Dancing with a devil on your back

di shallweliquefy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio. ***
Capitolo 2: *** Prime volte. ***
Capitolo 3: *** Stanza 310. ***



Capitolo 1
*** L'inizio. ***


Apro gli occhi. Le cifre digitali della mia sveglia mi informano che sono le 4.30 del mattino.
Mi alzo di scatto.
È oggi, penso.
Mi guardo intorno. Alla mia sinistra c'è la valigia, strapiena, che sembra quasi chiedere pietà.
Non è colpa mia se a Praga ci sono -18°. Mi devo coprire per bene, non voglio mica morire congelata.
Praga...Aspetto questa gita da mesi. L'ultima occasione di divertirmi con la mia classe, prima dell'esame di maturità. Peccato che abbiamo scelto il periodo più freddo dell'anno per andarci.
Accendo la luce del bagno, ed evito di guardarmi allo specchio. So già che ciò che ci vedrei non mi piacerebbe affatto.
Entro velocemente in doccia, dopo essermi asciugata mi pettino i capelli con vigore mentre lavo velocemente i denti.
Sono una fanatica del make-up, quindi mi armo di pennelli e spugnette e inizio a stendere strati di colore sul viso, sugli occhi e sulle labbra, in modo da avere un aspetto presentabile.
Ora mi guardo allo specchio, e mi scappa un sorriso.
Ora sì che ti riconosco.


Mio padre e mia madre sono già svegli, mi accompagnano loro all'aereoporto. Mio fratello, invece, è ancora lì che ronfa.
Arriviamo lì alle 5.30, e molti dei miei compagni sono già lì.
Dopo essersi accertati che non manchi nessuno, le professoresse si avviano verso il check-in.
Mi giro verso i miei, e li abbraccio forte.
«Allora, ci vediamo Venerdì» dico sorridendo.
Mia madre annuisce e inizia con le sue mille raccomandazioni, ma mio padre la interrompe quasi subito.
«Vai, sennò rimani indietro. Scrivici quando atterri»
Mi avvicino al resto della mia classe, e inizio a chiacchierare con le mie future compagne di stanza, Maria, Anna e Gaia.
«Flo!»
Qualcuno alle mie spalle mi chiama, e di certo non è una di loro. È una voce profonda, calda e rassicurante. Mi giro.
«Ciao, Massi»
Massimo, nel suo imponente metro e ottanta, si avvicina, con gli occhi azzurri che quasi gli brillano.
Siamo sempre stati molto legati, è uno dei miei migliori amici, anche se ultimamente i rapporti si sono un po' raffreddati, e non capisco perché.
Ok, diciamo che FORSE è perché ho l'impressione che si sia preso una cotta per me e sto cercando di allontanarlo il più possibile. Forse. Beh a dirla tutta non sono neanche convinta di piacergli, si comporta così con tutte, è solo che c'è qualcosa in lui che...
«Allora, sei pronta? Sarà una grande gita, questa» mi dice, strizzandomi l'occhio.
Ci metto qualche secondo a capire che si sta riferendo alla mia grande “esperienza”.
Ebbene sì, io, Floriana, ho deciso per la prima volta in vita mia, arrivata alla soglia dei miei diciannove anni, di provare a fumare erba. E lui, più esperto di me, mi avrebbe aiutata. Mi fido molto di Massi, e sapevo che non mi avrebbe mai messa in pericolo.
Superiamo i controlli di sicurezza, e ci imbarchiamo sull'aereo.


Quando riprendo conoscenza, siamo già atterrati. Sara, la mia vicina di sedile, si sta affannando per recuperare lo zaino dalla cappelliera sopra la sua testa.
«Spostati» sibila.
Che personcina simpatica.
Mi infilo velocemente il mio cappotto, e scendo insieme agli altri.
L'aria gelata di Praga mi colpisce in pieno volto, come un ceffone.
Una volta ritirate le valigie, lasciamo l'aeroporto e saliamo sulla navetta che ci avrebbe portati in hotel. Mi ritrovo vicino a Gaia, e vedo Massimo che si gira a sorridermi da un paio di file più avanti.
«Sbaglio o Mister Occhiblu ci sta provando con te?» mi sussurra la mia amica nell'orecchio.
«Sbagli. Decisamente.» replico secca, per poi alzare il volume della musica che stavo ascoltando.
Tanto per chiarire che la conversazione è chiusa, ecco.
Arriviamo in albergo, giusto il tempo di posare i nostri bagagli ed eccoci qui, a Praga, con il freddo di Gennaio. Devo riconoscere che è meglio di quanto mi aspettassi. Giriamo per le strade della città vecchia, ma io ormai la guida non l'ascolto nemmeno più. Piazza Venceslao mi ha stregata.
Continuiamo a girare per le vie di questa città fino a dopo cena, quando finalmente rientriamo in albergo.
La cena a base di zuppa di patate e verdura varia è stata molto soddisfacente, soprattutto perché irrorata da boccali enormi di birra chiara del luogo.


Io e le mie compagne di stanza rientriamo stremate e un po' brille, e ci buttiamo sui nostri rispettivi letti, finché qualcuno non bussa alla porta.
Poiché nessuno accennava ad alzarsi (e poiché quel rumore fastidioso era decisamente incompatibile con la quantità di alcool nel mio sangue), mi alzo e vado ad aprire.
Naturalmente, mi trovo di fronte il sorriso genuino di Massi.
«Ma state già dormendo? Che noia che siete!»
«Ci abbiamo provato. Poi sei arrivato te.» mi costringo a sorridere leggermente, per non sembrare troppo acida. Lui, comunque, non fa una piega.
«Senti...Noi abbiamo comprato un po' di roba. Sembra veramente buona, credo che dovresti provarla. Venite in camera nostra, gli altri hanno già portato materassi e coperte, ci stiamo attrezzando per dormire lì. Siamo nella 315, sbrigatevi o non troverete più nulla» mi sorride, e se ne va.
Richiudo la porta senza far rumore, e faccio un respiro profondo.
Il cuore batte all'impazzata e mi tremano le mani, sono decisamente nervosa.
Per l'esperienza che stai per fare, o per Massi? Sussurra quella stronza della mia coscienza, ma no, non era per lui.
Le mie compagne hanno già preparato la loro roba, e in men che non si dica ci ritroviamo davanti ad una porta di legno laccata di bianco, con un grossa placca di metallo che ci indicava che eravamo al posto giusto. Stanza 315.
Gaia bussa tre volte, piano.
Altro respiro profondo.
Ci siamo.






~ ~ ~

È la mia prima storia, sono accette qualsivoglia tipo di critiche. Mi aiuterebbero molto!

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Capitolo 2
*** Prime volte. ***


Massi ci apre la porta, sorridendo come al solito.
«Ce l'avete fatta! Entrate pure»
Io e Gaia ci guardiamo, ed entriamo nella 315. Le altre due hanno preferito rimanere in camera a disfare le valigie.
Nella stanza ci sono altri tre nostri compagni di classe.
C'è Mattia, che conosco dalla prima media. Simpatico e disponibile, è uno dei miei amici più cari.
C'è Giacomo, arrivato nella nostra classe due anni fa. È una persona piacevole, ci prendiamo spesso in giro e mi trovo molto a mio agio con lui.
C'è Valeria, una delle più belle della nostra classe. Nonostante sia piccolina, ha un fisico pazzesco, seno abbondante e vita strettissima. Una di quelle che non puoi non odiare, insomma.


La puzza di fumo è tantissima. Giacomo e Mattia sono seduti vicino alla finestra, e stanno preparando ciò che ad occhio inesperto potrebbe sembrare una sigaretta artigianale, un “drummino”, se non fosse per le cartine lunghissime e il tritaerba appoggiati sul letto.
«Stiamo preparando un purino», ci informano.
Gaia non sembra per niente convinta, le sopracciglia curatissime sono corrugate, conferendo un'espressione perplessa al suo volto pulito.
«Un purino?»
Il mio sguardo passa da Massi a lei, ripetutamente. Sono confusa.
«Cosa sarebbe un purino?» azzardo.
Tutti nella stanza si girano a guardarmi, con quell'espressione alla “aw, guardate la piccola Flo quanto è ingenua”.
Stavolta è Mattia a prendere parola.
«Un purino è una canna fatta praticamente solo di erba. C'è giusto una punta di tabacco, per evitare di doverla riaccendere ogni due secondi.»
«Beh, meglio no? Se c'è meno tabacco farà meno male e...»
Sono costretta ad interrompermi. Gaia e gli altri stanno trattenendo a stento le risate.
«Sai Flo...» inizia lei «Se c'è meno tabacco vuol dire che c'è più erba. Il che vuol dire che farà molto più effetto.»
«Oh»
Giacomo si alza di scatto.
«È pronta!»
Ci avviciniamo tutti alla finestra. Giacomo accende la canna, e tira un paio di boccate prima di passarla a Mattia, che fa lo stesso.
Nella stanza c'è una puzza di fumo incredibile. Dalla finestra spalancata si vedono figure nere indistinte che passeggiano per i vicoli di Praga, tutti stretti nei propri cappotti, più o meno costosi.
Il gomito di Massi nel mio fianco interrompe i miei pensieri.
«Dai, prova. È buona» dice con voce rauca.
Prendo in mano l'involucro di carta e marijuana.
Mi sento un'impedita completa, mi sembra quasi di non sapere da dove cominciare, nonostante io abbia fumato tabacco per diversi mesi.
Avvicino il filtro alle mie labbra, sperando che nessuno si accorga della mia mano tremante.
Faccio un tiro decisamente troppo lungo, e la gola inizia a bruciarmi in maniera incredibile. Inizio a tossire, con gli occhi che mi lacrimano. Gli altri continuano a passarsi la canna.
«Beh a me non sembra stia facendo effetto. Magari vi hanno dato una fregatura.»
«Devi avere pazienza» mi spiega Valeria, gli occhi fissi su un punto indefinito fuori dalla finestra «Dopotutto hai fatto un solo tiro.»
Sì gira verso di me, con quegli occhi da gatta che mi trapassano da parte a parte. Massi mi passa di nuovo lo spinello.
Faccio un altro tiro, questa volta molto più corto. Passo la canna a qualcun altro, e mi siedo sul letto.
A poco a poco, i contorni dei mobili della stanza iniziano a farsi sempre più indefiniti. Mi sento la testa pesante.
Mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi.
Pessima idea. Sembra di stare sulle montagne russe.
Li riapro quasi subito, anche se in realtà ho perso completamente la percezione del tempo e non saprei dire con esattezza quanto tempo è passato. Dieci minuti? Quindici secondi?
Il mio stomaco brontola, abbastanza forte perché tutti lo sentano.
«Ecco i primi segni della fame chimica» ridacchia Gaia.
«Guarda sul tavolo, abbiamo preso una scatola di barrette kinder» stavolta è Giacomo a parlare.
Cioccolato. Ottimo.


Mi avvicino al tavolo al centro del salone, barcollando. Mi siedo sulla prima sedia che trovo, ed inizio a scartare le barrette.
Mentre ne addento una, mi scappa da ridere.
La risata diventa sempre più fragorosa, e prima che potessi capire cosa stava succedendo (o perché stessi ridendo) mi trovo accasciata sul tavolo con le lacrime agli occhi per le risate. Quasi non riuscivo a respirare.
«Oh mio dio, guardate Floriana! È fattissima!» sento dire da qualcuno. Chi, non importa.
Continuo a ridere per un tempo che mi sembra infinito, finché non vengo interrotta dalla voce di Gaia.
«Beh, è stato divertente, ma sono esausta. Credo di andare a dormire nella 310, sono praticamente tutti lì. Ci stiamo organizzando con coperte e materassi, voi venite?»
Mi alzo di scatto, seguita da tutti gli altri. Proprio quando stavo per uscire dal corridoio, sento Massi afferrarmi un braccio. Mi giro, e per un attimo mi incanto a guardarlo.
Floriana riprenditi, cazzo!
«Dormiamo vicini? Giuro che non russo!» Massi sorride.
Cazzo, no. Perché deve rovinare tutto così? Non posso dormire vicino a lui, non vorrei che si facesse un'idea sbagliata...Non posso mettermi in una posizione così scomoda!
«Ehm, mi farebbe piacere, però avevo già detto a Gaia che avrei dormito vicino a lei. Sai com'è fatta»
Per un attimo, gli si riesce a leggere la delusione in faccia. Poi mi sorride di nuovo.
«Certo, non ti preoccupare»
Cazzo, mi sento una vera merda.
Entriamo nella 310, e io mi sistemo su un materasso, tra Gaia e Giacomo.
La testa mi gira tantissimo, e con le luci spente mi sembra di trovarmi su una di quelle giostre che fanno giri della morte e cadute in picchiata, una sensazione orrenda.
Nonostante ciò, la stanchezza si impossessa presto di me, a cado in un sonno profondissimo.
Inizio a tornare lentamente a galla, dopo un lasso di tempo indeterminato, ma c'è qualcosa che non quadra.
Sento una strana sensazione, non riesco a capire cos'è, evidentemente il THC sta ancora facendo il suo effetto.
Poi, d'un tratto, inizio a mettere a fuoco ciò che stava succedendo.
E mi si gela il sangue nelle vene.

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Capitolo 3
*** Stanza 310. ***


Trattengo il respiro. Serro gli occhi per qualche istante, poi li riapro.

Non può essere.
Sì, invece.

Magari ti sbagli, Flo. Magari sei ancora strafatta, magari stai sognando, magari non riesci ancora a distinguere la realtà dalla fantasia, magari...
No.

Sono lucidissima. Mi rendo perfettamente conto di cosa sta accadendo.
Quella strana sensazione che sentivo all'inizio...
È tutto reale. Un brivido mi corre lungo la schiena.

Respira.
Ci provo. Ci provo. Ci provo.

Non aiuta. Nemmeno un po'.
Sono ancora paralizzata.
Lui è ancora addosso a me.
Le sue mani mi stanno ancora toccando, le sento.
Sento le sue mani correre lungo le mie gambe, fino al sedere, per poi arrivare lì.

Ti prego, fa' che si fermi.
Ma non lo fa.

Con una mano mi solleva leggermente la maglietta del pigiama, poi la ritrae.

Forse ha capito che quello stava facendo è totalmente sbagliato. Forse si fermerà. Forse...

Poi, di nuovo, sento la sua mano su di me. Ma questa volta è più sfacciata.
Questa volta non si limita a sfiorarmi da sopra il tessuto del pigiama, no.
Questa volta, la sua mano, la sua maledettissima mano, cerca di farsi strada dentro i miei pantaloni, sotto le mie mutande.
È troppo. La paura lascia spazio al disgusto, alla rabbia.
Gli tiro una gomitata nella pancia.
Lui è sorpreso. Pensava che stessi dormendo, lo schifoso.
Faccio per alzarmi, ma lui mi blocca, mi circonda il collo con il braccio.
Mi sento morire. E se diventasse violento?
«Scusa» mi sussurra all'orecchio. Mi viene voglia di vomitare.
«Lasciami andare» rispondo, gelida.
«Flo, io...»
«Giacomo lasciami andare, o giuro su Dio che ti spacco la faccia»
Lui allenta la presa, e io mi alzo di scatto.
«Non azzardarti ad avvicinarti a me, mai più» sibilo.
Raccatto le mie cose in fretta e furia e mi precipito fuori dalla stanza, facendo lo slalom tra i miei compagni di classe, che non si sono accorti di nulla.


Arrivo davanti alla mia stanza, barcollando, e ringrazio il cielo di avere le chiavi con me.
Non riesco ad infilarle nella serratura, ho le mani che mi tremano troppo.
Le chiavi cadono, e io le raccolgo.
Cadono di nuovo, ma non ho la forza di accucciarmi per prenderle.
Gli occhi mi si riempono di lacrime. Cerco di ricacciarle indietro.
Non ora, non ora, non ora.
Faccio un respiro profondo. Prendo le chiavi e, cercando di fermare il tremolio delle mie mani, le infilo nella serratura.
La camera è vuota, le mie compagne di stanza sono ancora nella 310.
Dormono ancora beate, ignare, serene. Se solo sapessero...
Accendo la luce in bagno e mi fisso nello specchio: sembro un fantasma.
Non riesco a sopportare quell'immagine per più di un paio di secondi, quindi mi sbrigo ad allontanarmi.
Mi infilo sotto le coperte, e pian piano inizio a realizzare cosa significa davvero ciò che è appena successo.

Ho subito...una violenza? È il termine giusto?
Di certo, io mi sento violata. E se non mi fossi svegliata? Cosa sarebbe successo?

Gli occhi mi si riempono di lacrime. Di nuovo.
Questa volta non le trattengo.

~~~
Sono passati più di tre mesi dall'ultimo capitolo. Mi scuserei anche, se non fosse che nessuno segue questa storia.
Ho deciso comunque di aggiornarla, per me. Magari, prima o poi, la leggerà qualcuno.

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