True Colors

di jas_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***






 

Prologo
 

 
Mi affacciai al terrazzo di casa mia osservando il piccolo giardino che mia madre curava con passione da quando ne avevo memoria. Non era molto grande, forse microscopico se confrontato con le vaste distese verdi di alcune ville che sorgevano fuori città, ma era il più bello.
Era il più bello perché in ogni fiore che sbocciava in primavera era racchiuso tutto l'amore che mia madre gli dedicava, era bello perché mi trasmetteva pace. Un piccolo spazio in cui rifugiarsi quando avevo bisogno di pensare, di fuggire dai litigi tra i miei genitori che avevano teatro solitamente in cucina o quando semplicemente volevo stare sola. Un posto da condividere con le persone più care, quelle che non vanno e vengono ma che rimangono per sempre, nonostante gli ostacoli che la vita pone. Era ridicolo pensare che un semplice giardino racchiudesse così tanti significati ma era la semplice verità, e per capirlo bastava vederlo in primavera, quando quei pochi metri quadrati di natura diventavano un arcobaleno di colori. Colori veri.
 
«Lola, ci sono visite!» sentii mia madre gridare.
Sussultai, rischiando di far cadere il cellulare che tenevo in meno, e rientrai in camera chiudendo la finestra. Ero talmente assorta nei miei pensieri che non mi ero nemmeno accorta che avessero suonato. Scesi in fretta al piano inferiore ed arrivai infondo alle scale che avevo quasi il fiatone. Pierre mi guardava divertito.
«Tesoro inizio tra poco il turno, ci vediamo stasera» mi avvertì mia madre posandomi un bacio sulla fronte.
«Ciao Pierre» salutò poi il ragazzo, prima di andarsene.
«Arrivederci signora Roland.»
«Come stai?» chiesi, andando in cucina ed aprendo il frigorifero alla ricerca di qualcosa da bere.
«Lola» mi richiamò Pierre serio. Fui costretta a voltarmi. «Mi è arrivata la lettera.»
Deglutii improvvisamente preoccupata, sapevo che quel momento sarebbe arrivato ma mi sembrava troppo presto. La scuola non era nemmeno finita, Pierre non aveva ancora sostenuto gli esami e già l'università di Los Angeles gli mandava la lettera di ammissione? Era troppo presto, troppo.
«Che cosa dice?» mormorai , timorosa.
«Non l'ho ancora aperta. Non ne ho avuto il coraggio.»
Rimasi in silenzio, non avrei augurato a nessuno di trovarsi in quella situazione.
«E poi volevo farlo con te» continuò Pierre, avvicinandosi, «speravo che mi avessi aiutato.»
Sorrisi amaramente, «hai scelto la persona sbagliata allora» commentai.
Il che era vero, fosse stato per me avrei nascosto quella lettera da qualche parte e l'avrei ripresa in mano a fine estate così da poter passare altri tre mesi in tutta tranquillità e senza fare il conto alla rovescia per quando io e il mio ragazzo ci saremmo dovuti separare.
Pierre non diede ascolto alle mie parole, appoggiò la lettera sul tavolo e mi prese il viso tra le mani. Era estremamente serio, ed erano poche le volte in cui Pierre non scherzava
«Qualunque cosa dica quella lettera, questo non è un addio. Okay?»
Mi sforzai di annuire mentre le lacrime già mi rigavano le guance. Pierre me le asciugò prontamente, prima di posare le sue labbra sulle mie. Ricambiai il bacio con rabbia e passione allo stesso tempo, era impensabile che probabilmente da settembre non avrei più assaporato quelle labbra come avevo fatto per gli ultimi tre anni.
Mi staccai lievemente da lui tirando su col naso, Pierre mi sorrise rassicurante e le sue guance paffute parvero gonfiarsi ancora di più.
«Apriamo quella stupida lettera?»
Annuii e lo presi per mano trascinandolo verso il giardino sul retro. Mi sedetti in assoluto silenzio sul dondolo ed aspettai che Pierre facesse quello che doveva fare, ma le sue mani non si mossero.
«È bellissimo qua» disse, guardandosi intorno quasi meravigliato.
«Come tutti gli anni» gli ricordai.
Lui annuì, «sì ma... Questo posto ha qualcosa di speciale.»
«Qui mi hai baciata per la prima volta.»
Pierre sorrise, «dopo che ti aiutai a portare dentro il regalo di compleanno per tua mamma.»
Annuii, perdendomi nei ricordi di quel piacevole pomeriggio.
Non conoscevo Pierre molto bene, ma sapevo chi fosse sin dell'asilo siccome abitavamo nella stessa via e dall'inizio delle superiori mi ero presa una cotta per lui. Una di quelle che non ti fanno pensare ad altro, che ti fanno sospirare quando ti passa accanto e ti saluta come in realtà fa con tutti, che ti fa riempire interi quaderni di scuola delle sue iniziali e che ti fottono letteralmente cuore e cervello.
Avevo deciso di regalare a mia madre delle primule, perché mi aveva sempre detto che le piacevano ma chissà perché non le aveva mai comprate. Stavo tornando a casa con in mano un enorme vaso colmo di fiori quando Pierre si offrì di aiutarmi. Rimasi sorpresa da quel gesto ma nonostante l'agitazione e l'imbarazzo accettai l'aiuto e dopo aver portato i fiori in casa gli offrii un bicchiere di tè, senza sapere bene cos'altro fare. Cominciammo a chiacchierare del più e del meno, seduti su quel dondolo in cui stavamo anche in quel momento e poi lui, di punto in bianco, mi baciò.
«Qui mi sono anche dichiarato» precisò.
«E io ti ho detto che ti amavo.»
«La prima volta che abbiamo litigato e tu mi hai tirato una sberla invece, eravamo al ballo d'inverno se non sbaglio.»
«Come dimenticarselo, c'era quella troia che ti si strusciava contro neanche fossi un palo da lap dance» commentai.
Pierre rise, «te l'ho detto che ho cercato di respingerla, non ti tradirei mai.»
Sospirai, appoggiando la testa sulla sua spalla ed osservando quelle primule che ormai erano diventate grandi.
«La verginità invece l'ho persa a casa tua» conclusi, «con il cantante dei Green Day che mi osservava come posseduto.»
«Era un poster, l'unico ragazzo che ti può vedere nuda sono io» affermò, cingendomi le spalle con un braccio ed attirandomi a sé.
«Sono rimasta comunque traumatizzata dalla cosa» conclusi.
Pierre mi sventolò la lettera sotto il naso, «apriamo?»
Annuii, «veloce e indolore.»
Lui mi guardò negli occhi ancora per qualche istante prima di strappare la carta ed estrarre il foglio contenuto.
Vidi i suoi occhi correre a destra e sinistra mentre leggeva la lettera riga per riga, poi ripiegò il foglio e mi guardò impassibile.
«Mi hanno ammesso» disse.
Silenzio.
L'unica cosa che si sentiva in quel momento era il rumore delle macchine in lontananza, nient'altro. Nemmeno il mio respiro, ero in apnea, e probabilmente anche Pierre.
Sin da quando mi disse che aveva mandato la domanda per la facoltà di medicina di Los Angeles sapevo che l'avrebbero ammesso e che quindi mi sarei trovata in quella situazione ma mai e poi mai avrei potuto immaginare la sensazione che provavo in quel momento.
Mi sentivo... Vuota. Morta dentro. Pierre nel giro di tre mesi si sarebbe trovato a più di mille chilometri di distanza da me quando negli ultimi tre anni mi ero abituata ad averlo intorno tutti i giorni.
Mi scappò un singhiozzo, che preannunciò la crisi di pianto che stavo per avere.
«Lola non è poi così grave» mi rassicurò Pierre abbracciandomi. «Lo so che saremo lontani ma tornerò ad ogni vacanza e poi anche tu l'anno prossimo finirai la scuola e potrai raggiungermi. Si tratta solo di avere pazienza.»
Le parole di Pierre erano solo un suono lontano ed ovattato per me, mi ero chiusa in me stessa e la mia mente aveva cominciato a viaggiare senza sosta, a pensare come sarebbe stata la mia vita da allora in poi. Avremmo trascorso l'estate come speravo non avrei mai dovuto fare, prima della sua partenza.
«Lola, dì qualcosa» mi spronò Pierre, scrollandomi per le spalle.
«Sto male» fu l'unica cosa che uscì dalla mia bocca, quasi paralizzata.
Lui sospirò affranto, «ti prego non puoi reagire così, dobbiamo...»
Si passò una mano tra i capelli frustrato e da come si agitò sul posto capii che aveva bisogno di una sigaretta ma stava cercando di smettere. Me lo aveva promesso.
«Non è un addio, okay?» disse infine, costringendomi a guardarlo negli occhi.
Ma lo fu eccome.

 

-


 

Tadaan! Eccomi qua :D
Ve l'ho detto che prima o poi sarei tornata a scrivere su Pierre, promessa mantenuta :)
Questa storia mi è venuta in mente ascoltanto la versione di True Colors contro il bullismo, in cui canta anche Pierre.
In realtà il testo mi piace da morire e mi sembrava carino scrivere una storia con questo titolo ahahaha 
Quindi diciamo che è la long che è costruita attorno alla canzone che rappresenta la personalità complicata di Lola che conoscerete meglio negli altri capitoli :)
Cercherò di aggiornare una volta a settimana, più o meno, ora sto scrivendo il nono capitolo ma nonostante sia abbastanza avanti non mi va di pubblicare tutto subito e poi rischiare di farvi aspettare un'eternità come è successo con Thinking Underage. Inoltre quest'anno ho la maturità, per ora non è che mi stia ammazzando di studio però... Sì, ecco ahaha
Spero che la storia vi piaccia, niente Hot Baguettes o robe strane, amo David ma odio le bromance e ho notato che nel fandom è pieno di storie a rating rosso su loro due, non che sia contro ma... Io sono più per le storie d'amore alla Nicholas Sparks, non so se mi spiego uù
Quindi spero che questo amore platonico - che poi non è platonico ma fa niente - vi piaccia :)
La smetto qua, fatemi sapere che ne pensate di questo piccolo prologo, ci tengo davvero!
Jas

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 


 

Capitolo 1

 

«Questo è il tuo vestito più bello?» mi riprese Elouise non appena mi tolsi il cappotto di dosso.
Mi osservai e poi la osservai. «Che c'è che non va?»
«L'Europa ti ha fottuto il cervello?»
«Ehi!» la ripresi.
«Senti, non puoi startene via mezzo secolo tra università a Londra, master e stage a Parigi, tornare qua ed uscire la tua prima sera come una... Aspetta, come si chiamano i barboni di Parigi? Clochard?»
«Non sono un clochard» ribattei stizzita, sistemandomi meglio la canottiera che avevo deciso di indossare sopra i jeans. Mi ero pure sforzata di mettere i tacchi, e Lou sapeva bene quanto li odiassi.
Alzai un braccio verso il barista ed ordinai un drink, «che fine ha fatto Bob?» chiesi poi, confusa.
«È diventato un alcolizzato, l'hanno chiuso in un centro per disintossicarsi e ora il pub è in affitto» spiegò Lou. «Ma sei sicura che è di Bob che ti interessa?»
«E di chi dovrebbe interessarmi?» domandai, bevendo un sorso del Martini che mi era appena stato portato.
Elouise si rigirò una ciocca di capelli tra le dita, «non so, di Pierre... Si dice sia ritornato in città per aprire un suo negozio di dischi. È andato via da quello in cui lavorava ad Los Angeles, a quanto pare gli mancava il freddo di Montreal.»
«Però, sei ben informata.»
Lou sorrise fiera, «Chuck sa essere esauriente e ben dettagliato.»
Schioccai la lingua sul palato scocciata, «già, ma non so perché mi debba interessare di Pierre, non lo sento né vedo dal suo ultimo anno di superiori e sinceramente sto bene così.»
«Come sei antipatica.»
«Io? Vallo a dire a lui che da quando partì per Los Angeles cambiò completamente. Chiedi a mia mamma quanto tempo ho passato davanti al telefono aspettando che lui mi chiamasse o quanti messaggi gli ho lasciato in segreteria sperando in una risposta che non è mai arrivata. Non ho idea di che cosa abbia combinato in California ma per essersi comportato così deve essere come minimo stato investito da un tir ed aver perso la memoria» conclusi, ormai senza fiato per lo sfogo.
«Lola!» mi riprese Lou, dandomi un colpo sul braccio.
Mi strinsi nelle spalle, «è la verità. Quindi al signor Bouvier conviene starmi ad almeno cinque metri di distanza e non rivolgermi la parola se vuole continuare a vedere la luce del sole.»
La mia amica scosse la testa sconsolata, «sono passati dieci anni, come puoi serbare ancora tutto questo rancore?»
«Non è rancore» la corressi, «lo sai che sto da Dio anche senza di lui, per me Pierre è come morto. È fuori dalla mia vita, come posso portare rancore per una persona che non c'è più?»
«Lola...» mi richiamò.
«No, Lola un bel niente, tu sai meglio di chiunque altro come stanno le cose quindi per favore smettila di tirare sempre in ballo l'argomento e chiudiamola qua una volta per tutte. Non voglio più sentire parlare di Pierre Bouvier, è come Voldemort, non deve essere nominato.»
La testa aveva cominciato a pulsarmi per l'enfasi con la quale avevo parlato e per il poco fiato che avevo preso. Mi massaggiai le tempie con entrambe le mani appoggiando i gomiti sul tavolo e chiudendo gli occhi. Parlare di lui mi faceva ancora quell'effetto, non potevo farci nulla. Ma negli ultimi anni avevo represso così tanta rabbia nei suoi confronti che ogni qual volta mi si presentava l'occasione mi sfogavo. Tuttavia non sarebbero bastati alcuni minuti di sclero per dar voce a tutti i pensieri accumulatosi in dieci lunghi anni.
Mi ritrovai a chiedermi come fosse diventato, Pierre, col passare del tempo. Se aveva ancora quel sorriso da bambino e le guance paffute. Se era ingrassato, o se si era sposato, chi poteva saperlo. In quel caso però Lou me l'avrebbe sicuramente detto.
«Lola» sussurrò Elouise, scuotendomi il braccio.
Alzai a malapena la testa giusto per guardarla, «che c'è?» chiesi, in uno sbuffo.
«Lui è qui.»
Aggrottai la fronte, «lui chi?»
«Colui che non deve essere nominato, è qui!»
Mi drizzai sulla sedia come una molla, improvvisamente in panico, «ma che cosa stai dicendo?»
«Lo sai che non scherzerei mai su certe cose, è entrato mentre tu eri troppo concentrata ad insultarlo, è... - Lou si guardò intorno prima di indicarmelo con molta discrezione oltre le mie spalle- là.»
Resistetti all'impulso di voltarmi e presi un profondo respiro, gonfiando il petto, «non mi interessa. Hai ascoltato quello che ti ho detto due minuti fa?»
«Non vuoi vedere quanto è diventato figo? In confronto alle superiori è un manzo da macello.»
«Lou!» la richiamai, ma lei continuò indisturbata.
«Finalmente si è deciso a fare un taglio di capelli come Dio comanda, mi sembra anche leggermente dimagrito e... - Lou spalancò la bocca riappoggiando sul tavolo il bicchiere che aveva appena preso in mano - ma quelli sono tatuaggi? Oddio Lola fossi in te manderei a fanculo quello che ti ha fatto cioè porca puttana quello lì è da sbattere su ogni centimetro di superficie disponibile!»
«Elouise!» gridai scandalizzata, alzandomi dalla sedia.
Come riusciva ad essere così... Volgare e sfacciata? E poi lei non doveva azzardarsi a sfiorare Pierre, insomma, era il mio ex... Ex, ex, ex, ex, ex ragazzo.
«Ecco brava, ci ha viste» mi accusò Lou, guardando oltre le mie spalle ed alzando una mano in segno di saluto, accompagnata da un sorriso timido che non le si addiceva per niente.
Mi voltai lentamente, non appena riconobbi la figura di Pierre seduta ad alcuni tavoli più in là, in compagnia di un tipo mai visto in vita mia, il mio cuore perse un battito.
Cercai di darmi un contegno, ma nonostante tutto, nonostante tutti gli anni passati e tutto l'odio che provavo nei suoi confronti, mi sembrò di ritornare la ragazzina insicura che lo guardava di nascosto per i corridoi della scuola.
«Lou, andiamo» mormorai, continuando a guardarlo.
«Ma...»
«Ho detto andiamo» ripetei dura, prima di raccogliere il cappotto e la borsa ed uscire dal pub.
L'aria frizzante d'autunno mi fece rabbrividire, nonostante ciò non rallentai il passo nemmeno per un secondo, come se allontanarmi da quel locale facesse sì che mi io mi liberassi lui.
Era incredibile come, con un solo sguardo, fossero tornate a galla tutte quelle sensazioni che avevo represso in quegli anni.
Per quanto fosse stato breve il tempo per cui l'avevo guardato, l'immagine di Pierre era impressa per bene nella mia mente. Era leggermente invecchiato, dieci anni non erano pochi, ma nonostante tutto aveva conservato il suo solito sorriso innocente e le guance paffute di sempre. Il tatuaggio che gli copriva il braccio sinistro, messo in mostra dalla maglietta a maniche corte che indossava, contrastava con quello sguardo così limpido e sincero. Mi sembrava surreale che quella stessa persona che avevo visto pochi minuti prima mi avesse trattata così. E la cosa ancora più incredibile era che mi faceva ancora provare le cosiddette farfalle nello stomaco quando l'unica cosa che avrei dovuto sentire sarebbero state le mie mani pizzicare per gli schiaffi che si meritava quell'idiota.
«Lola, dove vai?»
La voce di Elouise interruppe i miei pensieri. Mi fermai di scatto voltandomi a guardarla, «che c'è?»
«Casa tua è da quella» mormorò quasi spaventata dalla mia possibile reazione, indicando la strada che proseguiva a sinistra con la mano.
Mi irrigidii immediatamente annuendo con serietà, «giusto.»
Rimanemmo entrambe in silenzio senza sapere bene cosa dire, mi dispiaceva per come avevo trattato Elouise quella sera ma il rancore che provavo nei confronti di quel ragazzo era più forte di me.
Presi fiato per cercare di scusarmi ma lei mi anticipò, «non fa niente, ti capisco.»
Annuii in silenzio, ringraziandola implicitamente per aver capito, e poi proseguii per la mia strada mentre Lou andò nella direzione opposta.
 
Buttai le chiavi di casa sul mobile dell'entrata, abbandonando per terra  scarpe, cappotto e il resto dei miei vestiti. Mi rintanai direttamente sotto le coperte solo in biancheria intima, nonostante il clima fuori non fosse dei più caldi.
Era bello vivere da soli a volte. Se avessi ancora abitato coi miei sicuramente non avrei potuto spogliarmi all'entrata, lasciare i vestiti lì e gironzolare mezza nuda per casa, ma avevo imparato a cavarmela da sola sin da quando avevo diciott'anni e avevo deciso di mantenere la mia indipendenza anche quando avrei potuto tornare a farmi coccolare dai genitori. Certo, a volte rimpiangevo la mamma che mi lavava e stirava i vestiti, puliva la camera, preparava colazione pranzo e cena, ma quello mi sembrava il giusto prezzo da pagare per poter fare quello che si voleva, più o meno.
Sospirai e chiusi gli occhi, cercando di addormentarmi, ma ogni volta che mi sembrava di riuscire finalmente a prendere sonno l'immagine di Pierre mi disturbava, facendomi riprendere immediatamente lucidità.
Perché Lou mi aveva detto quelle cose? Perché avevo deciso di uscire con lei quella sera? Ma soprattutto, perché Pierre non era rimasto a cuocere sotto il sole della California piuttosto che tornare qua e rovinare gli equilibri che ero riuscita a crearmi in tutti quegli anni?
Decisi di non pensarci, non avrei dovuto rivedere Pierre per forza. Uno dei lati positivi del vivere da sola che avevo appena trovato, era avere una casa che non era vicina a quella di Pierre, sempre che lui avesse scelto di stare coi suoi.
Il suono del telefono mi fece sussultare, rimasi immobile, troppo pigra per alzarmi a rispondere, ed aspettai che la segreteria entrasse in funzione.
Una voce registrata risuonò nella stanza, non avevo ancora avuto tempo di trovare una frase ad effetto da mettere, prima di essere sostituita da quella squillante di mia madre.
"So che è un po' tardi e forse è per questo che non mi rispondi ma volevo ricordarti della cena di venerdì sera, mi raccomando non mancare. C'è anche tua sorella con i bambini."
Sbuffai, nascondendo la testa sotto il cuscino. Le cose sembravano andare di male in peggio, chi voleva rivedere quella, col suo intelligentissimo e bellissimo marito?


 

-

 

Eccomi qua! :D
Prima di dire qualunque cosa, volevo ringraziarvi di cuore per aver recensito e messo la storia tra le preferite, con solo il Prologo siamo già a quota 8 e tra le più popolari del fandom! Grazie mille, davvero ♥
Ora passiamo al capitolo appena postato :D
Come credo abbiate capito, c'è un salto di dieci anni, il Prologo era quindi tipo un flashback e Lola odia a morte Pierre. Vi avevo fregate! Veeero? HAHAHAHA
Spero comunque che vi sia piaciuta la versione da giovincelli, più avanti pubblicherò anche una One Shot - Missing Moment sui vecchi tempi (?) ma prima devono accadere determinate cose, quindi portate pazienza :D
Altra cosa: nella storia Pierre ha 28 anni, sinceramente non ricordo come fosse lui a quell'età visti i numerosi cambi di look nel tempo, io però me lo immagino bello come il sole come ora, era solo per dirvi poi voi ovviamente pensatelo anche coi capelli viola se vi piace :)
Detto ciò, mi dileguo!
Grazie mille di nuovo, davvero ♥
Jas

P.S. Ho dimenticato di dire una cosa importantissimissimissima che mi sono dimenticata di dire anche la volta scorsa! Nel caso vogliate essere avvertite su Twitter quando aggiorno, chiedete pure! Scrivetemi qua o direttamente là haha Sono @xkeepclimbing :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



 


Capitolo 2

 

«Lola.»
«Sorellina!»
«Ciao zia!»
«Amore come stai?»
Sorrisi imbarazzata a tutte quelle persone che mi accolsero non appena suonai il campanello della casa di mia madre.
«Ryan» dissi poi, a mo' di saluto, al marito di mia sorella.
«Ciao Gigì» mi rivolsi a mia sorella.
«Mamma!» sventolai la mano destra nella sua direzione prima che Matt e Marie mi abbracciassero le gambe.
Li presi in braccio con fatica, cercando di non far cadere nel contempo la mia borsa e la torta che avevo comperato al supermercato e tolto dalla confezione così da poterla spacciare per mia, ed entrai in casa.
«Ti serve aiuto?» domandò Ryan, che senza attendere risposta mi rubò la torta dalle mani e diede una sbirciatina, annusandone il profumo.
«Mmh, fatta tu?»
Annuii con veemenza e lui rise, mettendo in mostra una fila di denti perfetti e bianchissimi che contrastavano con la sua pelle abbronzata.
Avvicinò la bocca al mio orecchio e io sussultai, cosa stava facendo?
«Che strano» sussurrò, «ne ho mangiata una uguale identica la settimana scorsa e indovina un po'? L'ho presa al supermercato.»
Lo fulminai con lo sguardo, avesse osato dire una parola avrei privato mia sorella del suo gioco preferito e grazie al quale io ero diventata zia.
Abbandonai i bambini sul tappeto del salotto, col loro papà, rifugiandomi poi in cucina alla ricerca di qualcosa da bere prima di mangiare.
«Allora tesoro, come va?» domandò mia madre alle prese coi fornelli, mentre io aprivo ogni armadio della cucina alla ricerca di qualche aperitivo.
Cercai di ignorarla, sapendo bene a cosa si riferiva in realtà lei, con quell'apparentemente innocente domanda: hai un ragazzo? Tra quanto vi sposate? Voglio essere ancora nonna, lo sai questo? Guarda tua sorella, solo tre anni in più di te e si trova già con una famiglia perfetta, un marito con una carriera in ascesa e che non trascura né moglie né figli, due meravigliosi gemelli di quattro anni. Tu cosa aspetti?
Senza rendermene conto presi un bicchiere di prosecco e lo bevvi in un sorso, prima di mandare giù una manciata di patatine.
«Allora?»
Finii di mangiare prima di risponderle, un po' per educazione e un po' per guadagnare tempo.
«Alla grande, sto benissimo da sola nel mio appartamentino. Niente mariti da rendere felici o pannolini da cambiare. Anche al lavoro è tutto a posto.»
Mia madre mi guardò scandalizzata, era così sorpresa dalla mia risposta che rimase con lo scolapasta in mano per più di mezzo minuto.
«Mamma credo che tu possa rimettere gli spaghetti nella pentola» osservai.
Lei sembrò riprendersi dallo stato di trance in cui era caduta, finì di preparare tutto nel più assoluto silenzio ed io andai in salotto. In quel momento preferivo Ryan a mia madre, il che era grave.
Lo osservai giocare coi gemelli mentre sorseggiavo il secondo bicchiere di prosecco. Dovevo ammetterlo: mia sorella aveva fatto una scelta intelligente. Quell'uomo incarnava la perfezione, e forse era per quello che lo odiavo. Non c'era altra spiegazione. Nonostante gli rispondessi sempre sgarbatamente dal giorno in cui mia sorella me lo fece conoscere, lui era così paziente ed educato e gentile con me che a volte il suo comportamento mi preoccupava. Ed era irritante, perché io cercavo solo di farlo arrabbiare mentre lui sembrava sempre così tranquillo e in pace con se stesso che lo invidiavo, da morire. Avrei voluto avere io la sua calma, invece, da quando ne avevo memoria ero sempre nervosa. Così tanto che masticavo chewing-gum dalla mattina alla sera, a volte mi mangiavo le unghie fino a quando mi facevano male e all'università avevo pure iniziato a fumare.
Mi osservai le mani, stranamente ben curate quel giorno, forse perché la settimana precedente mi ero fatta fare la manicure e mi ero sforzata di non rovinare lo smalto rosso che mi ero fatta mettere.
«Allora, come va il lavoro?» mi domandò Ryan, ignorando per un secondo i bambini e guardandomi gentile come al solito.
Mi strinsi nelle spalle bevendo un sorso di prosecco, «come al solito. Continuo a portare caffè e brioche a quello stronzo del mio capo e lui non mi chiede neanche un parere su tutti i casi che mi capitano per mano, mi fa e solo fare il lavoro sporco, direi che è perfetto. Passerò il resto della mia vita a fare l'assistente di bella presenza ad un avvocato quando potrei essere io, l'avvocato» conclusi, frustrata. «Tu quanti bambini hai fatto nascere ultimamente? Non ti sei ancora rotto di sentirli starnazzare?» domandai, indicando con un gesto della mano che teneva in mano il bicchiere, i gemelli che avevano iniziato a piangere.
Lui mi rivolse un sorriso educato stringendosi nelle spalle, prima di abbassarsi e prenderli entrambi in braccio.
Osservai ogni suo movimento, nel piegarsi la camicia bianca andò ad aderire alla sua schiena e mise in mostra due spalle muscolose che non avevo mai notato. Abbassai lo sguardo sui suoi jeans di marca, non avevo mai notato il fisico di Ryan ma dovevo ammettere che era un bel... Se l'era scelto bene Gigì.
«È pronto!» ci avvertì mia madre, facendo capolino in salotto.
Scattai in piedi come una saetta, lisciandomi il vestito elegante che avevo indossato per l'occasione e non degnando di uno sguardo Ryan mentre mi sedevo a tavola.
Mi sentivo incolpa nei confronti di mia sorella per aver pensato certe cose su suo marito ma... Gli lanciai una fugace occhiata, i capelli leggermente ingellati e tirati indietro, la barba sempre perfettamente rasata e quel sorriso che non gli spariva mai. Era perfetto, disgustosamente perfetto.
«Lola, come va il lavoro?» domandò mia sorella.
«Benissimo, meglio di così non potrebbe andare» mentii, nascondendomi dietro un sorriso sforzato. Ma cos'avrei potuto dire? Che tutti soldi che mia madre aveva speso per farmi studiare in una delle migliori facoltà di legge e farmi fare praticantato in Francia non erano serviti che a farmi diventare la versione più sfigata di Anne Hathaway ne "Il Diavolo Veste Prada"?
Con la coda dell'occhio vidi Ryan sorridere divertito e se non si fosse trovato praticamente dalla parte opposta del tavolo gli avrei sicuramente tirato una pedata.
«Conosciuto qualcuno?» insistette mia madre, nonostante gliene avessi già parlato pochi minuti prima.
«Gigì, conosciuto qualcuno?» girai la domanda.
Lei avvampò, cominciando a tagliuzzare come posseduta quei poveri spaghetti che si ritrovava nel piatto, «no, nessuno» borbottò poi così a bassa voce e così velocemente che feci fatica a capirla.
La guardai confusa, ma allo stesso tempo felice per la sua strana reazione così da trarre l'attenzione su di lei.
«Tesoro, lo sai che Pierre è tornato in città?» domandò invece mia madre, cambiando sì argomento ma non concentrandosi su mia sorella come avevo sperato.
Strano che non cercava di parare il culo alla sua figliola preferita, pensai.
Come poteva essere così ipocrita? Chiedermi di Pierre, poi, quando sapeva quanto ci ero rimasta male e quanto avevo sofferto per lui. Credeva davvero che l'avessi completamente superata? Allora non aveva capito niente di me.
«Sì lo so» risposi secca, concentrando tutta la mia attenzione sul piatto di spaghetti che avevo sotto il naso e che non avevo ancora sfiorato.
«Ho incontrato sua madre l'altro giorno mentre stavo andando a fare la spesa - continuò - mi ha detto che vuole aprire un negozio di dischi in città. Non ti sembra un'idea grandiosa?»
«Contento lui» commentai.
«Dovreste vedervi, chi lo sa, forse riscatta la scintilla» ammiccò, facendomi l'occhiolino.
«Mamma hai finito?»
«È un bravo ragazzo, inoltre lo conosci da una vita e si sa che il primo amore non si scorda mai...» continuò indisturbata.
«Mamma...» la richiamai, cercando di mantenere la calma.
«E poi conosco i suoi genitori, così come il resto della famiglia e mi sembra ottimo...»
«Mamma!» gridai, battendo i pugni sul tavolo. Solo allora lei si arrestò guardandomi spaventata.
«Ti ricordi cosa mi ha fatto o ti devo rinfrescare la memoria? Non voglio più avere a che fare con Pierre per il resto della mia vita, dovete smetterla di cercare di sistemarmi, non capite che forse sto bene da sola? Che odio così tanto i bambini che sopporto a malapena i miei nipoti che vedo una volta al mese a dir tanto? Che il mio lavoro è una merda che che mi sembra di aver studiato per vent'anni della mia via per niente? Ecco, quindi smettetela di assillarmi con le vostre solite domande e smettetela di rinfacciarmi la vita perfetta di mia sorella. Si è trovata un medico ricco e figo come marito? Buon per lei, non siamo tutti uguali, ma io al momento sto bene così. Il giorno in cui troverò qualcuno - sempre se succederà - lo verrete a sapere, ma fino ad allora non voglio più sentire parlare di queste cose. Okay?»
Ripresi fiato chiudendo gli occhi per un istante poi, senza attendere alcuna risposta dai miei parenti che mi guardavano troppo allibiti per parlare, mi alzai dal tavolo, presi le mie cose ed uscii di casa sentendomi più leggera e tranquilla.
Indossai il cappotto mentre camminavo sul marciapiede e presi in mano il cellulare per controllare se qualcuno mi aveva chiamato. Non trovando nulla rimisi il telefonino in tasca e alzai a malapena lo sguardo per accorgermi che stavo per andare addosso a qualcuno, anche lui troppo indaffarato per accorgersi della mia presenza.


 

-

 

Eccomi qua! :D
Sono reduce da una mega mangiata di polenta e costine, non so se avete presente, mi sto addormentando sul pc e devo pure studiare che domani ho una verifica.
Nevica pure ininterrottamente da ieri sera quindi magari domani non vado a scuola, speriamo **
Lasciamo stare le mie avventure e passiamo al capitolo: quale strano ragionamento vi ha portate a pensare che Pierre potesse essere il marito della sorella di Lola? HAHAHAHA
Okay che io sono stata abbastanza vaga ma non per quello, pensavo che si fosse capito che Lola lo conosceva già ma non le stava a genio. Vabbè fa niente, molte volte mi capita di scrivere qualcosa, essere convinta che si capisca una cosa e invece tutti la interpretano diversamente. Credo di avere qualche problema AHAHAHA
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, il tanto così famigerato cognato di Lola comunque io me lo immagino come quel figone di Ryan Reynolds, per il semplice fatto che questo capitolo l'ho scritto dopo aver guardato The Change Up :D
Il personaggio misterioso alla fine del capitolo, secondo voi chi è? uù
Fatemi sapere che ne pensate e grazie mille per tutte le recensioni che mi avete lasciato!
Alla prossima,
Jas

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***






 

Capitolo 3

 

«Pierre?» domandai sorpresa, guardandolo come se mi trovassi davanti ad un alieno e non al mio ex ragazzo.
«Lola» disse lui, con un tono di voce tranquillo.
Inclinai la testa a destra, confusa, mentre per quanto mi sforzassi di farlo, non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso.
Pierre si schiarì la voce, «è da un po' che non ci si vede.»
«Dici? A me sembrano passati solo pochi giorni, chissà perché. Oh aspetta - non lo lasciai intervenire - forse perché senza certe teste di cazzo si sta meglio e il tempo vola.»
Pierre sospirò passandosi una mano tra i capelli, come osava fare lo scocciato? Tra i due quella che doveva essere seccata ero io, lui avrebbe dovuto protrarsi ai miei piedi e implorare il mio perdono, che ovviamente non gli avrei mai concesso.
«Lola mi dispiace, davvero. Non riesco ancora a credere che ti ho trattata davvero così, io... Sono stato un coglione, egoista...»
«Continua» lo spronai, «fossi in te ci aggiungerei ipocrita, stronzo, idiota, bastardo, imbecille, anche se questa è un po' troppo soft per te.»
«Hai dimenticato pezzo di merda» puntualizzò lui.
Mi sforzai di trattenere un sorriso che cercò di affiorarmi sulle labbra, io dovevo odiare a morte Pierre. Allora perché mi sentivo come un'adolescente davanti alla sua cotta colossale? Perché nonostante lo avessi appena riempito di insulti il cuore mi batteva all'impazzata e il mio stomaco sembrava in subbuglio? Perché non riuscivo a fare altro che osservare il suo viso e pensare a quanto fosse diventato bello? Il sole della California gli aveva fatto bene. La barba che dieci anni prima bisognava cercare col microscopio ora gli copriva guance e mento, nonostante non fosse per niente lunga, probabilmente non se la faceva da un paio di giorni. Le guance paffute erano sempre lì, così come il sorriso da bambino, la novità erano alcune rughe che gli si formavano ogni tanto sulla fronte e sui lati degli occhi ma chi non era invecchiato in quei dieci anni? Il problema era che Pierre era bellissimo comunque, non era perfetto come Ryan che sembrava uscito da Hollywood ma infondo era questo che lo rendeva speciale ai miei occhi.
«Non basterebbe un dizionario di insulti per esprimere ciò che provo per te» ribattei dura, stringendo i pugni e abbassando lo sguardo cercando di nascondere i miei occhi che erano diventati umidi.
«Hai completamente ragione» mormorò Pierre, passandosi una mano tra i capelli decisamente più corti e ordinati rispetto a quando aveva diciott'anni. Guardandolo bene, era anche più stempiato.
«Devo andare» dissi, senza un motivo preciso.
O forse sì, quei pensieri su Pierre erano allarmanti e preoccupanti e non potevo permettermi di reinnamorarmi di lui o di perdonarlo. Dovevo evitarlo, salutarlo educatamente se lo vedevo ma per il resto, ognuno per la sua strada.
Pierre parve sinceramente dispiaciuto, «oh, certo. Allora... Ci si vede.»
Annuii superandolo e riprendendo a camminare a passo svelto.
«Lola!» mi sentii chiamare, quando ormai ero arrivata all'incrocio infondo alla via.
Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi, cosa che facevo sempre quando dovevo prendere una decisione e mi serviva riordinare le idee nella mia mente caotica ed affollata. Dopo alcuni secondi mi voltai, vedendo Pierre in lontananza che mi guardava. Era rimasto lì dove lo avevo lasciato, con le braccia che cadevano morbide sui fianchi stretti e il fisico scolpito, probabilmente grazie al surf che aveva sicuramente praticato a Los Angeles.
Pierre era fuori per il surf, cosa strana da parte di un canadese che si penserebbe preferisca lo sci di fondo o altri sport di montagna ad un'attività che a Montreal è impensabile praticare.
«Mi dispiace per quello che ho fatto, fai bene ad odiarmi ma... - s'interruppe un attimo - vederti ed essere insultato è stata la cosa più bella che mi sia capitata negli ultimi dieci anni.»
 
«Ehi tu il caffè!»
Chiusi il documento su cui stavo lavorando e mi alzai di scatto, correndo verso l'ufficio del capo, pronta a sentire l'ennesima strigliata di orecchie senza motivo.
«Avevo chiesto un cappuccino, non caffè e latte!» esclamò, agitando il bicchiere di carta che teneva in mano.
Lo odiavo quell'uomo. Odiavo lui e i suoi completi identici tra loro che dovevo andare a ritirare in lavanderia una volta a settimana, odiavo lui e la sua mania per le penne stilografiche, la sua fissa per i quadri contemporanei che riempivano anche la parete bianca di fronte alla mia scrivania e le sue manie di protagonismo in presenza di altri. Era già capitato più di una volta che davanti a suoi colleghi si prendesse il merito per cose che avevo fatto io.
Guardai la sua mano paffuta che mi porgeva il bicchiere di carta, quel cappuccino era identico a quelli che aveva bevuto per tutta la settimana, ma questo non glielo dissi. Presi il bicchiere in silenzio ed uscii dal suo ufficio chiudendo con estrema cautela la porta alle mie spalle. Alec odiava sentir sbattere le porte. Buttai il bicchiere nella spazzatura ed indossai il cappotto per uscire alla ricerca di un vero cappuccino.
«Vaffanculo tu e il tuo cazzo di cappuccino» borbottai tra me e me, mentre aspettavo che il semaforo pedonale diventasse verde.
Odiavo il mio lavoro, amavo la legge ma io non ero un avvocato, ero una segretaria del cazzo. Facevo lo stesso lavoro che avrebbe potuto fare una ragazza col solo diploma delle scuole superiori. Facevo il lavoro che avrei dovuto fare come stage, non come impiego vero e proprio. Avrei dovuto rimanermene a Parigi e cercarmi un altro lavoro quando quell'idiota del mio capo mi aveva avvertita che sarebbe ritornato a Montreal, non seguirlo come un cagnolino sperando che questo mio atto di fedeltà avrebbe comportato una piccola promozione. Mi trovavo in trappola, in una situazione scomoda. Mi sentivo sottovalutata, e allo stesso tempo sfruttata. Tutto l'impegno che avevo messo nello studio, tutta la mia fatica mi sembrava alquanto inutile. Mi sentivo come una Ferrari che andava a trenta allora, ecco.
Attraversai velocemente, per quanto me lo permettessero i tacchi che indossavo - altra cosa che odiavo del mio lavoro - la strada, stando attenta a non inciampare come mi era successo più di una volta.
«Un cappuccino» ordinai, non appena entrai nel primo bar che notai.
Un ragazzo che avrà avuto sì e no diciott'anni si mise al lavoro, mentre io cercai qualche spicciolo abbandonato nella borsa.
«Lola, qual buon vento?»
Sussultai spaventata prima di voltarmi verso il mio interlocutore.
«Ryan!» esclamai sorpresa, squadrandolo dalla testa ai piedi e notando che era vestito da medico. «Come mai al lavoro?» domandai, ricordandomi improvvisamente che in una delle conversazioni con mia sorella, nelle quali lei non faceva altro che rinfacciarmi la sua vita perfetta, mi aveva detto che Ryan avrebbe avuto alcuni giorni di ferie nei quali pensavano di andare a New York.
Mentre attendevo una risposta, non riuscii a fare a meno di pensare a quanto fosse sexy anche col camice bianco e un mezzo pigiama blu scuro.
«Mi hanno chiamato per un'urgenza, ho appena fatto nascere una splendida bambina. Tu invece?»
Sbuffai prendendo il cappuccino che il ragazzo mi stava porgendo e lasciandogli le monete contate sul bancone, non avevo soldi per le mance.
«Devo portare il cappuccino allo stronzo, che poi chi è che beve cappuccino alle tre di pomeriggio?»
Ryan rise, e i suoi soliti denti da pubblicità del dentifricio furono messi in mostra, «in realtà anch'io volevo prendere un cappuccino.»
«Oh...» mormorai, a disagio. Se mi fossi trovata nella stessa situazione poco tempo prima l'avrei sicuramente preso in giro ma, non sapevo nemmeno io perché, negli ultimi tempi Ryan cominciava a starmi davvero simpatico. Per quanto potesse essere in gamba e con una vita da sogno, non era per niente snob, a differenza di quell'imbecille a cui dovevo sottostare.
«Stavo scherzando!» mi tranquillizzò Ryan, dandomi una pacca sulla spalla ma ordinando poi un cappuccino. «Lavori qua vicino? Non ti ho mai vista.»
«Sì, ma sono qua da poco più di una settimana. Come sai sono stata a Parigi» spiegai.
Ryan annuì, «tu invece?» chiesi.
Lui si voltò verso la vetrina del bar ed indicò l'enorme edificio che stava dall'altra parte della strada, «io lavoro lì.»
Strabuzzai gli occhi guardando l'enorme ospedale che in realtà non avevo mai notato prima di allora, «wow» mormorai soltanto.
«Già. Comunque se qualche volta ti va di mangiare insieme durante la pausa pranzo... Insomma, giusto per cambiare un po'...»
Strabuzzai gli occhi sorpresa da quella proposta, ero io che mi facevo problemi per niente o... Insomma, il marito di mia sorella!
Annuii sforzando un sorriso nonostante non credo sarei mai andata a pranzo con Ryan, non perché non volessi ma perché mi sembrava di tradire mia sorella anche se non l'avrei mai e poi mai sfiorato.
«Ora devo andare» cercai di svignarmela, «al capo non piace il cappuccino freddo» dissi, indicando il bicchiere ancora fumante che tenevo in mano.
Ryan annuì, «certo, allora buona giornata!»
Gli sorrisi timidamente, «grazie anche a te» mormorai, uscendo fuori dalla caffetteria e correndo verso l'ufficio.


 

-

 



 Eccomi qua!
Scusate per il leggero ritardo ma tipo che ho appena finito la mia fan fiction sui One Direction Give Me Love e ne ho iniziata un'altra e ieri ero tutta presa dal postare che mi sono dimenticata del mio Pierre çç
Comunque ora ci sono, era abbastanza palese che il tipo misterioso fosse lui, no? :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi consiglio solo di tenere d'occhio Ryan... uù
Ora devo scappare che vado a trovare TheOnlyWay dcgfredchgfd
Se ci sono degli errori chiedo perdono ma non ho riletto, metterò a posto stasera :)
Alla prossima!
Grazie mille per le recensioni e per aver aggiunto la storia tra le preferite, è tra le prime nelle storie più popolari, grazie di cuore ♥
Jas
 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***







Capitolo 4
 

La mia vita era giunta ad un punto morto.
Quella fu la conclusione a cui arrivai dopo aver fatto l'ultimo tiro della canna che ancora tenevo stretta tra l'indice e il medio della mano destra.
Ero sdraiata di traverso sul letto a una piazza e mezza del mio minuscolo appartamento, la testa a penzoloni verso il pavimento e lo sguardo vigile di Johnny Depp che mi osservava con un accenno di rimprovero. Aggrottai le sopracciglia, lui era il primo drogato e non doveva osare fare la paternale a me, che fumavo una canna ogni sei mesi.
Il fatto era che la mia vita faceva schifo. A vent'anni mi sembrava di avere davanti il mondo, un'infinità di strade, di possibilità che aspettavano solo di essere scelte e invece, sette anni dopo, mi sembrava di aver buttato via tutto. Il problema maggiore però era che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovare il punto in cui avrei dovuto cambiare direzione, dove avevo sbagliato, dannazione?
Buttai la canna ormai spenta nella tazza di caffè abbandonata su uno dei tanti scatoloni che riempivano la stanza e mi misi seduta con la testa che girava ancora. A tutti l'erba faceva rilassare, io mi ritrovavo a fare ragionamenti contorti e al di fuori del normale che mi portavano sempre ad un'unica conclusione: la mia vita faceva schifo.
Avevo ventisette anni, ero sola in uno squallido appartamento nel centro di Montreal, una città canadese che non sapeva nemmeno lei se sentirsi inglese o francese visto che metà della sua popolazione parlava una lingua e la restante metà, l'altra. Io, parlavo perfettamente entrambe le lingue e in realtà non mi sentivo né inglese né francese. Ero una via di mezzo. Era questo il mio problema. Ero sempre una via di mezzo. Ero un mezzo avvocato, la laurea ce l'avevo ma non praticavo quella professione, ero mezza bionda e mezza mora visto che avevo sempre la ricrescita più scura tra i capelli, in poche parole: facevano schifo.
Mi trascinai con fatica fino in cucina, alla ricerca di un bicchiere d'acqua fresca da bere. Avevo appena aperto il frigorifero, appuntandomi mentalmente che dovevo andare a fare la spesa, quando il cellulare appoggiato sul tavolo prese a suonare.
Vedendo la scritta "mamma" che lampeggiava sul display, fui presa dalla tentazione di non rispondere ma poi la parte ragionevole della mia mente prevalse e premetti il tasto verde.
«Pronto?»
«Tesoro sono io, è domenica, vieni a pranzo da noi?»
Ci pensai su un attimo, «ho un impegno» sparai, senza nemmeno pensarci.
Mi liberai le mani tenendo il telefono tra la spalla e la guancia, e presi una sigaretta dal pacchetto che avevo lasciato nella borsa la sera precedente.
Cominciai a gironzolare per la cucina in cerca di un accendino e finii per trovare una scatola di fiammiferi probabilmente del secolo passato, in un cassetto.
Aspirai una profonda boccata di fumo assaporando quel sapore acre che mi arrivò in gola.
«Che genere di impegno?»
«Esco» dissi vaga, riprendendo in mano il telefono.
«Con chi?»
«Non lo conosci.»
«Dimmi almeno come si chiama! Chi ti dice che io non lo conosca?»
Mentre mia madre continuava a blaterare su quante persone lei conoscesse, però dopo dodici anni di divorzio era ancora sola, mi buttai sul divano ed accesi la tele.
«Will» la interruppi, giusto per farla tacere. «Si chiama Will.»
«Cognome?»
«Smith.»
Dall'altra parte ci fu silenzio per un attimo, «ma Will Smith non è un attore?»
«Mamma è un suo omonimo! Ora scusa ma devo andare a prepararmi, sai com'è, non vorrei farlo aspettare, Will odia i ritardi.»
«Ma...»
«Grazie comunque per l'invito, ci sentiamo dai. Ciao» e prima che potesse ribattere, le riattaccai in faccia.
 
«Lola?»
E chi era questo?
Alzai lo sguardo dalla borsa nella quale stavo cercando uno spicciolo per prendere il carrello e mi sforzai di sorridere davanti a Chuck, che mi salutò molto più calorosamente di quanto mi aspettassi, stritolandomi in un abbraccio. Trovarsi il migliore amico di Pierre al supermercato non era in cima alla mia lista dei desideri ma mi finsi piacevolmente sorpresa di trovarlo lì. Infondo alle superiori eravamo buoni amici, poi ci eravamo semplicemente persi di vista e tutta la storia col suo compagno di avventure Bouvier non migliorò le cose.
«Lou me l'aveva detto che eri tornata!»
Ma davvero? Non l'avrei mai detto, voi due sembrate solo due vecchiette pettegole.
«Allora, come stai?» continuò.
«Bene grazie, tu?»
Lui si strinse nelle spalle, «anch'io non mi lamento. Beviamo qualcosa insieme? È da un po' che non ci si vede...» propose, con un cenno della testa in direzione del bar poco distante da noi.
«Oh, certo!» accettai, seguendolo verso un tavolo.
Ordinai una spremuta di arancia e una brioche - non avevo fatto colazione - e poi osservai Chuck concentrato sul suo cellulare.
Anche lui non era cambiato molto dalle superiori, il solito faccino simpatico che era impossibile odiare. Mi ritrovai a sorridere in memoria dei vecchi tempi, cercando di ignorare l'onnipresenza di Pierre in qualunque momento trascorso con Chuck mi venisse in mente.
«Allora!» esclamò, rimettendo a posto il telefonino e concentrando tutta la sua attenzione su di me, «com'è l'Europa? Sei diventata una donna di mondo, non credevo saresti ritornata alle origini...»
Mi strinsi nelle spalle improvvisamente in imbarazzo, cosa potevo inventarmi stavolta?
«L'Europa è meravigliosa, dovresti andarci, qualche giorno» buttai lì, «sono tornata qua perché l'avvocato per cui lavoravo in Francia - anche lui di Montreal - ha deciso di trasferirsi e così l'ho seguito. Poi un po' mi mancava casa...» ammisi, il che era vero.
Mi era mancato l'accento canadese, il freddo che d'inverno ti entra nelle ossa, la neve che a Parigi sembra una spruzzata di zucchero a velo mentre qua ti sommerge letteralmente.
«Tu invece che combini?» chiesi.
Chuck ringraziò il cameriere che ci aveva portato le ordinazioni e prese un respiro profondo prima di rispondere.
«Sto per aprire un negozio di dischi...» mi arrestai, con la spremuta a mezz'aria, a quelle parole, «con Pierre» concluse, dopo una pausa.
Mi sforzai di sorridere, «interessante» commentai poi, prendendo una profonda boccata d'ossigeno.
Chuck schioccò la lingua sul palato, «già. Sai molto bene quanto amavamo, o meglio, amiamo la musica» annuii, «e visto che come band siamo riusciti a suonare soltanto al ballo di fine anno, abbiamo deciso di aprire un negozio di dischi.»
«Mi sembra una bella idea, d'ora in poi smetterò di scaricare le canzoni illegalmente ma verrò a comprare i cd da voi» risi, rendendomi conto solamente dopo di quanto fosse squallida quella battuta.
«Scusa» mormorai, con lo sguardo basso.
«Tranquilla» mi rassicurò Chuck, con un gesto della mano, come se stesse cacciando un moscerino, «lunedì prossimo diamo una piccola festa di inaugurazione dopo l'orario di chiusura, se ti va di venire...»
Rimasi in silenzio indecisa sul da farsi, mi avrebbe fatto piacere andarci, se non fosse stato per la sicura presenza di Pierre.
«Ci penserò» dissi poi, sorridendo.
Chuck annuì come se si aspettasse una risposta del genere da parte mia, poi fece una smorfia strana, che conoscevo fin troppo bene e che stava ad indicare che di lì a poco sarebbe partito con la predica. Era sempre stato il più responsabile del gruppo lui.
«So che odi Pierre - eccolo lì - e fai bene! Però, Lola, quanti anni sono passati? Otto? Nove?»
«Dieci» lo corressi.
«Ecco, appunto, non credi sia giunta l'ora di guardare avanti? Non puoi condannarlo a vita per una cosa che ha fatto dieci anni fa!»
Mi misi a braccia conserte e mi accomodai meglio sulla sedia, mentre Chuck esplicava con enfasi tutte le sue teorie. Peccato che anche quando aveva diciott'anni le sue doti persuasive erano pessime e nonostante i suoi discorsi noi facevamo sempre e comunque quello che volevamo.
Quando vidi che aveva smesso di gesticolare come un posseduto, presi parola.
«Io guardo avanti» ribattei tranquilla, «e sai cosa vedo nel mio futuro? Tutto tranne Pierre. Lui per me non esiste più, non si è preso il ceffone - o la miriade di ceffoni - che si meriterebbe, perché l'ho rivisto solo l'altro giorno e grazie a dio in questi anni credo di essere maturata quindi non alzerò le mani su di lui, però per me lui non è niente. Non ho intenzione di salutarlo né di rivolgergli la parola, anzi, nel caso lo incontrassi in giro dovrebbe stare attento a non mettersi davanti a me perché visto che per me lui non esiste potrei anche andargli addosso. Sai com'è, qualcuno che non esiste non lo vedi nemmeno.»
Chuck scosse la testa sconsolato, «meno male che eri maturata» borbottò.
«Oh ma per piacere!» sbottai, allargando le braccia e attirando l'attenzione di alcune persone, «tu sei dalla sua parte! Sei sempre stato dalla sua parte! Anche se sai che è nel torto marcio sarai sempre dalla sua parte quindi non venire da me a comportarti da giudice di pace perché non ti si addice proprio! Io Pierre non lo perdonerò mai! Mai! Mai! Mai! Mai! Mai!» mi ritrovai a gridare.
Non diedi retta alla gente che mi guardava preoccupata e allo stesso tempo spaventata. Pensavano che ero pazza? Meglio, non avrebbero osato avvicinarsi. Le persone hanno paura dei pazzi.
Mi alzai dalla sedia prendendo la giacca, la borsa e la spremuta non ancora finita.
«Paghi tu!» esclamai poi contro Chuck, prima di andarmene di lì.


 

-
 

Ciaaao! :D
Scusate per il ritardo nel postare ma ho passato un weekend d'inferno, stavo/sto malissimo e ho acceso il computer solo ora :)
Comuunque, ora sono qua!
Che ne pensate del capitolo? Secondo me Lola è un po' una stronza, poi come si fa ad odiare Chuck? E' impossibile! Lei invece l'ha maltrattato un po' ewe
Fatemi sapere che ne pensate, ci tengo davvero!
E grazie per aver messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite :)
Jas

P.S. Ho creato una pagina su Facebook, se vi interessa! Mi farebbe piacere se mi metteste mi piace :) Cliccate qui!


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***



 


 

Capitolo 5

 

La prima volta che ero uscita di casa con il tailleur, una ventiquattr'ore e un tacco dodici, mi ero sentita la padrona del mondo. Mi sembrava di essere finita in un episodio di Ugly Betty solo che io ero un po' meno brutta di Betty, più alta e magra di lei, non portavo l'apparecchio, mi facevo le sopracciglia e sapevo dell'esistenza delle lenti a contatto. In pochi mi avevano vista con gli occhiali.
Alec era la versione più vecchia, ma comunque con il suo fascino, di Daniel Meade. Era simpatico, un tipo alla mano e aveva sposato più donne di quanti ragazzi nudi avessi visto io fino ad allora.
Più il tempo passava, però, più mi ero resa conto che la mia vita non era un telefilm. Quel pensiero era tanto poetico e filosofico ma alla fine era la semplice e pura realtà. E faceva schifo.
Così, mentre correvo come una matta tenendo con sole due mani la mia ventiquattr'ore ormai da cambiare, un caffè, un cappuccino e una pila di documenti più alta della bambina che avevo appena superato, non facevo altro che pensare - oltre che ero in un mostruoso ritardo - a quanto mi sentissi insoddisfatta in qualunque ambito della mia vita.
Sarei finita per essere una zitella con la voce roca per le troppe sigarette, che viveva in un appartamento sudicio di periferia con una dozzina di gatti e con indosso sempre la solita vestaglia sgualcita.
Aprii la porta del palazzo in cui lavoravo con un piede e le diedi un forte colpo così che questa si spalancasse del tutto e io riuscissi a passare. Corsi all'ascensore e lo chiamai schiacciando il pulsante con il naso visto che non avevo altre parti del corpo libere. Avrei potuto usare un tacco ma la gonna stretta mi impediva di alzare la gamba così tanto, inoltre, il mio equilibrio non era dei migliori.
Entrai in ascensore e mentre questo percorse quello che mi parve il più lungo viaggio della mia vita - erano solo quattro piani da superare - mi guardai allo specchio per essere certa di non avere la bocca sporca di dentifricio, il mascara sbavato o qualunque altra cosa fuori posto.
Non appena il famigliare tintinnio elettronico mi avvisò che ero arrivata, mi stampai il solito falsissimo sorriso sulla faccia giusto prima che le porte scorrevoli si aprissero, mostrandomi l'immenso e sofisticato studio dell'avvocato Baldwin.
Salutai la centralinista che sedeva come al solito dietro alla sua scrivania - il suo lavoro era la cosa più brutta che poteva esserci dopo il mio, di lavoro - e mi diressi direttamente verso l'ufficio del Grande Capo, lasciando sulla mia sedia la ventiquattr'ore e il mio caffè.
Bussai con calma, attendendo il solito "avanti" prima di muovere un timido passo sulla moquette nera della stanza, pronta a sentire una predica lunga mezz'ora su quanto la puntualità sia importante.
Quello che c'era ad assettarmi, invece, era un uomo alto, molto più alto di me, e ben piazzato, ma non grasso, che mi dava di spalle, guardando dall'ampia vetrata che occupava quasi tutta una parete la città di Montreal.
«Signore il suo cappuccino, e qui ci sono i documenti che mi ha chiesto di prepararle» cominciai a parlare, mentre appoggiavo tutto sulla scrivania. «Li ho ricontrollati almeno una decina di volte ma se dovesse esserci qualcosa che non va basta che me lo faccia sapere e provvederò subito a sistemare tutto. Mentre per quanto riguarda il ritardo, signore...»
Ero pronta a implorare il suo perdono in ginocchio, ma il Grande Capo mi interruppe alzando semplicemente il braccio sinistro e voltandosi a guardarmi, finalmente.
«Va bene così, Lola.»
Lo guardai sorpresa, in tre anni che ci lavoravo insieme era la prima volta che Alec mi chiamava con il mio nome di battesimo e non per cognome oppure con un "ehi tu", perché io dovevo sapere che "tu" ero io e non le altre quindici persone che c'erano con me.
Mi trattenni dall'esultare e mossi un passo indietro, avvicinandomi all'uscita.
«Ah, un'ultima cosa» mi richiamò lui, e mi arrestai guardandolo spaventata. «Quale cravatta è meglio secondo te, questa o questa?» domandò, mostrandomi prima una e poi l'altra.
Ci pensai su un attimo, non capivo niente di cravatte ma d'istinto scelsi la seconda, «quella lì» dissi, indicandogliela.
Al Capone mi sorrise, credo per la prima volta in vita mia, «anch'io» fece, prima di tornare il solito antipatico e congedarmi con un gesto della mano.
Uscii di corsa dall'ufficio e mi piazzai dietro la scrivania prendendomi alcuni secondi per poter esultare del miracolo di cui ero appena stata testimone.
Il telefono che squillò mi costrinse a ricompormi, mi schiarii la voce prima di alzare la cornetta.
«Studio legale Baldwin, sono Lola, come posso esserle utile?»
«Looooooolaaaaaaaaa!»
Allontanai il telefono dall'orecchio giusto per preservare il mio udito e quando Lou finì di comportarsi da sclerotica, le risposi tranquilla.
«Che c'è di così importante da chiamarmi al lavoro e non sul mio cellulare? Non puoi aspettare la pausa pranzo?»
«No. Ho appena sentito mia mamma che mi ha riferito che la mamma di Chuck le ha detto che Chuck le ha detto che tu non verrai all'inaugurazione del suo negozio» Lou prese un respiro profondo prima di continuare, «è vero?»
«Sì ma...»
In quel momento il telefono squillò di nuovo, Dio grazie.
«Senti ho una chiamata sotto, ti richiamo in pausa pranzo, okay?»
«Ma...»
«No, niente ma. Elouise sono al lavoro mi dispiace.»
«Anch'io sono al lavoro! Steve metti giù quella forbice, cazzo!» gridò.
Risi, «è così che si parla coi bambini dell'asilo?» la ripresi.
«Vaffanculo. E ti sei salvata solo perché questi due si stanno ammazzando e se qualcuno muore ci vado di mezzo io, ciao» e prima che potessi dire qualunque cosa, Lou mi riattaccò in faccia.
Presi un respiro profondo prima di rispondere alla seconda chiamata.
«Tesoro sono io.»
Alzai gli occhi al cielo, ci mancava solo mia mamma.
«Ciao ma'» la salutai, lanciando un'occhiata all'ufficio di Alec per essere certa che non stesse origliando le chiamate visto che una volta lo avevo sorpreso farlo.
«Ma è vero che non andrai all'inaugurazione del negozio di cd di Chuck e Pierre? Me l'ha detto la mamma di Pierre che gliel'ha detto la mamma di Chuck alla quale gliel'ha detto suo figlio. È vero?»
Cominciai a fare stani versi e a parlare a scatti, presi un pezzo di carta e lo accartocciai vicino alla cornetta.
«Ma-Mamma n-non ti sento bene», accartocciai ancora un po' la carta, «ciao!» e riattaccai.
Quando alzai lo sguardo, Alec mi guardava divertito, appoggiato allo stipite della porta del suo ufficio e con indosso la cravatta che gli avevo consigliato.
«Anch'io facevo così con mia madre, anzi, lo faccio ancora! Ho ormai quasi 60 anni ed è ancora opprimente!»
Feci una risatina nervosa, ma cos'aveva fumato quello quella mattina per essere così... Allegro? Simpatico? Sopportabile? Non era la persona che avevo conosciuto nei tre anni precedenti.
Alec si drizzò di scatto, come se si fosse ricordato solo allora il motivo per cui era arrivato da me.
«Ho dato una veloce occhiata ai documenti e sembrano andare bene. Io ora devo uscire per una commissione e non so quando tornerò, tu però devi studiare bene tutto quello che c'è scritto qua, è la causa Wilson, e dirmi qual è il modo migliore per agire in tribunale. Quali sono le nostre debolezze ma anche i nostri punti forti, su cui contare. Come se dovessi essere tu a cercare di convincere il giudice, anche se ovviamente ci sarò io lì» concluse, facendomi l'occhiolino ed andandosene.
Presi il pezzo di carta che avevo stropicciato prima e lo appallottolai per bene prima si tirarono addosso alla porta di vetro dell'ufficio di quello stronzo.
Bello far fare tutto lo sporco lavoro alla segretaria e poi prendersi il merito di tutto, proprio bello, pensai, mentre cominciavo a sfogliare il fascicolo che mi aveva dato.
 
«Lou siamo in un paese democratico!» gridai, facendo voltare nella mia direzione alcuni passanti che mi guardarono male. Lanciai loro occhiate storte mentre aspiravo, come posseduta, l'ultimo tiro della mia sigaretta ormai giunta alla fine.
«Non iniziare a tirare in balle ste cose con me eh che sai che fine faccio fare a te e alla tua laurea in giurisprudenza?» ribatté lei, superando mi per quanto riguardava il tono di voce.
«Non puoi obbligarmi a fare una cosa che non voglio!» l'accusai io, spegnendo con forza la sigaretta nel portacenere.
«Anch'io non vorrei fare tante cose eppur devo! Pensi che mi faccia piacere pagare le tasse? No! Eppure lo faccio!»
«Ma che c'entra?» ribattei esasperata, «non metterti a parlare di ste cose che dovrei farti una lezione di diritto tributario per spiegarti il perché tu paghi le tasse» aggiunsi abbassando il tono di voce.
«Non me ne frega niente del diritto tributario, voglio solo che tu vieni con me a quella cazzo di inaugurazione! Non devi sposarti Pierre Bouvier, anzi, non devi nemmeno parlarci se non vuoi! Vieni, mangi e bevi gratis, se vuoi ti compro un cd per farti contenta, e poi torniamo a casa! Sbaglio o eri tu che dicevi che per te Pierre era morto? Se ti fai condizionare così dalla sua presenza, però, lo tieni in considerazione eccome! Non ti sembra di essere un po' incoerente?» mi accusò.
Sospirai sentendomi con le spalle al muro, «fanculo a te e alla tua laurea in psicologia» borbottai, rientrando in ufficio.
«Quindi vieni?» domandò Lou, improvvisamente allegra.
Sospirai esausta, «sì.»


 

-

 

Eccomi qua! :D
Questo capitolo è un po' di passaggio ma serve descrivere il lavoro di Lola perché se ne parlerà spesso nella storia ma nel prossimo ci Pierre quindi resistete :)
Ci terrei a sapere che ne pensate di Lola, è un personaggio un po' diverso dai miei soliti - riferendomi però al fandom dei One Direction - anche perché lei ha ventisette anni mentre io di solito scrivo su adolescenti quindi se trovate qualcosa di strano (?) non fatevi problemi nel dirmelo, anzi, se magari vi vergognate potete scrivermi pure su Ask con l'anonimo HAHAHA
Prima di abbandonarvi ci tenevo a pubblicizzare una One Shot a rating rosso su Pierre, bellissima, che ha scritto shotmedown, merita davvero quindi se potete leggerla vi consiglio di farlo! Cliccate qui!
Grazie mille per le recensioni allo scorso capitolo, mi fa piacere sapere che la storia vi piaccia ma soprattutto che c'è gente che pur non essendo fan dei Simple Plan la legge lo stesso quindi grazie!
Credo di aver finito, alla prossima!
Jas

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



 




 

Capitolo 6

 
«Lola sei uno schianto! Pierre ti salterà addosso di sicuro!» squittì Lou, battendo le mani come un pinguino.
La fulminai con lo sguardo mentre mi accendevo l'ennesima sigaretta di quella giornata, l'inaugurazione mi aveva resa mio malgrado molto nervosa.
Aspirai la prima boccata di fumo e l'espirai volutamente in faccia alla mia amica che prese a tossire fortemente mentre con si sventolava l'altra mano davanti al viso.
«Fumare nuoce gravemente a te e a chi ti sta intorno! Lo sai che anche il fumo passivo è cancerogeno?» mi riprese.
«Allora tu smettila di tirare sempre in ballo Pierre perché sono ancora in tempo per fare retro front ed andarmene a casa. Stasera c'è pure l'episodio di Diario Di Una Nerd Superstar in cui Jenna sceglie tra Jake e Matty. Matty sarà pure figo ma io preferisco Jake» dissi, «e per colpa tua dovrò aspettare le repliche della settimana prossima per sapere con chi si mette!»
Lou scosse la testa passandosi entrambe le mani sul viso, «ti prego Lola, hai trent'anni ormai!»
«Ventisette» la corressi, «e poi tu stai zitta visto che seguivi Il Mondo Di Patty, quello schifo di telenovela argentina!»
«I miei bambini lo seguivano, se mi chiedevano qualcosa dovevo pur rispondere loro!» si difese.
«I bambini dell'asilo non guardano Il Mondo Di Patty!» esclamai, gesticolando pericolosamente con la sigaretta in mano, Lou infatti si allontanò lievemente da me prima di arrestarsi improvvisamente.
«Siamo arrivate» disse, indicando il negozio alle mie spalle.
Mi voltai e sbirciai oltre la porta di vetro, c'era abbastanza gente, più di quanta mi aspettassi.
«Finisco e arrivo» spiegai, mostrandole la sigaretta.
Lou annuì, «vado a salutare Chuck e Pierre nel frattempo, così che tu poi non sei obbligata a guardarlo in faccia» mi rinfacciò, «e tu non provare scappare» mi avvisò.
Scossi la testa mentre prendevo un altro tiro dalla mia sigaretta, ormai ero lì e non potevo darmela a gambe come una fifona.
M misi ad osservare distratta le persone che camminavano sul marciapiede e le macchine che sfrecciavano sulla strada poco distante da me. Non frequentavo molto quella zona di Montreal ma adocchiai alcuni negozi niente male, non appena avessi avuto tempo e soldi avrei dovuto farci una scappatina, magari avrei aspettato i saldi.
Spensi la sigaretta e la buttai in un cestino non molto lontano da dov'ero, mi voltai per entrare nel negozio e vidi Pierre davanti alla porta, con in mano dei sacchetti del supermercato stracolmi di cose, che cercava di abbassare la maniglia invano.
Era autunno inoltrato ed era in giro con una maglietta a maniche corte, un paio di jeans messi meglio di quelli larghi e sgualciti che ricordavo indossasse sempre, e delle Vans nere ai piedi.
Violando tutte le regole che mi ero imposta, mi avvicinai a lui e gli tenni aperta la porta, sforzando un sorriso.
Lui alzò la testa di scatto e quando mi vide rimase così sorpreso che fece cadere una delle borse che teneva in mano sul mio piede.
Fortunatamente era leggera - conteneva solo patatine, pop corn e cose del genere - e non mi fece niente, mi chinai a raccogliergliela e gliela porsi.
«Scusami è che...» Pierre sospirò e si passò una mano tra i capelli, cosa che avevo notato faceva spesso, e mi squadrò senza la minima indiscrezione da capo a piedi, «wow, sei bellissima» si lasciò scappare, arrossendo a malapena, e per un attimo mi parve di avere davanti il ragazzino ribelle ma insicuro del quale mi ero innamorata.
«Grazie» mormorai, sentendomi avvampare pure io nonostante negli ultimi giorni non avessi fatto altro che ripetermi di essere fredda, distaccata e di non lasciarmi abbindolare dal fascino Bouvier.
«Prego» mi sorrise lui, «non sai quanto sia contento che tu sia venuta, ci tenevo davvero.»
Annuii e gli aprii la porta, seguendolo dentro.
Ritrovai molti amici del liceo, amici che non vedevo da una vita e alcuni dei quali feci fatica a riconoscere.
Salutai tutti e scambiai con loro quattro chiacchiere fino a quando non sentii qualcuno prendermi per un polso e trascinarmi via di lì.
«Ohmiodio ohmiodio ohmiodio ho visto tutto!» squittì Lou, al settimo cielo.
La guardai confusa, senza riuscire a seguirla, «di cosa stai parlando?»
«Andiamo Lola! Vi ho visti! I sorrisetti da innamorati, tu che diventi rossa come un peperone, e lui pure! Non puoi negarlo!»
Rimasi impassibile alle sue allusioni, senza saper bene cosa dire. Dovevo essere impassibile, im-pas-si-bi-le.
«Non so di che cosa tu stia parlando» borbottai con nonchalance, prendendo un tramezzino appoggiato sul tavolo accanto a me e dandogli un morso.
Lou cominciò ad agitarsi sul posto, segno che era nervosa e spazientita, la conoscevo troppo bene.
«Fai come vuoi, allora!» sbottò, prendendo a gesticolare animatamente, «ma quando sarà troppo tardi e penserai "se solo avessi dato retta a Lou" non venire a piangere da me!»
La guardai sbigottita mentre si allontanava a grandi falcate e pesanti, non era un po' troppo presto per la menopausa? Cosa le era preso?
Ancora scossa per la sua reazione spropositata presi un calice di vino e ne bevvi un sorso, lasciando che il sapore dolciastro mi riempisse la gola. Avvistai in lontananza Chuck, mi sentii in dovere di chiedergli scusa così finii il mio tramezzino in un boccone e mi avvicinai a lui, con in mano soltanto il bicchiere di vino.
Attesi con pazienza che finisse di parlare con una coppietta che si stava congratulando con lui per il negozio prima di picchiettargli la spalla con le dita, per attirare la sua attenzione.
Non appena mi vide il suo viso si aprì in un sorriso sincero e senza rancore, Chuck era così.
Lo abbracciai senza tanti giri di parole, «scusami per l'altro giorno, non volevo. È solo che...»
«Tranquilla, non mi ricordo già più cos'è successo» mi rassicurò lui, accarezzandomi un braccio. «Sono contento che tu abbia deciso di venire, anzi, lo siamo un po' tutti» ammiccò, lanciando un'occhiata alla mia sinistra, dove Pierre ci guardava quasi imbambolato, con una manciata di patatine a mezz'aria.
Sentii una morsa allo stomaco, «Chuck, è più forte di me» mi difesi, «mentirei se ti dicessi che mi è indifferente, perché non è così. Ma...» sospirai, alla ricerca delle parole giuste per esprimere quello che provavo perché non lo sapevo nemmeno io. «Mi ha fatto soffrire tanto, troppo. Non riesco a guardarlo senza...»
Senza cosa? Senza pensare a quanto sia bello, a quanto vorrei sentire di nuovo la sensazione delle sue labbra sulle mie?
«Davvero dieci anni non sono stati sufficienti per incassare il colpo? Per discutere su quello che ti ha fatto e poi lasciarsi alle spalle tutto e provare ad andare avanti? Oppure è l'orgoglio, che non riesci a mettere da parte?»
Rimasi in silenzio a quelle parole, cos'avrei dovuto rispondere? Mi voltai a guadare Pierre ancora una volta, si era messo a parlare con una ragazza e mi ritrovai a chiedermi se quella non fosse la sua, di ragazza. 
Chuck sembrò leggermi nel pensiero, «è single» disse, «e poi non dovete per forza sposarvi e avere figli, anche se vi ci vedrei bene, solo... Amici. Okay? Abbiamo tutti nostalgia dei vecchi tempi.»
Mi ritrovai a sorridere fiduciosa, infondo Chuck aveva ragione. Dopo le superiori ci eravamo allontanati un po' tutti, chi era andato da una parte e chi dall'altra ma in quel momento eravamo tutti lì, a Montreal. E la situazione tra me e Pierre aveva impedito al gruppo di ritrovarsi, giusto per una bevuta insieme in nome dei vecchi tempi. Non mi sembrava giusto.
«E a quando sarebbe la rimpatriata?» domandai a Chuck divertita, consapevole di averlo colto in fallo.
«La laurea in giurisprudenza ti ha resa particolarmente sveglia» mi prese in giro, scompigliandomi i capelli, «comunque venerdì, aperitivo, cena e poi si vedrà. Niente scenate, okay?»
«Farò del mio meglio» risposi, con finta aria di sufficienza.
Finii il mio vino in un sorso, «buono» mi complimentai, appoggiando il bicchiere vuoto lì vicino e cercando con lo sguardo Pierre.
Lo avvistai pochi secondi dopo dalla parte opposta del negozio rispetto a dove mi trovavo io, si stava avvicinando all'uscita.
Presi due sigarette dalla borsa e l'accendino, e lo seguii facendomi spazio tra la folla.
Mentre  avanzavo a suon di "scusa" e "permesso", con una sigaretta spenta tra le labbra che mi dava un'aria da tossica, mi venne in mente il pomeriggio in cui avevo proibito a Pierre di fumare.
Gli avevo fatto un discorso lungo un'eternità su quanto facesse male, ingiallisse i denti, facesse invecchiare la pelle eccetera eccetera. Lui mi aveva dato ascolto ed aveva smesso completamente da un giorno all'altro, sorprendendo perfino me stessa. Dieci anni dopo, eccomi lì, proprio io, che gli offrivo una sigaretta fuori dal suo negozio, mentre io mi stavo già accendendo la mia, in astinenza dalla nicotina. Erano proprio cambiate, le cose.  



 

-




Eccomi qua! :D
Questo capitolo è un po' di passaggio, lo so, ma vi prometto che il prossimo sarà più movimentato perché si scoprirà il motivo per cui Pierre è scomparso così di colpo dalla vita di Lola :)
Spero che la storia vi sia piacendo, ho notato che più si va avanti più le recensioni diminuiscono e sinceramente non so come interpretare la cosa. Se vi sembra che ci sia qualcosa che non vada siete liberissimi di dirmelo, così che anch'io mi possa adeguare, non sono una che se la prende per le cose quindi non fatevi problemi! :D
Detto questo, ho un favore da chiedervi! Potreste fare "mi piace" a questa pagina se vi va? Mi fareste un piacere immenso, davvero!
Ora me ne vado, fatemi sapere che ne pensate!
Jas



 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***



 




 

Capitolo 7

 


«No grazie, non fumo.»
Pierre declinò gentilmente la mia offerta mentre io facevo cadere ancora incredula la sigaretta nella borsa, sentendomi improvvisamente a disagio con la mia che tenevo stretta tra l'indice e il medio della mano destra.
«Il tuo discorso su quanto faccia male la nicotina mi è rimasto ben in testa» rise, «tu piuttosto?»
Mi strinsi nelle spalle, «ho iniziato a fumare all'università, in un periodo di debolezza» mormorai.
Pierre si accigliò, «non per colpa mia, vero?»
Al 99.9% sì, ma... «ehi Bouvier, non pensare che ci sia sempre tu al centro dei miei pensieri!» lo presi in giro, dandogli una spinta amichevole.
Lui scosse la testa divertito, «a dire la verità lo speravo» ammise.
Lo guardai confusa, «l'ultima volta che sei stato nei miei pensieri ti ho insultato pesantemente, non so se ti conviene» lo avvertii, mettendola sul ridere nonostante il solo pensiero di quel periodo buio che avevo passato mi mettesse ancora tristezza.
«Non intendevo quello» spiegò lui, lasciandosi andare ad un sospiro.
Rimasi in silenzio, dondolandomi da un piede all'altro, senza sapere bene cosa rispondere.
Sbirciai Pierre con la coda dell'occhio, era appoggiato al muro con la schiena e un piede, mentre le braccia gli cadevano morbide sul fianchi, lo sguardo perso davanti a lui.
Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi. Lola, non farti abbindolare da quel meraviglioso ragazzo davanti a te, mi ripetei mentalmente.
«Mi dispiace» mormorò poi Pierre, di punto in bianco.
Mi voltai completamente a guardarlo, lui non aveva cambiato posizione solo che il suo sguardo ora era su di me, e improvvisamente io mi sentii a disagio e inadeguata in quel vestito nero né elegante né casual e con le ballerine ai piedi.
«Per cosa, esattamente?» chiesi, con una punta di accidia nella voce.
«Dai, Lola» mi richiamò lui, quasi esausto.
«"Dai, Lola" un bel niente!» sbottai, «sono io che dovrei dire "Dai, Pierre", sono io quella che è stata lasciata senza alcun motivo, ricordi o ti devo rinfrescare la memoria?» lo ripresi, cominciando a gesticolare animatamente.
La cenere della sigaretta che mi ero perfino dimenticata di avere in mano mi cadde sul piede lasciato in parte nudo dalle ballerine che indossavo.
«Cazzo!» imprecai, facendo un salto indietro e andando a sbattere addosso ad una signora che aveva avuto la sfortuna di trovarsi lì in quell'istante.
Tutte le borse della spesa che teneva in mano le caddero di mano, mi voltai nella sua direzione sconvolta, mentre una scatola di latta di cibo per gatti rotolava sul marciapiede, andando poi a fermarsi davanti a me.
«Signora mi dispiace!» mi scusai, abbassandomi per raccogliere tutta la spesa che era uscita dai sacchetti.
Anche Pierre accorse in mio aiuto mentre io sentivo le guance diventare bollenti per l'imbarazzo.
Rimisi tutto nelle borse alla bell'e meglio e porsi il sacchetto alla signora, sfoderando il migliore dei miei sorrisi.
«Sono mortificata» ripetei, «non l'avevo vista.»
La signora scosse la testa, «non importa, è stato un incidente. Buona giornata» disse, prima di riprendere il suo cammino.
La guardai immobile mentre andava via, Pierre si lasciò scappare un sorriso.
«Non c'è niente di divertente» lo ripresi, mettendomi a braccia conserte.
Lui annuì morendosi il labbro inferiore per trattenersi, un gesto che mi fece venire la voglia di assaporarle di nuovo, quelle labbra.
Un'ondata di panico si fece strada dentro di me, dovevo trattenere i miei impulsi. Strinsi i pugni con forza, cercando di scaricare lo stress, come potevo pensare certe cose di una persona che dovevo odiare a morte? In sua presenza ogni sentimento negativo che provavo nei suoi confronti sembrava sparire, e questa cosa la trovavo una forma di ingiustizia nei confronti di me stessa. Delle notti in bianco che avevo passato, chiedendomi perché aveva deciso di abbandonarmi così, cosa c'era che non andasse in me e cosa avessi fatto di male. Lui non poteva riapparire nella mia vita dopo dieci anni e passarla liscia con un semplice "scusa, mi dispiace", non dovevano andare così le cose.
«...È solo che sei sempre la solita svampita, ecco.»
«Eh?» squittii, con voce acuta, rendendomi conto solo dopo che mi ero persa un pezzo di discorso.
«Ho detto che nonostante gli anni passati sei sempre la solita, tutto qua» ripeté Pierre, stringendosi nelle spalle.
«Dovrei prenderlo per un complimento?» domandai acida.
Pierre annuì sorridendo, «è una delle cose che più mi fa impazzire di te.»
Trattenni il respiro a quelle parole, aveva usato il presente.
Che mi fa impazzire, non faceva. Quindi era ancora pazzo di me.
Mi trattenni dall'esultare, nascondendo tutta la mia felicità dietro un'espressione impassibile, mi conosceva troppo bene quel ragazzo e sapeva tutti i miei punti deboli. Dovevo stare all'erta e non farmi fregare dai suoi giochetti.
«Allora mettiti in fila, c'è n'è troppa di gente che impazzisce per me» dissi, rimanendo impassibile nonostante la bugia. L'unico che sembrava impazzire per me, in quel momento, era Steve-Brufolo della contabilità, un nome, una garanzia.
Mi scappò una smorfia di disgusto al solo pensiero di baciare quell'uomo, sarebbe stata una cosa orripilante e vomitevole.
«Dovevo immaginarlo che una ragazza come te non stava ad aspettare uno come me» mormorò Pierre, dispiaciuto.
«Il treno avresti dovuto prenderlo quando è passato» dissi, incerta sul fatto che quel detto esistesse davvero, «o meglio» mi corressi, «non avresti dovuto abbandonare la corsa, visto che sul treno ci sei salito.»
«Hai finito?» domandò Pierre, seccato.
Gonfiai le guance, trattenendomi dal sotterrarlo di insulti ma trovando una via più pacifica per fargli afferrare il concetto. «Sono io che decido quando finire, tu dovresti solo stare zitto e ascoltare, anzi, sono sorpresa che non ti sia ancora inginocchiato al mio cospetto implorando il perdono. Sei tu che da un giorno all'altro hai iniziato a non rispondere alle mie chiamate, sei tu che mi hai lasciata con un messaggio in segreteria che recitava soltanto "è finita" e io mi sono tenuta dentro per anni quello che volevo dirti perché tu da vigliacco quale sei, sei sempre scappato e ora che posso finalmente parlarti non mi viene in mente niente da dirti perché, per quanto mi sforzi di non farlo, non riesco a non pensare a quanto tu sia diventato bello, e atletico e a quanto io mi sia persa in questi dieci anni per colpa tua, a quanto tu, nonostante tutto, mi faccia ancora battere il cuore e sentire come un'adolescente, quindi decido io quando finire, non tu» finii, senza fiato.
Mi ritrovai a respirare come se fossi reduce da una maratona, mentre Pierre mi guardava impassibile.
«Vuoi sapere perché ti ho lasciata?» domandò Pierre, con una tranquillità allarmante.
Annuii soltanto, senza avere il coraggio di dire niente. Quello era il momento che avevo agognato per dieci lunghi anni, ma improvvisamente sentii un'ondata di paura pervadermi, paura che in realtà fosse stata tutta colpa mia e io non me ne fossi resa conto.
«Pensavo tu mi tradissi» disse coinciso, Pierre.
Strabuzzai gli occhi, tra tutte le possibilità che avevo preso in considerazione, quella non mi era passata nemmeno per l'anticamera del cervello, ma improvvisamente mi sentii delusa. Tradita io stessa.
«Come hai potuto pensare una cosa del genere?» domandai incredula, «io ti amavo da morire, non credo di aver mai provato un sentimento così forte per qualcuno. Come...»
Non riuscivo a ragionare lucidamente, quelle parole erano state un vero e proprio colpo inaspettato.
«Qualcuno mi ha detto qualcosa, e io da povero illuso ci ho creduto.»
«Chi... Cosa?»
Cominciai a blaterare cose insensate, la mia mente era un groviglio di pensieri confusi che non riuscivano a prendere forma.
«Cindy. Cindy mi ha detto che ti divertivi a recitare la parte della ragazza rimasta sola con me al telefono ma che poi in realtà te la spassavi con Jimmy.»
«Cindy? Tu parlavi con Cindy? Quand'è che sei diventato amico di Cindy, scusa? Come hai fatto a credere alle sue parole lo sai che è un'arpia! E poi non potevi chiedere direttamente a me piuttosto che fare tutti questi giochetti infantili?»
Pierre sorrise amaramente, «perché se tu mi avessi tradito me l'avresti detto?»
«Si!» risposi convinta, «perché io non ti avrei mai tradito, Pierre!» esclamai. «E poi, dai, tra tutti i ragazzi della scuola proprio Jimmy! Lo sapevi che non gli rivolgevo la parola da quando mi aveva palpato le tette davanti a tutti! E poi gli puzzava l'alito in una maniera assurda, sembrava mangiasse topi morti!»
Pierre rimase in silenzio, probabilmente sapeva che il motivo per cui mi aveva lasciata era alquanto idiota, mi sentivo quasi male io per lui. Per una stupidata del genere era finito tutto, se Cindy si fosse fatta gli affari suoi chissà dove saremmo finiti, dieci anni dopo.
Forse ci saremmo lasciati comunque, per altri motivi, o forse saremmo stati ancora insieme. Forse avremmo comprato una casa insieme, sarei rimasta incinta, e mia madre sarebbe stata fiera di me, adorava Pierre e anch'io ero fermamente convinta che sarebbe stato un buon padre.
Una lacrima mi sfuggì al controllo, rigandomi la guancia destra, cercai di mantenere il controllo nonostante sentissi che il respiro si stava accelerando.
«Se ti sei fatto abbindolare così da Cindy, e mi hai lasciata senza lottare per me, allora infondo non mi amavi poi così tanto come dicevi di fare» dissi, dando voce al mio pensiero più scomodo.
Pierre mi guardò spaventato, «Lola non è vero, come puoi pensare una cosa simile?»
Mi strinsi nelle spalle, «è quello che le circostanze suggeriscono.»
«Ero un ragazzino, seguivo ogni singolo episodio dei Simpson e nascondevo sotto il letto una collezione invidiabile di giornalini porno! Quando sono arrivato a Los Angeles mi sono sentito subito grande e indipendente quando in realtà ero ancora un bambino! Mi sono fatto trascinare dagli eventi e ho preso un po' tutto sottogamba, l'università, la vita da solo e anche la relazione con te.»
«Hai lasciato gli studi il primo anno, se non ricordo male.»
Pierre annuì, «ma è una scelta che non rimpiango, medicina non faceva per me. L'unica cosa che non mi perdonerò mai è averti lasciata andare» mormorò, accarezzandomi la guancia sinistra con le dita.
Chiusi gli occhi beandomi di quel tocco dolce che mi fece accelerare il battito cardiaco, prima che potessi riaprirli sentii le labbra di Pierre sulle mie.
Assaporai quella sensazione per alcuni istanti, prima che il cervello mi rientrasse in funzione e mi staccassi bruscamente da lui, con il fiato corto.
Mi guardava sorpreso e dispiaciuto allo stesso tempo, io ero frastornata e confusa per quello che era appena successo, e con ancora la sensazione delle labbra di Pierre sulle mie.
«È troppo tardi» mormorai, prima di correre via.


 

-




Ciaao!
Eccomi qua, finalmente la verità salta fuori! HAHAHAHA
Lo so che è una motivazione un po' stupida forse, ma mettetevi nei panni di un Pierre Bouvier diciottenne che lascia Montreal e va a vivere da solo a Los Angeles, insomma... Surf, feste da sballo e la morosa in Canada... Lascio giudicare a voi HAHAHA
Chiusa questa piccola parentesi, spero che il capitolo vi sia piaciuto, ci terrei davvero a sapere cosa ne pensate, soprattutto del motivo della rottura tra Lola e Pierre che sinceramente ha messo un po' in difficoltà anche me :)
Alla prossima!
Jas




 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Prima che iniziate a leggere questo capitolo, vi avverto che ho postato una One Shot su Pierre e Lola che tecnicamente andrebbe collocata tra il 7° e l'8° capitolo quindi vi consiglio di passare ora (sempre se lo volete fare) e poi leggere questo capitolo :)


 


 




 

Capitolo 8



 
Mi appoggiai allo schienale della mia scomodissima sedia e mi stiracchiai per bene, con la pila di documenti che avevo analizzato con minuziosità che mi guardavano. Ero soddisfatta del mio lavoro, nonostante sapevo non me ne sarei mai presa il merito. Io però avevo la coscienza a posto, dubitavo che anche Alec si sentisse così, a meno che non avesse un cuore. Bevvi l'ultimo sorso del mio caffè nonostante fosse ormai mezzogiorno passato e mi alzai dalla mia postazione prendendo in mano il caso Wilson, la causa più importante che ci fosse stata affidata in quegli ultimi tre anni.
Sbirciai nell'ufficio del capo per essere sicura che fosse solo, nonostante non avesse appuntamenti a quell'ora, prima di bussare con discrezione.
Lui alzò lo sguardo e mi fece cenno di entrare, obbedii avanzando quasi timorosa verso la sua scrivania e appoggiandoci sopra il pesante malloppo di fogli.
«Ecco tutto» dissi semplicemente.
Alec mi guardò sorpreso, «il caso Wilson?»
Annuii.
«E hai già finito? Ci hai messo una settimana, forse neanche!»
Mi strinsi nelle spalle, sorvolai sul fatto che mi fossi portata il lavoro a casa e che a volte fossi stata sveglia fino a mezzanotte inoltrata ad analizzare tutto.
«Ho messo tutto quello che mi ha chiesto» dissi, «se c'è qualcosa che non va, come al solito...»
«Non credo di sarà, come di consueto» mi interruppe Alec, «sei la segretaria migliore che abbia mai avuto.»
Gli sorrisi, mi facevano piacere quelle parole, ma il mio era un sorriso sforzato. Era sincero? Non ci avrei messo la mano sul fuoco, se ero davvero così brava come diceva perché non avevo mai difeso un cliente ma mi ero sempre e solo limitata a fare il lavoro sporco lasciando Alec a prendersi tutto il merito?
«Grazie» dissi atona, prima di uscire dall'ufficio.
Presi la mia borsa da sotto la scrivania e mi diressi verso gli ascensori, la centralinista mi bloccò.
«Ha chiamato Elouise, ti ricorda la cena di stasera» mi disse con aria scocciata, senza nemmeno degnarsi di guardarmi in faccia mentre mi parlava.
Sbuffai mentre le porte dell'ascensore si aprivano, ci mancava solo quello stupido incontro a peggiorarmi la giornata, cominciai a non vedere l'ora di mettermi il pigiama ed andare a letto.
 
La tavola calda dove solitamente pranzavo era piena come al solito, la fila si estendeva addirittura fino al marciapiede, era un'utopia pensare di sedersi ad un tavolo e mangiare come la gente normale.
«Lola!» mi sentii chiamare, alzai lo sguardo dal mio Blackberry e notai Ryan che si sbracciava alcuni metri davanti a me, notai che era quasi arrivato il suo turno per ordinare.
Mi sentivo un'approfittatrice mentre superavo con nonchalance la gente in coda per raggiungere mio cognato, però infondo era lui che poco tempo prima mi aveva proposto di mangiare insieme qualche volta, nonostante lì per lì non avessi proprio preso in considerazione le sue parole.
«Ciao Ryan» lo salutai, mentre lui mi rivolgeva uno sei suoi sorrisi perfetti.
«Tutto bene?» mi domandò, mentre io mi sforzavo di annuire nonostante la giornata fosse iniziata male e sembrasse destinata a peggiorare.
«Tu invece?»
«Niente di che, questa mattina è stata all'insegna della pacchia più assoluta» disse lui, visibilmente contento di ciò.
«Allora stasera rientrerai a casa ad un orario decente, Gigì ultimamente si è lamentata un po' per i tuoi turni» dissi, sentendomi in dovere di mettere ben chiaro che lui era sposato con mia sorella nonostante non stessimo facendo niente di male.
Ryan mi guardò sorpreso, «davvero Gigì ti ha detto questo? Insomma, sto in ospedale a lavorare non è che sono in giro a divertirmi» borbottò, cominciando improvvisamente ad agitarsi.
«Ehi tranquillo!» dissi, «lei intende che tu le sembri troppo stanco, dice che ti sfruttano, non pensa assolutamente che tu sia in giro a divertirti!»
Il viso di Ryan sembrò rilassarsi, «ah» disse semplicemente.
Gli sorrisi rassicurante e in quel momento arrivò il nostro turno, ordinai un panino e improvvisamente mi resi conto che anch'io quel pomeriggio non avevo niente da fare.
Pranzai con una tranquillità che non mi apparteneva e chiacchierai con Ryan del più e del meno rendendomi conto che alla fine non era poi così male come pensavo.
Mi presi il lusso di rientrare in ufficio con dieci minuti di ritardo ma Alec nemmeno se ne accorse visto che non c'era, a quanto pare era uscito a fare un "mestiere". Probabilmente era andato a far visita alla sua prossima moglie.
Mi sedetti alla mia scrivania e dopo aver messo a posto tutte le scartoffie sparpagliate disordinatamente sul tavolo di vetro, presi come scusa il fatto di dover andare a ritirare in lavanderia i completi del Grande Capo per fare una passeggiata.
Non presi il taxi come di consueto ma optai per una strada pedonale che non avevo mai percorso ma che, se il mio senso dell'orientamento non era proprio così pessimo, mi avrebbe portata comunque a destinazione.
Mi fermai davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli e decisi di comprare un regalo ai miei nipotini, andando contro il mio generale odio nei confronti dei bambini. Continuai la mia passeggiata in tutta tranquillità, fino a quando non sbucai su una strada trafficata e stranamente famigliare. Non sapevo esattamente dove fossi ma ero sicura di esserci già stata in quel posto, dopo alcuni minuti di cammino infatti scorsi in lontananza l'insegna del negozio di cd di Pierre e Chuck. Fui seriamente tentata di entrarci a fare un giro, mi sentivo in colpa per non avere ancora comprato niente ma non ero sicura di voler vedere Pierre. Decisi quindi di attraversare la strada prima di passarci davanti e rischiare di essere vista, ma proprio quando aspettavo che il semaforo pedonale diventasse verde, notai Chuck venire nella mia direzione. Era impossibile scappare.
«Ciao Lola!» mi salutò infatti quasi subito.
Ricambiai, assumendo l'aria di chi non sapeva di essere ad alcuni metri dal suo negozio.
«Come mai da queste parti?» mi domandò, sorpreso.
«Devo ritirare i vestiti del Grande Capo in lavanderia, sai com'è, sono un tuttofare» dissi, con la voce acuta.
Mi sentivo incolpa, ma non sapevo esattamente per che cosa.
Chuck annuì serio, come se stesse riflettendo sulle mie parole.
«Sai, qualche giorno dovresti fare un salto in negozio» buttò lì.
In quello stesso istante il semaforo diventò verde e la marea di persone che cominciò ad attraversare la strada ci travolse.
«Lo so, sono una pessima amica, ora devo andare ci vediamo stasera ciao Chuck» dissi tutto d'un fiato mentre già cominciavo ad allontanarmi da lui che mi guardava confuso dal ciglio del marciapiede.
 
Il suono acuto del mio cellulare mi fece sobbalzare nel letto e per poco non caddi per terra.
Allungai il braccio verso il comodino per afferrare l'aggeggio indemoniato e risposi senza nemmeno guardare chi fosse il mittente.
«Lola dove cazzo sei?»
La voce inconfondibile di Lou mi arrivò alle orecchie come una sirena, insieme ad un rumore assordante.
Mi appoggiai una mano sulla fronte con gli occhi ancora chiusi, «cosa vuoi dalla mia vita per svegliarmi così nel pieno della notte?» farfugliai.
«Non è notte! Sono un quarto alle sette e io sto facendo aperitivo con tutti gli altri, tu dove cazzo sei? Non dirmi che stavi dormendo perché vengo lì e ti uccido!»
Aprii gli occhi di scatto, avevo lasciato pure la televisione accesa col volume al minimo, ero letteralmente crollata dalla stanchezza.
«Io? Certo che no! Mi sto preparando solo che mentre facevo la doccia è saltata l'acqua calda ed ero mezza insaponata e non potevo venire così e quindi ho dovuto aspettare che arrivasse l'idraulico e...» cominciai a farfugliare cose insensate mentre mi alzavo dal letto e aprivo l'armadio alla ricerca di qualcosa di decente da mettermi.
«Okay ho capito stavi dormendo, ti do tempo fino alle sette per essere qui, ciao» e senza darmi il tempo di ribattere, Lou riattaccò.
Corsi in bagno ed aprii l'acqua della doccia che funzionava eccome, e senza aspettare che raggiungesse una temperatura tiepida mi buttai sotto.
Riuscii a prepararmi in tempo record, buttai un po' di trucchi nella borsa e con ancora i capelli umidi uscii di casa e mi fiondai in strada alla ricerca di un taxi che fortunatamente trovai subito.
Mentre un tizio mezzo indiano e mezzo canadese mi raccontava della politica del paese io presi il fondotinta e me lo spalmai alla bell'e meglio in faccia. Poi, mentre eravamo fermi ad un semaforo, tracciai due linee di eyeliner sugli occhi e mi misi il mascara.
«Appuntamento col ragazzo?» mi domandò a un certo punto il tassista, quando si accorse che non stavo ascoltando nemmeno una parola sulla sua teoria di politica economica del Canada.
«Un ritrovo con gli amici del liceo, tra cui il mio ex che odio a morte per come mi ha lasciata ma che nonostante ciò...» mi bloccai, cosa stavo per dire? Amo ancora?
«Ti fa ancora eccitare?» concluse l'indiano, perché di canadese non aveva proprio niente, con quel suo accento odioso.
Lo fulminai con lo sguardo attraverso lo specchietto, nonostante infondo avesse un po' ragione, mentre chiudevo le labbra, un gesto automatico che facevo sempre dopo che mi mettevo il rossetto.
Lui ignorò la mia reazione e continuò a parlare, «se ti piace ancora vacci, non fare troppo la figa di legno che poi te ne penti. Voi ragazze siete tutte così, fare tanto le schizzinose e le altezzose ma alla fine siete più vogliose dei maschi. Pensa che un India è ancora peggio, ma se ne trovi una sono più soddisfacenti di voi canadesi, peccato che ne esiste una su mille.»
La macchina si arrestò ma il tizio continuò ancora a parlare su una sua avventura adolescenziale, «okay grazie per i consigli» lo interruppi, allungandogli una banconota da venti dollari, «tieni il resto» aggiunsi, facendo un'eccezione, mentre scendevo dal taxi e correvo dentro il locale.


 

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Eccomi qua!
Spero che abbiate letto la One Shot prima di questo capitolo, volevo che la leggeste prima per il semplice fatto che qui si capisce che Lola alla fine va alla cena HAHAHAHA
Ho deciso di aggiornare oggi perché sono andata dal dentista e il mio dentista è uguale a Ryan Reynolds che nella storia interpreta il cognato di Lola, inoltre qui si scoprono un po' di cose su di lui che serviranno a capire altre cose che succederanno più avanti uù
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Intanto vi ringrazio di cuore per tutte le recensioni che mi lasciate e per aver aggiunto la storia tra i preferiti, grazie mille ♥
Fatemi sapere che ne pensate!
Jas

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***



 




 

Capitolo 9

 

Non appena misi piede nel locale fui travolta dai ricordi, quello era il posto in cui trascorrevamo i nostri weekend, molto in voga alcuni anni prima.
Rimasi sorpresa nello scoprire che fosse ancora aperto mentre mi avvicinavo al bancone per ordinare un Martini prima di raggiungere gli altri, nella sala che era stata prenotata apposta per l'occasione.
«Guarda chi c'è, la naufraga!» esclamò Lou, non appena mi vide, attirando l'attenzione di tutti i presenti su di me.
Le mostrai il dito medio scoppiando a ridere prima di abbracciare e salutare tutti i miei vecchi amici, a partire da Seb per arrivare a David, Jeff, Chuck e tutti gli altri. Quando giunsi a Pierre mi irrigidii un secondo ma poi mi tornarono in mente le parole di Chuck e nonostante il malo modo in cui ci eravamo lasciati all'inaugurazione decisi di non pensarci ed abbracciai anche lui. Sentii le sue mani appoggiarsi sui miei fianchi mentre mi stringeva a lui, un brivido mi percosse la schiena.
«Sei bellissima» mi sussurrò ad un orecchio, prima di lasciarmi andare e sorridermi tranquillo.
Increspai leggermente le labbra, incerta, prima di andare a sedermi accanto ad Elouise che fortunatamente mi aveva tenuto il posto.
«Ti sei svegliata bene?» bisbigliò, divertita.
«Vaffanculo» borbottai.
«Grazie, comunque ho già ordinato io per te, ti ho preso pure il pane all'aglio perché so che ti piace. Hai visto che brava?»
«Lou! Proprio l'aglio mi devi far mangiare?» la ripresi.
Lei mi guardò maliziosa, «perché ti preoccupi tanto? Non vorrai mica baciare Pierre....»
Trasalii a quell'insinuazione che mi affrettai subito a smentire, «ma sei fuori? È solo che non mi piace avere l'alito cattivo.»
Elouise alzò le spalle, «niente che una mentina non possa risolvere» ribatté lei tranquilla, versando del vino nei nostri bicchieri.
«Allora Lola, com'è Parigi? Le ragazze sono belle?» mi domandò David entusiasta.
Cosa potevo rispondergli? Non mi ero mai messa a guardarle ma non volevo nemmeno deluderlo, inoltre sentivo lo sguardo di tutti i presenti addosso.
«Potrebbero piacerti» dissi, rimanendo sul vago.
«A lui piacciono tutte le ragazze, è quello il problema!» lo prese in giro Seb.
Scoppiammo tutti a ridere, David compreso perché infondo sapeva che era fatto così.
«E i ragazzi invece come sono?» chiese Alice, divertita.
«Sono un po' tutti con la puzza sotto il naso, non fanno per me» risposi.
«È un po' troppo tardi per pensare ai francesi!» esclamò Chuck divertito, riferendosi molto probabilmente al suo pancione.
«Ehi! Non ho mai detto che ci voglio fare qualcosa!» si difese lei, «e poi posso pensare a chi voglio, sono libera come l'aria.»
Guardai Alice sorpresa, non credevo fosse una ragazza madre, era sempre stata una persona responsabile e con la testa sulle spalle, forse però era stata semplicemente poco fortunata.
«È un maschio o una femmina?» le chiesi, stranamente sincera e intenerita dall'idea che sotto quel pancione stesse crescendo qualcuno.
I bambini mi facevano saltare i nervi perché piangevano, erano testardi e casinisti, ma amavo i pancioni e l'idea che dentro di essi ci fosse un bambino. Mi ritrovai a pensare che qualche giorno mi sarebbe piaciuto avere il pancione, scegliere il passeggino, i vestitini, le scarpine grandi come il palmo di una mano, fare le ecografie, non capire niente di quello che il ginecologo mostra ma essere entusiasti comunque. Forse i pannolini però li avrei fatti cambiare al papà.
«Prova a indovinare» ribatté divertita Alice.
Le osservai per un po' il pancione, come se lì sopra ci fosse scritto il sesso del nascituro, e poi risposi convinta.
«Secondo me è una femmina, e diventerà in gamba come la madre.»
 
Posai le posate sul piatto e finii in un sorso il vino che mi era rimasto nel bicchiere prima di alzarmi e dirigermi verso l'uscita del locale per fumare una sigaretta. Nonostante indossassi le ballerine, mi sentivo alquanto instabile mentre superavo incerta il bancone all'entrata. Notando il cameriere al quale mi ero rivolta quando ero entrata, alcune ore prima, lo chiamai alzando un braccio.
«Avevo chiesto un Martini o mi sbaglio?» sussurrai, divertita.
Lui annuì, «te lo preparo subito» disse, ed io rimasi a guardarlo per un secondo.
Avrà avuto vent'anni, forse qualcuno in più, un leggero strato di barba gli copriva le guance e il mento che aveva una leggera fossetta nel mezzo. Era bello, nel complesso, e quel piercing al sopracciglio gli conferiva un non so che di affascinante. Gli sorrisi lasciva prima di uscire dal ristorante e accendermi una sigaretta.
Mi strinsi nelle spalle infreddolite maledicendomi da sola per non aver preso la giacca, guardai distratta le macchine che passavano veloci poco lontane da me mentre pensavo a quanto fossimo una bella compagnia, infondo.
Stavo passando una bella serata, ricordando i vecchi tempi e aneddoti che mi ero completamente dimenticata. Era bello sapere che ognuno aveva trovato la propria strada e in una maniera o l'altra si sentiva realizzato. Io invece, cosa combinavo?
Mi sentivo incompleta, avevo la sensazione di andare avanti solo perché spinta da una forza invisibile, vacillavo nel buio, ecco cosa facevo.
La porta che si chiuse alle spalle mi fece sussultare, sorrisi stranamente rincuorata dal fatto che fosse solo Chuck.
«Com'è?» mi domandò.
Mi strinsi nelle spalle soffiando una boccata di fumo alla mia sinistra, evitando così di farglielo arrivare in faccia. «Solita» borbottai, increspando a malapena le labbra. «Mi stavo autocommiserando su come la mia vita facesse schifo rispetto alla vostra.»
Chuck si lasciò scappare una risata, «schifo? Lola non so se lo sai, ma sei invidiata da tutti. Lo sei sempre stata.»
Lo guardai confusa ed aggrottai la fronte. Ero bacata o forse era solo colpa dell'alcol, ma non riuscivo a seguire il suo discorso.
«Dai, hai vissuto una storia da sogno con Pierre durante le superiori, sei andata in Europa, sei laureata e lavori in uno studio legale. Sei indipendente, non credo tu faccia fatica ad arrivare a fine mese e sei bellissima, con un fisico mozzafiato a differenza di Alice che si ritrova col pancione e un bambino da crescere da sola. A differenza di me che non so ancora cosa voglio farne della mia vita o di David che per campare suona in un locale e lavoricchia a destra e a manca.»
«Alice ha te» dissi, quasi per difendermi.
«Tu avresti Pierre, se solo volessi.»
Sospirai e gli diedi una leggera spinta, «devi smetterla!» lo ripresi.
Lui rise, «che c'è? Lo hai pure abbracciato prima, lo sai che me l'avrà ripetuto almeno dieci volte?»
«Smettila» ripetei.
«Perché?»
«Sarà pieno di ragazze che gli ronzano intorno, l'ho semplicemente abbracciato» dissi, cercando di non far trasparire il fatto che in realtà anch'io avessi provato i brividi nel sentire il suo corpo a contatto col mio.
«Che io sappia non ha una ragazza da una vita...» mi informò Chuck, con finta nonchalance.
Non riuscii a fare a meno di sorridere nel notare io suo atteggiamento, «non mi interessa» ribattei dura, nonostante sapessi che nel profondo del mio cuore non fosse proprio così. «Abbiamo vissuto una storia bellissima, almeno per quanto mi riguarda. Pierre è stato il mio primo amore, il mio primo bacio, la mia prima volta. Tutto. Quando io penso alla mia adolescenza, la prima cosa che mi viene  in mente è lui. L’ho amato, io ho amato Pierre così tanto da farmi male, l’ho amato così tanto come non credo sia possibile amare un’altra persona, ma ora è finita. È inutile cercare di rivivere il passato» dissi, spegnendo la sigaretta sotto un piede.
«Come siamo profondi stasera, ma nemmeno amici?» mi smontò Chuck.
«Finiscila» lo ripresi divertita, spingendolo verso l'interno del locale.
Chuck trotterellò verso il nostro tavolo mentre io mi avvicinai al bancone.
«Eccoti il Martini, signorina» mi disse il barman, porgendomi gentilmente il drink e facendomi l’occhiolino.
Presi il portafoglio dalla borsa ma lui mi anticipò, «offre la casa.»
Lo ringraziai e avvicinai il bicchiere alle labbra, «non dovresti bere. Lo sai che non reggi l'alcol.»
Per poco non mi strozzai, mi voltai di scatto verso Pierre, infuriata.
Lui rise, «visto? Te l'avevo detto.»
«Che vuoi?» domandai acida, ignorando le sue parole e continuando a bere.
«Hai già bevuto il vino, finirai per stare male...» commentò lui.
«Sono passati dieci anni, non credo tu mi conosca poi così tanto» dissi decisa, «riesco a bere un Martini senza stare male.»
Pierre si strinse nelle spalle, «se lo dici tu» commentò, schioccando la lingua sul palato.
Annuì stizzita e cercando di sembrare sicura mi alzai dallo sgabello e mi diressi dagli altri.
Come si permetteva di essere così sfacciato con me? Il fatto che io fossi così matura da riuscire ad ignorare il nostro passato non lo autorizzava a comportarsi da uomo vissuto, anzi, doveva stare attento a cosa diceva visto che la sua situazione nei miei confronti era piuttosto instabile.
Mi sedetti al mio posto ignorando le occhiate curiose di Chuck, che volevano sapere.
Mi strinsi nelle spalle e inarcai lievemente le sopracciglia, lui scosse la testa sconsolato e bevve un sorso del vino che aveva nel bicchiere.
In quel momento anche Pierre tornò al proprio posto, guardò prima me e poi Chuck, poi di nuovo me, e infine mi sorrise.
Lo osservai confusa, perché mi sorrideva?
Io lo avrei sotterrato di insulti, altro che sorrisi e sorrisetti, nonostante non riuscissi a non pensare a quanto fosse bello anche in quel momento.
«Lola, tu che ne dici?»
Mi voltai di scatto verso Alice e picchiai con una gamba il tavolo facendo traballare rumorosamente tutte le posate.
«Eh?»
«Stavamo parlando di organizzare un weekend nella casa in montagna di Seb, a sciare» spiegò David paziente, seguito da alcune risate inutilmente trattenute di tutta la tavola e occhiate fugaci a Pierre e alla sottoscritta.
Arrossii all'istante, sentendomi colta in fallo per qualcosa che non sapevo esattamente nemmeno io.
«Si potrebbe fare» borbottai a disagio, abbassando lo sguardo sulle mie mani congiunte in grembo.
«Pierre?» domandò Jeff.
Lui annuì per niente a disagio, appoggiò il braccio allo schienale della sedia accanto a lui prima di rispondere.
«Perfetto, amo sciare.»


 

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Eccomi qua!
Scusate per il lieve ritardo nel postare ma ho avuto un po' da fare, ora però ci sono :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, lo so che è un po' di passaggio ma vengono introdotti, oltre che agli altri Simple Plan, un personaggio secondario ma che avrà tuttavia un certo rilievo e cioè Alice :)
Nel prossimo succederà qualcosa di interessante, non preoccupatevi! HAHAHA
Grazie mille per le recensioni e per aver aggiunto la storia tra i preferiti, è terza nelle più popolari **
Alla prossima!
Jas



 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***



 




 

Capitolo 10

 
Aprii gli occhi di scatto, mi sentivo turbata e avevo caldo, ero reduce da un sogno confuso del quale non mi ricordavo nulla ma che mi aveva lasciato addosso una sensazione di tristezza e paura che mi confondeva.
Mi guardai intorno senza muovere un muscolo, le pareti bianche con alcuni segni che avevano lasciato i poster appesi al muro per probabilmente tanti anni e che poi erano stati tolti, la finestra dalla quale filtrava un lieve spiraglio di luce e quelle lenzuola azzurre. Sapevano di buono e avevano un odore famigliare, cosìcome quelle pareti bianche avevano un qualcosa non di nuovo. Osservai il soffitto, anch'esso bianco, con quattro segni che, se congiunti, formavano un quadrato. Aggrottai le sopracciglia cercando di mettere insieme tutti quegli indizi che sapevo mi avrebbero portata da qualche parte, a capire dove mi trovassi perchéquella non era camera mia.
Mi misi seduta di scatto quando mi resi conto di dove fossi, mi guardai di nuovo intorno e notai la scrivania accanto alla porta, l'armadio di fronte a me. Infondo quel posto non era cambiato di una virgola, mancava solo il poster di Billie Joe sul soffitto.
In quel momento qualcuno fece ingresso nella stanza, «buongiorno bella addormentata»mi salutòPierre, sorridendomi educatamente.
Non gli risposi, mi limitai ad osservarlo in silenzio ed aggrottai le sopracciglia cercando di farmi passare quel mal di testa che mi tartassava da quando avevo aperto gli occhi.
«Che ci faccio qui?»dissi, portandomi una mano alla fronte e cominciando a massaggiarla delicatamente.
Pierre non mi rispose e venne a sedersi sul bordo del letto porgendomi un bicchiere d'acqua, solo allora mi accorsi di indossare una maglietta a maniche corte che non era la mia al posto del vestito che ricordavo avere la sera precedente.
«Mi sembrava scomodo dormire con quello quindi mi sono preso il permesso di cambiarti»disse Pierre, probabilmente capendo quale fosse il mio interrogativo.
Annuii in silenzio e presi il bicchiere che mi stava ancora porgendo, «grazie»mormorai, bevendo un lungo sorso d'acqua fresca.
Mi portai nuovamente una mano sulla fronte, «puoi dirmi cos'èsuccesso precisamente ieri sera?»domandai poi, vergognandomi immensamente di me stessa.
Pierre mi sorrise e sentii una scossa percorrermi la schiena, come poteva essere cosìdannatamente dolce e bello nonostante io non avessi fatto altro che accusarlo da quando l'avevo rivisto?
Cominciavo a sentirmi un po' in colpa per il mio comportamento, probabilmente il mio subconscio stava imparando a farsi valere e io cominciavo a capire che ormai Pierre lo avevo perdonato, ero solo troppo orgogliosa per ammetterlo.
«Ti sei ubriacata, secondo me c'èstato un complotto tra gli altri per far sìche fossi io a portarti a casa e cosìho fatto. Quando ti ho chiesto dove abitassi, però, mi hai detto che non volevi stare da sola cosìnon sapendo cos'altro fare ti ho portata qua»spiegòmolto velocemente.
Chiusi gli occhi cercando di immaginarmi la scena, in quel momento avrei voluto tanto sprofondare.
Mi buttai sul letto e mi coprii la faccia con un cuscino, «che vergogna»borbottai, «mi dispiace, chissàquanto saràsuonata male quella frase.»
Pierre rise, «in effetti un pochino, ma mi sembrava alquanto strano che tu volessi venire a letto con me dopo quello che ti ho fatto quindi mi sono limitato a dormire. A proposito, parli ancora nel sonno.»
Gli sorrisi timidamente e solo allora notai che anche l'altra metàdel letto era sfatta, segno che non ero stata sola durante la notte.
«Forse ora èmeglio che vada»dissi imbarazzata, alzandomi di lì.
Pierre mi imitò, «ti ho preparato la colazione! Ti ho fatto i pancakes, so che ti piacciono...»
Lo guardai sorpresa da quelle parole, non sapevo cosa dire nécosa pensare. L'odio che provavo nei confronti di Pierre sembrava essere scomparso e mentre osservavo quel ragazzo ormai cresciuto in attesa di una risposta non riuscii a fare a meno di pensare a quanto non fosse cambiato di una virgola, dopotutto. Piùtempo trascorrevo con lui piùmi rendevo conto che quello che era successo tra noi, il motivo per cui era finito tutto, non era nécolpa sua némia. Eravamo stati travolti da degli avvenimenti piùgrandi di noi, eravamo due ragazzini, lui si era trasferito lontano da casa e dopotutto non c'era da biasimarlo se si era fatto abbindolare dall'unica persona che conosceva a Los Angeles. L'unica cosa che non riuscivo a concepire era come avesse potuto davvero credere che io me la facessi con quell'obbrobrio di Jimmy. Tuttavia era rimasto il solito ragazzo buono e sincero, ciòche provava glielo si leggeva negli occhi, come in quel momento. Sperava che accettassi la sua proposta, così, non seppi nemmeno io perché, lo feci.
«Hai un paio di pantaloni?»chiesi, alludendo alle mie gambe coperte soltanto dalla maglietta un po' lunga che indossavo.
Pierre annuìed aprìl'armadio che c'era lìaccanto a noi, porgendomi poi una tuta grigia.
La indossai in silenzio e lo seguii al piano inferiore.
Quella casa non era cambiata di una virgola, aveva conservato la sua aria accogliente, colori caldi predominavano la cucina rustica e il salotto pieno di foto di famiglia, alcune che ricordavo mentre altre piùrecenti.
Pierre aveva giàapparecchiato il tavolo per due e nell'aria c'era un profumino di pancakes che mi fece venire l'acquolina in bocca.
«I tuoi non ci sono?»domandai, mettendo un po' di sciroppo d'acero nel piatto.
Lui scosse la testa versando del caffèin due tazze, «sono andati dai miei zii, ho la casa libera per tutto il weekend.»
Non riuscii a non sorridere a quell'affermazione, Pierre mi guardòconfuso. «Che c'è?»domandòpoi.
«Mi sembri un adolescente se ti sento dire così.»
Lui si strinse nelle spalle, «non ho ancora trovato una casa che mi convinca per davvero qui a Montreal, e finchéi miei non mi buttano fuori io sto bene qua»spiegòtranquillo.
Il suo ragionamento non faceva una piega, conoscendo Louise, gli faceva sicuramente trovare tutte le mattine la colazione pronta in tavola, gli puliva la camera, gli faceva il bucato, Pierre era sempre stato trattato come un principino dai suoi, cosìcome i suoi fratelli.
Annuii mangiando il primo boccone di pancakes, «buoni, il tuo talento non èandato perso negli anni»lo presi in giro, bevendo poi un sorso di caffè.
«Aaah! Scotta!»gridai poi, appoggiando con veemenza la tazza sul tavolo e trascinando la sedia sul pavimento per poi alzarmi di corsa e aprire il rubinetto per bere un po' d'acqua fresca.
Pierre accorse subito in mio aiuto con un ghigno divertito dipinto sul volto, «secondo te ti do il caffèfreddo?»mi riprese.
Lo ignorai, bevendo invece l'acqua e sentendo immediatamente una sensazione di sollievo.
«Era bollente!»lo accusai, puntandogli l'indice sul petto.
Lui alzòle mani in segno di resa, «il tuo ragionamento non fa una piega»mi concesse infine, io annuii soddisfatta bevendo un altro sorso d'acqua e sbirciandolo da sopra il bicchiere.
Io e Pierre avevamo appena avuto un battibecco e nonostante, in generale, non fosse una cosa buona, per me stava ad indicare che eravamo tornati alla normalità. Io non serbavo piùrancore nei suoi confronti, o meglio, ero riuscita a mettere da parte questo rancore, ed eravamo tornati quelli di sempre. Quelli che litigavano per chi dovesse scegliere che film guardare o dove andare, se dormire a casa mia o sua, se andare al ristorante o meno, discutevamo su tutto, eppure eravamo complici, ci completavamo a vicenda come due pezzi adiacenti di un puzzle.
Un suo sospiro mi fece smettere di vagare con la fantasia, «mi sei mancata»disse poi, guardandomi intensamente negli occhi.
Annuii senza sapere bene cosa rispondere. "Anche tu"? Forse sarebbe stata la verità, ma non me la sentivo, o per lo meno non ancora.
Pierre mosse un passo verso di me e prima che riuscissi a dire o fare qualunque cosa mi ritrovai incastrata tra il suo corpo e il lavandino.
Sentivo il suo respiro caldo solleticarmi la pelle nonostante lui non mi stesse neanche lontanamente sfiorando.
Alzai timorosa gli occhi sul suo viso, aveva un'espressione strana dipinta sul volto. Maliziosa ma allo stesso tempo contenta, davvero contenta. Era felice e lo si vedeva da come le sue labbra erano teneramente incurvate all'insù. Una scia del suo dopobarba mi arrivòalle narici e un brivido mi attraversòil corpo, strabuzzai gli occhi sorpresa dalla mia stessa reazione mentre Pierre avvicinòil suo viso al mio.
Prima che fosse troppo tardi, feci appello a tutto l'autocontrollo che avevo in circolo e lo bloccai.
«Ti prego non baciarmi»dissi, timorosa della sua reazione.
Lui mi guardòconfuso poi si mise a ridere, «in realtàti volevo pulire, hai un po' di sciroppo d'acero in faccia»disse divertito, togliendomelo di dosso con un dito che poi si portòalle labbra.
«Mmh, buono.»
Lo guardai sorpresa e improvvisamente mi sentii andare a fuoco, avevo appena fatto una figuraccia che mi sarei ricordata fino alla fine dei miei giorni.
«Oh»dissi confusa, abbassando lo sguardo.
Sentii Pierre ridacchiare e poi allontanarsi da me, «ieri sera, mentre ti trascinavo di peso su per le scale, mi hai detto una cosa»esordì, tornando a sedersi al tavolo per finire la colazione.
Lo seguii curiosa di sapere quale altra figuraccia avessi fatto, lui mi guardòun secondo rima di continuare.
«Mi hai detto che ci tieni a me...»
Mi picchiai una mano sulla fronte, ero una totale deficiente e quella ne era la prova.
«Io...»cercai di difendermi, ma lui mi interruppe.
«E hai detto che non mi vuoi piùperdere, che ti sono mancato e tante altre cose che non sto qui a ripeterti.»
In quel momento avrei voluto tanto essere uno struzzo cosìda poter nascondere la testa sottoterra e non dover assistere a quell'umiliazione. Che poi perchéPierre ci teneva cosìtanto a farmi sapere quanto fossi idiota?
«Il motivo per cui ti sto dicendo queste cose, èche alla fine di tutto un sermone durato all'incirca dieci minuti, mi hai detto che rivuoi il tuo Pierre.»
La fine si stava avvicinando, me la sentivo. Avrei volentieri cominciato a scavarmi una fossa piuttosto che sentire quanto fossi stata imbarazzante la sera prima.
«Non il Pierre tuo ragazzo, il Pierre amico. Quello con cui ti confidavi, con cui scherzavi. Devo ammettere che sentirti dire queste parole ieri sera mi ha lasciato abbastanza spiazzato, dire che non me l'aspettavo èdire poco. Poi peròstanotte, mentre tu borbottavi frasi incomprensibili, ci ho pensato su e sono giunto alla conclusione che forse hai ragione. Forse abbiamo vissuto la nostra storia da favola, forse abbiamo avuto la nostra occasione per essere una coppia, ma possiamo ancora essere amici, non dobbiamo per forza sparire l'uno dalla vita dell'altro.»
Mi sorpresi di me stessa e di quelle parole, ero davvero stata cosìsaggia nonostante l'elevata quantitàdi alcol nel sangue? Probabilmente sì.
«Allora, che dici?»mi spronòimpaziente Pierre.
Ci pensai un attimo, infondo non avevo nulla da perdere. Saremmo tornati amici e dovevo ammettere che Pierre era stato un amico speciale, grandioso.
Mi morsi un labbro prima di annuire lievemente, «va bene Pierre, saremo amici.»
Vidi le sue spalle, prima rigide, rilassarsi all'istante e poi, senza pensarci su troppo, scostòla sedia e si allungòleggermente verso di me per abbracciarmi.
Gli cinsi le braccia intorno al collo e lo strinsi a me lasciandomi inebriare dal suo profumo che era rimasto sempre lo stesso.
«Anche tu mi sei mancato»sussurrai.



 

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Ciiiiiaaaaooo!
Sono in ritardissimissimissimissimissimissimo nel postare, potete sputarmi in un occhio, me lo merito çç
Scusate ma sono stata impegnata con lo studio, oggi ho avuto la simulazione della terza prova e finalmente mi sento libera ahaahaha
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, c'è un'enorme svolta tra Pierre e Lola, che lo perdona, ma state tranquille che la cosa non finisce qua :)
Fatemi sapere che ne pensate, ci tengo molto!
Ah, e poi un'altra cosa: la storia è seconda tra le più popolari! (Sotto una storia che è mia quindi sono contenta il doppio ahaha)
Grazie mille per averla messa tra i preferiti, davvero ♥
Jas



 

 
[So che non c'entra niente ma sta gif mi fa morire e volevo mettervela
per farmi perdonare ♥]




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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***



 




 

Capitolo 11

 


Sentivo che mi sarebbe scoppiato un polmone da un momento all'altro.
Mi portai una mano sul petto e cercai di riprendere a respirare normalmente, mentre osservavo la porta bianca davanti a me.
Me l'ero presa con comodo quella mattina, avevo fatto colazione con Pierre e poi ci eravamo messi sul divano a guardare i cartoni animati dei "nostri tempi" che trasmettevano il sabato. Stavo così bene che mi ero completamente dimenticata del fatto che sarei dovuta andare a pranzo da mia madre e me n'ero ricordata quando ormai era mezzogiorno.
Inutile dire che arrivai in ritardo, coi capelli ancora umidi dalla doccia fatta non molto tempo prima e senza un filo di trucco sul viso.
Bussai alla porta di casa mentre la mia mente, ancora frastornata per i numerosi avvenimenti di quella mattina, cercava di trovare una scusa plausibile per il mio ritardo di quasi un'ora.
«Finalmente!» mi rimbeccò mia madre, non appena venne ad aprirmi.
Mi sforzai di sorriderle, «ciao mamma» la salutai, entrando in casa e togliendomi la giacca per poi appenderla all'entrata.
Le seguii verso la sala da pranzo dove mia sorella e i gemelli erano comodamente seduti, i piatti sul tavolo erano mezzi vuoti.
«Scusa ma i bambini avevano fame» si giustificò Gigì, alzandosi dalla sedia per salutarmi.
«Non fa niente, scusate voi ma ho avuto un imprevisto» buttai lì.
Mia madre sparì in cucina, probabilmente per scaldarmi l'arrosto, e io mi sedetti a tavola versandomi un bicchiere d'acqua.
«Dov'è Ryan?» chiesi, accorgendomi solo allora della sua assenza.
Gigì si agitò sulla sedia e diede una rapida occhiata ai gemelli che giocavano pacifici sul divano, prima di rispondere.
«Ha avuto un'urgenza al lavoro» disse incerta, mantenendo lo sguardo basso.
La guardai confusa, c'era qualcosa che non andava ma decisi di non indagare oltre, evidentemente Gigì non voleva dirmelo.
In quel momento mia madre tornò col piatto caldo in mano, «non è così buono come quello che abbiamo mangiato noi però...»
Alzai gli occhi al cielo prendendo in mano le posate, «ti ho chiesto scusa mamma, ma ho avuto un imprevisto» ripetei.
«Che genere di imprevisto?» domandò lei, curiosa.
Ci pensai su un attimo e per guadagnare tempo mangiai un boccone di arrosso prima di risponderle.
Se le avessi detto cos'era successo con Pierre probabilmente avrebbe fatto i salti di gioia e mi avrebbe lasciata più che in pace ma non avevo intenzione di dirle che ci eravamo chiariti, non ancora.
Era una situazione nuova, strana e inaspettata, che io per prima volevo digerire e conoscendo mia madre e la sua invadenza non sarei riuscita a reggere un suo interrogatorio in quel momento.
«Mi si è rotta la caldaia stamattina» inventai, cercando di sembrare il più convincente possibile.
Lei annuì, «beh, capita. Te l'ho detto che secondo me quella casa non vale quanto l'affitto che paghi...»
Ignorai le sue solite frecciatine e continuai a mangiare in silenzio.
Ormai ero abituata ad essere perennemente criticata, non c'era una cosa della mia vita che le andasse a genio. Da casa mia, ai miei amici, alle mie relazioni malriuscite, ai miei vestiti, i miei capelli e così via.
Forse la mia laurea in giurisprudenza non le dispiaceva, solo quello. 
«Tesoro, vuoi che metta da parte un po' di arrosto per Ryan? Sarà affamato quando torna da quella riunione non mi ricordo più dove.»
Mi voltai di scatto verso Gigì, «ma non aveva avuto un imprevisto?»
Lei ammutolì e la sua pelle chiara si colorò di un rosso tenue all'istante, «sì beh, lui...»
Volevo bene a mia sorella, eravamo cresciute insieme dopotutto, ma lei era sempre stata la prediletta, quella che aveva condotto una vita quasi perfetta, quella sempre elogiata, sempre sotto la luce dei riflettori, sempre un passo avanti, mentre io ero sempre stata quella un pelo indietro, quella criticata in tutto e per tutto, e vederla per una volta in difficoltà davanti a mia madre mi fece sentire più adatta.
Ero sempre stata io quella criticata, quella sotto accusa, i ruoli in quel momento invece erano invertiti. Era lei quella che non sapeva cosa inventarsi, quella a disagio, quella che manteneva lo sguardo basso per l'insicurezza.
«Come sei pignola, Lola!» mi riprese mia madre, «avrà avuto un imprevisto, no?» continuò, andando a sedersi vicino a Gigì e prendendo ad accarezzarle affettuosamente la schiena.
Sbuffai e finii in un sorso l'acqua che avevo nel bicchiere, «scusa ma devo andare» dissi risoluta, alzandomi velocemente di lì e prendendo la mia borsa.
Mia madre mi guardò sorpresa, lo sguardo di Gigì invece era indecifrabile, fossi stata in lei mi sarei semplicemente vergognata.
Ero furiosa, non era possibile che un genitore elogiasse così tanto un figlio rispetto all'altro, non credevo fosse umanamente possibile, in realtà.
Nel caso avessi avuto due bambini, li avrei trattati esattamente alla stessa maniera, mi ripromisi mentre uscivo di casa sbattendo la porta.
 
«Fossi in te mi invidierei, ma dico io, sei una figa assurda, hai una carriera davanti, sei indipendente, sei giovane, puoi avere tutti i ragazzi che vuoi!»
«Anche tu sei giovane e indipendente e figa e hai una carriera davanti.»
Lou storse la bocca, «quale sarebbe la mia carriera? Allevare una mandria di bambini indisciplinati?»
Mi strinsi nelle spalle, «nessuno ti ha obbligata a fare la maestra d'asilo, e poi credimi, non vorresti essere al mio posto. Tu non sei sfruttata al lavoro e inoltre sei figlia unica, sai quanti problemi in meno?»
«Ma almeno hai un cognato figo! Pensa se tua sorella avesse sposato un cesso ambulante!»
Scostai alcuni scatoloni e mi buttai sul divano, «sarebbe stato molto meglio» borbottai accendendomi una sigaretta, «così sarebbe stata meno perfetta di quanto non è. Anche se c'è qualcosa che non va secondo me, ha qualche problema col marito che sembra uscito da un episodio di Grey's Anatomy.»
Lou si sedette di fianco a me improvvisamente assetata di notizie, «problema di che tipo?»
«Non ne ho idea, ma prima a pranzo quando io le ho chiesto dove fosse Ryan ha detto una cosa, a mia madre un'altra e quando le ho fatto notare la discrepanza è andata improvvisamente in panico, Gigì non è capace di raccontare bugie. Poi però ovviamente mia mamma ha fatto quasi passare me per la stronza senza cuore, figurati se va contro la sua figlia preferita» dissi sprezzante, prendendo un lungo tiro dalla sigaretta.
Lou si sventolò una mano davanti al viso cercando di allontanare invano il fumo che la infastidiva, «e perché non le hai detto di Pierre? La conosci meglio di me tua madre, farebbe i salti di gioia.»
«Non voglio che mi rovini anche il rapporto con Pierre, ora che ci siamo ritrovati. Anzi, al momento non voglio che mia madre faccia parte della mia via, insomma, ogni volta che vado da lei succede sempre qualcosa che mi fa arrabbiare, sempre! Mai una volta che fili tutto liscio, lei e le sue fisse del cavolo» sbottai, tirando involontariamente un colpo ad uno scatolone.
Lou annuì, «beh, in effetti potrebbe essere meno dura nei tuoi confronti...» osservò.
Annuii in silenzio prima di alzarmi e dirigermi verso il lavandino per poter spegnere la sigaretta ormai finita sotto l'acqua visto che non avevo ancora comprato alcun portacenere.
«Ma dimmi, stai diventando una nomade?» domandò Elouise, mettendosi più comoda sul divano.
Mi voltai a guardarla confusa, «cosa stai blaterando?»
«Sei qua da quasi un mese e non hai ancora disfatto gli scatoloni del trasloco, cosa stai aspettando?»
«Non ho mai avuto tempo...» buttai lì, nonostante sapessi che non era vero.
Il tempo sarei riuscita a trovarlo, se avessi voluto, il problema era che per un motivo a me sconosciuto non me la sentivo.
Quegli scatoloni chiusi mi davano un senso di libertà, avevo paura che se avessi messo tutto a posto poi non me ne sarei andata più andata via di lì. Non che avessi intenzione di trasferirmi da un'altra parte, in quel momento Montreal era l'unico posto in cui programmavo di stare ma era più un fatto psicologico che altro, il che era piuttosto preoccupante. Avevo ventisette anni, avevo viaggiato abbastanza nella vita e forse era giunta l'ora che mettessi radici da qualche parte, con qualcuno. Ma dove? E con chi?
«Sei una pigrona» mi prese in giro Lou, sdraiandosi sul divano e accendo la tv.
«Parla l'altra» risposi prontamente, andando a mettermi accanto a lei, nel poco spazio che mi aveva lasciato a disposizione.
«Casa mia non sembra una discarica.»
«Con quale di questi scatoloni vuoi che ti picchi?» la minacciai.
«Potresti chiedere aiuto a Pierre, sono certa che sarebbe più che contento di darti una mano...» continuò lei, ammaccante.
«Hai finito?»
«Te lo immagini? Tutto sudato, magari con indosso una canottiera che mette in mostra tutti i suoi meravigliosi tatuaggi, che ti sposta i mobili pesanti con una forza inaudita e poi non si sa come finite per fare la doccia insieme...»
«Elouise!» la ripresi, dandole un colpo.
«Ehi! Che ho detto di male?» si difese lei, massaggiandosi la parte colpita. «Non è colpa mia se Pierre è diventato un figo assurdo col passare degli anni, non dirmi che non ci hai mai fatto un pensierino, forza.»
«Siamo solo amici, non forzare le cose, per piacere» dissi pacata, cercando di mantenere un tono di voce neutro nonostante la descrizione di Elouise mi avesse fatto un certo effetto.
Lou annuì maliziosa, «sì certo, per ora.»


 

-




Eccomi qua! :)
In questo capitolo non succede niente di che ma doveva esserci, diciamo che succede un fatto che condizionerà gli avvenimenti futuri, e questi riguardano Ryan, Gigì e poi coinvolgeranno anche Lola e Pierre.
Non posso dirvi altro, anzi, ho spoilerato fin troppo! HAHAHAH
Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima!
Jas




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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***



 




 

Capitolo 12

 


I vestiti di Mr. Avvocato In Carriera Che Mette In Ombra Le Giovani Promesse, ossia me, non erano ancora pronti così, piuttosto che tornare in ufficio, mi concessi un frullato alla banana e una rapida occhiata alle vetrine di Montreal.
Era una giornata stranamente calda, per quando calda potesse essere quella città in autunno, e si stava bene a passeggiare per i marciapiedi non troppo affollati, lontana da quell'aria pesante che si respirava nello studio, specialmente ultimamente, per colpa del caso importante che stavamo affrontando.
Ero letteralmente sommersa dal lavoro che mi portavo le pratiche a casa, passando il poco tempo libero che avevo china su quelle pile di documenti. Mi resi conto che era da un po' che non mi concedevo un po' di tempo per stare sola coi miei pensieri, e quel pomeriggio sembrava il momento giusto per farlo.
Mi arrestai improvvisamente quando mi resi conto di essere arrivata dove Chuck e Pierre avevano il negozio di dischi, sembrava che fossi inconsciamente attratta da loro come una calamita, non era la prima volta che mi capitava di andare lì senza rendermene davvero conto.
Alzai le spalle con nonchalance e buttai il bicchiere del frullato, ormai vuoto, in un cestino lì vicino prima di decidermi di andare al negozio.
Non ci ero mai stata dopo l'inaugurazione, per motivi ben ovvi, ma ora quei motivi che mi avevano tenuta lontana da lì erano scomparsi e, dovevo ammetterlo, non vedevo l'ora di incontrare Chuck, ma soprattutto Pierre, nonostante ci fossimo visti soltanto alcuni giorni prima.
Aprii la porta del locale stranamente esaltata dall'idea, il suono di un campanello rimbombò nella stanza e notai subito Chuck, intento a leggere qualcosa al computer, alzare lo sguardo nella mia direzione. La sua espressione divenne prima sorpresa e poi felice, si alzò dalla sedia e superò il bancone con le braccia aperte, «qual buon vento!» esclamò, prima di stringermi in un caloroso abbraccio che ricambiai ridendo.
«Ero da queste parti così...» non appena mi staccai da lui vidi anche Pierre spuntare da quello che doveva essere il magazzino, con uno scatolone in mano.
Mi rivolse un sorriso sincero e felice che ricambiai leggermente spiazzata, una strana sensazione mi attanagliò lo stomaco, non riuscivo ancora a crederci che eravamo tornati... Amici.
«Ciao!» esclamò contento, e mentre riflettevo sul nostro rapporto, lui appoggiò lo scatolone sul bancone e mi abbracciò.
Ricambiai, scombussolata da quel gesto, ma allo stesso tempo mi sentii bene tra le sue braccia, avvolta dal suo profumo.
«Come mai da queste parti?» domandò , senza mai perdere il sorriso, quando si staccò da me.
Mi strinsi nelle spalle, «sono passata in lavanderia ma i vestiti non erano ancora pronti così ho deciso di fare un giretto e... Eccomi qua!» esclamai, allargando le braccia.
Chuck assottigliò lo sguardo, «ancora ai lavori forzati?»
Annuii abbassando lo sguardo e lo sentii sospirare.
«Lola, devi ribellarti...» disse lui, tornando dietro il bancone.
Pierre, che aveva assistito al nostro cambio di battute in silenzio e con lo sguardo confuso, prese parola.
«Ribellarti a che cosa?»
Rimasi in silenzio un attimo, con la bocca socchiusa, prima di ricordarmi che lui sapeva poco o niente di me e della mia nuova vita, avrei dovuto spiegargli la mia situazione.
«Lavoro in uno studio legale ma quello che subisco è più uno sfruttamento, che non concorre alla formazione di un avvocato, cosa che invece dovrebbe essere. Il mio capo mi fa, certo, preparare documenti su documenti per i casi ma l'ultima volta che sono entrata in un tribunale credo sia stata...» ci pensai su un attimo, «prima di laurearmi. Ho frequentato di più la lavanderia che sta nella strada parallela a questa o il bar sotto gli uffici dove gli prendo caffè e brioche tutte le mattine, pensa che una volta mi ha mandata pure da Cartier a comprare il regalo di Natale per la sua ultima moglie, ti sembra normale?» esalai, alzando eccessivamente la voce.
Pierre mi guardava con gli occhi strabuzzati e le sopracciglia inarcate, a braccia conserte, Chuck invece rideva sotto i baffi.
«Che c'è di divertente?» lo ripresi, voltandomi completamente verso di lui.
Lui scosse la testa, con ancora l'ombra di un sorriso dipinta sul volto, «scusa è che...» sospirò, «è strabiliante come tu abbia riassunto la tua carriera lavorativa in così poche parole.»
Alzai leggermente il mento e lo guardai con aria di superiorità, «sono un avvocato» gli ricordai.
Chuck alzò le braccia in segno di resa, «scusa!» si difese.
Pierre rise e si passò una mano tra i capelli, «stavo andando in pausa, ti va di bere un caffè con me?»
Mi voltai istintivamente verso Chuck, come se avessi bisogno della sua benedizione prima di rispondere, lui annuì.
«Va bene» acconsentii.
Pierre tornò al bancone, prese il cellulare e poi mi fece strada fuori dal negozio.
Mi sentivo stranamente bene a passeggiare per le vie della città con lui, come se quella fosse la cosa giusta da fare, essere amici.
Mi voltai a guardarlo con discrezione, aveva un'espressione serena dipinta sul volto e la sensazione che avevo provato quando mi aveva abbracciata si stava rifacendo strada dentro di me. Era come se non se ne fosse mai andato, come se Pierre fosse sempre stato lì con me, infondo, durante il mio diploma, il mio viaggio in Europa, la mia laurea, il mio tirocinio, tutto.
Lo sguardo preoccupato che mi rivolse mi fece destare dai miei pensieri, «eh?» squittii, presa alla sprovvista.
Pierre rise, «ti ho chiesto dove volessi andare, tu invece a cosa stai pensando? Giuro di aver visto uscire del fumo dalla tua testa.»
Avvampai e mi arruffai leggermente i capelli con la mano destra, cosa che facevo spesso quando ero a disagio, «a nulla... Decidi tu dove andare, per me è uguale» borbottai.
Pierre sbuffò, «come vuoi» disse, prima di tagliarmi la strada per entrare in un bar.
«Ehi!» lo ripresi, seguendolo all'interno del locale.
Lui rise mentre si guardava in giro alla ricerca di un tavolo libero.
«Quei tizi lì se ne stanno andando» gli suggerii, indicando una coppia che si era appena alzata dal proprio posto.
«Oh, brava» si congratulò, dirigendosi nella loro direzione.
Mi sedetti al posto che dava le spalle alla strada, odiavo che la gente che camminava sui marciapiedi mi vedesse, amavo invece notare il via e vai del bar.
«Sto morendo di fame» ammise Pierre, scrutando attentamente il menu che teneva in mano.
Ce n'era solo uno sul tavolo, così io mi appoggiai allo schienale del divanetto e mi limitai a guardarlo mentre lui aggrottava fronte e storceva le labbra.
«Che c'è?» domandai curiosa, sporgendomi leggermente verso di lui per vedere quale fosse la ragione del suo sgomento.
Pierre mi porse il menu, «gli hot dog. Non ci sono gli hot dog e io voglio gli hot dog» disse affranto, mettendosi a braccia conserte.
Lo guardai spiazzata per un attimo prima di scoppiare a ridergli in faccia, anche lui infine mi concesse un sorriso.
«Sei peggio di un bambino» lo presi in giro, prima di sfogliare anch'io il menu alla ricerca di qualcosa di buono da prendere, «e poi non dovevamo prendere un caffè?» domandai, ricordandomene solo in quel momento.
Pierre si strinse nelle spalle, «ho fame» ammise poi, e in quell'istante arrivò la cameriera a prendere le ordinazioni. Io mi accontentai di un caffè e di un muffin mentre Pierre prese un hamburger.
Non appena la ragazza si allontanò calammo in un silenzio imbarazzante, io osservavo distratta il bancone mentre Pierre aveva lo sguardo perso fuori dalla vetrina del locale; poi tutt'ad un tratto prese un respiro profondo e si voltò a guardarmi.
«Sei mai andata con lo snowboard?» domandò.
Lo guardai confusa, «perché me lo chiedi? Comunque no» risposi, senza capire dove volesse andare a parare.
Pierre sorrise, «avrei dovuto insegnarti io, non ricordi?»
Improvvisamente sentii una strana sensazione attanagliarmi lo stomaco e la gola seccarsi, «io...» mormorai soltanto, iniziando a spiegazzare un tovagliolo di carta appoggiato sul tavolo e mantenendo lo sguardo fisso su di esso.
«Siamo ancora in tempo» continuò lui, speranzoso.
«Non credo proprio, sono grande per finire con la faccia in mezzo alla neve e, sinceramente, non ci tengo» mi affrettai a rispondere, «se ho sempre rimandato in fondo un motivo c'è, non trovi?»
«Credo che sarai costretta ad imparare, ti trascinerò io stesso sulle piste quando saremo da Seb.»
Lo guardai sorpresa, «Seb?» ripetei incredula.
Pierre annuì tranquillo, «ti ricordi l'idea di passare tutti insieme un weekend nella casa in montagna di Seb? Ecco, Chuck mi ha detto che gli altri stavano pensando di organizzarsi per questo fine settimana.»
«E cos'aspettavano a dirmelo? Venerdì stesso? Mancano solo tre giorni!» esclamai alterata.
Pierre alzò gli occhi al cielo, «chissà quanto ti ci vuole a prepararti, non fare la bambina» mi scimmiottò, alludendo alle mie parole di alcuni minuti prima.
Feci per ribattere ma poi ci rinunciai, limitandomi ad una linguaccia che Pierre imitò all'istante; in quel momento arrivò la cameriera.
«Ecco a voi» disse soltanto, mentre appoggiava l'hamburger e il caffè sul tavolo.
«Dici che ci ha visti?» domandò Pierre divertito, mentre avvicinava il proprio piatto a sé.
«Secondo me sì» dissi divertita, lanciando una rapida occhiata alla ragazza concentrata nel suo lavoro.
«Tanto non ci conosce» si giustificò Pierre prima di dare un morso al suo hamburger e sporcarsi tutte le mani di ketchup e altre salse.
«Il tuo modo fine di mangiare non è cambiato per niente» gli feci notare.
Lui mi guardò con aria di sfida, «vuoi provare tu?»
Annuii decisa, non si doveva mai rifiutare una sfida, e mi sporsi leggermente sul tavolo per dare un morso all'hamburger.
«Sei peggio di me!» mi prese in giro Pierre mentre appoggiava il panino sul piatto e prendeva un tovagliolo per pulirsi le mani.
«Sei tu che non sei in grado di tenerlo in mano!» ribattei prontamente, bevendo un sorso di caffè.
Pierre non rispose, si limitò a guardarmi con una smorfia divertita.
«Che c’è?» chiesi.
«Ti sei sporcata tutta, anche tu sei sempre la solita» mi rimbeccò lui, prese un tovagliolo e si sporse verso di me per pulirmi la bocca, proprio come si faceva con i bambini.
Mi sentii avvampare davanti a quel comportamento così intimo, tuttavia cercai di dimostrarmi indifferente.
«Mi sembra che nessuno dei due sia cambiato poi tanto negli ultimi dieci anni» gli feci notare.
«Ed è un male?»
Ci pensai su un attimo e poi scossi la testa, «per quanto mi riguarda no, a me piacevi» ammisi sincera.
Pierre rimase sorpreso dalle mie parole, glielo lessi in faccia, ma poi si ricompose subito.
«Anche tu mi piaci.»


 

-




Here I Am! :D
Scusate per il ritardo, ho avuto un po' da fare durante le vacanze e dopo, e quando volevo aggiornare - ieri - il pc faceva i capricci çç
Comunque ora sono qua, con questo strepitoso (AHAHAHAHAHA) capitolo abbastanza Loerre (?) Piola (?), okay, non esiste un nome decente adatto a Pierre e Lola uù
Spero che nel frattempo non vi siate dimenticate di questa storia, prometto che il prossimo aggiornamento arriverà moooolto presto, e vi anticipo che sarà dedicato al weekend in montagna dove ovviamente ci saranno dei colpi di scena!
Fatemi sapere che ne pensate, ci tengo molto!
E grazie per aver aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate, per avermi aggiunta agli autori preferiti e... Credo di avere finito coi ringraziamenti ahahah
Alla prossima!
Jas



 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***



 




 

Capitolo 13

 


«Lola stiamo andando a sciare, non alle Hawaii» mi ricordò Lou, mentre mi osservava preparare la borsa per il weekend.
La fulminai con lo sguardo, «se tu mi avessi detto che saremmo andati questo fine settimana in montagna io mi sarei attrezzata a dovere, invece sono dovuta venire a saperlo da Pierre, tre giorni prima dalla partenza, e non è colpa mia se non ho una tuta da sci!» esclamai, buttando con foga un paio di calzini nel borsone.
«Sei l'unica canadese che non ha una tuta da sci in casa, sappilo» mi riprese lei, mettendosi a braccia conserte.
«Forse perché non so sciare e non ho intenzione di imparare a farlo!» gridai dal bagno, mentre cercavo un flacone di shampoo non troppo grande.
Sentii Lou sospirare e quando tornai in camera la trovai sdraiata sul mio letto, senza preoccuparsi del fatto che mi potesse stropicciare i vestiti, che osservava il soffitto distratta.
«Potresti farti insegnare da Pierre» mormorò tranquilla.
La guardai impassibile, immobile in mezzo alla mia stanza con in mano la mia borsa da toilette, lei si voltò  nella mia direzione e poi scoppiò a ridere.
«Stavo scherzando!» esclamò, alzandosi di lì. «E sbrigati che tra un po' arriveranno i ragazzi!»
«I ragazzi?» ripetei io, confusa.
«Come? Non te l'ho detto? Alice e Chuck passano a prenderci.»
«Tu mi avevi detto che saremmo andate io e te da sole e che quindi potevamo fare con comodo! Sono tornata dal lavoro un'ora fa!» esclamai, buttando nella borsa un'altra felpa a caso.
«Dovevi prepararla ieri la valigia» mi riprese Lou, con fare saccente.
«Sai com'è, ieri ho dovuto riguardare il caso Wilson visto che oggi c'è il secondo processo» borbottai, «e io non assisto neanche dall'ultima fila dell'aula.»
«Guarda il lato positivo, passerai il fine settimana con Pierre» suggerì lei.
«Tra me e Pierre non c'è niente e non ci sarà mai niente. È già tanto che siamo tornati amici» mi sforzai di mettere in chiaro mentre chiudevo la borsa.
Lou si mise la giacca e la sciarpa, non riuscii a fare a meno di notare la sua espressione divertita, «se lo dici tu...»
Ignorai le sue frecciatine e mi vestii anch'io, in quel momento suonarono al campanello.
«Devono essere arrivati» dissi, prima di prendere la borsa e scendere le scale.
 
La prima cosa che pensai quando scesi dalla macchina di Chuck, dopo tre ore di viaggio, fu che in quel posto si moriva di freddo.
Non c'era molta neve in paese, probabilmente parte di quella sulle piste era artificiale ma poco m'importava, non ero andata lì per sciare, anche se in realtà non sapessi ancora bene cosa fossi andata lì a fare visto che Mont Tremblant era una località sciistica.
Seb viene ad accoglierci all'ingresso di quella che doveva essere casa sua, ci fece strada verso il salotto dove erano già seduti comodamente Pierre, David e Jeff.
Salutai i ragazzi con un gesto della mano e poi seguii di nuovo Seb verso il piano superiore dove ci mostrò le stanze.
Avrei condiviso la camera con Alice e Lou, come mi aspettavo, e la cosa non mi dispiaceva per niente.
Non appena Seb ci lasciò sole, Elouise si buttò su uno dei tre letti e cominciò a muoversi come in preda alle convulsioni per "testarne la morbidezza".
«Ti serve per caso un letto in particolare per il bambino?» domandò poi, mettendosi composta.
Alice la guardò confusa ed istintivamente si accarezzò il pancione nascosto dal maglione largo che indossava.
«Meno male che lavori coi bambini» intervenni io, aprendo il borsone per mettere a posto i vestiti nell'armadio. Nonostante saremmo rimaste lì per soli due giorni odiavo tenere i vestiti nelle valigie perché poi mi si spiegazzavano tutti.
«Non lavoro con le donne incinte» mi rispose lei prontamente, la ignorai e tornai a concentrarmi su Alice che era rimasta in silenzio fino ad allora.
«Quando nasce?» chiesi, togliendo i jeans che indossavo per sostituirli con un paio di comodi leggings.
«Il termine è tra un mese, se tutto procede come programmato» spiegò lei.
Lanciai uno sguardo al pancione prorompente e sorrisi, in quel momento bussarono alla porta.
«Avete intenzione di fare le asociali per tutta la sera oppure scendete? C'è anche la cena da preparare!» sentimmo Chuck gridare dal corridoio.
Aprii la porta e me lo ritrovai a pochi centimetri di distanza, «arriviamo» dissi, seguendolo giù per le scale.
«Lola cucini tu?» domandò David, alzando lo sguardo dal suo cellulare quando mi sentì arrivare.
«Stai scherzando? Mando a fuoco la casa! Non sono capace di cucinare.»
Lui alzò le spalle in segno di resa, «scusa! È solo che sei una ragazza e quindi...»
«No mi dispiace, l'unica cosa che so fare è mettere cibi pronti nel microonde» spiegai, buttandomi accanto a lui sul divano.
«Ho capito, cucino io!» intervenne Elouise, dirigendosi verso la cucina, «però accontentatevi di un piatto di pasta.»
«Devo aiutarti?» domandò Alice, seguendola.
«Non è meglio che ti riposi?» intervenne Chuck, stranamente apprensivo.
Lo guardai in silenzio, c’era qualcosa che non mi tornava.
Chuck ed Alice erano sempre stati grandi amici ma... Il modo in cui la guardava mi sembrava diverso, diverso da come ricordavo facesse alle superiori. Probabilmente era solo premura nei confronti di un’amica che era rimasta incinta e poi lasciata sola dal padre del bambino, oppure...
Trattenni il respiro facendo un rumore strano, Chuck si voltò a guardarmi confuso, «Lola stai bene?»
Annuii con foga cercando di rimanere impassibile mentre mi appuntavo mentalmente di trovare alcuni minuti per parlare da sola con Chuck. Era cotto di Alice, lo sapevo io.
Lui mi guardò in silenzio per alcuni istanti e poi con un’alzata di spalle se ne andò in cucina.
In quel momento sentii la porta d’entrata aprirsi, mi voltai di scatto e vidi un Pierre infreddolito togliersi la giacca e appenderla sull’attaccapanni che c’era all’entrata.
«Ciao!» esclamò sorpreso, quando si accorse di non essere solo.
Alzai una mano in segno di saluto e gli sorrisi, lui si avvicinò a me e si sedette sulla poltrona posta di fronte al divano su cui invece eravamo seduti io e David.
«Io vado a fare la doccia già che è libera» annunciò quest’ultimo alzandosi dal divano, «stai attenta che quei tre non facciano saltare in aria la casa» mi disse prima di andare al piano superiore.
Rimasi immobile ad osservare il salotto per alcuni istanti, era molto spazioso, anzi, la casa in generale era molto grande per essere soltanto una residenza per le vacanze.
Si sapeva che la famiglia di Seb era sempre stata facoltosa, a scuola era sempre vestito come un damerino e infondo sapevamo tutti che se era riuscito a sfondare come produttore musicale il merito era, in parte, della sua famiglia.
«Stanno complottando tutti alle nostre spalle, lo sai questo?» esordì Pierre, interrompendo il silenzio che si era venuto a creare.
Lo scrutai per un attimo prima di rispondere, «lasciali complottare, si sa come sono fatti tutti, soprattutto Elouise» dissi, lasciandomi scappare una breve risata.
«Perché Chuck?» domandò lui.
«Anche, ma ho scoperto una cosa su di lui che...»
Pierre mi guardò sorpreso, «che cosa?»
Mi sporsi leggermente verso di lui nonostante la distanza tra di noi fosse comunque molta e chiunque potesse sentirci, «secondo me ha un debole per Alice» sussurrai, con lo stesso entusiasmo col quale un bambino racconta ai propri genitori una scoperta sensazionale.
Pierre scoppiò a ridere e io lo guardai stupita ma anche leggermente delusa, «che c’è?» lo ripresi, stizzita.
«Hai scoperto l’acqua calda!» esclamò lui, senza smettere di ridere.
Rimasi in silenzio, indignata dal suo atteggiamento, «sono mesi che gli dico che dovrebbe confessare i suoi sentimenti per lei!» continuò, «ma sai quant’è timido Chuck, non credo che questo accadrà mai.»
Annuii pensierosa, «dobbiamo trovare il modo di infondergli un po’ di coraggio, insomma...»
«Hai ancora l’indole da cupido, tu?» domandò lui.
«In realtà è da un po’ che non mi impegno per far sì che due persone si mettano insieme» confessai, cercando di ricordare l’ultima volta che l’avevo effettivamente fatto.
«Io ho avuto un’idea» bisbigliò Pierre, improvvisamente entusiasta dell’argomento di cui stavamo discutendo.
Alzai improvvisamente lo sguardo dalle mie unghie, dalle quali mi stavo distrattamente togliendo lo smalto, «cioè?»
«Alice è incinta e non può sciare, o almeno credo, quindi se tutti noi invece andiamo, lei rimarrà da sola e potremmo suggerire a Chuck di rimanere a casa a farle compagnia. Immaginati la scena, loro due comodamente seduti sul divano, davanti ad un bicchiere di cioccolata calda e al camino acceso, con le luci spente e soltanto la luce calda del fuoco ad illuminarli...» spiegò Pierre, cominciando a gesticolare come un cantastorie. «Però perché ciò accada anche tu devi venire a sciare, ma per questo non c’è problema perché ti ho già trovato un insegnante.»
Lo guardai poco convinta, «ecco dove volevi arrivare allora. E chi sarebbe questo insegnante scusa?» chiesi.
«Me, ovvio.»
«Ma tu non sai sciare» gli feci notare.
«Chi ti dice che in questi dieci anni non abbia imparato?» ribatté lui, prontamente.
«Hai imparato?» domandai.
«No.»
«E allora!» esclamai, scoppiando a ridere e lasciandomi cadere addosso allo schienale del divano.
«Posso comunque insegnarti ad andare con lo snowboard, è più bello!»
«Non ho intenzione di attaccarmi qualunque genere di oggetto ai piedi, sono negata in qualunque tipo di sport, troveremo un altro modo per far avvicinare Chuck ed Alice» obiettai, seria.
«Dai non fare la bambina, sarà divertente vederti cadere!» cercò di convincermi Pierre, sorridendo furbescamente.
Presi un cuscino che si trovava accanto a me e glielo tirai addosso, «non ho intenzione di spaccarmi le ossa solo per tuo divertimento!» ribattei stizzita.
«Dai stavo scherzando!» cercò di rimediare lui, «vedrai che ti piacerà! Prova almeno! Se poi ti annoi lasciamo perdere, promesso.»
Lo guardai titubante, sentivo che stavo per cedere alla sua proposta, infondo mi aveva lasciato una via di fuga, nel caso non mi fosse piaciuto me ne sarei tornata a casa al caldo.
«Va bene» concessi, in un sospiro.
Pierre alzò entrambe le braccia al cielo in segno di vittoria, «finalmente!» esclamò, «lo sapevo che avresti ceduto.»
«Sì ma se non mi piace lascio perdere» ribadii, dura.
Pierre annuì, senza perdere il sorriso, «tranquilla, non te ne pentirai.» 



-




Eccomi qua come promesso!
Non ho molto da dire in quanto questo capitolo è un po' di passaggio ma spero comunque che vi sia piaciuto :)
Pierre e Lola sono tornati amici quindi devono comportarsi come tali e direi che complottare alle spalle di Chuck e Alice sia una cosa che due amici farebbero AHAHAHAHA
Fatemi sapere che ne pensate!
Jas



 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***



 




 

Capitolo 14

 


«Lola, puoi farcela!» mi esortò Pierre dal fondo pista e cioè pochi metri sotto di me.
Osservai terrorizzata i bambini che scendevano con molta disinvoltura quella minuscola discesa e poi spostai lo sguardo sulla tavola attaccata ai miei piedi.
«Devo proprio?» domandai, tirando su col naso.
Maledetta io che mi ero lasciata abbindolare da Pierre, maledetto lui che era stato così insistente ma soprattutto, maledetta di nuovo io per non essermi vestita bene, il mio sedere ormai congelato appoggiato sulla neve fredda ne stava subendo le conseguenze così come il mio intero organismo perché eravamo fuori da nemmeno due ore e io mi ero già beccata il raffreddore.
«Dai, alzati!» gridò Pierre, «datti una spinta con le braccia!»
Presi un respiro profondo ed obbedii, senza molta fatica riuscii a mettermi in piedi ma prima che riuscissi a rendermene davvero conto, la tavola cominciò a scivolare sulla neve prendendo sempre più velocità.
«Pierre aiuto!» gridai terrorizzata, cercando tuttavia di mantenere l'equilibrio.
«Alza leggermente la tavola! Sposta il peso indietro così rallenti!» rispose lui, io lo guardai confusa, chiedendomi cosa stesse dicendo.
Non riuscivo a mettere in atto le sue istruzioni - sempre che fosse possibile farlo visto che non avevo ancora capito cosa intendesse - e intanto acquistavo sempre più velocità, e la fine della pista si faceva sempre più vicina.
«Lola rallenta! Andrai addosso a qualcuno così!» urlò Pierre, e in quel momento sentii nella sua voce un po' di preoccupazione.
«Non riesco!» ribattei io, nel panico totale.
Prima che riuscissi davvero a rendermene conto, andai addosso a qualcuno e caddi per terra, per fortuna sul morbido, ossia sul suo corpo.
«Lola mi stai schiacciando l'apparato genitale con un ginocchio, sai com'è» mormorò Pierre, con la voce strozzata.
Mi tirai leggermente su con la testa, il giusto per vedere il suo viso paonazzo a pochi centimetri dal mio, «non riesco a muovermi, ho la tavola incastrata» dissi io, senza riuscire a trattenere un sorriso per la sua espressione moribonda.
Lui mi guardò un secondo prima di darmi una spinta e farmi finire accanto a lui, con la schiena appoggiata per terra e il viso rivolto verso il cielo.
«Sei proprio impedita» aggiunse poi, guardandomi di sottecchi mentre si massaggiava molto poco educatamente le parti basse.
«Te l'ho detto io che sono negata negli sport!» gli rinfacciai, mettendomi seduta. «E per colpa tua ho preso pure il raffreddore!» aggiunsi, prima di starnutire.
«Non è colpa mia se vieni in montagna senza una tuta da sci» ribatté.
«Scusa ma non era mia intenzione sciare, sai com'è, non sono capace» dissi, stizzita.
«È uno snowboard quello che hai ai piedi» osservò Pierre, ridendo.
Gli tirai un colpo sul braccio ma lui non sembrò nemmeno sentirlo, «sei buffa» ammise poi.
Lo guardai confusa, «col naso rosso, tutta spettinata, la neve tra i capelli... Sei buffa» spiegò.
«E tu sei...» mi bloccai, lui era... Cosa?
«Bello? Sì lo so grazie, me l'hai già detto» concluse lui, con fare saccente.
«Io non l'ho mai detto!» mi difesi.
Pierre annuì, «sì invece che me lo dicevi, non facevi altro che ripeterlo, ed io ti rispondevo che anche tu eri bellissima.»
 
Socchiusi gli occhi ed osservai la fiamma nel camino muoversi lentamente, prima che il mio corpo fosse scosso dell'ennesimo starnuto.
Presi il fazzoletto che tenevo in mano e mi soffiai il naso, in quel momento qualcuno si sedette accanto a me.
«Ciao.»
Sorrisi lievemente, «ciao» risposi.
«Com'è?»
Mi strofinai un po' il naso, «come ti sembra?»
«Sembri malata, stasera non esci?»
Scossi la testa, «non credo sia una buona idea, passerò una deprimente serata chiusa in una splendida casa di montagna» spiegai.
«Se vuoi posso farti compagnia.»
Mi voltai di scatto nella direzione dalla quale era provenuta quella voce, «anzi, credo proprio che lo farò» aggiunse.
Chuck batté una mano sul divano prima di alzarsi, «allora sei in buone mani» bisbigliò, facendomi l'occhiolino.
Gli sorrisi, «non fartela scappare» dissi poi.
Lui mi guardò curioso prima di capire a cosa mi fossi riferita ed aprire la bocca senza però proferire parola, «vado a prepararmi» disse soltanto, prima di allontanarsi di lì e dare una pacca sulla spalla di Pierre quando gli passò davanti.
«Non sei obbligato a stare qua» dissi, tornando ad osservare il camino.
Sentii Pierre avvicinarsi fino a quando non si sedette accanto a me, «è colpa mia se sei malata» mi ricordò, «e poi non mi sento obbligato, io... Mi piace stare con te» concluse poi incerto.
In quel momento un caos proveniente dalle nostre spalle ci fece voltare di scatto, «noi stiamo uscendo!» esclamò David, mentre indossava un berretto di lana.
Alzai una mano in segno di saluto e guardai i ragazzi vestirsi per bene prima di salutarci ed uscire, facendo piombare la casa nel silenzio più assoluto.
Sospirai e tirai su le gambe, rannicchiandomi, continuando ad osservare la fiamma vivida davanti ai miei occhi che si muoveva quasi impercettibilmente.
Mi sentivo tesa, era Pierre che mi faceva quell'effetto, me l'aveva sempre fatto, infondo. Ci nascondevamo entrambi dietro a questa faccenda dell'amicizia ma sentivo che c'era qualcosa che non andava tra di noi, non mi sentivo spontanea - o almeno non pienamente - come se fossi legata ad una sedia ed avessi una mobilità limitata.
«Ti va una cioccolata?» chiese Pierre, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Mi voltai a guardarlo, i suoi occhi brillavano, sembravano così vivi a causa del riflesso delle fiamme e sentii una sensazione di improvviso calore pervadermi il corpo.
Non era amicizia quella.
Annuii lievemente, «va bene» dissi poi, facendo per alzarmi dal divano.
«No! Stai lì» mi bloccò Pierre, appoggiando una mano sulla mia gamba, «sei malata, faccio io» disse, prima di dirigersi in cucina.
Lo osservai allontanarsi, avvolto in quella tuta grigia sformata e una maglietta nera a maniche corte che metteva in mostra il suo complicato tatuaggio sul braccio sinistro.
Non sapevo ancora cosa significasse quel tatuaggio in realtà, o se ne avesse altri, però mi piaceva.
Mi piaceva la persona che Pierre era diventata in quegli anni, non che prima fosse male, ma era cresciuto, in meglio.
Si era dato una lieve calmata ma senza perdere il suo solito entusiasmo nelle cose e il suo solito senso dell'umorismo.
Senza rendermene conto, mi ritrovai a sorridere da sola al solo pensiero di alcuni episodi divertenti ai quali avevo assistito, mi resi conto che di cose ne avevamo combinate, sembrava che fossimo stati insieme una vita.
Un rumore metallico mi fece sussultare, mi alzai titubante e mi diressi in cucina dove vidi Pierre chinato per terra intento nel mettere a posto alcune pentole che erano cadute.
«Pensavo stessi facendo saltare in aria la casa» esordii, appoggiandomi col fianco destro allo stipite della porta.
Pierre si voltò di scatto, evidentemente sorpreso nel trovarmi lì.
«Non dovevi rimanere sul divano, tu?» mi riprese, alzandosi con in mano un pentolino di acciaio.
«Ho temuto seriamente per la mia incolumità fisica, scusa ma dovevo vedere cosa stavi combinando.»
Pierre annuì e si lasciò andare ad un sorriso, «hai fatto bene» mi concesse, mentre apriva il frigorifero e prendeva il latte.
Lo raggiunsi e lo osservai in silenzio mettersi all'opera, «ai fornelli non sei poi così male come ricordavo.»
«Devo rinfrescarti la memoria con quegli strepitosi pancakes che ti sei spazzata la settimana scorsa?»
Arricciai le labbra sentendomi colta in fallo e diedi un leggero colpo al braccio di Pierre, che stava mescolando la cioccolata sul fuoco.
«È un colpo basso questo» lo accusai.
Lui mi guardò per un istante e mi sorrise, «scusa» disse divertito, spegnendo il gas.
Cercai due tazze e le appoggiai sul tavolo, presi lo zucchero e due cucchiaini mentre Pierre versava la cioccolata.
«Spero per te che sia buona» lo avvertii, mentre prendevo in mano una tazza e ritornavo in salotto.
«Morirai dalla bontà.»
Mi voltai scioccata in direzione di Pierre prima di scoppiare a ridere, «sei patetico» dissi.
«È stato più forte di me.»
«Se muoio è colpa tua, lo sai?» gli rinfacciai, portandomi alle labbra il cucchiaio colmo di cioccolata.
Lui fece per ribattere ma in quel momento il mio cellulare squillò, sbuffai nel leggere il nome sul display.
«Non rispondi?» domandò Pierre curioso, bevendo un sorso di cioccolata.
«È mia madre» borbottai, cupa.
«Salutamela.»
Lanciai un'occhiata in tralice a Pierre prima di rispondere, «pronto?» borbottai.
«Ciao tesoro! Come stai?»
«Bene grazie, tu?»
«Anch'io grazie. Domani vieni a pranzo da me?»
«Non posso, sono in montagna.»
Mia madre fece uno strano verso, che stava ad indicare la sua sorpresa, «davvero? E con chi?»
Lanciai uno sguardo a Pierre che ascoltava in silenzio la mia conversazione, «sono con... Un amico» dissi incerta.
«E chi è? Will Smith? Quando me lo presenti?»
Mi irrigidii a quella proposta nonostante me la sarei dovuta aspettare, «no, ci... Siamo lasciati» buttai lì, «ora scusa ma inizia la maratona di Gilmore Girls e devo andare, ci sentiamo ciao mamma» dissi tutto d'un fiato prima di riattaccare.
«Come vanno le cose con tua mamma?» domandò Pierre, dopo un attimo di silenzio.
«Esattamente come dieci anni fa, anzi, molto peggio» ribattei stizzita, stringendo la tazza ancora colma di cioccolata tra le mani.
«Ahia, tasto dolente» mormorò lui, «scusa.»
«No figurati, è che...» sospirai, «io la odio» conclusi, dopo un attimo di silenzio, sintetizzando in sole tre parole quello che provavo nei confronti della donna che mi aveva messa al mondo.
«Cioè, non è che la odio nel senso che... La odio. Non me lo perdonerei mai se le succedesse qualcosa perché, diamine, è mia madre! Però non la sopporto, davvero. È così opprimente e invadente, cerca di mettere a posto la mia vita, di far sì che io diventi una copia di mia sorella quando non lo sono e, detto sinceramente, non lo voglio nemmeno essere. Gigì ha tutto, dei figli, un marito, un lavoro che la appaga però io non sono Gigì, non lo sono mai stata e mai lo sarò. Mia madre ha già una Gigì, perché vorrebbe averne un'altra? Che senso ha?» sbottai, sospirando pesantemente prima di lasciarmi andare sullo schienale del divano come se fossi reduce da una vera e propria fatica fisica.
«Tu sei Lola e sei molto meglio di Gigì» mormorò Pierre, sorridendomi rassicurante, «hai una marcia in più di tua sorella, l'hai sempre avuta.»
«Sì ma... Io non ho un bel lavoro, non ho un uomo, una famiglia, vivo circondata da degli scatoloni, la mia vita è uno schifo» borbottai.
«Almeno tu hai una casa» osservò Pierre, «io neanche quella.»
Sorrisi increspando a malapena le labbra, «bel tentativo per tirarmi su il morale» gli concessi, «c'è solo un lato positivo in tutta questa faccenda.»
Lui mi guardò confuso, «cioè? Me?»
Risi dandogli un colpo sulla spalla, «oltre a te, ce n'è un altro» spiegai. Rimasi in silenzio un secondo, guardando Pierre che mi guardava in attesa che parlassi.
«Mia sorella è cornuta» bisbigliai, nonostante non ce ne fosse il minimo bisogno visto che eravamo soli in quella casa.
«Stai scherzando?»
Scossi la testa e dovetti mordermi un labbro per non scoppiare a ridere, «no. Mia sorella è cornuta, Ryan la tradisce e la sua vita perfetta non è poi così perfetta.»
«Come hai fatto a scoprirlo?»
Pierre era palesemente scioccato, nonostante tutto conosceva mia sorella molto bene ed ero certa che avesse già capito com'era la situazione nella mia famiglia, non erano mai servite troppe parole tra di noi perché ci capissimo.
«È una sensazione da sorella» dissi soltanto, «non ho delle vere e proprie prove, lo so e basta.»
Pierre annuì, «e che hai intenzione di fare?»
Ci pensai su un attimo, in realtà non ci avevo ancora riflettuto sopra, «non lo so. Secondo te cosa dovrei fare?»
«Dovresti accertarti che questa sia la verità, secondo me. E poi... Poi si vedrà.»
Annuii, e mi lasciai scappare uno sbadiglio.
«Sei stanca?» chiese Pierre, stranamente premuroso.
«Un po'» ammisi, prima di essere interrotta da un inaspettato starnuto. «Forse è meglio che vada a dormire.»
Finii la cioccolata in un sorso e mi alzai dal divano, portando la tazza in cucina, quando tornai in salotto Pierre mi aspettava ai piedi delle scale.
«Che fai?»
«Ti... Ti accompagno» disse lui, incerto.
«Io... Okay» gli concessi con un sorriso nervoso prima di seguirlo su per le scale.
Quando arrivammo davanti alla porta socchiusa di camera mia un silenzio imbarazzante calò tra di noi, «allora buonanotte»  esordì lui ad un certo punto.
Annuii incerta ed istintivamente gli buttai le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio.
«Grazie» sussurrai, col viso rivolto verso il suo collo.
Sentii un accenno di barba pizzicarmi la guancia e mi accorsi che aveva sorriso.
Mi staccai lievemente da lui senza tuttavia sciogliere quell'abbraccio, rimasi per alcuni secondi ad osservarlo sotto la lieve luce che penetrava dalla finestra del corridoio, col suo respiro caldo che mi solleticava la pelle.
«Non ho mai smesso di amarti, nemmeno per un istante» fu l'ultima cosa che sentii, prima che le labbra di Pierre incontrassero le mie.


 

-




Dopo essermi capacitata del fatto che molto probabilmente Pierre è sposato, eccomi qua con questo capitolo!
E' uno dei miei preferiti, lo ammetto. E indovinate perché? Esatto, il bacio (mi sento patetica, faccio domande e mi rispondo da sola ahahaha)
Comunque niente, spero vi sia piaciuto, e fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima,
Jas



 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***



 




 

Capitolo 15



 
La piccola tavola calda dove mi ero data appuntamento con Lou era stranamente semi deserta.
Mi tolsi la giacca e sistemai leggermente la gonna a vita alta che indossavo prima di sedermi ad uno dei tavoli liberi e prendere in mano il menu.
Diedi una breve sbirciata alle insalate che proponevano, alzai distrattamente lo sguardo e quando questo mi cadde su una delle persone alla cassa riconobbi Ryan.
Prima che riuscissi a nascondermi dietro al menu lui mi notò, fece un rapido cenno con la mano al cameriere, che probabilmente stava a significare di tenersi la mancia, e poi si avvicinò rapidamente a me.
«Ciao!» esclamò sorridente, chinandosi per darmi due educati baci sulle guance.
Gli sorrisi riluttante e scambiai il saluto molto freddamente.
Lui si accorse del mio strano comportamento perché aggrottò le sopracciglia lasciandosi andare ad una risatina nervosa, «che c'è?» chiese poi.
Mi strinsi nelle spalle, «come va con mia sorella?» domandai, acida.
Ryan si irrigidì immediatamente alle mie parole, «bene...» borbottò poi insicuro, «perché?»
Mi lasciai andare ad una semplice alzata di spalle prima di guardare nuovamente il menu, in particolar modo la foto di un piatto che mi era saltata all'occhio.
«Così per... Sapere» dissi tranquilla, leggendo gli ingredienti dell'insalata. «È solo che mi è parso strano che Gigì abbia dovuto mentire la settimana scorsa, quando io e mia madre le abbiamo chiesto dove fossi visto che non c'eri a pranzo.»
«Ho avuto da fare» disse lui, rigido.
Alzai lo sguardo verso di lui e mi lasciai andare ad un sorriso tranquillo, «questo non lo metto certamente in dubbio ma sai, quando mia sorella si sente a disagio fa confusione con tutto, e per andare in panico alla semplice domanda "dov'è Ryan?" mi sembra un po' strano... Non trovi?»
Ryan deglutì, e notai le sue mani stringersi in due pugni così stretti che le nocche gli diventarono bianche, andando a contrastare con la carnagione olivastra della sua pelle.
«A meno che tu non abbia un'amante e lei lo sappia...» conclusi, con nonchalance, chiudendo il menu e sorridendogli affabile.
In quel momento la porta del locale si aprì, e vidi Lou guardarsi in giro alla mia ricerca.
«Scusa ma ora sarei impegnata» lo liquidai, indicando con un cenno della testa la mia amica che ancora non mi aveva trovata.
«Posso parlarti?» domandò, quasi disperato, Ryan.
Lo guardai indecisa, perché avrebbe dovuto volermi dire qualcosa? Se c'era qualcuno con cui doveva parlare, questa persona era Gigì, non di certo la sottoscritta.
«Okay» gli concessi con una smorfia non molto convinta.
Ryan annuì velocemente, «stasera alle nove a casa mia, sii puntuale» stabilii decisa, prima di liquidarlo con un cenno della mano.
Nell'istante in cui Ryan se ne andò, con la cosa tra le gambe, Lou mi vide e si avvicinò a me con un sorriso a trentadue denti dipinto sulle labbra.
«Allora, com'è?» domandò entusiasta, sedendosi di fronte a me e guardandomi in attesa di informazioni.
«Normale, stavo solo parlando con Ryan, stasera ci vediamo.»
«Ma che Ryan! Io voglio sapere di Pierre!» esclamò Lou, «ma... Aspetta un attimo. Che Ryan? Il marito di tua sorella? Perché hai un appuntamento col marito di tua sorella?» squittì allarmata, alzando notevolmente il tono della voce.
«Lou tranquilla non è niente di che» la interruppi prima che iniziasse a farsi troppi complessi inutili. «Credo che tradisca mia sorella, anzi, ormai ne sono certa. Mi ha detto che mi vuole parlare, probabilmente per giustificare la sua infedeltà, non so, ma soprattutto non so perché voglia dirle a me determinate cose quando l'unica persona alla quale deve delle spiegazioni è mia sorella» osservai, pensierosa.
Elouise mi ascoltò in silenzio, annuendo assorta, «forse vuole che tu convinca tua sorella a perdonarlo, non saprei. Purtroppo conosco la psicologia dei bambini, non quella dei trentenni.»
Presi un grande respiro e mi passai una mano tra i capelli, «non so» dissi soltanto.
Rimanemmo entrambe in silenzio per alcuni secondi prima che Lou partisse in quarta con l'interrogatorio che avevo rimandato per troppi giorni secondo i suoi gusti.
«Com'è che stai con Pierre?» domandò, improvvisamente entusiasta.
«Non stiamo insieme» la corressi, «ci siamo solo baciati.»
Elouise sospirò lasciandosi andare sulla sedia e osservando fuori dalla vetrina alle mie spalle con aria sognante, «me lo sentivo io che la scintilla non si era ancora spenta. E com'è? Ha acquisito esperienza il ragazzo oppure... ?»
Guardai Lou smarrita per un attimo prima di capire a che cosa si stesse riferendo, «non abbiamo fatto niente!» esclamai, alzando eccessivamente il tono della voce. «Ci siamo solo baciati! Un semplice e castissimo bacio.»
«Ma non eravate davanti a camera tua?»
Annuii, «e non avete fatto niente?» quasi strillò, incredula.
Scoppiai a ridere e scossi la testa, «niente di niente.»
«Ma almeno vi siete baciati con la lingua? Cioè... Dettagli Lola, voglio dettagli!»
Mi presi un secondo per calmarmi, vedere Elouise agitarsi per così poco mi faceva sempre ridere più del dovuto, e poi parlai.
«Certo che ci siamo baciati con la lingua, secondo te?»
«E poi?»
Sorrisi ricordando il momento, «e poi... Sono andata in camera a dormire, prima che tu inciampassi nel mio letto svegliandomi» la ripresi.
Elouise alzò le spalle, «non l'ho fatto apposta, ma è stata una cosa proprio così spiccia? Non è che mi stai nascondendo qualcosa, vero?»
Sospirai divertita da tutta quella insistenza, «non è successo niente! Davvero Lou! Che motivo avrei di mentirti? Ci siamo baciati, se proprio ci tieni a saperlo lui mi ha palpato un po' il sedere e basta» le concessi, arrossendo lievemente al ricordo.
«Beh, questo è già qualcosa.»
 
Rientrai al lavoro con mezz'ora di ritardo, sgattaiolai alla mia postazione in punta di piedi e tirai un sospiro di sollievo quando mi sedetti sulla mia comoda poltrona senza essere scoperta.
«Roland!» mi sentii chiamare in quel momento dallo studio del capo.
Presi un respiro profondo osservando il mio riflesso nel monitor nero del computer in stand-by e poi mi alzai, sforzando un grand sorriso, e mi diressi nell'ufficio di Alec.
«Mi ha chiamata?» domandai, non appena entrai nella stanza.
Lui annuì pensieroso, «doveva essere buono il tuo pranzo, visto che sei arrivata con trentadue minuti di ritardo.»
Trasalii a quelle parole ed abbassai lo sguardo sulla moquette scura, improvvisamente in imbarazzo. «Mi dispiace» sussurrai, sentendomi le guance andare in fiamme.
«Non c'è problema, non ti ho convocata qui per farti la predica, siediti» mi suggerì, indicando con un cenno una delle due poltrone di pelle posizionate di fronte alla sua scrivania.
Obbedii in silenzio e improvvisamente in ansia, in quattro anni che lavoravo per lui non mi ero mai seduta in una di quelle sedie, e in realtà non ci tenevo nemmeno.
«Venerdì c'è stato il processo, lo sai?»
Annuii sicura, «certo» risposi.
«E la settimana prossima ce ne sarà un altro, l'ultimo.»
«Certo» dissi, e per un attimo mi venne da ridere.
Conoscevo a memoria vita, morte e miracoli dell'imprenditore Wilson, avendo analizzato io tutto il suo fascicolo, eppure non sapevo nemmeno che faccia avesse.
«Il tuo contributo è stato decisivo per tutta la durata della causa, hai trovato gli appigli giusti, piccoli vizi di forma non decisivi ma che hanno comunque fatto in parte cadere le accuse, voglio che continui così, voglio che tu faccia quest'ultimo sforzo per portare a casa una grande vittoria, non solo tua personale ma anche mia e di tutto lo studio.»
Cominciai ad agitarmi sulla sedia nell'udire quelle parole, come osava?
La faccia tosta di quell'uomo era infinita, pensai, non solo mi faceva fare tutto il lavoro sporco ma si complimentava pure perché grazie a me la bella figura ce la faceva lui.
Che soddisfazione personale potevo avere io nel sentirmi sfruttata? Il mio nome non sarebbe comparso da nessuna parte, anche se avessimo vinto quella causa, il mio orgoglio me lo sarei tenuta per me, nessun altro sarebbe venuto a sapere del mio contributo in quella causa.
«Sarai premiata per questo.»
A quelle parole non riuscii a trattenere un ghigno, prima lieve ma che poi si trasformò in una vera e propria risata liberatoria.
Alec mi guardava disorientato e confuso, «stai bene? Vuoi un bicchiere d'acqua?» chiese.
Scossi la testa e cercai di riprendermi ma con pochi risultati, «mi scusi, è che...»
Rimasi interdetta per un attimo, sapevo che se avessi aperto la bocca me ne sarei pentita probabilmente per il resto dei miei giorni ma se non l'avessi fatto...
Cos'avevo da perdere infondo? Facevo la segretaria, ma ero laureata in giurisprudenza, facevo il lavoro di un avvocato ma ero pagata come una semplice assistente. Nulla. Non avevo nulla da perdere.
«Che premio? Un altro plico di documenti più alto di me da analizzare? Un altro weekend passato chiusa in casa tra fascicoli piuttosto che fuori a divertirmi coi miei amici? E per cosa poi, per nessun riconoscimento, per uno stipendio misero, per non assistere nemmeno alla vittoria di una causa per la quale ho lavorato sodo, per passare la mia vita a fare un lavoro quando sono qualificata per farne uno dieci volte meglio? No grazie.»
Alec mi guardava sbigottito, boccheggiò alcune volte, in assenza di qualcosa da dire, e quando la sua bocca si aprì e si chiuse per la quarta volta, in assoluto silenzio, mi alzai.
«Dove stai andando?» mi riprese, ritrovando l'uso della parola quando ero ormai giunta alla porta.
«A prepararle i documenti no di certo» ribattei, arrestandomi per un attimo.
«Ragiona Lola, potresti pentirti di ciò che stai per fare. Ovviamente stai avendo un crollo emotivo, prenditi del tempo per te e rifletti sulle opportunità che questo lavoro ti sta dando, non buttare via quattro anni della tua vita così.»
«Quattro anni sono già spazzatura» spiegai, tranquilla.
Alec rimase in silenzio ma dal modo in cui stringeva le labbra e dal colore che assunse la sua pelle, sempre più tendente al rosso, capii che era infuriato.
«Te ne pentirai!» sbottò poi, alzando notevolmente il tono della voce.
Sorrisi lievemente nel vederlo così alterato per colpa mia, «ma vaffanculo» dissi tranquilla, come se gli stessi dando un consiglio, prima di uscire dal suo ufficio.
Mi avvicinai alla mia scrivania, presi la giacca appoggiata alla sedia e la borsa nascosta dietro al cestino ed uscii dallo studio dell'onorevole Baldwin senza voltarmi indietro. 


 

-




Ueilà!
Scusate per il ritardissimo, non so come farmi perdonare, davvero, ma il prossimo aggiornamento arriverà prestissimo!
Finalmente Lola si è liberata di quell'odioso del suo capo, le cose con Ryan si stanno complicando e per quanto riguarda Pierre, presto ci saranno ulteriori svolte!
Grazie mille per le recensioni e per aver messo la storia tra le preferite, fatemi sapere che ne pensate anche di questo capitolo!
Alla prossima!
Jas




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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***



 




 

Capitolo 16

 


Buttai le scatole vuote del take away nel cestino della spazzatura e pulii velocemente il tavolino sul quale avevo mangiato, davanti al l'ennesima replica di O.C.
Lanciai uno sguardo al cellulare che in quel momento si era illuminato e sorrisi nel leggere il nome di Pierre. Presi il telefonino in mano e risposi, improvvisamente entusiasta come una ragazzina.
«Pronto?» domandai, cercando di mantenere un tono neutro.
«Ciao Lola! Sono... Pierre.»
Sorrisi nel sentire l'incertezza nella sua voce, «lo so» mormorai, dolcemente, e sentendo una strana sensazione attanagliarmi lo stomaco, la stessa che mi colpiva ogni volta che stavo con lui.
«Oh» disse lui, più tra sé e sé che rivolgendosi a me. «Beh, come stai? Spero tu sia guarita...»
Mi schiarii la voce e mi misi comoda sul divano, incrociando le gambe ed abbassando il volume della televisione, «sì sono guarita, più o meno. Ho ancora un po' di mal di gola ma nel complesso sto bene» mormorai.
Era una conversazione sforzata quella, lo si capiva da tutto, dalla formalità delle nostre frasi, dalle lunghe pause che intercorrevano prima che uno cominciasse a parlare, da tutto. Ed era strano, perché tra me e Pierre non c'era mai stato alcun tipo di disagio, fino al nostro rincontro, e quella situazione mi sembrava così assurda che a volte mi sfiorava l'idea che fosse anche sbagliata.
«Scusa se non mi sono fatto vivo prima.»
La voce di Pierre mi fece destare dai miei pensieri, mi schiarii la voce alla ricerca di qualcosa di sensato ed efficace da dire.
«Figurati! Insomma... Avrei sarai stato impegnato e poi... Avrei potuto chiamarti anch'io, cioè... Sì» borbottai, arrossendo lievemente.
Sentii Pierre sorridere, sbuffò leggermente attraverso la cornetta e subito me lo immaginai con le labbra increspate, gli occhi socchiusi e gli zigomi più pronunciati del normale.
«Che ne dici se ci vedessimo? Per parlare di quello che è successo, sempre se ti va...»
Trattenni il respiro per alcuni istanti, «va bene» acconsentii, agitandomi sul posto e sentendo il cuore aumentare i battiti.
«Hai da fare ora?»
Staccai il telefono dall'orecchio per guardare l'ora, «che ne dici se ci vedessimo alle dieci?» proposi, maledicendomi per aver acconsentito a parlare con Ryan quella sera.
«Così tardi?»
«Scusa è che ho da fare prima, se non ti va bene possiamo fare domani oppure...»
«No è perfetto» mi interruppe Pierre, «allora... Vengo io da te, a dopo.»
Annuii mordendomi il labbro inferiore, estasiata come un'adolescente, «a dopo» ripetei, prima di riattaccare.
Rimasi per alcuni istanti ad osservare le immagini mute che si muovevano sulla tv e ad ascoltare il rumore metallico della linea staccata che mi rimbombava nell'orecchio prima di riattaccare anch'io ed alzarmi dal divano.
Ero patetica, ero esaltata e nervosa all'idea che avrei rivisto Pierre dopo tre giorni, dopo quel bacio del quale non avevamo fatto parola con nessuno, o almeno io, eccetto che con Elouise.
Andai in camera ed aprii l'armadio alla ricerca di qualcosa di carino da indossare. Sapevo che avrei visto Ryan prima di Pierre ma lui era solo un piccolo ostacolo intermedio da superare.
Mi vestii velocemente ed andai in bagno a lavarmi i denti, non appena chiusi il rubinetto sentii il campanello al piano inferiore suonare. Scesi di corsa ad aprire, la solita faccia sorridente di Ryan mi si presentò davanti, ricambiai titubante e mi feci da parte per farlo entrare.
«Cosa dovevi dirmi?» domandai subito, mentre ci dirigevamo verso il salotto.
Ryan non rispose, si limitò a guardarsi intorno con un'espressione stranamente serena dipinta sul volto.
«Non ero mai stato qua, ma vedo che sei trovata una bella casetta» commentò, continuando ad osservare il salotto, «come mai non hai ancora disfatto gli scatoloni del trasloco?»
Alzai le spalle indifferente, «così» blaterai, sedendomi sul divano, seguita da lui. «Allora, di cosa dovevi parlarmi?» lo spronai nuovamente, sperando di ricevere la risposta.
«Come sei impaziente! Hai qualcosa da fare dopo?»
Lo guardai inespressiva per un attimo, mentre lui mi sorrideva, e in quel momento mi resi conto che Ryan non era poi così bello come credevo. La pelle era troppo scura, il sole - o le lampade - gliel'avevano fatta invecchiare precocemente, i suoi denti erano troppo bianchi, accecavano quasi se li si osservava per troppo tempo, e i suoi capelli erano troppo ingellati, avrei scommesso che se ci avessi passato le dita in mezzo queste mi si sarebbero incastrate, a differenza di quello che mi era successo con Pierre, quando ci eravamo baciati.
Sospirai sognante rivivendo per l'ennesima volta quel momento, la faccia confusa di Ryan mi fece rendere conto di quanto potessi sembrare idiota ai suoi occhi e mi schiarii la voce.
«Sì dopo ho un impegno, quindi è meglio se ti sbrighi» dissi acida.
Ryan alzò gli occhi al cielo e si mise comodo sul divano, appoggiandosi allo schienale ed accavallando le gambe, appoggiando il piede sinistro sul ginocchio destro.
«Ho capito come sei fatta Lola, so che invidi tua sorella in tutto e per tutto ma non dovresti» esordì.
Lo guardai confusa, «io non vi invidio» lo contraddetti, anche se forse un pochino era vero.
Ryan schioccò con disappunto la lingua sul palato, «farò finta di crederti. Comunque, il punto è che non è tutto oro quel che luccica, le cose tra me e Gigì non vanno per niente bene da tempo, ormai.»
«I problemi non si risolvono tradendo» lo ripresi.
«Non è questo il punto ma... Insomma, l'ultima volta che abbiamo fatto sesso è stato... Non mi ricordo nemmeno io quando! Ma da quando sono nati Jack e Jill, Gigì sembra essersi... Spenta.»
«Sai com'è, crescere due figli non è una passeggiata» osservai.
«Si sta lasciando andare, d'inverno non si depila nemmeno più le gambe!» esclamò scioccato, «io sono un uomo! Ho il bisogno fisico di...»
«Fare sesso» finii io per lui.
«Ecco! Vedi che mi capisci?» esclamò Ryan, stranamente sollevato.
«In realtà non ti capisco, ti conosco soltanto» lo liquidai. «E forse prima di accusare mia sorella dovresti metterti nei suoi panni, e se ti interessa d'inverno nemmeno io mi depilo poi così tanto le gambe.»
Ryan strabuzzò gli occhi, «davvero?»
Risi nel notare la sua espressione scioccata, non era propriamente vero per il semplice fatto che anche in inverno dormivo senza pantaloni ed odiavo non sentire le gambe lisce, però se non fosse stato per quel piccolo problema, anch'io avrei fatto volentieri a meno di depilarmi sempre.
Annuii divertita, «ti stai giustificando con dei fatti inutili» gli feci notare, «in realtà non c'è alcuna giustificazione per quello che hai fatto, o che stai ancora facendo, non so. Non voglio mettermi in mezzo ma non far soffrire mia sorella, anche se credo sia impossibile, per lo meno non umiliarla né lei né i bambini, lasciali fuori.»
«Io non voglio lasciarla» mormorò Ryan, a voce bassa.
«Credo che tu abbia deciso di farlo nell'istante esatto in cui hai fatto sesso con una donna che non era lei.»
«Ma lei non mi ha lasciato.»
Rimasi in silenzio per un attimo, «non ancora, credo che non l'abbia fatto per il bene di Jack e Jill ma molto presto cambierà idea.»
«Non hai appena detto che non ti saresti messa in mezzo?»
«Parlerò con Gigì, le darò un consiglio da sorella e spero che lo seguirà. Mi dispiace Ryan» dissi alzandomi, segno che quella discussione era finita.
«Non farlo» mi ordinò lui, avvicinandosi a me.
«Sei tu che non avresti dovuto tradirla, non cercare pietà in me perché non la troverai. Non mi sei mai piaciuto, lo sai questo, e nel momento in cui cerco di ricredermi, di farmi una buona opinione su di te vengo a sapere che tradisci mia sorella. Cosa faresti se fossi nei miei panni?»
«Lola non metterti in mezzo» disse fermo, e quelle parole mi parvero una minaccia.
«Vattene» lo intimai, dirigendomi velocemente verso la porta ed aprendola.
«Non le dirai niente, vero?» chiese, rimanendo fermo sulla soglia di casa.
Avrei potuto dirgli di no, mentirgli, e lui se ne sarebbe andato ma mentire non era da me.
«Mi dispiace Ryan» mormorai.
Lui mi guardò furioso, mi prese per il polso e lo strinse così tanto che sentii la mano bloccarsi, gemetti in preda al dolore e lo pregai di lasciarmi.
«Starai zitta, vero?»
«Ryan lasciami» lo pregai, sentendo gli occhi pizzicarmi.
Il cuore mi martellava nel petto dall'agitazione, presi a respirare velocemente, mentre la presa di Ryan non cedeva. Sentii le lacrime rigarmi entrambe le guance ma non mi sfiorò nemmeno la mente l'idea di dirgli che avrei fatto finta di niente.
«Ti lascio, tu però non parlerai con Gigì e non cercherai di persuaderla a lasciarmi.»
Scossi la testa ormai in preda ai singhiozzi, che mi mettevano ancor più difficoltà di prima per respirare.
Ryan strinse le labbra in segno di disappunto e così fece anche con la presa sul mio polso, anzi, strinse anche l'altra mia mano facendomi scricchiolare le dita.
Mi sfuggì un urlo di dolore di dolore e in quel momento sentii dei passi avvicinarsi.
«Lola!» mi sentii chiamare, mi voltai di scatto verso la strada e vidi Pierre corrermi incontro preoccupato.
Ryan mollò la presa ed io caddi per terra, improvvisamente priva di forze.
«Che le hai fatto?» sbraitò Pierre.
Prima di sentire la risposta, un tonfo mi arrivò alle orecchie e subito dopo vidi Ryan portarsi una mano sul viso.
Pierre rimase per un secondo in piedi ad osservarlo, col pugno a mezz’aria, e quando capì che non avrebbe reagito si chinò su di me, «stai bene?» domandò preoccupato, scostandomi i capelli dal viso.
Annuii ancora scossa dai singhiozzi, vidi con la coda dell'occhio Ryan dirigersi barcollante verso la sua auto prima che Pierre mi stringesse in un abbraccio.
«Stai tranquilla, ci sono io adesso e non ti succederà niente.»



 

-


 

Eccomiiiiiii!
Sono di frettissima perché ho il portatile scarico e devo postare prima che mi si spegna ahahaha
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, Ryan mi sta sul culo nonostante a qualcuno piaccia (non so come faccia a piacere, dai!) e qui ha avuto ciò che si merita, però vi avverto che non è ancora completamente fuori dalla scena.
Pierre invece è arrivato al momento giusto, ovviamente ♥
Fatemi sapere che ne pensate, grazie mille per le recensioni!
Jas




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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***




 




 

Capitolo 17



 
Mi svegliai di soprassalto, la fronte imperlata di sudore e il respiro corto.
Ero inquieta, le immagini dell'incubo che avevo appena fatto erano cosìrealistiche nonostante infondo sapessi che era tutto frutto della mia immaginazione.
Mi voltai a sinistra e sorrisi nel vedere Pierre che dormiva sereno al mio fianco. Il suo addome si alzava e si abbassava lentamente e in maniera regolare, segno che non l'avevo svegliato con i miei movimenti bruschi, anzi.
Mi sdraiai di nuovo e solo allora notai, con piacere, la mano di Pierre appoggiata sul mio addome. Mi accoccolai a lui e chiusi gli occhi, cercando di riprendere sonno.
Tutti i dubbi che mi avevano attanagliata dopo il nostro bacio erano scomparsi nell'istante stesso in cui l'avevo visto scagliarsi contro Ryan la sera precedente.
Avevo bisogno di una prova, di una conferma del fatto che Pierre ci tenesse davvero a me nonostante in fondo lo sapessi, lo si capiva lontano un miglio da come mi guardava, da come si comportava con me. Quello sguardo colmo di sentimento, di dolcezza, lo stesso col quale mi guardava ai tempi del liceo, lo stesso che mi aveva rivolto quella sera al bar, la prima volta che lo avevo rivisto dopo tanti anni.
Lo sentii mugugnare qualcosa, aprii gli occhi nell'istante stesso in cui anche lui lo fece. Si guardòintorno spaesato per pochi istanti prima di posare lo sguardo su di me e sorridere.
«Buongiorno»mi salutò, con la voce roca.
«Ciao»dissi io, senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Stai bene?»domandò, improvvisamente preoccupato.
Annuii e mi avvicinai ancora un po' a lui, appoggiando la testa sul suo petto, «grazie Pierre, per tutto»sussurrai, alzando lo sguardo per cercare di vederlo.
Lui mi accarezzòdolcemente i capelli e mi posòun leggero bacio tra di essi, «non mi devi ringraziare, ho soltanto salvato una fanciulla in pericolo»cercòdi sdrammatizzare.
«Beh, grazie principe»lo presi in giro, stando al gioco.
Lo sentii ridere, «a quell'idiota conviene starti alla larga. Cosa voleva?»
«Gli ho detto che ho scoperto che tradisce mia sorella e lui ha voluto parlarmi. Mi ha fatto un discorso insensato inerente alla vita sessuale sua e di Gigìandata a rilento dopo la nascita del secondo figlio, come per giustificarsi di ciòche ha fatto, e io gli ho detto che non mi interessava, che avrei fatto ragionare Gigìe l'avrei convinta a lasciarlo. A quel punto lui èandato su tutte le furie, ha perso completamente il lume della ragione e ha continuato a ripetermi di non farlo, ovviamente io perònon ho ceduto.»
Pierre scosse la testa, «sei un'incosciente, lo sai?»
«Cos'avrei dovuto fare?»ribattei, alzando lievemente il tono della voce.
«Beh, avresti potuto dargli ragione, giusto per farlo contento e per fargli tenere le mani a posto. Cosa sarebbe successo se non fossi arrivato io?»mi riprese, con una punta di severitàmista a preoccupazione nella voce.
«Probabilmente avrei messo in atto una mossa di kung fu e l'avrei steso a terra all'istante»dissi seria.
«Lola...»
Sbuffai, «non me la sentivo di dargli ragione, insomma, quell'uomo èodioso! Non mi èmai andato a genio!»
«Speriamo che tua sorella decida di lasciarlo perdere.»
«Lo faràsicuramente»dissi decisa prima di addolcire l'espressione e guardare Pierre divertita.
«Che c'è?»domandòlui inquieto.
Mi strinsi nelle spalle, «non posso guardarti? Èda un po' che non lo faccio»mi giustificai, pizzicandogli lievemente la punta del naso con la mano destra.
Il viso di Pierre si contrasse in una smorfia di disappunto, «mi metti in soggezione»ammise poi.
«Non hai niente di cui preoccuparti»sussurrai decisa, sorridendogli appena, «sei perfetto»aggiunsi prima di baciarlo dolcemente a fior di labbra.
Lo sentii sorridere a quel contatto, «se poi fai cosìallora posso anche resistere»mormoròsorridendomi malizioso e rivolgendomi un occhiolino.
Mi accoccolai di nuovo a lui e gli presi la mano con la quale mi cingeva le spalle. Mi cadde l'attenzione sui numerosi tatuaggi che gli coprivano il braccio destro, lasciato scoperto dalla maglietta a maniche corte che indossava.
«Qualche giorno devi anche spiegarmi cosa significano questi»osservai, «dieci anni fa avevi la pelle immacolata.»
Pierre rise, «perchénon hai ancora visto questi!»esclamò, mettendosi seduto sul letto e costringendomi ad allontanarmi da lui.
Si alzòla maglietta dal lato sinistro dell'addome, scoprendo un enorme tatuaggio che gli partiva dal fianco e risaliva tutto il busto.
Lo guardai scioccata, «te sei scemo»dissi, nonostante dovessi ammettere che infondo quei tatuaggi non erano poi cosìmale, soprattutto se accompagnati da certi addominali che non mi erano passati inosservati.
«E non èfinita qui»continuòlui, alzandosi dal letto ed abbassandosi i pantaloni.
«Non ho bisogno dello spogliarello grazie»cercai di fermarlo, ma la mia frase rimase sospesa a mezz'aria quando vidi la parte mancante del tatuaggio che Pierre mi aveva appena mostrato.
Questo infatti continuava lungo tutta la gamba sinistra fino alla caviglia, mi chiesi pure come fosse fatta la parte nascosta dai boxer che indossava ma mi trattenni dal chiederglielo.
«Io...»borbottai imbarazzata, senza sapere bene cosa dire.
Pierre mi sorrise sornione alzandosi velocemente i pantaloni che giacevano per terra, «mi sono sempre chiesto come avresti reagito»ammise sincero, tornando a sedersi sul bordo del materasso.
Lo guardai confusa, «davvero?»
Lui annuì, «me lo sentivo che ci saremmo rivisti prima o poi, e che mi avresti perdonato per l'enorme cazzata che ho fatto.»
Rimasi in silenzio riflettendo sulle sue parole, «devi conoscermi proprio bene, allora.»
«Piùdi quanto tu possa pensare.»
 
Ingoiai l'ultimo boccone di pancakes osservando divertita Pierre giochicchiare con la forchetta nel sciroppo d'acero che gli era rimasto nel piatto.
Solo quella mattina, svegliandomi tra le sue braccia, mi ero resa conto di quanto mi fosse mancato, di quanto stessi bene con lui, di quanto il destino ci avesse separati e infine fatti rincontrare.
Forse era destino che io e Pierre stessimo insieme, forse.
«Io devo andare»  esordìlui ad un certo punto, interrompendo i miei pensieri.
Annuii sbrigativa alzandomi dal tavolo e sparecchiando velocemente. Appoggiai i piatti nel lavandino e mi sentii avvolgere la vita da due braccia decise e muscolose, Pierre appoggiòla testa sulla mia spalla e mi guardòcurioso.
«Non vorrei fare il guastafeste ma sono le otto passate, come mai non sei ancora in ufficio?»domandòcurioso.
«Sei un guastafeste»lo accusai seria, lui si strinse nelle spalle e si giustificòcon un sorriso furbesco, «mi dispiace»disse, ma il tono che utilizzòesprimeva tutt'altro che dispiacere.
«Non èvero»ribattei, divincolandomi dalla sua presa e tornando a pulire il tavolo.
Pierre sbuffò, «cosa c'èche non va?»
Buttai la spugna nel lavandino e mi voltai nella sua direzione appoggiandomi alla cucina e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
«Ieri ho avuto una piccola discussione col capo e non sono certa di avercelo ancora un lavoro»spiegai brevemente.
«Ti hanno licenziata?»Pierre era scioccato.
Scossi la testa, «in realtàme ne sono andata ancora prima che Alec potesse licenziarmi, ma l'ho mandato a quel paese, presumo entreròdi nuovo in quell'ufficio»sorrisi lievemente, «al momento sto bene, èbello svegliarsi senza fretta, fare colazione a casa con qualcuno e non per strada oppure sorseggiare una tazza di caffèmentre si èin ufficio e finirlo quando questo èormai freddo»ammisi sincera.
Pierre annuìe si avvicinòa me col sorriso dipinto sulle labbra, «se era quello che ti sentivi di fare, hai fatto bene a farlo»mi rassicurò, «da quello che ho capito non ti trattavano per niente bene, sono certo che la gente faràla fila per assumerti»mi rassicurò.
«Esagerato!»risi, «ma spero che la mia laurea in Giurisprudenza valga qualcosa.»
Pierre annuìconvinto e mi accarezzòdolcemente la guancia, «saràcosì. Io peròpurtroppo devo andare»sussurrò, «ti chiamo, okay?»
Annuii, Pierre sorrise e mi prese inaspettatamente per i fianchi travolgendomi in un bacio passionale.
Rimasi inizialmente interdetta da quel gesto inaspettato e poi ricambiai con altrettanto trasporto, passandogli le dita tra i capelli. Quando mi staccai avevo il cuore che mi batteva all'impazzata e il fiato corto, mi sentivo come una ragazzina dopo che aveva fatto qualche marachella e rischiava di essere beccata.
Guardai Pierre di sottecchi prima di scoppiare a ridere, lui mi guardòsenza riuscire a capire bene la mia reazione, era divertito e sconcertato allo stesso tempo.
«Scusa»mormorai, «èche... Non sono abituata a certe cose»mi giustificai, ridacchiando ancora.
«Beh in realtàneanch'io»ammise lui, grattandosi la nuca imbarazzato, «ma tu hai uno strano effetto su di me, qualcosa che non ho mai provato con nessun'altra.»
Rimasi in silenzio ad osservare Pierre che mi squadrava serio e ad ascoltare il mio cuore che aveva cominciato a farsi sentire sempre di più.
Non sapevo come interpretare le parole di Pierre, mi lasciava sempre spiazzata con la sua schiettezza e con il suo modo diretto di dire le cose, io non ero in grado di essere cosìaperta, per lo meno per quello che riguardava i miei sentimenti.
Ricordavo chiaramente di avergli detto "ti amo" per prima, ma per tutto il resto Pierre era sempre stato un passo avanti a me, ero convinta che quelle due parole lo spaventassero ma che in fondo lui me le avesse giàdette prima, alla sua maniera.
«Aspetto la tua chiamata»sussurrai, avvicinandomi a lui per baciarlo di nuovo, questa volta piùdolcemente.
Chiusi gli occhi beandomi della sensazione delle sue labbra morbide premute sulle mie, quando mi staccai lui mi guardòtitubante, aprìla bocca pronto per dire qualcosa ma poi la richiuse in un sospiro.
Mi osservòancora per un istante e poi senza proferire parola, uscì.


 

-




Non sono brava nel descrivere la vita di coppia ma sono stranamente soddisfatta di questo capitolo, spero che sia piaciuto anche voi!
Poi Pierre è meraviglioso, mentre rileggevo andavo in iperventilazione nell'immaginarlo in mutande, con quei tatuaggi che... Okay basta ahahahaha
D'ora in poi aggiornerò più costantemente visto che ce l'ho fatta a finire sti dannati esami di maturità! ahaha
Alla prossima, fatemi sapere che ne pensate!
Jas




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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***




 



 

Capitolo 18

 


Posai lo sguardo sulle persone sedute di fronte a me prima di arrestarmi sul volto concentrato di Alice, intenta a leggere una rivista di gossip.
Mi sentivo a disagio in mezzo a tutte quelle mamme e mi maledetti per aver accettato di accompagnarla alla visita dal ginecologo.
«Vado a prendere un caffè» l'avvertii, bisbigliando per non seppi quale motivo. «Vuoi qualcosa?»
Alice scosse la testa posando la rivista sul tavolino di fronte a noi, «no, però ti accompagno.» 
Annuii ed istintivamente l'aiutai ad alzarsi dalla sedia, mancava poco al parto ormai, e insieme ci dirigemmo verso la macchinetta che avevo visto nel corridoio, quando eravamo arrivate in ospedale.
«Mi sentivo a disagio in mezzo a tutte quelle donne incinte» ammisi, mentre selezionavo un caffè ristretto.
Alice sorrise, «prima o poi lo sarai anche tu, no?»
La guardai scettica, «più poi che prima. Serve avere l'uomo giusto prima di mettere al mondo un figlio» spiegai.
Solo allora mi resi conto della gaffe che avevo fatto, Alice era sola, l'uomo giusto - che evidentemente non era poi così giusto - l'aveva abbandonata nell'istante stesso in cui aveva scoperto di stare per diventare padre. Arrossii dall'imbarazzo e le diedi le spalle con la scusa di dover ritirare il caffè ormai pronto, «scusa» mormorai, mortificata.
Sentii Alice sorridere e posarmi una mano sulla spalla, «tranquilla, hai ragione e capisco il tuo ragionamento, vedrai che l'uomo giusto arriverà.»
Mi sforzai di increspare le labbra ma l’unica cosa che ne uscì fu una smorfia incerta, «non c'è fretta, per ora sono contenta di stare per diventare zia» sdrammatizzai, appoggiando la mano sul pancione di Alice.
Lei mi guardò divertita prima di tornare nella sala di attesa, stavamo per sederci su due sedie vuote quando un'infermiera fece capolino nella stanza e la chiamò.
La osservai, incerta sul da farsi, ma lei mi fece segno di seguirla.
Mi sentivo a disagio, avevo sempre odiato gli ospedali, il loro odore asettico, il loro silenzio e l'atmosfera tesa che aleggiava sempre nell'aria. In realtà il reparto maternità era il più bello che ci fosse ma sapere che poco lontano da lì c'erano persone con malattie, più o meno gravi, o gente che rischiava la vita mi faceva provare soltanto angoscia.
«Allora, come stiamo?» domandò subito il ginecologo, non appena io ed Alice facemmo il nostro ingresso nella sala del dottore. «Oh, vedo che abbiamo visite!» aggiunse poi, non appena mi vide.
Lo salutai imbarazzata e mi sedetti su una sedia che probabilmente era quella su cui si sedevamo i padri dei bambini, o per lo meno era quello che avevo sempre visto nei film, in realtà era la prima volta che vedevo un ginecologo al lavoro dal vivo.
Il dottore prese subito un tubetto di gel trasparente e lo spalmò sulla pancia di Alice che nel frattempo si era alzata leggermente la maglietta.
Guardai con sincero interesse ogni gesto che veniva compiuto, il dottore sembrava simpatico ed esperto, canticchiava mentre svolgeva delle azioni che molto probabilmente per lui erano diventate una routine. Era un uomo sulla sessantina, i capelli brizzolati e leggermente mossi e un'espressione perennemente felice dipinta sul volto. Indossava degli occhiali da vista rotondi con la montatura fine color oro, mi resi conto che assomigliavano vagamente a quelli di Babbo Natale e provai ad immaginarmelo con la barba folta e lunga.
«Lo vedi quello? Quello è un braccio del bimbo» spiegò ad un certo punto, facendomi distrarre dai miei pensieri.
Il viso di Alice si aprì in un sorriso emozionato mentre osservava il monitor quasi completamente nero, io mi sforzai di apparire altrettanto entusiasta nonostante in realtà non ci stessi capendo molto. L'unica cosa che vedevo erano delle macchie informi che potevano essere un bambino così come potevano essere qualunque altra cosa ai miei occhi, tuttavia l'espressione felice della mia amica mi fece ricredere. Non era sicuramente la prima volta che faceva un'ecografia, eppure vederla così commossa di fronte a quelle immagini mi fece sentire improvvisamente fredda e senza cuore, forse io non ero adatta a diventare una madre, non ero nemmeno in grado a mantenere in vita un pesce, figuriamoci crescere un bambino.
«Lei sa se è maschio o femmina?» domandai poi, cercando di interpretare le immagini.
Il dottore mi sorrise divertito ed annuì, «ma Alice non vuole sapere il sesso del nascituro, vero?» disse, rivolgendosi infine a lei.
«Ma io non posso saperlo? Insomma, non so se comprare le tutine rosa o azzurre» osservai, pensierosa.
«Potresti prenderle bianche» suggerì lui, togliendo l'apparecchio dalla pancia di Alice e pulendola con un tovagliolo.
Sbuffai e mi alzai dalla sedia, raccogliendo la borsa che avevo appoggiato per terra quando mi ero seduta.
«Grazie dottore, alla prossima» lo salutò Alice stringendogli la mano.
«Ci vediamo fra tre settimane allora, quando probabilmente cominceranno le contrazioni.»
«Arrivederci» dissi io, sforzando un sorriso e seguendo Alice fuori dalla sala.
«Tre settimane?» ripetei scioccata, mentre attraversavamo i corridoi dell'ospedale.
Alice annuì per niente preoccupata, «già, salvo stravolgimenti vari. Vero?» disse, rivolgendosi infine al pancione che stava accarezzando.
Sorrisi lievemente nel vedere quel gesto di affetto, «hai già scelto il nome?» chiesi.
Lei annuì, «Clara se è una femmina e Jonathan se è un maschio.»
Rimasi in silenzio riflettendo sulla risposta, «Clara Martin» dissi soprappensiero, «suona bene» decisi poi, sorridendo.
Alice fece una smorfia compiaciuta, «anch'io sento che è una femmina, Chuck invece è convinto che sia maschio.»
«I maschi non capiscono niente» osservai, «e Chuck è di parte» dissi ridendo.
«Forse, ma è molto gentile, mi sta aiutando molto...»
Rallentai il passo guardando Alice e cercando di trattenermi dal ridere, lei non era per niente disturbata, anzi, aveva un'espressione serena dipinta sul volto che infondo le invidiavo.
«Sarebbe un buon padre» buttai lì con nonchalance, prendendo a guardarmi in giro.
Alice si arrestò di scatto e si voltò a guardarmi, «che cosa stai insinuando?»
La guardai confusa, «io? Niente!»
«Lola...»
Rimasi a guardarla in silenzio, con fronte e sopracciglia aggrottate, ma lei non cedette, anzi, si mise a braccia conserte e cominciò a tamburellare nervosamente un piede a terra.
«Okay» esalai, allargando le braccia, «secondo me tu e Chuck stareste bene insieme, contenta?»
Alice mi guardò muta e poi riprese a camminare, «non dici niente?» domandai sorpresa, allungando il passo per raggiungerla.
«Cosa dovrei dire?»
«Non so, che lo sai, che piace anche a te, che vivrete felici e contenti.»
Alice rise, «io è Chuck ci conosciamo da anni, è ovvio che tra di noi ci sia una certa alchimia ma stai tranquilla che non è amore» mi rassicurò.
«Tu dici? Il modo in cui ti guarda secondo me è più che carico d'amore.»
«Piuttosto che interessarti alla mia vita privata, pensa alla tua» ribatté, «un uccellino mi ha detto che tu e Pierre vi siete baciati.»
«Fammi indovinare, un uccellino di nome Lou?»
Alice si lasciò scappare un sorriso ed annuì, «che mi dici a riguardo?»
«Niente, confermo ciò che l'uccellino ti ha riferito» ribattei.
«E poi? È successo qualcos'altro?» continuò lei curiosa.
«Piuttosto che interessarti alla mia vita privata, pensa alla tua» le feci il verso, mostrandole poi una smorfia.
Alice gonfiò le guance irritata, «non vale!» esclamò poi, «sono una donna incinta e non puoi farmi rimanere così in ansia!»
Mi strinsi nelle spalle, «non è colpa mia» dissi, sorridendo sardonica.
«Va bene» affermò decisa, «volevo chiederti se volessi essere la madrina del bambino ma se proprio la metti così credo chiederò a qualcun altro...»
Mi arrestai di scatto e guardai Alice, soddisfatta della mia reazione, lo sapeva di avere colpito nel centro.
«Sei una stronza» borbottai.
Lei si strinse nelle spalle, «faccio quello che posso.»
«Lo sai che i bambini non sono la mia priorità ma sapere che hai scelto me e poi cambiato idea per questa minuscola discussione mi fa...» rimasi in silenzio e sbuffai alzando gli occhi al cielo. «Okay» le concessi poi, «ti racconterò tutto ma ci conviene andare a sederci da qualche parte perché è una storia lunga, c'entra anche mio cognato.»
 
Avevo sempre amato la casa di Gigì, una graziosa villetta color panna situata in una zona residenziale poco lontana dal centro di Montreal.
Era pomeriggio, probabilmente Ryan era al lavoro - o almeno lo speravo - così che avrei potuto parlare in tutta tranquillità con mia sorella.
Erano passati alcuni giorni da ciò che era successo, non ne avevo fatto parola con nessuno se non con Pierre, Lou e Alice quella mattina, non l'avrei mai detto a mia mamma e nemmeno a Gigì a meno che ci fosse stata la necessità. Era il mio asso nella manica, la mia ultima spiaggia nel caso mia sorella si fosse dimostrata intenzionata a fare finta che tutto andasse bene e continuare a essere presa in giro.
Suonai il campanello ed attesi impaziente che qualcuno mi venisse a rispondere, dopo interminabili secondi di silenzio Gigì fece capolino alla porta e nell'istante in cui mi vide le sue sopracciglia si inarcarono notevolmente, facendole aggrottare la fronte.
«Lola!» esclamò sorpresa, «che ci fai qua?» domandò, facendomi strada all'interno della casa.
Tolsi la giacca e la appoggiai sul divano con la borsa prima di seguirla in sala da pranzo e sedermi al tavolo.
«Ero da queste parti...» buttai lì, «non posso fare visita alla mia sorellona?»
Gigì mi guardò poco convinta, «certo» disse poi, sforzando un sorriso. «Mi stavo preparando del tè, lo vuoi anche tu?»
Annuii alzandomi di lì e dirigendomi verso il camino sopra il quale erano appese delle foto che avevano attirato la mia attenzione.
«Ryan non c'è?» chiesi poi, osservando una foto del loro matrimonio.
«No, è al lavoro, dovrebbe rientrare per cena però.»
Non risposi, continuai ad osservare le fotografie disposte ordinatamente, Ryan e Gigì, Ryan e i bambini, Gigì e i bambini, tutta la famiglia al completo.
Improvvisamente mi sentii un'ipocrita per quello che avevo intenzione di fare, infondo che diritto avevo io di intromettermi nella vita di mia sorella? Se a lei stava bene così, perché dovevo farle cambiare idea, farle lasciare Ryan? Mi feci attanagliare dai dubbi e per un attimo ebbi la fugace idea di lasciare perdere tutto, poi però mi tornarono in mente gli avvenimenti di alcuni giorni prima, le mani forti di Ryan che mi stringevano i polsi, il cuore che mi scoppiava nel petto dalla paura, e decisi che lo stavo facendo per il bene di mia sorella, dei miei nipoti, e infondo anche di mia madre nonostante fossi certa che non avrebbe preso certamente bene la notizia.
«Lola, il tè è pronto» mi avvertì mia sorella, facendomi destare dai miei pensieri.
Sforzai un sorriso e tornai al tavolo che nel frattempo era stato apparecchiato con biscotti, zucchero e due tazzine fumanti.
«Jack e Jill sono a scuola?» domandai, mentre prendevo lo zucchero e lo mettevo nella tazza.
«No, sono ad un compleanno, devo andare a prenderli tra mezz'ora.»
Annuii lievemente, «allora devo fare veloce» dissi, soffiando sul tè bollente.
Gigì mi guardò confusa, «fare cosa?»
«Da quant'è che sai che Ryan ha un'altra?» chiesi decisa, senza alcun tono di accusa o di critica.
Lei mi guardò completamente spiazzata dalla mia domanda, era palese che non si aspettasse un'uscita del genere nonostante avrebbe potuto arrivarci, infondo cosa potevo farci io a casa sua quando l'ultima volta che ci ero stata era quando si era trasferita?
Ero sempre stata via, sì, ma io e Gigì non avevamo ma avuto un bel rapporto sin da piccole, da quando ne avevo memoria.
Lei era sempre stata la migliore, la più grande, la più elogiata, la più pacata nei modi di fare, la più educata, la più intelligente, la più obbediente, la più tutto. Ero cresciuta nella sua ombra, avevo passato la vita ad essere paragonata a lei e ad essere perennemente criticata per non essere come lei, anzi, mia madre continuava a farlo, e lei non si era mai sforzata di porre fine a questi continui confronti dai quali ne era uscita sempre vincente. 
Nonostante il nostro rapporto non esattamente amorevole io ci tenevo comunque a Gigì e sapere che si trovava in quella situazione, che si lasciava trascinare dagli eventi e che stava con un uomo che non la amava, beh, quello non lo accettavo.
«Come fai a saperlo?» mormorò lei, così a bassa voce che feci fatica a capirla.
«Non ci è voluto molto a capirlo, tu che ti agiti alla semplice domanda "dov'è Ryan?" E che dai due diverse risposte a me e alla mamma, ho semplicemente fatto due più due» spiegai, addentando un biscotto al cioccolato.
«Cosa vuoi sentirti dire? Che la mia vita perfetta non è poi così perfetta? Che in realtà Ryan non mi sfiora da più di un anno se non in presenza di altre persone?»
«No, Gigì» la richiamai, dispiaciuta e sorpresa che lei pensasse che io potessi farle una cosa del genere. «Voglio solo il tuo bene» le spiegai cercando di mantenere un tono tranquillo, «lascialo.»
Gigì rimase in silenzio, «s-stai scherzando?» riuscì a borbottare poi.
Scossi la testa, «è inutile andare avanti così, che motivo c'è di rimanere con lui quando potresti tranquillamente lasciarlo perdere?»
«E i bambini? E la mamma? E le persone? Cosa penseranno tutti?»
Presi tempo, sapevo che sarebbe stata dura, sapevo anche che Gigì teneva molto all'opinione altrui e che considerasse il divorzio come una sorta di fallimento ma in certi casi, come quello, era la soluzione migliore.
«Ai bambini non fa nemmeno bene crescere in un'atmosfera del genere» le spiegai, «la mamma capirà, sei una persona umana, puoi sbagliare anche tu, e poi non è colpa tua se Ryan è un idiota. Per quanto riguarda le persone... Lasciale perdere, tutti avranno sempre qualcosa da ridire su di te, a prescindere.»
«Lola, non capisci...»
Sospirai, «capisco, più di quanto tu possa immaginare, ma devi smetterla di lasciarti condizionare così dall'opinione altrui, hai passato la tua intera vita a vivere in funzione di quello che poteva o no pensare la gente, è ora di fare qualcosa per te.»
Gigì mi guardò impassibile, cercai di trovare un segno di cedimento in lei ma niente, sembrava pietrificata, l'unico rumore che si sentiva era quello delle lancette dell'orologio appeso al muro.
«Devo andare a prendere i bambini» disse poi, dopo infiniti attimi di silenzio durante i quali non avevamo smesso di osservarci.
Sospirai e mi alzai dal tavolo, «fai come vuoi allora, continua a vivere in questo inferno e dormi ogni notte con un uomo che se ne scopa un'altra» sbottai, prendendo la giacca ed andandomene sbattendo la porta.





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Eccomi qua!
Sono vergognosamente in ritardo, e vi chiedo perdono.
Scusate ma sono di fretta, spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie mille per le recensioni che mi avete lasciato!
Alla prossima!
Jas




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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***




 




 

Capitolo 19

 


Passai davanti alla lavanderia dove ero solita portare gli abiti di Alec con un buonumore che non mi apparteneva.
Diedi una rapida occhiata attraverso la vetrina alla commessa che ormai conoscevo bene viste le numerose volte che avevo frequentato il suo negozio, poi continuai per la mia strada, diretta verso il negozio di Chuck e Pierre. Non che avessi bisogno di qualcosa in particolare, avevo semplicemente voglia di fare un giro, approfittando della giornata soleggiata, e andare a trovarli mi era sembrata un'idea carina.
Non appena aprii la porta del locale un famigliare scampanellio mi arrivò alle orecchie e Pierre, intento a fare qualcosa al computer, alzò la testa di scatto aprendosi poi in un sorriso non appena mi vide.
«Ciao!» esclamò, alzandosi dalla sedia e venendomi incontro.
Fece per baciarmi su una guancia ma io mi voltai verso di lui facendo incontrare le nostre labbra.
«Ciao» sussurrai poi, sorridendogli maliziosa.
Pierre mi guardò confuso ma allo stesso tempo divertito, «come mai così di buon umore?» mi domandò poi, cingendomi i fianchi con le braccia.
Mi strinsi nelle spalle, «oggi sono stranamente contenta, non so perché...» osservai poi, pensierosa. «Chuck non c'è?» aggiunsi poi, guardandomi intorno e rendendomi conto solo in quel momento della sua assenza.
Pierre scosse la testa, «no, doveva andare con Alice da qualche parte, non chiedermi dove...»
Sorrisi a quelle parole, «quei due sono fatti per stare insieme» sostenni, e in quel momento un cliente entrò nel negozio.
Mi staccai all'istante da Pierre guardando imbarazzata la ragazza che si era appena chiusa la porta alle spalle, «ti aspetto» mormorai poi, dirigendomi verso la cassa.
Mi misi a spulciare le canzoni che c'erano nel computer mentre Pierre mostrava alla cliente ciò di cui aveva bisogno e per un attimo mi incantai ad osservare il suo fisico molto più snello e slanciato rispetto al passato e quel dannatissimo tatuaggio che non riuscivo ad ignorare, lasciato in parte scoperto dalle maniche rimboccate fino ai gomiti.
Mi riscossi dai miei pensieri quando vidi i due avvicinarsi a me, Pierre digitò qualcosa sulla cassa e porse lo scontrino alla ragazza che gli diede in mano i soldi.
Non appena questa uscì dal negozio Pierre si voltò a guardarmi sorridente.
«Che c'è? Ho qualcosa che non va?» domandai preoccupata, cominciando a tastarmi il viso in cerca del problema.
Lui scoppiò a ridere mentre scuoteva la testa, «no! Certo che no! Ti stavo solo guardando, sei serena, e sei bellissima.»
Mi sentii arrossire a quelle parole ed abbassai lo sguardo imbarazzata sullo smalto rosso delle mie unghie ormai quasi completamente andato via.
Le sue dita si posarono sotto il mio mento costringendomi poi ad alzare il viso e guardarlo, rimanemmo così in silenzio per alcuni attimi, poi mi avvicinai lentamente a lui senza perdere il contatto visivo e lo baciai.
«Stasera cosa fai?» chiesi, allontanandomi minimamente da lui, coi nostri nasi che ancora si sfioravano.
«Nulla di particolare, perché?»
«Vieni a cena da me?» proposi.
Pierre mi sorrise ed annuì entusiasta, «certo!»
Sospirai sollevata, non sapevo nemmeno io perché ma quella domanda mi aveva resa agitata, «bene, allora ti lascio al tuo lavoro» dissi, alzandomi dallo sgabello.
Lo baciai velocemente sulla guancia e presi la borsa dirigendomi poi verso l'uscita.
Prima di chiudermi definitivamente la porta alle spalle mi voltai e notai con piacere Pierre che mi guardava sorridente, appoggiato al bancone con le braccia conserte.
Gli mandai un bacio e lo salutai di nuovo con la mano, «alle sette e mezza, puntuale!» aggiunsi poi, e senza aspettare una sua risposta, me ne andai.
 
Ero in piedi in mezzo al mio salotto, i capelli raccolti alla bell'e meglio e le mani appoggiate ai fianchi.
Mi guardai intorno e storsi naso e bocca rendendomi conto solo allora di quanti fossero gli scatoloni da svuotare e di come quella casa avesse un'aria precaria, che non mi apparteneva più.
Non avevo un lavoro, mi sarei dovuta rimboccare presto le maniche se avessi voluto rimanere ad abitare lì, dato che l'affitto non me l'avrebbe pagato nessuno, ma nonostante ciò mi sentivo felice ed ottimista. L'unica cosa che dovevo fare in quel momento era rendere mia quella casa che non lo era stata per troppo tempo.
Sbuffai, facendo sollevare un ciuffo di capelli che mi cadeva sugli occhi e mi inginocchiai per terra aprendo il primo scatolone che mi capitò sottomano. Conteneva alcuni soprammobili che avevo comperato in tutti i miei viaggi, mi alzai e cominciai a posizionarli ordinatamente su una mensola accanto alla tv.   
Passai in rassegna la maggior parte delle scatole che occupavano il salotto mentre il profumo delle lasagne che cuocevano nel forno si faceva sempre più forte.
Quando aprii lo scatolone che conteneva i miei cd, mi avvicinai allo stereo che avevo messo a posto poco prima ed inserii l'album dei Goo Goo Dolls.
Sulle note delle loro hits continuai a mettere a posto tutto, canticchiando ed improvvisando qualche passo di danza ogni tanto.
Attaccai la mia collezione di calamite al frigorifero, posizionai alcune foto sulla mensola del caminetto e mentre frugavo tra un malloppo di riviste, chiedendomi perché le avessi prese, una foto non incorniciata cadde per terra a faccia in giù.
Era piuttosto consumata ed il retro bianco tendeva più verso il giallo. L'afferrai e la girai, sorridendo nel vedere me e Pierre abbracciati. Era stata scattata al mare, l'estate in cui avevamo deciso di andare in vacanza negli Stati Uniti. Avevamo fatto un viaggio estenuante, durato più di dieci ore, ma ne era valsa la pena.
Il suono del campanello mi costrinse a ritornare al presente. Mi alzai da terra ed appoggiai la foto accanto alle altre, mi pulii le mani impolverate sui jeans mentre mi dirigevo verso la porta.
Pierre sulla soglia mi lasciò spiazzata, «ma che ore sono?» domandai, sorpresa.
Lui alzò la mano sinistra per guardare l'orologio legato al polso, «le sette e trentuno, perché?»
Mi sbattei una mano sulla fronte, «non è possibile» borbottai, spostandomi dall'entrata e dirigendomi verso la cucina.
Guardai il timer del forno, fortunatamente mancavano ancora cinque minuti alla fine della cottura e le lasagne non erano ancora bruciate.
«Mi sono messa a disfare alcuni scatoloni ed ho perso la cognizione del tempo» mi giustificai, mortificata.
Pierre annuì tranquillo, «ma non mi dai neanche un bacio?»
Una sensazione strana mi attanagliò lo stomaco a quelle parole, non so se fossero farfalle o qualche altra specie animale, fatto sta che mi avvicinai a lui e appoggiai le mie braccia attorno al suo collo, facendo sfiorare i nostri nasi.
«Scusa» sussurrai maliziosa, prima di appoggiare le mie labbra sulle sue.
Dischiusi la bocca per far sì che le nostre lingue si incontrassero e Pierre mi travolse con una passione che mi lasciò interdetta. Indietreggiai lentamente fino ad andare a sbattere addosso al tavolo che si spostò leggermente a causa del mio peso. Passai le mie dita tra i capelli di Pierre mentre sentivo la sua mano risalire lentamente la mia gamba sinistra.
Sussultai quando si avvicinò al mio inguine, lo guardai sorpresa e lui mi sorrise malizioso, «scusa» mormorò poi, mordendosi il labbro e ritirando la mano.
Scossi la testa e gliela ripresi, appoggiandola lì dov'era un secondo prima.
«Non sono più abituata a certe cose» mi giustificai poi, leggermente in imbarazzo.
Pierre mi guardò confuso, «tu...»
«Diciamo che è da un po' che non esco con qualcuno» spiegai, sentendo le mie guance avvampare.
Lui mi scostò i capelli dal viso facendo poi scivolare la mano sulla mia guancia, accarezzandola, e mi baciò dolcemente sulle labbra, avvicinandosi ulteriormente a me e facendo aderire i nostri corpi.
Avevo il respiro accelerato, ero accaldata ed avere Pierre così vicino non migliorava le cose. Tuttavia anche lui respirava piuttosto velocemente, potevo capirlo dall'aria che mi stuzzicava il viso mentre mi guardava intensamente.
In quel momento il timer del forno suonò, facendoci sussultare entrambi.
«È pronto» dissi, «e non mi sono nemmeno fatta la doccia.»
Presi la teglia e la appoggiai sul piano cottura, cercando un coltello nel cassetto e cominciando a tagliare le diverse porzioni.
Pierre nel frattempo si era seduto a tavola e stava stappando una bottiglia di vino che non mi ero nemmeno accorta avesse portato.
Sorrisi nel vederlo così concentrato, si era tolto la felpa e non riuscii a fare a meno di notare il suo tatuaggio.
Presi un respiro profondo cercando di contenermi e gli porsi il piatto, andando poi a sedermi al mio posto.
Pierre versò del vino nei nostri bicchieri ed alzò il proprio, «brindisi?» propose.
Annuii prendendo il mio, «a cosa brindiamo?»
«A noi» disse lui serio, senza distogliere lo sguardo da me.
 
«Non credi che stiamo esagerando col vino?» domandai, osservando la bottiglia quasi vuota appoggiata sul tavolino.
Pierre si strinse nelle spalle, «se ho portato una bottiglia è perché dovevamo finirla» osservò poi.
«Quindi hai deciso a priori di farmi ubriacare, bravo Bouvier» lo ripresi, mettendomi più comoda sul divano.
Lui rise ed io gli porsi il mio bicchiere, mi guardò interrogativo ma lo spronai a prenderlo in mano. Mi tolsi la felpa che indossavo sentendo improvvisamente caldo e rimasi in canottiera.
«Sei tutta rossa» mi prese in giro Pierre.
Cercai di farmi aria con le mani e ripresi il mio bicchiere ormai quasi vuoto, «sto schiattando» mi giustificai.
«È la mia presenza, ammettilo.»
«In realtà è il vino.»
Pierre rise ed allungò il braccio verso il tavolino, prendendo la bottiglia di vino e versandone un po' nei nostri bicchieri.
La mia attenzione fu attirata dal suo tatuaggio colorato, lui dovette accorgersene perché rise.
«Che c'è?» domandai infastidita.
«Ti sei incantata.»
Non risposi alla sua provocazione, «cosa significa quel tatuaggio?»
Pierre allungò il braccio e se lo guardò, «questo dici?» domandò poi.
Alzai gli occhi al cielo, «e quale se no?»
«Beh, ne ho altri.»
Lo guardai sorpresa e cominciai ad agitarmi sul posto, «davvero? Dove?»
Lui rise, «lo scoprirai» mormorò poi, facendomi l'occhiolino.
Lo guardai contrariata e bevvi un po' di vino, «che antipatico che sei.»
Appoggiai il bicchiere sul tavolino, rendendomi conto che stavo esagerando col bere, e mi voltai verso la televisione che era rimasta accesa per tutto il tempo ma alla quale non avevamo dedicato la minima attenzione.
Rimanemmo in silenzio per un attimo ed infine fu Pierre a parlare.
«Come mai hai deciso di mettere a posto tutto solo oggi? Non dirmi che è perché non hai avuto tempo, non ci credo.»
Sospirai e guardai gli ultimi due scatoloni che mi erano rimasti, «nonostante fossi tornata qua, non mi sentivo davvero a casa. Era come se qualcosa fosse cambiato, se Montreal non fosse più la mia città. Non c'era qualcosa che mi trattenesse davvero qua» spiegai.
«E cos'è cambiato?»
Sorrisi, «evidentemente ora c'è qualcosa che mi trattiene qua.»
«Cioè?»
«Tu.»
Pierre rimase in silenzio, non riuscii ad interpretare bene la sua espressione né a capire cosa gli passasse per la mente fino a quando non si avvicinò a me e mi baciò.
Ricambiai con trasporto, le sue labbra sapevano di vino e quel sapore mi fece inebriare più di quanto non fossi già.
Prima che potessi rendermene conto mi trovai seduta a cavalcioni su di lui, con le sue mani appoggiate sui miei fianchi.
Le sue labbra si spostarono sul mio collo, inclinai istintivamente la testa lasciando che la sua bocca mi assaporasse e che il suo accenno di barba pizzicasse la mia pelle.
Le mie mani si abbassarono fino a raggiungere il bordo della sua maglietta e pian piano si insinuarono al di sotto di quella accarezzando il suo fisico tonico e asciutto.
Il mio respiro era corto, quasi mozzato, mentre le labbra di Pierre passavano dal mio collo al lobo del mio orecchio, facendomi gemere lievemente.
Le mie mani si alzarono, facendo alzare con loro anche la maglietta di Pierre che ben presto finì per terra.
L'enorme tatuaggio che copriva la parte destra del suo torace attirò la mia attenzione. L'avevo visto solo una volta e nemmeno così da vicino.
«Certo che ne hai di fantasia pure tu» borbottai.
Pierre si staccò da me confuso, poi quando capì a cosa mi stavo riferendo alzò il braccio per mostrarmi il cigno tatuato la cui fine scompariva sotto l'elastico dei boxer lasciato scoperto dai jeans.
«Non starmi addosso» ribatté lui divertito, appoggiando le mani sopra il mio sedere ed attirandomi ulteriormente a lui. Fece per baciarmi ma lo bloccai appoggiando le mie dita sulla sua bocca.
«Voglio vedere dove finisce il tatuaggio» dissi.
Pierre rise, «non finisce dove tu pensi.»
«Io non penso proprio niente, sono solo curiosa.» ribattei, appoggiando le mani sul l'elastico dei boxer.
«Tra poco lo scoprirai, non fare l'impaziente» mi riprese lui, e prima che riuscissi a ribattere qualunque cosa mi zittì con un bacio.


 

-




Non aggiorno da un mese, sono imperdonabile lo so.
Spero che non vi siate dimenticate di cosa parla la storia, e che il capitolo vi sia piaciuto.
Domani parto per il Canada, precisamente indovinate dove? Montréal!
Magari mi becco Pierre in giro, chi lo sa... ahahaha
Però dovevo aggiornare prima di partire quindi eccomi qua!
Fatemi sapere che ne pensate, scusate ma sono un po' di fretta perché ho un po' di cose da fare.
Alla prossima!
Jas


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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***




 




 

Capitolo 20

 


Appoggiai il vassoio sul comodino e mi sedetti sul bordo del materasso.
Pierre aveva gli occhi chiusi e il suo addome piatto si alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro.
«Pierre» lo chiamai.
Nulla.
«Pierre.»
Gli appoggiai una mano sulla spalla e cominciai a scrollarlo, in attesa che si svegliasse, ma lui mugugnò qualcosa e si voltò dall'altra parte.
Scostai leggermente le lenzuola e mi infilai a letto con lui, appoggiando la mano sinistra sul suo fianco e il viso sulla sua spalla. Attesi una sua reazione per alcuni secondi e quando capii che non si sarebbe mosso di lì nemmeno con un terremoto, cominciai a fargli il solletico sapendo quanto lo soffrisse. Lui fece subito uno scatto e si voltò verso di me con gli occhi strabuzzati, bloccandomi i polsi con le mani.
«Cosa fai?» sbottò, sorpreso ma ancora leggermente addormentato.
«Dovevo svegliarti in qualche modo» sussurrai, baciandogli una guancia.
Lui aggrottò le sopracciglia, «potevi farlo un po' più delicatamente.»
«L'ho fatto, ma non ti sei mosso di un millimetro» ribattei.
Pierre sospirò ed infine mi sorrise poi, senza proferire parola, si alzò leggermente appoggiando i gomiti sul materasso e mi baciò.
Mi sporsi verso di lui e mi abbassai fino a quando entrambi non fummo sdraiati completamente.
Appoggiai entrambe le mani sulle sue guance, ruvide per la barba che cominciava a spuntare e lo sentii sussultare quando gli sfiorai le gambe con i miei piedi freddi.
Mi ero dimenticata di come fosse stare con Pierre. Di come fosse lui.
Mi sentivo in uno stato di quiete assoluta, tutti i miei problemi li avevo lasciati fuori dalle quattro mura di casa mia, per quella notte.
«Ti ho portato la colazione, comunque.»
A quelle parole Pierre spalancò gli occhi, «davvero?»
Annuii e mi alzai per prendere il vassoio che avevo appoggiato sul comodino e porgerglielo,  «non sono i tuoi pancakes ma...»
Pierre mi baciò impedendomi di finire la frase, «va benissimo.»
Annuii e mi sedetti accanto a lui che si affrettò a bere un lungo sorso del caffè che gli avevo preparato.
«E tu la colazione?»
«L'ho fatta già prima, scusa ma stavo morendo di fame.»
«Ma che ore sono?»
«Le undici e mezza.»
Pierre spalancò gli occhi, «ho dormito così tanto?»
Annuii, «sei un ghiro» lo presi in giro, dandogli un bacio sul collo.
Indugiai un po', sfiorandogli col naso e con le labbra la pelle e chiudendo gli occhi.
Lo sentii agitarsi, le coperte si mossero a causa dei suoi piedi che si spostavano e mi sentii felice al pensiero che gli facessi ancora quell'effetto.
«Vuoi un altro round?»
 
Pierre se n'era andato da due ore circa, dopo essersi preso un giorno di ferie ed avere avvertito Chuck, avevamo passato l'intero pomeriggio a poltrire sul divano davanti al televisore.
Ero felice, e il pensiero di essere felice mi rendeva ancor più felice.
Ero senza un lavoro, avrei dovuto trovare qualcosa da fare al più presto se volevo continuare a pagare le bollette e l'affitto, tuttavia ero felice.
Sistemai le ultime cose rimaste negli scatoloni e sentii un moto liberatorio nel porli sul ciglio del marciapiede fuori casa per far sì che il camion dell'immondizia il giorno dopo li raccogliesse.
Non appena rientrai in casa sentii il telefono squillare.
Risposi senza nemmeno guardare chi fosse, ma non appena quella voce baritonale e ferma mi arrivò alle orecchie, capii di chi si trattava.
«Ciao Lola, volevo parlarti.»
Alzai gli occhi al cielo e mi sedetti sul divano, appoggiando i piedi sul tavolino finalmente sgombero.
«Che c'è?» domandai burbera, ormai Alec non era più il mio capo, non c'era motivo di tenermi tutto dentro, di essere gentile con lui quando in realtà bollivo dalla rabbia.
Finalmente mi sentivo libera di esprimermi, e il suo tono di voce così autoritario non mi faceva più paura, anzi, non mi faceva alcun effetto.
«Volevo chiederti scusa per il mio comportamento, mi hai fatto riflettere e nonostante ti sia espressa in maniera del tutto inadeguata mi sono reso conto che avevi ragione. Pensavo che magari potremmo incontrarci e discutere della tua situazione.»
Non riuscii ad evitare di sorridere a quelle parole, quella conversazione telefonica aveva dell'inverosimile. Alec non si era mai abbassato ai livelli di nessuno, non aveva mai chiesto qualcosa a qualcuno, lui ordinava e gli altri eseguivano, senza proferire parola. E anch'io avevo fatto così, avevo subìto in silenzio ed obbedito, ero stata al suo volere, mettendo al secondo posto la mia felicità, la mia passione per quel lavoro che era iniziato a diventare un peso per me, a costo di andargli bene. Ma finalmente era giunta l'ora della mia vendetta, in quel momento era Alec in difficoltà, era lui che mi stava chiedendo di ritornare, non viceversa, e io lo avevo in pugno.
«Perché dovrei? Ci ho messo così tanto a trovare la forza per andarmene, non voglio tornare all'inferno» spiegai tranquilla, mettendomi più comoda sul divano.
«Le cose cambieranno, avrai un altro impiego, meglio retribuito.»
«Non mi servono i tuoi soldi, sto bene così.»
Alec sospirò, e già me lo immaginavo seduto dietro quell'enorme scrivania che vedevo tutti i giorni dalla mia postazione, che guarda fuori dall'ufficio e si passa una mano tra i capelli, scocciato.
«Ti darò tutto quello che vuoi, un nuovo ufficio, una segretaria, la macchina aziendale, dimmi tu...»
«Vorrei avere indietro il tempo che ho buttato via lavorando per te quando invece avrei potuto fare altro. Vorrei riavere i fine settimana chiusi in casa ad analizzare casi piuttosto che uscire e divertirmi con i miei amici, vorrei avere indietro la serenità che avevo mentre mi preparavo a dare gli esami all'università, perché ora solo vedere un codice civile mi fa venire il voltastomaco» sbottai.
Dall'altra parte ci fu il silenzio per alcuni istanti, poi Alec prese fiato e parlò.
«Non si sputa nel piatto in cui si ha mangiato, senza di me non saresti nessuno.»
Feci per ribattere ma aprii la bocca e la richiusi senza proferire parola, non perché non avessi nulla da dire, anzi, perché non avevo intenzione di abbassarmi ai livelli di un sessantenne arrapato reduce da venti matrimoni.
«Pensala come vuoi, scusa ma ho già perso abbastanza tempo con te, in settimana verrò a prendere le mie cose, buona giornata Alec» e senza dargli il tempo di ribattere, riattaccai.
Mi sentivo libera, più di quanto non fossi quando mandai a quel paese il mio capo ed uscii da quegli uffici che mi mettevano solo angoscia.
Ero euforica, mi alzai dal divano e salii in camera alla ricerca di qualcosa di carino da mettere.
Chiamai Alice e Lou e senza dar loro il tempo di ribattere le avvertii che quella sera ci saremmo divertite. Solo noi. Solo donne.
 
Alice con quel pancione che sembrava crescere ogni giorno di più mi faceva specie, l'idea che avesse un bambino nel grembo mi lasciava ancora un po' sorpresa, come una bambina, ma lei stava benissimo ed era bellissima.
Se essere incinta ti rendeva così serena e felice beh, allora anch'io avrei voluto esserlo, ma conoscendomi ero certa che sarei finita per tirare piatti addosso al povero disgraziato che sarebbe diventato il padre del bambino, a causa degli ormoni in subbuglio.
Immaginandomi la scena mi venne subito in mente Pierre, ma cercai di accantonare il pensiero concentrandomi invece sulla descrizione dettagliata del comportamento alquanto compromettente di Chuck con Alice.
«Vi dovete sposare» dichiarò Lou seria e con tranquillità, come se avesse appena detto "oggi c'è il sole".
Alice la guardò spiazzata, mentre io ridacchiai di fronte a tutta quella sorpresa, per quanto fosse stata esagerata come suo solito, Elouise aveva ragione.
«Forse non proprio sposarvi, o meglio, non ancora, ma siete fatti per stare insieme. Chuck sarebbe un padre perfetto, e poi ci tiene molto a te, più di quanto farebbe un amico. Mi sorprendo che tu non te ne sia ancora accorta» rettificai.
Alice avvampò abbassando lo sguardo sul bicchiere d'acqua che aveva ordinato, «Chuck è gentile» osservò poi timidamente, «ma non credo che...»
«E smettila!» la interruppe Lou con enfasi, «smettila di sparare cazzate che il bambino potrebbe risentirne! Guarda cos'è successo tra Lola e Pierre, lei lo odiava a morte ma ora non riescono più a stare lontani l'uno dall'altra. Lola hai rotto i coglioni!» aggiunse infine, bloccando con un gesto fulmineo della mano il mio cellulare che aveva appena vibrato sul tavolo.
Sussultai a quel gesto, lei senza troppi complimenti lo prese ed aprì il messaggio: «Non vedo l'ora» lesse, «più quella faccina da arrapati che odio, punto e virgola e parentesi, non voglio sapere di che cosa state parlando» mi informò, restituendomi il telefono.
«Ma allora state insieme?» domandò Alice, approfittando della situazione per spostare la conversazione da lei a me.
La fulminai con lo sguardo, avendo intuito la sua tattica, ma non dissi niente, sapendo quando lei fosse riservata e quando Elouise invece fosse sfrontata. Io ci ero abituata.
«No, ma sono già andati a letto insieme» rispose Lou al posto mio. Appunto.
«Avresti dovuto essere tu un avvocato, trovi una spiegazione a tutto» ribattei sicura. «Che poi, parliamo sempre degli affari nostri ma tu come sei messa con i ragazzi? Non ci credo che non hai adocchiato nessuno.»
Elouise sorrise vittoriosa, «in realtà sì, guarda quello là che figo» disse, indicando con un gesto del capo un uomo in piedi davanti al bancone.
Mi voltai di scatto in quella direzione e nonostante lui fosse di spalle, lo riconobbi subito.


 

-

 

Eccomi qua, con un ritardo imperdonabile.
Vi chiedo perdono ma non sono stata molto a casa durante questi due mesi e ho perso un po' di vista le mie storie.
Comunque vi avverto che ho finito di scrivere la fan fiction e che quindi d'ora in poi gli aggiornamenti saranno più regolari, prometto.
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo!
Jas

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***




 



 

 

Capitolo 21

 
 
 
Non dissi a Pierre chi vidi quella sera, così come non lo dissi ad Alice e Lou. Fortunatamente Ryan non si accorse della mia presenza in quel pub, probabilmente se ne andò poco dopo visto che non lo vidi più.
Bussai sulla porta di casa e pochi secondi dopo mia madre venne ad aprirmi.
«Ciao tesoro!» esclamò, dandomi un bacio sulla guancia e scostandosi dall'entrata per permettermi di passare.
Appoggiai la giacca e la borsa sul divano e mi guardai in giro confusa.
«Gigì?» domandai, non vedendo né lei, né i gemelli, né suo marito lì.
«Non c'è, Jill non stava bene.»
Annuii in silenzio e mi diressi in cucina per fare compagnia a mia madre ai fornelli.
«Non te l'ho detto perché se no avresti trovato una scusa per non venire.»
«Non è vero» ribattei.
Lei smise di mescolare l'insalata per guardarmi poco convinta.
«Lola, lo so che mi odi, non ci vuole molto a capirlo.»
Respirai profondamente per evitare di scatenare un litigio prima di sedersi a tavola.
Incassai il colpo in silenzio e bevvi un bicchiere d'acqua, «devo aiutarti?»
Mia madre scosse la testa, spense il gas e portò l'arrosto in tavola, «è già tutto pronto» disse poi, prendendo il mio piatto e servendomi.
Mi sedetti e versai del vino ad entrambe, poi ne bevvi un sorso.
«Hai trovato lavoro?» domandò.
Scossi la testa mentre riappoggiai il bicchiere, «mamma sono disoccupata da poco più di due settimane, non è che schiocco le dita e trovo lavoro.»
«I soldi non crescono sugli alberi.»
Stavo per mangiare il primo boccone ma appoggiai la forchetta sul tavolo senza farlo, scocciata.
«Non vivo con te da quando ho vent'anni più o meno, lo so che i soldi non crescono sugli alberi. Ho quasi trent'anni, ho imparato a gestire le mie finanze, so di quanto ho bisogno per vivere e quanto ho a disposizione. Quindi anche per quanto posso permettermi di non lavorare» sbottai, bevendo di nuovo un po' di vino.
Mia madre sospirò rassegnata scuotendo la testa, «quando finirai per strada però non venire da me.»
Strabuzzai gli occhi, completamente spiazzata da quella frase. Quale madre precludeva così un aiuto al proprio figlio?
«Stai scherzando, spero.»
Lei scosse la testa tranquillamente, probabilmente senza essersi nemmeno resa conto di cosa aveva appena detto.
«Al giorno d'oggi sono aumentate le persone con più di trent'anni che vivono ancora coi genitori, non voglio che tu entri a far parte di questa categoria.»
«Tranquilla, piuttosto che tornare a vivere con te vado a fare la puttana» sbottai sprezzante finendo in un sorso il poco vino che mi era rimasto nel bicchiere.
«Lola comportati bene» mi riprese mia madre.
«Come faccio a comportarmi bene con te? Mi istighi!»
«Sei tu che sei maleducata e non riesci a fare una discussione pacifica con qualcuno! Riesci a litigare pure con tua sorella! Ora ho capito perché nessun uomo ti prende in considerazione! Sei insopportabile! Esattamente quanto tuo padre!»
«Sei tu che sei insopportabile! Ecco perché lui ti ha lasciata da sola!» sbraitai, buttando il tovagliolo sul piatto ancora intatto ed alzandomi da tavola trascinando la sedia sul pavimento.
«Tu non ti rendi nemmeno conto di quello che fai e che dici, per te Gigì è Dio sceso in terra, e io chi sono? Nessuno! Qualunque cosa possa fare per te non sarò mai alla sua altezza, intanto però non sono io quella che lascia che suo marito se ne scopi un'altra!»
Stavo letteralmente perdendo il controllo di me stessa, stavo finalmente dando sfogo a tutti quei pensieri che mi avevano tartassato la mente per tutto quel tempo.
Andai in salotto e presi la giacca e la borsa, poi tornai in cucina, mia madre non si era mossa, era rimasta seduta al tavolo ad osservare il suo piatto.
«E comunque, per quanto possa interessarti, l'uomo l'ho trovato, e sai chi è? Pierre! Si, Pierre Bouvier! Vediamo se almeno questo ti farà contenta, ma non credo! Perché per te non sarò mai all'altezza!» gridai, prima di dirigermi a grandi falcate fuori di casa, sbattendomi la porta alle spalle.
 
"Ho bisogno di te, ti prego"
 
Non appena suonarono alla porta di casa mi fiondai ad aprire e mi buttai tra le braccia di Pierre, scoppiando immediatamente a piangere.
Lui rimase inizialmente sorpreso da quel mio gesto, ma non disse niente, mi prese in braccio e mi portò sul salotto, sedendosi accanto a me.
Si limitò a levarmi i capelli dal viso e baciarmi la fronte, mentre io tiravo su col naso, poi rimase in silenzio fino a quando non mi calmai.
«Ricordi il giardino di tua madre, te lo ricordi?»
Annuii, «come dimenticarselo» dissi acida, tirando su col naso.
Pierre mi asciugò una lacrima col pollice e mi accarezzò una guancia senza smettere di guardarmi.
«Vuoi dirmi cos'è successo?» domandò dolcemente, accarezzandomi la guancia destra e catturando tra le sue dita una mia lacrima.
Annuii, e tra un singhiozzo e l'altro gli raccontai della discussione di mia madre e di tutto quello che c'era stato dietro quello sfogo da parte mia, nonostante infondo fosse una storia già nota.
«Non ce la faccio più» mormorai alla fine, asciugandomi malamente le lacrime dagli occhi.
Pierre mi sorrise dolcemente e scosse la testa, «sì che ce la fai» mi rassicurò. «Tu sei come una di quelle primule che io ti ho aiutato a portare in casa quando ci siamo conosciuti, sei bellissima e hai tanto da dare se solo... Se solo riuscissi a tirare fuori il coraggio! Ti nascondi sempre dietro a questi occhi tristi, so che è difficile ma così non fai altro che renderti piccola. Io vedo cosa sei, so il tuo potenziale, sei come una primula in inverno. Fa' arrivare la primavera e sboccia, mostrando i tuoi colori veri.»
«Sono stanca. Stanca di essere sempre criticata, di avere sempre qualcosa che non va. Insomma, guardarmi! Sono un disastro.»
«Non sei un disastro, sei meravigliosa. Per quello che sei. Sei una donna stupenda, bellissima, intelligentissima, sveglia, divertente, in gamba, non credo potrei trovare qualcuno migliore di te, Lola. Devi soltanto imparare a tirare fuori le unghie, l'hai fatto col tuo vecchio capo, puoi farlo anche con tua madre. Forse il modo giusto non sarà mandarla a fanculo, ma ci sarà un'altra soluzione, e io ti aiuterò a trovarla.»
Annuii in silenzio, e Pierre mi asciugò le ultime lacrime che mi avevano bagnato il viso, lasciando solo la scia del mio trucco sbavato e i miei occhi gonfi e rossi.
«Grazie» mormorai, avvicinandomi a lui e baciandolo sulle labbra. «Grazie per essere stato così testardo, per non esserti dimenticato di me, per non avermi lasciata andare via, per essere ancora qua con me, per me, dopo tutti questi anni.»
«Grazie a te per avermi dato una seconda opportunità.»
Pierre mi prese le mie mani tra le sue e me le baciò dolcemente, senza distogliere lo sguardo dai miei occhi.
«Vuoi un po' di gelato? Ho fame, me ne sono andata prima di cenare.»
 
Era incredibile come le cose fossero cambiate così velocemente, mi ritrovai a pensare mentre i titoli di coda di un film che non avevo nemmeno guardato scorrevano sullo schermo della tv.
Socchiusi gli occhi, lasciando che le dita di Pierre scorressero tra i miei capelli facendomi rilassare e, quasi quasi, addormentare.
«Devi andare a lavorare domani?» domandai, sforzandomi di tenere gli occhi aperti.
«Mhm» mormorò Pierre.
«Anch'io dovrei mettermi a cercare qualcosa da fare» osservai.
«Se dici così solo per tua madre, non farlo.»
«No, forse un po' ha ragione.»
«Solo un pelino. Inizia a dare un'occhiata, senza fretta.»
Annuii chiudendo gli occhi. Mi stavo decisamente per addormentare.
In quel momento il suono acuto del campanello mi fece sussultare, guardai confusa Pierre e lui ricambiò altrettanto spiazzato.
«È casa tua, non so chi possa essere alle dieci passate di sera.»
Mi alzai titubante dal divano e mi diressi all'entrata.
Aprii con cautela, dato che non avevo lo spioncino, ma non appena riconobbi la chioma castano chiaro, spalancai la porta.
«Gigì?» dissi sorpresa.
Mia sorella mi guardava impassibile, con uno zaino che pendeva da una spalla e le mani occupate a stringere quelle dei gemelli.
«Che ci fai qui?»
«Posso entrare?»


 

-




Ormai smetto anche di scusarmi per i ritardi, sono imperdonabile ahahahaha
Questo capitolo mi piace molto, Lola finalmente si ribella alla madre e le fa capire che nella sua vita non c'è assolutamente niente che non vada.
Pierre è perfetto come sempre.
Gigì si fa viva dal nulla. Secondo voi cos'è successo?
So che il capitolo è un po' corto ma volevo lasciare un po' di suspence ahaha
Aggiornerò al più presto, promesso!
Alla prossima!
Jas

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***




 



 

 

Capitolo 22

 
 
 
Vivevo da sola da anni e dover condividere la casa con Gigì e due gemelli che assomigliavano a degli uragani si era rivelato più difficile del previsto nonostante fossero lì soltanto da poco più di una settimana.
La sveglia ogni mattina suonava alle sette in punto, i gemelli prima di prepararsi urlavano per dieci minuti. Urlavano mentre si vestivano, mentre mangiavano - mi chiedevo come facessero anche mentre masticavano - mentre si lavavano la faccia, i denti...
Jill piangeva perché Jack le rubava i giocattoli, Jack piangeva perché Gigì lo sgridava e Gigì gridava, vicina anche lei al pianto dalla disperazione.
Io sopportavo in silenzio, sopportavo i bambini, il carattere odioso di mia sorella, i suoi pianti per Ryan, i suoi sfoghi isterici, tutto.
Poi trovavo rifugio tra le braccia di Pierre e quando andavo da lui trovavo la pace, la tranquillità, l'amore.
«Com'è andata la giornata?» mi domandò non appena uscì dal bagno con un asciugamano legato in vita e i capelli bagnati.
Sospirai e chiusi il giornale con gli annunci lavorativi, «come al solito. Oggi mia sorella ce l'aveva particolarmente con il mondo, ha gridato coi gemelli perché... Beh, non so bene per che cosa, con loro urla sempre. Non pensavo fossero così insopportabili, preferivo vederli una volta alla settimana.»
Pierre sorrise.
«Poi ha gridato col postino perché ha messo nella mia cassetta una lettera del vicino, e infine ha gridato con me perché le ho detto che non era la fine del mondo e che si era arrabbiata per niente. Prima che venissi qua mi ha rinfacciato che io ho te mentre lei è da sola con due figli, che deve trovarsi un lavoro per mantenere lei e i gemelli. Alla fine mi ha lucidato la casa, quando è nervosa fa le faccende domestiche. Quel posto non è mai stato così pulito.»
«Finirà prima che tu te ne accorga.»
Sospirai e mi sdraiai sul letto, «come finirà? So che mia sorella sta passando un brutto periodo ma io in quella casa non ci resisto, sono tutti insopportabili. Voglio bene a Gigì, se avesse bisogno di qualcosa non mi tirerei di certo indietro ma non riesco a conviverci, non siamo mai andate d'accordo e non inizieremo ad amarci ora. Non voglio cacciarla di casa, non sono così cattiva, però io non resisto.»
Pierre si sedette accanto a me e mi accarezzò la fronte, poi si abbassò su di me e mi baciò sulla bocca, «vieni a vivere con me.»
Scoppiai a ridere a quella proposta, «Pierre, vivi coi tuoi genitori!» esclamai, «sono delle persone adorabili ma non credo sia il caso, davvero.»
Lui non rispose, aprì il cassetto del suo comodino e mi mise sotto il naso una rivista di un'agenzia immobiliare.
«Apri a pagina 10» mi ordinò.
Feci come mi disse, la foto di una graziosa villetta era cerchiata con un evidenziatore verde.
«Mi stai prendendo in giro?» domandai.
«Perché dovrei?»
«Siamo tornati insieme da... Beh, non so nemmeno se stiamo insieme in realtà, non possiamo andare a convivere.»
«Lola.» Pierre mi prese il viso tra le mani costringendomi a guardarlo. «Ti conosco da anni, ti amo da anni, sei una delle persone più importanti della mia vita,  mi conosci quasi meglio di me stesso. Non serve che stiamo o non stiamo insieme ufficialmente da non so quanto tempo. Tu sei la ragazza con la quale voglio passare il resto della mia vita, l'unica con la quale mi ci vedo tra cinquant'anni con i capelli grigi e la dentiera che mi fa sputare mentre parlo. Non so quanti altri ostacoli ci aspettano, ma non mi interessa nemmeno saperlo, so che non avrò paura se tu sarai con me e adesso che ci siamo ritrovati non ti lascerò scappare facilmente.»
Rimasi in silenzio, non c'era niente che potessi dire che fosse all'altezza delle parole di Pierre.
«Io...» borbottai, ma prima che il mio cervello potesse mettere insieme una frase di senso compiuto Pierre mi baciò. «Dimmi solo di sì» sussurrò sulle mie labbra.
«Sì» dissi, con gli occhi che mi pizzicavano. Non potevo piangere di gioia.
Pierre sorrise rincuorato, «allora, ti piace la nostra futura casa?»
Ripresi in mano la rivista e lessi le caratteristiche della casa, in particolare il prezzo.
«Ma tu sei matto! Costa un patrimonio!»
«Lola è la casa perfetta. E poi non costa così tanto, ho già parlato con la banca ed è disposta a concedermi un prestito ad un buon tasso. Con lo stipendio che prendo riesco a pagare il canone e poi in tutti questi anni ho risparmiato qualcosa. Possiamo farcela.»
«Pierre io non so quando troverò un lavoro visto che gli annunci più che "cercasi baby sitter" non offrono e non ho intenzione di vivere in una casa che tu paghi da solo.»
Lui sorrise, «ho trovato una soluzione anche a questo.»
Lo guardai confusa, il mio sguardo che diceva "continua".
«Oggi è arrivato in negozio un signore che cercava un cd per sua moglie, chiacchierando del più e del meno mi ha detto che lavora in uno studio legale, ho colto la palla al balzo e gli ho detto che la mia ragazza era disoccupata, potrebbero assumerti se li convinci nel colloquio che avrai domani alle tre in punto.»
Rimasi in silenzio per alcuni secondi prima di lasciarmi andare ad un gridolino di gioia e cominciare a battere le mani con entusiasmo, «oddio non ci credo» squittii, abbracciandolo con trasporto e finendo di nuovo sdraiati sul letto.
«Pierre, io non so cosa dire, davvero.»
«Non devi dire niente, mi basti tu.»
Gli accarezzai una guancia e lo guardai sorridente per alcuni istanti chiedendomi come facessi a meritarmi un ragazzo del genere, come avessi anche solo potuto non volerlo più dopo uno sbaglio che aveva commesso dieci anni prima, quando eravamo ancora dei ragazzini.
Lo baciai dolcemente, chiusi gli occhi e mi beai del tocco delicato delle sue labbra sulle mie e delle nostre mani unite.
«Come faccio a dirlo a Gigì?» domandai poi, dopo alcuni minuti.
«Lo faremo insieme, e smettila di preoccuparti di tutto. Troveremo una soluzione ad ogni problema.»
«Dovrà pagare l'affitto. Con che soldi?»
«Una casa non si compera dall'oggi al domani, dovresti saperlo te meglio di me. Avrà il tempo per trovare un impiego. E poi gli alimenti da Ryan saranno belli sostanziosi, si ritrova come avvocato il migliore che c'è in circolazione.»
Risi, «mi sembri troppo sicuro della tua ultima affermazione.»
«È la verità.»
Appoggiai la testa sul suo petto e feci congiungere i palmi delle nostre mani, poi piegai le dita e le intrecciai con le sue, sovrappensiero.
«Pierre» lo chiamai.
«Mhm...»
Presi un respiro profondo.
«Io... Io ti a-»
Il mio cellulare sul comodino cominciò a suonare, Pierre sorrise e me lo passò. «Tua mamma ti vuole.»
«Pronto» dissi scocciata, non la sentivo da più di una settimana e in realtà non mi era mancata per niente, il rancore che provavo nei suoi confronti non se n'era ancora andato.
«Lola, come stai?»
"Meglio senza di te" avrei voluto rispondere.
«Bene» dissi.
Pierre mi diede un colpo sul braccio, lo guardai confusa.
«Sforzati di rispondere bene.»
Alzai gli occhi al cielo, «tu?»
«Bene grazie. Ho chiamato a casa prima ma mi ha risposto Gigì, lei...»
«Sì mamma, con Ryan è finita e si è trasferita da me temporaneamente.»
«Ne parleremo meglio domenica, l'ho già invitata a pranzo, ovviamente anche la tua presenza sarebbe gradita. E quella di Pierre.»
Lui dovette sentire perché mi anticipò.
«Ci saremo sicuramente!»
«Pierre!» lo ripresi, «io non la voglio vedere!»
Mia madre ignorò le mie proteste, «bene, allora vi aspetto, a domenica.»
«Arrivederci!» la salutò Pierre, e mia madre senza aspettare la mia risposta riattaccò.
«Ti odio!» esclamai io, tirando un pugno sul braccio di Pierre.
Lui rise bloccandomi le braccia con le mani, «cosa stavi per dirmi prima?»
«Che ti odio! Io non la voglio vedere quella donna, ogni volta che ci parlo esce qualche problema o finiamo per litigare. Meno la vedo e meglio è per entrambi!»
Pierre ignorò le mie proteste ma continuò a mantenere quell'espressione divertita sul viso, che stava iniziando a darmi sui nervi.
«Ti amo anch'io» mi sussurrò, prima di lasciarmi senza fiato con un bacio.


 

-




Ho paura di guarare a quando risale l'ultimo aggiornamento. Non lo so e non lo voglio sapere ahaha
Comunque vi chiedo scusa solo che ricevere una recensione a capitolo non mi sprona molto a postare nonostante la storia sia già completa sul mio computer da tipo tre mesi.
Beh, rivolgendomi a chi c'è ancora, dico soltanto che la storia sta volgendo al termine e che Pierre è l'uomo migliore che una donna possa desiderare.
Alla prossima :)
Jas

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***




 

 
 
 

Capitolo 23

 
 
 
Lo studio legale al quale Pierre mi aveva rimediato un colloquio era uno dei più grandi di Montreal, l'avevo riconosciuto soltanto quando avevo prestato attenzione al nome e all'indirizzo scritti sul biglietto da visita che mi aveva dato.
Erano le 14.45 ed io ero stretta nel tailleur migliore che avessi, in equilibrio su quei tacchi vertiginosi, i capelli raccolti in un alto chignon, un'aria professionale che non mi apparteneva, davanti alla porta dello studio.
Nonostante nella mia vita avessi dovuto sostenere soltanto un colloquio di lavoro - non l'avessi mai fatto - mi ero preparata talmente bene che sapevo tutti i trucchi per sopravvivere.
Non arrivare mai in ritardo, ma nemmeno troppo in anticipo, potresti sembrare disperato.
Salutare educatamente, una stretta di mano vigorosa, essere sicuri di se stessi ma senza mostrarsi vanitosi. Non sedersi prima che il tuo interlocutore l'abbia fatto. Non sembrare indecisi se viene chiesto cosa si vorrebbe fare nella vita.
Aspettarsi anche delle domande sulla propria vita personale, aiutano a comprendere meglio anche come lavora chi deve essere assunto.
Presi un respiro profondo e suonai il citofono, la risposta non tardò ad arrivare.
Lo studio era più grande ed elegante di quanto mi sarei aspettata, ma potevo essere all'altezza, continuavo a ripetermi mentre la segretaria mi accompagnava verso la sala d'attesa.
Mi sedetti su una poltroncina in pelle ed accavallai le gambe, indecisa se prendere una rivista da sfogliare o meno. Meglio di no.
Mi guardai in giro, dovevo perlustrare la zona e prepararmi a tutto. Il colloquio era stato così inaspettato che non ero riuscita a raccogliere informazioni sullo studio e capire che tipo di avvocati cercassero.
Forse aveva ragione Pierre, dovevo essere solo me stessa. Se andavo bene, okay, altrimenti non sarebbe stata la fine del mondo.
Ad interrompere i miei pensieri fu la stessa segretaria di prima che mi avvertì che il signor Depp mi attendeva nel suo studio.
Aggrottai le sopracciglia, da quando in qua i colloqui li faceva il capo e non il reparto risorse umane?
La seguii verso la porta infondo al corridoio, lasciata socchiusa e oltre la quale mi attendeva un attraente uomo sulla cinquantina che non aveva per niente l'aria dell'avvocato con quei pantaloni di lino, la camicia troppo sbottonata, i capelli troppo lunghi e quegli occhiali dalle lenti scure.
«Buongiorno» salutai sorridendo gentilmente e stringendo la mano piena di anelli del "signor Depp".
«Piacere, Johnny Depp.»
«Lola Roland.»
Aspettai che l’uomo si fosse seduto dietro la sua scrivania per accomodarmi anch'io su una delle due sedie poste sul lato opposto. Presi la mia ventiquattrore ed estrassi il mio curriculum, piuttosto vuoto per una ventisettenne.
L'unica esperienza nel campo della giurisprudenza era quella con Alec, per il resto, oltre che ai miei titoli di studio, c'erano soltanto alcuni lavori di poco conto fatti durante l'università.
Osservai in silenzio gli occhi del signor Depp muoversi a destra e sinistra mentre leggeva i fogli che gli avevo dato, tuttavia non fece trasparire nessuna emozione.
Dopo alcuni minuti alzò lo sguardo e mi osservò.
Lasciò cadere i fogli sulla scrivania, appoggiò la schiena alla sedia che produsse un inquietante scricchiolio e le mani dietro la testa.
«Allora...» lanciò uno sguardo al curriculum, «Lola» disse, marcando il mio nome, «qual buon vento ti spinge nel mio studio?»
Drizzai la schiena e mi schiarii la voce, «mi sono licenziata dal mio precedente impiego» dissi atona.
«E perché mai?»
«Vede, signor Depp...»
«Chiamami pure Johnny.»
«Johnny» ripetei, «sentivo che quello non era l'ambiente adatto a me. Non sono mai riuscita a praticare davvero la professione di avvocato, nonostante i tanti anni in cui ho lavorato lì non sono mai riuscita ad ottenere nessuna promozione e a costo di sembrare vanitosa, so che la colpa non era propriamente mia. Insomma, non mi è mai stata data la possibilità di mettere in pratica ciò che so e...»
«Ho capito» mi interruppe lui, e per un attimo ebbi l'impressione di essermi lasciata andare troppo. Avevo mosso un passo falso.
«Sa... Il signor Alec mi ha mandato una lettera sul tuo conto.»
A quelle parole trattenni il respiro, cominciai improvvisamente ad avere caldo e a pensare a cosa potesse avere scritto in quella dannata lettera.
Come faceva a sapere che avevo ottenuto un colloquio lì in così poco tempo, quando io stessa lo avevo scoperto il giorno precedente?
Ero preoccupata, sconvolta e arrabbiata. Cominciai a pentirmi del mio comportamento poco professionale nei confronti di Alec, avrei dovuto mordermi la lingua prima di parlare, pensare alle conseguenze di quel gesto. Insomma, era ovvio che mi avrebbe chiuso tutte le porte per ripicca. Il coltello dalla parte del manico ce l'aveva lui, l'aveva sempre avuto lui e così sarebbe stato sempre.
Johnny notò il mio sconforto.
«Perché ti hanno turbata le mie parole?» domandò.
«Non me l'aspettavo» dissi soltanto, mentre la mia mente era alla disperata ricerca di una via di fuga.
Improvvisamente non vedevo l'ora che quel colloquio finisse, volevo soltanto chiudermi in camera e pentirmi del mio gesto per il resto della vita, con i gemelli e Gigì che strillavano nell'altra stanza.
«Bene» disse Johnny in un sospiro, alzandosi dalla poltrona. «Senza troppe cerimonie, volevo solo vederti di persona, so già tutto quello che c'è da sapere sul tuo conto, volevo una conferma delle mie informazioni. Tutto qui.»
Chiusi la ventiquattrore e mi alzai, lisciando la gonna del tailleur.
Annuii, «grazie mille» dissi con un sorriso e la mano tesa.
Johnny me la strinse con vigore, «ti farò sapere entro un paio di giorni. Ciao Lola.»
«Arrivederci» dissi, prima di uscire dall'ufficio.
Salutai frettolosamente la segretaria, seduta dietro la sua scrivania e mi diressi verso l'ascensore.
Osservai in silenzio i numeri sopra la porta che scorrevano, il cuore che batteva all'impazzata e il respiro accelerato. La mia mente invece era annebbiata.
Non pensavo a niente in particolare, né alla mia vita che pian piano stava andando a rotoli nonostante i miei sforzi, né a mia madre o mia sorella, Ryan, Alec. Nemmeno Pierre, l'unica cosa bella in tutto quel casino.
Entrai nell'ascensore, schiacciai il tasto del piano terra e mi guardai allo specchio.
Ero la stessa di mezz'ora prima, i capelli in ordine, il trucco perfetto, senza nessuna sbavatura, il tailleur perfettamente stirato.
Il sorriso però era sparito, così come la speranza che traspariva dai miei occhi, l'ottimismo, la voglia di ricominciare era stata completamente sotterrata dagli sbagli commessi in passato.
Non appena le porte si aprirono camminai velocemente verso l'uscita, raggiunsi la porta di vetro che stavo quasi correndo, mi accorsi all'ultimo di Pierre che mi aspettava sul marciapiede, appoggiato ad un lampione con un mazzo di fiori in mano.
«Com'è andata?» domandò d'istinto, sorridente, ma appena mi guardò in viso la sua espressione cambiò repentinamente.
«Cos'è successo?»
Non gli risposi, mi buttai tra le sue braccia e mi lasciai andare ad un pianto liberatorio.
Gli strinsi le braccia intorno al collo ed appoggiai la testa sulla sua spalla, lasciandomi completamente andare. Le sue mani che mi stringevano i fianchi.
Pierre era il mio unico sostegno in quel momento, l'unico che mi capisse fino in fondo. Che mi sostenesse davvero.
«Ehi, ci sono qui io» mi sussurrò accarezzandomi i capelli e poi la schiena scossa dai singhiozzi.
Rimanemmo così per alcuni minuti, fino a quando non mi tranquillizzai.
A quel punto Pierre si staccò leggermente da me e mi prese il viso tra le mani, mi asciugò le lacrime e mi baciò sulle labbra umide.
«Va tutto bene» mi disse, sorridendomi rassicurante. «Qualunque cosa sia successa, la supereremo insieme, okay?»
«Non c'è niente da superare, Pierre. Alec gli ha mandato una lettera sul mio conto, chissà quali cattiverie avrà scritto, ma anche se avesse detto solo la verità sarebbe grave comunque. La mia carriera è rovinata, ovunque andrò ciò che ho fatto arriverà prima di me» dissi, riprendendo a singhiozzare.
Pierre mi accarezzò la guancia e poi mi abbracciò di nuovo, «non dire così. Vedrai cosa ti diranno qua, al massimo andrai a parlare con Alec o riproverai da un'altra parte. Avrà di meglio da fare che mandare lettere sul tuo conto a tutti gli studi legali di Montreal e dintorni.»
«Anche se non fosse lui a mandarli è normale che chi mi vorrebbe assumere chieda informazioni sul mio conto ai miei precedenti datori di lavoro. Sono stata una stupida, avrei dovuto pensarci prima.»
«Non fa niente, troveremo una soluzione dai, non ci pensare.»
«Ho rovinato tutto» borbottai, appoggiando il viso sul petto di Pierre.
«Io ero venuto qua per darti una bella notizia» disse lui.
Mi allontanai di scatto e lo guardai, «cos'è successo?» dissi allarmata.
Lui rise, «stai tranquilla! Ti ho detto che è una bella notizia.»
Sospirai, «e cos'è questa bella notizia? Tanto ormai non ci spero più, succederà qualcosa che la rovinerà.»
Pierre scosse la testa, «non credo proprio.»
«Che cos'è? Dai dimmelo!» cominciai a piagnucolare come una bambina.
«Riguarda Alice.»
Strabuzzai gli occhi, «il bambino sta male?»
«Se ti ho detto che è una bella notizia!»
Lo guardai confusa, ma non feci in tempo a dire nulla perché lui continuò.
«Le si sono rotte le acque.»


 

-




Scusate ma l'altro giorno ho postato il capitolo sbagliato solo che ero di frettissima e non me ne sono nemmeno accorta.
Questo invece è il penultimo, il prossimo sarà l'epilogo!
Aggiornerò il prima possibile :)
Jas


 

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Capitolo 25
*** Epilogo ***




 

 
 
 

Epilogo

 
 
 
Un anno dopo.
 
 
 
«Dici che questi scatoloni li disferai più velocemente degli altri?» domandò Pierre, mettendosi le mani sui fianchi ed inarcando la schiena, facendola scricchiolare.
Feci una smorfia schifata a quel gesto, «fallo di nuovo e potrei scappare.»
«Dovresti pagare comunque il mutuo di una casa in cui non vivi» ribatté lui, zittendomi.
Alzai gli occhi al cielo, «non farmici pensare. E Johnny mi ha già detto che per altri sei mesi non avrò nessun aumento.»
Ed era stato chiaro e coinciso quando me l'aveva detto, due giorni prima, avendomi sentita parlare dei miei debiti al telefono con Lou.
Era un tipo strano Johnny, non che non l'avessi subito notato, ma starci a contatto otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana, mi aveva aiutata a comprendere tutte le sue stranezze, i suoi difetti, ma anche i suoi pregi.
Ancora mi chiedevo come un tipo come lui fosse riuscito a diventare un avvocato di fama qual era, ma avevo smesso di cercare di capirlo una settimana dopo che mi aveva assunta, lasciandomi un messaggio in segreteria perché dopo essere stata attaccata al telefono per giorni, gli unici 15 minuti nei quali ero stata sotto la doccia lui mi aveva chiamata.
"Spero che tu stia facendo qualcosa di molto, molto importante per non rispondere al telefono" aveva detto, "comunque sei assunta. Domani alle 8 ti voglio in ufficio con un bel caffè per me. Non farai quello a vita ma arrivando da casa passi davanti alla caffetteria più buona di Montreal quindi anche se dovessi diventare un avvocato come si deve, finché sarai sotto di me dovrai portarmi il caffè. Oltre a questo non ho niente da aggiungere. Ci vediamo domani."
Portargli il caffè era quasi in piacere, in quanto dopo che glielo lasciavo sulla scrivania lui mi dava casi da analizzare e clienti da difendere completamente da sola.
Nemmeno un mese dopo la mia assunzione mi aveva mandata in tribunale, un caso di diritto civile, un inutile battibecco tra vicini di casa, ma sempre un'udienza. Nei corridoi avevo incontrato Alec, e l'avevo ringraziato.
Un giorno, tra un plico di fogli che Johnny mi aveva chiesto di buttare, avevo trovato la lettera che gli aveva mandato, una lettera di raccomandazione coi fiocchi.
Alec aveva tessuto le mie lodi in maniera impeccabile, avevo seriamente rischiato di commuovermi nel leggere ciò che aveva scritto su di me, e sapevo che era merito suo se Johnny mi aveva assunta senza esitazioni.
"Lola diventerà un ottimo avvocato, io non sono stato in grado di permetterglielo."
Nell'archivio dei casi ancora aperti spuntava il nome di mia sorella Gigì, il suo difensore ufficiale era Johnny, non ero nemmeno certa che avrei potuto esserlo io, in quanto ci sarebbe potuto essere un conflitto di interesse, comunque non avrei nemmeno voluto. Per quanto volessi bene a mia sorella e mi fossi interessata alle sue pratiche di divorzio, come diceva il proverbio "tra moglie e marito non mettere il dito", avevo accollato il lavoro al povero Johnny che doveva subirsi i litigi in ufficio tra mia sorella e Ryan. In compenso le avevo lasciato la mia vecchia casa, con due mesi di affitto già pagati, nonostante fosse riuscita a trovare lavoro in un negozio di vestiti non lontano da casa.
I rapporti con mia madre erano andati migliorando da quando Pierre era rientrato a far parte della famiglia.
Ovviamente io le parlavo il meno possibile, i pranzi della domenica erano diventati una bella chiacchierata tra lei e il mio ragazzo, anche mia sorella era finita sulla lista nera dopo che aveva lasciato Ryan.
Mi chiedevo cosa ci fosse nella testa di mia madre visto che anche lei non stava più con mio padre, ma anche con lei, avevo smesso da tempo di chiedermi come funzionasse il suo cervello.
Le cose nel complesso andavano bene, il mio lavoro mi piaceva, avevo una persona meravigliosa al mio fianco che mi amava e che io amavo alla follia.
 
 
 
La casa di Alice e Chuck era piena di persone, mentre aiutavo la padrona di casa a distribuire la torta mi chiedevo che bisogno ci fosse di tutti quegli invitati, tutto quel disturbo per il compleanno di un bambino che dormiva in camera sua e che non si sarebbe mai ricordato di quel momento.
Pierre aveva riso di fronte alle mie lamentele, «dai, non dire così.»
«Hai completamente ragione.»
Lou la pensava esattamente come me.
Quando ebbi consegnato anche l'ultima fetta di torta rimasta mi sedetti anch'io a tavola e bevvi un sorso di champagne.
«Allora Lola, quando regalerai anche te un bel nipotino a tua madre?» mi domandò la madre di Alice.
Rischiai di strozzarmi con lo champagne che stavo bevendo, cominciai a tossire fino a quando gli occhi non iniziarono a lacrimarmi mentre Pierre mi dava alcune pacche sulla schiena, divertito.
«Mamma, l'hai sconvolta» disse Alice, divertita.
«Non presto di sicuro» riuscii a dire una volta ripresa.
«Pierre?»
Lui si strinse nelle spalle, «è lei che avrà la pancia occupata per nove mesi, la sua parola vale più della mia. Comunque ora dobbiamo ancora sistemarci nella nuova casa, c'è tempo.»
La donna annuì pensierosa prima di alzarsi dal tavolo e sparire in cucina, io guardai Pierre riconoscente.
«Grazie» sussurrai.
Più passava il tempo e più mi rendevo conto che era con lui che volevo passare il resto della ma vita, avere dei figli (non subito), invecchiare... Forse lo sapevo già quando avevo 17 anni, ma allora non avevo dato troppo peso alla cosa.
Era la persona perfetta per me, come diceva Meredith Grey "la mia persona", ed io ero la sua, con tutti i miei difetti, le mie paranoie, le mie lamentele, i pianti, le risate, le serate passate sul divano con il cinese take away sulle ginocchia perché non avevo voglia di cucinare, i "ti amo" sussurrati dopo aver fatto l'amore o la mattina prima di andare a lavorare. 
Grazie a lui avevo trovato il coraggio di dare una svolta alla mia vita, una vita che mi stava schiacciando nell'ambito sia personale che lavorativo. Grazie a lui ero una persona migliore, con lui ero una persona migliore. E quel ringraziamento non era soltanto per avermi salvata da una situazione imbarazzante, quel grazie era per tutto quello che lui aveva fatto e faceva ancora per me. Quel grazie era per non essersi arreso davanti alla mia testardaggine, ai miei capricci, per aver avuto la pazienza e la capacità di capirmi.
Quel grazie era per aver avermi fatto arrivare alla primavera, sbocciare, e mostrare i miei colori veri.



 

-




Ed eccomi qua, dopo quasi un anno sono riuscita a concludere anche questa fan fiction.
Ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno letto questa storia da gennaio e chi l'ha scovata quando era già iniziata.
Non pensavo che sarei mai riuscita a concluderla e soprattutto essere soddisfatta del risultato finale e invece eccomi qua a sorridere mentre rileggo per l'ennesima volta l'epilogo che ho scritto proprio mentre ero a Montréal quest'estate.
Spero che la fan fiction vi sia piaciuta, grazie a tutti e chi lo sa che non mi venga nuovamente lo schizzo di scrivere su Pierre Bouvier :)
Jas


 

 

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