Quindici Giugno 2012

di Hariberu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo/ Quindici Giugno 2012 ***
Capitolo 2: *** Il vestito sporco di fango. ***
Capitolo 3: *** La bambola di pezza. ***
Capitolo 4: *** Amelia Celine Sun. ***
Capitolo 5: *** Il futuro è venuto a trovarci. ***



Capitolo 1
*** Prologo/ Quindici Giugno 2012 ***


Quindici Giugno 2012.
 
Fine. Fine. Fine!
La testa mi stava scoppiando! Fine mi nasconde di aver preso una grande bella cotta per Shade! Che dire poi di lui? Ah, certo! Sta al suo gioco ‘amoroso’.
Sono sempre più convinta di accettare la proposta di matrimonio che mi ha fatto Bright. Lui è carino –non quanto Shade-, è dolce, ti comprende. Shade è l’opposto.
“Ehi sorellina! Mi accompagni al regno della Luna? Sai, ci sono dei nuovi dolci!” CERTO! Dolci alla Shade? Qualche nuova ricetta che profuma come lui? Di menta fresca che inebria le narici quando dai piccoli baci sul suo petto?
“Già! Dei nuovi dolci, vero Fine? Oppure devi fare visita a qualcuno, magari qualche sveltina? Con Shade?” La guardai scioccata, non pensavo che mi sarebbero scappate simili parole dalla mia boccaccia.
“Scusami Rein.. davvero pensavo che tu non l’avresti scoper..” Alzai la mano in segno di protesta e fermai il suo discorso.
“Che dire di Shade? Lui è molto d’accordo con i tuoi sentimenti, no?” Rimasi ancora più scioccata quando lei negò.
“Non ricambia? Ah, che strano! Eppure pensavo che tutte le volte che rifiutava le mie proposte per qualche appuntamento pensava a te!” Iniziai a singhiozzare.
“Ti sbagli Rein! Smettila di pensare queste cose su di me, io non ti tradirei mai, anche se mi sono innamorata di lui non significa che io adesso devo buttarmi ai suoi piedi e fargli da schiavetta e tanto meno da amante!”
“Mi sento un mostro Fine! Ho scaricato tutto su di te.. perdonami.”
“Fa niente Rein.” Fece un sorriso che per la prima volta non mi parse sincero e dispiaciuto.
 
Diciassette Giugno 2012.
“Camelot quello è il diario di Fine?” Forse avrei scoperto cosa mi nascondeva veramente! Tutto quello che mi aveva detto qualche giorno fa era sicuramente una bugia progettata!
“Si principessa.. ma è una cosa che non potete vedere!” Gli presi il diario dalle mani.
Arrivai all’ultimo piano del castello, lì nessuno mi avrebbe guardato. Presi una pagina a caso.
 
Martedì undici Giugno 2012.
Oggi ho mentito di nuovo alla mia sorellina, mi sento così in colpa. Oggi sono andata a trovare Shade! L’ho trovato a farsi un bagno così mi sono auto-invitata. Poi.. oddio! Non sai come ti fa godere! È troppo esperto in materia! Chissà come sarà stata felice Rein a tenersi un uomo come lui per quattro anni tutti di seguito.
Ed a me piaceva quel gay di Bright senza un briciolo di spina! Sicuramente non saprà nemmeno dove mettere le mani su un corpo femminile, ma Shade.. mi sto eccitando soltanto scrivendo qui!
 
 
Quattro anni tutti di seguito? Io sono pure vergine, per la santa Grace! Invece Fine faceva la sgualdrina sotto ai miei occhi.
Buttai a terra il diario dalla rabbia e tornai nella mia stanza, non a piangere. Non piangevo da quando avevo compiuto tredici anni, mi sono sempre detta di essere una ragazza forte e affrontare i problemi.
“Rein?” Fine era tornata.. già era tornata.
“Sono qui” Mi girai a fissarla, aveva qualcosa di diverso. Forse i capelli arruffati o i vestiti sgualciti? Non saprei da dove iniziare.
“Hai visto qualche nuovo tipo di dolce oppure hai fatto la puttana con Shade? Magari dentro ad una vasca?”
“TU!” Urlò contro di me.
“Hai letto il mio diario!” La fissai.
“Almeno so che mi hai mentito.. da SEMPRE! Almeno due volte alla settimana vai nel regno della Luna, dì la verità! Mi sono stancata delle tue bugie, e anche di quelle di Shade. State così bene insieme che ho deciso di sciogliere il fidanzamento.
Puttana e Stronzo. Che dire tanti auguri! Siete una coppia stupenda!” La mia mano colpì la guancia di Fine.
“Davvero, Fine, da te non me lo aspettavo. La mia sorellina ingenua e dolce che ama i dolci è scomparsa.” Girai l’angolo.
Presi un pezzo di carta e scrissi qualche riga:
 
Io Rein Sun, principessa del regno Solare sciolgo ufficialmente il fidanzamento con Shade Moon, principe del regno Lunare.
 
Ma mi scordai di inviarlo e lo lasciai sopra la scrivania e iniziai a passeggiare per il castello sperando di calmarmi.
Notai una porta che non avevo mai visto. Era diversa da tutte le altre. La maniglia era bianca, la porta era di un blu scuro.
C’era una scritta incisa: “Se entri qui potrai salvare il mondo dalla distruzione”
Quale distruzione?
La porta si aprì e mi ritrovai davanti una sfera lucente che illuminava tutta la stanza.

 
N.A
 
Questa storia è una BlueMoon, le cose si capiranno con il passare del tempo. Spero che questo prologo vi abbia incuriosito.
Baci, Flo.

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Capitolo 2
*** Il vestito sporco di fango. ***


Nd: Ho tramutato i capitoli in terza persona sotto consiglio di Fear, spero vada meglio. Buona lettura.
 
 
Si era dissolta, nell’oscurità priva di appigli, priva di coscienza, nell’oscurità indifferente. Ora, quando già la sua mente sembrava essersi abbandonata alla lenta ed infinita discesa negli abissi, qualcosa la riportò a galla: il suo corpo.
Come nello spasmo dell’ormai annegato che guadagna improvvisamente la superficie e nuovo ossigeno per i propri polmoni stremati, così il petto di Rein si gonfiò di un respiro brusco. E la riportò alla realtà.
Sentiva le palpebre pesanti, come se fosse rimasta a lungo incosciente. Si mosse con lentezza e fu sollevata nel constatare di non avere nessun osso rotto. Eppure la sensazione di essere stata scagliata in qualche voragine non l’abbandonava. Una voragine fangosa, per l’esattezza.
Quando aveva toccato quella luce si era sentita strappata dal suo mondo e ora si ritrovava chissà dove…e che emanava un odore tutt’altro che piacevole. Era un miracolo che fosse rinvenuta, vista la puzza che la circondava e che non riusciva nemmeno a riconoscere: era un misto di odori di cucina – cavolfiori, brodo rancido – e qualcosa di più animalesco, come se ci fosse un allevamento di maiali nelle vicinanze. Senza contare quello che sembrava decisamente olezzo d’urina.
Cercò di rialzarsi, la testa le girava e faceva fatica a muoversi. Sembrava un’ubriaca. Cadde con la faccia sprofondata nella gonna del suo vestito.
Perché nessuno gli dava attenzione? Possibile che si trovava lontana oppure era il suo udito o il suo olfatto ad essersi sviluppato magicamente? Poi ricordò.
Sua sorella aveva fatto il doppio gioco, l’aveva presa in giro per un sacco di tempo, si era comportata da vigliacca e non gli aveva mai riferito niente.
Seduta a terra, in attesa che il suo corpo si ristabilisse. Si guardò intorno. Era un vicolo stretto circondato da due case laterali di mattoni blu.
Rein cercò di pensare sempre meno a quel colore, il blu. Già il colore che gli aveva sfortuna.
Una sfortuna immensa.
Il brontolio del suo stomaco la riportò alla realtà, si accorse che non aveva fame delle solite cose che amava mangiare: pollo ripieno, crostate al mirtillo, biscotti alla vaniglia e gelato alla menta.
Sentiva anche odore di.. sangue, sangue fresco. Cosa stava andando a pensare?
Posò le mani per terra e cercò di rialzarsi. Squadrò le case intorno. Piene, stra-piene di maledetti mattoni blu, anche le porte erano blu! Le finestre contornate di blu.
Poteva andare mai peggio di così?
Le piccole finestre erano tutte chiuse, oscurate dallo sporco.
E, a giudicare dallo strato di fango accumulato, le piogge non erano certo mancate. Anzi, dal rigagnolo che scorreva da una grondaia poco lontana, per correre giù lungo il vicolo diretto chissà dove, era chiaro che doveva aver smesso da poco di piovere.
Strano.
Lei non aveva i vestiti o i capelli bagnati di pioggia. Sporchi di fango, questo sì, ma soprattutto nella parte anteriore del corpo, dato che era stata sdraiata a pancia in giù nel vicolo ed ancora si sfregava una guancia per toglierne quell’odiosa sporcizia. La schiena però era asciutta.
“Devo essere arrivata qui da poco” concluse tristemente.
Quanto gli piacerebbe essere nella sua camera e scrivere poesie che la consolino.
Quella dannata luce l’aveva portata qui, in un certo senso era quasi felice di essersi liberata di quella ipocrita della sorella.
‘Per me, mia sorella è morta.’ Pensò, alla fine, con uno strano ghigno maligno immaginando scene di tortura verso la rossa.
‘Sarebbe molto divertente legarla e farle confessare tutto. Sai che grande piacere vederla con il volto rigato di lacrime e i polsi rossi, quasi tagliati dalle corde, insanguinati.’ Continuò a pensare crudelmente, qualche minuto dopo si pentì dei suoi orribili ma piacevoli pensieri. Non pensava di aver questo lato nascosto così sadico dentro di sé.
Uscì dal vicolo, c’erano persone dappertutto. Soprattutto bancarelle che vendevano dalla frutta fino ai gioielli di poco valore, molte donne facevano a gare per accaparrarsi le verdure fresche a poco prezzo.
Poi si girò e notò un castello con lo stemma della luna. Non ne rimase sorpresa, visto che era praticamente tutto blu.
“Questo dev’essere il regno Lunare, ma è molto diverso da quello che conosco io.” Sussurrò presa dal panico di perdersi.
Prima di tutto, aveva bisogno di una ripulita al vestito o l’avrebbero scambiata per una barbona di strada.
‘Senza offesa ai barboni.’
Guardò meglio il suo vestito preferito, non lo metteva quasi mai. Glielo aveva regalato Shade. Si pentì di averlo messo proprio quel giorno.
Questo dannato giorno.
Cercò di rassettarsi al meglio, si ripulì il viso con la manica intatta del vestito bianco e controllò nelle taschine laterali. Vuote, completamente vuote se non a eccezione di una foto.
Erano raffigurati lei e Shade, che si abbracciavano dolcemente. Dietro c’era Milky che sorrideva alla macchina fotografica. Aveva una voglia immensa di strapparla e gettarla nel fango.
‘Quei quattro anni buttati al vento, tutte fandonie!’ Pensò arrabbiata nascondendola nella tasca.
Quindi studiò il vicolo: da una parte era chiuso da un’alta staccionata, impossibile da scalare, ma dall’altro capo provenivano rumori della strada vicina. E proprio a quella si diresse.
Si era aspettata, una volta arrivata sulla strada, di respirare aria migliore.
Invece, nonostante il lezzo del vicolo si fosse attenuato, un altro l’aveva sostituito. Era odore di persone, molti esseri umani dalla dubbia vocazione all’igiene personale, tanto che i loro corpi emanavano un afrore grasso e spiacevole.
La prima cosa che notò furono i colli di quelle persone, che le fecero ricordare di avere un immensa fame. Ma di che cosa? Si sentiva strana da quando si era ritrovata in quel vicolo. I suoi sensi si erano sviluppati, lo sentiva.
‘Perché sento anche odore di sangue? Possibile che sto diventando mezza matta?’ Poi ci ripensò profondamente.
‘Impossibile, io non sono una di quelle strane creature mitologiche del libro di fiabe della mamma. Io non posso essere diventata un vampiro senza essere morsa. Ma poi loro neanche esistono.’
Poi fu colpita dall’abbigliamento della folla. Ma queste persone conoscevano il termine glamour?
Le donne avevano terribili e quanto raccapriccianti fiocchetti dai colori più assurdi come il nero e il marrone. Le più snob, a quanto pare, portavano un ombrellino per ripararsi dal sole. Ma a quanto pare erano rincretinite visto che non c’era una minima traccia di luce nel cielo, anzi era più nero del carbone.
Era giorno d’acquisti, di uomini quasi neanche l’ombra. Gli unici che aveva avvistato portavano una camicia bianca e dei pantaloncini marroni, le gambe erano piene di graffi e varie croste.
Poi c’erano i bambini, gli unici che Rein in quel momento poteva considerare adorabili e ben vestiti. Le bambine avevano vestitini graziosi anche se di colori deprimenti. I maschi portavano un gilé color porpora.
Si rincorrevano ed erano felici.
“Vorrei tornar bambina, per non scontrarmi con la realtà, perchè a volte fa troppo male...”
Rein fece qualche passo indietro. Alcune donne l’avevano guardata con indignazione e poi avevano sussurrato:
“Hai visto che bella quella ragazza? Poi guarda il suo vestito, chissà quanto deve essere costato.”
“Già, per essere bella lo è. Ma le persone di alto rango non stanno per strada sporche di fango dalla testa ai piedi come dei sudici maiali.” Poi continuarono a camminare e a fissarla da lontano.
“I maiali sono sicuramente più simpatici di quelle zitelle” Mormorò a denti stretti.
Proprio in quel momento, un ragazzino sbucò dalla folla, procedendo sbilenco per il grosso pacco di giornali che portava sotto braccio. Con la mano libera brandiva uno dei giornali e lo agitava sopra la propria testa, strillando.
“LEGGETE! LEGGETE IL GIORNALE LUNARE!” Il piccolo strillone si agitava come un draghetto per farsi notare dai passanti ed appena qualcuno gli allungava la moneta necessaria, mollava il giornale al cliente e si cacciava in tasca il guadagno. Poi riprendeva daccapo.
“NOTIZIONA! IL RE DEL REGNO GIOIELLO è FUGGITO CON LA SUA AMANTE!” Il regno gioiello? Possibile che avesse un altro nome?
Rein lanciò lo sguardo verso il terreno, al ragazzino era caduta una copia del giornale. La prese senza farsi avvistare da nessuno e rientrò nel vicolo.
“Bene… vediamo cosa dice.”
Il giornale della Luna
Sabato,  marzo, 1848
Doveva essere uno scherzo.
Oppure un incubo, meglio un incubo perché uno scherzo non avrebbe potuto essere tanto crudele.
Marzo 1848?
Come poteva essere nel diciannovesimo secolo? Lei...lei apparteneva ad un’altra epoca, com’era possibile?
Eppure – la mente acuta di Rein Sun lavorava contro lo strazio del suo cuore – quella data rendeva plausibile ogni particolare: l’abbigliamento, l’aspetto degli edifici, le tracce di fumi di carbone nel cielo, persino la lingua parlata era diversa.
Niente Wonder del ventunesimo secolo.
Niente Altezza, Bright, Shade, Fine, i suoi genitori, Poomo, Grace.
“E ora come faccio?” Sussurrò con voce sconfitta.
In quel momento avrebbe voluto strapparsi i capelli, in fondo voleva stare soltanto qualche chilometro lontano da sua sorella, non interi secoli.
“Così finirò nei guai. Sono senza soldi, con dei vestiti sporchi, mi guardano come se fossi un alieno.” Sospirò con tutte le sue forze.
 
 
“Amelia quante volte ti ho detto che non devi rapire nessun umano?” Una donna, dall’aspetto giovane e con lunghi capelli blu fluenti guardava una ragazza con le dita sporche di sangue.
“Ma madre! Sapete benissimo che la maggior parte dei sovrani, come noi, sono dei vampiri. Lo sono anch’io. Ho tutto il diritto di nutrirmi. Poi guarda il lato schifoso della storia. In giro ci sono dei cacciatori di vampiri, se quei villani ci uccidono tutti nei prossimi secoli nasceranno degli stupidi e impuri umani come eredi. Non la nostra vera stirpe!”
“Cara, secondo me stai esagerando. Nessuno dei popolani sa della nostra vera natura, in fondo noi ci nutriamo di sangue animale. Ma tu stai trasgredendo persino alle regole che ti ha imposto il tuo promesso sposo. Niente sangue umano.” La donna tirò fuori un fazzoletto e ripulì il viso della figlia dalle tracce di sangue.
“Ma quello animale, diciamocela tutta madre, ha un sapore orribile.” La ragazza fece una smorfia d’orrore.
“Avrà un sapore orribile, ma almeno ci nutriamo.” Concluse andando via lasciando la ragazza da sola.

 
Nd: Ho anche allungato le descrizioni.
Baci, Flo.

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Capitolo 3
*** La bambola di pezza. ***


Ringrazio tutti coloro che hanno iniziato insieme a me questa nuova avventura con i nostri protagonisti.  Un ringrazio speciale a Miku-Chan (Fear) e Ade (Baby Milky) per aver recensito e avermi supportato nei primi due capitoli. Ma anche a chi mi segue silenziosamente e ha messo la storia tra le seguite e ricordate.
 
***
 
Quindici Giugno 2012.
Capitolo II
La bambola di pezza.
 


Non aveva con sé niente che potesse esserle utile.
Era completamente sola. 
La vita di Rein, attualmente, faceva schifo.
Fra quei cittadini non avrebbe avuto possibilità: priva di soldi, vestita con abiti moderni, sporca di fango.
Forse poteva avere qualche speranza con i nobili, ma l’avrebbero presa per una folle.
Si rimise in piedi, piegò il giornale e s’inoltrò nella folla.
Dopo aver osservato rapita i negozi, era sul punto di chiedere informazioni ad una donna straordinariamente grassa, dalle guance rubizze e dal paniere ben fornito – forse una cuoca scesa al mercato da quartieri più alti.
Ma non fece in tempo ad aprire bocca che avvistò qualcosa che la incuriosì.
“Signorina, ha bisogno di un aiuto?” Le chiese, sorridente in volto. Aveva l’aria di una donna gentile e premurosa.
“N-no, la ringrazio per il pensiero.” Non era facile raggiungere quello che gli interessava,  perché continuavano a spintonarla e qualcuno tentò addirittura di trattenerla, ma Rein sgusciò via da quelle mani e si riparò dietro le ampie gonne di una vedova. Quando questa la cacciò, agitando l’ombrello.
Raggiunge la salvezza.
Varcò la soglia di un pub. Si sentì salva, ma si ricredette pochi secondi dopo. Il pub era pieno, si sentivano mascelle ruminare tabacco e sorsi alcolici gorgogliare giù per la gola degli avventori. Le rivolsero sguardi e occhiate che non facevano pensare a nulla di buono.
‘Sono circondata da un branco di depravati.’ Questo fu il suo primo pensiero.
 
Piccole gocce scarlatte scivolavano giù per il mento di un ragazzo nascosto dall’ombra.
Teneva tra le braccia una donna, ormai senza vita. La lasciò cadere sul terreno, come una bambola di pezza ormai rovinata. Si leccò le labbra per assaporare meglio quel sapore metallico.
“Così la mia piccola, dolce e indifesa Rein si è scontrata con il nostro amato buio, eh? Le daremo il benvenuto che le riserva.” Una fitta nebbia lo inghiotti.
 
“Shade!” Una bambina, forse sui dieci anni si avventava su un povero ragazzo, che dopo aver sospirato la abbracciò.
“Amelia, che piacere rivederti. Dov’è la mamma? Le devo parlare.” Ma la bimba lo fermò.
“ Senti, domani puoi venire? Devo parlarti.” Poi gli indicò un corridoio, fitto e buio, silenzioso. L’unico rumore era quello dei suoi stivali.
Bussò ad una porta.
“Avanti.” Una donna, stava sorseggiando qualcosa da una tazzina in porcellana.
“Shade, notizie? Come mai hai deciso di viaggiare nel tempo?” Una raffica di domande gli furono rivolte, però la sua mente era più sveglia di quella umana.
“Si, notizie. Sai, l’ultima vampira della famiglia Sun si sta risvegliando. Mi sono occupato della sorella, che è un’umana. Non merita neanche di vivere, quella lurida. L’unica cosa che ci ricavo è del sano sesso.” Si sedette su una comoda sedia di pelle rossa e si portò la mano al mento con fare elegante.
“Voi uomini, sia umani o vampiri pensate sempre alla stessa cosa. Ma dimmi la verità, perché ti interessa tanto?” Il cobalto iniziò a ridere.
“La voglio. Deve essere mia, e di nessun altro.” La donna si alzò e si sistemò la gonna.
”Caro, non ti facevo così possessivo verso mia nipote. Dovresti parlare con tuo padre, lo sai benissimo. Ora mi dileguo, ho molto da fare. Magari poi fammela conoscere, sono molto curiosa.”
 
 
Rein era riuscita a fuggire da quel pub in tempo e aveva iniziato a correre per le vie.
“Ehi, miss, vi siete persa?”
Una voce fece sussultare Rein, un uomo, molto robusto si fece largo nell’ombra.
“Ehi, non rispondi? È scortese, una ragazza con un abito come il vostro dovrebbe sapere come si ci comporta quando qualcuno le rivolge la parola.” Rein lo riconobbe, lo aveva visto vicino al mercato della frutta. Possibile che l’avesse seguita fin lì?
“Non credo siano affari vostri.” Riuscì ad esibire una voce franca e limpida, con sua fortuna. L’uomo ridacchiò mostrando i denti piccoli e gialli. Era di carnagione olivastra, con capelli molto corti ed occhi insolitamente vispi.
“Sicura che non stiate cercando qualcosa, miss?”  Rein trovò alquanto irritante il ‘miss’. Capì che quello lì cercava soltanto rogna. Iniziò ad avanzare, cercando di sorpassarlo. Aveva corso talmente forte che aveva perso di vista dove stava andando.
Si ritrovò in un bosco, circondato da pini, querce e salici. Era talmente fitto che non si vedeva più nessuno. L’uomo la raggiunse, senza difficoltà.
“Non insistere.” Gli sibilò bloccandola tra il tronco e le sue braccia.
 La rabbia di Rein, in quel momento, stava salendo e stava esplodendo. L’aveva bloccata. Cercò una via di fuga. Poi una lampadina illuminò la sua mente.
Era un folle. Aveva intenzione di stuprarla, solo allora si accorse che certi uomini andavano bruciati vivi.
“Oh, oh, miss, cosa avete intenzione di fare?” Gli sorrise maligno, il suo dito percorse il profilo di Rein.
“Vedo che siete messa veramente bene.” Trovò una via di fuga. Scavalcò quel braccio e corse verso la sua destra sentendosi sollevata, ma per poco. Un braccio la bloccò. Impaurita, come poche volte si girò e fissò gli occhi del uomo.
“Ah, avete provato a fregarmi, miss?” Rein, proprio in quel momento avrebbe voluto spalancare la bocca per mettere a subbuglio tutto il paesino, ma si ritrovò a boccheggiare come un pesce rosso in una boccia di vetro. Richiuse le labbra e sentì gli occhi pizzicare di frustrazione, mentre il tipo se la caricava sulla spalla come una bambola di pezza, stringendole con forza una gamba per essere sicuro di non farsi scivolare il fardello.
 Provò ad agitarsi, ma fu tutto inutile.
 Gli abiti dell’uomo emanavano un odore spiacevole, di sudore, alcolico di bassa qualità e muffe. Erano lisi, macchiati in più punti e davano l’idea di potersi lacerare da un momento all’altro, senza poter contenere la massa taurina del loro proprietario.
La prima cosa che vide, era il collo. Un grande e succulento collo. L’azzurra lo annusò e sentì per la prima volta in quella giornata, che voleva mangiare.
Con l’unica mano libera percosse la vena del collo, cosa che sorprese molto l’uomo tanto che si fermò. Quel dolce odore attivò qualcosa in lei. I suoi occhi diventarono completamente bianchi.
Il tipo, spaventato, la fece cadere a terra ed iniziò a tremare. Rein, in tutta risposta, iniziò a gattonare fino ad arrivare faccia a faccia con il suo polpaccio. Si alzò verso di lui.
Prima che scappasse, con un gesto fulmineo gli graffiò il collo, da cui iniziò a sgorgare liquido rosso. Si avvicinò al suo collo ed iniziò a leccare quel liquido, a lei sconosciuto.
“Mmm..” Rein si portò la mano al mento.
“Perché non parli? Così mi rendi triste.” L’uomo non sapeva che fare, aveva le parole bloccate. Sentì i denti della ragazza insidiarsi nella sua carne e iniziando a bere con avidità dal suo collo, gli uscì un gemito di disperazione, un aiuto. Chiuse gli occhi, lentamente, mentre la sua vita si allontanava da lui.
 Poi lei si allontanò dal corpo, privo di vita e sorrise sadicamente, leccandosi le dita.
Gli occhi tornarono al loro stato originale e si accorse del pasticcio che aveva combinato.
Si portò le mani alle labbra ed iniziò a tremare.
“C-che cosa ho fatto? Ho sentito solo una grande voglia di sangue.” Cadde sulle sue ginocchia e fissò il cadavere, in volto aveva una smorfia addolorata, ciò fece pentire Rein ancora di più.
“Sono un mostro.” Qualcosa la riportò alla realtà, qualcuno stava venendo verso di lei. Alzò il volto verso il ‘salvatore’.
“Finalmente ti ho trovata, pensato avresti combinato di peggio.” Lo sconosciuto si abbassò all’altezza del suo viso e raccolse con un dito le poche gocce di sangue rimaste e le leccò. La ragazza iniziò a tremare più di prima. Non dava nessuna risposta.
Rein iniziò a singhiozzare. Senza ragionare, si rifugiò nelle sue braccia. Lui la sollevò senza fatica.
“Guarda che disastro, non so, uno scoiattolo non ti andava bene?” In braccio, la portò fuori dal bosco, lontano da quel uomo, lontano dal sangue. Quasi dimenticò tutto.
Stava così bene tra le sue braccia, che si addormentò.

 
 
 


 
 

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Capitolo 4
*** Amelia Celine Sun. ***


Disclaimer: i personaggi di Fushigiboshi no futago-hime non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Mayuki Anan.
 
Avviso: Il prossimo capitolo arriverà in ritardo, ho in programma una one-shot a rating rosso Bluemoon tutta per voi.
 
PS Alla fine del capitolo vi lascio una piccola immagine di Amelia.
PPS il capitolo è molto corto perché è incentrato su Amelia.
 
 
Quindici Giugno 2012.
Capitolo III
Amelia Celine Sun.
 
 
Amelia Sun era una di quelle rare creature che fin dalla più tenera infanzia conoscono i desideri del proprio cuore e non trascorrono giorno su questa terra senza tentare di realizzarli.
I desideri di Amelia si potevano descrivere con un aggettivo: Felicità.
Era quello che aveva sempre voluto, un po’ di felicità. Ma non è tutto oro quel che luccica, e lei lo sapeva benissimo.
Fin da quando aveva fatto la sua comparsa, ovvero dieci anni fa, si era dimostrata sempre più sveglia, attenta e che coglieva ogni minimo particolare che le si presentava davanti.
Quel briciolo di felicità che aveva sempre desiderato era piombato dal nulla. Il suo nome era Shade. Era uno come lei. Un vampiro purosangue, uno degli ultimi rimasti. No, quello che provava non era amore, era un affetto che andava oltre le parole del ‘ti voglio bene’.
Amelia non era come le altre bambine. Era diversa, molto diversa.
Era sveglia, abbastanza da essere una piacevole interlocutrice ed un’attentissima ascoltatrice.
Il suo aspetto somigliava ad una bimba dolce e gentile. Occhi blu-azzurro, lineamenti dolci.
Aveva anche un segreto, amava terribilmente i coniglietti di pezza. Il suo preferito era tutto rosa –e lei odiava il rosa-.
Poi, se provavi a conoscerla, scoprivi la sua indole oscura. Non si faceva scrupoli ad uccidere gli umani per piacimento. Una volta, aveva visto un’anziana dagli occhi verdi, gli erano piaciuti così tanto che glieli aveva cavati. Adesso li conservava segretamente in uno scrigno in fondo al letto.
Aveva anche un abilità, la veggenza. Forse era l’unica vampira del suo secolo a possedere una cosa simile. Non se ne vantava, la grandiosa abilità faceva comparsa anche nel suo riposo, mostrandogli momenti futuri suoi o di persone che avrebbe presto conosciuto.Una in particolare l’aveva colpita durante il suo decimo anno di vita su Wonder.
Dopo essersi sistemata –indossando un abito verde scuro- e aver acconciato i capelli in due lunghi codini, Amelia abbandonò la propria stanza. Così fece ticchettare gli scarpini sui gradini di legno scuro che conducevano al piano inferiore.
 Sua madre, Lilith, l’attendeva al primo gradino con sguardo severo.
“Amelia, possibile che non riesca ad alzarti ad un'ora decente?” Lei sbuffò, sua madre gli faceva la solita predica da ormai cinque lunghi anni. Stava per aprire bocca quando lei la fermò.
“Ti sei scordata che ieri hai dato appuntamento a Shade? Mi ha detto che dovevi parlargli di una questione importante. Ti aspetta in giardino da almeno due ore. Datti una mossa e scusati per il ritardo.” I lineamenti si addolcirono e la donna gli diede un buffetto sulla guancia.
Si diresse come una furia nel luogo dell’appuntamento e sorrise quando vide Shade osservare le aiuole.
“Allora biscottino, di cosa volevi parlarmi?” C’erano quei momenti in cui avrebbe preferito strozzare Shade che sentirsi chiamare biscottino. Gli dava il voltastomaco e lui lo faceva solo per divertirsi.
Così diretta parlò di quello che la turbava da settimane, infilzandola di dubbi e domande.
“Ultimamente sogno quasi ogni notte una donna, molto giovane, dai lunghi capelli tendenti al rosso chiaro e gli occhi che ti lasciano senza fiato, la vedo correre, arriva in una stanza simile ad una biblioteca e prende un libro, con una scritta antica. Ho provato a decifrarla. Letteralmente significa ‘rapporto tra un umano ed una vampira’.” Shade la fissò per un paio di minuti e poi scoppiò in una grossa risata, prendendola in giro facendola arrossire dall’imbarazzo.
“Beh, perché proprio a me una cosa del genere?”
“Penso faccia parte della stirpe della tua povera e dolce vittima. Anzi! Sono molto curiosa, ho sentito da mia madre che ha combinato un pasticcio e l’hai presa sotto la tua ala protettiva. Magari uno di questi giorni io e lei possiamo andare a fare scorta di sangue!” Concluse con un sorriso, un sorriso sincero che rivolgeva solo verso persone fidate. Shade osservò l’orologio e con sguardo frettoloso guardò la bimba.
”Allora io vado, ciao Amelia.” Gli diede un bacio nei capelli e scomparve.
“Ma guardalo, mi ha lasciato da sola.”
 
 
"Lord, mio Lord! Siete tornato, Lord, venite, venite, volete che vi prenda il cappello, Lord?” Voci confuse provenivano dal piano di sotto.
“Lascia stare il cappello, Jim. Piuttosto, hai sorvegliato bene la stanza?” Jim? Chi era Jim?
L’altra voce, invece, la fece rabbrividire.
“Shade?...” Rein tentò di aprire gli occhi, era stanca. Non riuscì ad ascoltare bene il discorso.
“Giusto Lord, giustissimo. Voi siete famoso e stimato, Lord” La voce ruffiana di qualche commerciante, invece, le arrivò come da molto lontano.

 

Come immagino io Amelia:

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Capitolo 5
*** Il futuro è venuto a trovarci. ***


Disclaimer: i personaggi di Fushigiboshi no futago-hime non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Mayuki Anan.
 
Prima di iniziare, vorrei scusarmi per non aver pubblicato l’One-shot rossa. Non ho avuto tempo di scriverla.
Scusatemi ancora.
 
Poniamoci una domanda tutti insieme. Che fine avrà fatto Rein? Al prossimo capitolo i vostri dubbi saranno risolti.


 
 Quindici Giugno 2012.
Capitolo IIII
Il futuro è venuto a trovarci.
 
Una ragazza dai capelli corvini camminava per le vie oscure del suo paese, reggendo alcuni sacchi che contenevano farina. Era da più di un’ora che camminava, aveva paura, nonostante conoscesse a memoria tutte le strade del Regno Lunare. Era stata incaricata dalla madre di portarli al fabbro che tutti conoscevano. Mr. Geicken.
I sacchi che reggeva erano molto pesanti.
‘Ora capisco perché alla mamma fa male la schiena.’ Nel mentre, pensava a quale grande ricompensa avrebbe ricevuto, tornata a casa. Magari un gioiello o un vestito di grande valore!
D’un tratto si fermò, per riposarsi. Si accostò ad un albero e respirò.
‘Giusto due secondi e poi avrò la mia ricompensa!’
D’un tratto, vide una bambina. A primo sguardo, non gli diede più di tre anni. Poi ci ripensò, doveva averne almeno sei. La guardava disgustata.
‘Perché mi guarda così? Non capisco. Forse è il abito di poco valore? Certo, guarda il suo. È meraviglioso.’
Era un abito, un abito alla moda vittoriana naturalmente, dalla grande gonna a righe verticali, che intervallavano la base più cupa ad una tinta cobalto. Le lunghe maniche terminavano, un poco svasate, in almeno due pollici di ricamo color avorio.
Il sottogonna era una serie di strati che le avrebbero garantito l’aspetto di una regina.
La ragazza storse il naso.
‘L’avrà rubato? I bambini, di questi tempi, sono capaci di tutto.’ Poi continuò ad esaminarlo.
Aveva una giacchetta di raso, dai piccoli bottoni d’argento, le cui maniche larghe avrebbero lasciato in vista il ricamo di quelle dell’abito. La giacchetta era stretta ai fianchi ed arricciata nel corto orlo.
Poi, aveva un cappotto e un cappello. Un cappotto scuro e lungo, di stoffa pesante, sagomato in modo da poter accogliere sotto di sé un abito dalle ampie gonne. Il colletto era rivestito di pelliccia bruna, per assicurarle maggior protezione dal freddo. Nessuna piuma né ninnolo più appariscente adornavano il capello, soltanto nastri blu che correvano attorno alla tesa ed un piccolo fiocco su un lato.
Il tutto, gli stava splendidamente. Il suo viso sembrava di porcellana. I suoi occhi erano cascate in cui perdersi. Qualche ciuffo ribelle, di color cobalto usciva dal cappello.
Perché se ne stava tutta sola lì? Magari si era persa.
La corvina appoggiò i sacchi vicino all’albero e si avvicinò alla bambina, giusto per un’occhiata veloce.
“Piccola, che ci fai qui? Sei tutta sola.” Dapprima il suo sguardo era indifferente, poi si trasformò in una smorfia.
“Non trovo la strada di casa” Disse semplicemente, facendola quasi commuovere.
“Vieni, cerchiamo la tua casetta.” Gli prese la mano, era incredibilmente fredda!
Camminarono per un bel pezzo, senza meta. La ragazza continuava a rimanere muta.
Quando poi arrivarono in un posto abbastanza isolato, dietro delle case e molto vicino al bosco lei si riscosse improvvisamente. Si guardò intorno e poi andò a fissare la bimba accanto a lei che se ne stava immobile guardando avanti.
“D-dove siamo?” Chiese improvvisamente, quasi si fosse dimenticata che era stata lei a condurle lì.
“Io non lo so, dovresti saperlo tu. No?” La cobalto fece un sorriso malefico. La corvina, tremò.
La ragazza si immobilizzò iniziando ad indietreggiare, per poi voltarsi e provare a correre. Ma con sua grande sorpresa si ritrovò a terra, la bambina l’aveva spinta facendole sbattere la fronte. Alzò un poco il capo e si toccò il viso. Sul sopracciglio c'era un graffio che perdeva sangue. Le sue dita se ne erano macchiate.
“Oh santo cielo!” Esclamò alzandosi in piedi e voltandosi cercando la bambina, che era scomparsa.
‘Meglio così’ Pensò, sollevata. Purtroppo per lei, voltandosi se la ritrovò davanti. Gli occhi azzurri-blu era diventate due perle bianche. La spinse contro un muro che le stava dietro. Lei iniziò a piangere e a lamentarsi supplicando di lasciarla stare perché era una brava ragazza e voleva solo aiutare sua madre.
“Per favore io..” La bimba sorrise sadica.
“Shh, ora passa tutto, devi solo farmi un favore, donami il tuo sangue così il mio papà sarà fiero di me!” La ragazza non faceva altro che tremare e piangere. Lentamente avvicinò le sue labbra al collo di lei. Ci passò un dito sopra sentendo scorrere il sangue nelle vene, poi pian piano con gesto esperto le affondò i canini nella carne morbida del collo fino a gustare il suo sangue. Essa provò a ribellarsi lanciandogli uno schiaffo a mano piena, ma lei le bloccò subito la mano stringendola nella sua. Si staccò un attimo da lei per guardarla divertita.
“Come? Io voglio essere gentile e tu mi dai uno schiaffo? Che maleducata. Te le hanno insegnate le buone maniere?” Strinse la sua mano nella sua. La ragazza sentì le ossa sgretolarsi una dopo l'altra, fino a che non le uscì il sangue. Urlò e la bambina per farla stare zitta premette ancora di più la mano sulla sua bocca.
Leccò il sangue che le usciva dalla mano per poi morderle nuovamente il collo. Lei si agitava tantissimo o almeno si agitò finché poté. Poiché più perdeva sangue donandolo a quella bellissima bambina, le forze l'abbandonavano sempre più fino a che la pelle non divenne fredda, le palpebre si chiusero e il suo corpo fu lasciato crollare a terra accanto ad un albero.
 
 
“Amelia, mi stai ascoltando?” Amelia si risvegliò dai suoi pensieri fissando la madre.
“Si madre, scusami. Ero sovrappensiero. Hai sentito delle ultime tragedie che si narrano in paese?” Gli omicidi erano sempre più frequenti e nessuno si sapeva spiegare la loro natura. Non era mai capitato che nel regno Lunare, normalmente così tranquillo, nonostante circondato da vampiri prudenti succedessero in così poco tempo.
“Che dici di scendere in paese a controllare gli altri vampiri? Io non mi fido.” La mora annuì, entusiasta. Adorava questo genere di avventure.
 
“Le vittime muoiono per dissanguamento.” Spiegavano i medici indicando i fori presenti nel collo delle vittime. Ma realmente neanche loro sapevano dire da cosa erano causati. La distanza dai due fori era sempre la stessa.
La vittima che trovarono quella mattina sconvolse il paese. Era una ragazza. Capelli lisci e neri sporchi di terra e foglie. Gli occhi ormai opachi, grigi e spenti. Era stata trovata ai margini del bosco, a terra a pancia sotto. Da quello che disse la madre della ragazza, sua figlia Akane era andata a portare dei sacchi al fabbro. Si stava facendo buio e lei ancora non era tornata. La madre la cercò per tutta la notte. La trovò la mattina presto. Il suo corpo era freddo e il sangue si era essiccato. Era morta.
I segni sul corpo della ragazza erano molto simili alle altre vittime. C'era sempre uno spacco sulla nuca dove si intravedeva il sangue secco sull'osso della fronte.
Le ossa della mano destra erano tutte rotte. Le braccia erano percorse da graffi e lividi. I buchi erano in un solo punto del corpo. Nel lato destro del collo.
 
 
Tutti guardavano tristi e malinconici la ragazza. Amelia li guardò seccata, sbuffò e si fece largo tra la folla.
“Guardate.. è la piccola contessa. Cosa avrà intenzione di fare?” Lì per terra, ai suoi piedi, c'era il corpo esanime di una ragazza. Attorno a lei tutti erano tristi. In volto le apparve un lieve sorriso.
‘I segni del collo appartengono ad un vampiro, senza dubbio. Femmina. La cosa più strana è che una purosangue. Molto piccola. Qui oltre a me, purosangue di soli dieci anni non c’è nessuna nascitura.” Tornò indietro. Aveva informazioni sufficienti per trovare la colpevole dei numerosi delitti.
Aveva giusto del tempo per andare alla fiera che si svolgeva ogni anno, le piaceva per i vasi e quadri che mettevano in mostra.
Ma, la cosa che la sorprese di più di quella fiera fu l’odore di purosangue che si aggirava per quelle strade.
‘Magari adesso la trovo e faccio la ramanzina, come una madre! Assurdo.’ Infatti, fu così. La trovò, sopra ad un albero che osservava.. un orologio?
“Ti ho scoperta mocciosa.” La bambina sussultò e la fissò intensamente, poi aprì bocca.
“Mi chiami mocciosa, ma sei anche tu una bambina. Secondo, non voglio scocciatori di nessun tipo.” Si lanciarono sguardi e insulti mentali.
“Dimmi chi sei e cosa hai in mente, magari ti lascerò stare.” La cobalto scese dall’albero e si avvicinò ad Amelia. Gli strinse una mano con sua sorpresa.
“Io sono Cecilia e sono qui per salvare il rapporto dei miei genitori.”
“Scusami, chi sarebbero i tuoi genitori?” Forse si stava intromettendo troppo in affari altrui, lo sapeva.
“Il mio papà… il mio papà si chiama Shade.” Amelia sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
Perché quella bambina ha deciso di viaggiare nel tempo?

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