Il Sapore del Sangue

di King_Peter
(/viewuser.php?uid=328956)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Antefatto ***
Capitolo 2: *** 2. Re e Regina, su un'altra scacchiera ***
Capitolo 3: *** 3. Calda come il fuoco, fredda come il ghiaccio ***
Capitolo 4: *** 4. Io, Bianca e l'uomo della porta accanto ***
Capitolo 5: *** 5. Mix Letale ***
Capitolo 6: *** 6. Uno strappo per Linphea ***
Capitolo 7: *** 7. Coraggio, determinazione e una buona dose di faccia tosta ***
Capitolo 8: *** 8. Ignis, fuoco dell'Inferno ***
Capitolo 9: *** 9. Breve Convalescenza ***
Capitolo 10: *** 10. Stupore, Sacrificio, Sangue ***
Capitolo 11: *** 11. Paura ***
Capitolo 12: *** 12. Sotto la luce della luna ***
Capitolo 13: *** 13. Scontro tra Titani ***
Capitolo 14: *** 14. Sotto Scacco ***
Capitolo 15: *** 15. Belezza e Forza ***



Capitolo 1
*** 1. Antefatto ***


Il Sapore del Sangue



 

  Il sangue?
L'unico amico di cui ti può veramente fidare.

1. Antefatto
Un pugnale vola scuro verso di lei, come una preda corre verso il suo predatore, come la luna insegue il sole al tramonto, come la morte brama la vita.

Sangue.
Liquido cremisi impregna i vestiti candidi, ne stravolge il colore, s’insinua sino all'rame splendente dei suoi capelli, morbidi, spumosi. Il suo odore si spande nell'aria, rendendo ogni gesto macabro e folle, pazzo, scellerato.
Il cuore batte, all'impazzata, come se cercasse di salvarsi da un destino segnato, prefissato da troppo tempo da mani che si permettono di giocare con la vita umana, da mani che muovono gli uomini come si muovono le marionette.
Denso liquido rosso pulsa forte nelle tempie, quasi a far male.
La ragazza, la sua assassina, si muove leggiadra nella notte, come una stella caduta dal cielo, ma dal passo simile ad un serpente, cauto, pronto a scattare al minimo rumore, pronto ad uccidere per sopravvivere, pronto a dilaniare le carni della propria preda.
I suoi lunghi capelli neri, illuminati dalla candida luna, scendono lungo le spalle, contorcendosi in rigide trecce che si contorcono in aria, non sottoposti alla forza di gravità, dotati di volontà propria. Occhi di ghiaccio bramano il suo sangue, il suo dolore, il suo tormento, occhi di ghiaccio l'accopagneranno nel regno delle tenebre eterne, occhi di ghiaccio saranno l'ultima cosa che vedrà in vita sua.
La sua mano costringe la sofferente a guardare la sua assassina negli occhi, ammalianti, la sua voce è simile al sibilo stretto di un serpente: calda, inspiegabilmente sensuale, ma decisa.
“Dimmi dove sono e potrai avere salva la vita!”
Il suo sussurro aleggia la notte, salendo sino al nero dell'immane volta celeste, sino alla luce della luna, candida lanterna d'un fantasma, candida ammaliatrice di uomini, candida assassina di potere.
Gli occhi caldi della donna, fiammeggianti di dolore e rabbia, si scontrano contro quelli inespressivi della ragazza, dura, che la tiene per i capelli ramati, scuri di sangue.
Alberi muti osservano la scena, gufi, civette, lodano la notte con il loro canto maligno, portatore di morte.
“Dimmi dove sono prima che questa lama perfori la tua inutile gola!” sibilò, emanando nuvolette di vapore che condensano per via del freddo della notte, calcolatrice, madre delle paure, che avvolge la luce con il suo mantello, nero, brandendo minacciosa una daga d'argento, lunga più di dieci centimetri, scintillante alla luce della signora dell'oscurità.
Uno scontro muto di occhi, uno scontrarsi di emozioni, uno sputo, dritto negli occhi. Indietreggia, colta di sorpresa, nessuno aveva mai osato tanto, lasciando la presa sui capelli della donna che ora sorride nel buio, non curante della sua ferita dalla quale continua a scorgare sangue vivo, sangue che impregna la terra.
“Stolta!” ribatté la donna dai mossi capelli, mettendo in quelle parole tutto il suo ribrezzo e il disprezzo per la sua aguzzina, cercando inutilmente di alzarsi per via della lama infissa nella sua gamba.
La guarda, scuote il capo, facendo ondeggiare le sue trecce nere nella nebbia che si è alzata lentamente dal terreno, dipingendo il tutto di una tonalità più scura di paura, del sentimento arcano che sconvolge tutte le cellule del corpo.
“Io non ho paura di morire! Darei la mia vita, piuttosto che rivelarti dove sono!”
La ragazza ride, di una risata fredda come la notte che le avvolge, sfiorando con le dita la sottile lama argentea che ha in mano, come a decidere di che morte migliore potesse morire la sua vittima.
“Tutti hanno un punto debole!" sussurra, "Il tuo è l'altruismo!” la sbeffeggia, camminando in cerchio alla donna, tenendo fissi i suoi occhi su quelli della bionda, fiammeggianti, desiderosi di battaglia.
Faticosamente, si mette in piedi, reggendosi al tronco contorto, corrotto, di un albero secco, spoglio, tenendosi la ferita, grondante di sangue, rosso, vivo.
“Sei davvero così stupida come sembri?" le domanda, giocherellando con la lama, passandosela di mano in man, "Sei pronta a far smettere di battere ciò che hai nel petto per proteggere due piccole vite che, volente o nolente, non vedranno la luce del giorno di domani?” chiese, provocandola.
I lineamenti regali della sua vittima, sporchi di terra, impregnati di sudore per via della fuga, così delicati per natura, si contorcono in una smorfia di dolore, i suoi occhi azzurro cielo saettano di rabbia, pura, innaturale, la sua bocca sussurra parole non degne del suo rango.
“Patetica!” sibila malignamente la ragazza, ridacchiando di lei, sbeffeggiando la preda prima di mangiarla, poi, con scatto felino, le è dietro, le tira indietro la testa, scoprendo il collo candido, bianco, immacolato.
Le punta la lama sulla vene che pulsano violentemente, come se cercassero disperatamente di scappare alla vista di quella lama d'argento alla luce della luna, scintillante di malignità al servizio di colei che la brandisce.
"Dimmi-dove-sono." sussurra, precisa, lei, premendo, ad ogni parola, un pò di più la daga sul collo della donna dai capelli di rame, dea piangente.
Lacrime fresche, salate, rigano il suo volto, mentre i suoi occhi continuano a mantenersi battaglieri, caldi, venati di sangue rosso, capaci di combattere sino all'ultimo respiro.
"Scordatelo." mormora, col fiato corto per via della pressione esercitata sul suo collo, "Non ti dirò niente."
Il ghiaccio risplende negli occhi della mora, scintillante, facendosi di un azzurro sempre più chiaro, facendo risaltare microscopici frammenti neri al loro interno.
"Sicura?" domanda, maliziosa, attraente come l'angelo più bello, fatale come il demone più pericoloso.
"Uccidimi, se devi farlo."
Rabbia.
Un urlo animalesco, sovrumano, riecheggia nella notte, una bocca distorta in un ghigno folle, malato, si dipinge sul volto della mora, una lama d'argento, mortale, scivola lungo il collo candido.
Cade a terra, morta, inutile, volgendo le spalle alla vita che le è debitrice.
Il sangue, l'unico amico di cui ti puoi veramente fidare.

 

*Angolino del pazzo autore*
Ma salve a tutti grandi e piccoli amanti del fantasy!:)
Vi piace il mio angolino?Rosso come il sangue...
*modalità macabra all'attacco*
Io sono King e mi sto cimentando per la seconda volta(la prima è stata un colossale disastro!) alla scrittura di un libro fantasy che spero vi farà impazzire!^^
Questo antefatto è solo un piccolo assaggio di quello che leggerete nei prossimi capitoli, ma io voglio sapere il vostro parere!*-*
Si, si! Proprio il vostro parere!^^
Se vi piace, se non vi piace, se vi fa schifo totalmente...non abbiate pietà!xD
Vabbè...
Ringrazio anticipatamente chi recensirà, metterà tra preferite, ricordate o seguite o semplicemente chi leggerà silenziosamente!:D
Grazie!^^

King

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Re e Regina, su un'altra scacchiera ***


Il Sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare...



  

2. Re e regina, su un’altra scacchiera 

*Richard*
Spirava una leggera brezza, come uno di quei venti che ti accarezza la pelle e ti lascia una sensazione di felicità nella bocca, come se ti fosse appena successo qualcosa di bello.
Forse era solo il cielo, penoso nei nostri confronti, o forse Dio che mandava quel vento, perchè quello che ci era successo non era affatto una cosa di cui essere felici.
 
* * *
 
Mi sentii un cerchio alla testa, la pelle pizzicare come se fosse venuta in contatto con l'elettricità.
Giravo il capo a destra e a sinistra, come se fossi nel mio letto, ma sentivo che le mie tempie si stavano scontrando, premevano, contro qualcosa di duro, troppo duro per essere un cuscino.
Aprii leggermente gli occhi, per quello che potei. Sbattei le palpebre, più di una volta, prima che si abituassero alla luminosità che ci circondava.
Era sera ed ero esattamente sotto un palo elettrico della luce. Non mi ricordavo come fossi finito lì e, anche se avessi voluto alzarmi, non ce l’avrei fatta: mi mancavano completamente le forze.
Sentivo una certa nausea salirmi su per la gola, ma la ricacciai indietro. Mossi le mani su quello che mi accorsi essere asfalto, per incontrare capelli morbidi, spumosi.
Mi voltai verso mia sorella Bianca, i suoi occhi chiari, il suo viso appoggiato alla strada. Nell’aria si sentiva un odore forte di benzina e di gomme bruciate. Potevo avvertire il calore che ci stava abbracciando, potevo ascoltare il rumore lontano delle sirene dei vigili del fuoco e della polizia.
Poi il buio.
 
* * *
 
Adesso ero su qualcosa di più comodo, per così dire. Sentivo delle voci che parlottavano intorno a me, discutevano, anche sommessamente.
Aprii gli occhi e fermai il senso di vomito che mi stava salendo su dallo stomaco, costringendomi a dire: “Do..dove s..sono?”
La mia voce interruppe i sussurri degli altri: suonava flebile come una fiamma al vento, una fiamma piccola, sola, destinata a spegnersi, a morire, suonava intrisa di sofferenza, suonava avvolta da disperazione.
Un uomo, un poliziotto credo, mi venne incontro. Mi accorsi che mi avevano attaccato una flebo al braccio e che, poco distante, su una barella, c’era anche mia sorella, addormentata, credo. I suoi occhi erano nascosti dietro un paio di occhiali da sole, anche se la notte era calata su di noi, i suoi lineamenti erano tozzi, squadrati, la sua bocca prosciugata, secca: non dimenticherò mai quel viso, mai.
Respiravo affannosamente.
Dalla sua espressione mi diceva che era successo qualcosa di terribile, di veramente brutto. Le sue labbra fecero per parlare, ma le parole gli morirono in bocca, vittime della sua sensazione di pena.
“Ehm…mi dispiace.” furono le sue parole, “Siete stati vittime di un incidente stradale e…”
S’interruppe, guardando mia sorella.
“Voi siete gli unici superstiti.” mi disse, “È un miracolo che voi siate vivi.” aggiunse, “I vostri genitori e il conducente dell’altra vettura sono…morti. Mi dispiace veramente tanto. sussurrò, come se avesse paura di farsi sentire da qualcuno.
Storsi la bocca in una smorfia di terrore, piatto. Quel terrore che ti prosciuga l’anima, che la fa diventare secca, arida.
La mia bocca, incapace di parlare, stava zitta, ma gli occhi lasciavano andare quel dolore amaro che adesso mi pervadeva, mi faceva sentire vuoto.
Guardai Bianca, lacrimando.
“Tua sorella sta bene.” mi rassicurò, “Sta solo riposando.”
La sua voce si affievolì nel vento, come semi sparsi e destinati a non germogliare, ma a morire, secchi, nella terra arida.
“Grazie.”sussurrai appena, stringendomi nel mio dolore, nella mia corazza che volevo non si distruggesse mai, che volevo mi accompagnasse per sempre, che attutisse i colpi mancini della vita.
Ci misero in ambulanza e sfrecciammo tra le vie buie e notturne della città, dove regnava la calma, lasciandoci alle spalle i rottami, ancora leggermente fumanti, delle auto che si erano scontrati.
 
* * *
 
Ci adagiarono sui tipici letti da ospedale, con le tipiche vestaglie da ospedale. Ci fecero mangiare le tipiche sbobbe da ospedale ed eravamo attaccati a macchine tipiche da ospedale.
Un paradiso, insomma.
“Ehi Bianca, tutto bene?” le chiesi, quando l’infermiera uscì dalla nostra camera, portandosi dietro la flebo usata.
Lei annuì, debolmente, non guardandomi negli occhi. Sapevo che stava piangendo, stava inghiottendo le lacrime pur di non farsi sembrare debole davanti agli altri.
“Sono morti, vero?” mi chiese, con una voce simile ad un rantolio cupo, oscuro.
Guardai le coperte che mi scaldavano, quella specie di molletta grigia attaccata al mio dito, quella flebo trasparente che si stava inoltrando nelle mie vene.
Non volevo dirglielo, ma la situazione che stavamo vivendo glielo avrebbe confermato comunque, con o senza di me.
“Si.” le dissi, sconsolato, abbassando lo sguardo.
Nessuna risposta, solo il silenzio dominava la stanza del reparto nella quale ci avevamo messi, con le pareti colorate di un grigio chiaro con qualche sfumatura tendente al bianco, luci basse, armadietti colmi di medicinali, porte scorrevoli e una piccola televisione su uno spazio ricavato nel muro.
Stavo per mettermi a dormire, se mai avrei chiuso occhio, quando lei si voltò verso di me, con gli occhi colmi di lacrime.
Aprì leggermente a bocca per dire qualcosa, ma poi ingoiò le parole, come se facessero male più delle armi.
“Non ricordo i loro volti.” mi confessò, con una voce che non era la sua, non l’avevo mai sentita così.
Per un attimo provai pena per lei, ma poi mi accorsi che nemmeno io ricordavo i loro occhi, i loro lineamenti, le loro capigliature.
“Anch’io.” confermai.
Per un attimo restammo lì a guardarci, come se ognuno volesse carpire le sensazioni dell’altro dai suoi occhi, dalle linee che percorrevano la fronte, sudata, leggermente ferita.
Potevo vedere la disperazione in lei, la paura, cosa che probabilmente lesse anche lei nei miei occhi. Le porsi la mano. Lei sembrò incerta, poi me la strinse.
Ci addormentammo così, con quelle mani unite che sembravano un ponte tra i nostri stati d’animo, un punto di equilibrio, ci addormentammo sotto lo sguardo benevolo della signora del cielo, la luna piena, feconda nel grembo del cielo trapuntato di stelle.
 
* * *

Ci dimisero dall’ospedale qualche giorno più tardi, giusto il tempo necessario per farci riprendere dallo choc che avevamo subito quella notte, quella maledetta notte.
La notizia era stata girata per tutti i telegiornali: si era parlato dello scontro tra le due auto, dei due ragazzi che si erano salvati per miracolo da quell’impatto mortale, sbalzati dalla macchina sulla quale viaggiavano da un’onda d’urto, poco prima che queste esplodessero in una nube nera.
Erano venuti dei giornalisti, si erano appostati davanti al St. Marie Hospital, ma non li facevano avvicinare, per fortuna.
Rivedere quella strada, quel lampione, quelle due carcasse di auto nello schermo di una televisione mi faceva sentire abbandonato, semplicemente. Quel ricordo mi percuoteva come una frusta, perfida, malvagia, sadica. Era come se mille aghi pungenti volessero entrare nella mia mente e pungerla, senza dire, ovvio, che questi procuravano un dolore immane, che feriva l’anima.
Potevo sentire che ciò che provavo io, era amplificato in Bianca, adesso vulnerabile, stanca di combattere.
Lasciammo l’ospedale con i servizi sociali. Una donna bionda ci era venuta a prendere e ci aveva fatto uscire da una porta secondaria, dal retro dell’ospedale e ci aveva fatto salire su un’auto con i vetri oscurati per impedire ai giornalisti di assalirci.
Mi chiedevo come la gente fosse ostinata per fare uno scoop, di come la gente bramasse la celebrità, di come riuscisse ad essere invadente nei confronti degli altri.
Per tutto il tragitto che facemmo, parlò solo la donna: dei suoi figli, che avevano la nostra stessa età, che scuola frequentassero, che sport praticassero.
Io non le prestavo attenzione, così come pure Bianca, immersa nei suoi pensieri, come se stesse scavando ancora nella sua memoria per avere un briciolo di ricordo riguardo ai nostri genitori, mentgre io osservavo il paesaggio che ci sfrecciava intorno, passando dai freddi grattacieli della città, alla calda e vegetazione della sua periferia.
L’auto si fermò e non mi accorsi nemmeno che era passata circa un’ora da quando avevamo lasciato l’ospedale. Scendemmo dalla macchina, trovandoci davanti a dei cancelli di ferro.
“Ed ecco a voi l’istituto St. Georgine, uno dei più prestigiosi della città. Ci sono tanti ragazzi come voi, non preoccupatevi, vi integrerete benissimo!”ci disse, dandoci una perfetta visione dei suoi denti, bianchi, “La direttrice Mc Leod vi aspetta dentro.” aggiunse.
Si diresse verso la portiera del posto passeggero, accanto al guidatore, un uomo vestito di nero dalla testa ai piedi e che quindi, indirettamente, sembrava di più un becchino che un autista.
“Arrivederci!” ci augurò, “E buona fortuna.” sussurrò poi, mentre entrava in macchina, che partì, poi, a tutto gas.
Eravamo lì, soli, con borse e valige che ci avevano detto essere le nostre, tra la polvere arida e i cancelli di ferro.
 
Varcammo l’entrata dell’istituto. Sembrava uno come gli altri, ma ci mettemmo ben poco a capire che, invece, era un orfanatrofio.
Ragazzi e ragazze ci guardavano come fossimo extraterrestri, quando ci dirigemmo verso l’ufficio della direttrice, superando statue disseminate in quello che era lo spazio aperto, le siepi curate e le colonne che formavano un portico stretto dal quale si accedeva all’orfanatrofio vero e proprio: pregiati tappeti rossi coprivano il pavimento, scaloni di legno, pavimento di parquet, quadri settecenteschi, ma anche termosifoni, postazioni internet e distributori automatici.
Ci trovavamo in un mix tra passato e presente.
Raggiungemmo l’ufficio della Mc Leod dopo un po’ di tempo, visto che nessuno si degnava di darci informazioni e bussammo.
La stanza avrebbe potuto essere quella di mia nonna: aveva pianta circolare, come se fosse una torre.
Due librerie stracolme di libri costeggiavano la parete destra, mentre alla sinistra vi era un armadio di legno scuro, riccamente intagliato.
Il tenue color confetto delle pareti si scontrava con il celeste acceso del soffitto.
Appesi vi erano anche tutte le lauree e i riconoscimenti della Mc Leod che stava seduta su una poltrona rossa e aveva in mano un gatto nero, come la notte.
La donna che ci venne ad aprire era lei: una stretta crocchia grigia teneva legati i capelli, mentre due occhi celesti, costeggiati di borse nere, ci scrutavano attenti. Aveva anche un gatto, persiano credo.
Ci diede il benvenuto e ci illustrò le regole dell’”istituto”, per poi accompagnarci alle nostre stanze.
Quando ce l’ebbe mostrate rimanemmo io e Bianca da soli, a guardarci negli occhi che dicevano “Dove cavolo siamo capitati!”
"Ehi, tutto ok?" le chiesi, guardandola in quegli occhi persi, che sfuggivano ai miei, alle sua mani evanescenti.
Annuì.
"Sicura?" continuai, insistendo.
"Ho detto che va tutto bene, chiaro?" sbottò, sbattendo la porta della sua stanza, lasciandomi lì, solo come un cane e assieme alle sue valige.

*Angolino dell'autore*
Salve a tutti coloro che mi seguono/recensiscono! :) Ho voluto integrare questo capitolo perchè credo che ci volesse, sono passato troppo velocemente e non mi sono soffermato sul loro passato...u.u
Poveri angioletti! xD
Allora, come vi sembra? Decente? Non avevo idee, quindi non bastonatemi se non vi ispira! xD Vi dico solo che l'ottavo capitolo è già scritto, devo soltanto rileggerlo! ^^
Alla prossima, fatemi sapere con una recensione! :P
Ah! Visto che non si possono lasciare due recensioni nello stesso capitolo, potete lasciare la vostra recensione all'adesso ultimo capitolo postato, cioè "Coraggio, determinazione e una buona dose di faccia tosta.", dove siete sicuri che non avete lasciato nulla.
Scusate questi fatti contorti, ma ci voleva, me lo sento.
King


**é*é*djdjd

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Calda come il fuoco, fredda come il ghiaccio ***




Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare
...


 

3. Fredda come il ghiaccio, calda come il fuoco 

 
*Richard*
No! Non lui!
L’ultima persona che avrei voluto vedere stava venendo verso di me, con un sorriso spavaldo sul viso.
“Ehi Kings!” mi chiamò un ragazzo dai corti capelli neri come ossidiana, quasi rapati a zero, alto circa due metri ed uno dei tipi più muscolosi che io abbia mai visto: si allenava nella palestra dell’orfanatrofio ogni giorno, ogni ora soltanto per ammazzarmi di botte nel cortile della scuola, umiliandomi davanti a tutti e facendomi stare in infermeria per almeno una settimana buona.
Non riuscivo a contrastarlo mai, sarà per via di tutta quella palestra.
Chiusi il libro che stavo leggendo, di colpo, e mi alzai velocemente da terra.
Presi a camminare normalmente, come se non lo avessi visto né sentito.
“Ehi Kings!”chiamò ancora Morgan ( si, questo è il nome di quell’anima pia che vuole sfracellarmi di botte ogni momento della sua inutile vita, e sottolineo inutile ).
Intorno a lui c’erano anche i suoi compagni di merenda, e si era radunato il solito gruppo di ragazzi e ragazze, pronte ad assistere al comico, penoso, spettacolo pubblico.
Era inutile ribellarsi alla direttrice dell’orfanatrofio, la signora Mc Leod, che non è capace di pensare a se stessa, figuriamoci agli altri, e poi lei amava Morgan.
Una volta l’avevo fatto, ma lei mi aveva risposto, sgranando gli occhi interrompendo, per un attimo, il maglione di lana che stava confezionando: “Chi? Morgan? Non è possibile! Quel dolce ragazzo mi aiuta ogni giorno nelle più piccole faccende! È impossibile che ti picchi!”
E come credi che mi sia rotto una costola, vecchia rincretinita?
Inutile dire che le menava di santa ragione: l’ultima volta ci eravamo rotti una costola a vicenda, senza contare che io, non essendo nelle grazie della Mc Leod, finii in castigo per una settimana per aver violato il regolamento di quell'orrido posto.
Capite la mia situazione?
Mi voltai indietro.
Morgan se la stava prendendo comoda, immaginando che non sarei riuscito a scappare da nessuna parte, cosa ovvia poiché sbattei contro il petto di uno dei suoi compari e persi l’equilibrio, cadendo.
Mi sorrideva maligno, facendomi vedere i muscoli e digrignando i denti, come un cane che cerca di sembrare più minaccioso di quello che è ad un suo nemico molto più pericoloso di lui.
Il suo petto glabro mandava un odore nauseabondo: un misto tra spazzatura e pesce in decomposizione…uno schifo insomma!
Macchie di sudore, segno inequivocabile che si era appena allenato in palestra, spuntavano sulla canottiera azzurro sbiadita che mi si parava contro.
I suoi occhi scintillavano di piacere: vedermi già hai suoi piedi era una conquista per lui!
Cercai di mettermi in piedi, ma con una manata mi costrinse a stare giù e vedere la terra dalla quale spuntavano teneri germogli, pieni di vita.
“Ottimo lavoro Malcom!”gongolò una voce che riconobbi subito come quella di Morgan, il mio aguzzino.
Il ragazzo(ne) ridacchiò, come se avesse appena compiuto una buona azione e si portò dietro di lui, con gli altri ragazzi che gli battevano il cinque.
Immagino che Morgan non facesse molti complimenti ai suoi compari e quando questa accadeva era festa nazionale.
Mi prese per il collo e mi sollevò da terra senza nessuno sforzo, come se non pesassi nulla.
I miei occhi terrei si scontrarono con i suoi, duri e cattivi, che bramavano solo vedermi soffrire e cadere ai suoi piedi, chiedendogli di smetterla.
“Kings! Dove credevi di andare?”chiese inchiodandomi tra un albero e sé.
I miei occhi si spostavano alla velocità della luce da lui al resto del pubblico che stava assistendo a questo penoso spettacolo.
“Guardami!” mi urlò in faccia, menandomi una zaffata di alito all’aglio.
Fui costretto a fissarlo, a fissare quegli occhi della persona che tanto mi aveva fatto male, sia fisicamente che psicologicamente.
Se qualcuno mi rivolgesse la parola e mi chiedesse di che io abbia paura, risponderei senza esitazioni “Morgan”
Era iniziato tutto quando io e mia sorella Bianca eravamo arrivati in questo maledissimo orfanatrofio quattro anni prima.
Da allora era iniziata questa vera e propria persecuzione da parte di Morgan che mi aveva odiato sin dal primo momento in cui mi aveva visto.
Non avevo mai avuto paura di nulla, solo del carnefice che mi stava davanti.
“Che diavolo vuoi Morgan?”chiesi sprezzante, facendomi forza.
Sorrise malignamente, come se si aspettasse questa reazione.
“Kings, non ti hanno insegnato le buone maniere?”chiese, fingendosi un angioletto.
Gemetti, lasciando morire un urlo in gola.
Mi aveva sferrato un pugno dritto nello stomaco e mi guardava come per aspettare che lo salutassi.
Mi limitai a sputare a terra.
Strinse la presa al mio collo, facendomi mancare l’aria.
Tentavo invano di liberarmi, ma nulla!
La presa sembrava d’acciaio.
Mi buttò a terra e mi mise un anfibio nel mezzo delle spalle, sicuro che non mi sarei rialzato, e fece pressione spingendomi a terra.
“Dicevi?”chiese, facendo il finto tonto.
Avevo voglia di urlare, ma non ce la facevo, volevo ribellarmi, ma non ne avevo la forza, volevo vederlo con la faccia nella terra, a sprofondare nelle sue profondità con tutto me stesso, ma non ce l’avrei mai fatta.
Premette un po’ di più.
“Dicevi?”sottolineò ancora con la voce, portando la sua lurida bocca alle mie orecchie.
“Ciao Morgan!”sbottai.
Rise.
“Così va meglio! Non sopporto coloro che non salutano chi è più importante di loro, non è vero Jason?”chiese ad un ragazzo alla sua destra che annuì, con sorriso spavaldo sul viso.
Fece la stessa domanda al pubblico ordito per umiliarmi che si animò in un coro di schiamazzi e gridolini.
“Come vedi feccia, la gente mi dà ragione! Di a tutti che sei una feccia! Dai!” chiese divertito, intimandomi di affermare ciò che aveva appena detto di fare.
Respirai profondamente.
“Dillo!”urlò prendendomi per la collottola e facendomi deridere da tutti.
Alzai lo sguardo.
In mezzo al pubblico qualcuno si stava facendo strada a suon di spinte e schiaffi.
“Bianca…”sussurrai.
Dolci e lunghi capelli dorati, striati di nero, ondeggiavano mossi, cadendo sulle spalle, occhi azzurri come il cielo spiccavano sul suo volto, arrabbiati come non mai, venati di rosso.
Sangue.
Il suo corpetto nero scintillava alla luce del Sole, così come i suoi pantaloni della stessa materia.
“Lascia stare mio fratello, Morgan!” intimò, puntandogli contro un dito.
I suoi occhi saettavano di rabbia.
Morgan era sempre stato attratto da Bianca, bella e inaccessibile…credo che sia proprio lei il motivo per cui mi ha sempre perseguitato.
Credevo che mi avrebbe lasciato, ma strinse ancor di più la presa intorno al mio collo, come se quel giorno non avesse voglia di strisciare ai suoi piedi.
“No! Non prendo ordini da una ragazzina!” rispose, sarcastico.
Bianca gli si avvicinò, con un dolce sorriso angelico sulle labbra, si protese verso di lui, prendendo il suo volto tra le sue mani.
Lo stava per baciare!
“Sto per vomitare!”pensai, ma mentre le loro labbra si stavano per incontrare, mentre il sogno di Morgan era a portata di labbra, Bianca gli diede una testata.
Si, sonora come non mai: si sentì il rumore di ossa che si rompevano.
Morgan cadde dietro di me, sanguinante, guardando spaventato la ragazza che si stagliava davanti a lui, vestita di pelle.
Mentre mia sorella stava ridendo sotto i baffi, io mi alzai.
I suoi occhi saettavano di ira, quella pura, dirottata direttamente al ragazzo con un principio di barba sul volto, che si nascondeva dietro le gambe dei suoi compari che tremavano come spighe di grano al vento.
“Che diavolo mi hai fatto? Strega!”urlò Morgan, mentre cercava di alzarsi, toccandosi la ferita sulla fronte.
Aveva un'espressione dolorante sul viso.
Bianca sorrise, fredda calcolatrice.
Abominio!”
La sua voce suonò come il rombo di un fuoco pericoloso.
Le ragazze del pubblico che si era accerchiato intorno a noi, scattavano foto a tutto spiano, da mandare al giornalino dell’orfanatrofio e per far circolare cattive voci su mia sorella, alimentate dai pettegolezzi.
Bianca si girò verso di loro, donandole il miglior primo piano della storia.
“Buh!”disse.
Le ragazze lasciarono cadere i loro smartphone, correndo prima che lei le potesse sbranare.
“La prossima volta ci penserai due volte prima di toccare mio fratello, sono stata chiara?”chiese Bianca, puntando i suoi occhi chiari su Morgan.
Nessuna risposta.
Gli si avvicinò, mentre i suoi compari correvano, anzi, scappavano è il termine corretto, solo a vederla.
Lo afferrò per i capelli mentre tentava di alzarsi.
Sarà per via dell'aspetto angelico e dei suoi penetranti occhi chiari, sarà per la pelle o per la matita nera che circondava i suoi occhi, stadi fatto che Morgan se la stava facendo sotto.
“SONO STATA CHIARA?”urlò.
Annuì, abbassando gli occhi.

*Angolino dell'Autore*
Sono tornato con il secondo capitolo!:)
Come vi sembra? ^-^Io lo trovo esilarante...*-* e magnifico!:)
Ora, non perchè sia mio, ma mi sto emozionando tanto a scriverlo!^^ Fatemi sapere tutto e ricordate!
Il sangue deve ancora venire...
*gongolo maniaco*
Alla prossima!^^
A breve anche la copertina, ok?

King

Ringrazio Water, Bianca, _Charlie e noemidoms per aver recensito l'antefatto!:)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. Io, Bianca e l'uomo della porta accanto ***



Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare
...
  

4. Io, Bianca e l’uomo della porta accanto 

 
*Richard*
Il pubblico così come si era riunito, ora si disperse.
Persino Morgan se ne andò con i suoi compari, biascicando parolacce ed insulti contro mia sorella che lo stava ancora fissando.
Se avesse potuto ucciderlo con lo sguardo, lo avrebbe sicuramente fatto.
Quando se ne furono andati tutti, Bianca si avvicinò a me, sorridendo dolcemente.
Abbassai lo sguardo.
Non avrei mai voluto che mia sorella mia vedesse così, debole e umiliato da tutti.
“Ehi…”sussurrò, “Va tutto bene Ricky! Sono sicura che Morgan non ti darà più fastidio, mhn?”
Con un dito alzò leggermente il mio viso.
La guardai negli occhi, così dolci e caldi e mi lasciai sfuggire un sorrisetto forzato.
 
ΩΩΩ
 
I giorni seguenti poi, passarono quasi come sempre, a differenza che adesso tutti avevano paura ad avvicinarsi a Bianca, chissà, forse avevano paura di ritrovarsi un bernoccolo sulla fronte prima di dire “Guardate lo sfigato!”.
Mi scoccavano tutti occhiatacce, soprattutto Morgan e la sua compagnia che mi scrutavano da lontano tutti i giorni, in attesa di qualcosa, che arrivò molto presto a rompere le scatole.
 
ΩΩΩ
 
La luce filtrava dalla finestra della camera che mi avevano assegnato, dipingendo per terra un disegno geometrico composto da vari cerchi concentrici.
La sveglia continuò a trillare, ininterrottamente per farmi svegliare, cosa di cui non avevo nessuna voglia.
Le lanciai contro il cuscino e quella cadde a terra, zittendosi.
“Pace per le mie orecchie!”mormorai tornando a dormire, ma quel sogno, durò poco.
Infatti pesanti manone suonarono alla porta, producendo un rumoraccio che mi costrinse ad alzarmi.
“E io che volevo fingermi malato oggi! Che seccatura!”borbottai, dirigendomi alla porta di legno.
Mi trovai davanti un uomo poco più alto di me, con la testa calva e un paio di occhiali a mezzaluna su un naso adunco che aiutavano occhi castano caramello a scrutare la realtà che lo circondava.
Le profonde rughe sul suo viso segnavano la sua età e facevano trasparire la sua stanchezza, come se avesse appena combattuto contro uno squadrone di giocatori di football per il possesso palla.
“Kings, vero?”borbottò.
Annuii, ancora visibilmente assonnato.
Tirò fuori qualcosa dalla tasca del grembiule blu da inserviente e me la porse.
“Da parte della direttrice Mc Leod.”disse e mi guardò con espressione addolorata, come se già sapesse cosa ci fosse scritto nella busta.
Inarcai un sopracciglio.
“È tutto?”chiesi.
Annuì e gli sbattei la porta in faccia.
Quando sentii il rumore dei suoi passi sul parquet che si allontanava, mi sedetti sul letto e aprii la busta avorio.
 
Gentile signor Richard Kings,
lei ha infranto, assieme a sua sorella, le precise regole dell’orfanatrofio, come prescritto dal regolamento, paragrafo 8, che vieta nella maniera più assoluta ogni forma di violenza all’interno dell’istituto stesso.
Mi è pervenuta voce che Lei, assieme a sua sorella, abbiate picchiato il signor Morgan Clarence nel cortile dell’istituto, causandogli un lieve trauma cranico.
Per tale motivo, invito Lei e sua sorella Bianca a presentarsi alle quindici di questo pomeriggio stesso nel mio ufficio, per scontare la punizione adatta a tale comportamento.
 
La direttrice
Susan Mc Leod
 
Sbattei e rilessi più volte il contenuto della lettera.
E saremmo stati noi a picchiarlo?
 
“Oh mi sentirà questo pomeriggio quella vecchia rincoglionita!”sbottò Bianca quando la incontrai nel cortile dell’orfanatrofio.
Camminava come un pazza isterica: i capelli erano raccolti in una treccia, come fa sempre quando è arrabbiata forte, mentre i suoi occhi saettavano di rabbia.
Annuii.
“Glielo dobbiamo dire che è stato lui a cominciare la rissa, ci sono un sacco di testimoni!”protestò lei.
“Testimoni? Credi davvero che testimonierebbero contro Morgan e la sua combriccola? Hanno troppa paura di essere pestati a sangue!”risposi io, scuotendo il capo.
Bianca lanciò un urlo di rabbia e mi puntò contro i suoi occhi azzurri, quasi argentei adesso.
“Ti ripeto che mi sentirà!”esclamò, prendendo la sua borsa e dirigendosi verso la mensa per la colazione.
Maledetta sgualdrina!”la sentii borbottare mentre si allontanava.
 
ΩΩΩ
 
Le quindici in punto ed eravamo davanti alla porta mogano della Mc Leod.
Bussammo.
“Avanti!”squittì una vocina stridula, deliziata.
“Permesso.”chiese forzatamente Bianca, visibilmente arrabbiata.
“Avanti avanti!”
L'ufficio della direttrice aveva pianta circolare, come se fosse una torre.
Due librerie stracolme di libri costeggiavano la parete destra, mentre alla sinistra vi era un armadio di legno scuro, riccamente intagliato.
Il tenue color confetto delle pareti si scontrava con il celeste acceso del soffitto.
Appesi vi erano anche tutte le lauree e i riconoscimenti della Mc Leod che stava seduta su una poltrona rossa e aveva in mano un gatto nero, come la notte.
Una stretta crocchia grigia teneva legati i capelli, mentre due occhi celesti, costeggiati di borse nere, ci scrutavano come se stessero pensando alla punizione migliore.
La scrivania era ingombra di pratiche e scartoffie e, i piedi del mobile, erano graffiati, segno evidente delle pratiche del gatto che ora miagolava felice alle carezza della vecchia.
Seduto, di fronte a lei e che ci guardava torvo, un uomo sulla trentina d'anni, dai folti capelli neri e dagli occhi come ghiaccio, vestito con un completo nero come la sua chioma.
Alla sinistra della Mc Leod c’era Morgan, con la testa fasciata, che faceva finta di essere in preda a dolori inimmaginabili.
“Prego, sedete.”esclamò la direttrice, continuando a lisciare il pelo del gatto che ci guardava divertito, forse percepiva l’aurea della sua padrona.
Ci sedemmo, riluttanti.
Quando prendemmo posto, la Mc Leod spostò lo sguardo da noi all’uomo che mi stava seduto di fianco, rigido come uno stoccafisso.
“Come avrai certamente capito, Mark, sono loro i due bulli di cui ti ho parlato questa mattina al telefono”
“Capisco.”sussurrò l’uomo.
“E questo è la vittima di questi due adolescenti, come va Morgan?”chiese.
Il mio carnefice emise un rantolio e assunse un’ espressione dolorosa, come se gli stessero ficcando una maxi supposta nel retto.
“Poteva andare meglio, non è vero?”
Lui annuì.
“Beh, avete nulla da dire a vostra discolpa?”chiese, sfoggiando un sorrisetto malizioso.
Prima che Bianca la prendesse a parolacce e Dio solo sa cos’altro, presi la parola.
”Signora direttrice…”
“Signorina prego!”mi corresse lei.
Inarcai un sopracciglio.
Signorina direttrice, si sta sbagliando! È stato Morgan a cominciare la rissa, noi ci siamo solo difesi!”dissi.
“Vergogna!”mi rimbrottò lei, “Morgan non farebbe male ad una mosca! Siete voi i due piccoli teppistelli!”
“Ma non è vero!”protestò Bianca, cercando di rimanere calma, ancorandosi al bracciolo della poltrona.
“Signorina Kings! Io non accetto questo tono di voce, la prego di calmarsi!”ordinò la Mc Leod.
“Se non crede a noi, chieda agli altri ragazzi dell’orfanatrofio che cosa è sempre successo!”proposi io, sperando che quella vecchiaccia rincretinita mi ascoltasse, ma lei schioccò qualche volta la lingua, in segno di disapprovazione.
“Ho convocato personalmente tutti i ragazzi che erano presenti all’ultima aggressione e tutti mi hanno confermato che siete stati voi due a cominciare a picchiare Morgan, quindi Lei e sua sorella siete in punizione con il signor Malory per un anno di lavori utili all’istituto!”disse, poi aggiunse, rivolgendosi all’uomo:
“Mark, non essere dolce con loro! Esigo che paghino per aver ridotto in questo modo Morgan!”
Sbattei più volte le palpebre, guardando l’uomo, poi tornai a guardare la Mc Leod.
“Ma lei non può!”sbottai.
“Oh certo che posso! Potrei anche denunciarvi se volessi, ma Morgan mi ha convinto a scegliere una pena alternativa!”esclamò, intransigente.
“Sei contento Morgan?”
Gli rivolse un sorriso di miele.
Lui fece un sorrisetto che non preannunciava nulla di buono.
“Certo, ma perché far sprecare al signor Malory tempo prezioso per il suo lavoro quando posso tenerli io sotto controllo?”chiese lui.
La Mc Leod sembrò pensarci su.
“Per me va bene, per te Mark?”chiese.
L’uomo ci guardò, forse intenzionato a dire qualcosa, poi si fermò e annuì.
“È deciso allora!”
Bianca strinse così forte il bracciolo della sedia che le sbiancarono le nocche, poi si alzò in piedi.
“Scordatelo!”sbottò.
“Signorina Kings! Non si permetta di criticare i miei ordini, non sono stata abbastanza chiara?”
“Io non prendo ordini da nessuno!”urlò mia sorella, arrabbiata come non mai.
A questo punto anche la Mc Leod si alzò in piedi.
“Kings, si è appena guadagnata un biglietto di sola andata per il carcere minorile, lo sa?!”sibilò la direttrice.
Temevo prendesse a testate anche la vecchiaccia che le stava davanti.
“Bianca calmati!”
“IO SONO CALMISSIMA!”urlò, mentre si avvicinava alla Mc Leod.
Stavo per fermarla quando qualcuno mi afferrò per il braccio.
Era quell’uomo, quello che si chiamava Mark.
Mi scrutò con gli occhi ghiaccio che dicevano: “Lasciala fare!”
Morgan prese ad urlare e si stava precipitando fuori dall'ufficio, ma l’uomo che mi teneva fermo alzò distrattamente la mano e mormorò qualcosa.
Sembrava latino, ma forse non lo era o era solo il mio cervello in sovraccarico.
La porta si chiuse a chiave da sola.
Morgan smise di urlare, per un attimo, e ci guardò, poi riprese a gridare come una femminuccia e a percuotere la porta con i pugni.
“Kings! Non ti avvicinare! Ti proibisco di toccarmi! Mi hai sentito!?!”urlò la Mc Leod, lasciando cadere il gatto che sgattaiolò sotto il pesante mobile di legno, mentre lei si alzava e indietreggiava.
“Mark! Fai qualcosa! Ferma la ragazzina!”
Ma l’uomo rimase impassibile.
Il terrore si impossessò degli occhi della Mc Leod.
Ad un tratto i capelli biondi di Bianca sembrarono prendere fuoco, letteralmente!
Si avvicinò sempre più minacciosa verso la donna che era intrappolata tra lei e il muro.
“Che cosa vuoi farmi?”squittì.
“Insegnarle le buona maniere!” e la toccò con un dito.
Sembrò un gesto insignificante, ma la direttrice istintivamente ritrasse il braccio con il quale cercava di proteggersi da mia sorella, come se si fosse appena scottata.
“Bianca!”chiamai.
Ma sembrò, o forse volle, non sentirmi.
La Mc Leod non faceva altro che urlare, così come Morgan che adesso piangeva come un poppante.
“La prego! Dobbiamo fermarla!”supplicai all’uomo che mi rispose:
“L’età è giunta, siete i primi due Guardiani che cercavamo da tempo!”
Sbarrai gli occhi.

*Angolino dell'autore pazzo*
Benvenuti all'angolo dell'autore di questa storia!:)
Questo capitolo lo trovo molto esilarante, soprattutto dopo la lettera e la reazione di Bianca che ormai avrete capito chi sia, no? u.u
Ed ecco a voi un piccolo assaggino dei poteri della figlia del Fuoco ( per chi non l'avesse capito! :LOL:)!:) Che ve ne pare?
Troppo azzardato svelare la loro identità già al terzo capitolo?
*modalità pensante*
Uhm, naaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!:) Mi piace così! ^_^
Per la sfortuna di Water, qui Morgan dimostra di avere poco fegato come invece vuole far credere a tutti!+_+
:LoL:
Vabbè! Mi dileguo, ma non prima di ringraziare:


-Bianca_bibi
-noemidoms
-Charlie
-Water_wolf
-Siel
-LailaOsquin


GraziNoemiNoBianca Bi

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. Mix Letale ***



Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare
...

5. Mix letale 

*Richard*

Strabuzzai gli occhi: Guardiani? Noi? Di cosa poi?
Certo che ce n’è di gente matta al mondo…
Continuavo a guardarlo, e più ne tracciavo i lineamenti con gli occhi, più quelli sembravano cambiare, mutare di volta in volta.
Se ti concentravi sulla sua pelle, che doveva essere rosa come quella di tutti gli esseri umani, mutava in bianco latte, come se gli avessero prosciugato il sangue dalle vene, e in nero, come notte, mentre gli occhi si trasformavano in due orbite cave e nere in cui ballavano fuochi purpurei, pericolosi.
Nonostante fossero solo le tre di pomeriggio e doveva esserci un sole che avrebbe dovuto spaccare le pietre in quella stagione, la stanza era buia, tutte le cose rilucevano debolmente.
L’unico punto più luminoso era mia sorella che continuava ad accanirsi contro la Mc Leod.
Strabuzzai gli occhi ancora una volta: ora stava andando letteralmente a fuoco!
Le fiamme la rivestivano come una seconda pelle, scintillando in maniera innaturale, come se la potenza di una gigante rossa fosse racchiusa in quel velo sottile di materia.
I suoi capelli, mutati in serpi di fuoco, sibilavano, scatenando la loro rabbia su ciò che afferravano.
“Bianca! Vai a fuoco!”urlai con tutta la voce che avevo in gola.
Lei si guardò il petto e mi sorrise, come se nulla fosse, poi tornò a guardare la Mc Leod.
La stava studiando con occhi che conoscevo benissimo, quelli che usava quando pensava a qualcosa di brutto.
Sentivo che stava succedendo qualcosa di pericoloso, molto pericoloso.
Guardai ancora una volta l’uomo: dovevo liberarmi da quell’essere, qualunque cosa fosse.
Alle urla della Mc Leod si mischiavano quelle di Morgan, quasi sfinito, che cercava disperatamente di uscire dalla porta.
Cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma non ci riuscivo, era troppo forte…
Anzi, più sembravo aver paura, più lui aumentava la pressione della stretta sul mio braccio.
Bianca sillabò qualcosa e dalle sua mani nacque un fuocherello che era destinato a divenire un incendio.
Ormai la notte era scesa su di noi, gli occhi dell’uomo brillavano.
Riuscivo a vederlo benissimo anche al buio (e non chiedetemi il perché!), annusò l’aria e mormorò qualcosa.
Percepivo la magia che stava collegando il nostro mondo a qualcosa: il mostro stava evocando un passaggio temporale.
Non chiedetemi come facessi a saperlo.
“Bianca, ti prego!”pensai, “Quest’uomo ti sta guardando con occhi che io già conosco! Bianca ti prego, fermati!”
Nell’oscurità, la figura di fuoco di mia sorella si spense, le urla della Mc Leod si acquattarono, così come quelle di Morgan.
Rimasi stupito.
Finalmente il silenzio.
Un simbolo sulla sua mano sinistra brillò nel buio: sembrava una falce sporca di sangue.
“L’ora è giunta marmocchi! La vostra fine è vicina!”sussurrò.
Urlai e caddi in ginocchio: la testa mi stava esplodendo tra decina di rumori diversi, urla agonizzanti di persone moribonde, stridii di armi.
Lasciò la presa e mi costrinse a guardarlo.
“Si, questo è il dolore piccolo Guardiano della Terra!”disse divertito, “Il passaggio tra il vostro mondo e Linphea è possibile solo attingendo potere dalla tua essenza, l'ultima volta che lo abbiamo fatto è stato prima che tu nascessi!”spiegò lui, sadico.
“Una volta a Linpha, la Congrega verrà riunita e tu e tua sorella, assieme agli altri Guardiani, verrete sacrificati nella notte della Luna del Sangue! Il nostro potere non avrà più limiti!”
Rise, di una risata fredda.
Mi sentivo debole e inutile.
Poi si fermò, come se fosse stato colpito da qualcosa: una lingua di fuoco era apparsa dal nulla e lo aveva colpito sulla schiena, come fosse una frusta.
“Guardiana del Fuoco! Non osare provare questi trucchetti con me!” sibilò, inviperito.
Sfruttai quell’attimo di disattenzione dell’uomo per sgattaiolare lontano da lui.
Mi scontrai contro qualcosa e mi sarei messo ad urlare, ma una mano premette sulla mia bocca.
“Sono io, sono Bianca!”sussurrò.
Sorrisi, nell’oscurità.
“Che facciamo? È un pazzo maniaco!”
I suoi occhi scintillarono come fossero stelle.
“Ne sei sicuro? Hai visto quello che ho fatto!”sussurrò come se già sapesse, “Credo dobbiamo arrenderci all’evidenza!”rispose lei, seria come non l’avevo mai vista.
“Ne riparleremo dopo!”ribattei, “Resta il fatto di come liberarcene adesso!”
“Odio i marmocchi!” sbuffò l’uomo, seguito dallo sfracassarsi dei mobili dell’ufficio della Mc Leod.
“Ci troverà! Che facciamo?”sussurrò lei.
“Mi ha chiamato Guardiano della Terra, se quello che ha detto è vero dovrei riuscire a controllare tutto quello che appartiene a questo elemento, no?”domandai.
Riuscivo a vederla anche nell’oscurità, ora stava annuendo.
“Bene!”sussurrai.
“Senti Ric, devo dirti una co…”
Il mobile dietro il quale eravamo nascosti esplose in mille pezzi, facendo nascere un polverone.
Quando si diradò lasciò spazio alla figura mostruosa dell’uomo: metà del suo corpo era saltato via, come fosse stata falciata, lasciando vedere i muscoli e le ossa, l’altra metà era nera, come la notte ed era lucida, dai riflessi di luna.
Avrei preferito non vederlo, ma ci riuscivo e mi stava venendo da vomitare.
“Voi verrete con me, volenti o nolenti!”disse.
Della bava colava dalla sua bocca, come un predatore fa quando vede la sua preda.
“Sei pronta?”domandai.
Lei annuì.
Ci slanciammo nella mischia.
 
All’inizio ero un po’ scettico.
Si, insomma, crederesti mai ad una persona che ti dice che sei un qualcosa tipo un guardiano di un elemento?
Sarebbe una figata, ma di sicuro chiunque odierebbe affrontare tutto ciò che ne deriva da questo potere.
Bianca sembrava aver giocato sempre con il fuoco e lo padroneggiava con abilità: mosse appena le mani contro il mostro e un muro di quell'elemento si abbatté contro il mostro, che fu inghiottito in palla di quell’elemento.
L’uomo lottava con tutte le sue forze, ma si stava lentamente consumando sotto la pressione del fuoco.
Rimasi a guardare, che diavolo dovevo fare?
La palla di fiamme esplose e mia sorella volò all’indietro, sbattendo contro il muro.
Evidentemente non mi considerava un problema, perché si stava dirigendo verso di lei, con gli artigli sguainati.
”Il primo sangue di una nuova guerra!”urlò.
Dovevo fare qualcosa, ma cosa? Non sapevo come si usava questo “potere”
“Concentrati! Qualsiasi cosa vedrai nella tua mente diverrà reale! Scaglia la tua furia contro il nemico!”disse una voce nella mia testa.
Ne stavano succedendo di tutti i colori quel giorno.
Pensai in fretta.
Quando gli artigli stavano per calare sulla schiena della mia inerme sorella, una radice, veloce, spuntò dal terreno e afferrò il braccio del mostro.
Il pavimento di legno si spaccò e, dalle fessure, videro la luce altri vegetali che si stavano avvinghiando alle gambe dell’uomo, come serpenti.
“Opprimo!“gridò lui.
Le radici, così come erano apparse, così si abbatterono al suolo.
I suoi occhi bruciavano solo per me, di un violento fuoco nero.
Mosse le mani.
L’oscurità si plasmò in due lampi neri che si dirigevano verso di me.
Pensai ad uno scudo e, legato all’avambraccio sinistro, apparve un cerchio di legno spesso sul quale si infranse l’energia oscura.
Continuò a bersagliarmi di lampi di energia nera che schivai o si infransero sulla superficie dello scudo di legno.
Agitai la mano e tralci di vite si avvinghiarono alle gambe del mostro.
Corsi dove era caduta Bianca, ma lei non c’era.
“L’hai voluta tu, Guardiano!”sibilò, strappando i tralci.
Porse le mani in avanti e ne nacquero semi neri, oscuri che mi gettò addosso.
Mentre volavano verso di me con una traiettoria orizzontale, si fusero in un pugnale lungo, dai riflessi di luce.
Alzai lo scudo, certo che avrebbe retto, invece si spezzò.
Il pugnale mi colpì nel ventre dal quale iniziò a colare denso sangue terreo.
Rimasi stupito: non mi ero mai tagliato, graffiato e via dicendo, ma credevo che il mio sangue fosse rosso, come quello di tutti gli altri, invece era marrone, come la corteccia di un albero millenario.
Caddi a terra.
“Sangue!”sibilò lui correndo verso di me.
Sentivo che le forze mi stavano abbandonando, non riuscivo più a pensare a nulla se non al dolore che mi stava esplodendo nel ventre.
Si chinò, cogliendo con un dito un po’ del liquido che era riverso a terra.
“Sai perché adoro il sangue?” chiese sventolandomi davanti il mio stesso liquido.
Grugnii.
Lui rise.
“Perché posso controllare la persona dalla quale è fuoriuscito!”
Mormorò qualcosa e sentii un fuoco ardermi dentro, mi divincolai per terra, reggendomi la pancia, cercando di allontanarmi da lui.
Urlai con tutto me stesso.
Più l’uomo, se così si può definirlo, sorrideva, più il pugnale entrava dentro di me, finché non scomparve del tutto e la ferita si chiuse.
“Sei in mio potere adesso!”sussurrò, per poi urlare come una gallina quasi sgozzata: una fascia di fuoco stringeva il suo collo.
“Prova a fargli del male e giuro che ti uccido!”
Con quella poca energia rimasta, guardai le orbite cave dell’uomo che roteavano, la sua bocca in cerca, disperatamente, di aria.
“Rimuovi l’incanto, subito!”ordinò mia sorella.
La rabbia le dava potere: i suoi occhi azzurri brillavano innaturalmente, lame di luce rossa lambivano l'iride e si rincorrevano in un cerchio perfetto, come lo yin e lo yang.
Il mostro gorgogliò qualcosa.
“Non ho sentito bene!”esclamò Bianca con espressione angelica, stringendo ancor di più la fascia al collo dell’uomo.
Il mostro ululò di dolore, per quanto gli fosse possibile, poi si accasciò a terra, sfinito, ma ancora vivo.
La fascia nella mani di Bianca, strideva di piacere.
“Rimuovi l’incanto! Adesso! O la prossima volta non sarò tanto clemente!”minacciò mia sorella.
Il mostro pareva confuso.
Accettare o meno?
Portò le sue mani sul mio petto e sentii il cuore battere all’impazzata, il sangue mi pulsava nelle vene come se volesse esplodere.
“Bianc…”sussurrai.
Svenni, abbandonandomi completamente.

*Bianca*

Gli occhi nocciola di Richard rotearono.
Ero arrabbiata come non mai, nessuno poteva toccare mio fratello, nessuno.
Poggiai la mano sulla schiena dell’uomo.
Dal mio palmo si sprigionò calore che si estese a tutto il corpo.
Urlò di dolore: la dolce sensazione di caldo lo stava consumando, tutta la mia ira era concentrata in quel punto.
Si voltò a guardarmi.
Mai scherzare con il fuoco!”dissi, sadica, “Ci si brucia sempre!”
Sputai a terra e lui cadde esattamente ai miei piedi, privo di vita.
Raggiunsi Richard: era freddo come ghiaccio.
Che ti ha fatto?”esclamai esasperata, con le lacrime agli occhi.
Poggiai le mani sul petto, scaldandolo.
Aiutatemi!”urlai al cielo.
Ricordo solo che l’oscurità si diradò, lasciando spazio ad un lampo di luce.



*Angolino dell'autore*
Eccomi ritornare!xD
Non vi libererete mai di me! Mai!*-*
*risata satanica*
Ok, apparte queste stupidaggini, come vi sembra il capitolo? Ho smontato tutto quello che vi eravate prefissati nella vostra testolina, vero?
Il nostro Mark è uno dei cattivi e la Congrega alla quale si riferisce è la Congrega della Morte, ovvero i cattivoni della storia!xD
Finalmente vediamo un pò di potere vero e proprio, ma non è ancora nulla, ve lo posso assicurare!:)
*sorriso innocente*
Credo che qualcuno di voi vuole sposare Bianca, ne sono sicuro, arcisicuro!xD
Abbiamo già scoperto come si attua un passaggio tra i mondi e abbiamo scoperto già due elementi, scovare gli altri sarà molto più tosto!xD
Prevedo scintille!^^
Sondaggio: Cosa credete che succederà a Richard?

a) muore +_+
b) si salva ^-^
c) si salva, ma con complicanze nel tempo o.O


Fatemi sapere che cosa ne pensate, mandando un sms al numero ***************, digitando la lettera che avete scelto.
Costo massimo: una recensione.
Grazie!xD

Mi dileguo!:)
Alla prossima!

King

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. Uno strappo per Linphea ***


Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare...

 
  6. Uno strappo per Linphea 
*Bianca*
La luce del Sole filtrava dalle finestre di vetro incrinate: era parecchio luminosa dopo tutto quel buio.
Pagine di testi giacevano a terra, alcuni bruciacchiati ai bordi, altri del tutto fuoriusciti dalle loro copertine di cuoio marrone.
Polvere aleggiava ovunque, sporcando l’aria, il pregiato tappeto persiano era imbrattato di sangue terreo.
Richard respirava a fatica.
“Ti prego Ric! Non lasciarmi! Non puoi farlo!”continuai a ripetermi.
Avevo le lacrime agli occhi adesso.
Poggiai un orecchio sul suo petto: il cuore stava battendo sempre più forte.
Era un bene o un male?
“No, ti prego! Ti prego!”dissi disperata, abbracciandolo come se fosse l’ultima volta, “Non puoi lasciarmi Ric!”
Il silenzio che aleggiava nella stanza era assordante, non si sentiva praticamente nulla, niente di niente, restava solo polvere e distruzione.
”Si salverà se mi permetti di aiutarlo!”esclamò una voce, rompendo quell’attimo di assenza di suono.
Mi guardai intorno, alla ricerca di chi avesse parlato: puntai lo sguardo verso la porta, ma Morgan e la Mc Leod si erano accucciati in un angolo e stavano ronfando, oltre a loro non c’era nessuno.
Poi si sentì un fragore, seguito da un lampo di luce argentea che lasciò spazio alla figura di una ragazza sui diciotto anni che mi fissava con i suoi occhi corallo.
Capelli castani, raccolti in una coda, lasciavano qualche ciocca ad incorniciare il suo viso, labbra rosee muovevano parole di miele.
Indossava un top grigio aderente che esaltava le sue curve, pantaloni di pelle stretti, color cioccolato, coprivano le sue gambe.
Calzava stivali scamosciati e, alla vita, portava due cinture di pelle marrone, lasciate un po’ penzolanti.
Dietro alla spalla destra si poteva vedere una faretra, ricolma di frecce e nella sinistra stringeva un arco ligneo, nero, decorato con diversi motivi floreali oro che spiccavano sul fondo ebano dell’arma.
L’avambraccio destro, invece, era protetto da un guanto a tre dita di pelle.
Mi alzai, di scatto, sulla difensiva.
“Chi sei?”chiesi, pronta a lottare ancora una volta.
“La cosa non ci interessa al momento.”rispose lei, melliflua, calma.
Mosse due o tre passi verso di me. Mi mossi come il pensiero: i miei occhi saettarono da me a lei e una lingua di fuoco la fece arretrare.
“Ti consiglio di non muovere un altro passo se non vuoi finire arrosto!”minacciai, brandendo una frusta infuocata nelle mani.
Lei fece un sorrisetto.
“Coraggiosa, determinata, forte! Non abbassi mai la guardia e la testa di fronte a nulla…Riconosco in te una vera Guardiana del Fuoco!”esclamò raggiante, lisciando la corda del suo arco.
“Che vuoi?”chiesi.
Stavo perdendo la pazienza.
“Sono l’unica persona della quale ti puoi fidare, se non vuoi che tuo fratello muoia…”rispose lei, guardandomi con quegli occhi corallo che sembravano cristalli per l’ipnosi.
Lanciai un occhiata a Ric che sembrava stare peggio: si alzava di qualche centimetro per poi ricadere sul parquet, come se qualcuno lo sottoponesse ad azione-reazione.
“Finché il pugnale dell’oscurità rimarrà nel suo corpo, il cuore pulserà sangue come non ha mai fatto! Potrebbe resistere ancora, ma alla fine collasserà se non lo aiutiamo.”continuò, avvicinandosi e mettendomi una mano sulla spalla, “E né tu, né io possiamo permettere che raggiunga il mondo degli Spiriti…”
Lacrime caddero a terra: mi sentii cadere il mondo sulle spalle, come se tutto dipendesse da me, come se dovessi compiere lo sforzo immane di doverlo reggere tutta da sola e già sapevo che non ce l’avrei fatta senza aiuto, mi dovevo fidare della ragazza.
“Stai dicendo il vero? Posso davvero fidarmi?”chiesi, esasperata.
Lei annuì e mi guardò negli occhi. Per qualche secondo rimanemmo così, a scambiarci quegli sguardi bisognosi d’aiuto, poi mi chiese:
“Sei pronta?”
Asciugai le lacrime con la manica della maglia, dovevo essere forte.
Sembrava che si stesse preparando per un rituale: chiuse gli occhi e iniziò a mormorare qualcosa di incomprensibile. All’improvviso, una runa sul suo avambraccio destro cominciò a brillare di una luce luminosa, come se una stella fosse incastonata nel suo braccio, e aprì gli occhi, mutati in color oro.
Mi fece un po’ paura: era inquietante.
Incoccò una freccia.
“Prendi tuo fratello.”sussurrò, come se fossimo raccolte in preghiera.
Feci come mi aveva detto: misi un braccio di Richard sulla mia spalla e lo alzai da terra.
La testa penzolava da un lato, il ciuffo biondo che portava sempre alzato ora era liscio, a coprire gli occhi chiusi, come stesse dormendo.
La cosa mi faceva ancora più male: non ero stata capace di proteggerlo.
Lacrime.
“Bianca, lo salveremo! Non devi preoccuparti!”mi incoraggiò lei, sorridendomi con quel viso nel quale erano incastonati quegli occhi dorati.
Deglutii e mandai giù un boccone amaro: ci stavamo salvando o avevo firmato un contratto di sola andata per il mondo dei morti con il diavolo?
I suoi occhi scintillarono ancora una volta, con più ardore.
“Presto! Non posso mantenere il passaggio aperto a lungo! Aggrappati a me e non lasciare la presa, per nessuna ragione, chiaro?”chiese lei.
Annuii.
Prese la mira e scoccò.
Nel soffitto, dove si era affissa la freccia, si allargarono crepe: pezzi di calcinacci caddero a terra, si alzò il vento, le pagine dei libri volarono ovunque, i vetri si infransero come se fossero stati colpiti da una gigantesca onda d’urto.
La dove prima c’era la freccia, era comparso un buco enorme, nero che scintillava, però, di milioni di stelle che rilucevano di luce propria formando costellazioni e galassie luminose.
Rimasi così a bocca aperta che, solo all’ultimo momento, acchiappai la cintura della ragazza, prima che una forza prepotente ci attirasse dentro, scaraventandoci chissà dove.
Guardai per l’ultima volta l’ufficio della Mc Leod.
 
ΩΩΩ
 
Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai in un letto morbido, a stringere lenzuola di seta così forte che mi si erano sbiancate le nocche.
Una luce mi investì in pieno e chiusi le palpebre ancora una volta, per poi riaprirle, lentamente, come se avessi paura di tutta quella luce.
All’inizio pensai: “Oddio, sono morta!”, ma poi mi dissi che all’Inferno o al Purgatorio non ci sarebbe stata tutta quella luce e nemmeno un letto su cui dormire, ma comunque non ero nemmeno sicura di essere tra amici.
Mi toccai, contenta di rivedermi tutta intera, ma sembrava che un esercito avesse appena marciato su di me: avevo le braccia e le gambe indolenzite, le dita delle mani formicolavano.
Misi i piedi a terra e mi alzai, nonostante il pizzicore onnipresente e mi accorsi di essere in una stanza enorme, una di quelle principesche, sfarzose.
Lunghe finestre correvano dal mio letto sino alla parete opposta della stanza, illuminando la stanza, mobili di legno pregiato la adornavano, un tavolo circolare, ligneo, occupava il suo centro e poggiava su un tappeto enorme, color cremisi decorato con vivaci tinte di oro.
La stanza era dipinta di una tonalità vicina all’arancio, ma più evanescente, le pareti erano costellate di antiche spade, quadri pregiati, smisurati.
Doveva essere costato un patrimonio arredare quella stanza!
In un angolo, poi, vi era un caminetto acceso, dentro il quale scoppiettava un fuocherello vivace, che mandava riflessi rossi al parabrace di metallo posto li davanti.
La vista di quel fuoco mi fece sentire a disagio, vuota, inutile, così caddi in ginocchio, pensando a quanto era successo.
Si, ero come il fuoco, mi spegnevo alla pioggia.
Mi dissi che non serviva a nulla piangere, ricacciai indietro le lacrime.
Scattai in piedi e mi diressi verso la porta: quel silenzio tombale faceva quasi paura, ma non mi interessava nulla, dovevo sapere come stava mio fratello, anche se avessi dovuto affrontare qualcuno e stenderlo.
Mentre stavo aprendo il portone bianco, mi stavo per scontrare con la ragazza con l’arco che ci aveva salvati/condotti alla morte.
“Ti sei svegliata finalmente!”esclamò lei, sedendosi ad una delle tante poltrone rosse del tavolo in mezzo alla sala.
“Come sta mio fratello?”chiesi, quasi la stessi aggredendo, mettendomi faccia a faccia, poggiando una mano sul tavolo e una sullo schienale della poltrona.
“Bene, i nostri guaritori sono riusciti ad estrarre il pugnale dal corpo, ora sta riposando…”sussurrò lei, rispondendomi.
Mi lasciai cadere anch’io su una poltrona, ringraziando Dio, gli spiriti o qualsiasi altra cosa ci fosse in quel cielo che ora ci guardava benevolo, limpido.
“Si rimetterà, lo abbiamo afferrato per i capelli però…”continuò lei, “Ora non preoccuparti, per il momento ha solo bisogno di riposo! Tu piuttosto, come stai? Ti senti indolenzita dappertutto, vero?” chiese, “La prima volta che provai un viaggio interdimensionale mi sentivo così anch’io, ma poi basta farci l’esperienza!”rise lei.
Accennai ad un timido sorriso, anche se era forzato, meccanico, non mi fidavo ancora di lei, anche se aveva appena salvato mio fratello dalla morte.
Ci fissammo un attimo negli occhi, poi lei fece per alzarsi, ma la invitai a rimanere seduta dov’ era.
Dovette rimanerci male, ma si accomodò di nuovo, senza dire parola, quasi avendo timore di me.
“Mi servono spiegazioni…”dissi, “Chi siamo in realtà noi? E perché tutti vi ostinate a chiamarci Guardiani?”chiesi, guardandola dritta negli occhi.
“Non sono la persona più adatta a rispondere a queste domande.”rispose lei.
“Provaci almeno!”
Sospirò.
“Voi non siete dei semplici umani, abitanti della Terra, voi siete due dei quattro Guardiani degli elementi.
Sedici anni fa, sul nostro pianeta, qui, a Linphea, comparve un’organizzazione che si fa tutt’ora chiamare Congrega della Morte, nome non casuale perché chiunque capiti nelle loro mire è praticamente morto.”disse lei, scostando una ciocca cioccolato e portandola dietro l’orecchio, “Un tempo, qui, regnavano la pace e la giustizia sotto il re Magnus e la regina Aida, ma con l’arrivo del male tutto cambiò: i nostri sovrani furono rapiti e la popolazione in parte schiavizzata per comporre, assieme ai demoni, un esercito di dimensioni impressionanti con il quale hanno conquistato tutti i mondi, tranne il vostro e nessuna sa il perché.”
Fece una pausa e trasse un respiro profondo: era come se ricordare le stesse aprendo le sue ferite più profonde.
“A prendere il posto dei suoi genitori fu Caleb, all’età di appena dieci anni che, assieme ad un tutore, da sedici anni a questa parte lotta contro di loro, come i suoi genitori, contrapponendo al loro esercito, la Resistenza, formata dalle persone che ancora credono negli elementi, ancora credono in voi!”disse raggiante, “ma senza i quattro Guardiani, la Schiera Oscura è troppo potente.
Senza il vostro potere, la Resistenza non può far altro che cercare di indebolire la Congrega fino all’arrivo dei Guardiani.”aggiunse tetra.
Mi guardò negli occhi.
“Tutti e quattro!”concluse lei, giocherellando con una ciocca di capelli, ripassandosela tra le dita affusolate.
Inarcai un sopracciglio.
”E noi saremmo due di loro?”chiesi, scrutando nei suoi occhi.
Lei annuì.
“I Guardiani sono coloro a cui gli elementi hanno deciso di donare il loro potere!”disse lei, poggiandomi la mano sul petto, all’altezza del cuore.
“Qui dentro arde tutta la forza distruttiva del fuoco, tutto il suo ardore, la sua determinazione! Tu sei l’unica in grado di plasmare questo elemento, usarlo per fare del bene…”disse lei, lasciando la frase a metà, puntando i suoi occhi nei miei, “O del male.”concluse .
Ci scambiammo gli sguardi per alcuni, lunghissimi secondi, poi si alzò, quasi a disagio.
“Devo andare, altre questioni richiedono la mia presenza.”esclamò lei, “Ci rivedremo, ne sono sicura Bianca!”
Iniziò a scintillare.
Mi alzai di scatto, l’afferrai per un braccio e le dissi:
“Non mi hai ancora detto il tuo nome!”
Lei sorrise, oltre il velo che si stava creando tra di noi.
“Io sono Sybilla, custode delle porte e dei passaggi.” rispose.
I nostri occhi si incontrarono, ancora.
“Grazie…”
Sorrise benevolmente e scomparve, scintillando in una nube cristallina.
 
 
Guardiani, Linphea, Congrega della Morte? Faticavo ancora a crederci, ma dopo tutto quello che era successo dovevo farlo per forza. Sapevo, in fondo a me, che era tutto vero perché, anche se non l’avevo detto nemmeno a Ric, io in parte sapevo di essere legata al Fuoco.
Mi diressi verso il portone bianco, intarsiato in oro ed argento e l’aprii: cigolò un po’, ma poi sgattaiolai nel lungo corridoio, abbellito da una serie di armature in ferro, ognuna diversa dall’altra, che si trovavano ai lati delle porte.
“Quale sarà la stanza di Ric?”pensai e, la mia parte negativa, mi diede anche la risposta: “Ma potrebbe anche non essere qui!”
La maledissi silenziosamente per le sue risposte idiote.
Mentre mi guardavo intorno, sorvolando con lo sguardo tutte le porte identiche alle mie del corridoio, una si aprì e ne uscì un ragazzo alto e con una muscolatura leggermente accennata con il quale mi stavo scontrando.
Indietreggiai, sorpresa.
Occhi celesti come il cielo più puro brillavano sul suo viso, capelli neri, spettinati, con ciocche che tendevano in alto, erano la sua chioma, ribelle.
Una barba scura contornava il suo mento, una preziosa corona aurea poggiata sulla sua testa, lasciando che un ciuffo di capelli coprisse parzialmente un occhio.
Abiti di seta lo vestivano, un lungo mantello arrivava fin ai piedi che calzavano un paio di stivali scamosciati.
Assicurata alla vita, una spada nel fodero perfettamente lavorato che lasciava trasparire l’importanza della sua persona.
“Ehm, scusate!”esclamai, a disagio.
Lui rise di cuore e io inarcai un sopracciglio, scettica.
“Suppongo che io mi debba presentare!”esclamò lui, “Io sono Caleb, figlio di Magnus e Aida, qual è il tuo nome?”mi chiese, scostando la ciocca nera dall’occhio, lasciando che mi squadrassero.
Era davvero lui il re?
“Io sono Bianc…”
Non feci in tempo a finire la frase, che lui mi interruppe:
“Bianca? La Guardiana del Fuoco?”chiese lui, cercando conferma, quasi eccitato per l’affermazione.
Inarcai un sopracciglio.
“Ehm, credo di si…”risposi, “Voi siete il re se ho ben capito.”
“Esattamente.”
Sarò sembrata indelicata, ma gli domandai:
”Sto cercando mio fratello Richard, in quale stanza si trova?”
Lui sorrise.
“Seguimi.”

*Angolino dell'autore ritardatario*
Chiedo venia a tutti voi! ^^'' Mi scuso, ma per vari problemi e conseguente blocco dello scrittore, non sapevo più cosa scrivere, non sono potuto più entrare su Efp e mi sento terribilmente in colpa!
Vi chiedo scusa.
Allora? Molti di voi avevano votato maggioranza di C, beh...vi ho spiazzati con la lettera B! Non mi piaceva l'idea di complicazioni già all'inizio del racconto! xD
Come vi sembra Sybilla? E il re? v.v Sentite già spuntare un nuovo amore all'orizzonte? u.u Ditemi tutto cari recensori! ^^
E vi chiedo di scusarmi ancora, passiamo ai ringraziamenti! :) Alla prossima! (presto stavolta! A breve recensirò tutte le storie che recensivo, lasciatemi solo un pò di tempo per rimettermi in careggiata! xD)

Per le preferite: Bianca_bibi, EmiDom, Water_wolf

Per le ricordate:

Per le seguite:
Bianca_bibi, ladyathena, ladyselena15, LailaOsquin, LoveForHachi, Siel. _Charie_, _GocciaDiSangue_

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. Coraggio, determinazione e una buona dose di faccia tosta ***



Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare.

  

7. Coraggio, determinazione e una buona dose di faccia tosta 


*Bianca*
Lo seguii tra padiglioni riccamente arredati, corridoio pieni di statue sapientemente scolpite, passando sotto archi a volute a botte, arrivando in un’ala del castello dipinta di una lieve tonalità di blu, ricca di ghirigori.
Dello stesso colore erano le porte, i tappeti e le armature che scintillavano come fossero fatte di acqua solidificata, ghiaccio, per intenderci.
Rimasi a bocca aperta quando, oltrepassato un corridoio, sbucammo in una sala dalla pianta circolare, con al centro una fontana a forma di leone che sputava acqua iridescente.
“Questo è il padiglione dei guaritori.” spiegò lui, quasi sussurrando per non rompere il silenzio che dava alla sala un’atmosfera di pace, serenità eterna.
Per tutto il tragitto non avevo parlato, troppo a disagio.
Non sapevo nulla di lui, se fosse uno con cui potevi scherzare o uno che se la prendeva per niente, quindi preferii tacitarmi.
“La porta di tuo fratello è quella lì!” disse lui, indicandomela con un dito.
Mormorai un grazie e mi mossi verso la stanza di Ric.
“Ti aspetto nella camera del trono, ti ricordi dov è?” chiese lui, accennando ad un sorriso.
Alzai la mano per fargli capire che avevo afferrato, poi aprii la porta e entrai.
 
 
La luce filtrava dalle finestre, il pavimento assorbiva le mie orme lasciando che si spandessero come fossero gocce d’acqua cadute in uno specchio dello stesso elemento, allargandosi in perfetti centri concentrici.
Richard era disteso su un letto dalle candide lenzuola e stava dormendo, mentre una donna lo vegliava seduta su di una poltrona di stoffa verde acqua.
I suoi capelli neri erano portati legati stretti in una crocchia e indossava un vestito bianco immacolato, con qualche ricamo prezioso.
“Ragazza.” sussurrò lei, “Il Guardiano della Terra ha bisogno di riposo.”
”Il qui presente Guardiano della Terra è mio fratello e gradirei solo parlagli, chiaro?” risposi io, sarcasticamente, “Non sto chiedendo mica la luna.” mormorai abbastanza forte affinché mi sentisse.
Si alzò dalla poltrona sulla quale stava seduta, a disagio, mentre i suoi capelli corvini sbiancarono, colorandosi di una sfumatura argentea, mentre il suo viso si abbassava, in segno di sottomissione.
Mi sentii vagamente in colpa.
“Mi scusi Guardiana del Fuoco!” supplicò lei, mentre usciva dalla stanza.
“Aspetti!” dissi.
La mia voce risuonò nel silenzio della stanza, facendomi sentire piccola.
“Ha davvero bisogno solo di riposo?” chiesi, cercando un’altra conferma.
“Si, gli permetterà di riacquistare le forze.” rispose lei, aprendo la porta, poi mi guardò come a dire “Posso andare?”
Annuii.
Mi sedetti accanto a mio fratello e gli presi una mano, stringendola nella mia.
“Ehi Ric! So che mi puoi sentire! Sono io, Bianca…”
Le parole mi morirono in bocca.
“Scusa se non sono riuscita a proteggerti, se solo avessi pestato meglio!” esclamai, sbuffando, poi sussurrai, per paura che qualcuno ci stesse spiando, “Devo dirti dell’altro.”
Trassi un respiro profondo.
“Non prendermi per pazza, ma io l’avevo già visto quell’uomo prima del nostro incontro nell’ufficio della Mc Leod! Era da qualche giorno in attesa di qualcosa, al di fuori dell’orfanatrofio. Mi sentivo osservata, sempre.”
Arrivai alla conclusione: “Ci stava spiando!”
Lui fece una smorfia, come se stesse sognando qualcosa di spiacevole, o lo fece per quello che gli stavo dicendo.
“Lo so, avrei dovuto dirtelo.” mormorai, “Come avrei dovuto dirti che sapevo già qualcosa riguardo ai poteri: non so come, ma una volta riuscii a tenere una fiammella accesa in mano senza che mi scottassi. Da quel giorno, in un certo senso, mi allenai.” risi, “Riuscivo a incendiare le cose con lo sguardo e credimi, avrei fatto bruciare anche Morgan e la Mc Leod se poi non mi avessero preso per una piromane!” confessai, esasperata, “Mi dispiace.” ammisi poi, dura.
Percorsi con gli occhi i contorni del suo viso.
“Ti lascio riposare Ric!” e uscii dalla stanza, ignorando le occhiate, sommesse, che mi stavo beccando da parte di alcune donne dagli stessi capelli neri della guaritrice in camera di mio fratello.
Non volevo essere cattiva.
No, pestavo solo chi lo meritava, così scorsi la donna che stava vegliando su mio fratello e le sorrisi.
I suoi capelli mutarono in nero.
ΩΩΩ
 
Imboccai più volte corridoi sbagliati, visto che mi sembravano tutti dannatamente uguali, passando per stanze diverse, per poi arrivare ad un portone enorme, di pregiato legno verde, dai nodi tortuosi che componevano il disegno di un albero enorme, grande quanto la porta stesso, carico di foglie e frutti maturi, che facevano pesare i rami dell’ enorme gigante della terra.
Due guardie, ai lati della porta, mi squadrarono da capo a piedi: sentivo i loro occhi che ricalcavano i miei lineamenti e mi portai le mani al petto quando mi accorsi che uno dei due stava analizzando la grandezza del mio seno.
Gli scoccai un’occhiataccia di odio puro.
Guardiana del Fuoco, riconosciuta, accesso consentito!” dissero assieme, meccanicamente, quasi programmati per farlo.
Il portone si aprì, rivelando un lunghissimo tavolo di mogano, levigato leggermente a sbalzo sulle gambe, perfettamente liscio sulla superficie d’appoggio dove campeggiava un enorme drappo rosso, con un leone rampante dorato nel mezzo.
Lo guardai meglio e mi accorsi che sputava fiamme dalle fauci.
Al tavolo erano seduti numerose persone, alcune barbute, altre calve, altre avevano sguardi giovani che mi scrutavano, alcuni sembravano evanescenti.
“La Resistenza è riunita! Che il consiglio cominci!” annunciò il re.
 
Mi sentivo a disagio, come se avessi fatto qualcosa di male, e presi a giocare con una ciocca di capelli biondi quando mi fu offerto il posto alla destra del re, a capo della grande tavolata di guerra.
I miei occhi saettavano davanti e indietro, sorvolando gente così strana che ero sicura non avere nemmeno sognato: alcuni erano fantasmi, altri corpi mutilati, altri, semplicemente, mostri al servizio del re stesso, fedeli alla luce.
Non seguivo il filo del discorso, ne avevo perso interesse quando si era alzato un vecchio che aveva elencato tutti i nomi di persone che non so se fossero prigionieri, deceduti o scomparsi.
Caleb, il giovane re, cercava di farmi riprendere da quello stato, quasi d’ipnosi, di menefreghismo totale di fronte a quello che stavano dicendo, supplicandomi con lo sguardo, fermo, ma rassicurante, di fare attenzione al discorso.
Non so perché, ma qualcosa mi disse di ascoltare l’ultima occhiata che mi rivolse. Era piuttosto nervosa e non indicava solo me, ma faceva cenno verso un’altra direzione.
Infatti mi accorsi, troppo tardi, che una donna, dai folti capelli castani e occhi ghiaccio, mi stava analizzando con lo sguardo, rimarcando i lineamenti del mio volto, cercando di mettere a nudo il mio lato peggiore, pettegolando con un’altra dama alla sua destra.
Le guardai di traverso.
“Mio signore, posso concludere dicendo che la guerra è ormai imminente.” annunciò un uomo bruno, dalla chioma ribelle tanto quanto quella del re, con diverse cicatrici sul volto, una profonda sullo zigomo sinistro, con una benda sull’occhio destro, vestito di pelle.
Srotolò un cilindro di pergamena e lo aprì sul tavolo: il drappo mutò, assumendo la geografia dei territori, sicuramente di Linphea, indicando fiumi, laghi e catene montuose, proprio come credo fosse la mappa appena aperta dall’uomo.
Egli indicò un punto sulla carta.
“I territori di Dendera, Hera, Maya e Fyri sono caduti sotto il controllo della Congrega, numerosi ettari di boschi incendiati, fiumi prosciugati.” espose lui e ovunque toccasse, la carta si contraeva, bruciandosi in quattro punti e facendo diventare nero una grande area che prima era verde, cancellando i corsi d’acqua che erano stati seccati.
“Propongo l’attacco, sire. Sappiamo che la Congrega si nasconde da qualche parte della Mezzaluna Rocciosa, dico di andare lì e stanarli!”
Non potei fare a meno di osservare il coraggio di quell’uomo, consumato dal desiderio di libertà che era ben visibile sul suo corpo.
Caleb sorrise, di un sorriso incerto.
“Alaric, sei uno tra i miei migliori luogotenenti. Lodo il tuo coraggio, la tua voglia di libertà, ma sai benissimo che è impossibile fare ciò che dici.” disse lui, in risposta.
La donna che prima mi squadrava ridacchiò.
“Ma mio si…” provò a controbattere lui, sgomento, come se gli fosse stato sfilato il mondo da sotto i piedi.
Voleva che quella fosse la volta buona che il re l’ascoltasse.
“Ë impossibile battere la Congrega della Morte da soli.” disse Caleb, togliendosi la corona dalla testa, “Anche se mandassi i miei migliori guerrieri questi sarebbero miseramente sconfitti, impregnando la terra ancora di sangue, di sangue innocente. Non si può battere la magia con la spada, l’unico modo…”
Guardò speranzoso verso di me, abbozzando un sorriso timido.
”L’unico modo è combattere la magia con la magia stessa.” concluse, grattando il pelo dell’animale che gli stava vicino.
“Un leone.” pensai subito, distraendomi dalla conversazione. Mi sentii tutti gli occhi puntati addosso, al centro dell’attenzione e io odiavo esserlo.
Per un momento la sala fu dominata dal silenzio, statico, ogni rumore, suono era scomparso, si sentiva solo il grattare delle dita del re sul manto caramello del suo leone, piuttosto annoiato.
“Ehm…” provai a dire, in imbarazzo, abbassando gli occhi.
Una risata ruppe il silenzio.
“E questa dovrebbe essere una dei quattro leggendari Guardiani?” chiese, scatenando l’ilarità di altri signorotti e dame che si stavano sventolando con i loro ventagli antiquati.
“Io non credo proprio!” affermò con parole cariche di veleno, “Ridicolo.” sussurrò, ma la riuscii a sentire benissimo.
Sentii una rabbia nascermi dentro, salire per la gola: bramava uscire fuori dal mio corpo come un tuono brama scuotere la terra con la sua potenza.
“Come vi permettete?” minacciai io, battendo il pugno sul tavolo, producendo più rumore del dovuto.
Caleb mi mise una mano sulla spalla, come a fermarmi, ma io mi alzai, in tutta la mia statura di adolescente, facendo rovinare la poltrona a terra.
Ero incazzata nera.
Si alzò anche lei, cercando di farmi paura, ma io non avevo fifa di signore grasse e soprattutto pettegole, avevo affrontato di peggio nella vita.
“Porta rispetto alla Dama Arborea, giovane Guardiana.” sibilò, come un serpente, “Non tollero la mancanza di rispetto nei miei confronti!” minacciò lei.
I suoi occhi si fecero stretti come quelli delle serpi, mantenendo però, il loro colorito ghiacciato, la sua acconciatura elaborata si sciolse in ciocche fluttuanti, come se non fossero sottoposte alla forza di gravità.
Probabilmente la mia chioma si accese perché coloro che mi stavano di fianco si alzarono, spaventati.
Si alzò un vento gelido, non so da dove venisse, ma tagliava la pelle come mille lame ghiacciate che si infrangevano su di essa.
I miei occhi rossi si scontrarono con i suoi ghiaccio. Fuoco contro ghiaccio, leone contro lepre, vita contro morte.
“Sei pronta a bruciarti?” chiesi, sarcastica, gustandomi quel momento di potere.
Lei mi scoccò un’occhiata di puro odio.
“Accomodati ragazzina!” rispose, stringendo il suo ridicolo ventaglio in mano. Sussurrò qualcosa e questo iniziò a mutare: le piume che lo componevano si fusero sino a formare una lunga liana, verde pitone.
Mi sentii una strana sensazione addosso, come se la mia pelle volesse tirarsi via, come se volesse abbandonarmi.
Vuole battermi con quella?” mi chiesi, cercando di non pensare al pizzicore che sentivo dappertutto.
Arrivò persino un gruppo di soldati, armati sino ai denti.
Il re mi poggiò una mano sulla spalla, non curante della chioma ardente che avevo sulla testa e mi disse, calmo:
”Bianca, è inutile combattere tra noi, lascia perdere Ilidien, sa solo mettere zizzania tra i membri della Resistenza, ti prego! La tua forza servirà per la Congrega!”
Lo spinsi poco prima che la frusta lo colpisse in pieno volto.
Mi voltai verso di lei, scossa dal pericolo appena superato, battagliera.
Le guardie formarono un circolo intorno a lei, puntandole contro le loro alabarde affilate, scintillanti alla luce del lampadario d’oro della sala.
Perfino il leone, annoiato, si alzò, vedendo il suo padrone a terra, prendendo a ringhiare contro la dama.
“È meglio se ce la battiamo solo io e te, da sole.” sussurrò sadica, muovendo leggermente la mano da arpia.
Nell’aria si sparse un dolce odore, di fiori di campo, e le guardie si addormentarono, rannicchiandosi in posizione fetale, ciucciandosi il dito come bambini.
Sorrise, malignamente.
Mi guardai intorno: tutti si erano addormentati, tranne me e lei, naturalmente.
“Sei una strega!” le urlai contro, lanciandole una sfera di fuoco che si infranse senza problemi sulla sua pelle, ora squamosa, verde come la frusta che brandiva in mano.
“Sei vuoi battermi devi fare di meglio, Guardiana!“sussurrò lei, ridacchiando, trovandolo divertente, cosa della quale l’avrei fatta pentire, amaramente.
“Tu lavori per la Congrega, vero, bastarda?” chiesi io, accusandola, puntandole contro un dito.
Si muoveva veloce, per essere così grossa. Mi ritrovai il dito avvolto nella sua frusta. Tirò verso se stessa, con tutta la forza che aveva in corpo.
Le mie scarpe scivolarono per qualche centimetro, producendo uno stridio di gomma bruciata. Guardai l’arma e quella prese fuoco.
Appena lasciò la presa cominciai lanciarle contro sfere di fuoco, zigzagando tra i corpi addormentati, mettendoci dentro tutta la rabbia che possedevo.
Ma mentre davo vita alle sfere queste perdevano la loro luminosità, il fuoco passava dal rosso cremisi ad un giallino pallido.
“Maledetta!” continuavo a ripetermi, vedendo che rideva e che i miei attacchi non arrivavano nemmeno a sfiorarla.
Mi abbassai appena in tempo, poco prima che la frusta mi colpisse in pieno viso, centrandomi e abbattendomi. Mi sfiorò solamente ad una mano che avevo portato in avanti per proteggermi dai suoi colpi veloci.
Rise, di gusto.
Mi rimisi in piedi, ma presto mi accorsi che mi facevano male le gambe, mi pizzicavano: sembrava che la pelle volesse cadere e con esse tutti i muscoli.
La vista mi si stava annebbiando.
Annaspai incosciente per qualche metro, gattonando per terra, colpendo, credo, delle teste, poi mi fermai, cercando di ascoltare.
Nessun rumore, non stava nemmeno respirando.
“Io sono la Dama Arborea, padrona di boschi e d’animali. E quello che ti ho appena iniettato è veleno, non è vero piccino?”
La frusta si contorse in aria sino a portarsi al suo viso. Se la vista non mi ingannava, e ce la stava mettendo tutta per farlo, alla punta dell’arma c’era la testa di un serpente che sibilava contento.
Macchie di colore mi danzavano davanti agli occhi. Non riuscivo nemmeno a capire da dove provenisse la sua voce visto che anche l’udito stava venendo meno.
“Morirai presto. Il tempo che il veleno giunga al cuore.” mi disse.
Credici.
Lacrime.
Gli occhi urlavano di dolore, le mani di forza.
Mi sentii invasa da un brivido freddo, da paura. Rividi il volto di Ric dormiente. Non potevo arrendermi, non adesso.
No.
“No. Tu non puoi farmi questo.” sussurrai, sfinita, sfiancata per lo sforzo di mettere insieme qualche parole.
Cacciai un urlo.
“Sono la Guardiana del…Fuoco!”
La mia vita mi ripassò davanti come un film che andava veloce. Sentii l’aria che si spezzava e mi vorticava intorno, sentii che il ronfare veniva rimpiazzato da urla e parole.
Mi sentii finalmente piena, potente.
Il veleno che stava scorrendo nelle mie vene ribollì e si disperse, vaporizzandosi ed spargendosi via, nell’aria, dalla mia pelle, rossa.
Ritornai alla vita e mi sentii viva.

*Angolino dell'Autore*
Ed eccomi col sesto capitolo! ^^ Che ve ne pare? v.v
Bianca è diventata a tutti gli effetti una Guardiana e ha dovuto combattere contro Ilidien, che non morirà, ve lo assicuro! u.u
Spero vi sia piaciuto e...non so più cosa scrivere! Il capitolo otto è già in preparazione! ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. Ignis, fuoco dell'Inferno ***




Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare...

  

8. Ignis, fuoco dell’Inferno 

*Bianca*

I need a hero
Who's gonna fight for what's right
Who's gonna help us survive
Hero - Skillet
 
Guardai la dama che mi stava davanti, il suo viso contorto in una smorfia di stupore.
“Non è possibile.” sussurrò impercettibilmente.
Urlai, con tutto il fiato che avevo in gola, numerosi dei presenti si tapparono le orecchie, in preda a dolori inimmaginabili.
“Avresti fatto meglio a scegliere un altro, come nemico, Ilidien, non me però.” sussurrai, maliziosamente, sicura di ciò che stavo per fare.
Il silenzio, poi un boato scosse la terra: le finestre si infransero, riducendosi in mille pezzi. Sentivo il rombare del fuoco, dentro di me, una forza cieca, distruttiva.
Chiusi gli occhi e respirai profondamente.
“Io sono Bianca Kings, e questo...” mi bloccai per assaporare la sua amarezza, “È il mio potere!” esclamai, aprendo la mano davanti a me.
Una scintilla, rossa come il sangue, mi ardeva sul palmo della mano. Ci soffiai sopra: l'alito di vita per una scintilla fatale.
La fiamma, unita al mio respiro, si plasmò in un essere enorme: un leone dalla criniera di fuoco e dalle zanne di carboni ardenti. Sentivo la sua volontà assoggettata alla mia, i suoi muscoli al comando delle mie mani.
Mi sentii incredibilmente potente, mi sentii bagnata della paura della mia avversaria, mi sentii forte come non mai. Il leone ruggì, violento.
"Avresti fatto meglio a no sfidare il fuoco." sussurrai, "Il fuoco sente la tua paura e la sfrutta a suo vantaggio. Com è quel proverbio?"
Mi portai un dito al mento, in atto pensoso, sarcasticamente.
"A giocare con il fuoco ci si brucia sempre, ed è quello che farai tu adesso!" esclamai.
La sua faccia era contorta in una smorfia di paura, ma notavo ancora qualche sottile ruga di determinazione sul suo viso.
“Un giorno ci rivedremo, Guardiana, e allora mi riprenderò la mia rivincita!” urlò, alzando le mani al cielo come se si stesse rivolgendo ad un qualche dio
Sorrisi, beffarda.
"Stanne certa.” sussurrò e si gettò nel vuoto, lasciandosi cadere, da una finestra infranta.
Solo adesso mi accoregevo di quanto fossi stremata per lo sforzo di tenere il leone in vita. Bastò un solo sguardo per renderlo cenere trasportata da una leggera brezza.
Sentii un leggero pizzicore all’avambraccio destro, ma pensai che fosse ancora l’effetto del veleno che mi aveva infettato prima.
I curiosi si sporsero dalla finestra, distrutta, sperando che vedessero che fine avesse fatto la Dama Arborea, ma si potevano distinguere solo nuvole soffici, bucate qua e là come se stessero lasciando andare i propri sogni nel regno degli umani, macchie verdi dipingevano il territorio circostante il palazzo.
Gocce di sudore scorrevano lungo il mio viso, intingendolo di stanchezza. Mi sentivo ancora in fiamme, ma tutti mi stavano dando pacche sulle spalle e quindi, credetti, che mi fossi spenta.
Nella sala scoppiò un applauso, persino i soldati lasciarono le loro alabarde per contribuire alla baldoria generale che si era creata.
Non so come, ma arrivarono anche alcuni ometti dai baffi tinti di nero, con grossi capelli sulla testa e le mani,
sporche di terra, stringevano bottiglie di vino e alcol.
Mi sentii ancora una volta il centro dell’attenzione di tutti, per questo abbassai lo sguardo, provando all’improvviso un grande interesse per le mie converse nere, macchiate di polvere. Mi offrirono da bere un calice che venne riempito più volte.
Guardando la felicità nei loro occhi sentivo che dovevamo aiutarli, sentivo che eravamo una grande famiglia, adesso. La timidezza stava svanendo.
Cercai di uscire dalla folla, felice per aver sconfitto quella serpe in seno che avevano alleato nel loro grembo per troppo tempo, ma uomini e persino dame mi tagliavano la strada con i loro corpi.
Fortunatamente, il giovane re mi prese da parte.
Uscimmo dalla sala del trono, che si chiuse alle nostre spalle, scortati dal suo leone.
 
 
“Sei stata straordinaria, prima.” mi disse, quando ci fummo seduti su una panchina nel giardino del castello, immersa nel verde. Nell’aria regnava un dolce profumo ammaliatore, fiori spuntavano ovunque, così come statue, animali o siepi modellate a formare ritratti verdi.
Probabilmente arrossii.
“Non ho fatto nulla.” cercai di sminuirmi, sperando di non incontrare il suo sguardo, “Davvero.”
Lui scoppiò in una risata, leggermente da ubriaco. La corona gli pendeva diagonalmente sul capo, i capelli, leggermente sudati sulle punte, arrivavano a coprire gli occhi azzurri.
“Non ti sei accorta dell’aura di potere della quale ti sei circondata?” mi chiese, “Hai creato un leone di fuoco, dal
nulla, hai sconfitto un’infiltrata della Congrega, hai…”
Gli mancarono le parole di bocca.
“Hai creduto.” mi disse infine, sorreggendo la sua coppa d’oro tra le mani, vuota.
Senti un che di nostalgico nella sua voce, adesso più profonda, quasi più tetra.
“La Congrega ha rapito i tuoi genitori, giusto?”chiesi, avvertendo la tristezza che lo dominava, per effetto del vino o perché i ricordi lo attanagliavano.
Adesso accarezzava il leone che ci aveva seguiti, il leone da compagnia che sembrava fare le fusa come un qualsiasi gatto, solo che per essere un gatto, era un po’ più cresciuto.
Il suo manto era color caramello, una criniera leggermente più scura, tendente all’arancio, incorniciava il suo volto felino dandogli un’ aria regale. Occhi castani, caldi come la terra, campeggiavano sul suo volto, denti aguzzi erano chiusi nella bocca e li scopriva quando provava massimo piacere, mentre zampe con unghie affilate reggevano il suo corpo.
“Si.” mi disse, alzandosi in piedi, dandomi le spalle.
Forse non voleva che lo vedessi piangere.
“Quando avevo poco meno che dieci anni.” mi confessò, togliendosi la corona e percorrendo i suoi tratti con gli occhi.
“Mi…dispiace.” risposi, accorgendomi che non ero brava per certe situazioni, nelle quali mi mettevo io stessa, per giunta, “Immagino pesi molto, da allora.” aggiunsi, indicando la corona aurea.
Si voltò e mi sorrise e io di rimando, come ad incoraggiarlo: non sapevo quasi nulla di lui, ma qualcosa mi diceva che aveva bisogno d’aiuto, del nostro aiuto. Mi sembrava uno di quegli animali abbandonati dalle proprie madri, in cerca di aiuto per sopravvivere.
“Già.” sussurrò appena, tornando a sedere.
Spostai lo sguardo.
“Lui è Hercules, il mio leone da compagnia.” mi disse, cambiando argomento: era un tasto dolente per lui.
Rimasi stupita: chi potrebbe avere un leone per amico? Di sicuro qualche “Difesa contro gli animali” l’avrebbe denunciato per possesso illecito di animali, ma se un re non può permettersi quello che vuole...
Sorrisi, al pensiero che mi aveva attraversato la mente.
“Sul nostro mondo, nella mitologia di un popolo, i Greci, Hercules era il nome di un forte semidio figlio di Zeus, padre degli dei e signore dei cieli, e Alcmena, una mortale. Compì le dodici fatiche per essersi macchiato del sangue dei suoi figli e dei suoi nipoti.” gli spiegai, non sapendo se mi avesse davvero capita o meno.
Lui sorrise, beffardo.
“Non è un caso.” mi disse, guardando la coppa che aveva in mano, “Prima che i miei genitori venissero rapiti, quando la Congrega ancora non esisteva, era usanza, per i figli dei reali, fare un giro per i sette mondi che compongono il nostro universo.
Rimasi così colpito dalla civiltà che hai citato che, quando mio padre mi regalò questo “cucciolo””
Guardò verso Hercules che produsse un rantolio di piacere, come se stesse capendo il nostro discorso.
"Lo chiamai così, in onore dell’eroe greco.”
Ci pensò su.
“Anche lui sta faticando." mi disse. Inarcai un sopracciglio, non seguendo il suo discorso. La sua bocca si allargò in un sorriso, "Accompagna me nelle mie, di fatiche!”
Ridemmo e ne fui felice perché era come lasciare andare le mie preoccupazioni, come se scivolassero via per far posto alle risate.
Mi avvicinai al leone e chiesi con lo sguardo a Caleb se potessi toccarlo. Lui mimò: “Non morde” e aggiunse, quando gli fui fatalmente vicina con la mano, “A meno che non glielo dica io!”
Gli diedi un pugno sulla spalla. Sentii salire un misto di vergogna e di felicità su per la gola.
“Scusa.” boccheggiai, ma lui scrollò le spalle, indifferente.
Affondai la mia mano nel pelo folto del leone e lo accarezzai sulla testa.
“È proprio un bel cucciolotto!”
“Gli stai già simpatica! Io ci ho messo un sacco di tempo per guadagnare la sua fiducia!” mi disse, guardandomi con i suoi occhi azzurri, perfetti, come se avesse il cielo incastonato al loro interno.
Ricambiai lo sguardo.
“Ho capito che devo aiutarvi.” gli spiegai, “Ma non so come. Io e mio fratello…”
Fece schioccare la lingua in segno di disapprovazione. Ci misi un po’ a decifrare cosa volesse dire.
“Vuoi dire che…” boccheggiai. Lui annuì, contento che fossi arrivata alla soluzione.
“Si.” mi spiegò, “Quando hai combattuto contro Ilidien hai detto di essere la Guardiana del Fuoco e questo ha fatto di te una vera dominatrice del tuo elemento. Funziona così. Prima, seppur potente, il tuo fuoco ti sembrava spento, vero?” mi chiese.
Ci pensai su e mi accorsi che aveva ragione, era successo anche poco prima.
“Come lo sai?”
Fece spallucce.
“Adesso, essendo una Guardiana completa, sei la sua vera padrona e per questo il tuo elemento ti deve obbedienza totale, quindi qualunque cosa vorrai fare, beh…la potrai fare!” mi rispose, sorridendo.
Mi portai una mano alla bocca e posai lo sguardo all’avambraccio, collegando i punti.
Come marcato a fuoco, c’era una fiamma nera, che sembrava danzare al movimento del vento, o forse era solo una mia allucinazione, e, sotto, c'era la scritta Ignis.*
“Stupita?” mi chiese, trapassandomi con i suoi occhi cielo. Io annuii, come una stupida.
“Con quel marchio nessuno potrà dubitare della tua parola.” aggiunse, "Ma ricorda: da un grande potere, ne deriva una grande responsabilità!"
Annuii.
“E mio fratello?” chiesi, perplessa, “Funziona allo stesso modo?”
Mi si avvicinò e, quando fummo faccia a faccia, mi disse: “Credo di si."
Qualcosa stava pungendo la mia memoria, dicendomi che mi dovevo ricordare qualcos'altro, dicendomi di dovergli chiedergli qualcosa di importante.
Battei il dorso della mano sulla fronte.
“E come scoveremo gli altri due Guardiani?” gli chiesi. La domanda mi era balzata in mente come un fulmine a ciel sereno.
Sorrise, malizioso.
“Seguimi.”
 
*Richard*
A hero's not afraid to give his life
A hero's gonna save me just in time
Hero - Skillet
 
Un raggio di luce colpì le mie palpebre, ancora socchiuse.
Avevo sicuramente dormito e quello era stato solo un brutto sogno: nessuna Mc Leod, nessun Morgan, nessuna rissa e nemmeno l’ombra dell’uomo a metà, per una parte di un bianco immacolato, per una nero come la notte.
Mi sentivo un leggero cerchio alla testa: potevo vedere ancora i suoi occhi nella mia mente, che penetravano come coltelli nella carne, ma ormai mi rincuoravo dicendomi che era stato solo un incubo, finito.
Mi ero svegliato.
Sbattei le ciglia più volte per abituarmi alla luminosità della stanza nella quale mi trovavo, anche se non sembravo nemmeno lontanamente la mia camera dell’orfanatrofio.
Le pareti, cangianti, assumevano ogni volta una sfumatura diversa del blu: ora celeste, ora azzurro.
Non c’era nemmeno l’ombra dei miei poster ad adornare le pareti, ma, sbaglio o la vernice disegnava strane raffigurazioni su di esse?
Mi sembrava di vedere volti e corpi di donne evanescenti, eteree, che mi sorridevano, sparivano.
L’unico buco nella parete era una apertura ovoidale dalla quale filtrava la luce del sole, luminosa.
Candide lenzuola mi coprivano.
Accanto al mio letto una donna dall’aspetto severo, con i capelli nero corvino raccolti in una crocchia stretta sulla nuca, con qualche filo d’argento, i suoi occhi non avevano un colore fisso, a volte sembravano neri, a volte azzurri. Vestita con un lungo abito bianco etereo, con qualche piccolo ricamo di rune, o almeno, credevo fossero rune, mi guardava con i suoi occhi, stretta nel suo vestito. Sembrava una dama di ghiaccio.
“Dove sono?” chiesi, ormai accortomi di non essere nella mia camera, accortomi che tutto quello che avevo, avevamo, mia sorella ed io, passato era terribilmente vero.
“Ti trovi nel palazzo reale di Salismatra, ala nord dell’edificio, reparto guaritori e taumaturghi.” mi rispose lei, schioccando le dita.
La porta si aprì e mi accorsi che, verso di me, galleggiava un vassoio fluttuante. La guardai, scettico, e lei mi sorrise, incoraggiandomi, ma restando sempre distaccata da me, come da un velo.
“Quello che è successo è vero?” chiesi, squadrando il contenuto del vassoio che mi si era posato sulla gambe.
Lei annuì.
“Sei rimasto privo di conoscenza per due giorni. Abbiamo fatto appena in tempo a toglierti il pugnale dal tuo corpo, prima che tu diventassi un membro effettivo della Congrega. È così che reclutano gli uomini mortali, prima li torturano, poi li pugnalano e aspettano che l’arma prenda il controllo sulla volontà della sua vittima.” mi spiegò, indicando il mio ventre.
Ero a petto nudo. Poco al di sotto dell’altezza dello stomaco, c’era una fasciatura di garze bianche: l’avevo vista davvero brutta.
“Grazie. Sei stata qui a vegliarmi tutto questo tempo?” chiesi, notando che aveva gli occhi pesanti, neri.
“Si.” mi rispose, mestamente.
Le sorrisi, poi continuai dicendo: “Dal modo nel quale lo dici sembra che tu abbia già visto questo tipo di cose…”
La sua faccia si fece buia e mi pentii subito per quello che avevo detto, avevo toccato un tasto dolente della sua vita.
“Mio figlio.” sussurrò, quasi impercettibilmente, “Si chiamava Odoar e faceva parte della Resistenza. Era davvero orgoglioso per ciò che faceva: combattere per la libertà, per liberarci dall’oppressione della schiavitù, ma...”
Sul suo volto, la fronte si corrugò in diverse rughe che tradivano il suo stato di donna eterea, imperitura, immortale.
“Ma lo catturarono e io so solo che catturarono e lo torturarono. Da allora divenne parte dell’esercito della Congrega, suo malgrado e non lo vidi più, andato via per sempre.”
Una lacrima scorse lungo il viso della donna.
“Mi…mi dispiace.” dissi, abbassando lo sguardo sul vassoio che non mi sembrava affatto appetitoso, quanto avrei voluto un cornetto caldo al posto di un brodino dalla natura incerta.
Mi esortò a mangiare, ma io feci una smorfia.
“Magari dopo.” spiegai con gli occhi, “Mia sorella?” domandai, mentre il vassoio usciva dalla stanza.
Si alzò, stringendo le braccia al petto e potei vederla in tutta la sua statura: probabilmente mi superava in altezza.
“È passata poco fa a trovarti, anche lei ha dormito per due giorni di fila, aveva esaurito completamente le energie durante il vostro scontro con uno degli scagnozzi della Congrega.” spiegò, facendo finta di riordinare diversi alambicchi e fialette appoggiate su un tavolo di legno, piuttosto antico.
“Sta bene?” le chiesi, in cerca di conferma. Annuì.
Fui rincuorato sapendo questo, ma non potei fare a meno di pensare al nostro duello con quel mostro, a Bianca che andava in fiamme, a me che invocavo la Terra, pezzi di puzzle che si mettevano insieme per formare un disegno dal profilo sconvolgente.
Presi coraggio.
“…”
Mi accorsi che non le avevo nemmeno chiesto come si chiamava.
“Ehm, il tuo nome?”chiesi, muovendomi di poco nel grande letto di seta azzurra, limpida, quasi incolore come l’acqua.
“Io sono Maya.” mi disse, facendomi una leggera reverenza come se io fossi chissà chi. Inarcai un sopracciglio, scettico.
“Perché lo hai fatto?” domandai, in cerca di una risposta. Odiavo vedere le persone sottomesse a qualcuno, costrette ad inchinarsi di fronte al prepotente di turno e io ne sapevo qualcosa.
Sillabò: “È la legge.” e tornò a sedersi alla poltrona vicina al letto, accavallando le gambe, come una macchina in attesa di nuovi ordini del suo padrone.
Che diavolo voleva dire? Che stava blaterando? Una legge le imponeva di inginocchiarsi dinanzi ad un ragazzo adolescente?
“Che stai dicendo? Io non sono nessuno.” affermai, chiedendomi il perché di quel gesto così solenne, così lontano dal mio carattere.
Lei fece un suono di disapprovazione con la lingua, come la Mc Leod aveva fatto nel suo ufficio poco fa. “O due giorni fa.” mi dissi.
“Tu sei uno dei quattro Guardiani, per potere uguale al nostro re, non un ragazzo qualsiasi!” mi corresse, “La legge prevede che ci si debba inchinare dinanzi alle persone più importanti della propria persona stessa. E poi…”spiegò, abbassando lo sguardo, non so se a disagio o perché glielo imponeva quella stupida legge.
La esortai a continuare.
“Io sono una guaritrice e la nostra razza e una di quelle sottomesse alla casata reale, quindi dobbiamo portare rispetto.”
Sbuffai.
”Voglio proprio conoscere il brillante inventore di questa legge schiavistica.” mi dissi, passandomi una mano nei capelli neri, cercando di aggiustarli alla meglio.
“Quindi tu rimani qui solo perché io sono un Guardiano? Saresti, diciamo, la mia serva?” chiesi, scettico.
Lei annuì mestamente.
Per un attimo rimanemmo in silenzio e mi potei accorgere che nella stanza suonava una dolce melodia che calmava i sensi, perché tutta l’indignazione nei confronti di quella legge, stupida, si acquietò, dentro di me, seppellendosi sotto strati di calma, sorta da non so dove.
Nel suo sguardo aleggiava una nota di malinconia, di tristezza. Le presi le mani e le dissi, non so perché, ma lo feci: “Maya, se sono veramente un Guardiano ti prometto che ti riporterò tuo figlio sano e salvo, ok?”
Lei abbassò lo sguardo, quasi lacrimante.
“Non devi fare nulla…”
La interruppi.
”Ti sei presa cura di me, adesso voglio ripagarti, anche se ti conosco appena, accetta la mia promessa.” affermai, cosciente di ciò che stavo dicendo.
Le scese una lacrima lungo la guancia, mi abbracciò. Sorrisi, felice, mentre lei sembrava essersi dimenticata di quella stupida legge.
“Voglio uscire, posso?” le chiesi, poi, cercando di mettermi in piedi.
Maya scattò verso di me e mi aiutò, mi diede una leggera maglia celeste, poi uscimmo dalla camera dove al di fuori c’erano altrettante donne identiche per capigliatura e vestiario, a quella che mi stava di fianco, solo leggermente diverse in volto, in attesa.
”Che stanno facendo?”sussurrai a Maya. Lei mi rispose: “Aspettano qualcuno da poter curare, no?”
Inarcai un sopracciglio, scettico, mentre passavamo nei corridoi inondati di luce.
 
*Note*
*Ignis, in latino, significa Fuoco, l'elemento di Bianca.


*Writer's Angle*
Ed eccomi ad aggionare con l'ottavo capitolo in questo caldissimo mese di Agosto! xD Sono appena le 11 e venti e io mi sto già sciogliendo come un ghiacciolo al sole (?). Ok, era pessima! xD

Non sono nemmeno sicuro che abbia scritto io questo capitolo perchè mi sembra troppo...troppo...troppo FIGO! xD Pensate quello che volete, ma a me piace da morire! :)
Allora, che ve ne pare? v.v Devo dire che il leone creato da Bianca mi è piaciuto davvero tanto e devo dire che è una mia idea! ^^""
Avevate sperato che Ilidien fosse morta? :) A beh, vi sbagliavate di grosso! La rivedremo più in là, naturalmente...come ogni cattivo che si rispetti! xD
Caleb e Bianca hanno questo momento di, chiamiamolo "intimità", secondo voi è sbocciato l'amore? *-* E Richard? Per la gioia e la contentezza di Water
*le lancia uno sguardo da intenditore*
Si è ripreso, sano e salvo come un pesce (?) e ho voluto spezzare quel distacco che c'era tra guaritrice e paziente perchè il figlio di Maya sarà importante nel corso della storia! XD
Ok, ho detto tutto, mi pare...ah, no! Stupida testa bacata! xD Vi piace la nuova copertina? Ho voluto dargli un tocco ehm...non so nemmeno io! xD
Vabbè! Vi saluto! Ci si rivede a settembre con il sapore del sangue...perchè? Leggete qui sotto! xD


*Comunicazione di servizio*
Il suddetto autore sarà in vacanza per tutto il mese di Agosto! Anche gli autori meritano riposo, no?
Ma sarà presente come recensore, quindi non disperate! xD Lo rivedrete a settembre! ^^
Grazie.
 
*Angolo dei ringraziamenti*
Per le preferite: Bianca_bibi, EmiDom, Water_wolf

Per le ricordate:

Per le seguite:
Bianca_bibi, ladyathena, ladyselena15, LailaOsquin, LoveForHachi, Siel. _Charie_, _GocciaDiSangue_
Per le preferite: Bianca_bibi, EmiDom, Water_wolf

Per le ricordate: Rack12345

Per le seguite: ARCOBALENO_, Bianca_bibi, Dark_Shadow, ladyathena, ladyselena15, LailaOsquin, LoveForHachi, Siel. _Charlie_, _GocciaDiSangue_

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Breve Convalescenza ***


 


Il sangue? 
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare. *



 
9. Breve convalescenza 
  *Richard*
 
La luce pomeridiana entrava in abbondanza dalle finestre di vetro decorate con mosaici complessi, dalle più diverse sfumature di colori caldi. Riconobbi una fenice, poi un grifone e altri animali leggendari, conosciuti, per la maggior parte, nei libri fantasy che leggevo all'orfanatrofio.
Mi sembrava tutto così nuovo, così strano, adesso, così strano che non potevo che continuare a ripetermi "Ma è tutto vero?"
Sentivo una strana sensazione allo stomaco, come se fossi fuori posto,decisi di reprimerla. Sentivo ancora il dolore delle ferite infisse nell'animo, sentivo la tristezza, sentivo il dolore che provai quando morirono i nostri genitori.
Alcune porte dell'ala dei guaritori erano aperte e così potei vedere persone del tutto bendate, bambini con delle specie di gessi verdi, corpi avvolti in lenzuoli bianchi, altri adagiati su letti di fiori. Donne piangevano i propri figli, uomini trattenevano le loro lacrime, amare.
Mi intristii, sentendo un dolore sordo nel petto, un peso che costringeva il cuore a soffocare. Maya mi guardò.
"Tutto bene?" mi chiese, indagando nei miei occhi.
Ricambiai lo sguardo.
"Si." sussurrai, mentendo.
Vedere ciò che la Congrega faceva, ciò che costringeva a fare alle persone, come spezzava le loro vite, fragili fili d'erba al vento, era semplicemente orribile. Mi ridissi che dovevo aiutare quelle persone, mi dissi che con il mio aiuto tutto poteva cambiare.
Ignoravo la sensazione di paura che si stava arrampicando lungo gli scalini del mio corpo, fredda, calcolatrice.
In breve tempo lasciammo il padiglione blu, per sgusciare in un altro corridoio, alto, adornato di stemmi e armature di ferro, immobili. Ne guardai una, dato che erano tutte uguali e differivano solo per le armi che stringevano in mano. Non so come, ma si mosse, abbassando il capo in segno di rispetto.
Sgranai gli occhi.
"Sorpreso?" domandò divertita la taumaturga, trattenendo una sottile risata. Indicai freneticamente l'armatura, poi me, poi lei con gesti fugaci. Mi fermai solo quando sentii la ferita tirare e mi morsi un labbro per il dolore.
"Ma, per adesso, non devi fare sforzi, per ora." sussurrò, "E comunque sottovaluti il tuo potere, ragazzo."
Potere?
Ero il Guardiano della Terra, cosa centravo con le armature? Decisi di sotterrare in me questo dubbio e procedere sul tappeto rosso che ricopriva il pavimento di pietre lisce, perfettamente lavorate.
"Conosco un posto che ti piacerà." mi disse, sorridendo e guidandomi verso una scala a chiocciola che scendemmo per arrivare in un luogo dove l'aria era intrisa del profumo dei fiori che, anche se non ero un botanico, riconobbi tutti. Le statue, magnifiche, leggermente consumate dal tempo e coperte di un muschio morbido, adornavano il giardino, v'erano fontane elaborate, siepi tagliate alla perfezione per formare dei volti verdi, labirinti intricati.
"È stupendo." pensai, sentendomi già più forte, quando poggiai un piede nudo sull'erba soffice.
Nelle mie orecchie rombava un battito sommesso, dei mormorii attutiti, ma comunque presenti.
"Ammira la potenza della Terra, Guardiano, di cui sei e sarai padrone." sussurrò Maya, rivolgendomi un sorriso, abbozzato, ma pur sempre un'espressione felice.
Non potei fare a meno di annuire, di rendermi conto di quanto avesse ragione.
Mi sdraiai per terra, incrociando le braccia dietro la testa e guardando il cielo colorato d'arancio, con qualche nuvola sfumata qua e là. Uccelli cantavano sugli alberi, animali di ogni genere correvano per lo spazio verde, riempiendo l'aria con la loro felicità di vivere nella natura.
Era strano che ci fosse tutta quella pace, considerando che la Congrega avrebbe potuto attaccare da un momento all'altro.
"Non avrei mai immaginato che si potesse essere così felici." mi dissi, guardando una nuvola dalla forma strana, quasi dimenticando tutto ciò che avevo passato e che era stato orribile.
All'inizio sembrava tutto distorto, selvaggio, ma poi i tratti di erano deliniati, si erano fatti chiari: sentivo quel mondo come una parte di me, che aveva dormito per sedici anni.
Immerso nei miei pensieri, stavo quasi non sentendo la voce familiare che mi stava venendo alle spalle. Scattai a mezzo busto, voltandomi e sorridendo.
Verso di me stava arrivando una ragazza che conoscevo benissimo, dalla chioma bionda, striata di nero, dai vestiti di pelle stretti. Solo una persona corrispondeva a quella descrizione: Bianca, mia sorella che stava parlando con un ragazzo dai capelli neri, mossi, dagli occhi colore del cielo, con una corona scintillante in testa.
Scattai in piedi e corsi verso di lei, entusiasta. Mi vide, la sua bocca si allargò in un sorriso, i suoi occhi si colmarono di felicità, basta dire che solo il suo viso divenne più luminoso, più chiaro.
Quasi ci scontrammo, ma questo è un dettaglio, quando ci abbracciamo come solo due fratelli sanno fare. La strinsi così forte che lei mi disse di lasciarla andare perchè stava soffocando. Lasciai la presa e sorrisi.
"Ric! Mi hai fatto preoccupare tantissimo!" esclamò lei, con gli occhi, lucidi, "Non farlo mai più!" minacciò, sarcastica.
"Sono qui, adesso." le risposi io, percorrendo il suo volto con i miei occhi, come ad analizzarlo nella mia mente e compararlo con l'immagine che avevo di mia sorella, per paura che non fosse lei.
Spostai lo sguardo sul ragazzo che le stava di fianco, come ad analizzarlo. Lei guardò prima me, poi lui.
"Oh, le presentazioni!" esclamò, battendosi il dorso della mano sulla fronte, "Richard, mio fratello, Caleb, il re. Caleb, Richard." disse, un pò in imbarazzo, grattandosi il capo.
"Oh, ehm...piacere!" dissi io, tendendogli la mano. Lui la strinse. "Il piacere è mio, Guardiano delle Terra."
I suoi occhi traboccavano di felicità, nascosta sotto un velo di distacco, ma si vedeva lontano un miglio che era emozionato.
Maya ci guardava, in disparte, ma le feci cenno di avvicinarsi a noi.
"Ehm, suppongo che anch'io debba presentarvi Maya, la guaritrice che mi ha curato. Maya, mia sorella Bianca. Bianca, Maya."
Guardai Caleb.
"Suppongo che lui lo conosci già..." dissi, voltandomi verso di lei, che ora stava annuendo, lo sguardo basso, di un cane bastonato. Maledissi mentalmente colui che aveva idea quella stupida legge e mi costrinsi a fare buon viso a cattivo gioco.
"Io e lei ci siamo già incontrate." sussurrò poi Bianca, con un pò di vergogna. Inarcai un sopracciglio e guardai prima lei, poi la guaritrice, leggermente scettico, in cerca di una risposta, ma capii che loro due si erano intese e sorrisi.
"Bene!" esclamai.
"Come stai?" mi chiese Caleb, il re, studiando il mio volto. "Oh, la ferita sta guarendo, credo." risposi io, "Mi ci vorrà solo qualche altro giorno o almeno, questo mi è stato detto."
Lui sorrise, soddisfatto.
"Bene." esclamò lui, guardando il cielo al quale sembrava appartenere per quegli occhi, profondi, ammaliatori, seducenti. "È una giornata meravigliosa, oggi!" disse, "Siete arrivati a noi..." si spiegò meglio, vedendo la mia faccia poco convinta, "Avete donato luce alla popolazione di Linphea."
Non sapevo esattamente cosa fare, ma mi limitai a sorridere.
Bianca mi strinse a sè, forte, come se avesse il timore di perdermi ancora, come se avesse paura di rimanere sola, sola come si era sentita quando successe quel maledetto incidente stradale.
Accarezzai le sue spalle come a dirle: "Ehi, va tutto bene! Io ci sarò sempre!" e lei sorrise, lasciandomi, poi rivolse uno sguardo al re che annuì.
"Caleb e io stiamo andando...ehm, dove stiamo andando di preciso?" domandò mia sorella, accarezzando qualcosa ai suoi piedi.
Non mi ero accorto del leone che le stava di fianco, dal mantello caramello, dalla criniera che gli incorniciava il viso felino come una corona, dagli occhi caldi, dalle zanne affilate.
I suoi occhi scintillarono.
"Stiamo andando...da qualche parte." spiegò, facendoci cenno di seguirlo, mentre si dirigeva verso un ingresso del castello, protetto dai due guardie. Rivolsi un'occhiata a Maya che annuì, fece per inchinarsi, ma in qualche modo si fermò e si disperse ai quattro venti.
Rimasi a bocca aperta.
 
 
Stavamo seguendo il re, quando notai un tatuaggio, come un marchio, sull'avambraccio di Bianca.
"Ignis? Che vuol dire?" le chiesi, mentre seguivamo il re che ci guidava per i meandri del suo maniero, nel castello di Salismatra.
Lei sorrise, maliziosamente.
"Ignis vuol dire Fuoco, in latino, credo." mi spiegò, cercando di evitare i miei occhi, "E l'ho ottenuto quando ho battuto Ilidien, la Dama Arborea, anche detta, "Serpe in seno"" precisò, quasi pavoneggiandosi.
"Cosa?" domandai, inarcando un sopracciglio.
Lei annuì e mi spiegò. Rimasi sbalordito a sentire quello che aveva fatto mentre io stavo contando le pecore, per così dire.
Le pareti, adesso, ci guardavano severe, dalle statue di donne dai capelli mossi dal vento, il viso contorto in una smorfia maligna, dalle ali che spuntavano dalla schiena.
Sembravano essere le custodi di quel luogo, dove nessuno aveva messo piede per anni: una parte remota del castello, lontana da sguardi indiscreti, raggiungibile solo dopo aver attraversato un dedalo di corridoi. Mi accorsi, poi, che i corridoi non avevano porte e lo trovai strano.
Caleb, però, era sicuro di sé: non esitò mai dinanzi ai bivi che incontravamo, davanti alle trappole che ci diceva di evitare, così come il leone, che avevo intuito essere il suo e che lo seguiva.
Per il tragitto che avevamo percorso, che faticavo anche ad immaginare, figuriamoci a ricordarlo a memoria come stava facendo lui, avevo rivolto diverse occhiate a Bianca, per sapere cosa stava succedendo, ma sembrava spiazzata quanto me.
Un'altra cosa che notai era che non vi erano finestre, ma la luce c'era, anche se debole. Bianca si fermò.
Feci in tempo a bloccarmi anch'io, poco prima che andassi a sbattere contro le spalle del giovane re, intento ad osservare una statua, posta alla fine del corridoio nel quale ci trovavamo.
Guardai la donna di pietra, dagli occhi lucenti, dai capelli ribelli, dalla veste, a brandelli, lunga sino ai piedi. Più la fissavo, più sembrava essere viva e mi accorsi anche che mi stava ringhiando contro.
Indietreggiai, sorpreso e impaurito allo stesso tempo. L'aria era carica di risatine isteriche, maligne, oscure. Non so come, ma Caleb non si sentiva affatto impressionato o impaurito. Per un attimo credetti che fosse pazzo, quando ci disse che potevamo proseguire.
La ferita, adesso, bruciava. Lo guardai scettico: ci stava indicando la statua, feroce, e ci diceva di andare, ma come potevamo attraversare un muro di pietre?
Lui rise, poi si diresse verso la donna e scomparve, quando l'attraversò.
Rimasi a bocca aperta, come Bianca d'altronde. "Prima tu o io?" mi chiese, leggermente confusa.
Mi feci coraggio e chiusi gli occhi quando speravo intensamente di non dare una sonora capocciata contro il muro.
Lo feci: fu come attraversare la nebbia, spumosa, fredda.
Sbattei le palpebre per qualche volta, per rimanere stupito ancora una volta, anzi dire che "scioccato" sia il termine giusto. Si udì un leggero rumore dietro di me e comparve anche Bianca.
"Benvenuti nella sala della Rosa Nera!"
 

  *Angolino dell'autore*
Rieccomi qui, a rompervi con la mia storiella! ^^ Non sono veramente soddisfatto di questo capitolo, ma voi consideratelo un regalo di fine estate, si, perchè a me il 12 ricomincia la scuola! -.-''
Che depressione! xD
Allora, secondo voi cosa mai sarà questa Rosa Nera? V_V Scopritelo da voi! x°D
Scusatemi se non ho risposto alle vostre precedenti recensioni, lo farò al più presto, promesso! ^^ || Water: passerò il prima possibile alle tue storie! ^^
Alla prossima, ringrazio chiunque legga o abbia messo la storia tra le preferite, seguite, ecc. Thanks! xD

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Stupore, Sacrificio, Sangue ***


Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare.

 

10. Stupore, Sacrificio, Sangue
 
*Richard*
 
La sala era quadrata, piuttosto intima, per così dire: c'erano quattro pilastri principali, collocati nei quattro punti cardinali della stanza e che si collegavano con il proprio opposto, creando, così, spettacolari archi a tutto sesto dai quali pendevano rami secchi, perfettamente intonati con l'atmosfera che ivi regnava.
Sia il soffitto che le pareti avevano la stessa tonalità della calma notturna, rilassante: milioni di stelle rilucevano a comporre le costellazioni, infinite, eteree, mentre una scintillante palla tondeggiante, pallida, impersonava la madre del romanticismo, dei sogni incastonati nelle sfere stellari.
La luna piena donava alla stanza un'atmosfera misteriosa, magica, arcana.
Roveti, spinosi, provvisti di boccioli e rose, di ogni tonalità di rosso, si arrampicavano su per i pilastri che sostenevano il soffitto, rilucendo come piccole candele nell'oscurità della notte.
Mi dissi che anche i rami secchi appartenevano ai roveti, ma non riuscivo a capire come facessero a vivere e se si fossero davvero arrampicati sino là sopra o era tutta una finzione magica.
A supportare l'atmosfera adatta ad una seduta spiritica si aggiunse un sottile velo di nebbia, alzatasi dal pavimento di pietre, così antiche, così intrise di storia.
Le pareti sembravano guardarci, analizzare il nostro volto. Le ombre sembravano farsi più compatte, come a dare vita ad una figura spettrale.
Sembrava tutto così antico e solenne. Caleb ci fece cenno di seguirlo nel mare di nebbia. Guardai Bianca che sembrava essere estasiata quanto me, quando ci immergemmo nel velo bianco per ritrovarci, o almeno credo, nel centro della stanza dove si trovava il giovane re e un altare di pietra.
Sfiorai la sua superficie per poi ritrarre subito la mano: fu un attimo, ma quella pietra mi aveva messo una strana sensazione addosso, strani mormorii nelle orecchie.
"Questa è la sala della Rosa Nera." ripetè Caleb, guardandoci negli occhi.
Mi agitai, sul mio posto, leggermente a disagio.
"Esattamente?" domandò Bianca, leggermente confusa.
Caleb si trovava vicino ad una pietra squadrata, piuttosto grezza a dir la verità.
Guardai prima la pietra, poi il re: alla flebile luce della stanza, lui assomigliava al vittimario, colui che sacrifica la sua offerta ad una divinità celeste e quella pietra all'altare sacrificale. Mi sembrò di vedere un ghigno sul suo viso.
Chiusi e riaprii gli occhi.
Caleb era lì, adesso sorridente, ma avrei giurato che fino ad un momento prima stesse ghignando e assomigliasse ad un demone.
Scacciai quel pensiero idiota dalla mente: perchè avrebbe dovuto sacrificare le uniche speranze di salvezza per la terra di Linphea? Ma proprio, perchè Caleb avrebbe dovuto ghignare?
"Tu mi hai chiesto come avreste fatto a trovare gli altri due Guardiani, ciò che serve per localizzarli si trova in questa stanza." spiegò, indicando lo spazio circostante.
Inarcai un sopracciglio.
"La Rosa Nera è un potente amuleto, forgiato dalla magia delle streghe anni or sono, forse è perfino antecedente alla prima grande guerra che si combattè sulla nostra terra. Dentro di sé imprigiona l'essenza del potere dei quattro elementi e quindi è in grado di localizzare i Guardiani." ci disse, come se nulla fosse.
"Tutto qui?" domandai, confuso, "La Rosa Nera ci condurrebbe dagli altri due Guardiani, se ho ben capito."
Lui annuì, ma sul suo volto si leggeva un leggero accenno alla preoccupazione. Io e mia sorella ci scambiammo uno sguardo di intesa.
Mi guardai intorno, alla ricerca di questo favoloso amuleto. "Adesso dov è?"
Lui sorrise e lasciò cadere la domanda, dando un tono molto misterioso alla cosa.
"Dovete fare attenzione." ci avvertì. Sentii un brivido gelido correre lungo la schiena: avevo imparato che quando qualcuno ti diceva così era perchè c'era qualcosa in agguato nell'ombra.
"La Rosa è uno degli amuleti più ambiti dalla Congrega." confessò. Le mie paure più recondite presero possesso della mia mente: mi guardai intorno, con i sensi all'erta, come se da un momento all'altro potessimo essere attaccati. Quella sala era magnifica e pericolosa allo stesso tempo, ora le stelle e la luna sembravano risplendere con meno luminosità.
Si fermò a soppesare le parole.
"La Rosa può esservi amica, come può rivoltarvisi contro." spiegò, e io leggi una tangibile paura nella sua voce, legggermente incrinata, "Se cade in mani sbagliate..."
Per un secondo il silenzio regnò nella sala dalla luce fioca. Mi sembrò che le pareti stessero sussurrando qualcosa.
Lasciò cadere l'argomento, voltandosi a guardarmi negli occhi.
"Ad ogni modo la sala è schermata dall'esterno da incanti e maledizioni varie ed è accessibile solo attraverso un dedalo di labirinti." ci spiegò, sfiorando la nebbia che ci circondava, quasi ad afferrarla.
Idee strane continuavano a frullarmi per la testa. Mi sentivo minuscolo in quel luogo enorme, così cupo, così gotico e così terribilmente seducente.
"Come hai fatto a non perderti in quell'intricato labirinto, allora?" esclamai, scattando verso di lui, trasformando la mia esclamazione in una domanda.
"Il labirinto, e così tutto il castello, è stato costruito sul luogo dove sono sepolte le streghe che perirono per mano del primo nemico che Linphea dovette fronteggiare. Coloro che costruirono questo castello confidavano nel loro potere, permanente su questa terra anche dopo la loro morte, affinchè ne proteggessero i suoi segreti." spiegò, "Il labirinto è frutto della magia, quindi. Ma per rendere ancora più sicuro la Rosa, il capostipite della nostra linea di sangue fece in modo che la strada per l'amuleto fosse visibile solo se si è a conoscenza del segreto."
"Che cosa intendi?" domandai, confuso.
"Si è stabilito, da allora, che un membro della linea di sangue della casata reale dovesse assolvere al compito di Guardiano della Rosa e, al termine della sua vita, passare il segreto alla generazione successiva, in modo che l'amuleto fosse al sicuro da coloro che bramano averlo."
Indugiò.
"Il segreto può essere passato solo con uno scambio." affermò, serio, diventando all'improvviso più distaccato, appoggiandosi all'altare di pietra che continuava a sorridere sinistramente nella mia testa.
Uno scambio? Che cosa intendeva? Stavo per chiederglielo, ma Bianca lo guardò e ebbi la sensazione, amara sensazione, che lei conoscesse qualcosa che io ignoravo.
"Ehi, va tutto bene, non fa nulla se non vuoi parlarne." sussurrò, dirigendosi verso di lui, ma la fermò, con gli occhi lucidi.
"Mia madre era la custode del segreto della generazione precedente alla mia, me lo passò poco prima che la portassero via, in tempo affinchè mi nascondessi per non farmi catturare." mormorò, "Da allora sono io il custode del segreto." precisò.
Nella sua voce si scorgeva la malinconia, la tristezza, nella sua voce riecheggiava l'eco sordo di ciò che era successo quel giorno: stava crollando come un fortezza di pietra attaccata. Quel qualcosa che prima non voleva dirci, quel qualcosa che avevo letto sul suo volto prima, adesso stava per essere rivelato.
"E non è tutto..." sussurrò, "C'è dell'altro, un altro motivo per il quale la Congrega vuole la Rosa Nera..."
"Quale?" domandai, indelicato. Lui mi guardò, con quegli occhi cielo pieni di pioggia.
"Le streghe non fanno mai nulla di proposito." sussurrò, guardando alle mie spalle, dove adesso puntava con gli occhi, "Se la Rosa Nera ha il potere di trovare e salvare la vita dei Guardiani dalle opere del male, ha anche il potere di togliergli la vita."
Fu come se mi avessero dato un pugno nello stomaco, non riuscivo a ragionare.
"Serve per il vostro sacrificio, il sacrificio della Luna del Sangue." mormorò, macabro.
Sgranai gli occhi, puntando a quelli di Bianca, sperduta in un mondo di luci ed ombre.
Sacrificio? Luna del Sangue? Dove avevo già sentito quelle parole?
Vagai con la mente nel buio, immenso passato, nelle azioni che avevo compiuto e quasi mi si raggelò il sangue quando rividi davanti ai miei occhi il viso dell'uomo bicolore, quello nell'ufficio della McLeod.
Potevo ancora sentire la sua voce risuonare nelle mie orecchie:
 
"Una volta a Linphea, la Congrega verrà riunita e tu e tua sorella, assieme agli altri Guardiani, verrete sacrificati nella notte della Luna del Sangue! Il nostro potere non avrà più limiti!”
 
 
La sua risata fredda rieccheggiava nelle mie orecchie, viva, acuta più del solito.
"Vuoi dire che se la Congrega mette le mani sulla Rosa Nera non solo scova tutti i Guardiani, ma può anche compiere il rituale per rendere il proprio potere illimitato?" domandai, sbigottito, vedendo tutto chiaro, adesso.
Lui annuì, mestamente.
Mi sfuggì un sussurrato "Cazzo", ma cercai di rimanere lucido, anche se non ci stavo con la testa.
"Ehm, e ora?" domandò Bianca, "Prendiamo la Rosa Nera, adesso, e io e Ric cominciamo a cercare gli altri due?"
"No, non sarebbe prudente." rispose lui, riprendendo coraggio, anche se la sua voce era ancora leggermente incrinata dall'emozione, "Tu non sei riuscito ancora a padroneggiare la Terra. L'amuleto necessita di essere protetto e per ora qui è al sicuro." precisò, "Quando avrai creduto anche tu, quando vi sentirete pronti a partire, vi condurrò qui e potrete cominciare a cercare gli altri due Guardiani."
Annuii, aveva ragione dopotutto.
"Inoltre, la Rosa si presenta solo quando si ha necessità di essa."
 
Caleb ci guidò fuori dal labirinto con la stessa facilità con la quale ci aveva condotto dentro, ma stavolta sembrava essersi fatto più piccolo, meno regale, gobbo, vecchio. Sulle sue spalle gravava un peso enorme, ma non potevo non constatare il peso che stava crollando sulle mie.
La ferita tirava.
Mentre camminavano non potei fare a meno di cercare di riordinare i miei pensieri, confusi, contorti, ammassati come un filo di lana mal riposto.
Sacrificio.
Quella parola continuava a sibilare nella mia testa, come un serpente che gioca con la sua preda prima di inghiottirla per intero.
Sangue.
L'eco profondo dell'altra parola, sillabava maligno, rimbombava sulle pareti della memoria, sotto bombardamento.
La voce di Caleb mi risvegliò da quello stato di semi-trance nel quale mi trovavo.
"Questa è la biblioteca." annunciò, con voce leggermente scossa. Evidentemente anche lui aveva riflettuto sul da farsi, mentre ci conduceva fuori dal labirinto dove nessuno aveva parlato.
"Perché ci hai condotti qui?" gli chiese Bianca, osservando gli imponenti scaffali ricolmi di libri, dalla lucida copertina di pelle, dei più svariati colori. Alcuni sembravano davvero antichi, altri più recenti. Le vetrate a mosaico, colorate, illuminavano la stanza.
Nell'aria aleggiava la polvere, minuscoli cristalli di polvere che danzavano in una danza incomprensibile, fatalmente legata allo spostamento delle masse d'aria.
"Perché forse potrete trovare qualcosa che vi interessa se chiederete a Graham, la custode della biblioteca." rispose lui, visibilmente preoccupato, "Ora devo andare." ci disse, "Ci vediamo più tardi." e uscì dall'enorme stanza dove ci aveva condotti.
Guardai Bianca, poi il mantello del re che spariva all'angolo.
"Bene." sussurrai, impercettibilmente. Mi toccai il ventre, dove c'era la ferita che tirava e non sapevo il perché, e attirai l'attenzione di Bianca.
"Sicuro di stare bene?" mi chiese, scettica, mentre camminavamo in quell'enorme universo di libri e parole, camminando in un universo diverso, tranquillo, infatti la biblioteca era silenziosa, si muoveva solo la polvere con il suo vorticare strano.
Per poco Bianca non si scontrò con una donna, sulla sessantina, ma sembrava più vecchia per via dell'aspetto cadente: i capelli pesanti, brizzolati, l'incarnato pallido, chiazzato qua e là, i vestiti neri, adornati di pelliccia di animale marrone sfumato. Si fermarono appena in tempo, poco prima che rovinassero a terra con tutti i libri che la donna stava portando in mano.
"Ma che modi!" protestò lei, con un espressione contrariata in viso, solenne, austera. "Lei deve essere Graham, la bibliotecaria, vero?" le domandai, cercando di spezzare quel imbarazzante silenzio che si stava creando.
"In persona." rispose, alzando leggermente il naso all'insù come se dovessero ritrarla in quella posizione, come una statua dello stile severo.
"Noi siamo Bianca e Richard, i Gu..."
"I Guardiani del Fuoco e della Terra, so chi siete. Le voci circolano velocemente, arrivando perfino qui." continuò lei, interrompendomi, "E so anche di cosa avete bisogno." continuò.
Sgranai gli occhi e inarcai un sopracciglio, assumendo, forse, un'espressione buffa. "Come lo fa a sapere?"
Lei rise, sommessamente, per non rompere il silenzio che lì vigeva, come se fosse sacro o roba del genere, come un incanto potente sui rumori perché è di questo che si tratta quando si parla di silenzio.
"Seguitemi e non fate alcun rumore." ci disse, puntando gli occhi incolore su Bianca, inespressiva.

*Writer's Angle*
Ed eccomi qui, da oggi si ricomincia con l'aggiornamento del Sapore del Sangue! ^^ E questo vuol dire che è arrivata anche la scuola, puntale come sempre, non c'è che dire! -.-'' Ma anyway...che ne dite del capitolo? o.O come vi sembra?
Vi ha entusiasmato questa faccenda della Rosa Nera? U_U vi sembra abbastanza intrigante o no? fatemi sapere tutto con una recensione, anche piccola! xD
Prossimo aggiornamento --> appena la scuola mi lascia un minuto libero x°D
Vi lascio con i ringraziamenti! ^^ Grazie U_U

p.s. Scusate per l'immagine di copertina, ma con questo nuovo HTML ci capisco ben poco! ^^""

 
*Angolo dei ringraziamenti*
Per le preferite: Bianca_Bembi, EmiDom, Water_wolf

Per le ricordate: Rack12345

Per le seguite: ARCOBALENO_, Bianca_bibi, Dark_Shadow, ladyathena, ladyselena15, LailaOsquin, LoveForHachi, Siel. _Charlie_, _GocciaDiSangue_, Arya373, Dark_Shadow, Zahir Arcadia,


 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. Paura ***


11. Paura
*Richard*
 
I nostri passi riecheggiavano nel silenzio profondo della biblioteca, arcana, antica. La polvere ci avvolgeva come ad abbracciarmi e rendeva tutto più vecchio.
Bianca mi stava vicino, mentre Graham ci guidava tra file di scaffali stracolmi di libri, pergamene ingiallite dal tempo e polvere. Starnutii quando una ventata di minuscoli granelli di quella materia mi arrivò direttamente in faccia, infilandosi su per il naso. La bibliotecaria si fermò, impassibile, con il libro stretto al petto come se ne andasse della sua stessa vita.
"Questa è l'ala della biblioteca dove sono conservati i diari dei precedenti Guardiani e libri di magia." ci spiegò, guardandoci con quei suoi occhi incolore, incastonati in un viso che sembrava antico tanto quanto la biblioteca stessa.
"Non combinate casini." ci avvertì, poi, girando sui tacchi e tornando da dove eravamo venuti. La guardai allontanarsi, con passo altero, fin quando non scomparve tra i suoi libri. Rivolsi un'occhiata a mia sorella.
Lei sussurrò: "Vecchia acida."
 
"Qui c'è l'Ignis Maleditio!" esclamò Bianca, con un'espressione di stupore sul viso, dipinto direttamente sulle sue labbra, "La maledizione del fuoco, senti..."
La interruppi, alzando di poco gli occhi dal libro che stavo leggiucchiando, per spiare se caso mai venisse Graham a strillarci contro. Nessuno.
"Parla più piano, non credo che la vecchiccia tolleri le tua urla di gioia." puntualizzai, cambiando pagina, senza nemmeno guardarla. Era da un pò che ero così: Bianca era eccitata, sfogliava ogni pagina come se fosse un tesoro inestimabile, ma per me non era così.
Dentro di me, aleggiava un senso di paura che mi attanagliava le cellule e le distruggeva lentamente, per infliggermi maggior dolore. Con Maya era stato semplice, le avevo promesso che avrei salvato suo figlio, ma solo adesso mi rendevo conto del peso del quale mi ero caricato. E se non fossi riuscito a farlo, se non fossi riuscito a salvarlo, se avrei dovuto ucciderlo per salvarmi la vita?
I miei pensieri erano torbidi, sporchi, ingarbugliati. Risuonavano, come un eco perpetuo, le parole del re, quelle parole all'origine della mia paura, del mio senso di ineguatezza.
"È un amuleto che serve per il vostro sacrificio, il sacrifico della Luna del Sangue."
Mi stava corrodendo, questa frase, come un acido, e per di più sotto il mio sguardo, impotente.
Qualcosa mi balenò in mente: eravamo in una biblioteca, dopotutto, no?
Mi alzai, di scatto, mentre Bianca continuava a succhiare sapere dal quel libro, cercando di imparare qualcosa di utile per aumentare il suo potere. Sapevo cosa cercare, ma non sapevo dove.
Presi a passare lo sguardo, le dita, sul dorso dei libri, riposti negli scaffali, rovistai tra le pergamene, tra i libri sui vari tavoli, ma non c'è n'era traccia. Poi lo vidi, vidi quel dorso che non dimenticherò mai per tutto il corso della mia vita, quasi nascosto tra altri libri di magia, come se nessuno volesse che fosse letto.
Rilegato in pelle, color carbone, scrostata qua e là dal tempo. Non c'erano scritte che mi permettessero di idenficarlo, ma il mio sesto senso mi diceva che era quello giusto, mi diceva che ero vicino alla verità, a quello che volevo scoprire.
Allungai la mano, ma tremavo. Volevo leggerlo, ma avevo paura di quello che potevo scoprire una volta aperto, una volta che i miei occhi avrebbero preso a scorrere sulle parole.
L'afferai, di scatto, e, facendomi coraggio, lo liberai dalla pressione degli altri volumi antichi, percorrendo i suoi contorni: era un libro normale, come si potrebbe trovare in una qualsiasi biblioteca, ma provai una sorta di attrazione-repulsione per quel tomo.
Lo guardai, disgustato, quando i miei occhi si posarono sul titolo: Sacrificium, scritto col sangue, secco, scorso sulla copertina dura, come se fosse stato raschiato da unghie sulla pelle.
Mandai giù un groppo che mi si era formato in gola, poi, appoggiandomi ad uno scaffale, lo aprii.
Fu come una ventata di morte: sentii l'odore, sentii quel brivido freddo che percorse la mia schiena, sentii la paura.
Aprii gli occhi.
Le pagine era ingiallite e rattrappite come se loro stesse si vergognassero di ciò che vi fosse scritto sopra. Gocce di sangue che avrebbero dovuto essere secche, sembravano appena versate, fresche.
Il colore rosso colmò i miei occhi, il suo odore metallico riempì le narici, infiammate, infastidite dal contatto con le molecole di quel liquido vitale, troppo forte, troppo vivo.
Sfogliavo le pagine, ma ciò che cercavo non voleva uscire allo scoperto. Non sapevo se sentirmi deluso o rassicurato, ero in un limbo, in fin dei conti.
Niente, niente di niente: le pagine erano gialle, rattrappite e gocciolanti di sangue, ma non c'erano scritte.
Scaraventai il libro per terra, infuriato, deluso, confuso. Continuavano a ballarmi davanti agli occhi, come a deridermi. Guardai la copertina di pelle, il titolo raccapricciante e capii.
Lo raccolsi, riluttante, poi l'aprii, scorrendo le dita sulle pagine come a cercare dove il suo battito fosse più forte: esattamente nel mezzo.
Quel libro era vivo.
Follemente, disfeci la garza che copriva la ferita sul ventre, sbucciando la crosta e infilandoci un dito dentro come a mimare di nuovo il pugnale che trapassava la carne.
Fu come un dolore primordiale: il dito toccò la carne viva, proprio al dì sotto della pelle, toccò il sangue che prese a scorgare.
Una, due, tre gocce, le pagine si fecero più scure. Trattenni il respiro, come a chiedermi se avessi fatto la cosa giusta: le scritte cominciarono ad apparire, vivide, scritte col mio stesso sangue, balzandomi agli occhi come ad aggredirmi.
Mi si sfilò, letteralmente, il mondo da sotto i piedi.
Un moto di paura e di ribrezzo mi salì su per la gola, più su ad ogni parola che i miei occhi leggevano: volevo urlare, volevo far sapere che io sapevo, ma non lo feci, rimasi zitto, chiuso in me stesso con i miei pensieri che ricominciavano a turbinare minacciosi nella mia mente.
Gurdai la ferita dalla quale gocciolava ancora sangue, sul pavimento antico della biblioteca. Dubito che Graham avrebbe accettato. Ad ogni goccia che cadeva a terra, sentivo che la mia forza cadeva con essa, perchè so che la vita dei Guardiani è fatalmente legata al suo sangue come mi aveva confermato anche il tomo maledetto. Cercai di tamponare la ferita, poi lo scagliai lontano, ancora una volta, e scivolai lungo lo scaffale fino a giungere a terra.
Lacrime rigarono il mio viso, turbato, preoccupato.
Il peso che avevo sulle spalle si stava facendo sempre più pesante, ad ogni lacrima. Piangevo, si, e speravo che queste portassero via tutto questo, lo lasciassero scomparire, lavassero ciò che era stato sporcato per sempre.
"Ric! Ric, dove sei?" chiamò mia sorella qualche scaffale più avanti. Mi alzai, asciugai le lacrime e coprii la ferita con la camicia azzurra, che presto si sarebbe sporcata, poi mi diressi a raccogliere il tomo e a metterlo al suo posto, in modo che nessuno potesse sospettare quello che avevo fatto.
"Ric! Cos'era quel tonfo?" domandò, prendendomi per un braccio con il suo fare da sorella iper protettiva, poco dopo che ebbi riposto il libro vivente.
Ci guardammo negli occhi e cercai di non tradirmi, cercai di scacciare quel chiodo che ora si era infisso fatalmente nella mia memoria.
"Niente, mi è solo caduto un libro." spiegai, reggendo in mano un libro preso a casaccio dallo scaffale. Lei mi guardò, scettica, inarcando un sopracciglio.
"Amore e sesso tra nani?" domandò, cercando di non ridere, mentre io guardavo la copertina del libro dove vi erano due nanetti da giardino che si baciavano appassionatamente, per non dire altro.
Probabilmente arrossii e pure violentemente a giudicare dall'aumentare del luccichio dei suoi occhi che stavano per piangere, di gioia.
Le diedi un pugno sul braccio.
"Smettila." le dissi, cercando di essere credibile e mantenere una voce che non si rompesse, rimettendo a posto il libro e maledicendo la mia fretta, la cattiva consigliera dell'uomo.
"Usciamo di qui."
Con un pò di difficoltà, ci discricammo tra scaffali e file di libri polverosi, ma riusciammo a trovammo l'uscita, presso la quale Graham era seduta dietro una scrivania di legno, mogano forse, perfettamente intarsiato.
"Prendiamo questi." disse mia sorella alla bibliotecaria che continuava a fissarla con i suoi occhi incolore, inespressivi, apatici, dietro un paio di lenti cristalline posate sul naso.
Annuì, leggermente, poi uscimmo, con Bianca che si allontava a spalle larghe e con aria altezzosa. Rivolsi un ultimo sguardo alla biblioteca e alla sua bibliotecaria.
Pena e compassione.
 
"Perchè ti comporti così?" le domandai, quando giugemmo alla sua stanza, davanti al portone bianco perfettamente levigato da mani esperte.
Lei si strinse nelle spalle, poi mi rispose: "Così come?" Sbuffai su un ciuffo nero davanti agli occhi: odiavo quando faceva così, negare l'evidenza quando ti era sbattuta in faccia.
"Perchè tratti in quel modo la gente?" domandai, ancora, gesticolando in aria. Lei rimase inespressiva, poi aprì la porta e si infilò dentro, lasciandomi lì. Quella scena mi ricordò molto il nostro primo giorno all'orfanatrofio, soli, abbandonati.
La stessa sensazione di solitudine colmò ogni singola parte del mio corpo finchè non arrivai nella mia camera, accompagnato da Maya, comparsa chissà dove.
 
Ringraziai Maya che era stata così gentile da accompagnarmi alla mia stanza.
"Se hai bisogno di qualcosa, chiamami e io accorrerò." mi disse, con un sorriso appena accennato. Io le sorrisi di rimando, poi entrai in camera.
Era enorme, come dovevano essere tutte le altre, o almeno, credo. La luce del sole morente dipingeva le pareti di una sfumatura d'arancio, mentre nell'aria aleggiava un dolce profumo di spezie orientali, forse cannella.
Mi lasciai cadere sul soffice letto, guardando il soffitto. Le sensazioni che avevo cercato di reprimere, prima, ora, nel silenzio pesante della mia stanza, stavano tornando ad asfissiarmi, a torturarmi lentamente, con più forza.
Le parole del tomo continuavano a turbinare davanti agli occhi, mentre sussurri lontani riempivano le mie orecchie, stanche.
A pensarci bene, mi sentivo a pezzi, veramente. La ferita tirava e, prima che me ne accorgessi, mi si erano già chiusi gli occhi.

*Angolino dell'autore*
Ok, ora mi sparerete, ma non sono con l'acqua alla gola per via della scuola xD Sorry ^^"" Come vi sembra il capitolo? u.u
Ric finalmente sa quello che deve sapere e che voi naturalmente non saprete adesso, mi pare ovvio V_V Dov è la suspence e no? xD
Ditemi che sono sadico, lo so xD Adoro far soffire i miei personaggi e il nostro piccolo Guardiano della Terra soffrirà molto x°°°°°D Scusatemi se la storia va un pò a rilento, ma so che questi capitoli sono necessari, dovremmo iniziare con l'azione nel capitolo 14 o 15 ^^""" Sorry, ma vi assicuro che vi divertirete xD

Fatemi sapere (:


*Angolo dei ringraziamenti*
Per le preferite: Bianca_Bembi, EmiDom, Water_wolf

Per le ricordate: Rack12345

Per le seguite: ARCOBALENO_, Bianca_bibi, Dark_Shadow, ladyathena, ladyselena15, LailaOsquin, LoveForHachi, Siel. _Charlie_, _GocciaDiSangue_, Arya373, Dark_Shadow, Zahir Arcadia, Lucy_Weasley


Spero di non aver dimenticato nessuno ^^""

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. Sotto la luce della luna ***


Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare.


 
12. Alla luce della Luna
 
*Richard*
 
Buio.
Non si riusciva a distinguere nulla, ma tutto sembrava essere illuminato da una sorta di luce debole, fioca e innaturale.
Mi accorsi che quella luce ero io: sembravo essere quasi trasparente, evanescente, una sorta candela pronta a spegnersi alla prima, minima, folata di vento. Ero scalzo.
Mossi qualche passo, scettico.
Odoravo il pericolo nell’aria, l’odore della paura, l'odore dell’odio puro. Pian piano che mi muovevo si accesero torce solitarie, come fari nel mare, che spazzavano l’oscurità circostante.
Ne presi una e la strinsi più forte che potevo, come se ne andasse della mia vita. Faceva freddo, il gelo si stava insediando nelle mie ossa, anche se ero vestito.
Battevo i denti, involontariamente, e con strofinavo la mano libera sulla pelle, per ricavarne calore. Continuavo a muovermi, senza una meta, senza sapere dove andare, senza sapere dove mi trovavo o dove stavo poggiando i piedi.
Cercai di illuminare la strada di fronte a me: sembrava tutto abbandonato, ricoperto da un fitto strato di polvere e vecchiume.
Un altro passo.
Udii un urlo sovrumano, un urlo di dolore puro: la paura era sparsa nell’aria, palpabile, densa come melassa.
Mi fermai, impaurito e mi guardai intorno, alzando la torcia accesa, cercando di illuminare più buio possibile. Sembrava volermi aggredire, quel buio.
Avevo paura a muovermi, ma mi dissi di farmi coraggio e avanzai di qualche altro passo.
Il buio rivelò una scala, piuttosto ripida.
Udii un altro urlo sovrumano, roco, come se l’anima di colui che l'aveva emesso volesse staccarsi dal corpo. Non riuscivo a capire se si trattasse di un uomo o di una donna.
La parte ragionevole di me spingeva affinché andassi via, trovassi qualche altra uscita, ma la parte curiosa mi pressava perché salissi, salissi quelle scale maledette.
Ovviamente la curiosità, sentimento che muove l'umanità dall'inizio dei tempi, prese il sopravvento.
Era una scala a chiocciola, che saliva verso l’alto come un bruco aspira allo stato di farfalla. L’aria si faceva sempre più fredda, livida. Si creavano nuvolette di vapore condensato, mentre respiravo.
Non c’era un corrimano e non so che fine avrei fatto se fossi caduto. Mi sentivo minuscolo in tutto quello spazio enorme, un ape che cerca il suo fiore, una formica che rintraccia il suo formicaio, un insetto che cerca la sua tana tra miliardi di simili.
Passo dopo passo, non mi accorsi nemmeno che ero in uno stato di leggera corsa. Le scale terminarono, aprendosi ad un corridoio, parzialmente illuminato, tetro, adornato di armi e armature nere, dalle sfumature bianche che vi galleggiavano come pensieri senza meta, come esseri senza volontà.
Ne rimasi affascinato: per quanto fossi spaventato da quel luogo, che percepivo come malvagio, pericoloso, non potei fare a meno di notare quelle armature, stupende.
La torcia rischiarava quel buio così consistente che si sarebbe potuto tagliare con una lama, farlo a pezzetti per rivelare la luce che copriva. Mossi un altro passo, in attesa di qualcosa.
Quel silenzio era innaturale, e io percepivo che stava per succedere qualcosa, qualcosa di brutto, ma continuai a camminare, cocciutamente.
Se c'era una cosa di me che odiavo era proprio la testardaggine, non riuscivo proprio a togliermi qualcosa dalla testa quando avevo deciso di fare o meno quella cosa.
C'erano delle finestre, ma non davano che sul buio più assoluto, tanto che mi incominciai a chiedere dove fossi capitato realmente. I miei piedi scalzi poggiavano su un tappeto peloso, soffice, adagiato in un buio, tetro corridoio. Notai diverse porte, tutte chiuse, nessuna dava segni di vita all'interno della stanza che, in qualche modo, nascondeva.
Non so se fu la mia immaginazione o la mia capacità di impressionarmi, ma avrei giurato di sentire deboli lamenti e sussurri dietro quelle porte.
Ma sapevo, inconsciamente, che la porta che mi interessava era quella in fondo. Percepivo la crudeltà che aleggiava in quel luogo.
Mi si drizzarono i capelli sulla testa, quando sentii l'urlo, lo stesso urlo di poco prima, che proveniva dalla porta che avevo davanti.
Mossi la mano, sulla maniglia, di ferro, fredda, ma quando la stavo per abbassare mi fermai. La prudenza mi venne a far nuovamente visita: e se chi era la dento mi avrebbe fatto del male, se fosse una trappola?
Prima che potessi decidere cosa fare, la porta si aprì, con un sinistro cigolio, scoprendomi alla vista di qualunque cosa ci fosse lì dentro.
La stanza era illuminata da bracieri di bronzo, armi di tortura erano sparse ovunque: sarcofagi riempiti di chiodi, macchine che ti allungavano finché non ti si strappavano i muscoli e provavi un dolore cane, lame intrise di veleno.
Ingoiai il magone che mi era salito su per la gola, lasciando cadere, inavvertitamente, la torcia accesa che sparse il suo calore su quel pavimento ghiacciato.
Legata sia per le gambe che per le braccia, in un angolo dove non vi erano bracieri ad illuminare la scena, sotto la luce cruda della luna quasi piena, c'era una donna, visibilmente sfinita, grondante di sangue e sudore.
Aveva i vestiti a brandelli che la coprivano sino alle ginocchia, una spallina era andata. I capelli, intrisi di sudore, le ricadevano sulle spalle, mentre guardava con occhi stanchi la sua aguzzina, una donna alta, vestita di pelle.
I suoi capelli colore della terra fluttuavano nell'aria, come se non fossero sottoposti alla forza di gravità, rendendola attraente e pericolosa, una sorta di Medusa.
Una sberla, in pieno viso.
"Ti avevo dato un semplice compito, Ilidien." disse, quasi sibilando. L'aria nella stanza sembrò caricarsi di paura e terrore più di quanto ne fosse già intrisa.
"Dovevi infiltrarti a palazzo e poi condurre a noi i due Guardiani con la Rosa, ma non sei capace di fare nemmeno questo."
Stavolta nessuna sberla, ma la donna di pelle caricava ogni parola con un disprezzo tale che sembrava che quelle stesse parole pugnalassero la donna torturata come le lame non sapevano fare.
Un lampo mi attraversò la mente, poi.
Bianca me ne aveva parlato: era la donna che si era gettata dalla finestra del palazzo, a Salismatra. Credevo fosse morta e questo testimoniava quanto ancora avessi da imparare.
Ora eccola, la Dama Arborea torturata da quella che forse era il suo capo.
"Ti avevo detto che dovevi portarmi dei successi." continuò. Ogni volta che apriva bocca, l'aria nella stanza si faceva più fredda, glaciale, come se le molecole sparse nell'aria fossero spinte a congelarsi.
Battevo i denti, non so se per il freddo o per la paura.
"Vi...vi pr..prego" tossicchiò, "Mia...mi..signor..a"
Non potei che provare pena per lei, anche se non si trovava dalla nostra parte. Mi strinsi le mani al petto.
"Sei inutile, completamente." continuò la donna che continuava a darmi le spalle: era terribilmente seducente, per essere malvagia.
Poi una stretta convulsa mi strinse lo stomaco. Successe tutto in un secondo e la donna-Medusa si mosse con un'abilità tale che faticai ad imprimere il percorso del suo braccio nella mente.
L'arma, presa dal tavolo vicino, luccicò violentemente alla luce della luna, stridendo di nero piacere mentre si conficcava nel petto di Ilidien, aprendo la pelle e la carne, facendo sgorgare sangue, trapassandolo da parte a parte.
Quello che vidi fece scattare una scintilla in me, costringendomi ad uscire allo scoperto, anche se ormai non potevo far più nulla.
"NO!" urlai, più forte che potevo, quasi correndo verso Iliedien, ma mi bloccai, quando la donna che l'aveva trafitta si girò e mi rivolse un sorriso gelido, calcolatore.
Mi tappai la bocca, inutilmente, mi mancò l'aria quando i suoi occhi si ancorarono ai miei: due occhi di ghiaccio, dalle pagliuzze dorate che risaltavano sul colore tenue di sfondo.
I capelli castani, che fluttuavano senza gravità, le davano un'aria da dea immortale, il vestito di pelle, nero, stretto al corpo, le donava perché esaltava minuziosamente le sue curve.
Alla vita portava una cintura, per le armi credo.
"Sei arrivato, finalmente." sussurrò, la voce traboccante di male e piacere folle, mentre si rigirava la lama nelle mani, dando le spalle alla donna incatenata, "Sapevo che non avresti saputo resistere, d'altronde l'altruismo è il tuo punto debole, no?" chiese, retoricamente.
Mi si avvicinò, mentre io indietreggiavo, inutilmente, dato che dietro di me c'era solo un muro.
Fummo a pochi passi di distanza: ero letteralmente terrorizzato, la guardavo con gli occhi della preda indifesa.
Ogni singola cellula del mio corpo urlava di allontanarmi da lei, di scappare, di spezzarle il collo, se necessario.
Ogni singola cellula del mio corpo urlava al rifiuto, sentendo l'odore di dolore e morte che portava con sé.
Ogni singola cellula del mio corpo urlava la paura che provava, il sentimento primordiale che la preda prova dinanzi al suo predatore.
Sorrideva, fredda, mentre i suoi occhi luccicavano.
"È un peccato che tu non sia veramente qui." mi disse, trapassandomi il mio corpo con la lama, constatando che ero una sorta di spirito.
Rabbrividii quando vidi che la lama mi stava arrivando dritta al cuore. Buttò via l'arma e si avvicinò al mio orecchio.
"Mi sarebbe piaciuto assaggiarti." sussurrò, con voce suadente. Premetti le mani al muro, per impedirmi di tremare come un idiota, il sangue pulsava forte nelle tempie.
"È uno scherzo?" domandai, con un filo di voce, ingoiando un groppo di paura che mi era salito in gola, alla vista di tutto ciò che mi circondava.
"Cosa?" mi chiese lei, melliflua, sedendosi, accavallando le gambe, su un tavolo dove erano riposte varie armi di tortura, sentendosi a suo agio in mezzo a tutto quel dolore.
Non ebbi la forza di risponderle, ma mi limitai ad indicarle con gli occhi ciò che avevamo intorno, lei scoppiò in una fragorosa risata, pur mantenendo il ghiaccio nella sua voce.
"Le segrete del palazzo della Congrega." rispose, con voce calda, ammaliatrice, "Non avere paura."
Mi sembrò che, se fosse stato possibile, il battito cardiaco aumentò all'impazzata, ma poi,
quando tornavi a guardarla, il cuore si rifiutasse di battere perché pensava solo a scappare.
Provai un tale contrasto dentro di me che mi sembrò che mi stessi dividendo in due.
"Avevo tanta voglia di conoscerti." sussurrò, con fare suadente. Se sperava di ammaliarmi si stava sbagliando di grosso: in quel momento la paura era il sentimento che mi dominava, che dominava il mio cuore, non la voglia di apprezzare qualcosa.
Sorrise maliziosa.
"Eri così attraente quando mi hai gettato contro la furia della Terra, in quell'ufficio."
Fu come se mi avessero appena sfilato il terreno da sotto i piedi, il che non doveva essere una grande perdita per uno spirito, ma mi sentii perso.
"Com'è che si chiamava...Medigan? No. Morgan?" propose lei, con fare pensoso. "No, si chiamava Mark o meglio, Esperimento Megan, n. 12." disse, sottolineando con enfasi l'ultima parola.
"Tu!?" chiesi, a metà tra il sorpreso e l'irritato.
Lei rise.
"Eri attraente, mi sei subito piaciuto Ric, posso chiamarti così, vero?" domandò, continuando a sorridere, maliziosamente, venendo verso di me.
“No.”
“Va bene Ric.”
"Che vuoi da me?" domandai, mettendo insieme quelle parole, sperando di non incastonarci la paura, in esse, "Vuoi uccidermi?"
L'aria si riempì della sua risata, sguaiata.
"Certo che no, non per ora, almeno." rispose, sfiorando i miei capelli con le sue dita. Ero immobilizzato e non so bene da cosa.
"Voglio solo parlarti, Ric." sussurrò al mio orecchio dove mi fece solletico con i suoi capelli castani, da dea immortale.
Parlarmi?
"Che cosa vuoi?" domandai, corrugando la fronte, mettendo enfasi in quelle parole.
"Ti ho detto che voglio solo parlarti." mi ricordò, freddamente, "Per questa volta." aggiunse, sadica.
Quegli occhi di ghiaccio, quegli occhi mi dicevano che era meglio non sfidarla, considerato che aveva appena ucciso una donna che adesso penzolava miseramente dietro le sue spalle, illuminata dalla luce debole della luna.
"Sai tutto riguardo alla Luna di Sangue, vero?" mi chiese.
Annuii e lei mi rivolse un sorrisetto sghembo.
Farmi ricordare adesso ciò che avevo letto rese il tutto più spaventoso. Desiderai avere Bianca vicino a me.
"Voglio stringere un'accordo con te." disse, melliflua.
Digrignai i denti, non so perché, ma sentivo che era la cosa giusta da fare.
"Rinuncia alla luce, rovescia assieme a me la Congrega e ti assicuro che non morirete, te e tua sorella. Hai la mia parola." espose, passandosi una mano nei capelli con fare seducente.
Sgranai gli occhi.
"Scordatelo." le risposi, convinto. Ghignò.
"Sapevo che l'avresti detto." rispose, "Ma sei hai letto per bene come avverrà il sacrificio, un'offerta come la mia non si può di certo rifiutare."
Si avvicinò a me, guardandomi negli occhi.
"Rovesciamo assieme la Congrega e il mondo, dominatore della Terra, e ne sarai padrone per sempre." sussurrò, ancora, "Fino alla fine dei tempi."
Un'offerta del genere avrebbe fatto gola a chiunque: potere, immortalità.
"No." risposi, deciso, determinato come non mai.
"È la tua risposta?" domandò, "Stiamo parlando della vita e della morte." mi ricordò, con fare suadente.
"Non attacchi con me, chiunque tu sia."
Iniziai a brillare, non so il perché. Sembrò delusa, ma poi sorrise, fredda.
"Bada bene, giovane Guardiano. La prossima volta che ci vedremo saremo nemici, ricordalo."
Guardò all'apertura dalla quale entrava la luce di luna e giuro che mi sembrò che stesse sorridendo, sadica.
"Alla prossima luna piena."
Buio.


*Angolino del fantastico, mitico, stupendo, fichissimo, superlativo autore*
Ed eccomi con il dodicesimo capitolo, bimbi xD Ho aggiornato il prima possibile perchè non voglio che aspettiate tanto per leggere il prosieguo, ma abbiate pazienza, la scuola mi sta uccidendo già da adesso :/
Pensate che devo fare già un compito di matematica giovedì 10, quindi -.-'' Quindi scusatemi se non riesco ad aggiornare rapidamente come vorrei ^^"""

Ma passiamo alla storia, che sicuramente è molto pù interessante della mia vita V_V
Il nostro piccolo e puccioso Ric si sente stanco.
*coro di insoddisfazione*
Vorrei vedere voi con una ferita all'addome, un peso sulle spalle da portare e gli occhi pieni di macabre scritte se non sareste stanchi V_V E beh, cosa fa uno che si sente stanco?
*domanda da un milione di euro*
Va a dormire, ovvio no? V_V Così il nostro Ric si addormenta sul suo lettino carino di seta quando in cielo sferragliano gli ultimi raggi del sole. Si ritrova, sottoforma di spirito, nelle segrete del palazzo della Congrega.

Note: dovete sapere che i sogni sono sempre stati considerati un mezzo di trasporto, quindi io l'ho sfruttato nella mia storia. Con i sogni puoi arrivare ovunque e in essi il tempo scorre diversamente, chiaro? U_U

Bene, assiste alla morte (si, stavolta è andata davvero. A dir la verità ero tentato se iscenare una finta morte, solo per spaventarlo, ma poi mi sembrava troppo inversimile il fatto di una che torna dalla morte per due volte V_V ) di Iliedien per opera di una donna sexy e seducente (*-*) dicuinonsappiamoilnome. Badate bene, non lasciatevi ammaliare dalle sue labbra carnose o dalle sue curve, per non dire altro, molto erotiche, perchè è una capace di:
1) sedurvi.
2) sventrarvi come un pollo.
3) mangiarvi crudi.
Meglio non scherzare con E...*si tappa la bocca*
Ehm.
Propone al nostro Ric un accordo che rifiuta (ah, santo benedetto ragazzo U_U) e, indirettamente, gli fa capire che se ne pentirà. (non temete, tra qualche capitolo arriva tutto xD Si va con l'azione vera e propria ^^)
"Alla prossima luna piena" bimbi, e non dimenticate: non abbiate paura del buio, non sarete mai soli U_U

King chesenevaperchèhasparatoancheabbastanzacazzate U_U


*Angolo dei ringraziamenti*
Per le preferite: Bianca_Bembi, EmiDom, Water_wolf, Butterfly_98, karygreenstar

Per le ricordate: Rack12345

Per le seguite: ARCOBALENO_, Bianca_bibi, Dark_Shadow, ladyathena, LailaOsquin, LoveForHachi, Siel. _Charlie_, _GocciaDiSangue_, Arya373, Dark_Shadow, Zahir Arcadia,


 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. Scontro tra Titani ***


13. Scontro tra Titani
*Richard*
 
Scattai a sedere, sul letto, con un urlo che mi stava morendo in gola poichè non aveva abbastanza forza per uscire. Gocce di sudore bagnavano il mio viso, respiro affannoso confondeva l'aria tranquilla della camera.
Volsi uno sguardo all'alta finestra di vetro: la luna scintillava alta nel cielo, quasi completa, dipingendo il paesaggio di una sfumatura gelida, gelida come quegli occhi che erano impressi nitidamente nella mia memoria.
Macabra madre delle stelle.

"Raven Maxima Ego Subterra Manor" esclamai, puntando la mano al terreno, "Raven Maxima Ego Subterra Manor" ripetei, con più forza, ma non successe nulla.
Chiusi con rabbia il libro di magia, frustrato.
Alzai gli occhi al cielo, terso, così tranquillo rispetto alla volta celeste della notte passata, come se quel gesto potesse risolvere tutti i miei problemi. Chiusi gli occhi. Rivedevo quella luna quasi piena, quegli occhi ghiaccio. Sentivo quella voce maledettamente suadente sussurrarmi parole di miele alle orecchie, la voce della donna di cui non sapevo nemmeno il nome.
Aprii gli occhi, cercando di concetrarmi per cercare di attivare un fottutissimo incantesimo, cosa che non stava funzionando.
Inspirai ed espirai profondamente.
"Raven Maxima Ego Subterra Manor!" pronunciai, scandendo ogni parola con attenzione. Niente.
Stavo per gettare tutto all'aria, davvero. Il sole che mi accarezzava dolcemente, cullandomi tra i suoi raggi caldi, quando sentii una voce.
"Ehi Ric!" esclamò, accompagnata da una pacca sulla spalla sinistra. Fui riscosso dai miei pensieri. Drizzai la schiena.
"Ti ho spaventato?" chiese, quasi ridendo. Bianca.
Le sorrisi, invitandola a sedere accanto a me, come avevamo fatto così tante altre volte all'orfanatrofio. Immersi i miei occhi nei suoi, cielo, intensi come lapislazzuli, che scintillavano dolcemente, mandando vari riflessi cangianti.
Trassi un respiro profondo, preparandomi a rivelarle ciò che avevo scoperto. In fondo doveva sapere anche lei, era giusto. Ma se da una parte volevo avvertire Bianca su ciò a cui stavamo andando incontro, dall'altra qualcosa premeva affinchè non lo facessi, affinchè io proteggessi il segreto.
Le immagini, ancora così vivide, scorrevano davanti ai miei occhi come un film velocizzato.
"Allora, che succede?" mi chiese, scostando una ciocca di capelli biondi, portandola dietro un orecchio. Cercai di sorridere, ma si accorse che era forzato.
Ragionavo su come dirglielo senza farla preoccupare troppo, ma era impossibile non preoccuparsi ad una notizia del genere. "Allora, cosa è successo?" ripetè, coprendo il simbolo da Guardiano sull'avambraccio con l'altra mano. Sotto la luce del sole i suoi capelli sembravano andare a fuoco, anche senza i suoi poteri.
"Niente." mi affrettai a dire, decidendo di non riverlarle nulla, mentendo per il suo bene, "E che stavo provando qualche incantesimo, ma non funzionano e pensavo che tu potessi aiutarmi." dissi, sorridendo incoraggiante, inventando una bugia che fosse abbastanza credibile, "Ora che sei una Guardiana." aggiunsi, sorridendo beffardamente.
Lei rispose al mio sorriso.
"Che stavi provando?" mi chiese, aprendo il libro di magia dalla copertina di pelle consumata, antiquata, corrugando la fronte nell'atto di pensare.
Le indicai la pagina giusta.
"Perchè ti interessa un incanto di invisibilità?" domandò, confusa. Io mi strinsi nelle spalle, facendo un'espressione di indifferenza: poteva sempre tornarci utile un modo per scappare senza farsi notare, no?
"Un incanto come un altro, è il primo che ho trovato aprendo il tomo." mentii, ancora.
Scrollò le spalle.
"Se c'è una cosa che ho imparato da quando siamo arrivati a Linphea è che per poter attingere a qualsiasi potere magico devi crederci, prima di tutto." spiegò, gesticolando con una mano. Indicò un arbusto: i suoi occhi scintillarono e quello prese fuoco.
Nello stesso attimo in cui la pianta prese a bruciare, sentii alzare la mia temperatura corporea diventando più caldo ad ogni secondo che passava.
Fissai prima Bianca, poi l'arbusto, senza comprendere cosa stesse succedendo. Mi toccai il petto, dove il cuore stava prendendo a battere con più forza, il sangue pulsare velocemente nelle vene.
La ferita ardeva, poichè l'avevo riaperta il giorno prima per leggere il libro. Sfiorai la pelle, sempre più rossa, sempre più a fuoco.
Sgranai gli occhi quando i peli sulle braccia e i capelli cominciarono a fumare. Scoccai un'occhiataccia a Bianca. L'arbusto si spense, così come si era acceso.
"Stavo andando a fuoco!" protestai, scattando in piedi, quasi alzandomi sulle punte per essere più alto di lei e per incuterle una certa paura, credo.
"Non sapevo che fossi collegato direttamente alla natura stessa." ribattè lei, lisciandosi ciocche bionde di capelli, "A me non succede." si scusò, scrollando le spalle.
Le scoccai un'occhiataccia che avrebbe fatto raggelare anche il sole sopra di noi. Lei si alzò.
"Comunque ora sai cosa fare." disse, rivolgendomi un'occhiata menefreghista. I suoi capelli dondolarono al vento, sfiorandomi mentre lei ritornava al castello.
Digrignai i denti e schioccai le dita: radici proruppero dal terreno, all'istante, e si avvolsero come spire di serpi intorno alle sue gambe, con l'intento di trascinarla a terra, ma la cosa si rivelò più difficile del previsto: qualche forza si stava opponendo al mio dominio? O forse ero solo io che ero ancora troppo debole?
Stadi fatto che la forza vitale che scorreva nella piante si stava consumando, come se si stesse incenerendo per combustione spontanea.
Guardai prima la radice, poi Bianca, ancora girata, ma sapevo benissimo che stava sorridendo.
Sentii un brivido corrermi lungo la schiena e lasciai immediatamente il controllo della radici poco prima che Bianca si voltasse, bersagliandomi di sfere infuocate. Feci appena in tempo a scansare i colpi per evitare di venirne arrostito e la guardai negli occhi, dove ardeva un fuoco alimentato da competitività e voglia di vincere.
"Che stai facendo?" le dissi, quasi urlando.
Lei mi fece uno di quei sorrisetti odiosi che le riuscivano bene.
"Hai chiesto il mio aiuto, beh, te lo sto dando." rispose, muovendosi così velocemente che feci fatica a seguire i suoi movimenti con gli occhi.
In men che non si dica, prima che potessi rispondere mi ritrovavo contro diverse fiammate che mi stavano attacando su fronti diversi, in modo da spiazzarmi, "Il potere non si alimenta solo con la fede, ma soprattutto con le emozioni." esclamò.
Non sapevo cosa fare, non avevo mai combattuto, tranne quella volta con Mark o, come avevo scoperto, Esperimento Megan, n. 12.
Mi affidai completamente all'istinto: serrai i pugni e li rilasciai, alzando la terra affinchè mi creasse un'armatura capace di resistere al suo attacco.
Chiusi gli occhi, cercando di tenere quel blocco di terreno su, cosa che si rivelò piuttosto difficile, considerando che lei era una vera Guardiana, al contrario di me.
La terra cominciò a creparsi e io pregai "No, ti prego, no!"
Non ci fu nulla da fare: sentii che il legame con il mio elemento era debole, troppo debole per resistere ad un attacco del genere. Allo stesso tempo sentivo la voce di Bianca che mi incitava a contrattaccare.
"Non ce la posso fare." mi dissi, vedendo le profonde crepe della mia armatura, non potevo batterla. Poi qualcosa scattò dentro di me, come un interruttore di volontà: mi passò la mia vita davanti: io e Bianca dopo l'incidente, contro i bulli, lei che mi proteggeva.
Mi resi conto che dovevo avere più fiducia in me stesso, più determinazione. Bianca stava riaccendendo quella scintilla che avevo sepolto nelle parte più recondite del mio animo. Quando terminò il suo attacco, mi mossi veloce: feci cadere l'armatura, lasciando che tornasse alla terra, e la guardai dritta negli occhi.
In qualche modo capì e sorrise, in segno di approvazione. Il suo marchio scintillava di potere: la fiamma nera guizzava come se fosse mossa dal vento, mentre la scritta Ignis continuava a rilucere di rosso.
Sapevo che era al culmine del suo potere e lo stava usando per aiutare me.
Anche se non ero ancora un Guardiano vero e proprio, potevo pur sempre controllare la terra. Mossi la mano con una agilità che non sospettavo di avere, trasmettendo i miei pensieri sulla natura circostante: sentivo il mio potere fluire al di fuori di me, circondarmi come una seconda pelle.
Non sarebbe stato difficile: quello era il giardino reale, il mio territorio.
Quando lo pensai, mi sentii potente, come se nulla potesse fermarmi, in quel momento. "Andate, attaccate, sconfiggete."
La mia voce interiore sembrava spiritata, ma sentii un battito che rispondeva al mio comando. All'unisono, si sentì un rumore fragoroso, possente, come se cadessero massi dal cielo, e il cinguettio spaventato degli uccelli: gli alberi presero a camminare sulla terraferma, sulle loro radici.
Gli arbusti, i fili d'erba, ad avvilupparsi al corpo di mia sorella. Osservai la mia opera, anche se il legame con la terra era ancora debole, ma cercai di rinforzarlo come meglio potei, sperando che non mi abbandonasse proprio adesso. Sorrisi, con un sorriso identico a quello che lei aveva sfoggiato prima.
Contemporaneamente alla natura vivente, mutai il terreno sotto di lei in fango e cercai di renderlo il più denso possibile, in modo che ci finisse dentro e potessi solidificarlo nuovamente.
Bianca sembrava impressionata, come qualcuno a cui devi dimostare che sei capace di fare quella cosa che ti chiede, ma durò poco e, in qualche modo, sapevo che stava per distruggermi.
Prese a respirare, circondandosi di un cerchio infuocato che continuava ad aumentare al ritmo del suo respiro, arrostendo i fili d'erba e gli arbusti che le erano cresciuti sul corpo.
Non sembrava nemmeno minimamente preoccupata del fango che circordava i suoi piedi, continuava semplicemente a respirare, tenendo i palmi aperti, rivolti al terreno.
"Arrenditi Ric, non puoi battermi." esclamò lei, a metà tra il dolce e l'amaro. I suoi capelli vorticavano alzati da un vento innaturale, che alimentava le sue fiamme rosse.
"Solo perché sei una Guardiana?" la provocai io, fingendo di pensarci su e solidificando allo stesso tempo il fango sotto i suoi piedi.
Lei mi sorrise e per un attimo mi sembrò la donna del sogno, stessa espressione seducente, stessa aria potente negli occhi. Per poco non persi il controllo, ma dovetti farlo più tardi: stava sfoggiando contro di me un incanto di proporzioni enormi.
Sentii il potere della terra rendersi sempre più debole, sempre più vulnerabile, facile da spezzare, come se qualcuno stesse tagliando i fili che mi tenevano legata a lei.
L'aria si colorò di rosso, arancio e ocra, come fossimo già al tramonto. Il sole scintillò con più forza.
"Non costringermi."
Sgranai gli occhi, capendo solo ora cosa stesse per fare, cercando di limitare i danni, ma non ci fu verso. Il tempo sembrò fermarsi, poi l'aria fu squarciata dal rombare di un onda d'urto.
Gli alberi si fermarono, sul posto, prendendo a seccare, a morire sotto i miei occhi. Sentii il mio legame con il mio elemento così' debole che iniziai a dubitare che esistesse davvero.
Caddi in ginocchio.
"Ignis Maleditio" declamò, avvicinandosi a me. Ora che ero stato sconfitto, anche se era solo un'esercitazione, mi sentivo pieno di rabbia, di cieca frustrazione.
Mi ero illuso di poterla battere.
Mi ero illuso che per una volta avrei fatto io la bella figura.
Mi ero illuso che anch'io potevo diventare un Guardiano.
Urlai con tutta la forza che avevo in me stesso, e ancora, e ancora, sempre più forte. Sentii la pressione della mano di Bianca sulla spalla, che cercava di calmarmi. Non sapevo nemmeno io che stavo facendo.
"Il potere non si alimenta solo con la fede, ma soprattutto con le emozioni." aveva detto Bianca: era quello che stavo facendo.
"Ric, calmati!" cercò di rassicurarmi lei, "Era solo un allenamento! Ric!"
La terra rispose al mio richiamo: il terreno sussultò, sempre più forte.
"Ric, stai facendo tremare tutto, fermati!" gridò Bianca, preoccupata. Sentii un dolore acuto sull'avambraccio destro, lancinante.
Il marchio della Terra.
In quel momento mi sentii pronto ad affrontare un esercito intero.  Sentivo il potere, il dolore, il sangue. Sentii uno schiaffo sulla guancia.
"Ric, rispondimi!" ordinò Bianca. Sentivo ancora il dolore sull'avambraccio, ma stava scemando, così come la furia che mi accecava.
La terra smise di tremare. Aprii gli occhi, guardando mia sorella.
"Sto bene." sussurrai, cercando di mettermi seduto a mezzobusto, dato che mi ritrovavo sdraiato per terra, la stessa terra che avevo fatto tremare.
Misi a fuoco la ragazza che prima aveva scatenato in me quella rabbia, quel dolore. Ora volevo solo abbracciarla, non so il perchè.
"Che ti è preso?" domandò, permettendomi di alzarmi.
"Non lo so." dissi, cercando di far ordine nei miei pensieri, "Davvero." la rassicurai, "Ero solo arrabbiato con te." Mi bloccai, sgranando gli occhi quando il mio simbolo mi passò davanti agli occhi.
"Io...io..." boccheggiai, guardando mia sorella.
Lei inarcò un sopracciglio.
"Il tuo marchio." disse, "Hai creduto?" mi chiese, con fare serio. Io guardai prima lei, poi il simbolo e scossi la testa. "Non ne sono sicuro, ma non mi ricordo di essermi detto "Io sono il Guardiano della Terra!"" dissi, imitando un tono burbero, scrollando le spalle, "So solo che ho provato emozioni forti dentro di me, nient'altro."
Mi guardò. Ebbi paura che mi avrebbe preso a schiaffi.
"Congratulazione, Guardiano." mi disse, allargando la bocca in un sorriso, "Vedi che incazzarsi fa bene?"

Mi svegliai nella mia stanza, quando ormai era già sera. Non ricordavo di esserci andato da solo, che Bianca mi avesse stregato?
Guardai il marchio: un albero antico, maestoso, smosso dal vento. Sulla parte inferiore del tronco, dove era attaccato al terreno, vi era la scritta Terra.
Stupito, questa era la parola giusta per descrivermi. Ero diventato un Guardiano vero e proprio?
Mi alzai dal letto, stiracchiandomi, facendo scrocchiare le ossa una ad una e tesi l'orecchio alla finestra, per testare i miei poteri.
Riuscivo a sentire ogni singola parola, ogni singolo movimento. Nelle orecchie risuonava un battito, lo stesso battito che avevo udito qualche giorno prima con Maya, quando mi aveva accompagnato nel giardino del castello: era il battito stesso della Terra.
"Straordinario." pensai, quando constatai di riuscire a muovermi più velocemente di un qualsiasi uomo mortale, proprio come aveva fatto Bianca prima, mentre ci allenavamo, arrivando da un capo della stanza all'altro in una frazione di secondo.
Dovevo sentirmi gasato, lo so, e lo ero infatti, ma c'era anche qualcos'altro dentro di me che mi preoccupava. Fui riscosso dai miei pensieri dai delle parole di alcune serve che passarono vicino alla mia porta, parlando della cena che stava per cominciare nella sala dei banchetti.
"La cena! Maledizione!" mi dissi, battendo il dorso della mano sulla fronte. Era vero, quella sera c'era la cena indetta dal re al quale partecipavamo io e mia sorella, con tutta la corte reale.
La voglia, praticamente, era a zero, ma in qualità di Guardiano della Terra dovevo apparire, anche se non ne avevo la minima voglia. Prima che avessi una frazione di secondo per farmi coraggio e dirmi di partecipare, le serve accorsero per vestirmi, ma io le ricacciai indietro, forse anche aggressivamente, ma ero l'unico modo possibile visto che non volevano sentire ragioni di andarsene.
A fatica, le spinsi fuori dalla camera, chiudendo a chiave. Non avevo la più pallida idea di cosa mettere per quell'occasione.
Il re, la sua corte: dovevo vestirmi in modo elegante?
Alla fine, immergendomi in quegli armadi enormi, colmi di vestiti, optai per una maglia a maniche lunghe marrone chiaro, morbida, con cappuccio e uno scollo a V che si poteva stringere con dei lacci neri, un paio di pantaloni stretti dello stesso colore e stivali scamosciati, leggermente più scuri.
Di malavoglia, mossi le gambe che non vedevano l'ora di sedersi e riposare, verso la sala dei banchetti, dove si sarebbe tenuta la cena.
Odiavo quei maledetti corridoi, sembravano tutti uguali, ma alla fine arrivai dove dovevo arrivare. La porta di legno, levigato a sbalzo, era chiusa.
Sembrava anche molto pesante. Riluttante, spinsi la porta con forza.
Mi maledissi per averlo fatto, dato che irruppi nella sala quasi perdendo l'equilibrio, visto che la porta non era così pesante come pensavo. Mi ritrovai un sacco di occhi puntati contro e io sorrisi, nervosamente, non pensando alla figuraccia che avevo appena fatto. Ecco un motivo in più per odiare quelle stramaledettissime cene e feste. "Ehm...buonaseeera." dissi, nervoso.
Cercai con gli occhi Bianca e rimasi con la bocca aperta quando la intercettai: vestita con un abito lungo sino ai piedi, nero come l'ebano, senza spalline, aderente perfettamente alla sua figura, enfatizzante le sue curve, il classico abito a sirena.
Il nero lucido del vestito risaltava la sua pelle chiara e i capelli biondi, per metà raccolti con pettini pregiati, mentre l'altra metà lasciata cadere morbida, sciolta.
Sedeva accanto al re, alla sua destra e anche lui la guardava deliziato, mentre io sembravo un semplice cacciatore, una nullità rispetto a tutti i presenti.
Cercando di non mostrare il nervosismo che stavo provando, passandomi una mano nei capelli scuri, mi diressi con passo più calmo possibile alla sinistra di Caleb, perfetto come sempre. Con lui al fianco sarei sembrato ancora più sciattone, ne ero sicuro, ma presi posto lo stesso, davanti ad un piatto d'oro, fondo, poggiato su un disco dorato, luccicante, con vicino calici, fiori e caraffe.
Bianca mi rivolse uno sguardo teso, ma poi sorrise, forse perché la guardavano tutti i presenti di sesso maschile. Il re le sussurrò qualcosa all'orecchio, lei rise.
"Bene, ci siamo tutti." disse, guardandomi, o meglio volgendo il capo alla mia mano sinistra. La nascosi sotto la maglia di tessuto fine e arrossii leggermente.
Cercai di fare l'indifferente, provando interesse per l'elaborato lampadario di cristallo che illuminava la sala dei banchetti.
Lui mi sorrise, come a dire che andasse tutto bene, poi tornò ai suo ospiti. Potevo anche rilassarmi, adesso. Dopotutto era piacevole stare lì, trascurando il fatto che avevo fatto una figuraccia e che sembravo uno sciattone e che la luna piena era, secondo i miei calcoli, tra due giorni.
"Come sapete, questa occasione viene festeggiata da secoli sulla terra di Linphea. Uno dei momenti più intrisi di magia, si manifesta proprio stanotte, nella notte più scura e allo stesso tempo chiara dei tempi." declamò Caleb, "Ed è nostro dovere fare altrettanto!"
Caleb si alzò, portando il calice in alto.
Scattammo in piedi, tutti, e bevemmo un sorso dalla coppa riempita davanti ad ogni piatto, proprio come stava facendo lui con il suo calice.
"Che la festa del Plenilunio cominci!"

 - - - - - - - - - 

*Angolino dell'autore*

Ok, uccidetemi, vi prego ! ^^"" Prendetemi a pugni, picchiatemi se volete, ma almeno leggete la storia :) Non aggiorno da secoli e mi scuso: la scuola mi sta uccidendo ^^"""

Spero che lo scontro tra i due fratelli vi sia piaciuto. Ric è finalmente diventato un Guardiano, ma se sapesse... Il Plenilunio è arrivato e con lui arriverà presto: "Bellezza e Forza", il prossimo capitolo xD

Vi prego, recensite se vi va ^^
King

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. Sotto Scacco ***




Il Sangue? 
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare ...

14. Sotto Scacco
 
*Richard*
 
Per poco non mi affogai con quel maledetto sidro di miele che, per altro, era maledettamente buono. Guardai Caleb, incredulo per ciò che stava succedendo, incredulo che mi fossi sbagliato, incredulo per ciò che sarebbe successo una volta che la luna avrebbe rischiarato la vallata circostante a Salismatra con la sua luce argentata.
"Vuoi dire che la luna piena è stanotte?" chiesi, sgranando gli occhi, sperando che non fosse vero, che mi stessero prendendo solo in giro, ma sapevo, in cuor mio, che quella notte sarebbe stata la notte.
Lui annuì, sorridendo e invitandomi a guardare sopra di me: il lampadario si spense e le candele sulla tavolata si accesero, accompagnate dall'aprirsi di una botola sul tetto, rischiarando la sala con una leggera luna argentea proprio sopra di noi.
Aprii la bocca, estasiato e impaurito allo stesso tempo: dal buco rotondo filtrava la luce della luna, feconda, piena nel grembo del cielo.
"Alla prossima luna piena." mi disse la voce della donna nella mente.
Solo adesso la guardai con disgusto. Mi sembrò che le macchie sulla sua superficie formassero una bocca e facessero si che il globo lunare sorridesse, malignamente.
La sala, all'improvviso mi sembrò più gelida. Cominciai a tremare, ma non so se fosse una reazione al freddo che sentivo o per quel ronzio che aveva preso piede nella mia testa.
Spostai lo sguardo dall'apertura nel soffitto ai cortigiani, impietrito: volevo dire qualcosa, volevo avvertire tutti del pericolo che stavamo correndo, ma le parole mi morirono in bocca.
Bianca mi guardò, con uno sguardo del tipo: "Che diavolo ti prende?".
Le feci un sorrisetto preoccupato.
I cortigiani presero a mangiare: per un secondo la sala fu riempita solo da chiacchiericci, rumore di posate dedite ad infilzare i cibi prelibati che abbondavano sulla tavola. L'alcol che veniva versato, calici e coppe brindavano festosi.
Erano tutti felici, chi ero io per rovinare loro quella serata?
"Sei il Guardiano della Terra, cretino." disse una voce dentro di me.
"Sta zitta!" la rimbrottai io.
Dovevo dirglielo, forse, anche se la luna era sorta ormai. Forse potevano ancora organizzare le difese intorno a Salismatra.
Mi alzai in piedi, sbattendo delicatamente una delle posate sulla superficie del calice che avevo davanti, così forte che il calice si deformò.
Guardai il danno e posai la forchetta, sentendomi al centro dell'attenzione.
Come si chiamavano gli abitanti di Linphea? Linpheiani?
"Membri della Resistenza." iniziai io, scansando l'ostacolo, "Devo dirvi una cosa impor..."
Il ronzio nella mia mente si fece più intenso, accompagnato da bisbigli cupi, sussurri continui. Mi portai le mani alle orecchie, come a bloccarle, ma non ci fu verso.
A questi si accodarono lamenti, urla strazianti, dolore puro. Sentivo i nervi tendersi e spezzarsi, sentivo alzare la temperatura corporea, sentivo la mia carne trafitta da spade e scuri.
Il mio corpo che sembrava colto da spasmi bruschi e improvvisi.
Sentii lo stridere delle gambe delle altre sedie strisciare violentemente sul pavimento lucido di legno, voci sommesse possenti circondarmi.
Urlai.
Si, è questa la verità, urlai con tutto me stesso. La mia vista si venò di rosso, di sangue. Il marchio della Terra bruciava e il dolore pugnalava, nel vero senso della parola, e all'improvviso capii cosa fosse: il dolore puro, primordiale, della terra stessa.
In qualche modo riacquistai il controllo del mio corpo, sentendo la pressione di mani che scivolavano sul mio corpo.
Ebbi solo la forza di dire: "Stanno arrivando."
 
 
Ciò che successe nelle ore successive è solo un vago ricordo: la gente urlava, sentendo i corni di guerra risuonare nella vallata rigogliosa, abbattuta, sferzata dalle fiamme, dalle armi, dalla cattiveria umana.
Gli uomini di Salismatra era nulla in confronto a ciò che ci si stava dirigendo contro: un intero esercito, enorme, composto da demoni, uomini, donne. Da stregoni, da esseri che la terra aveva persino dimenticato.
Macchine da guerra bersagliavano le solide mura del castello, armi oscure spazzavano via le migliaia di vite dedite alla luce. Le porte abbattute, i corridoi devastati, il sangue versato.
Sudavo freddo, seduto su una sedia, cercando di non pensare al dolore che toccava la carne come un eco.
Erano tutti scappati dalla sala dei banchetti, facendo rimanere solo me, Bianca e Caleb che mi si avvicinò.
"Era ancora troppo presto." sussurrò, come a maledirsi, "Avevi bisogno di più tempo." continuò, "Prova a contenere il dolore, cerca di chiuderlo in una scatola nella tua mente. Come una riserva di energia, perchè quel dolore non è altro che Potere." mi indicò.
Persi i miei occhi nei suoi, poi li chiusi, cercando di immaginare che tutto quel ronzio che continuava a tuonare nella mente, si racchiudesse in una cella.
Respirai.
"Va meglio?" mi chiese lui. Annuii leggermente, cercando di rimettermi in piedi per combattere. Potevo vedere Bianca, nel suo abito da sirena nero, combattiva, con i pugni chiusi, con una luce folle negli occhi e Caleb, il re che aveva sguainato la sua spada tempestata di gemme e diamanti dal fodero che portava al fianco. Alla luce sinistra della luna, Caleb sembrava un essere sovrannaturale, un angelo vendicatore disceso su quella terra per portarvi pace, armato di una spada benedetta da Dio.
"Posso rimanere io a proteggervi." stava dicendo lui, ma vidi Bianca scuotere la testa, ricacciando indietro le lacrime, dedita a non perdere il controllo nemmeno in quella situazione di estrema pericolosità.
"No, hai un'armata da condurre." replicò lei, secca, trattenendosi, "Siamo due Guardiani, sappiamo proteggerci da soli." continuò.
Lui sembrò esitare, ma poi annuì, malinconico.
"Sembra un addio." sospirò, rivolto a mia sorella. Gli sorrise.
Ero io che ero mezzo stordito o quei due avevano si guardavano in un modo un pò troppo complice?
"Non..." cominciò Bianca che venne interrotta da lui.
Caleb la baciò, e per baciò intendo sulle labbra, con le loro bocche che si incontrarono, assaporando il sapore dell'altra.
Lei, prima confusa, si abbandonò al bacio.
Tossicchiai, alzandomi. Si staccarono, di malavoglia, Bianca completamente rossa in volto.
"Se avete finito..." dissi, mentre mia sorella si precipitava a darmi una mano, forse più per nascondere il viso da Caleb che per aiutarmi davvero.
Guardai il re, cercando di ignorare che il dolore accumulato volesse uscire dalla prigione nella quale l'avevo rinchiuso.
"Dovete scappare." ci spiegò lui, guardando mia sorella, "Il castello è collegato con l'esterno tramite un passaggio sotterraneo che sguscia proprio al limite della foresta di Diana." disse.
Annuì, piano, mentre lui spostava i suoi occhi cielo da me a Bianca.
"Ti ho passato il segreto." confessò, corrugando leggermente la fronte e arrossendo un pò.
"Il segreto può essere passato tramite uno scambio, ricordate?" ci chiese, "Beh, io e te ci siamo appena scambiati..."
Si bloccò, imbarazzato. "Avete capito, insomma."
Una blocco di dimensioni enormi attraversò la sala da parte a parte, ammassando macerie, blocchi di pietra e sollevando polvere.
"Prendete la Rosa Nera e andate."
Bianca mi aiutò ad alzarmi e io mi appoggiai a lei, ancora debole per la batosta ricevuta poco prima. Lei e il suo re si guardarono negli occhi e io in quegli occhi vidi più di quanto le parole potessero mai dire.
"Questo non è un addio." gli promise mia sorella, suggellando la promessa con un bacio.
"Ma guardali, i due adolescenti!" mi dissi, osservando che stavano avvinghiati come cozze, come due ragazzini davanti scuola.
"Non è il momento per diventare mio cognato!" sbottai io, notando che sembravano non volersi staccare più. Se possibile, Bianca divenne più rossa del suo stesso fuoco.
Uscimmo dalla sala dei banchetti, lasciandocela alle spalle. Un esplosione fragorosa smosse il maniero come una sorta di scossa di terremoto e tutto barcollò pericolosamente, una ragione in più per muoversi.
Caleb ci guardò malinconico, poi scomparve nel buio.
 
 
Bianca seguiva la traccia che luccicava sul pavimento, dopo che avemmo preso le nostre cose dalle stanze. Così diceva lei, ma io non riuscivo a vedere nulla. Immagino sia quello l'effetto del "passaggio del segreto".
Sinceramente non mi importava, mi bastava che trovasse la Sala della Rosa Nera e che uscissimo da quel castello vivi.
E se avessimo incontrato la cattivona che avevo sognato?
Questa era proprio una bella domanda.
 
Più di una volta dovemmo nasconderci per evitare demoni armati, pronti ad uccidere, favorendo della notte e del buio. Osservai quella maledetta luna traditrice, quel globo rotondo alto nel cielo che ora sembrava sorriderci malignamente, dipingendo la battaglia con la sua personale luce macabra e folle, chiedendomi il perché.
 
1. Perché avevo sbagliato i calcoli?
2. Perché tutto ci si ritorceva contro?
3. Perché eravamo così sfigati?
4. Perché eravamo dei Guardiani?
 
I perché erano tanti, troppi forse, e incasinavano la mia mente. Bianca mi teneva stretto a sé, casomai dovessimo nasconderci ancora e lei mi dovesse strattonare per avvisarmi.
"Fermi-dove-siete." ringhiò una voce, meccanica, "Se-non-volete-farvi-male."
Vidi Bianca sorridere, alla luce di un raggio di luna.
Ci bloccammo, mentre lui si avvicinava, a passo svelto. Era un uomo, sicuramente, appesantito dall'armatura di piastre che sbattevano l'una sulle altre. Sentivo il suo respiro affannoso.
Non so cosa avesse in mente mia sorella, ma sperai con tutto me stesso che il suo piano funzionasse.
Poco prima che ci fosse troppo vicino, gli occhi di Bianca scintillarono, no, dico davvero, scintillarono nell'oscurità di una leggera tonalità di rosso.
Sentii un urlo, un tonfo, un rombare di fiamme.
Mi voltai, leggermente, quanto bastava per poter vedere cosa gli avesse fatto: l'uomo, a quanto pare, era sobbalzato all'indietro, come se fosse stato colpito da un onda d'urto, e adesso stava andando a fuoco. Le fiamme crepitavano su di lui, mangiando la sua carne, nutrendosi del suo sangue.
È questo il vantaggio di avere una sorella iperprotettiva: incendierebbe chiunque senza farsi troppi scrupoli.
"Andiamo." sussurrò, "La Rosa è vicina." disse, indicando con il mento il corridoio di destra.
I corridoi iniziarono a mutare, come l'ultima volta che ci eravamo stati, con quelle terrificanti statue di donne che ti guardavano malignamente.
Ed eccola lì, la donna di pietra, dagli occhi lucenti, dai capelli ribelli e dalla veste a brandelli. Mi stava ringhiando contro, ne ero certo, ma Bianca la stava calmando, dicendole qualcosa. Adesso che ci pensavo, sembrava stesse cantando.
Sorrisi, alla statua, in maniera incoraggiante a qualunque cosa le stesse dicendo mia sorella. Bianca mi strinse un braccio, dicendomi in un linguaggio muto che potevamo proseguire, ma proprio quando stavamo attraversando il muro come avevamo fatto la volta precedente, qualcosa mi afferrò alla gamba e la strinse forte.
Buio.


*Angolino autore*
Ma salve, popolo di venticinque lettori xD *come Manzoni che odia a morte +-+*
Come va? Tutto apposto? ù_ù
Ecco il 14° capitolo. Avevo detto che si sarebbe chiamato "Bellezza&Forza", ma poi ho optato per un altro titolo e una trama del capitolo completamente diverso xD 
Come vi sembra? :) Fatemi sapere con una recensione, anche piccolissima ^^

Hasta Luengo! xD

King

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. Belezza e Forza ***



Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare ...



 
15. Bellezza e Forza
 
*Bianca*
 
 
Mi sembra incredibile.
Ric che mi esce pazzo due volte in un giorno, la Congrega che sta arrivando a Salismatra, a noi, Caleb che mi bacia.
Quando l'ho visto per la prima volta, non avevo pensato a lui come un mio possibile amore, ma poi mi sono accorta di quanto sapesse prendermi, cosa che nessuno aveva mai fatto.
Non credevo fosse innamorato di me, e neanch'io lo ero all'inzio, come ho detto. Lui che può avere il fior del fiore dell'aristocrazia linpheiana, perché ha scelto proprio me?
È proprio vero, l'amore non si sceglie.
 
Lasciai la sottile penna d'oca, bianca, striata da diverse sfumature di carbone, rileggendo ciò che avevo scritto. Volevo scrivere qualcosa di più, ma sapevo che là fuori si stava combattendo una guerra e che noi due dovevamo scappare.
Ero in ritardo, si, ma non avevo resistito alla tentazione di confessare, ciò che provavo in quel momento, ad un pezzo di carta, ad uno stupido, insensibile pezzo di carta. Mi alzai, bruscamente, dalla poltrona davanti allo scrittoio, piegando il foglio di pergamena per metà, raccattando alla rinfusa le mie cose in una sacca, buttandoci dentro altra carta, la penna d'oca e la boccetta d'inchiostro, sperando che non si rompesse e inzuppasse tutto.
 
 
La sala della Rosa Nera è identica a come l'avevamo lasciata il giorno precedente, non credevo di rimetterci piede in così poco tempo. La stanza era dominata da una luce fioca, quasi innaturale, illuminando solo la parte centrale della stanza, il resto era solo ombra, rischiarata principalmente dai boccioli di rosa che abbracciavano i pilastri portanti, polvere e magia.
Ric ansimò, quando entrammo nel portale la strega aveva aperto per noi.
"Stai bene?" gli chiesi, con fare da sorella maggiore, anche se in realtà eravamo gemelli. Lui si voltò, guardando il muro che avevamo appena oltrepassato, cercando qualcosa su cui puntare gli occhi. Mi voltai a guardare lo stesso punto che stava fissando, poi lui spostò lo sguardo sulla sua gamba destra.
"Che ti prende?" gli chiesi, di nuovo, notando che si stava comportando in modo strano. Nei suoi occhi si leggeva ancora la paura, una scintilla bianca nei suoi occhi caldi.
"È solo che..."
Mi guardò e io risposi con uno di quei sorrisetti odiosi, che so che lui odiasse, giusto per spezzare la tensione. Lui cercò di rispondere al mio sorriso, ma per qualche motivo, quel morbido curvamento delle labbra esitava a venire.
"Niente." disse infine, dirigendosi verso l'altare con un'andatura ancora leggermente ondeggiante, nascondendomi il suo volto.
Sapevo che c'era qualcosa che non andava, ma non c'era tempo per indagare, in quel momento. Centinaia, forse migliaia di persone stavano dando la loro vita per salvare la nostra. Mi sentii vagamente in colpa, ma mi diressi anch'io verso l'altare dove qualche girono prima c'era appoggiato Caleb.
Toccai la pietra fredda, un brivido mi percorse la schiena, ritrassi istintivamente la mano. Non so il perchè, ma sentii una brutta sensazione attraversarmi le ossa: c'era, forse, qualcosa di malvagio lì dentro?
La pietra era squadrata e mi arrivava ai fianchi. Era più grezza sui contorni, ma perfettamente liscia nella parte interna, un rettangolo abbastanza grande da contenere un corpo umano. Incisi lungo i bordi c'erano simboli arcani, antecedenti persino alla parola.
Ne dedussi che fossero incantesimi.
Invece, esattamente nel centro del rettangolo liscio, vi era incisa una rosa, stilizzata, ma che esprimeva la sua bellezza nascosta. I miei occhi luccicarono.
"Come la prendiamo?" domandai, percorrendo con le dita i contorni della rosa impressa sulla pietra, cercando di capire come potessimo arrivare all'amuleto di cui ci aveva parlato Caleb. Effettivamente, però, il re non ci aveva detto come prenderla, ma aveva confessato solo che si sarebbe rivelata al momento giusto.
Ric e io ci guardammo.
Si sentì un fruscio, proprio lì, nell'ombra. Girai la testa, di scatto, da dove era provenuto il rumore. Ric mi imitò. Restammo per un pò a contemplare il buio, spesso, contorto, per poi voltarci nuovamente verso la pietra. Ric spalancò gli occhi.
Davanti a noi c'era una donna, giovane, di qualche anno più grande di noi, forse sui venti. I suoi capelli castani, non sottoposti alla gravità, volteggiavano liberi, come i capelli di Medusa, incorniciando il suo viso delicato, dove i suoi occhi gelidi ti squadravano, mettendoti soggezione. Un angolino della sua bocca si increspò in un sorrisetto sadico.
Alta, magra, maledettamente bella, vestita di pelle nera, sprizzava malvagità da tutti i pori. Era appoggiata con i gomiti sulla pietra, esattamente dove si trovava la Rosa.
"Cu cù!" esclamò, con una voce suadente, ma allo stesso tempo folle, intrisa di nero piacere. I suoi occhi incontrarono quelli di Ric, ancora scioccato, per un motivo che ancora non capivo.
"Noi due già ci conosciamo." disse, sbuffando su un ciuffo di capelli che le era caduto sugli occhi. Mossi la mano così velocemente che lei avrebbe dovuto già essere cenere, ma non successe nulla.
Rise. Ric mi afferrò un braccio, scuotendo la testa. Che cavolo voleva dire?
"Non ricordi, Guardiana?" mi chiese, in tono sarcastico, muovendosi verso di me con passo elegante. In quella tutina di pelle sembrava una divinità della morte e del desiderio, venuta in terra a far rispettare la sua legge divina.
"Che vuoi dire?" le domandai, anzi, più che domandare, le urlai contro. Lei rise, dolcemente.
"La sala è schermata sia dall'interno che dall'esterno da incanti e maledizioni, ciò vuol dire che nemmeno il tuo potere può funzionare." spiegò lei, con un'aria da despota lussuriosa, "Finché sei qui dentro." aggiunse, sadicamente.
Mi guardai l'avambraccio: il simbolo era appannato, come se fosse avvolto nella nebbia e sembrava spento. Le scoccai un'occhiata di puro odio. Lei scrollò le spalle. Ric continuava a sembrare preoccupato.
"Chi sei? Che vuoi da noi?"
Sorrise, fredda questa volta.
"Tuo fratello lo sa." affermò, indicando Ric. Scossi la testa.
"Lascia stare mio fratello, strega." la minacciai io, "Altrimenti io..." Nella sala non si poteva usare il potere, maledizione!
"Altrimenti cosa?" chiese lei, facendo finta di essere spaventata, "Non sei nulla senza il tuo potere, Guardiana." rispose lei, decisa.
Ok, stavo cominciando ad arrabbiarmi, sul serio.
"Ric, che vuole da noi?" chiesi a mio fratello, senza staccare gli occhi di dosso dalla donna, perfettamente paziente, come il gatto che gioca con il topo prima di mangiarlo.
Ric sospirò.
"È venuta a prenderci." rispose lui, sfiduciato, guardando quegli occhi di ghiaccio, "È venuta a prenderci!" ripetè e dalla sua voce capii che si erano veramente già incontrati e che era pericolosa. Dovevo fare attenzione e soprattutto, dovevo fare qualcosa.
"Non so chi sia, ma è malvagia. Ha ucciso Ilidien a sangue freddo." mi confessò, "La Luna di Sangue." aggiunse.
Ilidien era veramente morta? Non sapevo se rallegrarmi o dispiacermi.
Luna del Sangue? Maledizione, Caleb ce ne aveva parlato! A volte preferivo non sapere.
"Intendi..."
Quelle parole mi morirono in bocca.
"Il nostro sacrificio?" domandai, con un groppo alla gola. Lui annuì, abbassando gli occhi, mentre lei si avvicinava a noi, sorridendo.
"La Congrega ha vinto, ormai." affermò lei, "Salismatra è caduta, la Resistenza è caduta, il re..."
Le diedi un pugno nello stomaco: non avevo il mio potere, ma restava pur sempre la mia forza fisica.
Avevo paura di quello che avrebbe potuto dire. Indietreggiò di qualche passo, ridendo.
"Ah, l'amore." sospirò lei, "Ti fa fare cose che non avresti pensato mai di fare." aggiunse, continuando con la sua risata folle, da pazza.
Ric ansimò.
"Va via." ordinò.
Aveva la fronte corrugata, i pugni stretti, la classica posizione di battaglia: non lo avevo mai visto così deciso, così determinato. Se avremmo dovuto affrontare la megera che ci si parava davanti, l'avremmo fatto insieme.
Sorrise e giurai che le avrei rotto la bocca se non la smettteva di sorridere in quel modo del cazzo.
"Ti avevo detto che la prossima volta che ci saremmo rincontrati saremmo stati nemici, e io mantengo sempre le mie promesse." disse, rivolta a Ric, perfettamente non curante del pugno che le avevo inferto, chiedendomi se mi considerasse o meno una minaccia o fosse solo un modo per farmi arrabbiare ancora di più.
"Non mi interessa." rispose mio fratello con una voce che non avevo mai sentito prima, "Se non te ne vai..."
Lasciò la frase in sospeso, come a far intendere che le aspettava qualcosa di brutto. Ma le minacce non la toccavano nemmeno, si sentiva al sicuro in quella stanza dove non vi era potere.
"Adoro le scazzottate." sibilò lei, continuando a sorridere in quel modo odioso. Le avrei rotto la bocca, di questo ne ero sicura.
"E guerra sia!"
Ric urlò, scagliandosi contro di lei. Lei rispose con una risata, sguiata. Successe tutto in un attimo che io non ebbi il tempo nemmeno di buttarmi insieme a lui nella mischia.
La donna maledettamente attraente, di cui non sapevamo ancora il nome, schivò la spallata di mio fratello, sfilando all'ultimo momento un paio di stiletti dagli stivali ai piedi, cercando di colpirlo, ma lui, mantenendo l'equilibrio, rispose con un calcio, portato all'indietro, diretto al suo stomaco.
Non so dove trovasse la forza per battersi, ma ora pareva che fosse nel pieno delle sue forze.
Se non potevamo batterla con la magia, l'avremmo messa KO con la forza. Urlai anch'io qualcosa, come grido di battaglia, qualcosa senza senso in verità, correndo verso di lei.
"Maledette gonne!" soggiunsi tetra nella mia testa, mentre mi strappavo il vestito poco più sopra del ginocchio, buttando via anche i sandali elaborati, rimanendo scalza.
Mi sorrise.
Ora, o era completamente cretina, facendomi arrabbiare in quel modo, o era molto sicura di sè.
Optai per la seconda.
Era molto abile con i pugnaletti: dovetti schivare più volte i suoi affondi e fendenti, come stava facendo Ric, se non volevo morire. Puntava sempre alle parti vitali, il petto, soprattutto. Cercavamo di colpire e schivare assieme, come un corpo solo, puntando ai punti più incrini all'equilibrio, cioè le gambe, ma, come in una danza ben studiata ed eseguita, la donna ci fermava e contrattaccava con le sue armi.
Ma più la facevamo arrabbiare, più lei si dimenava come un leone che, colpito, invece di morire, triplica le sue forze. Ric cercò di bloccarle le mani, avvicinandosi a lei di soppiatto. Attirai la sua attenzione pestandole un piede, abbassandomi prima che mi pugnalasse.
Indietreggiai.
Si accorse di Ric: lo fermò menandogli un colpo proprio lì, in mezzo alle gambe.
Cadde a terra.
"Brutta stronza!" urlai, anzi, squittii tanto che era la mia voce acuta, menandole uno schiaffo con tutta la forza che avevo in corpo, mentre contemplava l'opera compiuta.
Fu più forte di me, dovevo farlo: avevo o no giurato che le avrei rotto la mandibola? Ma fui stupida: la testa si girò di scatto, così come i suoi capelli, ma troppo tardi compresi il mio errore: mi ero avvicinata troppo a lei, così come aveva fatto Ric, che stava combattendo con certi dolorini, ehm, diciamo interni.
Aveva ancora sia le mani che le gambe libere: mi pugnalò al piede, cosa non difficile dato che ero scalza.
Istintivamente, indietreggiai, saltellando su un piede solo come un pollo pazzo. Assomigliava davvero ad una divinità scesa in terra per fare piazza pulita dell'umanità: con lo sguardo minaccioso, i capelli che volteggiavano leggeri nell'aria, in una danza folle, gli stiletti stretti nei pugni chiusi.
"Sei perduta, Guardiana." mi sussurrò, ignorando Ric, "Credi davvero di poter battere una Venere Cacciatrice?" domandò, sarcastica.
Veneri Cacciatrici?
Riporse gli stiletti a posto ed io non ebbi il tempo nemmeno di rispondere perché lei mi colpì, una volta, ancora, e ancora: era diventata una furia, non riuscivo a schivare più i suoi colpi perché era ovunque, come se si muovesse alla velocità della luce. Ric stava cercando di rialzarsi, ma cadeva sempre a terra.
Sentivo il sapore, l'odore arcano nella magia nell'aria, segno che le protezioni della sala della Rosa Nera stavano cedendo. Ma anche se cercavo di immaginare nella testa un qualsiasi attacco che mi liberasse da quella prigione di colpi, non ci riuscivo: il mio simbolo non si illuminava, rimaneva "disconnesso".
Alla fine ero piena di lividi e sangue. Mi lasciai cadere vicino all'altare di pietra. Un altro schiaffo.
Ric mi si avvicinò, gattonando. Eva non l'ostacolò.
"Oh, la famiglia." sussurrò, con aria da ipocrita, "Patetico."
Rise.
"Ehi, tutto bene?" mi chiese Ric, con una voce flebile. Io annuii, ignorando il dolore che cominciava a farsi sentire. Cercai di rialzarmi, poggiando le dita insanguinate per le varie ferite, sull'altare: la sala fu inondata da una luce sinistra, alla quale seguì il buio. Ogni luce era scomparsa, adesso, tranne il bagliore dei boccioli di rose attaccati ai pilastri che davano alla sala un'atmosfera lugubre.
Proprio sopra l'altare, al di sopra del simbolo della rosa, scintillava un globo circondato da anelli iridescenti.
Gli occhi di Eva luccicarono nell'oscurità come quelli di un gatto.
"Si! Si!" urlava, avvicinandosi.
Ma io ero più vicina: ignorai il dolore e immersi la mano nel globo, afferrando qualcosa di solido.
Lo tirai fuori: avevo in mano un ciondolo grande quanto il guscio di una chiocciola, nero, lucido. Era una rosa stilizzata, con i petali contraddistinti da linee morbide d'oro.
"La Rosa Nera." sussurrai, con fare reverenziale. Sentii il fiato di Ric, che si era tirato su, sul mio collo.
Al centro, vi erano quattro lancette d'argento, una per ogni elemento.
La lancetta del Fuoco e della Terra puntavano verso di noi, colorandosi di un colore appena più scuro dell'argento vero e proprio, mentre l'Aria puntava ad est.
Spalancai la bocca.

*Angolino autore*
Inanzitutto, auguri per le feste passate e anche agli Stefani e Stefanie che mi seguono xD (se ci sono, ovvio!)
Eccomi qui con il capitolo "Bellezza e Forza" che spero vi abbia appassionato, no? :P
Non potevo non scrivere qualcosa dei pensieri di Bianca riguardo a ciò che è successo nel capitolo precedente (ricordate? ù_ù)
Ed ecco che arriva Eva :) La donna misteriosa sventrapolli/uomini/boh xD Uhm, secondo voi chi è veramente? xD
Aspetto recensioni, ok?
Ringrazio tutti quelli che hanno messo tra seguite, preferite o ricordate o semplicemente chi mi segue silenziosamente ^^
Alla prossima, ragazzi :D

King_Peter

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1828812