascinarsi
verso la porta, nonostante la donna arpionata al suo ventre, e ad
esacerbare le
sue proteste rasentando l’isteria.
Attirato
dalle grida, il cuoco fece la sua comparsa
nell’atrio, e la ribellione del pescatore fu ridotta ad uno
scalciare nel vuoto
quando l’energumeno lo sollevò da terra
abbrancandolo per il torace.
«Dobbiamo
andare da Arthur» urlò Consuelo, scorticandosi le
corde vocali per sovrastare gli strilli di Lovino e i grugniti del
cuoco.
«L’ha
catturato! Cosa può fare Arthur?»
strepitò il giovane.
«L’ha
detto Antonio!»
Quel
nome fu il balsamo per calmare il caos che
l’Inquisitore aveva scatenato. Consuelo prese un respiro
dall’aria finalmente
ferma e chiarì:
«È
l’ultima cosa che mi ha detto. Dobbiamo andare da
lui.»
Il
cuoco annuì e depositò a terra il ragazzo,
improvvisamente muto.
Avrebbero
seguito l’ultimo dettame di colui che per loro
sarebbe stato sempre il più grande tra i capitani. Avrebbero
seguito fino
all’ultimo la fragile speranza che il comandante della Queen of Pirates sapesse come agire.
E
avrebbero pregato la Dea del Mare di ripetere il miracolo
di quasi vent’anni prima, salvando Antonio ancora una volta.
E
supplico la beata sempre
vergine Maria
Gli
angeli, i santi
E
voi, fratelli,
Di
pregare per me il Signore Dio nostro.
|
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Capitolo 8 *** Stabat Mater ***
Stabat
Mater
La
fama mondiale di Arthur si basava su tre
elementi fondamentali: la sua lungimiranza commerciale, la sua
abilità
strategica e il suo pessimo temperamento.
Per
questo motivo solo i nuovi arrivati dalla
locanda di Antonio sobbalzarono quando l’inglese
sparò in aria per imporre
silenzio: la sua ciurma si limitò a moderare il brusio che
aveva scatenato
l’irritazione del capitano.
«Dicevate?»
domandò imperturbabile Arthur, in
attesa che la pistola smettesse di fumare per rimetterla nella fondina.
«Hanno
preso Antonio» vociò il cuoco.
Sembrava
l’unico ancora in possesso del dono
della parola: Consuelo teneva le mani tremanti abbarbicate alle labbra
e Diego
fissava per terra costernato. Lovino era chiuso in un mutismo altamente
pericoloso:
i suoi occhi brucianti e il suo viso temporalesco si addicevano ad un
prigioniero
che, segregato in galera, medita giorno dopo giorno la sua vendetta
contro chi
l’ha incarcerato.
L’inglese
ripose l’arma, scostando i suoi
pensieri dalla truppa di Antonio.
«Così
si è fatto catturare…»
sospirò, quasi
seccato per l’avventatezza del suo ex-collega di galeone.
«Ha
detto di venire qui» tartagliò Consuelo,
profondamente scossa. «È stata l’ultima
cosa che ha detto prima di…» la voce si
disidratò nella sua gola, e la cameriera tornò a
tormentarsi le labbra con le
mani.
Arthur
annuì, emettendo un fiato scocciato ad
ogni cenno di capo. Avrebbe tanto voluto, almeno una
volta nella vita, che i piani di emergenza di Antonio non si
tramutassero effettivamente in programmi d’azione.
«Avevamo
concordato una via di fuga alternativa»
rivelò. Si concesse una seconda occhiata
d’insieme, prima di procedere con la
spiegazione: una donna, un cameriere inservibile, un gigante e un
pescatore
senza esperienza di combattimento. Sperava che la loro incondizionata
fedeltà
sopperisse all’evidente mancanza di materie prime, o tutto
sarebbe finito in un
disastroso, sanguinoso fallimento.
«Avrò
bisogno della vostra massima collaborazione.
E dovrete cooperare con il mio equipaggio»
preannunciò, e finalmente espose il disegno
strategico di Antonio.
Gli
occhi di Consuelo si dilatarono per la
sorpresa e quelli di Diego per l’orrore;
il cuoco espresse la sua
soddisfazione battendo
rumorosamente un pugno sull’altro, e Lovino si
rabbuiò finché il suo volto quasi
non perse i connotati umani. Arthur non badò troppo alla
furia che rombava
nelle iridi ramate del giovane: non aveva dimenticato gli ammonimenti
di
Antonio circa gli sbalzi di umore dell’italiano.
«Andate
sottocoperta. Tra poco vi raggiungerà la
mia ciurma, e decideremo come agire» dispose sbrigativo.
Consuelo
aiutò Diego ad incamminarsi verso la
meta, ed il cuoco li seguì, pronto ad afferrare il collega
in caso di
necessità.
Arthur
appoggiò la schiena al parapetto, le
braccia incrociate e un ghigno lievemente marcato di
superiorità sulle labbra.
La testa di Lovino gorgogliava di pensieri, ed era sicuro che almeno
uno di
essi fosse indirizzato a lui.
Ebbe
conferma della sua teoria pochi istanti
dopo, quando il giovane puntò il viso burrascoso verso di
lui. Arthur percepì
il turbine dell’odio, i nembi della vendetta e i fulmini
della rabbia agitarsi
sotto la pelle del giovane: era un uragano che esigeva sangue per
essere
placato. Non poteva sbagliarsi: quel medesimo sconvolgimento aveva
travolto il
suo animo infiammabile milioni di volte.
Per
questo non si stupì troppo per la sua
richiesta:
«Insegnami
ad uccidere un uomo.»
***
«Ha
confessato?»
«Ininterrottamente,
signore. Non ho mai visto un
prigioniero più collaborativo.»
Gli
incisivi si conficcarono con rabbia nel
labbro inferiore.
Aveva
scelto quella tortura appositamente per
Antonio, per tormentarlo nel fisico e nel corpo al contempo:
l’acqua gli
avrebbe fatto esplodere i polmoni, la memoria lo avrebbe pugnalato con
i
ricordi dei patimenti dei genitori e il suo amore per il mare sarebbe
stato flagellato
e umiliato.
Credeva
che avrebbe lottato, che gli avrebbe
mostrato di nuovo quella febbricitante resistenza di diciotto anni
prima.
Invece non faceva che ripetere la solita frase, quasi fosse vittima di
un
sortilegio.
«Lasciateci
soli» ordinò, brusco.
Nicolas
aggirò la pozza che si spandeva sulla
dura pietra del pavimento e si portò vicino alla sua vittima.
Antonio
non lo degnò nemmeno di uno sguardo:
rimase accasciato contro l’enorme tinozza di metallo in cui
lo avevano
ripetutamente immerso, la camicia fradicia e i capelli aggrovigliati
sugli
occhi. I polsi erano strettamente trattenuti dietro la schiena da
pesanti
manette di ferro, costringendolo a piegarsi in avanti con il busto in
una posa
degradante.
Le
unghie feline sfiorarono il topazio. Antonio
gli stava offrendo uno spettacolo molto diverso da quello che aveva
inscenato
quando aveva tredici anni: a quel tempo, le torture lo avevano sfinito,
lasciando come unico memento della passata vitalità uno
smorto barlume negli
occhi verdi. Era l’ultimo baluginio di un faro affondato nei
flutti, tenace ma
sconfitto.
Il
suo bastone era rimasto alla locanda ed era
stato costretto a zoppicare per i corridoi umidi, era stato ammanettato
e
torturato. Eppure sulle sue labbra scosse dalla tosse spirava
l’eco di un
sorriso, i suoi occhi stanchi avevano ancora la forza di scintillare di
una
soddisfazione irragionevole, perfino la schiena, curva per via delle
manette,
sembrava piegata in maniera dignitosa. Abbattuto e assurdamente
vittorioso.
Si
rifiutava di credere che un misero pescatore
potesse aver operato una simile metamorfosi. Era certamente stato il
mare ad
accendere quell’orgoglio impossibile da sottomettere e quella
fierezza
inesplicabile; non poteva essere opera di un italiano senza famiglia.
L’Inquisitore
prestava attenzione solo alle
azioni altrui, per poter incriminare il prossimo sulla base di esse, e
aveva
dimenticato come osservare il cuore che muoveva quegli stessi arti: non
aveva
mai notato quanto i due innamorati fossero cambiati grazie
all’altro. Il
passaggio era stato graduale, costituito dalle minuscole vittorie di
ogni
giorno, e nemmeno i diretti interessati se ne erano resi conto. Avevano
guarito
il compagno dalla ripugnanza per i legami e dal riserbo nei confronti
del
genere umano; Antonio aveva sbeccato gli angoli più aguzzi
della personalità
dell’italiano e Lovino aveva rinvigorito l’ardore
dello spagnolo.
Il
cambiamento era visibile in quella stessa
cella: Antonio si era consegnato volontariamente per il bene di
un’unica
persona.
Ed
era quell’aspetto della vicenda che Nicolas
non riusciva a tollerare.
«Mi
hanno riferito che ti sei dichiarato
colpevole più volte» scandì
l’Inquisitore.
«Ho
ripetuto ciò che ti ho detto alla locanda»
confermò Antonio.
Gli
stivali del predatore produssero un leggero
attrito al suolo quando quest’ultimo si accostò al
prigioniero inginocchiato.
«Anni
fa ero sicuro che tu fossi un adoratore
del maligno» rivelò, metodico e spietato.
«Tuttavia, temo che ora tu sia la
vittima. Forse hai incontrato una malia più forte della tua
a cui non sei
riuscito a opporti. Ma se tu lo denunciassi…»
«Ho
confessato. Di che altro hai bisogno?»
Le
dita si strinsero convulsamente attorno
all’anello sotto lo sguardo di Antonio.
Era
assurdo che un condannato a morte avesse
un’espressione così calma. Solo i santi vantavano
una simile seraficità di
fronte all’incontro con l’Altissimo, e Antonio era
certamente la persona più
lontana dal loro esempio salvifico. Non era possibile che un simile
peccatore
possedesse la loro stessa forza d’animo.
«Se
sei una vittima, c’è ancora speranza di
salvezza, per te. Ma non possiamo perdonare chi bacia le catene della
propria
schiavitù maledetta» aumentò Nicolas.
«Devi purificarti perché il tuo aguzzino
ti ha avvelenato con la sua esistenza corrotta. E puoi farlo in due
modi: il
rogo o la denuncia.»
«Scelgo
il rogo.»
La
risposta fu così repentina
che lasciò l’Inquisitore in silenzio per qualche
istante, impietrito per la
sorpresa.
Che
io non sia bruciato dalle fiamme,
che
io sia, o Vergine, da te difeso
nel
giorno del giudizio.
La
cella madida di dolori
passati fremette per lo scambio di sguardi tra i due: quello smeraldino
di
Antonio, calmo e lievemente superbo, e quello rovente di Nicolas,
infuriato e
sdegnoso.
L’ex-capitano
roteò le spalle
bloccate per sgranchirle dalla loro posizione scomoda, chiedendosi
quanti
prigionieri fossero stati in grado di gettare una simile espressione
sul volto
del cacciatore. Nicolas aveva guardato Lovino con disprezzo e
superiorità,
aveva parlato a Diego con gelo e veleno. Probabilmente lui era
l’unico in grado
di scuotere tanto l’impassibile Inquisitore.
Nicolas
si voltò, per non
permettergli di godere ancora del suo volto turbato.
«Sei
così abbagliato dalle
fiamme dell’Inferno che non ti accorgi della tua
cecità» sibilò ferino.
«Benedici lo stesso fuoco che ti sta consumando
l’anima, difendi lo stesso
stregone che ti ha condotto qui.»
«Ti
sbagli, Nicolas. Tu mi hai condotto
qui.»
Antonio
rialzò la schiena, nonostante
la gamba dolorante, e l’Inquisitore si sentì quasi
schiaffeggiare dalla strenua
fierezza dell’ex-capitano. Il ragazzino tremante e rabbioso
era scomparso,
lasciando il posto a un uomo pronto a lottare fino alla morte.
«Perché
lo stai proteggendo?»
Tutti
confessavano, senza
eccezione. Tutti consegnavano l’amico, il fratello, perfino
il genitore nelle
grinfie dell’Inquisizione dopo alcune torture particolarmente
crudeli. Per
quale motivo nel caso di Antonio e di quell’orfano la storia
non seguiva il suo
naturale corso?
«Quel
pescatore senza patria e
senza Dio ti ha portato solo sciagure.»
«Preferiresti
proteggere un
ragazzo senza radici o compiacere un mostro senza cuore?»
Il
cilicio avviticchiato alla
caviglia sinistra scottò a quelle parole, percependo la
calunnia malcelata.
«Questa
sera innalzeranno il
rogo» elencò atono Nicolas, ignorando la
caparbietà del passato amico: se non
vi avesse prestato attenzione, forse l’ostilità
del prigioniero avrebbe perso
di significato e avrebbe smesso di offenderlo. «Domani
mattina sarai condotto a
piedi nudi sul patibolo, e la tua anima abbandonerà questo
mondo.»
«Conosco
la procedura. Mi hai
fatto fare le prove diciotto anni fa.»
Antonio
non abbassò gli occhi
quando l’Inquisitore si voltò verso di lui: i loro
sguardi combatterono
furiosamente, cercando di disintegrarsi a vicenda. Nicolas mise fine a
quella
guerra nel modo più radicale possibile: afferrò
una verga di metallo alle sue
spalle, e con essa colpì il carcerato alla tempia.
Il
ferro contro l’osso produsse
un rumore orribile e finalmente la schiena impertinente
dell’uomo collassò, le
mani gesticolarono freneticamente per raggiungere il punto leso,
nonostante
fossero impossibilitate dalle catene. Dalle labbra del capitano eruppe
un
rantolo sofferente, il viso reclinato verso il basso e gli occhi chiusi
dal
dolore lancinante al capo.
L’Inquisitore
riacquistò la sua
aria intimidatoria e altezzosa, come se i tormenti
dell’ex-capitano fossero il
balsamo rinvigorente per la sua alterigia. Appoggiò lo
strumento di tortura sul
tavolo sbeccato con un gesto fluido ed esalò, marmoreo:
«Domani
il mondo sarà
purificato dalla tua presenza immonda. Per quanto riguarda oggi, devi
ancora
espiare le tue colpe.»
Poté
muovere solo due passi in
direzione della porta: la voce dell’uomo si infisse nel mezzo
delle sue scapole
come una stilettata.
«Essere
devoti ad una divinità…
è un sentimento solitario» sentì
strisciare alle sue spalle, e capì che l’uomo
si era nuovamente, faticosamente issato in ginocchio. «Deve
essere frustrante
amare chi è così lontano da te. Hai scelto un
amore freddo. E senza scambio.»
«È
un sentimento puro che
nobilita l’uomo» recitò adamantino
Nicolas.
Le
sue spalle tremarono di collera
nel percepire il raspare di una risata amara.
«Forse.
Ma quando sarai
arrivato in fondo alla tua strada, ti renderai conto che tutto
ciò che ti
rimane è un sentiero distrutto alle tue spalle e un vicolo
cieco di fronte a
te.»
«Ciò
che ti attende in fondo al
tuo cammino, invece, è la Gehena»
replicò gelido l’Inquisitore.
Antonio
lo disturbava come
aveva sempre fatto: la sua presenza, le sue parole, le sue azioni erano
un
costante insulto alle sue convinzioni e al suo stile di vita. Un
satanasso come
lui andava eliminato il prima possibile.
«Dovresti
toglierti l’anello.
Non è a te che l’ho regalato.»
Anche
un miscredente come lui
era capace di provare nostalgia. Nonostante il tragico passato che li
divideva,
la mente di Antonio non aveva mai cancellato del tutto il ricordo del
suo
vecchio amico con cui saltava sui cumuli di fieno. Vivevano nella sua
mente
come due persone distinte, il ragazzo timorato e
l’implacabile cacciatore. Ma
il predatore aveva soffocato il giovane puro, lo aveva fatto a
brandelli fino a
cancellarlo completamente. L’Inquisitore non avrebbe mai
potuto capire quanto
il cuore dell’ex-capitano si stringesse nel ricordare il
compagno d’infanzia.
Fa'
che io sia protetto dalla Croce,
che
io sia fortificato dalla morte di Cristo,
consolato
dalla grazia.
«Non
dovresti preoccuparti del
mio anello» fu la frase con cui lo salutò Nicolas.
Antonio
inalò un profondo respiro,
conscio che ben presto gli strazi sarebbero ricominciati.
L’Inquisitore
non avrebbe
capito la sua malinconia per l’amico di un tempo
né il suo affetto per il
pescatore italiano. Aveva scambiato i sentimenti con un cuore di pietra
che gli
permettesse di sopportare il suo atroce mestiere.
Una
vita vuota, fredda e
spoglia come un sepolcro.
Il
cacciatore si era costruito
il suo stesso mausoleo, una pietra per volta, e vi si era murato dentro
mentre
era ancora in vita.
Un
morto non poteva capire la
gioia di vivere di chi ancora amava i giorni trascorsi in quel mondo
caotico.
Fu
il suo ultimo pensiero prima
che la sua testa fosse spinta di nuovo nell’acqua gelida.
E quando il mio corpo morirà
fa'
che all'anima sia data
la
gloria del Paradiso.
Amen.
***
La
Queen of Pirates era in fermento,
quel giorno.
Si
rumoreggiava allegramente
sul ponte nei preparativi per la partenza, e si bisbigliava
sottocoperta per
attività più nascoste.
In
particolare, nella cabina
del capitano aveva luogo una riunione che decisamente non avrebbe
potuto vedere
la luce del sole.
L’inglese
fissò il ragazzo con
evidente perplessità: il pescatore gli aveva chiesto di
insegnargli ad uccidere
un uomo senza alcuna esitazione o scrupolo morale. Alla luce di questa
considerazione, proprio non comprendeva i motivi della sua
recalcitranza.
«Non
vuoi usare la pistola?»
Lovino
scosse con vigore la
testa, ostinato.
Gli
occhi dell’inglese
percorsero la distanza tra l’arma che teneva tra le mani e il
ragazzo
continuando a navigare nella confusione.
«Tu
non hai mai ucciso nessuno,
giusto?»
Questa
volta il capo del
giovane si chinò in un assenso.
«Non
sei mai stato in
battaglia.»
La
seconda non era una domanda,
ma Lovino annuì comunque.
Arthur
fece roteare la pistola
tra le dita e porse il calcio all’italiano, con un gesto
più perentorio dei
precedenti.
«Allora
dovresti usare questa.»
Le
mani del pescatore rimasero conficcate
nelle tasche dei pantaloni e gli occhi infissi sull’arma che
svettava sotto il
suo naso.
«Ha
un solo colpo. E non so
come ricaricarla» notificò piatto Lovino.
«Devi
usarla per difenderti,
non per attaccare» gli ricordò Arthur. Antonio gli
avrebbe staccato la testa a
mani nude se fosse venuto a sapere che aveva spedito il suo prezioso
italiano
in prima fila.
«Non
posso usare una pistola»
s’incaponì il giovane.
L’inglese
arretrò di un passo
per appoggiare l’arma sulla pesante scrivania che torreggiava
al centro della
cabina. Aveva scelto un arredamento piuttosto minimalista per la sua
stanza
sulla nave: la sua vanità lo spingeva a custodire
gelosamente i trofei
guadagnati nei suoi numerosi viaggi, ma non era così frivolo
da fare della sua
camera uno stendardo al lusso inutile. I suoi tesori erano serrati in
un baule
inchiodato alla parete, e il resto della stanza era votato alla
praticità.
Fece
scivolare una mano sulla
superficie interna del tavolo e afferrò l’elsa del
pugnale. Aveva installato
personalmente una piccola custodia di cuoio in quel punto e vi aveva
inserito
uno stiletto come misura di sicurezza aggiuntiva: se un nemico avesse
cercato
di sorprenderlo alle spalle mentre era alla scrivania, non lo avrebbe
trovato
disarmato.
Estrasse
il pugnale e lo puntò
al viso dell’italiano. La testa di Lovino scattò
istintivamente all’indietro
nel vedere il filo della lama così vicino.
«Preferisci
un’arma da taglio?»
volle sapere Arthur.
«Sì»
dichiarò sicuro il
pescatore.
Arthur
scosse la testa con un
sospiro, spostando lo stiletto dal viso del giovane.
«Non
puoi difenderti dalla
ressa con un pugnale, a meno che tu non sia un combattente
esperto» assestò
un’occhiata molto loquace alle braccia del ragazzo, forgiate
dalla pesca e non
dalle battaglie. «Inoltre, questo tipo di arma è
troppo personale per un novellino.»
Le
labbra di Lovino si
arricciarono indispettite per quel commento, ma Arthur
seguitò:
«Quando
pugnali qualcuno, puoi sentirlo
mentre muore.»
Nel
tempo di un battito di
ciglia, l’inglese ricordò la prima volta che aveva
trafitto un nemico: lo aveva
sconvolto sentire la cedevolezza della carne sotto la sua lama, e
l’urlo che
voleva lanciare era diventato un suono sconnesso quando un fiume di
sangue gli
aveva inondato le mani. Alcuni schizzi avevano raggiunto perfino il
viso, ed
era stata la sensazione di avere la morte di quell’uomo sulla
faccia ad averlo
fatto rigettare quando la battaglia era finita. Era più
giovane di Lovino a
quel tempo, e forse meno motivato di lui, ma dubitava che per il
pescatore
sarebbe stato meno traumatico.
Affermare
di voler uccidere una
persona e falciare una vita nella realtà erano due
esperienze diametralmente
opposte.
«Con
una pistola, invece, ti
basterebbe sparare un colpo in aria per creare il vuoto intorno a te.
La gente
ha una paura folle delle armi da fuoco e basta la loro presenza a
creare il
panico.»
«Non
voglio creare il panico.»
Lo
stiletto venne appoggiato di
fianco alla pistola, e una domanda spazientita raschiò le
labbra del capitano:
«Perché
hai questa fissazione
per i pugnali?»
Lovino
non ebbe quasi bisogno
di pensare alla risposta, che fu tempestiva:
«Non
ho una fissazione per i
pugnali. Odio le pistole.»
Lo
scranno di legno massiccio
sfregò rumorosamente sul pavimento quando Arthur lo
girò per prendervi posto.
«Per
quale motivo?» domandò,
con il tono categorico di un capitano che si rivolge ad un suo
sottoposto. Non
gli importava quanto il giovane avrebbe potuto soffrire nel ricordare
l’origine
della sua avversione: non aveva intenzione di mandarlo al macello solo
per una
paranoia.
L’odio
con cui Lovino fissò la
pistola sembrò avvelenare l’aria, saturandola di
rancore.
Non
desiderava che l’inglese
fosse il primo ad ascoltare quel racconto. Aveva progettato di
rivelarlo ad
Antonio, un giorno. Ma si rendeva conto che Arthur non gli avrebbe
prestato
alcuna arma, probabilmente non gli avrebbe nemmeno permesso di scendere
dalla
nave, se non avesse sputato ogni singola parola riguardo al suo rigetto
per le
pistole.
Strinse
le dita sugli
avambracci come per strizzare fuori dal corpo quelle memorie dolorose.
Si
arrese all’obbligo di confessare quando capì che
quelle tossine potevano essere
espulse solo con le parole.
«È
successo dieci anni fa.
Quando sono venuto in Spagna con mio fratello.»
Arthur
gli fece cenno di
continuare, per poi intrecciare le dita nella sua tipica posizione
d’ascolto.
Lovino
lanciò uno sguardo
circolare alla stanza, nervoso, poi buttò fuori una parola
dopo l’altra con
enorme sforzo:
«Eravamo
rimasti senza
genitori. E in Italia non c’era più posto per
noi.»
L’inglese
non insistette su
quel punto: Lovino aveva chiuso le palpebre un paio di volte, e ad ogni
battito
gli occhi si erano rivelati più lucidi. Era determinato a
conoscere l’esatta
motivazione della sua fobia, ma non era necessario ferire il giovane
per
questioni irrilevanti in quel momento. Lo lasciò libero di
sorvolare sulla
dipartita dei suoi genitori e attese il seguito.
«Siamo
saliti su una nave
diretta in Spagna.»
«Perché
proprio la Spagna?»
«Conoscevamo
abbastanza bene la
lingua.»
Arthur
non approfondì nemmeno
quel punto. Aveva sospettato che il ragazzo provenisse dai territori
del Sud d’Italia
assoggettati alla potenza iberica per via della sua scioltezza nel
parlato.
«Come
avete pagato la
traversata?» domandò invece.
«Eravamo
orfani» rispose
ermetico Lovino.
Il
capitano aprì per un attimo
le labbra, comprendendo il sottinteso di quella frase: due ragazzini
senza
padre e senza madre non posseggono denaro. Erano saliti da clandestini.
«Vi
hanno trovato?»
L’italiano
non rispose subito a
quella domanda. Portò una mano alla testa, ingombra delle
memorie di quei
giorni: la fame e il cattivo odore, le gambe e le braccia che facevano
sempre
male per le posizioni anchilosate con cui si nascondevano, le mani
premute sul
viso per non far sentire il proprio respiro quando i marinai passavano
troppo vicino.
E
poi il giorno in cui suo
fratello si era sporto troppo per respirare l’aria di mare, i
suoi strilli
quando era stato catturato. Dal suo nascondiglio, Lovino aveva sentito
quegli
uomini abbaiare contro Feliciano, e aveva udito il silenzio del
consanguineo,
deciso a non rivelare il rifugio del fratello.
Poi
il colpo di pistola, e le
lacrime che non avevano smesso di scorrere fino a quando non era giunto
in
Spagna…
«Hanno
sparato a mio fratello»
riassunse spicciolo.
«E
lo hanno fatto su una nave»
sottolineò Arthur. «È sorprendente che
dopo un’esperienza del genere tu ami
ancora l’oceano a tal punto.»
«Non
è stato il mare a uccidere
Feliciano, e nemmeno il galeone. Sono stati gli uomini.»
L’inglese
non mascherò un
leggero ghigno accondiscendente. Apprezzava i pragmatici come quel
ragazzo, che
non accusavano la natura di crimini squisitamente umani.
Lovino
rafforzò la presa sulle
braccia, amareggiato. Non aveva odiato le onde che lo avevano condotto
in
Spagna, e non aveva abbandonato il suo sogno di salire in futuro su una
nave,
ma aveva disprezzato tutto il genere umano da quel giorno in poi.
Suo
fratello era il bambino più
innocuo al mondo, ed un uomo nerboruto gli aveva sparato come al suo
peggiore
nemico. Non avrebbe mai più concesso un’oncia di
fiducia a delle bestie di quel
calibro, abiette e malevole.
Arthur
premette il pugno chiuso
contro le labbra, scrutando il pescatore.
L’italiano
aveva continuato a
vivere ringhiando al mondo intero fino a quando non aveva incontrato
Antonio, e
l’ex-corsaro non si era liberato della sfiducia nella gente
fino a quando
Lovino non era entrato nella sua locanda, anni prima, a consegnare un
carico di
pomodori.
«Vi
siete salvati a vicenda» mormorò
contro le proprie nocche, e aggiunse, a voce più alta:
«Posso insegnarti ad
usare le armi da taglio, ma ad una condizione.»
Lasciò
sgocciolare qualche
istante di attesa prima di proporre il suo patto:
«Userai
ciò che ti insegnerò
solo per autodifesa. Non dovrai attaccare. Non domani,
almeno.»
La
faccia di Lovino si contorse
come se gli avessero passato un limone particolarmente aspro sulle
labbra, ma
acconsentì comunque.
Arthur
sguainò il suo pugnale e
allungò all’italiano quello sulla propria
scrivania.
«Puoi
colpire diversi punti
vitali, in un attacco. Se vuoi uccidere, mira alla gola o al
cuore» spiegò,
spostando il filo della lama in modo che sfiorasse prima la giugulare e
poi lo
sterno del ragazzo. «Puoi colpire gli occhi, se il tuo
avversario non è troppo
più alto di te e il tuo scopo è la fuga. Oppure
la gamba, per impedirgli di
inseguirti. Qualunque cosa tu faccia, ricorda di rigirare il pugnale:
in questo
modo, la ferita non si rimarginerà, e sarà
impossibile per il tuo assalitore
raggiungerti.»
Lovino
assorbì attento le sue
istruzioni, pesando il pugnale tra le sue mani e ripetendosi i punti in
cui
colpire.
«Devi
tenere a mente anche
un’altra cosa: stai molto attento a proteggere il tuo ventre,
mentre scappi.»
«Perché
proprio il ventre?»
«Le
ferite allo stomaco
conducono ad una morta lenta e, soprattutto, dolorosa. Fai molta
attenzione.»
Il
pescatore asserì in
silenzio, e Arthur si girò di lato per mostrargli alcune
tecniche di affondo.
Non
si fidava del tutto del
giuramento di quell’italiano focoso.
Gli
avrebbe messo alle spalle
il cuoco: se non fosse riuscito ad addomesticarlo con le parole,
avrebbe potuto
placcarlo con le braccia.
E
avrebbe anche dovuto
sorvegliare il cameriere: aveva negli occhi gli stessi tizzoni di
Lovino ed era
certo che, pur con le mani massacrate e la schiena martoriata, avrebbe
trovato
il modo di tuffarsi in mezzo alla mischia se non gli avessero messo il
guinzaglio.
Trattenne
a stento un sospiro
scontento.
La
truppa di Antonio era piena
di elementi problematici.
***
Per
le vie della città si
respirava l’aria strisciante e fredda di un cimitero
abbandonato.
La
notizia dell’arresto di
Antonio era deflagrata nelle viuzze con la potenza di un colpo di
cannone, e
sul villaggio era calato il velo del lutto.
All’alba,
quel gruppo di case
appollaiato vicino al mare avrebbe dato l’addio al suo
più illustre cittadino.
Portavano
il peso di quel
cordoglio silente le persone che ancora si attardavano nelle strade
mentre il
sole moriva, incrociandosi ad occhi bassi e senza scambiarsi nemmeno
una
parola. Alcuni paesani erano affacciati alla finestra, e i loro volti
disegnavano un ovale spettrale nella cornice di legno.
Furono
quei mesti spettri
viventi i primi testimoni dell’infernale spettacolo che
scosse la città fino
alle fondamenta, in quello che sarebbe stato ricordato come
“il Grande Sabba”.
Dapprima
nessuno fece caso ai
serpenti di fumo che si snodavano nella via centrale. Poi una ragazzina
particolarmente curiosa seguì con lo sguardo quella striscia
grigiastra e trovò
all’altro capo del filo un essere partorito da un incubo.
La
bambina strillò, e il secondo
urlo fu quello della madre accorsa in suo aiuto.
«Oh
buon Dio! Che cos’è
quello?»
Una
creatura incappucciata di
rosso, bestiale e spaventosa, li fissava con i suoi occhi malevoli,
emettendo
mefitici sbuffi di fumo dalle fauci.
«È
il Diavolo!» gridò qualcuno.
Il
caos e il panico del Grande
Sabba ebbero inizio.
|
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Capitolo 9 *** Dies Irae ***
Dies
Irae
«Qual
è il piano di azione?»
Così
iniziò l’adunata
sottocoperta per decidere la strategia di liberazione di Antonio.
I
volti della ciurma, coniati
dagli stampi di diverse nazioni, erano accumunati dal disorientamento:
il capitano
aveva loro ordinato di ammucchiare in quella stanza un quantitativo
esagerato
di stoffe scure, su cui spiccava un’unica mantella rossa; la
catasta di tessuto
era attorniata da alcuni barili dal contenuto ignoto, e un numero
imprecisato
di pipe era ruzzolato per terra. Le armi dalla foggia più
strana che avevano
immagazzinato durante i loro viaggi si accavallavano in una pila
disordinata di
metallo in un angolo, e alcuni contenitori di pitture ottenuti in lande
esotiche attendevano ai piedi della montagna ferrosa. Uno sparuto
gruppetto di
marinai stava avvolgendo alcuni stracci attorno a nodosi pezzi di legno
per
creare delle torce rudimentali.
I
tre nuovi arrivati apparivano
confusi quanto loro; dunque il capitano non aveva ancora reso partecipe
nessuno
delle sue effettive intenzioni.
A
giudicare
dall’equipaggiamento, Arthur Kirkland aveva intenzione di
assaltare la
roccaforte dell’Inquisizione, e i loro animi paventavano
quella possibilità:
erano fedeli al più temuto degli inglesi e avrebbero seguito
i suoi comandi
fino alla fine, ma se avesse ordinato un simile attacco sarebbero morti
tutti
nel giro di poche ore. Gli Inquisitori predicavano la pace e la
misericordia,
ma lo facevano dietro la protezione di guardie esperte e robusti
cancelli.
Un
vecchio lupo di mare alzò il
mento, sereno: il loro capitano non era uno stolto, e la sua posizione
di
corsaro al servizio della corona inglese lo dimostrava chiaramente. Non
li
avrebbe mai mandati al macello in quel modo.
Arthur
si dimostrò degno della
fiducia di quel marinaio e di tutti i suoi uomini con le sue successive
parole.
«Ho
corrotto un secondino che
lavora al Palazzo di Giustizia» ammise candido
l’inglese, senza la minima
vergogna per le sue azioni. «Di notte, le porte vengono
sprangate e i cancelli
sigillati. La cella di Antonio è presidiata da due guardie
giorno e notte.»
«Ma
non sarà un problema per
noi» abbaiò il marinaio di poco prima, la voce
arrochita in ugual misura dalla
salsedine e dal tabacco.
«Non
se ti ricordi ancora come
corteggiare le serrature, Thomas» ghignò il
capitano.
I
segni dello scorbuto vennero
esibiti in un sorriso sgangherato quando l’uomo
replicò:
«Non
hanno ancora inventato un
lucchetto che possa resistermi!»
«E
per le guardie?» s’informò
Diego, appoggiato alla parete sotto la supervisione della fidanzata.
«Antonio
se la caverà. Faceva
parte del nostro patto: lui si sarebbe liberato degli impicci umani, e
io gli
avrei aperto una via di fuga. Invierò solo un piccolo gruppo
di recupero per
aiutarlo ad uscire, il grosso della truppa sarà
all’esterno.»
Lovino
era distante almeno una
ventina di uomini da lui, eppure gli parve di sentire lo stridio dei
suoi denti
digrignati. Quel ragazzo era davvero una forza della natura.
«Anche
questa roba fa parte del
piano?» vociò il cuoco, indicando con una mano
alle sue spalle.
«Precisamente».
Il capitano
colmò con lentezza lo spazio tra lui e gli oggetti
accatastati affinché il suo
pubblico potesse ribollire nell’attesa. Il labbro superiore
gli si arricciò con
uno scatto nervoso: quello stupido marsigliese lo stava contagiando con
la sua
passione per la teatralità.
Decise
di mettere fine a quello
spettacolo afferrando con forza una stoffa scura e drappeggiandosela
sulla
spalla.
«Ho
bisogno che alcuni di voi
indossino queste. Dieci, massimo quindici persone. Non devono essere
opere di
sartoria, basta che vi coprano il volto e che arrivino fino a terra.
Inoltre
dovrete dipingervi la faccia con quelle» illustrò,
indicando i contenitori più
piccoli.
«Cosa
sono?» bisbigliò Consuelo
al marinaio al suo fianco.
«Polveri
colorate che usano
certe popolazioni come pitture di guerra» rispose veloce
quello per non
perdersi il resto del discorso del capitano.
«Chi
di voi non sarà impegnato
a tagliare il mantello e dipingersi il viso, dovrà costruire
delle torce, il
maggior numero possibile» l’inglese
appoggiò la stoffa a terra e raccolse un
bastone e uno straccio. «E dovrete spalmarci sopra un
po’ di pece. Abbiamo
bisogno che si infiammino velocemente.»
«Avete
intenzione di assaltare
il Palazzo di Giustizia?» chiese preoccupato uno dei mozzi
più giovani. «Le
armi…»
Lovino
sentì un fremito
corrergli lungo la schiena: la sua attenzione, ancora pregna di intenti
aggressivi, era stata subito calamitata dalla luce assassina delle lame.
«No»
Arthur deluse metà della
truppa e rasserenò la restante parte con quella negazione.
«Queste serviranno
solo per creare un po’ di confusione. Non dovete usarle a
meno che non si
riveli strettamente necessario.»
«E
le pipe?» volle sapere un
marinaio curioso.
Il
capitano attendeva quella
domanda fin dall’inizio, e rispose con grande gusto:
«Sapete,
qualche tempo fa ebbi
la triste idea di fumare la pipa in pubblico. Si scatenò il
panico: la gente
credeva che fossi un diavolo perché mi usciva il fumo dalla
bocca.»
Le
facce rubiconde si
distorsero in sorrisi più o meno sbilenchi quando i reali
intenti del corsaro
cominciarono ad emergere.
«L’Inquisizione
ha fatto in
modo che ogni singolo abitante di questa città temesse la
visita del Maligno
più di ogni altra cosa per convincerli che i roghi fossero
un male necessario.
Sfrutteremo il terrore che loro stessi hanno creato per
abbatterli» predicò
Arthur. Rigirò la pipa tra le mani per qualche istante prima
di mordicchiare
l’imboccatura; sulle sue labbra si aprì il ghigno
perfido e geniale che tutti i
suoi avversari conoscevano.
«Daremo
agli Inquisitori ciò
che cercano: un incontro ravvicinato con una coorte di
demoni.»
La
parte più grassoccia della
pipa venne diretta verso la sua ciurma, e il sorriso sardonico si
allargò
ulteriormente sul suo viso quando chiese, mellifluo:
«Dite
che riusciranno ad
esorcizzarci?»
La
ciurma esplose in un boato
di approvazione barbarica, con urla da osteria e rumorose pedate.
Nella
confusione che seguì,
composta dallo stridio delle forbici, dagli ordini gridati e dal rumore
fradicio degli stracci avvolti sui bastoni, Lovino si fece strada verso
di lui
per una semplice richiesta:
«Voglio
fare parte della
squadra di recupero.»
La
fronte dell’inglese si
aggrottò sia per la pretesa del giovane che per il tono con
cui era stata
promulgata.
«Non
puoi. Nicolas avrà
certamente adottato delle contromisure nei tuoi confronti. Dubito che
passeresti inosservato» caricò le sue parole con
un’occhiata allusiva alla sua
chioma ramata, abbastanza rossa da attirare l’attenzione di
ogni cacciatore di
streghe.
Le
spalle di Lovino, pronte ad
inalberarsi in una protesta, vennero abbassate dalle mani gentili di
Consuelo.
«Forse
esiste un modo per
camuffarlo» propose la donna, subito affiancata dal cuoco.
«E per proteggerlo
al contempo.»
Arthur
soffocò sul fondo della
gola un sospiro rassegnato.
Sapeva
che la loro alternativa
avrebbe travalicato i limiti del buonsenso.
E
sapeva altrettanto bene che
avrebbe acconsentito alle loro folli richieste.
***
Si
assicurò per l’ennesima volta
che il mantello fosse ben fissato sulla sua spalla.
Anche
tra i diavoli sarebbe
stato il capo, per cui gli avevano cucito addosso il tessuto scarlatto
e non
quello di colore più anonimo.
Mosse
i muscoli delle guance,
vagamente infastidito dalla pittura che vi si seccava sopra. Cominciava
a
capire cosa provassero le donne di corte sotto gli strati di cipria:
avrebbe acceso
una candela in onore della loro forza di volontà appena
possibile.
Il
vincolo in cui aveva deciso
di appostarsi era stretto e poco illuminato, dettagli essenziali per un
buon
nascondiglio e pessimi per il suo orgoglio, piegato come le sue
ginocchia per
entrare in quel pertugio angusto.
I
suoi uomini non avevano
goduto di miglior fortuna: ne aveva fatti posizionare cinque in alcune
stradine
che sfociavano direttamente nella piazza principale, altri attendevano
il
segnale accucciati sui tetti, e i restanti erano stati sparsi in vari
punti
della città per guidare la gente verso il centro come i
mandriani fanno con le
pecore.
Strinse
con forza la pipa tra i
denti, la accese e si calcò per bene il cappuccio sulla
testa, in modo che
fossero visibili solo un mento
innaturalmente nero e rosso e un cumulo di fumo.
Non
avrebbero potuto mantenere
quello spettacolo a lungo, o la paura avrebbe ceduto il posto al
sospetto, e
avrebbero corso il rischio di essere smascherati e incarcerati assieme
ad
Antonio per sobillazione.
La
pipa generò una sottile
coltre di fumo attorno a lui, e Arthur decise che fosse giunto il
momento di
uscire: la città stava scivolando in una penombra sempre
più fitta, che avrebbe
reso ancora più sinistri i loro travestimenti.
I
passanti si congelarono alla
sua apparizione.
Poté
sentire il sangue farsi
denso come pietra nelle loro vene, e i loro cuori diventare di acqua
mentre lo
fissavano agghiacciati.
Qualche
bambino si mise a
piangere e si aggrappò alla gonna della madre terrorizzata,
alle fanciulle
cedettero le ginocchia e le bocche degli uomini si spalancarono in un
artico
stupore, ma nessuno osò muoversi.
Arthur
trasse un respiro
profondo dalla pipa, ed una copiosa scia di fumo si srotolò
dal suo cappuccio
ombroso.
Il
giorno dell'ira, quel giorno
che
Dissolverà
il mondo terreno in cenere
Come
annunciato da Davide e dalla Sibilla.
«È
il Diavolo!» sentì urlare da
uno dei suoi uomini, deciso a spezzare l’incantesimo del
silenzio.
Quelle
parole furono la giusta
miccia per le reazioni della folla: all’improvviso, la gente
cominciò ad urlare
e a correre scompostamente verso la propria abitazione.
Le
madri si strinsero al petto
i figli prima che qualcuno potesse calpestarli, i bambini senza
genitori
cominciarono a roteare su loro stessi come se avessero perso
completamente l’orientamento,
vecchi e giovani lanciavano al cielo implorazioni e preghiere mentre
cercavano
di abbandonare quel luogo.
Le
strida raddoppiarono di
intensità quando uno stormo di diavoli apparve sui tetti
delle case brandendo
orribili randelli infuocati. La gente all’interno di quegli
edifici scrosciò in
strada vomitando una mistura di bestemmie e scongiuri, aumentando il
caos
generale.
Due
degli uomini di Arthur,
quelli con la scorta maggiore di torce, gettarono i loro bastoni nella
piazza,
scatenando un putiferio infernale di gente pronta a schiacciare il
prossimo al
suolo pur di salvarsi dal tocco sacrilego di quel fuoco.
Alcuni
cercarono scampo
correndo verso le strade che portavano al lido, ma il passo fu loro
bloccato da
una selva di satanassi dalle bocche fumanti, armati di strane spade mai
viste
prima su quelle terre.
«È
l’esercito di Lucifero!» si
disperò un ragazzo anonimo nella folla.
Quanto
terrore verrà
Quando
il giudice giungerà
A
giudicare severamente ogni cosa.
Qualunque
via la gente tentasse
di imboccare per la propria salvezza, un diavolo si materializzava per
sbarrarla con le torce o con le spade. La calca ormai turbinava come
una nave
catturata da un uragano marino, impazzita di paura.
Arthur
voltò la testa alla sua
sinistra, causando un attacco di isteria alle persone sulla traiettoria
del suo
sguardo.
Il
Palazzo di Giustizia si
stagliava nella notte, crudele e terribile, compagno ingrato
dell’abbazia poco
distante. Si chiedeva se fosse stato un perverso gioco del destino o un
intricato disegno umano ad aver disposto la dimora della tortura
esattamente di
fronte alla casa del perdono.
Scrollò
le spalle, e quel suo
semplice gesto fece aumentare le urla.
Lui,
in fondo, non aveva mai
trovato sostanziali differenze tra i due edifici: a parer suo, entrambi
affondavano
le proprie fondamenta nell’ipocrisia e nella mortificazione
dell’essere umano.
Alzò
le braccia al cielo, e la
folla inorridì quando le sue ripugnanti mani di sangue e
carbone emersero dalle
maniche.
Mulinò
le braccia e le abbassò
di colpo, sibilando tra i denti qualcosa di incomprensibile.
Quello
era il segnale
convenuto.
La
tromba diffondendo un suono
stupefacente
Tra
i sepolcri del mondo
Spingerà
tutti davanti al trono.
I
diavoli sui tetti lanciarono
le torce alle uscite che conducevano al mare o fuori città,
in modo che l’unica
via usufruibile rimanesse quella che conduceva alla chiesa e al Palazzo
di
Giustizia.
Per
convincere ulteriormente la
folla a scegliere quella strada, i demoni armati di spade fecero
volteggiare le
lame incalzando la gente a cercare scampo su quel preciso percorso. I
loro
colleghi sui tetti contribuirono calandosi dall’alto con
strani movimenti
meccanici che li fecero assomigliare ad enormi insetti dalle fauci
fumanti, e
fecero fuggire la gente biascicando parole in un idioma incomprensibile
e
agitando verso di loro le mani orrendamente colorate.
Arthur
si compiacque per la
loro capacità di improvvisazione: dopotutto, erano i suoi uomini.
Un
fiume umano vociante e sconvolto
sciamò verso il Palazzo e l’abbazia e prese a
tempestare i pesanti portoni con
pugni e calci, alcuni perfino con i bastoni o le pietre raccolte da
terra,
invocando asilo e protezione contro quella masnada satanica.
Arthur
e i suoi uomini si
scambiarono un breve cenno: il loro scopo era stato raggiunto.
Avrebbero
presidiato il luogo
ancora per qualche minuto, per evitare che la gente si rilassasse per
la loro
scomparsa e smettesse di assillare quelle due costruzioni.
I
suoi marinai ripresero ad
esibirsi in rantoli convulsi e sibili strozzati, a far roteare le spade
e a
protendere le mani adunche verso la marmaglia farneticante. Uno di loro
rovesciò la testa all’indietro in una risata che
avrebbe fatto fuggire l’anima
ad un morto.
Fissò
le porte del Palazzo di
Giustizia, ancora chiuse. Dovevano aprirsi, o la conclusione di quel
parapiglia
sarebbe stata una loro ignominiosa ritirata, e la promessa del rogo il
giorno
dopo.
Fece
scivolare la mano verso un
sacchetto che teneva ben cucito alla cintura. Era la sua ultima
possibilità.
Corse
a raccogliere una torcia
caduta, badando bene di far volteggiare il più possibile le
pieghe del suo
mantello: agli occhi terrorizzati della folla, quelle sue movenze lo
resero
terribilmente simile ad un pipistrello madido di sangue.
Gettò
la torcia a poca distanza
dalle due masse supplicanti, una arrampicata sul portone della chiesa e
l’altra
premuta ai cancelli del Palazzo.
Si
avvicinò con estrema
lentezza: le urla delle persone più lontane da lui
aumentarono di vigore,
mentre quelle più vicine si affievolirono, asfissiate dalla
paura. Sollevò il
pugno chiuso, e si assicurò che tutti gli occhi fossero
puntati su di lui prima
di lanciare un’imprecazione inventata e aprire velocemente le
dita mentre
abbassava la mano.
La
polvere da sparo scoppiò a
contatto con il fuoco, gonfiando a dismisura le fiamme e producendo un
suono
terribile, che fece tremare i polsi a tutti i presenti.
Arthur
gonfiò ulteriormente la
coltre di panico creatasi infilando la mano nel tascapane, nascosto tra
le
pieghe del mantello, e gettando polvere da sparo sulle torce
disseminate per la
piazza. Ad ogni nuovo boato gli strilli, le percosse ai portoni e gli
scongiuri
aumentavano, addobbati da un corteo luttuoso di pianti e unghie
sfregate contro
il legno fino a sanguinare.
Nessuno
di loro si lasciò
impietosire: se avessero permesso al loro cuore di intenerirsi, quello
di
Antonio sarebbe diventato cenere entro l’alba.
Una
donzella supplicava per la
sua vita, una madre cercava di salvare il figlio tenendolo sopra la
testa, uno
stuolo di bambini piangeva disperato, un giovane zio implorava
pietà per la
nipote.
Finché,
all’improvviso, una
breccia fendette l’anima di pietra dell’edificio:
il portone del Palazzo si
aprì, e la gente vi si riversò come
un’onda di maremoto su una nave.
La
chiesa imitò l’esempio della
sorella e aprì le sue braccia di legno al popolo, che
accorse disperato.
Arthur
si voltò verso i suoi uomini,
e, senza bisogno di parole, presero tutti a correre verso il mare.
La
gente era fuori di sé dallo
spavento, e non sarebbe stato facile placarla, anche se i diavoli se ne
erano
andati. Aveva visto in molte occasioni quale fosse il potere di una
ressa senza
timone, ed era sicuro che l’Inquisizione e i preti non
sarebbero riusciti a
domare quegli animi turbolenti in poco tempo.
Il
loro compito era terminato.
Il
turno di Lovino e Antonio
era appena cominciato.
E
dunque quando il giudice si
siederà,
Ogni
cosa nascosta sarà svelata,
Niente
rimarrà invendicato.
***
Lo
sguardo invecchiato di
Thomas virò sul colosso al suo fianco.
Durante
le sue peregrinazioni
per mare aveva visto uomini di tutti i tipi: rachitici, femminei,
robusti,
obesi e massicci.
Ma
non aveva mai visto nessuno
imponente come quella montagna nerboruta, per quanto la sua memoria
scolorita
potesse ricordare. Aveva dei muscoli di roccia e un’ossatura
di scoglio;
avrebbe potuto bere il mare con la tranquillità con cui un
uomo normale avrebbe
svuotato un calice di vino.
Nessuna
sorpresa che gli
avessero assegnato solo lui come scorta: un bestione del genere era
più che
sufficiente per sorvegliare l’uscita. Thomas aveva scassinato
la porta sul
retro in pochi minuti e con grande destrezza. Gli ordini di Arthur gli
imponevano di aspettare con il gigante fino all’arrivo di
Antonio e del
presidio che si era infiltrato all’interno: il capitano
preferiva smistare i
suoi gruppi di azione in modo che, se fosse stata tesa loro un
imboscata,
sarebbe stata catturata solo una delle squadre, non l’intero
battaglione.
Dovevano
presidiare l’uscita
per evitare che i loro compagni all’interno trovassero la
strada sprangata
dalle guardie nemiche, o da qualunque altro impedimento.
Thomas
passò la lingua sui
denti scheggiati, inquieto.
Quel
posto non gli piaceva, gli
sembrava di essere sotto lo sguardo avido di una gigantesca sanguisuga.
Sperava
di tutto cuore che la
combriccola della locanda si sbrigasse a portare fuori il loro capitano.
***
In
quel momento che potrò dire
io, misero,
chi
chiamerò a difendermi,
quando
a malapena il giusto potrà dirsi al
sicuro?
La
guardia spostò il peso da un
piede all’altro, nervosa.
Qualche
ora prima, Antonio era
stato riportato indietro dalla camera delle torture, aveva rifiutato la
sua
ultima cena e si era ritirato sul suo pagliericcio senza dire una sola
parola.
Sospirò,
tamburellando le dita
sull’elsa della spada al suo fianco.
Lo
avevano liberato dalle
manette: era una piccola grazia finale che lui e i suoi colleghi
concedevano ai
condannati a morte, in modo che potessero passare l’ultima
notte della loro
vita cullati dall’illusione di essere ancora liberi.
Avevano
avuto qualche
incertezza sull’elargire la medesima clemenza ad Antonio: era
stato un corsaro
per lungo tempo, e il mare aveva forgiato il suo corpo e il suo spirito
in
quell’immensa fucina che era l’oceano. Era stato
l’eroe e la nemesi di
innumerevoli genti, e le sue abilità tanto vantate in
passato lo rendevano un
prigioniero particolarmente pericoloso.
Tuttavia
sarebbe stata una
barbarie rifiutare quel piccolo favore al capitano che aveva portato
tanti
onori alla loro modesta città; inoltre, il muscolo sfibrato
dallo sparo di
tanti anni prima lo bloccava ad uno stadio innocuo.
Meditava
in questo modo mentre
aspettava faticosamente che il suo turno finisse, nonostante fosse
appena
cominciato.
Il
suo amaro ruminare lo
distrasse a sufficienza da non prestare troppa attenzione allo
sgocciolio in
sottofondo. All’inizio la sua mente brontolante lo
sorvolò, archiviandolo come un
regolare gocciolamento di umidità dal soffitto. Ma il suono
era troppo regolare
e troppo insistente per essere ignorato, e alla fine la guardia
rimuginante si
voltò.
I
capelli imbiancarono come
quelli di un vecchio dinanzi alla scena al di là delle
sbarre: un braccio
dell’ex-capitano era steso nel vuoto, a poca distanza dal
suolo, e un fine
corteo di gocce di sangue si gettava dal suo polso sul pavimento.
L’uomo giaceva
totalmente immobile, probabilmente svenuto per il salasso che si era
auto
inflitto.
La
sentinella frugò velocemente
tra le chiavi che portava appese alla cintura fino a trovare quella
della cella
di Antonio ed entrò, richiudendo le sbarre dietro di
sé. Nicolas lo avrebbe
ucciso, se il capitano fosse morto prima della sua esecuzione, e il
Cielo
sapeva quanto potesse essere terribile la vendetta di
quell’uomo.
Si
chinò a fianco del giaciglio
per esaminare i danni. E si accorse troppo tardi di tre punti
fondamentali.
Il
primo, la lacerazione sul
polso non era mortale.
Il
secondo, il prigioniero non
era affatto privo di sensi.
I
vigilanti come lui erano
abituati ad entrare nelle celle dei detenuti senza timore,
poiché le torture li
sfiancavano al punto da non renderli minacciosi per nessuno. Ma quello
non era
un prigioniero qualunque: era l’uomo che la stessa Dea del
Mare aveva deciso di
salvare, tanti anni prima. Quello era il terzo punto che aveva
sottovalutato.
La
mano su cui si era curvato
si chiuse a pugno e sfrecciò verso la sua mascella ad una
velocità tale che la
guardia non capì nemmeno cosa l’avesse colpita: la
testa si girò di lato,
facendogli perdere l’equilibrio, e la cotta di maglia
sferragliò ferocemente abbattendosi
contro il pavimento.
Non
ebbe nemmeno il tempo di
alzarsi o di difendersi: la sua mano aveva quasi raggiunto
l’elsa del gladio,
ma dovette risalire freneticamente per tentare di allentare la stretta
attorno
al suo collo.
Le
dita della sentinella
rasparono all’indietro ciecamente, cercando il viso del
prigioniero per
graffiarlo agli occhi. L’unica cosa che riuscirono a ferire
fu il collo del
loro stesso padrone, quando questo si aggrappò alla striscia
che gli stringeva
il collo in un ultimo spasimo di resistenza.
Antonio
attese fino a quando le
membra del vigilante non si afflosciarono nell’incoscienza, e
solo quando fu sicuro
che il suo svenimento non fosse simulato lasciò andare la
presa attorno alla
sua gola.
Aveva
stracciato il lembo
finale del lenzuolo lercio che gli avevano propinato approfittando dei
pochi
secondi di cambio di guardia, e aveva nascosto la sua arma improvvisata
all’interno della manica. Con quella aveva strangolato il
guardiano fino a
fargli perdere i sensi: quel povero diavolo non gli aveva fatto nulla
di male,
per cui non vi era ragione di ucciderlo. Bastava renderlo inoffensivo
il tempo
sufficiente per permettergli di scappare.
Aveva
scorticato con le unghie
la pelle poco sopra il polso fino a farlo sanguinare, e con quello
stratagemma
aveva attirato la sentinella. Osservò la ferita
distrattamente, mentre
strappava un secondo brandello di lenzuolo per fasciarla. Si
augurò che lo
sporco di quel tessuto non lo facesse morire di setticemia, mentre
chiudeva la
benda con un nodo.
Presso
alcuni popoli tribali
che lo avevano ospitato durante i suoi viaggi più lunghi, i
giovani si aprivano
volontariamente delle ferite sul corpo come prova del loro coraggio
durante i
riti di passaggio per l’età adulta. Dagli sciamani
di quei luoghi aveva
imparato che le ferite orizzontali sul polso non erano pericolose come
quelle
verticali: le prime potevano richiudersi, al contrario delle seconde.
“Da una
piccola porta non può passare tutto lo spirito, ma da una
lunga porta sì”,
dicevano i saggi dei villaggi.
«Avevano
ragione» mugugnò a
bassa voce, scendendo sulla guardia per rubarle le chiavi e i vestiti:
il
farsetto e i calzoni di quell’uomo erano sicuramente meno
riconoscibili della
sua divisa da eretico, un tempo bianca e ora incrostata per la
nostalgia del
sapone. Lo spogliò anche della cotta di maglia, pensando che
un’armatura, per
quanto leggera, si sarebbe rivelata molto utile per raggiungere la nave
di
Arthur sano e salvo. Infine si appropriò della spada corta e
delle chiavi.
Secondo
i loro accordi,
l’inglese doveva aver scatenato un putiferio degno di una
bolgia infernale e a
giudicare dai boati provenienti dal piano superiore, aveva svolto
egregiamente
il suo lavoro.
Sistemò
velocemente i capelli
più lunghi in modo che coprissero lo squarcio malamente
raggrumato sul suo
zigomo ed uscì dalla cella.
Ricorda,
o pio Gesù,
Che
io sono la causa del tuo viaggio;
Non
lasciare che quel giorno io sia perduto.
Una
sinfonia di ululati
lamentosi si levò quando oltrepassò le sbarre:
erano gli altri prigionieri,
destinati al rogo, al processo o ad ulteriori violenze, che
supplicavano perché
il capitano liberasse anche loro.
Tu
che perdonasti Maria di
Magdala
Tu
che esaudisti il buon ladrone,
Anche
a me hai dato speranza.
Antonio
fissò il mazzo di
chiavi che reggeva in mano, combattuto. Avrebbe perso troppo tempo se
si fosse
attardato ad aprire le carceri una ad una, ma non poteva rimanere
impassibile
di fronte a quella disperazione. Conosceva bene l’angoscia
dei condannati alla
salvezza feroce dell’Inquisizione. Vi era passato attraverso
per ben due volte.
Le
mie preghiere non sono
degne;
Ma
tu, buon Dio, con benignità fa'
Che
io non sia arso dal fuoco eterno.
Afferrò
l’anello di ferro che
teneva unite le chiavi e lo lanciò nella cella
più vicina.
«Apri
la tua prigione, e poi
passale ai tuoi vicini» comandò, mentre il
detenuto si avventava sulla sua via
di scampo.
Non
furono le urla disumane che
si levarono dalle sbarre, ognuna per reclamare la propria parte di
salvezza, a
farlo crollare contro il muro maleodorante: la cicatrice gli trafisse
la coscia
con un dolore acuto, e l’ex-corsaro dovette appoggiarsi alla
pietra umida per
non accasciarsi al suolo.
Aveva
preteso molto dalla sua
gamba, negli ultimi giorni: aveva rinunciato all’aiuto del
bastone, aveva
sopportato i supplizi dell’Inquisizione e lo aveva sostenuto
nello scatto di
poco prima, quando aveva aggredito la guardia.
Strinse
i denti, augurandosi
che i muscoli non lo tradissero proprio in quel momento, e,
appoggiandosi alla
parete con le mani, si avviò per lo stretto corridoio che lo
avrebbe portato
all’uscita concordata con Arthur. Lì ci sarebbero
stati ad attenderlo un manipolo
di uomini che lo avrebbero scortato fino alla nave.
Stava
già assaporando la
libertà quando un rumore lo colse alle spalle: passi, almeno
tre persone, e
volgevano nella sua direzione.
Estrasse
la spada, pronto a
difendersi.
Gli
anni di guerriglie navali gli
impedirono di lasciar cadere il gladio, nonostante la sorpresa.
In
un primo momento non aveva
riconosciuto l’uomo biondo, il giovanotto androgino e la
ragazzina dai capelli
scuri. Poi i suoi occhi si erano assottigliati e avevano strappato i
volti a
cui era tanto affezionato dalla penombra delle segrete.
Se
avessero avuto tempo, Diego
gli avrebbe raccontato di quanto avessse insistito con Arthur
perché lasciasse
partire anche lui: la sua schiena era martoriata, ma aveva ancora delle
buone
gambe. Gli avrebbe detto che avevano tinto i suoi capelli di giallo
grazie ad
una mistura particolare che producevano a Roma per camuffarlo, e gli
avrebbe chiarito
il motivo per cui portava dei guanti tanto spessi.
Se
i carcerati non avessero
fatto tanto baccano nell’aprire le gabbie, Consuelo gli
avrebbe spiegato che si
era lasciata travestire volentieri pur di partecipare al salvataggio
del loro
capitano: aveva bendato strettamente il seno, aveva usato il carboncino
per
disegnare delle sopracciglia più folte e si era spalmata una
strana crema sulle
labbra per farle sembrare meno carnose. Si era tagliata i capelli con
gioia per
fornire il travestimento a Lovino: nascosto da un mantello femminile e
con la
chioma di Consuelo che sporgeva dal cappuccio, sembrava una signorina
troppo
timida per guardare gli altri negli occhi. Lo avrebbe tranquillizzato
dicendogli
che aveva una pistola nascosta sulla schiena, tra le scapole, grazie ad
una
fondina che avevano modificato sulla nave.
Lovino,
al contrario, non aveva
alcuna intenzione di sdilinquirsi in spiegazioni: era stato
sufficientemente
umiliante farsi agghindare in quel modo, con una retina stretta in
testa e
cosparsa sulla sommità di una resina collosa per tenere
appiccicati i capelli di
Consuelo, e altrettanto degradante era stato sentire Diego che chiedeva
asilo
per la sua “nipotina”.
Erano
entrati per la porta
principale, seguendo la schiera di persone che era scrosciata dentro il
palazzo, ed erano faticosamente sgusciati fino ai corridoi
più oscuri che
conducevano alle segrete. Non voleva ricordare nemmeno quei momenti,
passati
con il costante timore che qualcuno gli facesse cadere la parrucca o
che
colpissero la schiena di Diego, custodita da Consuelo.
Aveva
solo una cosa da dire, e
la disse a voce alta:
«La
prossima volta che mi
dirai: “Torno subito, aspettami”, non farmi
ammuffire nell’attesa, idiota!»
La
voce incespicò man mano che
procedeva nella frase, e sull’ultima parola
diventò quasi un singhiozzo. Mentre
parlava, i suoi occhi sfrecciarono veloci sul corpo
dell’amante: l’angolatura
della gamba, accompagnata dall’espressione contratta
dell’ex-capitano, rivelava
chiaramente quanto gli stesse dolendo la cicatrice; sul tessuto sporco
della
pezza attorno al polso svettava nitida e spietata una chiazza rosso
scuro, e la
grossa crosta sullo zigomo era visibile nonostante gli sforzi
dell’uomo per
nasconderla con la frangia. Il resto non era scritto sulla sua pelle,
ma nei
suoi occhi. Erano dilatati dall’adrenalina, sciupati dalla
stanchezza ed erosi da
un dolore nascosto.
Se
non ci fossero stati tutti
gli altri intorno, se il tempo per fuggire non fosse stato
così poco, si
sarebbe lanciato verso di lui per abbracciarlo: gli avrebbe dato una
testata,
giusto perché non gongolasse troppo, e lo avrebbe insultato
mentre Antonio tentava
di baciarlo. E dopo avergli rovesciato addosso tutte le porcherie di
quei
giorni – la rabbia di essere stato impotente di fronte alla
sua cattura, l’odio
per l’Inquisizione e la paura furente che uccidessero il suo
compagno sotto i
suoi occhi – forse gli avrebbe fatto capire quanto fosse
contento di averlo con
sé, vivo.
Ma
il tempo fu impietoso, e non
concesse loro nemmeno un secondo per apprezzare il ritrovamento
dell’amante.
«Dobbiamo
andarcene» li incitò
Consuelo, indicando la via d’uscita.
Gli
uomini annuirono, e
procedettero lungo il corridoio, Diego aiutato dalla futura moglie e
Antonio
sorvegliato da Lovino.
Quel
giorno fu pieno di
possibilità irrealizzate.
Diego,
Consuelo e Lovino
avrebbero voluto dire molte cose ad Antonio, ma non ne ebbero tempo.
L’italiano
avrebbe voluto
gettarsi contro il petto dello spagnolo e lasciare che le sue braccia
lo
stringessero, comunicando quello che le parole non riuscivano ad
esprimere.
La
libertà sarebbe stata
ottenuta percorrendo un altro paio di corridoi.
Ma
furono bloccati da una voce
melliflua e da uno stuolo di armigeri.
Dalle
uscite laterali che
costituivano l’intricato dedalo delle segrete scintillarono
delle lame, che si
unirono formando un cerchio di guardie intorno a loro.
Antonio
contò velocemente, rafforzando
la presa sull’elsa. Dieci sentinelle a spada sguainata.
Troppe per loro.
Consuelo
gli si avvicinò con un
passo e bisbigliò a voce bassa:
«Toccami
la schiena.»
Antonio
eseguì, immerso in una
perplessità viscosa: doveva esserci un modo per uscire da
quella situazione, ma
la sua testa era sfuggente come una medusa, e non gli permetteva di
analizzare
correttamente le sue idee.
Avvertì
la forma di una pistola
sotto la camicia e la mantella che la donna indossava, e
sibilò, riferendosi ai
colpi in carica:
«Quanti?»
«Due.»
Antonio
digrignò i denti,
contrariato. Se anche gli spari della donna fossero andati a segno,
avrebbero
avuto altre otto sentinelle di cui occuparsi.
«Il
cuoco ci aspetta fuori»
aggiunse lei, calcandosi il cappello sul viso perché non
vedessero che era una
donna.
Il
locandiere annuì distratto.
Erano
in minoranza numerica,
Consuelo aveva solo due colpi disponibili, Diego non poteva nemmeno
afferrare
una spada o premere un grilletto con le sue dita fratturate, e non
sapeva se
Lovino fosse armato.
«Cerca
di estrarre la pistola
senza farti notare» sussurrò Antonio. «E
spara quando te lo dico io.»
La
donna annuì brevemente con
il capo, e fece un veloce cenno a Diego affinché le coprisse
le spalle.
«Non
credevo che avresti
tentato davvero la fuga.»
Dovette
frenare il braccio
armato di spada, pronto a schizzare in avanti come una serpe in
risposta alla
voce artefice di tutte le loro disgrazie.
Le
guardie si aprirono come il
biblico Mar Rosso, facendo da sipario all’Inquisitore.
Nicolas
assaporò le emozioni
che inquinavano i volti dei presenti, e non trattenne un ghigno
derisorio per
la loro messinscena sciagurata. Compianse la donna, irrise il cameriere
e si
soffermò sul pescatore.
«Sostieni
ancora l’innocenza di
questo demonio italiano?» pesò una parola per
volta nel proferire la sua
accusa, appoggiandole come massi sulle schiene dei suoi ascoltatori.
«Si è
intrufolato nelle segrete dell’Inquisizione, spaventando la
gente di questo
villaggio con i suoi servitori infernali.»
Antonio
contrasse le dita
sull’elsa, e quel movimento non sfuggì alla vista
da falco del cacciatore.
«Getta
quella spada. E
allontanala con un calcio» comandò imperioso.
Il
respiro uscì dalla bocca
dell’ex-corsaro in uno sbuffo di ribellione, come quello dei
tori durante la
corrida, ma uno sguardo fu sufficiente a placare il suo ardimento: le
guardie
erano troppe, e troppo vicine; il mantello di Lovino riusciva a
riflettersi
sulle lame lucidate.
Appoggiò
la spada a terra e la
spinse verso l’Inquisitore con un colpo del piede.
Nicolas
osservò il ferro che
scivolava verso di lui con astio.
Perfino
quello.
Antonio
aveva gettato la sua
ultima difesa solo perché le spade delle sentinelle erano
troppo vicine al suo
prezioso italiano.
Qual
era l’elemento di quel
ragazzo che lo aveva ammaliato a quel modo? Non poteva essere il suo
corpo
acerbo scartavetrato dalla salsedine, o il suo carattere da diavolo.
Era forse
colpa di quegli occhi dove si agitavano i tizzoni di Lucifero?
Congelò
l’anima perché il
giovane non potesse cogliere il suo turbamento, quando le iridi ramate
si
alzarono su di lui. Era certamente colpa di quegli occhi malevoli:
istigavano
all’empietà con un solo sguardo.
Lovino
mantenne un’aria di
sfida e mosse un passo nella sua direzione.
Le
guardie alzarono
istantaneamente le armi, ma Nicolas fece loro cenno di attendere.
Antonio
aveva deriso
l’Inquisizione e tutte le sue sacrosante credenze quando,
durante le torture,
aveva inalberato la sua fierezza ferina per distruggerli.
Forse
sarebbe riuscito a sbriciolare
quella maschera di superbia se avesse ordinato alle guardie di sgozzare
l’italiano davanti ai suoi occhi. O se l’avesse
fatto lui stesso, con il
pugnale che portava nascosto nello stivale.
Studiò
la gola dell’italiano,
vedendovi già un lungo spacco cremisi a dividere in due la
sua pelle brunita
dal sole.
La
sua macabra fantasia fu
interrotta dal breve discorso del pescatore.
«Forse
i capelli lunghi vi
hanno tratto in inganno, e vi siete dimenticato una cosa.»
Nicolas
sentì le unghie dei satanassi
graffiargli il cuore quando quelle iridi si accesero di un rancore
selvaggio e
totale. Quello era lo sguardo che Lucifero aveva lanciato a Gabriele
quando era
stato scagliato nelle viscere della Terra.
Giorno
di lacrime, quello,
Quando
risorgerà dalla cenere
Il
peccatore per essere giudicato.
«Io
non sono una donzella
indifesa.»
Perdonalo,
o Dio.
***
Thomas
schizzò in aria con un
salto quando la deflagrazione di uno sparo fece tremare
l’aria.
«Cosa
è stato?» barbugliò, il
cuore in fibrillazione per lo spavento.
Il
cuoco non pose domande
inutili: piegò il capo come un ariete e corse veloce nel
punto da cui era
provenuto lo scoppio.
Qualunque
cosa fosse accaduta,
non avrebbe perso le chiavi del regno del mare.
Non
per la seconda volta.
Pio
Signore Gesù,
Dona
a loro la pace.
Amen.
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Capitolo 10 *** Nunc Dimittis ***
Nunc
Dimittis
L’umidità
della notte offuscò
il lume, che fluttuò spettrale sul ponte di prua.
Il
chiarore della lampada spalmò
un colorito cereo sulla pelle del suo interlocutore, impallidito per
gli
avvenimenti della serata.
Arthur
lanciò un’occhiata alla
sagoma crudele degli scogli dietro di loro, punteggiata dalla spuma
delle onde
turbolente. Non era un fervido fedele, anzi, provava quasi compassione
per
quelle persone che non sapevano respirare senza una manciata di salmi
in bocca;
tuttavia, provò un forte desiderio di credere in
un’entità superiore per
potervi così rivolgere una preghiera.
Fece
ondeggiare il lume,
spostando lo sguardo acquamarina sulla persona di fianco a lui.
«Raccontami
cosa è successo»
esigette.
Le
labbra del suo interlocutore
si incresparono per un attimo, prima di schiudersi nel racconto.
***
Antonio
aveva sentito il cuore
fermarsi quando Lovino si era avvicinato a Nicolas e alle spade
sguainate
contro di lui: ogni passo gli aveva fatto perdere un battito e un anno
di vita.
Poi
Lovino aveva parlato.
«Forse
i capelli lunghi vi
hanno tratto in inganno, e vi siete dimenticato una cosa. Io non sono
una
donzella indifesa.»
Poi,
il mondo impazzì. Si trovò
catapultato in una baraonda simile agli arrembaggi più
incontrollati dei suoi
primi periodi in mare: non c’era tempo per pensare, non
c’era tempo per
respirare. Bisognava seguire il ritmo asfittico di un ballo con la
morte, in
cui ogni passo poteva essere l’ultimo.
L’Inquisitore
urlò quando il
pugnale dell’italiano, veloce come una serpe, si
conficcò nel suo fianco. La
ferita vomitò un getto copioso di sangue sulla mano guantata
che era accorsa a
premere i lembi della lesione, cercando inutilmente di sigillarli.
Le
dita e i nerbi di Lovino
vacillarono nel sentire le vene squarciarsi contro la lama del pugnale
e
l’odore dolciastro del sangue fare irruzione nelle sue
narici; la facilità con
cui lo stiletto aveva aperto le carni del cacciatore era quasi
sconvolgente, e
divenne improvvisamente consapevole delle gocce di sangue che
scivolavano sul
suo viso come vermi cremisi. Uno scatto nervoso involontario gli
serrò la
mascella e gli occluse lo stomaco, scatenando un’improvvisa
urgenza di
vomitare.
Le
guardie sollevarono le
spade, pronte ad affondarle nel fisico esile del giovane.
La
gamba di Antonio decise di
elargirgli un’ultima grazia, assistendolo nello scatto per
recuperare la
propria spada. Troppo concentrate sul ragazzo italiano, le sentinelle
non
colsero immediatamente il guizzo dell’ex-capitano: tutto il
corpo del
locandiere si allungò in avanti, finché le dita
protese non sfiorarono l’elsa
della spada.
Consuelo
approfittò della
confusione per estrarre la pistola sulla schiena: la sua fu una mossa
dettata
meramente dall’istinto di sopravvivenza, ma si
incastrò egregiamente nell’improvvisato
piano d’azione. La paura le inondò i palmi di
sudore, ma la disperazione
rafforzò la sua presa come mai prima di allora. La donna
puntò la pistola verso
i vigilanti più distanti da Lovino e Antonio, per paura di
coinvolgere anche
loro nel suo primo sparo.
Il
tuono del colpo si propagò
con una violenza tirannica, frantumando lo spazio circostante, e
Consuelo
dovette lottare per reggersi in piedi a causa del rinculo
dell’arma. Non vi fu
silenzio, dopo lo sparo: una guardia urlò come
un’ossessa, fissando l’osso che
sporgeva dalla sua spalla esplosa, macabro e sanguinolento. La durezza
di quello
spettacolo orrendo distolse la concentrazione delle guardie, e Antonio
sfruttò
quell’istante: facendo forza sulla schiena, poiché
la gamba aveva ormai
esaurito tutte le energie residue, ruotò su se stesso
tenendo il gladio con le
braccia stese. Un anello di sangue si aprì
nell’aria, formato dai fiotti delle
ferite aperte sull’addome delle sentinelle: tre di loro
caddero a terra,
lasciando andare le armi per portare le mani sulle ferite sanguinanti.
Nella
calca, nessuno notò un
guanto scivolare a terra. La sentinella di fianco a Diego avrebbe avuto
una
vita molto più lunga, se avesse prestato attenzione a quel
piccolo dettaglio.
Ma non vi badò e un’arma sconosciuta, saldata alle
dita macilente dell’uomo,
affondò nel suo collo. Il vigilante non seppe mai che quella
puntura fu causata
da una serie di piccoli aghi, aggrappati alle dita del cameriere
mediante
un’anima di stecche e anelli di metallo, che tenevano stese
le ossa frantumate.
Non seppe nemmeno che il veleno di cui erano intrise era curaro, lo
stesso
intruglio in cui alcuni popoli dell’America Latina
intingevano le loro frecce
mortali. L’unica cosa di cui fu consapevole fu la sensazione
che le vene del
suo corpo stessero inspiegabilmente lievitando, bloccando il passaggio
dell’ossigeno con la loro mole; i polmoni parvero seccarsi e
sfaldarsi come
fogli di pergamena vecchia. Conficcò le dita nel polso del
suo collega, fino ad
escoriargli la pelle, tentando inutilmente di articolare una richiesta
di aiuto
con la sua gola troppo gonfia; trascorsero solo alcuni secondi prima
che l’uomo
si accasciasse al suolo, gli occhi sbarrati e le dita congelate in una
strenua
lotta per la vita. I suoi due colleghi non ebbero tempo di inorridire
per
quella morte, talmente improvvisa e insensata da apparire una punizione
divina,
che la fatale puntura si infisse anche sui loro colli: il pavimento
sopportò i
loro arti scalpitanti nella lotta per la sopravvivenza, feroce quanto
inutile,
e ospitò le loro membra immobili, abbandonate nel freddo
sonno della morte.
Il
palmo di Antonio si poggiò
pesantemente sul pavimento, con l’ingrato compito di
sorreggere il busto mentre
la battaglia infuriava: incapace di rialzarsi in piedi,
l’ex-corsaro fu
costretto a combattere con una gamba inerte stesa a lato e
l’altra ripiegata
come per spiccare un balzo.
Lovino
era stato istruito da
Arthur, ma comprendere la teoria ed eccellere nella pratica erano
concetti
distanziati da un oceano; strinse le dita attorno al pugnale per
sferrare un
secondo colpo, ma lo sparo inaspettato e le grida delle guardie colpite
lo
fecero tentennare un secondo di troppo. Accecato dal dolore ed aizzato
dall’acre sapore della sconfitta, Nicolas aveva mosso la sua
ultima pedina: lo
stiletto era emerso dal suo stivale, e si era diretto con precisione
alla
coscia del giovane.
La
spada di Antonio affondò con
particolare impeto nelle viscere della guardia di fronte a lui quando
udì il
rantolo di dolore del compagno. Il gladio saettò forsennato
per aprirsi un
varco tra i vigilanti, la lama che riemergeva più rossa e
bagnata ad ogni
colpo.
Consuelo
tenne la pistola
dritta davanti a sé, pronta a premere il grilletto in
qualunque momento, ed i
suoi occhi in fibrillazione colsero anche il più truculento
dettaglio dello
spettacolo innanzi a lei. Le sentinelle giacevano a terra, chi ancora
gemente
nell’agonia e chi paralizzato dalla morte, chi con la faccia
immersa nella
pozza del proprio sangue e chi con il viso orribilmente sfigurato dal
veleno.
Il puzzo ferrigno e malsano della morte era così acuto in
quella stanza da non
essere più immateriale; era percepibile come un liquido
viscoso che scendeva
lungo l’esofago e si depositava disgustoso sullo stomaco,
provocando lancinanti
conati di vomito. Ma ciò che calamitava il suo sguardo era
il gruppo di fronte
a sé: Antonio, circondato dalla truce corolla delle
sentinelle uccise, che
cercava inutilmente di rialzarsi in piedi per raggiungere il suo
amante;
Lovino, che si appoggiava al muro con il palmo libero dal pugnale,
l’equilibrio
irrimediabilmente compromesso dal taglio poco sopra il ginocchio;
infine
Nicolas, una mano premuta sulla ferita al fianco e l’altra
stretta attorno ad
uno stiletto, entrambe intrise di sangue.
«Finirai
all’Inferno, pagano
blasfemo» sibilò Nicolas. Il pugnale
rintoccò argentino contro il suolo quando
le dita dell’Inquisitore persero la forza necessaria a
sostenerlo. Le palpebre
dell’uomo si chiusero più volte, mentre le labbra
si affaticavano a comporre
quella che sarebbe stata la loro ultima frase. Nicolas non si illuse a
riguardo; aveva visto mille volte il terribile angelo della morte
troncare con
un solo colpo di falce una vita umana: sapeva che quella lama ricurva
si stava
avvicinando sempre di più a lui, la avvertiva con maggiore
chiarezza ad ogni
goccia di sangue che la sua ferita sputava, sempre più
sottili e sporadiche.
Quel demonio italiano non aveva mai toccato un pugnale in vita sua, ma
era
stato tremendamente accurato nel colpirlo a morte: aveva
l’assassinio nel
sangue e chissà quali altri peccati, come tutti gli abietti
diavoli della sua
razza perversa.
«Il
Quinto Comandamento recita:
“Non uccidere”» esalò.
«Ed è un peccato mortale contravvenire alle
Tavole.»
«E
i vostri roghi?» ringhiò Lovino,
inalberando il capo; la parrucca scivolò al suolo, lasciando
scoperta la sua
malvagia chioma rossiccia. «Quante volte avete offeso il
Comandamento, con
quelli? State pur certo che, se esiste un Inferno, finirete in un
girone molto
più basso del mio.»
Il
mondo diventò troppo buio,
troppo indistinto, e le forze troppo scarse per rispondere.
“Lo spirito è
forte, ma la carne è debole”, stava scritto;
sperava che, in virtù delle parole
del Figlio, il Padre lo avrebbe perdonato se non fosse riuscito a
salmodiare la
sua ultima preghiera.
Un’improvvisa
ondata di freddo
lo avvolse, facendolo tremare da capo a piedi. Era il gelo della
ghiacciaia del
Cocito, quello che avvertiva? No, il diavolo orfano non poteva aver
ragione su
quel punto: la sua santa missione gli era stata affidata da Dio. Era
solo un
umile servo dell’Altissimo, del tutto indegno di sedere ai
piedi del Suo trono,
ma confidava che, nella Sua infinita bontà, Egli avrebbe
riservato un piccolo
spazio per il Suo indegno servitore.
Lo
sguardo annebbiato deragliò
su Antonio: non riuscì a distinguere la sua espressione a
causa della fitta
caligine che gli stava adombrando la vista, ma comprese comunque.
Quello che
aveva avvertito non era il gelo del ghiaccio, ma la sferzata artica del
vento
che infuriava nel girone della Lussuria: non sarebbe finito
all’Inferno per la
sua opera di pulizia, come profetizzato dall’eretico
pescatore, ma a causa dei
suoi vecchi sentimenti impuri, che non era riuscito ad estirpare
nemmeno con
un’esistenza votata alla rettitudine.
Sentì
le pietre del pavimento
battere contro le sue costole, ma le percepì come filtrate
attraverso un corpo
non suo. Ed era così: la sua anima stava lentamente
abbandonando il suo
involucro di carne, per dirigersi nel luogo del giudizio.
Stese
un braccio, puntando un
dito malfermo contro l’ex-capitano. Avrebbe voluto dirgli che
era colpa sua se
sarebbe stato dannato, perché non gli aveva permesso di
purificarlo, tanti anni
prima. Pur nella nebbia dell’agonia, avvertì il
peso dell’anello al suo dito. Se
era davvero solo colpa del capitano, perché non era mai
riuscito a disfarsi di
quell’inutile monile? Lo aveva conservato come ricordo della
sua passata
debolezza, ma la sua memoria era forte abbastanza da non dimenticarsene
anche
senza l’ausilio di quell’orpello. Lo aveva tenuto
perché era l’unico ricordo
del suo amico, della sola persona che avesse fatto vacillare la sua
ineffabile
vocazione.
La
mano si abbatté al suolo, e
il cerchio d’oro tintinnò contro la dura pietra.
Non
lo aveva mai toccato, e si
era maledetto ogni giorno per quei sentimenti indecenti, si era punito
con il
cilicio e con il digiuno. Pregò che il Signore fosse
indulgente con il Suo
servo peccatore, e che gli permettesse di scontare le sue colpe nella
pace del
Purgatorio.
«Oh
Signore» l’ultimo,
sottilissimo filo di voce volò instabile dalle sue labbra.
«Perché hai fatto
l’uomo così debole, di fronte al
diavolo…»
Il
fiato si condensò contro le
pietre. Poi l’alone svanì. E non se ne
formò un altro.
«È…
morto?» balbettò Consuelo,
che ancora non osava calare la pistola.
Antonio
annuì, deglutendo
nell’ugola inaridita.
«Dobbiamo
andarcene, prima che
arrivino altre guardie» li sollecitò con la voce
scricchiolante.
Diego
si mosse per aiutare
Antonio a camminare, ma una voce stentorea lo bloccò.
«Hai
la schiena cucita e le
mani frantumate. Non esagerare con il fare l’eroe.»
L’enorme
figura del cuoco
occupava tutto il corridoio, e Consuelo quasi pianse per la gioia di
vederlo lì
in quel momento.
«Aiuta
il ragazzo» le impartì
l’energumeno, che, senza alcuna esitazione, aveva rialzato
Antonio da terra e
lo stava aiutando a camminare. In realtà, il cuoco lo stava
portando in giro
come un cesto di verdura, poiché i piedi
dell’ex-capitano a malapena sfioravano
il suolo.
Lovino
rimase addossato al muro
mentre la donna si inginocchiava per fasciargli la ferita con un lembo
di
tessuto, strappato dalla camicia troppo larga, per poi rialzarsi e
offrirgli le
spalle come appoggio. Il pescatore soffocò tra i denti
digrignati una sonora
imprecazione per il dolore al muscolo ferito, e si addossò a
Consuelo per procedere.
Diego
avanzava in mezzo ai due
gruppi, zoppicante, aiutato a tratti dalla futura moglie e a tratti dal
collega
gigantesco.
La
bestemmia ruvida di Thomas
li accolse all’uscita di quel luogo infernale, e lo
scalcagnato lupo di mare si
affrettò ad aiutare il traballante Diego.
«Siete
riuscito ad uscire!»
sputacchiò il bucaniere, infervorato. «Per le
balle di Nettuno, siete davvero
il capitano leggendario!»
«È
merito della mia ciurma» il
sorriso si trascinò a fatica sulle labbra esauste di
Antonio, e gli costò uno
scrollone imbarazzato da parte del cuoco.
«Non
essere modesto, capitano»
ruggì quello, trasportandolo a viva forza.
La
relativa tranquillità finì
con la velocità di una fucilata: dalle guglie alle loro
spalle, uno stuolo di
guardie, accorse allo sparo di Consuelo e trovato
l’Inquisitore privo di vita,
cercava di purificare quel luogo dissacrato mediante la polvere da
sparo. Tre
colpi esplosero nella loro direzione, prima che le sentinelle si
fermassero per
ricaricare.
Antonio
si sentì avvolgere da
qualcosa di nerboruto, e la stessa sensazione fu avvertita dal resto
del
personale della locanda. Quando l’eco degli scoppi si
allontanò nel cielo, si
accorsero di essere schiacciati contro il petto mastodontico del cuoco,
il cui
viso era contorto in una smorfia sofferente. Ma non fu loro concessa
nemmeno
una domanda.
«Sbrighiamoci
prima che
ricarichino!» mugghiò l’uomo, sollevando
di nuovo il capitano come se fosse
senza peso. Consuelo si affrettò dietro di lui, e lo stesso
fece Thomas.
Nella
loro precipitosa corsa
per guadagnare la spiaggia, Antonio fu l’unico ad avere
un’idea precisa del
progressivo aggravarsi delle condizioni del cuoco. Il punto rosso che
gli aveva
solleticato il palmo si espanse mentre percorrevano il primo vicoletto,
fino a
coprirgli tutta la mano. Il buio notturno in cui era sprofondata la
città aveva
ammantato anche le ferite del gigante, ma Antonio riuscì
comunque a percepite
la chiazza arrivare a sporcargli il polso.
Le
guardie spararono una
seconda raffica di colpi, prima che il gruppo riuscisse a sparire nel
dedalo
delle stradine laterali, e anche quella scarica fu schermata dal cuoco.
Lovino
arrancava e incespicava,
e, ad ogni passo, aveva la sensazione che un ferro arroventato gli
martoriasse la
ferita aperta. Si morse l’interno delle guance con forza,
deciso a non
lamentarsi: quello stupido di Antonio aveva sopportato quel patimento
per anni
interi, lui avrebbe potuto resistere per qualche ora.
I
segni dello scompiglio portato
da Arthur e dai suoi uomini erano ancora visibili nelle ceste
rovesciate, negli
oggetti sparsi per tutta la piazza e nei lumi irrequieti che si
muovevano
dietro le finestre della cattedrale e del Palazzo di Giustizia.
Nonostante le ombre
che sfumavano ogni cosa, era possibile respirare ancora il panico di
quel
pomeriggio.
Tutti
loro accelerarono il
passo quando le campane della chiesa e del Palazzo suonarono in
sincrono: il
corpo dell’Inquisitore era stato trovato, e quello era il
modo per allertare le
sentinelle alle porte della città.
Percorsero
le stradine meno
conosciute, evitando ogni possibile vicolo sorvegliato, tutti
ammutoliti nel
raccoglimento della fuga.
Thomas
non si lasciò sfuggire
l’occasione di inveire coloritamente contro il cielo quando
il profumo e il
rumore del mare furono distinguibili in quella notte di sangue e lotte,
ed
imprecò ulteriormente quando fu loro visibile il regno della
Dea. Una piccola
scialuppa li attendeva, attraccata al molo, e i due marinai su di essa
si
sbracciarono nella loro direzione non appena li videro sbucare
dall’ultimo
calle.
Raggiunsero
la barca, e Thomas
fu il primo a saltarvi dentro, aiutando poi gli altri a caricare i
feriti.
Lovino ringhiò nella sua direzione, quando il bucaniere tese
le mani verso di
lui, e salì con le sue sole forze. Consuelo lo
seguì, ed assistette Diego ed
Antonio durante la salita. Il cuoco si abbatté sulla
scialuppa, e rischiò quasi
di rovesciare la barca con il suo peso massiccio.
La
donna si portò le mani alla
bocca, ed il futuro marito le appoggiò le mani sulle spalle
per calmarla. Gli
occhi del pescatore si dilatarono per la sorpresa, e il locandiere si
accostò
all’uomo smisurato. Solo i due marinai furono abbastanza
indifferenti da
correre a sciogliere le cime e cominciare ad affondare i remi
nell’acqua.
Antonio
sentì un nodo amaro
stringergli la gola. Era passato così tanto tempo
dall’ultima volta in cui
aveva assistito un suo sottoposto durante gli ultimi attimi di vita,
che i
brividi di sconforto e tristezza tipici di quei frangenti lo avevano
colto quasi
senza difese, ma sollevò presto il fermo contegno che aveva
imparato ad usare
tanto tempo prima per non agitare ulteriormente chi stava per
attraversare le
porte dell’Oceano Infinito.
«Ci
hai fatto da scudo»
mormorò, composto. Gli occhi del cuoco si diressero verso di
lui, affaticati e
soddisfatti. Giaceva prono sul fondo della barca, scoprendo le
inequivocabili macchie
vermiglie, che si allargavano a partire da un piccolo punto
più scuro laddove
il proiettile era infitto.
«Sapevo
che questa sarebbe
stata la mia ultima battaglia, capitano» sospirò
l’energumeno. Lo aveva deciso
nel momento in cui erano stati scelti come squadra di recupero: si
sarebbe
sacrificato per i suoi compagni, se le cose fossero andate male. Diego
aveva
Consuelo, Antonio doveva ricongiungersi con il suo Lovino: tutti loro
potevano
ancora vedere quanto fosse meraviglioso il reame del mare. Lui no.
Aveva perso
la chiave, ormai.
«Ho
solo un favore da
chiedervi» mormorò contro il fondo legnoso.
Antonio annuì, serio, ed il cuoco
terminò: «Abbandonatemi sugli scogli, per favore.
Voglio morire là.»
«A
bordo ci sono dei medici.
Potrebbero…»
«No,
Consuelo» la interruppe
con rude dolcezza l’energumeno. «Queste ferite
vanno oltre la medicina.»
«Perché
l’hai fatto?»
Il
tono tremulo del pescatore
fece rialzare lo sguardo opaco dell’omone. Gli occhi del
cuoco si strizzarono,
cercando di mettere a fuoco quello che poteva essere l’ultimo
scherzo della sua
mente stanca.
«Stai…
piangendo per me?»
domandò, incerto delle sue percezioni.
Vide
il braccio sfocato di
Lovino correre sotto il cappuccio e fregare la manica contro gli occhi
e, da
quel gesto irascibile, il cuoco comprese. Probabilmente era un pianto
dovuto
alla pressione di quel periodo, all’adrenalina degli ultimi
due giorni e alla
stanchezza per la fuga, ma non importava: almeno una lacrima era per
lui, ed
era sufficiente. Era convinto che nessuno avrebbe mai pianto per la sua
sorte,
che sua figlia fosse l’unica capace di emozionarsi per quel
colosso che faceva
paura a tutti.
Lovino
non si allontanò quando
una mano grande quanto una vanga si appoggiò sulla sua
guancia per sentire se
fosse effettivamente bagnata: le lacrime si schiacciarono contro quel
palmo
spropositato, ancora tiepide.
Il
cuoco serrò la mano, e le gocce
salate si spansero nelle pieghe del palmo. Qualcuno aveva pianto per
lui:
quelle lacrime erano la sua chiave.
«Grazie,
Lovino» sussurrò il
cuoco, fissandolo quasi con devozione. Il pescatore non gli fece notare
che non
aveva risposto alla sua domanda, e nascose il viso nell’ombra
del cappuccio.
«Gli
scogli…» uno dei due
marinai si intromise con garbo nei loro discorsi. «Li stiamo
raggiungendo.
Dobbiamo…»
«Sì»
ordinò pacato Antonio,
senza staccare gli occhi da quel gigante che l’aveva seguito
così a lungo. Conosceva
due cose di quell’uomo: non era pentito del suo crimine, e
tutto ciò che
desiderava era un luogo al riparo dalla denigrazione degli altri. Per
questo
era scappato in mare, e per questo stesso motivo gli era rimasto fedele
tanto a
lungo: Antonio sapeva quali fossero le conseguenze dei giudizi
totalitari, e
per questo lasciava gli altri liberi di vivere nel bene e nel male,
limitandosi
a regolarla se andava contro i suoi interessi.
Aveva
combattuto bene contro la
vita e le sue asperità: che trovasse la pace che anelava nel
luogo in cui
desiderava giacere.
La
scialuppa si accostò allo
scoglio, e Antonio aiutò l’omone a rialzarsi in
piedi. Anche Consuelo si
accostò per soccorrerlo, le guance inondate da un fiume di
lacrime.
Il
cuoco la guardò, quasi
perplesso.
«Anche
tu piangi per me?»
«Non
è ovvio?» protestò Diego,
la voce strozzata dalla tristezza.
Il
colosso li guardò tutti, uno
per uno, con i suoi occhi ottenebrati. Ognuno di loro aveva sprecato
almeno una
lacrima per lui. Il capitano non aveva pianto, ma lo stava aiutando a
scendere
come avrebbe fatto con un caro amico.
Avendo
sempre tenuto lo sguardo
rivolto al reame del mare, non si era reso conto del piccolo regno
affettuoso
che si era stretto intorno a lui. Era triste accorgersi di una simile
fortuna
solo pochi minuti prima di perderla definitivamente.
Consuelo
gli si avvicinò, e gli
mise a forza un ninnolo tra le mani, rovesciandogli un torrente di
lacrime sul
palmo. Il cuoco dischiuse appena le dita, ed intravide la croce di
acquamarina
che la donna portava sempre con sé. Stava per rifiutare, ma
lo sguardo della
cameriera lo fece desistere sul nascere: non avrebbe accettato proteste
di
alcun tipo. Consuelo era una donna dolce, ma sapeva essere estremamente
testarda. In fondo,
lei non aveva più bisogno
di una pietra per garantire la propria felicità. Aveva
Diego, e lui si sarebbe
battuto per amor suo mille volte meglio di un semplice sasso. Lui,
invece,
necessitava un oggetto che gli ricordasse i suoi compagni e il loro
affetto
imperituro, durante le sue lunghe peregrinazioni
nell’aldilà. L’omone accettò
il dono, portandolo alle labbra per baciarlo.
La
schiena bruciava e le forze
lo abbandonavano; dovette appoggiarsi allo scoglio frastagliato per
rimanere in
piedi mentre si accomiatava:
«Grazie.»
Loro
non avrebbero capito il
motivo di quel ringraziamento, né quanto fosse profondo, ma
non aveva
importanza. Avrebbe portato con sé quel sentimento oltre la
tomba, dove nessun
uomo, nessun pregiudizio avrebbe potuto guastarlo. Si issò
sugli scogli, sentendo
Consuelo singhiozzare, Diego trattenere le lacrime e Lovino
nasconderle, mentre
il capitano si limitava a fissarlo immobile, come il cielo osserva il
suo
riflesso nel mare.
L’omone
si adagiò su una conca
naturale tra due creste di roccia, il mare che gli lambiva le gambe e
la
schiena insanguinata poggiata su un tappeto di alghe. Fece un cenno ai
due
marinai, e quelli ripartirono veloci per raggiungere il vascello
maggiore, che
galleggiava sulle acque più profonde.
Schioccò
le labbra per godersi
l’odore pungente della salsedine e delle alghe, e strinse le
dita attorno alla
croce di acquamarina, conficcandosi le braccia del monile nel palmo.
Erano le
sue ultime sensazioni in quel mondo, e voleva assaporarle fino alla
fine.
«Arrivo
a bussare alla porta
del reame del mare» cantilenò, senza fiato.
«C’è qualcuno ad aprirmi?»
Gli
parve di sentire una risata
argentina, appena sotto il pelo dell’acqua.
Al
velo dell’agonia si
sovrappose quello delle lacrime quando vide il volto
dell’amata figlia
sorridergli in mezzo ai flutti.
«Ti
ho aspettato per tutto
questo tempo, papà» lo salutò lei.
«Ho tenuto la porta del reame aperta per
te.»
La
vide inclinare il capo in
quel modo così grazioso, che la faceva assomigliare ad un
gattino desideroso di
coccole.
«Che
storia mi racconterai
questa sera, papà?»
Il
respiro dell’omone uscì
dalla sua bocca in rantoli strozzati, ostacolato dalla morte sempre
più vicina
e dall’emozione travolgente di aver ritrovato la figlia tanto
amata. Riuscì a
stabilizzarlo a sufficienza per rispondere:
«È
una storia di avventura,
tesoro. Parla di un capitano coraggioso e del suo innamorato. E della
sua
ciurma. E del suo amico inglese. E di come abbiano lottato contro uno
spettro
potentissimo.»
«Sembra
interessante» gioì lei,
sotto le onde.
Un
accesso di tosse gli
sconquassò il petto, e uno spruzzo di sangue
colorò l’aria. L’entrata del reame
era sempre più vicina…
«Per
me, lui sarà sempre il
miglior capitano… e loro la migliore ciurma.»
La
mano del cuoco ricadde
inerte sullo scoglio, e il monile di Consuelo affondò nel
mare, rilasciato
dalle dita socchiuse.
«Eccomi,
tesoro. Sto venendo a
raccontarti la loro storia…»
Il
corpo dell’uomo sprofondò
nelle onde, placido, quasi cullato dalla fredda corrente notturna.
Il
reame del mare gli aveva
aperto di nuovo le porte. E tutto era bello, lì.
***
«Così
sono andate le cose.»
Arthur
appoggiò il lume sul
parapetto, meditabondo.
I
suoi uomini erano corsi a
cambiarsi non appena messo piede sulla nave: si erano ripuliti la
tintura dal
viso e avevano lanciato le cappe scure per riappropriarsi dei propri
abiti,
dopodiché avevano ripreso la vita di navigazione come se
nulla fosse mai
accaduto. Il mare non si limitava ad erodere spiagge e scogli: per
vivere
secondo le sue regole mutevoli, un uomo doveva adattare il suo cuore ai
dettami
delle maree, e permettere alle onde di ripulire il suo animo. Non vi
era tempo
per i compianti, perché l’oceano non permetteva a
nessuno di essere più
importante di lui, nemmeno ad un compagno caduto.
Antonio
era stato il primo ad
essere visitato dal medico di bordo, ed era stato sorprendentemente
veloce: la
cicatrice avrebbe continuato a fargli male per qualche giorno ancora,
finché
non si fosse totalmente assuefatto al dolore. Il dottore aveva poi
controllato
Diego, rimproverandolo per aver fatto saltare alcuni punti. Dopo averli
ricuciti, si era occupato di Lovino, che si trovava ancora sotto
l’occhio
clinico del dottore.
Arthur
appuntò lo sguardo sulla
tomba del cuoco: gli scogli lo fissarono con i loro occhi di roccia,
facendo
spumeggiare le onde tutto intorno come una maestosa corona biancastra.
«Nicolas…
non ti ha detto
nulla?»
«Non
ha avuto modo. Abbiamo
combattuto, quando ci siamo incontrati.»
I
due uomini restarono in
silenzio qualche secondo, solo il rumore del mare tra di loro.
«Credo
che sia stata la
conclusione più giusta. Anche se avessimo parlato, non
saremmo comunque
riusciti a comunicare. È meglio che sia finita in
silenzio» sentenziò Antonio.
«Ne
sei certo?»
«Sì.
Ne sono certo.»
Antonio
si girò, in modo da
appoggiare i gomiti al parapetto e dare la schiena all’oceano.
«Grazie
per il tuo aiuto. Non
ce l’avremmo mai fatta, senza di te.»
Arthur
si strinse nelle spalle,
girando la pipa tra le dita con noncuranza.
«Avevo
un debito da estinguere.
E credo di esserci riuscito, finalmente.»
I
due capitani si fissarono,
memori del medesimo episodio ed entrambi soddisfatti della conclusione
degli
eventi.
«È
un onore averti a bordo»
annunciò Arthur, battendogli una pacca sulla spalla.
«Navigatore» gli
ricordò, giusto perché Antonio non dimenticasse
che
su quel veliero avrebbe dovuto obbedire e non essere obbedito.
L’ex-corsaro
sorrise per
l’acida amicizia dimostrata dal capitano inglese, e non lo
trattenne quando
questo si avviò verso la propria cabina. Avevano tutti
bisogno di riposare: c’erano
rotte commerciali da stabilire, scambi da trattare, merci da sistemare.
E,
soprattutto, un periodo infernale da dimenticare.
La
tasca venne alleggerita del
suo piccolo tesoro. Gli anni passati come mozzo sulle navi e ladruncolo
nei
mercati avevano rivelato di nuovo la loro utilità: era
riuscito a sfilare
l’anello dal dito dell’Inquisitore senza che
nessuno se ne accorgesse.
Scrutò
il topazio, immerso nei
suoi pensieri.
Aveva
capito cosa intendesse
Nicolas, quando aveva proteso la mano verso di lui. Era colpa sua, solo
sua se
l’Inquisitore sarebbe finito all’Inferno, non delle
barbarie perpetrate dal
cacciatore.
Il
locandiere poggiò l’anello
sul palmo. Si chiese in quale punto della sua vita, esattamente, avesse
perso
per sempre il suo amico. Era stato l’episodio del fienile? Se
non lo avesse mai
invitato a saltare, quel giorno, nulla di tutto ciò sarebbe
mai accaduto?
Sospirò,
chiudendo il gioiello
nello scrigno delle sue mani. Aveva capito il motivo
dell’ultimo gesto
dell’Inquisitore, così come aveva intuito la vera
ragione del suo odio. Aveva
compreso, ma non aveva avuto pietà: per la cecità
di quell’uomo di fronte ai
suoi stessi sentimenti aveva perso i suoi genitori, e aveva rischiato
di
perdere anche Lovino. Se si fosse dimostrato pentito, o se avesse avuto
il
coraggio si ammettere che anche lui era un peccatore come tutti loro,
forse si
sarebbe mostrato più clemente nei suoi confronti, e gli
avrebbe rivolto una
parola di conforto al momento del suo ultimo respiro. Ma
così non era stato,
perciò aveva permesso che la sua morte trascorresse come
l’Inquisitore aveva
deciso di passare la sua vita: solo, arroccato nella torre costruita da
lui
stesso con le sue folli convinzioni, che certamente non avrebbero
riscosso
l’approvazione di nessun dio.
Riaprì
le mani, e il topazio
catturò la luce di una stella.
Aveva
odiato l’Inquisitore, e
aveva permesso che morisse senza alcuna assistenza. Ma per Nicolas, per
il suo
amico con cui da bambini avevano condiviso i racconti dei viaggi dei
suoi
genitori, per il ragazzo il cui sorriso non era ancora stato spento dal
peso
soffocante di una tonaca, aveva ritenuto giusto quell’ultimo
rituale.
Portò
il monile davanti alla
fronte, e dichiarò agli astri notturni:
«In
memoria del mio amico
Nicolas de Torquemada, morto diciotto anni fa
all’età di venti anni.»
La
luna regalò un riflesso
argenteo all’anello quando questo venne lasciato libero di
tuffarsi nelle onde.
I flutti si appropriarono del gioiello, ingoiandolo nelle loro
profondità buie.
Gli
occhi verdi dell’uomo
seguirono il monile nel suo inabissamento e si risollevarono poi ad
osservare
il mausoleo di scogli in cui riposava il suo fedele cuoco.
I
suoi occhi erano un deserto
di malinconia, asciutti ma roventi di dolore. Batté le
ciglia, per scacciare le
lacrime che aveva disimparato a versare.
Salutò
i defunti con un inchino
e mormorò, prima di dileguarsi nella sua cabina:
«Ora
lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo
la tua parola.»
Erano
anni che le sue labbra pagane non
pronunciavano un inno. Ma quello era uno dei momenti in cui perfino un
miscredente come lui aveva voglia di pregare, anche solo per rendere
omaggio ai
morti.
«Che
il prossimo mondo sia più indulgente.»
***
La
porta della camera cigolò, e Antonio non
ebbe nemmeno bisogno di accendere la candela per capire chi fosse
entrato.
Tese
una mano nel buio, ed una più piccola
si appoggiò sul suo palmo, lasciandosi guidare fino al letto.
Antonio
rimase fermo mentre il giovane si
issava malamente sul giaciglio e su di lui: la stretta fasciatura ed il
dolore
sordo della ferita sottostante impedivano al ragazzo di muoversi con
scioltezza. Furono quelle bende ad essere lambite dal palmo
dell’uomo, con
delicatezza per non risvegliare la lesione ancora fresca.
«Ti
fa male?»
«No»
mentì spudoratamente Lovino, afferrandogli
il polso per spostargli la mano. Non voleva che Antonio toccasse troppo
la fasciatura,
oppure si sarebbe accorto dei punti che il medico gli aveva imposto per
tenere
ferma la ferita. E non voleva che il suo compagno si preoccupasse di
nuovo per
lui.
Antonio
non polemizzò affatto, anzi, spostò
rapidamente la mano sul fianco dell’amante, il punto che
sfiorava così spesso
quando erano in intimità.
«Non
avresti dovuto correre un simile
rischio» lo rimproverò senza cattiveria.
«Nemmeno
tu» reagì Lovino. Batté una
potente testata sul petto dell’uomo e brontolò sul
suo sterno: «Idiota.»
Il
viso del ragazzo si rialzò per scrutarlo
in volto, e le iridi ramate assunsero quella loro aria indagatrice e
perentoria
nel chiedere:
«Ti
hanno torturato?»
Antonio
fu tentato di mentire, ma una bugia
simile non sarebbe mai stata creduta: conoscevano tutti fin troppo bene
le
procedure dell’Inquisizione.
«Sì»
replicò sterilmente.
Il
pagliericcio scricchiolò vistosamente a
causa delle goffe manovre del ragazzo nel fare leva sulle mani per
toccargli
con barbara gentilezza la crosta sullo zigomo.
«Tipo
questo?» insistette il pescatore.
«No.
Questo è… ho fatto arrabbiare
l’Inquisitore» capitolò Antonio.
«Sei
imprigionato e fai arrabbiare il tuo
carnefice? Ma allora sei un cretino integrale!» per vendetta,
Lovino picchiettò
con la nocca la crosta, ottenendo un mugugno sofferente dal suo amante.
Il
peso dell’italiano si scaricò di nuovo
contro il suo petto, e Antonio carezzò con affetto la testa
imbronciata
sprofondata nella sua spalla.
Poi
il pescatore formulò la domanda che
aleggiava tra di loro da quando si erano separati.
«Perché
hai fatto una cosa così stupida?»
L’ex-corsaro
non rispose subito. Gli
occorse del tempo per abbracciare il suo Lovino, per tranquillizzarlo
con il
calore del suo corpo e della sua presenza; erano lontani dalla terra
dei
cacciatori: il mare gli avrebbe protetti e, se non ci fosse riuscito,
avrebbero
provveduto da soli alla propria sicurezza, come avevano fatto in quella
notte.
Lo strinse finché non fu sicuro che il fantasma
dell’Inquisizione non fosse
stato esorcizzato, e finalmente rispose:
«Era
la cosa giusta da fare.»
«Era
la cosa più stupida da fare! Ti sei
consegnato! E ti avevano già catturato una volta!»
si alterò Lovino, battendo
un pugno irato sulla clavicola del compagno.
«Tu
sei più importante.»
«Non
dirlo!» il pescatore quasi saltò sul
letto, e si sarebbe probabilmente rialzato come un gatto se
l’abbraccio
dell’amante non gli avesse reso impossibile spostarsi.
«Vuoi preoccuparti un
po’ più di te stesso? Sto in ansia dalla mattina
alla sera, per colpa tua! Devo
sempre preoccuparmi che tu non faccia qualcosa di stupido per un
presunto
pericolo che potrei correre!»
«L’Inquisizione
era un pericolo reale…»
«Stai
zitto!»
Per
quanto Lovino fosse collerico, non era
mai arrivato a tanto, pur di essere ascoltato: imbavagliò la
bocca dell’uomo
con la propria mano, costringendolo al silenzio durante la sua
invettiva.
«Hai
mai pensato a come mi sarei sentito
io, se mi fossi salvato a scapito della tua vita?» lo
investì schiaffeggiandolo
con tutta l’ansia, tutta la paura che gli avevano straziato
le viscere in quei
giorni di preparativi. «Credi che sarei stato capace di
vivere felice e
contento, sapendo che eri morto per proteggermi? È questa la
tua idea di amore?
Beh, allora fa schifo! Costringere l’altro ad una vita
segnata dal senso di
colpa… c’è qualcosa che non va nel tuo
cervello!»
La
voce suonò attutita dalle dita del
ragazzo, ma la frase stupida di Antonio fu ugualmente comprensibile:
«Hai
detto “amore”?»
«Non
capire solo quello che ti fa comodo! E
poi ti ho detto di stare zitto!» sberciò il
giovane, sull’orlo di una crisi di
nervi.
Una
pioggia calda cadde sul volto
dell’ex-corsaro quando le lacrime che il suo amante stava
tanto faticosamente
trattenendo eruppero.
«Smettila
di trattarmi… come se fossi un
oggetto da custodire. Posso difendermi da solo»
brontolò, la voce appesantita
dal pianto.
Gli
occhi del capitano lo fissarono dal
basso, ammorbiditi da una tristezza profonda. Non avrebbe mai voluto
che il
pescatore diventasse un assassino: lo aveva tutelato in tutti i modi
perché le
sue mani fossero monde da qualsiasi colpa di sangue. Ma non era stato
abbastanza attento nel difenderlo. O meglio, aveva sottovalutato la
determinazione del ragazzo. Rimpiangeva amaramente di averlo spinto su
quella
china, e quel rammarico avrebbe strisciato nei suoi polmoni ad ogni
respiro, ma
capiva con chiarezza che non avrebbe mai potuto fermare il giovane.
Uccidere
l’Inquisitore era stata una scelta cui Lovino si era votato,
ed aveva
dimostrato più volte quanto la sua tenacia fosse ferrea:
nemmeno la Queen of Pirates era
riuscito a
trattenerlo, quando aveva deciso di condividere il destino con
l’ex-capitano.
Lovino si sarebbe comunque vendicato, in nome suo e del suo innamorato,
e
avrebbe scavalcato anche Antonio, se lo avesse ostacolato.
Si
addolorava per quella scelta del
giovane, ma comprendeva la sua fermezza. Antonio si era dimostrato
ugualmente
saldo nelle sue convinzioni quando si era consegnato
all’Inquisizione.
«Non
fare mai più… una cosa così
azzardata»
borbogliò Lovino.
Le
braccia dell’uomo lo condussero
gentilmente ad adagiarsi di nuovo contro di lui, dove venne cullato e
vezzeggiato dalle carezze gentili del compagno.
«Mi
dispiace» si scusò Antonio.
Sentì
il ragazzo agitarsi appena nella sua
stretta, per portare la propria mano davanti al viso e fissarla come se
la
vedesse per la prima volta.
«L’ho
ucciso» soffiò, quasi non credesse
alle sue stesse parole. L’Inquisitore che li aveva
terrorizzati era morto. Per
mano sua. Era stato lui a pugnalarlo al fianco, anche se aveva mirato
allo
stomaco. Era quasi surreale la facilità con cui un uomo
poteva essere
eliminato, e forse era proprio quello a dare all’Inquisizione
il suo enorme
potere: al carnefice bastava poco per uccidere la sua vittima, ma il
dolore dei
suoi cari non si sarebbe mai spento, e sarebbe diventato un deterrente
contro
futuri attacchi.
Era
la memoria il vero potere del terrore.
Antonio
trasse un respiro più profondo del
solito, che Lovino individuò subito come il fiato che il
compagno prendeva
sempre prima di cominciare un discorso serio, per cui lo prevenne sul
tempo:
«Ha
detto che finirò all’Inferno, per
questo. Ma non ci credo.»
O
meglio, non credeva che sarebbe stato
scagliato nel regno di Lucifero per l’uccisione
dell’Inquisitore. Ci sarebbe
finito perché era un sodomita, come i preti amavano additare
le persone che,
come lui, preferivano amare un uomo che fecondare una donna.
Trasgredivano a
ben due ordini celestiali, quello di non commettere atti impuri e
quello di
moltiplicarsi.
Aveva
chiesto l’aiuto degli dei e dei santi
quando si era ritrovato senza famiglia, lo aveva invocato quando suo
fratello
era stato trovato sulla nave, lo aveva supplicato quando il suo primo
padrone
lo percuoteva. Ma era stato un uomo a rispondere al suo appello, non
una
creatura alata e angelica. Quello stesso uomo che non aveva esitato a
buttarsi
nelle braccia del suo peggior nemico per proteggerlo. Se doveva finire
all’Inferno per lui, lo avrebbe accettato. Quando si era
unito al suo capitano
dopo essersi gettato dalla Queen of
Pirates, aveva giurato a se stesso che lo avrebbe amato fino
all’ultima
fibra della sua anima. Non avrebbe rinnegato quel giuramento solo
perché
persone che non avrebbero mai mosso un dito per aiutarlo pensavano che
fosse un
legame sconveniente.
Antonio
gli circondò il volto con una mano,
attirandolo vicino alle sue labbra.
«Se
dovessi finire all’Inferno, almeno
avresti una buona compagnia» bisbigliò, prima di
baciarlo come avrebbe voluto
fare nel Palazzo, quando lo aveva visto arrivare travestito da donna.
Lovino
non aveva voglia di ribellarsi,
quella sera: era stato diviso dal suo compagno, e aveva temuto che
fosse una
separazione definitiva, l’ennesima della sua vita. Aveva
lottato, corso, perfino
ucciso: le sue forze erano evaporate, e non ne aveva più
disponibili per
opporsi.
Le
sue gambe scivolarono ad intrecciarsi a
quelle dell’amante, mentre con le braccia gli circondava il
viso; Antonio lo
abbracciò con vigore, facendo scorrere una mano su tutto il
profilo del
giovane, dalla nuca alla natica, riscoprendo il corpo del suo
innamorato.
Si
baciarono a lungo, trasmettendo
direttamente alle labbra del compagno le loro sensazioni: la prigionia
e la
lontananza, la preoccupazione e lo spavento, il sollievo di ritrovarsi
e la
gioia di essere insieme. Era tutto nelle labbra che cercavano quelle
del
compagno, nelle lingue che si incontravano.
«Resta
qui» la voce arrochita dell’amante
gli sfiorò le guance, e Lovino bofonchiò:
«Non
ho altro posto in cui dormire.»
Si
accasciarono esausti sul materasso, ma
con ancora la forza di tenersi abbracciati nel sonno e la voglia di
restare
insieme per tutto il tempo possibile.
Lovino
restò sveglio più a lungo del
capitano: Antonio era più avvezzo di lui a simili
spettacoli, per cui faticò di
meno a trovare il sonno.
Il
ragazzo si strinse a lui, poggiando la
fasciatura sulla cicatrice del compagno.
Quando
aveva scelto Antonio al posto del
mare, gli aveva chiesto di non lasciarlo mai andare. Lo aveva fatto
mentre il compagno
dormiva troppo profondamente, e non aveva potuto né udirlo
né rispondergli.
Anche
in quell’occasione aveva qualcosa da
dirgli, qualcosa che avrebbe potuto rivelare solo alla notte silenziosa
e al
segreto del sonno. Incuneò il viso nel collo
dell’amante e vi soffiò sopra due
parole. Poi sollevò il volto su quello dormiente
dell’amante, lambì appena la
sua bocca con la propria e mormorò:
«Questa
è la pronuncia corretta. Hai
capito?»
Ovviamente,
Antonio non gli rispose, e
Lovino si accoccolò contro di lui per poter finalmente
riposare.
C’erano
tante cose da fare, e tante da
dimenticare. Ma avrebbero aspettato almeno una nottata, prima di essere
affrontate.
In
quel momento, voleva concentrarsi solo
sulla persona che lo stava abbracciando nel sonno.
Con
lui c’era Antonio.
Non
aveva bisogno di altro.
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Capitolo 11 *** Epilogo ***
Epilogo
Non
si vedeva più la Spagna.
Nemmeno
le sue creste
irregolari di sabbia bianca, o il bianco accecante delle case sotto il
sole. La
Spagna era sparita, inghiottita dall’immensità del
mare.
Le
spine della sofferenza si
erano conficcate nel suo cuore con più forza quando aveva
abbandonato l’Italia:
aveva salutato la sua patria rannicchiato contro il pavimento
scheggiato di
quella nave maledetta, su cui il fratello aveva perso la vita.
Era
arrivato in Spagna solo e
arrabbiato, ed aveva trovato un padrone violento: credeva che avrebbe
gioito,
nell’abbandonare quel posto pieno di caldo e pomodori.
Poi
era subentrato Antonio, e i
giorni passati alla locanda. Anche se l’Inquisizione aveva
scatenato una
pioggia di veleno nei suoi ricordi, non aveva cancellato le memorie dei
tempi
più dolci.
Il
tempo spensierato in
compagnia di quella scombinata famiglia, le nottate passate nella
stanza
patronale, il cuoco che aveva scelto di esalare l’ultimo
respiro ad un passo
dal reame del mare… per tutte quelle memorie, il suo cuore
aveva versato
qualche lacrima.
Una
mano solleticò il profilo
del suo collo, allungato per scrutare fuori
dall’oblò rudimentale.
«Non
riesci a dormire, Lovino?»
domandò la voce del suo amante, rauca per i residui di sonno.
L’italiano
fu lesto come un
gatto selvatico a strattonare un lenzuolo per coprire le sue
nudità.
Non
sapeva esattamente come
avesse fatto – e forse nemmeno voleva saperlo – ma
Antonio era riuscito a far
valere i suoi diritti su di lui: nessun marinaio lo aveva mai
infastidito. Non
sapeva se attribuire quel fatto a segrete manovre dello spagnolo o
all’espressione trucida che vestiva di solito.
«Questa
sera il mare è troppo
agitato» minimizzò in un brontolio.
Antonio
si issò a sedere e gli
colò addosso, quasi senza nerbo: le braccia
dell’uomo si adagiarono sul suo
grembo, ed il viso si accasciò sulla sua spalla, la bocca
appoggiata alla sua
pelle.
Lovino
si dimenò senza una
reale intenzione di scrollarsi l’amante di dosso: quella
schermaglia di
inseguitore e inseguito era una specie di rituale tra di loro che
andava
mantenuto.
«Sei
pesante» il suo lamento si
acutizzò in uno squittio: le dita dell’uomo,
appoggiate apparentemente a caso,
erano pericolosamente scivolate vicino alla sua intimità.
«E sposta quelle
manacce!» aggiunse, divincolandosi con più vigore.
«Sto
dormendo» comunicò
Antonio. Sopportò gli sgroppamenti di Lovino come un
cavaliere fa con un
cavallo troppo turbolento, e mormorò: «Non sono
responsabile delle mie azioni.»
«Perché,
anche quando dormi,
una parte di te resta sempre in
attività?» scalciò il giovane. La
spudoratezza del compagno gli faceva
spumeggiare il sangue per l’imbarazzo, specie quando erano
soli e senza vestiti
su di un letto, come in quel momento. Al contrario, lo spagnolo
sembrava
nutrirsi della sua vergogna, e più le guance
dell’italiano si arrossavano, più
lui diventava insistente.
«È
colpa tua» mormorò contro il
suo orecchio infuocato.
«Non
darmi la colpa, bastardo!»
si ribellò lui, rigirandosi nel suo abbraccio come un
salmone nella rete del
pescatore.
Un
palmo dell’uomo fece forza
sul suo petto, schiacciandogli la schiena contro il busto del compagno,
mentre
l’altra rimase ferma nell’incavo morbido della sua
coscia.
Lo
spagnolo dovette evitare
l’ennesima gomitata, ed una lamentela fuoriuscì
con il suo respiro:
«Credevo
che mi amassi,
Lovino.»
«Non
l’ho mai detto» s’inasprì
lui.
«L’hai
detto» lo contraddisse
dolcemente Antonio.
La
mano del compagno si strinse
sul suo bicipite, la bocca si appoggiò sulla sua spalla e la
lingua si mosse
nelle tonalità dell’italiano:
«Ti
amo. Hai detto così.»
Per
un istante, le membra del
giovane si raggelarono per la sorpresa. Poi la rabbia le fece diventare
più
roventi del fuoco mentre sibilava:
«Eri
sveglio?»
«Non
potevo dormire, in un
momento del genere» non riuscì a terminare la
frase: il cuscino grezzo si
schiantò sulla sua faccia, ed il ragazzo sgusciò
fuori dalla sua stretta in un
battito di ciglia.
«Ti
odio» sputò, avvolgendosi
le lenzuola attorno al collo e al capo. Quando Antonio
riuscì a togliersi il
guanciale dal viso, al posto del suo amante sul letto si ergeva uno
strano
bozzolo di coperte, aggrovigliato e fumante di collera.
«Lovino…»
un uragano di
lenzuola lo tempestò di colpi, mentre la voce del compagno
esacerbava:
«Stai
lontano!»
L’unica
risoluzione possibile
fu sporgersi verso quell’ammasso in fermento e sedarlo in una
stretta amorevole.
Le braccia dell’ex-capitano cinsero quell’involucro
irrequieto, placando la sua
ribellione contro il proprio cuore.
Se
gli avesse detto quanto lo
aveva reso felice, con quelle parole bisbigliate nella notte,
probabilmente Lovino
lo avrebbe colpito con una testata sul mento. Così si
limitò ad abbracciarlo
più forte, depositando dei baci su quel grumo di pieghe,
dove supponeva si
trovassero le guance e la fronte del giovane. Dal calore del suo corpo
e
dall’intensità del suo silenzio, Lovino avrebbe
capito.
Sarebbe
arrossito, avrebbe
arricciato le labbra in quel suo broncio adorabile, poi sarebbe
sgusciato fuori
per dirgli qualcosa di acido: era il suo modo di arrendersi
all’impetuosità
dell’amante.
Poco
dopo, infatti, un viso
graziosamente corrucciato sbucò da un foro delle lenzuola,
facendolo
assomigliare ad un cammeo incollerito.
«Ti
odio» sbuffò, con meno
vigore e più cedevolezza nella voce.
Lo
spagnolo insinuò una mano
nell’apertura delle coperte, svolgendo piano quel guscio di
tessuto che
avviluppava il suo compagno.
«Peccato»
sorrise Antonio. Lo
adagiò piano sul letto, gli occhi calamitati dallo sguardo
ostile e dalle
guance infiammate. «Perché io ti amo.»
La
sua clavicola assorbì gli
sporadici insulti che Lovino gli barbugliò contro mentre le
sue mani
accarezzavano la muscolatura magra del giovane.
Antonio
chiuse gli occhi, le
dita che percorrevano il corpo dell’italiano, come un cieco
che cerca la strada
di casa. Lovino era la sua occasione, l’unica ed
irrinunciabile.
Accarezzò
i capelli ramati del
ragazzo, appena rovinati dalla vita sul ponte principale; dischiuse le
sue
labbra con le proprie, ancora tiepide dei baci che si erano scambiati
durante
quella notte. Mordicchiò le screpolature che il sole e il
vento pregno di
salsedine avevano aperto sulla bocca del giovane, guadagnandosi un
morso
vendicativo.
Un
ginocchio del ragazzo si
incassò nel suo sterno, quando il pescatore
divaricò le gambe per il suo
amante. Anche se Lovino affermava di averlo fatto senza rendersene
conto,
Antonio sapeva che era la vendetta dell’italiano per essere
stato udito mentre
diceva le parole più imbarazzanti di tutta la sua vita.
Gli
sollevò con garbo il
bacino, senza staccare le labbra dal suo viso.
Erano
dei protagonisti davvero
bizzarri, loro due: Lovino dichiarava di odiarlo, e lo picchiava
perfino nei
loro momenti di intimità; le loro figure plasmate dalla rude
forgia del mare non
possedevano le labbra di rosa, i capelli di seta o la pelle vellutata
degli
eroi delle ballate d’amore.
Tuttavia,
il loro sentimento
non era secondo a quei personaggi inventati: si erano buttati entrambi
nel loro
peggiore incubo pur di salvarsi a vicenda.
Le
gambe asciutte del ragazzo
si strinsero contro il suo bacino e le sue braccia attorno al suo
collo, ed
Antonio baciò con più forza le sue labbra mentre
si spingeva in lui.
Non
erano protagonisti di poesie
o di canzoni sentimentali.
Erano
due persone vere, che
avevano disprezzato i rapporti umani, chi con un sorriso e chi con un
ringhio,
finché non si erano innamorati l’uno
dell’altro.
Ognuno
dei due aveva ricevuto
un’occasione dalla vita. E la strava abbracciando in quel
momento.
***
Un
urlo attutito si infiltrò
nei loro sogni, svegliandoli con un mugugno.
Lovino
si rialzò addentando una
processione di imprecazioni, e Antonio lo imitò con uno
sbuffo infiacchito.
La
sua gamba protestò per
l’umidità di quella cabina e per
l’eccessiva attività notturna. Lo spagnolo
cominciò a rivestirsi, totalmente incurante di quelle
lagnanze: non avrebbe
rinunciato alle notti con Lovino solo per una cicatrice.
Lanciò
un’occhiata alle gambe
ancora scoperte dell’italiano, trovando il sorriso sghembo
della ferita sulla
coscia. I punti erano stati tolti svariato tempo prima, e il ragazzo
aveva
affermato di non avvertire il minimo dolore. Si chiedeva se fosse del
tutto
vero: quando aveva provato a chiederglielo, Lovino gli aveva quasi
fracassato
lo sterno con un pugno.
«Cos’è
questo baccano?»
contestò il ragazzo, irritato per la sveglia indesiderata.
Antonio
non ascoltò la sua
domanda: si portò alle spalle dell’amante, e
lambì con una carezza il ricordo
della ferita. La conseguenza fu una gomitata nel suo stomaco.
«Ti
ho fatto una domanda» gli
ricordò Lovino.
Antonio
sorrise, premendo un
bacio sul suo collo.
«È
la vedetta» sussurrò. «Siamo
arrivati.»
L’italiano
tese l’orecchio, e
riuscì finalmente a distinguere le grida del marinaio
sull’albero maestro:
«Vedo
le luci del porto di
Marsiglia! Prepararsi all’attracco!»
***
Una
strana febbre sembrava aver
agitato le sartine di quell’atelier.
Francis
sospirò teatrale,
rivolgendosi alla ragazzina che cuciva al suo fianco.
«A
cosa è dovuta questa
eccitazione?» domandò, scrollando con eleganza la
chioma dorata.
«È
arrivata, monsieur»
cinguettò quella. Quasi si
conficcò l’ago nelle dita per
l’emozione. «La Queen of
Pirates è arrivata!»
Gli
occhi azzurri del francese
si schiusero per la sorpresa. Sollevò il viso, sorridendo
all’aria frizzante di
aspettative.
«Ne
sono lieto» soggiunse, a
mezza voce. «Quella nave mi deve ancora un
capitano.»
Il
mantello drappeggiò con
eleganza sulle sue spalle, fasciate da una camicia fabbricata dalla sua
stessa
sartoria – quindi di fattura impeccabile, la migliore della
Francia.
«Serata
libera, mademoiselles»
annunciò, spalancando la
porta. «Andiamo ad accogliere quei frigidi inglesi con un
po’ di calore
francese.»
I
loro passi in corsa
rintoccarono fino al porto.
Prosegue in:
Stagioni Marsigliesi
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