Please, don't make me love you.

di musicsafety
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Hope

Sbuffai divertita.
«Papà, ti ho detto che arriverò a Londra verso le nove...»
«Chissà come sei cresciuta...»
Chiese eccitato all'idea di vedermi.
«Non mi vedi da due anni, papà. Non sono cambiata poi così tanto...»
Mormorai buttando a caso i miei vestiti nella borsa.
E questa da dove salta fuori?
Pensai guardando una maglietta viola che non mi ricordavo d'aver mai visto prima. Feci una smorfia e la cacciai dentro alla valigia, mentre mio padre continuava a parlare dall'altra parte della cornetta.
«Hope, non sai quanto mi manchi.»
Sorrisi e, spostandomi una ciocca di capelli castani dalla fronte, mi chinai per raccogliere un paio di pantaloncini che mi erano scivolati di mano.
«Anche tu papà. Ora, per favore, lasciami andare. Devo finire di prepararmi. Ci vediamo domani, okay? Un bacio.»
Lanciai il telefono sul letto dall'altra parte della stanza e continuai a svuotare la stanza.
Quella stanza che mi aveva ospitato per mesi.
Quella stanza che aveva reso possibili innumerevoli serate con Carlotta.
Quella stanza che tanto avevo amato, ora sarebbe stata di qualcun altro.
Mi lasciai sfuggire una lacrima malinconica, prima di sentire la porta aprirsi di scatto per poi veder entrare la mia migliore amica con la testa piegata per leggere una rivista che teneva saldamente in mano.
«Bell'inglesina, ho visto che stasera al cinema fanno quel film che volevi and...»
Spezzò la frase quando vide le mie valigie, ormai chiuse, poggiate per terra.
«Oh. Sei già pronta.»
Mormorò abbassando lo sguardo.
I capelli neri ondeggiarono sul suo viso minuto, nascondendo i suoi magnifici occhi azzurri, avrei potuto scommettere, pieni di lacrime.
«Charlie, ora non metterti a piangere, per favore.»
Lei scosse la testa, cercando di convincere più sé stessa, che me.
«Ti..ti stavo dicendo, stasera al cinema fanno quel film che ti piacerebbe vedere...se vuoi andiamo.»
Disse facendo spazio ad un largo sorriso che, di riflesso, mi fece ricambiare.
Mi limitai ad annuire e a prenderla sotto braccio per uscire.


«Hope. Hope, guarda quel ragazzo che figo che è.»
Esclamò la mia amica nel bel mezzo del film, sputacchiando popcorn da tutte le parti. Io ridendo le tirai una leggera gomitata sul braccio, riprendendola.
«Ma ti pare il caso d'urlare in questo modo?»
«E dai, non fare la guasta feste, che infondo, so che anche tu sei un pantera. Roar!»
Rise cercando d'imitare il verso del mammifero. Io la fissai sbalordita.
«Carlotta!»
Mi unii alla sua risata per poi rubarle una manciata di cibo. Oh, sì. Mi sarebbe mancata. Davvero tanto.
Cercai di imprimere nella mia mente ogni singolo dettaglio di lei, il taglio dei suoi occhi, i suoi capelli mossi e corvini, la sua risata cristallina e la sua voce. Tutto.
Sorrisi involontariamente e poi tornai a guardare il film che, naturalmente, era andato avanti senza aspettarmi.


Sbuffando tirai una manata sull'aggeggio squillante al mio fianco, che non sembrava volermi dare pace.
Sbattei le palpebre confusa, prima di rendermi conto che quello sarebbe stato l'ultimo giorno a Roma. Come formulai questo pensiero, scattai giù dal letto con un balzo inciampando nel copriletto e facendo un incontro ravvicinato con la mia amata moquette.

Quando ebbi constatato che le mie ossa erano ancora tutte al proprio posto, mi feci una doccia veloce per poi andare a svegliare la mia vicina di stanza.
Erano mesi che ero in quella scuola, e le persone che circolavano lì dentro erano sempre le stesse. Eppure, avevo legato solo con lei.
Bussai con forza alla sua porta, sapendo che era ancora tra le braccia di Morfeo.
«Carlotta? Alza il tuo bellissimo sederino dal letto, e vieni con me. Dobbiamo fare un sacco di cose.»
Nessuna risposta.
Quella ragazza aveva un sonno veramente pesante.
Chi avrei svegliato alle sette di mattina per andare a fare jogging, da quel giorno in poi?
«Carlotta, se non ti svegli immediatamente, faccio una telefonata flash a Tommaso e poi te la sbrighi tu la faccenda.»
In un secondo netto la porta si spalancò, permettendomi di vedere la mora con gli occhi azzurri sbarrati e i capelli spettinati.
«Non oseresti...»
Ringhiò a denti stretti.
Io le passai vicino, spettinandole i capelli ed entrando nella sua camera.
«Lo sai che oserei, mia cara piccola Charlie.»
Lei rimase impietrita davanti all'uscio fissandomi con occhi stralunati. Io mi sedetti beatamente sul bordo del suo letto e sorrisi innocentemente.
«Allora? Che ci fai ancora in pigiama? Mettiti la tuta, e preparati. Andiamo a correre.»
Spostò lo sguardo verso il mio abbigliamento e fece una smorfia.
«Toglimi una curiosità. Voglio chiedertelo da tempo ormai: che bisogno hai di fare chilometri di corsa, per sudare come un lottatore di sumo e puzzare di cane bagnato, quando hai fisico da urlo?
Esclamò portando le braccia al cielo. Io scoppiai a ridere buttando la testa all'indietro.
«Prima di tutto, non ho un “fisico da urlo” e ho bisogno di farlo perché non voglio arrivare a cinquant'anni con la pelle flaccida che mi penzola dal sedere. Ora, vai in di là e cambiati. Svelta.»
Lei mi guardò e borbottando qualcosa d'incomprensibile sparì nel bagno.
Mentre aspettavo che la bella addormentata si preparasse, mi guardai nel grosso specchio posto vicino al suo letto.
Non avevo il fisico da modella che la mia migliore amica mi aveva attribuito prima. Per niente.
Forse avevo qualche chiletto di troppo, forse non ero un metro e novanta e non avevo le splendenti iridi blu che, invece, facevano parte della fisionomia di Carlotta. Io ero il suo esatto opposto.
Lei aveva dei bellissimi capelli mossi, neri come la pece, io avevo dei lunghi capelli castani, lisci come spaghetti; lei aveva due grossi occhi azzurri e io due iridi color cioccolato. Eppure, nonostante tutte le
nostre differenze fisiche, l'avevo sempre definita “la mia gemella”.
«Sappiamo entrambe che sei una gnocca, non c'è bisogno che chiedi allo specchio come la matrigna di Biancaneve.»
Mi girai sussultando alla vista della ragazza che, stranamente, era già pronta.
Strizzata nella sua abituale tuta rossa mi guardava sorridendo.
«Mi mancherà il tuo sarcasmo, sai?»
Dissi ricambiando il gesto. L'afferrai per il braccio e la trascinai fuori dallo stabilimento, cominciando il nostro “allenamento mattutino”.


«Ehi...Hope, ma tu non hai anche un fratellastro a Londra che ti aspetta?»
Disse Charlie fra un respiro e l'altro, tentando di non stramazzare al suolo.
Risi del suo tentativo di conversazione prima di risponderle.
«Se non è morto, credo di sì.»
«Chissà, magari è diventato un figo...in questo caso, potresti anche presentarmelo.»
«Ma è possibile che pensi sempre e solo a quello?!»
Le urlai continuando a correre.
«E a che cosa dovrei pensare, scusa? Ho quasi diciassette anni, sono una ragazza in preda agli ormoni. Non è colpa mia.»
«E io ne ho sedici, eppure non passo le mie giornate ad immaginare fatti porno!»
«Che ne sai? Magari in due anni è diventato un modello di Abercrombie!»
«E anche se fosse? Dai, Charlie è un membro della mia famiglia...cosa cambierebbe?»
«Non lo so. Magari...»
«No. Non voglio saperlo.»
Risposi interrompendola e accelerando il passo fino a superarla.
«Dai, Hope. Aspettami!»

Risi e continuai il mio percorso con la mia migliore amica che arrancava al mio fianco.


«Ed ecco un'altra cosa che voglio sapere: perché fai delle corse inimmaginabili se poi ti strafoghi di panini e schifezze al McDonald's?»
Mugugnò la mora mordendo una patatina fritta.
«Te l'ho già detto. Non lo faccio per dimagrire, non m'interessa la linea. Lo faccio solo perché mi va e voglio mantenermi in allenamento. Lo sai che a me, il fisico, è l'ultima cosa che importa.»
«Mi sembra d'averlo capito.»
Rispose sorseggiando un po' di Coca-cola. Immediatamente afferrai i suoi polsi e la squadrai.
«Niente Coca-cola. Sappiamo entrambe che effetto ti fa.»
Gli strappai dalle mani il bicchiere di carta e gliene rubai un sorso.
«Dai, mamma!»
Mugugnò facendo la solita faccia da cucciolo bastonato e implorandomi con gli occhi.
«Non mi guardare con quel muso. Non attacca con me.»
Quella ragazza era così speciale per me. E non riuscivo a credere che non l'avrei più rivista. Sarei tornata in Inghilterra e, questa volta, ci sarei rimasta.
«Se t'azzardi ad andare al Mc con qualcun altro mentre sei a casa tua...ti gambizzo. Lo giuro, vengo apposta.»
Per poco, non mi strozzai con la bibita che avevo fregato poco prima alla riccia.
Oh, sì. Lei era la mia gemella e non l'avrei cambiata per niente al mondo. Mai.
Finii di sistemare le cose in camera ma, appena poggiai la mano sulla zip della valigia per chiuderla, la ragazza di poco prima piombò al mio fianco con un libro in mano.
«Moore, non azzardarti a chiudere quel trolley senza averci prima messo questo dentro.»
Urlò lanciandomi letteralmente un libro sulla faccia.
Io e lei una delle tante cose che avevano in comune, era proprio la passione per la lettura.
Guardai la copertina e sorrisi spontaneamente.
«Fallen? Tu mi stai regalando la tua inestimabile copia di Fallen?»
Era sempre stato uno dei nostri libri preferiti. Sempre. E quel gesto, quel regalo, che può sembrare una cosa da nulla per tante persone, in cuor mio sapevo valere una fortuna. Lei teneva ai suoi libri, forse più di quanto teneva a me.
Charlie annuì decisa prima di stringermi inaspettatamente in un abbraccio. Cacciando via una lacrima dal viso, ricambiai la stretta con foga.
«Non chiamarmi per cognome. Sai che odio quando lo fai.»
Sussurrai per poi lasciarle un delicato bacio su una guancia. La sentii sorridere.
«Ti voglio bene...Moore.»
Ridacchiò staccandosi da me.
«Te ne voglio anche io, Carlotta.»


Le nuvole, da quell'elevata altitudine sembrano dei soffici batuffoli di cotone e, con il libro appena regalatomi in mano, mi sembrava di essere su un altro pianeta. Quando mi perdevo fra le parole di un buon testo, la mia mente si offuscava e niente poteva più riportarmi alla realtà.
Ma, in quel momento, la voce metallica dell'aereo annunciò l'imminente atterraggio, e fui costretta a legarmi la cintura di sicurezza sulla vita.
Londra, sono tornata.






SPAZIO AUTRICE.
I'm back, girrrrrls.
Okay, non interessa a nessuno.
Prima di tutto, voglio dirvi che mi hanno costretta a pubblicare questo capitolo. Non faccio nomi.
E, scusatemi se è...particolare, ma volevo dedicare qualcosa a qualcuno di speciale. Vero, Charlie? *O*
E scusate anche se la scrittura è differente in certe parti del Capitolo, ma l'editor non me la faceva cambiare '-'
Grazie se avete letto, e mi raccomando: RECENSITE.
Vi voglio taaanto bene, un bacio.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


 
 Harry 
 

 

Ero seduto su una di quelle scomode sedie di plastica poste all'entrata dell'aeroporto, con il telefono tra le mani, le gambe distese e gli occhiali da sole appesi alla maglietta quando mi resi conto che, per l'ennesima volta, mi avevano incastrato.
Sbuffai svogliato continuando a smanettare con il telefono e fingendo di ascoltare il mio patrigno blaterare a vanvera accanto a me.
M
a di che sta parlando?
Alzai lo sguardo verso di lui e vidi, stampato sul suo viso, un sorriso che non avevo mai notato prima. Forse, perché non aveva mai sorriso in quel modo.
Di riflesso, ricambiai il gesto.

Okay, in quel momento lo detestavo con tutto me stesso perché mi aveva costretto ad accompagnarlo, facendomi rinunciare alle prove coi ragazzi, ma ero felice per lui. E gli volevo bene.
Vidi le grandi porte scorrevoli di vetro aprirsi alle sue spalle, e lessi sopra di esse “Arrivo”.
«Erik, mi sa che è arrivata.»
Lui scattò dalla sedia e in un attimo si era infiltrato in mezzo alla folla di parenti/amici/cugini/conoscenti che aspettavano l'arrivo dei viaggiatori.
Scossi la testa e mi alzai.
I miei occhi furono attirati da due movimenti furtivi dietro di me e, potei constatare subito cos'era stato a provocarli.
Esseri inutili, invasivi, a volte irritanti che, se potessero, mi seguirebbero anche al cesso. Paparazzi.
Immediatamente mi domandai il perché fossero lì, ma ci pensò una vocina a me sconosciuta, proveniente da chissà quale meandro del mio cervello. a rispondermi.
Oh, caro. Se non mi sbaglio, sei un componente di una delle band più amate del momento dalle ragazze. Cosa pretendi?
Risi sarcasticamente del mio formidabile intuito da volpe (magari non esattamente...) e posi il mio sguardo su Erik che stava stringendo tra le braccia quella che doveva essere sua figlia.
Hope, aveva due anni in meno di me e quando era partita io ne avevo sedici.
Non me la ricordavo perfettamente, anche se, rammentavo vagamente degli occhi indagatori sempre attenti, un apparecchio metallico ai denti e dei vestiti sempre vivaci. E io non avrei mai indossato una felpa rosa fosforescente.
«Harry! Vieni a salutare tua sorella!»
Sbraitò suo padre facendomi sussultare.

Come tornai alla realtà, potei chiaramente distinguere la figura che, poco prima, era abbracciata a lui.
Capelli castani, lisci. Occhi limpidi e allegri, nonostante un iride molto scura. Una bocca carnosa resa lucente da quello che, probabilmente, era lucidalabbra.
Mentre esaminavo tutto ciò, lei si aprì in un meraviglioso sorriso che lasciò intravedere i denti, ormai dritti e privi di aggeggi.
Hope ruotò gli occhi al cielo per poi guardare suo padre.
«Papà io non sono sua sorella. Sono solamente...»
«La sorellastra.»
Conclusi io, mettendomi vicino ad Erik. Era una frase che aveva sempre ripetuto, fin da quando la conoscevo. Per un qualche motivo che ancora non ero riuscito a capire, le dava un fastidio bestiale il fatto che fossimo...quasi fratelli.

«Che fai, non lo saluti?»
Esordì suo padre afferrando le valigie che lei aveva poggiato al lato dei suoi piedi.

«Eh? Oh, sì. Certo.»
Mormorò confusa lei, diventando color fuoco.

Imbarazzata. Hope Moore, imbarazzata.
Stiamo parlando della stessa ragazza che ti ha fatto finire in piscina con i lacci delle scarpe legati?
Stiamo parlando della stessa ragazza che ti ha tirato uno schiaffo (o, ammettiamolo...forse più di uno) lasciandoti le cinque dita su una guancia?

No, stiamo parlando della stessa ragazza che ora ti sta fissando in attesa che tu afferra la sua mano, idiota.
Meccanicamente portai la mia mano sulla sua stringendola.
Lasciai che un sorriso innocente prendesse posto sul mio volto, con tanto di fossette.

Vidi le sue gote prendere un colore simile al rosso di un semaforo, e le lanciai uno sguardo trionfante.
«Bentornata a casa, sorellina.»
Sussurrai io, quando lei mi passò accanto per raggiungere suo padre, che era ormai quasi all'uscita.

Oh, sì. Bentornata.

 

 

Hope
 


 

«Bentornata a casa, sorellina.»
La sua voce mi fece rabbrividire, mentre affiancavo papà lasciando indietro il mio...fratellastro.
Oh, diamine. Carlotta, spero tu sia felice, ora.
Maledissi la mia migliore amica a chilometri di distanza, imprecando contro il destino.
Alto, riccio, capelli scuri e due occhi che facevano passare in secondo piano tutto il resto del mondo.
Cos'è che era? Ah, già. Un modello di Abercrombie. Ma quale modello e modello. Questo era un..
«Allora? Com'è andato il viaggio, piccola?»
Esclamò mio padre, quando ci fummo sistemati tutti e tre in macchina.

«Tutto bene, grazie.»
Come al mio solito, cominciai a smanettare con la radio della Golf nera di papà.

Lui, rise.
«Vedo che non ti è passata la mania di controllare tutto ciò che riguarda la musica, eh?”
Chiese retoricamente mio padre, lanciando poi uno sguardo fugace nello specchietto retrovisore da cui si poteva intravedere il ragazzo.

«Però, ora, hai concorrenza. Non è vero, Harry?»
Aggiunse facendogli l'occhiolino.
Io mi voltai dal mio sedile e con sguardo interrogativo fissai gli occhi verdi che mi ritrovai davanti.

Non ebbi bisogno di fare nessuna domanda.
«Oh, hem...Sì, io ora faccio parte di una band.»
Balbettò, colto di sorpresa. Io mi aprii in un sorriso spontaneo.
«Oh, che bello! E cosa suonate? Dico, che genere? E in quanti siete? Sono tuoi amici?»
«Ehi, bambina, calmati. Una domanda per volta.»
A dire questa frase, non era stata mio padre. Ma lui. A quanto pare, tutta l'insicurezza che era trapelata nella sua voce alla prima frase, era sparita.

Gli ho per caso permesso incoscientemente di darmi dei soprannomi? Non mi pare. Beh, ma che t'aspettavi, tu l'hai affollato di domande!
Non mi mossi, rimasi sempre nella stessa posizione attendendo che lui continuasse.
«Non mi va di parlarne a voce. La prima volta che vado a provare con loro, vieni anche tu e avrai una risposta a tutte le tue domande. Ci stai?»
Rispose strafottente, ammiccando.

Ma che sta tentanto di fare?
Io, senza riflettere, annuii.
Tornai al mio posto, e guardai il panorama che cambiava velocemente fuori dall'auto.

 

«Anne! E' arrivata!»
Urlò mio padre al nulla apparente, appena ebbe aperto la porta di casa.

Mi guardai intorno. Non era cambiato veramente niente.
Il grande divano, ad angolo, in pelle bianca era sempre posto al centro della stanza, davanti al televisore. I mobili erano perfettamente in ordine e puliti. Le foto appese ai muri non l'avevano spostate di un centimetro.
E poi, c'era lei. Mia madre. La foto di quella donna, bionda e con due grandi occhi azzurri che stringeva al petto una bambina, esattamente l'opposto di lei: castana di occhi, e di capelli. Ma il loro sorriso, era identico.
Io avevo insistito per tenere quell'immagine e la nuova compagna di papà, me l'aveva permesso senza problemi. Così, ora, era appesa insieme ad altre migliaia di fotografie.
In quel momento, mi resi conto di quanto mi mancava mia mamma.
Ma, dovetti reprimere le lacrime e voltarmi con un falso sorriso stampato sulle labbra quando sentii i passi di Anne sul parquet.
«Oh, tesoro mio, quanto sei cresciuta!»
Esclamò aprendo le braccia. Io mi ci catapultai dentro.

Era una donna veramente meravigliosa, e da quando era venuta con suo figlio a vivere con noi, aveva cercato in ogni modo di farmi sentire a mio agio insieme a lei. E c'era riuscita. Perfettamente.
«Sei diventata proprio una bella ragazza. Beh, lo eri anche prima. Ma ora sei...più donna. Non è così, Harry?»
Il riccio si girò verso di noi, sorridendo.

«Confermo. Hope è una gran bella ragazza.»
E tu un gran pezzo d'idiota.

Pensai, imprecando.
Mi fece un occhiolino palesemente spropositato e mi sentii le guance avvampare. Di nuovo.
«Hem...Io mi sistemo un po' la roba in camera e poi vado a letto. Sono stanca morta.»
Borbottai afferrando tutti i miei borsoni.
«E non ceni? Ti ho preparato la cena e...»
«No, grazie Anne. Stai tranquilla, mangerò quello che hai preparato domani. Buonanotte a tutti.»
Mi avviai verso la mia stanza, ammirando la mia casa. Mi dava una strana sensazione la consapevolezza di stare in un luogo che non era una scuola, di essere libera, di...non avere più Charlie al mio fianco.

Cambiamenti. È da quando sono nata, che subisco cambiamenti.
Quando aprii la porta della mia camera, sorrisi.
Nessuno era vi era entrato, lo sapevo. E tutti quelli che mi conoscevano sapevano che odiavo se qualcuno entrava nel mio territorio senza il mio permesso.
Il letto ad una piazza e mezza era sul lato sinistro della camera, ricoperto dal soffice lenzuolo rosso che tanto avevo amato da bambina, mentre la mia scrivania in legno era sul lato opposto, ricoperta di fogli e oggetti vari.
Buttai i miei vestiti alla rinfusa nell'armadio e senza neanche preoccuparmi di cambiarmi mi buttai sul letto.
Piccolo resoconto: la mia migliore amica è in un altro Paese, mia madre è morta, mio padre mi tratta come una bambina, il mio quasi-fratello è anche un quasi-cantante ed è pressapoco magnifico. Altro da aggiungere alla lista?
Afferrai 'Fallen', che avevo appoggiato poco prima sul comodino e ne sfiorai la copertina, per poi aprirlo e immergermi nella sua lettura.
 

Un attimo dopo, la vita com'era stata fino a quel momento era scomparsa in una fiammata.”
 

Come poteva essere vero? Lauren Kate, senza saperlo, aveva descritto la mia situazione in una semplice riga.
La vita che avevo, la Hope che ero....Erano scomparse, in uno schiocco di dita, in una fiammata.

Ora c'ero solo in campo. Giocavo da singola. E dovevo vincere.
Alzai lo sguardo sulla porta semi aperta e incrociai due occhi che mi fecero sussultare.
«Non era mia intenzione spaventarti.»
«Invece, l'hai fatto. Che vuoi, Harry?»
«Volevo solo augurarti la buonanotte.»
«Bene, l'hai fatto. Ora, puoi andare.»
Lui mi sorrise maliziosamente e prima di chiudere la porta, potei sentire distintamente un'altra frase.

«'Notte...bambina.»
Affondai la testa nel cuscino e trattenetti un urlo.
Perché mi stavo comportando così?
Perché facevo la stronza? Non ero io. Non era nel mio carattere.

Ma era lui che mi faceva comportare in quel modo. Non era colpa mia.
Era colpa del fatto che era troppo bello, per essere mio fratello.



SPAZIO AUTRICE.
BuonSalve, ragazze!
Scusate il ritardo, ma non ho avuto molto tempo D:
E scusate anche se fa schifo....Abbiate pietà.
Va beh, che vi piaccia o no,
RECENSITE. Per favore.
Vi voglio taaaanto bene. Tanto, eh!
E scusate ancora il fatto della diversa scrittura, ma non riesco a sistemarlo D:

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Hope
 


«Pronto?»
Mugugnai premendo con difficoltà il tastino verde alla sinistra del mio telefono.
«Hoooope!»
Sobbalzai dal letto dopo l'urlo concitato della mia migliore amica.

«Com'è andato il viaggio ieri? E tuo padre? Com'è Londra?»
«Una persona normale a quest'ora dovrebbe dormire, cosa che io stavo facendo beatamente!»
Sbraitai non rispondendo a nessuna delle sue domande.

«Non essere così crudele con me!»
«Se tu mi avessi chiamato in un orario normale, io non sarei stata così crudele!»
«Ma io ti voglio beeeene! Ora, parla.»
Rassegnata, mi alzai dal letto gettando un'occhiata alla piccola sveglia sul comodino che segnava le sette e tredici minuti, sapendo perfettamente che la ragazza sarebbe andata avanti per secoli se non le avessi dato retta.

«Tutto bene, Charlie, tutto bene.»
Sorrisi nonostante fossi furiosa con lei per avermi svegliato a quell'ora: potevo capire come si sentiva tutte le volte che la costringevo a venire con me a correre.
Come avrei fatto senza di lei non lo sapevo. Proprio no.

 

Quando la mia amica ebbe finito il monologo, lanciai il cellulare sulla scrivania e corsi al piano di sotto dove Anne era già ai fornelli.
Ma non si stanca mai di cucinare?
«
Buongiorno.»
Esordii sedendomi sul tavolo e cominciando a dondolare le gambe, come al mio solito.

La donna si voltò, sorridendo.
«Buongiorno, Splendore. Come stai, oggi? Ti sei riposata?»
«Oh, sì. Grazie mille. Ora però, il mio stomaco sta reclamando viveri.»
Lei sogghignò e m'indicò la padella con cui stava smanettando.

«Frittelle!»
Esclamai io catapultandomi vicino a lei per annusare quell'odore tanto familiare.

Lei rise per poi darmi un tenero buffetto su una guancia.
«Non sei cambiata per niente. E se ti conosco ancora un po', scommetto le vorrai affogare in un mare di...»
«Nutella!»
Completai ridendo e aprendo lo sportello bianco sopra di noi dove, solitamente, stava la mia riserva di cioccolato.

Afferrai il barattolo e lo aprii, sotterrandoci un dito dentro.
«Mi sei mancata tanto, amore mio.”
Mormorai passandomi il dito sulla lingua.

Okay che sono una fissata con la corsa, ma non sono mica pazza.
«Ti svegli ogni giorno così presto?»
Domandò la donna servendomi la colazione che io addentai prontamente.

«Quasi sempre.»
«Oh, che bello. Mio figlio quando si alza alle dieci è un miracolo.”
Disse sedendosi accanto a me e mordendo una frittella con la marmellata.
Io mi limitai a ridere e continuai a fare ciò che mie era sempre riuscito meglio: mangiare.

 
«Anne, sai mica se quel negozio all'angolo appartiene ancora alla famiglia di...»
Immediatamente, diventai paonazza. Fino a due anni prima, avevo una cotta veramente abnorme per quel ragazzo e tutt'ora, quando ci pensavo me ne vergognavo.

«Itan?»
Continuai io, abbassando lo sguardo.

Lei annuii e mi lanciò il portafoglio che teneva saldo in mano.
«Già che vai a trovarlo...potresti comprarmi l'ultimo libro di Jeffery Deaver?»
Mi fece un occhiolino e scomparve su per le scale.

Vado a trovarlo? E perché dovrei andare a trovarlo? Chi è che a deciso che io sarei dovuta andare a trovarlo?
Io uscii di casa ormai rassegnata all'idea che quella donna sapeva veramente troppo.
Camminavo incerta per quel piccolo quartiere che mi aveva vista crescere, ricordando di tanto in tanto dei luoghi in cui avevo passato la mia infanzia.
Dopo tutto, non era cambiato molto.
Le anziane signore erano sempre in giardino che annaffiavano le loro preziose orchidee, i bambini correvano sempre sui marciapiedi seguiti dalle mamme che preoccupate gli ordinavano di fermarsi, e quella libreria era sempre al suo posto.
Mi fermai davanti alla grossa insegna che penzolava sopra l'entrata e ripensai a tutte le volte che ero entrata lì dentro con la scusa di dover comprare un libro quando, in realtà, l'unica cosa che volevo era vedere il mio amico. Forse, era così che era nata la mia passione per la lettura: come un gioco.
Presi un grosso respiro e spinsi in avanti la porta di vetro.
Anche in quel posto, era tutto uguale.
I grossi scaffali di legno ricoprivano le pareti e una miriade di libri era sparsa per la stanza.
Guardai l'uomo alla cassa e mi avvicinai subito a lui.
I suoi grandi occhi azzurri si alzarono dalla rivista sportiva che stava leggendo e si posarono su di me.
«Salve.»
Mormorai io.

«Vorrei l'ultimo libro di..»
«Hope? Sei tu?»
Lui interruppe la mia frase, lasciando cadere il giornale.
A
nnuii debolmente, sorridendo.
Nel giro di pochi secondi fece il giro del bancone, e mi strinse in un abbraccio forte, ma cordiale.
«Quanto tempo è passato? Due anni, forse? Che bello riaverti qui!»
Io mi sentii improvvisamente a mio agio. I suoi capelli brizzolati gli donavano un'aria elegante e la sua bocca increspata in un sorriso mi faceva ricordare un uomo che conoscevo molto bene.

«Itan! Vieni qui, c'è da servire....una cliente!»
Urlò, esitando sull'ultima parola.

«Arrivo papà!»
Mike. Mike Hogan.

Ma ovvio. Era il padre di Itan.
Sorrisi, fiera di me stessa quando riuscii a capire chi era. In fondo, avevo passato più giorni a casa sua che a casa mia.
«Oh, guardati pure in giro senza problemi. Io vado a vedere se riesco a far venire quel decerebrato di mio figlio.»
Disse scherzando.

Aspettai che sparisse dentro all'ufficio e cominciai a sfogliare dei libri.
Quel posto era sicuramente antico, e questa cosa mi piaceva.
Guardai la copertina del libro che tenevo in mano, che portava un titolo, proprio al centro della pagina, scritto in rosso “Red”, e sotto la figura di una ragazza con dei lisci capelli neri, un vestito dello stesso colore che, girata di schiena, entrava in quella che sembrava una foresta attraverso un vecchio cancello.
Lessi attentamente la trama, e constatai che quel libro era perfetto per me.
Cominciai a leggere la prima pagina, ma una voce familiare, quanto sconosciuta, m'interruppe.
«Come posso aiutarla, signorina?»
Sorrisi elettrizzata e posai l'oggetto che tenevo in mano sullo scaffale.

«Un abbraccio sarebbe apprezzato.»
Quando incontrai i suoi occhi blu, sussultai. Non me li ricordavo così belli.
I miei ricordi non rendono giustizia a nessuno.
La sua espressione cambiò velocemente: prima confusa, poi sorpresa e infine felice.
«Hope!»
Esultò come un bambino a cui è appena stato dato il suo gelato preferito e, afferrandomi delicatamente per un polso, mi strinse al suo petto.

Senza neanche che me accorgessi le mie guance diventarono di un colore non identificato e io cominciai ad avere caldo. Perchè?
R
icambiai il gesto, legando le mie braccia al suo bacino mentre lui stringeva le sue dietro al mio collo.
I
nspirai profondamente il suo profumo alla vaniglia, che era sempre lo stesso, e per l'ennesima volta, non potei fare altro che sorridere.
«Cosa ci fai qui?»
Mormorò senza sciogliere quel meraviglioso abbraccio.

«Sono tornata qui perché...beh, mi mancava casa mia. Mi mancava Londra ma....credo che presto tornerò in Italia. E' solo una pausa, questa. Ma se non mi vuoi, prendo il primo volo e me ne torno da dove sono arrivata, eh!»
Lui rise e mi spettinò i capelli, cosa che era sempre abituato a fare.

«Non ho detto quello. Sono felice che tu sia qui.»
Si staccò da me e per la prima volto dopo troppo tempo, riuscii a rivedere il suo sorriso.

Okay, era cambiato. E tanto. Il suo viso si era delineato perfettamente, i suoi zigomi erano più sporgenti e i suoi occhi più luminosi. No, va bene. Forse il fatto degli occhi non era vero: ero io che ero troppo esagerata, ma erano splendidi.
Quando mi ripresi dalla mia momentanea assenza vocale e mentale, farfugliai qualcosa d'incomprensibile persino a me.
Lui si voltò verso il padre che ci guardava di sottecchi, fingendo di leggere il giornale.
«Papà pos...»
Non gli fece neanche terminare la frase: gli fece un cenno con la mano verso la porta, e capii subito che gli aveva dato il permesso per uscire.
Mi tese la mano, che io afferrai senza esitazione ed uscimmo dal negozio.

 

Beh...allora...uhm...com'è l'Italia?»
Esordii impacciato Itan, mentre passeggiavamo l'uno accanto all'altra nel parco vicino a casa mia.
«Oh, è meravigliosa. Le persone sono gentilissime e simpaticissime, il cibo è squisito e i ragazzi sono molto carini.»
Risi della mia pessima descrizione quando lui mi colpì un braccio ridendo.

«Vedo che sei sempre la solita Hope.»
Io mi fermai e lo guardai negli occhi, rischiando un attacco cardiaco.

«Il tempo non cambia le persone, Hogan.»
Spiegai avvicinandomi a lui e rendendomi conto d'arrivargli solamente sotto il mento.

Ma quando è cresciuto questo qui? Una volta, mi arrivava si e no alla spalla!
L
ui si chinò verso il mio viso senza distogliere lo sguardo.
«Però ho notato un certo cambiamento estetico, Moore.»
Arrossii violentemente e mi sottrassi alle sue braccia continuando a camminare.

No. Torna in te, ragazza. Respira e pensa che lui è sempre stato il tuo migliore amico. Okay? Okay.
«Dove mi scappi?”
Urlò lui cominciando a correre dietro di me.
Io, di riflesso, mi mossi nelle direzione opposto cominciando a mettere in pratica tutto l'allenamento fatto nelle settimane precedenti.

Mi voltai solo una volta, e quella volta mi bastò per capire che lui era molto più veloce di me.
«Non ti avvicinare!»
Lo intimai quando ebbi raggiunto la fontana del parco.

«Sono armata.»
Continuai, aprendo l'acqua.
Lui si finse spaventato, procedendo a piccoli passi verso di me.
«No, ti prego. Non farmi questo, non so se resisterei.»
Piagnucolò lui.
Io, senza pensarci due volte, posai il dito direttamente sotto lo sbocco dell'acqua e scoppiai a ridere nel vederlo inzuppato come un pulcino.

«La mamma chioccia dove l'hai lasciata, piccolo Itan?»
«Me la paghi, Hope Moore.»
Non so quando e in che modo, finii tra le sue braccia, direttamente sotto la fontana.

Nonostante i miei pugni, calci e le mie urla di protesta finii esattamente nella sua condizione: con l'acqua in posti in cui l'acqua non dovrebbe essere.
Risi senza riuscire a fermarmi, accompagnata dal sonoro accompagnamento del ragazzo.

 
«Allora...beh, ci vediamo.»
Disse lui baciandomi una guancia, quando fummo davanti alla porta della mia abitazione.

«Sicuro.»
Gli sorrisi e lo salutai con la mano entrando in casa.

Gettai le chiavi sul mobile e mi guardai: ero completamente zuppa.
Quando mi voltai verso il soggiorno, due occhi verdi mi fulminarono, facendomi trasalire.
«Chi era quel ragazzo?!»



SPAZIO AUTRICE.
BuonSalve gente!
Okay, se ho pubblicato questa schifezza è stato per colpa di quella decerebrata (sì, oggi mi sono fissata con questa parola) di Charlie. Assumiti le tue responsabilità.
Spero vi piaccia, e mi scuso se Harry non è molto presente questa volta ma...beh, mi sono state dette certe cose che m i hanno fatto riflettere e allora ho...aleggerito il rapporto Hope/Harry.
E' estate e io ho un sacco di tempo morto in cui non posso scrivere perché non ho il pc, e quindi mi scuso se questa Storia non è il massimo della bellezza. Perdonatemi.
Vi piace leggere? Io amo leggere, per questo parlo molto di libri.....
Ora, a proposito, vado a finire il mio libro (ho ripetuto troppe volte "libro"...).
Un bacione xoxo
SPA 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


«Chi era quel ragazzo?!»
Guardai Harry, seduto comodamente sul divano con il telecomando in mano, ma con gli occhi puntati su di me.
Un brivido mi percorse la schiena facendomi tremare.
«Un vecchio amico.»
Borbottai avviandomi verso le scale, tentando di non incrociare per l'ennesima volta le sue iridi. Ma, purtroppo, la sua voce mi bloccò costringendomi a voltarmi.
«Non sapevo ti fossi arruolata nei sommozzatori.»
Disse, riferendosi ai miei abiti ma continuando a fare zapping tra i canali televisivi, per poi soffermarsi su un film.
«Oh, sì. Non te l'ha mai detto mio padre? Potresti fare una prova anche tu. Secondo me, se ci metto una buona parola, ti potrebbero prendere. Sai, occuperesti perfettamente il ruolo del tonno.»
Urlai salendo al piano di sopra.
Styles, Styles, Styles. Quando capirai che deve ancora nascere la persona che mi zittirà?
Lentamente cominciai a levarmi i vestiti che poi gettai in un angolo, pensando che, se la mia migliore amica fosse stata lì, mi avrebbe fatto il terzo grado arrivando ad analizzare scientificamente le sostanze contenute nelle cellule del tessuto per rispondere alle sue domande.
Presi una tuta e andai in bagno a farmi una doccia ridendo al semplice ricordo di Itan armato d'acqua.

 
«Hope, diavolo, hai intenzione di aprirmi?!»
Sentii il riccio urlare fuori dal bagno e, allungando una mano, aprii la serratura della porta.
«Scusa, non ti sentivo. Sai, il phon...»
Urlai, per sovrastare il rumore dell'aggeggio meccanico.
Lui guardò il mio riflesso nel vetro e fece una smorfia che, di rimando, mi fece sorridere.
Scosse i capelli che poi si portò da un lato con una mano.
Ragazza, perché lo stai fissando come se fosse un Dio Greco?
Questa volta, fui io a scuotere la testa: ma non per sistemarmi il ciuffo. Per sistemare i neuroni.
Dov'era quella insopportabile ma adorabile Carlotta quando serviva?
Sbuffai e cominciai a spazzolarmi i capelli.
«Oggi vieni con me.»
Mi voltai sorpresa verso il ragazzo al mio fianco tenendo saldamente il pettine in mano.
«Io non vado da nessuna parte.»
Ringhiai cercando di sbrogliare i miei capelli che, seppur fossero lisci, erano indomabili.
«Oh, però con quell'Itan ci saresti andata. Vero?»
Disse maliziosamente.
Scattai verso di lui, alzando la mano con cui tenevo il pettine e lo puntai ai collo di Harry, il massimo dell'altezza a cui potevo arrivare.
«Che ne sai tu di Itan?»
«Oh, allora ti piace...»
Mormorò inclinando il viso da un lato e chinandosi su di me.
I nostri nasi si sfioravano appena e la mia testa girava vorticosamente. Ma non m'importava.
«Non ho detto quello.»
«
Era palese la questione, bambola.»
«Bambola? Bambola ci chiami tua sorella, idiota.»
Lui inarcò un sopracciglio e rise. Quando ne capii il motivo mi sentii avvampare di colpo.
«Cambia il soggetto, il pensiero è lo stesso.»
Sussurrai a un millimetro dal suo viso.
Lui rise senza distogliere lo sguardo, mandandomi il iperventilazione.
Ma che mi stai facendo?
«Ti ho proposto di venire e tu hai accettato. Quindi, preparati. Ti porto a conoscere il resto della band.»
Concluse lui sottraendosi alla mia morsa e facendomi l'occhiolino prima di sparire in corridoio.
Io rimasi a fissare il muro senza a pensare a niente di preciso. O meglio, a qualcosa pensavo. A quell'essere non esattamente identificato che giuridicamente era quasi il mio fratellastro.

 

Eravamo seduti in macchina, fermi ad un semaforo e io stavo per entrare in una profonda crisi di nervi grazie ad Harry che batteva le dita sul volante a ritmo di musica da quando, più o meno, eravamo partiti da casa.
«Vuoi stare fermo, per favore?!»
Lui sbuffò e guardò fuori dal finestrino bloccando le mani.
Io sospirai sollevata.
«Quando ci vuole per arrivare dai tuoi amici?»
Chiesi voltandomi verso di lui che, però, non mi degnò di uno sguardo.
«Se andiamo avanti di questo passo, anche mezz'ora.»
«Oh, fantastico!»
Esultai, infilando la mano nella mia borsa ed estraendone il mio libro. Con un sorriso stampato sul volto aprii alla pagina che indicava il segnalibro ma, prima di cominciare a leggere mi battei una mano sulla fronte sconsolata.
«Oh, caspita. Mi sono totalmente dimenticata! Styles, quando torniamo indietro possiamo fermarci un attimo in libreria? Devo prendere un libro a tua mamma, stamattina mi sono totalmente dimenticata.»
Borbottò qualcosa d'incomprensibile ma annuì.
Senza impegnarmi più di tanto per capire ciò che stava brontolando, cominciai a leggere.
Leggere, era il mio modo per estraniarmi dal mondo. Tu, lettore ti puoi immergere nel libro fino a non sapere più dove sei o chi hai intorno: l'unica verità è che non t'interessa realmente tutto questo.
Avevo sempre preferito un buon libro ad una serata in discoteca. Come, dopotutto, preferiva la mia migliore amica. Certo, non dico che eravamo due recluse. Piaceva anche a noi il divertimento e, magari, qualche uscita insieme. Ma ci trovavamo più a nostro agio in una libreria, piuttosto che in un negozio di vestiti, ecco.
«Tu leggi?»
E
sclamò sorpreso il riccio al mio fianco.
Non alzai neanche gli occhi e risposi, continuando la mia lettura.
«Oh, sai. Me l'hanno insegnato alle elementari. A te no?»
«Non intendevo quello. Dico, qui? In macchina?»
«Che c'è di strano?»
Questa volta mi arrischiai ad alzare la testa e, come volevasi dimostrare, rimasi incantata dai suoi occhi.
Lui fece un sorriso sghembo e alzò un sopracciglio. Ma si limitò a quello. Non rispose alla mia domanda e tornò a guardare la strada, com'era giusto che facesse.
Mi accorsi solo in quel momento d'aver trattenuto il respiro.
Tu hai bisogno di uno psicologo, Hope. Ma uno bravo.

 

Harry

Non avevo mai conosciuto una ragazza che leggesse in generale, figuriamoci una che tirasse fuori il libro addirittura in macchina.
Beh, Harold, forse perché fin'ora sei uscito solo con ragazze convinte che un libro sia un tipo di panino, non credi?
Tentai inutilmente di scacciare quell'orrida voce dalla mia testa ma non potevo dargli torto: era così.
Ero uscito con veramente tante ragazze ma, di tutte queste, nessuna aveva mai ragionato più di tanto. E questa cosa andava benissimo.
Con la coda dell'occhio guardai Hope, che sembrava totalmente immersa nella sua lettura e dovetti ammettere che era veramente...tenera, forse?
Ma che stai dicendo? Ti sei bevuto il cervello, brutto decerebrato? Tenera. Pft. Mai usato questa parola.
Ripensai alla scena della mattina, in mano. Mi aveva provocato una strana sensazione averla così vicina al mio viso.
Sicuramente, non mi aveva fatto paura la sua minaccia con tanto di pettine ma...
Torna sulla Terra. Siamo arrivati, Mr.Dolciosità.
Parcheggiai di fronte alla piccola villa e tirai il freno a mano guardando la ragazza.
«Siamo arrivati.»
Lei posò il suo libro nella grossa sacca azzurra che si mise prontamente a tracolla e io uscii dall'auto, aggirandola e aprendole la portiera per poi tenderle la mano.
Lei mi squadrò sorpresa e si alzò senza accettare il mio aiuto.
Scossi la testa ridendo e sbattei lo sportello della mia Range Rover per precederla sul vialetto di mattoni fino all'ingresso di Casa Horan.
Aprii la porta che, come al solito, non era chiusa a chiava, e aspettai che entrasse Hope prima di seguirla.
«Da queste parte non si usa avvertire dell'arrivo con...non so...il campanello?»
Io risi sarcasticamente e le diedi un colpo su un braccio.
«Sono di famiglia qui.»
Lei annuì e si guardò intorno curiosa.
Non era una ragazza particolarmente alta, mi arrivava giusto al naso e non era decisamente il mio tipo. O, perlomeno non era il tipo di persona che avevo frequentato fin'ora e che, sicuramente, non avrei mai frequentato.
«Razza di rincoglionito dammi quella chit...oh, non farlo. Non farlo!»
Delle urla invasero il corridoio che stavamo percorrendo e io scoppiai a ridere.
«Loro, sono “il resto della band”.»
Dissi continuando a ridere. La castana mi guardò e osservando la scena che si trovò davanti si unì alla mia risata.
Gli altri quattro si voltarono verso di noi con sguardo stupito e Louis inclinò la testa di lato inarcando le sopracciglia come faceva solitamente quando era confuso. E in quel momento, lo era.

 

Hope

Un biondino dall'aria sognante era impegnato a divorare un panino a due piani godendosi il palcoscenico davanti a sé: un ragazzo con due grossi occhioni castani spalancati si stava avvicinando goffamente a un paio di occhi azzurri che stavano fissando il ragazzo al mio fianco.
«Metti giù quella chitarra, Tomlinson.»
Lo intimò il secondo descritto. Il ragazzo dagli occhi blu tornò a guardarlo e impugnò più saldamente la chitarra che teneva in mano.
«E cosa ci guadagno io, Payne?»
Solo in quel momento, mi resi conto di un quarto ragazzo con la pelle elegantemente ambrata, seduto all'ombra di un grosso albero, con le cuffiette nelle orecchie che sembrava totalmente assente.
«Non fare lo stupido. E' presente una bella donzella, non facciamola scappare prima del dovuto.»
Disse quello che avevo capito si chiamasse Payne.
Spero per lui sia il cognome...
Risi e sentii le mie guance andare a fuoco.
A questo punto la chitarra cadde con un tonfo sordo e tutti (compreso il ragazzo dall'aria scocciata sotto l'albero) si girarono verso di noi. Verso di me.
«Harry, sapevamo delle tue numerose vittime ma non ne hai mai portata una qua. Dev'essere una cosa seria. Stai male?»
Chiese sempre il castano che fino a poco prima era armato di strumento.
Il ragazzo al mio fianco li guardò tutti scoppiando nuovamente a ridere.

«Lei è Hope. La mia...sorellina.»
Lo fulminai con lo sguardo che fu seguito da sussurri sorpresi di tutti gli altri.

Se sono tutti come questo qui, giuro che scappo e vado a vivere in Afghanistan. Insomma, la situazione non può essere tanto peggiore di questa.


Spazio autrice.
Buonsalve lettrici.
Come state oggi? Siamo nel pieno dell'Estate, io sto morendo di caldo eppure sono qui e mi crogiolo nella speraza che qualcuno di voi legga questa stupida storia.
Hope you like it, and...recensite! (?)
Vi voglio taaanto bene e perdonate eventuale errori. Vi prego di dirmi se c'è qualcosa che non vi piace. Un bacione.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


«E' così tu sei la sorellastra di Harold...»
Scandì lentamente quello mi ricordavo si chiamasse Louis, stringendo gli occhi fino a farli diventare due fessure.
Io lo corressi subito, lanciando un'occhiata sanguinaria a Harold.
«Tecnicamente, non sono ancora la sua sorellastra.»
Il riccio inarcò un sopracciglio schioccando la lingua per poi ricambiare lo sguardo.
Appena i suoi occhi incontrarono i miei capii d'aver fatto un'enorme sbaglio a stuzzicarlo in quel modo: il mio cuore ebbe un sussulto ma io, testarda, non abbassai la testa. Rimasi a fissarlo.
«La stai scannarizzando, Styles?»
Esordì...
Niall?
Sì, Niall.
Harry fu costretto a guardare l'amico, lasciandomi quindi tornare a respirare.
Fui grata al biondo che si stava divorando il terzo panino della mattinata.
«Stavo controllando se avesse un cervello, sì.»
Rispose tranquillamente il primo citato.
«E quando sei arrivata, Hope?»
Chiese Liam cercando di far cambiare piega alla situazione e infondendomi una sicurezza che non credevo possibile avere.
Gli sorrisi e mi sistemai meglio sull'amaca su cui mi ero accomodata, mentre gli altri erano tutti seduti su dei comodi divanetti bianchi di fronte a me, vicino alla piccola piscina.
«Ieri.»
«E' andato bene il viaggio?»
«Oh, sì. Grazie.»
Lui mi fece un occhiolino e tornò a guardare il resto del gruppo.
«Allora? Cos'è 'sta faccia da stoccafissi? Louis, prendi la chitarra che hai fatto cadere e dalla Niall. Niall, posa il panino che stai mangiando. Cominciamo le prove.»
Il biondo tentò di protestare ma venne subito demoralizzato dal viso severo del compagno.
Sbuffando fece per posare il cibo su un tavolino accanto a lui ma lo precedetti e lo afferrai io.
«Se non ti dispiace, lo finirei io.»
I suoi occhi brillarono e mi tese il sandwich senza discutere. Lo ringrazia velocemente e addentai il mio “quasi pranzo”.
Forse non sono così male. Nah.
Pensai continuando a fare quello che mi era sempre venuto meglio: mangiare.

Quando nell'aria risuonarono i primi accordi della canzone, mi resi conto che non mi era nuova.
Ragionai un attimo sulla melodia ma quando Liam iniziò a cantare, tutto mi parve più chiaro.

 “You're insecure,
Don't know what for,
You're turning heads
When you walk through the door...”

Senza accorgermene cominciai a canticchiare quelle parole, muovendo semplicemente la bocca.
Niall muoveva le dita con un movimento talmente fluido sulla chitarra che pensai fosse un tutt'uno con essa e gli altri quattro seguivano il tempo perfettamente, senza nessun problema.
Ma la mia voce si bloccò, non appena Harry aprì la bocca per cantare la sua parte.
Dei brividi mi percorsero la schiena ma tentai di nasconderlo fingendo di cercare qualcosa nella mia grossa borsa.
Sospirai lentamente e tornai a sedermi in tempo per il sentire il ritornello.
Le loro voci si completavano come se fossero da sempre destinati a fare quello, e i loro sguardi dicevano esattamente la stessa cosa.
Mi sorpresi a sorridere ma non smisi di farlo.
Quando il ragazzo dalla pelle ambrata e dai capelli col ciuffo attaccò la sua parte, mi resi conto che era la prima volta che sentivo la sua voce. O, almeno, la prima volta durante quella giornata.
«No. No ragazzi, così non va. Louis, abbassa la tonalità e Harry...? Harry, mi stai ascoltando?! Toccava a te. Ma a che stai pensando, oggi?!»
Liam interruppe la canzone attirando l'attenzione di tutti verso di sé.

 

Harry

«No. No ragazzi, così non va. Louis, abbassa la tonalità e Harry...? Harry, mi stai ascoltando?! Toccava a te. Ma a che stai pensando, oggi?!»
Distolsi lo sguardo dalla ragazza che avevo di fronte e guardai il mio amico.
«Scusa. Scusa, Liam. E' che...ho sete. Vado a prendere un bicchiere d'acqua.»
Borbottai alzandomi e dirigendomi verso la casa. Sentivo gli sguardi degli altri addosso ma non mi voltai. Avevo bisogno di stare un attimo da solo.
Da solo con me, vorrai dire.
Sbuffai, quando la stupida vocina del mio cervello rimbombò nella mia cassa timpanica, mentre afferravo un bicchiere da sopra il lavandino.
Dai Harry, dillo. A che cosa pensi? Eh? Su, raccontaci le tue pene.
Ma in che razza di rammollito mi stavo trasformando? Harry Edward Styles, è tutto fuori che un ragazzo tutto zucchero e miele.
Oh, che tenero. Mi stai facendo venire il diabete!
Urlò l'unico neurone presente nella mia minuscola testolina.
Alzai gli occhi al cielo e, durante l'azione, mi bloccai a metà strada: sulla finestra che dava sul cortile dove erano riuniti gli altri e, soprattutto, sulla scena piuttosto insolita che si era creata.
Hope stringeva tra le sue braccia la chitarra di Niall e muoveva le mani espertamente sulle corde. Posai il bicchiere sul bancone della cucina e i miei piedi si mossero automaticamente verso il giardino.
Sentii una leggera risata che associai immediatamente alla mia sorellastra e un brivido involontario mi fece sussultare.
Ma che cazz...?
Senza indugiare troppo sul da farsi, decisi che quello strano brivido era dovuto alla reazione che lo sbalzo di temperatura interno/esterno aveva provocato in me e uscii.
«Non sapevo sapessi suonare...»
Esordii io come un perfetto idiota.
Perché tu sei un perfetto idiota, Styles.
Tutti si voltarono verso di me e io feci finta di niente e continuai a camminare.
«Infatti io non so suonare. Me la cavo ma...»
La sua frase rimase sospesa nell'aria, come se lei non sapesse se continuare o no. Io non insistetti e tornai a sedermi.
Quella ragazza era strana. Molto, strana.

 

Hope

Harry si sedette tranquillamente al suo posto, mentre io riconsegnavo lo strumento al suo proprietario, sotto gli sguardi sorpresi e allegri degli altri.
Sì, sapevo suonare la chitarra.
E quindi? Era così difficile da credere?
L'avevo imparata da piccola, ma erano anni che...non suonavo più.
Non so quel giorno cosa mi aveva spinto a farlo ma avevo sentito il bisogno di provare di nuovo la sensazione delle corde tirate sotto le mie dita e del peso della cassa armonica sul petto.
Immediatamente, un ricordo riaffiorò nella mia mente: dei lunghi capelli biondi che svolazzavano sopra di me, mentre una risata familiare ma allo stesso tempo lontana riempiva l'aria con la sua chiarezza.
Imposi a me stessa di tornare alla realtà e non lasciarmi sopraffare da memorie ormai passate, quindi tornai ad ascoltare quelle cinque voci che, anche se mi costa ammetterlo, erano veramente angeliche.

 

Quando il biondo posò la chitarra indicando la fine delle prove sorrisi a tutti sinceramente sorpresa.
«Siete stati veramente bravi, ragazzi.»
Zayn accennò un sorriso e mi fece un cenno di ringraziamento con la mano, mentre Niall mi saltò praticamente al collo.
«Grazie, grazie, grazie!»
Esultò lui stringendomi. Io non ricambiai il gesto, colta alla sprovvista, ma appena mi resi conto della cosa risi e lo abbracciai.
«Prego, prego, prego!»
Harry distolse lo sguardo continuando la sua conversazione con Liam che mi fece il solito sorriso rassicurante e poi passai a Louis.
«Ma tu...insomma, non sai chi siamo?»
Chiese per niente imbarazzato, alzandosi.
Io arricciai il naso, cosa che avevo sempre fatto.
Probabilmente, nessuno di loro aveva notato che avevo canticchiato le loro canzoni per tutto il pomeriggio.
«Certo che lo so. Louis, Liam, Zayn, Niall e Harry.»
Risposi facendo l'indifferente e sviando di proposito la sua domanda.
Lui sbuffò e si lasciò cadere di nuovo sul divano dietro di lui.
«Andiamo?»
Domandai ad Harry che si alzò sbuffando dal divano.
«Dobbiamo passare a prendere il libro per tua madre, me l'hai promesso.»
Aggiunsi portandomi la borsa sulla spalla.
«Io non te l'ho promesso...»
«Sì, tu me l'hai promesso. Ora, muovi il tuo sedere e andiamo.»
Lui salutò gli altri con la mano e io lo imitai mentre rientravamo in casa per uscire poi sul vialetto.
«Ah, mi stavo dimenticando una cosa. Mi piacete. Devo dire che non siete male.»
Dato gli sguardi interrogativi che mi lanciarono, risi e continuai.
«Dovete ringraziare la mia migliore amica se so chi siete...One Direction.»
Esclamai mentre percorrevo il marciapiede che portava alla macchina.
Sì, Carlotta mi parlava spesso di loro e mi aveva triturato il cervello con il loro cd, per cui...come potevo non conoscerli?
Mi voltai giusto in tempo per vedere il sorriso compiaciuto di Louis nascere sotto i suoi occhioni blu.
«Lo sapevo!»
Urlò lui trionfante, alzando le braccia al cielo.
«E' impossibile non sapere chi siamo.»
Scoppiai in una risata che coinvolse tutti e poi andammo via, lasciando i quattro in piedi davanti al cancello, ancora in preda alle risate.

 
«Perché non mi hai detto che tu eri...quell'Harry?»
Chiesi voltandomi verso di lui che non distolse gli occhi dalla strada, com'era giusto che fosse.
«Credevo ci fossi arrivata da sola.»
«Beh...Mi sembrava d'averti già visto da qualche parte ma come potevo saperlo? Insomma, sei il mio fratellastro e ti conosco da anni. Per cui, quella sensazione di familiarità poteva anche derivare da quello, non pensi?»
«Magari tuo padre poteva averti accennato qualcosa del fatto che io ero riuscito a passare l'audizione per...»
Non lo lasciai finire. I miei occhi si spalancarono e mi sentii insolitamente felice.
«X Factor? Tu hai partecipato ad X Factor?!»
Lui fece una faccia confusa ed annuì.
«Sì, ma...»
«Oddio, Harry! Sono così felice per te! Era il tuo sogno da quando eravamo piccoli!»
Ma che stai dicendo, Hope? Tu lo odi.
Zittii quell'inutile obiezione e mi sporsi verso di lui.
Lui fece un mezzo sorriso.
«Mi hai chiamato per nome. Non lo fai mai.»
«Oh, caspita. Voglio vedere le puntate. Dico, voglio sapere com'è andata!»
«Ehi, Moore. Da dove è uscito tutto questo entusiasmo?»
Ma perché diavolo doveva sempre trovare il modo di farmi incavolare?
«Sono solo curiosa!»
Lui scosse la testa ridendo e accelerò.
Mi sarei informata. Se non voleva dirmelo lui, avrei capito da sola com'era arrivato al successo e come, alla fine, aveva formato un gruppo con quei quattro ragazzi.
Incredula e delusa della mia ingenuità tornai comoda sul mio sedile, giurando a me stessa che avrei dovuto trovare un modo per andare d'accordo con quel decerebratro di Harry. Se non per me, l'avrei fatto per mio padre e Anne.




SPAZIO AUTRICE.
Salve Gente :3
Come state, oggi?
Mi sono messa a scrivere il capitolo con un mal di testa terribile ma...avevo voglia di farlo.  Quindi...:Taaaaa dà!
Hope you like it.
Recensite.
Recensite.
Recensite.
Ora scappo. A presto, Honey.
Ps: grazie a tutte voi che avete letto. A TUTTE. Veramente, un grazie di cuore.
SDP 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


«Itan?»
Entrai nella libreria ormai deserta in cerca del mio amico e dei suoi meravigliosi occhi azzurri -ma che stai dicendo?- quando un ciuffo biondo sbucò da sotto la scrivania.
«Ti mancavo già, bellezza? Ti ricordavo leggermente più orgogliosa per crollare inesorabilmente in questo modo.»
Ammiccò lui strizzando un occhio e facendo il giro per raggiungermi. Aprii la bocca per ribattere ma non feci in tempo. Una voce maschile e insolitamente profonda m'interruppe.

«In effetti non ha fatto altro che pensare a te per tutto il giorno, Casanova.»
Mi voltai sapendo già chi mi sarei ritrovata davanti.
«Non dovevi aspettarmi in macchina, Harry?»
Ringhiai a denti stretti. Lui sorrise innocentemente e tornò a rivolgersi ad Itan.
«Allora? Ce lo dai questo libro o dobbiamo scriverlo noi?»
Il biondo non lo calcolò minimamente e mi guardò come se l'altro non esistesse.

«Cosa cerchi, Hope?»
«Volevo l'ultimo libro di Jeffery Deaver.»
Lui annuì e si allontanò da noi rovistando tra gli scaffali.

«Ti ha morso una vipera? Eh? Che ti prende?»
Sussurrai al riccio al mio fianco che seguiva attentamente i movimenti del “commesso”.

«Non mi piace quel tipo.»
Ripose semplicemente con un'alzata di spalle.

«Senti, io non...»
«Eccolo!»
Esclamò felice Itan tornando verso di noi e quindi, interrompendo la mia minaccia.

Io sorrisi e cercai invano i soldi nella borsa.
Ma che gli passa per il cervello? Eh? Oh, beh. Povero, bisogna capirlo. Aveva un neurone e ora è morto di solitudine anche quell'ultimo.
Sbattei le palpebre tornando alla realtà e continuai a frugare in cerca del portafoglio.
Ma come sei simpatica! Potresti fare la comica, sai? Anzi, la pagliaccia ti verrebbe meglio.
«Itan, non trovo i soldi.»
Dissi dispiaciuta alzando lo sguardo.

«Tranquilla. Me lo pagherai.»
Mi rispose dolcemente lui, sorridendo.
«Tieni.»
Sbuffò Harry allungando un braccio oltre le mie spalle.

Impegnata nelle mie riflessioni, non mi ero resa conto che lui mi aveva fissato per tutto il tempo con venti sterline strette in una mano.
Io non mi opposi e lo lasciai pagare.
«A presto, Hope.»
Mi salutò Itan mentre ci dirigevamo fuori dal negozio.

«A presto!»
Mi congedai io mandandogli un bacio con la mano.

«Sì, sì. Come no, a presto.»
Borbottò il mio fratellastro dietro di me chiudendosi la porta alle spalle.

«Tu sei veramente strano, Styles.»
Non disse niente. Si limitò a salire in macchina.

Io sospirai e lo seguii senza proferire parola.
«Mi piacciono i tuoi amici.»
Mormorai io non sapendo cosa dire. Ma qualcosa dovevo pur fare per riempire quel silenzio.

«Sì. Beh, sono bravi.»
Si limitò a rispondere lui mentre ingranava la marcia e, dato che sembrava non voler aggiungere altro, cambiai discorso.

«E...Per quanto mi costi farlo, dovrei ringraziarti per aver pagato al posto mio. Ti ridarò i soldi appena arrivati a casa. Vorrei regalarlo io quel libro a tua madre.»
Lui annuì e continuò a guidare.

In un lampo, un pensiero mi fece sussultare. Carlotta.
Avevo bisogno di lei. Assolutamente.
Ero arrivata a Londra da due giorni e già mi mancava. Ma non era quello il motivo per cui avevo veramente bisogno di lei. Assolutamente no.
«Ascoltami. Io sto solo cercando un modo per non litigare con te, ma non mi faciliti la cosa. Se le poche volte in cui mi rivolgi la parola lo fai per stuzzicarmi, io non posso fare più di tanto. Fra poco faremo legalmente parte della stessa famiglia e non credo che i nostri genitori sarebbero tanto felici di vedere che discutiamo persino su un pezzo di pane.»
Dissi tutto d'un fiato guardandolo.

Lui non mosse un muscolo e credetti che, come al solito, non m'avesse neanche ascoltato quindi mi rassegnai all'idea che era una battaglia persa in partenza insieme a lui.
Appena la macchina fu ferma io scesi immediatamente ma arrivata davanti al portone d'ingresso mi sentii afferrare per una mano.
Mi voltai spaventata pur sapendo che non poteva essere nessun altro se non quell'imbecille di Harry.
Ma quell'imbecille è a due centimetri dalla tua faccia, Hope.
Il cuore mi saltò in gola appena mi resi conto della situazione e sentii le gambe tremare.
«Ascoltami tu, ora. Se ti devo dire la verità, neanche io sono felice che presto diventerai la mia sorellastra. E sai perché? Perché sei fottutamente...tu. E questa cosa non va per niente bene, okay?»
«L-lo so che mi odi.»
Cercai di prendere fiato e completai la frase che, stranamente, assunse un senso logico.

«E so anche che preferiresti avere chiunque altro come sorella ma...»
«Ma, un bel cazzo, Hope.»

Per un attimo potrei giurare d'aver visto una luce diversa nei suoi occhi ma non ci conterei.
Sii realista. È Harry Edward Styles. Lo stesso Harry Edwars Styles che si sta avvicinando pericolosamente a te.
«Tu. È tutta colpa tua. Solamente, semplicemente, palesemente colpa tua. Se non fossi così dolce ma così aspra, così bella eppure così guerriera...non mi ritroverei qui con una voglia assurda di tapparti la boccaccia con la mia.»
Io spalancai gli occhi nella fedele imitazione di un pesce palla e cercai di fare mente locale nonostante le sue iridi verdi come nient'altro mi scrutassero avidamente.
«Tu vuoi...vuoi...»
Tentando di costruire una frase che rientrasse nella costruzione verbale italiana, balbettai come non avevo mai fatto in tutta la mia vita.

«Vuoi farmelo proprio dire? Non ci arrivi da sola?»
Bloccata dalle sue braccia poggiate sul muro accanto alle mie spalle non potevo fare altro se non fissarlo con le guance di un colore simile alle ciliegie mature.

«Io credevo...tu...»
«Ti odiassi? Credevi davvero quello?»
Annuii con un'espressione interrogativa stampata sul volto.

Lui sorrise maliziosamente e s'avvicinò a me. Il suo naso sfiorò il mio e, quando il mio cervello comprese cosa stava per accadere, misi le mani sul suo petto nel tentativo di spingerlo via ma, chiaramente, fu inutile.
Senza che me ne rendessi conto le sue labbra sfiorarono le mie e m'accorsi che il mio stomaco doveva aver assunto la forma di una pera avariata.

Che forma ha una pera avariata, genio?
«Harry...»
Mormorai, provando a scostarmi.
«Hope..?»
Sussurrò di rimando lui, con il labbro inferiore si muoveva dolcemente contro il mio.

Cosa caspita sta succedendo? Ma più di tutto, cosa stai facendo, brutta idiota?! Lui è...
LUI E' HARRY. SEMPLICEMENTE, HARRY.
In un attimo la sua espressione cambiò totalmente. Il suo solito ghigno da duro, da menefreghista, che gli avevo sempre visto era scomparso per lasciare il posto ad un sorriso dolce e a due occhi luminosi come zaffiri.
Ecco, i suoi occhi: verdi, con qualche screziatura di grigio e...strano a dirsi, sinceri.
In quel momento, ebbi l'impressione di scorgere per la prima volta la vera persona che si celava, purtroppo, dietro ad una falsa durezza.
Nelle sue iridi potevo leggere l'insicurezza, la paura, l'allegria che lui tentava di nascondere ogni giorno, in ogni momento e occasione.
In quel momento, cambiò qualcosa dentro di me. Un interruttore che non sapevo d'avere scattò, facendomi fremere e non sapevo se fosse una cosa positiva o negativa.
Vidi le sue palpebre chiudersi e lo imitai, stringendo la sua maglietta azzurra tra le dita.
Quando credetti di non aver più scampo, quando le sue mani si posarono saldamente sui miei fianchi e la mia intelligenza sfumò fino a sparire si sentirono dei rumori provenire dalla porta d'ingresso accanto a noi e, con un movimento rapido, il ragazzo piegato su di me si alzò.
«Ragazzi! Non vi avevo sentito arrivare...»
Esclamò sorpreso mio padre sull'uscio di casa guardandoci contento.

Non saresti così contento se sapessi cosa tua figlia aveva intenzione di fare, papà.
A corto di fiato mi abbassai per prendere la mia borsa che, senza accorgermene, avevo fatto cadere ai miei piedi.
«Vi siete divertiti?»
Proseguì mio padre portando un braccio attorno alle mie spalle, innocentemente. Io annuii, imbarazzata.
Non sapevo se essere grata a mio padre per avermi impedito di baciare Harry, o scocciata.

E, a quanto pare, non lo sapeva neanche il mio complice che in quel momento, mi stava fissando noncurante del fatto che il suo patrigno ci aveva rivolto una domanda alla quale nessuno dei due sapeva esattamente rispondere.
Il solito Styles è tornato tra noi.
E pensare, che per un minuto avevo creduto che fosse diverso.

 

Harry

Il soffitto di camera mia non mi era mai sembrato tanto interessante come quella sera.
Disteso sul letto pensavo a tutto quello che era successo in...tre giorni?
Le cose, erano due: o io mi ero completamente rincitrullito, oppure era tutto uno scherzo e la mia vera sorellastra sarebbe arrivata di lì a poco.

Hope Moore mi stava facendo impazzire.
Un attimo era acida come un limone e l'attimo dopo era dolce come la panna.
Ma ti rendi conto di cosa stai farneticando?
Più che altro, pensavo a ciò che mi aveva fatto fare quel pomeriggio.
A ciò che tu hai voluto fare. Non che lei ti ha fatto fare.
Non avevo mai confessato così, a nudo, i miei sentimenti. Ammesso che quelli si potessero chiamare così.
Non riuscivo neanche io a capire se quelle stupide scenate fossero solamente una conseguenza dell'attrazione fisica che provavo verso Hope, oppure....
No. Non pensarci neanche. Tu non...non puoi innamorarti...Bleah, fa schifo solo a pensarci.
I patetici s'innamorano.
Innamorarsi è una cosa da perdenti.
Innamorarsi è una cosa da fanatici senza speranza.
Innamorarsi non è una cosa da Harry Styles.
Tutte quelle uscite romantiche e quelle frasi sdolcinate.
No. Questi vocaboli non potevano rientrare nel mio vocabolario.
Esasperato, mi alzai e mi diressi al piano di sotto, in cucina.
Arrivato all'ultimo gradino però, fui costretto a fermarmi.
«Piccola, che c'è? Mi sembri...strana.»
Silenzio.

«Non ci credo che non è successo niente. Non ti vedo da parecchio, ma so che c'è qualcosa che non va.»
Se Hope prova a dire qualcosa su cosa...cosa stavamo per fare io...
«Oggi ho suonato, papà.»
Fiù. Non ha intenzione di parlare di quello.
Snervante silenzio. Che stava succedendo là dentro? Perché era una cosa così importante il fatto che lei avesse suonato?
«Ma è fantastico, Amore!»
«No. Non è così. Io...avevo promesso alla mamma che...non l'avrei più fatto. Non senza di lei.»
Un rumore, un tonfo leggero e poi il nulla.

Non riuscii a trattenermi e mi sporsi leggermente in modo da vedere la stanza.
Erik stava stringendo sua figlia in un tenero abbraccio e lei stava...piangendo?
Quando mi resi conto che delle lacrime stavano veramente scendendo lungo le sue guance mi venne la pelle d'oca.
Lei non può piangere.
Per la prima volta, mi sembrò esile. Esile e delicata come una bambina.
«Lei sarebbe fiera di te. E sarebbe felice. Lo sai.»
Incapace di starmene lì fermo ad origliare una conversazione che mi servava alquanto personale, tornai da dove me n'ero venuto.

COSA DIAMINE STA SUCCEDENDO IN QUESTA FAMIGLIA?
OH, HAROLD. MA CHE COMBINI? EH?
Mi sto innamorando. Ecco cosa combino.
Sbuffai per la mia stessa ammissione e mi passai nervosamente una mano fra i capelli.
Com'era? Ah, sì. I patetici, s'innamorano.
Questo sì, che era un vero problema.



SPAZIO AUTRICE.
I'm back, guys!
Scusate ma in questi spazi non so ma i che scrivere (?)
Se vi può interessare, sono stata una settimana dai miei nonni e mi sono divertita da matti. Ho approfittato di questo tempo per scrivere un Capitolo almeno decente.
Spero vi piaccia!
Ora, scusate ma devo andare a fare una cosa importantissima: leggere e recensire una storia spettacolare di questa polpetta qui: BlueWhatsername.
A presto, pulci.
RECENSITE.
Un bacione!

 

 

 

 

 

 


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Hope

«Tieni Anne! Il tuo libro!»
Esclamai felice appena la quasi-moglie di mio padre si materializzò nella stanza.
Come se non fosse successo nulla di che quel giorno, le consegnai il suo romanzo con un bel sorriso stampato sul volto.
Come se io non avessi conosciuto una band di fama mondiale, suonato una chitarra infrangendo la promessa fatta a mia madre anni prima, rischiato di baciare il mio fratellastro e assistito ad una mezza lite tra il mio migliore amico e (di nuovo...) il mio fratellastro.
Giornata veramente movimentata, Hope. Spera che non siano tutte così qui, in Inghilterra.
«Oh, ma grazie! Credevo te ne fossi dimenticata...»
Io arrossii, come al mio solito, per una stupidaggine.
«In realtà...me ne ero veramente dimenticata. Poi, mi sono fatta accompagnare da Harry.»
Dissi indicando il diretto interessato, spaparanzato sul divano, con un cenno del capo.
Lui sembrava così “normale”, indifferente al fatto che era quasi accaduto pochi istanti prima.
È ovvio: quante ragazze si slinguerà ogni giorno?
Ma io non ero “quelle ragazze”: io ero un membro della sua famiglia.
Senza rifletterci più di tanto, mi sedetti accanto a lui e raccolsi le gambe al petto, affogando nei miei stessi pensieri.
Mi sentivo spaesata come non lo ero mai stata.
Non capivo perché, il solo fatto che il suo braccio sfiorasse il mio, mi facesse sentire così strana: la pelle mi formicolava e stentavo a respirare regolarmente. Questo non era assolutamente normale.
«Io vado in camera mia. Buonanotte a tutti.»
Esordii lui, alzandosi con uno scatto dal divano.
Non risposi al suo augurio, mi limitai a guardarlo, fino a quando non sparì al piano di sopra.
Immediatamente dopo, mio padre occupò il suo posto.
«Andate d'accordo, voi due, vero?»
Domandò sorridendo puntando il suo sguardo verso di me.
«Oh, certo. È -bello come il sole, ha due occhi assolutamente perfetti, un sorriso sorprendentemente dolce, ed è fottutamente odioso- simpatico. Veramente simpatico.»
L'uomo vicino a me sorrise felice e io ricambiai il gesto, improvvisando una smorfia che doveva somigliare ad un'espressione di felicità.
«Vado anche io. Ci vediamo domani, 'notte!»
Lasciai la stanza e, afferrando i soldi che avevo provvisoriamente poggiato sul mobile nel corridoio, mi diressi verso la camera del riccio.
Sospirai e, trattenendo il respiro, bussai.
«Avanti.»
La sua voce roca e profondo arrivò a stento alle mie orecchie. Con la mano (non so perché) tremante, aprii la porta.
«Posso entrare?»
Mormorai vedendolo disteso sul letto.
Esitò un attimo prima di rispondermi e, in quell'attimo l'ansia mi pervase.
«Certo.»
Si spostò da un lato, facendomi segno di sedermi.
Accettai la sua proposta e m'accomodai al suo fianco.
«Sono venuta a ridarti questi.»
Dissi mettendo i soldi che tenevo saldamente in mano sul suo comodino.
«Non fa niente, puoi anche tenerli.»
«No, voglio ridarteli.»
Ribattei testarda.
«Come vuoi.»
Mi guardai intorno, scoprendo che la sua camera era disordinata come poche ne avevo viste in tutta la mia vita.
Vestiti buttati sulla scrivania, sulla sedia e sul pavimento, fogli di carta sparsi in giro e un computer portatile acceso sotto i suoi piedi.
«Bene, allora io vado. Buonanotte, Harry.»
«Buonanotte, Hope.»
A malincuore, mi alzai e uscii dalla stanza.
Ma che caspita sta succedendo in questa maledetta casa?
Con questo pensiero che mi tormentava, cercai di dormire, cosa che si dimostrò alquanto complicata.

 

Harry

Con il viso sprofondato nel cuscino, cercavo d'immaginarmi cosa stesse facendo Hope nella sua stanza.
Sarà sveglia? Starà sognando? Sta pensando a ciò che è successo oggi.
Sbuffai lamentandomi di me stesso mentre mi alzavo e mi muovevo lentamente in cerca della mia maglietta.
Devo decidermi a sistemare tutto questo casino.
Considerai durante la mia disperata ricerca. Una maglia, stavo cercando una maledetta maglia e stavo trovando di tutto oltre a quello.
Oh, ma chissenefrega. Vado così.
Uscii dalla mia camera e mi guardai intorno, constatando che non c'era nessuno e quindi avevo via libera.
Mossi due o tre passi incerto sul da farsi ma, quando arrivai a destinazione non ci pensai due volte: spinsi delicatamente la porta e infilai la testa dentro alla stanza.
«Mmh...Harry, sei tu? Cosa ci fai qui...?»
Una voce alquanto assonnata e tentennante raggiunse le mie orecchie e, senza un motivo preciso, sorrisi.
Era sveglia.
Mi richiusi l'uscio alle spalle e mi avvicinai a lei.
«Scusa, non volevo svegliarti...»
Mormorai sincero, mentre m'inginocchiavo accanto a lei, per terra, in modo da avere il suo viso esattamente di fronte al mio.
Potevo vederla chiaramente, grazie alla persiana lasciata spalancata e la luce fioca della luna, che rendeva i suoi lineamenti ancora più aggraziati del solito, cosa che non credevo fosse possibile.
«Non mi hai svegliato. Ero già sveglia»
Rispose, sorridendomi.
Un brivido partì dalla mia spina dorsale e chiusi gli occhi, nel tentativo di calmare il cuore che ormai era sulla via del non ritorno.
Probabilmente, Hope non aveva notato il mio abbigliamento, se così si possono chiamare un paio di boxer: se l'avesse fatto, sarebbe diventata dello stesso colore della sua canottiera, rossa brillante.
«Volevi dirmi qualcosa?»
Chiese titubante, senza distogliere lo sguardo dai miei occhi.
Era la prima ragazza che lo faceva per un motivo che non fosse il sesso. Beh, non che a me dispiacesse la cosa ma...lei era totalmente diversa dalle altre. Lei era lei, e questa era una cosa splendida.
«In realtà...non so perché sono qui.»
«Oh. Capisco...»
Scossi la testa ridendo e la mia mano si posò sulla sua guancia.
Mi stupii da solo della dolcezza che misi in quel gesto.
«Harry, a proposito di questo pomeriggio...»
Cominciò lei insicura, mordendosi il labbro inferiore. Nei suoi occhi leggevo la paura, forse di dire qualcosa di sbagliato o, peggio ancora, fare qualcosa di sbagliato.
Chi dici che tutto questo sia sbagliato?
Ma tutto questo cosa, imbecille?
«Ecco, ho scoperto cosa sono venuto a fare qui, ora.»
Sussurrai, grazie al mio unico neurone che s'attivava solamente in occasioni...particolari. E quella, era senza dubbio una di quelle.
L'espressione confusa che assunse la fece sembrare una bambina e mi sentii così...stupido, come ogni volta che ero con lei. Era sempre la stessa storia. Con quella ragazza, mi sentivo io.
«Sarebbe? Che hai intenzione di fare...?»
«Quello che non sono riuscito a fare oggi.»
«Ma che diavolo stai dic...»
Non le diedi il tempo di terminare la frase: avvicinai il viso al suo e annullai la poca distanza che c'era fra noi.
Sentii il cuore fermarsi improvvisamente per poi ripartire subito dopo ad una velocità tale che credetti di morire lì per un attacco cardiaco.
Inizialmente, Hope non ricambiò il bacio, rimanendo letteralmente pietrificata ma, quando lo fece, mi sentii in paradiso.
Schiusi le sue labbra con la lingua ed incontrai immediatamente la sua. Non saprei descrivere l'emozione e l'eccitazione che mi pervasero in quel momento.
Continuai a baciarla, mentre m'alzavo per sistemarmi meglio vicino al suo corpo caldo.
Lei tirò su la schiena e ci ritrovammo entrambi seduti.
Stavo amoreggiando con la mia sorellastra e non pensavo a nient'altro se non alle sue mani che si erano impossessate dei miei ricci e alle sue labbra, che si muovevano lente sulle mie.

 

Hope

Non avevo pensato a quanto poteva essere rischiosa quella situazione quando lui era entrato in camera mia.
Non avevo pensato a fin dove mi sarei spinta con lui quando era entrato in camera mia.
Non avevo pensato e basta.
Ero semplicemente (e stranamente...) contenta che lui fosse venuto.
E ora? Ora lo stavo baciando come mi ero ripromessa di non fare.
Le sue dita si muovevano dolcemente sui miei fianchi, insinuandosi di tanto in tanto sotto il sottile tessuto della mia canottiera, lasciando una sensazione di calore e formicolio.
Sentivo la sua lingua che si muoveva esperta, rincorrendo la mia e tutto quello che non fosse noi, non m'importava.
Mi avvicinai a lui, fino a far combaciare perfettamente i nostri corpi, e lo sentii sorridere sulle mie labbra. Feci la stessa cosa, aprendo leggermente un occhio per scoprire che stava facendo la stessa cosa anche lui. Mi sentii avvampare e lo richiusi immediatamente.
Si staccò cordialmente, scendendo con il viso verso il collo e facendomi gemere.
Sentivo il suo labbro inferiore strisciare contro ogni centimetro libero della mia pelle, e gettai la testa all'indietro in modo che i capelli mi ricadessero sulla schiena.
Quando, a questa scena già abbastanza intima, aggiunse la lingua temetti di sentirmi male. Strinsi la presa nei suoi capelli, e lo sentii sospirare.
Quando tornò sulle labbra, sentii il sapore del mio profumo invadermi la gola.
«Non ti facevo così focosa, Moore.»
Disse con una voce inverosimilmente sensuale, appena si fu staccato da me.
«E io non ti facevo così sfacciato, Styles.»
Mi regalò un dolce bacio a stampo prima di alzarsi.
«Ora, posso dirti ufficialmente che questa sarà una buona nottata.»
Mi fece un occhiolino e, con la stessa velocità con cui era entrato, sparì dalla mia stanza.
Solo in quell'istante, mi accorsi che era solamente in boxer ma, curiosamente .a cosa non m'imbarazzò più di tanto.
Mi lasciai cadere sul cuscino, rimuginando su quello che era appena successo.
Cosa avevo provato durante quel bacio?
Dolcezza? Sì.
Passione? Sicuramente.
Eccitazione? Anche.
Amore? Forse...
Quel ragazzo, mi stava realmente scombussolando la vita.
E io non facevo nulla per impedirglielo.







SPAZIO AUTRICE.
Salve Peaple!
Scusate il ritardo ma sono stata in campleggio e mi ha distutto D:
Okay, ho avuto MOLTISSIME difficoltà a descrivere la scena del bacio ma...spero sia piaciuta. L'ho cancellata tre volte e ancora ora non mi soddisfa D:
Ora, sono giori che sono euforica all'idea che il quattro settembre vedrò uno dei miei cantanti preferiti quindi..ADISBNDIAN, sclerate con me? Ahsuiandia **
Okay, stop it.
Beh, considerato che è l'una e mezza forse è meglio che io vada a dormire, quindi, insieme ad Harry e Hope, vi auguro la Buonanotte.
RECENSITE, please.
Vi adoro, un baciooone.

S

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Mi svegliai con un mal di testa che m'impediva di capire persino dove fossi.
Sbattei velocemente le palpebre e mi misi a sedere sul letto, giungendo alla conclusione che quella notte era accaduto un qualcosa che non doveva assolutamente succedere.
Scossi la testa, peggiorando ancora di più la situazione dei miei capelli, già aggrovigliati neanche fossero un cespuglio di rose.
Mi alzai sbuffando e con l'aria alquanto sonnacchiosa mi diressi in bagno, dove la mia spazzola m'attendeva, sul lavandino, pronta per svolgere il suo lavoro.
Ammirai il mio riflesso nel vetro e feci una smorfia.
«Dovrei cominciare a comprare delle creme per le occhiaie.»
Sbottai piegandomi per aprire lo sportello inferiore, per cercare qualche prodotto di Anne che potesse essermi utile.
«Beh, di sicuro non hai bisogno di creme per la cellulite.»
Sobbalzai con talmente tanto impeto da tirare una testata sul piano del mobile.
«Porca miseria. Harry, devi finirla di arrivarmi alle spalle in questo modo!»
Esclamai passandomi una mano sul punto della testa dove avevo preso il colpo.
«La prossima volta che devo venire in bagno ti faccio uno squillo così ti prepari.»
Esclamò ironico ridacchiando.
Gli feci una linguaccia e poi appresi il senso della sua frase.
Guardai verso il basso e m'accorsi di essere in canottiera e mutande. Esattamente come avevo dormito.
Immediatamente, assunsi un colore simile al sedere di un babbuino e feci scivolare una ciocca di capelli davanti agli occhi.
Devi smetterla di cacciarti in queste situazioni alquanto imbarazzanti, ragazza.
Cercando di sviare il momento, continuai a fare quello che stavo facendo prima dell'apparizione del riccio.
«La smetti di fissarmi così? Mi metti in soggezione.»
Mugugnai, lanciandogli un'occhiata veloce: era appoggiato allo stipite della porta con una disinvoltura cosmica, come se quella sera non ci fossimo baciati, come se io non fossi mezza nuda e lui solamente in boxer.
Solamente in boxer?!
Come se fosse possibile, il colore delle mie gote aumentò di una gradazione.
Non potei a fare a meno però, di guardare il suo fisico e constatare che era cambiato parecchio da quando me n'ero andata.
Non risposi alla mia domanda, con due falcate riempì lo spazio che ci divideva e lo vidi comparire esattamente dietro di me.
«Non puoi venirci dopo in bagno?»
Mormorai voltandomi verso di lui.
Mi stupii di quanto fosse vicino e dovetti alzare lo sguardo per guardarlo in faccia.
Fece il suo solito sorriso strafottente che tanto mi piaceva (purtroppo...) e poggiò entrambe le sue mani sul mio viso.
«No, non posso venirci dopo.»
Mi diede un veloce bacio a stampo che avrei volentieri prolungato e tornò a guardarmi negli occhi.
«Vuoi dirmi che ti dispiace che io sia qui, sorellina?»
«Io non ho detto quello...Harry.»
Non so il perché, ma lo feci comunque: mi alzai sulle punte e poggiai le mie labbra sulle sue.
Sbigottito e sorpreso, fece un passo indietro, trascinandomi con sé.
Un secondo dopo, le sue mani giocavano malamente con la mia canottiera poco sopra il mio sedere e le mie si muovevano delicatamente sul suo petto, percorrendo i suoi piccoli addominali. Lo sentii tremare sotto al mio tocco e sorrisi compiaciuta, continuando a baciarlo.
Il mal di testa non era scomparso, ma era passato in secondo piano quando avevo visto lui.
Mi piaceva il modo in cui mi toccava, mi accarezzava e mi baciava.
E nonostante rimanesse un cafone, arrogante e presuntuoso aveva il suo fascino.
«Lo sai che tutto questo è sbagliato, vero?»
Chiese poggiando la fronte alla mia.
«Lo so, ma voglio far finta di non saperlo.»
E, fu in quel momento che lui fece una cosa che veramente mi stupì.
Mi abbracciò, facendomi poggiare la testa sulla sua spalla e soprattutto, facendomi rimanere di sasso.
Un abbraccio è un gesto da persone sensibili e dolci. Lui non era per niente sensibile e non era per niente dolce. O, almeno, così era l'opinione che io m'ero fatta di lui.
«Ti voglio bene, Hope.»
La sua voce spazzò via ogni pensiero che stavo formulando e mi pietrificò. Questa volta, letteralmente.

 

Harry

Per una volta, non ascoltai quell'insulsa vocetta odiosa proveniente da chissà quale meandro del mio cervello e la strinsi a me, annusando il suo profumo.
Il suo profumo, che sapeva solamente di...lei.
I fidanzati si abbracciano. Gli innamorati. E noi non eravamo nessuno dei due.
Eppure la stai tenendo stretta come se dovesse scappare da un momento all'altro.
No, beh...S'abbracciano anche gli amici e i fratelli, no?
Sì, ma non in questo modo, Styles.
Abbassai gli occhi e vidi le mie braccia allacciate intorno alla sua vita e il suo corpo che combaciava perfettamente con il mio.
Sentivo il suo respiro (irregolare, ci tengo a precisare) sul mio collo e le sue mani leggere vagare sempre nella stessa zona.
Sorrisi e cercai di ricordarmi l'ultima volta che mi ero sentito così bene.
«Ti voglio bene, Hope.»
Mi sentii sussurrare poco dopo.
L'ho detto sul serio? Oddio, l'ho detto ad alta voce?
Il suo corpo s'irrigidì, e le sue mani si fermarono di colpo.
Si allontanò da me e piantò i suoi occhi meravigliosamente castani nei miei.
«Harry Styles prova dei sentimenti?»
Smorzò la frase, trattenendo il respiro per non so quale motivo.
Stavo per ribattere, sentendo che quello che credevo il vero me stronzo e impassibile stava tornando, quando una voce proveniente da fuori m'interruppe.
«Hope? Sei lì dentro?»
Lei impallidii, e si voltò verso la porta regalandomi una bellissima visuale dei suoi glutei.
«Sì, papà. Che c'è?»
Urlò insicura.
«Oh, niente. Volevo solamente avvertirti che è pronta la colazione. Lo svegli tu Harry? Io devo andare a lavoro...»
Io smorzai un'ironica risata sul nascere, ricevendo un'occhiataccia che mi sarei volentieri risparmiato.
«Certo pà. Tranquillo, faccio io.»
«Allora a stasera. Buona giornata, piccola.»
«Buona giornata.»
Un rumore di passi sommessi che si andavano spegnendo, e poi il nulla.
Silenzio, che fu subito riempito da un sospiro della ragazza.
«Sì, piccola. Vai a svegliare tuo fratello.»
Mormorai mentre lei si dirigeva verso l'uscita del bagno.
Mi lanciò la seconda occhiata sanguinaria in cinque minuti e mi lasciò solo.
Nonostante non me l'avesse detto apertamente, sapevo mi voleva bene anche lei.

 

Hope

Mi toccai le labbra sorridendo, consapevole del fatto che sapevano ancora di lui.
Cosa sbagliatissima. Non avrei dovuto baciarlo. Non avrei dovuto abbracciarlo. No, no, no.
Afferrai il telefono che trovai, non so perché, in salotto e composi velocemente il numero.
Una voce assonnata e rantolante rispose al secondo squillo.
«Pronto?»
Mugugnò con la voce impastata dal sonno.
«Charlie. Ho fatto un casino.»
Risposi senza troppi complimenti.
Sentii un rumore strano provenire dall'altra parte della cornetta e immaginai Carlotta si stesse alzando dal letto.
«Parla.»
Ecco l'ennesima cosa che amavo di lei: andava dritta al punto, cosa che non tutti sanno fare.
«L'ho baciato. Cazzo, l'ho baciato!»
Esclamai rendendomi realmente conto della cosa: avevo baciato il mio fratellastro.
«Due volte, anche!»
La sentii trattenere il fiato e subito dopo una valanga di parole mi travolsero, con la stessa forza di un tornado.
Sapevo che aveva capito di chi parlavo, ne ero certa. E ciò che disse, dimostrò che avevo ragione.
«Cazzo, Hope! Harry? Tu ti sei fatta Harry? Oh, porca miseria questo è un bel casino. Ma è...è..tuo fratello? Oh, Dio. Quando ti ho detto che avresti potuto farci un pensierino, io scherzavo! Non credevo tu m'avresti preso in parola. E ora? Cioè, lui? Calmati, Hope. Calmati.»
Risi apprezzando la mancanza di finezza della mia migliore amica e roteai gli occhi al cielo.
«Mi sembra che quella che si dovrebbe calmare qui, sei tu.»
«Ma...ma...ti rendi conto? Insomma....Ti sei fatta tuo fratello!»
Ribadì, sottolineando il concetto.
«Non mi stai aiutando molto, sappilo.»
Dissi scoraggiata, accorgendomi che un Anne alquanto confusa e curiosa mi guardava dalla cucina.
Le sorrisi in segno di saluto e immediatamente capii perché mi guardava in quel modo: stavo parlando in italiano.
Non ci facevo più neanche caso, ma in realtà sapevo parlare perfettamente entrambe le lingue.
«Sei una vera casinista, bell'inglesina.»
«Oh, ma grazie. Lo so. Me l'hai ripetuto per...due anni?»
«E continuerò a ripetertelo.»
Boom, boom, boom.
Schizzai dal divano quando il mio problema scese delicatamente le scale, piombando nel salotto.
Mi sorrise malizioso e mi fece un occhiolino per poi schioccare un bacio sulla testa di sua mamma che lo guardò felice.
«Hope? Hope, hai capito cosa ti ho detto?.»
«No. Scusa, ero distratta.»
«Da lui? Pft.»
«No, no...da...»
Inciampai nel mio stesso discorso cercando un buon motivo per sviare il discorso.
«Scommetto da un carciofo dai capelli ricci e gli occhi verdi.»
Borbottò lei.
«No, in realtà...E tu che ne sai?»
Sbottai quando mi accorsi che aveva fatto la descrizione di Harry senza che lo avesse mai visto.
«Moore, ho capito chi è. Harry Styles, diciotto anni. Cantante e bell'imbusto dei One Direction.»
«Oh.»
Non riuscii a dire altro. Tutto quello che stavo pensando era che la mia migliore amica era in un altro Paese e io mi stavo complicando la vita in un modo indescrivibile. E lo stavo facendo da sola.
«Tu mi sottovaluti.»
Terminò lei.
Io sottovalutavo tutti. Anche me stessa.

 
Buttai il cellulare sul divano e raggiunsi Anne e suo figlio che stavano già facendo colazione.
«Dormito bene, Hope?»
Mi chiede dolcemente la donna.
Io abbozzai un sorriso e annuii addentando una frittella alla nutella (naturalmente).
«Ehi, oggi vieni con me dai ragazzi?»
Mi chiese il riccioluto prima di bere del latte.
Senza pensarci troppo risposi di sì.
Un'altra giornata delle mie stava per cominciare.






SPAZIO AUTRICE.
Buonanotte, gente!
Considerato che è l'una e venti direi che è più che giusto augurarvi una buona nottata.
In questo Capitolo non succede molto (o forse sì...nah) però mi rifarò con il prossimo (credo, e spero).
Hope you like it.
RECENSITE PLEASE.
E tu. Sì, tu. CARLOTTA SE NON TORNI A RECENSIRE QUESTE SCHIFEZZE...NON SO CHE TI FACCIO. NON LO SO. #muchlove
Grazie a tutte voi che continuate a seguire questa storia. Grazie, grazie, grazie.
SSSS
SPAZS
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


«Ehi, ma Niall da quanto è che suona?»
Domandai voltandomi verso il riccio che teneva saldamente le mani sul volante e lo sguardo fisso sulla strada.
«Lo conosco da due anni e l'ho sempre visto suonare.»
Mormorò sul vago, svoltando a destra.
Io annuii pur sapendo che non mi stava guardando e tornai ad ascoltare la tenera, odiosa, vocetta, che senza il mio permesso s'insinuava continuamente nella mia mente e in quel momento mi stava apostrofando sul fatto che ero veramente troppo confusa. Ma troppo. Troppo, troppo.
«Cosa devi fare con i ragazzi?»
Esordii da perfetta idiota qual ero.
«Dobbiamo provare per il matrimonio di mia madre ed Erik. Ci hanno chiesto di cantare alla festa.»
Anne + papà = matrimonio.
Mi battei una mano sulla fronte, dandomi della stupida ad alta voce. Come avevo potuto dimenticarmene?
«Il matrimonio! Me n'ero dimenticata. Non ho il vestito, non ho niente. E c'è domani, cazzo.»
«Tu sì, che sei una ragazza fine, Hope.»
Feci una smorfia e mi portai le mani sulla testa.
E ora? Come faccio?
Ero stata così impegnata a pensare a ciò che dovevo fare riguardo alla mia vita sentimentale che avevo completamente rimosso il fatto delle nozze. Neanche fosse stata una cosa da poco.
Stavo perdendo colpi. Oh, sì.
Sedici anni, e non mi ero ancora resa conto che la vita va avanti nonostante i tuoi problemi. Ed era una cosa che avrei dovuto imparare, dato che di problemi ne avevo avuti eccome.
L'unica cosa che mi passava per la testa, era che avrei dovuto prendere il telefono e fare una chiamata d'urgenza a Carlotta per dirle che avevo bisogno di uno shopping d'emergenza. Ma c'era un piccolo problema. Lei era nientemeno che a distanza oltre Paese. Se esiste, s'intende.
E non mi pareva il caso di chiedere a mio padre d'accompagnarmi. E neanche ad Anne.
E neppure ad Harry. Dovevo andarci da sola.
Ma quando?
«Scendi, o vuoi rimanere a contemplare il cruscotto della mia auto?»
Sbuffò stizzito il mio “accompagnatore” che mi aveva appena aperto la portiera.
E come diavolo c'è arrivato lì?
Lasciai in macchina la borsa e scesi, incamminandomi verso l'entrata senza aspettarlo.
Bussai un paio di volte prima che un annoiato Zayn aprisse la porta.
Gli sorrisi e lui ricambiò con un'alzata appena accennata di labbra. Mi stava simpatico quel tipo. Non parlava troppo ma sapeva il fatto suo. Aveva un certo...fascino, diciamo.
Lo superai ed entrai in casa fiondandomi direttamente nel giardino, dove ero certa ci stessero aspettando gli altri.
«Hope!»
Urlò Niall sbracciandosi da sotto il grande albero. I restanti due si girarono e mi fecero un cenno con la mano, sorridendomi.
Ricambiai il gesto e mi accovacciai vicino al biondo che mi offrì un biscotto che, ovviamente, non rifiutai.
«Harry l'hai lasciato a casa?»
Disse sputacchiando briciole ovunque.
«Avrei voluto darlo in pasto al bulldog del vicino ma, purtroppo, non è legale.»
Borbottai suscitando una risata generale.
«Bulldog? Non ci ho mai pensato...sarebbe carina come scena. Anche se preferisco le stragi ad effetto.»
Mormorò Louis passandosi una mano sui capelli che finirono sparati in tutte le direzioni. Avrei voluto fare qualche battutina ma mi trattenni. Mi stava simpatico quel ragazzo. E poi era così carino con quell'aria da bambino.
«Amico, non sapevo avessi in casa un'omicida seriale.»
Disse il ragazzo al mio fianco portandomi un braccio intorno alle spalle.
Io sorrisi compiaciuta al riccio che si era appena sistemato di fronte a noi.
«Se tu non ne fossi al corrente, Hope ha detto che...»
«Va bene, Lou, abbiamo capito. Ora, cominciamo per favore.»
Liam subentrò nel discorso impedendo che si scatenasse un putiferio, e come al solito, gli fui silenziosamente grata per il salvataggio.
«Niall, cortesemente, potresti mollare i tuoi maledetti biscotti all'uvetta e prendere la tua maledetta chitarra?»
Chiese con falsa eleganza Zayn, porgendo lo strumento al ragazzo.
Vedendo la faccia delusa del ragazzo, l'afferrai al posto suo e la impugnai come mi aveva insegnato a fare anni prima mia madre.
«Se siete d'accordo, posso accompagnarvi io.»
Alzai la testa e trovai cinque paia di occhi increduli che mi fissavano.
«So che la cosa può stupirvi, sono una ragazza, vivo con Harry Styles, eppure so fare qualcosa del diverso dallo scopare. Strano, eh?»
Il diretto interessato mi lanciò un'occhiata torva e aprì la bocca per ribattere ma, come da copione, Liam sonounsalvatore Payne lo interruppe.
«Sarebbe meraviglioso. Sai la canzone?»
«Certo che la so.”»
Mi fece un occhiolino d'incoraggiamento e poi, battendo il piede per terra, mi diede il tempo per partire.
Nella mia mente, appena sfiorai le corde, apparvero le immagini mie e di mia madre, sedute in veranda che ridevamo per i miei tentativi falliti di suonare un accordo giusto o semplicemente, di tenere la chitarra nel verso giusto.
Trattenei per un attimo il respiro e ricacciai indietro una lacrima che sentivo già sulla via del non ritorno.
Senza che io me n'accorgessi, stavo già suonando e i ragazzi mi seguivano intonando una canzone. La canzone che amavo. Taken.
Sempre grazie a Carlotta che mi aveva veramente presa per sfinimento, sapevo quasi tutte le loro canzoni. Compresa quella.
Aveva un testo così vero, così speciale.

 

Who do you think you are?
Who do you think I am?
You only love to see me breakin'
You only want me 'cause I'm taken
You don't really want my heart
No, you just like to know you can
Still be the one who gets it breakin'
You only want me when I'm taken.”

 
A quel punto, sentii lo stomaco attorcigliarsi e mi venne la pelle d'oca.
Perché? Perché lui era fottutamente lui?
Lasciai cadere la chitarre che cadde a terra con un tonfo, ricevendo occhiate interrogative da tutti gli altri.
Fissai lo sguardo negli occhi verdi del mio fratellastro e provai un brivido che mi fece sussultare.
Lui, i suoi capelli, la sua voce, le sue iridi, il suo carattere di merda e la tenerezza che a volte suscitava in me la speranza che lui non fosse quello stronzo senza via d'uscita che voleva far credere d'essere.
«Va tutto bene?»
La voce di Liam arrivò come ovattata al mio timpano.
Era come se non esistesse nient'altro se non i nostri occhi incatenati.

Mi alzai senza distogliere lo sguardo e mormorai un qualcosa che speravo avesse un senso.
«Scusatemi io...io...devo andare a...comprare qualcosa.»
Corsi verso quella che speravo fosse l'uscita e non ascoltai le proteste che mi giungevano alle spalle.
Non sapevo dove andare, cosa fare. A dir la verità, non sapevo neanche perché ero sparita così. Anzi, lo sapevo. Ma non volevo ammetterlo.

 

Harry

I suoi occhi castani non davano nessun segno. Non riuscivo a capire cosa stesse provando, non riuscivo a capire perché mi stesse fissando in quel modo.
Sapevo soltanto che la mia testa era da un'altra parte, in quel momento.
Come la sua, a quanto pare.
Si alzò, e il mio cuore accelerò. Sapevo benissimo cosa stava per fare.
«Scusatemi io...io...devo andare a...comprare qualcosa.»
Balbettò, e poi corse fuori.
Senza pensarci due volte, lanciai uno sguardo agli altri e schizzai verso la casa dove lei era appena scomparsa.
Arrivai al vialetto principale pensando d'essere un vero deficiente quando la vidi. Stava per svoltare l'angolo.
«Hope! Hope, fermati!»
Immediatamente, i miei piedi si mossero verso di lei, e quando il mio neurone arrivò alla conclusione che non si sarebbe mai fermata di sua spontanea volontà, ormai l'avevo raggiunta.
L'afferrai per il gomito e la feci voltare verso di me.
Abbassò la testa ma non lo fece in tempo per impedirmi di vedere.
Boom. Un colpo al cuore, una lama nel petto. Stava piangendo.





LOOK AT ME, NOW.
Scusate, scusate, scusate, scusate, scusate.
Sono in un imperdonabile ritardo ma ho avuto due settimane movimentatissime.
Sono stata a Milano all'incontro con Conor Maynard (ragazze, è uno spettacolo **), poi a Roma dalla mia migliore amica (e lei sì, che è un vero spettacolo), anche se non sono riuscita a vedere la mia bellissima stronza, FutureMrsStyles, per dei problemi che si sono verificati. Mi dispiace tanto, tesoro. Lo sai D:
Ora, spero mi perdonerete.

E RECENSITE.
Hope you like it.
Lov iu. (?)


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Harry

«Stai..stai piangendo?»
Mormorai come un perfetto cretino, guardandola negli occhi.
Quegli occhi maledettamente scuri.
Quegli occhi perfettamente castani.
Quegli occhi fottutamente offuscati dalle lacrime.
Non riuscivo a capire che razza d'emozione stesse provando, a cosa stesse pensando.
«No. Non sto piangendo.»
Rispose, pulendosi il viso con un gesto prepotente della mano libera.
«Sono quasi sicuro che tu stia piangendo.”
Ribattei tentando, intanto, di capire cosa fosse meglio fare.
«Ho detto che io non sto piangendo!”
Ringhiò cercando, inutilmente, di divincolarsi dalla mia presa.
I nostri sguardi s'incontrarono a metà strada e sentii un brivido percorrermi tutta la schiena.
Improvvisamente, senza un motivo logico sentii una fitta allo stomaco e per poco, resistetti all'impulso di piegarmi in due su me stesso.
«Okay. Va bene, tu non stai piangendo. Ma ora vieni lo stesso con me.»
Stupendomi, lei non ribatté e s'incamminò, seguendomi, verso la macchina a pochi metri da noi.
Bene, bravo. E ora? Cosa fai? Dove la porti di bello, a spasso come i cagnolini?
Scossi impercettibilmente (spero) la testa mentre le aprivo la portiera dell'auto.

 

«Dove andiamo?»
Domandò lei, con le guance ancora arrossate e un leggero sorriso stampato sul volto.
Mi volsi giusto il tempo necessario per marchiarmi la sua espressione nella memoria.
«Non ti mancava un vestito per domani?»
Dopo un attimo di silenzio, sentii la sua voce riempire l'abitacolo.
«Non te l'hanno insegnato che non si risponde ad una domanda con un'altra domanda?»
«L'hai appena fatto anche tu.»
Il suono dolce della sua risata mi influenzò, facendomi ricambiare il gesto senza neanche che me ne accorgessi.
Sei diventato un rammollito, Styles. Uno stupido, melenso innamorato.
 

Hope

«Te l'hanno mai detto che hai un bellissimo sorriso?»
Mormorai, pentendomene subito dopo.
Ma cosa ti passa per il cervello? Ammesso che tu ce l'abbia, ovviamente.
«Oh, beh. Forse...due o tre mila persone. Ma grazie.»
Rispose alludendo chiaramente a tutte le sue fan/spasimanti che non aspettavano altro che cadere ai suoi piedi.
«Questa modestia, stranamente non mi sorprende.»
«Ne sono felice.»
Mi fece un occhiolino e sbuffai, senza però, abbandonare il sorriso.
Siamo lunatiche, eh? Un attimo prima piangi e un attimo dopo ridi.
Era strano tutto quello che era successo. Tutto, era troppo strano.
Io lui lo odiavo. Io dovevo odiarlo. Non poteva essere altrimenti.
O lo odiavo o.....no, la seconda opzione non era neanche plausibile. Neanche da prendere in considerazione.
Va bene, l'avevo baciato una volta. Due. Ma questo non voleva necessariamente dire che io lo amassi. Credo.
«..Che fai, non rispondi?»
Lo guardai non capendo cosa volesse dire, fino a quando non associai la sua frase allo squillo proveniente dalla mia borsa.
«Merda.»
Mi tuffai letteralmente sotto il sedile, arrivando a rispondere al settimo squillo con il fiatone.
«Mi è venuta un'idea!»
Allontanai il cellulare dall'orecchio nel vano tentativo di non rompermi un timpano e sorrisi.
«Ciao anche a te, Carlotta.»
«Sìsì, come vuoi. Ciao. Ascoltami ora: tu sei innamorata persa del tuo fratellastro e questa cosa non va assolutamente bene. Però, c'è anche quel tuo amico, là. Gaetano o come si chiama.»
«Gaetano?»
«Sì, quello. Fai finta d'aver capito. So che hai capito, sei tu quella intelligente fra le due. Comunque, c'è lui. Buttati fra le sue braccia, e dimenticati di quel pezzo di gnocco di Harry Edward Styles.»
Naturalmente, la conversazione si stava svolgendo in italiano ma quando il ragazzo al mio fianco sentii il suo nome provenire dall'altra parte del telefono alzò un sopracciglio.
«Senti, genio, fosse così facile l'avrei già fatto. Capisco che il tuo intelletto non raggiunge livelli vertiginosi ma 'Gaetano' non è per me, quello che pensi tu. Okay, Itan è un bellissimo ragazzo, ma...»
«Ma tu sei cotta di Harry Edward Styles.»
Completò la frase, rimarcando il nome. A questo punto, lui s'inserì nella chiacchierata.
«E' un appello? Devo rispondere 'presente'?»
Prima dell'esplosione definitiva della mia migliore amica cercai di placare il “demone” che si sarebbe presto impossessato della ragazza. Misi in viva-voce la chiamata e presi un gran respiro.
«Sì, Harry questa è Charlie, la mia migliore amica. Charlie...beh, sai chi è.»
«Oddio. Oddio, oddio, oddio. Sto parlando con lui. Oddio, mi sta ascoltando. Oh, ma quindi dovrei parlare in inglese? Oh, certo. Certo, giusto. I-love-you. Do you understand?»
Guardai il riccio e scoppiai a ridere allo spelling improvvisato e lui fece lo stesso.
«Hope, ha capito?»
Aspettai qualche secondo prima di rispondere, cercando di riprendermi dagli spasmi provocati dalle risate mie e di Harry.
«Sì, credo d'aver capito. Grazie, anche io ti amo.»
«Oddio. L'ha detto sul serio? Oddio. Harry mi ama.»
«Certo, Carlotta. Chi non ti ama? Okay, ora che abbiamo chiarito questo fatto possiamo tornare al motivo per cui tu hai chiamato?»
«Cioè, tu sei vicino a Lui e mi chiedi di non farci caso? Eh? Dimmi, come faccio?»
«Va bene, hai ragione. Se vuoi me ne vado, lascio il telefono a lui e vi dichiarate!»
«Oh, che splendida idea. Vedi, tu sì che sei furba.»
«Ciao, Charlie.»
«No! Non buttare giù. Non t'osare. Non ci provare.»
Risi e schiacciai il tasto con la cornetta rossa per poi guardare il guidatore.
«Quello che stai pensando, è corretto: è totalmente, incondizionatamente ossessionata da te.»
«Come tutte, d'altronde.»
«Non ti smentisci mai.»
«Mai.»
Ribadì lui.
Risi e pensai che, infondo, avevo intorno delle persone fantastiche.

 
«Harry, io qua dentro non posso neanche permettermi di guardare i manichini.»
Dissi lasciando cadere un cartellino di un prezzo riferito ad una maglia.
Non mi rispose neanche. Si avvicinò ad una commessa e le mimò un qualcosa che non capii. Poi, quando questa mi fece cenno di seguirla obbedii senza farmelo ripetere due volte.
Ci trovavamo in un negozio, a parecchi isolati da casa. Non l'avevo mai visto prima ma sembrava molto...in voga. Le persone che si trovavano dentro portavano preziosi gioielli al collo e al polso, avevano un'aria indispettita e fredda e sembrava stessero contemplando un Santuario. Diciamo che non sembrava il tipo di habitat adatto ad una come me. Adatto a me.
«Vai e torna più bella di sempre.»
Per un attimo, rimasi incantata a guardare quelle iridi color smeraldo, che avevano interrotto il mio flusso inutile di pensieri.
«Vado. Anche se non so dove, vado.»
Sussurrai, tentando di riprendermi dal mio shock temporaneo.

 
«Tuo fratello mi ha detto che ti serve un abito per un matrimonio. Quindi, eccoci qui.»
Esclamò la ragazza che poco prima avevo visto parlare con Harry, indicando dei vestiti appesi ad un'asta che sembravano valere una fortuna.
Tuo fratello.
Tuo fratello.
Tuo fratello.
«E'...sicura, che siano questi?»
Fece una mezza risata e ne afferrò uno a caso.
«Sicurissima. Ora, vediamo di trovarne uno adatto a te.»
Io annuii e mi avvicinai a lei.
La bionda mi sorrise incoraggiante e mi fece un cenno con la mano, rivolto agli abiti.
Da quello, capii che dovevo sceglierne uno.
«Oh, certo.»
Mormorai.
Li guardai per una manciata di secondi e, incapace di aprire bocca, lasciai parlare la commessa.
«Vediamo. Hai gli occhi e i capelli scuri, quindi direi di optare per un colore chiaro. Un bel rosa, magari.»
Mi guardò attendendo un mio commento che le fornì poco dopo.
«Rosa? Non...non ha un colore meno...da confetto?»
La ragazza rise e, capendo cosa intendevo, annuì.
Io la osservai meglio. Una ventina d'anni, massimo venticinque. Capelli biondo platino e un sorriso da modella stampato in viso. Due occhi di un colore particolare, tendente al blu, furbi.
Qualcosa mi diceva che non dovevo completamente sottovalutare quella tizia.
«Allora? Che ne dici di questo?»
Alzò un abito azzurro, splendido.
«Oddio. Ma è...troppo. Per me.»
«Per una ragazza, niente è mai troppo. Ricordatelo, bambina.»
Mi fece un occhiolino e mi tese il vestito lanciando un'occhiata dietro di me, rivolta, probabilmente, ad Harry.
No, aspetta. A chi?
Mi voltai per accertarmi che la cosa fosse giusta e, in effetti, c'era proprio lui che si stava aggiustando i capelli. Splendidi, meravigliosi capelli.
Cercai di reprimere una sensazione piuttosto strana -rabbia? Gelosia, forse? Naaah- e mi diressi verso il camerino.
Io, Hope, avrei indossato un vestito che non avrei mai immaginato neanche di poter guardare.
Insomma, una tipa tutta jeans e felpe non dovrebbe andare in giro con un indumento lungo a malapena fino alle ginocchia e senza spalline. Credo.

 

Poco dopo, stavo fissando la mia immagine riflessa nello specchio. O, almeno, quella che sarei dovuta essere io, se non fossi stata strizzata in mezzo metro di stoffa.
«Posso avere l'onore di vederti?»
Sussultai al suono della sua voce e, istintivamente, mi girai verso l'entrata dello spogliatoio.
«No. Porta sfortuna vedere l'abito prima del matrimonio, Harry.»
Sentii la sua risata e sorrisi mordendomi il labbro inferiore.
«Credo valga solo per la sposa, sai?»
«Ne sei sicuro? Resto dell'idea che sia meglio non rischiare.»
«Giusto. Meglio non rischiare. Però, ci vuole qualcuno che ti dica come stai, no?»
«Mh. Forse.»
Feci un giro su me stessa, per guardarmi da più angolazioni. Mi sentivo a disagio, vestita in quel modo.
«Vado a chiamare Steph, allora.»
«Chi sarebbe Steph?»
Chiesi incerta, incrinando leggermente la voce, immaginando già la risposta.
«Stephanie. La commessa.»
Oh, certo. Steph. Come avevo fatto a non pensarci prima?

 



 

SPAZIO AUTRICE.
Buonsalve gente!
I'm back, girls.
Yeeeeeeeeeeah.
Sorratemi il ritardo ma...Ho cominciato la scuola e ci hanno già massacrato di compiti. Non chiedetemi perché ho scelto il Liceo Classico, perché proprio non lo so.
Hope you like it.
Okay, in questo Capitolo non succede 'na mazza, però cercherò di rifarmi con il prossimo. Prometto. Veramente, scusatemi.
Ringrazio tutti voi che state leggendo ancora questa cosa non identificata, e ringrazio anche i lettori silenziosi. Really, thanks.
RECENSITE. Insultatemi, sputatemi via web, ma RECENSITE.
Grazie, un bacione. A pressssshto.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


«Hope! Sei pronta?»
«Arrivo, arrivo.»
Guardai per l'ultima volta l'immagine di quella ragazza riflessa nello specchio.
Quella ragazza con gli occhi castani, quasi neri, cerchiati di un leggero strato di matita dello stesso colore e con le palpebre leggermente sfumate di azzurro.
Quella ragazza fasciata in uno splendido vestito del medesimo colore, che scendeva morbido fino a metà coscia, con una cintura bianca sotto il seno e senza spalline.
Quella ragazza che sorrideva, mostrando le labbra lievemente velate di uno strato di lucidalabbra.
Quella ragazza con i capelli lisci, sciolti e raccolti semplicemente da una molletta.
Quella ragazza che, per la prima volta nella sua vita, stava indossando un paio di scarpe alte più di due centimetri.
Quella ragazza, che non sembrava minimamente...
«Hope Moore!»
Sobbalzai rischiando di sfasciare quei trampoli su cui tentavo di tenermi in equilibrio.
Nota per la prossima volta: mai mettere i tacchi in presenza di mio padre.
«Sto scendendo!»
Urlai uscendo dalla mia camera e scendendo, molto lentamente, al piano di sotto.
«Scusa il ritardo, papà.»
Mormorai arrivata in salone.
La sagoma di mio padre si stagliò davanti a me e lo fissai felice.
Quel giorno sarebbe stato il suo giorno. Il giorno in cui si sarebbe riscattato, avrebbe avuto la sua rivincita. Si sarebbe risposato, ma questa volta, in Chiesa.
«Sei bellissima, amore mio.»
Disse baciandomi dolcemente la fronte.
«Dovevo essere degna di stare al tuo fianco.»
Mi fece un occhiolino, che mi fece istantaneamente ridere.
«Allora? Possiamo andare? Non vorrei arrivassi in ritardo al tuo matrimonio. Di solito è la sposa che si fa aspettare...»
«Oh, sì. Hai ragione. E' meglio andare.»
Insieme, io e l'uomo che mi aveva cresciuto, uscimmo di casa, diretti ad una nuova vita. Che non avrebbe necessariamente cancellato quella vecchia.

 
«Sono a posto? Dimmi la verità.»
«Papà, sei magnifico. Ti sposerei io, se non fossi già occupato. Ora, andiamo.»
Cercavo di mostrarmi più sicura di quello che, in realtà, ero.
Scesi dalla macchina e mi guardai intorno, curiosa.
Conoscevo la maggior parte degli invitati. I restanti, probabilmente li avevo già visti ma non mi ricordavo chi fossero.
La Chiesa si trovava su una meravigliosa collinetta, immersa nel verde: c'erano alberi e piante di ogni tipo rese eleganti per l'occasione, panchine sparse per il perimetro del terreno e ...c'era lui, che rendeva tutto immensamente più bello.
Alt, alt, alt: Hope, che stai dicendo? Mi stai facendo venire il diabete, tesoro.
Sorrisi, decidendo di mandare definitivamente a quel paese la mia coscienza e mi diressi verso Harry che, voltato di schiena, parlava con un signore vestito in modo alquanto sobrio.
Sei ad un matrimonio, ragazzina. È normale che la gente non sia vestita da carnevale, non credi?
«Hope! Come sei cresciuta...ti ricordavo piccola così.»
Disse l'uomo gesticolando con la mano.
Sorrisi, facendo riaffiorare alla memoria un ricordo che avevo completamente eliminato.
«Salve, Signor Leand. Sono felice di rivederla...»
Mi sorrise beato e si girò, volgendomi la schiena.
Un secondo dopo, il datore di lavoro di mio padre era sparito. C'eravamo solo io ed Harry in quel magnifico posto.
Mi squadrò, dalla testa alla punta dei piedi.
«Non mi guardare in quel modo, mi fai sentire alquanto osservata.»
Smorzai, arrossendo di colpo: improvvisamente, sentii le guance andarmi a fuoco.
«Porca miseria, Hope. Sei...splendida.»
Balbettò, riportando lo sguardo sul mio viso.
«Oh, beh...Grazie mille.»
Abbassai la testa, rendendomi di nuovo conto che, effettivamente, c'erano altre persone intorno a noi.
Una camicia bianca era posta sotto al suo smoking nero che lo vestiva perfettamente.
«Stai molto bene anche tu.»
Ribattei sorridendo.
Stai usando un po' troppo questo verbo, ne sei consapevole?
Sì, lo sapevo. Ma non potevo farne a meno. Mi sentivo così...stranamente felice in sua compagnia.
Curvò le sue labbra verso l'alto, provocandomi un breve attacco di tachicardia.
«Che schianto, Moore!»
Un braccio mi cinse le spalle e capii immediatamente di chi si trattava.
«Mai quanto te, Horan.»
I suoi capelli biondi erano sparati verso l'alto e sembrava si fosse fulminato mettendo un dito dentro alla presa della corrente.
«Senti, sono venuto a prendere il signorino, qui. Potresti venire un attimo?»
Domandò ad Harry, che lo stava guardando con la testa leggermente inclinata di lato e la mascella serrata.
Annuì e, senza proferire parola, superò Niall aspettando che lo seguisse. L'ultimo citato, mi regalò un leggero buffetto sulla nuca e sparì.
Si prospettava una giornata stupenda.

 

Quella Chiesa, era un qualcosa di magico.
Sin da bambina, avevo considerato il matrimonio come un avvenimento intoccabile. Un Sacramento che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a distruggere. Invece mi ero dovuta ricredere.
Mia madre aveva sciolto questo legame con un battito di ciglia: erano bastati due mesi, una maledetta malattia e lei aveva deciso di lasciare mio padre e me da soli. Senza chiederci niente.
Era sparita dalla mia vita senza avvertirmi, senza salutarmi.
Mi passai una mano sulla guancia nel tentativo di cacciare via l'unica lacrima che aveva solcato il mio viso, stando attenta a non rovinarmi il trucco e mi girai verso l'entrata della Basilica.
Ormai era pieno di persone, non vedevo neanche ad un palmo dal mio stesso naso.
Da quando mio padre ha così tanti amici?
Una moltitudine di colori diversi si muovevano frenetici davanti a me, cercando inutilmente un posto libero sulle panche, ormai tutte occupate. Io, invece, avevo un posto davanti in quanto figlia dello sposo.
Ecco, lo sposo: guardai mio padre che, agitato, batteva i piedi per terra davanti all'altare ma sorrideva felicemente. Era così spensierato, quel giorno. Amava Anne e sapevo con certezza che lei amava lui. Certo, mi pareva veramente strano che l'uomo che era stato il marito di mia madre, si stesse per sposare con un'altra donna ma...del resto, la vita va avanti. Le persone vengono e vanno, i giorni passano il tempo scorre e tu non puoi fare altro se non rassegnarti a questo fatto.
Il suono dell'organo che annunciava l'imminente entrata di Anne, mi riscosse dai miei pensieri filosofici.
Si portava dietro uno strascico bianco e da sotto il vestito si potevano intravedere delle eleganti scarpe rigorosamente dello stesso colore dell'abito, con un tacco meraviglioso che lei portava veramente finemente.
Sembrava una regina.
La scrutai attentamente, giungendo alla conclusione che il figlio aveva preso tutto da lei. Partendo dal sorriso.

 

Una mano calda si posò delicatamente sulla mia, facendomi sussultare leggermente.
Voltai immediatamente lo sguardo verso sinistra e trovai un Harry Styles un po' troppo indifferente. Mi avvicinai al suo orecchio tentando di non farmi notare troppo.
«Mi spieghi che cosa stai facendo?»
«Nulla di strano...Perché?»
Rispose di rimando, intrecciando le dita con le mie.
Mi sentii percorrere da un fremito e a stento trattenetti un gemito; sentii le guance accaldarsi e gli occhi inumidirsi. Cosa caspita mi stava succedendo?
Non potevo. Non con lui.
Lui era il caldo io ero il freddo.
Lui era il sorriso io ero la lacrima.
Lui era un cantante io ero il nulla.
Lui era un predatore io una semplice vittima.
Lui era mio fratello.
«Vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa.»
Applausi e risate esplosero dietro di noi che, senza un motivo ben preciso, ci voltammo nello stesso momento l'uno verso l'altro.
I suoi occhi, verdi. Terribilmente, verdi. Amabilmente, verdi. Sembrava mi stessero chiamando. Mi sentivo così pericolosamente attratta da lui che il solo ricordare che la mia pelle era a contatto con la sua mi fece sentire stranamente a disagio.
Styles, stai mandando il mio cervello a puttane. Ammesso che non ci sia già.

 

Ho sempre odiato fare le foto: alle feste, poi.
Voglio dire, io amo fotografare. Ma apparire nelle foto, un po' meno.
«Siete pronti?»
Domandò mia zia, la sorella di mio padre, emozionata, che aveva appena impostata l'autoscatto nella macchinetta.
Mi sistemai accanto ad Anne che mi guardò brevemente, stringendomi poi al suo fianco.
Fortunatamente, era l'ultima fotografia della cerimonia, poi ci saremo dedicati alla cena, cosa che mi consolava enormemente: il mio stomaco stava cominciando a reclamare i suoi meritati viveri.
«Hope! Hope, vieni?»
Mi voltai verso Louis, che mi chiamava agitando un braccio dalla parte opposta della grande piazza, davanti alla Chiesa.
Gli sorrisi e sciolsi delicatamente la presa di Anne, per dirigermi dal ragazzo che m'attendeva con le braccia pronte ad accogliermi.
Mi strinse al suo petto, ridendo.
«Sembri una bambolina, sorella.»
«Sorella? Credo d'essermi persa qualcosa.»
«Sei la sorella di Harold, no? Ergo, sei anche la mia.»
Sorella. Già, ero la sorella di Harold.
Non potevo essere anche la sua ragazza. Non dovevo neanche pensarlo, quello.
Lo stesso Harold che mi stava fissando da quando mi ero buttata addosso al suo migliore amico.
«Vieni con me? Cioè, con noi. Abbiamo già preparato gli strumenti. Fra poco inizia la festa e, si sa: dove c'è festa, c'è Tomlinson.»
Mi limitai a ridere e lo precedetti, unendomi agli altri quattro.
«No, non hai capito. Tu non devi più toccare il mio gel. E' chiara la cosa?!»
Infuriò Zayn, apparentemente contro Niall, che lo supplicava con lo sguardo.
«Stanno seriamente litigando per una stupida lacca?»
«Non è lacca, è gel. Il mio gel.»
Ringhiò il pakistano, sbuffando rumorosamente.
Erano veramente dei casi persi. Ma, d'altronde io facevo parte del loro “gruppo”...dovevo cominciare a pormi delle domande.








SPAZIO AUTRICE.
Sono una stronza, lo so.
Scusatemi, mi rendo conto che è passato veramente troppo tempo dall'ultimo Capitolo e che sono in un clamoroso ritardo ma ho avuto un periodo...DI MERDA.
Letteralmente, di merda.
Ho cambiato scuola e già quello mi ha creato qualche problemino...
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE.
Questo capitolo, fa veramente schifo. I know. Non sono riuscita a fare di meglio e ora devo scappare che ho una giornata piena di cose da fare.
Ditemi che ne pensate: come al solito, insultatemi, picchiatemi (?), sputatemi in un occhio (?)...fate quello che volete, ma fate qualcosa. DITE QUALCOSA.
Un bacione, vi voglio bene.







 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


Harry

«Sei veramente un...un...non so definirti, amico.»
Ascoltavo i borbottii di Niall sgranocchiando un grissino che avevo trovato sul grosso tavolo rotondo agghindato per la cerimonia, in mezzo al giardino.
«Lo so, non c'è bisogno che me lo ricordi ogni minuto.»
Sbuffai, lasciandomi cadere sulla sedia.
Intorno a me c'era il delirio più totale: persone che ballavano, che cenavano oppure che parlavano, divisi in piccoli gruppi. E poi c'eravamo noi. E con noi, intendo io, Louis, Liam, Zayn e il biondo che discutevamo animatamente riguardo la mia cretinaggine.
«Da te mi sarei aspettato tutto, ma non questo.»
Rincarò la dose Liam.
«Ehi, che succede?»
S'intromise un'allegra Hope, sedendosi sulle gambe di Lou.
«Stavamo dicendo che Harry è un vero tonno.»
Lei spostò lo sguardo su di me e sorrise.
Boom.
Fu un attimo: mi sentii bruciare dall'interno, come se avessi appena bevuto un bicchiere di solo alcool a bocca asciutta.
E tutto questo per cosa, lurido idiota? Per una ragazza. Una ragazza, rendiamoci conto.
«Lo so.»
Commentò lei che, subito dopo, afferrò la forchetta del mio migliore amico e gli rubò un pezzo di torta dal piatto, non curandosi del fatto che lui la stesse fissando.
«Ma, ehi!»
Si lamentò lui, riappropriandosi della posata.
«Scusami Lou, lo faccio per il tuo bene. Per il tuo fisico.»
Si pulì la bocca sporca di panna e ridendo s'incamminò verso suo padre che la chiamava a gran voce dall'altra parte del prato.
Dio mio, ma cosa mi aveva fatto? Perché, oh sì. Qualcosa doveva avermi fatto.
Seguii ogni suo movimento e, per la prima volta, mi resi conto di quanto fosse meravigliosamente bella quella sera. In realtà, avevo già notato in precedenza come quell'abito risaltasse le sue forme ma, in quel momento, la vidi in modo diverso.
Styles, quanti bicchieri ti sei fatto, stasera? Quattro? Cinque?...
Non vedevo le sue gambe perfette, ma vedevo la sua pelle chiara.
Non vedevo il suo seno, messo in evidenza dal vestito succinto, ma vedevo quel piccolo neo che risaltava sul collo.
Okay, forse le vedevo anche quelle cose ma lei era così...maledettamente perfetta.
Mi alzai dal tavolo senza dire una parola, diedi la schiena a tutto quel caos e andai dietro ai grossi tendoni, dove finiva il prato e iniziava lo steccato che divideva la pianura dalla parete rocciosa della montagna.
M'appoggiai al vecchio legno della staccionata e guardai verso il basso.
Luci, palazzi, parchi. Tutto si mischiava e quella magnifica città, la mia città, Londra mi fissava incerta. Come io fissavo Hope.
Lei era l'unica ragazza che aveva la malsana capacità di rendermi insolitamente insicuro e farmi rimbecillire completamente allo stesso tempo. E questa cosa non riuscivo a spiegarmela.
Alzai la testa e cercai di rilassarmi un attimo, lasciandomi rinfrescare dalla fresca aria estiva che tirava, alle nove di sera.
Le stelle m'avevano sempre incuriosito. Fin da piccolo, mi chiedevo come potessero splendere così tanto in un cielo così buio. Insomma, se anche la razionalità andasse in questo modo, in base a questo ragionamento se tu metti una candela in una stanza lei dovrebbe accendersi. Senza la fiamma, senza il tuo aiuto. Ma non è così. Perché? Perché la vita non è come una stella. Quella trova la forza di sorridere comunque: che sia giorno o sera, s'illumina sempre anche se non la vediamo. Noi, invece...pft. Ci basta talmente poco per cadere in basso.
Tutto questo giro di parole, per dire cosa? Che la vita è come una candela, filosofo?
Già, è un paragone stupido ma è così.
«Ehi...ti cerco da un'eternità.»
La sua voce riempì la notte, rimbombò nella mia testa. Anche se non la stavo guardando, avrei scommesso tutti i miei riccioli che stava sorridendo.
«Non mi sono mosso di qui.»
Questa volta,, fui io a sorridere, pur sapendo che lei non poteva vedermi. Sentii dei leggeri passi dietro di me e poco dopo me la ritrovai accanto.
Trattenne il fiato per pochi secondi prima di parlare.
«Wow. È bellissimo da qui...»
«Una vista stupenda, direi.»
Mormorai quando i suoi occhi furono dentro ai miei.

Hope

Verdi. Per l'ennesima volta, m'incantai nei suoi occhi verdi.
«Sai cos'è? Che è tutta colpa tua.»
Sentii dire, dalla mia voce.
Lui mi guardò curioso, annullando ogni distanza presente fra noi.
«Colpa mia?»
«Sì, è tutta colpa tua. Solamente tua.»
«Posso chiederti di cosa stai parlando?»
Non risposi. Avrei solo sprecato fiato. Mi alzai sulle punte dei piedi, poggiai saldamente le mani sulle sue spalle e lo baciai.
Sentii il suo corpo irrigidirsi e, inizialmente, pensai mi volesse mandare a quel paese. Ma quando m'accorsi delle sue dita che, dolcemente, quasi avessero paura di disturbare, accarezzavano i miei fianchi mi lasciai andare.
Non mi ero mai sentita così stranamente bene. Mai. Forse, anche perché, in vita mia, non avevo mai amato.
Lui era così caldo, così invitante. Ma, allo stesso tempo, era proibito. Assolutamente, vietato.
Il suo petto premeva saldamente contro il mio e questo, certamente, non aiutava.
Non ero mai stata una di quelle ragazze che sognavano un “amore da favola”, un principe azzurro con tanto di carrozza. Non avevo mai pensato a queste cose. Io ero sempre stata “il maschiaccio”, la sbruffona del momento. Non la sentimentalista frignona. Ma, a quanto pareva, anche io avevo una parte patetica dentro di me.
Già, perché chi s'innamora non si può definire in altro modo se non patetico.
Solo il pensiero delle sue labbra umide che toccavano le mie mi fece fremere fra le sue braccia e lui ne fu visibilmente compiaciuto, considerato il modo in cui sorrise spostando la sua mano sul mio sedere.
«Harry....sposta quella mano, prima che te la trancio.»
Mormorai, appena riuscii a placare almeno di un minimo il respiro.
«Dimmi un po', Moore...Anche in Italia ti comportavi così?»
Sentendo la sua fronte poggiarsi sulla mia, lo fissai.
«Così...come?»
«Così. Immagino di non essere il primo che ti mette la mano sul culo...»
Risi sarcasticamente e alzai gli occhi al cielo, cercando d'allontanarmi da lui.
«Lo sapevo. Avrei dovuto saperlo fin dall'inizio. Mollami.»
Cercai di fargli mollare la presa sul mio polso ma, da copione, era troppo salda.
«Lasciami. Ti ho detto di mollarmi.»
Al mio settimo strattone riuscii a scollarmelo di dosso e mi voltai con l'intenzione di ritornare dagli altri ragazzi ma dopo due passi mi bloccai.
«E sai cosa ti dico?»
Esclamai, senza rifletterci troppo. E, forse, avrei dovuto veramente pensarci, prima di tornare indietro, piantare i piedi per terra, guardarlo e urlargli a due centimetri dal viso, una frase che avrebbe sorpreso anche me.
«Sei uno stronzo. Un fottuto stronzo che io amo.»
La sua espressione cambiò repentinamente. Passò da delusa, a confusa, felice e, infine, stupita.
Toccai distrattamente la mia guancia e m'accorsi che, oltre a quel poco di fondotinta, c'era un qualcosa di stranamente appiccicoso.
«Tu....insomma....che cosa?»
Sussurrò, impacciato, afferrando le mie mani lasciate cadere lungo i fianchi. Quel contatto, freddo e, in qualche modo, ricco d'emozioni, fu come una scarica di adrenalina: iniettò in me una carica di coraggio che mi fece sputare le seguenti parole senza che me ne rendessi conto. Era il mio cuore a parlare, non la mia mente.
«Oh, cazzo. Ti amo, Harry Edward Styles. Ed è tutta colpa tua.»
In quel momento, miliardi di pensieri affollarono la mia mente. Lui, io, mio padre. Ogni cosa.
Provavo rabbia, amore e, in un certo senso, delusione. Lui mi aveva appena dato della puttana e io gli avevo appena detto che lo amavo. Una bella differenza, direi.
Poggiai senza troppo difficoltà la testa sul suo petto e cominciai a piangere, spinta da un motivo a me sconosciuto.
Era tutto troppo strano, nuovo, per me. Io detesto i cambiamenti e quello era decisamente un cambiamento.
Continuavo a ripetere frasi alquanto insensate e sembrava che il mondo si fosse fermato ad osservare la scena.
«Ehi...basta. Calmati.»
Il suo pollice cacciò via le lacrime che ormai avevano ricoperto il mio volto e mi regalò un dolce bacio a stampo che placò i miei istinti omicidi verso quella splendida faccia da cazzo che avevo davanti.
«Non so è una colpa o un merito ma...sì, ti amo anche io, Hope Moore.»
Stop. Fermiamo questo momento, vi prego.
Era tutto quello che riuscivo a pensare. La mia materia grigia non produceva niente di più compromettente, in quel momento.
«Tutto questo è sbag...»
«Meraviglioso. Hope, tutto questo è meraviglioso. Guardati. Guardaci.»
Disse, intrecciando le sue dita con le mie.
«Io potrei anche guardarci ma non cambierebbe nulla. Noi siamo diversi, siamo fratelli.»
«No. Siamo fratellastri, non fratelli.»
Risi, ricordando quella citazione che avevo sempre ripetuto, fin da quando ero bambina e non sopportavo d'essere considerata la sorella minore di quel tipo che ora mi stava abbracciando come non aveva mai fatto nessun altro.
Nessuno mi aveva mai stretto come se fossi fragile.
Nessuno mi aveva mai stretto come se da quel contatto dipendesse la propria vita.
Nessuno mi aveva mai stretto. Punto.
«Non so cosa ci faccio ancora accoccolata a te, lo sai?»
«Sono irresistibile, ecco il perché sei ancora qui.»
«Presuntuoso.»
Arretrai e feci due passi indietro e, con una linguaccia, mi congedai.
Cosa caspita mi frullava nella testa? Nulla.
Mi ero completamente stordita.
Passai la lingua sulle labbra, assaporando quel gusto insolitamente aspro ma familiare che aveva lasciato Harry.
E ora? Cos'era lui per me? Non lo so. Veramente, non lo so.

In quel momento sapevo solo che lui mi stava sorridendo, come se non fosse successo nulla, dall'altra parte della stanza e stava provocando una reazione alquanto piacevole nel mio stomaco.






SPAZIO AUTRICE.
Scusate, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate.
SONO UNA MERDACCIA. Lo so.
Ma, credetemi....in questo periodo non ho molto tempo ed è anche un gran periodaccio. Ve lo giuro, odio questo periodo. Scusate.
Spero possiate perdonarmi e magari, insultarmi tramite una recensione. Vi prego, almeno voi rendetemi happy. (?)
Please...
Scusate, vi voglio bene e non mi sono dimenticata di voi.
Ah, perdonatemi anche se il capitolo fa pena. SCUSATE. Ci ho provato, ci ho messo me stessa.
Veramente.

FutureMrsStyles ti amo. Grazie di tutto.
A presto ragazze. Sorratemi. (?) 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


«Non lo so, Charlie. Non lo so, diamine.»
«Calm down, sorella. Non sai...perché ti sei fatta tuo fratello?»
«Io non mi sono fatta mio fratello...l'ho solo baciato.»
D'istinto mi portai la mano sulle labbra e sorrisi, nonostante quella non fosse decisamente la situazione più adatta ad un sorriso.
«Solo. L'hai solo baciato.»
Roteai gli occhi al cielo, immaginando la mia migliore amica che gettandosi sul letto diventava paonazza pensando alla frase ideale da sputarmi in faccia in quel momento. Perché sapevo stava facendo quello. Ne ero più che sicura.
«Ascoltami, lo sai come stanno le cose. Io ci ho provato, ma non ci riesco, va bene? Non riesco a comportarmi diversamente quando sono con lui.»
«Che vorresti dire, Hope? Che te lo trom...»
«Zitta, per favore. Ma non so cosa mi è successo. Mi ha cambiato. Harry mi ha cambiato.»
«Frena, frena, frena, bella pollastra. Stai dicendo che...sei innamorata di lui?»
Abbassai lo sguardo, riflettendo sulla risposta che avrei potuto dare.
Innamorarsi. Com'è che era? Ah, già. Innamorato è sinonimo di idiota.
Allora ero decisamente idiota.
«Credo di sì, Charlie.»
Ammisi, passandomi una mano sulla fronte nel vano tentativo di asciugarmi un sudore inesistente.
«Oh. Questo cambia ogni cosa.»
Si limitò a rispondermi la ragazza, all'altro capo del telefono.
«E' sbagliato tutto questo, vero?»
Mormorai, aspettando timorosa una risposta.
Ma, in effetti, cosa c'era di sbagliato? Lui era un membro della mia famiglia, d'accordo. Ma non avevamo un legame effettivo, di sangue.
Quindi, niente d'illegale, no?
Sentii un leggero sospiro e poi la voce insolitamente docile di Carlotta.
«No, tesoro. Non è sbagliato. Se vi amate, non è per niente sbagliato.»
«Lo so ma...»
Non feci in tempo a terminare la frase e mi voltai sussultando, sentendo la mano di qualcuno posarsi sulla mia spalla.
«Dio, Liam. Mi hai fatto prendere un infarto.»
Lui mi sorrise, alzando le spalle.
«Scusami, non era mia intenzione spaventare una graziosa donzella come te.»
«Graziosa donzella? Ti sei ingoiato il manuale del perfetto gentiluomo?»
Domandai ricambiando l'ampio sorriso.
«Tuo padre ti sta cercando da circa mezz'ora. Di là stanno ballando tutti e tu sei trepidamente attesa.»
«Oh, hai ragione. Mi avevano avvertito di queste...danze.»
Mugugnai, un po' incerta sulla definizione che gli avevo appena sottoposto.
«Arrivo subito.»
Terminai la frase, prima di riportarmi il telefono all'orecchio per ascoltare la sfuriata della ragazza ormai in preda al panico.
«...tu stai parlando con quel Liam Payne? James? Santo cielo e ti ci rivolgi come fosse l'ultimo dei pezzenti. Ma ti rendi conto? Hope? Hope, mi stai ascoltando?!»
«Sì, sono qui. Ora però devo andare. Mi reclamano.»
«Certo, come no. Vai, ma non fare cazzate. E io e te ci siamo intese. Sai di cosa sto parlando.»
«A presto, Charlie. Ti voglio bene.»
«Anche io.»
Terminai la chiamata e posai il telefono nella macchina di mio padre, che distava pochi metri dal luogo in cui mi ero appartata per parlare tranquillamente senza essere disturbata. Anche se, poi, effettivamente ero stata interrotta da Lord Cordialità.

 
«Hope! Eccoti, vieni qui.»
Sorrisi a mio padre e mi diressi verso di lui, che subito mi accolse tra le sue braccia.
«Ti stavo aspettando.»
«Lo so, è venuto Liam a chiamarmi.»
Guardai i suoi occhi. Quegli occhi che, finalmente, dopo tanto tempo erano tornati a sorridere.
Non avrei mai ringraziato Dio abbastanza per avergli fatto conoscere Anne. E per aver fatto conoscere a me suo figlio.
«Sei cresciuta troppo o un ballo con tuo padre lo fai ancora?»
Rimasi stupita, dall'insicurezza che trapelava dalle sue parole.
«Papà, non mi vergognerò ma di te, dovresti saperlo.»
Risposi baciandogli delicatamente una guancia per poi seguirlo in mezzo all'immensa folla di gente.
Avevo la fortuna d'avere un genitore fantastico. Mi aveva cresciuta completamente solo e ora che la vita, finalmente, l'aveva ripagato per tutti i sacrifici fatti, io l'avrei deluso. O almeno, così credevo.
Lui era stato quell'uomo che aveva lasciato il lavoro per starmi vicino dopo il nostro trasferimento.
Lui era stato quell'uomo che nel cuore della notte m'aveva portato alle giostre per farmi smettere di piangere.
Lui era stato quell'uomo che, alla morte di mia madre, aveva avuto il coraggio di guardarmi negli occhi e dirmi come stavano realmente le cose.
E io non avevo mai fatto nulla per lui. Mai.
Appoggiai la testa sulla sua spalla mentre ci muovevamo lentamente fra parenti e amici coinvolti dalla musica e annusai il suo profumo, a me così familiare.
«Ti voglio bene, papà.»
Sussurrai serrandogli le braccia intorno al collo e impedendo alle lacrime di cominciare a solcare il mio viso, mentre l'unica cosa che avrei voluto e dovuto dire sarebbe stato un semplice 'scusami'.
«Te ne voglio anche io, piccola mia.»
Chissà se l'avrebbe pensato comunque, se avesse saputo che meno di mezz'ora di prima avevo baciato il figlio di sua moglie.
Che in questo momento sta chiedendo a tuo padre se potresti ballare con lui, tra l'altro.
Spostai lo sguardo sul riccio che mi tendeva il braccio, in attesa che io accettassi la sua offerta. Sospirando staccai le dita dal collo di papà e le intrecciai con quelle di Harry.
Il modo in cui lui stringeva la mia mano era estremamente intimo, a parer mio.
E si spera solo a parer tuo.
Poco dopo, i suoi occhi erano magicamente incatenati ai miei e io non potevo fare altro se non perdermi in quel colore infinito che solo il Cielo poteva definire.
«Harry, stiamo facendo una cazzata.»
Dissi, tentando di tenere un tono di voce tale che sentissimo solo noi due.
«Non è così" rispose, avvicinando il mio corpo al suo, quasi volesse farmi sentire il suo battito cardiaco particolarmente agitato che io notai ugualmente "sai, non l'ho fatto apposta.»
Terminò, lasciando la frase sospesa a metà.
«A fare cosa?»
Debuttai io, mostrandomi per la perfetta idiota qual ero.
«Ad innamorarmi di te.»
Vidi il suo viso piegarsi leggermente di lato e, d'istinto, m'allontanai leggermente.
«Ti ricordo che siamo al matrimonio dei nostri genitori, che ci stanno anche guardando. Ti sarei eternamente grata se tu non aggravassi la situazione.»
Vidi una scintilla illuminare le sue iridi che, improvvisamente, avevano assunto un'aria piuttosto maliziosa e capii immediatamente che lui aveva carpito l'informazione che volevo trasmettergli.
«Cosa vorresti dire, Moore?»
Chiese lui, fingendo di non aver capito ciò che io non avrei mai avuto il coraggio di dirgli in faccia.
«Che se seguissi la mia indole, commetterei un'azione alquanto insolita tra due...fratelli.»
Fratelli.
Tergiversai, sapendo perfettamente d'essere arrossita.
Noi non avevamo una definizione esatta. Non eravamo niente di concreto. Solamente due ragazzi che si ritrovavano a far parte della stessa famiglia e che, forse, provavano un qualcosa d'insolito l'uno per l'altro.
Tutto qua.
«Tradotto in lingua comprensibile, stai cercando di dirmi che vorresti baciarmi?»
Completò la sua voce piuttosto roca, rendendomi ancora meno stabile di quanto non fossi prima.
«Vedi che quando vuoi capisci lo stesso?»
Le sue fossette preannunciarono un sorriso che arrivò poco dopo.
Perché? Perché il mio mondo, improvvisamente, aveva assunto il suo nome? Non doveva essere così. Io ero Hope. Hope non si sarebbe mai fatta condizionare fino a questo punto da un ragazzo.
Ma sai che c'è? Forse quella bambina, non c'è più. Forse è arrivato il momento di crescere. Di mettere da parte la i sogni e vivere la tua realtà.
Ma cosa succederebbe, se i tuoi sogni fossero la tua realtà?
«E' tutto così assurdo...»
Bisbigliai scostandomi una ciocca di capelli al lato della faccia.
«Non sempre assurdo significa negativo.»
«Difatti non ho detto quello...»
«Haaaaarry! Dove ti sei cacciato? Tocca a noi e se non ti trovo, giuro che ti strappo i ricci uno ad uno mentre dormi.»
La voce piuttosto incrinata di Louis giunse alle nostre orecchie un'ottava più alta del solito.
Scoppiammo in una risata che immediatamente attirò l'attenzione del ricercatore, che ci fulminò con un'occhiata che doveva apparire intimidatoria ma che si può definire tutto tranne quello.
«Arrivo, Lou.»
«Arrivo. Mi dice 'arrivo'. Uno lo cerca per tre quarti d'ora e lui cosa fa? Dice 'arrivo'.»
Borbottando come una pentola a pressione, il ragazzo delle bretelle mi portò via il cavaliere.
Oh, sì. Persone normali tu non ne troverai mai, tesoro. E, se per disgrazia dovessi trovarle, le allontaneresti in circa trenta secondi.
Mi sistemai vicino alla sposa e aspettai che i ragazzi prendessero posto sul palco.
Niall impugnò la chitarra e si sistemò sullo sgabello di legno ridendo per un qualcosa appena dettagli da Zayn che, con i suoi elegantissimi movimenti da sonobelloeloso stava impugnando sicuro il microfono.
Quante ragazze avrebbero voluto essere al mio posto in quel momento?
«Oh. Bene, ehm...okay. Salve a tutti. Noi siamo i 'One Direction' e vorremmo cantarvi una canzone. Specialmente io, in quanto figlio della sposa, vorrei dedicare questo pezzo alla mia nuova famiglia.»
Esordii Harry, scatenando qualche risolino in giro, compreso il mio.
Sembrava un duro ma era un perfetto imbecille. Come me.

Your hand fits in mine
l
ike it's made just for me,
but bear this in mind
it was meant to be,
and I'm joining up the dots
with the freckles on your cheeks,
and it all makes sense to me...”

Cos'era quella canzone? Era una poesia, un'opera, una meraviglia.
Mi sistemai meglio sulla sedia, in un certo senso a disagio.
Io non meritavo di passare il mio tempo con delle persone come loro. Io non meritavo loro, lui.
Vedevo le espressioni delle persone cambiare, assumere forme di stupore, felicità o rassegnazione.
Già, rassegnazione. Perché loro erano esseri perfetti e tutti, a quanto pare, se n'erano accorti. Tutti in quella sala e al di fuori. Chiunque.
E io condividevo la mia vita, con quei cinque adolescenti. Adolescenti come tanti, con un sogno divenuto realtà.
E io, stando con loro, avevo trasformato il mio sogno nella mia realtà.




SPAZIO AUTRICE.
Prima di tutto, come al solito, scusatemi per il mio schifosissimo ritardo.
Lo so, sono odiosssssa. Scusatemi.
Poi. Spero che vi piaccia questa schifezza, perché ci ho messo un secolo a scriverla, nonostante leggendola non sembra. Lo so, non piace neanche a me. Scusatemi.

RECENSITE, per favore. Ve lo chiedo con il cuore in mano.
Grazie per essere ancora qui, con la qui presente stordita *si indica*.
Un bacione cccente, buona serata.


 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


Avevo la testa sprofondata nel cuscino, ero completamente sommersa dalle coperte e stavo beatamente sognando quando quel cazzo di campanello cominciò a strimpellare, facendomi quasi attaccare al lampadario per il sussulto.
Sì, di mattina non sono una ragazza molto fine.
No, non lo sono quasi mai, in realtà.
Aspettai qualche secondo, in attesa che qualcuno aprisse la porta e quando mi resi conto che in realtà non l'avrebbe fatto nessuno perché Anne e papà avevano passato la notte fuori e quel pachiderma di Harry non si sarebbe mai alzato dal letto per una cosa talmente futile, sbuffai, impegnandomi per non ruzzolare giù dalle scale.
«Arrivo, arrivo!»
Mi fiondai più velocemente possibile verso l'ingresso e girai le chiavi nella serratura immaginando la scena che si sarebbe verificata poco dopo, quando avrei staccato la testa a morsi a chiunque mi si fosse parato davanti.
«Leva quel dito dal campanello, prima che commetta un omicid...»
«Certo che qui in Inghilterra siete proprio scorbutici, eh? Calm down sorella, rilassati...»
Sì, chiunque ma non lei.
Entrò, con una naturalezza che mi fece cadere la mascella fino a sfiorare il parquet e posò la valigia al centro della stanza, senza preoccuparsi troppo se ci fosse qualcun altro oltre a me, o meno.
«Tu sei....sei....»
Balbettai, in cerca delle parole adatte da usare.
«Non mi vedi da qualche giorno e già mi hai rimosso dai tuoi pensieri? Sono sempre io, Charlie. Ti dice qualcosa questo nome?»
Lei era in casa mia. A Londra. Ed era venuta per me....per cosa se no? E ora mi stava guardando, la mia migliore amica, con i suoi occhioni azzurri spalancati e il suo solito sorriso da angioletto stampato sul volto.
Angioletto. Pft. Di lei, Hope, puoi dire tutto, ma non che sia un angelo.
Sapevo che stava aspettando che reagissi in qualche modo, sapevo che stava aspettando un mio abbraccio. E non tardai a compiere quel gesto.
La strinsi, affondando il viso tra i suoi folti capelli scuri e annusai quel profumo che sapeva tanto, di lei. D'Italia.
«Dio, quanto mi sei mancata.»
Mormorai non sapendo se ridere o piangere.
Magari fai entrambe, che dici?
Zittii la mia vocina e assaporai le parole che uscirono dalla bocca di Carlotta pochi istanti dopo.
«Sìsì, anche tu. Ma Harry? Dov'è?»
E tu che t'aspettavi una sviolinata sdolcinata.
Lei era così. Ogni tanto, le capitavano quei quasi spaventosi momenti di dolcezza che rischiavano di farti venire il diabete per quanto erano teneri (e che io amavo...), mentre per il resto del tempo era così. Sempre con la battuta pronta e i gli occhi luccicanti.
Risi debolmente, rendendomi conto che lei non sarebbe mai cambiata. E sì, era un'emerita fortuna.
«E' su, sta dormendo” mi staccai dall'abbraccio e non mi dimenticai di fulminarla con lo sguardo, cercando d'incenerirla “che è quello che stavo facendo anche io prima che tu piombassi a casa mia.»
«Oddio. Oddio, oddio, oddio. Quindi vuoi dirmi che sono nella stessa casa di...di...»
Sembrò non sentire la mia minaccia e corse su per le scale, lasciandomi da sola in mezzo al salotto come una deficiente.
«E' andata via. M'ha lasciato qui così.»
Mi lamentai, trascinandomi al piano di sopra dove trovai un alquanto spaventato Harry Styles, con le palpebre spalancate e a petto nudo, e una ragazza appesa al collo completamente in lacrime.
«Hope, potresti cortesemente spiegarmi chi sarebbe....questa?»
Disse con la voce mozzata. Forse, a causa della ragazza che lo stava stringendo talmente forte che credevo di lì a poco, si sarebbe ingoiato le sue stesse corde vocali.
«Oh. Certo. Beh, lei è la mia migliore amica. E lui...lo sai chi è, Charlie.»
Le lanciai un'occhiata e roteai gli occhi al cielo, rendendomi conto che non mi stava minimamente considerando.
«Charlie? Charlie?»
A quel punto, non riuscii più a trattenermi e scoppiai in una fragorosa risata, che non fu ben accettata dal riccio. Tentò inutilmente di staccarsela di dosso ma, ovviamente, non ci riuscì.
«Harry....» m'interruppi, per concludere con un ultimo singhiozzo e poi ripresi «scusala, lei è una tua...vostra grande fan. No, direi la più grande. In assoluto.»
Lui fece un sorriso che, senza un motivo ben preciso, mi fece arrossire.
Ricambiai il gesto sentendomi particolarmente bene. Le persone a cui tenevo di più al mondo erano lì, con me. Ed eravamo felici. Tutti.

 
«Allora....E' andato bene il viaggio?»
Domandai smanettando con il pentolino e il cartone del latte.
Quando mi voltai per sentire la risposta di Carlotta, la trovai con il gomito appoggiato al tavolo e il viso sostenuto dal palmo della mano, impegnata a sospirare fissando il ragazzo che aveva di fronte.
«Hai intenzione di rispondermi o anche solo calcolarmi, oppure preferisci che ti mandi un sms? Magari ti mette più comodo rispondermi....»
Borbottai, tornando a preparare la colazione.
«Preferisce contemplare Adone...»
Mi sentii rispondere, da una voce che non apparteneva sicuramente alla mia migliore amica.
«Harry, per favore. Non montarti la testa.»
Risposi, ridendo della sua pessima imitazione da ragazzo divo.
«Potrei montare qualcos'altro se preferisci...»
«Harry!»
Esclamai, intuendo cosa voleva far intendere. Sentii Charlie ridacchiare e acconsentire alla sua offerta, partecipando a quella particolare sceneggiata.
«E tu smettila di dargli corda.»
Puntai il cucchiaio che tenevo in mano contro la riccia che mi rise in faccia.
«Stareste bene insieme, sapete?»
Sogghignai, immaginando quella stramba coppia. Oh, beh. Sul fatto che lei gli avrebbe tenuto testa, non c'erano dubbi. Secondo cosa avrebbe fatto quello, lei se lo sarebbe mangiato. Senza troppi complimenti. Però, in fin dei conti, sarebbero stati splendidi.
Li guardai meglio.
Li guardai ridere insieme e soprattutto mi soffermai sullo sguardo beato della ragazza.
Soppesando i due caratteri, arrivai alla conclusione che sarebbe stati veramente da Dio, insieme.
Lei sarebbe stata la ragazza più felice del mondo. Lui non avrebbe dovuto creare tanti casini, come invece avrebbe dovuto fare continuando a “stare con me”. Perché noi stavamo insieme. O...forse no.
Forse è il caso di sistemarsi un po' le idee, non credi?
Fosse stato facile.
«Hope? Hope, il latte.»
Allarmata, risposi al richiamo di Harry e levai la colazione dal fuoco che, fortunatamente, non si era ancora bruciata.
«Scendi dalle nuvole, tesoro.»
Charlotte mi schioccò un bacio sulla guancia e poi si chiuse la porta del bagno alle spalle.
Le feci una smorfia e mi portai la tazza alle labbra, andandomi a sedere al posto che lei aveva lasciato libero poco prima.
«Dormito bene?»
Mi sussurrò mio fratello accarezzandomi lievemente la mano che avevo poggiato sul tavolo.
Annuii e la sfilai dalla sua, come assalita da un senso di colpa terribile.
Mi morsi il labbro inferiore e cominciai a dondolare la gamba, come facevo sempre quando ero nervosa e volevo solamente scappare. Stavo trattenendo delle lacrime che non dovrebbero esserci state.
Non avevo motivo per piangere, no? La mia migliore amica era venuta dall'Italia per me, solo per me. E dovevo sempre farmi rovinare tutto dalle mie stupide riflessioni.
«Harry, ascoltami. Senti noi...»
«Noi....cosa?»
Si alzò e fece il giro del tavolo per poi raggiungermi.
Alzai gli occhi giusto in tempo per vedere le sue gambe che si piegavano e per scontrarmi con le sue iridi verdi.
«Non hai risposto alla mia domanda.»
Sorrise, mostrandomi le fossette.
«Bene....Ho dormito bene.»
«Io ho avuto un risveglio leggermente brusco, per cui....cosa ne pensi di addolcire il tutto?»
Disse con un tono di voce sbarazzino e alterato che lo fece assomigliare a un bambino.
Non riuscii a mantenere un'aria seria e stroncai una risata sul nascere.
Lui forse notò il mio scetticismo e accelerò la situazione, poggiando senza esitazione le sue labbra sulle mie.
Istintivamente chiusi gli occhi e strinsi le dita, intrecciandole con le sue posate sul mio grembo.
In quel momento erano spariti tutti i pensieri che fino a pochi secondi prima intasavano il mio piccolo cervello ed esisteva solo lui. Lui e il suo maledetto tocco delicato ma allo stesso tempo eccitante. Dove la nostra pelle si sfiorava, sentivo dei piccoli brividi che si manifestavano come delle scosse elettriche. Non dolorose, non fastidiose.
«Ehi, gran bella cas....Oh, oh, oh. Ragazzi, calma. Non voglio diventare zia.»
Mi staccai velocemente da Harry e il mio sguardo capitò sulla mora, appena tornata in cucina.
Entrambi diventammo paonazzi e, per la prima volta, non riuscii a sostenere lo sguardo della ragazza.
«Scusate, vado a....cambiarmi.»
Mugugnai la prima cosa che mi venne in mente e corsi in camera mia.
Oh, no. Non l'avevano bevuta. Nessuno dei due, ne ero sicura.
Mi venne in mente quella volta, la prima volta che la voce di Harry m'aveva travolta, dal vivo. Quando, con il resto dei ragazzi, stavano facendo le prove in quel bellissimo giardino e io ero fuggita via, spaventata dalle sensazioni che mi scatenava quel ragazzo. Perché io facevo così...scappavo dai problemi. Ammesso che quelli si potessero definire tali.
Nascosi la testa tra le mani, lasciandomi scivolare sotto la finestra, accanto al letto.
Perché la mia vita doveva essere così dannatamente confusa?
Toc toc.
«Perché diamine sei scappata così, inglesina?»
La cadenzata voce di Carlotta rimbombò nella stanza, nella mia testa.
«Ehi....Che è successo?»
Si sedette accanto a me, senza proferire altra parola. Aspettava che parlassi io.
«Tutto. Charlie, è successo di tutto. Hai visto, no? Io non riesco a stare lontana da lui come vorrei. Siamo sbagliati insieme. Io non merito lui, io non merito nessuno. Gli rovinerò la vita...»
Sentii il suo pollice asciugarmi dolcemente una lacrima che, non mi ero neanche accorta, stava scorrendo sulla mia guancia.
«Amore, basta. Zitta e ascolta me: tu sei meravigliosa, va bene? Non ti vedi? Fermati un attimo e guardati: sei fatta di pregi. A parte il fatto che sei splendida....sei dolce, stronza e allo stesso tempo nessuno qui può immaginarsi una vita senza te. E ho visto come ti guarda il cantante, sai? È innamorato, Hope. Di te. E non è successo casualmente. Tu ti fai amare da chiunque.»
Non era una tipa molto propensa alle smancerie e quelle parole, dette da lei....mi fecero provare un senso di sollievo che non avevo mai provato.
Veramente pensava questo, di me?
«Ma lui è...Harry Styles.»
Mormorai, impaurita dalla mia stessa affermazione.
«Lo so, lo so. E solo perché si tratta di te, che te lo lascio scopare.»
«Charlie!»
«Che c'è? Che ho detto?»
Risi e le tirai una spallata. La scena, terminò in una squillante risata d'entrambe.
Era incredibile come riusciva a farmi cambiare umore, nel giro di pochi istanti.





SPAZIO AUTRICE.
Scusatemi, scusatemi, scusatemi.
Sono una merda. Ormai i miei spazi cominciano tutti così....Ma che vi devo dire? E' UN PERIODACCIO.
Veramente, sto malissimo. Scusatemi tanto. Spero vi piaccia e, in particolar modo, spero piaccia a quello splendore di Charlie.
Scusatemi tanto....Mi odio da sola. Sorratemi.
Vi voglio bene, remember this. Always. Okay?
Scusatemi. Un bacione.

SPA 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


«Ti sarei grato a vita, se tu riuscissi a staccarmela di dosso, Hope.»
Una strozzata richiesta d'aiuto. Un sussurro. E poi la mia risata.
Guardai la scena godendomi gli occhi strabuzzati di Niall e il sorriso da completa idiota della mia migliore amica.
«Se tu la conoscessi almeno un pochino, sapresti perfettamente che non ho nessuna possibilità di riuscirci.»
Risposi, schioccando un bacio sulla guancia all'irlandese che cercava disperatamente di far calmare la ragazza al suo fianco, in preda ad un attacco di nervosismo cronico.
«Gli altri?»
«Sono» rispose, emettendo un sospiro quando si rese conto che era riuscito ad allontanare la mora da sé «in giardino.»
Un movimento, un fruscio, e la riccia era sparita.
«Ma perché, Signore, perché?»
Mormorai roteando gli occhi e preparandomi per assistere all'inferno.
Un grido mi fece sussultare, e quasi finii in braccio al biondo.
«Li ha trovati, direi.»
Sogghignò lui, avviandosi all'esterno.
«Dai? Dimmi un po', da cosa l'avresti capito?»
Mugugnai seguendolo.

 
Come al solito, i ragazzi stavano facendo le prove e io stavo inutilmente tentando d'intavolare una conversazione con Charlie che, ovviamente, non ne voleva sapere. Era totalmente incantata.
Allora mi limitai a sdraiarmi sul prato, chiudendo gli occhi e godendomi l'assoluto riposo che quell'ambiente mi regalava. Le loro voci, mi facevano sentire sorprendentemente leggera, senza pensieri.
Senza accorgermene, cominciai a canticchiare le parole di 'I wish' e, intanto, immaginavo me stessa; ma non su un palco, davanti ad una folla adorante che urlava il mio nome. No, quel tipo di vita non faceva per me. M'immaginavo con una chitarra in mano, armata di sorriso e buona volontà. Sarebbe stato meraviglioso.
Aprii per un attimo gli occhi e fui accecata dal cocente sole che picchiava alto nel cielo. Li richiusi immediatamente, chiedendomi che ore fosse. Probabilmente, dovevano essere circa le tre di pomeriggio.
«Hope? Hope, tu che ne pensi?»
«Eh?»
M'alzai di scatto, cozzando contro la testa della mia amica china su di me.
«Ahi!»
Esclamai portandomi la mano sulla fronte.
«Sei un'idiota!»
M'apostrofò Carlotta compiendo il mio stesso gesto e ridendo. Intanto i cinque cantanti scoppiarono in una fragorosa risata.
«E voi» intimai io, alzandomi in piedi «smettetela di starnazzare, trogloditi.»
«Ohoh, che linguaggio forbito, cara...»
Mi prese in giro Louis.
«Te lo do io, il linguaggio forbito, signor bretella...»
Borbottai camminando verso l'interno della casa alla ricerca di un po' di ghiaccio; la ragazza, aveva la testa alquanto dura.
Trattenni il respiro, quando poggiai lo straccio freddo riempito di cubetti sulla fronte. Avevo sempre preferito il freddo al caldo, come preferivo il buio al sole e il silenzio al rumore, in certe occasioni.
La pioggia. La pioggia l'amavo. Mi dava una sensazione splendida di tranquillità. Sentire il ticchettio delle gocce sul vetro o sulle piastrelle del terrazzo mentre cercavo d'addormentarmi, stare sul divano sotto una coperta a leggere un buon libro cullata dal suo scrosciare. Papà diceva che ero l'esatto contrario di mia madre, l'opposto. Ed era vero. Eravamo diverse in molte cose, a partire dal fisico.
Sobbalzai quando il mio cellulare in tasca prese a squillare, facendomi vibrare una chiappa.
Non si può mai star tranquilli, in questo Mondo.
Lo estrassi delicatamente, rispondendo al terzo squillo.
«Pronto?»
«Hope!»
Esclamò una voce profonda, ma a me decisamente familiare.
«Itan...»
Dissi a mo' di saluto, ridendo.
«Credevo fossi discesa negli Inferi. Mio padre mi ha detto d'averti vista al matrimonio e, a proposito, mi dispiace tanto non essere riuscito a venire ma....beh, poi ti spiegherò. Comunque, mi ha detto d'averti incontrata lì e poi non ti sei fatta più sentire.»
«Itan...il matrimonio, c'è stato solamente ieri.»
Soffocai una risata, poggiandomi al bancone della cucina.
«Oh. Hai ragione anche tu.» sentii un sospiro e poi la sua voce indugiare «Ascoltami....beh, volevo chiederti se....stasera, hai da fare?»
Domandò, tutto d'un fiato, come se avesse paura o, infondo, sperava che io non avessi capito.
«No....Cioè, per ora non ancora.»
«Bene. Ti va di venire con me?»
Il cuore mi balzò in gola e quasi mi soffocai con la mia stessa saliva. Panico.
E' un appuntamento? O forse no? Che gli devo dire? E...Harry?
«
Avrò una partita importante e ci sarà un osservatore o come diavolo si chiama. Voglio che tu sia il mio portafortuna, Hope.»
Rimasi spiazzata. Completamente senza parole. Lui e il football: una cosa sola. Quel ragazzo, aveva talento da vendere, con il pallone. L'avevo sempre detto. E ora voleva che io andassi insieme a lui, ad assisterlo nella partita probabilmente più importante della sua vita.
«Ti prego. Ne dipenderà il mio futuro. Se mi reputerà in grado...vincerò una borsa di studio, mi porterà a giocare nei junior, Hope. In una vera squadra.»
«Non mi devi pregare, Itan. Verrò sicuramente.»
Sorrisi, felice che lui si fidasse così tanto di me. Felice che avesse scelto la sua vecchia migliore amica, in un giorno così importante.
«Bingo! Grazie, grazie, grazie. Ti passo a prendere alle otto, la partita comincia alle nove.»
«Perfetto. Ci vediamo a casa mia più tardi.»
Stavo per terminare la chiamata, ma la sua voce mi fermò.
«Ti voglio bene, Moore.»
Risi, sapendo d'essere arrossita.
«Te ne voglio anche io, Hogan.»
Sollevata, riposi il telefono: non era un appuntamento. Era un'uscita tra vecchi amici. Solo quello.

 
«Stasera che si fa?»
Esclamò Charlie ridendo, felice, sporgendosi dal sedile posteriore della macchina, finendo con la faccia il mio gomito e quello di Harry, che guidava.
«Io ho un impegno...»
Mormorai, abbassando la testa e giocando con una ciocca di capelli.
«Cosa devi fare?»
Domandò la ragazza dagli occhi blu, picchiettandomi con un dito sulla spalla.
«Mi...mi ha chiamato Itan, ricordi, Harry?»
Immediatamente, il suo piede schiacciò il freno, inchiodando ad un semaforo rosso. Rimbalzai sul sedile, facendo ciondolare la testa come un pendolo.
«Un po' di delicatezza, Schumacher?»
Schernì la mia amica, per poi riportare l'attenzione su di me.
«Sì. Me lo ricordo...» anche lui, si voltò verso di me «...purtroppo...» aggiunse, bisbigliando.
Ignorai la seconda parte della sua risposta, e andai avanti.
«Ecco....mi ha invitato ad una...partita di calcio. Alle otto viene a prendermi.»
«E tu non ci vai.»
Rispose repentino il riccio, pigiando l'acceleratore e ripartendo in quarta.
«Perché non dovrei andarci?»
Risposi stizzita, roteando gli occhi.
«Okay ragazzi, calmate gli animi.»
Intervenne Carlotta, facendo scappare un risolino ad entrambi. Era così maledettamente perfetta.
Sapeva farmi ridere sempre, anche nei momenti meno opportuni. Come quello.
Girai leggermente la testa, fino a ritrovarmi il suo esattamente davanti, e le stampai un bacio su una guancia.
Vidi un sorriso farsi spazio sul suo volto, ed immediatamente mi resi conto che lei era davvero la persona migliore che conoscessi. Era veramente la migliore amica che potessi trovare. Era la migliore. Punto.
Da quel momento fino a quando non scendemmo dalla macchina, dominò il silenzio. Pesante, silenzio.

 

Ero sdraiata sul letto, sommersa nei miei pensieri su come salvare l'universo, quando sentii la porta della stanza sbattere. In men che non si dica, schizzai verso l'alto sedendomi a gambe incrociate sul copriletto.
Due iridi verdi, mi fissavano. Potevo distinguere la sagoma di Harry, solamente grazie alla luce fioca del sole che stava tramontando e filtrava attraverso le persiane chiuse.
«Cosa ci fai al buio?»
Esordii con una tale voce roca da farmi venire i brividi.
«Volevo starmene un po' tranquilla.»
Risposi sentendo i suoi passi avvicinarsi a me.
«Posso disturbare un attimo la tua tranquillità?»
«Certo che puoi.»
Sorrisi e mi spostai, facendogli posto accanto a me.
Sentii le sue braccia circondarmi e mi ritrovai a stringere il suo petto caldo.
«Scusa se...prima, ho reagito in quel modo.»
Senza rispondere, mi aggrappai alle sue spalle e poggiai le labbra sulle sue.
Tutto sparì, compreso il mio unico neurone. Tutto, spariva. Magicamente. Puuff.
Non so come e neanche quando, mi ritrovai a cavalcioni su di lui che era ormai sdraiato sul letto.
Risi, cosa che fece anche lui, e afferrai la sua maglietta con una mano, sentendo una strana sensazione allo stomaco.
Le sue dita toccavano il mio corpo, freddo e irrigidito, lasciando una particolare sensazione di tepore mai provata prima.
Mi lasciai andare, rilassando tutti i muscoli e affidandomi a lui.
Poco dopo, potevo sentire il suo tocco delicato sulla mia schiena, scendere verso il sedere. Non dissi nulla. Mi piaceva.
«Sei magnifica, quando arrossisci.»
Disse, strofinando il suo naso contro il mio.
«Tu non sai come sto in questo momento...»
Mormorai senza pensarci. Subito dopo, gli stampai un bacio sul naso.
«Spiegami. Noi siamo qui, in...questa posizione, e tu mi baci il naso?»
Ero così vicina a lui, da poter benissimo vedere le fossette comparire sul suo viso.
Mi alzai, resettandomi la maglia e mi diressi verso il corridoio ridendo.
«Sei veramente assurda, Moore.»
«Ti amo anche io, Styles.»





SPAZIO AUTRICE.
Come al solito, sono in un ritardo veramente allucinante. Scusatemi tanto.
Ora sto un po' meglio, ma è comunque un periodo abbastanza travagliato....se i capitoli fanno schifo, è anche per quello.
Scusatemi tanto.
Mi volete almeno un po' bene? **
Scusatemi tanto.
Vi voglio bene, gente.
Un bacione.

SP 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


«Hope, è arrivato Itan!»
Urlò mio padre dal piano di sotto, mentre cercavo di sistemarmi decentemente i capelli.
Guardai lo schermo del mio telefonino per scoprire che erano quasi le otto.
«Arrivo!»
Mi voltai per uscire dal bagno, andando a sbattere contro il petto di qualcuno sicuramente più alto di me. Qualcuno che sapevo perfettamente chi fosse.
Alzai lo sguardo per incontrare gli occhi di Harry e sentire lo stomaco fare una capriola. Sorrisi.
«Ci vediamo più tardi.»
Mormorai alzandomi sulla punta dei piedi per lasciargli un piccolo bacio sulle labbra. Non rispose. O, almeno, non parlò. Le sue braccia mi catturarono, stringendomi i fianchi. Sentii la sua mano scendere e poco dopo fare pressione sul mio sedere.
Sorpresa, aprii la bocca, lasciando libero accesso alla sua lingua che s'insinuò senza troppi problemi. Camminò verso di me, facendomi indietreggiare e tornare dentro al bagno. Gemetti, quando andai a sbattere contro la parete fredda dietro di me, incastrata fra il suo corpo e le mattonelle. Non tentai di staccarmi o divincolarmi. Se fino a pochi attimi prima mi preoccupavo di Itan che mi aspettava al piano di sotto, in quel momento non m'importava fossi in ritardo.
Intrecciai le braccia dietro al suo collo e afferrai fra le dita le punte dei suoi ricci per tirarli leggermente.
È una mia impressione o si è alzata la temperatura qua dentro?
La mia maglietta si alzò delicatamente, e sulla mia pelle si propagò la solita sensazione di tepore che mi regalava il contatto con lui. Avvicinai ancora di più, se possibile, il suo viso al mio, fino a quando non mi sentii completamente 'protetta' da lui.
Divisi le nostre labbra, restando appoggiata contro la sua fronte.
«A cosa devo tutto questo....affetto?»
Sussurrai, con la voce mozzata. Potevo benissimo sentire il mio fiato venire a mancare, e il mio petto alzarsi e abbassarsi con un ritmo piuttosto insolito e veloce.
«Al fatto che fra poco dovrò assistere ad una scena che vedrà te fra le braccia di un altro ragazzo.»
Rispose senza troppi giri di parole, lanciandomi uno sguardo fulmineo. Sentii i brividi lungo la spina dorsale e risi, incapace di comprendere quel ragazzo.
«Sei strano, te l'hanno mai detto?» smorzai una risata, spingendolo via delicatamente «Un attimo prima sei dolce come Winnie The Pooh, e subito dopo diventi un inguaribile geloso.»
Scrollai la testa e uscii nel corridoio ridendo e sentendo le urla arrivare dietro di me.
«Io non sono geloso di nessuno!»
Scesi l'ultimo scalino e girai a sinistra, parandomi davanti a mio padre e ad Itan che prontamente mi abbracciò, sollevandomi quasi da terra. Mi lasciai scappare una risata, cercando di staccarmi il più velocemente da lui. Certo, amavo gli abbracci, ma con Harry nella stessa stanza, mi sentivo alquanto a disagio.
«Oh, Harry sei geloso della tua sorellina, ora?»
Esclamò mio padre passandogli un braccio attorno al collo e guardandolo con un sopracciglio alzato.
«Come ho appena detto, io non sono geloso di nessuno.»
Ringhiò in risposta l'altro, serrando la mascella.
«Allora? Sei pronta?»
Il volto di Itan s'illuminò con un sorriso che fece scintillare i suoi occhi azzurri.
Annuii e mi guardai intorno.
«Charlie?»
«E' andata con Anne a prendere il pane. Te la saluterò io.»
Mio padre mi fece un occhiolino e mi sospinse verso la porta d'uscita, dandomi una pacca leggera sulla schiena.
«Mi raccomando, ragazzo. Giù le mani dalla mia bambina.»
Raccomandò l'uomo aprendoci l'uscita.
«Sì, giù le mani.»
Sentii mormorare dal riccio, che impassibile ci fissava con le braccia incrociate sul petto, appoggiato al muro.
Sarebbe stata una serata lunga. Lunghissima, direi.

 
«Ma quello....era tuo fratello?»
«No.»
Eravamo in macchina e per un non so quale assurdo motivo, al solo sentir nominare Harry, avvampai.
E se magari ha capito? Oddio, se ha capito che io e lui...?
«
Cioè, è solamente il figlio di Anne. Siamo fratellastri.»
M'affrettai ad aggiungere, facendomi cadere una ciocca di capelli sul viso, sperando che coprissero quel leggero rossore che stava cominciando a prendere il sopravvento sulle mie guance.
Rise lasciando il volante per alzare le mani in segno di resa.
«No, perché, wo ragazza, quello per poco non mi strappa i bulbi oculari.»
Cercai di smorzare la tensione fingendo una flebile risata.
«E' solo....nervoso. Sai, il lavoro, la fama...mi vede come....la classica sorella rompipalle, ecco.»
«Oh, vero. Avevo rimosso che fosse una popstar. Me ha parlato tuo padre un giorno, al negozio.»
«Sì, lui e i suoi amici non sono niente male. Se la cavano con la musica.»
Si fermò ad un semaforo e si voltò verso di me, fissandomi negli occhi.
«E tu, Hope? Hai ripreso a suonare?»
«Ho...ho provato, sì.»
Sorrise dolcemente, mettendo la marcia e ripartendo senza dire una parola.
Il tragitto non era molto lungo e quando scesi mi ritrovai in un batter d'occhio Itan accanto che mi mi passò un braccio attorno al collo. Un'ondata di profumo mi fece voltare verso il ragazzo che aumentò la stretta.
«Ti sei fatto il bagno nel balsamo?»
«Volevo essere profumato per te, piccola.»
Girai lo sguardo dall'altra parte sperando solamente che quella serata sarebbe andate per il verso giusto e mi limitai a camminare, sentendo il suo fianco strisciare contro il mio. Certo, una volta quello sarebbe stato il massimo per me, ma ora le carte in tavola erano cambiate. Il mio re di cuori, era arrivato. E non era lui

 
«Passa, Mclan sono libero! Qui!»
Urli di tutti i tipi invadevano il campo, e io ero seduta sugli spalti vicino ad un gruppo di ragazze che stavano rischiando seriamente la morte. E a me, un ergastolo non me l'avrebbe levato nessuno.
«Dio, ma hai visto che muscoli che ha Mike? Per non parlare di quelli di Daniel.»
Il mio livello di pazienza stava oltrepassando il limite. Fossero state in silenzio per un solo maledetto minuto...ma no. Neanche quello. Mi voltai a guardarle: maglie scollate, ottocentoventicinque strati di rossetto e un pezzo di stoffa al posto di quella che doveva essere una gonna.
Dov'è il circo? E io che credevo di essere ad una partita di calcio, pensa te.
Eppure, lo stadio era pieno di gente. Pieno. E io vicino a chi dovevo capitare? Mi pare abbastanza ovvia la risposta.
Lasciai che il mio sguardo vagasse per le tribune e notai due uomini eleganti, con l'aria importante, che tenevano una cartellina in mano e scarabocchiavano su un foglio. Dovevano essere gli esaminatori di cui parlava Itan. Scrutavano i giocatori con sguardo attento e seguivano ogni piccolo movimento.
Itan era concentrato, si voltava ogni tanto a guardare dalla mia parte ma poi tornava subito a seguire la palla. Aveva un talento incredibile e lo capivo anche io che di calcio ci capivo ben poco.
«E' bravo il tuo amico, eh?»
Alzai immediatamente la testa per incrociare un paio di occhiali da sole che coprivano un viso a me conosciuto. Sorrisi inconsapevolmente, in un certo senso sollevata che non sarei dovuta stare da sola tutta la sera, vicino ad un pollaio.
«E' sempre stato bravo col pallone...»
Il ragazzo scavalcò la panchina e si sedette al mio fianco, offrendomi il sacchetto di popcorn che teneva in mano. Io infilai la mano dentro e ne presi una manciata.«Cosa ci fai tu qui?»
«Vuoi una riposta sincera oppure quella che mi hanno detto di dire?»
Scosse la testa coperta dal cappuccio blu, sgranocchiando il suo spuntino, mentre io mi lasciai andare ad una risata.
«Mh. Prima voglio sentire la seconda.»
«Sapevo che c'era una partita e a quanto sembra ci sono persone importanti» indicò con un cenno del capo i due reclutatori che stavo guardando poco prima io «e poi, ho visto te seduta qui. Voglio dire, non è una scusa patetica? Se proprio voleva farla bene, doveva inventarsi qualcosa di meglio, non credi?»
Mi sistemai meglio, incrociando le gambe sotto al sedere.
«E invece, la risposta vera per cui Louis Tomlinson è accanto a me....sarebbe?»
Alzai un sopracciglio, curiosa della risposta.
«Ti dico tre parole. Harry sonounrompipallecronico Styles. Se non fossi venuto, mi avrebbe 'tagliato tutte le bretelle'..» disse, enfatizzando le ultime parole incidendo tra delle virgolette immaginarie.
In un nanosecondo, mi sentii avvampare, per la millesima volta in quella serata.
«Oh. Quindi tu sai....»
«Cosa devo sapere? Che tu sei cotta di lui e lui è cotto di te? Sì, lo so.»
Abbassai lo sguardo che venne rialzato subito dopo dal suo indice.
«Ehi, bambola. Non preoccuparti, nessuno saprà niente.»
Sorrise, scoprendo i suoi denti bianchissimi e, ne sono sicura, facendo scintillare i suoi occhioni sotto le lenti.
«Te l'ha detto lui?»
Mormorai in preda all'imbarazzo più totale.
«No. È il mio migliore amico, non c'è bisogno che mi dica niente. Voglio dire, praticamente ti guarda con gli occhi a cuoricino e, lasciatelo dire, wa ragazza, chi non sverrebbe ai suoi piedi?»
Roteai gli occhi, felice che Louis fosse così...Louis.
«Goal.»
«Eh?» Esclamai come una perfetta imbecille.
«Dico, il tuo amico, ha segnato. Ha fatto goal.»
La partita. Diavolo, la partita. Mi ero totalmente dimenticata che mi trovavo in uno stadio.
Scattai in piedi applaudendo e scendendo le scale per raggiungere la rete che circondava il campo.
Itan stava abbracciando i suoi compagni di squadra ridendo ed esultando e immediatamente pensai agli esaminatori che nel frattempo annuivano e scrivevano velocemente sui fogli.
Direi che è un buon segno...
«Ehi, Hope!»
La voce di Itan mi richiamò sulla Terra e mi voltai verso di lui che m'indicava con una mano.
«Questo è per te, bellezza!»
Rise e si avvicinò alla rete permettendomi di schioccargli un bacio sulla guancia.
Soddisfatta, tornai al mio posto dove trovai un Louis alquanto allibito, con la bocca semi aperta e gli occhiali sulla punta del naso.
«Che diamine è successo?»
Risi accomodandomi al suo fianco e aspettando che emettesse un qualche suono simile ad una parola.
Lui si voltò verso di me, con un'espressione parecchio sconvolta e spalancò gli occhi.
«E ora chi glielo dice a quello che ti sei baciata il tipo?»
Scoppiai in una risata che poco dopo contagiò anche lui.
Ti ci devi abituare, Hope.






SPAZIO AUTRICE.
Lo so, lo so. Sono una merda merdosa ma come al solito, il periodo non è ancora passato. Ora, non so come può essere venuto perché sono ancora sotto effetto post-concerto, quindi...accontentatevi. Sì, sabato ho visto uno dei miei Idoli. Aiutatemi. Aankdjsakcksjao okay, ora mi calmo.
Spero vi piaccia almeno un pochetto...
Ditemi che ne pensate, neh...lasciatemi una piiiiccola recensione per farmi smile.
Grazie a tutte, ragazze.
Un bacio.
Sara.
SPAZIUO 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


Scesi dalla macchina rischiando di cadere per colpa del ragazzo che fino a poco prima guidava e m'incamminai verso il portone con una mano sulla pancia, scossa dalle risate.
«Ma ti giuro, sembrava un'anatra con la paresi, quel tipo con i i capelli marroni...»
«Castani Lou, si dice castani...»
«Tanto hai capito comunque, no?»
Rispose lui, sbuffando ed aprendo la porta d'ingresso.
Appena entrata, notai che era tutto buio ma delle voci provenivano dal salone dove immediatamente il mio amico si fiondò, silenziosamente.
Guardò un attimo all'interno della stanza e poi mi fece cenno di stare zitta e avvicinarmi, e così feci.
Harry e Charlie, stavano guardando un film che a quanto pareva sembrava un Thriller e sgranocchiavano popcorn senza distogliere lo sguardo dallo schermo della televisione. La ragazza gli era completamente spalmata addosso e se fosse stata chiunque altro come minimo gli avrei staccato ogni riccio con miei stessi denti. Ma era lei. E lei non avrebbe mai permesso che io soffrissi. Non per causa sua.
Vidi un sorriso sornione nascere sul volto di Louis che, poco dopo, era accovacciato dietro al divano. Mi tappai la bocca, cercando di smorzare una risata quando si alzò urlando improvvisamente, facendo schizzare i due ragazzi praticamente sul soffitto.
«Dio ragazzi, so che sono spaventoso, ma un po' d'eleganza, almeno. E, diavolo....Harry» esordii lanciando gli occhiali da sole dritti nelle mani del diretto interessato «hai fatto un acuto che non riusciresti a ripetere durante i concerti neanche se t'impegnassi.»
A quel punto mi sdraiai praticamente sul pavimento, cercando almeno di contenere le lacrime. La risata mia e del migliore amico del mio fratellastro riecheggiavano per tutta la stanza, anche se non erano esattamente ricambiate dagli altri due.
«Io ti spacco la faccia, brutto idiota che non sei altro!»
Proruppe Carlotta, facendosi quasi uscire gli occhi fuori dalle orbite e scagliandosi su di lui, che cadde sul divano a peso morto, trascinandosi dietro la riccia.
Guardai Harry che aveva un'espressione indecifrabile stampata sul volto. Si voltò verso di me e mi fece un mezzo sorriso, che bastò a farmi tremare le gambe. Non degnò Louis di uno sguardo, e allargò le braccia, facendomi intendere che mi sarei dovuta avvicinare. Non ci pensai due volte e allacciai le mani dietro alla sua vita, lasciandogli un piccolo bacio sul collo.
Lui sorrise, parlando per la prima volta.
«Allora, ti sei divertito alla partita, stupido imbecille?»
«Ehi, fratello. Stupido imbecille, lo dici a qualcun altro. Se no, non ti dico che la tua ragazza ha baciato il sorcio biondo, ha fatto sesso con me e ora credo sia incinta.»
Con nonchalance, Louis alzò le spalle facendomi un occhiolino e spostò Charlie vicino a lui, scollandosela di dosso non troppo gentilmente.
«Tu hai baciato...chi?»
Disse Harry alzandomi la testa per permettermi di guardarlo negli occhi. Scrollai la testa e risi regalandogli un bacio veloce sulle labbra, per poi allontanarmi da lui e afferrare al volo la mia migliore amica, correndo su per le scale.

«Piano Hope, piano. Così mi stacchi un braccio, porca miseria. Lo sai che odio correre. E lo odi anche tu.»
Borbottò Charlie massaggiandosi una spalla, quando fummo entrate in camera mia.
«Scusami.»
Mi limitai a dire facendo un sorriso innocente. Lei ricambiò il gesto, sedendosi sul letto accanto a me.
«Sei felice, eh?»
Chiese voltandosi verso di me.
«Non sai quanto.»
Le buttai le braccia al collo scoppiando in una risata che non aveva senso ma che in qualche modo suonava come un punto alla fine della frase, un punto esclamativo bello e buono.
«Ora sei innamorata. Sei diventata una melensa ragazzina innamorata che vede il mondo tutto fiorellini e cuoricini. E sei completamente, irreparabilmente fuori di testa.»
Mi scompigliò i capelli prima di lasciarmi andare sciogliendo l'abbraccio.
«Non sono melensa. E non sono...»
Feci per ribattere alla sua seconda supposizione ma mi fermai quando mi resi conto che non aveva senso. Lei spostò il viso di lato, inclinando la testa e alzando un sopracciglio.
«Inammorata?»
Domandò retoricamente facendo spuntare un tenero sorriso sul suo volto perfetto. Il sorriso era la cosa che più amavo di lei. Era così sincera, così grande ai miei occhi, eppure così piccola e fragile. E quando sorrideva, mi sentivo felice. Sempre. Non esisteva un lei, non esisteva io. Esisteva un noi.
Abbassai gli occhi imbarazzata per ricevere poco dopo una cuscinata in pieno volto.
«Sei così maledettamente dolce.»
Esclamò la ragazza ridendo.
«Lo prendo come un complimento.»
Risposi rilanciandole l'oggetto e alzandomi. Afferrai una canottiera e un paio di pantaloncini corti e mi cambiai, ascoltando la predica della ragazza su qualcosa che suonava come 'stai attenta' e 'se vi lasciate me lo prendo io'.
«Ah, mi sono scordata di dirtelo. Dato che ora stai qui e starai per parecchio, perché l'ho deciso io, questa è la tua nuova camera. E, mi dispiace, ma sarai costretta a dividerla con me.»
Uscii senza aspettare la sua risposta e andai in bagno.
Possibile che tutto fosse cambiato nel giro di qualche giorno?
Mi ero fidanzata -o forse no?- con un ragazzo che era a dir poco meraviglioso che era quasi mio fratello; ero tornata a casa mia, in Inghilterra, lasciando in Italia tutto quello che avevo ma che poi mi aveva raggiunto, Carlotta; mio padre si era risposato con la madre del ragazzo che amavo e forse, dopo tanti anni, era riuscito ad affievolire il dolore che lo affliggeva dalla morte di mia mamma e infine, ero diventata un'altra persona.
Mi guardai allo specchio notando che, comunque, dall'esterno ero sempre me stessa. Non ero cambiata, eppure mi sentivo totalmente diversa.
Mi legai i capelli in una coda disordinata e tornai in camera, dove Carlotta era già sdraiata sul letto in compagnia di una bellissima barretta di cioccolato.
Mi appoggiai allo stipite della porta e la fissai ridendo.
«Non eri a dieta?»
«Ero. Esatto, hai detto bene sorella.»
Scossi la testa e mi buttai praticamente sopra di lei, strappandole di mano lo spuntino. E ci addormentammo così, con le dita sporche di cioccolato e i sorrisi stampati sui volti.


Guardavo la mia migliore amica, pensando a come potevo svegliarla senza farmi mandare a quel paese, quando la porta della mia stanza si aprii silenziosamente, strisciando sul pavimento.
«Sei già sveglia?»
«Intuitivo, Styles. Anche di prima mattina?»
Sorrisi al ragazzo, che alzò gli occhi al cielo piazzandosi davanti a me.
I suoi capelli spettinati, i suoi occhi vispi anche se mattina, le sue fossette e quel suo maledetto sorriso, meravigliosamente perfetto, mi fecero letteralmente arrotolare lo stomaco.
«Buongiorno, Moore.»
Passò un braccio dietro alla mia schiena e mi avvicinò a lui, chinandosi per lasciarmi un bacio.
«Buongiorno, Harry.»
Unii le mani dietro al suo collo intrecciando le mie dita e mi alzai sulle punte dei piedi, unendo di nuovo le nostre labbra. Picchiettai dolcemente con la lingua su di esse, chiedendo qualcosa di più, e ottenendolo subito dopo. Aumentò la presa sui miei fianchi e mi spinse contro il muro dietro alla mia schiena, facendomici appoggiare delicatamente.
«Caspita gente. Capisco che muoiate dalla voglia di darci dentro, ma non qui, non ora, e non come me nella stessa stanza!»
Ridemmo entrambi voltando la testa, senza dividere i nostri corpi.
«Buongiorno anche a te.»
Esclamai alla visione di Carlotta, seduta esattamente al centro del letto del letto e circondata da cuscini e cioccolata.
«Sì, certo. Come no, buongiorno a tutti. Pure al gatto del vicino.»
Borbottò lei, trascinandosi fuori dalla stanza sbuffando.
«Com'è carina appena sveglia...»
Ironizzai, poggiando la fronte contro quella del mio fratellastro. Lui mi guardava, senza proferire parola, senza un'espressione precisa. Era lì, che mi stringeva, ma non parlava. E questo suo silenzio mi agitava. Mi rendeva nervosa.
«Cosa siamo noi?»
Chiesi improvvisamente, sorprendendo anche me stessa.
«Siamo fratelli, amici, amanti...cosa siamo, Harry? Dimmelo...»
Socchiuse gli occhi, allontanando il viso dal mio e spostandosi di qualche passo, lasciandomi da sola, appoggiata al muro.
Tutto si fermò. Compresi noi stessi. Tutto tranne il mio cuore, che accelerò improvvisamente, mozzandomi il respiro. I suoi occhi incontrarono i miei e sussultai. Trasparivano di sincerità, ma erano stranamente lucidi, lontani.
«Tu sei...sei fottutamente tu. E questo a volte è un problema. Sei fastidiosa, fai troppe domande e, dio, quando rotei gli occhi al cielo mi irriti da morire. Sei quella bambina che mi ha legato le stringhe spingendomi poi nella piscina, sei quella bambina che mi ha bucato tre palloni da calcio, uno dietro l'altro...»
Lo guardai sbalordita, allargando gli occhi, non capendo dove volesse arrivare, ma in un certo senso compiaciuta che lui si ricordasse delle mie imprese di qualche anno prima. Quel suo discorso mi stava confondendo, e non poco.
«Sei partita quasi tre anni fa, e sei partita di qui proprio come una bambina.»
Lentamente, ritornò verso di me, racchiudendo la mia mano nella sua e sorridendomi dolcemente.
«Ma ora sei tornata. E sei qui, davanti a me, che mi guardi con quei tuoi occhioni che sono l'unica cosa che non è cambiata in te, ma che nascondono una ragazza insicura e speciale. E stai aspettando che io ti dica cosa siamo diventati. E se ti dicessi che non lo so? Se ti dicessi che l'unica cosa di cui sono sicuro è che ti amo? Se ti dicessi che non so cosa sei per me perché una cosa simile non mi è mai capitata?»
«Ti risponderei che credo proprio d'amarti anch'io.»
Mormorai a corto di fiato, lanciandomi su lui e lasciando scorrere delle lacrime sul mio viso, attaccata al suo petto.
Inspirai lentamente, sentendo il suo profumo invadermi le narici e mischiarsi con il suo sapore, che sentivo ancora nella gola.
Mi amava. Lui, Harry Edward Styles, mi amava. Ma lui per me non era quell'Harry Edward. Era solo...Harry. E in quel momento, capivo perché non mi ero mai sentita a mio agio a definirlo “mio fratello”.
«Ehi, ora non mi sporcare la maglietta.»
Rise e ricambiò l'abbraccio, baciandomi sui capelli e spettinandomi leggermente con una mano.
Quando alzai lo sguardo per guardarlo, posò il suo pollice prima su una guancia, poi sull'altra, e cacciò via le goccioline salate con un gesto rapido.
«Che ne dici se oggi usciamo?»
Mi baciò il naso, lasciandomi per uscire dalla camera.
«Con i ragazzi?»
Domandai seguendolo per il corridoio.ù
«No.» Si voltò e mi fece un occhiolino sbieco, che lo rese dannatamente sexy «Io e te, piccola.»
M'inciampai, e per poco non gli finii direttamente in braccio.
Io e lui. Da soli. Okay, Hope. Ora puoi lasciarti prendere dal panico.






SPAZIO AUTRICE.
Mi sono stancata anche stancata d'insultarmi da sola, per cui fatelo tranquillamente voi.
Sono giornate un po' così, sono davvero stanca gente. L'unica consalazione che posso avere sono le vostre sincere opinioni. Perché me le lascerete, vero? Scritte, in una recensione, magari....eh?   
Vorrei, come al solito, dedicare questo capitolo
  alla mia Charlie    . E sono sicura che starà leggendo questo, proprio ora. E spero che sorrida. Anche se lei, effettivamente, ha già letto questo capitolo in anteprima.
Ora vi lascio, ragazzuole. Vi prego, recensite. VI PREGO. La vostra opinione conta moltissimo, per me. Conta davvero molto.
Baci, bellissime.
SPAZIO 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


Harry

Tenevo le mani strette sul volante, come se potesse scapparmi da un momento all'altro. Ed ero nervoso. Troppo, nervoso. Non ero stato così neanche il giorno prima di esibirmi al Madison Square Garden. Ma lo ero. Per cosa, poi? Per una ragazza. Stupido idiota.
«Dove mi porti di bello?»
Domandò lei, distraendomi dai miei tortuosi pensieri. Mi voltai a guardarla per un secondo e sorrisi. Era così fottutamente bella: i capelli raccolti da un lato con una piccola molletta, poi sciolti e lasciati ricadere sulle spalle.
«Cosa vorresti che ti rispondessi?»
Mi fermai ad un semaforo, continuando a fissarla. Lei sembrava pensierosa e aveva un'espressione accigliata, con le sopracciglia aggrottate e un dito che batteva dolcemente sul suo mento. Poco sopra, un sorriso dominava il suo viso.
Senza riflettere troppo, mi sporsi dal sedile, attirando immediatamente la sua attenzione e poggiando per pochi secondi le mie labbra sulle sue, rubandole un bacio veloce che apparentemente non aveva un senso logico ma che sentivo il bisogno di ricevere. Non mi ero ancora abituato alla sensazione che mi procurava quel contatto, non mi ero ancora abituato ai brividi lungo la schiena e lo stomaco completamente a puttane, e mai l'avrei fatto. Ma quello lo sapevo perfettamente. Quello che non sapevo, era il perché lei in quel momento mi stesse come trapassando con una semplice occhiata dritta negli occhi.
«La verità, è che non m'interessa dove andiamo, Harry. Qualunque posto sarebbe perfetto insieme a te.»
Premetti con forza il piede sull'acceleratore e sentii le gomme stridere sull'asfalto sotto di me. L'aveva detto sul serio. Aveva detto una di quelle cose sdolcinate da film romantici. A me. E io ne ero felice, era questo il vero problema. Mi ero schifosamente innamorato di lei.
Guardavo la strada davanti a me, senza proferire parola, perso nell'ascoltare la mia spettacolare vocina interiore che mi insultava malamente.
Parcheggiai e, prima di scendere dall'auto sospirai, come se questo gesto potesse cacciare via tutte le mie assurde paranoie. Dovevo capire cosa dovevo fare. Dovevo scegliere, e dovevo farlo subito.


Hope

Guardavo il suo volto teso e la mascella serrata, e mi domandavo cosa avessi detto di tanto sbagliato ripercorrendo le mie parole. Non ci trovavo nulla di strano, eppure lui sembrava esprimere il contrario.
Sospirai e mi voltai verso il finestrino, poggiando la testa sulla mano e perdendomi nei miei pensieri. Tutto scorreva davanti a me, tutto cambiava talmente velocemente che non non riuscivo neanche a realizzare dove fossimo diretti, eppure non mi importava. Un po' come la mia vita in quel momento. Tutto cambiava, io non me ne rendevo conto, eppure non mi importava dove ciò avrebbe portato. Ammesso che avrebbe portato a qualcosa, ovviamente.
La macchina si fermò e io lasciai perdere tutti i miei assurdi film mentali, cercando di aprire la portiera al mio fianco che, però, non ne voleva sapere.
«Harry, non riesco ad aprir...»
Quando girai la testa verso il lato del guidatore mi accorsi d'essere rimasta da sola nell'auto. Non feci in tempo a domandarmi il perché che sentii lo scatto dello sportello.
«Quando sei sceso, tu?»
Risi afferrando la mano che mi porgeva e scesi.
«Forse trenta secondi fa, sì.»
Sorrise e il mio povero cuore mi schizzò in gola.
Indicò con la testa un parco dietro di lui e chiuse la macchina, per poi incamminarsi con la mia mano stretta nella sua.
Poco dopo, sentii le sue dita scivolare tra le mie, intrecciandole.
«L'ultima volta che ti ho offerto la mano per scendere dalla macchina, mi sei passata davanti insultandomi.»
Rifletté ad alta voce lui, lanciandomi un'occhiata veloce.
«Dall'ultima volta è cambiato qualcosina, non credi?»
«Beh, forse. O magari no.»
Mi fece un occhiolino e continuò a camminare, stringendomi la mano, enigmatico.
Era un parco, un normalissimo parco con tanto di bambini che si rincorrevano con i gelati in mano e genitori che parlavano del più e del meno, stando attenti che i propri figli non si sbucciassero un ginocchio. Ero stupita. Sì, stupita. Non perché fossi rimasta rimasta delusa dal luogo o dalla sua stramba scelta, ma....felicemente stupita. Lui non aveva scelto un ristorante di lusso a cinque stelle, no. Lui che era una star praticamente globale, mi aveva chiesto di uscire, e voleva vivere una serata normale, con la propria ragazza. Ma io non stavo uscendo con la star. Io stavo uscendo semplicemente con Harry. E quello rendeva tutto ancora più magico.
«Cosa ne dici? Ci facciamo una passeggiata?»
Si fermò giusto un attimo per guardarmi, e al mio consenso riprese la sua marcia.
«Perché hai scelto questo posto, Harry?»
Domandai curiosa, calciando un sassolino lungo il sentiero immerso nel verde.
«Forse perché da piccoli io e te eravamo sempre qua. No, beh. In realtà, io ero qua con i miei amici e tu t'inventavi di tutto per rompermi le scatole. Compreso bucarmi i palloni da calcio.»
Fece una smorfia, provocando la mia risata.
«Cercavo di attirare la tua attenzione..»
«
Oh, ci riuscivi benissimo, Moore. E ci riesci anche adesso.»
«
La differenza è che ora non lo faccio di proposito.»
Scosse la testa, aggiustandosi i capelli con una mano e ridendo. Subito dopo, iniziò a parlarmi della sua vita, dei ragazzi, delle fans. Senza che io gli avessi chiesto nulla, lui si stava aprendo con me. Era scattati qualcosa in lui, per non so quale ragione. A quanto pareva non doveva passare dei giorni facili, sempre sotto pressione, sempre in giro e mai in famiglia, sempre con mille cose per la testa e mille cose da fare.
«Tutti si aspettano qualcosa da te, quando sei in questo Mondo. Fai un passo falso, e sei fuori.»
Ci sedemmo su una panchina, e io posai una mano sulla sua guancia, accarezzandola con il pollice. Fu un gesto più che istintivo, lo feci senza riflettere troppo.
«Dimenticati di tutto, ora. Ci siamo solo io e te, e io non mi aspetto nulla. Voglio solo che tu sia felice. E che tu sia te stesso.»
Lo guardai dritto negli occhi, cercando di decifrare la sua espressione ma, come al solito, mi ci persi prima di trovare un indizio utile. Avevano quelle screziature di azzurro, quasi d'oro che ti confondevano. Quegli occhi, quando volevano, parlavano. In quel momento mi fissavano incerti, probabilmente cercando di capire la stessa cosa che io tentavo di scovare in lui.
«Piccola, non sottovalutarmi. Io non sono mai stato troppo incline alle dolcezze.»
«Io neanche, preferisco il salato.»
Sorrisi e annullai ogni sorta di distanza fra noi, chiudendo le palpebre e unendo le nostre labbra.
La mia mano era ancora poggiata sul suo viso, ma sentii le sue braccia poggiarsi sui miei fianchi e trascinarmi verso il suo corpo, per poi scendere a sfiorarmi le gambe. Ma non fu un semplice bacio a stampo, come quello che Harry mi aveva regalato poco prima, in macchina. Ma fu un bacio speciale, uno di quelli che non si possono scordare neanche se si volesse. Nelle mie vene non scorreva sangue, ma un liquido strano, che bruciava tutto ciò che incontrava; nel mio petto non batteva più un cuore, ma c'era un terremoto; nella mia testa, non c'erano più i pensieri di poco prima, ma c'era lui. Solo e soltanto lui.
La sua lingua giocava con la mia, le sue dita indugiavano sotto il bordo della mia maglietta, e il mio cervello era totalmente da un'altra parte.
Lui è tutto ciò che mi scorre nelle vene, che mi batte nel petto, che mi rimbomba nella testa.
Continuai a baciarlo, senza preoccuparmi che fossimo in un parco pubblico, senza preoccuparmi di nulla. Continuai a baciarlo, come se non ci fosse stato un domani.


Harry

Se non fossi stato seduto, probabilmente sarei svenuto, sdraiato sull'erba in attesa di un'ambulanza.
Ma no. Non sarebbe accaduto. La sentì gemere lievemente, mentre io riuscivo solo a pensare a quanto fosse stupendamente bello baciarla, avere il suo corpo attaccato al mio, il suo respiro che si mischiava col mio e il suo battito accelerato che mi faceva sentire il Re dell'Universo. Ero io a farla sentire così. Certo, molte altre ragazze sarebbero cadute ai miei piedi con una semplice occhiata, migliaia, milioni. Ma la verità era che non m'importava di far sentire le farfalle nello stomaco a tutte queste ragazze. Ma a lui sì. Un suo sorriso, ne valeva cento, mille, di chiunque altro.
«Ti odio.»
Mormorò, strisciando le labbra sulle mie.
«Ti odio, perché non riesco a fare a meno d'amarti. Io non devo amarti, io non posso amarti. Ma lo faccio lo stesso.»
«
Sei sempre stata una bambina disobbediente, amore.»
Le diedi un ultimo bacio sul naso e mi alzai, portandola con me.
Amore. Harry, l'hai appena chiamata 'amore'. Da quando si chiama una ragazza in questo modo?
Oh, ma lei non era una ragazza. Lei era la mia, ragazza.
Mi guardò per una attimo incredula, continuando a camminarmi accanto. Feci finta di nulla guardandomi intorno e fischiettando, come se quello che avevo appena detto non avesse scosso me per primo.
Le passai un braccio intorno alla vita, infilandola poi nella tasca posteriore dei suoi jeans, mentre lei posava la sua sul mio fianco opposto.
Stai facendo un casino dopo l'altro, Styles. Ma almeno stai toccando il suo culo.
Risi del mio pessimo pensiero e spostai lo sguardo in avanti, incontrando un paio di occhi azzurri che sembravano irradiare saette.
Ma Dio, questo è sempre in mezzo!?


Hope

Imitai il ragazzo al mio fianco e guardai proprio di fronte a me, ritrovandomi poco distante dal mio imminente, grande, enorme problema.
«Ma non era tuo fratello, questo qua?»
«
Non è mio fratello...» mi strinsi al corpo di Harry, lanciando un'occhiata, che doveva essere minacciosa, ad Itan «sono il tuo fratellastro» terminò il riccio, ricambiando la stretta.
«E' la stessa cosa.»
Il biondo sbuffò, avvicinandosi a noi.
«Non è la stessa cosa, coso.»
Ringhiò Harry, fermandosi proprio davanti a lui.
«Fratelli o no, non si è mai visto nessuno slinguarsi un membro della propria famiglia, non credi?»
Sbarrai gli occhi, pensando immediatamente alla faccia che avrebbe fatto mio padre quando Itan gli avrebbe sputato tutto in faccia. Perchè, sì, l'avrebbe fatto.
«Ascolta, Cicciobello, per me puoi anche andare a letto con tua cugina, tua nipote o tua nonna, non m'interesserebbe. Quindi, non vedo perché deve interessarti se lo faccio io.»
«Ma ti sei visto tu? Cos'hai in testa, un nido di rondini, Styles?»
«Oh, ma allora sai come mi chiamo...Cicciobello.»
Rise sarcasticamente, senza distogliere lo sguardo dagli occhi dell'altro.
«Non ti conviene trattarmi così, sai?»
A questo punto, sciolsi l'abbraccio e mi misi fra di loro, poggiando le mani sul petto di Itan e spingendolo delicatamente indietro.
«Itan, per favore. Ti prego, non...»
«Non dire niente a Erik? E perché non dovrei, Hope?»
«
Perché...perché...»
Iniziai a balbettare, entrando nel panico più totale.
Merda. Merda, merda, merda. Sei nella merda, ragazza.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. ***


Harry parcheggiò la macchina nel vialetto di casa inchiodando e facendo stridere le gomme sull'asfalto.
Mi passai velocemente una mano sulla guancia, asciugando una lacrima ribelle che non ne aveva voluto sapere di starsene al suo posto, e poi aprii lo sportello dell'auto, scendendo non troppo delicatamente, e chiudendomelo alle spalle allo stesso modo.
«Harry, hai tu le chiavi?»
Domandai voltandomi verso di lui che si limitò ad annuire e infilarle nella toppa della porta. Due scatti, un click, e il portone era aperto.
«Hope» mormorò attirando la mia attenzione «ti amo».
Spalancai gli occhi e aprii la bocca, cercando di replicare: ma non uscì un parola, neanche un sospiro. Nulla. Non ebbi il tempo di riprendermi, lui mi diede un bacio veloce alla base del collo per staccarsi immediatamente, alla comparsa di mio padre al fondo delle scale.
Facendo rimbalzare i miei capelli da una parte all'altra scossi la testa, cercando di concentrarmi sulla sua espressione, sperando che Itan non fosse passato da casa mia, e non sull'eco che le due parole appena pronunciate formavano nella mia mente.
Ma Itan Non poteva farmi questo. Era mio amico, lo era sempre stato. Non aveva nessun motivo per farlo.
«Ragazzi...»
La sua voce era strana, cupa, forse preoccupata. Senza farci caso, mi avvicinai di un passo al ragazzo, come se questo gesto potesse in qualche modo difendermi dalla possibile sfuriata di mio padre.
«Dobbiamo parlare un attimo» affermò deciso, andandosi a sedere sul divano e indicandoci le poltrone accanto. Deglutii e eseguii gli ordini senza discutere, a testa bassa.
Lanciai un'occhiata al riccio, che sembrava mantenere la calma, molto più di quanto potessi farlo io. E non so se ero più agitata per il fatto che il ragazzo m'avesse appena detto una cosa che non mi sarei mai aspettata di sentir dire da lui e che mai mi sarei abituata ad ascoltare oppure per il fatto che avevo due paia di occhi adulti che mi fissavano indagatori: mio padre invitò ad unirsi a noi anche Anne, che con un leggero sorriso si accomodò al suo fianco.
«Abbiamo saputo oggi...» iniziò Anne, per poi fermarsi qualche secondo che a me sembrò un secolo. In quel momento mi passarono per la testa mille cose, mille immagini, mille pensieri. Magari quelli che avrebbe potuto pensare mio padre, ripudiandomi «...che il capo di Erik, gli ha dato una promozione. Per questo, dovremmo partire fra tre giorni, dobbiamo andare a Liverpool per il controllo della sede».
Il mio cuore perse i battiti e sospirai, lasciandomi ricadere sulla poltrona con un sorriso beato sul volto.
«Una promozione? Volevate parlarci di una promozione?»
Chiese retoricamente Harry, lasciando spazio ad un sorrisetto sghembo di quelli che facevano tremare anche i capelli. Almeno, a me.
«Esatto. Ma non vorremmo lasciarvi da soli, anche perché si tratterà di un impegno che potrebbe durare parecchio...»
«Mamma, non abbiamo due anni.»
Borbottò il riccio, con un'aria tremendamente infantile che mi fece tenerezza.
«Non avete due anni, ma siete adolescenti. E da copione, si sa che gli adolescenti non vanno mai lasciati a casa da soli.»
Anne arricciò un sopracciglio, ridendo.
«Andate, partite, divertitevi ma non fate figli. Stiamo bene così, mi basta il mio...fratellastro.”
Esclamai io felice, intromettendomi nella conversazione.
«Oh, Hope. Quando ti deciderai a capire che è tuo fratello?»
Mio padre mi guardò rammaricato.
«Mai, papà. Mai.»
Abbassai gli occhi, sperando che mio padre lasciasse cadere il discorso, sperando che non mi facesse domande e che non insistesse sul fatto che ormai facevamo parte della stessa famiglia.
«Non sarò mai suo fratello. Mi dispiace Erik, mettiti il cuore in pace, ma io e questa ragazzina qua, non saremo mai fratelli.»
«
Ma che avete voi due?»
Anne si alzò roteando gli occhi al cielo e incamminandosi su per le scale, continuando a borbottare.
«E' fatta così.»
Mio padre rise e la raggiunse al piano di sopra, mentre io rimasi con la testa bassa e i pensieri altrove.
La mia vita è diventata uno zoo.
Ero una normale adolescente, no? Andavo bene a scuola, avevo una migliore amica e fino a poco tempo prima avevo anche un migliore amico che ora stava tentando di rovinarmi l'esistenza, una famiglia e delle passioni comuni. Poi, era arrivato lui.
Alzai gli occhi e lo guardai, con le lacrime sulla soglia del non ritorno. Stava seduto sulla poltrona, la testa lasciata cadere sullo schienale e lo sguardo rivolto verso l'alto. Stava pensando a qualcosa.
Era lui, la causa dei miei problemi, dei miei film mentali.
Ma era sempre lui, la causa dei miei sorrisi e della mia esistenza.
La felicità e il sollievo di poco prima erano improvvisamente svaniti. Che diavolo mi stava succedendo?
Abbassai le palpebre, cercando di riordinare i miei pensieri. Odiavo le cose non organizzate. E questo, era decisamente un fuori programma.
«Ti odio, Harry.»
Mi alzai e mi avvicinai a lui, attirando la sua attenzione.
«Non potevi essere diverso? Non potevi essere uno stronzo, cafone, arrogante, puttaniere e...e...antipatico? Oh, no. Aspetta. Tu lo sei. Lo sei per tutti gli altri, per tutto il mondo là fuori da quella porta. Ma no. Io so che non sei così. Io ti conosco per quello che sei. E sì, io mi ricordo di quando andavamo dai tuoi in panetteria insieme, lo sai? Mi ricordo tutto, e ti odio. Ti odio perché non riesco a non amarti, ti odio perché non riesco ad odiarti.»
Mi passai violentemente le mani tramanti sulla faccia, cercando di scacciare le lacrime.
Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi, non avevo la forza di perdermici dentro.
Sentii le sue mani afferrarmi per i fianchi e poco dopo mi ritrovai con la testa sul suo petto, dondolata dalle sue braccia. Mi aveva preso in braccio e io non avevo avuto la buona volontà di ribellarmi. La verità era che ci stavo così bene, a contatto con lui.
Sentivo le sue dieta accarezzarmi dolcemente la schiena e il suo respiro fra i capelli.
«Andrà tutto bene, Hope. Andrà tutto bene. Hai capito?»
Annuii non troppo convinta, continuando a far scendere le poche lacrime rimaste e beandomi della sua voce, che mi stava sussurrando delle parole che avevo già sentito in passato, ma di cui ero troppo stanca per curarmi. Sapevo solo che stava cantando, e lo stava facendo per me.


«Ragazzi, dai, porca miseria. Come ve lo devo dire? Vi volete svegliare?»
Silenzio.
«Oh, e dai. Se preferite vi faccio svegliare dai vostri genitori, ma non so quanto potranno essere contenti di trovarvi...così.»
Aprii lentamente gli occhi per ritrovarmi davanti il viso di Charlie con un'espressione accigliata.
«Ehi...»
Mormorai, accoccolandomi ancora di più al petto di Harry, ancora assopito.
«Ehi? Ehi, un corno! Alzati. Capisco che ci stai bene lì, chi non starebbe bene? Ma ora muovi il tuo culo moscio e alzati!»
«Non urlare...»
Bofonchiai tentando di rientrare nel pieno delle mie facoltà mentali.
L'ultima cosa che mi ricordavo, era la voce di Harry. Mi ero addormentata ascoltando la sua voce.
Sorrisi e alzai di poco la tasta, quel tanto che bastava per vedere il riccio con la bocca semiaperta e i capelli in disordine.
Mi meravigliai di quanto quel ragazzo potesse essere splendido, anche senza volerlo. Senza impegnarsi, era un qualcosa di perfetto.
«Resterei anch'io a contemplarlo per ore interminabili ma tu non sei nella situaz...»
S'interruppe non appena sentì la voce di mio padre provenire dalle camere.
«Si può?»
«
Oh, Erik! Siamo giù!»
L'uomo stava bussando alla porta di Harry, nella speranza che lui gli aprisse. E, teoricamente, gli avrebbe aperto, se fosse stato in camera. Ma non c'era.
«Sveglia il testone, io lo blocco su.»
Bisbigliò Carlotta sbuffando e armandosi di un fantastico sorriso sul volto, pronta per salire.
Io mi sistemai sulle gambe del ragazzo e poggiai una mano sulla sua guancia.
«Harry? Harry, svegliati...»
Lui mugugnò qualcosa di incomprensibile, ma non si mosse, facendomi scappare una risata.
Mi avvicinai alle sue labbra, frenando un brivido che partì dalla mia schiena quando sentii il suo respiro sul mio viso. Poggiai delicatamente la bocca sulla sua, quel tanto che bastava per fargli aprire gli occhi.
«Buongiorno.»
Sussurrai, guardandolo. Ricambiò il sorriso e mi guardò come un bambino guarda la mamma al risveglio mattutino.
«E' ora di alzarsi, prima che ci facciano alzare i nostri genitori.»
Finalmente, decise che era il caso di muoversi e si stiracchiò, sbadigliando.
«Ma non mi hai neanche salutato come si deve.»
Si lamentò, soffiando sui miei capelli.
«Dai, pelandrone. Lo farò dopo.»
Risi e mi alzai giusto in tempo per vedere Carlotta farmi dei gesti strani dall'entrata. Piegai la testa di lato, cercando di rimanere seria e provando uno scatto di ira nella ragazza, che emise un verso strano per raggiungere subito dopo mio padre in cucina.
Forse è meglio se vai anche tu.
Scossi la testa e lanciando un'ultima occhiata ad Harry, raggiunsi la mia migliore amica.
Poco dopo, eravamo tutti e cinque intorno al tavolo, a consumare la nostra colazione. Gli altri parlavano tranquillamente, mentre io ero impegnata nella mia solita parte da asociale compulsiva, immersa nei miei pensieri. Probabilmente Anne stava tentando di comunicare con me, perché notai la sua mano sventolarmi davanti alla faccia.
«Oh, dicevi?»
Mormorai scusandomi e mordendo la brioche al cioccolato che avevo davanti.
«Guardatela. La piccola Hope innamorata.»
Quasi non rischiai di strozzarmi con il boccone che avevo in bocca, e non ero l'unica ad aver avuto una reazione simile.
«Perché hai detto così, mamma?»
Chiese Harry, tentando di fare l'indifferente.
«Intuito. È sempre fra le nuvole. E infine, non per importanza, sta mangiando una brioche. Qualcuno l'ha mai vista mangiare una brioche?»
Era vero. Non andavo pazza per la colazione in generale e non avevo mai mangiato una di quelle cose. Immediatamente, la lasciai cadere sul tavolo, abbassando gli occhi.
Speravo che Charlie intervenisse in mio favore, ma niente. Era troppo occupata a seguire la scena come se fosse al cinema.
Sarei impazzita. Uno di quei giorni sarei impazzita. Stavo rischiando l'esaurimento, la reclusione in un istituto d'igiene mentale.
«Oh, vado io.»
Mio padre posò la sua tazza nel lavandino e si diresse alla porta dove, a quanto pare, qualcuno aveva suonato al campanello.
E tu dov'eri, ragazza? Eh? Non te ne sei neanche accorta. E voglio dire, un campanello, è un campanello.
«
Ehi, Hope! E' per te, c'è Itan!»
Alzai gli occhi e li puntai su Harry, per la prima volta allarmato quanto me.

SPAZIO AUTRICE.
Scusate, scusate, scusate. E' inutile che continuo a scusarmi, tanto continuerò a postarvi i capitoli in ritardo, scusatemi. E ora....spero vi piaccia questo capitolo, perché sono davvero bloccata, in questo periodo. Non riesco a scrivere. Ciò che scrivo, lo cancello, in continuazione. Spero sia degno di voi, almeno un minimo. 
Bene, belle bimbe. Aspetto una vostra recensione, che vi sia piaciuto o no. Per favore, vi prego. Una recensione piccola piccola piccola.
Alla prossima, ragazze. Un bacione!

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. ***


Mi alzai di scatto dal tavolo, spingendo la sedia indietro, e mi mossi velocemente verso l'ingresso, dove trovai l'ospite insieme a mio padre.
«Itan! Che...che ci fai qui?»
Balbettai, con le gambe che tremavano.
«Non sei contenta di vedermi, splendore?»
Mi attrasse a sé, stringendomi in uno dei suoi soliti abbracci che, in quel momento, aveva tutto un altro significato.
Mormorai un «ti prego» e mi staccai, guardandolo in faccia. Fu come se non mi avesse sentito; sorrise ed entrò nella cucina. Salutò tutti lanciando una strana occhiata ad Harry, che ricambiò senza troppi problemi e si sedette fra me ed Anne.
«Allora, Itan. Come mai da queste parti? Era parecchio che non ti si vedeva qui intorno.»
«Con la libreria e gli allenamenti non ho mai molto tempo libero, ma stamattina ho pensato di venirvi a fare un saluto.»
Rispose innocentemente, alzando le spalle. Dio solo sa cosa avrei fatto in quel momento, se solo avessi potuto strangolarlo senza essere notata.
Dopo un cenno di consenso di mio padre, restammo tutti in silenzio: Anne e Charlie finivano la colazione, mio padre leggeva il giornale, ed io e Harry ripassavamo il vangelo nella speranza che non accadesse nulla di ciò che pensavamo. O almeno, io lo stavo facendo.
«Beh? Hope vi ha dato la bella notizia?»
Tossii rumorosamente, guardando il biondo al mio fianco.
No, no, no, no.
Strinsi gli occhi arricciando il naso, preparandomi al peggio: Anne avrebbe dato di matto, mio padre mi avrebbe diseredato ed Harry sarebbe stato spacciato. In tutti i sensi.
«Il reclutatore mi ha chiamato, mi hanno preso nella squadra agonistica!»
Ma vaffanculo.
Tirai un sospiro e mi accasciai sulla sedia, sentendo tutti gli elogi fatti da Anne e mio padre.
Sospirai, cercando di isolarmi da ciò che stava succedendo nella stanza, ma a quanto pare era davvero impossibile. L'ansia mi stava letteralmente divorando e così sarebbe stato fino a quando Itan non fosse uscito da casa mia. In quel momento sospettai per la prima volta di soffrire di tachicardia.
«Grande, Hogan. E cosa fai, il palo della porta?»
Esclamò il mio fratellastro, mandando giù un sorso d'acqua e ridendo.
Non è il momento di fare il coglione, cazzo.
Stavo maledicendo mentalmente il ragazzo quando Itan ricambiò la risata posando un braccio sopra alle mie spalle, avvicinando la mia sedia alla sua.
«Non mi sembra che tu sia nella situazione adatta per fare lo spaccone, riccio.»
L'altro lo fulminò, stringendo la mascella e guardandolo di sbieco.
«E l'altra bella notizia non la sapete?»
Annunciò quello che ritenevo fosse il mio migliore amico attirando l'attenzione di tutti. Guardai spaventata Carlotta, e subito dopo riportai lo sguardo sul biondo.
«Hope si è fidanzata!»
Sbem.
Il tempo sembrò fermarsi e sentivo gli sguardi di tutti addosso, come se mi fossi trasformata nel loro film preferito.
Un susseguirsi di emozioni mi fece avvampare e immediatamente scoppiai in una risata isterica.
«Ma che dici? Non è vero.»
Borbottai cercando un qualsiasi aiuto valido nell'altro ragazzo coinvolto che, in quel momento, sembrava totalmente assente.
«Oh, e dai Hope. Diglielo e basta.»
Intervenne di nuovo il ragazzo biondo che stava minacciando di rovinarvi la vita.
«Davvero, piccola?»
Domandò mio padre, con gli occhi spalancati e il giornale ormai sul tavolo.
«Oh, lo sapevo! Te l'avevo detto Erik, te l'avevo detto!»
Esultò felice Anne, alzando le braccia ridendo.
Non riderà così fra pochi minuti. Oh, proprio no. Dio, se esisti, aiutami.
«E con...chi?»
Ora, hai il permesso per farti prendere dal panico più totale.
Mi morsi l'interno della mascella, alzando un'ultima volta lo sguardo su Harry, che mi fissava perplesso. Cosa dovevo fare? Quel ragazzo mi stava portando solo problemi. Con me stessa e con chiunque sospettasse di noi. E odiavo me stessa, perché non riuscivo a vederlo diversamente, non riuscivo a non amarlo.
Fu come una doccia fredda mischiata ad un'ustione di primo grado. Ricacciai indietro le poche lacrime che minacciavano di affacciarsi, come al solito, e presi aria.
Era tutto così fottutamente difficile.
«Okay, se non vuoi dirglielo tu, glielo dirò io.» Hogan si schiarì la voce «La nostra bellissima Hope, a quanto pare, si è fidanzata con il qui presente-»
«
Lui» Mi strinsi al fianco di Itan, mettendo su il sorriso più carino e docile che credevo di avere «Sì, con lui. Sto con Itan.»
Mormorai più confusa degli altri, che erano diventati delle statue di cera.
Percorsi il tavolo con lo sguardo, ogni singola persona: Carlotta stava cercando di non sputarmi tutti i cereali che aveva in bocca in faccia, mio papà era in uno strano stato di trance, Anne era già scattata in piedi per venire a congratularsi e Harry....si limitava a respirare rumorosamente, facendo alzare e riabbassare irregolarmente il suo petto. Itan, invece, cercava inutilmente di smontare la mia fasulla teoria, ma non ci riuscì.
«E quando avevi intenzione di dirmelo?!»
Saltò su l'uomo che mi aveva messo al mondo, iniziando una particolare predica sui rischi che si corrono avendo un fidanzato. Ma io non lo stavo ascoltando. Non capivo cosa provavo, se ero felice per il mio alibi puramente inventato sul momento, oppure in panico per aver mentito.
Ma non avevo tempo per pensare a quello. E neanche voglia.
Harry. Tutto ciò che m'importava veramente, era come avrebbe reagito lui. Se mi avrebbe voluto ancora, se fosse arrabbiato o ferito, cosa gli passava per la testa in quel momento.
Senza dire una parola, uscii dalla stanza e corsi su per le scale, sbattendomi la porta della mia camera alle spalle. Cos'era appena successo? Il coraggio di guardarlo negli occhi, non c'era. Avevo tremendamente paura di quello che avrei potuto vedere, scoprire. Aveva paura di non rivedere più quello che avrei voluto vedere, in quelle iridi che mi avevano fatto completamente uscire di testa.
Mi buttai sul letto e singhiozzando, sprofondai la testa nel cuscino. Nella testa mi frullavano tanti di quei pensieri che a stento ricordavo perché stavo imitando una fontana. Noncurante del trucco sciolto sul cuscino, del pandemonio che ci sarebbe potuto essere in quel preciso istante al piano di sotto, di tutto e tutti, mi lasciai andare, sperando solo di trovare quel minimo di sonno che speravo mi avrebbe tolto dalla realtà per qualche minuto, qualche ora, qualche giorno. L'ultima opzione era impossibile, ma speravo veramente fosse così. Non avevo voglia di riaffrontare la realtà, la mia realtà. Quella odiosa e fasulla che mi ero creata io.


«Non credi di dovermi delle spiegazioni?»
Un rumore, la porta chiusa, e la chiave nella serratura.
Questa situazione non ha mai portato a nulla di buono.
Mi stropicciai gli occhi, guardai l'orologio sul comodino per accorgermi che erano le diciotto e mi alzai lentamente, senza voltarmi però verso la porta.
«Non so che spiegazione potrei darti.»
Senza rendermene conto, tentai inutilmente di asciugarmi delle lacrime inesistenti e mi appoggiai al davanzale della finestra aspettando che il ragazzo dietro di me continuasse a parlare, sperando solo che non fosse troppo sincero.
«Cazzo, non fare così, Hope. Non puoi fare così. Hai presente di che casino hai fatto scoppiare giù di sotto?»
Sentii i suoi passi leggeri dietro di me, e trattenni il respiro.
«Ma più di tutto» la sua mano si posò sul mio fianco, e immediatamente tremai. Mi fece voltare, e per la prima volta dopo tutto quel caos, mi scontrai con i suoi occhi «come ti è venuto in mente?»
«
Non lo so Harry, non lo so.»
Scossi la testa, rilassandomi sotto il suo tocco.
«Non fare l'indifferente. Odio quando ti comporti così.»
Mormorò stringendo i denti e tenendo lo sguardo fisso su di me.
«Vuoi sapere cosa c'è, Harry? Vuoi sapere se ti amo? Sì, ti amo. Ti amo più di qualsiasi altra cosa, ti amo più di me stessa. Amo Itan? No, per niente. Ma cosa potevo fare? Eh? Dimmelo tu, dovevo sbattere in faccia alla nostra famiglia che credo di essermi innamorata del mio fratellastro? Oh, non è niente di illegale, ma questo non risparmierà un attacco di cuore a mio padre! Non mi è venuto in mente niente di meglio che buttare tutto su quello. Io...io non so cosa mi è preso, ma non ti chiederò scusa per averci parato il culo a tutti e due. Ora non so cosa farò, e come gestirò la situazione, davvero non so come andrà a finire. Vorrei solo che tu capissi...come stanno le cose.»
La mia voce si affievolì. Avevo ricominciato a piangere, avevo ricominciato a fare quello che mi ero ripromessa non avrei mai più fatto.
In quel momento, sentii la mia testa girare vorticosamente. Chiusi le palpebre e aspettai di cadere per terra, come un'idiota, ma non accadde. Mi ritrovai semplicemente a baciarlo.
Sentivo il suo fiato sopra le mie labbra, il suo respiro regolare sfiorarmi la guancia, mentre delicatamente mi spingeva indietro, lasciandomi più confusa che mai.
«Ti amo anche io, Hope. Ti amo.»
Il mio cuore mi saltò in gola, ma il suo solito sorriso non arrivò. Al contrario, potei vedere chiaramente i suoi occhi cambiare luce, mentre si avvicinavano di nuovo al mio viso.
Sentii il lenzuolo fresco toccarmi la schiena e mi resi conto solo in quel momento di essere di nuovo sdraiata sul mio letto, con lui steso sopra, che teneva le mie labbra intrappolate tra le sue.
Ormai totalmente presa da lui, mi aggrappai alle sue spalle e lo avvicinai il più possibile a me, scendendo fino a poggiare la bocca sull'incavo del suo collo, dove lasciai dei piccoli baci. Risalendo verso il suo volto, seguendo la mascella, unii la lingua per poi sentirlo gemere leggermente.
Poco dopo, le sue labbra stavano catturando le ultime lacrime rimaste, e tutto il dolore che fino a poco prima dominava dentro di me, era improvvisamente sparito.
Ora provavo una nuova sensazione, ero tesa, nervosa. Sentivo una passione lancinante scorrermi nelle vene, vedevo solo le sue iridi verdi, fisse nelle mie.
Afferrai la sua t-shirt bianca, e la buttai non troppo delicatamente sul pavimento, dove poco dopo venne raggiunta dalla mia.
Il suo tocco era ormai dappertutto, le mie unghie conficcate nella sua schiena. Non ci volle molto, prima di trovarci in intimo. Intrecciai le mie gambe fra le sue, e sospirai. Tolti anche gli ultimi indumenti, poggia le mani sulle sue guance.
Con il fiato corto, dissi l'ultima cosa che avrei pronunciato quel giorno.
«Siamo un errore.»
«Niente è sbagliato insieme a te.»
E così, quel giorno, consumai il mio amore, per la prima volta. Nella mia stanza, c'erano solo gemiti soffocati, nomi sussurrati e dolori colmati.
Io sentivo quello che provava lui, lui sentiva quanto lo amavo io. Era mio. Era davvero, completamente mio.
Inarcai la schiena cercando più contatto possibile, e sorrisi, senza dar peso al male fisico che sentivo.
Finché sarebbe esisto un 'noi', sarebbe andato tutto bene.






SPAZIO AUTRICE.
Non vi chiedo neanche più scusa per l'abnorme ritardo, perché questa volta ho esagerato veramente.
E' stata un'estate un po' così, perdonatemi. Anzi, non fatelo. Non avrebbe senso, sono un casino. Continuerò a chiedervi scusa per il resto dei miei giorni e dei miei capitoli, sappiatelo però.
Spero che questa schifezza vi piaccia. A me, come al solito, non entusiasma ma ci ho messo l'anima. Un'amica mi ha detto che è 'stupendo', se non vi piace, è colpa sua.
Voi che ne pensate? Me la lasciate una recensione piccola piccola?
Ragazze, se seguite ancora questa....cosa, grazie davvero. Sul serio, non sapete quanto vi sono grata.
Un bacione, Sara.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. ***


Un brivido mi percorse la schiena e mi fece sorridere, mentre mi raggomitolavo al petto del ragazzo al mio fianco che sentii ridacchiare dolcemente.
«Non è per fare il guastafeste, ma dovremo scendere di sotto...»
«Ancora due minuti..»
Mugugnai incastrando la testa nell'incavo fra la sua spalla e il suo mento.
«Hope, per me potremmo stare qui per sempre.»
Ripercorsi con la mente le ultime ore, per arrivare alla conclusione che tutto stava diventando un gran caos, ma cosa mi poteva importare in quel momento? Avevo appena fatto l'amore con il ragazzo che amavo, tutto quello che vedevo erano il suo sorriso e i suoi occhi e tutto quello che sentivo era il suo profumo. Profumo di cosa, poi?
Di Harry. È solo profumo di Harry.
«Amore...» sentii la sua voce appena accennata rimbombarmi nella testa e arrossii alzando leggermente lo sguardo «grazie.»
«
Ora non te ne uscire con frasi del genere 'è stato bellissimo' perché potrei sotterrarmi..»
Mostrò le fossette stringendomi a sé e lasciandomi un bacio sui capelli.
«Però è stato fantastico sul serio.»
Disse alzando un sopracciglio e fissandomi.
«E dai, Harry...»
Scossi la testa alzandomi e raccogliendo i miei vestiti sparsi in giro.
«Vuoi dire che per te non è stato lo stesso?»
Mi bloccai per riportare poi lo sguardo su di lui, con i capelli tutti spettinati e seduto in mezzo al letto solo coperto per metà dal lenzuolo. Aveva un'aria strana, un misto di dolcezza e passione, di adulto e bambino, di innocenza e di malizia.
Feci due passi incerti verso di lui, prendendogli il viso tra le mani e accarezzandogli la mascella con i pollici.
«Sto dicendo che è stato perfetto, riccio.»
Gli diedi un bacio a stampo per poi dileguarmi nel mio bagno, ridendo.
«Hope, mi tiri le mutande?!»
Chiudendomi la porta alle spalle non risposi, ma non riuscii ad evitare di ridere rumosamente.
Mi guardai allo specchio per scoprire di avere un succhiotto alla base del collo e una faccia stravolta.
Qualcuno ha bisogno di una ripulita.
Mi buttai sotto la doccia e iniziai a pensare. Non ero più una ragazzina. Non ero solo Hope. Nella stanza accanto alla mia c'era il mio fratellastro, nudo, nel mio letto e avevo appena fatto l'amore con lui. Io, avevo fatto l'amore con un ragazzo. Io, l'avevo fatto con Harry.
Sorrisi insaponandomi i capelli e accorgendomi di essere parecchio dolorante.
Ben ti sta, ragazza.


Harry

Mi passai una mano sulla fronte, cercando di mettere al loro posto i capelli e poco dopo sentii il rumore dell'acqua che scorreva nella doccia. Sorrisi.
L'avevo davvero fatto con lei. Lei. Non stavamo parlando di Ashley, Lizzie o Martha. No, loro non erano state niente. Una notte. Forse due. Ma quando sei una persona del mio calibro, voglio dire, cosa volete che sia? Ora non ero più io. Oppure non ero mai stato davvero io fino a quel momento.
Hai solo fatto sesso con una ragazza, Styles. Che cavolo stai dicendo?
Avrei voluto pensarla così. Ma le cose non andavano esattamente a quel modo. Non avevo fatto sesso, per una volta. Avevo fatto l'amore. E non sarebbe stata l'unica volta, sarebbe riaccaduto. Con lei. Solo ed esclusivamente con lei. Mi ripromisi che da quel momento in poi, non sarebbe accaduto con nessun'altra. Io ero suo. Diamine, ero davvero suo.
Sentii il mio cellulare squillare sul pavimento, nella tasca dei pantaloni. Mi allungai dal materasso e lo afferrai, per vedere poco dopo la faccia di Louis apparire e scomparire a intermittenza dallo schermo.
«Lou...»
«Hazza! Ti chiamo da ore, ma dove caspita ti eri ficcato? No, aspetta. Non m'importa. Ti aspettiamo fra mezz'ora sotto casa, andiamo a mangiare da Alfred, in pizzeria. E porta la tua sexy sorella, altrimenti non venire nemmeno.»
«Mi fai parlare? E se non volessi venire?»
Smorzai una risata pensando al mio migliore amico totalmente logorroico e attesi una sua risposta.
«Se tu non vuoi venire, mandi tua sorella. Oppure muovi il culo e vieni lo stesso.»
«Te lo puoi scordare che mando Hope da sola in balia di voi animali. Ci vediamo dopo.»
«Ohoh, come si scalda il tipo. Ho come l'impressione che tu ci debba raccontare qualcosa. A dopo amico.»
Roteai gli occhi e lanciai il telefono sul cuscino, per poi alzarmi e aprire silenziosamente la porta del bagno.

«But baby if you say, you want me to stay,
I’ll change my mind.
Cause I don’t wanna know while I’m walking away
If you’ll be mine,
Won’t go, won’t go...
» Stava cantando. Stava cantando una nostra canzone, una mia canzone.
«...So baby if you say, you want me to stay...» poggiai una mano sulla porta scorrevole della doccia ed entrai delicatamente, afferrandola per i fianchi «...stay for the night...» continuai a cantare io, mentre lei sobbalzava al suono della mia voce, per dire poi insieme le ultime parole del ritornello.
Aveva tutti i capelli bagnati sulla fronte, gli occhioni spalancati e sorpresi e le labbra appena incurvate all'insù.

«Cosa ci fai qua?»
«Non sapevo cantassi così bene.»
«Non mi prendere in giro, Harry Styles dei One Direction.»
Mi morsi il labbro inferiore poggiando la fronte sulla sua.
«Sei così sexy.»
Mi spinse poggiando le mani sul mio petto e rise.

«Esci.»
Piegai la testa da un lato e la guardai di sbieco.

«Perché?»
«Mi sto facendo la doccia.»
«E non possiamo farla insieme, piccola?»
«No, piccolo.»
Ribatté lei enfatizzando il soprannome. Io, ascoltando solo i miei ormoni, abbassai lo sguardo sul suo corpo, coperto di goccioline e meravigliosamente suo.
«Harry!»
Esclamò tirandomi la spugna in pieno viso.
«Ascolta, siamo nudi, in una doccia, solo io e te. Non è colpa mia se sei così...così...»
«Baciami.»
M'interruppe lei, lasciandomi completamente basito.

«Mi hai sentito? Ho detto, baciami.»
«Ma io..»
Completamente stordito da quella sua affermazione, rimasi immobile quando le sue braccia si allacciarono intorno al mio collo e la situazione non cambiò quando la sua bocca s'impossessò della mia, dando inizio ad un bacio totalmente differente da quelli precedenti, dolci e casti.
Avanzai fino ad incastrarla fra me e il muro, e lei sobbalzò, sentendo ogni centimetro del mio corpo attaccato al suo.

«No, Harry...»
Mormorò affannosamente, quando si rese conto che stava per succedere di nuovo. Un secondo dopo, però, mi stava nuovamente baciando.
Sentii una scarica di adrenalina e il desiderio di riaverla mia si stava diffondendo nell'aria. Afferrai le sue gambe per attorcigliarle intorno alla mia vita, poggiando le mie mani sul suo sedere, mentre le sue erano fra i miei capelli.

«Hope?! Hope, sei qui dentro? Perché eri chiusa a chiave? Sono riuscito ad aprire con quella di riserva.»
La voce di Erik ci fece sobbalzare, e lei schizzò fuori dalla doccia per infilarsi dentro al suo accappatoio.
«Sono qua, papà. Sono...appena uscita dalla doccia. Dieci minuti e scendo!»


Hope

«Eccomi, ci sono.»
Entrai in cucina e mi sedetti sul tavolo, afferrando un grissino e sgranocchiando tranquillamente, mentre dondolavo le gambe. Mi era così difficile pensare a qualcos'altro che non fosse quello che era appena successo, che non mi accorsi nemmeno del fatto che Anne mi stesse parlando. Sorridevo, ridevo senza un motivo. Imitavo una psicopatica, praticamente.
«Sei proprio innamorata, tesoro.»
Si parò davanti a me, con un mestolo in mano, e mi sorrise.

«Ma non di Itan, e lo so, Hope.»
Lasciai cadere il cibo che avevo in mano e sentii il mio cuore perdere un battito.

«Ma che...che stai dicendo? Certo che sono...»
«No, non dirmi bugie. Sono stata ragazza anch'io, sono stata e sono innamorata anch'io. Non ti preoccupare, di me. Tu ami davvero. Ma non lui, non Itan.»
«Io non..»
Abbassai la testa e sospirai.

«Mi dispiace, Anne.»
«
Ehi, non ti devi dispiacere. È una cosa bellissima, questa. Tu stai amando, sei amata. Sei felice. Andrà tutto bene. Chiunque lui sia, è fortunato.»
Nelle sue iridi vidi comprensione, sensibilità...un senso di maternità. Maternità che non vedevo da mesi, anni. Lei se ne stava lì, e mi trattava come se fossi sua figlia, mentre io ero completamente presa da suo figlio. Suo figlio che poche attimi prima era chiuso nella doccia insieme a me, suo figlio con cui avevo fatto tutto quello che non avrei dovuto fare. Con lui o con nessun altro.

«Lo amo, Anne.»
Mormorai più a me stessa che a lei. Mi stava per dire qualcosa, quando Harry irruppe allegramente nella stanza.

«Allora, di che si parla, gente?»
Ci voltammo insieme e fissammo il ragazzo che si stava sistemando la t-shirt azzurra sopra i jeans neri.
«Della cena. Cosa vuoi per cena, Harry?»
Chiese innocentemente la donna, tornando ai fornelli.

«Oh, niente. Stasera io e Hope non ci siamo a cena, andiamo con i ragazzi.»
«Davvero?»
Chiesi stupita io, balzando sul pavimento. Lui annuì e abbracciò sua madre, prendendola in giro per la sua bassa statura.

«Quindi rivedrò gli altri? Niall?»
Esultai felice e inciampai sulla sedia, per finire addosso agli altri due, che scoppiarono a ridere.

«Non mi prendete in giro, cattivi.»

Feci la finta imbronciata e mi infilai nel loro abbraccio, sentendomi compresa, amata. Era solo trascorsa mezza giornata ed erano accadute più cose che in tutta la mia vita.

Non mi scuso nemmeno più per il ritardo, ormai credo ci abbiate fatto l'abitudine. In questo capitolo non so esattamente cosa succeda, forse niente. Oggi avevo il tempo per scrvere, e ho colto l'occasione al volo, ma non so bene cos'è uscito. Spero vi piaccia, davvero. Anche se davvero non so cosa possiate dire, mi lasciate una recensione? Vi supplico, così so in cosa devo migliorare. Vi prego. Grazie a voi tutte, che ancora mi seguite nonostante tutto. Grazie, davvero. Un bacio ragazze. Ho appena detto che non mi scuserò, ma...sapete come sono fatta, scusatemi tanto. Non fatemi sentire in colpa. Mi volete bene lo stesso? *facciadacucciola*

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Capitolo 22
*** Capitolo 22. ***


«La smetti di guardarmi in quel modo?»
Dissi io, arrossendo mentre Harry parcheggiava l'auto nel vialetto davanti alla casa dei ragazzi.
«In quel modo, quale?»
Mise su quel sorriso sghembo e spense il motore, allungandosi verso il sedile del passeggero per poggiare fulmineamente le sue labbra sulle mie. Un bacio casto, veloce. Quasi inesistente.
«Nel tuo modo.»
Esordii io, sorridendogli e scendendo dalla macchina. Poco dopo, lui era al mio fianco davanti al portone d'ingresso.
«Perché, io ho un modo di guardarti?»
Alzò un sopracciglio, ma io non ebbi il tempo di rispondergli: un paio di occhi azzurri si stagliarono davanti ai miei e immediatamente mi buttai sul ragazzo di fronte a me.
«Piccola!»
«Niall!»
Risi mentre lui mi stritolava in un abbraccio e mi spettinava i capelli.
«Ciao anche a te, Horan. Piacere di rivederti.»
Borbottò il riccio sorpassandoci e raggiungendo probabilmente gli altri sul retro.
«Com'è diventato suscettibile quel ragazzo. Non trovi? Secondo me, è perché è un po' che non scop...»
Chiese ironicamente l'irlandese mettendomi un braccio sulle spalle e seguendo l'amico.
«Ti posso assicurare che non è così.»
Ribattei senza lasciarlo finire. Solo in quel momento, avvampai.
Perché non chiudi quella boccaccia?
Lui si fermò in mezzo al corridoio, bloccando anche a me.
«No, aspetta. Che cosa ne sai tu se...»
Io mi allontanai sorridendogli innocentemente, per raggiungere poi gli altri, seguita a ruota dal biondo che mi fissava come se avessi avuto tre teste.
«Salve a tutti, ragazzi.»
Louis si voltò per primo, regalandomi uno sguardo divertito.
«Eccola, la ragazza più sexy del pianeta.»
«Oh, Lou. Evita.»
Ribattei io, mentre mi sedevo accanto a Liam che mi abbracciò con fare fraterno.
Non sopportavo più quella situazione. Dopo tutto, cosa c'era di così sbagliato? Io lo amavo. Lui mi amava. Non eravamo fratelli. Se solo mio padre e Anne non si fossero mai sposati, noi saremmo potuti stare insieme senza tutti quei problemi. Ma tanto l'avevano fatto, no? Erano sposati. E io dovevo dire tutto, o sarei impazzita. Non potevo fare finta di niente, non più.
Harry, tranquillamente, mi fece segno di raggiungerlo con una mano, cosa che io feci senza troppi problemi. Mi sistemai sull'amaca, accanto a lui, che mi cinse lentamente con un braccio, stringendomi.
«Allora, queste prove?»
Chiese facendo finta di niente, mentre i volti dei suoi compagni passavano dal curioso al consapevole. Almeno in posto, ero certa che sarei potuta essere me stessa senza preoccupazioni.
«Credo di essermi perso qualcosa...»
Mormorò Louis, grattandosi la nuca e guardando fisso il suo migliore amico dalla punta dei ricci fino alla punta delle scarpe.
«Sì, il tuo cervello. Si è dato alla fuga, ha capito che eri una causa persa.»
Ironizzò Niall, portandosi la testa fra le mani. Io ed Harry ridemmo, quando per l'ennesima volta mi bloccai vedendo il suo sorriso.
Dio, cosa mi ha fatto questo ragazzo?
Lou scattò in piedi, venendomi incontro con il dito puntato.
«Ma voi due....voglio dire, è un incesto!»
«Non è mio fratello, Louis.»
Sospirai, abbassando la testa.
«Ragazzi, lo sapete che è rischioso. Voglio dire, voi due...»
«Lo sappiamo, Liam. Ma io...la amo.»
Tutto si fermò. Il mio cuore per primo, insieme al mio respiro. Tutti ci guardavano immobili.
«Ho sentito bene? Harry Edward Styles ha appena ammesso che ama qualcuno che non ha il suo stesso nome?»
«Oh, piantala Zayn.»
Sbuffò lui, tirandogli una bottiglietta d'acqua che si trovava ai suoi piedi. Tutti risero, smorzando la tensione. Eravamo semplicemente noi ragazzi. Niente di meno, o niente di più.


 

«Zayn, vieni!» «Liam, di qua, qua!» «Niall, una foto!»
I flash m'invadevano la vista, le urla le orecchie. L'unica cosa certa era la mia mano unita a quella del riccio, in mezzo a tutto quel baccano.
«Hope, non lasciarmi la mano. Hai capito?!”
Urlò Harry, in modo che potessi sentirlo. Io annuii, intrecciando le dita alle sue. Non avevo mai visto niente di simile. Mai. Spaventata, mi strinsi al ragazzo al mio fianco.
Vedevo ragazze piangere al passaggio dei loro beniamini, altre gridare i loro nomi, altre allungare foglietti e penne, o magari un telefono nel tentativo di avere qualche scatto solo per loro; fotografi e paparazzi che sbraitavano nella speranza di venire pagati al ritorno in ufficio per qualche scatto inedito; intervistatori, che cercavano di accalappiarsi uno dei miei amici in cerca di qualche confessione; e poi, c'era una bambina. Una bambina, schiacciata fra tutte quelle persone e le transenne, che singhiozzava disperata indossando una maglietta con su la faccia di Harry. Senza neanche rifletterci, mi allontanai lentamente da lui, che preso da un'intervista non se ne rese nemmeno conto, per raggiungere quel piccolo scricciolo biondo che mi guardava con due occhi tristi ed enormi.
«Piccola, che succede?»
«Io non vedo niente, io non ci vedo.»
Sorrisi e le porsi una mano.
«Ci vieni con me?»
Lei si guardò intorno e annuì spaesata, mentre si arrampicava sulle mie braccia.
Mi ritrovai sommersa da domande riguardo la mia 'intimità' con Harry, alcune poste con tono minaccioso, altre curioso. Ma tutte proveniente da ragazze: ragazze che avrebbero fatto qualsiasi cosa semplicemente per sfiorare uno dei loro miti, mentre io ero talmente fortunata da vivere ogni singolo giorno della mia vita con uno di loro che mi diceva quanto mi amava e con gli altri quattro che mi consideravano come una sorella.
M'incamminai silenziosa verso i fantastici cinque che salutavano la folla concedendosi a qualche scatto, per poi sfiorare la spalla di Harry, che si voltò facendo cadere il suo sguardo sulla bambina che tenevo in braccio.
«Qualcuno mi sa che vuole conoscerti, piccolina.»
Le sussurrai, mentre lei guardava il ragazzo con lo stesso sguardo con cui io, alla sua età, guardavo la mia bambola preferita. Lui sorrise, e si abbassò per guardarla negli occhi.
«E questa principessa, come si chiama?»
Io sorrisi, vedendo come quella situazione si stava trasformando in un qualcosa di meravigliosamente tenero.
«Mi...mi chiamo Brittany.»
«Vieni qua, Brittany.»
Disse lui, mentre la prendeva fra le sue braccia: lei, incredula, si mise la mano sulla bocca e si appese al suo collo, ridendo innocentemente. Harry la imitò, facendo fare lo stesso a me.


 

«Siete stati grandi, in trasmissione.»
Esordii io, mentre Harry infilava le chiavi di casa nostra nella toppa della porta per richiuderla alle nostre spalle.
«E io non mi sarei mai aspettato di ritrovarti davanti a me con una bambina fra le braccia. Cosa ti è saltato in mente?»
«Non lo so, Harry. Era lì, piangeva, non ci vedeva...credevo le avrebbe fatto piacere conoscerti.»
Lui mi prese il volto fra le mani, e poggiò la fronte sulla mia, mentre sospirava.
«Non lo metto in dubbio, amore. Ma ti saresti potuta fare male...hai visto che caos che c'era?»
Sorrisi facendo sfiorare i nostri nasi.
«Ero con te. Niente e nessuno avrebbe potuto farmi del male.»
Mi alzai sulle punte, facendo coincidere le nostre labbra. Una scossa di adrenalina mi percorse, quando il bacio si trasformò in qualcosa di meno casto: la sua lingua batté dolcemente contro il mio labbro inferiore, prima di insinuarsi nella mia bocca. Camminò in avanti, fino a quando io non cozzai contro il muro, gemendo. Allacciai le mani fra i suoi capelli, mentre le sue mi solleticavano i fianchi. Ero totalmente presa da lui, dal suo profumo, dal suo tocco, dal suo bacio. Totalmente.
«Allora è vero.»
Sobbalzai, alla vista di mio padre in cima alle scale che ci guardava...deluso.
No. No, no, no.
Mi sentii sprofondare. Una coltellata al fegato avrebbe causato meno danni, sicuramente. Lui era quello che mi aveva cresciuto, che aveva badato a me fin dall'inizio. Non sarebbe potuta finire così.
«Papà...»
«Perché, Hope?»
Lanciai un'occhiata ad Harry, che con un gesto deciso afferrò la mia mano, senza distogliere lo sguardo dall'uomo.
«Papà, io non...mi dispiace.»
«Ti dispiace?»
«Non ho scelto io di...di amarlo, papà.»
Si voltò di spalle e fece due passi, senza dire una parola.
«Erik, per favore...»
Intervenne Harry, cercando di fermare mio padre che ormai era alla fine del corridoio al piano di sopra.
«Ne parliamo domani. Andate a dormire.»
Non era mai stato così freddo con me. Mai. Nemmeno quando avevo buttato la sua valigetta da lavoro con tutti i documenti dentro la lavatrice. Mai. Che cazzo avevo combinato? Perché doveva essere tutto così sbagliato?
Scoppiai a piangere, prima di essere trascinata al petto del ragazzo dalle sue braccia, che mi afferrarono forti.
«Ehi, sh. Calmati. L'avrebbero scoperto prima o poi..»
«Ma non così, Harry. Non ora e non così.»
Strinsi la sua t-shirt tra le dita, bagnandola di lacrime. Lacrime che non erano mai state così sincere. Lacrime di una figlia che si trovava fra l'incudine e il martello.
«Non c'è niente di sbagliato in noi due. Niente. E domani chiariremo tutto. Te lo prometto amore, niente ci farà del male.»

 

Spazio autrice.
Okay, non dovrei nemmeno permettermi di commentare, considerato quanto faccio schifo. Mi prendo solo un minuto per dirvi che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, per vari motivi. E voglio ancora una volta rignraziarvi di cuore, a tutte voi: le lettrici silenziose, quelle che mettono fra i preferiti e quelle che m'inseriscono fra le ricordate. Tutte voi, grazie. Davvero, grazie. Vi voglio bene. E spero che vi piaccia almeno un minimo, questa schifezza di storia. Prometto che la prossima, cercherò di farla meglio e con più cura. Un bacione, Sara.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23. ***


Il buio non mi era mai sembrato così silenzioso, così opprimente. Niente mi era mai sembrato come tutto mi sembrava in quel momento. Niente, tutto. Chi ero io per classificare cos'era l'uno e cos'era l'altro?
Mi passai nervosamente la mano fra i capelli, alzandomi per poi poggiare la fronte sul vetro freddo della finestra, e sopirai, chiudendo gli occhi. La mia vita non era mai stata in discesa, mai. Nemmeno per sbaglio; ero sempre inciampata, caduta. Mi ero spiaccicata al suolo come il mio primo pesciolino rosso.
Mamma, se ci sei, da qualche parte, dimmi cosa devo fare. Ti prego.
Sorrisi ironicamente della mia stupidità, e aprii gli occhi, guardando verso il cielo. Lei era lì, da qualche parte. Ne ero certa.
Certo, avevo tutto quello che una ragazza potesse desiderare: una bella famiglia, degli amici meravigliosi, un ragazzo splendido e una migliore amica fuori di testa che, in quel momento, stava strisciando nella mia camera nemmeno fosse stata la reincarnazione di Steve Martin ne “La pantera rosa”.
«Carlotta, cosa ci fai qui?»
«Zitta lurida idiota, sono venuta qui a raccogliere i cocci che rimangono della mia Hope.»
Mi afferrò per le spalle e mi fece ridere contro la mia stessa volontà.
«Sono le quattro, tu non ti alzi mai a quest'ora. Non ti sei alzata nemmeno quando sono quasi collassata nel bagno della nostra camera a Roma.»
«
Ma quella volta stavi solamente per passare a miglior vita. Ora si tratta di tuo padre che ti ha scoperto mentre ti facevi amorevolmente il tuo fratellastro nel vostro soggiorno e, se permetti, è un'emergenza.»
Sbarrai gli occhi e, sedendomi sul davanzale dietro di me, fissai gli occhi azzurri, in qualche modo rassicuranti, della ragazza. La maggior parte delle persone avrebbero potuto dire che era una persona acida, stronza ed egoista ma lei era solo da scoprire. E quegli occhi così freddi, non chiari e non scuri, un po' in un modo e un po' in un altro erano il riflesso del suo carattere.
«Ehi, non ti ho mai vista così. Tira su quel bel faccino e guardami.»
Sospirai, eseguendo gli ordini della ragazza.
«No. Così non funziona. Quegli occhioni pieni di lacrime non voglio vederli.»
Si avvicinò, piegandosi verso di me e afferrando saldamente le mie mani.
«Andrà tutto bene.»
«Smettetemela di dirmelo! Non andrà tutto bene, non è così.»
«
No, forse non andrà tutto bene. Ma posso assicurarti che io sarò sempre con te, e sono certa che Harry la pensa esattamente allo stesso modo. Beh, io non sono un playboy famoso in tutto il mondo e non faccio parte di una super band, super famosa e super figa, però esisto anch'io. Ma non urlarmi contro, sai!»
«Scusami.»
Mormorai sommessamente, sorridendo. Lei non disse più una parola, si limitò a sdraiarsi sul mio letto facendomi segno di seguirla. E così, mi addormentai, accanto a quella ragazza che mi aveva portato in salvo troppe volte, per troppo tempo e in troppe occasioni.


«Hope, scendi immediatamente giù!»
Balzai dal letto, ritornando improvvisamente alla realtà. La ragazza al mio fianco schizzò, lanciandomi occhiate sanguinarie.
Senza rifletterci troppo m'infilai la tuta prendendo aria ed espirando subito dopo. Spalancai la porta e, indecisa se affrontare la situazione coraggiosamente oppure far notare il panico che in verità si era impossessato di me fin dalla sera prima, scesi i primi scalini, sentendo delle voci appena accennate ronzarmi nelle orecchie.
Come misi piede in cucina, sentii gli occhi di tutti i presenti trapassarmi da parte a parte ma nonostante questo, il mio sguardo cadde sul ragazzo seduto accanto al tavolo. Ricambiò lo sguardo, e forzò un sorriso. Immediatamente sentii il sangue gelarsi nelle vene, e il pavimento sembrò sparire sotto ai miei piedi.
«Hope, stasera hai un volo che ti aspetta alle nove. Prepara le valigie, e avverti Carlotta di fare lo stesso. Tornate in Italia.»
Spalancai gli occhi, cercando qualsiasi cosa fosse utile per sostenermi in piedi: ma l'unica cosa che sembrava darmi un minimo di appoggio era il viso sconsolato di Anne, che ascoltava le parole di mio padre senza poter intervenire. Una coltellata al fegato avrebbe fatto meno male.
«No. Papà, non puoi...»
«Non posso, Hope? Davvero credi che io non possa?»
«Non intendevo quello, tu non...non vuoi...»
Il suo sguardo vacuo e senza espressione mi piantò al muro e non ammetteva nessun tipo di replica.
«Harry...»
Mormorai, senza sapere esattamente cosa aggiungere dopo.
«Mi dispiace...»
Immediatamente dopo, sapevo benissimo che le lacrime stavano scorrendo sul mio viso.
«Io non vado proprio da nessuna parte!»
Urlai in faccia a quell'uomo contro cui non credevo avrei mai dovuto fare una scenata del genere.
«Io ci ho provato, tesoro..»
Mormorò Anne, posandomi una mano sulla spalla.
«Ma io lo amo, Anne!»
«Smettila di dirlo! Smettila!»
Sbraitò mio padre, afferrando sua moglie e portandola accanto a lui.
«Perché, papà? Cosa ti da tanto fastidio? Se non fosse il tuo figliastro, non ci sarebbero problemi, vero? Beh, cosa ci devo fare? Sicuramente non vi chiedo di divorziare, ma se...»
Sentii che non ce l'avrei più fatta. Mi guardai intorno un'ultima volta e mi precipitai fuori dalla stanza, senza sapere dove sarei andata. Ma il posto in cui sarei andata, era sicuramente lontano da quell'uomo.


Harry

Ogni lacrima della ragazza, era un colpo al cuore per me. E io non potevo fare niente.
Lei era lì, immobile, e mi guardava in un modo totalmente assente. In un modo che mi faceva più male che altro.
Improvvisamente, sparì. Così, senza preoccuparsi di niente e di nessuno.
Mi alzai di scatto, e subito venni fermato dalla mano di Erik.
«Lasciami.»
«Dove pensi di andare, ragazzino?»
«Ho detto, lasciami.»
Mi avvicinai al viso dell'uomo e fissai i suoi occhi, senza paura.
«Non ho più intenzione di sentire altre stronzate uscire dalla tua bocca. Ora, mollami.»
Con uno strattone riuscii a liberarmi, e sbattendo la porta di casa dietro di me iniziai a correre. Non sapevo da che parte fosse andata, non sapevo dove sarei potuto finire io, ma non m'importava. Dovevo trovarla, e subito.
«Cazzo.»
Digrignai fra i denti, accorgendomi che per la prima volta in tutta la mia vita, sul mio viso scorreva un qualcosa che somigliava vagamente ad una lacrima.
Non stavo pensando a niente, se non a quel 'noi' che avevamo messo su in pochissimo tempo, e che in altrettanto tempo si stava sgretolando. Me l'avrebbero portata via da un giorno all'altro, e io non avrei potuto fare niente.
Lei mi aveva fatto capire troppe cose, in troppo poco tempo. Prima ero Harry Styles, il cantante. Non me ne sarebbe mai fregato nulla, di nessuno. Mai. Poi, improvvisamente, mi ero ritrovato catapultato in un universo parallelo in cui avevo quattro amici idioti, una ragazza meravigliosa, e dei sentimenti veri. Proprio io.
La vidi. Seduta per terra, con le ginocchia al petto e scossa dai singhiozzi, i capelli sciolti lungo il viso nascosto dalle braccia.
M'inginocchiai davanti a lei, silenziosamente, poggiando mani sulle suo corpo tremante.
«Piccola..»
Neanche avessi paura di disturbarla, sussurrai, temendo di peggiorare tutto. Lei non alzò nemmeno la testa, pianse più forte, stringendosi ancora di più.
«Non ce la farò mai, Harry. Mi vogliono portare via.»
«Sh, amore, io sono qua.»
«Ora sei qua. Domani non ci sarai. Stasera, quando mi addormenterò, non ci sarai.»
I suoi occhi finalmente incrociarono i miei. Ma non erano i suoi occhi, quelli. Erano freddi, ghiacciati. Congelati dai ricordi del passato, dal terrore del presente e dalla rassegnazione del futuro. Ma aveva ragione. Io non ci sarei stato.
La presi e la cullai fra le mie braccia, sedendomi accanto a lei. Forse sembravamo due pazzi, forse lo eravamo.
«Ti amo, Hope. E non smetterò di farlo.»
«Mi aspetterai, vero?»
Si stava rilassando sotto il mio tocco, lo sentivo. Sorrisi malinconicamente, lasciandole un piccolo bacio sulle labbra, ancora salate e bagnate, come il suo viso rigato.
«Anche tutta la vita.»
«
Vogliono portarci via tutto. Vogliono vederci distrutti, Harry. E ci stanno riuscendo perfettamente.»
«Io ti prometto che ci rivedremo presto. Te lo prometto, non lascerò che tutto ci crolli addosso.»


Hope

“Ultima chiamata per il volo Londra-Roma, ultima chiamata.”
Sentii lo stomaco chiudersi, il fiato venir meno e la testa girare. Stava succedendo davvero?
Il moro mi guardava senza espressione, dietro le spalle di mio padre, che tentò di abbracciarmi.
«Ci vediamo, papà.»
Scansandomi da lui, mi parai davanti ad Anne, che mi sorrise dolcemente, regalandomi uno sguardo comprensivo.
«Mi dispiace, tesoro..»
Le diedi un piccolo bacio sulla guancia, stringendomi nelle spalle. Niente sarebbe stato in grado di farmi stare meglio. Niente.
Harry, non lo salutai. Presi il borsone poggiato per terra di fianco a me, e senza mai distaccare lo sguardo da lui, indietreggiai, fino a raggiungere la fila per l'imbarco, al fianco di Carlotta, che mi guardava senza dire una parola. Sapevo che ero in condizioni pessime, sapevo che dai miei occhi stavano uscendo solo lacrime, sapevo tutto. Ma volevo illudermi che niente fosse come pensavo.
Il respiro si faceva più affannoso ad ogni passo, e quando fu il momento di fare il check-in, sotto un non so quale impulso divino, lasciai cadere tutto quello che avevo in mano e mi voltai di scatto, sicura che il ragazzo non avesse mai distolto lo sguardo da me. E così era. Feci lo slalom tra le persone, corsi come non avevo mai fatto in vita mia ignorando il fatto di avere tutti gli occhi puntati su di me e allacciai le braccia dietro al collo di Harry ancora prima che lui capisse cosa stava succedendo. Sentii poco dopo le sue mani stringermi i fianchi, e la sua testa poggiarsi sulla mia spalla.
«Non piangere, smettila di piangere. Ti prego.»
La sua voce arrivava smorzata alle mie orecchie.
«Non posso andarmene. Non riesco a lasciarti qua.»
«Non aver paura, non è un addio. Ci rivedremo presto.»
«
Presto quando?»
Mi allontanai giusto quel poco per riuscire a vedere i suoi occhi verdi un'ultima volta e sorrisi tra le lacrime.
«Come posso lasciarti andare, Hope? Come?»
Presi un respiro profondo, e lo strinsi di nuovo a me.
«Qualunque cosa accadrà, ti amo Harry.»
Non gli diedi il tempo di replicare, e lasciai che la mia mano si separasse dalla sua, sotto lo sguardo pungente di mio padre.

Da quel momento, per i restanti quattro mesi, sarebbe stato l'inferno.


Roma, 22 dicembre.

Ricordavo ogni singolo dettaglio di quel giorno, per quanto volessi dimenticarmi di tutto e di tutti. Specialmente di lui. Lui che mi chiamava una volta o due a settimana, per dirmi anche semplicemente che cosa aveva mangiato a pranzo, oppure per dirmi che il tour era bellissimo e le fans fantastiche. Lui che non mi aveva mai più detto un 'ti amo' da quando l'avevo lasciato in quell'aeroporto, mesi prima. Lui che mi mancava da morire. Mi mancava il modo in cui le sue mani sfioravano la mia pelle, mi mancavano i suoi baci leggeri, i suoi occhi allegri dentro ai miei, la sua risata, il suo modo di farmi sentire speciale.
Mi sentivo morire, ogni giorno di più. E quel suo messaggio, quella sua chiamata alla settimana, erano l'unica cosa che mi manteneva in vita.
«Carlotta, mi ha chiamato mio padre. Vuole che torno a casa per Natale.»
Alzai la testa verso la ragazza appena entrata nella stanza, rimasta come pietrificata ai piedi del letto.
«Non posso entrare in quella casa come se niente fosse, non posso farlo. Ho lasciato troppi ricordi in quel posto.»
«Devi andare. Vai. Vai, tira fuori le palle, e affrontalo. Mordi, sei una leonessa.»
«Dove lo tiri fuori, tutto questo coraggio, tu?»
«
Oh, smettila. Preparati, ora. Manca poco.»
Le sorrisi. Lei era una leonessa, non io. Lei la era sempre stata, e sempre la sarebbe rimasta.


Londra, 25 dicembre.

«Odio vederti così, piccola mia.»
Mi voltai velocemente verso mio padre, nemmeno fossi davvero un animale selvatico pronto a tirare fuori gli artigli.
«Mi hai costretto ad essere così, papà. Mi hai tolto tutto.»
Non m'importava più. Forse ci sarebbe rimasto male, forse no. Ma lui si era preoccupato di questo, qualche mese prima?
«La bambina di prima, non esiste più, lo sai? Sono cresciuta, ed ero anche abbastanza cresciuta quando ho deciso che la mia felicità era in quel ragazzo. E tu cos'hai fatto? Me l'hai portato via. Con lui, finalmente, ero di nuovo felice, papà. E tu non l'hai capito. Mi dava tutto quello di cui avevo bisogno, e...mi dispiace, non ho scelto io che fosse il mio fratellastro.»
Mi alzai dal divano, correndo al piano di sopra e chiudendomi in camera. Ma non nella mia. No. In quella di Harry. Quella con tutti i suoi premi, le sue foto con i ragazzi, quella impregnata del suo profumo. Presi una sua maglia dal cassetto e sorrisi, infilandomela sopra i miei abiti. Mi sedetti sul letto, con le ginocchia al petto e la testa altrove. Mi persi a guardare la neve che scendeva soffice fuori dalla finestra, e ad immaginare come sarebbe stato se niente di tutto quello fosse successo.
-Mi manchi, Harry- MESSAGGIO INOLTRATO.
Era sempre impegnato, e sapevo che mi chiamava di rado solo per quello. Ma mi mancava, e non gliel'avevo mai detto.
I fiocchi di neve continuavano a cadere, la vita degli altri continuava ad andare avanti, il Mondo continuava a girare. Ma io ero ferma, immobile, congelata. Era quel dolore che non avrei mai saputo esprimere, quelli che ti lacerano dall'interno, che ti bruciano un organo dopo l'altro, che ti distaccano da tutto ciò che è concreto.
Il rumore di un auto che si fermava mi riscosse dai miei pensieri. Mi asciugai le lacrime e mi sporsi dal davanzale, per vedere un auto nera parcheggiare nel vialetto di casa mia e subito dopo un ragazzo scenderne. Strabuzzai gli occhi e poggiai le mani sul vetro, piangendo ancora più forte di poco prima.
«Non è possibile..»
Sussurrai a me stessa. Il moro alzò la testa e dopo quattro lunghi mesi tornai a vivere, incrociando i suoi occhi, che non erano cambiati per niente.
Dalla sua bocca uscii un soffocato “Hope..” che potei capire grazie al labiale, e capii anche che era sorpreso quanto me. Niente contava in quel momento, niente che non fosse noi. Mi sentivo la testa pesante, il cuore battere all'impazzata, tutto sembrava aspettare un nostro movimento. Un nostro minimo cenno, respiro.
Lasciai che tutto riprendesse a scorrere lentamente, mentre di scatto mi giravo e iniziavo a correre, saltando tre scalini alla volta, ridendo e piangendo contemporaneamente, ignorando le voci che mi chiedevano dove stessi correndo in pieno Dicembre, con una maglia non mia e dei jeans bucati.
Spalancai la porta, lasciando che il vento gelido mi spettinasse i capelli, che svolazzano in giro senza preoccuparsi del fatto che potevo sembrare uno spaventapasseri in piena crisi adolescenziale.
«Harry.»
Sorrisi frenando il corso del pianto e mi lanciai nella neve, arrivando a pochi centimetri da lui. Era immobile, con il suo giubbotto beige lungo fino alle ginocchia, i pantaloni neri, i ciuffi perfettamente in ordine e il fiato corto.
«Tu...sei qui.»
«
No. Tu, sei qui.»
Automaticamente allacciai le braccia dietro al suo collo e tornai immediatamente a vivere, a respirare. Per tutto quel tempo ero stata perennemente in apnea, e solo in quel preciso istante tornai a prendere fiato. Sentii le sue dita afferrarmi per i fianchi e inspirai profondamente, mentre il suo profumo mi faceva tornare alla mente sensazioni ed emozioni che credevo ormai morte.
«Ehi...mi sei mancata anche tu, Hope.»
Sorrise estraendo il suo cellulare dalla tasca e soppesandolo su una mano. Afferrai il suo viso fra le mie mani e feci toccare i nostri nasi, chiudendo gli occhi.
«Oddio, sei davvero qua.»
«Noi, siamo qua.»
Fece combaciare le nostre labbra, regalandomi un bacio che avevo desiderato per troppo tempo ma che scoprii valeva molto più di tutto il tempo passato.
«Ti amo Harry, ti ho amato ogni secondo e sempre di più.»
«Non quanto ti ho amata io. Quanto ti amo, e quanto continuerò a farlo.»
In fondo è un freddo piacevole, è un freddo caldo, pungente. Un freddo familiare e da cui sono stata per lungo tempo divisa, un freddo che regala sensazioni da camino, da focolare.
In fondo, niente può toccarmi ora.
Ora ci siamo io e lui, qua.

The end,

the end is only a new beginning.



Spazio autrice.
Finalmente è finito questo parto.
Scusate se vi ho annoiato troppo, scusate se non aggiornavo mai, scusate se questo capitolo è troppo lungo. Scusatemi per tutto, anche se fa schifo. Ma in mia difesa posso dirvi che l'ho scritto con la febbre, e voi mi direte, 'non potevi scriverlo dopo?'....no. Dovevo finire questa storia, che non mi ha poi soddisfatto molto. Anche perché non credo abbia avuto molto successo, e la trama non è un gran che, però....se ha fatto provare un qualsiasi tipo di emozione, ad almeno una persona, allora ha funzionato.
Voglio ringraziare tutte voi che mi avete sostenuta, grazie davvero.
E vorrei dedicare questa storia, questo mio piccolo passo, ad una persona, che è stata in qualche modo colei che mi ha spinto a coltivare la mia passione per scrittura,che mi ha aiutata sempre, in qualsiasi momento. E sì, è anche la mia amata Charlie della storia. Quindi...grazie, Muty.
Ora me ne vado a dormire, perché è quasi mezzanotte e mezza e sono sfinita...grazie ancora a tutte. Se vi va, lasciatemi un pensiero. Cosa vi ha fatto provare questa schifezza, in totale?
Vi adoro, grazie per tutto il supporto,

Sara.

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