The Truth Beneath The Rose

di _Princess_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sex ***
Capitolo 2: *** Hot Stuff ***
Capitolo 3: *** Wilkommen Im Tokio Hotel ***
Capitolo 4: *** See Who I Am ***
Capitolo 5: *** Just A Mere Mirror ***
Capitolo 6: *** His Girls ***
Capitolo 7: *** Beyond The Door ***
Capitolo 8: *** One Step Closer ***
Capitolo 9: *** Deep, Silent, Complete ***
Capitolo 10: *** You And I, And Some Public Intimacy ***
Capitolo 11: *** A Couple Of Unconventional Exchanges ***
Capitolo 12: *** As We Lie Here ***
Capitolo 13: *** Unsecret Secret ***
Capitolo 14: *** Crashing & Burning ***
Capitolo 15: *** Feel For You ***
Capitolo 16: *** By Your Side ***
Capitolo 17: *** Shoot Me Again ***
Capitolo 18: *** This Moment Is Eternity ***
Capitolo 19: *** A Night Like This ***
Capitolo 20: *** Home Is Where The Heart Is ***
Capitolo 21: *** Trust ***
Capitolo 22: *** Such A Beautiful Lie ***
Capitolo 23: *** What Lies Beneath ***
Capitolo 24: *** Please, Let Me Get What I Want This Time ***
Capitolo 25: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Sex ***


Nota dell'Autrice: questa storia è frutto della mia fervida immaginazione e non ha alcuna pretesa di rispecchiare la realtà, quanto piuttosto di rivisitare persone ed eventi reali senza alcuno scopo di lucro. La storia ha un rating arancione per via di un ricorrente uso di parole non esattamente eleganti e futura trattazione di temi di un certo tipo. È il seguito ufficiale dell’ormai conclusa Lullaby For Emily, anche se all’inizio può non sembrarlo, ma avrete modo con lo svilupparsi della storia di capire meglio. Può essere tranquillamente letta per conto proprio, anche se non avete seguito Lullaby, perché anche se riprende da dove avevamo lasciato, è una storia tutta nuova (non so se mi sono spiegata ^^). Per ora vi auguro buona lettura. ;)
A proposito, per tutti coloro che volessero avere un'idea di come la sottoscritta ha concepito l'immagine della protagonista, ve la presento: ecco a voi Vibeke. Per gli altri che vorranno immaginarla personalmente, meglio ancora. ;)

 

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I wish I could sit here all alone
Thinking this is okay
Don't need anybody tonight
Just complete silence and the candle light
And I'd drink my coffee, wouldn't worry at all
I would feel fine, like I always do
I would be smiling, laughing too
Don't need anybody, least of all you
And then I would convince myself it's true

 

(It’s True, Lene Marlin)

 

 

***

 

 

“Vaffanculo!” strepitò, tirando calci furiosi all’auto con la punta dei pesanti anfibi. “Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo!”

Le era successo altre volte che la sua vecchia Golf la piantasse in asso a decine di chilometri da casa, ma era la prima volta che le capitava sotto una pioggia così maledettamente insistente. Non era ancora un acquazzone, ma nemmeno pioggerellina, e per di più era l’una del mattino inoltrata, in una strada scarsamente frequentata, dove in ogni caso non bazzicavano altro che vip e ricconi snob.

Avrebbe maledetto a vita quell’idiota di suo fratello Bjørn – BJ, per lei – per averla invitata (costretta) a quella disgustosa festa tutta modelle e sbruffoni palestrati. Si sentiva ancora il rumore pulsante della musica provenire da diversi piani sopra la sua testa – e da appartamenti diversi – e, vista la mole di alcolici che aveva ingerito per aiutarsi a sopportare almeno un paio d’ore di quella noia indecente, la sua testa percepiva il tutto amplificato di diverse migliaia di volte.

Oltretutto stava congelando.

Il vestito di pizzo e cotone le aderiva zuppo al corpo e stava cominciando ad entrarle l’acqua nelle scarpe, pur nonostante la suola e i tacchi fossero decisamente alti. Era gennaio, e anche se la temperatura era non era particolarmente bassa e a lei il freddo comunque piaceva, mezza ubriaca com’era, aveva solo voglia di arrivare a casa, buttarsi sotto alla doccia e magari rimettere qualcuna delle schifezze che si era obbligata a mangiare per reggere tutti quei Martini, a loro volta scolati per reggere i simpaticissimi presenti.

Forse, in fin dei conti, era un bene che la Golf fosse in panne, non era il caso che si mettesse al volante in quello stato. Avrebbe potuto chiedere un passaggio a BJ, ma ciò avrebbe significato ritornare in quella gabbia di matti ed aspettare fino all’alba prima che lui si decidesse a scollarsi dal party.

Era fuori discussione.

Non voleva certo sottoporsi ad un incubo simile, anche al costo di farsi venti chilometri a piedi.

Certo, l’indomani mattina avrebbe avuto un importante colloquio di lavoro (anche se prettamente simbolico, visto che era praticamente già stata assunta) e presentarsi in stato comatoso ai suoi futuri principali sarebbe stato azzardato, ma non aveva alternativa: o si metteva d’impegno per essere a casa a piedi in un paio d’ore (salvo imprevisti), oppure aspettava che Sua Graziosissima Maestà Bjørn Jesper Wolner si degnasse di ricordarsi di avere una sciagurata sorella allergica alle volgari festicciole da vip. Avere per fratello uno dei più famosi DJ di Amburgo poteva essere terribilmente oneroso, certe volte, e lo era particolarmente quando interferiva con la vita di Vibeke, nello specifico, quando le impediva di farsi una dormita decente in vista di un evento importante come quello che la attendeva.

Ok, non mi sono esattamente fatta un mazzo così per ottenere quel posto, rifletté, interrompendo per un attimo le percosse al paraurti, ed ero in debito con BJ per avermi gentilmente raccomandata e così tolta dall’abisso nero della disoccupazione, ma trascinarmi in quella sottospecie di orgia della techno music è stato veramente crudele.

Era esausta.

Si controllò nel riflesso del finestrino: il suo viso latteo era rigato da rivoli di kajal sciolto e gli occhi erano rossi e gonfi, per non parlare dei capelli, che si appiccicavano alle guance e alla fronte, fradici d’acqua.

Uno starnuto la costrinse a distogliere lo sguardo, facendola piegare su se stessa, le tempie pulsanti e doloranti. Le veniva anche un po’ da vomitare.

Non mi posso ammalare. Assolutamente vietato. È solo la bevuta, nient’altro. Deve per forza essere solo la bevuta.

Una coppia starnazzante uscì dal palazzo a passo decisamente brillo, ondeggiando di qua e di là mentre scendevano i pochi gradini tra un bacio e l’altro, toccandosi ovunque.

Li guardò con disgusto, e loro ricambiarono senza problemi, facendo commenti a voce alta sul suo trucco sciolto e le sue calze smagliate (peraltro volutamente).

Lei li mandò a quel paese e sferrò l’ennesimo calcio alla macchina, incavolata nera.

Vibeke V. Wolner, nata nella ridente cittadina di Stavanger, Norvegia, ed attualmente residente ad Amburgo con il proprio fratello gemello, non era una ragazza comune, per tre semplici motivi fondamentali: primo, la genetica le aveva giocato uno strano scherzo, facendola nascere con un paio di peculiarità anatomiche, tra cui un cuore che le batteva a destra anziché a sinistra e gli occhi di due colori diversi, uno grigio e uno verde; secondo, il suo look era caratterizzato da uno stile gotico decisamente estremo, un look che prevedeva un nero quasi totale e quintali di borchie ed argento che ai benpensanti andavano facilmente di traverso. Il terzo ed ultimo motivo era, incredibile ma vero, il più fastidioso per la gente: mancava quasi totalmente di fiducia verso il prossimo, e di conseguenza il suo atteggiamento era quasi sempre freddo e scontroso, cosa che dava sui nervi a chiunque al di fuori di BJ, che la sopportava da sempre ed era quindi ormai assuefatto al suo cinismo, e di Rogue, un approssimativo modello di gatto, bianco, grasso e tozzo, che possedeva le due sole, elementari funzioni di dormire e richiedere cibo, ma che lei amava al di sopra di chiunque altro.

Aveva tantissimi conoscenti, molti dei quali la trovavano una ragazza sveglia e ironica, anche se decisamente originale, ma pochissimi amici: uno di questi, il suo migliore amico di sempre, era il gemello BJ, con cui condivideva praticamente tutto, compresi la bicromia degli occhi e i folti capelli biondi, che erano il vanto di lui e la vergogna di lei. Erano ormai quasi undici anni, infatti, che Vibeke aveva tinto la propria chioma di nero, aggiungendovi poco dopo qualche irriverente striatura bianca.

Tutto poteva dirsi di lei, tranne che fosse ansiosa di integrarsi alla massa.

Sospirò, rinunciando definitivamente al massacro dell’auto. A questo punto non aveva scelta: doveva tornare a casa a piedi.

Raccolse la propria borsa da terra e se la buttò su una spalla, in un tintinnio sommesso di cinghie di metallo, poi cercò di fare mente locale sulla direzione da cui era arrivata. Si guardò intorno: una fila di alberi e lampioni dalla luce giallastra da una parte, fila di alberi e lampioni dalla luce giallastra dall’altra, macchine di lusso parcheggiate su entrambi i lati.

Grandioso.

Si portò una mano alla fronte, la testa che le stava per scoppiare.

BJ, questa me la paghi!

Riuscì a muovere appena un paio di passi, senza neppure curarsi di dove stesse andando, ma dopo pochi metri si dovette fermare ed appoggiare ad una delle auto parcheggiate lungo il marciapiede, in preda alle vertigini. La sbornia stava facendosi seria.

Altroché se me la paghi, fratellino.

“Hey, tu, giù le mani dalla mia macchina!” esclamò la voce alterata di un ragazzo.

Vibeke si voltò e vide una figura alta ed imponente dirigersi verso di lei, stagliandosi scura contro la luce del lampione che aveva alle spalle.

Man mano che lui si avvicinava, diventava sempre più chiaro che anche lui doveva aver bevuto parecchio, perché la sua andatura era lenta ed instabile. Fu solo quando lui entrò nel cono di luce del lampione successivo che lei capì che non era l’energumeno che era sembrato all’inizio: era sicuramente alto, ma la stazza era un inganno dei vestiti e della notevole massa di capelli.

“Non te la rovino mica,” blaterò Vibeke, la mente un po’ annebbiata. “Mi ci sono solo appoggiata un attimo.”

Lui le venne di fronte, permettendole così di poter approssimativamente mettere a fuoco il suo viso.

Era bello – sorprendentemente bello, in effetti – con dei lineamenti dolci e morbidi, quasi femminili, e due occhi nocciola che toglievano il respiro. A coronare il tutto, un atteggiamento spavaldo e sicuro di sé che denotava un autocompiacimento traboccante, anche se forse – forse – giustificato.

Vibeke decise subito che non le piaceva. Per niente.

“Le macchine come questa si rovinano solo a guardarle,” berciò lui, piantandosi davanti a lei arcigno. “Quindi levati dai piedi, devo salire.”

Il suo alito sapeva di alcol, segno definitivo che aveva bevuto, e anche parecchio.

“La mamma non te l’ha detto che non si guida in stato di ebbrezza?” gli fece. “Fai male a te stesso e agli altri.”

Lui tentò di scansarla e spingerla da parte, ma lei si artigliò alla maniglia della portiera.

“Senti carina, sono quasi le due, domani ho una levataccia all’alba e una giornata infernale, quindi, scusami, ma ti devi proprio togliere dai coglioni.”

Era anche più arrogante di quel che si fosse immaginata. Cosa credeva, di avere una vita solo lui?

“Allora?” insisté lo sbruffone, in tono impaziente, ma lei non si spostò di una virgola, nemmeno quando lui la prese praticamente in braccio per spostarla.

“Sei una ragazzina dannatamente cocciuta!” ringhiò il ragazzo, mentre lei non ne voleva sapere di mollare la maniglia. La stava stringendo così forte che quasi non la faceva respirare.

L’aveva chiamata ‘ragazzina’. Lui, che doveva avere ad occhio e croce non più di diciotto anni, dava a lei, ventitre anni da compiere a breve, della ‘ragazzina’.

Normalmente Vibeke non si sarebbe nemmeno data la pena di rivolgergli la parola, ma i vari Martini avevano inibito la sua solita insofferenza verso le persone, sguinzagliando così la sua meno esibita indole provocativa.

“Non ti lascio andare a seminare dolore e morte per le strade,” farfugliò lei, con una parte del suo cervello, rimasta miracolosamente sobria, che le dava dell’emerita cretina. “Io sono brava e responsabile e non guido, quindi te ne resti a piedi pure tu!”

Il ragazzo, che ancora la teneva stretta tra le proprie braccia, esili ma incredibilmente forti, strattonandola, assunse un’espressione feroce e contrariata.

“Va bene, non guido,” sibilò a denti stretti. “Ma tu molla la mia portiera.”

Bastò mezzo secondo di esitazione da parte di Vibeke perché lui ne approfittasse per scardinarla dalla sua posizione e spingerla di lato, affrettandosi ad aprire l’auto e tentare di fiondarcisi dentro. Ma lei, con un rapido scatto, riuscì a recuperarlo prima che lui potesse chiudersi dentro, finendogli distesa addosso dentro l’abitacolo.

Il ragazzo lottò, e lei anche, accapigliandosi come due gatti arrabbiati.

“Ma che cazzo vuoi da me, strega?” grugnì lui, quando riuscì a rialzarsi un po’, bloccandole i polsi a pochi centimetri dal proprio viso.

Vibeke rise isterica, ritrovatasi a cavalcioni su di lui in una posa più che compromettente.

“Prima volevo impedirti di uccidere qualcuno. Adesso voglio solo darti fastidio, perché mi stai antipatico.”

Erano entrambi fradici di pioggia e completamente sbronzi, semi sdraiati l’uno sull’altra dentro una macchina. Lui doveva addirittura sentirsi particolarmente scomodo, dato che la sua schiena poggiava su due diversi sedili, ma la sua espressione mutò rapidamente mentre lei si sentiva trascinare giù, verso di lui.

Provava un’avversione istintiva verso questo presunto figlio di papà con una macchina da milionari e l’atteggiamento da padrone del mondo, ma i suoi occhi erano così magnetici da impedirle di dar retta all’impulso di opporsi, e infatti, con un ultimo strattone decisivo, lui se la accostò al viso e la baciò.

“Che cazzo stai facendo?” mormorò lei, assecondandolo senza una volontà precisa.

Lo sentì sorridere, le labbra ancora impegnate con le sue.

“Se non vuoi che me ne vada a casa, almeno degnati di offrimi un intrattenimento alternativo.”

La sua voce si era fatta roca, sensuale. Non sembrava più quella di un ragazzino, ma di un uomo, un uomo molto sicuro di sé.

E che bacia da dio…

La parte sobria del cervello di Vibeke, intanto, si stava rimpicciolendo sempre di più, obliata dagli effetti che la lingua del ragazzo stava avendo su di lei.

“Cos’è quest’odore acre?” le domandò lui ad un tratto, vagamente più lucido.

Lei non capì subito di cosa stesse parlando, ma poi avvertì anche lei quell’odore pungente e lo connesse subito all’inchiostro.

Aveva rimosso di avere la sua preziosa stilografica nel taschino della giacca che aveva addosso.

“Cazzo!” imprecò, notando che l’inchiostro era fuoriuscito ed aveva macchiato sia lei che lui su tutto il petto.

Merda, ho rovinato la sua felpa da migliaia di euro!

Chissà quando e se sarebbe andato via. E, soprattutto, chissà se gliel’avrebbe fatta pagare.

“Perché cazzo te ne vai in giro con una stilografica in tasca?” le chiese il ragazzo, ma senza troppo interesse, sfilandosi rapidamente felpa e maglietta in un colpo solo. Nel buio, Vibeke vide che la sua pelle chiara era chiazzata di inchiostro blu, così come il proprio decolleté, ma a lui non sembrava importare. Doveva essere talmente bevuto da essersene a stento accorto.

“È una lunga storia,” rispose, le labbra gonfie e bollenti. “Vedi, è che questa penna per me rappresenta una parte fondamentale della mia vita, anche se –”

“Chiudi il becco.” Le intimò lui, catturando nuovamente le sue labbra.

Riprese a baciarla, con più foga, levandole la giacca quasi bruscamente.

Per Vibeke fu impossibile non avvertire una certa e ben nota pressione tra le proprie gambe, e non poteva negare che la cosa la stimolasse non poco.

Non era una che soffriva di solitudine – anzi, cercava spesso e volentieri l’isolamento totale – e di ragazzi fissi non ne aveva mai avuti, quindi l’idea di un’avventura di una notte non le dava particolari pensieri, purché adeguatamente gestita. Era squallido votarsi al sesso occasionale, ma non era quello il suo caso. Era più corretto dire che le piaceva approfittare delle buone occasioni, quando si presentavano, e quella sembrava un’ottima occasione. Non sapeva chi fosse, né come si chiamasse, ma era meglio così.

Ma sì, perché no?, si disse, abbandonata quasi totalmente dalla ragione, sfiorando con la lingua il metallo del piercing del ragazzo, le cui mani avevano cominciato a trafficare con i lacci del suo corsetto, disfacendoli con un’abilità che nemmeno lei stessa possedeva, dopo anni che aveva a che fare con quella roba. E mentre il suo corsetto finiva gettato chissà dove per lasciare via libera ad un paio di grandi mani esperte, Vibeke non poté fare a meno di pensare che forse la serata non era stata un disastro proprio completo.

Tanto chi lo rivedrà mai più?

 

 

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Note: Eccoci qui, in seguito a svariate minacce, ricatti e coercizioni vari, mi trovo costretta a postare prima del tempo questa nuova storia, con la speranza che sarà accolta con lo stesso entusiasmo della precedente. ^^ Come avrete visto, questo capitolo è relativamente breve. Trattandosi di un’introduzione alla storia, ho preferito che fosse così, ma i prossimi saranno più lunghi. Come avevo già annunciato alla fine di Lullaby, il titolo di questa nuova storia è tratto da una canzone dei Within Temptation (ascoltateli, non smetterò mai di consigliarveli, ne vale assolutamente la pena) e ha un significato ben preciso, che la storia svelerà, più avanti. Ultima noticina: il nome della ragazza, Vibeke, è stato preso in prestito dalla cara Lady Vibeke, che mi ha gentilmente concesso di usarlo per questo personaggio (ma che, sia chiaro, nulla ha a che spartire con la Lady, né come aspetto, né come carattere, nè il altri sensi), visto che è un nome che sembra fatto apposta per lei. ^^

Ringrazio anticipatamente chiunque abbia letto fin qui e, in particolare, chi recensirà (lo ripeto sempre, ma mai abbastanza: i commenti, soprattutto quelli costruttivi - positivi o negativi che siano - sono sempre molto ben accetti ed importanti). Siete stati un pubblico fantastico per Lullaby, spero lo sarete altrettanto per questa mia nuova creatura. ^^

Al prossimo capitolo!

P.S. grazie alle mie pusher personali di citazioni musicali da inserire nelle storie, questa in particolare, ossia Lady Vibeke e CowgirlSara, che hanno sempre l'orecchio pronto a cogliere i parallelismi tra quello che ascoltano e quello che io scrivo. Preciso che la maggior parte delle citazioni sono state scovate dal mio umile cervellino, quindi qualcosa da sola la so fare, ma grazie comunque!

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Capitolo 2
*** Hot Stuff ***


Aprire gli occhi al risveglio era stato una croce insopportabile per Vibeke sin dai tempi dell’asilo, quando sua madre era costretta a strapparle le lenzuola di dosso per riuscire a farla alzare, ma stavolta era certa di aver raggiunto il livello di sforzo massimo sopportabile.

L’antica concezione di ‘emicrania letale’ che aveva conosciuto finora impallidì drasticamente in presenza di quel dolore lancinante che le stava perforando il cranio con la crudele intensità di mille trapani martellanti. Non aveva idea di dove si trovasse né di cosa fosse successo, ma una cosa era certa: non era in camera sua.

Si trovava sul sedile posteriore di un’auto – la più grande e spaziosa che avesse mai visto – completamente nuda ed altrettanto confusa. Cercò di tirarsi su a sedere, ma qualcosa la bloccava. Guardò allora in basso, strizzando gli occhi per cercare di mettere a fuoco l’immagine nel buio, e le ci volle una discreta dose di autocontrollo per riuscire a trattenersi dall’urlare inorridita: sdraiato assieme a lei, un braccio che le circondava la vita, c’era un ignoto ragazzo, nudo quanto lei, profondamente addormentato, il viso nascosto nell’ombra.

Porca puttana!, imprecò mentalmente, fissandolo senza riuscire a ricordare chi fosse e cosa diavolo ci avesse fatto.

Sul cosa, a dire la verità, non era poi così complicato farsi un’idea: vestiti sparsi ovunque, l’involucro aperto di un preservativo, un ragazzo ed una ragazza nudi in un’auto… Già uno solo di quei particolari inneggiava alla parola ‘sesso’, figurarsi tutti e tre insieme.

Il problema era: chi era lo sconosciuto?

Sicuramente uno che sapeva il fatto suo, perché, anche se di fisico non sembrava affatto prestante, era comunque riuscito a sfinirla, e non era un evento da tutti i giorni.

Vibeke notò che l’anonimo aveva una vistosa macchia blu sul petto, e ben presto si accorse di averne una anche lei. Le venne in mente qualcosa che aveva a che fare con la sua stilografica, ma il tutto si esauriva lì.

Senza fermarsi a riflettere troppo, prese a raccattare i propri vestiti ancora bagnati qua e là, infilandoseli alla meno peggio, la testa ridotta ad un mucchietto dolorante di neuroni acciaccati. Non riuscì a trovare le mutandine, ma preferì non perderci troppo tempo, voleva uscire di lì al più presto.

L’orologio del display sul cruscotto segnava le sei e un quarto, il che significava che aveva meno di tre ore per filare dritta a casa, farsi una doccia, ingurgitare una dose massiccia di caffè e analgesici, ed infine precipitarsi al colloquio all’orario prestabilito.

Rinunciò a mettersi il corsetto per via delle complicate manovre di contorsione che richiedevano i lacci: non aveva né tempo né spazio per allacciarlo, quindi optò per la cosa più semplice, ossia infilarselo sotto un braccio assieme alla borsa e, allacciata per bene la giacca, facendo attenzione a non svegliare il suo misterioso partner di quell’avventura di una notte, si avvicinò alla portiera. Stava già per tirare la maniglia, quando ebbe un piccolo ripensamento: odiava quando gli uomini sgattaiolavano via come dei ladri, la mattina dopo, e non voleva fare lo stesso. Prese allora un pezzo di carta dalla propria borsa, un vecchio scontrino di un bar, e recuperò la propria stilografica dal taschino della giacca. Scriveva ancora, ne era certa, non era la prima volta che perdeva fiumi di inchiostro, e non riportava mai danni.

Rimase un attimo a pensare che cosa lasciare scritto, ma proprio in quel momento sentì distintamente la risata fragorosa di BJ, proveniente da un punto molto vicino.

Oh, al diavolo!

‘Grazie della botta di vita,’ scribacchiò frettolosamente. ‘Se trovi le mie mutandine, puoi appendertele alla bacheca della cucina come ricordo o trofeo, ma non le buttare, sarebbe un peccato, visto quello che mi sono costate. V.’

Mollò il messaggio sul cruscotto ed uscì alla svelta dalla macchina, richiudendo silenziosamente la portiera. Fuori faceva più freddo del previsto.

Si strinse addosso i pochi indumenti che portava e in un lampo individuò BJ, intento a pomiciare con una rossa contro il proprio SUV, un Pathfinder nuovo di zecca che gli era costato una fortuna, ma lui era ricco e poteva permetterselo.

“BJ, scarica l’arpia e portami a casa.” Bofonchiò stancamente, facendoli trasalire.

La rossa le rivolse uno sguardo astioso, sollevando schifata quel suo odioso nasino a punta.

“Tesoro, trovati un ragazzo tutto tuo.”

Per Vibeke, che già di suo aveva scarse nozioni riguardo ciò che i comuni mortali usavano definire ‘pazienza’, fu veramente troppo.

“‘Tesoro’ lo dici a tua sorella,” sbottò, afferrandola per una spalla e scucendola di dosso a BJ come un cerotto. “Io me ne voglio andare a casa, e questo bel biondo adesso mi ci porta, che tu lo voglia o no, sciacquetta che non sei altro!”

La ragazza guardò BJ, come aspettandosi che lui facesse qualcosa, ma questi si limitò ad alzare le spalle e sorridere, causandole una crisi di nervi immediata.

Il lato più incredibile di BJ era quello: se una era abbastanza stupida da cadergli ai piedi in trenta secondi come un’allocca, allora non meritava di essere trattata con alcun rispetto, perché comunque le ragazze così superficiali valevano solo qualche ora di divertimento, e nient’altro.

Secondo Vibeke, faceva in fretta a parlare, lui, con i suoi plotoni di fan arrapate che sembravano vivere con il solo scopo di compiacerlo, ammaliate della sua lunga coda bionda e da quegli occhi particolari, identici a quelli di Vibeke stessa, che però su di lui sembravano brillare di una luce più intensa, o forse era solo perché il suo ego era tale da traboccare addirittura dai suoi bulbi oculari.

“Ciao, sorellina,” le disse gioviale appena la rossa sparì dalla vista, fresco come una rosa, come appena reduce da un rilassante riposino. “Hai un aspetto atroce.”

“Sì, sì, grazie,” sbottò lei, cominciando a perquisirlo alla ricerca delle chiavi del SUV. “Adesso andiamo a casa.”

“La vecchia Golf fa di nuovo i capricci?” indagò lui, facendo comparire le chiavi dal nulla, o così parve a lei.

“Non collabora nemmeno coi calci,” blaterò Vibeke, mentre lo spingeva verso la portiera del guidatore e lo obbligava ad aprire. “Quindi adesso basta domande, devo essere in città per le nove ed avere l’aspetto di una che valga la pena di assumere.”

BJ la assecondò: la fece salire e poi si mise al volante, estraendo qualcosa dal portaoggetti.

“Test dell’alcol.” Annunciò eccitato, portandosi il misuratore alla bocca, quasi fosse stato il guidatore più coscienzioso e scrupoloso del mondo. Per lui era un divertimento testare i propri livelli d’alcol, perché lo smaltiva così in fretta da non riuscire quasi ad ubriacarsi, e questo per lei era frustrante, soprattutto adesso che aveva tanta fretta di rientrare.

“Bene, tutto a posto,” annunciò lui. Fece riporre a Vibeke l’oggetto e mise in moto soddisfatto. “Una curiosità,” le domandò, uscendo dal parcheggio. “Ti ho vista sgattaiolare via verso l’una e mezza, dove cazzo sei stata fino ad ora?”

Vibeke si portò le mani sul viso e si costrinse a non ucciderlo, almeno non finché non fossero stati nel garage.

“Taci e guida!” gli intimò, poi allungò una mano verso il lettore cd e lo accese. Non le importava del mal di testa dilagante, un po’ di Depeche Mode le avrebbero fatto bene.

‘And do you feel it? I said: do you feel it when you touch me?’

Le avrebbe fatto bene anche ascoltare una canzone a sfondo sessuale come ‘Dirt’?

‘Do you feel it when you touch me? I'm a fire…’

No, decisamente no.

 

***

 

Se il destino era solito mandare segni alle persone ogniqualvolta aveva in serbo per loro una giornata storta, allora Vibeke riteneva che con lei stesse facendo un gioco piuttosto esplicito.

Aveva capito che qualcosa non andava quando, appena messo piede in casa, la luce non aveva voluto saperne di accendersi, e le conferme si erano susseguite una dopo l’altra, prima con l’acqua calda esaurita, poi con Rogue placidamente addormentato sul vestito che avrebbe dovuto indossare al colloquio, ormai imbrattato di lunghi peli bianchi che non aveva il tempo di stare a togliere, ed infine con quel maledetto egoista di BJ che si era rifiutato di prestarle l’auto per andare in città. Conclusione: dopo una doccia gelata, si era dovuta infilare il primo paio di pantaloni che aveva trovato nell’armadio e la camicia più sobria che avesse, alla quale mancavano però diversi bottoni nella parte superiore, poi aveva trangugiato mezza mela e un litro di caffè corredato da pasticche varie, e infine si era precipitata giù in strada per le sette e mezza (ergo, con un’ora di anticipo rispetto al previsto), pregando che ci fosse qualche autobus in orario.

Speranza vana.

L’unica nota positiva era che i postumi della bevuta erano scemati piuttosto rapidamente rispetto al solito: restava solo un leggerissimo mal di testa, e nient’altro.

Dopo aver aspettato quasi un’ora sotto alla pensilina, con una pioggia torrenziale che cadeva tutt’intorno, alla fine era riuscita a prendere quello delle otto e venti ed arrivare a destinazione con ben tre miracolosi minuti di anticipo.

Vibeke era nella hall dell’elegante edificio che ospitava la sede locale degli uffici della Universal e si guardava intorno senza troppa curiosità: quattro pareti di un bianco spento, enormi vetrate che davano sull’esterno, porte e serramenti in metallo, arredamento vagamente hi-tech e un paio di piante dalle larghe foglie smeraldine poste ai lati del bancone della reception, da dietro al quale la segretaria la stava controllando sospettosa.

Detestava starsene lì a ciondolare senza scopo, ma aveva appuntamento con un certo Ebel, amico di vecchia data di suo fratello, l’uomo che avrebbe dovuto assumerla a tutti gli effetti.

Per ingannare il tempo, Vibeke passeggiò avanti e indietro, intenta ad esaminare una lunga serie di quadri contenenti dischi firmati da artisti, molti dei quali le erano del tutto ignoti. Chissà quale tra di essi le sarebbe capitato.

“Un mio amico sta cercando qualcuno che ci capisca qualcosa di luci e roba simile,” le aveva detto BJ, circa un mese prima. “Segue un gruppo, qualcosa così… Se ti interessa, gli mando il tuo curriculum.”

E così il curriculum – con allegata la fondamentale raccomandazione di BJ – aveva fatto il suo dovere, e Vibeke aveva ottenuto un appuntamento con Ebel, per conoscere i suoi probabili datori di lavoro. Si sarebbero dovuti incontrare a momenti.

Si strinse la sciarpa nera attorno al collo, assicurandosi che non lasciasse scoperti lembi di pelle. Non era riuscita a togliere l’inchiostro, se non in minima parte, e se qualcuno l’avesse vista, ci sarebbero state domande troppo imbarazzanti a cui rispondere.

Si sentì il rumore delle porte dell’ascensore che si aprivano e una giovane voce maschile distrasse Vibeke dalle proprie riflessioni:

“Scusa se ti ho fatta aspettare.”

Si voltò: verso di lei camminava un ragazzo che non dimostrava nemmeno trent’anni, la camicia bianca che ricadeva con distratta eleganza sui jeans firmati, il passo lento e sicuro, quasi felino, ed era dannatamente affascinante. Le ricordò molto BJ, per certi versi: alto, magro, biondo, con due penetranti occhi azzurri che, ne era certa, mietevano vittime su vittime ogni santo giorno.

Non aveva affatto l’aspetto stressato e cupo del tipico manager stereotipato; sembrava piuttosto appena uscito da qualche set fotografico, o emerso dalle pagine patinate di una rivista di moda.

Praticamente un succulento banchetto per la sua libido ottica.

Da quando in qua i manager sono belli, giovani e sexy?, si chiese, divorandoselo con gli occhi mentre le veniva incontro sorridente. Se oggi li fanno così, ne voglio assolutamente uno!

“Tu devi essere la sorella di BJ,” le disse il ragazzo con voce suadente. “Vibeke, giusto?”

“Sì,” farfugliò lei, stringendogli la mano, supplicando la propria salivazione di contenersi. “Sono io.”

“Benjamin Ebel, abbiamo parlato al telefono qualche giorno fa.”

La conversazione non ti ha reso giustizia, Benjamin, rifletté lei, ammirando il celeste intenso dei suoi occhi. Era tutt’altro che bassa, ma doveva piegare la testa verso l’alto per guardarlo in faccia.

“Oh, sì,” annuì. “Ti avevo immaginato più vecchio.”

E meno gnocco.

Lui la osservò attentamente per un momento.

“Però, si direbbe che tu sia una tosta,” commentò, ammiccando. “Forse è proprio quello che ci vuole per noi.”

Vibeke scelse di interpretarlo come un complimento, anche se, a sentirlo parlare così, sembrava che cercasse un cane da guardia, più che un tecnico delle luci.

Benjamin estrasse una specie di tesserino munito di laccio dal taschino della camicia e glielo porse.

“Tieni, questo ti servirà per circolare qui dentro indisturbata.” Le spiegò.

Il piccolo badge conteneva i dati di Vibeke ed aveva un rettangolino bianco ancora vuoto, destinato alla fotografia. Se lo mise al collo.

“Allora,” Benjamin le appoggiò una mano sulla schiena, guidandola verso l’ascensore. “Sarai ansiosa di conoscere il resto della ‘famiglia’…”

“Naturalmente.” Rispose lei, anche se dubitava di essere riuscita a metterci un minimo di credibilità. Il bel Benjamin, però, non parve farci caso e sfoderò l’ennesimo sorriso casualmente sensuale, guidandola verso l’ascensore.

“I ragazzi sono di sopra che ci aspettano,” le spiegò, mentre l’ascensore prendeva a salire. “Ciascun membro dello staff deve avere la loro approvazione per essere assunto, ma non ti preoccupare, so già che ti troveranno strepitosa.”

La sua assunzione dipendeva dai capricci di una manciata di ragazzini viziati a cui con ogni probabilità sarebbe apparsa come la figlia illegittima di Robert Smith – sempre ammesso che avessero la più pallida idea di chi cavolo fosse Robert Smith. Che bella notizia.

Vibeke dissimulò una risatina sarcastica con un paio di colpetti di tosse.

Se lo dici tu…

Arrivati al quinto piano, Benjamin le fece strada attraverso un corridoio illuminato al neon, in fondo al quale si trovava una porta socchiusa, da cui provenivano delle voci. La stanza doveva essere occupata da dei ragazzi.

“Eccoci qui,” disse Benjamin, avvicinandosi alla porta. “Immagino che BJ ti abbia rivelato il nome del gruppo di cui mi occupo…”

‘No’, stava per rispondere lei, ma era già tardi: la porta era aperta e di fronte a lei si trovavano quattro tipi noti: uno, che portava una voluminosa massa di rasta, se ne stava davanti alla finestra sul lato opposto della piccola stanza, con delle grosse cuffie alle orecchie, muovendo la testa su e giù, le spalle rivolte – molto educatamente – a tutti gli altri; davanti al tavolo, una lattina di coca cola in mano, c’era una sottospecie di pertica chilometrica monodimensionale con un’acconciatura degna di Siouxsie e una discreta attitudine da diva, mentre il piccolo divano bianco era occupato dalla restante metà della band.

Non era certa che li avrebbe saputi riconoscere, se li avesse visti uno per uno, separatamente, ma sapeva perfettamente chi fossero quei quattro ragazzi – quel gruppo. Il loro nome era ormai diventato un sinonimo ufficiale di ‘successo’ e di svariati altri termini su quella lunghezza d’onda.

Se volevi dire ‘gruppo famoso, fenomenale e pluripremiato campione di vendite mondiali’, nel duemilanove non c’era più bisogno di espressioni complicate, bastava dire ‘Tokio Hotel’.

“Vibeke,” le annunciò Benjamin, con la medesima espressione di un padre orgoglioso che presenta i propri figli. “Ti presento i Tokio Hotel. Ragazzi, lei è il tecnico delle luci di cui vi ho parlato.”

Lei cercò di dimostrarsi cortese, entro i limiti delle sue possibilità.

Li conosceva di vista – e chi non li conosceva? Ormai le loro facce erano più note di quelle del papa e del presidente degli Stati Uniti messe insieme – ma non aveva idea di quali fossero i loro nomi. Sapeva solo che il tizio con i rasta e la diva (che aveva le mani affondate dentro una borsa alquanto improbabile, almeno per un ragazzo) erano gemelli, che il biondo immusonito stava alla batteria (e, a guardargli i bicipiti, si vedeva), e che il marcantonio con gli occhi verdi e la coda avrebbe potuto sbattersela contro un muro in qualunque momento.

“Ehm… Salve.” Li salutò con un cenno esitante della mano.

La diva le sorrise – aveva un bel sorriso, che le era stranamente familiare – e le strinse la mano.

“Bill, piacere.”

Vibeke ricambiò la stretta perplessa. Quello sguardo, quell’espressione, quel tono di voce… Le sembrava di averlo già visto, ma dove?

Insomma, ovvio che l’avesse già visto, le foto sue e dei suoi comari erano su ogni dannatissimo giornale in cui si potesse incappare, per non parlare della tv, ma aveva la netta sensazione di averlo già incontrato prima.

No, impossibile, si disse decisa. La sua mente le stava giocando un brutto scherzo a causa della stanchezza e dei postumi. E poi aveva un modo di fare fin troppo raffinato, che non collimava con nessun ragazzo che ricordasse di aver mai conosciuto.

Bill la osservò incuriosito per diversi istanti, soffermandosi in particolare sulla testa.

“Non ti azzardare a pensare che ti ho copiato, ragazzino,” abbaiò Vibeke, notandolo. “I miei capelli sono così da quando avevo dodici anni e tu all’epoca ancora poppavi dal biberon.”

Lui sobbalzò e si ritrasse intimidito, gli occhi spalancati dallo stupore.

“Mamma mia, che caratterino.” Esclamò poi, apparentemente divertito.

A quel punto anche i due sul divano si alzarono e si fecero avanti.

“Gustav.” Si presentò il primo, quello che aveva subito riconosciuto come il batterista.

Vibeke pensò ‘Sposami!’ prima ancora di aver registrato il suo nome. Era semplice – forse il più semplice dei quattro – ma aveva degli occhi scuri letali per l’equilibrio neurologico e un sorriso timido e un po’ impacciato che non faceva che peggiorare esponenzialmente la situazione.

Era il tipo di ragazzo di cui avrebbe voluto innamorarsi perdutamente, ma che, ne era certa, non avrebbe mai potuto innamorarsi di una come lei, né vice versa.

Dopo che si furono stretti la mano, Gustav si fece da parte e lasciò posto all’amico.

“Georg.” Disse questi, con una voce profonda che ben si accompagnava al suo aspetto. Era il tipico tedesco: lineamenti mascolini e decisi, lunghi capelli, lisci e chiari, occhi di un verde incredibilmente verde. E bello. Molto bello.

Dannatamente bello.

Anzi, per la verità Vibeke cominciava a capire perché molti maligni gridassero all’operazione commerciale, quando si parlava dei Tokio Hotel: erano ragazzi fin troppo piacenti perché si potesse credere con facilità che fossero finiti insieme per caso o per un colpo di fortuna.

“Hey, Tom,” gridò Benjamin al quarto ragazzo mentre gli si avvicinava per strappargli via le cuffie. “Levati quella roba, cerca di essere un minimo educato.”

“Scusalo,” le disse Gustav. “Stamattina è un po’ fuori fase.”

Quando finalmente il gemello etero si voltò, a Vibeke bastò mezzo secondo per farsi venire un embolo polmonare.

Cazzo!

Era un bel ragazzo – ovviamente – alto, con dei bei lineamenti dolci in netto contrasto con l’espressione presuntuosa, che le rimase subito sullo stomaco. I begli occhi nocciola la studiavano curiosi, un piercing che luccicava sulle labbra ricurve in una specie di ghigno quasi invisibile, ma non fu quello a turbarla.

Non lo avrebbe mai riconosciuto se non fosso stato per la vistosa macchia blu che aveva sul collo e che gli scompariva oltre il bordo della maglietta, ma non c’era dubbio che fosse lui, il ragazzo della macchina, quello da cui si era dileguata in fretta e furia solo una manciata di ore prima.

Ecco perché la diva mi sembrava familiare…

Si rifiutava di crederci: era andata a letto con uno dei suoi datori di lavoro e se n’era andata via quatta quatta come nulla fosse, lasciandogli per giunta quello stupido biglietto, e perfino un paio dei suoi bellissimi slip acquistati a Londra.

Speriamo che almeno sia maggiorenne, si augurò, cercando di ricordare quanti anni avessero quei quattro. Sapeva che erano giovani, ma quanto giovani?

La sua carriera era finita ancora prima di cominciare.

Cazzocazzocazzo!

Nel medesimo istante in cui la sua mente attraversava la fase ‘imprecazioni rozze e volgari’, gli occhi del ragazzo scesero a posarsi sulla sua scollatura. Vibeke fece in tempo a farsi cogliere da un infarto, prima di ricordarsi che la sciarpa tattica copriva strategicamente la chiazza bluastra che non era riuscita a lavare via.

Vide la fronte del ragazzo corrugarsi mentre lui le si avvicinava senza esitazioni, e pregò che non ce l’avesse con lei per quello che era successo.

“Hai un aspetto familiare,” La sua voce le fece venire come un dejà vu, risvegliando qualche ricordo che era convinta di aver rimosso. “Ci siamo già visti da qualche parte?” le domandò circospetto.

A parte ieri sera, quando ci siamo messi a ripassare il Kamasutra nella tua macchina, intendi?, pensò lei sarcastica, stringendogli la mano con disinvoltura.

Lo studiò attentamente, cercando di capire se la stesse prendendo in giro oppure no, ma la perplessità sul suo volto sembrava sincera.

Se recitava, lo faceva molto bene.

A quanto pareva, il piccolo lord aveva davvero rimosso la loro rovente nottata brava, e questo significava due cose: primo: avevano fatto sesso, ma – grazie a Odino, Thor, Freya e tutti i sacri Vani – non lo sapeva; secondo: avrebbe potuto ricordarsene in qualunque momento.

“No, non che mi risulti.” Gli rispose, con la massima nonchalance. Lui sollevò un sopracciglio con aria scettica.

“Come hai detto che ti chiami?”

“In genere si dice il proprio nome, prima di chiedere quello altrui.”

“È davvero necessario che io mi presenti?” domandò lui, vagamente sorpreso. Vibeke lo trovava disgustosamente arrogante: uno che aveva la presunzione che chiunque al mondo conoscesse il proprio nome, non poteva che essere una di quelle atroci creature così traboccanti di autostima da far venire un’ulcera istantanea.

Déi del cielo, perché a me?

“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.

“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”

“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”

“No.” Ribatté lei secca.

“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.

“Non sono fatti tuoi.”

Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.

Lei e i ragazzi chiacchierarono per qualche minuto: le fecero domande su dove avesse studiato e come mai avesse deciso di specializzarsi in quel genere di lavoro, e lei dovette rivelare loro la triste verità: suo fratello aveva avuto bisogno di qualcuno che si occupasse degli effetti luminosi per accompagnare le proprie performance, ma non poteva permettersi di pagare un professionista, così lei aveva frequentato un corso e lo aveva aiutato a sfondare, ma ora che lui lavorava nei grandi locali, c’erano i tecnici fissi che pensavano a tutto, e così lei era rimasta senza impiego.

Durante la conversazione, Vibeke ebbe modo di farsi un’idea dei caratteri dei ragazzi, e se Georg e Gustav le andarono a genio fin da subito, altrettanto in fretta capì di trovare irritante il modo in cui Bill sembrava essere perennemente al centro dell’attenzione e godere di una sorta di favore universale, ma, soprattutto, che lei e Tom non avevano proprio la più scarna speranza di riuscire a convivere pacificamente a meno di dieci chilometri di distanza di sicurezza.

Non era un caso che fossero proprio i due gemelli ad infastidirla di più: pur essendo molto diversi tra loro, erano entrambi portatori non troppo sani di quello che lei definiva il ‘morbo della superiorità’. Tutti e due si comportavano come se chi stava loro attorno fosse appartenente ad un rango inferiore e perciò tenuto a dimostrare riverenza nei loro confronti, con la sola differenza che Bill lo faceva in maniera quasi innocente, mentre Tom ci metteva una buona dose di snervante consapevolezza.

“Bene,” esclamò Benjamin, diversi minuti di chiacchiere dopo. “Direi che Vibeke è assunta, giusto, ragazzi?”

Tre di loro annuirono con veemenza, Tom scrollò le spalle svogliatamente, come se la cosa non lo riguardasse.

Benjamin sorrise e le strinse la mano.

“Ci risentiamo verso marzo, allora.”

Vibeke si fermò, perplessa.

“Marzo?” scandì, pregando di aver compreso male, ma tutti rimasero impassibili.

Come sarebbe a dire marzo? E io fino ad allora cosa faccio, la bella statuina?

“Be’, il tour comincia in quel periodo,” le spiegò Benjamin. “Al momento non ci serve un tecnico delle luci.”

Questa non ci voleva. Era andata lì piena di speranze ed aspettative, e loro cosa le dicevano? Che il lavoro sarebbe cominciato tra tre mesi.

BJ ci avrebbe rimesso il suo organo più vitale per non averla avvertita di quel trascurabile dettaglio.

“Ma io ho bisogno di lavorare adesso!” protestò, pur sapendo che a loro non poteva importare di meno se lei avesse necessità o meno di guadagnare qualcosa.

Tom le gettò un’occhiata di sufficienza.

“Vuoi lavorare per noi e non sai nemmeno come stanno messi i nostri impegni?”

Con quel tono che aveva usato, Vibeke lo avrebbe volentieri strozzato, ma se uccideva uno dei Tokio Hotel, era probabile che non avrebbe lavorato affatto, e non poteva permetterselo, a meno che il fato, finora così avverso, avesse deciso di farle vincere alla lotteria senza che lei nemmeno avesse giocato.

“Non è tenuta a saperlo, Tom.” lo mise a tacere Gustav, conquistandosi definitivamente le simpatie di Vibeke.

“Avrà tempo di capire come vanno le cose, in questi mesi.” Concordò Benjamin.

“Ma io –”

Piantala con questo ‘Ho bisogno di lavorare adesso’, sbottò contro se stessa, l’hanno capito! Sei tu quella che non ha capito un cazzo!

“Potrebbe farci da assistente personale.” Suggerì Bill casualmente.

“Davvero?” fece lei, speranzosa. Fare da assistente a quattro mocciosi che inspiravano ossigeno ed espiravano soldi poteva avere i suoi allettanti vantaggi.

“Sì, tipo portarci i vestiti in tintoria, tenere in ordine la casa, fare la spesa quando serve…”

A Vibeke la situazione parve tutt’un tratto più chiara. Molto più chiara.

“Intendevi ‘farvi da cameriera’ forse.” Puntualizzò serafica.

La diva fece un gesto incurante.

“Quello che è.”

“Non ci farebbe scomodo.” Intervenne Georg, scambiando uno sguardo di assenso con gli altri. Tom emise una risatina di scherno.

“Nah, scommetto che non durerebbe mezza giornata, con i nostri ritmi.”

Per Vibeke fu una sfida a cielo aperto, e lei non rifiutava mai una sfida, soprattutto se si trattava di far ricredere un tipo come quello.

“Non hai idea di quello che stai dicendo, ragazzino,” replicò. “Sono tre anni che seguo mio fratello qua e là per la Germania e per Amburgo, facendogli da colf personale, so esattamente come cavarmela in certe situazioni.”

“Tuo fratello chi sarebbe?” la provocò Tom, gli occhi che scintillavano.

“Mai sentito parlare di DJ Djevel?”

“Sì, lo abbiamo anche conosciuto ad un festino, un paio di settimane fa.” Disse Georg. “Davvero in gamba.”

“Già,” convenne Gustav. “Aveva più ragazze intorno di Tom e Georg messi insieme.”

I due citati lo guardarono torvi, ma non controbatterono.

“L’ho visto giusto ieri sera ad un party fuori città. Non ti somiglia affatto.” Commentò Tom.

Hai visto anche me, pezzo di deficiente, borbottò lei fra sé. E non ti sei limitato a guardare.

“Ah no?” Vibeke incrociò le braccia. “E per caso non ricordi di aver notato qualche cosa di particolare nel suo viso? O magari eri troppo sbronzo…”

Taci, cretina, tu non lo dovresti sapere che era sbronzo!

Fortunatamente Tom parve non fa caso a quella gaffe e si limitò ad inarcare le sopracciglia.

“Cos’ha, una cicatrice stile Harry Potter?” chiese, probabilmente credendosi chissà quanto simpatico. “Un neo come me e Bill?”

“Gli occhi di due colori diversi.” Dissero Bill, Gustav e Georg all’unisono.

Vibeke sorrise leziosa e si avvicinò un poco a Tom.

“Vedi niente di particolare nelle mie iridi?”

“Sì,” fece lui, in tono annoiato. “Sono molto fastidiose, puntate addosso così.”

“Il punto non era questo, comunque,” intervenne Benjamin. “Ragazzi, voi ritenete davvero di aver bisogno di qualcuno che vi faccia da…”

“Babysitter?” completò Vibeke per lui. Benjamin le lanciò un rapido sorriso e subito dopo tornò a guardare i ragazzi.

Gustav fu il primo a parlare:

“Be’, diciamo solo che l’appartamento non è quel che si dice un’oasi di ordine e pulizia,” scoccò un’occhiata obliqua agli altri tre. “Georg e Tom fanno a gara a chi lascia più disordine, e mai una volta che Bill alzi un dito,” Assunse un’espressione eloquente. “Io ho rinunciato secoli a fare lo schiavo per loro.”

Benjamin sospirò, e Vibeke scoprì che i manager sexy non solo vestivano, parlavano, camminavano e respiravano in modo sexy, ma riuscivano perfino a sospirare in modo sexy.

“Va bene, allora vi cercherò qualcuno di affidabile che venga a sistemare tutto di tanto in tanto.”

“In fretta,” disse Georg. “L’ultima volta che i nostri genitori sono venuti a trovarci, alla madre di Gustav per poco non veniva un attacco di cuore e la mia quasi si rompeva una gamba inciampando in una certa maglietta Carhartt abbandonata a terra.” Vibeke notò che lo aveva detto guardando verso la diva. “E quando ci sono venute Nicole ed Emily, avevo paura che si perdessero nel caos.”

Bravi, ragazzi, portate le mammine nella stessa casa in cui portate le vostre groupies con tanta disinvoltura?, pensò Vibeke, disgustata, ma non abbastanza da lasciarsi sfuggire un’occasione come quella. Aveva fatto i salti mortali per arrivare in orario a quel maledetto colloquio di lavoro e, fosse cascato il mondo, se ne sarebbe andata di lì con un cazzo di lavoro.

“Se l’offerta era seria, lo posso fare io.” Asserì, carica di determinazione e buona volontà. Erano quattro, ma nemmeno tutti assieme potevano essere peggio di BJ.

Benjamin però non sembrava favorevole all’idea. Anzi, sembrava addirittura preoccupato.

“Tu? Sei sicura?”

Vibeke gli rivolse un sorriso professionale, bugia spudorata.

No, ma non importa. Mi servono soldi, e al più presto.

“Ho bisogno di guadagnare qualcosa, non posso continuare a farmi mantenere da mio fratello.”

“Ti permetterò di farlo solo se firmerai un contratto che ti vincoli a farci comunque da tecnico delle luci per il tour, qualunque cosa accada nel frattempo.” Disse Benjamin. Lei corrugò la fronte accigliata. Non era sicura che fosse una battuta.

“A che scopo?”

Lui passò in rassegna i quattro ragazzi con lo sguardo le sorrise in modo strano.

“Lo capirai quando li avrai conosciuti meglio.”

Doveva sentirsi intimorita da un paio di maschi allo stato brado? Doveva sentirsi minacciata dalla delicatezza delle unghie laccate di Bill la Diva, o dagli occhi innamoranti di Gustav e Georg, o dalla propria incompatibilità caratteriale con il Kaulitz a lei biblicamente conosciuto?

Mai e poi mai.

“Mi ritengo abbastanza allenata.” Decretò, sicura di sé come non mai.

Si lasciò valutare dai presenti senza battere ciglio. Tom se ne stancò quasi subito e si allontanò con uno schiocco di disappunto della lingua, ma Bill, Georg e Gustav sembravano molto interessati a lei, in particolar modo alla sua camicia senza bottoni.

Si aggiustò la sciarpa, supplicando gli déi che non avessero notato quel minuscolo dettaglio che lei non voleva assolutamente che venisse notato. Fortunatamente non fecero domande strane, quindi sembrava di no.

“Va bene, sei assunta.” Decretò Bill, e, da come lo disse, Vibeke comprese che era abituato a prendere decisioni senza consultare nessun altro che se stesso.

Incredibile ma vero, era appena stata assunta dal gruppo il cui solo nome era in grado di scatenare un putiferio tra le ragazze di qualunque angolo del mondo.

In quasi ventitre anni di vita si era immaginata nelle vesti si sarta, mantenuta, archeologa e anche serial killer, ma di finire a lavorare per quattro sbarbatelli che avevano spodestato praticamente chiunque dalle vette delle classifiche musicali di mezzo mondo… Be’, quello non era mai stato contemplato, nemmeno per scherzo.

“Non sai in quale trappola ti sei andata a cacciare.” Le sussurrò Benjamin, mentre le stringeva la mano (la centesima stretta di mano in meno di un’ora).

Vibeke non si lasciò intimidire.

“Non ti preoccupare,” lo rassicurò. “Andrà tutto liscio come l’olio.”

Le ultime parole famose.

 

 

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Note: dopo le gentili pressioni richieste di Muny_4Ever (sempre lei! XD), mi trovo costretta esortata a postare anche il secondo capitolo. Un grazie a voi che avete commentato il primo, mi auguro che questo non vi abbia deluso. Non fatevi ingannare dalla relativa banalità del ruolo di Vibeke nei confronti della band, o perlomeno aspettate a giudicare. ;)

Vi invito a commentare, come sempre, e vi rimando al prossimo capitolo, dove spero di riuscire a fare i dovuti ringraziamenti ad personam. ^^

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Capitolo 3
*** Wilkommen Im Tokio Hotel ***


Georg voleva dormire.

Dormire, solo dormire, e nient’altro, ronfare beatamente sepolto sotto a quintali di strati di soffici piumoni e coperte, godendosi il rumore della pioggia che scrosciava di fuori da ormai una settimana ininterrotta mentre abbracciava il morbido cuscino e si godeva il meritato riposo dopo la nottata passata in viaggio.

Aveva trascorso qualche giorno da Nicole, il che significava, come sempre, che le passate settantadue ore erano state per lui un concentrato di attività e movimento.

Poteva non sembrare, ma portare Emily al parco era un’impresa non da poco, soprattutto se dovevi sia controllare lei che fare attenzione a non farti notare dalle ragazze che passavano, ma Nicole collaborava volentieri alla mimetizzazione, visto che l’operazione prevedeva quasi sempre un bacio prolungato o almeno un abbraccio immotivato, ma pur sempre piacevole.

Fortunatamente capitava di rado che lui si fermasse da lei per più di un giorno, ed era solo per qualche miracolo che finora era riuscito ad evitare di incappare nell’invadente vicina di Nicole, la piccola, irriducibile Liesel.

Quella sera aveva fatto i bagagli, aveva dato un bacio ad una Emily addormentata e si era fatto salutare debitamente da Nicole, poi era salito sul suo taxi e si era fatto portare alla stazione, dove aveva preso l’intercity per Amburgo.

Rientrato a casa alle tre del mattino, si era buttato in doccia senza nemmeno preoccuparsi di fare piano, ben conoscendo la pesantezza del sonno dei suoi tre coinquilini, poi si era trascinato a letto e lì era rimasto fino ad ora, ed avrebbe volentieri continuato a dormire a oltranza, non fosse stato per l’insistente suono del campanello.

Cazzo, perché quei tre non alzano il culo? Se tutto va bene ieri sera se la sono spassata fino a poco prima che arrivassi io…

Dischiuse svogliatamente un occhio e cercò di mettere a fuoco la radiosveglia: mezzogiorno. Decisamente troppo presto per uno che aveva potuto chiudere occhio solo poco prima delle quattro, ma cosa doveva fare? Non si era certo aspettato che Tom o Bill si degnassero di alzarsi, ma almeno Gustav…

Si alzò controvoglia e si trascinò fuori dalla stanza, scalzo e praticamente nudo, a parte i pantaloni da tuta che usava come pigiama. Non appena ebbe mosso un passo, alle sue spalle sbucarono uno ad uno Gustav, Bill e Tom, facendo capolino dalle rispettive stanze con espressioni sonnolente.

“Ma chi cazzo è a quest’ora?” mugugnò Tom, che non portava altro che un paio di boxer, segno che nessuna ragazza, almeno stavolta, aveva allietato la sua notte, ed aveva ancora qualche residuo della macchia blu che gli era comparsa sul petto qualche giorno prima, dopo chissà quali giochetti del suo genere. Anche Gustav era nelle medesime condizioni, mentre Bill indossava il suo bel pigiama lilla (era stato azzurro, un tempo, prima di essere tragicamente lavato con una vagonata di capi rossi) firmato Disney, con tanto di asinello depresso (Eeyore, stando alla scritta) stampato sul davanti.

“E io che cazzo ne so?” berciò Georg, mentre il campanello suonava di nuovo. Si incamminarono insieme verso l’ingresso, domandandosi se per caso non si trattasse di David che veniva a sequestrarli per un impegno improvviso, come già era successo altre volte.

“Ragazzi, ma oggi non è lunedì?” fece Gustav, mentre scendevano le scale che portavano al piano di sotto.

“E allora?” fece Bill. Georg  si fermò davanti alla porta e girò la chiave nella serratura.

Gustav sbuffò.

“E allora dietro quella porta c’è Vibeke.” Disse, ma Georg aveva già aperto, e, di fatti, al di là della soglia c’era lei, la loro factotum nuova fiammante, con una faccia arcigna che li fece sussultare tutti e quattro.

Avevano tutti e quattro dimenticato che quel giorno la ragazza avrebbe cominciato a lavorare per loro.

“Alla buonora,” berciò Vibeke, incrociando le braccia. “Cominciavo a temere di dover buttar giù la porta.”

Georg non aveva dubbi sul fatto che ci sarebbe riuscita, se solo avesse tentato. Non era granché robusta, fisicamente, ma gli anfibi che portava avevano tutta l’aria di poter sbriciolare un muro con un calcio nemmeno particolarmente violento.

“Ciao.” La salutò, imitato dagli altri.

Cercò di sorriderle mentre la invitava ad entrare. Decisamente non era una ragazza ordinaria, e non solo per via di quei due inquietanti piercing che aveva al labbro inferiore, o per il fatto che abbinasse abiti vezzosi - gotici, certo, ma senz'altro vezzosi - ad anifibi militari.

Vibeke entrò in casa in un fruscio di velluto, la gonna del vestito che spuntava dalla giacca in pvc, appena sopra le ginocchia, del tutto incurante del fatto che c’erano quattro ragazzi più o meno nudi che la fissavano vagamente sbigottiti.

“Non mi tratterrò a lungo,” annunciò loro, sfilandosi la giacca gocciolante ed appendendola all’attaccapanni come fosse stata a casa propria, tenendo però la sciarpa. Sul braccio destro, sotto alla manica tappezzata di squarci, si intravedeva una piccola rosa nera tatuata vicino alla spalla.“Ho parlato con Benjamin, mi ha consigliato di venire armata di anfetamine e tanta pazienza,” Li squadrò uno per uno con un sorriso affabile che risultava vagamente inquietante, visto su quelle labbra rosso sangue. “Per quanto riguarda le prime, non c’è problema, ma per la seconda credo mi sarà molto difficile reperirla.”

Georg sorrise fra sé: gli sembrava di trovarsi davanti ad uno strano ibrido caratteriale tra Bill e Tom, con la sola differenza che, contrariamente ai gemelli, lei aveva dei modi spicci e un tono molto pratico.

Nulla a che vedere con gli infantili capricci di Bill o gli atteggiamenti snobisti di Tom.

“Allora, qualcuno si degna di spiegarmi cosa dovrei fare qui dentro, esattamente?” domandò Vibeke, tirandosi su le maniche dello stranissimo abito che portava, con tutti quei lacci bordeaux e gli inserti in pizzo. Sembrava una specie di bambola dark, con i capelli come quelli di Bill. “Mi sento Biancaneve in mezzo ai sette nani, se ve ne state a fissarmi così.”

Per essere bianca, lo era sicuramente. Le mancava giusto quella massiccia dose di dolcezza stereotipata per la quale la storica Biancaneve era nota.

“Scusa,” disse Gustav, accennandole un sorriso. “È che ci siamo appena svegliati, è un po’ traumatico per noi – loro soprattutto – svegliarsi così presto.”

“Diciamo più che altro per Tom.” Ghignò Georg, ricevendo in cambio un pugno sulla spalla.

“Chiudi il becco, Hagen!”

Vibeke assunse un’aria perplessa.

“Non si chiamava Georg, qualche giorno fa?”

“Georg Moritz Hagen Listing,” puntualizzò Tom con evidente soddisfazione. “Ma ogni tanto ci piace chiamarlo Moritz o Hagen.”

Georg avrebbe volentieri preso Tom e gli avrebbe rotto il naso contro la parete, ma obbligò se stesso a trattenersi, onde evitare che Vibeke avesse subito un chiaro quadro delle persone con cui aveva a che fare. Non che desse l’impressione di essere una che si spaventava per così poco, ma comunque non era il caso di dare spettacolo.

Non ancora, almeno.

“Bene, allora,” fece Vibeke, puntando un dito verso Georg. “Hagen,” Poi indicò Tom. “Kaulitz Uno,” Poi Bill. “Kaulitz Due,” E infine Gustav, a cui sorrise. “E Gud.”

Georg e gli altri si guardarono confusi.

“Gud?”

Vibeke fece un gesto incurante.

“È norvegese,” spiegò, anche se come spiegazione era pressoché inutile. “Comunque,” proseguì poi, soffermando uno sguardo strano su ciascuno di loro. “Apprezzo molto la vostra volontà di esibire le vostre grazie, vi assicuro che è davvero un bel benvenuto,” Un’espressione maliziosa le balenò sul viso. “Ma posso permettermi, anche se a malincuore, di consigliarvi di mettervi qualcosa addosso? È pur sempre gennaio, dopotutto.”

“Hey, questa è casa mia, ok? Se voglio, vado in giro anche nudo, va bene?” bofonchiò Tom.

“Grazie, Tom, ci mancava solo questa.” Sbuffò Bill, roteando gli occhi.

Georg e Gustav ridacchiarono nel vedere come Vibeke reagì ai loro bisticci: aveva l’aspetto di una che era appena capitata in un asilo di bambini schiamazzanti.

Non vedeva l’ora che Nicole ed Emily la conoscessero. Era certo che, pur essendo così radicalmente diverse, si sarebbero trovate molto simpatiche.

“Bene, se nessuno ha da obiettare, io me ne vado a farmi una doccia,” annunciò Tom, avviandosi verso le scale. “Chiamatemi quando il pranzo è in tavola.”

“Io mi faccio un bagno.” gli fece eco Bill.

“Grandioso, entrambi i bagni occupati,” grugnì Gustav, mentre anche Bill scompariva verso il piano superiore. “Georg, sarà il caso che tu ed io ci andiamo a vestire.”

Gerog annuì.

Con un Kaulitz per bagno, in media l’attesa oscillava tra la mezz’ora e l’ora (colpa imputabile quasi esclusivamente a Bill, visto che Tom, a prendersela comoda, ci metteva al massimo un quarto d’ora), perciò potevano mettersi l’animo in pace. L’unica era vestirsi e cominciare a spiegare a Vibeke come funzionavano le cose là dentro, partendo, per l’appunto, dall’equa prenotazione dei bagni.

“Voi due potete anche restare così, non c’è problema,” commentò Vibeke in tono ammiccante. Georg si sentì improvvisamente molto più nudo di quel che in realtà non fosse. “Era Kaulitz a disturbarmi.”

“Uno o Due?”

Vibeke fece spallucce.

“Non ricordo quale fosse uno e quale l’altro.”

Georg notò che Gustav, così come lui stesso, stava praticamente per scoppiare dalla voglia di ridere.

“La principessa, comunque,” precisò poi lei. Fece una smorfia, accompagnata da un piccolo fremito di disgusto. “Chi è che ha avuto il coraggio di regalargli quel pigiama da checca in carriera?”

Domande come quelle erano ordinaria amministrazione da parte di chiunque avesse il privilegio (sventura) di varcare la soglia di quell’appartamento. Col tempo, avevano anche stabilito la Top Three ufficiale delle perplessità più simpatiche: alla numero tre si era piazzata ‘Non vi da fastidio che il vostro cane metta tanto disordine?’, ispirata per la maggior parte dalle condizioni in cui versavano la stanza di Tom e quella di Georg stesso; alla due stazionava ‘Quale delle vostre ragazze porta quella roba?’, riferita al novanta percento dei capi che Bill era solito disseminare per casa durante i suoi impellenti attacchi di panico da mise da spettacolo; la numero uno, la preferita di tutti quanti, era quella a cui nessuno aveva ancora avuto il coraggio di rispondere: ‘Oddio, ma avete avuto dei ladri?’

Insomma, a modesto parere di Georg, la confusione che regnava tra quelle quattro mura era sì un po’ eccessiva, ma non così tanto da pensare a dei ladri o, come tutte e tre le loro madri avevano supposto la prima volta, un’effrazione intimidatoria.

“Se l’è regalato da solo,” le rispose Gustav. “Siamo andati a Disney World, lo scorso Natale. Lo ha visto e ha deciso che lo voleva.”

Disney World. Georg lo ricordava bene. Emily era letteralmente impazzita per il galeone dei pirati e ci avevano messo mezz’ora a convincerla ad andare a vedere anche il resto del parco. Georg le aveva regalato un pigiama identico a quello di Bill, guadagnandosi peraltro una bella strigliata da parte di Nicole, che lo aveva accusato di starle rovinando il lavoro di una vita, viziandola così.

“Fammi indovinare, quello di ricambio l’ha preso della Carica dei 101?” suppose Vibeke.

Sia Gustav che Georg risero. Era un bel tipo, anche se la sua arguzia già manifestava i primi attriti con Tom, ma Georg se l’era aspettato: Tom aveva pochissima esperienza con le ragazze investite del dono dell’intelligenza, e, perfino dopo quasi un anno di pratica con Nicole, aveva ancora serie difficoltà a rapportarsi con un cervello femminile.

“Veramente ancora gli manca, quello,” la informò Georg. “Ne ha un paio di Armani e uno che si è disegnato lui in persona, ma quello della Carica dei 101 ancora non ce l’ha.”

“Provvederemo per il suo compleanno, però.” soggiunse Gustav, esibendo una serietà che era però tradita dallo scintillio divertito nei suoi occhi.

Si piacciono, pensò Georg sornione, guadando lui e Vibeke che si sorridevano. Sembrava un miracolo che Gustav riuscisse a farsi andare a genio una ragazza, ma forse una come Vibeke era esattamente quel che gli ci voleva: una donna che sapesse fare qualcosa di più utile e proficuo che starnazzare e svenire in sua presenza, onde evitargli imbarazzi inopportuni, vista la sua timidezza.

Strano, però, rifletté pensieroso, avrei detto che una senza peli sulla lingua come lei lo avrebbe messo in soggezione, e invece guardali…

Gustav e Vibeke stavano andando verso la cucina, chiacchierando come amici di vecchia data, lasciandolo basito nell’atrio dell’ingresso.

“Hagen, Gud chiede cosa vuoi per pranzo.” urlò Vibeke, dall’altra stanza.

Georg si obbligò a non perdere le staffe.

Promemoria: scorticare Tom appena esce da quel maledetto bagno.

“Un piatto di pasta?” urlò in risposta.

“Andata!” soggiunse la voce di Gustav.

Georg preferì continuare la conversazione faccia a faccia, onde evitare che l’intero quartiere potesse sentirsi partecipe della disquisizione del menù del lunedì mezzogiorno. Arrivato alla cucina, trovò Gustav che le mostrava cosa c’era nei vari armadietti e le illustrava per le somme che genere di cibo si consumasse solitamente.

“Non sarà difficile farvi la spesa,” fu il commento di Vibeke. “Basterà riempire il carrello di tutte le schifezze più disgustose che si trovino in commercio.”

“Hai decisamente centrato il punto,” Si complimentò Georg, rendendo così nota la propria presenza. “Tu invece mangi seguendo una sana e bilanciata dieta mediterranea ogni giorno?” la provocò. Lei si limitò a raccogliersi distrattamente i capelli su una spalla.

“Sono norvegese, bello, cosa vuoi che ne sappia di piatti mediterranei?”

Georg inarcò le sopracciglia. Si appoggiò allo stipite della porta, le braccia conserte.

“Cosa cucina un norvegese, esattamente?”

“Un bel niente,” replicò lei con candore. “Per quanto riguarda la sottoscritta, almeno. A meno che non si tratti di qualcosa di precotto che basti schiaffare in un microonde per qualche secondo.”

Uno schiocco della  lingua da parte di Gustav li fece voltare entrambi:

“Ho capito l’antifona, sono l’unico qui dentro in grado di preparare un pasto decente,” Sospirò. “Resti a farci compagnia?” domandò poi a Vibeke, la quale ci dovette pensare un po’ su.

“Se resto, è probabile che a Kaulitz resti tutto sullo stomaco…” Finse di soppesare l’eventualità per qualche secondo. “Il che sarebbe delizioso, per me, ma proprio non posso. Alle due rientra il mio amato fratellone, e se non ci sono io a casa, non sa nemmeno come aprire il rubinetto.”

Georg aveva perfettamente presente il fratello di Vibeke: un ragazzo altissimo – una manciata di centimetri più di Bill – e dal fisico asciutto, con una lunga coda di capelli biondi e charme da vendere. Non riusciva proprio ad immaginarlo in vesti casalinghe.

“È un orario un po’ strano, per un DJ,” le disse. “Come mai rientra così tardi?”

Vibeke si fece da parte per permettere a Gustav di cominciare a tirare fuori pentole e pasta e restò ad osservarlo per un istante con occhi curiosi, poi si appoggiò a sedere sul bordo del tavolo e fece spallucce.

“In genere torna dalle discoteche intorno alle sette,” spiegò. “Ma tre mattine alla settimana, verso le dieci, va in palestra, e la sottoscritta dev’essere pronta a scattare, o la casa si trasforma…” Si schiarì la voce, gettando uno sguardo verso il salotto, invaso di abiti di vario tipo, lattine di Red Bull e bottiglie di birra, cartoni di pizza e altre svariate cose. “In una replica perfetta di questa.”

“Tuo fratello dev’essere uno in gamba nel creare disordine,” intervenne Gustav, trafficando con il fornello. “Per riuscire da solo a creare un’imitazione di questo posto, ci vuole del talento innato.”

Una risata scoppiò tra di loro, proprio nel momento in cui sia Tom che Bill facevano il loro ingresso nella stanza, completamente vestito il primo, in accappatoio il secondo, i capelli bagnati che gocciolavano ovunque.

“Che si mangia?” domandò Bill, prendendo posto a tavola.

“Pasta.” Rispose Gustav, trafficando con un paio di coperchi.

Tom parve sorpreso.

“Non doveva cucinare Vi?”

A Georg sembrò quasi di cogliere la scintilla collerica che si accese negli occhi di Vibeke.

“Primo,” esclamò la ragazza, piantandosi ad un centimetro da Tom, le mani sui fianchi. “Non mi chiamare mai più in quel modo,” La sua voce era un minaccioso sibilo tra i suoi denti. “Secondo, sono qui per occuparmi delle vostre cose, non di voi, e di te tanto meno!”

Georg aveva la netta sensazione che i giorni a venire sarebbero stati densi di novità per quanto riguardava il loro equilibrio esistenziale: non poteva certo prevedere come e in che misure quella bizzarra ragazza avrebbe influenzato la loro vita – perché l’avrebbe fatto, se lo sentiva – ma di una cosa era certo: viste le premesse, si poteva presagire aria di tempesta sotto a quel tetto.

Chi vivrà, vedrà.

 

***

 

“KAULITZ!” tuonò una voce ormai fin troppo conosciuta.

Tom si seppellì sotto al cuscino del divano, invocando l’aiuto della divina provvidenza affinché lo facesse scampare dall’imminente tragedia.

Sentì sbattere una porta, poi un’altra, e poi dei passi pesanti che si avvicinavano. Seduto sul divano accanto, Bill se la rideva sotto i baffi, sfogliandosi Vogue in tutta tranquillità.

“Ora la senti.”

L’insulto che Tom gli rivolse si spense in un rantolo frustrato.

“Kaulitz!” sbraitò nuovamente Vibeke, comparendo sulla soglia della stanza con una discreta quantità di biancheria fresca di lavaggio dentro un secchio. “Ho appena rinvenuto tre paia di boxer nella tua stanza, e mi devi proprio spiegare com’è possibile che uno fosse finito sopra l’armadio!”

Tom ancora non capiva perché toccasse proprio a lui essere il gemello chiamato per cognome, ma forse se l’era meritato, visto che aveva deciso di darle sui nervi fin da subito e in tutti i modi possibili. E, in ogni caso, forse era comunque meglio che essere chiamato Principessa, come invece sporadicamente toccava a Bill, per via dei suoi saltuari attacchi di pignoleria acuta.

Non si diede nemmeno la pena di spostarsi il braccio dagli occhi per risponderle.

“Che vuoi, non ho mica tempo di badare a dove butto la roba mentre sono intento ad intrattenere una ragazza.”

“Ho dovuto togliere uno strato di ragnatele che erano diventate tutt’uno con il cotone!” esclamò lei, la voce che si faceva acuta, come ogni volta che si infuriava con lui, cioè sempre.

Era la loro assistente personale da neanche due settimane, ma ci aveva messo poco (niente) a sentirsi in diritto di dettar legge, dentro e fuori le mura domestiche.

Va bene, forse Tom non aveva esattamente contribuito a farla sentire la benvenuta e rispettata, dicendole che non la pagavano per ciarlare, ma per sgobbare, però trovava ingiusto che Gustav si fosse beccato un nomignolo come Gud – che, a detta di Vibeke, significava ‘Dio’ in norvegese – mentre lui doveva sorbirsi una lunga serie di epiteti molto affettuosi o, se gli andava meglio, il proprio cognome. Non che il tutto non fosse ampiamente ricambiato, da parte sua, ma odiava i favoritismi ingiustificati.

C’era da riconoscere che, però, anche Georg aveva una bella gatta da pelare con lei: da quando Vibeke aveva scoperto il suo nome completo, aveva iniziato a chiamarlo Hagen, cosa che per lui era alquanto snervante, ma che compiaceva e consolava Tom almeno in minima parte.

“Ricordami di mandarti dei fiori per dimostrarti la mia gratitudine.” Le rispose, mentre poteva quasi percepire lo sforzo di Bill di non ridere. Se gli fosse scappato qualcosa, Vibeke non si sarebbe fatta molti problemi a prendersela anche con lui. Strano ma vero, Bill non sembrava piacerle più di quanto non le piacesse Tom.

“Perfetto,” disse lei, facendo per andarsene. “Mi piacciono le ortiche raccolte di fresco.” Gli comunicò.

“Avrei detto le rose.” Disse Tom, indicando il tatuaggio che le si intravedeva sotto la rete nera delle maniche della maglietta.

“Le rose sono belle, ma pungono.”

Tom la guardò di traverso.

“Le ortiche no, vero?”

“Ma tutti sanno che le ortiche pungono. Le rose invece sono così belle che ci si dimentica che hanno le spine.”

Tom inarcò le sopracciglia. Non solo quella ragazza era strana, ma faceva anche dei ragionamenti strani. Non vedeva l’ora che Georg e Gustav rientrassero dalla palestra per tenerla distratta e, soprattutto, lontana da lui. Sotto quell’aspetto, Bill era ben poco utile, visto che la rifuggiva come un gatto rifugge l’acqua.

“Come siamo finiti dalle mie mutande a parlare di spine?”

“Viene piuttosto spontaneo, se l’interlocutore sei tu.” Replicò Vibeke.

“L’ho già detto che ti amo come un cane ama le sue zecche?” sbottò lui, imbronciato.

“Sono stata io a dirlo a te, poppante, giusto l’altro pomeriggio.”

A grandi linee, la struttura tipica delle loro conversazioni abituali era quella: uno di loro partiva col criticare qualcosa che aveva fatto l’altro (a scelta tra: sistemazione e collocazione degli indumenti, riordinamento generico dell’appartamento, tipologia dei generi alimentari della spesa), seguivano una serie di botta e risposta amichevoli quanto una serie di randellate sul naso, ed infine un’anima pia (Georg e Gustav per la maggior parte delle volte, spesso chiunque ci fosse nei paraggi, raramente Bill, fondamentalmente restio a rimetterci un capello o la sanità mentale, anche a discapito dei propri timpani) giungeva a dividerli.

Tom aveva sin da subito etichettato Vibeke come soggetto altamente psicolabile, nonché pericolosamente anomalo.

Non era mai stato un tipo refrattario alle belle ragazze, ma lei era una questione a sé, che francamente non riusciva a comprendere, da qualunque punto di vista la analizzasse. Abituato com’era a Nicole – così gentile e dolce – si era ritrovato di punto in bianco ad avere a che fare un’invasione territoriale di estrogeni di una tipologia a lui sconosciuta, e questo lo aveva reso diffidente e radicalmente indisponente.

Il fatto era che decriptare Vibeke era un’impresa così faticosa che si era visto costretto a gettare la spugna prima ancora di averci veramente provato. Da che aveva messo piede in quella casa, Tom non la aveva mai vista imbarazzarsi di fronte a qualche dettaglio non proprio puritano – la sua scorta secolare di preservativi, per dirne una, ma anche il semplice fatto di raccogliere il loro intimo in ogni angolo della casa e sbatterlo in lavatrice come se fossero stati calzini – e più passavano i giorni, più lui si chiedeva perché, anziché una stramba goth dagli occhi bicromi, non avessero invece preso una dolce vecchiettina che preparasse loro lasagne tutti i giorni.

“Che ore sono?” chiese Bill, mentre Vibeke si metteva in un angolo del grande salotto a riempire lo stendibiancheria.

“Ora di pranzo,” disse Tom, il cui stomaco cominciava a dare le prime avvisaglie di necessità di rifornimento. “Hey, Vi, che c’è di buono da mangiare?”

Kaulitz, cosa ti ho detto in merito agli appellativi da rivolgermi?”

“Che non vuoi essere chiamata Vi.” Cantilenò lui. Già la conosceva, quella solfa.

“E quanto volte te l’ho ripetuto?”

Tom sbuffò, girandosi su un fianco per voltarle le spalle.

“Ho perso il conto al cinquantadue.”

“Settantanove.” Rispose Bill prontamente, senza staccare gli occhi dalla sua rivista.

La cordiale replica di Tom fu una cuscinata in faccia, che strappò a Bill uno strillo stizzito.

“Ma sei scemo?”

Il contrattacco alla cuscinata fu un esemplare lancio di Vogue, che lo colpì in piena fronte, proprio mentre si tirava su.

“Vaffanculo!” grugnì, massaggiandosi la parte lesa. Bill poteva anche essere un fallimento, in quanto a forza bruta, ma sull’artiglieria pesante andava forte.

“Allora, che si mangia?” domandò Bill, ignorandolo.

Vibeke sistemò una maglietta rossa, che Tom riconobbe come propria, su uno dei fili, senza curarsi di eliminare le piccole pieghe che si erano formate.

“Gnocchi ai quattro formaggi.” Rispose asciutta.

Le ci era voluto un cospicuo aumento del compenso che avevano concordato all’inizio, perché si convincesse a fare anche da cuoca, di tanto in tanto, ma alla fine aveva acconsentito. Si era così rivelata tutt’altro che microonde dipendente: nonostante le sue stesse premesse, Vibeke se la cavava abbastanza bene ai fornelli, una volta acquisite le nozioni fondamentali della cottura della pasta. A quanto pareva, in casa Wolner non se ne mangiava, per via dell’intolleranza al glutine che sia lei che BJ avevano avuto fin da piccoli, ma aveva imparato in fretta, e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, si divertiva a cucinare.

“Ma io volevo la pasta!” si oppose Bill.

“Lascia stare,” gli disse Tom, sventolando una mano. “Non le fai cambiare idea, tanto. I suoi prediletti hanno richiesto gli gnocchi, e gnocchi avranno.”

In quell’attimo si sentì una chiave inserirsi nella serratura e, qualche scricchiolamento dopo, la porta d’ingresso si aprì.

“Casa dolce casa!”

Quando si levò la mano dalla fronte dolente, Tom riuscì ad individuare Georg che entrava, seguito da Gustav. Entrambi avevano in mano i soliti borsoni blu e rossi della palestra e l’aria stanca.

Il viso di Vibeke si illuminò all’istante. Piantò bucato e stendibiancheria e corse incontro a Gustav, prendendogli giacca e borsone con premura.

Fin dal primo giorno, non aveva mai cercato di nascondere la propria manifesta preferenza verso di lui, così come, sul fronte opposto, non aveva mai nascosto la propria manifesta insofferenza verso Tom, cosa che lo mandava alquanto in bestia, visto che non aveva fatto assolutamente niente per meritare un simile trattamento.

A parte la disumana, masochistica perseveranza nel rivolgerti a lei chiamandola ‘Vi’, gli ricordò la parte di sé che provava del piacere perverso nel metterlo di fronte ai fatti concreti.

E allora?, ribatté lui, sulla difensiva, lei continua a chiamare Georg ‘Hagen’, anche se sa che a lui non piace!

Vibeke prese tutta la roba di Georg e Gustav ed annunciò che l’avrebbe messa subito in lavatrice.

“Fate in tempo a farvi una doccia, prima del pranzo,” li avvertì. “Vi metto tutto in tavola e scappo, ci vediamo venerdì.”

“Ma anche no.” Mormorò Tom fra sé, senza preoccuparsi di non farsi sentire. Dapprima si stupì della mancanza di una risposta immediata, ma una frazione di secondo più tardi Vibeke gli arrivò davanti con una mano nascosta dietro la schiena e, prima che lui potesse rendersi conto delle sue intenzioni, gli vuotò in faccia quel che restava in una delle bottigliette di bevande vitaminizzate che Gustav e Georg si portavano in palestra.

“Ti amo anch’io, Kaulitz.” Gli disse poi, soave, e se ne andò via, portandosi dietro i due borsoni, mentre il resto dei presenti si sganasciava dalle risate.

Tom balzò in piedi, fumante di rabbia. Si tolse la maglietta bagnata, praticamente strappandosela di dosso, marciò oltre Georg e Gustav con tutta la dignità di cui poteva disporre qualcuno con la faccia e i capelli grondanti di liquido appiccicaticcio all’arancia, e irruppe nel locale lavanderia, dove Vibeke stava caricando la lavatrice.

“Lava anche questa.” Le ordinò, sbattendole la maglietta sotto il naso.

Anziché aggredirlo verbalmente com’era suo solito fare, lei raccolse la maglietta e la posò sullo sportello della lavatrice senza battere ciglio. Si portò i lunghi capelli neri dietro all’orecchio sinistro, e solo allora Tom notò, dopo due settimane, l’incredibile sfilza di piercing che lo ornavano. Al destro invece portava solamente un minuscolo cuore in argento.

“Com’è che hai un quintale di piercing a sinistra e uno solo a destra?” le chiese.

Lei interruppe per un attimo il trasferimento degli indumenti dai borsoni al cestello e si voltò verso di lui.

“È  simbolico,” gli disse. “Ho messo un cuore di metallo in corrispondenza del mio cuore vero, e gli altri hanno una storia particolare che non credo tu abbia voglia di stare a sentire.”

“Non per rovinarti la simbolica trovata, ma il cuore sta a sinistra.”

“Ho gli organi disposti in modo speculare rispetto al normale,” dichiarò Vibeke con disinvoltura, tornando alla propria occupazione. “Si chiama destrocardia: il mio cuore è a destra.”

Tom non sapeva se dicesse sul serio o meno. Gli venne da domandarsi se questo potesse comportare qualche problema di salute, ma, a guardarla, non si sarebbe affatto detto.

“E il cervello ti è finito nello stomaco?” la stuzzicò.

Lei sorrise ironicamente, senza degnarlo della minima attenzione.

“Può darsi. Sempre meglio che in mezzo alle gambe come il tuo.”

Tom si portò una mano sul cavallo dei pantaloni, ghignando in pieno compiacimento.

“Sta benissimo lì dov’è, credimi.”

“Certo,” convenne lei, convinta. “Probabilmente si sentirebbe smarrito in una landa desolata come il tuo cranio.”

“Il mio cranio è molto sexy. Chiedi a qualunque donna, etero e non, ti diranno tutte quanto sia interessante la testa di Tom Kaulitz.”

“Non ci vedo niente di interessante in un pallone gonfiato pieno d'aria e di sé.”

Tom trattenne una sonora imprecazione.

Non la reggo!

Un brivido di irritazione lo scosse lievemente.

Dio, quanto non la reggo!

Tom stava per andarsene, ma la voce di Vibeke lo trattenne:

“Kaulitz.”

“Che vuoi?”

Un sorrisino impertinente si formò sulle labbra di lei, che reggeva in mano la sua maglietta.

“Impara a dire grazie.”

“Vaffanculo, Vi!” Ruggì, accompagnandosi con un dito medio sollevato, e se ne andò, portandosi via un asciugamano con cui asciugarsi il viso.

Cazzo, quant’è odiosa!

Andò dritto nella propria stanza, afferrò una maglia pulita a caso e la indossò, poi fece lo stesso con un paio di scarpe e un giubbotto, infine tornò come una furia nell’ingresso e cercò le proprie chiavi sul tavolino dell’ingresso.

“Hey,” esclamò Bill, accoccolato sul divano, ancora immerso nelle sue auliche letture. “Dove vai?”

“A farmi fottere!” rispose Tom, appena prima di sbattersi la porta alle spalle.

Intendeva in senso piuttosto letterale.

 

 

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Note: capitolo scandalosamente pietoso, lo so, ma è un raccordo introduttivo alla storia vera e propria, quindi vi concedo di essere spietati, ne avete il diritto, dopotutto. Ah, quasi dimenticavo: per il tempestivo aggiornamento si ringrazia Ladynotorius e la sua gentile pressione! XD

Passiamo ai ringraziamenti decenti, che è meglio…

Ladynotorius: mia cara MS Ambassadress (termine inventato al momento, ma che tuttavia potrebbe anche esistere), meno male che hai ‘restaurato’ la recensione, perché l’ho semplicemente adorata! Io faccio scompisciare te, tu fai scompisciare me, siamo pari! Ti iscrivi anche tu al club “Adotta un Benjamin”? XD

Isis88: danke! Continua a seguire Vi & Co, e vedrai che riderai sempre di più!

piscula: ti dirò, nella vita reale (ma anche nella finzione), Vibeke è un personaggio che sta facilmente sulle scatole, ma è fatta così, poveraccia, che ci dobbiamo fare? A suo modo, sa essere simpatica anche lei.

Purple Bullet: se sei come Vibeke, ho una proposta da farti: sposami! XD spero non ti spiaccia se ho già una moglie e diversi concubini (tra cui i quattro fanciulli di cui sopra), so che a qualcuno può dare fastidio. XD

BabyzQueeny: e grazie anche a te!

btb: ecco, mi fa piacere sentire che la pensi così, per me è davvero importante che i miei lettori capiscano i sentimenti che mi impegno a mettere in quello che scrivo. J

Sarakey: spero di non aver deluso il tuo entusiasmo iniziale con questo pseudosquallore di capitolo. ^^” Come vedi, i punti di vista saranno numerosi, in modo che ciascuno abbia il giusto spazio e la giusta voce.

CowgirlSara: non vi si può mai nascondere nulla, a voi MS, avete l’occhio fino, ormai.

SusserCinderella: grazie mille! Grazie degli auguri per gli esami, sono andati benissimo!

fucking_princess: hai gli occhi bicolori?? [teen mode] Che figata assurda! [/teen mode] Mi auguro gradirai questo sequel come l’anello iniziale!

bluebutterfly: intanto, grazie per la recensione e, soprattutto, per aver riportato la tua sincera opinione. Per quanto riguarda il fatto che Vibeke si metta a fare da assistente dei Tokio Hotel, nonostante tutto, forse sarebbe poco credibile, in altri contesti, ma lei è già stata comunque scelta per essere il loro tecnico delle luci, e la questione del fare da assistente è una sorta di ‘tappabuchi’ temporaneo (fintanto che il tour non comincia e i ragazzi si dedicano a qualche breve settimana di relax), quindi io l’ho reputata un’eventualità verosimile, ma comprendo che magari per qualcun altro che legge la storia dall’esterno e non ha ancora modo di conoscere fatti e sviluppi potrebbe apparire forzato, effettivamente. In secondo luogo, purtroppo non so chi sia la Heidi che hai menzionato né a che fanfiction tu ti riferisca, ma ti posso dire che il personaggio di Vibeke è nato in un baleno nella mia testa, come contrapposizione diametrale di Nicole, e ha preso forma in relazione al rapporto che ho immaginato potesse avere con Tom. In quanto a carattere ricorda già altri due personaggi, da me profondamente amati ed ammirati, sempre di questo fandom, ossia le grandiose Mackenzie ‘Mac’ Rosenbaum di RubyChubb e Alhena ‘Leni’ Regan di Lady Vibeke (la prima, ci tengo a sottolinearlo, l’ho conosciuta solo a stesura già iniziata di questa storia). Sono del parere che serva un certo tipo di ragazza, con un certo tipo di carattere, da relazionare ad un tipo come Tom, e trovo quindi comprensibile che i caratteri di questi original characters finiscano per avere sempre qualcosa in comune. Lo considero un segno di comune interpretazione del personaggio reale a cui si intende affiancarle. Per quanto riguarda il fatto che Vibeke non abbia riconosciuto Tom, ti risponde lei stessa: Non era certa che li avrebbe saputi riconoscere, se li avesse visti uno per uno, separatamente, ma sapeva perfettamente chi fossero quei quattro ragazzi – quel gruppo.” E poi era sera tardi, era buio, ed era ubriaca, quindi vedeva decisamente appannato (credimi, so cosa vuol dire avere difficoltà a mettere a fuoco dettagli con una bella sbronza che imperversa, e soprattutto quando faticoso sia ricordarseli! ^^) Grazie mille, inoltre, di avermi fatto presente l’errore di battitura (RubyChubb, mia betareader ufficiale, sarà frustata a sangue in seguito alla svista): rileggo il capitoli migliaia di volte (dannata pignoleria), ma qualcosa mi sfugge sempre. ^^ Ovviamente grazie anche dei complimenti e di esserti presa il disturbo di recensire, apprezzo molto. Ti aspetto al prossimo capitolo. ;) (fra parentesi: mai e poi mai direi che una fanfiction è solo un lavoro di fantasia, poiché io stessa ho più volte sottilizzato su dettagli di certe storie che trovavo inverosimili. Un buon lavoro, a mio parere, dev’essere in tutto e per tutto credibile, fantasia o meno che sia.)

loryherm: carissima! Ormai non so più come dirti grazie per tutti i tuoi complimenti. Ti si vedo poco su msn, ultimamente, ma so che hai da fare, quindi ti auguro solo di trovare un po’ di tempo libero. ;)

picchia: i pensieri legati a Benjamin e roba affine sono giustificati dall’effettiva fighezza del biondo soggetto in questione. Non so se lo hai mai visto, ma merita! °ç°

Muny_4Ever: adoro vedere come certe parti ti piacciano quanto piacciono a me! Il signor batterista e i suoi bicipiti possono venire a farmi visita privata ad ogni ora del giorno e della notte! XD

Lady Vibeke: io lo so che tu in realtà hai le tue fantasie in cui immagini di essere la posto di Vi (le ho anche io, figuriamoci), quindi capisco anche l’empatia che provi verso di lei. Mia cara collega MS, pendo dalle tue severe labbra per il giudizio su questo capitolo un po’ privo di capo e coda. ^^

NeraLuna: Vibeke è il mito personale di molti, vedo, me compresa. ^^  Istituiamo un fanclub?

ruka88: Vibeke non va a vivere a casa TH, come avrai notato, ma solo a sistemare un po’ di caos ogni tanto. Però grazie infinite dei complimenti! ^^

carol22: sei sempre gentilissima! Apprezzo molto lo sforzo del recensire ad orari impossibili, so cosa significa avere difficoltà a far ingranare il cervello, in certi momenti. ^^ Grazie di tutto!

RubyChubb: mugliera, sei uno spasso, ma è anche per questo che ti amo. Non ho altro da dire, se non: MS power!

ElianaTitti: continua pure a ripeterti, il mio ego non è mai gonfio abbastanza! XD Scherzi a parte, puoi dire quello che vuoi, qualsiasi opinione per me è sacra.

Grazie anche ad _Ellie_, susisango e GodFather, che non hanno commentato, ma so che hanno letto. ;)

Alla prossima!

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Capitolo 4
*** See Who I Am ***


Tazza formato gigante di cioccolata calda con panna, tazzina di caffè con quattro cucchiaini di zucchero, tre biscotti ai cereali, un croissant alla marmellata di albicocche, una fetta di pane integrale tostato e imburrato, ciotola di macedonia mista zuccherata, spremuta fresca d’arancia, un pugno di mandorle caramellate.

Roba da stroncare un toro.

Le colazioni di BJ erano qualcosa di incalcolabile e mostruoso, abbondanti come se ogni volta fossero l’ultima, o come se ci fosse una carestia imperversante perennemente in agguato al di fuori della cucina.

Vibeke trovava disgustoso che il proprio fratello potesse ingozzarsi fino alla nausea e non dover versare mezza goccia di sudore per smaltire il tutto. Aveva un metabolismo così rapido che, da piccolo, il loro pediatra gli aveva consigliato di fare più pasti al giorno, per poter assimilare meglio ciò che ingeriva.

Ovviamente Vibeke, essendo donna ed avendo preso dalla madre, non poteva vantare di altrettanta fortuna. Di costituzione non proprio esile, le era stato chiaro fin dai primi anni dell’adolescenza che per poter avere un buon fisico avrebbe dovuto darsi parecchio da fare, ma se non altro era sempre stata un tipo tutt’altro che pacifico (in svariati sensi del termine), e aveva fatto in fretta ad appassionarsi al nuoto, anche se a livelli dilettantistici, trovando così un espediente piacevole per tenersi in forma.

Guardò la propria tazza di caffelatte dolcificato e i muesli che vi galleggiavano dentro. Li adorava, per carità, ma i pasti luculliani consumati da BJ erano una tentazione praticamente irresistibile, soprattutto il sabato mattina, quando, reduce dall’exploit del venerdì sera, si godeva un poutpourri gastronomico da far impallidire un buffet nuziale.

Vibeke avrebbe potuto facilmente guadagnarsi da vivere vendendo fotografie di suo fratello in tenuta post risveglio: boxer delle fantasie più improbabili, capelli scompigliati, occhi gonfi e sonnolenti, occhiaie scure, smunto come uno che non conosceva la luce del sole. Sostanzialmente, lei, con qualche piccola, ovvia differenza di circostanza.

Avrebbe potuto arricchirsi svendendo al miglior offerente anche tanti altri dettagli interessanti, ma la prospettiva di finire vittima di un cruento sororicidio era un deterrente sufficiente a farla resistere.

Più i giorni passavano, più si rendeva conto di quanto lui e Bill si somigliassero, in quanto a personalità ed atteggiamenti. A prescindere dal fatto che BJ fosse uno sciupafemmine senza ritegno e, occasionalmente, anche uno sciupamaschi.

“Andiamo all’Immortal, stasera?” domandò BJ, sfogliando svogliatamente il giornale del giorno mentre sbocconcellava il croissant.

Vibeke riteneva di avere una comunione speciale con lui – come un po’ tutti i gemelli, infondo – ma certe volte le risultava davvero impossibile capirlo.

L’Immortal era un club del centro dove, per entrare, dovevi o essere una personalità ultrafamosa, o avere un conto in banca dai sei zeri in su. Oppure essere una strafiga disposta a pagare i buttafuori in natura.

Era già tanto che a lei venisse concesso di entrare.

“Che voglia hai di chiuderti là dentro?” biascicò, masticando la cucchiaiata di cereali che si era appena infilata in bocca. “Vivi quasi tutte le sante notti tappato in quei buchi bui e rumorosi…”

BJ prese un sorso di cioccolata, leccandosi via i residui di panna dalle labbra.

“Dai, Bee, solo un paio d’ore! Portati qualcuno, se vuoi, pago io.”

Le due parole magiche ed onnipotenti.

Vibeke depose momentaneamente l’ascia di guerra per concedersi una riflessione veloce: effettivamente, dopo la tragicomica conclusione di quel dannato party, un paio di settimane prima, non era uscita granché, la sera, e doveva ammettere di aver voglia di vedere una certa persona.

“Va bene,” acconsentì infine. “Chiamo Niek, sento cosa ne pensa e poi vediamo.”

“Siete ancora in fase ‘mi piaci ma non voglio prendermi impegni seri’?” indagò BJ, raccogliendo l’ultimo biscotto dal piattino, le gambe allungate sulla sedia che gli stava di fronte. “Insomma, da quant’è che vi vedete? Un mese? Sei settimane?”

Vibeke vuotò l’ultimo goccio di latte dalla propria tazza e si alzò in piedi, la maglietta viola oversize firmata Metallica, che usava come pigiama e ricordava un po’ quelle di Tom, le ricadde mollemente sulle gambe nude.

“Tieni il tuo bel nasino fuori dai miei affari di cuore,” lo avvertì, puntandogli contro il cucchiaio, diretta al lavello. “Io non interferisco con te, tu non interferisci con me. Patti chiari, amicizia lunga.”

“Segui questa filosofia anche in amore e un giorno avrai un matrimonio perfetto!” fece lui, sollevando i pollici.

Vibeke preferì ignorarlo.

Era la prima giornata di sole dopo giorni e giorni di piogge incessanti, non voleva certo rovinarsi il buonumore con una bella discussione sull’amore con BJ. Anche perché, su un piano pratico, lui sbaragliava ogni concorrenza.

“A che ora pensi di uscire?” gli domandò, mentre faceva scendere l’acqua calda per lavare le stoviglie.

Sentì BJ stiracchiarsi con la sua solita serie di suoni gutturali affatto eleganti.

“Undici?”

“Quindi saremo là non prima di mezzanotte.”

Lui si mise a fare l’offeso.

“Se tu e Niek avete esposti contro i miei orari, potete rivolgermeli tramite il mio avvocato.”

Ovviamente.

 

***

 

“Ricordatemi perché siamo qui.” Disse Georg, guardandosi intorno con aria diffidente.

A Bill non sarebbe dispiaciuto essere in grado di rispondergli.

Tom li aveva trascinati in quel locale per vip senza sprecarsi in delucidazioni. Aveva semplicemente insistito, dicendo non se ne sarebbero pentiti, e loro avevano dovuto cedere, se non per pietà, per amor proprio. Quando Tom decideva di mettere in piedi una tragedia greca in proprio favore, l’unica cosa che si poteva fare per fermarlo era cedere.

In quello, Bill doveva riconoscere che erano perfettamente identici.

Si guardò attorno, un po’ spaesato: era un posto scarsamente illuminato, pieno di gente palesemente danarosa e desiderosa di divertimento che Bill dubitava avrebbero trovato là dentro.

L’Immortal era allocato in un gigantesco superattico in cima ad un grattacielo di uffici che di giorno era un viavai continuo di impiegati frenetici, ma che di notte si trasformava nel ritrovo più in delle celebrità di Amburgo.

L’arredamento era all’avanguardia, anche se ingentilito da dettagli naturalistici: non c’erano tavolini, ma grossi cubi metallici attorniati da pouf della medesima forma, bianchi e neri. Le pareti erano immensi vetri che offrivano una vista spettacolare sul centro by night, mentre il pavimento era costituito da lastre quadrate di plexiglass che permettevano di vedere al di sotto, dov’era stato ricreato una specie di giardino zen incredibilmente esteso, illuminato da faretti bianchi. Soltanto quel dettaglio doveva essere costato diverse migliaia di euro.

Tom si era volatilizzato in un istante poco dopo che erano entrati, e li aveva piantati lì come degli stoccafissi senza mezza sillaba.

Che cazzo gli passerà mai per la testa a quel cretino…

“Perché il nostro caro Tomi vuole sfruttare la sua licenza di caccia.” Rispose Gustav, scansandosi per non farsi travolgere da un gruppo di donne decisamente alticce che stavano dirigendosi al bancone.

Faceva un caldo tremendo e la musica non era del genere che Bill avrebbe richiesto per godersi una serata. Rumore, più che musica vera e propria.

“Hey, ma quello non è il fratello di Vibeke?”

Bill seguì la direzione in cui Georg stava guardando e notò che, poco distante da loro, attorniato da un nugolo di persone che lo stavano lentamente mettendo con le spalle al muro, tale era l’entusiasmo con cui gli si rivolgevano, c’era BJ, che si guardava intorno non troppo spaesato.

Anche Bill e i ragazzi, ad essere sinceri, erano stati accolti da un certo interesse. Molti si erano voltati quando erano entrati, ed altrettanti li avevano salutati, pur non avendo mai nemmeno parlato con loro, ma le cose funzionavano così, tra la gente famosa: conoscersi di vista era come conoscersi di persona.

BJ si accorse di loro e parve lieto di avere una scusa per congedarsi da tutta quelle gente asfissiante. Si liberò da un paio di ragazze che Bill era certo di aver visto come soubrette in qualche trasmissione televisiva, zigzagò tra un gruppetto di simil-modelle che non mancarono di mangiarselo con gli occhi e si diresse verso di loro, un lungo bicchiere di birra in mano.

Bill si chiedeva come lui e Vibeke potessero essere non solo fratelli, ma addirittura gemelli.

Forse con qualche chilo di metallo in meno, una bella struccatina al viso e i capelli biondi, Vibeke avrebbe anche potuto somigliargli, ma a vederli – lei perennemente vestita di nero, lui, al momento, in abiti casual-trendy bianchi e beige – sembravano provenire da mondi differenti.

BJ era il tipo di ragazzo che, a livelli estetici, riusciva a fermare una donna per strada semplicemente passandole accanto, ma Bill sapeva che era soprattutto il suo carisma a renderlo così irresistibile, non solo al gentil sesso, ma a chiunque lo conoscesse.

Era quando incontrava ragazzi come quello che si domandava fino a che punto convenisse giurare eterna fedeltà all’eterosessualità.

Non si sentiva gay. Benché fosse di pubblica convinzione l’esatto contrario, gli uomini non gli risultavano granché attraenti, ma, cazzo, per uno così ci avrebbe anche fatto un pensierino.

“Heylà!” li salutò BJ, una volta raggiuntili. Sorrise, e per un istante fu esattamente identico a Vibeke. Bill ne restò molto colpito, tanto da lasciarsi cogliere in flagrante mentre lo fissava sbalordito, ma BJ doveva esserci abituato e non fece altro che rimarcare il proprio sorriso.

“Ciao!” risposero Georg e Gustav in coro.

“Siete venuti a portare un po’ di vita?” chiese BJ, guardandosi intorno. “Stasera è un mortorio.”

A differenza di Vibeke, il cui tedesco era assolutamente perfetto, lui aveva una leggerissima inflessione – quasi trascurabile, se ignoravi che non fosse madrelingua – una specie di lieve arrotolamento della r che poteva benissimo essere scambiato per un difetto di pronuncia, piuttosto che essere riconosciuto come un accento.

“Più che altro ho un fratello che sa come esercitare pressioni.” Mugugnò Bill, soffiandosi un ciuffo di capelli via dal viso. BJ rise di gusto.

Si scambiarono i soliti convenevoli – lavoro, salute, reminiscenze comiche dell’ultima (e prima) volta che si erano visti – e si fecero quattro risate alle spalle di un paio di donne decisamente attempate che si stavano pavoneggiando in pista in modo piuttosto ridicolo, poi ordinarono da bere e si sistemarono in un angolo poco affollato con i rispettivi drink.

“Che combinazione trovarsi qui, però,” osservò BJ, ad un certo punto. “Vibeke dice che non amate particolarmente questo posto.”

“Effettivamente no,” rispose Gustav. “Ma Tom stava praticamente morendo, a casa, e ci ha impietositi.”

“Non che ora non ce ne siamo pentiti.” Precisò Georg, dopo un sorso di tequila.

Si erano seduti su quelle bizzarre poltroncine cubiche e di Tom ancora nessuna traccia. Bill suppose che avesse trovato una gonnella – e piuttosto corta – a cui attaccarsi.

“A proposito,” disse, rivolgendosi a BJ. “Sei qui da solo?”

“Oh, no,” rispose lui, gioviale. “C’è mia sorella da qualche parte, probabilmente scazzata come non mai. Non le piacciono questi locali frenetici, ma anche lei ha un fratello che sa come esercitare pressioni.”

Bill non ne dubitava. Vibeke sembrava più il tipo che preferiva chiudersi in qualche bar poco frequentato, o farsi quattro passi lungo il fiume, piuttosto che andare a ballare in un posto così. Un po’ come Gustav, insomma.

“Usi anche tu l’infallibile attacco ‘Rottura Di Coglioni’ come Tom?” domandò Georg in tono canzonatorio.

BJ rispose con una risata.

“No, solo due semplici ed innocui mezzi di persuasione: offro io e Niek.”

Bill batté le ciglia e guardò gli altri confuso.

“Chi sarebbe Niek?”

Un lieve ghigno comparve sulla bocca di BJ.

 

***

 

La serata non stava andando come previsto. Tom aveva insistito per andare all’Immortal perché sperava di rimediare una bella ragazza facile che gli potesse ravvivare la notte, ma non ne aveva ancora trovata una di proprio gusto.

Se ne stava con una spalla appoggiata al muro a guardare la gente che ballava in pista: quel club pullulava di belle ragazze facili, eppure non si sentiva veramente stimolato da nessuna di loro.

La settimana era stata tranquilla, priva di eventi degni di nota, a parte le regolari incursioni di Vibeke nell’appartamento e i vari improperi che lui e lei si scambiavano ormai con la stessa naturalezza con cui i comuni mortali discorrevano del tempo.

Ad un tratto scorse qualcuno nella folla che per un attimo gli fece venire un colpo, ma poi dovette ricredersi.

Nah, non può essere lei, si convinse, dopo aver studiato meglio quella ragazza alta e pallida dai lunghi capelli neri. E poi vestita così… Figuriamoci!

La ragazza in questione somigliava in modo impressionante a Vibeke, ma non c’erano ciocche bianche tra i suoi capelli e quel miniabito color pesca proprio non ce lo vedeva addosso a quella sgraziata di Vi, così come i tacchi a spillo, del resto.

Ci mancherebbe solo di ritrovarmela tra i coglioni anche nei weekend…

Aveva tentato di protestare contro la sfacciataggine e le eccessive libertà che si concedeva Vibeke, e lo aveva fatto sia con i ragazzi che con Benjamin e David, ma non c’era stato verso: piaceva a tutti, perfino a Bill, anche se la cosa non sembrava affatto reciproca.

“Magari ti farà bene rapportarti con qualcuno del tuo calibro,” Era stata la perentoria risposta di David. “Gli altri ne sono entusiasti, adattati.”

Il nervosismo che tornava a ribollirgli nelle vene, Tom si voltò per andarsene, ma andò a sbattere contro qualcuno.

“Hey, sta’ un po’ attento!”

Una voce familiare.

Troppo familiare.

“Vi!” esclamò, massaggiandosi la fonte. “Che cazzo ci fai qui?”

Di fronte a lui, Vibeke si lisciò addosso il vestito di velluto nero ricamato di rosso.

“Che cazzo ci fai qui tu!” ribatté secca. “Hai sempre lapidato verbalmente questo locale.”

Prima che Tom potesse a sua volta ribattere, accanto a lei una ragazza si schiarì la gola.

Era molto bella, notò subito lui, più bassa di Vibeke e molto sottile, con dei bei capelli ricci e ramati, e un paio di sensuali occhi scuri.

“Io vado a ballare,” disse a Vibeke, con un sorriso che Tom giudicò stranamente lascivo. “Ci vediamo dopo.” Se ne andò verso la pista ancheggiando vistosamente, la minigonna di jeans scandalosamente attillata.

“Quella chi è?” domandò, interessato.

“Moniek, la ragazza con cui esco.”

Tom annuì senza scollare gli occhi di dosso al retro di Moniek.

“Siete qui per rimorchiare?”

Vibeke allungò una mano per afferrargli il mento e farsi guardare in faccia.

“Forse non mi sono spiegata,” disse con un mezzo sorriso inquietante. “Io esco assieme a lei, nel senso che è lei che ho rimorchiato.”

Cosa?!

Tom si fregiava di essere mentalmente molto aperto, nonché altamente tollerante – se non addirittura favorevole – verso certe inclinazioni sessuali, ma lo shock di quella rivelazione gli fu più arduo da mandare giù rispetto ad ogni possibile previsione.

Per di più, che ci faceva una ragazza così femminile con un’accozzaglia di stranezze come Vi?

“Lei sarebbe… La tua ragazza?” Persino domandarlo gli sembrava inverosimile. Vibeke, invece, sembrava perfettamente a proprio agio.

“In un modo molto libero e disimpegnato.” Gli rispose disinvolta.

“Sei lesbica?”

Tom si disse che avrebbe dovuto arrivarci da solo. Una ragazza – di qualunque età e gusti – che frequentava abitualmente i Tokio Hotel e non dava segni (o quasi) di sentirsi spasmodicamente attratta da almeno uno di loro, non poteva che essere dell’altra sponda.

“Cosa te ne importa?” fece Vibeke, scrutandolo sottecchi.

Tom emise una risata sarcastica.

“Un bel niente, figuriamoci!” Poi gli venne in mente una cosa, qualcosa che lei aveva detto qualche giorno prima. “Era questo che intendevi quando dicevi che non mi trovi interessante?”

“No, intendevo precisamente quello che ho detto: non mi piacciono i palloni gonfiati.”

“A giudicare dagli airbag frontali della tua Moniek, si direbbe il contrario.” Replicò Tom, occhieggiando la ragazza in questione, che ballava in mezzo alla pista, circondata da diversi ragazzi.

“Non attacca, Kaulitz,” l’avvertì Vibeke. “Sono qui per divertirmi, e nemmeno la tua indesiderata presenza mi rovinerà la serata.”

Dolce come fiele, affabile come un cobra nevrotico. Sempre la solita Vibeke.

“Come mai non balli?”

“Non è mia abitudine mettermi in ridicolo in pubblico.”

“Abbiamo qualcosa in comune, incredibile!”

“Sei venuto appositamente per darmi noia?”

Stavo per porti la stessa identica domanda.

“Credimi,” le assicurò. “Se avessi saputo che c’eri tu, piuttosto sarei andato ad una seduta di lettura della Bibbia.”

Le gli scoccò un’occhiatina sprezzante.

“Cosa ne dici di andare a cercare un buco in cui infilarti fino a domani mattina?” suggerì. “Scegli tu se in senso letterale o figurato.”

Questa era buona, Tom lo doveva ammettere (ma sicuramente non con lei).

“Sei un’ode vivente alla finezza femminile, lo sai?”

“Cosa ne sai di finezza femminile, tu che vivi di volgari sgualdrine che hanno visto più uccelli di un cesso pubblico?”

“Parli come uno scaricatore di porto.”

“Ti pareva che se questi due si beccavano, non ci davano dentro con le manifestazioni di affetto reciproco.”

La voce di Georg li fece voltare verso i tre scalini che conducevano al livello inferiore: lui e Gustav erano spuntati dal nulla, ciascuno con un drink in mano, e stavano avvicinando sghignazzanti.

“Dove avete mollato Bill?” inquisì Tom, immediatamente allarmato. Bill da solo in un locale simile era come un bambino lasciato solo allo zoo: non si poteva mai dire in che grinfie poteva capitare.

“Tranquillo,” lo rassicurò Gustav. “Abbiamo incontrato BJ, è rimasto con lui.”

Tom tirò un sospiro di sollievo. Quel ragazzo gli piaceva, avevano molto in comune, e, per quel poco che lo conosceva, riteneva che potesse essere una buona compagnia per Bill: se suo fratello non voleva imparare l’arte e il piacere della seduzione da lui, sicuramente BJ avrebbe potuto essere un buon esempio alternativo.

“Cos’avete preso?” domandò indicando i due bicchieri, pieni per metà di un cocktail rossastro. Faceva caldo, cominciava ad avvertire una certa sete.

“Non mi ricordo come si chiama, aveva un nome strano,” Gustav gli mostrò il drink. “Ma è davvero buono.”

Tom sospirò impaziente.

“E se io per caso ne volessi uno?”

Georg e Gustav si guardarono significativamente, ma nessuno dei due disse o fece nulla.

“D’accordo, ci penso io,” cedette Gustav alla fine. Fece un cenno a Tom di seguirlo. “Andiamo, e speriamo di sopravvivere alla ressa.”

“Vi aspettiamo seduti qui.” Gli comunicò Georg, indicando uno dei tavolini liberi lì nei paraggi.

Tom gli fece ‘okay’ con la mano e si avviò dietro a Gustav su per gli scalini, verso il bancone, ben lieto che ci fosse qualche altro martire a sorbirsi la strega la posto suo.

 

***

 

Vibeke trovava la compagnia di Georg nettamente più piacevole di quella di Tom, probabilmente per via del fatto che lui riuscisse a rivolgerle la parola senza infilarci in mezzo insulti misti o che potesse chiacchierare con lei in modo spontaneo e, addirittura, a sorriderle.

Gustav di solito sorrideva, con quella sua stupenda timidezza sempre in agguato, ma aveva una certa reticenza alla conversazione (e non era necessariamente un difetto), mentre Bill aveva scorte inesauribili di logorrea che non si stancava mai di usare (anche se una tregua, di tanto in tanto, sarebbe stata cosa gradita a tutti quanti), ma di sorrisi veri e propri, almeno per lei, ne aveva pochi.

Tom… Be’, Tom era Tom.

“Tu e i gemelli non andate molto d’accordo, vero?” esordì Georg ad un tratto, facendo roteare i residui del proprio cocktail dentro al bicchiere.

Vibeke gli scoccò un’occhiata obliqua.

“Però, che acume, Hagen!”

“Chiamami così ancora una volta e ti faccio licenziare.” La ammonì, additandola con fare minaccioso.

“Hagen, Hagen, Hagen!”

“Smettila di abbaiare, hai un bel collare, ma non sei mica un cane.”

Lei si portò istintivamente una mano al girocollo di borchie e prese a giocherellarci con le unghie, senza preoccuparsi di non rovinare lo smalto nero.

“Meglio cane che essere umano.”

Georg fece un grave cenno di assenso con la testa.

“Non posso darti torto.”

“Bah,” Una smorfia contrariata deformò la bocca di Vibeke. “Non si riesce nemmeno a litigare con te, non c’è gusto.”

“La pazienza è la mia più grande virtù.” Dichiarò lui, con un’alzata di sopracciglio, una di quelle che Vibeke aveva imparato a riconoscere e classificare come ‘altamente ormonifere’. Lui e Bill erano i due maestri in quell’arte, ormai era scientificamente appurato. Si era addirittura guardata un paio di interviste e aveva studiato il linguaggio del corpo dei ragazzi: Bill era il più espressivo, il suo viso era sempre uno specchio perfetto dei suoi stati d’animo; Tom gesticolava tantissimo e giocava molto di sguardi; Gustav era il più impassibile e serio, mentre Georg univa la gestualità ad una commistione di sguardi, sorrisi ed espressioni, cosa che al momento la stava inaspettatamente facendo faticare per restare concentrata sul discorso.

Era la prima volta che le capitava di parlare a quattr’occhi con lui.

“Cioè niente sfuriate e imprecazioni?” esclamò, incuriosita. “Niente litigate con quel selvaggio del Baggy Kaulitz?”

“Ho parlato di pazienza, non di santità.” Rise lui.

“Volevo ben dire,” si rallegrò lei. “E con la principessa e Gud?”

“Intendi se litighiamo?”

“No, se siete soliti lavorare a maglia prima di cena.”

Georg rise di nuovo. Non portava la coda, quella sera, e il verde petrolio della maglietta gli donava parecchio.

“Con Bill litigare è ordinaria amministrazione per tutti quanti,” le raccontò. “Ci diamo addosso praticamente ogni giorno. Con Gustav è raro che io litighi, più che altro perché siamo sempre stati molto trasparenti l’uno verso l’altro. Ma quando capitano le rare volte, vengono giù i muri.”

Vibeke annuì. Si infilò una mano nella piccola borsetta a forma di lapide che teneva a tracolla e ne estrasse il pacchetto di Silk Cut ed il suo vecchio accendino di metallo, rubato a suo padre diversi anni prima e mai restituito.

“So cosa intendi.” Gli disse, mentre si accendeva una sigaretta. Uno dei pregi dell’Immortal era che, nonostante il divieto di fumo nei locali pubblici, disponeva di un’area fumatori che comprendeva praticamente l’intero spazio. Stando a BJ, la stragrande maggioranza dei clienti abituali fumava come una ciminiera e la restante minoranza non se ne curava, inoltre l’esclusività del club lo faceva godere di una sorta di tacita immunità per quanto riguardava certi particolari, perciò sostanzialmente era zona franca, legalmente parlando.

“Dovresti smettere di fumare, lo sai?” Georg la osservava con disappunto. “Con questi ritmi, rischi seriamente un cancro.”

Vibeke sapeva che era stato anche lui un fumatore, un tempo, ma di recente aveva deciso di smettere, e così era stato.

“Sì, lo so,” ammise, senza guardarlo. “Ho cominciato per quello.”

Si era aspettata la breve pausa di stupore di Georg, così come se ne aspettava altre, se il dialogo fosse continuato su quella scia.

“Per farti venire il cancro?” le chiese, stranito. Lei alzò le spalle.

“Sì,” Riconobbe. Non aveva mai avuto problemi a parlare del proprio passato non esattamente felice. “Ero una ragazzina sola e depressa, e non avevo nemmeno le palle per tagliarmi le vene. Ho sempre avuto una bassissima soglia di sopportazione del dolore. Così mi sono detta: ‘Il cancro sarebbe l’ideale. Se sono fortunata in un anno mi fa fuori’. E ho preso a fumare.”

“Vuoi ancora morire?”

“No, ma quando ho cambiato idea, ormai ero completamente dipendente.”

“Non è mai troppo tardi per smettere.”

Vibeke non cercò di evitare una risatina cinica. Il fatto che lui ci fosse riuscito, non significava che tutti potessero liberarsi da una dipendenza come la nicotina. E comunque a lei non importava.

“La forza di volontà non è mai stato un mio tratto distintivo.” Gli rivelò serenamente.

“Ah no?” Due riccioli beffardi allungarono gli angoli delle labbra di Georg. “E come ci sei arrivata fin qui?”

Lei sorrise a sua volta, ma con modestia. Non aveva alcun merito personale per essere finita lì, a lavorare per loro, era stato tutto dovuto ad una serie di fortunate coincidenze, l’amicizia tra BJ e Benjamin per prima.

“Un’immane botta di culo, direi.”

“Secondo me invece tu ce l’hai eccome la forza di volontà, è solo che trovi più comodo fare finta di niente e andare avanti così.”

“Cosa ne vuoi sapere tu di quello che trovo comodo o meno?”

“So quello che è comodo per me,” disse lui semplicemente. “E se l’esperienza di Bill alle corde vocali non mi ci avesse fatto sbattere il naso, avrei fatto come te: avrei ignorato pigramente il problema e tirato dritto per la mia empia strada.”

Vibeke incrociò le braccia e finse di indignarsi.

“Mi stai dando della pigra immatura, per caso?”

“Esattamente.”

Lei emise una risata roca e spense il mozzicone nel posacenere.

“Sei un bel tipo, Hagen,” gli disse. “Avevo sottovalutato quello che hai sotto quei muscoli.”

Georg le regalò un ulteriore esempio di espressione altamente ormonifera, stiracchiando nuovamente le labbra in quel modo audace.

“È un tuo modo criptico di fare i complimenti?”

“Vedi tu.” Rispose lei, senza metterci nemmeno un’ombra di ironia.

Era un complimento – eccome se lo era – ma non era sicura di volere che lui lo sapesse. Non poteva negare di sentirsi attratta da lui.

Era affascinata dalla matura superiorità con cui era solito rispondere alle infantili provocazioni di Tom, dal suo autocontrollo e dai suoi modi diretti.

“Non saprei,” rifletté Georg, sfregandosi il mento pensoso. “Ne fai così pochi, che non ho idea di come individuarli… O forse i tuoi complimenti in genere sono travestiti da insulti, e Tom è in realtà il tuo gran favorito…”

Vibeke restò un attimo basita.

È una battuta, vero?

“Avvisami quando torni coi piedi per terra.” Fu la sua secca risposta, che però non impressionò Georg.

“Dovresti fare un piccolo sforzo e mettere da parte i pregiudizi che ti sei fatta su lui e Bill,” disse, facendosi serio. “Secondo me scopriresti di avere un po’ torto nell’opinione che hai di loro. Siete molto simili, alla fine…”

“E in cosa, di grazia?”

“Bill è una primadonna, e, ti piaccia o no, lo sei anche tu. E non sopporti Tom perché siete uno più cocciuto dell’altra ed incredibilmente egocentrici.”

“Stai di nuovo cercando di offendermi?”

Lui negò placidamente.

“Ti dico come stanno le cose.”

“Sei troppo saccente, Hagen,” commentò lei, pur trovando un fondo di verità nelle sue parole. “Non mi piaci.”

Era una bugia, una bugia bella e buona, perché lui le piaceva, e non poco, ma non doveva venirlo a sapere. Era, dei quattro, il più vicino a lei in età, e tra loro si era rapidamente creata una sintonia di pensiero piuttosto buona. Andavano molto d’accordo, su quello non ci pioveva.

“C’è qualcuno che ti piace a questo mondo?” si interrogò Georg.

“Gud mi piace un sacco.” Affermò Vibeke.

“Dì pure che lo adori.”

“Sì, lo adoro.”

Effettivamente Gustav la aveva fin da subito conquistata, accaparrandosi all’istante una generosa fetta delle sue simpatie. Stravedeva per lui e per i suoi splendidi occhioni da cerbiatto, per i suoi mezzi bronci involontari e il modo delizioso in cui gridava dietro a Tom certe volte.

Era vero, adorava Gustav con tutta se stessa, ma Georg era tutto un altro paio di maniche.

“Comunque Gustav non conta.”

Vibeke ci impiegò un momento a riemergere dai propri pensieri e riattivare il contatto con la vita reale.

“Cosa? Non dire cazzate, certo che conta!”

Ma la testa di Georg diceva di no.

“Lui piace a tutti.” Replicò salacemente, con uno scintillio arguto nello sguardo. “È praticamente il ragazzo ideale.”

“Concordo.”

Georg sorrise malizioso.

“Davvero?”

Vibeke annusò odore di perdita di controllo imminente.

Quegli occhi così dannatamente verdi ed ipnotizzanti le stavano facendo perdere il filo del discorso, e questo non le piaceva. O meglio, le piaceva, ma proprio per questo la preoccupava non poco.

C’era qualcosa in quel sorriso a stento accennato che le impediva a tutti i costi di guardare altrove. Lei ci provava, ma qualcosa non funzionava nel suo cervello, che si rifiutava di trasmettere ai muscoli la volontà di muoversi a suo comando.

Era ridicolo. Assolutamente ridicolo.

Era prigioniera di due cazzo di occhi verdi.

Ripigliati, deficiente!, si esortò, furiosa con se stessa per quella patetica reazione da adolescente svalvolata.

Erano già passati diversi secondi quando si rese conto di stare trattenendo il respiro, e ce ne vollero un altro paio perché i suoi polmoni afferrassero la logica schiacciante del binomio respira-vivi.

“Sì,” Si obbligò a rispondere. “Dolce, sensibile, gentile, rispettoso… L’esatto opposto di Kaulitz.”

Georg posò il bicchiere al centro del basso tavolino cubico e si appoggiò con i gomiti alle proprie ginocchia.

“Lo sai qual è il problema tra te e Tom?” disse, retorico.

“No,” disse lei. ”Ma ho come la sensazione che tu stia per illuminarmi.”

“Vedi, voi due siete drasticamente uguali, in tutto e per tutto, tranne che per una cosa: Tom deve farsi vedere a tutti i costi, avere un impatto forte sulle persone, vuole che lo prendano in considerazione. Se per amarlo o odiarlo, a lui non importa, lui vuole solo non restare indifferente. Tu, da questo punto di vista, sei l’esatto opposto: ti nascondi, scappi, tieni la gente emotivamente lontana, fai di tutto per non lasciare impronte,” Vibeke non riusciva a credere che in nemmeno tre settimane che si conoscevano lui fosse riuscito a capire tanto di lei. “L’indifferenza che Tom rifugge, tu la cerchi, la desideri a livelli quasi patologici.”

“Accidenti, avresti avuto un brillante futuro da psicologo,” lo prese in giro, sperando di non dare a vedere quanto fosse sinceramente impressionata. “Altro che fenomeno Tokio Hotel…”

Georg però non raccolse la provocazione e proseguì nella sua analisi dettagliata di un problema che a Vibeke interessava ben poco risolvere.

“È per questo che vi accanite tanto l’uno contro l’altra,” concluse. “Non riuscite a capirvi. Siete così identici nella maggior parte delle cose che, nel momento in cui questa vostra differenza emerge, fate scintille.”

“Cos’è che fa scintille?” chiese la voce invadente di Tom accanto a loro. Vibeke non si era resa conto che lui e Gustav si fossero avvicinati, di ritorno dal bancone. Tom teneva in mano un bicchiere colmo dello stesso liquido rossastro di quelli di Georg e Gustav.

“Lo squilibrio elettrostatico tra i tuoi livelli di presunzione e il tuo quoziente intellettivo.” Gli rispose amabilmente, mentre, in mezzo al caos della musica e del vocio della gente, si sentì una debolissima melodia provenire da qualche parte vicino a loro, una canzone dei Tokio Hotel, se Vibeke non ricordava male. La voce, perlomeno, sembrava proprio quella di Bill, anche se il tempo di reazione di Georg per recuperare il proprio cellulare dalla tasca posteriore dei jeans fu talmente immediato da far venire da chiedersi se non stesse aspettando quella chiamata, e anche con una discreta urgenza.

“Scusate.” Disse frettolosamente, e si diresse rapidamente verso la veranda semideserta.

“Noi torniamo da Bill!” gli urlò Tom, e lui gli diede l’okay con il pollice.

Vibeke lo seguì con lo sguardo fino a che non scomparve dal suo campo visivo.

“Ma cos’ha?” Domandò sospettosa, mentre si avviavano verso il lato opposto del locale. “Sono giorni che sembra in fibrillazione costante. Ha la testa chissà dove, salta su appena squilla il telefono e poi ci resta attaccato delle ore…”

“Oh, non è niente, tranquilla,” disse Gustav. “È che tra un paio di giorni arriva Nicole.”

“Nicole? La groupie?”

“La sua ragazza.”

Per Vibeke fu più o meno l’equivalente di un pugno ben assestato.

Ha una ragazza, si ripeté, sforzandosi di metabolizzarlo. Certo che ha una ragazza, è fatto apposta per avere una ragazza, è ovvio che abbia una ragazza.

Nicole. Lo trovava un nome melenso e snob, adatto ad una principessina d’alta borghesia viziata e coccolata dalla sua bella famigliola felice. Già se la vedeva questa bionda mozzafiato, tutta abiti griffati e nasino all’insù, che ancheggiava maliziosa e felina davanti ad un Georg succube ed inebetito. Bastava essere una sventola sexy, anche se acefala, per far perdere la testa ad un uomo, e la cosa più squallida era che loro ci cascavano come pere avariate.

Eppure era strano: aveva riordinato la stanza di Georg svariate volte, da cima a fondo, e non ricordava di aver mai visto segni di un’ipotetica ragazza. Si sarebbe aspettata almeno una foto, o qualunque indizio che facesse pensare a una presenza femminile nella sua vita, e invece niente.

Ma forse…

Le sovvenne che c’era una di quelle costosissime cornici digitali, sul comodino, grossa quanto un foglio da disegno. Non l’aveva mai vista accesa, lo schermo era sempre rimasto spento, almeno per quel che ne sapeva lei, però forse a Georg non piaceva lasciarla andare a vuoto, forse la accendeva solo quando c’era lui nella stanza.

Vibeke sentì un forte, irrazionalissimo impulso di correre a casa Tokio Hotel e vedere quali fotografie contenesse la memoria di quella cornice, ma non lo avrebbe mai fatto, lo sapeva benissimo. Essendo lei stessa una gelosissima sostenitrice dell’assoluto rispetto della privacy, non si sarebbe mai sognata di essere così scorretta nei confronti di una persona che rispettava tanto.

Chissà se quella Nicole ha almeno una vaga idea di quanto sia fortunata…

 

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Note: come sempre, ringraziate Muny_4Ever (da cui mi aspetto una signora recensione, visto il grosso favore che le ho concesso XD) per la celere pubblicazione di questo capitolo (il cui titolo, nemmeno a dirlo, è tratto da quello di una canzone dei miei amatissimi Within Temptation)ed _Ellie_ per avergli dato una lettura preventiva. Come avrete notato, questo è un capitolo decisamente più interessante e denso di rivelazioni del precedente, perciò ha lasciato diversi spunti su cui arrovellarsi. ;) In caso qualcuno avesse dubbi, il nome della 'ragazza' di Vi si legge 'Monik', e quindi la versione abbreviata si legge 'Nik'.
Ringrazio per l’ennesima volta lettori e commentatori e rinnovo, come mio solito, l’invito a lasciare una recensione, che fa sempre piacere (soprattutto quelle infinite di certi soggetti ^^). Vi lascio, con la speranza che abbiate gradito anche le varie ‘stranezze’ appena emerse.

Alla prossima!

P.S.: siccome qualcuno l'ha richiesto, ecco a voi BJ Wolner (immaginatelo così, ma con i capelli lunghi e la coda ^^)!

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Capitolo 5
*** Just A Mere Mirror ***


Gustav era psicologicamente pronto per commettere il suo primo, glorioso omicidio, e non gli importava se in seguito a quello si sarebbe ritrovato senza un lavoro a mendicare per strada, e nemmeno se avrebbe ricevuto tormenti inumani da parte di Bill come contrappasso.

Voleva uccidere Tom, e di questo passo lo avrebbe fatto veramente.

“Lo sapeva che quella giacca mi serve, perché cazzo l’ha portata in tintoria proprio adesso?” stava sbraitando il soggetto in questione, andandosene in giro per l’appartamento a torso nudo, sbattendo porte e oggetti, seminando il caos ovunque passasse. Ovviamente era incavolato nero con Vibeke. “Lo fa apposta, cazzo! Gode nel farmi imbestialire!” Un calcio al divano, su cui peraltro sedeva un indifferente Bill, dedito ai cruciverba. “E voi dovreste essere dalla mia parte, cazzo!”

Gustav si aggiustò gli occhiali sul naso, inspirando per mantenere l’ultimo residuo di autocontrollo sopravvissuto in lui.

Ci fosse stato Georg, lo avrebbe messo a tacere con una bella sfuriata delle loro, una di quelle litigate rocambolesche che svegliavano anche l’Australia, ma, sfortunatamente, Georg si trovava a Lipsia, per andare a prendere Nicole ed Emily, lasciando Gustav e Bill in balia delle inarginabili battaglie tra Tom e Vibeke, la quale però, quel pomeriggio, passando a controllare cosa andasse comprato per la spesa, era parsa più quieta e remissiva del solito.

“Tom, quella dannata giacca era macchiata,” bofonchiò Bill, sorseggiando il suo succo d’arancia con una cannuccia. “Te l’avevo detto che era una pessima idea metterla per un’intervista all’aperto, ma tu sei la solita testa di cazzo e non mi dai mai retta, perciò ora chiudi il becco e piantala di fare tutto questo casino, grazie.”

Tom gli rispose con un gioiello del suo vasto repertorio di insulti e se ne andò sbattendo l’ennesima porta. Gustav, dal canto suo, era sicuramente dalla parte di Bill.

Avevano avuto quell’intervista per Viva, quella mattina, e l’avevano fatta in una specie di giardino botanico fuori città. Le numerose pozze di fango che vi avevano trovato erano state previste, ma Tom si era intestardito a voler indossare la sua giacca preferita, così, a intervista terminata, quando si erano fermati con la ressa di fans per gli autografi, si era ritrovato con degli schizzi di fango di provenienza ignota sulla schiena.

Il bello era che era stato lui in persona a esigere che Vibeke facesse sparire quello sporco, quindi Gustav non vedeva il motivo di tanto accanimento. Del resto aveva detto ‘al più presto’, non ‘entro stasera’.

“Da quando è arrivata Vibeke, è peggio del solito.” Osservò Bill, seccato.

“Già,” concordò Gustav. “Mi chiedo se anche lei dia il suo meglio quando c’è lui, o se è così con tutti.”

“O se può essere peggio.” Ridacchiò Bill.

Seguì un breve silenzio, durante il quale Gustav ripensò ad un Tom sconvolto che raccontava che Vibeke aveva una ragazza e che la ragazza in questione era un bocconcino davvero niente male. Non poteva certo dire di non esserci rimasto di sasso.

“Tu te l’aspettavi che fosse lesbica?”

Bill increspò la fronte nel sollevare la testa per abbandonare momentaneamente la compilazione delle caselle.

“Non è che me l’aspettassi,” sostenne. “Ma diciamo che non mi stupisce. Voglio dire, l’aria ce l’ha, no?”

Gustav batté le ciglia scettico.

Che diamine vuol dire? Che ‘aria’ ha una lesbica?

“Se lo dici tu.”

“O magari è bisex.” Aggiunse Bill, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita. Gustav non capiva come facesse a stare seduto in quella posizione, sdraiato su un lato e appoggiato ad un gomito, un ginocchio piegato all’aria. Sembrava tutto fuorché comodo.

“O magari voleva solo prendere per il culo Tom.” Suppose, trovandola un’ipotesi molto credibile. In fondo prendere per i fondelli Tom non era forse l’hobby preferito di Vibeke?

“Si comporta in modo strano, ultimamente, non trovi?” rifletté Bill, succhiando il tappo della penna.

“Tom?”

“Sì.”

“Ti riferisci alla sua nuova, brillante abitudine di prendere a calci qualunque cosa gli capiti sotto tiro?”

Bill finalmente si tirò su e si mise a gambe incrociate, la schiena contro i cuscini.

“Sono due settimane che non si fa vedere con una ragazza,” gli fece notare. “L’altra sera all’Immortal c’era solo l’imbarazzo della scelta, e lui niente.”

“Aveva la luna di traverso, tutto qui,” razionalizzò Gustav, sempre poco propenso a cercare il pelo nell’uovo. Complicare le cose già complicate non gli piaceva. “Sono sicuro che presto tornerà in sé, non ha tutta questa resistenza.”

“Forse hai ragione,” si arrese Bill, riprendendo il cruciverba. “Mi auguro non esageri con il fai-da-te, nel frattempo. Ho notato che tiene della lingerie nel suo cassetto in bagno.”

Niente di stupefacente. Erano tutti abituati alle stravaganze di Tom, per quanto riguardava i suoi souvenir da prestazione: aveva un intero cassetto colmo di pezzi di intimo di ogni foggia, tessuto e colore, non era poi così strano che avesse cominciato ad accumularne anche in bagno.

“Chi lo sa cosa gli prende…” sospirò Bill, giusto in tempo per farsi sovrapporre dal rumore della porta di ingresso che si apriva, accompagnata dal fresco saluto di Vibeke:

“God kveld, mine kjærer, hvordan går dere?”

Gustav e Bill si scambiarono la solita occhiatina ilare, ma ormai avevano imparato sia il significato della frase che la risposta da dare:

Takk, bare bra!” fecero, in coro, con la stessa intonazione cantilenante di una poesia imparata a memoria.

Lei si avvicinò, le guance e la punta del naso rossi, un basco di lana bianco calcato in testa, avvolta in un lungo cappotto nero e in una voluminosa sciarpa color porpora.

“Si gela, là fuori,” disse, posando i due grossi sacchetti della spesa che aveva in mano. Si tolse basco e guanti, poi il cappotto, e li appoggiò allo schienale del divano occupato da Gustav.

“Si vede.” Ironizzò Bill, mentre lei si strofinava le mani, scossa da un brivido.

Vibeke gli mandò un bacio con un dito medio sollevato e si guardò intorno, come se mancasse qualcosa. E, in effetti, qualcosa mancava.

“Hagen e Kaulitz?”

“Georg è a Lipsia, ricordi?” rispose Bill, e Vibeke si incupì, o questa fu l’impressione che ebbe Gustav nel vederla praticamente strapparsi di dosso la sciarpa, ma durò molto poco, perché quasi subito riacquisì il suo solito fare incurante.

“E la mia spina nel fianco preferita?”

“Di sopra,” rispose Gustav, proprio mentre una serie di tonfi sospetti raggiungevano il piano inferiore. “Credo stia malmenando qualche mobile, o qualcosa del genere.”

“Ah,” Vibeke non parve troppo stupita. Si accostò alla scale e si portò le mani ai lati della bocca. “Ciao, Kaulitz, è tornato il tuo peggiore incubo!”

Un improvviso rumore simile a vetri che si infrangevano li fece sobbalzare tutti. Si sentì un distinto ‘Merda!’ giungere poco dopo.

Gustav lanciò a Bill uno sguardo esortativo, ma questi sollevò le mani in segno difensivo.

“No, scordati che ci vada io, amo troppo vivere.” Chiarì con un tono che non ammetteva repliche. Quando Tom era in quelle condizioni, nemmeno un carro armato avrebbe avuto il coraggio di affrontarlo.

Ma un carro armato non disponeva della determinazione di Vibeke.

“Ci vado io,” si offrì lei. “Voi mettete via la spesa, o i surgelati si sgelano.”

Nessun problema per Gustav: avrebbe messo via un intero supermercato pur di evitare la furia distruttiva di Tom.

Bill si alzò lesto dal divano e corse ad afferrare le borse, trascinandole (perché ovviamente sollevarle gli era fisicamente impossibile) lentamente verso la cucina, evento più unico che raro, per uno scansafatiche come lui.

Come risposta poteva bastare.

 

***

 

Vibeke salì rapidamente le scale e si diresse senza esitazioni verso il bagno, la cui luce accesa palesava la presenza di Tom. Entrò con circospezione, trovandolo di spalle, solo un paio di pantaloni da tuta indosso, chino sul lavandino davanti allo specchio rotto, i cui frammenti erano sparsi sul piano di marmo e sul pavimento.

“Kaulitz, che diavolo hai combinato qui dentro?” esclamò, fissando basita i pezzi di vetro.

“Mi è scappato un pugno contro lo specchio.” Mugugnò lui.

Vibeke si portò le mani ai fianchi, nemmeno lontanamente persuasa.

“Ti è scappato.”

“Proprio così.”

Gli si avvicinò e si accorse che il dorso della mano destra, retta dalla sinistra, perdeva sangue.

“Ti sei tagliato.”

Tom la guardò storto.

“Me n’ero accorto, grazie.” Sbottò.

Vibeke optò per una saggia indifferenza. Si sporse in avanti e tentò di afferrargli la mano ferita.

“Fa’ vedere.”

Lui si ritrasse come se avesse paura di venire bruciato da un eventuale contatto con lei.

“Non mi toccare!”

“Non ti mettere a fare inutili scenate da circo, adesso,” Vibeke riuscì finalmente a prenderlo per il polso. Lui provò a divincolarsi, ma senza successo. “Pensi di riuscire a medicarti da solo? Avanti, siediti e fammi dare un’occhiata.”

Lo costrinse a sedersi sul bordo della grande vasca da bagno, senza mollare la salda presa sul suo polso.

“Mi fai male!” protestò Tom, opponendo resistenza.

Mi fa piacere saperlo, pensò lei.

“Non ti ho detto io di distruggere uno specchio,” precisò con calma, studiando il taglio da vicino. Non sembrava profondo, ma era piuttosto lungo e sicuramente non andava trascurato. “Ora hai sette anni di sfiga che ti aspettano e una bella scheggia conficcata tra le nocche.” Gli comunicò. Si voltò verso e recuperò una pinzetta di metallo da una delle piccole mensole e la accostò alla pelle di Tom.

“Cosa vuoi fare con quella cosa?” chiese lui, sgranando gli occhi in ansia.

“Te la tolgo, no?”

“Non mi infilerai quella roba nella mano!”

“È solo una pinzettina per sopracciglia, tuo fratello la usa tutti i giorni!” sdrammatizzò, mentre lo teneva fermo. “E poi non te la devo infilare da nessuna parte, devo solo riuscire a togliere la scheggia.”

Alla fine Tom si arrese e si ammansì, permettendole di lavorare in pace.

“Se mi fai male ti uccido.” La avvertì con un sibilo.

“A buon rendere.”

Vibeke sistemò la propria posizione, tenendogli la mano ben ferma. Era calda e leggermente umida, i muscoli tesi sotto la sua stretta, e le vene sembravano più in rilievo del solito al di sotto della pelle. Tom era nervoso, si vedeva – si sentiva – e con ogni probabilità lei gli stava causando un’irritazione ulteriore, ma, che lui lo apprezzasse o meno, lei aveva tutta l’intenzione di aiutarlo con quel maledetto taglio. Senza sprecare ulteriormente tempo, impugnò la pinzetta e con un movimento delicato estrasse il piccolo frammento, lasciandolo poi cadere a terra assieme agli altri.

Tom, i cui occhi erano finora rimasti strizzati, si guardò la mano stupefatto.

Somigliava incredibilmente a Bill.

“Già fatto?” esclamò incredulo.

“Ti avevo detto che era inutile fare scenate,” replicò lei. “Adesso stai fermo, ti devo disinfettare e fasciare.”

Si diresse verso una delle due antine che fiancheggiavano lo specchio e aprì, ma dentro c’erano solo quantità industriali di prodotti per capelli. In genere non metteva mano nei mobili dei bagni, si limitava a pulire la stanza e cambiare gli asciugamani. Non aveva idea di dove cercare l’acqua ossigenata e i batuffoli di cotone, sempre ammesso che i ragazzi ne avessero.

“Non lì!” esclamò Tom, quando lei fece per aprire uno dei cassetti. “Il kit di pronto soccorso è lì sotto.”

Seppur accigliata per via di quella strana reazione, Vibeke si chinò e recuperò la piccola scatoletta di plastica bianca dall’armadietto sottostante il lavandino. Tirò fuori un flaconcino d’alcol e, dopo essersi accertata che non fosse scaduto, gli lavò la ferita, tamponandola con una garza.

“Ci vorrebbero dei punti,” constatò nel lavare via il sangue che andava solidificandosi. “Ti resterà il segno.”

“Non mi interessa.” Tagliò corto Tom.

“Contento tu.” Fece lei. Prese un piccolo rotolo di bende dalla scatola, gli si sedette accanto e, dopo aver sparso del cicatrizzante lungo il sottile squarcio, si mise a fasciare la mano, facendo attenzione a fare piano, anche se questo non le risparmiò una sequela di mugolii sofferenti da parte di Tom.

“Hai finito?” le chiese, quando lei cominciò a raccogliere le garze e a riporre le cose all’interno della scatola.

“Sì.”

Lui studiò la leggera fasciatura da ogni angolazione, fino a che parve soddisfatto.

“Bene.”

Lei lo fulminò contrariata.

“Prego, figurati, non c’è di che.” Gli disse con tutto il suo migliore sarcasmo. Dopo un mese che bazzicava regolarmente per quell’appartamento, ancora non lo aveva sentito una singola volta ringraziare o scusarsi.

Lui rispose con un dei suoi sorrisetti a metà tra il seducente e l’irritante.

Schifoso arrogante.

Tom stava per alzarsi e probabilmente squagliarsela, ma si bloccò improvvisamente, guardando in basso.

Che gli prende?

Dopo una breve esitazione, sollevò una mano per sfiorare la piccola rosa nera che lei portava tatuata sul braccio destro, apparentemente dimentico del fatto che un solo attimo prima erano stati sul punto di dare inizio ad uno dei loro soliti battibecchi.

“Vi,” Mormorò con un’espressione stranita. “Il tuo tatuaggio…”

Il suo tono di voce si era appianato, ammorbidito, cosa che Vibeke trovò davvero insolita. Non le aveva mai rivolto la parola con tanta calma, prima.

Chinò la testa per seguire il suo sguardo, lasciando da parte la perplessità.

“Cos’ha che non va?” domandò.

“C’è una cicatrice sotto.” Le dita di Tom scorsero lentamente sul sottile filo di pelle in rilievo, quasi temesse di farle male.

“Lo so,” replicò lei disinvolta, coprendosi il tatuaggio con la mano. “L’ho fatto apposta per nasconderla.”

Lui schioccò la lingua, scuotendo il capo con disappunto.

“Tipico tuo,” sbuffò. “Nascondere tutto quello che ti ha fatto male.”

Vibeke sentì i propri occhi sgranarsi automaticamente.

Nonostante il pessimo carattere e la tendenza a considerare il prossimo come una specie a lui biologicamente inferiore, e nonostante il fatto che per la quasi totalità del tempo si dimostrasse uno stronzo testardo con ninfomanie patologiche, poteva esserci una remota possibilità che forse – forse – Tom Kaulitz possedesse una qualche sensibilità recondita.

“Non era il massimo dell’estetica.” Disse semplicemente.

“Come te la sei fatta?”

Domanda sbagliata, Kaulitz.

“Non mi va di parlarne.”

“Sei la solita roccaforte testona!” berciò Tom. “Magari per una volta ti farebbe bene lasciarti un po’ andare.”

Per un nanosecondo Vibeke si chiese chi fosse la persona con cui stava parlando.

Considerò il contesto, considerò la sospettosa gentilezza di Tom e il suo repentino mutamento di atteggiamento, considerò la propria predisposizione ad incasinare qualunque situazione relativamente semplice, e giunse alla conclusione che, se proprio ne doveva parlare con qualcuno, era meglio che quel qualcuno non fosse lui.

Con Georg, forse, con Gustav, magari anche con Bill, se proprio, ma con Tom non era il caso di sbilanciarsi.

“Lascia stare,” disse pacata. “Non capiresti.”

Tom sbatté le mani sul bordo della vasca e lo strinse con evidente rabbia.

“Perché no?” sbottò. “Perché sono un poppante?”

“Perché non sai cosa significa essere lo zimbello del gruppo.”

Ecco, l’aveva detto. Aveva detto davanti al suo acerrimo una di quelle cose che gli acerrimi nemici non avrebbero mai dovuto venire a sapere. Non era consigliabile scoprire i propri punti deboli di fronte a qualcuno che traeva piacere dal tormentarti.

Ma Tom non diede segno di trionfo quando apprese l’informazione. Restò soltanto a fissare le schegge di vetro ai propri piedi, spostandone alcune con fare distratto. Era scalzo, avrebbe potuto tagliarsi di nuovo.

“È questo che pensi?” sussurrò. “Che la mia vita sia sempre stata una favola?” Fece una breve pausa, voltando di poco la testa verso di lei, guardandola in tralice. “Io e Bill ne abbiamo passate di tutti i colori a scuola. Eravamo quelli diversi, quelli che non si integravano con nessuno, e tutti ci evitavano,” Niente rancore, niente amarezza. Stava raccontando una parte di sé che era morta e sepolta, che rievocava con il distacco emotivo di chi aveva imparato a vivere senza farsi pesare addosso il passato. Proprio come lei. “Beffe, insulti, battute maligne…” Aggiunse Tom. Il suo sguardo serio, intenso, la colpì. “Credimi, so perfettamente cosa significa.”

Vibeke accolse quel ‘Credimi’ con una fiducia che sorprese persino lei.

Per un brevissimo lasso di tempo Tom aveva avuto il coltello dalla parte del manico, ma anziché fare battutacce, come invece si era aspettata, se n’era uscito con una confessione che, a voler essere onesta, Vibeke non sapeva come prendere.

Magari era anche una cosa di pubblico dominio che lui e Bill avessero avuto di questi problemi, a scuola, ma per lei che non ne sapeva niente e che ignorava gran parte delle loro vite era un dettaglio di una certa rilevanza, e il fatto che lui glielo avesse rivelato di sua spontanea volontà la lasciò lievemente spiazzata. Ciononostante, si sentiva stranamente rilassata e incline alle confidenze.

Dopotutto, lui la sua storia me l’ha raccontata…

“Ero in terza media,” si decise. “In una classe abbastanza eterogenea, tutti molto diversi tra loro… Ma io ero troppo diversa,” Ricordava ancora, e molto bene, come si sentisse un pesce fuor d’acqua tra quella gente. All’epoca nemmeno BJ era molto benvisto, a causa dei suoi tratti vagamente femminili. Con il tempo lui era cambiato, lei no. “Mi vestivo in modo strano, avevo i capelli bianchi e neri, le unghie rosso sangue, e non ero certo un fiorellino di ragazza.”

“Vuoi dire che eri… Brutta?” azzardò Tom tentennante, quasi non le credesse.

Lei non avrebbe saputo rispondergli con sicurezza. Non rammentava se lo fosse stata veramente o meno, anche perché era sempre stata una che non teneva in gran conto l’opinione che gli altri avevano di lei, ma ‘brutta’ era un aggettivo che, più o meno direttamente, in molti le avevano affibbiato, e alla fine se n’era convinta anche lei.

“Sì,” disse. “E diciamo che ai miei compagni non stavo esattamente simpatica.”

A Tom sfuggì un commento intrusivo:

“Con il caratteraccio che ti ritrovi…”

“Ma a me non importava più di tanto,” dichiarò lei, sincera. “Solo che un giorno, durante l’intervallo nel cortile, uno di loro cominciò a prendere in giro BJ, dicendo che sembrava più femmina lui di me, e io risposi a modo mio.”

“Sei arrivata alle mani?”

“Già,” Le venne da ridere, a ripensarci ora, dopo dieci anni. “Ci azzuffammo davanti a tutti e andammo avanti fino a che io non caddi, proprio sopra un pezzo di vetro nascosto tra l’erba, e mi tagliai vicino alla spalla. Ci sarebbero voluti dei punti, ma ero troppo orgogliosa per chiedere aiuto a qualcuno. Ci misi sopra un fazzoletto e a casa sistemai il taglio come potei, fino a che non guarì, e questo è quel che ne resta.”

Tom cadde in un silenzio prolungato.

“Direi che questo spiega tante cose.” Disse infine.

“Tipo?”

“Tipo la tua insofferenza verso il genere umano.”

Vibeke volse lo sguardo al cielo.

“Disse il misogino alla misantropa.”

“Fottiti!” grugnì lui. Lei rise.

“Ecco, adesso sì che ti riconosco.”

Il momento di confidenza si era volatilizzato, evaporato in un battito di ciglia che aveva ripristinato l’equilibrio universale di sempre, facendoli ritornare il Tom e la Vibeke di sempre, pronti a punzecchiarsi alla prima occasione.

“Allora è per questo che all’inizio non ti piacevamo?” riprese Tom. “Credevi che fossimo dei bulli presuntuosi?”

“Tu sei un bullo presuntuoso,” sottolineò lei. “E infatti continui a non piacermi.”

“E gli altri ti piacciono?”

“Tuo fratello è un moccioso viziato con preoccupanti tendenze da primadonna in carriera,” affermò. “Ma non riesce comunque a farsi odiare, anche se non ho ancora capito come questo sia possibile. Gud non si è fatto tatuare quelle ali sulle spalle per caso: un biondo con quegli occhi, che per di più ascolta i Metallica, non può che essere un angelo.”

“E Georg?”

Vibeke si sentì congelare sul posto. Non aveva voglia di discutere di Georg.

Sentiva ancora in bocca l’amaro della scoperta del vero ruolo di Nicole, non era ancora riuscita a mandare giù l’idea di avere un debole per un ragazzo impegnato, per di più da quasi un anno.

Una storia così duratura non poteva che avere delle solide basi su cui reggere, il che implicava un discreto coinvolgimento sentimentale.

Non era innamorata di Georg. Gli era affezionata, quello sì, ma niente di serio, nulla che andasse oltre una buona dose di simpatia e parecchia attrazione fisica, eppure ci era rimasta davvero male.

Imparerai a fartene una ragione, si disse convinta, poi, finalmente, degnò Tom di una risposta:

“Hagen è il classico tipo tutto muscoli e tanto cervello,” Si era prefissata di essere diplomatica, ma era una piccola soddisfazione che si voleva togliere: esporre la sua teoria in merito ad una certa questione. “Be’, non così classico, in fin dei conti.” Aggiunse.

Tom irruppe in una risata scettica.

“Tanto cervello? Stiamo parlando della stessa persona?”

“Sì, quel ragazzo con gli occhi verdi che stuzzichi sempre per non dare a vedere che sei geloso di lui.”

“Io geloso di Georg? Che barzelletta è questa? Te l’ha detto lui?”

“No, ma la psicologia non mente,” ribatté Vibeke risoluta. “Lui è un uomo e tu un ragazzino spocchioso: attacchi perché in qualche modo ti senti minacciato.”

Lui rise di nuovo, ma stavolta un po’ meno spavaldamente, e a lei non sfuggì comunque il palese shock che gli era balenato sul volto.

Ho toccato un nervo scoperto, Kaulitz?, pensò compiaciuta.

“Devo stare attento a quello che dico, d’ora in poi,” divagò lui, prontamente ripresosi. “O mi psicanalizzerai anche i puntini sulle i.”

“Tu che stai attento a ciò che dici?” lo beffeggiò. “Questa sì che è una barzelletta!”

Tom saltò in piedi, facendosi subito saltare la mosca al naso, a conferma di quello che Vibeke aveva appena detto.

“Chiudi il becco, stronza!” le sibilò, poi si diresse verso la porta, voltandole le spalle.

“Kaulitz.” Lo chiamò.

“Che vuoi?” strepitò lui, voltandosi di scatto, la mano che già impugnava la maniglia.

“Non dirlo a nessuno.” Mormorò. Sapeva di averlo incollerito, ma si augurava che avrebbe capito, e, vedendo la sua faccia dura, era convintissima che non lo avrebbe fatto.

“Che sei una stronza?”

“La verità sotto alla rosa,” rispose atona. “Non voglio essere compatita da nessuno.”

“Non so di cosa tu stia parlando.” Disse Tom impassibile, e fece per uscire.

“Kaulitz?” lo chiamò ancora, e ancora lui si voltò.

“Mmh?”

Vibeke si schiarì la voce ed adocchiò eloquentemente la sua mano medicata.

“Non hai niente da dirmi?”

“Sì,” annuì Tom ed indicò il pavimento. “Dovresti pulire questa roba.”

Se per un istante Vibeke aveva osato sperare che lui non fosse il verme che andava proclamandosi con tanta fierezza, ora sapeva per certo di essersi sbagliata di grosso.

Brutto villano ingrato che non sei altro!

“Tu rompi gli specchi e io pulisco?” strepitò, fumante. “Spiegami la logica di questo strano rapporto causa-effetto!”

“Ti pago per adempiere a ‘questo strano rapporto causa-effetto’.”

Il Tom sbruffone e detestabile era tornato alla carica, più in forma che mai, come se nulla fosse successo.

“Potresti degnarti di dire ‘grazie’ e ‘per favore’, ogni tanto!” urlò, levandosi in piedi adirata.

“Perché dovrei?”

“Perché mostrare un minimo di rispetto verso chi ti sta intorno non guasterebbe alla tua immagine!”

“Inizia a rispettarmi tu, allora!”

Vibeke sbatté un piede per terra dal nervoso. Vedeva rosso.

“Sì, la prossima volta, per rispetto, ti lascerò sanguinare a morte!”

Tom imitò il suo gesto e le si palò davanti, incazzato nero.

“Vaffanculo!”

“Vaffanculo tu!”

In un improvviso scatto d’ira, Tom la spinse bruscamente all’indietro facendole sbattere la schiena contro la dura parete rivestita di piastrelle bianche. L’impatto fu così violento e doloroso da smorzarle il fiato.

Tom le stringeva i polsi e glieli premeva contro il muro, ai lati della testa, i lineamenti contratti in un’espressione furente. Respiravano entrambi a fatica, guardandosi a distanza fin troppo ravvicinata, pieni di astio.

Erano così vicini che Vibeke poteva vedersi riflessa nei suoi occhi lampeggianti di collera.

La tenne paralizzata per diversi secondi senza emettere un suono, semplicemente inspirando ed espirando pesantemente mentre la scrutava ostile, le sue dita che le attanagliavano i polsi con una forza che lei non si era aspettata. Le stava facendo male.

“Ora che fai? Mi spezzi l’osso del collo e mi dissezioni nella vasca da bagno?” lo sfidò, mentre lui la bloccava, premendo su di lei con il proprio corpo. Sembrava così arrabbiato che forse avrebbe anche potuto farlo.

Per un istante Tom rimase immobile, fissandola dritta negli occhi, causandole un inspiegabile brivido, poi, con l’ennesimo scatto irritato, la lasciò andare con un ruggito ed uscì tempestosamente dal bagno, sbattendo la porta con uno schianto assordante.

Una volta rimasta sola, ancora attonita, Vibeke riprese a respirare.

 

***

 

Tom aveva lasciato l’appartamento come un tornado sotto cocaina, buttandosi addosso una giacca a caso – di Georg – e fiondandosi in macchina con il timore che avrebbe potuto staccare il volante o rompere un pedale da quanto i suoi nervi erano tesi e desiderosi di trovare uno sfogo fisico decente.

Guidò a vuoto per un po’, ignorando un paio di limiti di velocità e facendosi beffe di qualche semaforo rosso. Aveva mandato a quel paese diversi automobilisti che gli avevano strombazzato dietro, ed altrettanti pedoni che erano stati evitati di poco.

Doveva fermarsi da qualche parte, o avrebbe ucciso qualcuno.

Uno strano formicolio gli sorse improvvisamente dietro la nuca, una sensazione indecifrabile, come se si fosse già trovato in una situazione simile, ma sparì in fretta, e non ci badò più.

Ad un certo punto si ritrovò ad imboccare la via dell’Immortal. Stava per oltrepassare il club, quando scorse un posto vuoto nel parcheggio davanti all’ingresso. Senza nemmeno pensarci, inchiodò e si fermò, parcheggiò la macchina senza curarsi troppo di stare entro le righe e si infilò nel locale, tenendo le dita incrociate. Quello che gli serviva era del sano sesso, e se c’era un posto dove poteva trovare la via più breve per averne, era quello.

Si accasciò al primo tavolino libero che trovò ed ordinò tre rum in una volta, che si trangugiò uno dietro l’altro in mezzo minuto netto.

Attorno a lui, un sabato sera in pieno fermento si scatenava in ogni angolo, la musica alta, il chiacchiericcio indistinto misto alle risate, al tintinnio di bottiglie e bicchieri, lasciandolo in un limbo distaccato a ribollire in silenzio.

Delle numerosissime ragazze presenti, una più bella dell’altra, nessuna lo attraeva veramente, e Tom, guardandole passare ed ammiccargli invano, cominciava a domandarsi quale fosse il suo problema. Erano caramelle succose che normalmente si sarebbe divorato in un batter d’occhio e senza l’ombra di uno scrupolo, la sua completa mancanza di interesse verso quell’oceano di invitanti feromoni femminili non aveva senso.

“Ciao.”

Tom si voltò: una ragazza si era avvicinata a lui e gli sorrideva dall’alto. La riconobbe subito: alta, snella, occhi verdi e lunghi capelli neri. Anche da vicino, anche con quel minuscolo abitino rosa shocking che le dava un’aria orribilmente vezzosa, somigliava veramente moltissimo a Vibeke, e questo non fece altro che aumentare vertiginosamente i suoi livelli di incazzatura.

Mi perseguita anche quando non c’è, la stronza.

“Ciao.” Le rispose fiacco, guardandola sederglisi accanto ed accavallare le gambe in modo provocante.

“Sono Lara.” si presentò lei, porgendogli la propria mano con un sorrisino accattivante. Tom gliela strinse con poco entusiasmo, mentre faceva mente locale su di lei: quella ragazza aveva partecipato a qualche programma televisivo che non riusciva a ricordare, in seguito al quale aveva fatto da testimonial per una linea di cosmetici di poco conto. Se n’era parlato per un po’, sui giornali, poi era sparita dalla scena.

“Io sono –”

“So chi sei,” lo precedette lei, e gli si avvicinò. “Eri qui anche l’altra sera, ho notato che mi guardavi.”

Aveva movenze sinuose, feline, e parlava quasi sottovoce, con un tono carezzevole che si discostava completamente da quello graffiante di Vibeke. Così simili nell’aspetto, le due ragazze erano praticamente opposte negli atteggiamenti.

“Cos’hai fatto?” gli chiese, facendo per sfiorare la fasciatura della mano, ma lui la ritrasse con uno scatto involontario. Non era in vena di effusioni romantiche.

“Non è niente.” La liquidò evasivo. Il taglio gli bruciava ancora, ma non tanto da dargli fastidio. Sentiva solo una leggera pulsazione lungo la ferita.

“Ti andrebbe di proseguire la conversazione da qualche altra parte?” propose Lara con la sua voce leziosa, la punta di una delle scarpe dai tacchi a spillo vertiginosi che gli sfiorava la gamba.

Vai dritta al sodo, eh?

La guardò negli occhi, poi scese lentamente sulle labbra, ed infine distolse lo sguardo, sentendosi stranamente infastidito.

Eppure la voleva. La voleva così tanto che le mani gli prudevano e la gola gli sembrava arsa dalla sete.

“Hai bevuto parecchio,” gli disse lei, accennando ai tre bicchieri vuoti che giacevano di fronte a lui sul tavolino. “Non è il caso che tu ti metta al volante in questo stato.”

Proprio come diversi minuti prima, qualcosa scattò nella mente di Tom, ma questa volta fu più vivido, come un dejà vu anomalo, un flashback confuso che stava lentamente facendosi più nitido.

“La mamma non te l’ha detto che non si guida in stato di ebbrezza?”

Una voce irritante e saccente.

“Prima volevo impedirti di uccidere qualcuno. Adesso voglio solo darti fastidio, perché mi stai antipatico.”

Vestiti neri, piercing su labbra rosse.

Un bacio.

“Cos’è quest’odore acre?”

Ci aveva messo una settimana a lavare via quella macchia di inchiostro, la stessa settimana in cui Vibeke si era sempre tenuta addosso quella pesante sciarpa, anche in casa, dove faceva quasi troppo caldo perfino per i vestiti normali.

“Ci siamo già visti da qualche parte?”

“No, non che mi risulti.”

Era così abituato a non guardare in faccia le ragazze che si faceva, che aveva rimosso quasi completamente il volto della ragazza di quella sera, complici l’alcol e il buio di una notte piovosa, ma ora qualcosa lo aveva rituffato in quelle ore, risvegliando immagini e sensazioni, e adesso ricordava.

‘V.’

‘V.’ come Vi. ‘V.’ come Vibeke V. Wolner. Sempre lei, sempre di mezzo, anche nei frangenti più improbabili.

Altro che lesbica…

Tom non capiva perché si sentisse così infastidito da quella realizzazione. Dopotutto era quello che si aspettava dalle ragazze che passavano una notte con lui: che se ne andassero e sparissero senza chiedere niente, senza grane inutili. Non avrebbe dovuto avere problemi, eppure li aveva eccome, e nemmeno comprendeva il perché. Magari lei nemmeno se ne ricordava, o magari preferiva semplicemente fare finta di niente, date le circostanze, ma, pur volendolo a tutti i costi, lui non ce la faceva.

Il sapere che quella ragazza fosse Vi lo faceva sentire stranamente umiliato, come se, per la prima volta in vita sua, fosse stato scaricato.

Era davvero orrendamente avvilente.

‘Grazie per la botta di vita’ un cazzo!

“Casa mia è a due passi da qui.” Continuò a tentarlo Lara, ignara di quello che stava succedendo dentro alla sua testa, e lui all’improvviso non aveva nessuna voglia di far finta di resistere. Era solo una qualunque, una delle tante, nient’altro che un passatempo per migliorarsi l’umore appena precipitato, e perfino lei sembrava esserne perfettamente cosciente, ma nondimeno ansiosa di concludere la serata tra le lenzuola.

Incazzato com’era, una bella scopata antistress era proprio quello che gli ci voleva.

Così, quando lei gli avvicinò la bocca all’orecchio e, voluttuosamente, gli sussurrò ‘Andiamo?’, Tom scelse di annuire.

 

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Note: partiamo col dire che la famigerata domanda ‘Ma dove diavolo vuole andare a parare?’ che molti di voi si pongono non può avere una risposta esplicita, poiché la stessa risposta è nascosta tra le righe e non ci sarebbe gusto a guardare le soluzioni senza aver nemmeno visto tutto il rebus. ;)

Per coloro che, giustamente, si domandano invece se io odi Bill ed adori quindi accanirmi contro di lui, vi devo deludere: la risposta è un no bello secco e deciso. La sottoscritta Io Me Medesima prova sentimenti di amore allo stato puro per quell’adorabile gattino sexy ma incredibilmente coccoloso, solo che (strano ma vero) il mio amore riesce a non accecarmi tanto da non vedere anche i suoi difetti. Ai miei occhi (e penso che la cosa vari leggermente da persona a persona) Bill Kaulitz è un ragazzo che con un sorriso ti strappa via il cuore e ti mette in ginocchio, ma non dimentichiamoci che è anche un eterno bambino viziato e capriccioso, nonché una Diva con la D maiuscola, con tutto ciò che questo comporta. È vero che appare un po’ diverso dal Bill che abbiamo visto in Lullaby, ma non dimenticatevi di considerare due cose importantissime: il cambio di punto di vista e un nuovo ‘termine di paragone’, se così vogliamo chiamarlo, ossia, in entrambi i casi, Vibeke. Nicole vedeva Bill in un determinato modo e lui aveva un certo comportamento nei suoi confronti, ma non ci si può certo aspettare che con una persona diversa le cose restino le stesse: Vi non è Nicole, Vi vede quello che lei crede di vedere per via dell’opinione che ha di loro (non necessariamente giusta), ma così come Nicole a suo tempo ha avuto modo di vedere al di là dell’idealizzazione di Bill che lei aveva, così anche Vibeke, al momento giusto e nelle condizioni giuste, avrà la sua occasione di ricredersi, anche se certamente non con la stessa facilità di Nicole. Tutto questo per spiegarvi come mai tra questa storia e Lullaby, nonostante l’una sia il seguito dell’altra, ci sia questa palpabile differenza: sono Nicole e Vi ad essere diverse, e questo si riflette nei toni della narrazione, nelle situazioni, nei comportamenti dei personaggi. Non si tratta di incoerenza, ma dell’esatto contrario: i personaggi mancherebbero di spessore, di psicologia e credibilità se fossero rigidamente impostati su un’unica, invariabile modalità. Spero di essermi spiegata. ^^

Comunque sia, ribadisco: non odio Bill, tutt’altro (chiedete a RubyChubb, CowgirlSara, Lady Vibeke, Ladynotorius, _Ellie_, o chiunque abbia la sfig fortuna di parlare abitualmente con me in MSN, loro sapranno dirvi XD), è solo che credo che il nostro piccolo Kaulitz riceva già sufficienti attenzioni nel fandom (così come anche Tom, del resto, anche se in percentuale relativamente minore, ma su questo punto ci vorrebbero delle note alle note e non finiremmo più ^^), quindi ho ritenuto preferibile vertere su orizzonti semi-alternativi e lasciare spazio anche agli altri di sguazzare un po’ nelle seghe mentali (oh, sì, ci sarà pane anche per Gustav, parecchio più avanti, ma questa è un’altra storia ;) ). Ciò detto (santo cielo, Dante mi fa un baffo con i mattoni di parole), passiamo finalmente ai ringraziamenti su misura:

_Acchan_: una nuova lettrice! Benvenuta, e grazie dei complimenti! ^^

carol22: grazie del tempo dedicatomi, sono onorata. :3 Apprezzamenti per BJ a parte (che comunque condivido altamente!), concordo con te nel dire che Georg ha fatto un ottimo lavoro con quel discorso a Vibeke. Del resto lo farei anch’io, se sapessi che qualcuno giudica male delle persone che io so essere belle, dietro la loro apparente facciata. Vi e Tom… Be’, per usare una frase efficace, parafraserò Georg: fanno scintille. Loro ci provano (ma neanche troppo) a non bisticciare, ma, come si è visto, proprio non ce la fanno. ^^ Grazie di nuovo di esserti presa il disturbo di recensire e ancora più grazie (passami l’espressione) dei complimenti!

Carmen_TH: anche a te, grazie infinite di aver dedicato due minuti della tua vita a recensire! Vedrai, Emily ormai è sulla via della riapparizione, ormai il ritorno è imminente. Sì, Vibeke è un’arpia mica da ridere, sicuramente complicata da trattare, e il ‘bello e dannato Tom Kaulitz’ non è da meno… Chissà cosa ne verrà mai fuori. ^^

RubyChubb: Mugliera MS! tra poco inizierò a multarti per i ritardi e ti caccerò dal talamo nuziale per punizione (il che significa che G&G e D&D – e magari anche K&K, qualche volta, se tanto tu non ci sei XD – saranno tutti miei! Ti liebo lo stesso (o, alla teenager: ti amo di bene XD)

Lauchan: grazie anche a te per i complimenti, non me li meriterò mai abbastanza. ^^ Ti chiarisco subito in che modo questa storia segue Lullaby: più che un seguito vero e proprio è una sorta di spin off, ma nemmeno uno spin off, ad essere sinceri. Riprende la storia più o meno da dove Lullaby la aveva lasciata e ci mostra come proseguono le cose, ma da un punto di vista tutto nuovo, ossia quello di Vibeke. Al momento magari il filo logico della storia può sembrare ancora un po’ oscuro (ma se così non fosse, che gusto ci sarebbe?), anche se, come in Lullaby, ci sono già le bricioline nascoste in giro, e magari al momento non si vedono, ma poi pian piano si faranno più nitide. ;) Vedremo sicuramente come si sono sviluppate le cose tra Georg e Nicole, ma non dico altro, ci sarà tempo poi per vedere. Mi fa piacere sentire che Vibeke non ti sta simpatica, perché effettivamente era il mio preciso intento: Vi è antipatica, o almeno, buona parte di lei lo è. C’è chi si accontenta di quella parte e la ritiene 100% antipatica (Tom), chi se ne frega (Bill) e chi si sforza di vedere oltre. Come dico sempre, però (e so che lo dirò ancora): ogni cosa a suo tempo. J Rispondo anche alla tua domanda sulla fotografia: non guardo reality di alcun tipo, per mancanza di tempo da buttare ma soprattutto di interesse, quindi non so proprio chi sia la ragazza a cui tu ti riferisci. Quella della foto è una giovane attrice americana, Kat Dennings, che mi è capitato di vedere in diversi film e telefilm e mi è sembrata un’ottima Vi. In quanto allo stile, non mi sono ispirata a nessuno in particolare, anche perché Vi mi è un po’ apparsa come un fulmine a ciel sereno, così come tutta questa nuova storia, quindi non la ho esattamente costruita, ma piuttosto si è fatta da sola. ^^ C’è anche da dire che se lei è così ci sono dei motivi precisi, che però non spiegherò ora, onde evitare di dilungarmi troppo in dettagli indirettamente ‘spoilerosi’. ;)

CowgirlSara: eccola qui la mia MS sveglia! Certo che Vi è antipatica, lei vuole essere antipatica, a meno che non trovi qualche soggettuccio puccioso da arrufianarsi (fare nomi sarebbe superfluo). Qualcosa cosina si sarà capita da questo capitolo, ma questo suo essere ‘troppo’ è lei. Anche se forse questo dettaglio sarà più chiaro andando avanti. Ti ho già mostrato un paio di minispoiler innocenti che dimostrano che sa essere tanto estrema da capovolgersi completamente, ma non divaghiamo. XD Tom Tomi Tommoso è adorabile anche quando fa lo strono, ma lo è ancora di più quando fa il bravo fratellone premuroso e si preoccupa per il caro BS. *sospiro deliziato* Per quanto riguarda BJ, non mi sbottono. ;)

NeraLuna: l’hai proprio detta giusta sui cari gemellino Wolner: non si vogliono lasciar scappare niente! ^^ Nicole ed Emily arrivano presto, quindi mettiti comoda, tra un po’ comincerà lo spettacolo. ;)

Purple Bullet: Vibeke è una gran testa di cavolo (tanto lo sapete tutti cosa intendevo), ed è tutt’altro che perfetta, ma forse è questo che intendi, un po’ paradossalmente. ^^ Non definirei il passato di Vibeke come ‘travagliato’, quanto piuttosto come ‘comune’. Succede a parecchi ragazzi di passare quello che ha passato lei e, per fortuna, a lei non importava un bel niente. ;) Grazie mille della splendida recensione entusiasta, mi ha fatto un piacere immenso!

Ladynotorius: milady! Cara Ambasciatrice MS, detentrice del Sacro Potere Esecutivo, avevo quasi paura che l’inizio della tua recensione potesse mordermi. XD Anche tu godi per Tom che ci resta male? Che bello, ho delle colleghe al Club del Sadismo! XD Tu ed io la pensiamo come Vi sulle colazioni del caro BJ… Lo odiamo per la sua fortunaccia sfacciata, vero?

Ninnola: ho riso come una matta nel leggere quel ‘ci abbiamo messo un intera vita per farli arrivare insieme georg e nicole e mo arriva vibeke???’, e mi viene da ridere tuttora. Effettivamente dopo tutti i travagli che Georg e Nicole si sono dovuti sorbire in Lullaby, sarebbe una vera bastardata sguinzagliare Vi a seminare zizzania. Nel prossimo capitolo si vedrà come andranno le cose. ;)

ElianaTitti: recensione sclerotica degna di una che è rimasta sconvolta, devi dire. XD Resta sintonizzata, la storia è ancora tutta da giocare. ;)

Hermyone: Grazie, grazie e ancora grazie! :3

Lady Vibeke: MS! La tua recensione ha battuto ogni record, ma è stata meravigliosamente arguta e memorabile. Non c’è bisogno che io aggiunga niente, se non: porta le tue bergamasche chiappatte sotto esame su MSN!

loryherm: mia cara! Mi fa piacerissimo che tu abbia gradito il capitolo nonostante le grandi e drastiche rivelazioni. Puntualizzo un’osservazione che hai fatto e che sono certa molti altri hanno pensato: a Vi piacciono le ragazze, è vero, e Bill ha una bellezza androgina senza eguali, vero anche questo, ma, così come una persona etero non si sente necessariamente attratta da qualunque bel soggetto del sesso opposto, così una persona omo- o bisessuale non si sente necessariamente attratta da qualunque bel soggetto dello stesso sesso. ;) E inoltre non direi che Vi non provi niente della Casa degli Uominisesso (la proporrò per il commercio, stile Casa di Barbie XD), visto che ha già ampiamente dimostrato di avere delle belle debolezze. ^^ Grazie infinite per la stupenda, intelligente e lunghissima recensione, ci si sente su MSN!

GodFather: eccoti qui! Miracolo! XD Innanzitutto la comparsata di Niek non è altro che uno ‘stuzzicamento’ bello e buono: arriva, mette la pulce nell’orecchio e via, ma, don’t worry, non è finita qui! ;) Hai senz’altro capito diverse cose di Vibeke e penso che probabilmente sarai una di quelle che afferreranno più cose con l’andare degli eventi, quindi: vigilanza costante! Ah, per la cosa a tre con Bill e BJ: posso almeno guardare? XD

GaaRa92: Vi ne fa tanti di buchi nell’acqua, solo che è la cocciutaggine personificata e non lo ammette facilmente (anzi!). Se sei ansiosa anche tu di vedere l’incontro di Vi con Nicole ed Emily, vedrai, il prossimo capitolo sazierà a dovere la tua sete di sapere. ;)

SusserCinderella: Vi ‘fissata’ con Georg è un piccolo tocco per vivacizzare un po’ la trama, e perché lo ritengo quello dei quattro che a primo impatto possa più facilmente suscitare l’interesse di una come lei (non dimentichiamo inoltre che lei ha ventitre anni, e che quindi è di un anno più vecchia rispetto a Georg, di due a Gustav e di tre ai kaulitz, perciò è anche ovvio che le vanga più facile puntare al più ‘maturo’). Insomma, non ci si può sempre aspettare che la gente si preda delle sbandate e sia ricambiata in automatico, no? J Un pizzico di realismo lo danno anche certi dettagli, secondo me. Nella vita reale si prendono delle cantonate mostruose, quindi a mio modesto parere serve un po’ di delusione anche nella fiction, anche perché sono una che detesta con tutta se stessa le cose semplici e lisce come l’olio. Ci vuole sapore, in una storia, altrimenti perderebbe godibilità. Personalmente ritengo che chi ama le storie tutte zucchero e amore facile manchi un po’ di gusto per il fascino della complessità, e questo non solo riferito alle storie. Chi si lascia incantare facilmente dall’immediato si perde qualcosa di importante, e questo riferito sia ai racconti, che ai fatti, che alle persone. ^^ Comunque, sproloqui a parte, grazie mille della recensione. ;)

kit2007: dico anche a te quello che ho detto alle altre: lustrati gli occhioni belli, prossimamente su questi schermi vedremo cose alquanto interessanti. ;)

Schrei: molto meglio se ti sei immaginata una Vibeke diversa dall’immagine. Io preferisco sempre che ciascuno usi la propria fantasia, ma so che ad altri fa più comodo avere dei riferimenti, quindi io provvedo. ^^ Spero davvero che continuerai a seguirmi, anche dopo le lunghe peripezie di Lullaby, in questa nuova, strampalata avventura. J

btb: eheheh, BJ ha fatto colpo su tutte, vedo. In effetti è fatto apposta. ^^ Una curiosità: cosa significa il tuo nickname? Me lo sono sempre chiesta e mi ci sto arrovellando da secoli. XD

Muny_4Ever: eh sì, Vi ignora completamente l’esistenza di Emily e sarà divertente scoprire come reagirà nell’apprenderla. ^^ Spero che tu sia sopravvissuta a questi lunghi giorni privi di aggiornamenti. ;)


Finito! Credevo non ce l'avrei mai fatta. XD

Alla prossima, bella gente, e se lasciate una recensione, vi mando un Tokio Hotel a scelta per una notte di fuoco. ;)
P.S. dimenticavo di tradurvi le due frasi in norvegese! Vibeke dice "Buonasera, miei cari, come va?" e Gustav e Bill rispondono "Bene, grazie!". ^^

P.P.S. ho postato questo breve articoletto sul forum di EFP, dove ho cercato di elencare ed analizzare i problemi più ricorrenti del fadom che riguarda per lo più i Cantanti, aggiungendo anche qualche umile consiglio. Se pensate di poterne trarre qualche profitto o siete semplicemente curiosi, una lettura non costa nulla. ;)

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Capitolo 6
*** His Girls ***


Lo odio! Lo odio, lo odio, lo odio e lo odio!”

Vibeke si ficcò in bocca l’ennesimo boccone di waffle e lo masticò grossolanamente, i gomiti barbaramente appoggiati sul bordo del tavolino a cui sedeva con Moniek, la quale la stava a sentire con la solita pazienza.

“Capisci?” proseguì a bocca piena. “Quello stronzo ha frantumato lo specchio, mi ha fatto fare l’allegra crocerossina e poi non solo non sputacchia nemmeno un mezzo ringraziamento, ma mi dice anche che devo pulire!” Deglutì, poi infilzò un nuovo boccone, che si portò subito alla bocca. “E poi, non pago, che cosa fa? Mi sbatte contro un muro e se ne va senza spiaccicare mezza parola!”

Doveva avere la pressione alle stelle.

Lei e Moniek stavano facendo colazione insieme in un bar del centro, com’erano abituate a fare la domenica. La sala era arredata in stile vittoriano, con tanti piccoli tavolini quadrati dalle tovaglie bianche e carta da parati color avorio sulle pareti. Moniek aveva ordinato il solito – cappuccino e brioche – mentre lei si era astenuta dal solito milkshake ai frutti di bosco e aveva optato per qualcosa di più lenitivo per i suoi nervi stressati, ossia una bella e malsana frittella formato gigante, grondante di cioccolato e panna montata, corredata da un succo di ribes che le faceva schifo, ma che se non altro dava una parvenza di salutismo all’insieme.

“Adoro quando scleri così,” rise Moniek, mescolando il proprio cappuccino con movimenti lenti e circolari. “Anche se ancora non mi spiego cosa ci faccia una come te a lavorare per quegli sfigati…”

“Non sono degli sfigati!” la contraddisse Vibeke, mossa da un improvviso impeto di lealtà. “Sono ragazzi in gamba, molto determinati!”

Fu una reazione che stupì perfino lei. Generalmente amava decantare con chiunque fosse disposto a darle retta quanto quei quattro scapestrati fossero caotici ed esigenti, se non addirittura capricciosi, ma nell’ultimo periodo si era accorta di essersi affezionata a loro più di quanto non fosse disposta ad ammettere. Certo, Bill era paragonabile ad una vezzosa ed antipatica bambina di sei anni eccessivamente liberale nel giocare con i trucchi e la pazienza altrui, e Gustav sapeva farti uscire dai gangheri nei suoi momenti di blindaggio emotivo totale, così come Georg aveva l’innata capacità di scoraggiare anche la persona più laboriosa della terra, quando decideva di mettere a soqquadro l’appartamento alla ricerca di un anello che magari se ne stava in bella vista sul suo comodino, per non parlare poi di Tom, la cui abilità nel suscitare crisi isteriche era ormai risaputa su scala mondiale, ma dopotutto era anche il bello di loro: erano quattro celeberrimi rockettari che non sapevano più dove mettere i propri incassi, eppure avevano i calzini bucati, e le scarpe consunte, e le magliette macchiate di ketchup, e perfino delle scorte segrete di caramelle gommose sotto al letto.

Chissà quando e se Bill si accorgerà che mancano quasi tutte quelle rosse…

Moniek increspò la fronte sorpresa.

“Fammi capire bene: passi metà del tuo tempo a badare a loro e l’altra metà a lamentartene, e improvvisamente l’Adone, il Bon Bon al Miele, la Principessa e il Gemello Cattivo sono diventati tutti quanti un’amorevole cucciolata di teneri gattini?”

A Vibeke per poco non andò di traverso il boccone da quanto fu forte l’impulso di ridere.

Teneri gattini?

Volendo essere elastici, la definizione di ‘gattino’ avrebbe potuto approssimativamente addirsi a Georg, i cui occhi avevano molto del gatto, o a Gustav, che con certe espressioni sembrava proprio fare le fusa, o anche a Bill, con quelle sue movenze feline e felpate. Sicuramente Tom non poteva essere associato ad un concetto che prevedesse aggettivi quali ‘amorevole’ e ‘tenero’.

“Non ho detto questo,” farfugliò, mandando giù il waffle. “Ma sono belle persone, se sorvoli qualche tonnellata di difettacci tipicamente maschili ed un’esigua parte di femminili.”

“Io trovo che la tua principessina sia attraente in modo osceno,” osservò Moniek, accavallando le lunghe gambe abbronzate che né minigonna né collant nascondevano troppo. “Sono tutti quanti articoli di prima scelta, per carità,” Un piccolo sogghigno si dipinse sul suo volto. “Ma il piccolo Bill ha una marcia in più.”

Vibeke alzò un sopracciglio mentre beveva un po’ di succo.

“Qualcosa di speciale tipo la sua versatilità nell’essere sia un bel ragazzo che una bella ragazza?”

Moniek enfatizzò il sogghigno.

“Proponigli una cosa a tre, qualche volta, secondo me c’è una gran bella dotazione, costretta in quei pantaloni attillati,” Si appoggiò con un gomito al tavolo e si sporse in avanti. “Tu hai libero accesso alle loro stanze, chissà quanti segreti piccanti hai scoperto…”

Soltanto che Gustav riceve fiumi di lettere a sfondo erotico e si guarda bene dal lasciarle in vista, che Georg tiene un sospetto fermaglio a forma di farfalla appuntato all’abatjour accanto al letto e che Bill è un assurdo feticista delle cinture.

“Non tengono droga nel barattolo dello zucchero, non usano banconote da cento per accendersi le sigarette e non hanno riviste porno sotto al materasso.”

“Riviste porno!” Moniek rise di gusto. “Che se ne farebbero? Devono pagare dei colossi umani per difenderli da orde di ragazze arrapate, la loro più grande preoccupazione sessuale si limiterà al massimo a decidere con chi farlo.”

Non per tutti e quattro, pensò Vibeke, spazzolando quel che restava del waffle, con l’immagine di Georg che se la spassava con una procace bionda esaltata sul letto che lei stessa sporadicamente gli rifaceva.

Notò che Moniek aveva un’espressione strana, quasi assente, e si rese conto che doveva averla annoiata a morte, ormai, con le sue lagne contro quei quattro.

Non che fossero mai state due grandi chiacchierone, comunque.

Si erano conosciute in piscina due mesi prima e avevano cominciato col prendere qualche caffè insieme dopo la doccia. Qualche tempo dopo, tra una cosa e l’altra, era venuto fuori che Moniek era un’abituale frequentatrice del Crossover, un locale molto in voga tra gli omosessuali, e una sera ci aveva invitato anche Vibeke, per presentarla alle sue amiche. A Vibeke la serata era piaciuta, si era trovata bene con il gruppo, e aveva conosciuto gente nuova e simpaticissima, così aveva continuato ad uscire con lei, ma più per puro divertimento, che per reali coinvolgimenti sentimentali.

Vibeke non era toccata dalle avances che ragazzi e ragazze facevano a Moniek, non aveva pretese di monogamia, ma Moniek sì, e lo aveva dimostrato più volte. Non stavano insieme, anche se a volte poteva sembrare, e Vibeke ancora non sapeva cosa volesse fare di quel rapporto.

Moniek le piaceva, e anche parecchio, ma lei non era il tipo da prendersi impegni con troppa leggerezza. Se doveva legarsi a qualcuno, doveva prima avere la totale certezza che ne valesse la pena.

“Ho ancora fame,” borbottò Moniek, dopo aver finito il croissant. “Avrei dovuto prendere anche una fetta di torta.”

Una scintilla crepitò nella memoria di Vibeke

Torta.

“Cazzo!”

I ragazzi le avevano detto di passare in pasticceria a ritirare la torta che avevano ordinato per l’arrivo di Nicole ed Emily e lei lo aveva completamente rimosso. Le due ragazze sarebbero arrivate nel pomeriggio, e se non si fosse sbrigata la pasticceria avrebbe chiuso, e avrebbe dovuto vedersela con una figuraccia da manuale e quattro Tokio Hotel più un paio di groupies snob contrariati.

Fottutissimi orari domenicali!

“Devo andare!” esclamò con urgenza, di fronte ad una Moniek molto smarrita.

Saltò su, sfilò brutalmente un pezzo da dieci dal portafogli e lo piantò sul tavolo, poi afferrò cappotto, sciarpa e borsa, stampò un bacio frettoloso sulle labbra di Moniek e si congedò precipitosamente.

“Ti chiamo io!” disse, e corse fuori dal locale, facendo lo slalom tra gli avventori seduti agli altri tavolini.

Cosa mi tocca fare per due oche cerebrolese…

 

***

 

Bill pregustava il momento in cui la porta si sarebbe aperta e quel tornado vivente di Emily gli si sarebbe gettata tra le braccia, con quel suo lieve profumo di zucchero e le morbide guance che premevano contro i suoi zigomi.

Non vedeva lei e Nicole da un mese, sentiva profondamente la loro mancanza, e così come lui anche gli altri, eccetto, ovviamente Georg che le vedeva più regolarmente.

Bill aveva imparato a non essere geloso della relazione tra lui e Nicole, anche se la stessa cosa non si poteva dire di Georg, che era, comprensibilmente, sempre molto protettivo nei confronti dell’unica ragazza che gli avesse mai dato da tribolare in campo amoroso.

Forse addirittura l’unica ragazza con cui abbia mai veramente camminato in campo amoroso.

Era felice per loro, nonostante tutto, ma sotto un certo punto di vista, Bill non li invidiava affatto: si volevano abbastanza bene da essere riusciti a sopportare un anno di distanze e incontri saltuari, ma Bill vedeva quanto Georg certe volte sembrasse impazzire da quanto Nicole gli mancava, e, per quanto trovasse l’amore una cosa stupenda, non gli piaceva l’idea di arrivare a sentirsi tanto dipendente da un’altra persona da starci male. Investire tutta la propria fiducia e il proprio affetto in qualcun altro era un azzardo che non sapeva se avrebbe mai avuto la forza e il coraggio di affrontare.

Forse era colpa dell’esperienza dei suoi genitori – i litigi, le incomprensioni, il divorzio, il dolore – o magari semplicemente del suo carattere, ma Bill sapeva che né lui né Tom erano mai stati predisposti ai legami fissi, romanticamente parlando. Lui lo dimostrava con l’ambiguità, con il suo modo sfuggente di relazionarsi al gentil sesso, Tom lo dimostrava con l’indifferenza, servendosi delle ragazze come strumento di piacere fine a se stesso e nulla più.

Era triste, probabilmente, e anche piuttosto squallido, ma non era ancora arrivata la persona in grado di dimostrare loro che mettersi in gioco fosse un rischio ragionevole.

No, Bill non aveva nessuna voglia di ridursi a schiavo dei propri sentimenti, pur provando una certa curiosità intellettuale, se così si poteva chiamare, verso l’innamoramento.

Se poi metto anche in conto che con le donne sono sfigato…

Però doveva ammettere che, in ogni caso, una volta trovata la persona giusta, le cose cambiavano prospettiva. Non lo avrebbe mai creduto, se non lo avesse visto con i suoi stessi occhi, ma se Georg era arrivato al punto di rinunciare di propria spontanea volontà alla sua bella vita di playboy e consacrarsi ad una sola ed unica ragazza, allora tutto era possibile, anche se al mondo di ragazze come Nicole non dovevano essercene molte.

Se ne stava appollaiato sulla poltrona nel salotto, limandosi distrattamente le unghie per ammazzare il tempo dell’attesa. Gustav era al telefono con la propria madre, mentre Tom era uccel di bosco, disperso probabilmente nella camera da letto di qualche fortunata che aveva rimorchiato la sera prima.

Bill sperava solo che si ricordasse che giorno fosse e chi stesse per arrivare.

Era arrivato ad un punto cruciale della limatura del mignolo destro, quando trillò il campanello.

“Bill, apri!” gli gridò Gustav, dalla cucina.

“Perché sempre a me tutte le fatiche?” brontolò.

Un altro trillo, e poi altri due, e un altro ancora.

Bill si catapultò alla porta alla velocità della luce. Conosceva bene quel modo di suonare, anche se arrivava con qualche ora di anticipo rispetto al previsto.

Ebbe a stento modo di abbassare la maniglia ed piegarsi sulle proprie ginocchia, prima che qualcosa di morbido, profumato e non troppo leggero gli piombasse addosso in un tripudio di gridolini estatici e baci a raffica.

“Bill! Bill! Bill! Bill!” tintinnava la vocina di Emily, mentre lui rideva, lasciandosi solleticare dai suoi boccoli biondi.

“Ciao, uragano!” la salutò affettuosamente, allontanandola un poco per ammirarla con indosso il cappottino verde che lui stesso le aveva regalato a Natale, causa di una sfuriata non da poco da parte di Nicole per via della firma Dior che recava l’etichetta interna. “Dove hai lasciato la mamma e Georg?”

Emily fece una smorfia scontenta.

“Sono lenti, li ho lasciati giù.”

“Hey, un po’ di rispetto per gli anziani!” la ammonì la voce scherzosa di Nicole.

Bill sollevò lo sguardo e la vide sulla porta, che gli sorrideva con Georg alle spalle. Anche lei portava il suo regalo di Natale, un cappotto coordinato a quello di Emily, e al collo aveva la sciarpa di cachemire color crema che era saltata fuori dal pacco regalo di Gustav, e i capelli sciolti, lunghi e dritti come non mai.

Era radiosa.

“Be’, non si saluta?” gli fece, portandosi le mani ai fianchi con finta delusione.

Bill si alzò subito e la baciò sulle guance con un abbraccio, lasciandosi oltrepassare da Georg, che reggeva un paio di trolley.

In quell’istante sopraggiunse Gustav, che non perse tempo e si lasciò salutare debitamente da Emily, sfiorando poi le guance di Nicole con le labbra.

“Bentornate, Sandberg.”

“Grazie,” Nicole era un sorriso unico, apparentemente troppo felice per curarsi del disordine dovuto ai due giorni di assenza di Vibeke, ma infondo c’era abituata. Si guardò attorno un po’ spaesata, per poi rivolgere a Bill uno sguardo interrogativo. “Dov’è Tom?”

Bill si mordicchiò l’angolo del labbro inferiore, scambiando con Gustav un’occhiata sconsolata.

Già, bella domanda.

 

***

 

Tom era in ritardo. Un abissale, vergognoso, imperdonabile, fottutissimo ritardo.

Erano le undici passate quando si era svegliato, ritrovandosi accanto l’ormai familiare figura addormentata di Lara. Gli ci erano volute delle acrobazie indicibili per recuperare i propri vestiti qua e là per l’appartamento, infilarseli e sgattaiolare via, il tutto in silenzio e in meno di tre minuti.

Aveva premuto l’acceleratore alla massimo consentitogli dai limiti e dalla folla domenicale che formicolava per ogni strada della città, e alla fine qualche intercessione divina lo aveva aiutato ad arrivare sottocasa in quaranta minuti spaccati.

Posteggiò davanti all’ingresso del palazzo, anche se il garage sarebbe stato più sicuro, ringraziando chiunque fosse stato il genio che aveva proposto i parcheggi nominali riservati ai residenti, scese dalla Cadillac, la chiuse e fece per schizzare verso il portone d’ingresso, ma finì a scontrarsi contro qualcosa.

O meglio, qualcuno.

“Guarda dove vai, Kaulitz!”

No! Anche la domenica no!

Guardò in su, senza stupirsi quando si ritrovò faccia a faccia con un’alterata Vibeke dall’aria frettolosa.

“Magari sei tu quella che dovrebbe guardare dove va!” ribatté, l’attenzione che gli cadeva sul pacco bianco che lei stringeva tra le mani, tappezzato di firme dorate della pasticceria.

“Lo stavo facendo, ma come vedi sono leggermente impacciata nei movimenti!” disse, sollevando appena la scatola di leggero cartone.

“Non oserai dare la colpa al pacco, vero?”

“Se ci fossi andato tu a ritirare questa stupida torta, ti assicuro che sarei abbastanza agile da castrarti con un colpo secco, ma vedo che eri dedito a ben altre occupazioni, di discutibile gusto.” E accennò con un movimento della testa al suo collo.

Tom dapprima non capì, poi si ricordò del succhiotto che Lara gli aveva fatto quella notte, tra una cosa e l’altra.

“Oh, che ci vuoi fare,” disse con modestia. “Ci provo a tenerle lontane da me, ma è più forte di loro.”

“Parli delle mosche?”

“No, delle serpi come te.”

Vibeke gli voltò le spalle senza calcolarlo minimamente, puntò il naso all’insù e si affrettò verso l’ingresso. Tom la lasciò trafficare per un po’ con il pesante portone, cercando di non far cadere la torta, si godette qualche imprecazione sottovoce, poi decise che poteva anche intervenire. La raggiunse e spinse la pesante porta al posto suo, facendole un cenno simil-galante di passare prima di lui.

“Prego, madame.”

Lei lo guardò storto, ma entrò senza fiatare. Entrando nell’atrio, Tom avvertì un lievissimo sentore noto, una sottile fragranza di agrumi che riconobbe subito.

Mi ero aspettato di sentirla non prima delle due del pomeriggio, però…

Sentì un piacere perverso nell’immaginare cosa sarebbe successo di lì a breve, quando Vibeke sarebbe entrata nell’appartamento e avrebbe visto, contrariamente ai programmi, le due persone sconosciute che c’erano ad aspettarla.

C’era una cosa che Tom aveva notato, negli ultimi giorni, qualcosa a cui probabilmente nessun altro aveva fatto caso, una cosa che gli aveva dato motivo di pensare che per Vibeke sarebbe stato tutt’altro che un piacere varcare quella soglia.

 

***

 

Vibeke salì le scale, sia perché soffriva di claustrofobia e gli ascensori non le piacevano molto, sia perché facendosi cinque piani a piedi avrebbe smaltito parte dell’ormai cronica ‘arrabbiatura da Kaulitz’ e magari anche un po’ di colazione.

Tom le trottò dietro, biascicando rimostranze contro la poco saggia decisione di snobbare l’ascensore.

“Non ti ho chiesto io di seguirmi.” Puntualizzò lei, sbucando sul pianerottolo di destinazione, l’ultimo piano prima della terrazza. Si accorse subito che la porta dell’appartamento era aperta, e soprattutto delle voci concitate provenienti dall’interno.

Dimentica di Tom che le arrivava alla spalle ed incuriosita dall’insolita vivacità, entrò, fermandosi sull’ingresso.

Non si accorse immediatamente di cosa non andasse, di cosa ci fosse di diverso, ma bastò un granello di clessidra a farle capire: Bill, Gustav e, stranamente, anche Georg erano riuniti al centro del salotto e stavano parlottando allegramente con qualcuno.

Non aveva idea di chi fosse la ragazza con la bambina in braccio. Era più giovane di lei di almeno un paio d’anni, e sembrava trovarsi a proprio agio in mezzo a loro, quasi a casa. Una cosa era certa: non era una di quelle mocciose ormonali che i quattro prodigi avevano intorno di solito, ma anzi, da come la trattavano e da come si comportava, sembrava essere parte integrante della famiglia.

Poi vide Georg metterle una mano sulla schiena e posarle le labbra su una tempia, in un modo pieno di dolcezza e premura che poteva solo essere descritto come innamorato perso, e allora capì.

Non era come si era aspetta, neanche alla lontana, ma non c’era ombra di dubbio su chi fosse: era lei, Nicole.

Nicole, il nome che più di frequente passava sulle labbra di Georg. Nicole, la sua ragazza tutta speciale che si chiamava addirittura come i suoi bassi. Nicole, la bambolina dai lucenti capelli color mogano e lo sguardo angelico. Nicole, graziosa e dolce e sorridente. La famosa Nicole di cui tutti parlavano tanto.

E aveva una bambina che la chiamava ‘mamma’, uno scricciolino biondo che era aveva appena ricevuto una scompigliata di capelli da Bill e le cui iridi ricalcavano alla perfezione il colore di quelle di Georg.

Vibeke rimase col fiato sospeso.

Possibile che…?

“Non è sua figlia, se è questo che ti stai chiedendo dietro a quella stupida espressione attonita,” Le sussurrò Tom in un orecchio, alle sue spalle, lasciando trapelare un sogghigno dal proprio tono. “È solo una fortunata coincidenza che abbiano gli stessi occhi.”

Lei lo scacciò via con una gomitata infastidita, ma comunque la notizia non era di grande conforto. Vibeke non riusciva a staccare gli occhi da Georg e Nicole, abbracciati teneramente mentre si scambiavano un bacio, così palesemente cotti l’uno dell’altra da risultare impossibili da odiare.

Guardò Nicole, così bella e semplice in quel vestito di lana blu notte, e poi se stessa, un’accozzaglia di nero ed argento che la maggior parte della gente faceva fin troppo in fretta ad associare – a gran torto – al satanismo, e per la prima volta da secoli desiderò essere qualcun altro.

Fu un pensiero fugace, che durò in tempo di un battito di ciglia, ma ci fu, e questo la rese profondamente delusa di se stessa.

In quell’attimo Georg si accorse di lei e le sorrise.

“Hey, Vibeke,” La chiamò. “Vieni a conoscere le mie ragazze!”

Le sue ragazze.

Non riusciva a non invidiare il tono con cui l’aveva detto, come se si fosse trattato di un tesoro prezioso di cui andava notevolmente fiero. Ancora non le era chiaro se il suo trovare Nicole così insopportabile fosse dovuto a lei come persona o al fatto che l’attenzione di tutti quanti sembrasse catalizzata su di lei.

Ogni pezzo trovò la propria corretta collocazione nella mente di Vibeke.

Nicole ed Emily. Non due volgari groupies, ma madre e figlia, una più bella dell’altra, che guardavano Georg con lo stesso amore con cui lui guardava loro.

Vibeke le odiò per quella fortuna immensa che avevano, ed odiò se stessa per quello stesso odio immeritato.

Poteva anche essere cattiva quanto voleva nei confronti di Nicole, ma la luce che irradiava dal volto di Georg parlava chiaro: era innamorato di lei – molto innamorato di lei – e Vibeke aveva un’opinione abbastanza alta di lui da dover riconoscere che non era uno che concedeva il proprio amore a chi non ne era più che meritevole.

Avanzò con la torta tra le mani, chiedendosi se le si leggeva in faccia la frastornazione che si sentiva all’interno, accolta da un luminoso sorriso di Nicole.

Vibeke non era sicura che le piacesse, così delicata e pulita, troppo bella per essere vera, ma fu comunque piacevolmente sorpresa nel notare che, diversamente da tutti coloro che la incontravano per la prima volta, non la stava guardando né con disgusto, né con sospetto, e nemmeno con timore. Le sorrideva, e così la bambina che teneva tra le braccia, la prima timidamente, la seconda in un modo curioso ed irriverente che le piacque subito.

Questa piccoletta ed io ci capiremo alla perfezione, lo sento.

Georg prese Emily tra le proprie braccia e avvolse le spalle di Nicole, che arrossì un poco sotto allo sguardo di Vibeke.

“Nicole, Emily, vi presento la nostra indispensabile schiava personale, Vibeke. Vibeke, la mia Nicole e la mia Emily.”

Si strinsero le mani.

“Piacere.” Disse Nicole, la cui voce era un tiepido manto di velluto avvolgente.

“Piacere mio.” Si sforzò Vibeke. La metteva a disagio vedere quel quadretto familiare così intimo, le sembrava quasi di essere un’intrusa in una storia non sua, una comparsa capitata sul set sbagliato al momento sbagliato.

Calò un pesante, imbarazzante silenzio.

Non sapeva cosa dire, cosa fare, come comportarsi… Si sentiva spiacevolmente fuori contesto.

Non avrebbero dovuto essere lì, lei non avrebbe dovuto incontrarle, non avrebbe voluto. L’atmosfera nell’appartamento era diversa, non rilassata e fiacca, come quando c’era lei, ma frizzante e festosa, i ragazzi erano diversi, più sciolti e vitali, tutto era diverso, e lei in quella diversità non c’entrava un bel niente.

Doveva togliere le tende, e in fretta.

Per fortuna Gustav parve cogliere la sua esitazione e venne in suo soccorso.

“Vieni, mettiamo in frigo la torta.” Le disse, portandosela via.

Quando arrivarono in cucina, chiuse la porta, poi si mise a spostare le cose nel frigo per fare spazio.

“Sono arrivati prima,” disse a voce bassa. “Georg ha preferito evitare il traffico e sono partiti in anticipo.”

“Bene.” Fece lei, non capendo dove volesse esattamente arrivare.

Gustav si voltò, le tolse la torta dalle mani e la ripose nel frigo, poi tornò a fissarla a braccia conserte.

“Non ho i paraocchi, si vede lontano chilometri che eri nel pallone,” Si appoggiò con la schiena alla parete, scrutandola indagatore. “Non ti ho mai – mai – vista esitare al cospetto di nessuno, e improvvisamente finisci per ammutolire davanti a una ragazza più giovane di te e una bambina di quattro anni?”

Vibeke si tormentò uno dei due piercing all’interno del labbro, incrociando le braccia a sua volta.

Maledetto segugio travestito da cerbiatto…

“Non avevo pensato di doverle conoscere, tutto qui.”

“Sicura vada tutto bene?” indagò lui, incerto. “Sei strana, oggi.”

“Non più del solito.” Ironizzò, ma lui non rise.

“È colpa dell’equilibrio scombussolato? Due nuove presenze femminili nel tuo dominio ti fanno sentire minacciata?”

Vibeke sollevò un sopracciglio, divertita da quella frase così erudita e pretenziosa. Stavolta Gustav rise.

“Scusa, era una battuta pietosa degna solo di Tom.”

“Tu sei un ragazzo vergognosamente stupendo, Gud, anima e corpo,” sdrammatizzò lei. “Non ti mettere sullo stesso piano di quel rifiuto umano di Kaulitz.”

Gustav si portò una mano al cuore.

“Wow, grazie,” esclamò, ostentando una finta commozione. “Se non ricordo male, è la prima volta che degni qualcuno di un complimento esplicito.”

Lei schioccò la lingua e scosse la testa.

“Mi sembrate già sufficientemente soddisfatti di voi stessi, anche senza che si unisca l’ennesima accolita alle vostre infinite schiere di dispensatori di lodi.”

“Fa un altro effetto sentirselo dire da una persona che si stima.”

“Te l’ho già detto che sei il mio preferito?”

“No,” rispose lui, serio. “Non sei il tipo da mentire,” precisò, e lei doveva aver assunto un’espressione particolarmente sgomenta, perché poi aggiunse: “Andiamo, va bene che sono schivo e poco attivo nella vita sociale, ma so capire quando uno sguardo è più intenso di un altro, e lui ha sicuramente catturato il tuo interesse.”

Sgamata in pieno, ammise. Si augurava solo che fosse l’unico ad averlo notato.

“Dev’essere per il fatto che è occupato,” sospirò, voltandogli le spalle. “La mia fortuna in genere va a parare lì.”

“Georg non fa per te,” le disse Gustav. “È troppo calmo e riflessivo. Non potreste mai stare bene insieme.”

“Suppongo che la sua bella Nicole sia uno zuccherino pacifico e tranquillo, vero?” sbottò indispettita. Gustav sorrise mestamente.

“È senz’altro pacifica e tranquilla,” le concesse. “Le vogliamo tutti un gran bene, quindi bada a come parli.” La avvertì, anche se in tono giocoso.

Si vede che le volete un gran bene, tranquillo, pensò Vibeke, sentendo le risate provenire dall’altra stanza.

“L’angelo dei miracoli che li mette d’accordo tutti e quattro,” sbuffò. “Ti pareva.”

Gustav le si avvicinò di qualche passo.

“Altro che metterci tutti d’accordo,” ridacchiò, lasciando bene intendere che ci fosse molto da dire al riguardo. “Ma se io adesso ti raccontassi di lei, probabilmente te la farei solo odiare di più. Aspetta di averla conosciuta, e se poi continuerà a non piacerti, ci metteremo l’animo in pace.”

Le mise una mano sulla spalla, stringendogliela amichevolmente, e lei arricciò il naso con scetticismo.

“Staremo a vedere.”

“Vedrai, vedrai…” le assicurò con un sorriso.

Vedere Gustav sorridere era come aver vissuto una vita intera nell’oscurità e scoprire che esisteva il sole: avrebbe potuto passare ore a contemplare quel sorriso, quegli occhi in cui era fin troppo facile annegare, e non se ne sarebbe mai stancata. Le persone come lui erano rare, ma impossibili da non apprezzare, quando si aveva la fortuna di incontrarne una. Vibeke invidiava già ora la fortunata ragazza che un giorno avrebbe conquistato il suo cuore.

“Ti adoro Gustav Klaus Wolfgang Schäfer,” gli confidò, avvolgendogli il collo con un braccio. “Sei la creatura più meravigliosa che sia mai passata per questo povero pianeta.” E gli schioccò un bacio sulla guancia, strappandogli una mezza risata imbarazzata.

“Ecco, adesso sì che ti credo.” Le disse, e risero entrambi.

“Hey, voi due,” la testa di Tom aveva fatto capolino dalla porta che si era aperta di poco e li guardava beffardo. “Quando avete finito con le effusioni romantiche, sarebbe cortese da parte vostra venire di là.”

Sarebbe cortese da parte mia togliermi di mezzo, rettificò Vibeke, lasciandosi trascinare da Gustav fuori dalla cucina, avendo ancora un braccio attorno al suo collo.

“Piantatela di fare i piccioncini, fate schifo!” bisbigliò Tom, mentre gli passavano accanto.

Vibeke gli si sarebbe avventata contro se non ci fosse stato Gustav a trattenerla.

“Kaulitz, perché non vai a farti fo–”

Oltre a trattenerla, Gustav ebbe anche la prontezza di spirito di tapparle la bocca ed evitare così che un’innocente bimba di quattro anni potesse avere un assaggio di quello che la lingua di Vibeke poteva tirar fuori.

“Che signora che sei.” Sillabò Tom, provocandola deliberatamente.

Ancora bloccata, un braccio di Gustav attorno alla vita e una mano sulla bocca, Vibeke cercò di lanciasi verso di lui, ma fu trascinata via di peso.

“Non dargli corda.” Le consigliò Gustav, mettendola a sedere sul divano, accanto ad Emily e Bill.

Vibeke notò solo in quel momento che Georg e Nicole erano spariti, e così anche bagagli e cappotti. Dovevano essere andati a portarli nella stanza degli ospiti, dove Vibeke aveva messo piede solo per fare i due letti e chiedersi come facessero quei quattro ad arrangiarsi prima che arrivasse lei.

Presumibilmente dava una mano la perfetta Nicole.

“Allora, Emily, come va a casa?” domandò Gustav alla bambina, accomodandosi sulla poltrona lì accanto.

La piccola esibì un sorriso che la rese pressoché identica alla madre.

“Bene!” esclamò decisa. “Nel nostro palazzo è arrivato un bambino nuovo. Si chiama Samuel, però è antipatico.”

Lo disse con una schiettezza che Vibeke adorò.

“Ah sì? E come mai?”

“Mi tira i capelli e mi ruba sempre Wilhelm.”

Emily si strinse sotto al braccio un peluche nero che aveva tutto l’aspetto di un ragno, soggetto non proprio ordinario per i gusti di qualcuno di quell’età, soprattutto se femmina.

Hai capito la bambolina, si complimentò mentalmente. Emily portava un vestitino verde scuro e delle scarpine con dei fiocchetti che chiudevano il cinturino, ma Vibeke aveva un sesto senso nell’individuare i caratteri delle persone, e quel piccolo folletto biondo doveva essere proprio un gran bel peperino.

“Ma tu lo sai che i bambini fanno sempre i dispetti alle bambine per cui hanno una cotta?” soggiunse Bill, alla sua destra. Lei parve interessata.

“Vuol dire che gli piaccio?”

Bill scoccò un’occhiatina fugace a Vibeke e una a Tom, che si teneva lontano, e annuì.

“Proprio così.”

“È proprio stupido, allora!” commentò Emily, imbronciata. Bill rise.

“Lo penso anch’io.”

Una porta sbatté, segno che Tom si era rintanato in cucina.

“Come mai sei vestita così buia?” chiese Emily a Vibeke.

“Perché mi piace, mi ci trovo bene.”

“Ma il nero è triste…”

“Non mi vesto sempre di nero,” chiarì Vibeke dolcemente. “Ogni tanto mi vesto anche di verde, di rosso, di rosa, di azzurro, di bianco…”

Emily la osservò per qualche secondo.

“I tuoi occhi sono strani.”

Vibeke pensò che avrebbe dovuto aspettarselo.

“Perché sono di due colori diversi?”

“Sì. Però sono belli.”

Le sorrise. C’erano scarse possibilità che una bambina così deliziosa potesse essere stata cresciuta da una madre molto diversa da lei.

“Lo sono anche i tuoi.”

Emily le regalò un sorriso riconoscente, gli occhi che diventavano due verdi spicchi di luna luccicanti.

“Le persone dicono che sempre che io e Georg abbiamo gli occhi uguali,” rivelò. “Che sembriamo un papà e una figlia, e la mamma si arrabbia perché invece a lei somiglio più poco.”

“Però siete molto belle tutte e due.” Ammise Vibeke, benché a malincuore. Le rodeva, e molto, in qualche punto dalle parti del fegato, che Nicole appartenesse a quella cerchia di ‘belle’ che lo erano senza preoccuparsene, senza fare di quella bellezza una ragione di vita. Era bella perché lo era, senza sforzi, senza trucchi, senza vestiti vistosi, e Vibeke un po’ la invidiava.

“Anche tu sei bella!” disse Emily, come se le avesse letto il pensiero. “Sei bella come Bill.”

“Come Bill?” Vibeke cercò lo sguardo dell’unico Kaulitz presente, il quale ricambiò con un’alzatina di spalle.

“Sì,” confermò Emily. “Siete un po’ strani, però a me non interessa. Voglio tanto bene a Bill, mi dice sempre che sono un raggio di sole.” E gli sorrise con un accenno di timidezza che Vibeke, da esperta del settore, reputò molto ruffiana.

“Ha proprio ragione.” Concordò infine.

Emily le puntò addosso quei suoi due occhioni curiosi e Vibeke fiutò odore di domande poco canoniche nell’aria.

“Perché ti sei arrabbiata con Tom, prima?”

Come volevasi dimostrare.

“Aveva detto una cosa poco carina.” Rispose, con Bill e Gustav che ghignavano tra di loro.

Emily annuì con il capo.

“Tom è un po’ bitchy ogni tanto.”

Bitchy?” fece Vibeke, un po’ presa in contropiede. Finora non le era ancora capitato di sentir dare a Tom dello stronzo in inglese, ma di certo non avrebbe mai pensato che la prima volta sarebbe uscito dalla bocca di una bambolina di quattro anni.

“Non so come si dice in tedesco,” si scusò la piccola, e le si avvicinò con una mano vicino alla bocca, come per confidarle un segreto. “La mia mamma quando si arrabbia parla sempre in inglese, per non farsi capire dai vicini.”

“Lo so io come si dice in tedesco,” rise lei. “Ma non è il caso che te lo insegni, mi sembri già fin troppo sveglia.”

Già adorava quella mocciosetta.

In quell’istante Georg e Nicole scesero dalle scale tenendosi per mano, particolare che infastidì Vibeke almeno quanto il rossore sulle gote di Nicole, le cui cause potevano essere molteplici.

“Siamo pronti,” annunciò Georg allegro. “Vibeke, ti unisci a noi? Andiamo a mangiare al Santini’s, quel nuovo ristorante del centro.”

Vibeke non si sprecò nemmeno a considerare l’idea.

No, grazie. Apprezzo l’invito, ma preferisco non disturbare mentre tu e la tua preziosa metà fate la coppietta felice, avrebbe voluto replicare.

“No, grazie. Apprezzo l’invito, ma preferisco non disturbare.” Si limitò invece a dire, alzandosi dal divano e ringraziando gli déi di non essersi tolta il cappotto. La fuga sarebbe stata molto più semplice.

“Dai, vieni, ci divertiremo!” la esortò Gustav.

“Sì,” gli diede man forte Bill. “Tu e Tom potete sbranarvi a vicenda, così risparmiate sul pranzo!”

Due occhiate torve gli schizzarono addosso da parte di Georg e Gustav, mentre Nicole si portò una mano alle labbra, soffocando un risolino aggraziato.

Mai e poi mai.

“Mi piacerebbe, ma c’è BJ a casa, non lo posso lasciare solo…”

“Possiamo passare a prenderlo,” suggerì prontamente Georg. “Così conoscerà anche lui le mie Sandberg.”

“Non so se sia il caso… Siamo vegetariani, lo sapete.”

“Anche Nicole lo è,” intervenne Bill. “Il Santini’s ha un ricco menu vegetariano.”

Vibeke si ritrovò a corto di scuse ed incapace di inventarne di nuove. Si lasciò corteggiare per un po’ dalle loro espressioni esortative, e alla fine non le restò altro da fare se non arrendersi.

“D’accordo.” Sospirò impotente.

Gli altri esplosero in un coro di borbottii di approvazione, lei si mise a calcolare a mente tutte le numerose pieghe sbagliate che la situazione, da lì in poi, avrebbe potuto prendere.

 

 

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Note: dico una sola cosa generale a voi 27 anime che avete commentato e alle 59 che finora hanno messo la storia tra i loro preferiti: GRAZIE! Nello specifico, grazie a:

GodFather: alla faccia delle contorsioni recensionistiche! Mi iscriverò a un corso di yoga mentale per seguirti! XD Comunque sei sempre tra le elette che colgono i dettagli di lettura di ‘secondo livello’, diciamo, e ciò mi compiace. Prafa, schatzi, prafa!

_Ellie_: ecco la saggia donna che mi ricorda sempre tutto! Ti eleggo agenda vivente! Anche tu capisci sempre tante cose, ma del resto non mi stupisce. Di’ un po’, ma quando aggiorni? Sempre a minacciare me, ma tu sei un pessimo pulpito!

Purple Bullet: *pesca Tokio Hotel a caso dal proprio letto* E’ uscito Gustav, ma non te lo do. XD Prendi Bill, per stavolta, se ti puoi ‘accontantare’, altrimenti mi dovrò muovere violenza psicologica e trovare il modo di autostrapparmi Gusti dalle braccia e prestartelo. ;) Comunque Vi e il suo passato sono un argomento ancora non del tutto snocciolato, quindi le altre briciole arriveranno in comode monodosi. ^^

ElianaTitti: sempre lieta di dare una mano, quando posso. ;)

Hermyone: Bill è stato assegnato, quindi o aspetti o puoi avere Tom, scegli pure tu. ^^ Comunque no, purtroppo non so il norvegese (e ciò mi duole parecchio), mi sono solo avvalsa di efficaci ricerche. ;)

susisango: mi metto l’animo in pace, se mi dici che ti piace posso anche montarmi la testa. XD Spero continuerà a piacerti anche in futuro!

RubyChubb: mugliera! Ma come lasciamo perdere le volgarate? E di che parliamo poi? XD Lo sai che il nostro è un matrimonio fatto di queste cose!

carol22: altro che calma, ogni volta mi sembra quasi di vederti battere sulla tastiera davanti allo specchio mentre ti asciughi i capelli, limi le unghie e peparei il caffè. XD Scherzi a parte, anche se brevi, le recensioni fanno sempre piacere. J

layla the punkprincess: oh, una nuova lettrice! Benvenuta! Grazie mille del commento, mi ha fatto davvero piacere, spero ce ne saranno altri. ;)

Ninnola: come vedi le due Sandberg sono tornate, e più in forma che mai! Non mi collassare troppo, però, o mi cacciano da EFP per lettricidio colposo!

CowgirlSara: MS mia, altro che sesso! Il BS ha ragione, questi due si divoreranno, prima o poi (in una delle svariate sfumature del significato XD). La prossima volta che ti aggiri per casa ridendo, filmati, esigo di vederti!

Lauchan: jaja, Tomi si è finalmente rammentato di quel dettagliuccio. La verità sotto alla rosa è ancora in gran parte sepolta, con calma la disseppelliremo tutta, entro la fine. Non resta che attendere. ^^

loryherm: e anche tu sei una di quelle che carpiscono gli accenni quasi sfuggenti! Vediamo cosa mi dirai di questo capitolo. ^^

Carmen_TH: eeeh, se mi conosci almeno un po’, sai che io sono una che tira le cose per le lunghe, fino all’esasperazione, ma ti assicuro che di baci ce ne saranno. Con chi, è un segreto, e non è detto che si tratti sempre delle stesse persone. ;)

Fee17: non mi reputo una delle migliori (anzi, dopo aver letto lavori di autori che non nominerò, ho ricevuto una buona dose di umiltà), ma faccio del mio meglio, perché scrivere è tutto per me, mi piace davvero infinitamente, perciò sono sempre felicissima di scoprire che quello che appassiona me riesce ad appassionare, anche se da altre prospettive, anche altre persone. Leggerò senz’altro qualcosa di tuo al più presto. ;)

GaaRa92: per ora Vi si è tutt’altro che ricreduta riguardo Nicole, anche se ha chiaramente compreso che lei ed Emily non sono ciò che credeva. Vedremo poi come si evolverà la storia. ;)

Mairim90: ti ringrazio davvero molto, sia per i complimenti che per la fiducia che riponi in me. Ho già dato un’occhiata alla tua storia e ti ho lasciato qualche consiglio che spero troverai utile. J Continua a seguirmi, mi raccomando, ci tengo. ;)

NeraLuna: Lara avrà il suo ruolo preciso, sì, anche se non centrale, ovviamente, e lo scopriremo pian piano. E, sì, Tom non è proprio un lumicino di maturità nelle sue razioni, ma l’esperienza serve anche a questo. ^^

Muny_4Ever: sopravvivi ancora! Concordo su tutto quello che hai detto, ma già lo sai. ^^

SusserCinderella: Tom è stato impacchettato ed inoltrato, arriverà a te entro tre giorni lavorativi. XD E, no, mi dispiace deluderti, ma i baci sono gesti mooolto importanti, da gestire con consapevolezza e parsimonia, e quel frangente non era per niente adatto per un bacio. E poi è vero che se è troppo facile non c’è gusto. ;)

kit2007: taaante cose non tornano sul Baggy Kaulitz, ma ci vorrà un po’ pazienza per avere il quadro chiaro e completo e capirci qualcosa. ^^ Come si suol dire: la pazienza è la virtù di Georg dei forti. XD

Lady Vibeke: yep, just a mere mirror. Ero sicura che tu l’avresti notato, che non ti saresti lasciata ingannare dal fin troppo ovvio specchio rotto, non ne ho dubitato per un solo secondo! Sono commossa! *__*

Sarakey: Billosissimo! <3 Anche se con te non so mai quando profondermi in lodi su questo ragazzo e quando tacere. XD

_ToMSiMo_: mille grazie! È vero, chi disprezza compra, ma non è una legge universale. Potrebbe essere valida, in questo caso, o anche non esserlo… Chi lo sa? Vedere per credere!

btb: il mio tatto è smisurato (inesistente) come quello di Tom, sembra. Scusami, non volevo rivangare spiacevoli ricordi. ^^ Per farmi perdonare, ti mando i Tokio Hotel al gran completo, ok? ;)

picchia: Tom sa, eccome me sa, ma il pathos l’ho messo da parte per il futuro. Ci sarà, ma non tanto presto, almeno in merito a questa epifania piccante. ^^ Tu abbi fede, donna. ;)

Ladynotorius: milady! Mi stai spremendo come un limone, ultimamente, ormai la mia sconfinata e perversa fantasia non ha quasi più segreti per te. Ora che sai, esigo recensioni lunghe almeno il doppio! XD

 

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Capitolo 7
*** Beyond The Door ***


A Georg l’atmosfera dava l’impressione di una di quelle cene di famiglia che si facevano in occasione delle festività, come un piccolo pranzo natalizio, solo che era il sette di febbraio.

Lui, comunque, i suoi regali li aveva.

Sedeva ad un capo del tavolo, Emily, Nicole e Tom da un lato, Gustav, Bill e Vibeke dall’altro, BJ a capotavola di fronte. Erano una gran bella tavolata, anche se forse un po’ particolare.

Alla sua destra, Emily si stava gustando un piatto di spaghetti ed aveva tutta la bocca impiastricciata di pomodoro, ma era deliziosa con quel grosso tovagliolo bianco annodato attorno al collo, concentrata sull’arrotolamento della pasta attorno alla forchetta. Nicole la teneva d’occhio, supervisionandola silenziosa, pulendole la bocca ogni tanto e lanciando a Georg sguardi sorridenti.

Non c’era secondo della sua vita in cui lui non si chiedesse quando si sarebbe svegliato ed avrebbe scoperto che era stato tutto un lungo sogno incredibilmente realistico.

Era tutto perfetto, come si vedeva nei film: una serata tra amici senza noie lavorative o preoccupazioni, tutti che parlavano, scherzavano e ridevano fra loro. Perfino Vibeke sembrava divertirsi, e a Georg non poteva che fare piacere vederla parlare con Nicole.

Al momento sentiva che stavano discutendo di un argomento dei più ovvi, date le circostanze, ma anche dei più interessanti, almeno per lui: la vita con i Tokio Hotel.

“Certe volte verrebbe da ucciderli a randellate nel vedere quanto poco si curino di mantenere l’ordine e l’armonia nel creato,” stava dicendo Vibeke, tra un boccone di uno strano spezzatino e l’altro. “Ma sono dei cucciolotti ancora non completamente svezzati, bisogna avere pazienza.”

Nicole rise, una risata molto diversa da quella cinica e disillusa di Vibeke, una risata silenziosa e contenuta, ma molto contagiosa.

Georg si ritrovò così a sorridere, nell’esatto istante in cui Nicole gli scoccava un fugace sguardo ammiccante, per poi tornare a rivolgersi a Vibeke:

“Già,” concordò. “Ogni tanto mi sembra di avere cinque figli, non una.”

“Parlate per loro tre,” intervenne Gustav, puntandole contro la forchetta. “Io me la cavo benissimo da solo.”

Vibeke gli sorrise in quel modo carico di affetto che riservava solo ed esclusivamente a lui.

“Hai ragione, Gud, tu non c’entri niente.”

Il coltello con cui Tom stava tagliando la sua bistecca scricchiolò fastidiosamente contro il piatto, provocando un rumore che fece rabbrividire tutti quanti.

“Sta’ un po’ attento, Tom!” lo rimbeccò Bill, sollevando le mani per proteggersi le orecchie. “Lo sai che è insopportabile!”

Ma Tom lo ignorò e continuò imperterrito a tagliare – o meglio, mutilare – il proprio pranzo, rispondendo all’occhiata ammonitrice di Georg con una truce.

“Georg,” chiamò Emily, posandogli la manina sul braccio. “Non mi ricordo come si chiama la signorina tutta nera.”

“Vibeke.”

“Bibeke.”

“Vi-be-ke.” Scandì lui piano.

“Bibe–” provò Emily, con evidente sforzo. “Vive–” riprovò ancora, ma senza successo. “Non sono capace.” Si arrese, sconfitta.

Lui sorrise. Si era innamorato di quella bambina almeno quanto si era innamorato della madre, e si sentiva orgoglioso quando lei si rivolgeva a lui per qualche problema, o per farsi spiegare qualcosa. Il fatto di essere una figura di riferimento per una bimba così straordinaria lo faceva sentire importante.

“Chiamami come preferisci, Emily,” soggiunse Vibeke, sporgendosi in avanti dall’altra parte del tavolo. “Non fa differenza.”

“Io la chiamo Bee, ogni tanto,” si intromise BJ, prendendo un sorso di birra. “Perché certe volte comincia a farneticare e non la smette più, e ronza proprio come un’ape.”

Accanto a lui, Tom sollevò il proprio bicchiere e fecero cincin.

“Bella questa, amico.” Si complimentò.

BJ fece un piccolo inchino, una mano sul petto.

“Modestamente.”

“State un po’ zitti voi due!” abbaiò Vibeke, e un attimo dopo sia BJ che Tom lanciarono un urlo strozzato di dolore.

Georg rise assieme a tutti gli altri: dovevano essersi beccati un bel calcio sottobanco.

“Bee è facile,” disse Emily contenta. “E poi è bello! Posso chiamarti Bee?”

Vibeke abbandonò rapidamente la modalità aggressiva per passare a quella mansueta, che era molto rara e generalmente esclusiva per Gustav.

“E Bee sia.”

“D’ora in poi la chiameremo tutti Bee,” decise Georg. “Il soprannome più azzeccato che io abbia mai sentito.”

“Dopo Peste Bubbonica.” Mormorò Tom fra sé e sé, ma Vibeke gli assestò subito un altro calcio, strappandogli un’imprecazione che fortunatamente fece in tempo a bloccare a metà, evitando così una ramanzina da parte di Emily, ma conquistandosi in compenso un altro cincin di complimenti da parte di BJ.

Non c’è che dire, constatò Georg, quei due si capiscono alla perfezione.

Lo stesso non si poteva dire con Vibeke, che Tom stava momentaneamente incenerendo con uno sguardo che lei nemmeno considerava.

E questi due?

 

***

 

Vibeke doveva ancora decidere come si sentisse nei confronti di quel pranzo improvvisato, ma una cosa era certa: BJ ne era entusiasta.

Non appena lo aveva chiamato per chiedergli se gli andasse un invito a pranzo dell’ultimo minuto da parte dei Tokio Hotel (pregando segretamente che la risposta sarebbe stata un bel ‘Fanculo i Tokio Hotel, vieni subito a casa!’), lui aveva abbandonato repentinamente la parlata strascicata e sonnolenta e si era come acceso di entusiasmo, mandando in fumo l’ultima speranza della sorella di scampare a una sottospecie di riunione di famiglia di cui peraltro nemmeno faceva parte.

BJ era diverso da lei, per moltissimi versi. Si somigliavano in tante cose – sarcasmo, perfezionismo maniacale a singhiozzo, amore sconfinato per la natura e gli animali, diffidenza generale verso l’umanità, e una valanga di altre cose – ma in quanto a socievolezza erano agli antipodi: contrariamente a lei, BJ era un animo espansivo, fatto per vivere a stretto contatto con la gente, per divertirsi e divertire, e nonostante di norma non fosse mai incline al farsi amici, quanto piuttosto un gran numero di conoscenti, Vibeke aveva capito subito che lui e i Tokio Hotel erano fatti un po’ tutti della stessa pasta, a mezza via tra adulti e bambini, ragazzi di successo che, entro le mura domestiche, regredivano alla più tenera e comoda infanzia.

Un ottimo esempio di puerilità, infatti, glielo stava fornendo Tom, impegnato a farle pesare addosso uno sguardo ad alto potenziale distruttivo da almeno mezz’ora.

Sedere accanto a Nicole era impegnativo. Vibeke non era una da ristorante, non aveva mai nemmeno imparato quale dei due bicchieri fosse per il vino e quale per l’acqua, né quale delle tre forchette posate in tavola andasse usata per prima, invece Nicole sembrava esserci nata in ambienti chic come quello, composta ed aggraziata fin nel minimo movimento, ma in modo naturale, privo di forzature. Mangiava a piccoli bocconi, masticando con calma, senza mai aprire la bocca prima di aver deglutito, accorta, leggera, femminile.

Nulla a che vedere con Vibeke.

“Mi passeresti l’acqua naturale, per favore?”

Passò la bottiglia di San Pellegrino a Nicole, facendo del proprio meglio per ricambiare il sorriso che ricevette come ringraziamento.

Intercettò per un istante la traiettoria visiva di Georg. Era evidente che si aspettasse che lei e Nicole si parlassero, che familiarizzassero un po’, sembrava non aspettare che quello, e la sua espressione raggiante sembrava volerle dire ‘Allora, non è fantastica?’

E lei che cosa poteva fare?

Sì, Georg, lo è, riconobbe mogia.

Ma sì, cosa le costava, alla fine? Due chiacchiere, qualche parola di circostanza, un pizzico di buona educazione che poteva sforzarsi di far passare per spontanea, e il gioco era fatto.

“Allora, Nicole,” esordì, spingendo da parte il proprio piatto vuoto. “Come vi siete conosciuti tu e Georg?”

La vide arrossire, concentrata sulle sue verdure alla griglia. Le sue labbra si erano incurvate un poco verso l’alto.

“Emily voleva vedere da vicino i capelli di Bill.” Disse enigmatica, girandosi appena verso di lei. Le raccontò così del concerto di Parigi dell’anno precedente e della bravata della sua piccola peste, di come lei si fosse presa un colpo quasi letale nel non trovarsela più al proprio fianco, di come si era precipitata nel backstage a concerto terminato, in lacrime e con i nervi a fior di pelle, senza nemmeno degnare i ragazzi di uno sguardo. Le parlò di tutto quello che era successo dopo, ma senza entrare nei dettagli, dando così a Vibeke motivo di pensare che ci fossero parti della storia che non gradiva raccontare. Non insistette.

“Non credevo che saremmo arrivati fin qui,” confessò Nicole, abbassando lo sguardo. “È stato contemporaneamente l’anno più bello e più difficile della mia vita.”

La sua sincerità era così tangibile da toccare perfino Vibeke, la quale non voleva nemmeno immaginare quanto dovesse essere faticoso e doloroso essere costretta a lunghi periodi di separazione dalla persona amata, perché Nicole poteva non piacerle forse, ma amava Georg, ed era chiaro come il sole.

“Lei ogni tanto ci prova a liberarsi di me con certi discorsi senza senso,” interloquì Georg, posando la propria mano su quella di Nicole. “Ma è un’illusa se spera che io la molli.”

Si guardarono, e quello che Vibeke vide nei loro occhi andava oltre qualsiasi sua esperienza. Non sapeva cosa fosse quell’adorazione reciproca, non l’aveva mai conosciuta, ma si vedeva che erano due persone fatte per stare insieme, e che avevano avuto diverse occasioni, anche se lei non ne era a conoscenza, di dimostrarlo.

Guardandoli scambiarsi quel piccolo bacio veloce e poi sorridersi, Vibeke dovette arrendersi davanti all’evidenza: niente e nessuno – lei men che meno – si sarebbe mai potuto mettere fra loro.

“Scusate,” disse, alzandosi in piedi all’improvviso. “Vado un attimo fuori, mi serve una sigaretta.” Annunciò, e si allontanò a passo svelto verso l’uscita che dava sul giardino.

Era una giornata nuvolosa e grigia, e la momentanea mancanza di vento annunciava che le nuvole non se ne sarebbero andate molto presto. Il giardino del ristorante, al momento deserto, era in realtà una porzione recintata del grande parco del centro, le cui basse siepi lasciavano un’ampia vista sul resto del paesaggio, costituito da una vasta distesa di prato di un verde spento e secolari alberi spogli.

Vibeke ignorò il freddo invernale che le penetrava tra gli squarci della maglia di cotone, si passò una mano tra i capelli e respirò con piacere un po’ di aria fresca. Lì fuori si stava decisamente meglio.

Si sfilò dalla tasca dei pantaloni il solito pacchetto di Silk Cut mezzo vuoto, se ne prese una e se la accese, riponendo poi l’accendino dentro al pacchetto e quest’ultimo di nuovo in tasca. Non appena inspirò la prima boccata di fumo si sentì subito più rilassata.

Si appoggiò con la schiena al muro, un braccio piegato sotto all’altro, gustandosi la sigaretta con insolita calma, espirando verso l’alto, come per buttare fuori l’amarezza.

Nonostante tutto, non le riusciva di odiare Nicole.

“Sapevo che te la saresti squagliata alla prima occasione.”

Lei non si mosse. Tom era appena uscito dalla doppia porta a vetri che lei stessa aveva varcato un minuto prima, sbucandole accanto. Aveva parlato con una sigaretta fra le labbra, le mani sprofondate nelle larghe tasche dei jeans.

“Mi fai accendere?” le chiese, non ricevendo alcuna risposta.

Mai ‘per favore’.

Vibeke si voltò leggermente verso destra, la sua Silk Cut in bocca, e permise a Tom si avvicinarsi. Le sommità delle due sigarette si incontrarono, e così i loro sguardi. Tom aspirò, reggendo la propria Marlboro tra l’indice e il medio, e così restò per diversi secondi, immobile, fino a che non fu accesa, e solo allora, scostandosi, infranse il contatto visivo.

Mai ‘grazie’.

Vibeke lo osservò inspirare a lungo, per poi esalare il fumo con la testa reclinata all’indietro, i nervi del collo e il pomo di Adamo perfettamente delineati al di sotto della pelle.

Quel giorno portava, come spesso faceva, due magliette sovrapposte, rosso sopra bianco, forse non il colore che gli donava di più, ma che sicuramente rendeva giustizia alla sua personalità.

“Nicole non è come credevi, vero?” le disse, lasciando cadere della cenere a terra, seguendola mentre si spargeva sulle grandi mattonelle del selciato.

Lei tornò a rimirare il cielo plumbeo, prendendo un’altra boccata di fumo.

“Mmm.”

Tom fece come lei ed abbandonò le proprie spalle contro il lato bloccato della porta, il ginocchio sinistro piegato, il piede appoggiato al gradino che introduceva all’area all’aperto.

“Non ce la fai ad odiarla, ammettilo.”

“Perché dovrei odiarla?” domandò Vibeke con indifferenza.

“Perché ha qualcosa che tu vorresti.”

“Una taglia trentotto?”

Tom inclinò il capo di lato, con un mezzo sogghigno che non combaciava con l’ombra seria che aveva negli occhi.

Lui.”

A Vibeke parve quasi di sentire le proprie pupille restringersi dallo stupore, un battito che si perdeva nella sensazione di essere stranamente ed improvvisamente vulnerabile.

Era davvero così evidente? Da quando era così trasparente nel lasciar trapelare i propri sentimenti? E soprattutto, se lo era veramente, anche Georg aveva intuito qualcosa?

No che non l’ha fatto, sciocca, sbottò la lei interiore. Non lo vedi? È tutto preso dalla sua Nicole, non vede al di là del suo naso, ti pare che si possa accorgere di quello che fai tu?

No, ovviamente no, nel bene e nel male che la cosa comportava.

Spense il mozzicone dentro al posacenere di ferro situato accanto alla porta, rincuorata e afflitta al tempo stesso.

Tom stava per dire qualcosa, ma Vibeke sentì uno strano suono provenire da qualche parte non lontano.

“Hai sentito?” disse, guardandosi attorno attentamente. Non era certa di aver realmente sentito qualcosa, ma ogni scusa era buona, pur di cambiare argomento.

“Sentito cosa?” domandò Tom.

Vibeke tese l’orecchio, cercando di capire da dove provenisse quel verso strano.

“Sembra una specie di squittio.” Constatò. Erano in prossimità di un parco, poteva trattarsi di uno scoiattolo, o qualche piccolo animale selvatico.

“Topi?” fece Tom scettico, seguendola mentre si avvicinava ad uno degli alberi appena fuori dalla recinzione del giardino e guardava in su.

“Viene da lì.”

“I topi non vanno sugli alberi.”

Vibeke sbuffò, cercando di individuare la fonte del flebile verso inidentificabile.

“È un gattino!” esclamò, scorgendo finalmente un musetto bianco e grigio che spuntava da uno dei rami sopra la sua testa.

Accanto a lei ai piedi della pianta, Tom allungò il collo per vedere meglio.

“Come diavolo ci è finito lassù?”

“Che ne so,” mugugnò lei. “Magari stava giocando, o scappando da un cane…”

“Be’, bravo furbo!” borbottò Tom acido.

Vibeke studiò il tronco dell’albero e lo trovò desolatamente privo di nodi o punti in cui appoggiarsi, e la rete di ferro non sarebbe servita a niente, era un appoggio troppo debole. Non restava che una sola cosa da fare.

“Aiutami a prenderlo.” Intimò a Tom, trascinandolo più vicino all’albero. Lui assunse un’espressione interrogativa.

“E come, scusa?”

“Tirami su.”

Lui strabuzzò gli occhi, incredulo.

Cosa?”

Vibeke emise un rantolo spazientito.

“Dai Kaulitz, sono pochi centimetri! Cosa ti costa? Basta solo che tu mi sollevi di poco, è proprio qui sopra, non vedi? Magari si è perso, o la sua mamma è morta, o –”

“Va bene, va bene,” tagliò corto lui, burbero. “Basta che stai zitta.”

Si abbassò ed afferrò Vibeke per le gambe, in corrispondenza delle ginocchia, e la issò con un ansito dovuto allo sforzo.

“Porca puttana, Vi, ma quanto cazzo pesi?” esclamò in tono soffocato, con le che gli poggiava su una spalla.

“Sessantacinque chili.” Rispose Vibeke disinvolta, allungandosi più che poteva in mezzo ai rami.

“E dove diavolo li tieni nascosti?”

“Finiscila di lagnarti, ci sono quasi,” gli disse irritata. “E non chiamarmi Vi!”

“Non metterti a fare la schizzinosa o ti mollo qui!” La avvertì lui, spostandosi i suoi lunghi capelli dalla faccia.

“Perfetto, accomodati!” ribatté lei, guardando in basso. “Chiamerò Georg o Gustav, sono senz’altro più forti di te.”

“Non ti permetto di insultarmi così!” esclamò Tom, spostando una mano sul fianco di lei per sorreggerla meglio.

“Non era un insulto, Kaulitz, era una semplice constatazione.” Chiarì Vibeke.

“Ingoiati quella stupida lingua assieme a quei fottuti piercing!”

“E tu toglimi le mani dal culo!”

“Come cazzo faccio a tenerti senza metterti le mani sul culo?” obiettò lui, barcollando lievemente sotto alla sua agitazione. Poco sopra di loro, il gattino miagolava disperato.

“Va bene, allora invertiamo le posizioni.” Suggerì lei, una mano aggrappata a un ramo, l’altra piantata sul fianco.

Tom sorrise maliziosamente.

“Non ti facevo una a cui piace star sotto.”

Vibeke gli sferrò un calcio nel fianco con il tallone dell’anfibio, strappandogli un gemito strozzato.

“Fottiti!”

“Sì, anche tu sei adorabile,” gli rispose sbrigativa. “Adesso sta’ fermo, l’ho quasi preso.”

Le faceva male il braccio sinistro, con il quale si reggeva ad un ramo per aiutarsi a tirarsi su, ma c’era quasi. Il problema era che il gattino non faceva che spostarsi ansiosamente, pur rivolgendosi a lei nel chiamare insistentemente aiuto.

Dai, piccolo, fatti salvare.

Una spinta improvvisa di Tom le permise di guadagnare una spanna e riuscire ad afferrare finalmente la bestiola per la collottola e prenderla in braccio.

“Ce l’ho!” comunicò a Tom.

“Era ora!” esultò lui, allentando lentamente la presa su di lei. Se la lasciò scivolare delicatamente fra le braccia, la schiena di lei contro il petto di lui, e Vibeke sentì qualcosa smuoversi nei pressi dell’ombelico. Le mani di Tom indugiarono sui suoi fianchi un momento più nel necessario, si sentiva il suo respiro caldo sulla nuca, il suo profumo addosso, ed ebbe tutto il tempo di assimilare ogni singola sensazione con consapevolezza – troppo tempo – poi lui la lasciò andare, e lei si sentì come liberata da una specie di effimero torpore.

“Grazie.” Mormorò, accarezzando il morbido pelo umido del gattino che si stringeva al petto.

Tom fece un gesto incurante.

“E di che?” ansimò aspramente. “Mi hai solo fatto rischiare un’ernia, che sarà mai.”

Vibeke avrebbe volentieri dato sfogo a qualche interessante replica che le stava giusto sovvenendo sulla punta della lingua, ma un nuovo miagolio la distrasse, stavolta più netto e deciso, e senz’altro più vicino. Guardò ai propri piedi e vide una gatto grigio che le puntava i propri occhioni gialli addosso, emettendo miagolii lamentosi. Portava un collare rosso, segno che apparteneva a qualcuno, probabilmente a qualche inquilino del lussuoso palazzo che al pianterreno ospitava il ristorante.

“Credo che il piccolo temerario non sia un orfanello come credevi.” Commentò Tom.

La gatta miagolò ancora e il gattino rispose, dimenandosi tra le braccia di Vibeke.

“D’accordo, d’accordo,” gli disse dolcemente. “Ora ti lascio andare.”

Si chinò e lo posò a terra con delicatezza. La madre lo annusò un po’, poi gli diede un paio di leccatine sul muso, si strusciò attorno alle gambe di Vibeke, quasi volesse ringraziarla, poi prese il suo piccolo in bocca e se ne trotterellò via, sparendo oltre un cespuglio.

“Ciao ciao, piccolo ingrato!” Gli urlò dietro Vibeke.

“Ehm, Vi…”

Si voltò verso Tom.

“Cosa?”

Lui le fece segno di guardarsi il petto. Dopo un attimo di esitazione, lei obbedì e si ritrovò a fissare una bella chiazza fangosa ben sparsa sulla maglietta, in corrispondenza del seno.

“Merda!”

Avrebbe dovuto pensarci: il gattino era bagnato, doveva avere addosso un bel po’ di fanghiglia, di cui si era altruisticamente sbarazzato trasferendola su di lei.

“Kaulitz, dammi una delle tue magliette.” Gli ordinò.

“Te lo scordi!” fece Tom, avvolgendosi possessivamente con le sue stesse braccia.

“Dai, non fare il solito bambino, non posso tornare là dentro così!” gli fece notare. Afferrò l’orlo della propria maglietta e se lo sollevò al di sopra della testa, sfilandosela al cospetto della faccia impagabilmente attonita di Tom.

Sotto non aveva altro che il reggiseno nero.

Tom restò in fissa per una manciata di secondi, e non le era ben chiaro se fosse per il fatto che si era appena spogliata o per via di quello che aveva così scoperto.

Be’?

“Che c’è, mai vista una donna?”

Lui si riscosse e batté le palpebre un paio di volte, recuperando l’autocontrollo.

“Ma sei pazza?” esclamò, praticamente strappandosi si dosso la maglia rossa e buttandogliela in mano scandalizzato. “Vuoi che ci arrestino per atti osceni in luogo pubblico?”

Vibeke si tuffò nell’immensa maglietta, che le cascò addosso come una specie di camicia da notte dalle misure sballate. Se la sistemò addosso, pensando che avrebbe potuto tirarci fuori sei magliette della sua taglia, oppure un vestito. Cercò invece di non fare caso al fatto che il tessuto sapesse tanto di lui.

“Mi sta a pennello, vero?” disse, studiandosi da ogni lato possibile.

Tom fece una faccia poco convinta.

“Sembri appena evasa da un centro di igiene mentale.”

“Se non altro adesso sai che cosa pensa la gente di te quando ti vede.” Chiocciò lei, ripiegando la propria maglia.

“Sii grata che ti ho dato una mano ed evita certe frecciatine.” Ringhiò Tom. “Scommetto che te lo volevi tenere, quel mostriciattolo.” Aggiunse, appoggiandosi con una spalla all’albero. Lo faceva sempre, ovunque andasse: era come se fosse incapace di restare in piedi senza un supporto.

Vibeke si mise a sedere sul muretto che anticipava la recinzione, appena dietro l’albero. Tom cambiò posizione per restarle di fronte.

“Se porto a casa qualche essere vivente diverso da un vegetale, Rogue lo fa a pezzi.” Gli disse.

“Rogue?”

“Il mio gatto.”

“Non sapevo avessi un gatto.” Si sorprese lui.

Vibeke sollevò un sopracciglio.

“Sono infinite le cose che non sai, di me soprattutto.”

Lui lasciò perdere l’albero e le andò vicino, le mani sempre in tasca, facendo per oltrepassarla, ma le si fermò accanto.

“So che Georg ti piace.”

Vibeke trattenne un rantolo esasperato. Se avesse insistito ancora un po’, le sarebbe toccato farlo fuori, e sarebbe stato stancante subire le ripercussioni da parte dei milioni di ragazzine che avrebbero anelato ad avere la sua testa su un piatto d’argento per avere ucciso il loro venerato chitarrista preferito. Sarebbe stato il prezzo da pagare per avere uno scocciatore in meno sulla faccia della terra, ma lei quasi non poteva permettersi di pagare la benzina, figurarsi un avvocato che la sottraesse ad una condanna all’ergastolo sotto l’accusa di Kaulitzcidio.

Sempre ammesso che sia considerato un reato e non un’opera di bene collettivo…

“Grazie di avermelo reso noto,” controbatté fiaccamente. “È bello sentirsi dire cosa si pensa da un perfetto estraneo. Posso sapere cos’ho fatto per darti quest’erronea convinzione?” domandò poi.

“Basta vedere come ti sforzi di non guardarlo quando se ne va in giro per casa a torso nudo. Se tu ti sentissi emotivamente immune ai suoi pettorali, te lo saresti mangiata con gli occhi senza problemi, come fai con Bill e Gustav. Non che Bill abbia dei pettorali da guardare.”

“Questo lo sai perché in genere le ragazze a te emotivamente immuni si mettono a sgranocchiarti le ossicine con gli occhi?”

“Stai glissando,” sottolineò Tom. “Nonché confermando la mia tesi.”

Vibeke accavallò le gambe e si appoggiò all’indietro con le mani. Stavano battibeccando per bene – di nuovo – ma se non altro se ne poteva restare lontana dalla simpatica tavolata famigliare.

“Se lo dici tu.”

“È per questo che non ti piace Nicole.” affermò Tom, sfoderando un tono fastidiosamente saputo.

“Kaulitz, basta, stai vaneggiando,” ci diede un taglio lei. “Tira di nuovo fuori questa storia e ti sveglierai con la testa rasata e degli attributi da neonuco.”

“Che cos’è un neonuco?”

“Continua ad annoiarmi e ti darò una dimostrazione partica.”

Lui sollevò le mani in segno di resa.

“Ok, non ne parlerò più,” cedette. “Ma resto del mio parere.”

“Se vuoi credere a Babbo Natale, fai pure.”

Tom restò zitto quanto bastò per farla illudere che fosse finita, ma fu un sollievo ben poco duraturo.

“Ipocrita.” La accusò.

Vibeke strinse i denti, pericolosamente vicina al limite della sua già scarsa soglia di pazienza.

“Ti ho mai detto che sei insopportabile?” gli chiese, per pura retorica.

“Tutti i giorni, più volte al giorno.” Annuì Tom.

“Devo aumentare il dosaggio?”

“Oh, no,” rispose lui, sventolando una mano. “Non vorrei assuefarmi, sai. Ma apprezzo il pensiero.”

“Un’overdose di realismo ti sarebbe letale, suppongo.”

“Sei tu che sei tossica. E pungi, per giunta.”

Vibeke sfiorò compiaciuta con i polpastrelli le punte delle borchie del suo collare.

“Tanto di cappello. Tu mordi e sputi veleno. Se ci mettiamo in società, possiamo mettere su un’agenzia di sicari in franchising. Già che ci siamo chiamiamo quel barboncino nevrotico che ti ritrovi per fratello, e siamo a posto.”

“Che razza di barboncini avete in Norvegia?”

“Pressoché identici a Bill.”

“E tu cosa saresti, allora, un grazioso mastino?”

“Kaulitz, dacci un taglio, per carità divina, stai diventando pesante.”

“Sapessi tu…”

“Ma vaffanculo!” Vibeke gli allungò un calcio, che lui scansò.

“Non ho detto che è un male,” si difese. “Probabilmente se tu fossi più leggera, il tuo fondoschiena non sarebbe così piacevole da guardare.”

Lei lo fulminò telepaticamente.

“Tieni quei due radar satellitari lontani dal mio fondoschiena!” lo mise in guardia.

“Dimenticavo piacevole da palpeggiare.” Aggiunse lui, imperterrito.

“Kaulitz!”

Tom assunse un falsissimo cipiglio offeso.

“Per una volta che ti faccio dei complimenti!”

“Ma è mai possibile che qualunque cosa tu debba dire o fare non possa che essere a sfondo sessuale?”

“Sono un uomo,” Alzò le spalle. “È nella mia natura.”

“No, sei un coglione,” lo corresse. “Ed effettivamente è nella tua natura.”

Sembrò essere la battuta giusta, perché dopo quella Tom tacque. Si tirò fuori un’altra sigaretta e se la mise in bocca. Quando cercò Vibeke con lo sguardo, lei era già pronta a lanciargli l’accendino, avendone prevista la richiesta non appena aveva visto la sua mano infilarsi nella tasca. Quando ebbe fatto, Tom glielo rilanciò. Lei lo afferrò con una mano, constatando con piacere quanto i propri riflessi lo avessero colpito.

Tom fumò in silenzio per un paio di minuti, scrutando il cielo con gli occhi appena strizzati, con un’espressività che, stranamente, le ricordò molto James Dean. Dovevano essere fuori da almeno un quarto d’ora, ma nessuno era ancora venuto a cercarli. O non sentivano la loro mancanza, o erano troppo presi per accorgersi che tardavano a rientrare.

“Fa freddino, non trovi?” osservò Tom dopo un po’. Vibeke notò che aveva la pelle d’oca sulle braccia.

“Bella scoperta,” replicò. “È febbraio inoltrato e noi siamo qui senza uno straccio di giacca addosso.”

Tom allungò una gamba in avanti e poggiò il piede sul muretto, accanto a lei, sporgendosi in avanti.

“Se tu non fossi così fastidiosa, ti offrirei del calore umano.”

Lei mulinò i lunghi capelli con un gesto circolare della testa, atteggiandosi da grande star, un po’ come Bill.

“Primo, il tipo di calore umano che può offrire uno come te è tristemente vacuo e volatile,” puntualizzò categorica. “Secondo, prima di farmi umanamente scaldare da te, mi farò suora, e magari anche monaca buddista.”

Tom si portò teatralmente la mano che teneva la sigaretta alla fronte.

“Oh, quanto mi sento ferito!” declamò.

“Oh, quanto mi importa!” gli fece il verso lei.

“Scherzi a parte,” Tom si sfregò una avambraccio. “Fa veramente più freddo del solito.”

“Dove sono nata io, questo è un clima praticamente mite.” Disse Vibeke, che però effettivamente sentiva un po’ freddo.

“Come mai ha lasciato la Norvegia?” volle sapere lui, tra un tiro e l’altro.

Vibeke non aveva mai raccontato quella storia a nessuno, e non per motivi personali, ma perché semplicemente non glielo avevano mai chiesto. Trovava buffo che il primo ad interessarsi ad una cosa simile fosse il ragazzo con il quale scambiava abitualmente sfilze di insulti vari ed eventuali, ma tutto sommato questo almeno dimostrava che, incredibile a dirsi, Tom sapeva stupirla anche in modi non tristemente negativi.

“BJ voleva venire a lavorare qui,” gli rivelò. “Perché diceva che c’erano maggiori possibilità di successo, e aveva ragione.”

“E tu cosa c’entravi in tutto questo?”

Non la guardava, parlandole. Sempre appoggiato al proprio ginocchio, fissava il paesaggio del parco alle spalle di Vibeke, e consumava pigramente la sigaretta.

“Se Bill volesse trasferirsi all’estero, a migliaia di chilometri da qui,” gli disse. “Tu come reagiresti?”

Questo lo fece voltare, e con un velo di emozione appena accennato sul viso.

“Lo inchioderei al muro e poi, per correttezza, cercherei di dissuaderlo.”

Vibeke sapeva che diceva sul serio.

“E se lui inchiodato al muro soffrisse tanto da non sembrare più lo stesso?” obiettò quindi.

Tom parve rifletterci per un secondo, poi il volto gli si adombrò.

“Sarei io stesso a portarlo via.” Dichiarò. Lei annuì.

“Già.”

Potevano non capirsi nella stragrande maggioranza dei casi, ma in quanto ad affetto versi i rispettivi fratelli non avrebbero potuto intendersi meglio: vivevano entrambi un rapporto simbiotico con il proprio gemello, un legame che non si poteva spiegare a qualcuno che non lo aveva mai sperimentato, ma che era forse – sicuramente – uno dei più forti che si potessero provare.

“Siete stati coraggiosi.” Disse Tom, espirando fumo.

“No,” lo contraddisse lei. “Siamo stati diseredati.”

“Mammina e papino non approvavano?”

Matrignina e papino non approvavano.”

“Ah!” Tom spense il suo secondo mozzicone sopra il muretto. “Scappavate dalla strega cattiva.”

“Oh, no, affatto,” lo contraddisse di nuovo Vibeke. “Sissel è una donna fantastica, è nostro padre l’orco cattivo.”

Lui rise.

“Mi chiedevo da chi tu avessi preso…”

“Non cattivo nel senso che intendi tu,” Precisò. “Non è mai stato capace di fare il padre, tutto qui. È brutto a dirsi, ma BJ ed io abbiamo scoperto cosa significasse sentirsi amati da un genitore quando è arrivata Sissel, anche se non ci siamo mai spiegati cosa lei ci trovasse in lui.”

“E vostra madre?”

Stavolta fu Vibeke a ridere, ma con uno sfondo di amarezza.

E chi lo sa?

“Immagino si trovi su qualche bella spiaggia caraibica a prendere il sole,” ipotizzò. “Non si fa viva da anni, da quando se n’è andata con il suo bell’amante ricco sfondato.”

Tom la studiò come se non credesse alle sue parole, e lei ricambiò lo sguardo con nonchalance. Era abituata a quel tipo di reazione, le capitava spesso, quasi sempre quando si trattava di eventi del suo passato non proprio esemplare.

“E io che credevo che fossimo stati sfigati io e Bill…” mormorò infine. Vibeke avvertì un sincero dispiacere nella sua voce, e le fece in qualche modo piacere.

“Avevo tredici anni quando se ne andò,” continuò. Si raccolse le gambe al petto e le circondò con le braccia. “Ricordo che la prima cosa che ho fatto, quando ho saputo che non sarebbe tornata, è stato farmi il secondo buco all’orecchio,” raccontò, toccandosi l’orecchio sinistro. “Ero arrabbiata con lei per essere sparita così, mi sono fatta questo buco come ripicca, perché lei non aveva mai voluto che mi facessi dei piercing. Da allora mi sono fatta un nuovo piercing all’anno, per l’anniversario della sua partenza, fino a che non ho finito lo spazio sull’orecchio. Ciascuno di questi anelli dice ‘Vaffanculo, stronza!’.”

“Non che tu abbia bisogno di aiuto per dire cose di questo tipo.” Scherzò Tom, riuscendo peraltro a strapparle una risatina. “Sarà il caso di tornare dentro,” disse poi. “O ordineranno il dolce senza di noi.”

“Giusto,” Vibeke si tirò su, portandosi dietro la propria maglietta ripiegata. “Chissà cosa diranno nel vedermi conciata così.”

“A proposito,” Tom le strappò la maglietta di mano. “Questa la tengo io.”

“E perché mai?”

“In ostaggio,” affermò. “Fino a che non avrò riavuto la mia, sana e salva.”

“Ma la devo lavare!”

“Me ne occupo io.” La liquidò, incamminandosi verso la porta.

Vibeke lo seguì, affatto rasserenata.

“Quella maglietta viene da Amsterdam,” esclamò. “Guai a te se trovo mezzo filo fuori posto!”

Mentre varcava la porta, del tutto dimentico della cavalleria che aveva esibito qualche ora prima, Tom si voltò indietro con un sorrisino pestifero, ma poi entrò senza dire nulla.

Una volta entrati, Vibeke gli affibbiò una ginocchiata nel posteriore, poi sgusciò via tra i tavoli, raggiungendo gli altri, sperando che non avessero già ordinato il dessert.

Le era venuto un discreto languorino.

Trovò la tavolata stravolta rispetto a come la aveva lasciata: Emily stava in braccio a Georg e leggeva assieme a lui la lista dei dolci, Nicole e BJ da un lato, Gustav e Bill dall’altro. Vibeke ebbe modo di appurare che, come suo solito, BJ aveva completamente rotto il ghiaccio con Nicole e ci stava chiacchierando animatamente.

“Ecco che tornano i latitanti!” esclamò Bill, accorgendosi di lei e Tom. Li scrutò entrambi accigliato, la fronte increspata. “Ma cosa –?”

“Non fare domande.” Lo anticiparono lei e Tom all’unisono, prendendo posto di fianco ai rispettivi fratelli.

“Georg e Nicole hanno cominciato così.” ironizzò Gustav, vedendo Tom posare sul tavolo la maglietta sporca di Vibeke.

“È vero,” rise Georg, mentre le gote di Nicole si colorivano. “Lei si macchia la maglietta, io gliene presto una mia, e in men che non si dica… Eccoci qui.”

“Avevi anche tu la sensazione di esserti messa addosso un mantello a trecentosessanta gradi?” chiese Vibeke a Nicole. Quest’ultima guardò prima Georg, che le sorrise, poi lei.

“Forse mi è andata un po’ meglio che a te,” le rispose, mentre il cameriere veniva a prendere le ordinazioni per il dessert. “Ma sicuramente ci stavo parecchio comoda.”

Vibeke fu l’ultima ad ordinare. Prese un créme caramel, che il ragazzo annotò con un cenno del capo, poi ringraziò e se ne andò.

“Ogni tanto ci si infilano lei ed Emily insieme,” disse Georg. “Il perimetro del collo ormai è raddoppiato.”

Scoppiarono tutti quanti a ridere, Vibeke compresa, anche se in modo meno partecipe degli altri.

Guardava Georg stringere Emily tra le sue braccia e accarezzarle i capelli con gentilezza, e comprese quello che la piccola le aveva detto poco prima, a casa.

“Le persone dicono sempre che io e Georg abbiamo gli occhi uguali, che sembriamo un papà e una figlia.”

Era vero.

Nonostante fosse quasi impossibile da credere, Georg ed Emily avevano davvero qualche vaga somiglianza, prima fra tutte gli occhi, ma anche le fossette che si formavano nelle loro guance quando sorridevano apertamente, o le labbra a forma di cuore.

Ironia della sorte, Vibeke e suo padre, biologicamente legati, non si somigliavano affatto, né Vibeke ricordava di essere mai stata guardata da lui con lo stesso affetto con cui Georg stava guadando Emily adesso.

“Lo so cosa stai pensando,” le bisbigliò BJ nell’orecchio, chinandosi verso di lei. “Ma spero che la tua invidia sia consapevole di quello che devono aver passato quelle due, prima di arrivare a questo.”

“Perché, noi quante ne abbiamo passate?” gli rispose, a voce più alta di quel che aveva voluto. “Se credessi nel karma, penserei che mi abbia preso per il culo fin dall’inizio.”

“Se tu credessi nel karma, saresti spacciata,” la prese in giro lui, pizzicandole in naso. “Indisponente come sei verso il prossimo.”

“Io non sono indisponente, sono… Preventiva.”

“Però te l’ho sempre detto che esageri. Se ti ostini a prevenire tutto per evitare il peggio, va a finire che previeni anche il meglio.”

Vibeke conosceva la tiritera, ci erano già passati infinite volte, e, almeno su quello, avevano punti di vista divergenti. In ogni caso proprio non le andava di dissotterrare quella disputa proprio ora, non era in vena di dibattiti esistenziali.

“Ma sentiti!” ridacchiò. “Da quando in qua sei diventato un saggio barboso?”

BJ avrebbe risposto, se il cameriere non fosse arrivato a mettergli sotto al naso il suo sorbetto al limone, procurandogli così una distrazione definitiva.

Vibeke trasse un sospiro di sollievo. Attese che tutti fossero serviti, poi tuffò il cucchiaino nel proprio créme caramel, già pensando alle dieci vasche extra che le sarebbero toccate il pomeriggio seguente, ma dopo essersi rosa il fegato per un paio d’ore filate – prima a casa dei ragazzi, poi durante il pranzo – ed essersi lasciata stuzzicare da Tom per diversi minuti, aveva un urgente bisogno di zuccheri e grassi.

“Ferma!” esclamò Tom, saltando su all’improvviso. Vibeke si fermò con il cucchiaino in bocca e lo guardò interrogativamente. “È il mio, non vedi?” le disse Tom, additando il piattino.

Vibeke controllò: créme caramel al cioccolato. Non ci aveva nemmeno fatto caso.

“Ops,” Gli sorrise colpevole. “Scusa.”

Tom fece una faccia che manifestava scetticismo puro.

“Fa niente,” disse poi, tirando su una badilata di quello che avrebbe dovuto essere il dolce di Vibeke. Se lo mise in bocca e lo deglutì, poi passò il piatto a Vibeke e si prese l’altro. “Ecco, ora siamo pari.”

“Non siamo affatto pari!” protestò lei, fissando l’ingente porzione mancante della cupoletta gelatinosa. “Ti sei mangiato mezza porzione, io ne ho preso solo un cucchiaino!”

Tom sorrise angelico.

“Ops! Scusa.” la scimmiottò.

BJ soffocò una risata dietro al tovagliolo. Vibeke si arrese.

“Lasciamo perdere.” Sbuffò, tirandosi il piatto più vicino. “Spero ti vada di traverso.” Augurò a Tom.

“Altrettanto!” fece lui, con la cortesia più falsa che si fosse mai vista, leccandosi i baffi.

BJ non aveva ancora smesso di ridere.

 

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Note: ebbene, credo che non esistano parole che una umile autrice possa usare per comunicare ai propri lettori quale immensa gratitudine debba a ciascuno di loro. Ho già detto in ogni modo possibile quanto io ami voi tutti e le vostre splendide recensioni, e sinceramente al momento, dominata da un mal di testa epocale post semi-sbronza, non possiedo la lucidità necessaria per i soliti ringraziamenti prolissi e personali, ma sappiate che sono davvero riconoscente a ciascuno di voi. Sono felicissima che la storia vi piaccia e lo sono ancora di più di sapere che vi piaccia abbastanza da lasciare un commento dopo la lettura. Lo sapete, le recensioni sono sempre utili a chi scrive, e talvolta anche immensamente piacevoli da ricevere, perciò, come al solito, vi invito a lasciare anche solo due righe che riassumano la vostra opinione. :)

In particolare vorrei rispondere a qualche perplessità che ho colto qua e là. Parto col rassicurare SusserCindrella circa quel “più meraviglioso”, che è a tutti gli effetti una sgrammaticatura colloquiale, ma essendo inserita in un discorso diretto, non costituisce una ‘pecca’. Mi rendo conto che a volte è difficile distinguere un errore vero da uno intenzionale e consapevole, ma ci tenevo semplicemente a chiarire che non si tratta di una svista, bensì di un0enfasi affettuosa. ;)

Rispondo anche alla neo arrivata Mademoiselle Coquelicot, senza dimenticare di ringraziarla per i gentilissimi complimenti, che ha fatto un’osservazione giustissima (e molto acuta) riguardo l’odio ‘forzato’ tra Tom e Vi: be’, è proprio vero, ma non ti dirò ora perché, sarà la storia stessa a spiegartelo a suo tempo, e in quel momento, in caso continuasse a non essere chiaro (perché sono perfettamente consapevole che certi ragionamenti che insinuo nelle mie trama possono risultare un po’ oscuri ad una mente esterna), spiegherò nel dettaglio questo particolare che mi fa davvero piacere tu abbia notato. :) Per quanto riguarda il personaggio di Vibeke, infine, sì, è vero, appartiene senz'altro al topos, se così lo vogliamo chiamare, della 'darkona odiata dal gemello non darkone', come dici tu, anche se poi non è esattamente così. Di nuovo, temo di non poer entrare nei dettagli con la spiegazione di questa scelta, onde evitare di rovinare la storia anticipandone dettagli futuri, quindi spero di meritare un po' di fiducia per come si spiegheranno le cose più in là. Prometto che illustrerò meglio questo particolare, a storia ultimata. ;)

Ordunque, per oggi vi ho tediati a sufficienza, mi pare, perciò vi lascio (alla recensione, spero ^^) e vi do appuntamento al prossimo capitolo!

P.S. se qualcuno avesse dubbi, 'Bee' si pronuncia 'Bi'. ^^

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Capitolo 8
*** One Step Closer ***


Reduce da una domenica sera trascorsa solitariamente in palestra, Tom sentiva di non aver ancora dato sfogo a tutta la tensione accumulata durante la settimana. Era appena uscito dal parcheggio, le spalle doloranti e gli addominali tesi dopo le due ore filate di esercizio, ed era stanco, ma non abbastanza.

Si sentiva una specie di strano prurito addosso, un’inquietudine che non sapeva a cosa poter attribuire. Magari era colpa dei frutti di mare che aveva mangiato a pranzo, o magari era semplicemente una giornata storta.

Gli ronzava ancora in testa, chissà per quale motivo, la conversazione avuta con Vibeke poche ore prima. Non era certo la prima volta che si parlavano in toni mediamente seri, ma quello che lo stupiva era la relativa tranquillità con cui si era portato avanti il discorso, nonostante i temi fossero abbastanza delicati. Aveva immaginato che una così bizzarra dovesse aver vissuto un qualche trauma da piccola, ma doveva ammettere che essere abbandonati dalla propria madre doveva essere parecchio sconvolgente, e questo spiegava anche perché lei fosse così restia a lasciarsi avvicinare emotivamente da qualcuno.

Se non puoi fidarti di chi ti ha messo al mondo, di chi ti fidi?

Tom sapeva che c’era una certa affinità tra loro due e i loro caratteri, e si chiedeva spesso come mai, visto che riuscivano anche ad andare abbastanza d’accordo, finissero sempre e comunque per litigare.

Le sue mani strinsero con più forza il volante quando la sua memoria ripercorse il momento in cui la aveva lasciata scendere a terra dopo il recupero del gattino. Ricordava la sensazione di caldo che aveva avuto, nonostante la temperatura fosse stata tutt’altro che mite, e ricordò anche la propria reticenza a lasciarla andare, a staccare le proprie mani da lei.

Un bel corpo è un bel corpo, dopotutto, si disse, cercando di sopprimere quel calore che risorgeva senza preavviso, anche se appartiene ad un essere insopportabile.

Decise di accendere la radio per distrarsi, augurandosi di trovare una stazione decente dopo che Bill gli aveva manomesso quelle predefinite.

At night I wake up with the sheets soaking wet
And a freight train running through the middle of my head
Only you can cool my desire
I'm on fire…

Cambiò stazione.

I won't give up
I'm possessed by her
I'm bearing a cross
She's turned into my curse…

Cambiò ancora.

But I can't stop thinkin’ 'bout
Doin’ it one more time
But I already left you
And you're better off left behind…

Cambiò un’altra volta.

I go crazy, crazy, baby, I go crazy
You turn it on, then you’re gone
Yeah, you drive me crazy
Crazy, crazy for you baby…

E un’altra volta ancora.

So can't you see I'm tortured
Oh, can't you hear my pain
If you just let me show you
I'll be your summer rain
Then you'll feel that you want me
The way I'm feeling
The way I want you
And you know nothing's better
It's like nothing before…

Spense.

Mai che la radio offrisse qualcosa di decente da ascoltare.

Affondò il piede sull’acceleratore per riuscire ad evitare un semaforo rosso, ma dovette frenare per fermarsi a quello successivo, dove sostò impazientemente, continuando a dare di gas. Aveva ancora voglia di movimento, un tipo di movimento che la palestra non poteva fornire, almeno non legalmente.

Se avesse girato a destra, sarebbe andato a casa, si sarebbe chiuso in bagno e avrebbe dovuto provvedere personalmente ad ovviare il problema, se invece avesse girato a sinistra, avrebbe raggiunto in pochi minuti l’appartamento di Lara, e lì avrebbe potuto pensarci lei a rilassarlo a dovere.

Appena scattò il verde, Tom non dovette nemmeno stare a pensarci: mise la freccia e svoltò a sinistra.

Di solito si mettevano d’accordo prima di incontrarsi – una telefonata, o almeno un messaggio – ma stavolta Tom non aveva né tempo né voglia di sprecarsi con i preamboli. Se aveva scelto una facile come Lara, c’era un motivo ben preciso, infondo, e quella sera andò da lei senza alcun preavviso, se non i trenta secondi che impiegò a salire le scale dopo averle citofonato.

Appena la porta si aprì e lui entrò trafelato, lei lo occhieggiò smarrita, ma Tom la spinse dentro, afferrandole i polsi, e cominciò a baciarla con foga, le dita che si insinuavano tra i lunghi capelli neri, che scivolavano avide sulla pelle candida, la lingua che assaporava labbra carnose e morbide, lambendo e stuzzicando.

Perfetta.

Labbra lisce e calde, labbra prive di frivoli ornamenti metallici, e occhi che lo guardavano pieni di desiderio.

Occhi verdi.

Troppo verdi.

Erroneamente verdi.

Tom preferì non vedere.

Quasi perfetta.

Chiuse gli occhi e continuò a baciarla, non le permise neanche di parlare. La spogliò in fretta, ed altrettanto in fretta si sbarazzò dei propri vestiti, poi la trascinò verso la camera da letto, come già era successo diverse volte, senza mai smettere di baciarla, e la gettò sul letto.

Quella notte fu una delle migliori.

 

***

 

Vibeke si aggrappò con le mani al bordo della piscina semideserta e si issò con una spinta decisa, scivolando fuori dall’acqua con un movimento fluido e sicuro. Si alzò in piedi, lasciando colare via l’acqua che le era rimasta addosso, si tolse la cuffia e sciolse con la mano la lunga massa di capelli bagnati.

Si sentiva stanca, ma sapeva che era una stanchezza che non aveva niente a che vedere con le cinquanta rabbiosissime vasche che aveva appena concluso.

Infilò le infradito, salutò un paio degli istruttori che ormai conosceva da anni e si diresse verso gli spogliatoi femminili, ansiosa di buttarsi sotto ad una bella doccia gelata e correre a casa da BJ per il loro rituale del lunedì sera: pigiama party per due con film a casaccio, pizza a volontà e fiumi di malsanissima Coca Cola Light.

Recuperò il proprio borsone dagli armadietti e lo sistemò in uno dei tanti cubicoli vuoti, poi si portò via l’accappatoio e lo appese nella zona docce.

Si lavò frettolosamente, inspirando il profumo di biancospino del bagnoschiuma, risciacquò i capelli, li strizzò e si avvolse nell’accappatoio ruvido, di un verde ormai stinto, per trascinarsi infine a cambiarsi.

Quando lasciò l’edificio erano le undici passate e il centro sportivo stava chiudendo.

Si pentì di non aver asciugato bene i capelli quando una folata di vento gelido glieli scompigliò, facendola rabbrividire sotto al pesante giaccone imbottito. Era una notte limpida e serena, con un cielo nero come l’inchiostro e miriadi di piccole stelle che lo punteggiavano baluginanti. L’aria profumava di freddo e di inverno, e le luci bianche dei lampioni creavano un effetto quasi spettrale, che a Vibeke piaceva molto. Le sembrava un po’ di essere tornata agli inverni norvegesi, alle infinite giornate di buio durante le quali tutto ciò che restava da fare ai ragazzi era sedere in camera e studiare.

Ma non lei e BJ.

Avevano trascorso innumerabili pomeriggi nella grande soffitta che lui si era adibito a camera da letto, lui strimpellando con la sua chitarra, lei riempiendo interi quaderni con qualunque cosa le passasse per la mente, nel silenzio quasi sacrale della casa vuota, rotto soltanto dalle loro chiacchiere e risate.

Molti lo avrebbero trovato triste, ma lei adorava gli squilibri tra estate ed inverno che c’erano al Nord, amava il sole che non tramontava mai tanto quanto il crepuscolo e l’alba che erano tutt’uno nei mesi più rigidi.

La Germania era diversa, più continentale, meno caratteristica, meno affine a Vibeke stessa.

“Hey, straniera.”

Vibeke si voltò: sulla porta alle sua spalle c’era Moniek, lo zaino buttato su una spalla, le braccia conserte, che le sorrideva in modo ambiguo.

“Ciao,” Vibeke si tolse una ciocca di capelli dalla fronte, sorpresa. “Che ci fai qui?”

Moniek rise e le si avvicinò.

“Quello che fai tu: scarico lo stress e mi tengo in forma.”

Vibeke abbassò lo sguardo sui suoi fianchi stretti e sulle gambe sottili, risalendo poi fino al vitino da vespa.

Come se tu avessi bisogno di fare sport per restare in forma…

“Ti va di andare a mangiare qualcosa?” le propose Moniek, con un’espressione che implicava bel altro che un semplice pasto. “Possiamo fare un salto da me, ordiniamo qualcosa al take-away indiano, so che ti piace…”

“Veramente…”

Vibeke era stata sul punto di ricordarle del suo programma fisso del lunedì con BJ, ma qualcosa glielo impedì.

Era stata una domenica abbastanza insolita, e sicuramente il pranzo non era stato dei più piacevoli della sua vita, benché, tutto sommato, non le fosse proprio dispiaciuto. Rifletté che un piccolo ed audace strappo alla routine avrebbe potuto farle bene. BJ non se la sarebbe presa, visto che lui stesso le aveva dato buca, qualche volta, per intrattenersi con compagnie decisamente più fruttuose.

“Andata.” Accettò.

“Bene!” Moniek la prese per mano e si fece seguire giù per le scale. “Vedrai, ci divertiremo.”

Vibeke sperava proprio in quello, anche se aveva la certezza che i piani di ‘divertimento’ di Moniek includessero pratiche che i lunedì sera con BJ non avrebbero mai previsto.

“Ho la macchina nel parcheggio,” le disse Moniek. “Tu sei in bici?”

“In macchina anch’io.”

“Allora vienimi dietro. Hanno messo un paio di sensi unici, questa settimana, dobbiamo fare un bel giro contorto.”

“D’accordo.”

Raggiunsero il parcheggio sotterraneo del centro e recuperarono le rispettive auto. Mentre seguiva la Smart di Moniek verso l’uscita, Vibeke digitò frettolosamente un messaggio per BJ.

‘Sono con Moniek. Non aspettarmi alzato e ricordati di sfamare la mia bestia, oltre che la tua. Ci vediamo domani.’

 

***

 

Erano le sette passate quando Vibeke rientrò a casa. La lunga serata con Moniek si era rivelata più piacevole del previsto, anche se dopo aver cenato si erano messe sul divano con l’intento di guardare Armageddon, ma avevano finito per dimenticarsi completamente del film.

Fece del proprio meglio per non fare rumore, ma si accorse che la tv del salotto era accesa. Si avvicinò al divano a tentoni, sperando di non inciampare in qualche cosa dimenticata sul pavimento. Trovò BJ sdraiato sul divano, profondamente addormentato, con indosso il pigiama disgustosamente kitsch di Hello Kitty che gli aveva regalato tempo prima una delle sue fan, e che lui adorava. Sorrise a se stessa e lo coprì con la trapunta che c’era sulla poltrona, ignorando il ridicolo motivo che decorava il pigiama.

Poi oso insultare la principessa se se ne mette uno della Disney…

Sempre facendo il più piano possibile, depositò borsone e giubbotto sull’altro divano e andò a farsi un caffè, che si gustò in tutta calma, osservando il cielo fuori dalla finestra, che si stava lentamente tingendo di rosa con il sorgere del sole.

Quando la ebbe vuotata, posò la tazzina nel lavello e si diresse al bagno, ansiosa di farsi un lungo bagno rigenerante e pieno di schiuma prima che BJ si svegliasse e cominciasse a tiranneggiare per avere il bagno con la vasca idromassaggio.

Per qualche strano motivo, sentiva che la doccia della sera prima non era riuscita a lavare via qualcosa, a liberarla da un senso di irrequietezza che si era impossessata di lei quel pomeriggio. Nemmeno il diversivo di Moniek era servito a toglierle di dosso quell’implacabile fermento insensato. Era cominciato dopo l’inspiegabile ed effimero ritaglio di confidenze con Tom.

Vibeke non era stupida, e nemmeno cieca, sapeva che a lui piaceva giocare a fare l’uomo vissuto, ma ormai lo conosceva, lo sapeva che sotto a quella ridicola facciata ufficiale c’era un Tom tutto diverso, più umano e modesto. Quello che le dava più fastidio era proprio quello: perché fare finta di essere un emerito idiota, se poteva benissimo essere un tollerabile se stesso? Non lo concepiva proprio, né mai ci sarebbe riuscita.

È un Kaulitz, in fin dei conti, e i Kaulitz hanno libretti di istruzioni scritti esclusivamente in Kaulitzese, lingua ignota al genere umano.

Versò una buona dose di latte da bagno e lasciò scendere l’acqua tiepida fino a riempire la vasca. Si svestì, abbassò le luci ed accese il lettore cd, poi, finalmente, si immerse nella schiuma e chiuse gli occhi.

I don't know what's going on
I am so in deep with you
I don't know what's going on
I don't know what's going on
I am so disturbed by you…

Prima che Robert Smith potesse arrivare a cantare la strofa successiva, Vibeke allungò rapidamente il braccio e cambiò traccia. Preferiva ascoltare altro, per trovare il giusto relax.

 

***

 

I riguardi che Tom aveva nei confronti di Lara si limitavano a degnarla di un saluto quando arrivava e se ne andava, e a lasciarsi baciare e coccolare da lei come se gliene importasse qualcosa. Era una ragazza possessiva, gelosa, territoriale, tutte caratteristiche che in genere portavano Tom ad un allontanamento preventivo, onde evitare seccature inutili e, sì, anche di illudere qualche sciocca che poteva pensare di essersi conquistata il jackpot.

Con Lara, per qualche assurda ragione oscura perfino a lui, era diverso.

Non che avesse alcunché di speciale. Anzi. Era bella – tutte lo erano – e spigliata, sexy, accondiscendente… Ce n’erano infinte come lei, e lui aveva avuto modo di conoscerne non poche, tutte uguali, almeno per quel che ricordava, e se ne stancava sempre in fretta, ma Lara per il momento non la mollava.

Era mercoledì mattina, le strade erano piuttosto affollate, nonostante fossero le dieci passate, e sperava vivamente di non finire in qualche ingorgo. Era appena uscito dalla tintoria, dopo aver ritirato la preziosa maglietta proveniente da Amsterdam di Vibeke. Gliela stava riportando, con l’intenzione di recuperare la propria, che si era prefissato di indossare per un un’intervista che avrebbero rilasciato a Bravo TV quel pomeriggio, e sarebbe stato meglio per lei se gliela avesse fatta trovare pronta da mettere.

Non era mai stato a casa sua, ma conosceva la zona. Senz’altro i gemelli Wolner si trattavano bene, in quanto a comfort, perché il quartiere era uno dei più esclusivi di Amburgo, ma era anche comprensibile, visto che BJ godeva ormai di una certa notorietà, ed abitare in aree popolari non era sicuramente comodo, se volevi preservare un minimo di pace, almeno nel privato. Dall’inizio della loro carriera, ai Tokio Hotel era toccato traslocare ben tre volte, a causa di fans particolarmente accanite che sembravano riuscire a scovarli seguendo il loro odore.

Lasciò l’auto nel primo buco che trovò lungo la via, ben lieto di notare che la sua non era l’unica lussuosa, tra le poche. Prese il pacchetto della lavanderia, poi chiuse e percorse a piedi i cento metri che lo separavano dal palazzo antico, che sembrava restaurato di fresco, in cui Vibeke e BJ avevano l’appartamento. Il marciapiede era nero e pulito, costeggiato da file di piante giovani, sostenute da supporti in legno, che indicavano che non dovevano essere lì da molto. Il quartiere probabilmente era stato risistemato e rilanciato di recente, evidentemente con successo.

Arrivò di fronte al raffinato portone di vetro, proprio mentre una distinta signora sulla settantina tutta impellicciata stava uscendo con il suo volpino infiocchettato in un cappottino di tweed rosso. Fu guardato male, e parecchio, quando fermò la porta prima che si potesse chiudere, ma la vecchia non disse nulla: puntò il proprio naso adunco verso l’alto e se ne andò, ticchettando con i tacchi.

Tom entrò nell’atrio luminoso, pieno di vetrate che guardavano sul giardino interno. Era una discreta combinazione di moderno e antico, ma non abbastanza elegante da apparire snob. Sicuramente, in ogni caso, a BJ, proprietario legale della casa, piaceva vizirasi.

“Salve, la posso aiutare?”

Tom impiegò un attimo a capire da dove fosse provenuta quella voce baritonale e un po’ inquietante che era appena riecheggiata per l’androne. Si voltò verso la propria destra e scorse una guardiola discreta, in cui sedeva un omone nero vestito di blu scuro. Stava guardando Tom con la stessa diffidenza che aveva mostrato la donna di poco prima.

Che avete tutti da fissare in quel modo? Mai visti dei rasta?

“Ehm, buongiorno,” salutò educatamente, avvicinandosi. “Sono un amico dei Wolner e…”

“Ah, certo,” Fece il sorvegiante, allungando l'occhio sulle chiavi firmate Cadillac che lui teneva in mano. L’atteggiamento sospetto si era trasformato immantinente in spiccia disinvoltura. “Quinto piano, appartamento quindici.”

Non senza un discreto sbalordimento, Tom ringraziò e si avviò verso le scale. L’iperattività che lo aveva colto negli ultimi giorni lo stava trasformando da pigro e nullafacente (in una parola sola: Bill) a stacanovista incallito. Alle proprie spalle sentì la voce profonda dell’uomo borbottare qualcosa tipo: ‘Gentaglia promiscua’.

Salì a due a due le lucide scalinate di marmo bianco, arrivando al quinto ed ultimo piano con il fiatone. Non fu complicato trovare l’appartamento quindici, visto che sembravano essercene solo tre, su quel piano. La porta di legno scuro, esattamente identica alle altre, recava una targhetta argentata con incisi sopra i nomi dei due gemelli: ‘Bjørn J. Wolner’ e ‘Vibeke V. Wolner’.

Accidenti, pensò Tom, scocciato, nemmeno qui c’è scritto qual è il secondo nome della strega.

Di questo passo non lo avrebbe mai scoperto, a meno che non riuscisse a rubarle la carta di identità.

Sollevò la mano e la avvicinò al campanello di ottone, poggiandovi sopra il pollice.

Eccomi qui, pronto a stanare la tigre nella sua tana…

Inspirò, e finalmente si decise a suonare.

Dall’interno dell’appartamento non proveniva alcun suono, cosa che poteva significare che era vuoto, oppure semplicemente ottimamente insonorizzato. Tom stava per suonare di nuovo, quando la serratura scattò e la porta si aprì.

Credeva di essere preparato a tutto, ma si sbagliava.

Aveva ovviamente previsto che avrebbe trovato Vibeke in vesti casalinghe, ma non così casalinghe: tutto ciò che indossava era una scollata maglietta grigia che le scivolava un po’ su una spalla, extralarge, ma non extralong, visto che lasciava in vista praticamente tutte le gambe pallide, che Tom sbirciò senza farsi troppi problemi, partendo dai piedi nudi, risalendo per caviglie sottili, fino alle cosce tornite.

Non sarà una taglia trentotto, ma si difende bene…

La vedeva per la prima volta senza trucco, e, diversamente da come si era aspettato, non sembrava affatto uno zombie cadaverico, anzi, gli occhi, contornati da lunghe e folte ciglia castane, sembravano più grandi. Con il viso così pulito sembrava più giovane e dolce, e anche più innocente, anche se le labbra, pur essendo prive del solito rossetto scarlatto, avevano comunque un intenso colorito rossastro.

“Kaulitz!” esclamò sorpresa. “Cosa diavolo ci fai qui?”

Tom deglutì, riportando il proprio sguardo verso i suoi occhi con tutta la dignità che gli restava dopo la lotta assennata contro il cedimento della propria mandibola.

“Vengo per uno scambio di ostaggi.” Dichiarò, sollevando il pacchettino che reggeva. Vibeke inarcò le sopracciglia.

“Sarei passata io domani…”

“Mi serve subito,” chiarì Tom. “La devo mettere per un’intervista che abbiamo questo pomeriggio. Tieni,” Le mise in mano l’involto. “È pulita, lavata e stirata.”

Vibeke tolse la carta e studiò la propria maglietta con attenzione, apparentemente soddisfatta.

“Opera della tintoria, immagino.”

“Ti pare che io sia in grado di stirare qualcosa?”

“Non avete nemmeno un ferro da stiro in casa.”

“Appunto,” fece Tom, cominciando a sentirsi nuovamente inquieto. “Ora posso riavere la mia?”

“Certo,” Vibeke si fece da parte e gli fece cenno di entrare. “Ma temo di non poterti fare un pacchettino così carino.”

“Mi accontenterò.” le disse, entrando. Si ritrovò in un salotto piuttosto grande, anche se non quanto il proprio, arredato semplicemente, in accostamenti di legno chiaro e muri bianchi, dominato da un ordine che gli parve surreale.

“Cos’è, il regno delle casalinghe disperate?” domandò, osservando la stanza quasi scioccato.

Vibeke fece un gesto distratto.

“Non è sempre così. È che negli ultimi giorni mi sento iperattiva, non riesco a stare ferma un secondo. Avrò rassettato l’intera casa almeno tre volte, ieri.”

A Tom suonava tutto molto familiare.

“BJ non c’è?” chiese distrattamente, ricordando solo ora che abitavano due persone, là dentro.

“No, è in palestra.”

“Capisco.”

“La tua maglietta l’ho messa nell’asciugatrice poco fa,” gli comunicò Vibeke. “Se hai qualche minuto, te la sistemo appena finisce.”

L’idea di Tom era stata fare una capatina mordi e fuggi, ma aveva voglia di scoprire qualcosa in più, e sicuramente mezz’ora da buttare ce l’aveva eccome.

“Perfetto.”

“Ti posso offrire qualcosa, nel frattempo?”

“Un milione di euro?” suggerì Tom, seguendola verso la cucina, che stava su un piano rialzato rispetto al salotto, da cui era separata tramite due porte scorrevoli di vetro opaco.

“Ma se non sai più come spendere quello che guadagni!” lo rimbeccò lei. Tom esibì un sogghigno malizioso.

“L’equivalente in natura?” propose in alternativa. Vibeke gli scoccò uno sguardo ilare.

“Ti piacerebbe!”

“Da morire, guarda.” Ironizzò.

Lei prese un bollitore dalla credenza e lo riempì d’acqua.

“Fatti bastare un caffè.” Disse, mettendolo sul fornello.

La cucina era bianca, immacolata, e profumava di lavanda. Non era particolarmente vasta, ma c’era una finestra gigantesca a lato del bancone, che la faceva apparire molto più ariosa.

“Penso farò così.” Rispose Tom, prendendo posto su uno degli alti sgabelli che circondavano il piano di cottura centrale senza aspettare che lei lo invitasse.

Restò ad osservare Vibeke che si muoveva disinvolta tra gli armadietti, recuperando un barattolo di caffè solubile e un paio di tazzine. Non sembrava affatto messa a disagio dal fatto che si fosse fatta trovare in pigiama – o così Tom aveva interpretato quella maglietta così criminosamente succinta – né senza nemmeno un accenno del solito trucco pesante. A lui era sembrato di essere un invasore della sua privacy, ma a questo punto cominciava a pensare che fossero timori del tutto infondati.

Vibeke mise in tavola due piattini bianchi e sopra vi posò due tazzine in cui aveva messo del caffè, poi versò l’acqua bollente.

“Zucchero?” domandò a Tom, tirando fuori un sacchetto di zucchero e un paio di cucchiaini.

A lui venne da sorridere: nemmeno loro avevano la zuccheriera.

“Due cucchiaini.”

Grazie.” Fece Vibeke, servendolo.

“Figurati.” Replicò Tom, avvicinandosi la propria tazza.

“No,” sibilò lei. “Sei tu che dovresti dirlo a me.”

“Ah,” Ancora quella fissazione del ‘grazie’. “Giusto.”

“Lasciamo perdere.” Sospirò Vibeke, sedendosi di fronte a lui.

Restarono in silenzio per un po’, i cucchiaini che tintinnavano contro le tazzine mentre mescolavano. Tom studiava Vibeke con la coda dell’occhio, le braccia bianche piegate e posate sul piano, la mano destra che continuava a mescolare il caffè, i capelli raccolti morbidamente sulla spalla che la maglietta lasciava nuda. Si poteva distintamente intravedere la rosa nera che spuntava da sotto alla stoffa, e sotto alla rosa la cicatrice sottile.

Era strano vederla così pacifica e calma, non sembrava nemmeno la stessa persona.

“Per cosa sta la v puntata?” le chiese a bruciapelo, sperando di coglierla in fallo.

“Non te lo dico.”

No, niente da fare. Avrebbe proprio dovuto rubarle la carta di identità.

“Dai, Wolner, non fare la dispettosa!”

“Quella maledetta o si legge u, ficcatelo in quella nocciolina liofilizzata che hai al posto del cervello!” sbottò lei.

“Solo se tu mi dici cosa significa quella v.” insistette Tom.

“Ho detto di no!”

“Se me lo dici, ti lascio in pace.”

Vibeke schioccò la lingua.

“Sì, e poi ti metterai un vestitino rosa e comincerai a farti chiamare Lola,” lo beffeggiò. “Ma per favore!”

Tom non voleva saperne di demordere.

“È un nome così imbarazzante?”

Vibeke, che si era appena portata la tazzina alle labbra, la posò senza riuscire a prenderne nemmeno un sorso.

“Eclissati, aspide!” ringhiò.

“Viola? Virginia? Victoria?”

“Dio Thor, perché mi fai questo?” piagnucolò lei, potandosi una mano alla testa.

“Volla? Vilhelmina? Volkberta?” rincarò Tom, sporgendosi in avanti.

“Dacci un cazzo di taglio!” sbottò Vibeke, piantando un pugno contro il granito del blocco, gli occhi lampeggianti.

“E tu rispondimi!”

“Ti ho detto di no, comprendi?” gli sillabò piccata. “No, non, niet, ne, nej, ei… Devo continuare?”

“Se hai proprio voglia di far prendere aria alla bocca…”

“Ma senti da che pulpito!”

Tom cercò di ricalcare la misteriosa tecnica ‘occhi da cerbiatto’ che Bill e Gustav padroneggiavano dall’alba dei tempi, ma che a lui e a Georg era sempre risultata un arcano mistero.

“Dai, Vi, non fare la permalosa.”

“Non chiamarmi Vi, se non vuoi rischiare le palle, Kaulitz.” gli ripeté lei, per l’ennesima volta.

“Ti chiamo Vi quando e quanto mi pare e piace, e tu hai un solo modo per arrivare alle mie palle, e quel modo comprende un letto e una sbronza disumana da parte mia.” Ribatté lui.

Vibeke si bloccò all’improvviso ed un lieve rossore le tinse le guance.

Tom si morse la lingua, ma al contempo ebbe l’implicita conferma che lei era ben memore di quella loro allegra nottata trascorsa a darsi da fare nella sua Cadillac, dettaglio che avrebbe gelosamente immagazzinato e debitamente sfruttato all’occasione migliore.

“Te lo devo ripetere ancora molte volte che non sono interessata ai palloni gonfiati come te?” blaterò Vibeke, ricompostasi.

Tom finì la propria tazzina in un sorso, sfoderando un sorriso di superiorità.

“Non sai cosa ti perdi, tesoro.”

Lei rispose dopo un paio di sorsi di caffè.

“Lo sai che il tuo nome in norvegese vuol dire ‘vuoto’?”

“E il tuo cosa vuol dire,” Ghignò lui. “‘Arpia insopportabile e lagnosa’?”

“‘Guerra’,” rispose lei con nonchalance. “Ma è di origine tedesca.”

“I tuoi sono stati lungimiranti.” Commentò Tom, conquistandosi un’occhiata fulminea che non seppe classificare.

“Hai finito?” domandò Vibeke, indicando la tazzina che lui aveva davanti.

“Certo.” Tom gliela porse e lei si alzò per andare al lavello.

La ascoltò canticchiare fra sé qualche motivetto a lui sconosciuto mentre sciacquava tutto e riponeva ciascun pezzo nella lavastoviglie vuota. Di nuovo, gli tornò quella sensazione di essere uno spettatore invisibile di una scena che normalmente non gli non sarebbe stato dato vedere, e non capiva se la cosa lo mettesse a disagio o gli facesse piacere. Lei aveva visto lui e i ragazzi nelle medesime condizioni un’infinità di volte e non aveva mai dato segno di imbarazzarsi o altro. Evidentemente la convivenza costante con un fratello maschio l’aveva immunizzata da certi episodi che invece per Nicole erano ancora grossi problemi: se per sbaglio uno di loro – che non fosse Georg – usciva dal bagno con nient’altro che un asciugamano a cingergli la vita, avvampava spaventosamente e non la finiva più di rimproverarli, anche se in tono scherzoso, per la loro impudicizia.

“Mi fai vedere la tua stanza?” domandò ad un tratto, senza nemmeno sapere il perché.

Vibeke si voltò e lo sorprese ad occhieggiarle le gambe. Benché la cosa non sembrasse disturbarla, si diresse verso una cesta di biancheria che giaceva sul pavimento accanto al frigo e recuperò un paio di shorts neri che si infilò senza scomporsi.

“Cosa te ne importa della mia stanza?”

Lui scrollò le spalle, non avendo una vera risposta da darle.

“Sono curioso,” disse. “Tu ormai conosci la mia a memoria…”

Vibeke indugiò, appoggiando le mani all’indietro sul bancone, come se stesse cercando di capire se fosse serio o meno. Tom, intanto, non si era ancora abituato a quella lei in quella fresca versione acqua e sapone. Alla fine Vibeke si tirò su ed acconsentì, ma senza entusiasmo.

“Contento tu.”

Tom si fece guidare fuori dalla cucina, attraverso il salotto, fino al fondo di un corridoio alla cui estremità si apriva una porta che dava su una specie di piccolo studio di registrazione, mentre ai due lati si fronteggiavano due coppie di porte.

“Questi sono i bagni,” gli illustrò Vibeke, indicando le prime due porte dirimpette. “E questa,” Indicò la stanza sulla destra. “È la camera di BJ.”

Tom si avvicinò con lei fino all’ultima porta rimasta, fremente dalla curiosità. Si era fatto qualche idea su come potesse essere lo spazio personale di Vibeke, una più pittoresca dell’altra, ma quando entrò, si rese conto che era tutte quante completi buchi nell’acqua.

Per la seconda volta in quella mattina, la sua fantasia aveva fatto cilecca.

A vedersi, non si sarebbe affatto detto che fosse la stanza di una come Vi: era spaziosa e luminosa, un locale quadrato pavimentato di moquette blu notte con due gigantesche finestre a semicerchio che si aprivano sulla parete opposta alla porta e quella sulla destra. Il bianco della tinteggiatura la faceva apparire fresca e vivace, anche grazie ai quadri che stavano appesi qua e là, grandi cornici a giorno che contenevano fotografie di paesaggi dal sapore nordico, probabilmente scorci della Norvegia.

Di fronte a Tom stava il letto a due piazze, coperto da un allegro copriletto in patchwork sopra al quale giaceva un tondo cuscino foderato in pelliccia bianca. A ridosso della parete di sinistra, infine, c’era una libreria monumentale, che al centro lasciava spazio ad una scrivania di scuro legno massiccio, su cui c’era appoggiato un quaderno dalla lucida copertina nera, e sopra al quaderno stava qualcosa che Tom si rese conto di conoscere.

“Bella stilografica.” disse, sfiorando gli intarsi nel metallo argentato, tenendo d’occhio la reazione di Vibeke, la quale era rimasta ferma sulla porta e, almeno da quel che sembrava, non si era scomposta minimamente.

“Un regalo di BJ,” gli spiegò. “È la prima cosa che abbia mai comprato con il suo primo stipendio.”

Tom annuì, facendo scorrere le dita sul dorso del quaderno.

“Ti piace scrivere?”

“Abbastanza.”

L’impulso di mettersi a sfogliare quelle pagine nascoste era forte, ma Tom si trattenne.

“Non sono mai stato bravo con le stilografiche,” le disse, subdolo. “Macchio sempre qualcosa.” Si godette il lampo di momentaneo smarrimento che attraversò il volto di Vibeke, poi aggiunse: “Bella stanza, comunque,” Si spostò verso il letto e vi si sedette, apprezzandone la comodità, poi guardò il cuscino rotondo. “Questo però lo trovo un po’ troppo kitsch.” Arricciò il naso ed allungò la mano per afferrarlo.

“Kaulitz, no!” esclamò Vibeke ansiosamente, lasciandosi in avanti. “Non è un –”

Ma era tardi: non appena la mano di Tom sfiorò la morbida pelliccia, il cuscino si mosse, facendolo sobbalzare per lo spavento. Bastò un salto della strana cosa per capire che non era affatto un cuscino, bensì una specie di tigre albina a pelo lungo.

L’enorme felino lo fissò minaccioso con due occhi verdi come smeraldi, le zampe anteriori acquattate mentre dimenava il posteriore. Tom ebbe a stento il tempo di ridere per quel buffo movimento, che la tigre balzò in avanti. Si era già visto sfigurato e mutilato, ma fortunatamente Vibeke era intervenuta con incredibile tempestività e aveva afferrato quel mostro peloso appena in tempo, poi, stringendo l’abnorme felino tra le braccia, gli si sedette accanto.

“Kaulitz, ti presento Rogue, il mio micio.”

Micio?” Tom strabuzzò gli occhi in direzione della bestia. “Vi, questa qui è una pantera candeggiata e sovrappeso!”

Vibeke grattò con affetto la testa del gatto.

“È un Norvegese delle Foreste, è ovvio che sia un po’ grandicello,” chiocciò. “E attento a quel che dici, è molto suscettibile sul suo peso!”

“E io sono molto suscettibile sull’integrità della mia persona!” protestò Tom, sdegnato. “Questo coso stava per aggredirmi!”

“Ti avevo avvertito di fare attenzione.” Affermò Vibeke.

“Sì, quando era già tardi!”

“Ma smettila.”

“Voleva mangiarmi una mano!”

“Tranquillo,” lo rassicurò lei. “Ha gusti raffinati, non mangia schifezze.”

Tom si scostò di qualche centimetro nel vedere una zampa che si allungava verso di lui.

“Tieni questo mostro lontano da me!”

“Rogue, amore mio, scusalo,” bisbigliò Vibeke. “È solo un disadattato che non conosce la buona educazione.”

“Vi, il tuo Norvegese dei Boschi, o come diavolo si chiama, voleva spezzatino di Kaulitz per colazione!”

“Non è che tu sia un agnellino mansueto quando qualcuno ti sveglia bruscamente…” gli fece notare lei.

“Ma tu lo fai apposta!”

“Dettagli.”

Tom non si sentiva tranquillo, continuava a controllare che quella sottospecie di bue bianco se ne stesse al suo posto sulle gambe di Vibeke.

“Per curiosità, hai qualche altra bestia selvaggia nascosta in giro?” domandò sospettoso. “Che so, un canarino mannaro o qualcosa del genere?”

Lei continuò ad accarezzare Rogue con devozione.

“BJ ha un cincillà nella sua stanza.” Gli rispose.

Tom aggrottò la fronte perplesso.

“Una pelliccia?”

“Un roditore!” lo corresse lei, inorridita. “Siamo animalisti, non speculiamo sulla sofferenza delle povere creature innocenti!”

È tutta matta, pensò Tom, divertito. Matta, matta, matta.

“E i tuoi bellissimi anfibi, allora?” indagò. “La tua favolosa giacca?”

“Ecopelle.” Disse Vibeke. Tom sorrise.

“O pelle umana?”

“Hey, idea grandiosa!” esclamò lei, con un’enfasi che le fece brillare gli occhi. “La tua non è niente male, ti piacerebbe diventare una cintura?”

“Mi verrebbe mal di mare, poi, a stare su quei tuoi fianchi sculettanti.”

L’espressione di Vibeke si fece istantaneamente oltraggiata.

“Io non sculetto!” si difese.

No, certo che no, ridacchiò Tom con se stesso. E io sono dedito all’ascetismo sessuale.

“Sarà una mia impressione…” la accontentò. Stavolta fu lei a sorridere sorniona.

“O la tua perversione.”

Prima di poter rispondere, l’orecchio di Tom percepì qualcosa di inquietante che lo allarmò.

“Cos’è questo rumore?” chiese, controllando se per caso di fossero impianti di aria condizionata nei paraggi, ma non ce n’era traccia.

“Quale rumore?” fece lei, imitandolo.

“Questa specie di strano ronzio.”

Vibeke si soffermò ad ascoltare ancora, ma quasi subito si mise a ridere.

“È Rogue!” disse, solleticando il gatto sotto al mento, il campanellino fissato al collarino nero che tintinnava appena. “Sta facendo le fusa.”

Tom aveva sentito dei gatti fare le fusa, prima, ma non ricordava che lì intensità del suono raggiungesse tutti quei decibel. Era certo che sarebbe riuscito a sentirlo anche al di là della porta.

“Alla faccia! Sembra un panzer in attacco!”

Rogue non reagì bene a quell’innalzamento di voce: si rizzò sulle proprie zampe e si stiracchiò per bene, poi saltò giù dalle ginocchia di Vibeke e trotterellò fuori dalla stanza, tintinnando. Per Tom era un gran sollievo.

“Ecco, hai visto?” gli disse Vibeke, imbronciata. “Si è offeso.”

Tom si alzò in piedi.

“Sarà andato a cercare qualcun altro da sgranocchiarsi.”

Arrivò di fronte al mobiletto che stava alla destra del letto, che ospitava una discreta quantità di portafoto di vari colori, forme e dimensioni, che lui si sedette a guardare una per una. C’era una fotografia che ritraeva Vibeke e BJ vestiti da pirati, con stelle filanti che pendevano loro addosso, in un locale buio che sembrava una discoteca: sorridevano, lei sulle spalle di lui, entrambi con i capelli parecchio più corti di adesso, e sembravano divertirsi un mondo. Un’altra mostrava una bambina di circa dieci anni dai lunghi capelli biondissimi e gli occhi di due colori diversi che portava una divisa scolastica blu e bianca, un cravattino al collo e l’espressione di qualcuno che avrebbe mille volte preferito ingoiare un rospo vivo, piuttosto che farsi vedere così. In un’altra ancora c’era un’inconfondibile Vibeke appena adolescente, alta e asciutta, quasi completamente piatta sul davanti, in mezzo ad un gruppetto di ragazzi e ragazze che mandavano baci all’obiettivo, tra cui BJ, molto più basso e meno appariscente della versione che conosceva Tom. Quella che però lo colpì di più era una cornice rettangolare che conteneva un’immagine piuttosto curiosa: Vibeke di fronte ad uno specchio, avvolta in un asciugamano azzurro, un phon in mano e una spazzola nell’altra, intenta ad asciugarsi i capelli bagnati e sorpresa alle spalle dal proprio fratello, armato di macchina fotografica digitale, che se la rideva sotto i baffi della sua faccia scocciata.

Per qualche motivo, quella foto lo intenerì.

“Quella è la preferita di BJ,” disse Vibeke, sedendosi accanto a lui e chinandosi per afferrare la cornice. “Me l’ha scattata a tradimento un paio d’anni fa. Dice che ha colto la mia essenza.”

Tom osservò le sue labbra contratte in una smorfia arrabbiata, gli incisivi leggermente separati scoperti, le sopracciglia corrugate, e non poté che concordare.

“Ha proprio ragione.”

“Bah.” Vibeke si chinò di nuovo oltre le gambe di Tom per riporre la foto al proprio posto. La appoggiò al mobile, ma questa vacillò e stava per cadere, ma sia Tom che Vibeke, con uno slancio simmetrico, la salvarono appena in tempo.

Si ritrovarono così praticamente faccia a faccia, vicini come mai erano stati, al di fuori della volta nel bagno, quando lui l’aveva spinta contro il muro. Anche ora, così come quella volta, Tom si ritrovò nella situazione di non sapere cosa volesse fare. La sua mente era decisamente sicura sul da farsi: gli stava dicendo di tirarsi su e non fare idiozie. Facile, se solo il suo corpo avesse avuto la minima voglia di obbedire. Il fatto era che avere quelle labbra così carnose da un soffio dalle proprie era una tentazione non indifferente, tanto più che da quella posizione aveva un’ottima e deviante panoramica sulla scollatura della maglietta di Vibeke. Inoltre lei era immobile quanto lui e non sembrava molto più raziocinante. Erano fermi così, come due imbecilli, a fissarsi ad un palmo l’uno dall’altra, tentando di capire se la voglia di saltarsi addosso fosse dovuta all’antipatia reciproca o a ben altri tipi di istinti.

Tom nemmeno si rese conto di stare avvicinando la propria testa a quella di Vibeke, e nemmeno che la propria mano si era sollevata per posarsi sul suo collo. Realizzò tutto quanto solo quando la stava già baciando.

Vibeke sapeva di caffè, le sue labbra erano morbide e piacevoli da accarezzare, ed i due piercing che le ornavano erano caldi tanto quanto la carne.

Tom si chiese se fosse normale che il cuore sembrava esserglisi trasferito dal petto in fondo alla gola, o se fosse il caso di chiedere un consulto medico per quello strano fenomeno preoccupante.

In quel secondo scarso che aveva impiegato a capire quello che stava accadendo, aveva previsto un omicidio, uno schiaffo, o perlomeno un rifiuto. Quello che non aveva previsto, era che lei rispondesse al bacio, né, del resto, che lui stesso la avrebbe mai baciata.

Cazzo!

Per la terza e quarta volta in quella mattina, Tom seppe di essersi sbagliato.

“Sorella, sono a casa!”

Come un fulmine a ciel sereno, la voce lontana di BJ li fece separare di botto, come se si fossero dati la scossa, ed effettivamente quella era la sensazione che Tom si sentiva addosso. Vibeke scattò in piedi, scoccandogli uno sguardo che diceva ‘Non è successo niente e guai a te se osi contrariami!’ e si affacciò in fretta alla porta.

“BJ, sono in camera!” gli gridò. “C’è Kaulitz che è venuto a prendere la sua maglietta!”

“Va bene!” gridò di rimando BJ.

Tom, ancora seduto sul letto, in uno stato di catalessi psicofisica, non riusciva a fare altro che fissare il vuoto e chiedersi cosa cazzo gli avesse preso, e come fosse possibile che fosse ancora vivo.

“Vado a prenderti la maglietta,” gli disse Vibeke sbrigativa. “Due minuti ed è stirata.”

“Sì, certo.” Farfugliò lui, e la guardò andarsene via, lasciandolo solo e stordito.

Aveva baciato Vi. Vi aveva baciato lui. Lui e Vi si erano baciati. Era semplice, a dirsi, ma su un piano pratico non c’era niente di più complicato. Forse aveva ragione lei, forse era meglio metterci una pietra sopra e dimenticarsene. Forse no.

Si alzò in piedi, ignorando il fatto che i pantaloni sembrassero andargli improvvisamente più stretti, e raggiunse il salotto come in trance, dove trovò BJ intento a disseminare una scia di vestiti per il pavimento mentre si spogliava.

“Hey, ciao Tom!” lo salutò gioviale, sbarazzandosi di una canottiera nera. “Come va?”

Ancora vagamente frastornato, Tom abbozzò un mezzo sorriso incerto.

Ottima domanda.

 

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Note: eheheheh, direi che il capitolo è stato lungo e pesante, ma alla fine qualche cosa è successo, no? ;) Perdonate la lunghezza infinita, come spesso accade, gli eventi si sono scritti da soli, senza curarsi minimamente della mia volontà, e questo è quel che ne deriva. Le canzoni citate sono, nell'ordine: I’m On Fire by Bruce Springsteen ( danke Sara!); Bittersweet by Apocalyptica feat. Ville Valo & Lauri Ylönen; Bad Obsession by Guns ‘N’ Roses; Crazy by Aerosmith; Irresistible by The Corrs; (I Don't Know What's Going) On by The Cure

Come al solito mi prostro ai piedi di tutti vuoi, miei fedeli lettori e commentatori, ringraziandovi con devozione per il vostro sostegno e le vostre parole, non finirò mai di commuovermi! Vi lascio alla recensione ora (se proprio mi volete fare felice ;) ) e vi do appuntamento al prossimo capitolo, in cui vedremo un paio di Kaulitz alle prese con le conseguenze di un Kaulitz-litigio, un Georg che si prepara ad uscire per una romantica cena di San Valentino e… Il resto lo scoprirete da voi! XD

Alla prossima!

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Capitolo 9
*** Deep, Silent, Complete ***


“Ti ho detto di no!”

“E invece sì!”

“No!”

“Sì!”

“No, cazzo, no! No, no, no!”

“Non sperare di spuntarla così, guarda che ti conosco, te lo si legge in faccia che è successo qualcosa!”

“Ho detto che non è successo niente, fratello, comprendi? N-i-e-n-t-e!”

“Ma a chi vuoi darla a bere?”

Vibeke strinse i pugni ed inspirò a fondo, le narici dilatate dall’irritazione.

“In nome di Thor, BJ, la vuoi piantare?!” sbraitò incattivita. Erano già due giorni – tre, con quello – che suo fratello la stressava insistentemente con quelle stupide domande. Al momento era dedito ad un pedinamento tormentoso alle calcagna di Vibeke: aveva riesumato la curiosità non appena disceso dal letto (alle decorosissime ore cinque del pomeriggio) e non le aveva ancora dato tregua, seguendola perfino quando era andata a lavarsi i denti, costringendola così ad una lesta fuga dal bagno, per di più inutile, visto che lui non la aveva mollata comunque, e a lei era toccato correre in giro per casa con lo spazzolino ancora in bocca. Si divertivano da morire a fare questi giochetti stupidi, ma lei stavolta non aveva proprio intenzione di cedere alle molestie.

“Se tu mi dici che cos’è successo con Tom.” Insistette lui.

“Oh, cazzo, che palle!”

BJ si portò le mani ai fianchi asciutti, abbracciati dall’unico indumento che indossasse, ossia un paio di imbarazzanti boxer con una bella freccia nera puntata all’insù stampata sul davanti, accompagnata dalla scritta ‘Alto’.

Ma si può avere un manager che fa regali così cretini?, pensò Vibeke. Andava da sé che l’unico motivo per cui BJ aveva un manager maschio era che si trattava di un esemplare di maschio così etero che era impossibile sarebbero mai sorte complicazioni professionali, tra loro due. La prima manager, Helena, era finita a letto con lui dopo nemmeno una settimana dall’assunzione, ed era stato complicato farle capire che c’era un abisso tra una notte di divertimento e una relazione fissa. Dopo di lei, BJ aveva voluto andare sul sicuro.

Vibeke lo scansò per imboccare il corridoio e tornò a passo di marcia verso il proprio bagno per sciacquarsi la bocca e deporre lo spazzolino. Lui, ovviamente, la seguì.

“Dai, sorella, tanto lo so che qualcosa è successo, e ho anche qualche vaga idea di che cosa si tratti,” perseverò imperterrito, affiancandosi a lei di fronte allo specchio e mettendosi a controllare il proprio viso da ogni lato. “Hai due chances: o non me lo dici e lasci così galoppare la mia fervida immaginazione ricca di sesso, godimento e amplessi, oppure me lo dici e smonti – o confermi – la mia ipotesi.”

Vibeke si tamponò l’asciugamano sul viso, fissando se stessa riflessa.

Non voleva rispondere a nessuna di quelle domande, non le voleva nemmeno stare a sentire, e BJ avrebbe fatto bene a comprenderlo in fretta, perché un crollo di nervi sarebbe stato fatale ad entrambi, e i nervi di Vibeke erano già stati messi a dura prova dal quel dannato bacio a tradimento che quell’immane deficiente di Tom aveva trafugato dalle sue labbra.

Ma tanto era solo un bacio.

Un bacio sconvolgente, rovente e mozzafiato (a cui lei aveva peraltro risposto senza un briciolo di dignità), ma pur sempre un bacio, nient’altro. Quello che non capiva era perché la cosa la disturbasse tanto: c’era anche andata a letto, con quell’idiota, ed era stata un’esperienza più che positiva – l’ottimo sesso disinteressato lo era sempre – e non aveva senso che fosse rimasta così travolta e scombussolata da nient’altro che un misero bacetto sprovvisto di lingua (sebbene fosse sicura che, avendone avuto modo e tempo, la lingua ci sarebbe stata eccome, e magari non solo quella).

E io l’ho lasciato fare!, si disse, stritolando l’asciugamano dalla rabbia.

No, non l’hai semplicemente lasciato fare, la redarguì la sua coscienza, tu c’eri dentro almeno quanto lui, e te la stavi pure godendo un mondo, dolcezza.

“Sono in ritardo,” disse ad alta voce, sforzandosi di sopprimere quel flusso ininterrotto di pensieri che la stava tormentando almeno quanto BJ. “E devo passare da quei quattro scalcinati.”

Non che l’idea di andare alla tana del lupo le piacesse. Del resto non vedeva Tom da mercoledì, e poteva affermare con una certa sicurezza che andava bene così, ma era San Valentino, la gran serata di Georg e Nicole, e a lei era toccato l’ingrato compito di ritirare il nuovo set di abbigliamento elegante di Georg, visto che il vecchio (per così dire) paio di D&G gli andava ridicolmente corto.

“Come ti pare,” le disse BJ, passandosi le mani tra i capelli con il suo solito fare vanitoso. “Ma sappi che non finisce qui.” La ammonì, puntandole un dito contro.

Oh, dèi, mi state punendo per aver mangiato quel delizioso krapfen ai frutti di bosco e panna montata?

“Ah, una cosa: dove hai messo i miei vestiti?” aggiunse BJ, prima che lei potesse uscire dal bagno.

“Sul tuo letto.”

Lui le sorrise ruffiano. Quando sorridevano così, sia lui che lei, somigliavano incredibilmente a Rogue nei suoi momenti di maggiore coccolosità felina.

“Takk.” (Grazie.)

Bare hyggelig.” (Prego.)

Non pago di esserle stato alle calcagna per tre quarti d’ora filati, BJ dovette necessariamente accompagnarla fino all’ingresso.

“Esci con Niek e company, stasera?”

“L’idea è quella,” disse Vibeke, afferrando la propria borsa. “Se esci prima che io torni, buona serata con l’eletta.”

Lui si stiracchiò con una finezza che avrebbe fatto ricredere molte della sue fans che sembravano considerarlo l’incarnazione terrestre del fascino e dell’eleganza.

“Tusen takk,” Le diede un buffetto sul naso e la salutò. “Ha det!” (Grazie. Ci vediamo!)

“Ha det!” ricambiò lei, prese le chiavi della Golf dal mobile ed uscì, pensando a quello che la aspettava a casa Tokio Hotel: un ladro di baci privo di ritegno, un Georg in fase di imbellettatura (che con ogni probabilità le sarebbe stato fatale), una principessa presumibilmente impegnata a dare il tormento al suddetto ladro di baci privo di ritegno, esattamente come BJ aveva fatto con lei, e un povero Gustav ai limiti del cedimento psicologico braccato nel mezzo dell’insieme.

Chiuse gli occhi per un istante, poi sospirò.

Facciamoci coraggio.

E infine si decise a scendere le scale.

 

***

 

Da un momento all’altro avrebbe dato di matto, Gustav lo sentiva. Vivere in quella casa certe volte, per quanto grande e sterminata fosse, poteva diventare una seria minaccia per le coronarie, i nervi e perfino i neuroni: se una persona sana di mente metteva piede là dentro, era garantito che ne usciva pazza. L’unico modo per entrare in quell’appartamento ed uscirne senza aver subito pericolosi danni mentali era farlo quando era vuoto, oppure farlo con un cervello già in pappa.

Fortuna che almeno Nicole ed Emily erano uscite, o era matematicamente certo che si sarebbero convinte una volta per tutte che far parte della famiglia Tokio Hotel rappresentava un biglietto di sola andata per il manicomio, ma un po’ matte dovevano esserlo anche loro, se avevano resistito un anno assieme a loro. Quello che doveva averle salvate dalla follia definitiva era senza dubbio il fatto che abitassero a centinaia di chilometri di distanza.

Georg era in doccia da almeno mezz’ora, e Gustav aveva la sensazione che ci sarebbe rimasto ancora a lungo, Bill se ne stava stravaccato sul divano a sgranocchiare patatine e a sfogliare Cosmpolitan (una new entry recente tra le sue letture impegnate) con un muso lungo così, mentre Tom era disperso da qualche parte non ben nota al piano di sopra, probabilmente occupato con uno dei suoi nuovi, costruttivissimi passatempi preferiti, e cioè muffire imbronciato ribollendo internamente come un vulcano in piena attività, il tutto variabilmente in silenzio.

Se c’era una cosa più pericolosa, inquietante, preoccupante e terrificante, in quella casa, che vedere due gemelli Kaulitz scannarsi a vicenda, era vedere due gemelli Kaulitz in assetto di guerra fredda. Praticamente la preannunciazione della fine del mondo.

Bill e Tom erano famosi per le loro litigate selvagge, per le urla, le grida e gli strepiti, per la sorprendente quantità di casino che erano in grado di creare in una modesta manciata di secondi, tanto che lui e Georg avevano scelto il nome in codice ‘Tornado Kaulitz’ per riferirsi alle loro memorabili sessioni di bisticci selvaggi. Da un certo punto di vista era anche divertente a vedersi, ma due Kaulitz incazzati – in particolar modo l’uno con l’altro – potevano mettere più paura di un branco di tigri fameliche.

La causa scatenante questa volta era stata abbastanza stupida – nulla di nuovo sul fronte provocazioni – non fosse stato che Tom aveva scelto proprio il bel mezzo di una diretta tv per dare a Bill del ‘fancazzista senza palle’.

Gustav ricordava fin troppo bene quell’esatto istante, come le narici di Bill si fossero dilatate, sbiancando, e come i suoi occhi si fossero chiaramente messi a graffiare Tom con un impeto che, fosse derivato dalle mani, lo avrebbe lasciato senza nemmeno un brandello di carne addosso. La storia era rimasta in sospeso, perché, miracolosamente, Bill aveva avuto la saggezza di aspettare la fine dell’intervista per riversare sul fratello la propria febbrile sete di vendetta: non appena avevano messo piede fuori dagli studi, Bill era esploso in un’invettiva apocalittica e Tom, neanche a dirlo, aveva risposto per le rime, tirando fuori tutto il cattivo umore che sembrava aver accumulato, e da lì non si erano più fermati, fino ad arrivare, tre giorni dopo, a covare rancore reciproco senza più lotte vocali all’ultimo sangue, e Gustav trovava la cosa molto, molto spaventosa.

La genetica dei Kaulitz li predisponeva a tutto, fuorché al silenzio.

“God kveld, mine kjære, hvordan går dere?”

Gustav distolse lo sguardo dallo schermo della televisione e mise in pausa la Playstation per voltarsi a guardare verso l’ingresso, richiamato dal saluto di rito di Vibeke, che non aveva nemmeno sentito entrare.

“Takk, bare bra.” Le rispose con un sorriso, che lei accolse con uno ancora più ampio. Bill, sull’altro divano, sembrava catalettico.

“Che succede alla principessa?” domandò Vibeke, posando i due scintillanti sacchetti firmati Emporio Armani che aveva in mano.

“Lui e Tom hanno litigato.” Le spiegò.

“Strano,” Vibeke si sfilò la giacca. “Non vedo cadaveri, macerie e distruzione, in giro.”

“Perché lo scoppio del conflitto è avvenuto fuoriporta, e ormai il tutto si è ridotto ad una logorante guerriglia sordomuta.”

Bill non dava segni di vita, gli occhi fissi sullo stesso preciso punto mentre continuava a divorare patatine.

“Oh, delizioso,” cinguettò Vibeke. “Raccontami tutto.”

Gustav le spiegò, pur temendo di risvegliare in Bill qualche indesiderato istinto nevrotico, ma questi sembrava isolato da un’invisibile patina insonorizzante. Quando ebbe finito, Vibeke sembrava turbata.

“Non accennano a trattati di pace o almeno ad armistizi?”

“Macché,” Gustav spense definitivamente la tv e la Playstation. “Si limitano a rimuginare e farsi vicendevolmente a pezzi a suon di occhiatacce.”

Lei stava per dire qualcosa, ma fu interrotta dal precipitarsi giù per le scale di qualcuno, nella fattispecie Georg Listing in tenuta da bagno (per lui corrispondente ad un asciugamano legato in vita).

“Ciao Bee,” salutò frettolosamente, già adocchiando i due sacchetti che lei aveva portato. “Sono questi?”

Vibeke annuì, ma non proprio prontamente. Gustav aveva notato che si era prima concessa una squadrata generale del panorama, prima di attivare la risposta automatica.

Georg non si sprecò in convenevoli: arraffò le due buste e si precipitò di nuovo di sopra, scalzo e gocciolante d’acqua.

Gustav la osservò in silenzio per un po’, e lei ebbe la netta impressione che quei suoi stupendi occhi stessero scavando dentro di lei alla ricerca di qualche informazione precisa.

“Allora, come va con… Quella cosa?” le domandò con tatto.

Vide Vibeke esitare per un secondo o due, come se non avesse ben afferrato la domanda, poi i suoi lineamenti si distesero rilassati.

“Oh, intendi… Be’, non è che… Insomma, va.”

“Va.”

“Sì.”

“Nel senso che continua o che passa?”

“Passa, direi.”

“Be’, direi che è una buona cosa.” Si congratulò Gustav. Vibeke sembrava all’incirca d’accordo.

“Sì, penso proprio che –”

Non riuscì a finire, perché proprio in quel momento Georg tornò, sfrecciando giù per le scale come un razzo, ancora scalzo, ma stavolta decisamente vestito, e in un modo che Vibeke sembrava apprezzare, visto che la sua bocca si era lentamente ma evidentemente spalancata.

 

***

 

I jeans chiari, la camicia bianca un po’ slacciata, i capelli leggermente scompigliati, e quell’espressione al contempo ansiosa, beata e sognante che lo faceva sembrare un ragazzino alla prima cotta… Vibeke non aveva mai visto Georg così maledettamente perfetto.

Era una visione. Una visione visibilmente emozionata.

“Come sto?” chiese insicuro, una cravatta verde scuro che gli pendeva ai lati del collo.

“Sei quello che ogni ragazza sogna di avere a San Valentino.” Gli rispose Vibeke in completa onestà, mentre Gustav sollevava due pollici in approvazione e Bill lo ignorava regalmente. Georg sorrise piuttosto nervosamente, allacciandosi – o per lo meno provandci – i polsini della camicia.

“È il primo San Valentino che passiamo insieme,” disse in agitazione, armeggiando alla cieca con le estremità della cravatta. “Vorrei che fosse speciale.”

“Lo sarà, scemo,” lo canzonò lei, alzandosi per portargli via quella stupida cravatta inopportuna che avrebbe rovinato l'insieme. “Sei un damerino, ma fai la tua porca figura.”

Georg le sorrise riconoscente.

“Grazie.” Le disse.

“E di che?” fece lei, minimizzando.

Lui sollevò le spalle.

“Di esserci.”

Vibeke scosse il capo lusingata.

“Hey, Bill, ora che mi viene in mente,” disse Georg. “Tu lo sapevi che Tom si è trovato una nuova Ragazza del Venerdì?”

Le orecchie di Vibeke si rizzarono prontamente.

Una cosa di che?

“No.” Biascicò Bill senza interesse.

“L’ho scoperto l’altra sera, quando ho portato Nicole all’Immortal,” raccontò Georg, raccogliendosi i capelli in una coda. “Il barista ha detto che si vedono spesso.”

Bravo, Kaulitz, complimenti, borbottò Vibeke dentro di sé, irritata, era mercoledì, non avevi la tua Ragazza del Venerdì, e giustamente hai baciato la prima che ti è capitata sottomano. È una cosa che da te ci si dovrebbe aspettare, in effetti.

Se non altro era una buona notizia: aveva una ragazza, non si sarebbe messo a dar noia a lei con altri tentativi di scambi illeciti di fluidi. Si era trattato di un caso isolato, una patetica sottomissione al testosterone galoppante, che lo abbassava di diversi gradi nella scala della dignità umana. Essere schiavi del sesso era una cosa veramente ignobile, soprattutto quando portava a non curarsi dell’opinione altrui.

“Pazzesco.” Esclamò Gustav, decisamente più colpito di Bill. Georg annuì.

“Già.”

“Cos’è questa Ragazza del Venerdì?” intervenne Vibeke, incuriosita.

“Oh, è una lunga e vecchia storia,” le spiegò Gustav. “Circa un anno e mezzo fa Tom usciva più o meno regolarmente con una ragazza, sempre di venerdì, perché poi lei il sabato aveva il giorno libero. Ovviamente lui per il resto della settimana aveva altre ragazze, ma continuava comunque ad uscire con lei ogni venerdì sera. È durata un paio di mesi, giusto il tempo per farci venire il sospetto che la cosa si stesse facendo seria, poi lei gli ha detto che non le stava più bene che lui vedesse altre ragazze, e che doveva scegliere.”

“Immagina Tom messo di fronte ad un ultimatum,” Georg si passò un dito sulla gola, mimando significativamente una lama. “L’ha scaricata in men che non si dica.”

“Già,” Bill schioccò la lingua con disappunto. “‘È stato bello, tanti saluti, a mai più rivederci’.”

“Ne ha avute un altro paio di storie così, dopo quella, tutte finite allo stesso modo,” Georg fece una faccia che parlava per lui. “Le chiamiamo le Ragazze del Venerdì, in onore della prima, anche se esce con loro in giorni a caso. Erano diversi mesi che non capitava, però, credevamo si fosse stancato, e invece…”

“E questa qui com’è?” si informò Gustav.

“Mah, bellina, ma niente di speciale” rispose Georg senza entusiasmo. “Alta, bel fisico, pelle chiara, capelli neri, occhi sul verde… Somiglia a Vibeke, anche se ha uno stile completamente diverso. Sicuramente non ha il suo caratterino.” Aggiunse con una breve risatina complice. Vibeke gli mostrò la lingua.

“E come si chiama?” domandò Bill.

“Lara, mi pare.”

“Bel nome da spocchiosa.” Commentò Vibeke con una smorfia.

“Sì, dovrebbe essere una modella. Pare abbia anche partecipato a Miss Germania, un paio di anni fa, era in finale.”

“Tutto si spiega, direi.” Commentarono Bill e Gustav all’unisono.

Vibeke finì di dare una rassettata alla camicia profumata di nuovo di Georg, poi lo lasciò schizzare a controllarsi allo specchio dell’ingresso. Per lui era davvero una serata importante.

Il quello stesso istante qualcuno scese giù per le scale con pesanti tonfi oziosi e raggiunse il salotto. Tom, neanche a dirlo. Scoccò un’occhiata in direzione di Georg con una smorfia.

“È ridicolo.” blaterò, una volta fuori dalla sua portata uditiva.

“È in tiro, e ci sta pure bene,” discordò Vibeke, osservando da lontano Georg che si lisciava la giacca nera davanti allo specchio dell’ingresso. “Solo l’amore può far impazzire un uomo a tal punto da vestirsi in quel modo spontaneamente.”

Lo pensava veramente.

E mentre Tom se ne andava brontolando qualcosa sottovoce, lei tornò a studiare silenziosamente quell’insolito Georg in preda al nervosismo, trovandolo molto più umano di come lo vedeva di solito, e non era certa che si trattasse di un’impressione negativa.

C’era qualcosa di irrimediabilmente seducente in lui, un magnetismo che solo ora Vibeke comprendeva pienamente: se Tom era talmente consapevole delle proprie doti da diventare posato ed arrogante nel farne sfoggio, Georg aveva invece una certa distratta naturalezza nel porsi, una semplicità silenziosa che gli permetteva di mettersi in luce senza diventare caricaturale, come invece accadeva a Tom, troppo occupato a pavoneggiarsi e mostrarsi disinvolto per curarsi della spontaneità. Sotto questo aspetto, era quasi ovvio il motivo per cui Georg le stava decisamente più simpatico: Vibeke era sempre stata una ragazza combattiva, si era sempre comportata come se avesse avuto qualcosa da dimostrare, come se smettendo di essere dura e schiva avesse potuto perdere la propria autorevolezza, e Tom… Tom era proprio come lei. Con una presenza forte e matura come Georg accanto, ma essendo anche abituato a convivere con l’esuberanza e il costante imporsi di Bill, si era dovuto costruire, enfatizzando certe sue caratteristiche e sacrificandone altre.

Non si trattava di falsità, ma di selettiva verità, e Vibeke ne sapeva qualcosa.

Suonò il campanello e Georg aprì prima ancora che il trillo si fosse completamente diradato.

“Ciao!” salutò la vocetta pimpante di Emily.

Vibeke si ricordò all’improvviso della sua esistenza e di quella della sua splendida mammina, che stava giusto facendo il suo ingresso nell’appartamento, lasciando tutti i presenti di stucco.

Doveva essere reduce da una seduta in un centro di bellezza, perché se prima Vibeke credeva che fosse perfetta, adesso proprio non avrebbe saputo come definirla.

Era semplicemente meravigliosa e meravigliosamente semplice, con un paio di pantaloni neri a fasciarle morbidamente le gambe sottili e, sotto alla giacchetta di velluto, una maglietta che richiamava alla perfezione il color indaco dei suoi occhi appena sfumati di trucco, i lunghi capelli rossi e scuri che le scivolavano lungo la schiena in morbidi boccoli lucenti, due piccoli brillanti come orecchini ed un sobrio punto luce al collo, e ai piedi un paio di Blahnik che ingolosirono perfino una fanatica della comodità come Vibeke.

Era la cosa più semplice e bella che si fosse mai vista, e sembrava che anche Georg, Gustav e Bill, imbambolati a guardarla, lo stessero pensando.

“Hai visto com’è bella la mamma?” disse Emily ammirata, rivolta a Georg.

“Come sempre.” Rispose lui, ammiccando in direzione di Nicole, che si fissava umilmente le punte dei piedi.

“Sei una favola!” non poté risparmiarsi di commentare Vibeke, studiandola sbalordita. Nicole arrossì un poco, ma ringraziò con modestia.

Non era un tipo che si crogiolava nei complimenti, Vibeke lo aveva capito da un pezzo. Nonostante ne avesse tutti i motivi per farlo, non ostentava la propria avvenenza, non ne faceva un oggetto di sfoggio, e non era difficile capire perché Georg fosse così perso di lei. Un’altra, al posto di Nicole – una qualunque, perfino Vibeke stessa – si sarebbe agghindata con un miniabito scollato e quintali di trucco, ma non lei, che sembrava essere quasi allergica agli eccessi di attenzioni.

“Georg, facciamo cambio,” propose Gustav. “Io esco con lei e tu ti becchi il cocktail di musoneria gemellare, ti va?”

“Col ca–” cominciò Georg, ma si zittì nel vedere la testolina bionda di Emily voltarsi verso di lui. “Niente da fare, questa Sandberg è tutta mia, stasera.”

“E questa è tutta mia!” esclamò Bill, materializzatosi di fronte ad Emily. La prese in braccio e le sorrise in modo a dir poco abbagliante. Non c’era più la minima traccia del Bill corrucciato di poco prima.

“E io niente?” intervenne Gustav, mostrandosi offeso.

“No, tu niente.” Lo rimbeccò Bill, facendogli una linguaccia giocosa.

“No, Bill, dai!” si oppose Emily. “Facciamo che sono un po’ di tutti e due.”

Risero tutti quanti, e stavolta Vibeke si sentiva meno un pesce fuor d’acqua, rispetto alla prima, anche se non sapeva spiegarsi il perché.

“Se sei pronta, vado a mettermi le scarpe e andiamo.” Disse Georg a Nicole, la quale annuì. Georg salì quindi a finire di vestirsi, tornando trenta secondi dopo, l’orlo dei pantaloni nuovi di zecca che lasciava intravedere un paio di stivali stile cowboy che avrebbero fatto letteralmente impazzire BJ. Offrì a Nicole il proprio braccio, come un perfetto cavaliere, e le sorrise. Non c’era verso di negarlo, erano una coppia perfetta.

“Emily, mi raccomando,” disse Nicole alla piccola. “Non fare impazzire nessuno e quando ti si dice che è ora di andare a dormire, niente storie.”

Emily scambiò un sorrisetto con Bill ed annuì.

“Sì, mamma.”

“Lo conosco quello sguardo,” replicò Nicole severamente. “Bill, alle undici, massimo undici e mezza, la signorina va a letto, caschi il mondo, chiaro? Gustav, conto su di te.”

“Certamente!” la rassicurò quest’ultimo.

“Gustav, mi faresti una cioccolata, per favore?” chiese Emily educatamente, mentre Bill la lasciava scendere a terra.

“Ma certo,” le disse Gustav, offrendole la propria mano. “Andiamo.” E, dopo che lei ebbe salutato Nicole e Georg con un bacio, la portò con sé in cucina.

“Bene, noi allora andiamo anche noi,” Annunciò Georg, aprendo la porta. “Ciao a tutti, e ricordatevi di controllare che Tom sia vivo, ogni tanto.”

Il nome di Tom distrasse Vibeke, che non fece in tempo ad augurare una buona serata ai due prima che uscissero, come invece aveva fatto Bill, con un sorrisino sbilenco dei suoi. E ora fissava la porta, le mani in tasca, con uno sguardo svagato che non era da lui.

Vibeke non era un tipo empatico, ma avvertiva che c’era qualcosa che aleggiava nell’aria, irradiando da lui, qualcosa che le mise una brutta ed inspiegabile sensazione di malinconia addosso.

“Lei mi piaceva,” disse Bill pacatamente, gli occhi ancora incollati alla porta. “Ma non c’era storia, quei due sono fatti per completarsi, era inutile perseverare,” Gettò un’occhiata in tralice a Vibeke, sempre quel vago sorriso a piegargli le labbra. “Una volta presa coscienza della situazione, non è poi così difficile come potrebbe sembrare, soprattutto se si tratta di una semplice cotta,” Continuò. “È vero, brucia, all’inizio,” Allargò il sorriso con un’incurante scrollatina di spalle. “Però poi alla fine passa, va via, e resta solo l’affetto.”

Non era la principessa a parlare, ma un Bill Kaulitz sconosciuto a Vibeke, uno maturo e razionale, quasi saggio, che non credeva esistesse, sotto a tutti quei vezzi e capricci. Un Bill che le fece molta tenerezza e per il quale provò un’improvvisa ondata di affetto. Era così dolce da commuovere, con la sua tuta arancione e blu addosso e il viso sgombro dal solito make up scuro, i capelli calati morbidamente sulle spalle strette. Sembrava veramente un cucciolo d’uomo smarrito.

“Ti sei arreso di fronte all’evidenza?”

“Sì, anche,” rispose lui, scrollando ancora una volta le spalle. “Ma, in ogni caso, io non ero adatto ad una come Nicole. Lei è forte, è vero, ma aveva bisogno di qualcuno su cui poter fare affidamento, e io, lo sai tu meglio di me, non sono proprio essenza di affidabilità concentrata,” Rise flebilmente, allontanandosi finalmente dall’ingresso. “E nemmeno lei andava bene per me, alla fine. Insomma, la devo ancora incontrare la ragazza che sappia farmi veramente pensare ‘Sei tu!’, capisci?”

Vibeke era notevolmente, elegantemente, genuinamente spiazzata, per una lunga serie di motivi differenti che, elencati, avrebbero facilmente ricoperto la distanza Polo Nord-Polo Sud, e anche una buona porzione della rotta inversa. Finalmente le era anche più chiaro anche quello che le aveva detto Gustav in cucina, qualche giorno prima.

Hai capito, la principessina?, esordì la sapiente voce che albergava dentro di lei. Guarda e impara, razza di incompetente! Ti fai bagnare il naso da un moccioso che fino a tre secondi fa giudicavi inguaribilmente immaturo ed egoista?

“Sì, capisco.”

E non capiva solo la storia di Bill, ma anche un paio di altre cose che finora aveva tralasciato di considerare.

Georg non fa per te. È troppo calmo e riflessivo. Non potreste mai stare bene insieme.”

Si era subito concentrata su di lui, abbagliata dal suo sex appeal e dalla sua semplicità di porsi alla gente, così diverso da lei e forse proprio per quello affascinante, affascinante come solo l’ignoto poteva essere. Ma cosa ci avrebbe potuto fare lei, la bizzarra straniera sfacciata dall’arrabbiatura facile, con uno come lui? E lui cosa avrebbe mai potuto fare con una come lei? Forse, al massimo, in un mondo in cui lui non era follemente innamorato di due Sandberg dagli occhi a mandorla, avrebbero potuto instaurare una soddisfacente relazione sessuale, e magari portarla avanti per un bel po’, ma non avrebbe mai potuto esserci alcun tipo di amore romantico, tra di loro. Gli opposti si attraevano, niente di più vero, ma l’eccessiva diversità che c’era tra loro li avrebbe solamente condotti ad annoiarsi a morte a vicenda.

Prova a rilassarti, dolcezza, che ne dici?, proseguì la voce mistica. Prova a parlare con lui come se stessi parlando con il tuo Gud e vediamo cosa succede.

Sembrava, tutto sommato, un’idea ragionevole e sensata. La volpe aveva rinunciato all’uva, quando aveva capito di non poterla raggiungere, ma Vibeke non era abituata alle rese, non aveva mai rinunciato a nulla in vita sua, e sicuramente non avrebbe cominciato adesso. Georg era un ottimo amico, che sapeva ascoltare e consigliare, e lei una stupida che non aveva capito un cazzo: un’accoppiata più perfetta non ci poteva essere.

“Grazie.” Disse Vibeke, decidendo finalmente di elargire a Bill un meritato sorriso.

“E di che?”

“Devo scappare,” glissò lei, affrettandosi a recuperare la propria roba. “Ci vediamo la prossima settimana.”

“Buona serata.” Le augurò Bill.

“Ciao Gud, ciao Emily!” urlò Vibeke verso la cucina. Le teste dei due fecero capolino dalla porta.

“Ciao!”

“Divertiti!” aggiunse Gustav in tono complice.

“Farò del mio meglio.” Disse Vibeke, aprendo la porta. Al piano superiore qualcosa – o qualcuno – provocò un tonfo sordo che si propagò attraverso il soffitto, ma lei era già uscita.

 

***

 

Tom stava praticamente per morire di frustrazione. Si trovava ancora in preda a quell’indigeribile prurito cosmico che non ne voleva sapere di dargli tregua, aveva voglia di movimento (nel senso meno classico del termine) e non poteva chiamare Lara perché farsi vivo la sera di San Valentino sarebbe equivalso ad ammanettarsi personalmente e giocarsi così la gratuita – o quasi – collaborazione della ragazza.

Erano solo le nove, poteva chiamarne una a caso, o semplicemente imbucarsi in uno di quei club dove i single cercavano ristoro dalla zuccherosa felicità delle coppiette in festa, ma abbassarsi a quello era fuori discussione.

“Tom, noi andiamo al cinema!” proclamò la voce di Gustav dal piano inferiore.

Sì, bene, bravi, levatevi dai coglioni.

“Ok!”

“Non ti suicidare, mentre noi siamo fuori, e se lo fai, non sporcare, o Vibeke ti resuscita per poterti ammazzare personalmente!” gridò la voce di Bill.

“Vaffanculo!” gli gridò indietro Tom, sbattendo la porta della propria stanza con tanta violenza da far tremare la parete.

Attese che fossero usciti, poi pensò bene di sbatacchiare la porta un altro paio di volte, giusto per il gusto dare sfogo a qualunque cosa si fosse impossessata di lui. Nonostante l’iperattività, si sentiva paradossalmente stanco, come se non avesse fatto altro che sfacchinare dalla mattina alla sera, come di solito succedeva in pieno tour.

Scese di sotto, si buttò sul divano ed accese la tv, già sapendo che non avrebbe trovato niente di decente da guardare, eppure, nonostante questo, riuscì a restare lì impalato per un’oretta buona, senza nemmeno seguire il programma sullo schermo, qualunque esso fosse.

Si stava annoiando da morire e se non avesse fatto qualcosa al più presto, avrebbe dato di testa.

Il problema reale era che, non avendo niente da fare, non riusciva a fare a meno di pensare alla più grande cazzata della sua vita, e cioè quel maledetto bacio che gli era sfuggito a casa di Vibeke. Si sentiva peggio ogni minuto che passava, a pensarci: avevano condiviso una bollente notte di sesso, e lei lo aveva liquidato con un biglietto demente e un souvenir in pizzo nero; si erano baciati e lei aveva dichiarato che non era successo niente. Era la prima volta che a Tom capitava di fare qualcosa con una ragazza che non solo non voleva andare per il mondo a vantarsene, ma che addirittura pretendeva di fare finta di niente.

Da quando una non gli chiedeva di più, ma di cancellare tutto? Da quando farsi Tom Kaulitz non era motivo di vanto, ma di rifiuto? E soprattutto: perché?

Ti da così fastidio che per una volta una non ti stramazzi ai piedi adorante?, sproloquiò il lui più recondito e meno noto, quello dotato di buonsenso.

Il Tom di tutti i giorni si mise d’impegno per evadere quella domanda così scomoda, a cui si rifiutava categoricamente di rispondere.

Va bene, riformuliamo, riperse l’altro Tom, irremovibile, ti da fastidio che una non ti stramazzi ai piedi adorante o ti da fastidio che lei non ti stramazzi ai piedi adorante?

Di nuovo, Tom non volle saperne di dar retta a quelle stupidaggini assurde.

Aveva voglia di bere e sbronzarsi per bene, ma se lo avesse fatto da solo, le conseguenze potevano essere infinite, e sapeva che in certi casi tendeva a perdere facilmente il controllo. Inoltre non sopportava l’idea di essere li ad ammazzarsi di seghe mentali mentre qualcun altro se la spassava alle sue spalle dopo averlo umiliato per la seconda volta.

Per di più non si sentiva nemmeno tanto bene.

 

***

 

Vibeke era con Moniek ed un altro paio di loro conoscenti davanti all’ingresso del Crossover ad aspettare il resto della combriccola. Non era un’uscita di San Valentino tra coppie, almeno non ufficialmente, anche se nel gruppo ce n’erano un paio, in cui lei non era solita includere se stessa e Moniek, ma che Moniek ogni tanto si azzardava a far salire a tre.

Erano le dieci passate e la temperatura era generosa, rispetto al solito, fredda ma non troppo, quasi piacevole, almeno per Vibeke.

“Se entro dieci minuti non sono qui, io direi di cominciare ad entrare.” Suggerì Joel, il ragazzo più bello, più simpatico e più gay che Vibeke avesse mai conosciuto, sfoggiando la propria erre moscia francese.

“Io ci sto.” Concordò Tasha, migliore amica di Joel e unico membro puramente eterosessuale della compagnia.

“Anch’io.” Si aggiunse Moniek, rabbrividendo tra una nuvoletta di vapore e l’altra.

Vibeke era sul punto di assentire a sua volta, quando il cellulare prese a squillarle nella borsa. Lo recuperò in fretta, sotto agli occhi attenti dei presenti, e se portò all’orecchio, tappandosi l’altro con una mano per coprire il rumore proveniente dal locale.

“Pronto?”

“Vi, ti prego, devi venire subito…”

Un mormorio basso e distante, una voce insolitamente piatta che si dava il caso lei conoscesse fin troppo bene.

“Kaulitz!” Si tirò in disparte, sperando di migliorare l’audio della comunicazione. “Va tutto bene? Dove sei?” gli chiese con ansia.

“A casa,” rantolò lui, con la stessa intonazione fiacca. “Per favore, ho bisogno di te.”

E non puoi chiamare la tua Lara, stronzo?, sentenziò la voce interiore di Vibeke, ma lei la scacciò, preoccupata da quel tono labile. Non gradiva particolarmente l’idea di rovinarsi la serata per un probabile falso allarme, ma preferiva non rischiare.

“D’accordo,” acconsentì in fretta. “Arrivo subito, non ti preoccupare.”

Chiuse rapidamente la chiamata e rivolse uno sguardo di scuse a Moniek e agli altri, che, da come la guardavano, sembravano aver già intuito tutto.

“Fammi indovinare, niente aperitivo e nottata di follie.” Sbuffò Moniek, alterata.

“Niek, mi dispiace…”

“Non importa,” Moniek agitò una mano con incuranza, ed era evidente che non le andava giù quell’imprevisto. “Ci vediamo lunedì.”

Vibeke non si sprecò a sorridere: la avrebbe solo alterata di più.

“Grazie.” Disse. Salutò tutti e si incamminò a passo svelto verso la propria auto, sperando che quell’impiastro vivente di Kaulitz non si fosse messo in qualche guaio serio.

 

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Note: ora, ditemi voi se questo capitolo non è una desolazione. Anzi: considerate se questo è un capitolo, tanto per parafrasare Levi (e gli déi vogliano che non si rivolti nella tomba per questa a dir poco azzardata comparazione). Aaanyways, come tutti avrete notato succede poco o niente sulla piatta superficie narrativa, ma qualcuno sa che con me bisogna armarsi di crivella e tanta pazienza ed andare a disseppellire i dettagli sepolti e nascosti qua e là, ergo: buon lavoro. ;) Ah, per le parti in norvegese: se evidenziate la riga, troverete la traduzione nascosta! ;)

Orbene, ordunque, che altro dire, se non che ci sono degli eccessi di zuccherosità romantica in arrivo ben preannunciati dall’atteggiamento dei due piccioncini innamorati cotti, e che giuro solennemente di non avere buone inten– no, fandom sbagliato. Giuro solennemente che il prossimo capitolo sarà molto più gustoso, una bella panoramica sanvalentiniana generale, giusto per vedere cosa combina questo branco di folli allo sbaraglio. Abbiate fede, riuscirò a postare in tempi medio-ragionevoli. Il titolo del capitolo (che significa: Profondo, Silenzioso, Completo) è tratto dall'omonima, divina canzone dei sublimi Nightwish (gli unici ed originali, diffidate dalle patetiche imitazioni post-2005 -.- [Pao, tu comprendi il mio sdegno e dolore])

Ora passiamo ai ringraziamenti personali:

_Ellie_: santissimi Thor, Odino, Freya e tutti i sacri Vani! Ma quella è una recensione o una raccolta di poemi epici? XD L’ho adorata, sappilo. Tanto tanto tanto, e anche un po’ di più. *___* Ti adoro, ma tanto lo sai.

ElianaTitti: eeeh, nessuno può resistere alla pratica dello Scambio. Tra un po’ verrà ufficializzata al posto dello scambio degli anelli nuziali: scambio delle magliette nuziali. Non altrettanto chic e romantico, ma se ci consentirà di vedere qualche tokiohotellico petto nudo (nell’interesse di tutte/i, possibilmente quello di un G, perché i K non sono granché dotati, per quanto inverosimilmente fighi anch’essi). Sto divagando.

winTh: una nuova lettrice-recensitrice! Wilkommen im Tokio Bordel! Ehm, cioè, volevo dire, Hotel. Attenta a non andare in overdose di ff, a me è capitato, ed è bellissimo, per carità, ma poi ti ritrovi a sognare te stessa che fai da babysitter ad Emily assieme al Baggy Kaulitz su un elefante bardato (vero, Lady Vibeke? XD). Spero di ritrovarti ancora tra i miei commentatori. ;)

GaaRa92: non è la cosa più bella del mondo la sexy bitchyness? Su di me ha effetti devastanti. Per quanto riguarda il caro BJ… I due rintanati in camera da letto avrebbero dovuto palesare la loro attività con un bel cartello stile KIP (Kiss In Progress), ma penso si adegueranno la prossima volta (Ci sarà una prossima volta?!, vi chiederete voi. Eh, chi lo sa! XD)

Lady Vibeke: recensione schematica, chiara e concisa, molto MSosa. Ho appena adempiuto al punto cinque, in caso tu non te ne sia accorta, quindi appena riemergi dalla tua biblica prigione, porta il tuo fondoschiena secchione quaggiù, che le MS sentono la tua mancanza!

carol22: ok, se lavori ad un maneggio, io vengo a darti una mano gratis! *__* Io AMO i cavalli. Voglio due pony, uno nero e uno color champagne, da chiamare Bill e Gustav e coccolare dalla mattina alla sera. Mi puoi aiutare? Ah, e possiamo andare a lezione di Kaulitzese insieme, se vuoi, so che ci sono pochi posti rimasti!). Per inciso, comunque, in merito a quell’ultimo, santissimo episodio 31 della TH TV: ringraziate non so bene chi per avermi fatta miracolosamente sopravvivere alla celestial visione delle erotiche nudità date in pasto ai miei occhi. Tra l’infarto, l’aneurisma e la disidratazione da sbavamento incontrollato, ho rischiato di non farcela. u__u

Purple Bullet: va bene, dillo: tu sei Vi in incognito, ma te lo tieni per te perché temi ripercussioni da parte di noi tutte. Ti ho scoperta, eh? Comunque, non ci sono sviluppi tangibili, aimé, in questo capitolo, ma se ti armi di lente di ingrandimento alla Sherlock Holmes (o anche di buona vista) qualche cosina la trovi. ^^ Ah, per la cronaca: la tua punizione per essere Vi in incognito sarà regalarmi il tuo portatile. Questione chiusa.

MARINA KAULITZ: altra nuova lettrice, e ti chiami Mary come me! Doppiamente benvenuta! È vero, quei due hanno un potere eccitante non indifferente già da separati, figurarsi quando si incontrano. Peccato solo siano due testoni incurabili, ma li amiamo per questo, no?

kit2007: come ho già detto a qualcuno, quel bacio non era affatto previsto. È stato una bravata di quei due, io non c’entro niente, hanno fatto tutto loro. Io li ho solo messi lì seduti a guardare le foto, e loro hanno pensato bene si sfuggire al mio sacro volere di autrice e… Zac, Tom l’ha baciata e lei ha risposto. Ne parlerò con il mio avvocato, qui marchiamo male. -.- Mi auguro che l’aggiornamento non ti abbia delusa.

NeraLuna: ammetto che per un attimo qualche frammento del mio già in pezzi cuoricino è stato sul punto di sbriciolarsi definitivamente. Poi ho letto il resto e ho riso per qualche milione di anni. Devo assolutamente considerare l’idea dell’impacchettare bravura, ma temo che così il mio arricchimento si fermerebbe a due euro, che non sono esattamente niente, ma forse è meglio che quel poco che ho me lo tenga, non si sa mai. XD

Ihateyou: (nickname intimidante, ma non sono una che si spaventa per poco, abituata come sono a guardarmi allo specchio la mattina) Premettendo che ai miei occhi i Tokio Hotel sono assolutamente perfetti proprio perché sono ben lungi dall’esserlo realmente, sto facendo del mio meglio per renderli tutti con il massimo della concretezza e credibilità, e direi che ce la sto più o meno facendo (sì, sì, con calma vedremo anche l’umano che è in Georg, fin dove possibile -.-“). Mi riesce difficile con Gustav, veramente, perché, come dice Vi, non si è fatto tatuare quelle alucce favolose per niente: è un angelo, si fa fatica a demistificare una creatura celeste. <3

loryherm: carissima, tu non manchi mai! Ma soprattutto, sei diventata una asso nella decriptazione delle mie opere, il che mi compiace alquanto. Vediamo cosa mi snoccioli da questo capitolo. ;)

CowgirlSara: sai già perché non ti avevo detto nulla del bacio (quei due e io abbiamo fatto una bella chiacchieratina circa il rispetto per i progetti degli autori, ma non credo abbiano afferrato), per di più abbiamo già ampiamente discusso di tutto, perciò alla prossima, MS!

gioconda: un’altra nuova arrivata, che piacere! Sono lusingatissima che tu segua le mie storie senza amare spasmodicamente i Tokio Hotel, significa molto per me (non che tu non li ami, ma che tu trovi comunque abbastanza interessante ciò che scrivo da leggerlo e commentarlo ^^), quindi ti ringrazio davvero immensamente, mi ha fatto molto piacere leggere la tua recensione, e spero che ne saranno altre!

Hermyone: eheheh, la cosa dei pantaloni stretti è dovuta ad una determinata e precisa reazione fisica al bacio, ma non entro nei dettagli, che è meglio. XD se ora non è molto chiaro, capirai un giorno, vedrai. ;) È stato un modo più o meno indiretto per spiegare come ha reagito Tom (o meglio, il suo corpo) nel baciare Vi. ^^

Muny_4Ever: ti sei sprecata, vedo. XD Ma capisco che lo shock faccia di questi scherzi, quindi sei perdonata.

btb: e dopo il bacio, la negazione. E dopo la negazione? Il prossimo capitolo, ovviamente!

Prinzesschen: hai capito bene, Vi pensa che Tom non si ricordi un bel niente (povera piccola illusa). Il fatto che lui non le esponga questa consapevolezza è dovuto ad un semplicissimo motivo: se tu hai un asso nella manica, lo giochi senza motivo, rischiando di sprecarlo? No. E ancora, più specificamente: se tu sei Tom Kauliz e hai un asso nella manica, lo giochi senza motivo, rischiando di sprecarlo, quando invece potresti aspettare il momento a te più vantaggioso? La risposta è la chiave. XD

ruka88: temo che Lara resterà ancora a lungo, visti i bisogni fisici che Tom, povero caro, ha necessità assoluta di soddisfare in modo 100% disinteressato. Ma esiste (credo) una giustizia a questo mondo, e chissà mai che prima o poi il Karma non si abbatterà su questa manica di cretini confusi.

picchia: se mi reagisci così per un misero bacetto, sarà meglio che non ci metta niente di più pesante, in questa storia, o non solo le tue recensioni appassiranno miseramente, ma mi appassirai anche tu. XD

_ToMSiMo_: Kaulitz-litigio: fatto; Altro Tra Tom E Vi: aspetta a spera. ^^ Non resta che vedere cosa succederà dopo la criptica fine di questo capitolo!

Ladynotorius: a te non dico niente, sei cattiva, mi minacci, mi tratti male e mi assilli! ç__ç E per di più ti sei pure beccata il capitolo in anticipo! Ambasciatrice MS, sei viziata, te lo dico io!XD

RubyChubb: mugliera, non hai recensito e per questo sei stata giustamente punita (ah, la notte con G&G e D&D è stata sublime, mai goduto di più XD), ma ti liebo lo stesso, quindi ritieniti (s)fortunata!

A tutti gli altri, ossia chi legge e le 86 persone che finora hanno aggiunto la storia tra i preferiti: grazie! Ci si risente al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** You And I, And Some Public Intimacy ***


Georg aveva prenotato il ristorante con tre mesi di anticipo per essere sicuro di avere il tavolo migliore, ma, incedibile a dirsi, il migliore era già stato prenotato, perciò si era dovuto accontentare del secondo posto, particolare che lo aveva seccato non poco, ma al quale si era arreso per ovvi motivi logistici. Era pur sempre il ristorante migliore di Amburgo, anche se il tavolo non era il migliore.

Era teso, perché sapeva che qualunque cosa avesse potuto fare o dire, quella sera, sarebbe risultato banale e scontato, forzato, vuoto. Proprio quello che non avrebbe mai voluto. Avrebbe dovuto chiederle scusa, a serata terminata, per la mediocrità di tutto quanto. Lo avrebbe fatto, se non altro, per farsi perdonare l’azzardo del voler fare le cose in grande. Uno come lui, ormai abituato al lusso ed agli eccessi, trovava ancora complicato, dopo un anno che stava con lei, riuscire ad adeguarsi al suo gusto per la semplicità. Non che gli dispiacesse l’intimità – tutt’altro – però avrebbe voluto regalarle un San Valentino da non dimenticare, qualcosa che magari aveva sognato per tutta la vita, ma, conoscendo Nicole, probabilmente avrebbe preferito qualcosa di più tranquillo e riservato, essendo lei stessa un tipo tranquillo e riservato.

È tutto sbagliato, pensò sconfortato, sarà tutto sbagliato…

Ci avevano discusso spesso su quel punto, a volte perfino litigato: come potevano due persone appartenenti a mondi così diversi – personaggio pubblico lui, ragazza della porta accanto lei – riuscire a tenere in piedi una relazione già di per sé rasentante l’impossibile?

Non avevano ancora trovato una risposta empirica, eppure la loro storia, tra comprensibili alti e bassi, perdurava.

Nicole sedeva accanto a lui sul retro dell’auto nera e discreta dai finestrini oscurati, guardando dritta avanti a sé mentre lui le teneva la mano, più per tranquillizzarla che per altro.

“Siamo quasi arrivati.” Le disse, nella speranza che la notizia le fosse di qualche conforto, ma in realtà non fece altro che innervosirla di più. “Nicole,” Le sventolò una mano davanti al viso, e lei si voltò verso di lui. Le sorrise con condiscendenza. “Ma ti vuoi calmare?”

“Scusa.” fece lei, ricambiando distrattamente il sorriso.

“Qual è il problema?” Volle sapere Georg. “Non ti sto mica portando al patibolo.”

Nicole giocherellò per un po’ con l’orlo delle maniche della giacca prima di rispondere.

“Non ho mai festeggiato San Valentino, prima d’ora,” mormorò. “E adesso sono seduta in una macchina che costa più del mio stipendio annuale, e non con uno qualsiasi, ma con Georg Listing, e non stiamo andando in pizzeria, ma al ristorante più –”

Georg rise, interrompendola.

“Io sarei esattamente uno qualsiasi, se tu non fossi così disperatamente innamorata di me e drogata del mio smisurato fascino.”

Anche lei rise, distendendosi un po’.

“E non dimentichiamoci stregata dalla tua ammirevole umiltà.”

“Oh, sì, giusto!” concordò lui con veemenza. “Ma, scherzi a parte, Nicole, devi dimenticarti dei Tokio Hotel, ogni tanto, o non ce la faremo mai ad essere una coppia normale. Insomma, prima o poi ti chiederò di sposarmi, e tu non potrai certo metterti a fare storie di questo tipo adducendo scuse come ‘Non sono mai stata sposata prima e non posso credere che la prima volta sia con Georg Listing!’, capito?”

Nicole aveva distolto lo sguardo dopo il ‘ti chiederò di sposarmi’, ma quando si voltò di nuovo, sorrideva, seppur con un’ombra ormai familiare a Georg, quella che calava su di lei quasi ogni volta che si mettevano a parlare del futuro.

A Georg faceva male che lei non riuscisse a credere fino in fondo in loro due. Certe volte gli sembrava che lei vivesse nel timore che un giorno lui si sarebbe svegliato ed avrebbe deciso di lasciarla di punto in bianco, cosa che in realtà nemmeno nei più remoti, assurdi ed atroci pensieri di Georg era mai anche solo comparsa.

“Tentativo di distrazione riuscito,” gli disse Nicole, stiracchiando un sorriso appena più rilassato. “Soddisfatto?”

Lui decise che fosse un buon momento per baciarla. Fece per avvicinare le proprie labbra alle sue, curioso di assaggiare quel lucidalabbra che profumava di lampone, ma l’auto frenò all’improvviso, facendogli prendere un colpo.

“Che succede?” si lamentò con l’autista.

Il finestrino che divideva l’abitacolo di guida dal retro si abbassò e l’uomo al volante rivolse a lui e a Nicole un’occhiata allarmata.

“Guardi lei stesso, signore.”

E Georg guardò: si trovavano a meno di cento metri dal ristorante, ma la strada era ingorgata, gremita di persone esattamente come quando i Tokio Hotel erano attesi da qualche parte, con la sola differenza che nessuno poteva sapere che lui fosse diretto lì.

“Merda, e quest’affollamento cos’è?”

“Sembra che stiano aspettando qualche celebrità.” Osservò Nicole, valutando la grande quantità di ragazze presenti.

“Be’, noi no di certo,” borbottò Georg alterato. “Ho prenotato per telefono e ho dato il tuo cognome,” Si voltò a guardarla incerto. “Che facciamo?”

Con suo stupore, Nicole non ebbe una grande esitazione.

“Andiamo.” Affermò decisa.

“Sicura? È strapieno di paparazzi e curiosi…”

Lei annuì.

“Non possiamo nasconderci in eterno.”

“Per me non c’è problema, lo sai,” le disse. “Anzi, non vedo l’ora che il mondo sappia che esisti. Però una volta che ti sei esposta, non puoi tornare indietro.”

Si preoccupava per lei e per Emily. Rivelare ai media la loro storia era un passo importante e decisivo, che finora erano riusciti ad evitare, ed avrebbero potuto farlo ancora, volendo, ma una minuscola parte di Georg, quella più egoista ed esibizionista, voleva che tutti vedessero Nicole, che la ammirassero esattamente come lui la aveva privatamente ammirata finora, e che scrivessero di lei che era la fortunata ragazza di Georg Listing, bassista dei Tokio Hotel, e che tutti parlassero di loro, e non per presunzione o sete di popolarità – no, di quella ne aveva già fin troppa – ma per semplice desiderio di far sapere a tutti che lei c’era, e per lui contava più di qualsiasi altra cosa. Certo, c’era un prezzo da pagare: sarebbe stata assillata da tv e stampa, se avessero scoperto dove abitava, ma ne avevano parlato tante volte, e Nicole sapeva a cosa andava incontro, e se lei diceva che era pronta, lui era con lei.

“Deve comunque succedere, prima o poi, no?” gli disse infatti, decisa.

“Sì.” Concordò lui.

“Non ha senso rimandare,” continuò lei. “Anche se…”

“Anche se…?”

Nicole gettò una rapida occhiata alla folla che li attendeva poco più avanti.

“Mi dispiace per loro.” Sospirò.

Georg increspò la fronte accigliato.

“Loro chi?”

“Le tue fans,” rispose lei senza guardarlo. “Tutte quelle ragazze che ti adorano e ci resteranno malissimo...”

Georg non cercò di trattenere una risata, scuotendo la testa incredulo.

“Tu pensare a te stessa mai, eh?”

Nicole gli diede una spallata scherzosa.

“Non ci pensi già abbastanza tu a ‘me stessa’?”

“Be’, in ogni caso io non posso rinunciare a farmi una vita solo perché qualcuno ci resterebbe male,” dichiarò lui, che al momento non vedeva l’ora di sedersi a quel maledetto secondo miglior tavolo del ristorante e godersi la serata. “Perciò, madame,” proseguì, con tutta la galanteria di cui disponeva. “Se voi non avete ulteriori obiezioni, io entrerei là dentro.”

L’autista attendeva impassibile, come se non potesse nemmeno sentirli. Doveva essere abituato a scene simili.

Nicole però sembrava leggermente combattuta sul da farsi.

“Si chiederanno tutti cosa ci fai tu con una come me…” sussurrò, fissandosi le ginocchia.

Georg allungò un braccio oltre le sue spalle e gliele cinse con un lamento burbero.

“È molto scortese da parte tua farmi notare quanto io sia indegno di te, proprio il giorno di San Valentino.”

“Sai cosa volevo dire,” replicò lei, seria. “La rockstar e la nullità, diamanti e sabbia...” Un sospiro. “Ci si aspetta che tu stia con una modella, o perlomeno una che potrebbe passare per tale, e non una –”

“Nicole, basta,” Le chiuse la bocca con due dita. “Niente cavolate, stasera, ok?” Le sistemò i capelli dietro all’orecchio, scrutandola severo. Non le avrebbe permesso di crogiolarsi nelle sue insicurezze, non durante la loro serata speciale. “Io non volevo e non voglio nessuna squallida modella, non me ne frega niente delle modelle. Io volevo e voglio te e, se permetti, voglio anche che tutta quella gente là fuori lo sappia,” Le fece sollevare il viso per poterla guardare direttamente negli occhi con un sorriso. “Ora.”

Nonostante lei fosse ancora esitante, si lasciò stringere la mano e sorrise con un accenno di coraggio.

“D’accordo.”

L’autista ripartì e si fece lentamente largo tra la folla, a stento gestita da interi squadroni di guardie giurate. Nel vedere che un’auto si accostava davanti all’ingresso del ristorante, la folla cominciò a strepitare e urlare assordantemente, accalcandosi in preda all’isteria contro le transenne che erano state sistemate ovunque.

Quando furono fermi, Georg attese che l’usciere del ristorante gli aprisse la portiera, poi prese un lungo respiro, e così fece Nicole, ed infine uscirono, mano nella mano, accolti da un’ondata stupefacente di flash e grida al massimo dei decibel. Rimasero immobili per un istante, metabolizzando la mole di attenzione che era appena piovuta loro addosso. Georg c’era abituato, ma temeva che Nicole potesse restarne terrorizzata.

“Oddio, è Georg dei Tokio Hotel!” gridarono diverse voci acute da diversi punti. Questo scatenò una reazione di euforia a catena, che si propagò a macchia d’olio tra la calca, mentre commenti di ogni tipo si sollevavano a gran voce.

“Geooorg!”

“Cazzo, che figo!”

“Georg, sei stupendo!”

“E questa stronza chi è?”

“Geooorg!”

Georg sorrise educatamente a qualche obiettivo, poi, senza lasciare la mano di Nicole, cominciò ad avanzare verso la porta a vetri, tenuta gentilmente aperta da un altro usciere. Cercava di non dar retta agli insulti rivolti a Nicole. Si era aspettato reazioni simili: la folla di ragazze era talmente numerosa e giovane che era matematico che fossero presenti delle fans dei Tokio Hotel, anche se ne aveva stimate meno di quante invece sembravano essercene, ma era impossibile che fossero lì per lui: la riservatezza era una delle qualità migliori del Bourdogne.

“Ma tu guarda ‘sta troia!”

“Georg! Geooorg! Ti amooo!”

“Geooorg!”

“Puttana!”

“Le ammazzerei tutte, quando fanno così, ti giuro.” Sibilò Georg a denti serrati, nascosto dietro all’ennesimo sorriso studiato per gli obiettivi.

“Dai, non dire così,” lo blandì Nicole, molto rossa in viso, mentre varcavano finalmente la soglia, rincorsi dalla disapprovazione della folla. “Sono cose che avrò pensato anch’io milioni di volte quando vi vedevo con una povera fan innocente avvinghiata addosso.”

Le porte furono richiuse alle loro spalle, lasciando fuori il rumore.

“Sì,” concordò lui con un piccolo sogghigno, mentre aspettavano di essere ricevuti. C’era moltissima gente solo nella hall, sembrava quasi che ci fosse un evento molto più mondano della festa degli innamorati in corso. “Ma non ho portato nessuna di loro ad una romantica cena di San Valentino nel ristorante migliore della città.”

“Però –”

“E non dormono nel mio letto.”

“Georg!” esclamò Nicole, imbarazzata, dandogli un colpetto sul braccio.

“Be’, è vero!” si difese lui, con aria innocente.

“Sì, però –”

Al di là delle pareti di vetro che davano sulla strada, molte ragazze sbirciavano all’interno, cercando di vedere qualcosa, qualcuna che additava Nicole con smorfie di disappunto.

“Dai, sorridi,” la esortò Georg. “Falle morire di gelosia!”

“Piantala, scemo!” lo ammonì lei, non del tutto capace di trattenere un soffio di risata.

“Ok, sorridi e basta,” le concesse allora lui. “Altrimenti sembrerà che non sei felice di essere con me, e ho una reputazione da difendere.”

Non erano passati nemmeno due minuti da che lui e Nicole erano entrati, quando da fuori provenne un nuovo boato di urla, segno che doveva essere arrivata la celebrità tanto attesa.

Ci volle un minuto buono prima che le porte fossero nuovamente aperte e fu allora che una coppia alquanto improbabile fece il suo trionfale ingresso, una coppia capitanata da qualcuno di decisamente conosciuto, un affascinante qualcuno con lunghi capelli biondi raccolti in una coda, che sorrise a lui e Nicole non appena li scorse.

“BJ!” esclamò Georg, piacevolmente sorpreso, mentre lui e la sua accompagnatrice si avvicinavano. “Che ingresso trionfale!”

“Oh, ciao!” li salutò lui, brioso come suo solito, vestito all’incirca come Georg, ma con colori invertiti: giacca e pantaloni bianchi e camicia nera. “Che sorpresa trovarvi qui!”

“Di’ un po’,” si informò Georg. “Aspettavano te quegli squali appartati qui fuori?”

“Sì,” confermò BJ. “MTV ha organizzato questo concorso per San Valentino – Valentine’s Dinner With Your Idol, qualcosa così – e io ero uno dei premi in palio.”

“Ora si spiega la mobilitazione mediatica di massa.”

“Già,” annuì BJ. La ragazzetta al suo fianco, che dimostrava si e no diciott’anni, si schiarì rumorosamente la gola. “Oh,” fece lui, posandole distrattamente una mano sulla schiena. “Vi presento Belinda, la fortunata vincitrice.”

La ‘fortunata vincitrice’ in questione era esattamente il tipo di ragazza che, in condizioni normali, Georg era certo che non si sarebbe mai trovata al fianco di uno come BJ: bassa, tarchiata, con un’infelice problema di acne e sopracciglia un po’ troppo folte e troppo scure per i capelli tinti di biondo, ma ciononostante appariva disinvolta e perfettamente sicura di sé. Non era bella, e nemmeno carina, ma non sembrava importarle, così come sembrava non importare a BJ.

Georg la ammirò profondamente.

“Piacere.” Le disse, stringendole la mano con un sorriso educato.

“Ciao.” Fece Nicole, ripetendo lo stesso gesto.

Belinda fissava Georg con tanto d’occhi, spostando lo sguardo da lui a BJ come se non riuscisse a credere di averli lì entrambi.

“Senti, me lo faresti un autografo?” gli chiese, tirando fuori un blocchetto e una pennina dalla minuscola pochette.

“Oh… Sì, naturalmente.”

“Grazie!”

Georg firmò senza preoccuparsi di essere leggibile. Erano ormai anni che non si curava più della decenza del proprio autografo, più preoccupato dell’urgenza di farne il più possibile in tempi di record minimi. Restituì il taccuino a Belinda e fu ringraziato da un sorriso a trentadue denti.

“Ora, se volete scusarci,” BJ posò una mano sulla spalla della ragazza, che lo occhieggiò venerante. “Noi andiamo a farci sistemare al nostro tavolo.”

Ecco spiegata l'indisponibilità del tavolo migliore.

“Buona serata.”

“Anche a voi.” Ricambiò lui, facendo loro l’occhiolino.

Una cameriere scortò lui e Belinda verso una delle sale al piano superiore, ed un altro fece lo stesso con Georg e Nicole. mentre salivano le scale, lui notò che lei sembrava pensosa.

“Che c’è?”

“Oh, niente,” disse lei vaga. “Mi chiedevo solo come se la stanno cavando i ragazzi con Emily.”

“Sono sicuro che la stanno per mettere a dormire.” La rassicurò Georg, in cuor suo sapendo di stare mentendo spudoratamente, e, a vedere lo sguardo dubbioso che gli rivolse Nicole, lo sapeva anche lei.

 

***

 

“L’Era Glaciale è il mio film preferito! È bellissimo, voglio vederlo ancora!”

“Domani, magari.” Le disse Bill, lasciandosi cadere sul divano sfinito. Aveva dimenticato quanto fosse impegnativo portare Emily da qualche parte. La scelta del cinema era stata ottima, avevano potuto trascorrere un paio d’ore a svagarsi senza doversi preoccupare di essere riconosciuti, immersi nella sicurezza del buio della sala, ma la vivacità di quella bambina metteva a dura prova anche la quasi inesauribile verve di Bill.

“Emily, è ora di andare a letto, hai sentito la mamma…” la ammonì Gustav, le mani ai fianchi, ma lei mise immediatamente un broncio dei suoi più riusciti.

“Ancora un po’, per favore!”

Indossava una delle felpe più vecchie di Georg, che la copriva fino alle caviglie e le cui maniche le pendevano abbondantemente oltre le mani. Se non altro il bordeaux le stava d’incanto.

“Va bene, ma solo dieci minuti.” La accontentò Gustav. Nessuno di loro quattro aveva ancora imparato a dire di no agli occhioni supplichevoli di Emily.

Erano rientrati da poco più di dieci minuti, e all’inizio Bill si era preoccupato di non trovare Tom nella sua stanza, ma poi si era ricordato della Ragazza del Venerdì a cui aveva accennato Georg, e si era subito rallegrato del fatto che suo fratello avesse avuto la decenza ed il buonsenso di non portarla a casa loro. Magari un po’ di sesso lo avrebbe messo abbastanza di buonumore da fargli chiedere scusa. Utopico, sì, ma mai dire mai. E mentre Gustav si adoperava a convincere Emily, saltellante sul divano invocando un cartone animato da vedere, ad andare a dormire, Bill si augurò che, ovunque fosse, Tom stesse usando la testa.

 

***

 

Vibeke schizzò alla velocità della luce su per le scale, trascinandosi dietro la lunga giacca, l’alto tacco di acciaio degli anfibi che creava un frastuono echeggiante nell’intero palazzo, le chiavi già pronte in mano, elencandosi mentalmente la lunga lista di avventatezze che poteva aver commesso Tom per ridursi nello stato agonizzante in cui l’aveva chiamata. Probabilmente era ubriaco, o vittima di un’indigestione, o magari entrambe le cose. Con lui c’era sempre da aspettarsi di tutto.

La cosa strana era che fosse stato costretto a chiamarle lei: Bill e Gustav avrebbero dovuto essere in casa, assieme ad Emily, avrebbero dovuto esserci loro a soccorrerlo, qualunque cosa avesse combinato. Era probabile che se la fossero tutti data a gambe per evitare tempeste karmiche negative.

Infilò la chiave nella serratura e la girò rapidamente, precipitandosi all’interno dell’appartamento, trovandolo silenzioso e illuminato a giorno. Le bastò messo secondo per individuare Tom stravaccato sul divano i rasta tenuti mollemente indietro da un elastico, lo sguardo perso nel vuoto, almeno fino a che non si accorse del suo ingresso e si voltò verso di lei.

“Kaulitz!” esclamò esagitata, correndogli incontro. “Cos’è successo? Stai bene?”

Tom batteva le ciglia perplesso, con l’aria più innocente della terra.

“Benissimo.”

Benissimo?!

Vibeke si chiese se per caso non si fosse persa qualcosa.

“Come sarebbe benissimo?” esclamò incredula. “Sembravi moribondo al telefono!”

Lui agitò una mano senza darci peso.

“Non esagerare, sono solo un po’ annoiato.”

Annoiato. Lui era ‘solo un po’ annoiato’. Dopo che lei aveva corso all'impazzata dal Crossover, dall'altra parte della città, fino a lì, rinunciando al proprio divertimento credendolo nei guai, lui era ‘solo un po’ annoiato’.

Doveva riuscire a non strozzarlo, almeno non prima di averlo evirato e passato al frullatore.

Come, scusa?” sibilò, per puro amore retorico, dato che la risposta era già fin troppo chiara.

“Sì,” fece Tom, stiracchiandosi mentre si alzava in piedi. “Georg è fuori con Nicole, Gustav ha portato Bill ed Emily al cinema, e io sono rimasto tutto solo.”

Calma Vibeke, calma, si ripeté lei, sforzandosi di non cedere all’impulso di squartarlo sul posto. Se lo uccidi ora, ti toccherà ripulire la cruenza del misfatto.

“Perché questo non mi stupisce?” commentò alla fine, puntellandosi le mani sui fianchi, ma Tom non le prestò nemmeno un briciolo di attenzione.

“Allora, dove andiamo?”

Non poteva dire sul serio. Non stava dicendo sul serio, non dopo averle rovinato la serata per niente.
“Vuoi sapere dove andiamo?” sbottò infiammandosi furiosamente. “Io me ne vado a casa, visto che mi hai gentilmente mandato a puttane la serata, e tu all’inferno per avermi fatta scappare via dall’appuntamento con Moniek per niente! Cristo, credevo fossi in fin di vita!”

Lui non sembrava impressionato. Si limitava a guardarla annoiato e vagamente implorante.

“Dai Vi, è sabato sera, non possiamo starcene tappati in casa come due sfigati!” obiettò.

“Non me ne sarei affatto rimasta tappata in casa!” lo informò lei, morendo dalla voglia di farlo a pezzetti. “Dovevo uscire con Moniek, cazzo!”

“Sì, be’, ormai sei qui, quindi tanto vale uscire, no?”

La faceva facile lui, come se fosse l’unico ad avere il diritto di divertirsi, come se lei fosse la sua schiava personale e dovesse preoccuparsi prima di lui che di se stessa. quanto odiava quell’arroganza.

“Non ho intenzione di farti da autista e reggimoccolo per tutta la serata!” puntualizzò categorica.

“Non sono in vena di ragazze, altrimenti ne avrei già chiamata una.” Ribatté Tom con fare annoiato, causando a Vibeke il salto di qualche nervo.

“Ah, e io cosa sarei, allora?” sbottò, sentendo la solita incazzatura da Kaulitz montarle dentro.

Tom batté le ciglia con tutto il candore dell’universo.

“Tu non sei una ragazza,” disse. “Tu sei… Tu.”

“La tua galanteria si fa ogni giorno più raffinata.”

“Dai Vi, usciamo!”

Basta, per carità, basta!

“Dacci un taglio con questo ‘Dai Vi’, mi hai rotto!” ringhiò, sul punto di esplodere. “Io ho una vita, per quanto la cosa possa sembrarti sconcertante, e gradirei che tu la piantassi di sabotare ogni mio fottuto tentativo di viverla!”

Aveva urlato così forte da far vibrare il vetro della lampada posata sul mobile accanto a lei, la sua voce si era alzata progressivamente, tra un ansito e l’altro, fino a raggiungere un volume che aveva assordato perfino lei. Tom la fissava ammutolito, paralizzato, le braccia penzoloni lungo i fianchi. Rimase così per diversi secondi, attonito, poi i suoi lineamenti si contrassero bruscamente.

“Va bene, vattene a casa, chi se ne importa!” le gridò di rimando, più aggressivo del solito. “Anzi, guarda, me ne vado io!”

“Ma è casa tua!”

“Non me ne frega niente, voglio uscire ed uscirò, con o senza di te!”

Talvolta avere a che fare con lui era impossibile. Un conto era sopportarlo quando c’erano gli altri a fare da cuscinetto tra lui e lei, un conto era accettare di restare sola con lui e correre il rischio di finire a scontarsi con lui pubblicamente.

Non proprio il massimo della vita, considerato che non si stava parlando di un anonimo ubriacone a caso, ma del chitarrista della band più popolare dello stato, e forse anche dell’intero continente.

“Sei il solito capriccioso!” lo ammonì. “Cosa ti costa chiedere ‘per favore’ una volta tanto, anziché pestare i piedi e pretendere? Sfotti tanto tuo fratello, ma non sei da meno.”

E mentre pronunciava quelle stesse parole, Vibeke capì.

Il malumore di Tom non era da confondere con la sua solita voglia di fare la star da tragedia. Non si stava comportando da stronzo, come in genere succedeva, ma da fratello amareggiato. Vibeke riconosceva i sintomi: isolamento, spirito a terra, veleno in bocca… Sapeva che quando si litigava con il proprio gemello era come litigare con il mondo intero, che tutto andava storto e niente migliorava le cose, se non un diversivo decente, che sicuramente non curava, ma leniva un po’ la pesantezza della situazione.

“E va bene, hai vinto, sei contenta?” disse Tom, con uno sforzo più che evidente. “Ora usciamo, per favore?”

Lei gli concesse l’ombra di un sorriso.

Sei proprio disperato, vero?

“E dove andiamo?” gli domandò.

“Dove vuoi tu, ho voglia di ubriacarmi.” Fece lui remissivo.

Vibeke non era granché entusiasta di fronte alla prospettiva di avere nuovamente a che fare con un Tom Kaulitz fradicio d’alcol, ma non poteva dire di non capire il suo bisogno: anche lei quando litigava con BJ tendeva a cercare le distrazioni più drastiche, perciò decise di essere solidale.

“D’accordo. Conosco il posto che fa per noi.”

“Grande.”

“Ma offri tu.”

“Nessun problema.” Tom afferrò una giacca a caso dal guardaroba dell’ingresso, se la infilò e recuperò le chiavi della Cadillac, che lei però gli fece mettere giù.

“Queste non ci serviranno.”

 

***

 

A Vibeke non ci volle molto per capire quanto poco bastasse a Tom per diventare brillo, e non la sorprendeva più così tanto che lui non ricordasse nulla di quella famosa notte dopo il party.

Lo aveva portato in un piccolo pub ad un paio di isolati dall’appartamento, in una stradina secondaria che aveva scoperto cercando scorciatoie poco trafficate per arrivare da loro. Era un locale davvero ristretto di dimensioni, e poco frequentato, l’ideale per garantire la privacy necessaria. Era piuttosto buio come posto, le luci erano rare e deboli, soffuse, poco riflesse dai pannelli di legno scuro che rivestivano le pareti. Aveva qualche remota somiglianza con un pub irlandese in quanto ad architettura, ma gli sgabelli attorno al bancone erano in acciaio e stonavano moltissimo con il resto dell’arredamento, tutto in legno, ma a lei piacevano le stonature, i dettagli stridenti, gli accostamenti azzardati ed improbabili, come dimostrava la sua stanza, che nulla aveva a che spartire con il suo stile di abbigliamento.

Erano lì da mezz’ora, e al secondo Jack Daniel’s il piccolo Tomi era già in piena fase di allentamento delle inibizioni emotive e andava biascicando frasi non del tutto connesse riguardo la stupidità di Bill e la sua mancanza di spirito di confronto con il prossimo.

“Non per dati l’infondata impressione che io ami contraddirti,” Gli stava dicendo Vibeke, non del tutto entusiasta della propria birra piccola. “Ma anche tu non scherzi in quanto a cocciutaggine, e se proprio lo vuoi sapere, sei stato meschino ad accusarlo di essere un fancazzista senza palle davanti all’intera Germania.”

Tom, i gomiti rozzamente appoggiati al bancone, la schiena ricurva, sbuffò.

“È quello che è.”

“Invece no,” dichiarò lei, sentendosi in dovere di dire qualcosa a difesa del piccolo Kaulitz tutto vezzi e moine che teneva scrupolosamente nascosto il suo embrione di maturità. “È una diva vanitosa che trasuda perfezionismo da tutti i pori, ma questo fa di lui un tipo determinato e volenteroso, più che un fancazzista,” Tom cacciò un grugnito gutturale. “E poi sa essere molto dolce e sensibile, quando vuole.” Aggiunse lei, tanto per coronare la sviolinata. Non era esattamente convinta di tutto quello che aveva detto, ma poco importava, Tom non lo sapeva.

La guardò di sbieco, quasi contrariato.

“Tu detesti Bill, perché lo difendi?”

“Io non detesto Bill,” affermò lei. “Sono solo alcuni suoi atteggiamenti che non mi piacciono, ma so riconoscere che ha i suoi pregi.”

“Non fare la noiosa proprio stasera, io mi volevo divertire.”

“Scusa, sai, ma Disneyland era chiuso e Tokio Hotel Landia è ancora in progettazione.”

“Ecco, così va meglio,” disse Tom, poi fece un cenno al barista. “Un altro.”

E tre, contò Vibeke. Potevano anche essere piccole dosi, ma tre piccole dosi ne facevano una discreta.

“Non pensi di aver bevuto abbastanza?” gli chiese in tono insinuante, ma lui scosse la testa.

“Non ancora.”

Tracannò l’alcol in un sorso, sbattendo il bicchiere sul tavolo mentre strizzava gli occhi nel deglutire. Vibeke lo avrebbe trovato buffo e patetico, se solo non avesse avuto una tale consapevolezza del suo stato d’animo. Avrebbe dovuto convincerlo a chiedere scusa a Bill, o si sarebbe tenuto a mollo in quella gravosa cupezza che poco gli si addiceva.

Il telefono le squillò nella tasca della giacca. Lo tirò fuori e controllò il nome sul display.

“È BJ,” comunicò a Tom, alzandosi in piedi. “Esco un attimo a sentire cosa vuole.”

L’unica risposta di Tom fu un grugnito sommesso che lei scelse di cogliere come un ‘Ok’.

 

***

 

Tom doveva ancora capire cosa ci facesse lì, in quel buco anonimo e cupo, frequentato soltanto da un gruppo di omaccioni che altro non potevano essere che camionisti o muratori, e soprattutto perché fosse lì con Vibeke.

Di tutte le persone che conosceva al mondo, lei – saccente, presuntuosa, pignola, lagnosa, coriacea – era l’ultima che si sarebbe aspettato di volere accanto nel momento del bisogno, eppure era la prima a cui aveva pensato, quando si era reso conto di necessitare di qualcuno che lo distraesse e tirasse su di morale, ed era stato il suo nome che le sue dita avevano selezionato, scorrendo la rubrica del cellulare. L’aveva chiamata, forse eccedendo leggermente di pathos drammatico, e l’aveva trovata in un posto caotico, pieno di voci e rumori. Sapeva perfettamente che lei sarebbe uscita, quella sera, però aveva tentato lo stesso, e lei, anziché tartassarlo con una sfuriata delle sue, era corsa da lui senza fare domande, lasciando Tom a dir poco basito, ma quantomeno soddisfatto: lui chiamava, lei obbediva, proprio come sarebbe dovuto essere fin dall’inizio.

La cosa più strana di tutto questo, però, era l’assoluta mancanza di imbarazzi, tra di loro, nemmeno un accenno di disagio per via di quel bacio che non avrebbe mai dovuto esistere, segno che per lei significava tanto quanto significava per lui, cioè nulla.

A propria discolpa Tom poteva solo dire che in effetti Vibeke aveva delle labbra invitanti, rosse e morbide, e che comunque ciò che lo aveva portato a baciarla era stato il fatto che lui fosse assolutamente consapevole che lei non lo avrebbe mai voluto. Poi lei aveva anche risposto, baciandolo a sua volta, ma, modestia a parte, Tom non la poteva biasimare: il proprio ascendente sul genere femminile era noto a tutti, era ovvio che lei avesse ceduto.

Vuotò l’ennesimo bicchiere – quanti ne aveva bevuti? Quattro? Cinque? Aveva perso il conto – si sfilò tre banconote da dieci dal portafogli e le lasciò sul bancone, per poi alzarsi e dirigersi verso l’uscita. Fuori l’aria era fredda e pungente, ma limpida, piacevole da respirare, e la strada deserta sembrava quasi surreale. Era uscito con l’intenzione di farsi una sigaretta, ma scorse Vibeke pochi metri più in là, che passeggiava attorno ad un lampione parlando al cellulare, fumando tra una frase e l’altra. Quando lei si accorse di lui, gli fece un cenno distratto, sollevando la mano che teneva la sigaretta, lasciandosi dietro una scia di fumo particolarmente visibile nel freddo della nottata.

Tom si accese a sua volta una sigaretta e la consumò oziosamente, appoggiato al muro, mentre ascoltava di straforo la conversazione tra Vibeke e BJ. Sembrava di origliare un tipico dialogo tra lui e Bill: niente ragazze in casa, niente baccanali e cavolate simili.

Ma i gemelli sfigati sono tutti così rompicoglioni con quelli fighi?

Si avvicinò a lei con pochi passi pigri, giungendole di fronte proprio mentre richiudeva il cellulare e lo mette via di nuovo via.

“Spero che tu non sia così pedante con quei tre poveracci.” gli disse Vibeke, soffiando verso l’alto una boccata di fumo.

Tom fece lo stesso.

“Io più che altro mi auguro che tu non sia intransigente come mio fratello.”

Vibeke rispose con una bassa risatina a bocca chiusa, ma non lo calcolò. Era talmente abituato a litigare con lei, che non essere calcolato gli risultava più fastidioso di un insulto diretto.

Rimasero in silenzio per un po’, godendosi le rispettive sigarette alla luce dei rari lampioni, resa quasi del tutto inutile dalla sgargiante luna piena che splendeva nel cielo blu torbido. Ad un certo punto Vibeke si sedette a terra, sul bordo del marciapiede, spense il mozzicone sull’asfalto e lo gettò nel tombino che aveva di fronte. Tom ci mise di più a finire la propria sigaretta, ma alla fine lasciò cadere a terra il proprio mozzicone e lo schiacciò sotto ad un piede, calciandolo poi nel tombino.

“Lo sai, stavo ripensando alla conversazione che abbiamo avuto qualche sera fa…” disse, mettendosi a sedere accanto a lei. Divaricò le gambe ed appoggiò i gomiti alle ginocchia piegate, le dita intrecciate fra loro. Vibeke stava più composta, le gambe fasciate dagli alti anfibi aderenti accavallate e piegate di lato, e scrutava il cielo con un’espressione svagata. Tom si rese conto che i suoi capelli erano inusualmente mossi ed ondosi solo quando un alito di vento glieli accarezzò, scompigliandoli leggermente. Aveva le guance colorite dalla birra e non sembrava in collera con lui per il suo piccolo, innocente abuso di potere nell’averla messa in allarme sostanzialmente invano. Meglio così, comunque.

“Pensare fa male a voi uomini,” replicò lei in tono piatto. “Il vostro sistema nervoso non è progettato per operazioni così onerose e complesse.”

“Ho tentato, ma proprio non ci riesco.” La ignorò lui.

“A pensare?”

Tom si passò la lingua sulle labbra.

“Ad immaginarti brutta.”

Ci fu una pausa non proprio imprevista. Tom sapeva che un’affermazione simile da parte propria sarebbe stata accolta con scetticismo.

“Sfotti, Kaulitz?”

“Non sei brutta, Vi,” Onestà. Merce rara, per lui, ma in qualche modo si sentiva in vena di elargire gentilezza gratuita, forse per sdebitarsi implicitamente del favore ricevuto. “In nessuna di quelle foto lo eri.”

Lei si voltò e lo guardò con diffidenza.

“Sei ubriaco?”

“Non credo che tu sia mai stata abbastanza bendisposta verso qualcuno da fargli venire voglia di dirtelo,” rispose Tom senza lasciarsi impressionare. “Ma mi stupisce che tu non riesca a vederlo.”

“Vedere cosa?”

Ma quanto sei ottusa, norvegese dei miei stivali?, si stupì lui. Spero che tu lo faccia apposta per darmi sui nervi, altrimenti sei più scema di quel che avevo stimato.

“Che sei… Bella.” Puntualizzò labilmente. Vibeke arricciò il naso.

“Stai diventando melenso.” Lo accusò.

“E tu troppo acida,” ricambiò lui, sulla difensiva. “Continua così e morirai sola ed amareggiata.”

“Kaulitz, ma tu sei veramente ubriaco!” constatò lei, studiandolo più da vicino. Tom aveva la vista annebbiata, e lo considerò un bene, perché era certo che se fosse stato in grado di mettere a fuoco le sue labbra, avrebbe finito per baciarla di nuovo.

“Mi sono fatto solo un paio di Jack Daniels.” Biascicò.

“Tre.” Precisò lei.

“Ok, tre.”

“Allora reggi l’alcol come un pulcino a stomaco vuoto.”

Tom sbuffò.

“Forse erano un po’ più di tre.”

Vibeke tacque per qualche secondo di riflessione, poi gli fece una domanda che non poteva essere buttata lì per caso:

“Per via della litigata con Bill?”

Sapeva esattamente cosa Tom stava provando, e anche se a lui dava fastidio sentirsi compatito – perché era la compassione a muoverla, e non certo l’amicizia spassionata – non gli dispiaceva poi tanto che ci fosse qualcuno che viaggiava all’incirca sulla sua stessa lunghezza d’onda. Ciononostante, non se la sentiva di mettersi a conversare beatamente della sua cafonaggine nei confronti di un semi-innocente come il povero Bill, che aveva avuto la sola sfiga di fare la battuta sbagliata al momento sbagliato.

“Non sono cazzi tuoi.” Le intimò, brusco. Lei, sorprendendolo, non replicò altrettanto bruscamente, ma con una calma insolita, per una del suo calibro.

“Va bene, va bene,” sospirò, tirandosi in piedi, proprio mentre poche sottili gocce d’acqua cominciavano a piovere dal cielo. “Adesso alzati di lì, vediamo di riuscire a tornare a casa vivi e vegeti.”

Gli porse una mano, che lui scacciò prontamente, senza nemmeno sapere perché.

“Lasciami, voglio stare qui.”

“Ma sta cominciando a piovere!”

“Meglio. Ho caldo.”

“Ci credo, ti sarai scolato un litro di alcol!”

“Vi, lasciami in pace.”

“Ti ho detto di smetterla di chiamarmi Vi!”

“E tu smettila di importunarmi!”

“Mi hai chiesto tu di portarti qui!”

“Chi se ne importa!”

Vibeke, le guance sempre più colorite, si spostò irritata una ciocca di capelli dal volto, incombendo su di lui con tutta la sua considerevole statura, accentuata dai tacchi alti e spessi e dalla lunga giacca di pelle.

Ecopelle, corresse automaticamente la mente di Tom. Lei e le sue manie…

“D’accordo, come vuoi,” gli disse tranquilla. “Quando sarai a letto con la polmonite, ricordati che ci sarà un bel ‘Te l’avevo detto’ ad aspettarti.”

“Allora vattene a fanculo!” abbaiò Tom, colto da una vertigine. Vibeke pestò un piede per terra, arrabbiata.

“Con piacere!”

Gli voltò le spalle, pronta ad andarsene. Tom fece per tirarsi su, ma barcollò non appena si sollevò dall’asfalto e ricadde indietro seduto.

“Vi, aspetta.” la chiamò corrucciato. Vibeke si girò con uno scatto che lo fece soprassalire.

“Che cazzo vuoi adesso?”

Tom si imbronciò a causa dell’ammissione che stava per fare, ma aveva bisogno di lei – o meglio, della sua sobrietà – se non voleva passare la notte a dormire per strada come un barbone.

“Non ce la faccio ad alzarmi da solo.”

 

***

 

Vibeke emise l’ennesimo sospiro paziente, ma lo aiutò.

“Ti reggi in piedi?” gli chiese, osservandolo mentre cercava di muovere mezzo passo in equilibrio autonomo.

Per tutta risposta, Tom le avvolse le braccia attorno al collo, incapace di stare dritto e fermo, appoggiandole stancamente la testa sulla spalla.

“Va bene, messaggio ricevuto,” sospirò di nuovo, cercando di sostenerlo avvolgendogli il braccio destro attorno alla vita e tenendogli la mano attorno al proprio collo con il sinistro. “Andiamo, rompicazzo, ti porto a casa.”

Le labbra di un Tom mezzo incosciente sorrisero contro la pelle di Vibeke, la punta del suo naso che le sfiorava il collo, assieme ad un alito caldo.

“Perché non riusciamo a farci sembrare casa quest’oscurità?” mormorò mollemente, ridacchiando come un idiota.

“Niente più alcol, per te, Kaulitz,” decise lei, riflettendo sul fatto che la magrezza di Tom era un falso clamoroso, visto che, buttato così addosso a lei, pesava come un macigno. “Mai più.”

“Sono stanco,” sussurrò lui, mentre si incamminavano lungo il marciapiede, senza spostare la testa dalla spalla di Vibeke. “Davvero tanto stanco, Vi…”

La voce gli si smorzò su quell’ultima sillaba. Vibeke percepì qualcosa di umido e tiepido colarle dal collo lungo il petto. Lacrime.

“Dopo quella euforica, sta arrivando la sbronza depressa?”

Un rantolo sommesso vibrò nella gola di Tom.

“Stai zitta, la tua voce mi fa male alla testa.”

“No, mio caro,” disse lei. “È tutta quella roba che ti sei sbevazzato che fa male alla tua testa, devi solo ringraziare il cielo che ci sia qui io a salvarti il tuo prezioso fondoschiena.”

“Grazie, cielo, che Vi sia qui a salvare il mio prezioso fondoschiena!” ululò Tom, rovesciando la testa all’indietro e spalancando l’unico braccio libero.

“Kaulitz, trattieniti,” gli intimò lei, tappandogli la bocca mentre si sentiva una risata premerle alla gola. “Non puoi farti arrestare per schiamazzi proprio oggi, domani avete l’intervista con quelli del Times, che figura ci fate?”

Ma Tom era partito per una tangente tutta sua, completamente estranea alle leggi della logica che generalmente esigevano le conversazioni.

“Gli devo chiedere scusa, vero?” mormorò con la voce impastata dalla sbronza.

“A Bill o al povero cielo a cui hai appena strillato contro?” si informò lei, con una punta di ironia che divertì lei ed infastidì lui.

“Dai, stupida, sono serio.”

“E ubriaco.”

“Solo un pochino.”

“La colpa è tua, comunque,” gli disse Vibeke, ricordando il muso lungo di Bill. “Perciò spetta a te scusarti, anche se secondo me lui sarebbe anche disposto a prendersi il torto, pur di fare pace con te.”

Tom, sempre appoggiato a peso morto su di lei, blaterò qualcosa che somigliava ad un ‘Lo so’.

“Ti sembra giusto?” gli domandò quindi lei.

“No.”

“Ecco.”

Si fermarono ad un semaforo e attraversarono sulle strisce appena scattò il verde, mentre un orologio esposto in una vetrina si spostava a segnare mezzanotte e mezza,

“Gli chiederò scusa.” Farfugliò Tom, mancando per un soffio di inciampare nel nuovo marciapiede.

“Bravo,” si congratulò Vibeke, cominciando a sentirsi stanca di trascinarselo dietro così. “Voglio esserci, quando lo farai, voglio vederlo commuoversi.”

“Approfittatrice.”

“Senti chi parla!” sbuffò lei. “Chi è che si è fatto scarrozzare qui a scrocco?”

Tom si strappò di dosso a lei, ciondolando precariamente. Vibeke rise, ma un istante dopo lui si teneva la mano destra con uno sguardo allucinato.

“Oh, cazzo.”

“Che succede?” chiese lei, cercando di vedere cosa avesse combinato.

“Mi sa che mi si è riaperto il taglio sulla mano.” Piagnucolò lui, con un rivolo di sangue che gli colava giù verso il polso, sgorgando da sotto al cerotto che gli copriva la ferita ormai vecchia di giorni.

“Ecco, così impari a fare quei gesti bruschi.” Lo rimbeccò Vibeke.

“Cazzo!” imprecò Tom, vedendo che il sangue aumentava.

“Va bene, va bene, stai fermo un attimo,” Vibeke gli prese la mano con la forza per capire cosa fosse successo. “Ci penso io. Di nuovo.”

“Guarda che la prima volta nessuno ti ha chiesto niente.”

“Morire dissanguato o non morire dissanguato? Questo è il dilemma.”

“Sì, ok, ok…” grugnì Tom.

“Mi stai assecondando, Kaulitz?”

“Chi, io? Non mi sognerei mai!”

“Sì, immagino,” commentò Vibeke, staccando con cura il cerotto. “Dai, fammi vedere che hai combinato qui.”

“Piano che fa male…”

“Sì, sì, lo so che sei delicato, tranquillo.”

“Non sono delicato, ho detto solo che fa male!”

“Quello che è.”

Si sfilò un fazzoletto di carta dalla tasca della minigonna e glielo picchiettò attorno al taglio, nel punto in cui si era riaperto, fino ad asciugare tutto il sangue, poi lo premette sopra, senza badare ai gridolini sofferenti di Tom. Quando fu certa che l’emorragia si fosse bloccata del tutto, si tolse una fascia per capelli che teneva arrotolata al polso come un braccialetto e gliela avvolse attorno alla mano, per tenere fermo il fazzoletto.

Sopra alle loro teste, da una finestra aperta, si diffondeva una musica a lei ignota, ma piuttosto piacevole.

‘I try to believe what I feel these days, it makes life much easier for me…’

Una musica lenta ma ipnotica, una canzone sensuale, in qualche modo, particolare ma accattivante. ne ascoltò le parole, voleva cercarla, una volta tornata a casa.

‘It's hard to decide what is real these days, when things look so dizzy to me…’

“Ecco,” disse a Tom, lasciandogli la mano. “Così dovrebbe reggere, almeno fino a casa. Ma tu vedi di evitare di farlo riaprire di nuovo, o ti faccio mettere dei punti.”

“Non lo voglio un rammendo sulla mano!” esclamò lui, inorridendo.

Vibeke lo sospinse in avanti, invitandolo a camminare. Certe volte era proprio identico a Bill.

“Dicevo alla bocca,” lo informò. “Così non ti lamenti più.”

Tom, brillo e incapace di mantenere una traiettoria retta, si voltò per rivolgerle una sottospecie di sorriso suadente, che si rivelò piuttosto comico e sbilenco. Pur maledicendo se stessa per essersi lasciata trascinare in quell’anomala serata fatta di imprevisti più o meno fortuiti, Vibeke non seppe trattenere un sorriso di rimando.

‘There's always more…’

 

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Note: mi odiate, lo so che mi odiate, e sono desolata per il piattume del capitolo, davvero davvero desolata, ma sono innocente, non è colpa mia se è venuto così prolisso. Per di più non è nemmeno finito veramente, visto che proseguirà nel prossimo. Povera me, questo benedetto San Valentino sta diventando una croce eterna. Ne usciremo mai? Pregate, lettori, abbiate fede, non ci resta altro.

Allora, intanto ho sputato sangue per fare in modo di non far scadere i due piccioncini (Georg e Nicole) nel melenso ultraromantico, e ho la presunzione di sperare di esserci, se non riuscita, almeno andata vicino. Ditemi voi. u__u Inoltre mi rendo perfettamente conto che tutta la seconda parte tra Vibeke e Tom è di una noia mortale, ma l’atmosfera fiacca era intenzionale, perché Tomi è tutto mogio e gli serve un bel po’ di ringalluzzimento per riprendersi, che un po’ viene fuori quando si mette a starnazzare per strada, con sommo imbarazzo (ma anche divertimento, diciamolo) di Vi. Detto questo, mettiamoci a fare le cose serie e passiamo a ringraziare in breve le 33 (trentatré, oddio, non ci posso credere!) persone che hanno recensito, mandando la sottoscritta in brodo di giuggiole con i loro commenti tokiohotellosi (sfido chiunque a trovare un aggettivo più lusinghiero di questo!), ossia: pIkKoLa_EmO, ElianaTitti, ElyLaTeS, loryherm (sia resa lode ai Nightwish, e spero che tu abbia ascoltato quelli giusti, e non quelli con la nuova vocalist, che non è degna nemmeno di fare da scendiletto a quella sublime dea di Tarja! ^^), ruka88, PurpleBullet, Lady_Daffodil, gioconda, carol22, Lauchan, valux91 (penso che la deduzione sugli Evanescence ti sia venuta in seguito alla mia osservazione sulle imitazioni dei Nightwish post-2005. In realtà non ho nulla contro gli Evanescence, Fallen mi piace molto, e mi riferivo ai cosiddetti ‘nuovi Nightwish’, che ai miei occhi sono un patetico tentativo di non defungere dopo la separazione da Tarja, peggio che fallito, poi, visto che sarebbe stato meglio per loro sparire, piuttosto che trovare una cantante pop (argh!) e diventare così tristemente commerciali ç__ç), Ladynotorius, Muny_4Ever, withTh, Lady Vibeke, layla the punk princess, NeraLuna, CowgirlSara, Hermyone, _ToMSiMo_, MARINA KAULITZ, susisango, shaka, BigAngel_Dark, kit2007, GaaRa92, Nanako, RubyChubb, picchia, Colinde, btb, vale 87 (complimenti per l’anno di nascita! XD). Un grazie speciale ad _Ellie_, che non ha fatto in tempo a deliziarci con una delle sue epiche recensioni (come si fa a metterci giorni interi a scrivere una recensione, lo sa solo lei XD), ma che mi segue sempre con fedeltà assoluta. ;)

Un grazie immenso e generico a chiunque sia passato di qui, abbia letto e messo la storia, me o entrambe tra i preferiti, come sempre rinnovo l’invito a lasciare due parole anche semplici, (anche per lamentarvi dello spezzettamente del capitolo in due e della sconseguente slittata della parte interessante nel capitolo 11, visto che stavolta ne avreste il diritto u__u), che illuminano sempre la giornata. ^^

Alla prossima! (con l’agognata e sicuramente più interessante conclusione di questo tragicomico San Valentino.)

P.S. quasi scordavo di creditare la canzone che Vi sente per strada, ossia la sublime Sly, dei Massive Attack. Ascoltatela, se vi capita, ne vale la pena.

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Capitolo 11
*** A Couple Of Unconventional Exchanges ***


Avere Nicole per Georg significava molto di più che avere una ragazza. Con lei aveva imparato ad essere grato per le cose che aveva, e a sentirsi fortunato quando gli veniva concesso di più; aveva capito quanto alto fosse il piedistallo su cui viveva e lo aveva abbassato di un poco per farci salire anche lei, che aveva tanta paura delle altezze, e con lei la sua straordinaria bambina; aveva fatto un po’ di pulizia nella propria vita, buttando via vecchie manie e lasciando spazio a nuove, più positive e benefiche. Non aveva cambiato se stesso, non aveva subito una trasformazione radicale e repentina: era ancora lo stesso Georg di sempre, disordinato, distratto, paziente ma deciso, maturo e a tratti ancora capriccioso. La differenza però c’era, e non sapeva se da fuori, ad occhi estranei, fosse visibile o meno, ma lui dentro la sentiva.

Essere il membro più adulto della band gli aveva sempre calamitato addosso una discreta quantità di preconcetti, tra i quali una razionalità e maturità superiori a quelle dei compagni, che, a onor del vero, forse non gli si addiceva poi così tanto come la gente credeva, ma di una cosa era certo: se essere maturo voleva dire riuscire a provare quei sentimenti per una persona – la sola, l’unica, la più importante – allora era felice di essere cresciuto.

Si strinse Nicole più vicina, godendo del sorriso che questo le provocò.

Camminavano per i viottoli selciati dell’Hamburg Park, fortunatamente meno affollato del previsto, seguiti a distanza da un paio di guardie del corpo che David gli aveva praticamente imposto di portarsi dietro, e Georg non aveva potuto rifiutare, soprattutto dopo che David aveva giocato l’invincibile carta ‘Pensa alla sicurezza di Nicole’.

Ormai era mezzanotte passata, la serata era quasi conclusa, ma era contento per come era andata: una cena tranquilla e rilassata, in cui lui non aveva potuto fare a meno di fare l’idiota con lei, ogni tanto, solo per poter veder comparire quelle due bellissime fossette sulle sue guance.

Quando erano usciti dal ristorante, erano passati a salutare BJ e lo avevano trovato a ridere a crepapelle assieme a Belinda, mentre le raccontava di qualche cosa che gli era successa in una radio qualche giorno prima. Georg e Nicole si erano trattenuti poco con loro, sia per non disturbare, sia per non perdere tempo prezioso che avrebbero potuto trascorrere da soli, ma le due chiacchiere che avevano scambiato di sfuggita con BJ avevano fatto capire a Georg che lui e Vibeke erano, in modo più evidente di quel che aveva creduto, palesemente gemelli.

Al momento lui e Nicole stavano costeggiando il laghetto. C’era una coppia di cigni addormentati sulla riva, poco lontano da loro, accoccolati l’uno accanto all’altro, ed un altro scivolava lento e silenzioso sullo specchio d’acqua, riflettendo la luce della luna. Nicole ebbe un piccolo fremito quando uno dei due cigni sulla riva si svegliò e sollevò di scatto il collo. Sorridendo, Georg la strinse un po’ più forte e, senza un motivo specifico se non la voglia di farlo, si chinò verso di lei e le posò un bacio sulla tempia.

Nicole guardò in su, restituendo il sorriso.

“E questo per che cos’era?” domandò. Lui ne approfittò per lasciarle un bacio a fior di labbra.

“Per essere stata brava tutta la sera,” le rispose suadente. “E per aver avanzato metà tiramisù.”

La battuta, nemmeno troppo scherzosa, le strappò una risatina.

“Mi hai costretta a prenderlo apposta, perché sapevi che non lo avrei finito.”

Ora fu Georg a ridere. Si fermò sotto ad un lampione, reso pressoché inutile dalla luminosissima luna quasi piena, e le poggiò le mani sui fianchi, facendola avvicinare.

“E così il nostro primo San Valentino è agli sgoccioli…” rifletté.

Nicole gli avvolse le braccia attorno alla vita.

“Così pare.”

“E non mi hai neppure permesso di farti un regalo come si deve.” Si lamentò. Lei roteò gli occhi con impazienza.

“Mi sembra che la cena e l’auto con autista siano più che sufficienti,” replicò Nicole. “Senza contare i due energumeni laggiù,” aggiunse, facendo un cenno verso le guardie del corpo, ferme a parlottare diversi metri dietro di loro. “E poi lo scopo di feste come questa è stare insieme, non farsi regali.”

Georg non poté che concordare, pur dovendo riconoscere che, come chiunque altro al mondo, aveva sempre adorato il Natale per le montagne di doni che trovava sotto l’albero.

“È vero.”

“Anche se…”

L’attenzione di Georg scattò immediatamente all’erta nel vedere l’espressione furba di Nicole. Non era un ‘Anche se…’ casuale.

“Fuori il rospo, Sandberg.” Le intimò, bruciante di curiosità.

“Lo so che sono stata io ad insistere perché non ci facessimo regali,” disse, sfilandosi la borsetta dal braccio e mettendosi a frugarci dentro. “Però…”

Georg si vide mettere in mano una piccola scatoletta blu con un fiocchetto bianco sopra, che a stento gli occupava il palmo.

Piccola bugiarda, pensò, incredulo ma divertito, volevi proprio fregarmi, eh?

La fissò perplesso, chiedendosi cosa ci poteva mai essere per lui dentro ad uno spazio così ristretto.

“Non è un vero e proprio regalo,” spiegò Nicole, mentre lui scioglieva con cura il nastro e sollevava il coperchietto. “Quindi, in caso tu lo stessi pensando, non ho barato.”

Georg le scoccò un’occhiatina maliziosa, che un tempo la avrebbe fatta avvampare all’istante, ma che ora aveva imparato a sostenere e addirittura ricambiare. Scostò un foglietto di carta velina, e sotto vi trovò tre chiavi di tre misure diverse. Una vista che lo fece sorridere da dentro.

“Sono le chiavi di casa mia,” gli comunicò Nicole, indicandole una per una. “Portone, garage e appartamento,” Lo guardò negli occhi con un lieve rossore sul viso. “Così quando vieni senza preavviso, non sei costretto ad aspettare in macchina.”

Georg ammiccò.

“Molto generoso, da parte tua, devo dire.”

So quanto sia importante per te questo passo, le disse dentro di sé, richiudendo la scatolina per infilarsela nella tasca interna della giacca, ma non prima di aver estratto a sua volta una sorpresa davanti allo stupore di Nicole.

La guardò sornione, incapace di credere che fossero davvero arrivati a quel punto – non senza fatica e senza difficoltà – ma felice come non mai di essere riuscito a trovare almeno una costante, oltre ai Tokio Hotel, nella propria vita. Era stato spesso deluso in amore (se così si potevano chiamare le sue cotte adolescenziali), e dopo essere diventato famoso aveva smesso di cercare dei sentimenti nelle ragazze che incontrava; come Tom, aveva preferito prendere quello che gli veniva offerto, senza porsi il problema che potesse esserci qualcosa di più in cui sperare. Diversamente da Gustav e Bill, così restii a concedersi notti di piacere con le belle ragazze che smaniavano dalla voglia di andare con uno di loro, lui e Tom si erano goduti ogni occasione, avevano approfittato di ogni momento, fino a che non era arrivato un piccolo terremoto di nome Emily a scombussolare le carte in tavola, e con lei anche la sua gentile, introversa mamma, che ci aveva impiegato poco a far dimenticare a Georg tutte le altre ragazze dell’universo.

Ora, dodici mesi più tardi, vincevano una scommessa su cui nessuno, forse nemmeno loro stessi, avrebbe mai puntato: un anno insieme. Una cosa che Georg aveva creduto impensabile – a cui non aveva affatto pensato, anzi – prima di incontrare lei. Secondo i ragazzi, doveva tenersela ben stretta, perché era probabile che non esistesse un’altra ragazza in grado di sopportarlo e addirittura apprezzarlo con annessi tutti i suoi difetti, e Georg era sempre stato allegramente d’accordo con loro.

“Ora ti sembrerà banale,” disse a Nicole, porgendole il pacchettino di carta rossa. “Ma mi hai bruciato sul tempo, perciò…”

Lei aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non emise alcun suono. Afferrò semplicemente il dono e lo osservò senza fiato.

“Prima che tu lo apra e mi accusi di essere il solito esagerato,” premise Georg, cominciando a sentirsi vagamente nervoso. “Sappi che non è una cosa che ho visto e comprato nel giro di trenta secondi,” Nicole cominciava a sembrare preoccupata, ma lui le sorrise rassicurante. “Credo che non sia nulla che tu ti possa immaginare, sai, ma ormai ho la presunzione di definirci – come dire? – consolidati… Non è una cosa che devi accettare per forza, però…” Aveva creduto che fosse una cosa sensata, ma ora che era lì non gli sembrava più così. Era una pazzia, la avrebbe messa in imbarazzo e basta. “È solo un’idea,” disse, scrollando le spalle per alleggerire l’intensità del momento, le mani in tasca. “Un’idea nemmeno immediata, per la verità. Diciamo una proposta per un futuro variabilmente prossimo.”

Era ovvio che Nicole non ci stesse capendo niente, e non c’era da stupirsi, visto il garbuglio che Georg era riuscito a tirare fuori da una frase potenzialmente essenziale, ma questo era lui, il casinista di professione, e infondo lei ci era abituata.

“Ora che ti ho confusa per bene, lo puoi aprire.” La invitò.

Le dita di Nicole ci misero un po’ a cominciare a strappare delicatamente la carta e lo fecero piano, quasi fosse intimorita dalle mille possibilità che si nascondevano al sotto. Georg la guardò aprire titubante la scatolina di plastica nera e sgranare gli occhi sul suo contenuto, niente di nuovo, almeno per gli ultimi dieci minuti: tre chiavi, di tre misure diverse, tenute insieme da un anello di metallo.

“Una delle ultime volte che sono venuto a Lipsia ho notato questo nuovo quartiere residenziale,” le raccontò, mentre lei fissava ora lui ora le chiavi. “È una bella zona, vicino a dove lavori tu, si può raggiungere le scuole a piedi, e il complesso ha un parchetto privato… Uno degli attici era ancora libero, e ho pensato che… Insomma…”

“Georg,” espirò Nicole, attonita. “Dimmi che non hai comprato un attico da mezzo milione di euro.”

Sembrava una supplica, più che una domanda, ma era stata perfettamente prevista.

“Non ho comprato un attico da mezzo milione di euro,” le confermò tranquillo. “Era in vendita, ma io l’ho solo preso in affitto.”

Nicole parve rilassarsi almeno un po’, ma non altrettanto fece il suo shock.

“Tu sei pazzo,” decretò, un accenno di risata repressa a risuonarle nella voce, osservando le tre chiavi. “Cosa te ne fai di un appartamento a Lipsia, si può sapere?”

Io niente,” rispose. “Noi tutto.” La testa di Nicole scattò in su. “Il tuo appartamento è piccolo e fuori mano,” disse Georg. “Ci metti quasi un’ora per andare al lavoro e non molto meno per raggiungere il centro, senza contare che il prossimo anno Emily comincia le elementari e sono a dieci isolati da dove stai ora.”

“Da quando in qua sei così informato sulla topografia di Lipsia?” si incuriosì lei.

Lui intrecciò le proprie mani alla base della sua schiena e sfiorò la punta del proprio naso contro la sua.

“Da quando ci abitano la ragazza che amo e la sua bambina.”

La risposta meccanica di Nicole le morì sulle labbra, in concomitanza con il ritorno di quello stupore nei suoi occhi.

“Non so perché ti stupisca tanto sentirmelo dire,” sussurrò Georg, posandole le mani ai lati del viso. “Credevo che ormai fosse chiaro…”

“Non è che non fosse chiaro,” mormorò Nicole con un lieve tremito. “Ma sentirtelo dire ad alta voce è tutta un’altra cosa.”

Georg sapeva che, anche sentendoglielo pronunciare mille, duemila, infinite volte, lei sarebbe rimasta comunque sempre restia ad abbandonarsi del tutto alla loro storia – a lui – e non poteva negare che questo gli facesse un po’ male.

Non te lo potrò mai dire abbastanza perché tu ci creda fino in fondo, vero?

“Non te l’ho mai detto perché… Non lo so, forse non ne ero sicuro nemmeno io,” le disse. “È la prima volta che mi capita, infondo, però…” Però, pur essendo una cosa del tutto nuova, era sicuro di quello che provava. “Be’, credo che fosse ora di ammetterlo, no?”

“E l’appartamento?” fece lei, mordicchiandosi un angolo del labbro inferiore. Georg sollevò le spalle.

“Tu ed Emily vi ci potete trasferire quando volete, anche subito.”

Il sorriso che Nicole tirò fuori era lusingato, ma per niente convinto.

“Georg, io apprezzo,” rispose, appoggiandogli le mani sul petto. Esitò un istante, poi scosse debolmente il capo. “Ma non voglio vivere sulle tue spalle… Non ha senso che tu paghi il vertiginoso affitto di un appartamento in cui nemmeno abiterai!”

Lui inarcò le sopracciglia perplesso: forse non ci avrebbe abitato in pianta stabile, ma aveva tutta l’intenzione di starci il più a lungo possibile.

“A dire la verità contavo di trascorrerci almeno qualche settimana all’anno,” le comunicò. “Abbiamo impegni fissati fino al prossimo maggio, ma dopo di quello ancora non c’è niente di deciso…”

Le pupille di Nicole si restrinsero lievemente alla luce biancastra del lampione.

“Stai dicendo che potremmo viverci insieme?”

Georg annuì semplicemente, ma lei abbassò lo sguardo.

“Lo sai che mi piacerebbe da morire,” disse in un fil di voce. “Ma se…”

Ecco, c’erano arrivati. La conosceva troppo bene per non prevedere anche quel punto. Si stava giusto domandando quando sarebbe andata a parare lì.

“Se finisse?” completò per lei, e lei annuì timidamente.

“Sì.”

“Al di là del fatto che dipenderà da te, visto che io non ho la minima intenzione di lasciarti scappare,” Georg le fece sollevare il viso e la costrinse a guardarlo. “Credi veramente che sarei capace di dirti ‘Fuori dai piedi, questa è casa mia!’ e sbatterti in mezzo ad una strada?”

Nicole sospirò.

“Certo che no, ma… È comunque un bel salto.”

“Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi per decidere,” le assicurò lui. “Se alla fine non vorrai, lasceremo perdere.”

“E tu nel frattempo sprecherai soldi per tenere un appartamento vuoto.” Disse lei, in tono scettico.

“Lo sai che i soldi non sono un problema.” Insisté lui.

Lei sospirò di nuovo.

“Lo sono per me,” affermò decisa. “Tu sei diventato ricco e famoso troppo presto per sapere cosa voglia dire preoccuparsi delle spese e delle bollette, ma quello che per te può sembrare niente, per me sono un sacco di soldi, e non posso davvero permetterti di buttarli al vento solo per me.”

“Solo per me.”

Nicole non capiva.

Solo per lei, Georg avrebbe fatto qualunque cosa, non solo comprare un appartamento, ma ogni suo tentativo di farglielo capire sembrava destinato a sfumare nel suo pensare che esagerasse nel volerla viziare. In realtà tutto quello che lui voleva era che lei ed Emily avessero il meglio, che non mancasse nulla a nessuna delle due, e visto che poteva fare in modo che fosse così, non smetteva mai di tentare, anche se Nicole, orgogliosa ed abituata all’autonomia, non era mai stata incline a dipendere da lui, e forse era anche per questo che Georg insisteva tanto: gli sembrava che lei, per proteggersi, non volesse lasciarsi proteggere.

“Va bene, allora, sai che ti dico?” decretò alla fine. “Lo compro e lo metto in affitto, consideralo un mio investimento personale. Se poi un giorno avrai voglia di andarci a vivere, me lo dirai e ci sistemeremo, che ne dici?”

Non l’avrebbe persuasa fino in fondo, ma sicuramente non gli poteva impedire di comprarsi un attico, e gli fece piacere vederla rilassarsi e sorridere impotente.

“Dico che sei davvero pazzo.” Lo prese in giro, ma a lui non importava. Era sicuro che il tempo le avrebbe fatto cambiare idea.

“Ci stai?”

“Non ti posso vietare di comprarti un appartamento,” si rassegnò Nicole. “Come del resto non ti posso nemmeno giurare che prima o poi non vorrò davvero abitarci con te, quindi… Diciamo che ci sto.”

E mentre Georg la baciava di nuovo, fregandosene altamente di essere sorvegliato a vista da due guardie del corpo impiccione, si chiese se anche gli altri sarebbero stati fortunati quanto lui, prima o poi.

 

***

 

Tom si sentiva strano. Gli girava un po’ la testa ed aveva un anomalo sfarfallio nello stomaco, che lo stava annoiando non poco. Vibeke gli camminava affianco, il naso sollevato verso l’alto, verso quel cielo di uno stranissimo grigio verdastro, con un braccio di lui ancora avvolto attorno alle spalle. La loro andatura non era esattamente stabile: sbandavano di qua e di là ogni tre metri, ma Tom doveva ammettere che si stava divertendo, nonostante tutto. Quando non faceva la bisbetica lagnosa, Vibeke sapeva essere di discreta compagnia. Si era comportato da egoista con lei, non poteva negarlo, soprattutto vista la gentilezza che gli era stata riservata, e forse un po’ gli dispiaceva.

Si rese conto di quanto avessero camminato solo quando svoltarono l’angolo ed infilarono la via di casa. Un’altra cosa di cui si rese conto solo in quel momento, molto più destabilizzante della prima, era che non aveva voglia di veder finire la serata così presto.

“Eccoci giunti a destinazione.” Annunciò Vibeke, scortandolo verso il palazzo.

“Mmm.” Gorgogliò Tom, inciampando in una sporgenza nell’asfalto, strappandole una piccola risata.

“Sarà il caso che ti accompagni di sopra.” Gli disse, aprendo il portone con le proprie chiavi. Tom si lasciò trascinare nell’androne, barcollandole dietro.

Mentre Vibeke richiudeva, le ginocchia gli cedettero per un momento, facendolo accasciare su se stesso, ma lei lo resse prontamente. Sentirsi le sue braccia addosso fece sentire Tom ancora più ebbro di quanto già non fosse. Era bastato averla appena più vicina del normale per fargli venire voglia di baciarla, nel suo appartamento; ora che erano praticamente incollati l’uno all’altra, quest’istinto risorse in lui amplificato di mille volte.

Capì che anche lei avvertiva qualcosa, perché non si era ancora mossa: se ne stava con la schiena al muro, tenendolo in piedi con uno strano abbraccio scomodo ed instabile. Tom la guardò, scoprendo di essere a propria volta guardato, le mani strette attorno alla sue spalle, e dimenticò il monito severo che lei gli aveva rivolto con lo sguardo dopo quel famigerato bacio sfuggitogli pochi giorni prima. Dimenticò la sbronza e i giramenti di testa, dimenticò che in principio aveva deciso che non sarebbe mai riuscito a guardarla senza farsi irritare, e ricordò invece la morbidezza delle sue labbra, il suo sapore amarognolo di fumo misto ad un retrogusto dolce inclassificabile, e realizzò che il semplice ricordo non gli bastava.

Vide lo stupore negli occhi di Vibeke prima ancora di muoversi: come se gli avesse letto il pensiero, lei dischiuse appena le labbra, come per dire qualcosa – protestare, forse – ma Tom glielo impedì.

La incontrò in un bacio che nacque rigido ed incerto, ma che ben presto si sciolse in qualcosa di più caldo e profondo. Se prima era stata lei a sostenere lui, ora era Tom a tenerla. Le sue mani si erano spostate dalle spalle ai fianchi di Vibeke, e la tenevano stretta, avide, possessive, intrappolandola contro la parete senza una reale necessità: lo stava assecondando senza esitazioni.

Tom non era abituato al contrasto sensoriale tra la tenerezza della carne e la durezza del metallo, ma la sua lingua esplorava con viva curiosità quelle labbra che ormai, in un modo o nell’altro, cominciavano ad essergli familiari. Non smise di baciarla nemmeno per respirare, prendendo fiato tra una carezza e l’altra, facendo scivolare le dita oltre la giacca aperta e poi al di sotto della maglietta, senza incontrare proteste. Sfiorò la pelle calda e liscia della schiena, poi quella del ventre, incapace di comprendere se il ritorno del senso di vertigine fosse dato dai residui di alcol o dal sangue che gli pulsava a velocità folle in ogni millimetro del corpo, reso iperrecettivo dall’eccitazione crescente.

Il suo cervello era in blackout totale, Tom nemmeno si fermò a pensare a che ora avrebbe attaccato il custode. Scese con le mani lungo la vita di Vibeke, tornò sui fianchi, premendo involontariamente contro di lei con il bacino, guidato da una voglia cieca e completamente priva di razionalità. Quando la sua esplorazione spaziò al di sotto della minigonna, scoprì con una punta di perverso piacere che i collant che lei indossava erano dei provocanti autoreggenti che gli permisero di raggiungere con estrema facilità gli slip, non di pizzo stavolta, ma di semplice cotone. La sentì calda ed eccitata quanto lui, sotto al proprio tocco.

Scese a baciarle il collo, le clavicole, ed infine seguì il bordo della scollatura, sentendola fremere ad ogni bacio che la stuzzicava, e questo lo rese ancora più desideroso di soddisfare quella bruciante urgenza di avere di più, già pericolosamente alimentata dagli ansiti di piacere che giungevano dal fondo della gola di Vibeke.

Se avesse aspettato ancora un solo minuto, non sarebbe stato più in grado di rispondere delle proprie azioni. Si sentiva sul punto di impazzire.

Tom tornò febbrilmente a baciarle il viso, le mani già impegnate a cercare la propria cintura, e per un attimo i loro occhi si incontrarono.

Occhi disarmonici, ma magnetici, occhi brillanti ed insolenti. Occhi sensuali.

Gli occhi giusti.

Tom capì che lo stava sfidando a continuare, fissandolo con le braccia avvolte attorno ai suo collo, il petto premuto contro il suo, quasi nessun ostacolo tra loro e il passo successivo.

Era intrigante, e stimolante, un inequivocabile invito a portare a termine quello che si era cominciato, e Tom non era uno che tollerava che le cose fossero fatte a metà.

Inchiodò Vibeke al muro con tutto il corpo, la sua eccitazione che premeva avidamente tra le sue gambe appena divaricate, e si infilò una mano nella tasca posteriore dei jeans, dove le sue dita sfiorarono la consistenza familiare della bustina di un preservativo.

Cristo, non ce la faccio più!, imprecò internamente, immerso in un turbine di sensazioni soverchianti, il respiro ormai completamente fuori controllo, ma proprio mentre la sua mano afferrava il preservativo, la serratura del portone d’ingresso si aprì con uno scatto secco che riecheggiò assordantemente, o così parve a Tom, tra le pareti.

Merda!

Prima che potesse rendersi conto della situazione, Vibeke gli era sgusciata via dalle braccia come un’anguilla, lasciandolo solo con le mani contro il muro ad ansimare in preda alla frustrazione.

“Ma dove sono le luci, qui dentro? Non si vede niente…”

Nel microsecondo che servì ai suoi neuroni storditi per riconoscere la voce di Nicole, Tom riuscì, in qualche inspiegabile maniera, a riprendere abbastanza controllo di sé da richiudersi a fatica la lampo dei pantaloni e sforzarsi di riacquisire una respirazione approssimativamente regolare. Vibeke stava in piedi a pochi passi da lui, seminascosta dall’oscurità, senza guardarlo.

“Aspetta, prendo il cellulare.” Disse la voce di Georg. Un istante dopo un lampo di luce azzurra illuminò l’androne, Tom e Vibeke compresi.

“Hey, ciao,” fece Georg, leggermente accigliato. “Che ci fate voi due qui a quest’ora?”

Tom non riuscì nemmeno a mettere in moto l’elaborazione di una risposta: Vibeke ebbe una prontezza nettamente migliore.

“Siamo usciti a bere qualcosa,” disse vaga, avvicinandosi all’uscita. “È un po’ brillo,” Aggiunse, fermandosi accanto a Georg. “Stavo per accompagnarlo di sopra, ma forse è meglio che lo facciate voi, è piuttosto tardi.”

“Certo, d’accordo.” Acconsentì Georg, ancora un po’ disorientato.

“Bene,” disse lei. “Buonanotte.”

La luce del cellulare si spense, riaccendendosi subito dopo per mano di Georg, ma Vibeke era già sparita.

Georg andò da Tom, il quale se ne stava ricurvo su se stesso, e non certo per via della sbronza, intento a restituire un ritmo normale al proprio respiro. Sentì una mano toccargli la spalla e vide che Georg lo studiava preoccupato.

“Sei ridotto male, per i tuoi standard alcolici.”

Tom emise un rantolo dolente, i nervi a fior di pelle per il modo brusco in cui era stato lasciato insoddisfatto.

“Fammi un favore, amico,” lo supplicò, ignorando la faccia attonita di Nicole. “Portami su e basta.”

 

***

 

Dopo la caritatevole compassione dimostrata da Georg e Nicole durante il breve tragitto ingresso-ascensore-casa, Tom aveva blaterato qualche ringraziamento non troppo sensato e si era blindato in bagno, anelando spasmodicamente ad un solo ed unico scopo: alleviare tutta quella tensione che gli era rimasta addosso dopo la provvidenziale – per così dire – interruzione inattesa.

Odiava prendere quel tipo di misure drastiche, anche perché fondamentalmente non ne aveva quasi mai bisogno, ma se non altro, dopo quello e una bella doccia gelata, si sentiva meglio, e sicuramente più lucido, anche per merito della bella dose di ibuprofene che si era sparato, che aveva spazzato via il mal di testa ormai quasi del tutto.

Serata di merda.

Uscì dal bagno in boxer, un asciugamano buttato sulla testa mentre cercava di asciugarsi i capelli. Era decisamente più rilassato, ma ancora frustrato per via di quello che era successo nell’androne, e non era tanto perché era stato lasciato insoddisfatto ed eccitato (fortunatamente al buio) davanti a degli ignari Georg e Nicole, quanto piuttosto perché sembrava che, qualunque cosa fisica facesse con Vibeke, lei finiva sempre per svignarsela prima ancora di dare a lui il tempo di capire cose fosse successo. Era una cosa che Tom trovava insopportabile, e che lo lasciava sempre con un orribile senso di irritabilità addosso.

Si chiuse la porta alle spalle con un colpo secco, poi si diresse verso la propria stanza, ma, a metà strada, intravide Bill seduto sul proprio letto a leggiucchiare qualcuna delle sue riviste con una strana aria abbacchiata con i Placebo nello stereo, unico suono all'interno dell'appartamento addormentato.

Si affacciò alla porta, fregandosene dei rasta che spargevano acqua tutt’intorno. Onestamente, non aveva voglia di mettersi a discutere con Bill, ma lo doveva fare, altrimenti le cose sarebbero solo peggiorate. Glielo doveva, se non altro.

“Bill.” Esclamò, sorpreso di vederlo così. Doveva essere ancora offeso per la storia dell’intervista.

“Ciao.” Borbottò lui, cupo, senza nemmeno guardarlo.

Ok, ha ragione, pensò Tom, chiudendosi la porta alle spalle per andargli a sedere accanto. Restò lì per un paio di minuti senza fare nulla, aspettando un segno che Bill avesse voglia di starlo a sentire, ma fu ignorato senza riguardi.

“Come va?” gli chiese allora, azzardandosi ad appoggiargli una mano sulla testa, come faceva sempre quando doveva lavorarselo per bene, ma Bill ignorò anche quello. Tom già temeva che avrebbe dovuto cavargli le parole di bocca, quando finalmente Bill gli rispose:

“Come vuoi che vada?”

Secca e acida, come risposta, ma avrebbe potuto andare peggio. Perlomeno aveva un punto di partenza.

Tom decise che era ora di passare alla modalità ‘fratellone coccoloso’.

“Sei ancora arrabbiato con me?” domandò mogio.

Bill voltò pigramente un paio di pagine.

“Sì che sono arrabbiato con te,” mormorò. “Sei uno stronzo di fratello quando ti ci metti.”

Quella frase ferì molto Tom, esattamente come Tom stesso doveva aver ferito Bill. Effettivamente era vero: sapeva essere veramente stronzo, in certi frangenti, ma in genere riservava la gretta maleducazione a tutti, meno che a suo fratello. Con lui ci litigava, e anche spesso, ma le offese gli sfuggivano di rado. Rispettava Bill con tutto se stesso.

“Sono venuto a chiederti scusa.” Gli disse con tutta l’umiltà di cui era capace. Bill smise improvvisamente di leggere e piegò il collo verso l’alto, guardandolo stupefatto con gli occhi sgranati.

“Puoi ripetere?”

Tom non chiedeva mai scusa a nessuno, almeno non di sua spontanea volontà. A parte Bill, c’erano solo quattro persone al mondo con cui si fosse mai scusato volontariamente, e con sincero pentimento: sua madre, il suo migliore amico Andreas, Georg e Gustav. Oltre a loro, non esisteva nessun altro che per lui fosse abbastanza importante da farlo piegare.

“Mi dispiace di aver detto quelle cose,” borbottò, ammettendo implicitamente la sconfitta. “Ero di cattivo umore, sai che non lo penso davvero.”

L’espressione di Bill si addolcì impercettibilmente.

“Da quando in qua chiedi scusa?”

Tom si sbarazzò di cappellino e fascia e li gettò a terra incurante.

“Da quando ho torto ed ho offeso il mio fratellino.” Dichiarò, pregando – invano – che Bill se lo facesse bastare.

“E da quando ammetti di avere torto?”

A Tom premeva solo chiudere la questione alla svelta, ma se Bill avesse fatto il puntiglioso, era sicuro che avrebbero finito per bisticciare di nuovo.

“Ma insomma, mi sto scusando, non ti basta?” si lamentò.

“Sì che mi basta.” Disse Bill, mettendosi seduto a gambe incrociate. Tom gli rivolse un piccolissimo sorriso ruffiano.

“Sono perdonato?”

Bill lo spintonò scherzosamente giù dal letto.

“Ma sì che sei perdonato, scemo.” Rise.

Tom allargò il proprio sorriso con riconoscenza. Non era certo di meritarsi un perdono così facile, ma tanto meglio per lui.

“Grazie.”

Arruffò affettuosamente i capelli di Bill, provocandogli una crisi di gridolini isterici e beccandosi anche un paio di graffi accidentali da parte delle unghie di Bill, che tentava di difendersi. Alla fine Tom lo lasciò a dimenarsi ed allisciarsi freneticamente ogni singola ciocca, raccolse l’asciugamano, il cappellino e la fascia e si diresse soddisfatto verso la porta.

“Tomi…” lo bloccò la voce di Bill. Lui si fermò a pochi passi dalla soglia e si voltò indietro, attendendo. Bill si inumidì le labbra prima di proseguire:

“Quella ragazza con cui ti stai vedendo…”

Tom non gradì il nuovo spunto di conversazione.

“Lara?” domandò evasivo. Le ragazze – le sue, soprattutto – erano il suo argomento preferito, ma solo quando era lui a decidere quando, come e soprattutto perché parlarne. Aveva la netta, fastidiosa sensazione che il tono usato da Bill non promettesse alcunché di buono.

“Sì,” confermò Bill, tranquillo. “Perché?” chiese poi.

“Perché cosa?”

“Perché esci con lei?”

Che razza di domanda è mai questa?, pensò Tom, mentre cercava di capire dove Bill volesse arrivare.

“Sei geloso?”

Quesito stupido, ma non avrebbe saputo cosa rispondere.

“Dovrei esserlo?” fece Bill, corrugando leggermente la fronte.

“Ma non scherziamo!” esclamò Tom, divertito dall’idea che Bill potesse anche solo avere il dubbio che Lara significasse veramente qualcosa per lui. “È solo uno sfizio, come tanti altri.”

Bill si guardò le mani le sue dita presero a giocherellare con un anello che portava.

“Be’, dovresti cominciare a rifletterci bene sui tuoi sfizi,” disse con apparente casualità, occhieggiandolo rapidamente. “Prima o poi qualcuno si farà male.”

Tom si sentì ingiustamente accusato. Ammesso e non concesso che il suo tatto nei confronti del prossimo poteva qualche volta dimostrarsi non proprio infallibile, si considerava una persona cristallina in quanto ad intenzioni, e le sue intenzioni con le ragazze – quelle come Lara, soprattutto – erano le stesse da anni, e sempre inequivocabilmente trasparenti: divertimento sì, impegni no, e se qualcuna non era d’accordo, poteva anche andarsene al diavolo.

“Che cosa vorresti insinuare?” replicò, offeso.

“Niente,” disse Bill. “Solo che magari sei talmente abituato ad avere tutto quello che vuoi, che potresti non essere più in grado di distinguere un capriccio da qualcosa che desideri davvero.”

Parole simili ce le si poteva aspettare da un animo serio e riflessivo come quello di Georg, o anche da Gustav, ma sentirle da Bill, il centro dell’universo che viveva immerso ed abbagliato dalla sua stessa luce, era quasi inquietante. Eppure, nel profondo, Tom sapeva che forse poteva aveva un barlume di ragione.

“Mi fai paura quando fai certi discorsi,” Blaterò, messo a disagio dalla piega che stava  prendendo il discorso. “Piuttosto, com’è andata al cinema?”

Bill gli scoccò un’occhiata penetrante, trasmettendogli tutta la sua disapprovazione per lo sleale tentativo di deviare la conversazione, ma, stranamente, gliela lasciò passare liscia.

“Bene,” rispose. “Abbiamo guardato L’Era Glaciale 3.”

Non era difficile immaginare Bill inchiodato davanti ad un megaschermo a sganasciarsi dalle risate per un film simile. Forse per Gustav potevano esserci intrattenimenti migliori, ma Bill ed Emily dovevano essersela spassata alla grande.

“Gustav ti ha comprato le caramelle?” gli domandò Tom, arricciando gli angoli della bocca, mentre si sistemava l’asciugamano attorno al collo. Bill gli fece una linguaccia.

“Me le sono comprate da solo,” ribatté compunto. “E le ho comprate anche ad Emily.”

“Immagino la faccia del tizio della cassa quando gli hai allungato una banconota da duecento euro per pagare quattro orsetti gommosi...”

“Quella è stata la faccia del tizio della biglietteria,” precisò Bill. “Quando siamo arrivati al bar avevo già qualche spicciolo del resto. Tu cos’hai fatto, invece?” contrattaccò poi, toccando un altro tasto che Tom avrebbe preferito sorvolare. “Non sarai mica stato fuori da solo tutta la notte?”

Tom batté le palpebre, cercando di decidere se fosse il caso di mentire e venire sconsideratamente smascherato, oppure essere vago e attirare ulteriori indagini.

“No, ero con… Con una ragazza.” Confessò, optando per la seconda scelta.

“Che non era Lara.” Dedusse Bill.

“No.”

Bill sembrò rimuginarci sopra per un po’, ma la sua faccia diceva chiaro e tondo che, in quanto ad onniscienza sulla mente di Tom Kaulitz, dio ed il diavolo gli facevano un baffo.

“Perché non me lo vuoi dire?” mormorò piattamente.

Pur consapevole dell’inutilità del perseverare a fare lo gnorri, Tom preferì rischiare. Magari, per una volta, Bill non aveva capito un bel niente. E magari la terra era piatta.

“Dire cosa?”

Gli occhi di Bill, inchiodati seriamente nei suoi, stavano praticamente urlando ‘Ma chi cazzo vuoi prendere in giro?’.

“Che sei uscito con lei.”

Tom si chiese se un battito cardiaco saltato fosse da aggiungere alla lista di strani sintomi che da qualche giorno aveva cominciato ad accusare.

“Ma se ti ho detto che non era Lara!”

“Non sto parlando di Lara, Tom.”

E a quel punto Tom seppe che, tolte le bugie, non aveva più alternative.

 

***

 

Tentare di parlare seriamente con Tom quando Tom era a mollo nella sua beata aura di negazione era un’impresa molto vicina all’impossibile, che soltanto Bill generalmente aveva qualche speranza di riuscire a portare a termine, però stavolta aveva serie perplessità: se si fosse trattato di una qualsiasi delle ragazze su cui suo fratello aveva messo gli occhi durante la sua esistenza, non ci sarebbe nemmeno stato da discutere, la storia si sarebbe spontaneamente esaurita in breve tempo e senza ripercussioni degne di nota, ma trattandosi di Vibeke, la faccenda era completamente diversa, nonché sorprendentemente nuova.

“Allora,” Guardò Tom paziente. “Cosa mi dici?”

“Bill, ma cosa vuoi che ci sia da dire?” scattò lui, senza ricambiare la pazienza. “Volevo svagarmi un po’, tutto qui, e lo sai che lei è il mio passatempo preferito.”

Bill sospirò. Avrebbe potuto provarci quanto voleva, ma senza mezzi espliciti quella testa dura non avrebbe mai compreso nemmeno un irrisorio frammento di tutta la storia.

Non riuscirò mai a farti capire, vero?

“Allora perché non me lo hai detto e basta?” insisté. Tom, però, sembrava spiazzato.

“Perché… Be’, perché non era importante!”

Non era importante…

Bill si permise di dissentire.

“Tom,” Il suo sguardo si fece più serio. “In genere le cose non importanti sono le uniche che racconti.”

“Oh, che palle!” Si arrabbiò Tom, stritolandosi tra le dita la fascia e il cappellino. “Comincerò a tenere un diario tutto per te su cui annoterò anche quando vado al cesso, contento?”

“No, per niente,” controbatté Bill, picchiando due pugni infuriati contro il materasso. “Ci siamo sempre detti tutto – tutto! – e non capisco perché questo non dovesse rientrare in quel tutto!”

Tom rimase immobile accanto alla porta, solenne e pallido in volto.

“Non era rilevante, punto.” Sentenziò perentorio.

Bill si arrese. Forse era troppo presto per farlo ragionare, forse non sarebbe mai stato il momento giusto. In fin dei conti, Tom non rispondeva che a se stesso, e con questi ritmi avrebbe capito cosa stava succedendo solo quando sarebbe stato troppo tardi. Ciò che fece desistere Bill fu il nervosismo che stava cominciando ad emergere nel proprio fratello: non aveva senso affrontare logoranti botta e risposta se mancava la volontà di collaborazione da una delle due parti.

“Ok,” mollò impotente, sollevando le mani. “Come vuoi tu.”

“Bene.”

Soddisfatto, Tom abbassò la maniglia e dischiuse la porta.

“Tomi…” Lo fermò Bill per la seconda volta, e, di nuovo, lui si voltò per starlo a sentire:

“Cosa?”

Bill si chiese quanto male poteva andare a finire tutto quanto, e per chi.

Sei un cretino.

“Hai ancora del rossetto vicino al mento.” Gli rivelò, picchiettandosi un dito su quel punto preciso.

“Oh,” Tom si sfregò precipitosamente una mano sul mento, “Grazie,” Si fissò brevemente la mano, poi lasciò perdere ed aprì del tutto la porta, uscendo. “Buonanotte.” Disse a Bill, prima di richiudere la porta dietro di sé.

Rimasto solo, Bill si lasciò cadere all’indietro sul letto e si mise ad osservare il soffitto a braccia spalancate, un’infinita concatenazione di pensieri a scorrergli brulicante nella testa, i Placebo che suonavano imperterriti dal loro cd.

Days before you came
Freezing, cold and empty…

Quella particolare strofa gli ricordava molto Tom e tutto quello che stava succedendo.

Days before you came
It always seemed enticing
To be naked and profane
There is no denying…

Bill si sfilò il cuscino da sotto la testa e se lo premette sul viso, soffocando un’imprecazione.

Apri gli occhi, razza di idiota…

 

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Note: Scusatescusatescusatescusatescusatescusatescusate! Sono davvero desolata per il ritardo mostruoso, ma la stesura di questo capitolo è stata funestata da tragici eventi (quali un paio di vacanzucce meritate, tra l’altro u___u) e ci ho messo secoli più lunghi del solito a finirlo. Sono sinceramente addolorata, spero solo che l’attesa sia stata almeno in parte ripagata.

Come al solito, ringrazio tutti quanti per i commenti e le aggiunte in MSN. Probabilmente senza il vostro entusiasmo e supporto non sarei mai nemmeno riuscita a scrivere un’intera ff, figuriamoci due (o più :3). Comunque, vi annoierò poco con le note, fa caldo e sono stanchina, quindi vi lascio solo il link al bellissimo disegno che la nostra talentuosa disegnatrice CowgirlSara ha fatto di Vibeke. Specifico anche che la canzone citata alla fine del capitolo è la bellissima Days Before You Came, ovviamente dei Placebo, la cui traduzione magari può essere meno immediata delle altre, quindi ve la metto: “giorni prima che arrivassi tu, sembrava sempre eccitante, essere nudi e profani, impossibile negarlo…” (e se non è Tomi questo… XD)

Ciò detto, vi saluto con un grosso bacio au Tokio Hotel, e vi do appuntamento al prossimo capitolo!

P.S. un grazie ai miei due Angeli del Concerto (sigh), Ladynotorius e Lady Vibeke, rispettivamente per aver preso posto davanti a Georg ed averlo difeso per conto mio (e anche per non averlo consumato troppo con pensieri peccaminosi) e per aver fatto delle foto assolutamente stupende che, sì, mi hanno un po' fatto male al cuore, ma anche fatto venire le palpitazioni. Ich liebe euch, anche se voi magari mi amate un po' meno (vero, milady? XD)Dedico questo capitolo a loro e ad Ale, perché è un amore e prima o poi la sposerò. XD

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Capitolo 12
*** As We Lie Here ***


Kaulitz mi ha baciata.

Di nuovo.

Io ho baciato Kaulitz.

Di nuovo.

Ci siamo messi a pomiciare nell’ingresso del suo palazzo.

Novità.

Stavamo per fare sesso nell’ingresso del suo palazzo.

Altra novità, benché relativa.

Non lo abbiamo fatto. Per un soffio.

Ulteriore novità, discutibilmente benaccolta.

Kaulitz sembrava parecchio preso.

Altra ulteriore novità.

Io lo uccido.

Nessuna novità.

Quello che stava succedendo tra lei e Tom, qualunque cosa fosse, doveva finire, e al più presto, perché Vibeke non era mai stata brava a gestire i rapporti a lunga durata le cui premesse fondamentali erano le due magiche parole preferite di ogni uomo – e quindi di Tom in particolar modo – ossia ‘solo sesso’.

Il problema di fondo era sostanzialmente uno ed uno solo: non aveva la più pallida e vaga idea di cosa stesse capitando.

Da che si erano conosciuti (contando anche la famosa notte dell’after party) lei e Tom avevano passato ogni singolo giorno a litigare ed urlarsi contro, ad ingaggiare battaglie di botta e risposta acidi e sprezzanti che solitamente avevano il potere di far dileguare chiunque nel raggi di diverse decine di metri, ma Vibeke non era un’ingenua, e nemmeno stupida, era cosciente che le litigate altro non erano che la punta di un iceberg che galleggiava in acque ben diverse. Era sicura che anche gli altri lo avessero notato – Gustav e Georg, ma Bill prima di tutti – ma era anche altrettanto sicura che Tom fosse quasi del tutto ignaro del reale significato dei loro imperterriti scontri.

Eppure era ovvio, era evidente: la tensione sessuale tra loro due era fin da sempre stata alle stelle.

Con un sospiro avvilito, Vibeke si appoggiò con le spalle al muro e chiuse gli occhi, restando ad ascoltare la propria testa che pulsava, tormentata da un fastidioso ronzio monotono.

Stupido Kaulitz.

La casa era vuota, silenziosa, ordinata. Non sembrava nemmeno di essere nello stesso appartamento in cui aveva messo piede per la prima volta un mese prima.

Aveva messo su un cd a caso, uno di quelli senza nome che rinveniva in ogni angolo della casa, poi  aveva riposto la spesa nel frigo e nella credenza, aveva raccolto un mucchio di vestiti in giro per le stanze e li aveva buttati in lavatrice, poi ancora aveva sistemato la camera di Bill, aveva sorriso di fronte a quella perfettamente ordinata di Gustav ed ora stava per passare a quella di Georg.

La camera di Tom era stata saltata di netto.

Con alle spalle tre ore scarse di sonno e una nottata come quella appena trascorsa, Vibeke era ben felice che i ragazzi fossero tutti andati ad accompagnare Nicole ed Emily in aeroporto. Da quel che aveva capito, Nicole aveva una sorella a Parigi, che aveva un bambino di pochi mesi, e sarebbe stata da lei per qualche giorno, prima di tornare a Lipsia.

Vibeke aprì svogliatamente la seconda porta sulla sinistra del corridoio ed entrò, trovandola molto meno caotica del solito. Con una punta di fastidio, si accorse che era rimasto qualcosa di Nicole, là dentro, un accenno di profumo di limone che aleggiava sopra all’insolito ordine armonico. Si chiese se ci fosse sempre stato, o se lo notava ora per la prima volta solo perché aveva conosciuto Nicole, ma decise che non le importava saperlo. Tutto ciò che voleva era avere qualcosa di pratico da fare, che le tenesse la mente impegnata. Presto o tardi, per il proprio bene, avrebbe dovuto affrontare con Tom un certo discorso, o la situazione le sarebbe sfuggita di mano.

Anche se per una volta non hai il controllo assoluto su tutto, non muore nessuno, sai?, le fece notare la voce che albergava, per lo più indesideratamente, dentro la sua testa. Vibeke aveva massacrato quella voce con il pensiero più e più volte, ma quella resisteva, e, anzi, ogni volta sembrava ritornare più forte di prima.

Peccato solo che a lei non interessasse quello che aveva da dirle.

Si guardò attorno: non c’era molto che potesse fare, perciò si limitò ad aprire un po’ la finestra per cambiare l’aria mentre sistemava il letto già rifatto. Era già sulla porta quando una forza invisibile la trattenne dall’uscire e la fece voltare. Senza capire cosa fosse quella strana sensazione, Vibeke si guardò attorno, accertandosi che non ci fosse nulla fuoriposto, ma proprio mentre lo faceva si accorse che c’era un dettaglio inconsueto, un particolare così discreto che le era sfuggito alla prima occhiata, e che però adesso sembrava chiamarla verso di sé con un potere invincibile.

Era riuscita a resistere per settimane alla curiosità, non aveva mai nemmeno toccato il comodino di Georg, dimostrandosi sempre rispettosa della sua privacy, ma stavolta non c’era bisogno dia aprire niente, perché quello che aveva sempre sperato di trovare era lì, che la guardava dalla sgombra superficie bianca del mobile, dimenticato tra un libro e una pila di cd: il piccolo telecomando della cornice digitale.

Non è affar tuo, le ricordò la sua coscienza, ma, per sua stessa ammissione, Vibeke non era mai stata soggetta agli influssi della propria coscienza, perciò, pur riuscendo a resistere per almeno mezzo minuto, proprio non fu capace di fermare se stessa: in quattro rapidi passi arrivò accanto al comodino ed allungò una mano per afferrare il minuscolo telecomando piatto. Era così sottile e leggero che per un istante le venne il dubbio che fosse finto, che fosse stato lasciato lì apposta per trarla in inganno, ma era un pensiero tanto insensato quanto inutile, e fu in breve messo a tacere.

Esitando, si sedette sul letto e si chiese se veramente era così ansiosa di scoprire che cosa ci fosse nella memoria di quella maledetta cornice, se veramente le andava di ficcare il naso senza permesso nella vita privata di Georg e scoprire cose che ancora non sapeva.

Ma che male c’era, infondo? Le cornici servivano a mostrare le fotografie che contenevano, era quello il loro scopo, la loro funzione, e sicuramente non avrebbe trovato nulla di sconvolgente, una volta accesala. Sarebbe stato utile, per lei, vedere con occhio distaccato dei ricordi che probabilmente avrebbe invidiato per l’eternità.

Un viaggio terapeutico in quello che non avrò mai.

Si passò la lingua sulle labbra, accarezzando i due piercing, e sfiorò con un dito il comando dell’accensione. Lo schermo della cornice prese vita in un vivace turbinio di puntini colorati che andarono a formare una prima immagine, qualcosa che Vibeke si era fermamente aspettata di vedere e che fu lieta di trovare: quattro ragazzini dall’aspetto sbarazzino e vivace aggrappati in fila ad una ringhiera, buffissimi ed incredibilmente teneri, poco più che bambini.

Vibeke si scoprì a sorridere.

La cucciolata all’alba dei tempi.

Premette ‘slide’, e le immagini cominciarono a susseguirsi lentamente una dietro l’altra, dissolvendosi per lasciare posto a combinazioni differenti di luoghi, persone, pose ed espressioni, la storia di Georg e dei Tokio Hotel raccontata in un album di pixel animati.

In una foto c’erano i Tokio Hotel al gran completo, sudati ma sorridenti, ed in mezzo a loro Nicole, il visto sciupato di chi aveva appena pianto, con Emily in braccio, e Wilhelm in braccio ad Emily. In un’altra Bill teneva sollevata un’estremità di un biliardino con un’espressione infuriata, mentre Georg e Tom, dall’altra parte, ridevano a crepapelle. Un’altra ancora ritraeva Georg con una bella donna di mezza età dagli occhi verdi e i corti capelli biondi, l’uno che teneva un braccio sulle spalle dell’altra, entrambi che sorridevano all’obiettivo con una bella villetta ordinata alle spalle. Vibeke divorò le fotografie una per una, ridendo per alcune e commuovendosi per altre: Bill rannicchiato in un sedile del tourbus, profondamente addormentato, con una scatola di biscotti tra le mani; Gustav che suonava la batteria con Emily seduta sulle ginocchia in una luminosa stanza rivestita di legno al cospetto di Tom, Georg e Nicole, gli ultimi due stretti l’uno all’altra a guardarsi negli occhi, colti probabilmente mentre stavano per scambiarsi un bacio; David che urlava verso qualcuno dal capo di un corridoio, Benjamin alle sue spalle che ridacchiava; una gigantesca torta decorata con panna montata e cioccolato deturpata da quattro dita impazienti; Georg che posava fieramente davanti a tre lussuose auto nere allineate in un girdino; Georg e Gustav in aereo che dormivano placidamente l’uno contro l’altro; Nicole che usciva dal bagno tamponandosi i lunghi capelli bagnati, colta di sorpresa da un click evidentemente inatteso, gli occhi cerulei sgranati ma divertiti.

Vibeke riuscì appena a notare il parallelismo con la foto simile a quella che lei stessa aveva, ma poi qualcosa la distrasse, un’immagine che le fece inconsciamente premere il tasto ‘pausa’ sul piccolo telecomando.

Stop and stare…

Tom se ne stava seduto a terra in salotto, con indosso una banalissima tuta bianca, i capelli tenuti legati da una bandana piegata, due enormi cuffie alle orecchie, ed in piedi accanto a lui c’era Emily, imbacuccata in una felpa da uomo che le pendeva da ogni parte, china verso di lui con le labbra protese in un bacio affettuoso che gli sfiorava l’angolo di un sorriso molto diverso dai suoi soliti, spontaneo e dolce, identico a quelli di Bill. Ed era più forte di lei, ma non riusciva a passare alla fotografia successiva.

You start to wonder why you’re here, not there…

Vibeke sorrise senza nemmeno rendersene conto. Le piaceva quel Kaulitz in versione umana, completamente spoglio del suo solito atteggiamento borioso, illuminato da quel sorriso indescrivibile che non si sarebbe mai aspettata di vedere su di lui. Ed era così bello, così vero

Sembrava un’altra persona, la persona che esisteva realmente sotto alla facciata ufficiale, la persona a cui, volente o nolente, Vibeke aveva imparato a voler bene.

And you’d give anything to get what’s fair…

Ma in fondo non era solo a quel Tom nascosto che voleva bene, perché era vero che lui non era l’essere tronfio ed insopportabile che voleva far credere, ma era anche vero che parte di quel suo modo di mostrarsi era reale, ed aveva il suo ruvido fascino.

In fin dei conti, Vibeke non aveva mai amato la perfezione.

But fair ain’t what you really need…

Quello che vedeva le sembrava quasi un quadro, una finzione, la distorsione di una realtà già alterata, un istante rubato alla casualità che le aveva smosso qualcosa di indefinito dentro, quello stesso qualcosa che le impediva di smettere di sorridere.

Can you see what I see?

Vibeke fece per premere il tasto ‘play’ per far ripartire la sequenza di foto, ormai curiosa oltre ogni limite, ma un rumore improvviso la fece scattare nervosamente e si ritrovò così ad incontrare uno sguardo interrogativo ed anche un po’ accusatorio:

“Che diavolo stai facendo?”

 

***

 

Nonostante avesse mille altre cose per la testa, e nonostante anche il fatto che lei avesse assunto una strana espressione colpevole, la prima cosa che Tom pensò quando vide Vibeke fu: com’è bella, oggi.

Era una cosa abbastanza sciocca da pensare, soprattutto perché non aveva nulla di diverso dagli altri giorni, se non forse un look un po’ più sobrio, nonostante le intramontabili borchie ai polsi: jeans neri, scarpe sportive, maglietta nera con scollo a V e appena un tocco di trucco. Per l’appunto, nulla di speciale.

Forse quello che gli piaceva era la treccia che le raccoglieva i capelli fino a metà della loro lunghezza, lasciandole così il viso libero dalla solita cortina corvina, eccezion fatta per qualche ciuffo indisciplinato che le sfiorava la mandibola e il collo. Che si trattasse di un dettaglio dell’abbigliamento, o di una parola detta con un certo tono, o di un gesto casuale, in un modo o nell’atro Vibeke riusciva sempre ad attirare l’attenzione di Tom, e sempre involontariamente.

C’era qualcosa in lei, in quel suo sguardo grigioverde, che lo metteva sempre sulla difensiva, come se essere guardato da lei potesse in qualche oscura maniera rappresentare una minaccia alla propria persona. Era una sensazione che non gradiva affatto.

Stupida Vi.

Senza scomporsi, Vibeke posò la cornice digitale di Georg sul comò e la spense con un click sordo del telecomando.

“Dove sono gli altri?” gli domandò con nonchalance.

“Georg e Gustav in palestra,” le rispose, sfilandosi il cappellino mentre entrava a piedi nudi. “Bill è allo studio, doveva rivedere la traduzione di Ich Bin Nich’ Ich con David.”

“Va bene,”  disse Vibeke, alzandosi. “Finisco di sistemare un paio di cose e poi vado, devo portare l’Audi di Gud a farla lavare.”

Fece per uscire dalla stanza, ma Tom le si parò davanti, bloccandole la strada. Non le avrebbe permesso di farla franca un’altra volta.

“No, Vi, stavolta non mi scappi.”

Perplessa, Vibeke lo occhieggiò interrogativamente.

“Scusa?”

Tom fece un passo verso di lei, e lei automaticamente fece un passo indietro.

“Te ne scappi sempre via non appena il gioco inizia a farsi interessante,” Disse Tom, procedendo ancora, e lei arretrò di conseguenza, fino a che non si ritrovò ad urtare il bordo del letto di Georg. A quel punto, Tom sorrise trionfante. “E sta cominciando a diventare pesante…”

Vibeke era alta, abbastanza da riuscire a guardarlo direttamente negli occhi e capire le sue intenzioni. Abbastanza perché a lui bastasse semplicemente afferrarle i polsi ed attirarla verso di sé per baciarla.

 

***

 

Io lo ammazzo.

Vibeke se ne stava ferma e immobile con i polsi stretti dalla morsa di acciaio delle mani di Tom, lasciandosi baciare come se non avesse altra scelta.

Lo ammazzo, giuro.

Quello che non sopportava non era tanto il bacio in sé – anzi, quello era tutt’altro che sopportabile – ma piuttosto la propria incapacità assoluta di impedirlo. Ogniqualvolta decideva di divertirsi un po’ con lei, Tom le lasciava tutto il tempo di prendere atto dei propri piani con discreto anticipo, eppure lei ancora non era stata in grado di fermarlo. Era successo quella sera dopo il party, e nella sua camera da letto, e ancora la sera prima nell’ingresso del palazzo, e ora la storia si stava ripetendo.

Era una cosa che non si spiegava e che le dava incredibilmente sui nervi.

Probabilmente quello era anche il particolare che più conturbava Tom, il fatto che lei, per quanto ci provasse, non fosse fisicamente in grado di resistergli.

E mentre le grandi mani di Tom prendevano possesso dei suoi fianchi e la sua lingua si divertiva a stuzzicarla in punti decisamente sensibili, Vibeke dovette necessariamente ricredersi su quello che aveva finora pensato di tutte quelle ragazze che erano finite a letto con lui: potevi avere tutta la determinazione del mondo, tutta la dignità e la moralità possibili, potevi essere la persona più eticamente integra ed incorruttibile che esistesse, ma se Tom Kaulitz decideva che ti voleva, non c’era nulla che tu potessi fare per impedirgli di averti in assoluta connivenza.

Era ridicolo che un marmocchio di nemmeno vent’anni riuscisse a soggiogarla a tal punto da farle perdere il proprio senso di volontà, era umiliante e svilente e intollerabilmente annientante.

Eppure continuava a stare al gioco.

Il problema era che essere baciata da lui le piaceva, e una parte non proprio esigua di lei era dittatorialmente governata dalla logica schiacciante che non aveva senso interrompere qualcosa di così gradito.

Non aiutava nemmeno il fatto che il suo cuore fosse partito in quinta in una raffica percussionistica che avrebbe tranquillamente messo in ginocchio anche la migliore performance di Gustav.

Sia accorse che Tom, baciandola, la stava lentamente spingendo all’indietro e verso il basso, accompagnandola con la salda presa delle proprie braccia. Ci fu un istante – un brevissimo attimo quasi inesistente – durante il quale lui si separò da lei per lasciarsi cadere seduto sul letto al suo fianco, e Vibeke colse al volo quella microscopica occasione per riprendere un minimo di controllo su se stessa. Quando Tom fece per riprendere a baciarla, infatti, lei lo respinse.

“Così non va, Kaulitz,” lo avvertì, sforzandosi di tornare a respirare normalmente. “È ora di mettere qualche paletto tra noi due.”

Lui sbatteva le palpebre, ovviamente stupito, e la guadava con una punta di impazienza.

“Di che diavolo parli?”

“Tu stai con Miss Germania.”

Seduto al suo fianco, Tom emise un rauco suono gutturale.

“Ma cosa dici?” sbuffò. “Io non sto affatto con Lara, ci vado a letto e basta!”

Vibeke sollevò scetticamente un sopracciglio.

Adesso sì che hai migliorato la tua posizione.

“E il mio ruolo in questa situazione quale sarebbe?” domandò con leggerezza. “Puttana Numero Due? Scopata Di Riserva?”

Gli occhi di Tom la scrutarono severamente, come se gli avesse appena rivolto chissà quale pesante calunnia.

“Non facevi tanto la ritrosa sui sedili della mia macchina.”

Vibeke tentò in ogni modo di impedire alla propria mandibola di cedere, ma, proprio mentre il suo battito cardiaco cessava di punto in bianco, fallì.

Lo sapeva, pensò senza fiato. L’ha sempre saputo…

Ricambiò ostilmente lo sguardo, chiedendosi perché avesse aspettato fino ad adesso per giocare quella carta. Conoscendolo, era probabile che avesse atteso il momento giusto e più propizio per spiazzarla a proprio favore, ed in effetti Vibeke doveva riconoscere che c’era egregiamente riuscito.

“Quindi te lo ricordavi…” mormorò arida.

“Non proprio,” Con un’alzata di spalle, Tom si sdraiò comodamente sul grande letto di Georg, le braccia piegate sotto alla testa. “Ci ho messo un po’ a collegare le varie cose,” Ammise, poi esibì un ghigno che era malizia pura. “Nota di merito al messaggio sullo scontrino, fra parentesi.”

Nonostante tutto, Vibeke avrebbe voluto ridere, ma scelse di evitare: doveva riuscire a mantenere il tono della conversazione sul serio il più a lungo possibile, o Tom avrebbe di nuovo preso il sopravvento. Non riuscì però a risparmiarsi un tono divertito.

“E le mie mutandine?”

L’espressione felina di Tom per poco non le estorse un mezzo sorriso.

“Non è nel mio stile appendere certi trofei in cucina,” le confessò. “Ho preferito un posto più personale.”

“Tipo?”

“Sembri stupita…” svicolò lui, beffardo.

Vibeke aveva una certa difficoltà a restare concentrata stando sul letto di Georg con Tom scompostamente sdraiato accanto a lei che la guardava in quel modo così spudoratamente ammiccante e lascivo.

“Lo sono,” riuscì a dire, sentendosi la bocca diventare sempre più secca. “Insomma, dopo averti conosciuto, credevo che tu le avessi buttate tra gli altri milioni che tieni nel cassetto in camera.”

Tom socchiuse leggermente gli occhi, piegando il capo di lato.

“E come sai che non l’ho fatto?”

Lei tacque, tormentandosi ansiosamente i piercing del labbro.

Passo falso, gaffe vergognosa, lapsus critico.

“Tu hai cercato!” esclamò Tom, battendosi una mano sul ginocchio mentre si rotolava sul letto, apparentemente molto compiaciuto. “Non ci posso credere!”

Vibeke gli sferrò un bello schiaffo sonoro sulla gamba.

Scusate, pie fans, ma Tom Kaulitz deve morire.

“E tu ti sei davvero tenuto la mia lingerie e il mio biglietto cretino per tutto questo tempo?” replicò, alzando la voce per farsi sentire al di sopra dei suoi sghignazzamenti.

“Me l’hai detto tu di non buttarla.” Rispose Tom, mettendosi seduto, i gomiti appoggiati alle ginocchia piegate.

“No,” lo corresse lei. “Io l’ho detto ad uno sconosciuto che non avrei mai più rivisto non a… A te!”

Tom, comunque, pensò bene di metterla al corrente dei dettagli:

“Li ho messi nel cassetto del bagno, se ti interessa.”

Nel sentire quella rivelazione, a Vibeke scattò una scintilla nella testa: si ricordò del giorno in cui gli aveva medicato il taglio alla mano: era stata sul punto di aprire quel cassetto, ma lui l’aveva fermata, e con un’urgenza che al momento lei non aveva notato.

“No che non mi interessa,” ci tenne a chiarire. “Comunque non era di questo che volevo parlare.” Aggiunse, scoccandogli un’occhiata penetrante.

Tom non perse la sua aria rilassata.

“E di che cosa, allora?”

Di quanto tu non ti renda conto della tua insensibilità verso il prossimo.

“Devi smetterla di approfittarti di me come se fossi la tua bambola gonfiabile personale,” gli spiattellò in faccia, riuscendo peraltro a togliergli quell’odiosa espressione spavalda. “Non mi sta bene. Magari alla tua Lara e al resto delle oche che ti fai di solito piace essere usate, ma a me no, quindi vediamo di ripristinare le vecchie e sane distanze di sicurezza.”

“Io non ti uso,” ribattè Tom, sistemandosi un paio di cuscini dietro la schiena per appoggiarsi alla testata del letto. “Tu sei stata decisamente partecipe in qualunque iniziativa io abbia mai preso con te.”

“Ed ho sbagliato.”

“Sembrava che ti piacesse, però.”

Vibeke cominciava ad essere stanca del menefreghismo di Tom: parlare con un muro avrebbe sicuramente dato frutti migliori. Ma questa volta non avrebbe fatto finta di niente, era arrivato il momento di ricordargli una volta per tutte che gli esseri viventi, di qualsivoglia specie e sesso, meritavano di ricevere da Tom Kaulitz lo stesso rispetto che Tom kaulitz riservava a se stesso.

“Tu continui a non afferrare in nocciolo della questione,” insistette. “Per quanto possa essermi piaciuto – perché, va bene, non nego che tu sappia il fatto tuo – non mi piace altrettanto l’idea di diventare il giocattolino saltuario di uno come te.”

Lo guardò con tutta la durezza di cui era capace, ricevendo in ritorno uno sguardo basito.

E ora prova a non prenderne atto.

 

***

 

Che Tom non fosse uno stinco di santo ormai lo sapevano anche le galassie attigue, quindi figurarsi se lui stesso non ne fosse consapevole, ma sinceramente trovava che Vibeke la stesse facendo troppo lunga.

Non fossero bastati Bill e Gustav a fare gli angeli del gruppo, ora perfino Georg sembrava aver messo definitivamente la testa a posto, lasciando così Tom ad essere l’unico portabandiera di quella sana e meravigliosa pratica che era il sesso occasionale.

Uno come me?” ripeté in tono di sfida, ma Vibeke non si lasciò intimidire.

“Non sono disposta ad assecondare i tuoi bisogni primordiali come se il sesso fosse un passatempo come un altro, mi sono spiegata?” disse con decisione. “Sì, è piacevole, ma non è un gioco, quindi smettiamola di comportarci come se lo fosse. Io non sono Lara, Tom, ficcatelo in testa.”

Tom la fissò negli occhi per lunghi, intensi secondi, domandandosi fino a che punto sia lui che lei avessero potuto fraintendere le cose.

È Lara che non è te, Vi, disse il suo lato sincero, tenuto scrupolosamente relegato in qualche anfratto oscuro del dominante Tom padrone della situazione. Il Tom bugiardo, o forse semplicemente ingenuo.

“Io non uso nessuno, chiaro?” dichiarò sostenuto. “Non ho mai nemmeno sfiorato una ragazza che non fosse più che consenziente.”

“Non è una questione di consenzienza, è che tu non ti fermi mai a pensare agli altri, perché vieni sempre tu prima di tutto!”

“Piantala di farmi la paternale, Vi, sei solo gelosa marcia di Lara!” Esplose Tom, senza quasi accorgersene. “Ammettilo, io ti piaccio e non sopporti che io mi veda con lei!”

Vibeke era livida e furibonda, gli occhi lampeggianti, le guance arrossate.

“Kaulitz, te lo ripeterò per l’ennesima volta: io odio i palloni gonfiati!” gli sbraitò contro.

Tom però non era più disposto a lasciarsi dare dello stronzo gratuitamente: ce l’aveva messa tutta a comportarsi meglio con lei e meritava un minimo di riconoscenza.

“Sono stato gentile con te,” le fece notare, alterato. “Abbiamo chiacchierato come persone civili, l’altra sera, e mi sembra che sia stata un’esperienza quantomeno gradevole per entrambi,” Si interruppe brevemente, il respiro accelerato dal nervosismo. “Cosa cazzo devo fare ancora per non essere più un cazzo di pallone gonfiato a quei tuoi cazzo di occhi bicromi?”

“Intanto smettere di usare ‘cazzo’ al posto delle normali pause tra le parole.”

“Ma senti da che pulpito! Ha parlato Miss Raffinatezza!”

“Sei un cafone pieno di sé da far vomitare!” esclamò Vibeke, piantando le unghie nere nel copriletto rosso. “Ci sei solo tu in questo tuo ridicolo mondo ristretto! Tom Kaulitz pensa solo a Tom Kaulitz, aiuta solo Tom Kaulitz, ama solo Tom Kaulitz! Mi fai schifo!”

“Ci stai facendo la figura della visionaria, lo sai o no?” sbottò Tom in contrattacco, sbattendo rabbiosamente le mani contro il materasso.

“Oseresti anche darmi torto?”

“Tu hai torto, stupida, e nemmeno te ne vuoi rendere conto!”

“Ah, certo, posso immaginare quanto smisurato e profondo affetto tu nutra per quella sgualdrina che ti sbatti ogni tanto!”

“Lo vedi che sei stupida?”

“Piantala di darmi della stupida, qui lo stupido sei tu!”

“E tu sei una stronza ancheggiatrice che ama provocare!”

Ad ogni urlo corrispondeva un millimetro in più di avvicinamento l’uno verso l’altra, ad ogni decibel che si alzava, un inasprimento delle loro espressioni.

“Io non ancheggio!” protestò Vibeke con fervore.

“Allora sculetti!” replicò Tom, e lei fece schioccare la lingua.

“Dio, sei proprio un bambino!”

Vicini com’erano, Tom poteva quasi specchiarsi nei suoi occhi chiari, che lo osservavano con un’irritazione bruciante che, assieme al fatto che si trovavano su un letto non suo, gli stava suscitando un discreto desiderio.

“Però ti piaccio.” Osò dire, accompagnando l’azzardo degli azzardi con un sorriso sfacciato, soddisfatto, poi, di vederla sgranare gli occhi e ricomporsi subito dopo.

“Sei completamente fuori strada.”

Ma ormai Tom ci aveva preso gusto.

“Dai, ammettilo!” Perseverò imperterrito.

“Nemmeno per sogno!”

“Quindi ti piaccio,” disse, facendo scivolare le proprie mani sulle sue, intrappolandola così nella propria presa. “Ma non lo vuoi ammettere.”

Vibeke tentò, ovviamente invano, di divincolarsi.

“Toglimi le mani di dosso, Kaulitz!”

Tom le sorrise angelico.

“Solo se tu ammetti che ti piaccio.”

“Cioè se mento spudoratamente?” berciò lei, strattonando inutilmente le proprie mani, che Tom le teneva incollate al letto.

“Posso accontentarmi.” Le disse lui, indulgente.

“Scordatelo.” Vibeke esitò, con Tom ad un palmo dal naso. Un lieve rossore quasi invisibile le affiorava sulle guance, mentre lui avanzava lentamente, le mani ancora ben artigliate ai suoi polsi.

“Allora dimmi per cosa cazzo sta quella v puntata.” propose lui come equo scambio. Con sua immensa sorpresa, lei sembrò valutare seriamente l’offerta:

“Se te lo dico mi molli?”

“Sì.”

Tom era così incredulo e compiaciuto che per poco non la lasciò andare inavvertitamente. Si era arrovellato per secoli su quella maledetta V., e finalmente la sua curiosità sarebbe stata appagata.

Vibeke tentennò a lungo, tanto che alla fine lui si convinse che non glielo avrebbe affatto detto, ma poi, con un sospiro di resa, svelò il tanto sospirato arcano:

“Vanessa.” Mormorò fra i denti.

“Vanessa?” Tom riusciva a stento a trattenersi dal ridere. “Il tuo secondo nome è Vanessa? Vibeke Vanessa Wolner?”

“Ecco, lo vedi? Per questo non volevo che lo sapessi.”

“È un bel nome, molto femminile.”

“E non c’entra niente con me.”

“Ti sta bene, invece.”

“È lo stesso secondo nome che porta mia madre.” specificò lei flebilmente.

“Ora mi spiego tante cose.” rifletté lui.

“Avevi promesso di mollarmi, se sputavo il rospo.”

“Ah, giusto, dimenticavo,” Tom sogghignò perfidamente. “Ho mentito.”

Non le lasciò il tempo di replicare. Con uno scatto felino abbassò le proprie labbra sulle sue e la imprigionò in un bacio furtivo.

Vibeke rimase immobile per diversi istanti, lasciandosi baciare passivamente, attonita. Le intenzioni di Tom erano state ben chiare, avrebbe potuto fermarlo, avrebbe potuto impedirglielo, ma per qualche ragione non lo aveva fatto.

Il bacio, comunque, durò poco, perché stavolta Vibeke ci mise pochi secondi a reagire e staccarselo di dosso con un gesto deciso.

 “Vi…”

Lei preferì concentrarsi sul pavimento piuttosto che su di lui.

“No. Io mi devo difendere dalle persone come te, Kaulitz.” La sentì dire debolmente.

E, suo malgrado, Tom si sorprese a scoprirsi toccato da quell’insinuazione.

“Vi, ma io…”

 

***

 

“Io non voglio farti del male.”

Tom batteva le ciglia smarrito, quasi addolorato. Per un nanosecondo smise di sembrarle uno sbruffone e le apparve come un ragazzo semplice e privo di artefazioni, trasparente nel suo stupore deluso.

Le teneva ancora i polsi, ma con più delicatezza, e quel modo che aveva di guardarla – come se lei, con quelle parole, lo avesse deliberatamente ferito – stava cominciando a farla sentire in colpa.

“Forse non intenzionalmente,” disse, ammorbidendosi. “Ma manchi completamente di tatto e riguardo verso il genere femminile, e dovresti proprio imparare qualcosa dai tuoi comari,” Sollevò gli occhi su di lui, cercando comprensione per quello che stava dicendo. “Tu sei forte, io no,” Continuò. “Se non fosse stato per BJ, probabilmente io nemmeno sarei qui, adesso, e non intendo in Germania, ma qui in senso lato. Lui è il gemello forte che abbracciava la sorellina che piangeva sempre e aveva paura del buio. Adesso non ho più paura del buio, ho smesso di piangere per le piccolezze, ma se non ci fosse il suo abbraccio ad aspettarmi quando torno a casa, io non credo che avrei la forza di andare avanti, e l’ultima cosa di cui ho bisogno è finire a fare cazzate con te.”

Difendersi: erano poche le cose che aveva imparato a fare prima di quello, e tutto quello che aveva imparato dopo l’aveva solo aiutata a capire che non si poteva mai essere troppo parsimoniosi con la fiducia.

Eppure Tom, più che offeso, sembrava amareggiato.

“Quindi è questa l’idea che ti sei fatta?” le domandò serio. “Che io sia quello forte e Bill quello da proteggere? Sì, è vero, ero io che a scuola lo difendevo, ed era lui quello che piangeva, ma se adesso i Tokio Hotel esistono e sono dove sono, è anche perché Bill si è fatto un mazzo così per farsi vedere e notare, e ha fatto praticamente tutto da solo, perché a me suonare piaceva, ma non aspiravo certo al successo internazionale. Tu non l’hai visto stare alzato la notte, chiuso in bagno a cercare i toni giusti per quello che scriveva, non l’hai visto fare a botte con un ragazzo grosso il doppio di lui che gli aveva detto che era un illuso se sperava di sfondare, ma io sì, e ti giuro che in quei momenti, se tu ci fossi stata, avresti capito che quello forte dei due non sono affatto io.”

Colpita – non solo da quello che lui le aveva raccontato, ma anche dal fatto stesso che lo avesse semplicemente fatto – Vibeke si dimenticò di tutto il suo bel discorso di poco prima e si lasciò portare via dalla sincerità che vedeva in Tom.

“Perché mi stai raccontando queste cose?” gli chiese.

Lui le si accostò lentamente, chiudendo gli occhi mentre si appoggiava alla sua fronte con la propria.

“Perché non ha senso continuare a difenderci l’uno dall’altra se siamo entrambi deboli e nessuno dei due vuole ferire l’altro.” Sussurrò piano, sfiorando la punta del proprio naso contro la sua, e facendo poi lo stesso con le labbra, toccandole appena.

“E Lara?” trovò la forza di domandare lei, benché già in cuor suo si fosse arresa a quello che stava per succedere.

Tom finalmente le liberò i polsi, portando le mani in alto, per posargliele ai lati del collo e portarla più vicina a sé.

“Chi se ne frega di Lara.”

E anche se nella sua testa lei si diceva che prima o poi sarebbe toccato a lei, che presto o tardi Tom sarebbe arrivato a dire ‘Chi se ne frega di Vibeke’, proprio non ce la fece a respingerlo mentre le sue mani le avvolgevano il viso e le sue labbra, con una pioggia di tocchi delicati, cominciavano ad accarezzarle prima la guancia, poi l’angolo della bocca, ed infine la sorprendevano con un bacio pieno di trasporto.

È folle, autolesionistico e suicida…

La lingua di Tom chiese prepotentemente accesso tra le sue labbra, e lei glielo concesse.

Non può portare a nulla di buono…

Non avrebbe mai creduto che ritrovarsi stretta tra le braccia di Tom le avrebbe dato una sensazione così stranamente piacevole. Nonostante la magrezza, aveva dei buoni muscoli nascosti sotto ai vestiti troppo larghi. Muscoli che Vibeke aveva spesso visto, ma di cui non conosceva – o ricordava – l’abbraccio.

Sarebbe un buon momento per dire basta e cominciare a piantare qualcuno dei famosi paletti di cui si parlava prima, si disse, mentre Tom si faceva liberamente strada al di sotto della sua maglietta, ma il suo corpo non rispose agli impulsi dettati dalla mente, troppo occupato invece ad assecondare a ben altri stimoli, e di gran lunga più forti, provocati da ogni singolo gesto esperto di Tom.

Reagisci, Vibeke, cazzo!

Ma quando la sua schiena arrivò a toccare il letto, quasi nemmeno se ne accorse, perché lui aveva già cominciato a spogliarla, e stavolta nessuno – lei men che meno – lo avrebbe fermato.

 

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Note: alzi la mano chi dubitava che questo capitolo sarebbe mai arrivato! *alza la mano* Be’, lieta di avervi stupiti tutti quanti, stento a crederci perfino io! Dalla mia ho la scusante che sono in montagna e quindi ho poco tempo da dedicare alla storia, ma a settembre sarò gloriosamente di ritorno (e se gli dèi vogliono, magari poi partirò di nuovo, verso mete più lontane ed ambite ^^). Comunque, che ci crediate o no, stavolta sono abbastanza soddisfatta del capitolo, quindi per una volta spero sarete d’accordo con me e che, gentili e fantastici come vostro solito, vorrete lasciare la vostra apprezzatissima recensione anche stavolta. Grazie alle mie due lady preferite, Ladynotorius e Lady Vibeke, che hanno gentilmente betato la bozza incompiuta del capitolo e mi hanno convinta della sua qualità. ^^ che farei senza di voi, ragazze mie?

Ancora una volta, grazie di tutto cuore a tutti voi lettori e commentatori, siete la gioia di una umile autrice piena di amore per la scrittura e questi quattro meravigliosi ragazzi che ci danno tanto ogni giorno. ^^

Alla prossima!

P.S. oramai lo sapete che sono una che piazza mille significati in ogni minima cosa, quindi, bitte, soffermatevi a farvi una bella riflessione profonda sul titolo e tutto quello che può voler dire. ;)

P.P.S. la canzone citata in questo capitolo è Stop And Stare, by One Republic, la cui traduzione più elegante è: fermati e guarda/cominci a chiederti perchè sei qui e non là/daresti qualunque cosa per avere quel che è giusto/ma quel che è giusto non è ciò di cui hai veramente bisogno/riesci a vedere quello che vedo io?.

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Capitolo 13
*** Unsecret Secret ***


Vibeke non ricordava quasi nulla della prima notte in cui era stata a letto con Tom, quella sera dopo il party, se non che al proprio risveglio si era sentita stanca ma piacevolmente soddisfatta.

All’epoca era stata assolutamente certa che si fosse trattato di una comunissima one night stand, senza ripercussioni sulla vita reale, senza impegni, senza nulla di nulla.

Ovviamente nessuna delle sue convinzioni si era poi rivelata corretta.

La seconda volta, nella stanza di Georg, Tom era stato passionale in modo quasi violento, si era impossessato di lei come un leone affamato su una preda a lungo cacciata. Le era piaciuto, lo aveva voluto, e nonostante da qualche parte sopravvivesse una debole coscienza che le rammentava quanto tutto ciò fosse sbagliato e pericoloso, non se ne era pentita. Aveva semplicemente deciso che si era trattato di un caso isolato che non sarebbe accaduto di nuovo.

La terza volta, in cucina, si era detta che, volta più, volta meno, non sarebbe cambiato poi molto.

La quarta volta era stata classificata come ‘bisogno di scaricare lo stress’, poiché sia lei che Tom avevano avuto una pessima giornata, e a lei non era poi così dispiaciuto lasciarsi trascinare in una vasca da bagno piena di soffice schiuma profumata.

Alla quinta volta pensava come un momentaneo attimo di debolezza che non si sarebbe mai ripetuto; alla sesta, invece, preferiva non pensare affatto, perché era stato allora che si era resa conto di come fosse cambiato il modo di Tom di fare l’amore, rispetto all’inizio.

Di volta in volta, l’aggressività iniziale si era attenuata, addolcendosi, via via quasi scomparendo, fino a che, la settima volta, Tom fece l’amore con lei con una dolcezza tale da farle dimenticare chi lui fosse e cosa non ci fosse tra loro, che, nonostante l’illusione, non si trattava di amore, ma di sesso.

Tom l’aveva baciata, sfiorata, accarezzata, osservata, toccata, esplorata, come se avesse voluto impararla a memoria, in ogni suo centimetro, in ogni suo tratto, con gesti e sguardi premurosi, accorti, delicati, quasi solennemente, come se avesse avuto timore di poterla rovinare o ferire con le proprie mani e le proprie labbra, prendendosi lunghi tempi per preliminari che, prima di allora, aveva sempre ignorato o a stento accennato.

E in mezzo a quei baci pieni di tenerezza e a quelle carezze gentili, quasi devote, Vibeke ci aveva trovato una dimensione nuova, sconosciuta, una dimensione in cui, per la prima volta, con lui, si era sentita speciale.

E adesso che avevano finito, si sentiva solo immensamente stupida.

Alla sua età, avrebbe dovuto essere lei a condurre il gioco, a fare la donna matura che dominava il ragazzino (anche se poi erano soltanto tre anni di differenza), e invece no. Era Tom ad avere le redini della situazione. Le bastava che lui facesse un cenno, che le sorridesse appena, e lei era sua, senza riserve.

C’era un nome ben preciso per tutto questo, un nome che Vibeke aveva si e no pronunciato tre volte in tutta la sua vita, un nome che sicuramente non avrebbe mai associato a quello di Tom Kaulitz.

Sabbie mobili. Più cercherai di tirartene fuori, più ci verrai trascinata dentro.

Ed in effetti era più o meno quello che era successo.

“Quanto pensi che durerà ancora?”

Un sospiro pacato, in cui era difficile individuare sentimenti. Vibeke chiuse gli occhi, Tom sdraiato accanto a lei che fissava il soffitto mentre consumava una sigaretta.

Finivano sempre a parlare, dopo, per lo più di loro e delle loro vite, di cosa avessero e di cosa invece mancasse, e sempre, in un modo o nell’altro, i loro discorsi paralleli finivano per incontrarsi lì, sopra di loro, in quel letto in cui spesso si erano trovati, e sorgevano delle domande a cui nessuno dei due probabilmente desiderava veramente poter rispondere.

“Non lo so,” mormorò, muovendo a stento le labbra. “Non mi interessa.”

Tom non disse più nulla. Con la coda dell’occhio, Vibeke lo vide portarsi un braccio dietro alla testa ed espirare tranquillamente una nuvola di fumo, per nulla toccato.

Il suo viso era bellissimo, sereno, come se per lui il mondo fosse perfetto ed incorruttibile. Portava l’ombra di un sorriso sulle labbra rilassate, gli occhi fissi sul bianco del soffitto illuminato dal sole pomeridiano. Nel silenzio della casa vuota, Vibeke poteva quasi sentire il suo cuore battere placidamente.

“Credo di aver dimenticato a che ora tornano i ragazzi.” Disse Tom, senza mostrare la minima preoccupazione.

Gustav, Georg e Bill erano andati a scegliere il nuovo televisore per il salotto, e Tom, dichiarandosi completamente disinteressato all’arredamento, aveva detto che sarebbe rimasto a letto fino a sera. Il che non era proprio una bugia, visto che Vibeke aveva a stento fatto in tempo a mettere piede in casa con la spesa, prima di essere trascinata – non senza una qual certa partecipazione – tra quelle lenzuola.

“Hanno detto che verso le otto sono indietro,” rispose Vibeke piattamente. Lanciò uno sguardo al display dell’impianto hifi ultimo modello che faceva bella mostra di sé sul mobile accanto alla porta. “Sono solo le sette.”

Non c’erano stati discorsi in cui avevano stabilito che i ragazzi non dovessero sapere quello che stava succedendo fra loro. Era stato un tacito accordo quello di tenere tutto segreto, e a lei stava bene. Infondo non sapeva nemmeno cosa ci faceva, lei, in quel letto con lui.

Ad un tratto Vibeke udì un rumore intermittente ed attutito, un ronzio familiare proveniente dal lato di Tom.

“Kaulitz,” Lo esortò con un colpetto sul braccio. “C’è il tuo cellulare che vibra.”

“Lo so,” replicò lui, incurante. “Sarà Lara che rompe di nuovo i coglioni.”

Vibeke scattò su a sedere all’istante.

“Non avevi rotto con lei?”

Tom si voltò a guardarla, la fronte increspata.

“Non puoi rompere con una se non ci sei mai stato insieme, no?” puntualizzò. “Lascia che chiami, si stancherà.”

Vibeke non sapeva perché ancora si sorprendeva della mancanza di tatto di Tom. Ormai avrebbe dovuto averci fatto il callo, ma evidentemente non era mai troppo. Irritata, rubò una sigaretta al pacchetto di Tom, che giaceva in mezzo a loro, e se la accese.

“Sei una merda.” Lo apostrofò secca, mentre il fumo le riempiva i polmoni, soffocandola per un momento, come lui sapeva fare con un bacio.

Tom ridacchiò.

“Venti minuti fa sembravi pensarla diversamente.” Controbatté lui, spegnendo il mozzicone nel posacenere sul comodino.

“Il tuo essere discretamente capace a letto non fa di te una bella persona.”

“Ma non dire scemenze,” Sempre ridacchiando, Tom rotolò su se stesso fino ad arrivare quasi sopra di lei. “Tu mi adori.”

Lo disse sottovoce, suadente, mentre cominciava a lasciarle una scia di baci sul petto, i rasta che le solleticavano la pelle ad ogni suo minimo movimento.

“Kaulitz,” esalò, la voce resa roca dal piacere, inarcando la schiena sotto al tocco delle sue mani. “Non approfittarti della mia corruttibilità.”

“Sai di buono, lo sai?” sussurrò lui, la punta della lingua scendeva a sfiorarle l’ombelico. “Ti mangerei.”

“Non ero velenosa?”

Tom le morse un fianco, sorridendo furbamente.

“Esisterà da qualche parte un siero anti-Vibeke…”

Giocò per un po’ sull’addome, stuzzicandola con piccoli morsi e baci avidi.

“Kaulitz,” Vibeke cercò di fermarlo, mentre lui lentamente, al di sotto delle coperte, scendeva inesorabile. “Kaulitz!” Esclamò, lasciandosi scappare una mezza risata divertita, sentendo le sue labbra baciarla lungo le ossa del bacino. “Cosa stai –” Lui rise, ma non si fermò. “Kaulitz, piantala!”

Lo costrinse ad emergere, tirandolo per i capelli, e Tom obbedì docilmente, avvolgendola con il proprio corpo. Vibeke si ritrovò così a guardare i suoi occhi nocciola scintillanti di malizia, e quel sorriso sicuro e sensuale che era il suo marchio di fabbricazione.

“Tu vuoi costringermi a baciarti qui,” disse in un sussurro, baciandola sulla bocca. “Ma sai che odio quando i nostri piercing si incastrano.”

Per tutta risposta, Vibeke gli chiuse le braccia attorno al collo, rivolgendogli un’occhiata annoiata.

“Sei solo un porco, questo è quanto.”

“Toglili.” Le ordinò lui.

“Perché non ti togli il tuo?” protestò Vibeke, le mani posate sul suo petto. Tom sorrise affabile.

“Perché il mio è sexy, i tuoi no, e intralciano.”

“Ma sentitelo!” berciò lei. Gli conficcò le unghie nei pettorali, ma anziché fargli male, la cosa sembrò eccitarlo.

“Toglili, Vi,” mormorò roco, sfiorando nuovamente la propria bocca contro la sua “O non riesco a baciarti.”

Lei rimase immobile un istante, combattuta tra il suo ultimo rimasuglio di orgoglio e la voglia quasi disperata di essere baciata, ma poi sollevò lentamente una mano, e, senza distogliere nemmeno per un istante lo sguardo dal suo, si sfilò i due piccoli anellini, lasciandoli poi cadere sul comodino accanto a sé..

“Brava, così mi piaci.” Disse Tom compiaciuto.

“Taci, stronzo.” Gli intimò lei, e lo zittì con un bacio fervente. Lui si lasciò andare, abbandonandosi contro di lei, i loro corpi di nuovo completamente in contatto, risvegliando un calore che ancora non si era completamente dissipato dal contatto precedente.

Vibeke sapeva che a minuti i ragazzi sarebbero rientrati, ma ora come ora non le importava. Stava troppo bene lì dov’era, a darsi da fare con un ragazzo che milioni di ragazze in tutto il mondo sognavano di avere, e lei comprendeva questa voglia ogni giorno di più, forse anche meglio di tutte loro messe assieme. In fondo non era da tutte conoscere i Tokio Hotel dietro al sipario calato.

E adesso che conosci Tom, le domandò la sua miracolosamente superstite voce coscienziosa, che significato ha per te tutto questo?

Ma lei era troppo coinvolta in quel bacio per badarvi, anche se forse, per una volta, avrebbe fatto meglio a stare a sentire.

 

***

 

“È molto che abitate qui?”

“Non so, tre anni, se non ricordo male…”

“Bella zona. Tranquilla.”

“Sì, non c’è male.”

“Sicuro che non disturbo?”

Bill si voltò a guardare BJ mentre salivano con l’ascensore, sorridendo.

“Ma non dirlo neanche! Credi che ti avremmo invitato, se disturbassi?”

BJ si limitò a ricambiare educatamente il sorriso.

Si erano incontrati per caso agli studi, dove Bill, Gustav e Georg si erano fermati brevemente sulla via del ritorno per consegnare a Benjamin dei nuovi testi da controllare, ed avevano trovato il manager che chiacchierava del più e del meno con nientemeno che il biondissimo fratello della loro cara Vibeke, sotto agli occhi adoranti della ragazza della reception, che li fissava imbambolata come se fossero stati due bronzi ellenici animati.

Avevano scambiato due parole tutti assieme, poi Benjamin si era congedato, e a Bill era parso quasi naturale chiedere a BJ se gli andava di unirsi a loro per cena. Lui aveva cortesemente declinato, all’inizio, ma poi, tra le moine di Bill e il rinnovo dell’invito da parte di Georg e Gustav, alla fine si era lasciato convincere, così erano tornati verso casa e poi si erano divisi: Georg e Gustav erano passati alla pizzeria d’angolo a prendere qualcosa per la cena, mentre Bill e BJ erano andati avanti, ed ora stavano uscendo dall’ascensore sul pianerottolo, le chiavi già pronte nelle mani di Bill.

“Tom ha detto che avrebbe dormito fino a sera,” spiegò a BJ, aprendo la serratura. “Ma se c’è tua sorella in casa, ho la netta sensazione che lo troveremo ben sveglio.”

“Bill,” BJ lo fermò prima che potesse abbassare la maniglia e gli rivolse un’occhiata che era un misto di serietà ed incertezza. “Senti, tu non hai mai l’impressione che…” Esitò, abbassando lo sguardo, le mani nascoste nelle tasche della giacca nera che gli copriva la vistosa camicia verde menta.

Bill non aveva bisogno che dicesse altro. Sapeva esattamente di cosa stava parlando, e capiva anche quell’insolito disagio che non era affatto da BJ.

“Che mio fratello e tua sorella ci nascondano qualcosa?” completò con un mezzo sospiro.

BJ annuì.

“Quei due si attraggono come calamite ultraeccitate,” convenne Bill. “Litigano come si odiassero a morte, ma…” Scambiò con BJ uno sguardo d’intesa e seppe con certezza di non essere il solo a pensarla cosi. Sospirò ancora, scrollando impotentemente le spalle. “Bah, poi quello immaturo sono io…”

BJ gli elargì un sorriso luminoso ed apparentemente molto divertito.

I suoi occhi, pur identici a quelli di Vibeke in tutto e per tutto, avevano un’espressività completamente diversa. Se in Vibeke si riscontrava sempre qualche traccia di diffidenza, cinismo o malizia, in BJ invece non c’era nulla di tutto questo. Sembrava sempre allegro, disinvolto, sicuro di sé, ma in un modo così spontaneo ed inconsapevole che era disarmante.

Bill si chiese se fosse umanamente possibile avere un impatto così forte e così positivo sulle persone senza praticamente rendersene conto. I casi erano due: o BJ davvero non se ne rendeva conto, oppure se ne rendeva conto eccome, ma non gliene importava un bel niente. In entrambi i casi, Bill non si capacitava della cosa.

Entrarono, proprio mentre Gustav e Georg apparivano alle loro spalle con quattro grosse teglie di pizza fragrante.

“Vi siete persi in chiacchiere, eh?” commentò Gustav, alludendo sicuramente al fatto che erano stati fermi per diversi minuti davanti al portone e poi anche davanti alla porta dell’appartamento.

“Avevamo di che discutere.” Rispose Bill, sul vago. Sia Gustav che Georg avevano sicuramente intuito le stesse cose che avevano intuito lui e BJ, ma mettersi a parlarne con Tom e probabilmente anche Vibeke nei paraggi era davvero poco saggio.

“Oh, ciao.” Esclamò una voce sorpresa.

Bill individuò Tom sulla soglia della cucina, una sigaretta in una mano e un posacenere nell’altra. Fin qui nulla di strano, se non fosse stato praticamente nudo, a parte un paio di bermuda che di solito usava per andare in palestra.

Sembrava abbastanza stupito di vederli, forse per via del fatto che avevano portato un ospite a sorpresa.

“Da quando in qua fumi prima di mangiare?” lo apostrofò Bill, indicando la sigaretta. “O è la paglia di rito dopo il sesso?” scherzò, ma si rese veramente conto di quello che aveva detto ancora prima che Tom ebbe un impercettibile fremito infastidito.

“Non posso neanche fumare quando mi pare, adesso?” sibilò bruscamente.

Non può esserci riuscito, pensò Bill, sconvolto. Quell’orgogliosa di Vibeke non può aver ceduto così in fretta!

Ma, ora che ci pensava, qualcosa doveva essere successo. Qualcosa di abbastanza rilevante, visto che negli ultimi giorni l’umore di Tom sembrava aver subito un’impennata che finora era rimasta inspiegabile, e l’ipotesi che Bill stava considerato sembrava invece spiegarla alla perfezione.

“Tom, rilassati,” lo invitò Georg. “Sei libero di ammazzarti i polmoni in piena libertà. In camera tua, o all’aperto.”

“Fottiti, Georg.”

“Abbiamo invitato BJ a cena,” li interruppe Bill, guardando il fratello che si trascinava pigramente verso di loro e si salutava con BJ con un cenno. “Ci siamo incontrati alla Universal e…”

“E speriamo che tu non abbia fatto scappare Vibeke prima che potessimo avvisarla della cena.” Terminò Gustav, mentre con Georg portava le pizze in cucina.

Tom lasciò cadere un po’ di cenere nel posacenere e fece un gesto distratto.

“È di sopra,” sbuffò, come se lo annoiasse dirlo. “Vi!” urlò poi, affacciandosi alle scale. “Indovina chi viene a cena!”

Tre secondi dopo Vibeke apparve in cima alle scale, una sigaretta tra le dita, vestita in modo più bizzarro del solito, con una gonnellina scozzese rossa e bianca piena di cinghie penzolanti e un corpetto superaderente dalle maniche a sbuffo di velluto. Li raggiunse in un attimo, aprendosi in un sorriso non appena scorse il proprio fratello. Tom, intanto, si era discretamente allontanato, piazzandosi a fumare in un angolo, davanti alla finestra aperta.

Avrai molte spiegazioni da darmi, più tardi, fratellone caro.

“BJ!” esclamò. “Che diamine ci fai qui?”

BJ le spiegò la storia, e nel frattempo Bill la studiava perplesso. C’era qualcosa che non tornava, in lei, ma non riusciva a capire cosa.

“Hey!” salutarono Georg e Gustav, di ritorno dalla cucina. “Buonasera.”

Non appena li vide, Vibeke si illuminò, in particolare quando Gustav le sorrise.

“Ciao, uomini di casa!” li salutò, togliendosi la sigaretta dalle labbra.

Fu in quel momento che Bill registrò cosa non tornava.

Sia lui che BJ assunsero contemporaneamente la medesima espressione accigliata.

“Sorella,” esordì BJ, stranito. “Che fine hanno fatto i tuoi piercing?”

Gli occhi di Vibeke ebbero un effimero lampo di panico. Bill la vide irrigidirsi e portarsi di scatto una mano alla bocca.

“Ne ho perso uno,” spiegò in fretta. “E non mi piaceva tenerne uno soltanto.”

“Ah.”

BJ sembrava tutto fuorché convinto. Non se l’era bevuta, e anche Bill era piuttosto restio a cederle, anche se non capiva che bisogno ci fosse di mentire su un paio di piercing spariti.

“Qualcuno è interessato a mangiare la pizza prima che diventi fredda?” intervenne Gustav, lanciando a Vibeke un’occhiata strana. Lei ricambiò, mordendosi il labbro, e lui sollevò un sopracciglio. Lei fece una piccola smorfia ed abbassò lo sguardo. Lui volse gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

Che sta succedendo qui?, si chiese Bill, mentre tutti cominciavano a spostarsi verso la cucina. Cos’era questa conversazione muta?

Ormai lui e gli altri erano abituati a vedere Gustav e Vibeke comunicare a sguardi (cosa che mandava Tom in bestia ogni volta, dato che, a sua detta, il linguaggio vocale era stato inventato per validi motivi), ma al momento Bill desiderava come non mai poter tradurre qualunque cosa si fossero detti.

 

***

 

Gustav aveva una discreta serie di ragioni per sentirsi turbato.

Prima di tutto, trovava veramente difficile concentrarsi sulla propria cena con due spettacoli come Bill e BJ davanti agli occhi. Tutti li fissavano a bocca aperta, seduti l’uno accanto all’altro, che divoravano le loro porzioni di pizza senza fiatare, masticando con gusto ogni generoso boccone, apparentemente molto soddisfatti del pasto. Nessuno stava usando le posate, che erano state comunque sistemate in tavola, ma per qualche ragione loro sembravano più buffi.

Com’era possibile che due icone dello stile, idolatrate da gente di ogni età e sesso, si stessero abbuffando come bambini di tre anni?

Una foto, pensò Gustav, divertito, se solo potessi scattare loro una foto in questo preciso istante…

“Mi passate la coca?” biascicò Tom, a bocca piena.

Vibeke allungò prontamente la mano ed afferrò la bottiglia, ma non fece nulla, se non guardarlo con eloquenza.

Per favore.” Aggiunse quindi Tom fra i denti, e lei fu ben felice di riempirgli il bicchiere.

Grazie.” disse poi Tom, rivolgendole un sorriso irriverente. Vibeke gli alzò affabilmente il dito medio.

È successo, si disse Gustav, prendendo atto della situazione. Bill e BJ lo hanno capito, questo è certo, e Georg…

Si voltò a sbirciare l’amico, e notò che anche lui stava scrutando di sottecchi le interazioni tra Tom e Vibeke. Incrociò il suo sguardo, e Georg fece una faccia rassegnata, sollevando appena le spalle.

Anche Georg ha capito.

“Kaulitz, sei disgustoso!” berciò Vibeke, ravviandosi i lunghi capelli dietro alla schiena, dopo che Tom ebbe sputato nel proprio piatto un granello di pepe. “Cosa ti costava appoggiarcelo con le dita?”

“Io sarei disgustoso?” saltò su subito Tom. “Guarda quei due!” ed additò Bill e BJ, che sollevarono perplessi gli occhi, intenti a far sparire l’ennesimo trancio.

“Cosa?” bofonchiarono insieme con la pizza tra i denti, con la stessa aria innocente.

Passò un secondo di silenzio, poi la cucina si riempì di un boato di risate fragorose, mentre Bill e BJ si guardavano senza capire e tornavano incuranti alle rispettive pizze.

Dopo la pizza, Georg prese l’enorme vaschetta di gelato alla vaniglia e al cioccolato per il dessert, scoprendo però che metà del contenuto era svanita nel nulla, e restava solo la metà bianca.

“Scusate,” aveva mugugnato Bill, desolato. “Non potevo mica immaginare che sarebbe servito!”

Così avevano riso di nuovo tutti quanti e si erano spartiti il gelato alla vaniglia, qualcuno – nello specifico, Bill, BJ e Vibeke – accompagnandolo con una spruzzata di sciroppo al cioccolato.

Finito il dolce, Gustav si era offerto di sparecchiare e riempire la lavastoviglie e gli altri ci avevano messo meno di un nanosecondo a ringraziare e proporre una partita alla Playstation.

I ragazzi si erano appena precipitati in salotto, e Vibeke stava per seguirli, ma Gustav non aveva intenzione di lasciarle fare finta di niente.

“Ferma lì, norvegese,” la bloccò, e lei si ritrasse nelle proprie spalle, impalandosi sulla soglia. “Dietrofront, adesso, e chiudi la porta.” Le ordinò.

Vibeke dovette obbedire. Palesemente controvoglia, chiuse la porta e si mise a raccogliere le stoviglie dal tavolo, senza emettere un suono.

“Allora…” cominciò Gustav, pronto a snocciolare per bene tutta la faccenda, ma lei sollevò una mano per fermarlo.

“Gud,” sospirò, smettendo per un attimo di ammucchiare forchette e coltelli in uno dei cartoni della pizza. “Prima di cominciare con la tiritera, lasciami premettere che si tratta di una cosa strettamente circoscritta ed innocua.”

Gustav aggrottò la fronte. Non la seguiva.

Circoscritta ed innocua?”

“Sì.”

“In che termini, se non sono indiscreto?”

“Circoscritta alla camera da letto – più o meno – e innocua come ogni semplice storia di sesso.”

Gustav stentava a credere a ciò che sentiva.

Una semplice storia di sesso?” A malapena riusciva a tenere a bada il volume della voce. “Ma tu lo sai con chi ti sei messa a giocare?”

Lei riprese a sparecchiare con calma.

“Senti, è tutto sotto controllo,” disse. “È… Divertente.”

“Divertente.”

“Divertente, sì.”

“Bee,” Gustav posò le mani sul tavolo e si sporse verso di lei. “Guardami in faccia.”

Pur con riluttanza, Vibeke obbedì.

“Per quale spaventoso, sconfinato, masochistico spirito di autolesionismo vi siete andati a cacciare in questo casino?”

Un urlo esultante di Georg provenne dal salotto.

Vibeke portò le cose al ripiano accanto al lavandino e cominciò a sistemarle nella lavastoviglie.

Scappi?

Gustav la seguì con gli occhi, disapprovante.

È questo che hai intenzione di fare quando tutto prenderà la piega sbagliata?

“Bee…”

“Basta!” sbottò Vibeke con uno scatto di rabbia. “Mi ritengo abbastanza adulta da poter decidere da sola con chi mettermi a giocare, va bene?”

Lui arretrò, offeso, nonostante si fosse aspettato una reazione simile.

“Scusa,” mormorò. “Volevo solo…”

“No, scusa tu,” si affrettò a ribattere lei, portandosi stancamente una mano alla fronte. “È solo che non avevo previsto di doverne parlare così presto… Anzi, per la verità non avevo previsto di parlarne affatto.”

“Insomma… Da quanto va avanti, se non sono indiscreto?”

“Due settimane, più o meno.”

“E lui ha smesso di vedere Lara.”

Vibeke annuì.

“Ovviamente.” Commentò Gustav con un sorrisetto.

Vibeke lo guardò interrogativamente.

“Che vuol dire ‘ovviamente’?”

“Niente,” le rispose repentino. “Riflettevo solo ad alta voce.”

Non spettava a lui esporle certe teorie riguardanti Lara e il letteralmente evidente motivo per cui Tom la aveva scelta come nuova Ragazza del Venerdì. Forse, a suo tempo, se le cose fossero andate nel verso giusto, sarebbe stato il diretto interessato ad ammettere tutto quanto, a partire da se stesso.

“Quindi…” Vibeke si andò ad appoggiare al bancone, accanto a lui, ed arricciò furbamente gli angoli della bocca. “Eri preoccupato per me.”

Gustav si imbronciò. Cosa c’era di divertente?

“E allora?”

“Allora,” disse Vibeke, avvolgendogli la vita con le braccia. “Ti amo da impazzire.”

Nonostante tutto, il suo tono non era stato canzonatorio, ma, anche se leggero, insolitamente serio. Era un ‘Ti amo’ che non aveva nulla a che vedere con il romanticismo, ma così vero e sincero che gli toccò il cuore.

“Ah sì?” fece lui, sorridendo mentre la abbracciava a sua volta. “E come mai?”

Vibeke lo stritolò in un abbraccio vigoroso, alta un paio di centimetri più di lui.

“Perché sei biondo, bello e schifosamente ricco.”

Gustav rise, lasciandosi baciare affettuosamente una guancia.

Voleva bene a Vibeke, loro due si erano capiti subito, ed altrettanto bene voleva a Tom, ma lo conosceva, sapeva come era fatto e come era solito comportarsi, ed anche se questa volta c’era decisamente qualcosa di diverso nell’aria, Gustav aveva comunque una brutta sensazione.

“Hey, sono per caso rimasti dei –”

Gustav e Vibeke si voltarono verso la porta, da cui aveva appena fatto capolino Tom, sul cui volto sopravviveva ancora un velo di allegria congelata. Aveva ancora una mano sulla maniglia, e se ne stava pietrificato a guardarli.

Improvvisamente Gustav si ricordò che lui e Vibeke erano ancora abbracciati in una posizione molto fraintendibile.

“Scusate,” biascicò Tom con evidente fatica, mentre loro due si districavano velocemente l’uno dall’altra. “Volevo… I ragazzi chiedono se ci sono dei porcorn.”

Non è come pensi, Tom, avrebbe voluto dire Gustav, ma una frase classica e notoriamente falsa come quella avrebbe solo peggiorato le cose, nonostante fosse certo che Tom avesse veramente equivocato.

“Se non sbaglio ce ne sono un paio di buste,” disse Vibeke con scioltezza, aprendo una delle ante della dispensa come se fosse stata a casa sua. Prese i due sacchetti e li porse a Tom senza fare una piega, né dare segno di imbarazzo. “Ecco qui. Aspetta, ti prendo una ciotola.”

E mentre Vibeke si voltava di nuovo per frugare negli armadietti, Gustav si vide trafiggere da un’occhiata cupa di Tom.

“Tieni,” Vibeke piantò tra le mani già occupate di Tom una grossa trasparente che Gustav nemmeno ricordava esistesse. “E già che ci sei, dì a mio fratello che appena Gud e io abbiamo finito qui, ce ne andiamo a casa.”

Tom la fissò per un paio di silenziosi secondi, scuro in volto, tanto da far temere un’esplosione imminente.

“Tranquilla, tu e Gud potete pure finire con calma,” Disse infine, molto rigidamente. “Nessuno vi disturberà ancora.” Il suo sguardo torvo saettò brevemente verso Gustav, poi se ne andò senza aggiungere altro, sbattendo la porta.

“E adesso cosa diamine gli prende?” si interrogò Vibeke, portandosi le mani sui fianchi,

A Gustav toccò reprimere un sospiro amareggiato.

Questi due non si rendono minimamente conto di quello che sta succedendo…

 

***

 

Vibeke era chiusa in bagno da mezz’ora, rintanata là dentro in fuga dai tormenti di un fratello fin troppo intuitivo.

Era rimasto distratto fino a che c’erano stati una Playstation e quattro suoi simili a tenerlo occupato, ma non appena avevano porto i dovuti saluti ai ragazzi e si erano ritrovati da soli sul pianerottolo, erano cominciate le domande, che lei si era dovuta sorbire fino al parcheggio, dopodiché, per grazia celeste, erano saliti sulle rispettive auto, e per un sublime quarto d’ora lei era riuscita a respirare, ma poi, non appena avevano chiuso le macchine nel garage, l’interrogatorio era ricominciato inesorabile. A quel punto, stanca di rispondere per monosillabi e vaghezze, Vibeke aveva deciso che le serviva una bella doccia rilassante, e ora stava impiegando ogni secondo possibile per pettinarsi i lunghi capelli ancora bagnati.

Se ne stava in pigiama davanti all’immensa specchiera e si chiedeva come mai le importasse relativamente poco del fatto che Gustav e i ragazzi – perché a quel punto era più che scontato che anche Bill e Georg lo sapessero o lo avessero almeno intuito – fossero a conoscenza del segreto non segreto di lei e Tom.

Probabilmente era perché era cosciente che loro fossero talmente abituati a vederlo con qualche ragazza che nemmeno dovevano averci fatto caso, e l’unico motivo per cui Gustav aveva reagito in modo così ansioso era perché doveva essere la prima volta che conosceva la proprietaria di un pezzo della vasta collezione di intimo femminile di Tom.

Vibeke smise di pettinarsi.

Un pezzo della vasta collezione.

Non le piaceva, quel suono.

Abbassò la spazzola e si fermò.

I suoi occhi erano stanchi, languidi, la pelle del viso tirata e smorta, le labbra insolitamente nude per via dei piercing che aveva tolto e che ora giacevano quasi dimenticati sulla mensola di vetro accanto a lei.

Non era ancora riuscita a rimetterli.

Ogni volta che chiudeva gli occhi, rivedeva il sorriso gentile di Tom di quel pomeriggio, l’unico sorriso di quel tipo che le avesse mai rivolto, risentiva il suo sapore nella propria bocca, avvertiva di nuovo i brividi che i suoi baci e le sue carezze le avevano fatto venire, e non poteva fare a meno di chiedersi se lui si comportasse abitualmente così con tutte.

Una fitta sconosciuta le attraversò lo stomaco, riportandola alla realtà.

Riprese a pettinarsi, senza più guardare lo specchio.

“Vibeke!” esclamò la voce di BJ, al di là della porta chiusa a chiave. “Ti vuoi decidere ad uscire di lì? Vuoi tirare l’alba?”

“Sì, in effetti sì!” ribatté lei seccata, ma non poteva rimanere in bagno tutta la notte, e comunque non sarebbe servito a niente.

“Sorella!” esclamò di nuovo lui, alterato. “Non costringermi a forzare la porta!”

Lo avrebbe fatto, su questo non ci pioveva. BJ aveva imparato a scassinare serrature a dieci anni, quando i loro genitori avevano chiuso le bici sua e di Vibeke nel garage, per impedire loro di andare a giocare al fiume che scorreva a pochi chilometri da casa loro. Con gli anni aveva poi affinato la tecnica, diventando un vero e proprio professionista.

Chissà se i suoi ammiratori sapevano che aveva le carte in regola per darsi al crimine.

“Vibekina!” piagnucolò BJ, picchiando una mano contro la porta. “Dai, vieni fuori, di’ tutto al tuo Orsacchiottino!”

Vibeke dovette arrendersi, disarmata.

Aveva cominciato a chiamare BJ ‘Orsacchiotto’ in prima elementare e lui lo aveva sempre odiato. Se era disposto ad autorivolgersi quell’appellativo, forse meritava qualche aggiornamento.

“Sorellina cucciolina!”

Esasperata, ma ridacchiando divertita, Vibeke nascose i due piercing nel suo portagioie ed andò ad aprire.

“Era ora!” esultò BJ, anche lui scalzo ed in pigiama.

“Sei il fratello più rompicoglioni che si possa avere, lo sai o no?”

“Non è vero!” si difese lui soave. “Sono un bravo fratellone che vuole ficcare premurosamente il naso negli affari della sua amatissima sorellina.”

Vibeke uscì dal bagno, mulinandogli addosso i capelli umidi.

“Sono toccata.”

“Allora,” disse BJ, seguendola in cucina. “Tu e Tom vi siete baciati? Avete pomiciato? Siete stati a letto? Ti ha portata in qualche bel locale alternativo a fare sfoggio di te? Ci sa fare? È dotato?”

Per l’amor del cielo!, pensò Vibeke, non sapendo se ridere o se piangere.

Si prese un bicchiere dal lavandino, prese il latte dal frigo e se ne versò un po’, prima di rispondere:

“Nell’ordine: sì, sì, sì, no, parecchio e… Cosa diavolo te ne importa?”

BJ fece un sorrisino felino.

“Curiosità.”

Vibeke non la trovò una risposta convincente, ma riteneva che fosse meglio non indagare oltre. A volte BJ sapeva stupire perfino lei con certe sue uscite.

“E come funziona la cosa?” chiese BJ, afferrando il cartone del latte e bevendo direttamente da lì.

“Devo veramente spiegartelo?” replicò lei, strappandogli il cartone di mano.

Lui si leccò le labbra.

“Hai capito benissimo quello che intendo.”

“Funziona in modo molto elementare, che sono certa tu conosca anche abbastanza bene.”

Era raro che tra fratelli e sorelle ci fosse una confidenza tale da includere anche certi argomenti, ma loro due erano un caso più unico che raro: essendo cresciuti in simbiosi, avevano da sempre condiviso tutto, anche quelle cose che normalmente sarebbero rimaste tabù per l’uno o l’altra. Era un rapporto strano, molto profondo, che molti non comprendevano, ma a loro non era mai interessato quello che la gente pensava di loro.

“Quindi è sesso.”

“No, è football!” sbuffò Vibeke.

BJ le diede un pizzicotto sul braccio.

“Non fare la svicolona spiritosa con me!”

“Io non faccio la svicolona!”

“Tu sei la regina delle svicolone, quando ti ci metti!” commentò BJ, pizzicandola ancora.

“Piantala!” lo avvertì Vibeke, scostandosi.

“No, finché non confessi.” Disse lui, cominciando ad inseguirla attorno al tavolo.

“Confesso cosa, di grazia?”

“Tutta la verità e nient’altro che la verità.”

Vibeke infilò la porta e si diresse a passo svelto in salotto, con BJ alle calcagna.

“E quale sarebbe tutta la verità, nient’atro che la verità?”

“Lo sto chiedendo a te.”

Vibeke si buttò sul divano ed accese la tv. BJ si unì a lei.

“Allora?” insisté.

Vibeke fece un po’ di zapping, senza capire cosa accidenti volesse sapere ancora.

“BJ,” gli disse dolcemente, accoccolandosi contro di lui. “Lo sai che sei proprio un amore quando dormi?”

Lui batté le ciglia perplesso.

“Che cosa c’entra adesso?”

“Mi faresti tanto felice se tu ti mettessi ad essere un amore adesso.”

BJ rise e le avvolse un braccio attorno alle spalle.

“Prima o poi tornerai strisciando, sappilo.” La avvisò con voce grave.

“Certo, certo, come no.”

Vibeke si sistemò meglio e si mise a guardare la vecchissima puntata di CSI, che ormai conoscevano entrambi a memoria.

La scena era una di quelle che più le davano sui nervi, uno di quei cammei pseudo-romantici e un po’ drammatici che a suo parere dovevano restare fuori dai telefilm come quello.

C’era Sara sulla soglia dell’ufficio di Grissom, lo aveva appena invitato a cena, ma lui aveva appena rifiutato con un’ No’ secco.

“Quando te ne accorgerai,” gli stava dicendo Sara tristemente. “Forse sarà troppo tardi.”

Vibeke emise un rantolo seccato.

Non fare tante scene, è stracotto di te e si vede. Lo sanno tutti che alla fine finirete insieme. Gli unici che non lo sanno siete voi due.

Annoiata, chiuse gli occhi e si addormentò.

 

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Note: dunque, dunque, dunque… Eccoci qui, appuntamento numero tredici con questa agonia infinita. XD Non ho molto da dire, se non che sono sempre più grata a voi tutti, perché siete sempre fedeli e non mancate mai di riempirmi di complimenti, perché aggiungete la storia ai preferiti (il conto oggi segna 128! Ancora poco, rispetto a Lullaby, ma abbiamo tempo. XD), perché mi contattate in MSN chiedendomi se sono morta o semplicemente pigra ad aggiornare, e soprattutto perché senza di voi non sarei qui a scrivere. Quindi grazie ancora una volta, a tutti quanti, per essere il bellissimo e calorosissimo pubblico che siete.

 

Due cose da dire prima di chiudere, anzi tre:

1 - per rispondere al dubbio di pIkKoLa_EmO, Vibeke ha ventitré anni (e siamo nell’anno 2009). Se non sbaglio è specificato nel primo capitolo, ma capita a tutti di perdere qualche pezzo per strada, soprattutto con le mie storie. XD

2 – il nomignolo di ‘Orsacchiotto’ appioppato a BJ dalla sua adorabile sorellina è dovuto al fatto che il nome ‘Bjørn’, in norvegese, significa proprio ‘orso’. ^^

3 – grazie a Lady Vibeke per aver suggerito questa insolita ma significativa conclusione di capitolo con l’inserzione di questa scena di CSI! Ogni tanto al genio serve una mano. XD

Per ora vi saluto qui. I commenti di ogni tipo, purché seri e costruttivi, sono sempre i benvenuti, quindi non fatevi scrupoli a lasciarne uno. ^^

Alla prossima!

P.S. capitolo dedicato a Ladynotorius, perché mi stressa ma mi vuole bene ^^, e ad _Ellie_, che non sento da secoli, ma spero stia bene. :)

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Capitolo 14
*** Crashing & Burning ***


And now I know
That even perfection goes wrong
But my heart is not made of stone
Your promises, they sounded like lies
These wounds keep bleeding inside
So I look up and see
That even skies can cry

Bill mormorava distrattamente le note della canzone, seguendo la radio. Qualcosa di quelle parole gli faceva avvertire uno strano, ingiustificato presentimento, ben poco piacevole.

Era un pezzo molto malinconico, forse un pelino troppo, per lui, ma gli piaceva l’accostamento insolito di hard rock e pianoforte. Era di un gruppo nuovo, se ricordava bene, di cui nemmeno ricordava il nome. Era il loro singolo di debutto ed era uscito di recente, ma già c’era chi gridava al nuovo fenomeno, esattamente come era stato fatto con ogni altro gruppo tedesco che, dopo i Tokio Hotel, era riuscito a varcare il confini della Germania.

Dalla cucina, dove stava facendo colazione da solo, sentiva Tom canticchiare allegramente sotto alla doccia. Nulla di strano, se il soggetto della frase non fosse stato ‘Tom’, o se il verbo non fosse stato ‘canticchiare’, o se non fossero state le nove del mattino, orario che fino a pochi minuti prima aveva sempre ritenuto del tutto sconosciuto per il fratello.

Bill si riempì una tazza di cornflakes, innaffiandoli di latte, e sospirò.

Gustav stava ancora dormendo. Aveva fatto le ore piccole la sera prima con una ragazza che aveva conosciuto per caso facendo jogging nel parco e a quanto pareva non avevano fatto tardi perché occupati a consumarsi a vicenda tra delle lenzuola, bensì perdendosi in dissertazioni sui Metallica. Bill non era un esperto, ma gli sembrava che come inizio fosse piuttosto deprimente, ma Gustav gli era parso molto soddisfatto, quindi buon per lui.

Per quanto riguardava Georg, la storia era un po’ più seria: era uscito da dieci minuti, allegro e pimpante, e sembrava che almeno per lui la giornata fosse buona, il tutto perché non aveva altro in mente che l’arrivo di Nicole ed Emily, previsto per il mattino seguente. Benjamin era passato a prenderlo per accompagnarlo ad un’intervista esclusiva con una giornalista di Bild, che aveva comprato l’esclusiva per la sua storia con Nicole. Georg era stato restio, all’inizio, ma Benjamin aveva ragione: meglio raccontare tutto una volta per tutte e non permettere ai pettegolezzi di diffondersi. Era pericoloso lasciar sorgere dei gossip se eri una rockstar poco più che ventenne di fama così vasta e c’era di mezzo una bambina di quattro anni che aveva degli occhi così sospettosamente simili ai tuoi.

Bill digrumò in un batter d’occhio i suoi cereali e fece in tempo a versarsi una seconda porzione prima di sentirsi sazio. Una volta che ebbe finito, nemmeno si sprecò a sparecchiare. A minuti sarebbe arrivata Vibeke, ci avrebbe pensato lei. Si alzò, passandosi le dita tra i capelli ancora scarmigliati, e si trascinò pigramente verso il bagno. C’era Tom, nella doccia, ma non poteva farci nulla se il suo spazzolino da denti era là dentro.

Entrò senza nemmeno bussare ed attraversò la spaziosa stanza in completa nonchalance, sfregandosi gli occhi ancora appannanti dal sonno, nonostante fosse ormai una mezz’ora abbondante che era sveglio.

“Ciao, Tomi.” Salutò con uno sbadiglio, scorgendo la sagoma del fratello al di là del vetro opaco. Tom sussultò e il flacone del docciaschiuma gli cadde di mano.

“Cristo!” imprecò, poi, appena si fu ripreso, la sua testa sbucò dalla doccia. “Fa’ pure, Bill, con comodo!” sberciò. “Non ti preoccupare se la porta era chiusa per un motivo, non mi interessa se la gente entra ed esce liberamente mentre mi sto lavando!”

Bill sbadigliò ancora.

“Meno male.” Bofonchiò, e prese a trafficare con dentifricio e spazzolino, per poi mettersi a lavarsi svogliatamente i denti, seduto sul ripiano di marmo accanto al lavandino.

“Allora, cosa mi racconti?” farfugliò, la bocca piena di schiuma, rivolto al fratello.

Sentì Tom versarsi del bagnoschiuma e spargerselo addosso.

“C’era una volta, in paese molto molto lontano, una bambina di nome Cappuccetto Rosso…”

“Ma che ridere!” grugnì Bill, per niente divertito.

“Preferisci Hansel e Gretel?” rise allora Tom, apparentemente convinto di essere molto spiritoso.

Bill sputò la schiuma di dentifricio nel lavandino, si sciacquò la bocca e sorrise.

“Cosa ne dici di Tom e Vibeke?”

Silenzio. Un silenzio così assoluto e sepolcrale che Bill si domandò se per caso Tom non ci fosse rimasto secco dallo shock.

“Tom?”

Niente.

“Tomi?” tentò di nuovo. Non ricevendo risposte, si alzò e andò di fronte alla doccia, palandosi davanti al vetro. “Che cosa c’è?” domandò candidamente. “Non ti piace questa storia?”

“Cosa cazzo ne sai tu?” sbottò Tom tutt’un tratto, vagamente allarmato. “Te l’ha detto lei?”

Bill se la rise sotto i baffi, discretamente compiaciuto.

“No,” ammise. “Ma ce l’avete scritto in faccia tutti e due che avete qualcosa in ballo.”

L’attacco a tradimento sortì l’effetto sperato: Tom riaccese in fretta l’acqua, segno che aveva bisogno di nascondersi dietro a qualcosa per coprire il suo silenzio di riflessione.

Inventati tutte le cazzate che vuoi, adesso, tanto non me la fai, pensò Bill, soddisfatto.

Stava già per ripartire con l’offensiva, quando suonò il campanello.

“Apri,” disse Tom – con un certo sollievo, come ebbe modo di notare Bill – prima ancora che il suono del trillo di fosse del tutto diradato. “Quella cretina si sarà di nuovo scordata le chiavi.”

Bill avrebbe voluto rispondere ‘Sogantelo!’, ma poi si ricordò che Gustav era ancora a letto, e se fosse stato malamente svegliato dal campanello, anche se era colpa della sua adorata Vibeke, sarebbe stato intrattabile per tutto il resto della giornata.

“Va bene, sentenza sospesa,” sbuffò, infilando la porta. “Per ora.”

Seguì un secondo trillo prima che Bill riuscisse ad arrivare all’ingresso, inciampando in un paio di ostacoli inidentificati che erano stati abbandonati sul pavimento nonostante la flemma letargica che avrebbe potuto competere con quella di Georg, ma la mattina gli era molto difficile carburare e la sua coordinazione non era esattamente affidabile.

Ci mise qualche secondo per mirare la serratura con la chiave, e anche allora non fu proprio immeditata l’apertura, ma alla fine riuscì a spalancare quella maledetta porta. Quello che vi trovò dietro fu abbastanza sconvolgente da svegliarlo con la stessa potenza ed efficacia che avrebbe avuto una scossa elettrica.

Cosa diavolo –?

“Ciao, principessa.” Lo salutò una voce più che familiare.

Bill aggrottò la fronte, disorientato. Era Vibeke, quella?

I suoi occhi sgranati la fissavano diffidenti centimetro per centimetro, incapaci di credere a quel che vedevano: la ragazza che aveva di fronte era decisamente Vibeke, solo che non somigliava affatto alla solita Vibeke. Sotto a uno spolverino di velluto, portava un vestito dallo stile molto gotico, costituito da un bustino e da una gonna che sembrava fatta di brandelli di raso e pizzo nero. Niente di strano, se non fosse stato che il tutto era rosa. E non un rosa qualsiasi, ma un bel rosa confetto di quelli che quasi sanno di zucchero solo a guardarli. Perfino le stringhe degli anfibi erano rosa.

E quella era Vibeke.

Vibeke V. Wolner.

Vestita di rosa.

“Ti hanno mangiato la lingua?” commentò Vibeke con i suoi modi spicci di sempre, passandogli oltre senza fare troppi complimenti.

Bill chiuse meccanicamente la porta e la seguì con lo sguardo, abbacinato da tutto quell’assurdo, inspiegabile tripudio di rosa che gli era apparso davanti.

“Wolner?”

“Che c’è?” fece lei, appendendo lo spolverino nel guardaroba lì accanto.

“Sono impazzito io, o sei proprio vestita di rosa?”

Vibeke si strinse nelle spalle.

“Non so,” rispose. “Entrambe le cose?”

“Ti sta bene,” osservò Bill, colpito. Il solito nero la faceva sempre sembrare un po’ spenta, ma quel rosa delicato dava il giusto risalto ai suoi occhi, immancabilmente truccati a puntino, e rendeva il suo pallore un po’ più sano e luminoso. “Sei proprio carina vestita così.”

Vibeke gli buttò lì un mezzo sorriso un po’ schifato.

“Niente smancerie di prima mattina, per favore.” Lo avvertì, picchiettandogli una mano sulla testa, nemmeno fosse stato il suo cucciolo personale.

“Ma…” provò a replicare Bill, ma lei era già partita per la sua tangente e già si guardava intorno, cercando.

“Dove sono tutti quanti?” gli chiese, andando a controllare fino in cucina. “Georg aveva l’intervista, ma Gud e tuo fratello? Non saranno ancora a letto!”

“Gustav sì,” le disse Bill, ancora sotto shock. “Ieri sera – anzi, stamattina – è tornato tardi.”

Si fermò lì. Non era sicuro di volerle raccontare i dettagli, soprattutto vista la sua gelosia folle nei confronti di Gustav. Se avesse saputo che era uscito con una ragazza, probabilmente avrebbe fatto le veci di una madre in paranoia, ed era uno spettacolo a cui presumibilmente nessuno avrebbe voluto assistere.

Bill poteva quasi già vedere la domanda ‘Come mai?” formarsi sulle labbra di Vibeke e si stava preparando a mentire, quando Tom comparve dal corridoio, infilandosi una felpa rossa su un paio di pantaloni da tuta, che Bill riconobbe come propri.

Non appena la testa di Tom sbucò dal collo della felpa e lui poté tornare a vedere, i suoi occhi sembrarono sul punto di schizzare fuori dalle orbite dallo stupore.

“Vi,” esalò, attonito, squadrandola in lungo e in largo. “Sei vestita di rosa.”

Lei inarcò sarcasticamente le sopracciglia.

“Davvero? Non l’avevo notato.”

“Da capo a piedi!” insisté Tom, sempre più incredulo.

“Sì, grazie della notizia scoop.” Replicò lei senza il minimo cenno di interesse, ma Tom non smetteva di fissarla a bocca spalancata.

“Perché sei vestita di rosa?”

“Perché volevo vedere quell’esatta espressione ebete che alloggia sul tuo bel faccino nel momento in cui mi avresti fatto questa stessa domanda.” Ribatté lei, senza scomporsi di una virgola.

“Non sei spiritosa.”

“Non sto scherzando,” Vibeke gli passò accanto, lasciandogli un pizzicotto su una guancia. “Mi piace vestirmi in modo diverso, ogni tanto, perché la gente non se lo aspetta.”

E quello strano sarei io?, pensò Bill, guardandola iniziare a rassettare la cucina.

“Certo che sei strana.” Commentò Tom, scuotendo il capo.

“Io non parlerei se fossi un ragazzo che porta vestiti che sembrano tendoni da circo.” Trillò Vibeke, la testa china dentro alla lavastoviglie, dove stava ammassando la roba della colazione. Tom si appoggiò con una spalla alla porta, incrociando le braccia con un minuscolo ghigno.

“Senti chi parla, confettino.” La canzonò.

In risposta, lei gli scagliò contro una scatola vuota di cornflakes, le guance accese da un tocco rosato.

“Sta’ zitto, Bill ha detto che sono carina!”

Al che Tom sorrise. Anzi, le sorrise.

“Non ho detto il contrario.” Obiettò con garbo.

Anche se fosse stato in coma irreversibile, impossibilitato a vedere, udire e percepire in qualunque altra maniera, Bill avrebbe comunque notato, e senza la minima difficoltà, la curvatura pressoché insolita del sorriso del proprio fratello. Restava quella vena di maliziosa voglia di provocare, nel modo in cui si era rivolto a Vibeke, ma c’era anche stato dell’altro, qualcosa che Bill non era abituato a vedere, in Tom, e che sinceramente non sapeva se considerare un buon segno o un presagio di guai.

Che a Tom piacesse Vibeke era ormai cosa di pubblico dominio, tra quelle quattro mura, così come anche il fatto che sporadicamente – ma forse nemmeno troppo – si divertissero a fare gli amanti disinteressati, ma che quel reciproco ‘piacersi’, pur formalmente presentato sottoforma di Terza Guerra Mondiale, potesse addirittura nascondere altro, Bill si era sempre rifiutato di considerarlo troppo seriamente.

Certo, aveva più volte tentato di inculcare in quella testa di legno di suo fratello un minimo di consapevolezza, però non credeva che quel debole che lui aveva per lei potesse davvero sfociare in qualche cosa di più radicato.

E invece…

Dal salotto, dove se ne era rimasto, Bill rimase ad osservare Tom, che a sua volta osservava Vibeke dall’ingresso della cucina, mentre lei metteva via tazze, cucchiaini e cibarie varie senza quasi curarsi di lui.

Quasi, sì, perché le frecciatine occasionali che gli indirizzava erano tanto fugaci quanto palesi, e Bill di una cosa era certo: non aveva mai visto il proprio gemello così preso da una donna, prima di allora.

“Buongiorno.”

Bill sussultò. Alle sue spalle era appena sopraggiunto Gustav, vestito e pettinato, profumato di pino selvatico, l’aroma del suo bagnoschiuma. Nemmeno lo aveva sentito alzarsi e farsi la doccia.

“Ciao, Gusti.” Lo salutò.

“‘Giorno, Bill.” Ricambiò lui, gioviale. Sembrava in forma, allegro più del solito. Chissà se era merito della ragazza della sera prima.

Una cosa però preoccupava Bill: Tom era già abbastanza confuso di suo riguardo il proprio rapporto con Vibeke; se lei avesse scoperto di questa nuova ragazza che Gustav frequentava e, com’era prevedibile, si fosse messa a fare la gelosa, l’elementarità del cervello di Tom non sarebbe mai e poi mai stata in grado di cogliere tutte le sottili sfumature della faccenda e probabilmente avrebbe disastrosamente frainteso tutto.

Non che si potesse fargliene una colpa, comunque. Non del tutto, perlomeno. In fin dei conti, Tom non sapeva nulla dell’amore, se non quello che vedeva in televisione – concetto molto ristretto e stereotipato – e quello che vedeva riflesso in Georg e Nicole.

Ma Tom e Vibeke non erano Georg e Nicole, e la matassa da sbrogliare era di tutt’altra trama, stavolta.

“Gud!” tintinnò Vibeke, precipitandosi fuori dalla cucina a braccia tese. Come al solito, lo abbracciò con calore e gli stampò un bacio su una guancia, trascinandoselo dietro per farlo accomodare al tavolo. “Ti preparo subito la colazione.”

“E a me la colazione non la prepara nessuno?” si lamentò Tom, entrando in una repentina modalità ‘broncio’.

Senza nemmeno voltarsi a guardarlo, Vibeke fece un gesto distratto con la mano, veleggiando da una parte all’altra della cucina per recuperare latte, pane da tostare e marmellata.

“Siediti, Kaulitz, ora mi occupo anche di te, contento?”

Bill sghignazzò tra sé e sé nel vedere Tom accasciarsi malamente su una delle sedie libere e aspettare in silenzio, stravaccato come un camionista ubriaco, lanciando di tanto in tanto qualche frecciatina ostile a Gustav, il quale si limitava a sfogliare oziosamente il giornale, snobbandolo regalmente.

“Be’, già che ci siamo, magari ne approfitto anche io.” Soggiunse Bill, trotterellando brioso fino al tavolo, dove prese posto tra Tom e Gustav, mettendosi in attesa.

“Scusa, ma tu non hai già fatto colazione?” puntualizzò Vibeke, perplessa.

“Be’, sì,” Bill si strinse nelle proprie spalle. “Però magari c’è ancora un po’ di posto per quella cosa norvegese che fai di solito… Sai, quella specie di pane tutto grassi e spezie…”

“Julekake.” Specificò Tom, prima ancora che Vibeke avesse modo di aprir bocca.

Un sorriso stupito di formò sulle labbra di Vibeke.

“Incredibile!” esclamò. “Stai a vedere che, almeno quando parlo di cibo, ascolti quello che dico!”

Tom emise una specie di grugnito scorbutico.

“Sarà che è l’unica cosa che sai preparare in modo commestibile?”

“Bene!” sibilò lei, pestando un piede per terra. “Allora fattela da solo la tua maledetta colazione!”

“Fottiti, io ti pago per farmi la colazione!” abbaiò Tom con uno scatto nervoso.

“Quindi se io ti pagassi per buttarti dalla finestra, tu lo faresti?!”

“Piuttosto che stare a sentire le tue lagne, anche subito!”

“Perfetto! Vuoi che te la apra?”

Bill si stropicciò stancamente il viso tra le mani, scambiando con Gustav un’occhiata di pena.

Se le cose fossero continuate così ancora per molto, quei due si sarebbero ammazzati a vicenda prima ancora che Bill o qualcun altro li ammazzasse per la disperazione.

“Vaffanculo, Vi!”

“Vaffanculo tu, Kaulitz!”

Bill si avvolse le braccia attorno alla testa e si appoggiò con la fronte al tavolo.

Spegneteli, vi prego!

 

 

***

 

La tarda mattina profumava di neve, e il cielo di quel grigio giallastro faceva pensare che forse presto ci sarebbe stata un’imbiancata imprevista.

La via era piena di auto parcheggiate, ma deserta in quanto a persone, tipico dell’ora di pranzo, e quando Georg mise piede giù dalla Range Rover di Benjamin, si sentiva abbastanza incline a fare a pezzi ciascuna di quelle auto a mani nude.

“Georg!” lo chiamò Benjamin dal finestrino. “Vedi di darti una calmata, per favore, sei un po’ troppo grande per fare queste scenate!”

“Non sono cazzi tuoi, Benji!” replicò lui aspro, lasciando di stucco perfino Tobi, la guardia del corpo prescelta per accompagnarlo all’appuntamento con quella giornalista di Bild, che aveva avuto il privilegio di ottenere in esclusiva un’intervista con Georg riguardo la ‘bella rossa misteriosa’ con cui era stato visto a San Valentino.

Oltre al fastidio di sentir definire Nicole in quel modo annichilente, Georg aveva anche dovuto sopportare una torchiatura in perfetto stile noir riguardo la presunta precedente relazione tra la propria attuale ragazza e il suo grande amico Bill Kaulitz.

In tutta franchezza, mai e poi mai si sarebbe aspettato che la gente ancora ricordasse quelle stupidissime foto uscite sul Sun un anno prima.

La piega dell’intervista non gli era piaciuta fin dal primo momento, quando aveva stretto la mano a quella donna dai corti capelli biondi e si era lasciato analizzare centimetro per centimetro dai suoi occhi neri, fastidiosamente piccoli e curiosi, anche da dietro alle lenti di vistosi occhiali viola.

La conferma che quella non sarebbe stata un’intervista facile e leggera, proprio come lo aveva avvisato Benjamin, la aveva avuta già alla prima domanda, posta con la condiscendente petulanza che solo le giornaliste delle riviste più famose in genere avevano la presunzione di poter usare: ‘Pare che tu abbia fatto l’ennesima conquista, e che per la prima volta tu abbia deciso di mostrarla al pubblico…’, gli aveva detto la stronza, con la sua orrida voce nasale, e anche se lui avrebbe voluto risponderle a modo proprio, si era dovuto trattenere, vigilato a vista da Benjamin.

Il tono allusivo con cui aveva sentito pronunciare ‘ennesima conquista’ gli aveva fatto venire voglia di sbottare un bel ‘Se intende insinuare che tra una settimana mi farò vedere con un’altra, si sbaglia di grosso’, mentre invece l’espressione ‘mostrarla al pubblico’ avrebbe meritato una replica ben più approfondita, che sottolineasse il fatto che, no, lui non la aveva portata fuori a cena per esibirla come un pezzo da collezione, e, anzi, se avesse saputo che ci sarebbero stati i media, la avrebbe portata altrove, ed aveva avuto un piccolo picco di sadica soddisfazione quando gli era stato domandato da quanto tempo lui e Nicole si ‘frequentassero’ e, in completa nonchalance, lui aveva buttato lì che stavano insieme da un anno, e che era molto innamorato, sia di lei che della sua bambina.

Di fronte alla faccia disorientata della donna, Georg avrebbe voluto ridere e darle un bel colpo di grazia con uno spietato ‘Non te l’aspettavi, vero, stronza?’, ma ovviamente era obbligato ad essere politically correct, e quindi aveva finto un sorriso cordiale ed aveva dato tutte le risposte nel modo più edulcorato possibile. In ogni caso, le sue stesse parole sarebbero state manipolate a piacimento di quella giornalista che sperava di non dover più incontrare.

“Solo un consiglio,” gli disse Benjamin, fermo con l’auto accesa accanto al marciapiedi. “Non ingigantire le cose.” E ciò detto tirò su il finestrino e sgommò via.

Georg sapeva di averlo fatto arrabbiare con il proprio cattivo umore.

Come se non fosse bastata la fastidiosa intervista, pochi minuti prima aveva anche ricevuto un messaggio da parte di Nicole, che gli comunicava che non sarebbe riuscita a raggiungerlo per il weekend. Una giornata cominciata male era così diventata un vero e proprio disastro.

Tirò fuori il cellulare e selezionò dalla rubrica il numero di Nicole, poi se lo portò all’orecchio ed attese.

Mentre la linea squillava libera, pensò a quanto tutto sarebbe stato più facile, se Nicole avesse abitato lì ad Amburgo.

Come Vibeke.

Anche se non sapeva con esattezza cosa fosse nato tra lei e Tom, Georg invidiava loro il fatto che potessero vedersi praticamente ogni volta che volevano.

Era abbastanza chiaro che conoscere Vibeke era stato per Tom una specie di piccolo trauma. Abituato ad avere a che fare con smorfiose svenevoli che lo ricoprivano di lodi e apprezzamenti, di certo non era stato facile per lui imparare a rapportarsi con una ragazza così, dura ed ostile, ma giorno dopo giorno le cose erano cambiate, e tutti avevano intuito che Tom, in quella durezza ed in quell’ostilità, ci avesse trovato ben altro che un motivo per litigare.

Vibeke, in fondo, era simile a Tom: appariscente ed apparente al di fuori, complicata e sensibile dentro. Entrambi non amavano darlo a vedere, entrambi trovavano il loro lato più umano una ragione di vergogna e facevano di tutto per tenerlo nascosto, ma era inutile che si intestardissero a fare finta di niente: nella loro diametrale diversità, quei due erano più uguali di quanto fossero disposti ad ammettere.

E non lo ammettono comunque.

La linea che ancora dava libero, Georg entrò nel palazzo e si avviò su per le scale, salendo i gradini a due a due. Aveva bisogno di uno sfogo fisico per il nervosismo accumulato.

“Pronto?”

Eccola. Dolce ma preventivamente insicura, la voce di Nicole lo riscosse dai suoi pensieri come una scarica elettrica. Sentendola, gli sembrava che gli mancasse ancora di più.

Georg si fermò davanti all’ingresso dell’appartamento.

“Ciao,” la salutò, sforzandosi di non lasciar trapelare dal proprio tono l’arrabbiatura. “Come stai?”

Preferiva partire in sordina, anche perché, a sentirla, non sembrava molto in forma.

“Abbastanza bene,” rispose lei. “E tu?”

“Sono appena tornato dall’intervista.”

“Oh,” Nicole parve ricordarsi solo allora di quel particolare. “E com’è andata?”

Georg storse il naso.

“Una delle più fastidiose della mia vita,” ammise. “Senza contare che la giornalista non solo era orribilmente invadente, ma anche insinuante in modo davvero poco professionale.”

Un altro sospiro giunse all’orecchio di Georg.

“Quando esce l’articolo?”

“La prossima settimana.”

“Bene.”

Era un ‘Bene’ di circostanza, che non voleva veramente dire ‘Bene’, quanto piuttosto ‘Me ne farò una ragione’.

A Nicole non piacevano le eccessive attenzioni, di qualunque tipo esse fossero, e Georg sapeva che l’idea di diventare cibo per i pettegoli non le aveva mai sorriso, ma lo stava facendo per lui, per dimostrargli che per lui era disposta anche ad esporsi, e Georg gliene era infinitamente grato.

“Senti,” Cambiare argomento di punto in bianco non era molto educato, ma gli premeva affrontare il motivo primo della telefonata. “Mi è arrivato il messaggio…”

Nicole tacque per un paio di secondi. Non poteva vederla, ma percepiva la sua stanchezza.

“Si può sapere cos’è successo?” domandò cauto.

Si sentì un debole sospiro.

“Lo so che ti avevo promesso che saremmo venute,” mormorò Nicole, con evidente dispiacere. “Ma una mia collega è in malattia per una settimana e nel weekend non c’è nessuno che la sostituisca.”

Georg si appoggiò alla parete, massaggiandosi la fronte con una mano. Gli stava venendo un forte mal di testa.

“Non potevi dire che avevi un impegno? Sono sicuro che avrebbero trovato qualcun altro…”

“Mi sono offerta io,” confessò Nicole, con una punta di impazienza che lo spiazzò. “Mi lasciano il prossimo finesettimana libero.”

Georg ammutolì. Aveva voglia di vederla adesso, non la prossima settimana.

Si era sorbito quella dannatissima intervista, era stato educato e gentile, nonostante la voglia di mandare a quel paese la giornalista fosse spesso stata sul punto di prendere il sopravvento, e tutto perché non aveva in mente altro che il momento in cui avrebbe riabbracciato Nicole, e ora tutto sfumava in un baleno.

“Georg,” sospirò Nicole, con un tono paziente che gli diede sui nervi. “Lo so che sei arrabbiato.”

“Ti aspettavi che facessi i salti di gioia?”

“Mi aspettavo che reagissi esattamente come stai reagendo.”

“Bene, allora alla prossima intervista ci vieni anche tu, così se non altro capirai perché era così importante per me vederti!”

“Non fare il bambino, adesso, credevo avessimo imparato a gestire gli intoppi di questo genere…”

Georg boccheggiò. Non si capacitava di come Nicole potesse ridurre tutto ad un ‘intoppo’, quando lui era sopravvissuto all’ultima settimana solamente perché alla fine ci sarebbe stata lei a ripagarlo di tutto. Ma, come lei spesso accusava lui di avere poco contatto con la realtà in cui vivevano i comuni mortali, anche lui poteva dire che spesso lei non fosse in grado di comprendere quanto potesse essere dura fare la vita che faceva lui, sballottato da un posto all’altro in continuazione, senza mai un attimo di tregua. Perfino l’incisione del nuovo album, la cui uscita era ormai prevista a breve, era stata travagliata da non pochi problemi, di natura sia tecnica che logistica, visto che erano stati costretti a cambiare l’ubicazione dello studio di registrazione ben tre volte, a causa delle solite fan troppo impiccione che, seguendoli ovunque, avevano reso loro la vita impossibile.

Georg non poteva negarlo: a volte avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro e cancellare tutto quanto, ma amava il suo lavoro, anche quando questo lo portava a litigare con Nicole.

“Senti,” disse, con tutto l’autocontrollo che gli rimaneva in corpo. “Sono stanco, va bene? Dammi pure del bambino, se vuoi, ma ci tenevo davvero!”

Sì, ci tenevo, pensò poi, deluso ed amareggiato, forse più di quanto ci tenessi tu.

 

 

***

 

 

Se non fosse stato quasi mezzogiorno, Vibeke avrebbe potuto tranquillamente pensare di stare sognando, o, se avesse bevuto o assunto qualche sostanza stupefacente, di avere qualche allucinazione acustica.

Era in salotto assieme a Gustav, che leggeva un vecchio libro sulla poltrona. Stava sistemando le cose che i ragazzi le avevano messo da parte da portare in tintoria, canticchiando sottovoce una stupidissima canzone che le aveva messo in mente BJ quella mattina, quando, da dietro alla porta di ingresso, aveva percepito distintamente una voce alterata alzarsi sempre di più, sempre più arrabbiata.

Una voce che si dava il caso appartenesse a Georg.

“Avevi detto che ce l’avreste fatta!” lo sentiva inveire. “Va bene, ma – Nicole, cazzo, fammi parlare! – non potete prendere un treno domani sera, o qualcosa? Non lo so, quello che ti pare!”

Vibeke era praticamente a bocca aperta. Non solo non aveva mai visto Georg così arrabbiato, ma, soprattutto, non avrebbe mai creduto che lui potesse litigare con la sua Nicole, tanto meno in quel modo così acceso.

Si sentì stupida quando si rese conto di essere così scioccata. Le sembrava di essere tornata indietro di quindici anni, alle prime volte che aveva sentito i propri genitori litigare a voce alta e in modo piuttosto aggressivo.

Ammetterlo era fuori discussione, ma le dispiaceva moltissimo che Georg e Nicole fossero in assetto litigioso.

“Capita spesso?” domandò a Gustav, senza riuscire a scollare gli occhi dalla porta, al di là della quale la discussione si protraeva imperterrita.

Gustav sollevò appena gli occhi dal libro, spingendosi gli occhiali sul naso, e scrollò brevemente le spalle.

“No,” rispose, calmo come suo solito. “Ma nemmeno troppo raramente.”

‘Nemmeno troppo raramente’, per i gusti di Vibeke, poteva essere molto liberamente interpretabile, ma detto da uno come Gustav, decisamente poco incline a sbilanciarsi, faceva un certo effetto.

“E io che credevo fossero una coppia da manuale…” espirò, ancora impegnata a convincersi di non essersi immaginata tutto.

Gustav le rivolse un sorriso indulgente.

“Ma dai, cosa ti aspettavi? Sono innamorati e vivono separati per la maggior parte del tempo, è ovvio che ogni tanto si facciano prendere dalla frustrazione.”

Vibeke adorava la tranquillità di Gustav, il suo modo sempre razionale di guardare le cose. Lei era l’esatto opposto, impulsiva e a volte avventata, tanto svelta a giudicare quanto lo era la sua coda di paglia a prendere fuoco. Ammirava profondamente le persone come lui, padrone di sé e riflessive, capaci di cogliere anche le sfumature più lievi delle cose.

Lei non sarebbe mai stata così.

“C’è da ammirarli solo per l’impegno che ci mettono,” stava proseguendo Gustav, dopo aver richiuso il libro. “La prima volta che hanno litigato così, credevamo tutti che fosse finita, ma poi è arrivata Emily, li ha presi a schiaffi tutti e due e ha urlato ‘Non si litiga, cattivi!’ e siamo scoppiati tutti a ridere.”

Anche a Vibeke scappò una risatina. Emily era proprio un pepe di bambina.

“Quella piccoletta sa il fatto suo.” approvò.

“Porta sempre il buonumore,” disse Gustav, il sorriso che gli si accendeva di una lue nuova. “Per questo mi dispiace sentire che lei e Nicole non verranno, per noi è sempre un piacere averle qui.”

Ecco, di nuovo quella frase.

Tutti non facevano che ripeterla e ripeterla, ogni volta che si menzionava una delle due Sandberg. Vibeke provava sempre una punta di irrazionale gelosia quando si parlava di loro, e soprattutto di Nicole, perché lei, a differenza di Nicole, non era mai riuscita ad essere spontanea fino in fondo.

Era se stessa, sì, ma trattenuta entro qualche inspiegabile barriera che un po’ la opprimeva, ma che, per qualche motivo, si teneva ben stretta.

“Già.” Mormorò, tornando ad infilare paia su paia di jeans nelle borse di plastica, ma lo sguardo di Gustav le pesava insistentemente addosso.

“Be’?” gli fece, seccata.

E ancora, Gustav sorrise, questa volta in modo velatamente ammiccante.

“Sbaglio o sento dell’amaro in mezzo al tuo solito acido?”

“Sbagli.” Negò Vibeke repentina. Troppo repentina, forse.

Gustav annuì condiscendente.

“Ovviamente.”

Lei fece per rimettersi a trafficare con la montagna di indumenti, ma si accorse di non volere silenzio. Origliare, seppur involontariamente, una conversazione era deplorevole, figurarsi poi uno screzio come quello.

A dirla tutta, era una persona di indole piuttosto invadente, almeno istintivamente, curiosa e ficcanaso, proprio come suo fratello BJ, ma col tempo aveva imparato a tenere a bada questo suo lato impiccione, poiché lei stessa provava un’avversione innata per la gente indiscreta, e le sembrava debito, se desiderava che il prossimo si facesse i fatti propri, almeno ricambiare il favore.

“Comunque in un certo senso mi fa piacere apprendere che quei due non vivono in un limbo bucolico come sembra,” Commentò. “A vederli, certe volte, sembrano disumanamente perfetti.”

“Una volta si sono anche lasciati.” Buttò lì Gustav, come nulla fosse.

Lei strabuzzò gli occhi, incredula.

Davvero?”

“Sì, intorno a novembre,” confermò Gustav sereno. “È stata una rottura molto sofferta per tutti noi,” Spiegò poi, ma le sue parole suonavano quasi divertite. “Eravamo in hotel: Georg quella sera si ubriacò ed era completamente a pezzi, passò tutta la notte sdraiato a terra rantolante nella stanza di Bill, con noi che cercavamo di farlo ragionare.”

“E come sono tornati insieme?”

Gustav si stiracchiò, sfilandosi gli occhiali e posandoli sul tavolino assieme al libro.

“Alla fine, una settimana dopo, Nicole chiamò e si scusò, anche se, per sua stessa ammissione, era Georg quello nel torto.” Le raccontò.

“E lui?” spirò Vibeke, alle cui orecchie giungeva inammissibile il fatto che una persona dovesse scusarsi per un errore non suo.

Ma forse era così che funzionava, quando eri innamorato. Forse l’amore ti stordiva ad un punto tale da fartene fregare di cosa fosse ingiusto e cosa no.

Forse – forse – era quello il modo giusto di risolvere le cose, se davvero ci tenevi.

“Lui non aspettò neanche che lei finisse per chiedere scusa a sua volta e dimenticarsi tutto quanto era successo.”

“Be’, devo riconoscere che la piccola ha del fegato,” si complimentò lei con onestà. “Io al suo posto non mi sarei mai piegata a chiedere scusa, soprattutto per una colpa non mia.” Aggiunse con una smorfia.

Gustav si alzò in piedi ed assunse un’espressione furba e candida al tempo stesso, un’abilità che Vibeke poteva riconoscere solamente ad altre due persone che conoscesse: Bill e BJ.

“Forse non hai ancora trovato la persona per cui valga la pena di farlo.” Rifletté Gustav pensoso.

“Odio quando fai il filosofico.” Biascicò lei. Le piaceva la complicità che era nata tra loro, ma certe volte aveva la netta sensazione che lui riuscisse a leggere dentro di lei molto meglio rispetto a come lei riusciva a leggere dentro di lui.

“Certo che capisco, ce l’ho anch’io un lavoro, ricordi?” sbottò improvvisamente la voce iraconda di Georg dal pianerottolo. “Sì, certo, che vita comoda che ho io, invece! Appuntamenti mediatici vari, manager che mi dicono come affrontare i miei cazzi personali, giornaliste ficcanaso… L’unica cosa che mi teneva il morale alto era sapere che sareste arrivate voi... Lo so! Lo so, lo so, non è colpa tua. No, non sono arrabbiato. Ho detto di no! Senti, fa’ come vuoi, ci sentiamo. Sì. Ciao.”

Vibeke e Gustav riuscirono appena a scambiarsi uno sguardo preoccupato, prima che la porta si spalancasse con un colpo brusco e Georg ne entrasse come un ciclone in piena potenza, scurissimo in volto, proprio nel mentre il cui Bill schizzava giù per le scale, portandosi dietro un’impressionante alone al profumo di mente, dato che stringeva tra i denti uno spazzolino ancora schiumante, un asciugamano buttato su un braccio. dopo il secondo e decisamente generoso round di colazione, gli era toccato lavarsi di nuovo i denti.

“Hey, Georg, com’è andata l’intervista?” farfugliò, sputacchiando dentifricio ovunque.

Vibeke si trattenne dall’urlargli contro solo perché anche lei era avida di sapere.
“Di merda.” Rispose Georg secco, passandogli oltre per infilare le scale.

“Dove vai adesso?” protestò Bill, voltandosi indietro. “Ci devi raccontare!”

“Un’altra volta.” Disse Georg, prima di sparire completamente dal raggio visivo di Vibeke.

“Che diavolo è successo, si può sapere?”

“Nicole ha detto che non riesce a venire per il weekend.” Replicò la voce asciutta e notevolmente irritata di Georg.

“Oh,” L’espressione di Bill si sciolse in una maschera di delusione, lo spazzolino che gli pendeva mollemente tra le labbra. “Che peccato.”

“Già.”

Passarono un paio di minuti di silenzio, durante i quali tutti e tre restarono in ascolto della serie di rumori indecifrabili che si sentivano al piano di sopra.

Allo scadere del terzo minuto, Georg ricomparve e si precipitò nuovamente giù, mancando di poco Bill, che saltò di lato appena in tempo per non farsi travolgere dal borsone che l’amico teneva in mano. Da quando era entrato, non si era nemmeno tolto il giubbotto.

Lo guardarono tutti affrettarsi verso il portaoggetti e mettersi a cercare febbrilmente tra tutte le cianfrusaglie ammassate là dentro. Quando ebbe trovato le chiavi della BMW, se le mise in tasca e aprì la porta d’ingresso.

“Esci?” chiese Gustav, perplesso.

“Sì.” Rispose Georg, autoperquisendosi le tasche interne del giubbotto.

“Dove vai con tutta questa roba?” chiese Bill, allungando il naso verso il borsone.

“A Lipsia.”

“A Lipsia?” esclamarono tre voci basite.

“Sapete come si dice, no?” disse Georg in tono pratico. “Se Maometto non va alla montagna…”

“Posso permettermi di ricordare alla montagna che lunedì mattina deve fare la parte del bassista dei Tokio Hotel in un live in TV?” disse Tom, sbucato dal nulla sulla soglia della cucina. Georg però non parve preoccuparsene troppo.

“Tornerò in tempo.”

“Lo sai che se Benji lo scopre ti fa un culo così, sì?”

“Amen.”

Le risposte di Georg si stavano facendo sempre più brevi, concise e scocciate. Aveva fretta di andarsene.

“Noi comunque siamo dei buoni amici e faremo di tutto per coprirti.” Lo rassicurò Bill, che si stava pulendo la bocca con l’asciugamano.

“Grazie.”

“Hey, Georg!” lo chiamò Gustav. Lui si fermò poco prima di essersi richiuso la porta alle spelle.

“Che c’è ancora?” sbuffò, irritato, ma Gustav gli sorrise amichevolmente.

“Salutaci le nostre Sandberg.”

Il volto di Georg si rilassò un poco.

“Certo. Ci vediamo lunedì.” E se ne andò, lasciandoli tutti con un palmo di naso.

“L’abbiamo perso.” Brontolò Tom, sprofondandosi nel divano con una faccia funerea.

Vibeke lo occhieggiò interrogativamente:

“Che vuoi dire?”

“Non lo vedi?” esclamò Tom accalorato, compiendo un gesto stizzito con la mano. “È andato, cotto, perduto. Da quando ha conosciuto Nicole, gli è andato in pappa il cervello. Appena può, salta in macchina e corre da lei, se litigano fa scenate patetiche e mette su certe facce da funerale che non ti dico, ogni volta che la vede sembra che il cielo gli si spalanchi davanti…” Riprese fiato, scuotendo impotentemente il capo. “Insomma, io voglio bene a Nicole, ma non so più che fine abbia fatto il buon vecchio Georg di una volta.”

“Quale, quello che veniva con te alle feste a collezionare conquiste?” si intromise Bill. “Quello con cui adoravi passare in rassegna le ragazze ai concerti per scegliere quelle da portarvi in albergo?”

“Proprio quello.” Asserì Tom tetro.

Bill scosse la testa.

“Tom, rassegnati,” gli disse, con un’insolita delicatezza. “Quelle sono cose passate. Georg è innamorato e prima o poi Nicole se la sposa, te lo dico io.”

Vibeke decise che era giunto per lei il momento di togliersi dalla chiacchierata. Non era il suo campo, quello, era meglio lasciarli tra loro, anche se questo significava dover letteralmente sopprimere un attacco di curiosità fulminante. Con discrezione si portò il mucchio di pantaloni e magliette nella stanza della lavanderia e proseguì lì il proprio lavoro.

“Prima o poi Nicole se la sposa…”

Vibeke nemmeno ci credeva, nel matrimonio, eppure quella frase le aveva dato qualche motivo per sentirsi infinitamente sola.

Era sciocco da parte sua, ma non conosceva la sensazione di essere amata tanto da una persona, non aveva la più pallida idea di che cosa ci fosse di così potente – di così folle – tra due innamorati, da spingerli a farsi centinaia di chilometri per incontrarsi, anche dopo un brutto litigio, o a commettere qualunque altra sciocchezza. Probabilmente non avrebbe mai capito, cinica e disillusa com’era, ma non poteva negare che esisteva una parte di lei, per quanto piccola e segregata, che desiderava ardentemente poter avere almeno un assaggio di quel mondo che, almeno per ora, sembrava una ridicola utopia.

 

 

***

 

 

“Avevo sempre pensato che certe cose non sarebbero mai cambiate.”

Gustav guardò Tom in tralice, sorridendo di quella sua piccola scenata di gelosia verso Georg.

Quando si trattava di musica o di riflessioni di un certo peso, Gustav era sempre il primo che Georg andava a cercare per confronti ed opinioni, ma quando si trattava di donne, Tom era il suo compagno d’avventura indiscusso. Era sempre stato così, e probabilmente Tom aveva dato per scontato che le cose sarebbero rimaste tali in eterno, ma doveva aver dimenticato quel lato di Georg che forse lui era stato meno interessato a conoscere, quello sensibile e romantico, che era emerso in tutta la sua potenza quando lui e Nicole si erano conosciuti.

Probabilmente Tom nemmeno si era aspettato che la loro storia si rivelasse così solida e duratura, abituato fin da sempre a vedere Georg cambiare ragazza con la stessa frequenza con cui le cambiava lui stesso. E ora che Georg sembrava aver preso una strada diversa, Tom cominciava a dare qualche comprensibile segno di smarrimento, ritrovandosi a giocare da solo in un ruolo che era stato sempre giocato da due.

“Magari dovresti solo imparare a guardarti un po’ in giro.” Gli fece notare Gustav, ricevendo così un’occhiata vacua.

“In che senso?”

Sospirò pazientemente, mentre Bill roteava gli occhi indignato, sdraiato di traverso sulla poltrona.
“Nel senso che potrebbe esistere una qualche possibilità che qualcosa possa cambiare anche per te.” Ipotizzò, ma l’idea non piacque a Tom, che subito reagì mettendo le mani avanti.

“Io non voglio cambiare!” si oppose. “Sono una persona coerente.”

“Non si tratta di coerenza,” sottolineò Gustav. “Ma di crescita. Sono due cose ben distinte.”

“A me perdere completamente la testa sembra una cosa abbastanza degradante…”

“Eppure qualche volta mi sembri invidioso...” riflettè Bill, tormentandosi una ciocca di capelli tra le lunghe dita sottili.

“Sai com’è,” esclamò Tom, innervosito, ma senza negare alcunché. “Si è preso l’unica ragazza che abbiamo avuto modo di conoscere più approfonditamente negli ultimi anni!”

“Kaulitz!” tuonò improvvisamente la voce di Vibeke, dall’altra stanza. “Che cazzo ci fanno i tuoi pantaloni dentro la vasca da bagno?!”

Tom bestemmiò tra i denti, scagliando un pungo nell’imbottitura del divano.

“Perché non lo chiedi a loro?!”

Gustav ritenne di potersi concedere un lieve sogghigno, e così fece Bill.

“Be’, non proprio l’unica.”

Tom gli rivolse uno sguardo gelido.

“Ah, giusto,” Saltò in piedi e gli si parò davanti, incombendo su di lui dall’alto. “Per un attimo avevo scordato che tu e lei siete intimi.”

Gustav dovette necessariamente ricorrere alla medesima glacialità per non diventare scortese.

“Siamo amici, Tom.”

“Definizione molto elastica, visto che arriva ad estendersi ad effusioni svenevoli che non credevo incluse nel termine. Spero che non prenderai l’abitudine di abbracciare e baciare anche me, vista la nostra amicizia.”

“Ti stai comportando in modo ridicolo.”

“Scusa, non ti volevo offendere.” Lo canzonò lui.

“Non dicevo nei miei confronti.”

“Cos’è questa mania che state prendendo tutti quanti di farmi la predica?”

“Lascia stare, quando è così è inutile parlarci.” Gli consigliò Bill.

Tom si voltò di scatto verso di lui, le mani già strette in due pugni bianchi. Mai stuzzicare troppo un cane facilmente irritabile.

“Però Vibeke è carina, non trovate?” osservò Gustav, di punto in bianco, come il pensiero gli avesse appena sfiorato la mente per la prima volta. L’espediente funzionò, perché Tom si era voltato nuovamente verso di lui e lo fissava in modo strano.

“Molto carina,” soggiunse Bill convinto. “E intelligente.”

“E spiritosa.” Aggiunse Gustav.

Tom li guardò come se avessero appena detto che la terra era puntiforme.

“Stiamo parlando della stessa persona?”

Bill gli lanciò un’occhiata ovvia.

“Tu che ne dici?”

“E poi… Gustav, tu non sei appena uscito con quell’altra tipa?” obiettò Tom, quasi non lo avesse nemmeno sentito.

Gustav sorrise educatamente.

“Sei tu quello convinto – non so perché – che tra me e Vibeke ci sia qualcosa.”

“Sai, siete sempre appiccicati a sbaciucchiarvi…”

“Pensi veramente che se io le piacessi in quel senso, lo sbandiererebbe ai quattro venti così?”

“Perché no?”

“Dio, Tom,” Gustav emise un rantolo sommesso. “Ma è possibile che tu abbia capito così desolantemente poco di lei?” sospirò, nascondendosi per un attimo il viso tra le mani, poi guardò Tom negli occhi. “Orgogliosa com’è, ti pare che ammetterebbe mai di avere qualche tipo di debolezza?”

L’arroganza di Tom vacillò per un momento, il dubbio che traspariva dai suoi lineamenti impalliditi, poi si riscosse con un gesto incurante.

“Cosa ne so io di quello che passa per la testa di quella svitata?” si difese.

Gustav sopportò il suo atteggiamento strafottente per qualche secondo, ma alla fine preferì arrendersi. Come diceva Bill, quando stava così era inutile parlarci.

“Ma sì,” sospirò, alzandosi e voltandogli le spalle. “Alla fine non sai nemmeno quello che passa per la tua.”

 

 

***

 

 

Una rapida e lieve pressione sul campanello fu sufficiente ad annunciare il proprio arrivo. Avrebbe potuto benissimo usare le chiavi, ma preferiva l’effetto sorpresa.

Ci volle qualche secondo prima che si sentisse la chiave girare nella serratura, ma alla fine la porta si aprì lentamente, esponendo alla vista di Georg la figura sottile di Nicole, in tuta e grembiule da cucina, i lunghi capelli raccolti in uno chignon approssimativo sulla nuca.

A Georg bastò vederla per farsi passare tutta l’arrabbiatura, con annessi e connessi vari.

“Georg!” esclamò lei, chiaramente presa in contropiede. “Che cosa ci fai qui?”

Lui posò il borsone a terra, avvicinandosi di un passo. Non poteva farci niente: era felice di vederla, e non sapeva nasconderlo.

“Sai che detesto litigare al telefono…” le rispose con un sorriso.

Capì subito che anche lei era felice di vederlo, perché, nonostante non gli fosse saltata al collo come al solito, i suoi occhi non riuscivano a celare un’espressione raggiante.

“Sei venuto fin qui per litigare di persona?” gli chiese con casualità, incrociando le braccia mentre si appoggiava alla porta. Le si intravedeva una spruzzata di lentiggini sul naso, segno che aveva preso del sole, ma la sua pelle era sempre chiara e morbida, un invito ad essere baciata a cui Georg non avrebbe saputo resistere a lungo.

“Mi sono fatto due ore e mezza filate di macchina,” disse stancamente, accennando al borsone abbandonato a terra. “Pensi che potremmo litigare dopo cena?” aggiunse poi, con un sorrisetto blandente.

Nicole rimase immobile a guardarlo, impassibile, e per un attimo Georg temette che stavolta non se la sarebbero cavata con uno dei soliti bisticci ‘usa e getta’, come li chiamava Bill, che duravano giusto il tempo di dare loro il modo di sfogarsi un po’, ma che finivano sempre per concludersi con qualche coccola pacificatrice.

Ma poi, proprio quando stava già chinandosi per raccogliere il borsone e tornarsene all’auto, Nicole abbandonò la propria rigidità, lo afferrò per un braccio e lo fece avvicinare. Il sorriso dipinto sulle sue labbra diceva che non aveva alcuna voglia di litigare, nemmeno dopo cena.

“Lasagne e torta al cioccolato?” propose. Era una dichiarazione, se non di pace, di tregua a tempo indeterminato, e a lui non poteva fare che piacere.

“Andata.” Acconsentì, lasciandosi guidare all’interno di quella casa che conosceva come se fosse stata sua, ed un po’ sua, in effetti, ormai lo era.

Non appena la porta si chiuse, Georg non permise a Nicole di muovere un solo altro passo: lasciò cadere il borsone, la afferrò per la vita, facendola voltare, e le rubò un bacio pieno di voglia di farsi perdonare la sfuriata stressata di qualche ora prima.

Nicole però doveva essere ancora arrabbiata, sotto sotto, perché non gli lasciò approfondire la cosa. Sgusciò via da lui in tre secondi, voltandosi brevemente per rivolgergli uno sguardo di sfida, a cui lui rispose per le rime.

La seguì fino alla cucina, dove vide Emily in piedi su uno sgabello davanti al lavandino, l’iPod di Nicole nelle orecchie, che disfaceva scrupolosamente un bel mucchietto di baccelli di fagioli freschi.

La sentiva canticchiare sottovoce e, avrebbe benissimo potuto sbagliarsi, ma sembrava proprio che stesse ascoltando la sua canzone, cosa che riempì Georg di un certo orgoglio.

“Dai, vai a salutarla,” lo spronò Nicole, togliendogli il giaccone. “C’è rimasta peggio di te quando le ho detto che non saremmo potute venire a trovarti.”

Non se lo fece ripetere due volte: di soppiatto, le si avvicinò lentamente, poi allungò una mano e le tolse gli auricolari con un gesto rapido. Emily ebbe appena il tempo di voltarsi con un faccino tutto corrucciato, prima di lanciare un urletto estatico e di gettarsi letteralmente tra le braccia di Georg, che la abbracciò felice, facendola volteggiare in aria tra un bacio e l’altro.

Alle loro spalle, Nicole li osservava, il giaccone di Georg ancora tra le mani, e sorrideva in silenzio, godendosi lo spettacolo.

“Vado a portare di là le tue cose.” Annunciò a Georg, e, prima di lasciare la stanza, gli lanciò un’occhiatina penetrante, che aveva tutta l’aria di essere un avvertimento. Avrebbero avuto da discutere ancora, più tardi, ma per ora si sarebbero goduti il momento, la bella sorpresa inattesa.

“Sei venuto tu!” stava cinguettando Emily, agitandoglisi tra le braccia. “Mi mancavi! E mancavi tanto anche alla mamma!”

Georg rideva, momentaneamente dimentico di interviste, dissapori, esibizioni imminenti e tutto il resto. Si guardò intorno e scorse foto familiari, molte delle quali lo ritraevano, a volte da solo, a volte con i ragazzi, a volte con Nicole ed Emily, a volte con una sola delle due, annusò con piacere il profumo delle lasagne che cuocevano nel forno, misto alla fragranza di fiori che aleggiava sempre tra le pareti di quell’appartamento, ascoltò il suono familiare delle lancette dell’orologio che ticchettava da sopra la porta, si lasciò solleticare il collo dai soffici capelli di Emily, che lo teneva stretto in un abbraccio profumato di vaniglia, e si sentì a casa.

Avrebbe litigato altre mille volte con Nicole, ma, in cuor suo, sperava davvero che ci sarebbe sempre stato un dopo in cui ridere di tutto.

 

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Note: santi Tokio Hotel, questo è il capitolo più lungo che io abbia mai scritto! XD non chiedetemi come sia uscito così infinito ed eterno, ma così è, rassegnatevi (anche perché ormai avete finito di leggere, o siete deceduti nell’intento ^^). Mi scuso come sempre per i lunghi tempi di aggiornamento, ma è ottobre, università e lavoro sono ricominciati, e io avevo un paio di esamini indietro da recuperare, quindi portate la solita venerabile pazienza. ^^ Il titolo è tratto dall'omonima nnuova opera dei Cinema Bizarre (che quella stronze di Ladynotorius e Lady Vibeke ieri si sono sentite dal vivo! XD (Non vi invidio poi tanto, comunque, sappiatelo. u__u)

Ringrazio tutti voi che avete letto e così gentilmente commentato lo scorso capitolo, nonché voi che avete letto e spero commenterete anche questo. Sapete quanto io ci tenga alle vostre recensioni, quindi se questa storia vi piace almeno un pochino e non la leggete solo per non so quale spirito di masochismo, vi invito sempre a dire la vostra, oppure, in caso leggiate veramente per spirito di masochismo, ditemi cos’ha di così atroce da farvi muovere auto-violenza leggendola. ;)

Per ora vi saluto. Più tardi, quando avrò tempo, andrò a rileggermi i vostri commenti e, in caso ci siano risposte da dare e dubbi da chiarire, non temete, lo farò. ^^

Alla prosima!

P.S. la canzone citata in apertura è Skies Can Cry, di un gruppo chiamato Pristine Blue. ^^ Qualcuno sa di chi si tratta ed è pertanto pregato di mantenere la discrezione confidenziale, mentre gli altri dovranno pazientare un pochino per capire meglio. Non dico altro, chi vivrà, verdà! ;)

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Capitolo 15
*** Feel For You ***


Lo studio televisivo era il più grande che Tom avesse mai visto, tutto pannelli in plexiglass e faretti alogeni dalle luci cangianti, scritte ‘MTV TRL Live!’ sparse ovunque sulle pareti, a caratteri cubitali e sgargianti. Vasto e sterminato, tutto quello spazio era coperto nella sua quasi totalità da tribune nemmeno tanto piccole, che di lì a poche ore avrebbero ospitato le mille persone previste come pubblico per lo show.

Mille persone. In un singolo studio televisivo.

Quando erano state tante, Tom ne aveva viste al massimo trecento, e quelle erano più del triplo. Nemmeno tutte le forze della security dell’intero edificio avrebbero potuto fermare tutte quelle pazze, se qualcosa fosse andato storto.

Era nervoso, ma non era tutta colpa dell’esibizione imminente di quella sera.

I ragazzi – contro il suo spassionato parere – avevano invitato Vibeke ad assistere alla specialissima puntata di TRL dedicata interamente a loro e al party esclusivo che sarebbe seguito, e lei, dopo aver ringraziato, aveva semplicemente declinato, comunicando loro che Moniek sarebbe rientrata quel pomeriggio dal Portogallo e si sarebbero viste per bere qualcosa insieme.

Ovviamente, aspettare qualche ora era fuori discussione.

La notizia era stata piuttosto destabilizzante per Tom, soprattutto perché la figura di Moniek era stata completamente rimossa dai suoi pensieri. Si era talmente abituato ad avere Vibeke a propria libera disposizione, che aveva dimenticato il marginale dettaglio che lei avesse una ragazza. Una ragazza a cui comunque non doveva tenere poi tanto, visto che non aveva avuto problemi ad infilarsi nel letto di un altro, mentre lei era via. Questo compiaceva Tom, ma un po’ meno lo compiaceva l’idea che lei preferisse andare a bere qualcosa in un anonimo localino qualunque, piuttosto che presenziare da VIP ad un evento come una performance dal vivo dei Tokio Hotel.

Gustav aveva invitato la ragazza con cui si vedeva, Fiona, che né Tom né gli altri avevano ancora visto, e lei aveva fatto di tutto per riuscire ad essere presente almeno al party, prendendosi addirittura un’ora di permesso per poter uscire prima dal lavoro. Vibeke invece, che li conosceva da molto più tempo e che loro ormai consideravano un’amica, non si era nemmeno soffermata a rifletterci. Nemmeno per mezzo secondo.

Aveva guardato prima Bill, il primo ad accennare quella proposta, poi Gustav e Georg, ed aveva negato, infine si era voltata verso Tom, aveva incrociato brevemente i suoi occhi, poi aveva lasciato la stanza in silenzio, lasciandoli a scambiarsi espressioni vacue.

Quello che dava più sui nervi a Tom era che tutti lo avevano guardato quasi con compassione, facendolo sentire un emerito idiota, nemmeno fosse stato lui stesso ad invitarla e lei avesse liquidato lui, anziché quel maledetto invito.

Volente o nolente, in ogni caso, Tom non poteva negare di essersi sentito messo da parte, e la cosa non gli piaceva affatto. L’universo era Kaulitz-centrico, era sempre stato così, e a lui le eccezioni alle regole non piacevano per niente.

Ma del resto avrebbe dovuto aspettarselo: a cosa serviva un rimpiazzo, se non c’era nessuno da rimpiazzare?

Si erano divertiti, punto. Non era forse quello che aveva voluto lui? Prendersi le sue soddisfazioni, far capitolare quella presuntuosa e dimostrarle che nemmeno lei poteva proclamarsi immune a lui.

Aveva vinto, giusto? Era tutto lì, era quello lo scopo del gioco, lo era stato fin dall’inizio.

No?

Tom si sistemò la cinghia della chitarra sulla spalla, sbuffando irritato. Il soundcheck era appena cominciato, ma non stava andando granché bene.

Bill non era ancora riuscito a capire come fosse possibile che il suo microfono fosse andato perso tra l’attrezzatura e fissava quello di rimpiazzo con un’aria di urtata sufficienza.

Gustav se ne stava seduto alla sua batteria e si guardava criticamente intorno, innervosito dal viavai di persone che circolavano attorno a loro. Non sopportava la folla, soprattutto in momenti critici come il soundcheck, e non riusciva a smettere di rigirarsi le bacchette tra le mani, con ogni probabilità desiderando di spaccarle in testa al primo malcapitato.

Georg era tornato in tempo da Lipsia decisamente rigenerato, con l’aspetto di uno che aveva tutto quello che aveva sempre sognato e non riusciva a non compiacersene: dopo aver litigato per due giorni di seguito con Nicole, non solo avevano fatto pace, ma era addirittura riuscito a convincerla ad accettare la sua proposta di San Valentino, ed era ormai questione di giorni, prima che le due Sandberg cominciassero ufficialmente i preparativi per il trasloco. Questo aveva reso Georg raggiante ed euforico, tanto che quando era tornato, aveva portato con sé un’intera cassa dello champagne più costoso che ci fosse in commercio, e non appena avevano raggiunto il loro staff agli studi, aveva offerto da bere a tutti quanti. Tuttavia questo non lo aveva esonerato da una strigliata di quelle toste da parte di Benjamin, che aveva brontolato a lungo sulla responsabilità nei confronti del pubblico e anche della band, chiedendosi cosa sarebbe potuto succedere se per disgrazia non fosse riuscito ad arrivare in tempo. Georg aveva ribattuto che non sarebbe mai successo e che ci teneva a tenere in piedi la sua vita privata, adesso che ne aveva una, ed ora, dopo una snervante serie di botta e risposta quasi isterici, Benjamin si era lasciato condurre via da Dunja, mentre Georg, di pessimo umore, se ne stava chino sul suo basso nuovo di zecca, che però si rifiutava di lasciarsi accordare adeguatamente.

In quanto a Tom, si sentiva estraniato da tutto quanto.

Seguiva le prove ma senza esserci con la testa, intento a maltrattare qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, compagni compresi.

“Georg, la vuoi piantare di steccare?” sbottò aspramente in direzione dell’amico. “Mi distrai, cazzo!”

“Non sono io a steccare, idiota!” replicò Georg brusco. Il poco buonumore che gli era rimasto dopo aver visto Nicole ed Emily era scemato in fretta, dopo la lavata di capo di Benjamin, ed ora era un fascio di nervi, esattamente come Tom stesso. “È questo stupido basso che è stato accordato da cani!”

“E allora sistemalo, anziché ammorbare l’intero soundcheck!”

Gustav e Bill si scambiarono uno sguardo preoccupato, ma tacquero. Georg, invece, si sfilò impazientemente il basso, lo piantò in mano a Bill ed arrivò al cospetto di Tom in tre minacciose falcate. I vari presenti – una decina, tra tecnici, guardie del corpo, addetti e ficcanaso – si fermarono ad assistere alla scena.

“Senti un po’,” esclamò rabbioso, fissandolo dritto negli occhi. “La tua bella ti ha piantato in asso per la sua bella, e mi rendo conto che ti sconvolga il fatto che qualcuno possa pensare che esista qualcosa di più interessante di te su questa terra, ma – Tom, ti prego – non riversare su di noi tutta l’acidità che ti viene fuori quando rosichi dietro a Vibeke!”

Georg aveva usato un tono aggressivo ma basso, eppure era come se Tom fosse stato preso a schiaffi: ad ogni frase era arretrato di un millimetro ed era impallidito, sentendo i propri occhi sbarrarsi. Nonostante morisse dalla voglia di ribattere a modo, non riusciva a fare altro che aprire e chiudere la bocca senza emettere un suono.

Ti ha fregato, bello mio, bisbigliò un’ignota presenza nella sua testa.

“Credi che sia frustrante?” proseguì Georg, a voce così bassa da essere a stento udibile perfino da Tom, che gli stava ad un palmo dal naso. “Credi che niente turberà la tua vita più di una patetica gelosia ossessiva? Fai tutte queste scenate solo per questo?” Georg gli rivolse una ravvicinata occhiata sprezzante. “Prova ad innamorarti.” Gli sibilò, e gli voltò le spalle senza aggiungere altro.

Tom se ne restò impalato al centro del minuscolo palco ancora in allestimento, la chitarra penzoloni addosso, come se Georg, al posto di inveirgli contro, lo avesse preso a pugni nello stomaco. Tutti fissavano ora lui ora Georg a bocca aperta.

Con la coda dell’occhio, vide Gustav affondare il viso tra le proprie mani, i gomiti appoggiati alla grancassa della batteria, mentre Bill pareva in stand by, in piedi ad un paio di metri dall’asta del microfono, microfono in mano, gli occhi sgranati, le labbra serrate.

“Prova ad innamorarti.”

Tom realizzò che la sua reazione istintiva a quella frase era stata ridere, ma non lo aveva fatto. Non c’era riuscito.

Era sempre stato convinto di non essere capace di sentimenti di quel tipo, di essere stato esonerato a priori dall’inconveniente di innamorarsi e complicare rapporti altrimenti elementarmente semplici, e la pensava tuttora così. Di ragazze ne aveva conosciute a fiumi, belle o brutte, intelligenti o stupide, timide o disinibite, divertenti o noiose, ma non aveva mai provato nulla per nessuna di loro. Simpatia, al massimo, ma mai di più.

L’unica per cui avesse provato qualche reale tipo di amore era Nicole, ma era un amore così innocente e disinteressato che aveva lasciato basito perfino lui, che non era mai stato veramente amico di una ragazza, prima di lei.

Poi era arrivata Vibeke, con la sua fortezza fatta di piercing, tatuaggi e velluto nero, e tutta la sua notevole esperienza in fatto di donne era letteralmente andata a farsi fottere, spazzata via in un nonnulla da due arroganti occhi bicolori e un caratteraccio indisponente che gli aveva fin da subito fatto salire la bile alla bocca.

Tom, in assoluta sincerità, ancora non aveva capito che ruolo ricoprisse Vibeke, nella propria vita.

“Benji a ore nove,” annunciò Gustav sottovoce, gettando uno sguardo furtivo al backstage. “Facciamo finta che non stia andando tutto di merda, o andrà ancora peggio.”

Bill si precipitò al proprio posto e prese l’asta tra le mani per infilarci il microfono, Gustav batté il tempo. Il ticchettio familiare delle bacchette di Gustav riportò Tom sulla terra, facendogli posizionare automaticamente le mani sulla sua Gibson, e un attimo dopo si misero a suonare.

Sia il basso che la chitarra sembravano avere qualche problema, ma, mentre la responsabilità del cattivo sound Georg poteva attribuirla alla pessima accordatura, Tom non aveva la stessa scusa. Stava suonando male, e la chitarra non c’entrava niente.

Era distratto.

“Fai tutte queste scenate solo per questo?”

Sì, le faccio, va bene?!, rispose ad un interlocutore inesistente, stringendo il plettro così forte da farsi male alle dita. E non me ne frega niente di quella stronza, Georg può dire quello che vuole. Non è per quello che sono scazzato.

Cosa interessava a lui se Vibeke era con un’altra persona? Perché doveva importargli che c’era qualcun altro, ora, con lei? Magari a baciarla, accarezzarla, toccarla…?

“Tom, dio santo, piantala di massacrare quella povera chitarra, che male ti ha fatto?” esclamò Benjamin, venendo avanti con un’aria stravolta mentre si passava una mano tra i capelli. Scambiò due parole con il tecnico del suono dello studio, si fecero un cenno d’intesa e poi si rivolse al gruppo:

“Vi do dieci minuti per darvi una calmata,” li avvertì. “Dopodiché voglio un soundcheck da manuale, mi sono spiegato?”

Tutti e quattro risposero con qualche borbottio indistinto. Benjamin scoccò loro un ultimo sguardo severo e poi se ne andò, sfilandosi di tasca il Blackberry e cominciando a digitarci rabbiosamente sopra. Dal backstage, si sentì un sonoro sospiro di Dunja.

Tom ignorò le facce indignate dei tecnici che stavano riprendendo i rispettivi lavori e si chinò per recuperare una bottiglietta d’acqua, da cui prese un generoso sorso. Probabilmente tutti quanti li consideravano una band di ragazzini viziati e presuntuosi, ma la cosa non lo toccava minimamente.

Pensava al party che avrebbe seguito lo show, una cosa esclusiva per i pochi fortunati eletti che avevano vinto il concorso promosso dalla radio. Si augurava che almeno ci fosse qualche bella ragazza disponibile ad aspettarlo, tra quei vincitori.

E al diavolo quella stronza.

 

***

 

Vibeke sedeva al tavolino del Marygold, un grazioso bar del centro che offriva aperitivi e drink a metà prezzo fino alle undici di sera. Lei e Moniek si erano incontrate alle nove ed era già più di un’ora e mezza che chiacchieravano con la stessa confidenza di sempre. Si sarebbe potuta trattenere solo per un paio d’ore, così avevano saltato i dettagli noiosi ed erano passate subito a quelli succosi, e Vibeke aveva ascoltato affascinata i racconti entusiastici di Moniek riguardanti il servizio fotografico che le avevano commissionato sul Portogallo: le città che aveva visitato, i paesaggi esotici, la cultura, la gente… Sembrava davvero un paese interessante, almeno per lei, che non aveva mai avuto modo di viaggiare.

Il bar era affollato come al solito, luminoso e chiassoso, con i suoi tavolini rotondi di legno chiaro e le rifiniture di sedie e finestre dorate. Aveva un’aria vagamente parigina e chic, ma a Vibeke piaceva, sia per la qualità del servizio, sia perché era stato il primo bar in cui fosse mai entrata, lì in Germania.

Nonostante l’atmosfera amichevole generale e le risate che di tanto in tanto rallegravano ancora di più il chiacchiericcio di sottofondo, però, quella sera c’era qualcosa che non andava: Moniek era strana, anche se si comportava con naturalezza, Vibeke aveva la sensazione che qualcosa la turbasse. Era felice di rivederla, le era mancata, in quei giorni, e sentiva di avere un’infinità di cose da raccontarle, però qualcosa la bloccava, come se in quelle due settimane qualcosa si fosse incrinato.

“Ora dimmi di te, Vibeke,” le disse Moniek, dopo che alla fine del suo racconto era seguita un pausa di silenzio. “Cos’hai fatto in queste due settimane?”

Vibeke la scrutò pensosa. Era bella, molto abbronzata e rilassata, i folti capelli ricci sciolti liberamente sulle spalle a contornarle morbidamente il viso abbronzato. Irrazionalmente, appena l’aveva vista, avrebbe voluto correrle incontro, abbracciarla e parlarle di quello che era successo, di lei e di Tom e di tutti i loro tafferugli, ma poi una scintilla di senno era scoccata in lei, e si era ricordata che parlarle di quello che era accaduto con Tom sarebbe stato fuori luogo e anche un po’ crudele.

Non si decanta davanti ad un cieco la bellezza dei colori.

“Non parli,” osservò Moniek con un sorrisetto strano. Sollevò gli occhi su Vibeke, prendendo un sorso di Martini. “Devono esserne successe delle belle…”

Un flashback improvviso balenò nella mente di Vibeke. Le mani di Tom, grandi, calde, ruvide, che scorrevano avidamente su di lei, e le sue labbra che la baciavano ovunque con quella febbrilità rispettosa, causandole brividi intensi, gemiti estatici. Rivide i suoi occhi che le sorridevano e sentì una morsa allo stomaco, poi si riscosse, con la pelle d’oca che le punteggiava le braccia.

Anche a distanza, Tom sapeva fare quest’effetto.

Devi dirglielo, Vibeke, si impose. È meglio che sia sincera, per una volta.

Lei e Moniek non erano mai state insieme, né lo sarebbero mai state, e se questa confessione poteva aiutare a definire meglio il loro rapporto una volta per tutte, allora forse valeva la pena di fare un tentativo. E comunque Vibeke voleva raccontarle tutto, ma non in quanto a pseudo-compagna colpevole, bensì in veste di amica. Lei che di amiche femmine non ne aveva praticamente mai avute, se non un paio alle elementari, che si erano stancate di lei quando avevano capito che il suo essere un maschiaccio non sarebbe cambiato con il tempo.

Aveva sempre avuto due soli veri amici: la sua inseparabile metà maschile, l’amato fratello BJ, con cui aveva condiviso i travagli della loro sfortunata storia familiare e situazioni infelici di ben altro tipo, e il suo altrettanto amato gatto, Rogue, salvato dalle grinfie di un branco di teppisti la sera stessa in cui i gemelli Wolner avevano fatto il loro sbarco in terra tedesca. Da allora, Vibeke aveva vissuto in mezzo alla gente, aiutando BJ a farsi strada nell’ambiente trendy e a farsi conoscere, ed era stato un merito anche suo se alla fine era diventato famoso. E stando con lui Vibeke aveva avuto infinite occasioni di conoscere un sacco di gente simpatica, si era fatta un giro di conoscenze non indifferente, ma con nessuno di loro era mai riuscita a legare veramente, nemmeno con la sua abituale compagnia di uscite. Era più forte di lei, non era abituata a dare confidenza alle persone.

Ma poi un giorno le era stata offerta l’opportunità di lavorare per quattro stelle della scena rock internazionale, e tutto ciò che lei aveva visto in questa offerta era finalmente la prospettiva di ottenere uno stipendio decente, così aveva colto al volo l’occasione. Quello che non avrebbe mai potuto immaginare, però, era che non avrebbe lavorato per degli spocchiosi divi arroganti, ma per quattro ragazzi addirittura più giovani di lei che, con il tempo, le avrebbero rubato il cuore.

Non sapeva nemmeno lei come fosse potuto succedere, ma col passare dei giorni si era ritrovata a guardare ciascuno di loro con occhi diversi, e all’improvviso Bill non era più solo la diva capricciosa, ma anche un bambino troppo cresciuto ancora bisognoso di attenzioni e coccole, aveva scoperto in Georg qualcosa di più di un corpo fatto per tentare e di un paio di seducenti occhi verdi: era un ragazzo quasi uomo, protettivo nei confronti degli amici e profondamente innamorato della vita e delle sue Nicole ed Emily, aveva imparato a leggere nei silenzi di Gustav, a capire che con le sue poche parole sapeva dire più cose di quante lei fosse in grado di esprimerne in discorsi interi, e lo adorava per come guardava alle cose, per la sua serenità, per il suo sorriso tanto raro quanto bello, e poi… Poi c’era Tom.

Tom, lo sbruffone vanesio e presuntuoso. Tom, il ragazzo premuroso che sapeva farla parlare di cose che quasi nemmeno a se stessa aveva raccontato. Tom, lo stronzo che non perdeva mai occasione di farle notare la minima distrazione. Tom, che le sfiorava una cicatrice nascosta come se avesse avuto il potere di farla sparire. Tom e la sua faccia doppia, le sue contraddizioni. Tom, che con lei si ubriacava e faceva l’amore, e cantava a squarciagola nella notte, e rideva, e piangeva, e poi rideva ancora.

Tom, l’enigma vivente.

Tom, che apparteneva a tutti e a nessuno.

Tom, che si era preso una parte di lei che lei nemmeno sapeva di avere.

Tutt’un tratto Vibeke scoprì di sentirsi strana, come se dentro di lei un sorriso stesse lottando con una lacrima per emergere in superficie, e nessuno dei due sembrava riuscire ad avere la meglio.

Ma doveva tirare fuori tutto, almeno per rispetto nei confronti di Moniek, sentiva di aver bisogno di esternarlo una volta per tutte.

“Vedi,” esordì, l’unghia del dito indice che graffiava nervosamente l’etichetta della sua birra. “Si tratta di Tom Kaulitz.”

Rimase stupita quando Moniek non perse nemmeno una goccia della sua compostezza. Se la notizia l’aveva sorpresa, non lo diede a vedere.

“Tom Kaulitz,” ripeté lentamente, annuendo come se la sapesse lunga sulla questione, poi sorrise, ma con una certa amarezza. “È proprio vero che nessuno è al sicuro da quello sguardo sfacciato.”

Parlava con calma, quasi la storia non la riguardasse nemmeno da lontano. Teneva lo sguardo basso, ma i suoi gesti non tradivano alcuna emozione. Pareva quasi che se lo fosse aspettata.

“Scommetto che le leggende sulla sua prestanza hanno fondamenti piuttosto solidi.”

Come?”

“Sì, insomma… Non avrà il fisico dell’Adone e del Bon Bon al Miele, ma ha l’aria di uno che sa come intrattenerti, no?”

Vibeke era disorientata: si era aspettata una sfuriata, o perlomeno un accenno di gelosia, di fastidio, ma non si sarebbe mai immaginata tutta questa disinvoltura.

“Niek, ma cosa…?”

“Ci sei andata a letto, no?”

Lei batté le palpebre, presa in contropiede da tutta questa consapevolezza del tutto inattesa.

“Pensavi che sarebbe stato uno shock, per me?” Moniek rise. “Mi credi davvero così sciocca?”

Vibeke resto a guardarla, a corto di parole, mentre lei si accendeva una sigaretta nella massima tranquillità.

“Non ti chiederò che cos’ha lui che io non ho, visto che è ovvio,” dichiarò Moniek, avvicinandosi il posacenere. “Almeno su un piano pratico,” Aggiunse poi, con un guizzo di ambiguità negli occhi. “Ma vorrei sapere se sai quello che stai facendo.”

E così lei sapeva.

C’è a questo mondo qualcuno che ancora non lo sappia?!, si domandò Vibeke, chiedendosi se bastasse guardare in faccia lei o Tom per intuire quello che teoricamente avrebbe dovuto essere il loro piccolo segreto.

Decise di giocare a fare l’ignara per un’ultima, estrema volta, pur sapendo che non avrebbe funzionato.

“Di cosa stai parlando?”

Moniek si appoggiò allo schienale della sedia n una nuvola di fumo, accavallando le lunghe gambe fasciate dagli attillati jeans neri, poi con una mano si scostò un ricciolo ribelle dal viso, indirizzando a Vibeke uno sguardo penetrante:

“Sei innamorata di lui?”

Un gruppo di donne sulla trentina entrò ridacchiando nel bar, tutte con atroci coroncine vezzose sulla testa, una delle quali particolarmente vistosa. Si trattava sicuramente di un addio al nubilato, che probabilmente, dopo l’aperitivo, si sarebbe spostato in un club per sole donne. Sulla maglietta di quella che doveva essere la futura sposa c’era stampato in audaci caratteri rossi ‘Kiss the bride!’.

“Che importanza avrebbe?” domandò, mentre Moniek accoglieva le nuove arrivare con una smorfia.

“Il sesso si può scegliere,” Le fu risposto con semplicità. “L’amore no.”

Un tipo di responso che non si era aspettata, così pratico e diretto da disorientarla ancora più di quanto già non fosse.

Si ritrovò a chiedersi quale fosse il suo caso. Aveva scelto? Aveva avuto una scelta?

Ripensò alla volta nell’auto di Tom, dopo quello stupido party. Non l’aveva costretta a fare niente, si era semplicemente preso ciò che voleva, e lei lo aveva lasciato fare.

Ripensò al bacio nella propria stanza, sul proprio letto. Avrebbe potuto impedirgli di farlo, ma non lo aveva fatto.

Ripensò a quando si era lasciata trascinare da lui tra le lenzuola profumate di bucato fresco del letto di Georg. Era riuscita a fermarlo, in un primo momento, ma poi gli aveva permesso di fare di lei ciò che voleva.

Erano state scelte? Si poteva considerare ‘scelta’ un semplice assecondare e lasciarsi trascinare da qualcosa di ignoto ma così potente da annullare la sua volontà, o forse, semplicemente, di plasmarla?

Aveva scelto di seguire la corrente, di abbandonarsi agli eventi senza chiedersi come e perché, di accettare quel che veniva e ricambiarlo.

Aveva scelto di non scegliere.

Ignavia a fin di bene. Se poi quel ‘bene’ fosse il suo, o di Tom, o di nessuno dei due, questo non lo aveva ancora scoperto.

“Mi dispiace.” Mormorò dispiaciuta, stringendosi la bottiglia tra le lunghe dita inanellate, le unghie viola che sembravano voler penetrare nella durezza del vetro scuro.

Come cercare di penetrare nei suoi occhi…

Di nuovo, il pensiero di Tom e della sua doppia essenza la intristì.

“E di che cosa?” domandò Moniek con noncuranza.

“Di aver fatto tutto questo alle tue spalle.”

Lei sollevò le spalle.

“Noi non stiamo insieme, no?”

“Però…”

“E poi, credimi, tu forse non te ne sei mai resa conto, ma è sempre stato abbastanza lampante che tu avessi un debole per lui.”

“Ma che dici!” si schermì Vibeke. Era sempre stata una frana a mascherare i propri pensieri, ma si rifiutava di credere che quello che aveva visto Moniek fosse la verità.

“Non fai che parlare di lui, Vibeke. ‘Kaulitz questo, Kaulitz quello, quanto detesto Kaulitz, quanto è irritante…’,” Fece una breve pausa per rivolgerle un’occhiata eloquente. “Forse non te ne rendi conto, ma stai con Tom già da un pezzo.”

“Io non sto proprio con nessuno.”

“Ci sono tanti modi di stare con una persona,” chiarì lei con garbo. “Uno è starci fisicamente, uno è starci fisicamente e con il cuore, uno è starci solo con il cuore. Ora, escludendo automaticamente il terzo per ovvi motivi, il punto è: quale dei primi due è il caso di te con Tom?”

“Moniek, non sono innamorata di Tom.”

Lei sorrise condiscendente.

“Nessuno ha insinuato che tu lo fossi,” affermò serafica. “Le opzioni erano due.”

Colta in fallo, Vibeke inorridì nel sentirsi completamente spiazzata.

Mokiek non attese che le replicasse. Si alzò, afferrò borsa e giacca e lasciò sul tavolino una banconota da venti.

“Stasera offro io.” Disse.

“Te ne vai così?” esclamò Vibeke, senza capire.

“Ti ho dato un bel cavillo su cui riflettere,” ribatté Moniek con aria allusiva. “Penso che dovresti cominciare a sgarbugliare qualcosa, lì dentro.” Ed indicò il suo petto.

Fece per andarsene, ma Vibeke la richiamò:

“Niek…”

“Sì?” fece lei, voltandosi.

Vibeke le sorrise.

“Grazie.”

Moniek le fece un occhiolino un po’ malinconico, ma ricambiò il sorriso.

“Ci vediamo,” le disse. “Una volta o l’altra.”

Vibeke la seguì a vista mentre faceva un agile slalom tra le molte persone che gremivano il bar, facendo voltare diverse teste maschili e guadagnandosi qualche apprezzamento verbale, poi la perse di vista e si accasciò completamente nella sedia, sospirando affranta.

Era chiaro che la sua vita aveva appena preso una svolta di quelle decisive, ed era uno di quei momenti che seguivano la decisione di andare a destra o a sinistra, davanti al bivio. C’era solo un piccolo problema: non aveva la più pallida idea di cosa avesse appena escluso e cosa invece le rimanesse da percorrere.

Bevve un lungo sorso di birra dalla bottiglia ancora praticamente piena.

Ad un certo punto, tra i suoi vari rimuginamenti, le parve di sentire le note di Angina, la bellissima canzone dei suoi connazionali Tristania che aveva scelto come suoneria del proprio cellulare.

Strano, pensò, tirando fuori il suo Samsung dalla tasca del cappotto con la mano libera, chi diavolo può essere a quest’ora?

La prima persona che le balenò in mente era Tom. Non aveva dimenticato la sua bravate di San Valentino e di certo non si sarebbe fatta stressare l’anima per non essere andata ad assistere alla loro performance a TRL. Era già psicologicamente pronta a litigare per l’ennesima volta, quando però notò che si trattava di un numero che non conosceva.

E tu chi sei?, si interrogò, incuriosita, premendo il tasto della risposta.

“Pronto?”

“Vibeke Wolner?” disse una professionale voce di donna dall’altra parte.

Lei aggrottò la fronte, sempre più perplessa.

“Sì. Chi parla?”

Pausa infinitesimale di silenzio.

“Signorina Wolner, la prego di non allarmarsi,” disse la donna, in un modo così forzatamente quieto che causò l’effetto esattamente opposto. “Ma purtroppo ho cattive notizie...”

Cinque secondi dopo, l’intero bar si voltò nell’avvertire lo schianto di una bottiglia di vetro contro il pavimento.

 

 

***

 

 

Se Tom avesse dovuto dare un giudizio da uno a dieci a quella sottospecie di festa, di sicuro avrebbe optato per l’astensione, dato che la sua valutazione andava talmente al di sotto della soglia minima da essere inquantificabile.

Il rinfresco era pietoso e per di più non era nemmeno stato allestito in un vero locale, bensì in un ampio salone degli studi che normalmente veniva usato come sala conferenze, senza poi contare che la stragrande maggioranza delle venti vincitrici dei pass di accesso erano o bambine al di sotto dei sedici anni, o racchie a cui aveva faticato a rivolgere un sorriso educato ed al contempo guardarle in faccia. Per fortuna c’erano Saki, Tobi ed un altro paio di guardie del corpo a vegliare su di loro da non molto lontano.

C’erano solo due presenze che stuzzicavano la sua attenzione: una era una VJ che aveva passato i trenta, che aveva spesso visto su MTV, che però portava una fede al dito e non si scollava un secondo dall’uomo di mezza età che doveva essere suo marito, l’altra era una delle poche fans che si sarebbero potute salvare dalle epurazioni estetiche di Tom, ed era anche l’indiscussa migliore di tutte.

Era bionda e alta, bella in un modo artificiale, costruito, e per tutta la sera aveva attirato su di sé gli sguardi di quasi tutti gli uomini presenti al party. Tutti tranne Gustav (che notoriamente provava repulsione verso le ragazze così finte, e che comunque aveva occhi solo per la sua bella morettina dagli occhi celesti), Georg (così occupato a mandare messaggi a Nicole che se la stanza avesse preso fuoco, probabilmente non se ne sarebbe accorto) e ovviamente Bill (che era solito curarsi del genere femminile quanto del buco dell’ozono che allargava ogni giorno con le sue esalazioni di lacca). E comunque, avevano tutti e tre tante di quelle donne attorno – donne, non solo ragazze – che avrebbero potuto farci un esercito.

Lui però aveva voglia di dimostrare a se stesso e a loro che non aveva bisogno di Vibeke, che poteva benissimo divertirsi alla vecchia maniera, con la prima sventola che gli fosse capitata sottomano.

Si compiacque quando vide che, dopo averlo puntato a lungo, la biondina si stava facendo strada verso di lui con aria provocante. Fece finta di niente ed attese che fosse lei ad attaccare bottone, dopodiché non gli ci sarebbe voluto niente a portarsela in un posticino più intimo.

“Ciao.” Lo salutò lei, come previsto, con un tono di cui per miracolo lui riuscì a non ridere, un calco di voce erotica abbastanza carente di spontaneità.

“Ciao.” La salutò, sfoderandole un sorriso conturbante.

La bionda giocherellò con una ciocca di capelli ossigenati, arcuando lievemente la schiena per mettere in evidenza la già più che notevole generosità della scollatura.

“Mi chiamo Karin,” si presentò, offrendogli una mano curata, dalle bizzarre unghie minuziosamente decorate che avevano tutto l’aspetto di essere finte. Lui gliela strinse. “Ho notato che mi guardavi…”

Deja vù, pensò Tom, affatto divertito.

Era un po’ che Lara non si faceva sentire, chissà se finalmente aveva gettato la spugna, con lui.

“Sì,” rispose suadente. “Sembri una… Interessante.”

Lei rise, in un modo irritante che quasi scoraggiò Tom dal provarci con lei. Ma gli serviva una distrazione, e lei faceva esattamente al caso suo. Scambiò con Tobi uno sguardo di intesa, come faceva sempre quando stava per allontanarsi dalla scena per intrattenersi in privato con qualcuna delle sue prede. Erano i patti: poteva fare quello che gli pareva, ma con la testa sulle spalle e avvertendo, prima.

Fece finta di lavorarsela per un po’ – più per educazione che per altro, visto che lei sembrava abbastanza propensa a concedersi senza troppi complimenti – e non più di dieci minuti più tardi Tom si ritrovò in una specie di sgabuzzino, non lontanissimo dal salone in cui si stava tenendo la festa, con lei incollata addosso che si stava già praticamente spogliando. A lui non andava di complicare troppo le cose, quindi preferì distrarla con qualche bacio sfuggente, che lei contraccambiò, cominciando a succhiargli il collo.

Tom sentiva la mano eccitata di Karen – o Karin, o Katrin, o come diavolo si chiamasse – armeggiare con la zip dei suoi jeans. Quando lei gli si inginocchiò di fronte con chiare intenzioni, lui la lasciò fare, sperando che con qualche manovra extra potesse riuscire ad accendere in lui almeno un minimo barlume di desiderio. Baci, carezze e palpeggiamenti vari non erano serviti a nulla: era più spento di una batteria scarica.

Per la verità, la questione lo allarmava un po’. A Vibeke in genere per farlo eccitare bastava un’unghia – letteralmente, quando gliela faceva scorrere lascivamente lungo la mandibola, poco prima di baciarlo – uno sguardo, una parola detta in un certo modo…

Perché adesso non riusciva a decollare?

Eppure la bionda aveva tutta l’attrezzatura giusta al posto giusto: snella, flessuosa, procace, con un’intraprendenza degna di una professionista e vestiti succinti che sfioravano la volgarità. Normalmente Tom avrebbe trovato tutto quanto molto più che stimolante, ma quella sera era come se gli avessero disconnesso i sensori del piacere.

Ad un tratto avvertì una vibrazione smorzata nella tasca posteriore dei propri jeans. Ci mise qualche istante a capire che si trattava del cellulare.

Normalmente avrebbe ignorato il tutto ed avrebbe continuato a fare altro, ma al momento era così poco coinvolto nella foga di Karin che gli parve quasi doveroso rispondere. La fermò appena prima che lei riuscisse ad abbassargli la lampo e le fece cenno di smettere.

“Che c’è?” protestò lei, mentre lui se la staccava di dosso e recuperava il cellulare.

“Sta’ zitta.” Le intimò con un gesto seccato, poi guardò il display. Nel buio della stanzetta, le due lettere che accompagnavano il numero in chiamata erano più che visibili.

Vi?

Tom non ci pensò nemmeno mezza volta: come un fulmine, aprì il cellulare e se lo accostò rapido all’orecchio.

“Pronto?”

“Kaulitz…”

Lui si irrigidì all’istante: la sua voce era debole, e tremava, e sembrava addirittura terrorizzata. Come premessa era piuttosto raggelante.

“Vi,” esalò, allarmato. “Cos’è successo?”

“Si tratta di BJ,” mormorò lei dopo un secondo. “C’è stata una – una rissa, nella discoteca dove lavorava stasera, voleva difendere una ragazza… Sono partiti degli spari, e lui…”

Tom deglutì, rabbrividendo.

Dimmi che non intendi quello che penso tu intenda, pregò con tutto se stesso. Vi, ti prego, non dirmi che…

“Hai intenzione di finire quello che abbiamo iniziato?!” si informò Karin, stizzita, con un fastidiosissimo acuto.

“Ti ho detto di stare zitta!” le sibilò adirato, premendosi il cellulare contro il petto. La spinse brutalmente da parte ed uscì dallo stanzino senza degnarla di uno sguardo.

“E lui… Come sta?” domandò ansioso a Vibeke, ignorando la bionda che, contrariata, cominciava  a risistemarsi, borbottandogli contro qualche insulto offeso, per poi andarsene, sbattendo la porta.

“Non lo so,” rispose Vibeke, riuscendo a stento a farsi sentire. “Sono in ospedale, non mi vogliono dire niente. Dicono che sono sotto shock, vogliono che io chiami qualcuno che venga a calmarmi, ma io non posso calmarmi! BJ è in sala operatoria, e io –”

“Vi, non preoccuparti,” la rassicurò Tom, con il cuore che gli si faceva grave e pesante, ma felice di sapere che almeno per ora, il peggio che aveva temuto era scampato. Faticava ad articolare le parole da quanto era atterrito, ma non poteva farsi prendere dal panico proprio adesso. “Arrivo subito.”

 

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Note: per la famigerata serie ‘A volte aggiornano’, ecco a voi il quindicesimo capitolo! XD

So che è un cocktail mostruoso di riflessioni e seghe mentali, ma, non so voi, a me un po’ mancavano… O forse no. Non ho molto da dire in merito, ma spero ne avrete voi, e mi aspetto anche polemiche per questa massiccia dose di lagne e piagnistei gelosi e puerili. Insomma, per stavolta è andata così, il meglio sta per arrivare (chiedetelo a CowgirlSara, lei lo sa ^^).

Ora, dopo secoli che non riuscivo a farli, i ringraziamenti ad personam:

RubyChubb: Liebe! Wilkommen zurück! Sono felice che ti piaccia Gud e il suo rapporto con Vi, sono abbastanza orgogliosa di loro. ^^

loryherm: Lory cara, le tue recensioni sono sempre tra le mie preferite, infinte e molto sagaci… Sei molto intuitiva, me ne compiaccio! Grazie infinite!

uhuhuhuhu: ecco, il capitolo è postato! Spero sia valsa la pena di aspettare! ^^

erichina94: viel vilen danke!

_Ellie_: tu, mia mostruosa giovane fonte di smisurato talento! Apprezzo triplamente la tua chilometrica recensione, visto che hai poco tempo, e ti ringrazio di cuore per avermi fatto dono di quelle stupende parola. ** Capisci sempre troppe cose, per i miei gusti! XD

Ladynotorius: milady, ce l’ho fatta! Non mi hai nemmeno dovuta minacciare molto, no? XD

Purple Bullet: spero tanto che il tuo pc collabori, perché stiamo per entrare nel vivo della storia, ormai. ;)

kikka_tokietta: grazie! *__*

GaaRa92: bentornata! Sono felice di rivederti! Tranquilla, dalle tue parti ci sono passata e mi sono messa in pari. ;) Spero di essermi fatta perdonare!

susisango: ti capisco, per quanto riguarda gli esami. Io ne ho ancora uno da liquidare. u__u Apprezzo tantissimo quindi il fatto che tu riesca a trovare il tempo di recensirmi, significa molto per me. ^^

NeraLuna: di fretta anche tu, come molte di noi, ma ringrazio anche te dal profondo del mio cuore crucco! :)

kit2007: ti dico immediatamente di ricordarti di quel presentimento di Bill riguardo la canzone, e, più lungimirantemente, di ricordarti anche della canzone. ;) Non posso svelare arcani segreti spoiler così, ma la rivedremo, un giorno.

valux91: eheheh, la famiglia Mulino Bianco che qualche volta ha i suoi screzi, ma che resta sempre e comunque unita e che presto avrò una casa tutta sua. ^^

_ToMSiMo_: grazie di tutto! eh, Tom deve spaccarcisi la testolina prima di capire, lo sappiamo, orami, no? XD E la coppia perfetta che perfetta non è, ma la amiamo così, intanto procede con la costruzione di qualche cosa di importante… ^^

Lady Vibeke: scusa, ma hai riscritto la Divina Commedia? Mi ha fatto paura quella recensione, prima che mi mettessi a gongolare di compiacimento. XD

CowgirlSara: carissima! A te non serve che dica niente, tu sai sempre tutto, quindi ti dico solo questo: grazie! <3

picchia: la adoro anche io la litigata! W l’angst! XD

MARINA KAULITZ: apprezzo qualsiasi sforzo di commento, anche breve, tranquilla! ;)

_Kaay: ciao bella! Grazie, sei davvero troppo carina! Spero che anche questo ti sia piaciuto!

 

Per il resto, un grazie grosso grosso a chi legge anche senza commentare, alle 80 persone che mi hanno fatto l’onore di aggiungermi alla lista dei loro autori preferiti, alle 147 persone che finora hanno messo la storia nei preferiti, e a tutti quelli che leggeranno, commenteranno e ‘preferiranno’ adesso! Vi adoro! <3

P.S. il titolo del capitolo è tratto dall'omonima, sublime canzone dei miei amati (e defunti) Nightwish.

P.P.S. ringrazio tantissimo layla the punkprincess per questo bellissimo disegno di Vibeke che mi ha fatto!

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Capitolo 16
*** By Your Side ***


Gustav era del sincero parere che chiunque avesse organizzato quel party meritasse un licenziamento in tronco, ma ora come ora gli importava veramente poco della festa. Lui e Fiona si erano allontanati dal salone, stanchi di dover gridare per riuscire a parlarsi, e si erano quindi sistemati nel corridoio deserto, trovandolo così confortevole e tranquillo che si erano stancati in fretta di parlare ed avevano finito per dedicarsi a passatempi più silenziosi.

Lei gli piaceva, sia in quanto a personalità che ad estetica: aveva ottimi gusti musicali, studiava scienze politiche e lavorava negli uffici dell’università, e per di più era anche discretamente attraente, con un bel fisico tonico e una fisionomia vagamente sovietica. Le teneva le mani sui fianchi morbidi, sfiorandole i pochi centimetri di pelle nuda tra la maglietta e i jeans mentre si baciavano con trasporto nella penombra del piccolo atrio. Fiona sapeva di menta, gli teneva le braccia avvolte attorno al collo, stringendoselo addosso, ed era più disinvolta di quel che Gustav avesse creduto all’inizio, ma la cosa non gli dispiaceva. Non era il genere di ragazzo che si abbandonava abitualmente ad effusioni di quel tipo, ma lui e lei si vedevano da un po’, ormai, e non ci aveva visto nulla di male quando lei, poco prima, gli si era avvicinata con palesi intenzioni. Forse non era spudorato come Tom, o come il Georg di un tempo, ma non era il santarellino che lo si dipingeva.

Morigerato, sì, discreto, certo, e sicuramente cauto, ma, all’occasione, anche lui sapeva cogliere la palla al balzo. Non sapeva ancora dire in che termini, esattamente, Fiona gli piacesse, però al momento andava bene così.

“A quanto vedo non hai solo il talento della musica.” gli sussurrò con compiacimento la voce roca di lei, interrompendo per un attimo il bacio, le mani che scendevano su di lui, dal collo alle spalle, dalle spalle al petto, dal petto alla schiena, e poi si insinuavano leggermente sotto alla maglietta.

Gustav sorrise lusingato, ma non disse nulla.

Stava per riprendere a baciarla, quando in fondo al corridoio una porta si spalancò di botto, sbattendo contro il muro, e un paio di voci esclamarono qualcosa una dopo l’altra.

Gustav non ci avrebbe nemmeno badato, non fosse stato che una di quelle due voci gli suonava stranamente familiare.

“Che succede laggiù?” si domandò Fiona, voltandosi per cercare di vedere qualcosa, ma le luci erano fioche e non si vedeva altro che delle sagome scure, una delle quali si stava avvicinando a velocità notevole.

Tom stava correndo verso di loro.

Ma che diavolo –?

Gustav capì subito che qualcosa non andava, perché l’amico aveva perso ogni colore in volto e la sua espressione era spaventosamente apprensiva. Quando però Tom fu giunto in sua prossimità, non si fermò, come invece lui aveva creduto, ma tirò diritto, sfrecciando via come se qualche cosa di minaccioso lo stesse inseguendo, e non lo guardò nemmeno.

“Tom!” gli urlò dietro Gustav, preoccupato. “Che diavolo è successo?”

Tutto ciò che gli tornò indietro, però, fu il tonfo sordo di un’altra porta che sbatteva in lontananza.

 

***

 

Tom non aveva idea di come si potesse guidare con in cervello staccato e i nervi in massima tensione che erano diventati tutt’uno con i muscoli. Aveva un ronzio sordo nelle orecchie, come se un immaginario rivestimento di ovatta lo isolasse acusticamente dal resto del mondo.

Non era mai stato particolarmente empatico, né sensibile, almeno ufficialmente. Di stampo basilarmente menefreghista e fedele fino in fondo al proprio egoismo, non aveva mai avuto l’abitudine di preoccuparsi troppo per il prossimo, da sempre impegnato a risolvere le proprie, di grane, e quindi poco disposto ad occuparsi anche di quelle altrui.

Ma adesso era diverso.

Sfrecciava a tutta velocità per le strade semideserte di Amburgo, sfiorando i limiti ma preoccupandosi di non oltrepassarli mai, non perché temesse multe salate o ritiri della patente, quanto piuttosto perché, se fosse stato fermato, avrebbe perso del tempo prezioso. Quello era il solo pensiero razionale che gli riuscisse, in quel momento, mentre tutto il resto era obliato dalla tensione.

Si sentiva accaldato e gelido al tempo stesso, come se fosse stato febbricitante, e le mani gli sudavano freddo, aggrappate al volante con forza eccessiva, per impedire loro di tremare.

Se veramente per disgrazia lo avessero fermato, avrebbero creduto che fosse sotto l’effetto di qualche sostanza, e lui non avrebbe potuto difendersi, perché in effetti aveva la sensazione di aver assunto una dose massiccia di cocaina, che ora lo stava mandando in tilt totale. Il sangue gli pompava violentemente alle tempie, causandogli un orribile senso di vertigine. Batteva le palpebre per schiarirsi la vista, si sforzava di mantenere un respiro regolare, quando invece tutto ciò che voleva era dare gas al motore e sfogare tutta la tensione in una corsa sconsiderata da un capo all’altro della città. Tutto ciò che lo tratteneva era la preoccupazione per Vibeke: fin da quando aveva richiuso quella chiamata, nella sua mente non c’era stato altro che lei. Lei e un’irrefrenabile bisogno di farla stare, se non bene, almeno meglio.

Passando azzardatamente il semaforo rosso di un incrocio deserto, Tom si rese conto che doveva trovare un modo per restare lucido, qualcosa su cui concentrarsi e che lo potesse calmare anche solo in minima parte.

Decise che la musica – la sua musica – era l’unica cosa a cui potesse appigliarsi. Allungò la mano nel portaoggetti e ne estrasse il primo CD che gli capitò tra le mani, lo inserì ciecamente nel lettore, senza distogliere per un solo istante gli occhi dalla strada, e premette qualche tasto a caso, fino a che la musica partì, e partì con le note di By Your Side.

‘You don’t know how you feel, no one there you’d like to see…’

Per un attimo Tom pensò di cambiare, perché era una canzone che sembrava voler girare crudelmente il coltello nella piaga, ma poi non lo fece. In fondo, era quella giusta: la canzone della speranza.

‘The day was dark and full of pain…’

Poteva solo immaginare come Vibeke si sentisse in quel momento, e il solo immaginarlo lo faceva stare male. Non faceva che pensare a come avrebbe reagito lui, se al posto di BJ ci fosse stato Bill, e sapeva che si sarebbe lasciato morire di paura, senza riuscire a fare nulla, senza parlare con nessuno, semplicemente consumandosi rapidamente nel proprio terrore.

Forse sarebbe riuscito a non impazzire, se avesse avuto qualcos’altro per cui vivere, al di fuori di Bill, ma tutto l’infinito bene che voleva alla propria famiglia e ai propri amici non sarebbe mai bastato a fargli rimanere qualche voglia di vivere, senza il proprio gemello.

Non mollare, BJ, si ripeteva, pensando a Vibeke e alla sua voce tremante. Non mollare…

L’ospedale distava normalmente quasi tre quarti d’ora dagli studi televisivi. Lui lo raggiunse in venticinque minuti.

Parcheggiò in malo modo la Escalade nel posteggio vuoto accanto al marciapiede, la chiuse in tutta fretta e si precipitò al pronto soccorso, pregando intensamente che nel frattempo tutto fosse filato liscio, o che almeno non ci fossero state complicazioni.

L’atrio era affollato, e vi regnava un insopportabile odore pungente di disinfettante. C ’era gente seduta ed in piedi, tutti talmente occupati a tenersi polsi doloranti o a tamponarsi tagli sanguinanti da non accorgersi nemmeno di lui, che era entrato come una furia e si era immediatamente precipitato allo sportello delle informazioni.

“BJ Wolner,” Disse esagitato all’infermiere che stava al di là del vetro. “Dove lo posso trovare?”

Questi, un ragazzo sulla trentina dallo sguardo spento ed annoiato, non sollevò nemmeno lo sguardo dal computer.

“Lei è un parente?”

Tom si obbligò ad essere paziente, almeno entro i limiti del proprio possibile.

‘I don’t want to cause you trouble, don’t want to stay too long…’

“No,” rispose con urgenza. “Sono un suo amico. Bjørn Jesper Wolner, dev’essere arrivato un’ora fa circa, non so esattamente…”

L’infermiere continuò a trascrivere moduli sul computer, increspando impercettibilmente la fronte.

“Non posso farla passare se non è un parente,” gli disse in tono borioso. “Se vuole accomodarsi, gentilmente –”

“Stammi a sentire, pezzo d’idiota!” urlò Tom, sbattendo rabbiosamente due pugni contro al vetro. L’intera sala si zittì per guardare, ma non gliene importava niente. Guardò l’uomo con rancore, digrignando i denti. “C’è una mia amica che ha bisogno di me, qui da qualche parte, perché suo fratello è sotto i ferri in chissà quali condizioni, quindi,” Lanciò al suo interlocutore uno sguardo di sfida. “Tu adesso mi dici dove cazzo devo andare, o io faccio a pezzi prima questo maledetto vetro e poi anche te e tutto quello che hai lì dentro, va bene?!”

Dopo una frazione di secondo di silenzio assoluto, esplose uno scroscio di applausi da ogni singola persona presente. Tom guardò trionfante l’infermiere che impallidiva ed incassava il colpo con una nota di panico. Dopo un’esitazione riluttante, si mise a digitare rapidamente sulla tastiera e lanciò a Tom uno sguardo glaciale:

“Primo piano, sala operatoria dodici.”

Tom non ringraziò. Girò sui propri tacchi e sparì, infilando le scale.

Raggiunse il piano superiore in un baleno, salendo di corsa gli scalini a due a due. Appena sbucò nel nuovo atrio, col fiato corto, esplorò con gli occhi ogni singolo centimetro dell’ambiente, cercando indicazioni.

“La posso aiutare?” gli domandò una voce alle sue spalle. Lui si voltò: una giovane dottoressa dai capelli rossi gli sorrideva cortese ed ebbe un piccolo moto di stupore nel vederlo in faccia.

“BJ Wolner,” ansimò lui. “Sono un suo amico, mi hanno detto che è qui, sala operatoria –”

“Numero dodici,” completò la ragazza per lui, annuendo gravemente. “Stanno facendo il possibile per lui.”

Tom rabbrividì, mentre sentiva il proprio cuore sprofondare pesantemente in una voragine buia. ‘Fare il possibile’ suonava maledettamente male, come se in realtà ci fosse ben poco da fare, ma  fosse doveroso tentare per un principio etico.

“C’è sua sorella, di là,” Proseguì la dottoressa. “La conosce, signor Kaulitz?”

“Signor Kaulitz.”

Lo aveva riconosciuto, dunque.

“Sì!” replicò lui, avvertendo un soffio di sollievo. “Dov’è?” chiese poi, concitato. “La posso vedere?”

La ragazza annuì.

“Venga, la accompagno.”

“Grazie.”

La seguì verso una porta doppia ed attraverso il corridoio successivo. Lei gli lanciava qualche fugace occhiatina curiosa, ma la sua espressione solenne non mutò mai.

“La signorina Wolner è sotto shock,” lo avvertì. “Spero che lei riesca a tranquillizzarla un po’,” Aprì un’altra porta doppia e gli fece cenno di entrare. “La troverà appena svoltato l’angolo,” Gli comunicò in tono compassionevole. “Buona fortuna.”

Tom resse la porta con una mano ed attese che lei se ne fosse andata. Rimase lì per un attimo, a chiedersi cosa ne sapeva lui di come dare conforto alle persone. Era corso fin lì in fretta e furia, senza pensare ad altro che ad arrivare da lei, ma adesso che era lì… Cosa avrebbe potuto fare per lei?

Vai da lei e basta!, gli ordinò quel suo poco buonsenso superstite, e lui obbedì.

Si incamminò a passo incerto lungo il corridoio deserto, poi seguì la svolta a destra. Quando sollevò gli occhi dal pavimento, il suo cuore cessò di battere.

Vi…

‘I just came here to say to you…’

Lei era là, ad una decina di metri da lui, seduta immobile a capo chino su una delle panchine di plastica, lo sguardo fisso nel vuoto, bianca in viso come mai l’aveva vista, i capelli che le coprivano schiena e spalle come un velo nero di lutto.

“Vi!” la chiamò, la voce incrinata dalla preoccupazione.

‘Turn around…’

Lei si irrigidì visibilmente, poi, un nanosecondo dopo, sollevò la testa. Nell’incontrare gli occhi di Tom, i suoi si sgranarono, facendosi lucidi.

‘I am here…’

Le sua labbra esangui fremettero nell’articolare flebilmente il suo nome.

“Kaulitz…”

‘If you want, it’s me, you see…’

Tom corse da lei e le si inginocchiò di fronte, prendendole il viso tra le mani, costringendola a guardarlo negli occhi.

“Vi,” sussurrò spaventato, accarezzandola con le dita. “Come stai?”

Lei deglutì con un brivido nervoso.

“Che domanda del cazzo è?!” esclamò aggressiva. “Mio fratello ci è quasi rimasto secco in una cazzo di rissa e hai anche il coraggio di chiedermi come sto?!” Strillò ancora. “Ma sei scemo?!”

Aveva un’aria distrutta, la stessa che Tom avrebbe avuto se a Bill fosse successo quello che era toccato a BJ, ma non aveva ancora versato una lacrima.

Le sedette accanto e le appoggiò un braccio sulle spalle.

“Avanti, urla, sfogati, vedrai che dopo starai meglio.”

“Se vuoi che io stia meglio, levati dai piedi, non ho bisogno di te! Non ti ho chiesto io di venire qui, lasciami in pace!” sbottò Vibeke, divincolandosi.

In un frangente normale, Tom avrebbe perso le staffe. Sarebbe scattato in piedi e l’avrebbe mollata lì con qualche parolaccia maleducata, dileguandosi alla velocità della luce. Adesso, però, non lo avrebbe fatto.

“Sì che hai bisogno di me,” insisté. “E non mi interessa se non lo vuoi ammettere, non ti lascio sola.”

Vibeke lo guardò intensamente. I suoi occhi erano due specchi arrossati e stanchi, così pieni di emozioni che Tom avrebbe potuto perdercisi ed annegarci dentro. Pensò che doveva essere insopportabile tenersi dentro tutto quel caos emotivo, e si chiedeva se lui, al suo posto, sarebbe riuscito a reggere la pressione.

“Perché lo fai?” gli chiese Vibeke ad un tratto. “Io ti detesto, tu detesti me…”

Tom rise silenziosamente.

“Vi, dai, non è vero che ti detesto,” la contraddisse, spostandole i capelli dietro all’orecchio. “Tu mi piaci, anche se sei una saputella irritante ed altezzosa. Ci abbiamo provato ad andare d’accordo – forse non molto, ma ci abbiamo provato – e proprio non ce la facciamo, ma comunque,” Le sorrise furbamente. “Sarebbe davvero noioso tutto quanto, se non avessi te che mi distrai con qualche bastardata, ogni tanto.”

Vibeke si nascose il viso tra le mani.

“Quanto sei cretino.” Singhiozzò, senza riuscire a soffocare una risata sommessa.

Tom le passò una mano sulla schiena, sperando che questo potesse acquietarla almeno un poco.

“Allora,” le chiese dolcemente, avvolgendola con il proprio braccio. “Vuoi ancora che me ne vada?”

“No, resta,” Quasi passivamente, Vibeke si lasciò abbracciare ed abbandonò la propria testa contro la sua spalla. “Potrei aver bisogno di prendere a calci qualcuno.”

Per Tom era strano trovarla così remissiva. Era abituato a toccarla e sentirla quasi bruciare da quanto era energica e vitale, quotidianamente, e adesso che era così fredda ed inerme, così svuotata, non gli sembrava più lei.

“Andrà tutto bene, vedrai.” La rassicurò, appoggiandole il mento sulla testa. Avrebbe tanto voluto crederci lui, per primo.

Rimasero in silenzio per qualche minuto. Di tanto in tanto Vibeke tirava su con il naso, ma non piangeva. Tom aveva la sensazione che qualcosa la bloccasse, che fosse al limite della sopportazione ma non riuscisse ad oltrepassarlo e lasciarsi andare del tutto.

Non devi sempre essere forte, Vi, le sussurrò dentro di sé. Ti è concesso essere fragile, qualche volta. Puoi essere umana… Ne hai il diritto, in una situazione come questa.

“Kaulitz?” mormorò lei ad un tratto.

“Sì?”

Vibeke sollevò il viso verso l’alto, verso di lui, mordendosi il labbro inferiore.

“Scusa.” Soffiò, cacciando indietro una lacrima che lottava per cedere alla gravità.

Tom non capì.

“E per cosa?”

Vibeke chiuse gli occhi e si staccò da lui, tornando a fissare il pavimento..

“Per tutto.” Gli rispose atona.

“Sai che ti rimangerai tutto non appena ti sarà passato lo spavento, vero?” replicò lui, senza riuscire a reprimere un vago sorriso.

Vibeke gli diede un debole calcio su uno stinco.

“Devi imparare a capire quando è il momento di startene zitto!” Gli intimò acidamente.

Tom scosse la testa, divertito.

“Sì, è vero.” Ammise.

Vibeke aveva di nuovo il volto affondato tra le proprie mani, il capo chino, le spalle ricurve. Sembrava come svuotata di tutto quanto una persona potesse avere dentro, in senso fisico ed emotivo. Tom avrebbe creduto di poter vedere chiunque in quelle condizioni, ma non una roccia come Vi.

Provava una strana ed insolita tenerezza nei suoi confronti, e un improvviso istinto protettivo si accese dentro di lui.

“BJ è… È tutto, per me, e io sono tutto per lui,” la sentì mormorare, quasi inudibilmente. “Quando si sbucciava le ginocchia ero io a mettergli i cerotti, quando voleva i biscotti allo zenzero ero io ad arrampicarmi sulla credenza per recuperare la scatola, quando voleva imparare a nuotare gli ho insegnato io…” Un sospiro sofferto, che toccò Tom un soffio più a fondo di dove aveva sempre creduto che la propria anima finisse. “Mi sono sempre presa cura di lui, fin da piccoli…”

Le posò una mano sulla nuca, dolcemente, e lei si sollevò nell’avvertire quella carezza, il viso, più pallido che mai, solcato da sbavature nere. Tom la scrutò da vicino, leggendole la paura negli occhi, e comprendendo quella paura e quelle parole che le aveva appena sentito pronunciare più di quanto avrebbe creduto. Tutto ciò che lei era sempre stata per BJ, lui era sempre stato per Bill. Tutto ciò che BJ era sempre stato per lei, Bill era sempre stato per lui.

È un dolore anche mio, sai?

Le spostò la mano sulla guancia fredda, sfiorandogliela con il polpastrello ruvido del pollice, guardandola serio e un po’ triste negli occhi.

“E chi si prende cura di te?”

Nuove lacrime scesero a velare gli occhi stanchi di Vibeke, ma lei non permise a nessuna di cadere. Deglutì, tremante, e dischiuse appena le labbra malferme. La sua paura, lentamente, divenne smarrimento, lo smarrimento scivolò sulla malinconia, la malinconia si ruppe in fragilità, e in quella fragilità si nascondevano infinite altre sfumature di buio.

‘Doesn’t count, far or near…’

E Tom, che non aveva confidenza con il dare conforto alle persone, che non si era mai trovato in una situazione così e mai si augurava di trovarcisi, immaginò come si sarebbe sentito lui, se il proprio fratello si fosse trovato al posto di BJ, e fece l’unica cosa che avrebbe voluto che qualcuno facesse per lui in un momento simile.

‘I can hold you, when you reach for me…’

“Vieni qui, stupida.” Le disse con gentilezza. La avvolse con le proprie braccia e se la strinse al petto, docilmente assecondato.

‘I am by your side…’

La trovò terribilmente fredda e debole.

“Andrà bene,” le mormorò. “Andrà tutto bene.”

‘Just for a little while…’

Avrebbe voluto poter fare qualcosa di utile e concreto, avrebbe dato qualsiasi cosa, ma abbracciarla, per il momento, era tutto ciò che poteva fare per lei.

 

***

 

Georg guidava verso casa con un gran peso addosso, Gustav accanto e Bill sul sedile posteriore, entrambi taciturni e nervosi quanto lui.

Era l’una passata, Tom era svanito nel nulla da almeno due ore e nessuno aveva ancora avuto notizie di lui. Nessuna spiegazione, Cadillac sparita, cellulare irraggiungibile. Tutto ciò che si sapeva era che, stando alla bionda che aveva scaricato nello sgabuzzino, aveva ricevuto qualche strana telefonata che lo aveva fatto reagire così, e Georg aveva un’ipotesi abbastanza precisa circa la provenienza di quella chiamata.

Vibeke. Solo lei potrebbe farlo scattare così.

“Dov’è quell’idiota?!” stava domandandosi Bill retoricamente, sovrastando la musica della radio, per quella che Georg riteneva essere almeno la centesima volta da quando avevano lasciato la festa. “Io lo ammazzo, quel cretino! Andarsene così, senza dirci niente! Ma dove ce l’ha quella cazzo di testa?!”

Georg avrebbe riso, se non fosse stato a sua volta molto in pensiero.

“Si farà sentire,” disse Gustav in tono strano. “Dobbiamo solo avere pazienza e aspettare che si ricordi di noi che siamo qui a preoccuparci per lui.”

Era arrabbiato con Tom per quell’improvvisata che aveva rovinato la serata a tutti quanti, lui per primo. Era stato costretto a spiegare frettolosamente a Fiona la situazione e suggerirle di tornare a casa prima che il finimondo scoppiasse, per poi doversi sorbire un’ora di sfuriata da parte di Tobi e Saki, che non gli avevano perdonato di averlo lasciato scappare via così.

Al di là delle questioni di sicurezza, comunque, il fattore ansia era alto, anche per le loro guardie del corpo. Non era da Tom volatilizzarsi in quel modo, quindi era ovvio che ci fosse qualcosa di serio di mezzo.

“Questa roba mi ha rotto,” Gustav si sporse in avanti e cambiò stazione alla radio. “Ci fosse qualcosa di dece–”

Georg non comprese subito perché l’amico si fosse interrotto bruscamente. Si era già voltato verso di lui con fare interrogativo, quando realizzò:

… quando circa due ore fa, fuori dalla discoteca in cui era ospite speciale, DJ Djevel, ventidue anni, è rimasto coinvolto in una rissa, durante la quale un colpo di pistola lo ha colpito al petto. I tempestivi soccorsi tuttavia…

L’auto sbandò lievemente e Georg si affrettò a recuperarne il controllo, ma il suo shock non accennò a diminuire mentre la voce della giornalista radiofonica proseguiva.

… accorso in difesa di una ragazza molestata da due clienti ubriachi. Il popolare DJ si è accasciato al suolo davanti a decine di testimoni, sanguinando copiosamente…

Il silenzio che era calato all’interno dell’abitacolo era così gelido e pesante da fare sentire Georg come se la forza di gravità fosse appena raddoppiata.

BJ era stato ferito fuori da una discoteca. Tom era corso via dalla festa, nel bel mezzo di una sveltina con una bionda. Unico anello di connessione possibile: Vibeke.

Tutto tornava.

“NO!” esclamò Bill all’improvviso, scagliandosi in avanti tra i due sedili. “Dobbiamo andare all’ospedale, vedere come sta, come sta Vibeke, trovare Tom!” Sembrava fuori di sé e le sue frasi non erano del tutto logiche, seppur molto sensate. “Dobbiamo andare là! Dobbiamo –”

“Bill,” Gustav gli aveva chiuso la bocca con una mano. “Calmati, per favore.”

A Bill servì qualche secondo, ma alla fine, come se gli avessero staccatola spina, si ritrasse e si accasciò contro il sedile posteriore, fissano il vuoto con occhi sgranati.

“Non possiamo restare qui a fare niente…” cercò di protestare.

Georg scambiò con Gustav uno sguardo teso. Bill aveva ragione, ma in realtà c’era veramente poco che loro potessero fare, anche volendo.

“Ascolta,” Gustav si voltò con un sospiro. “Forse è meglio se aspettiamo domani ad andare a vedere come va. Tanto non avremmo comunque il permesso di passare, soprattutto vista la criticità della situazione.”

Georg lo trovò un approccio troppo duro e schietto verso la sensibilità di Bill. Pur comprendendo la necessità di contenere l’isteria, cercò di addolcire un po’ la pillola:

“Sono certo che Tom ci terrà aggiornati,” gli assicurò con tatto. “C’è lui con Vibeke, credo che la cosa migliore da fare sia aspettare che sia lui a chiamarci.”

Controllò la reazione di Bill attraverso lo specchietto retrovisore: era immobile e rigido, e apparentemente molto spaventato. Faceva paura, Bill, in quelle condizioni, fragile e sensibile com’era.

“Bill,” lo chiamò, ma lui non si mosse. “Bill, guardami,” insisté, e stavolta Bill obbedì. Georg gli stiracchiò un sorriso attraverso lo specchietto. “Lasciamoli soli, hanno bisogno di vedersela tra di loro, stavolta. Domani mattina, quando le acque si saranno calmate e BJ starà bene, andiamo anche noi.”

‘E come lo sai che BJ starà bene?’

Bill non lo disse, ma Georg glielo lesse negli occhi.

“Vedrai,” intervenne Gustav, che doveva aver interpretato nella stessa maniera l’espressione dell’amico. “Tom si farà vivo, e quando lo farà, saranno buone notizie.”

Bill si morse il labbro, ingoiò qualunque risposta avrebbe voluto dare ed annuì remissivo.

A quel punto Georg tornò a tenere gli occhi saldamente incollati alla strada, tormentato da un bruttissimo senso di inquietudine. Rassicurare Bill era una cosa, rassicurare se stesso un’altra, e non era poi così matematicamente certo che sarebbe tutto filato liscio.

Intercettò un breve sguardo di Gustav e lo ricambiò impotente. BJ era sempre piaciuto a tutti loro, era un tipo molto simile a loro, si erano trovati subito bene con lui e il suo carattere solare ed amichevole. Era un amico, un amico che adesso stava rischiando la vita. Georg non osava immaginare in quale tremendo stato dovesse essere Vibeke.

Tenete duro, ragazzi.

 

***

 

Mezzo secondo. Pochi minuti. Ore, forse. Forse un’eternità.

Forse non mi importa.

Vibeke non sapeva quanto a lungo era rimasta vigliaccamente nascosta tra le braccia di Tom, quanto a lungo lui le avesse parlato senza che lei riuscisse a sentire cose dicesse, ma gli era grata di questo. Di esserci e basta, senza aspettarsi che ci fosse anche lei, perché, no, lei non c’era.

Lei non era lì. Lei era in un altro mondo, persa nel suo mare di buio, annaspando disperatamente per tenersi a galla e non sprofondare nello sconforto.

BJ era in una sala operatoria, proprio oltre alla porta che lei aveva davanti e non riusciva a guardare. BJ era là dentro, con un foro di proiettile nel petto e chissà quali conseguenze. E quel che era peggio, era che non esisteva nulla che lei potesse fare.

Voleva morire, lì, subito, prima che potessero arrivare notizie dolorose a straziarla ad un punto tale da far cessare ogni sua volontà e razionalità.

C’erano milioni di persone orribili al mondo che meritavano di soffrire, di stare male… Perché proprio lui? Perché proprio il suo BJ?

Fratello, ti prego…

Lei era sempre stata la sorella manesca e violenta, la sociopatica che incuteva timore al prossimo, quella che lo difendeva a scuola e si prendeva la colpa di tutto in casa, spesso ingiustamente, ma per il suo fratellino biondo, dolce e delicato era sempre stata disposta a fare qualunque cosa. Lui era la sua forza, la sua sicurezza, il suo motivo per tenere duro di fronte ad ogni cosa, l’unica vera certezza della sua vita.

Una certezza che adesso si trovava di fronte ad un destino pericolosamente incerto.

“Quella volta ce la siamo vista proprio brutta, sai,” stava raccontando Tom, seguendo un filo logico di cui lei aveva perso l’inizio. “La mamma era furiosa con Bill, non faceva che ripetere che avrebbe potuto rimetterci un occhio o chissà che altro… Avresti dovuto vederla, urlava come un’ossessa…”

Vibeke adorava la voce di Tom, anche se, ovviamente, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di confessarglielo. Gli aveva chiesto lei di parlare – parlare e basta, di qualsiasi cosa – perché il suo timbro profondo aveva un incredibile potere rilassante, lenitivo, ed anche se la paura più feroce non accennava a diminuire, la sua tensione si era sensibilmente affievolita, disciolta e portata via da mille carezze silenziose, da un profumo indiscernibile ma unico e familiare che ormai per lei aveva già da tempo cominciato a sapere di benessere.

Nonostante fosse un irritabile ed irritante idiota che sguazzava nelle sue stupide favole di autocompiacimento, nella sua alogica e contraddicente complicatezza, Tom profumava di cose belle.

“Poi una volta io e Gustav abbiamo beccato Bill a dormire nella cuccetta di Georg, con Georg dentro, ovviamente,” proseguiva in tono ilare, mentre la sua mano faceva su e giù lungo il braccio di Vibeke. “Georg ci ha sentiti ridere e si è svegliato, e appena si è accorto di Bill lo ha buttato giù dal letto, ancora addormentato,” Inconsciamente, lei si ritrovò a ridere con lui. “Abbiamo ancora le foto, da qualche parte…”

Cazzate. Di quello Tom stava parlando: di pure, emerite stronzate. Eppure era proprio ciò che le serviva per non rimetterci il senno: cose stupide, quotidiane, banali, che però assumevano un valore completamente nuovo, in un momento così.

Sembrava sciocco, a pensarci, ma proprio quelle piccole cose stupide sarebbero state le prime di cui avrebbe sentito la mancanza, se…

Non ci sono se!, si interruppe Vibeke, riscuotendosi. Non c’è nessun cazzo di se, BJ starà bene!

Ad un tratto Vibeke udì l’inconfondibile rumore di una porta che si apriva, ed i suoi occhi si spalancarono di conseguenza: c’era un chirurgo in piedi al suo cospetto, che si stava scostando una mascherina dalla bocca, gli occhi scuri e solenni fissi su di lei.

Vibeke scattò in piedi, la testa che le vorticava, solo il rumore assordante delle palpitazioni accelerate del suo cuore nelle orecchie mentre muoveva un passo incerto verso l’uomo.

‘La prego!’ gli stava dicendo con gli occhi. ‘La prego, metta fine a questa agonia…’

“Signorina Wolner,” esordì lui, serio e composto, imperscrutabile. “Il danno al polmone sinistro di suo fratello era più grave di quel che pensassimo: il proiettile lo ha attraversato da parte a parte, ha avuto una brutta emorragia…”

Il vuoto in un istante.

Fratello…

L’urto violento con la realtà, il senso straziante di soffocamento, il sangue che le si ghiacciava nelle vene… Poi il nulla immediato.

BJ…

Vibeke si sentì mancare, ma, in qualche oscuro modo, riuscì a non cadere in ginocchio ai suoi piedi.

“Stia tranquilla,” riprese rapidamente il chirurgo, distendendo le labbra in un piccolissimo sorriso. “È stato molto vicino a non farcela, ma, mi creda, ha un fratello sorprendentemente tenace, nemmeno la complicazione peggiore è riuscita ad avere la meglio sulla sua voglia di vivere.”

Vibeke si accorse di non riuscire a respirare.

“Significa che... Che è fuori pericolo?” domandò in un sussurro.

Lui allargò il proprio sorriso.

“Gli dia qualche settimana per rimettersi in forze,” le rispose gentilmente. “E sarà anche più in forma di prima.”

Vibeke vacillò in un vortice di sollievo ed isterica euforia. Improvvisamente vedeva di nuovo, sentiva di nuovo, respirava di nuovo. Tutto il mondo era tornato e le sembrava più vivo e colorato che mai, più luminoso di quel che ricordasse e straordinariamente bello.

“Grazie!”

“Le confesso che è un ragazzo incredibilmente fortunato,” riprese l’uomo. “Se il suo cuore fosse stato a sinistra…”

“Non lo dica!” Lo zittì Vibeke, atterrita e risollevata al contempo. “Non lo dica, per favore.”

Lui annuì comprensivo.

“Lo terremo in osservazione, per stanotte,” le comunicò. “Per precauzione, s’intende,” specificò poi tempestivo. “Ma ormai non ha più nulla da temere.”

Vibeke si sfregò il viso, avvertendo il calore che lentamente ritornava a diffondersi nelle sue vene.

BJ sta bene, continuava a ripetersi, euforica. BJ sta bene. BJ sta bene. BJ sta bene…

“Lo posso vedere?”

Lui negò.

“Mi dispiace, ma adesso non è proprio possibile. Perché non va a riposarsi un po’? Può tornare domattina, quando –”

“Lei non può!” ringhiò Tom, scattando accanto a Vibeke come una furia. “Non può dirle che suo fratello è vivo per miracolo e poi non concederle nemmeno di vederlo per un momento, se ne rende conto?!”

Il medico lo fissò sbalordito e la sua austerità vacillò visibilmente di fronte a tanta determinazione.

“Sì,” confermò, abbassando lo sguardo. “Me ne rendo conto.”

Vibeke rimase attonita, cominciando a sperare. Il chirurgo la occhieggiò dubbioso, ma con inconfondibile pietà, sentimento che per principio lei detestava, ma se fosse servito per poter vedere BJ, allora era più che disposta a lasciarsi compatire.

“D’accordo,” acconsentì l’uomo dopo una lunga meditazione. “Le posso concedere un minuto, non di più. Per il bene di suo fratello.”

Vibeke non era una che regalava dimostrazioni di affetto, e solitamente i suoi abbracci erano un lusso che concedeva solo a tre fortunati eletti: BJ, Rogue e Gustav, ma ora non riusciva a non desiderare di ringraziare quell’uomo nel modo che più sentiva giusto: aprì le proprie braccia e lo abbracciò d’istinto, ringraziandolo nuovamente.

Dopo un attimo di esitazione, lui ricambiò il gesto con calore.

“Vada pure,” disse poi, indicandole la porta della sala operatoria. “E non si lasci spaventare dal sangue,” aggiunse con delicatezza. “Lui sta bene.”

Vibeke avvertì un fremito tiepido lungo la propria spina dorsale.

“Lui sta bene.”

Era l’unica cosa che aveva voluto sentirsi dire da ore a quella parte.

“Lui sta bene.”

Era vero, adesso, ci poteva credere senza dover temere delusioni.

“Lui sta bene.”

Non aveva aspettato altro che quello, di poterlo vedere con i propri occhi e toccare con le proprie mani. Per metà di quella notte terribile se n’era rimasta là fuori, reprimendo con la forza la voglia di entrare in quella stanza e vedere il proprio fratello, eppure, ora che poteva farlo, non riusciva a muoversi.

“Non si lasci spaventare dal sangue.”

Quanto aveva sofferto, BJ, prima di essere salvo? Quanto vicino era andato al non tornare più?

“Vi...”

Lei tornò in sé, avvertendo una presa calda e sicura tra le proprie dita. Abbassò lo sguardo e poi lo sollevò, incontrando un lieve sorriso incoraggiante.

Tom l’aveva presa per mano.

“Dai, vieni,” la esortò dolcemente. “Andiamo.”

E Vibeke, obbediente, si lasciò condurre oltre la porta.

Si trattò di pochi metri, non più di una decina di passi nella penombra, ma le parve di camminare all’infinito. Tutto era impregnato di un intenso odore di chimico, ma questo non riusciva comunque a coprire l’acre sentore ferroso del sangue.

La prima cosa che vide furono i due infermieri in camice azzurro che si affaccendavano ai due lati di quello che suppose essere il tavolo operatorio, spostando solertemente teli verdi e bianchi. C’erano altre persone, intorno, ma lei non le riusciva a distinguere. Vide solo una giovane infermiera che si avvicinava agli altri due, porgeva loro un lenzuolo pulito e se ne andava in silenzio.

Quando i due si fecero da parte per dispiegare il lenzuolo pulito, Vibeke vide.

BJ giaceva inerte sul tavolo, coperto solo fino all’addome dal lenzuolo che gli avevano appena adagiato addosso, ed altrettanto bianco. Lui e Vibeke erano sempre stati chiarissimi di carnagione, ma quello era un pallore preoccupante, malato, e fu con una lacerante fitta al cuore che lei lasciò la mano di Tom per avvicinarsi a lui, a passo malfermo. Medici ed infermieri le lanciavano qualche occhiata distratta, ma non abbandonarono le proprie occupazioni.

Vibeke si sentì male nel posare lo sguardo sul volto cereo di BJ, nascosto per metà da una mascherina di ossigeno. Non sapeva se fosse un effetto dei farmaci che gli avevano somministrato, ma era leggermente gonfio, e attorno ai suoi occhi c’erano spaventosi aloni lividi.

Sta bene, ricordò a se stessa, mentre la sua mano si posava fremente sulla sua fronte, quasi sorprendendosi di trovarla tiepida.

Gli carezzò i capelli con affetto, le labbra premute tra loro nello sforzo di non lasciarsi andare al bisogno di sfogare la sfiorente tensione attraverso il pianto.

Non mi fare più uno scherzo del genere, Bjørn Jesper Wolner, mai più!

Riusciva stranamente a percepire Tom, alle proprie spalle, e questo, assieme al respiro regolare di BJ, la fece sentire rasserenata.

Avrebbe voluto rimanere con lui fino a che si fosse risvegliato, ma poco dopo arrivarono i due infermieri di prima, accostandosi rispettosamente.

“Mi dispiace, ma adesso dobbiamo portarlo nella sua stanza.” Le disse uno di loro.

Con un sospiro, lei scrutò BJ per un ultimo momento, per poi annuire.

Ci vediamo domani, fratello. Riposati, si raccomandò, mentre lui veniva scrupolosamente trasferito su una lettiga.

Quando BJ fu portato via, Vibeke si rese conto di essere esausta.

“Vi…”

Un tocco sulla sua spalla la fece voltare.

“Kaulitz…” Incontrò lo sguardo di Tom, comprensivo e gentile. Senza un perché, Vibeke gli sorrise.

“Dai,” Di nuovo, lui le prese la mano e la tirò verso di sé. “Usciamo di qui, andiamo a mettere qualche cosa sotto i denti, che ne dici?”

Lei non rispose. Lo seguì e basta, ciecamente, e non si chiese dove la stesse portando o perché, né se fosse una buona idea. Qualsiasi cose che non fosse quell’ospedale le sarebbe andato bene.

Scesero nel vasto giardino e a piedi proseguirono verso il parcheggio dall’altro lato della strada, dove Vibeke scorse la Cadillac, e le venne in mente di non ricordare dove avesse lasciato la propria Golf. Nessuno di loro parlò, ma Tom non le aveva mai lasciato la mano e di tanto in tanto azzardava sguardi obliqui verso di lei, per poi tornare a fissare il marciapiedi avanti a sé.

Era taciturno, dopo aver parlato del più e del meno per ore per tenerla distratta, e lei gliene era profondamente riconoscente, ma le faceva uno strano effetto vederlo così pensieroso.

So che tutto questo ti ha toccato più di quanto tu sia disposto a dare a vedere.

Ed era vero, perché anche Tom aveva un fratello gemello di cui si era sempre preso cura, lui capiva davvero ciò che lei stava passando, e probabilmente ne era un po’ irrazionalmente affetto anche lui.

Comprensione a parte, comunque, per lei significava già molto che lui fosse lì.

 

 

***

 

Mentre percorrevano il marciapiede, a Tom sovvenne che aveva lasciato un fratello e due amici ad una festa senza dare loro nemmeno mezzo avvertimento. Probabilmente avevano già allertato la polizia di mezzo mondo perché indagasse sulla sua misteriosa scomparsa.

Prese quindi il proprio cellulare e si affrettò a mandare un messaggio di spiegazioni:

BJ è stato ricoverato d’urgenza in ospedale, domani vi spiego. Ora sta bene,” scrisse. “Sto io con Vi. Domani mattina saranno permesse le visite.” Poi, senza nemmeno rileggere il messaggio, lo inviò a Bill.

Mi ucciderai, domattina, pensò, immaginandosi un Bill fuori di testa che dava i numeri davanti a Georg e Gustav, altrettanto preoccupati.

“Ho detto ai ragazzi di non stare in pensiero,” comunicò a Vibeke, che gli camminava accanto fissando il cemento. “Che BJ sta bene e che possono venire domani.”

Lei fece un vago cenno del capo, le mani affondate nelle tasche del pesante cappotto, ma tacque.

Tom stentava a riconoscerla, in quello stato, eppure quell’istinto protettivo che ore prima era sgorgato dentro di lui non faceva che crescere ed intensificarsi. Voleva davvero aiutarla, solo che non aveva la più remota idea di cosa fare. La parte del buon samaritano non era il suo forte.

Quando ebbero raggiunto l’auto, la guardò incerto.

“Ti porto a mangiare qualcosa?” si offrì, aprendo con il piccolo telecomando.

Vibeke avvolse le braccia attorno a se stessa e scosse la testa.

“Non ho fame.”

“Ma sei a pezzi,” obiettò Tom, increspando la fronte. “Hai bisogno di –”

“Ho bisogno di mio fratello,” scattò lei con voce lievemente incrinata. “Nient’altro.”

Tom si rassegnò. La capiva, dopotutto.

“Allora ti porto a casa, devi risposare.”

Vibeke serrò le labbra, negando ancora.

“Non voglio andare a casa. Distruggerei tutto.”

“Vieni da noi, allora,” propose Tom, tentennante. “Puoi –”

“Tom,” Un sorriso riconoscente ma nervoso le piegò la bocca. “Davvero, voglio solo riuscire a sopravvivere fino a domani mattina,” Deglutì. “Tu va’ pure, se vuoi.”

Lo aveva chiamato per nome. Era la prima volta. Faceva un effetto stranissimo, come se soltanto ora si rendesse conto che lei lo conosceva davvero, e lui conosceva davvero lei. E se lei lo conosceva, doveva sapere che non la avrebbe certo lasciata lì ad aspettare da sola.

“Vibeke,” le disse allora, scrutandola serio. “Non ti lascio sola. Voglio solo che tu chiuda gli occhi almeno per qualche minuto,” Si allungò verso la portiera posteriore e la aprì. “Dai, sali, ti sdrai un attimo… Non ce ne andiamo, promesso.”

Lei sembrava toccata da quel ‘Vibeke’ inaspettato, così come lo era stato lui poco prima dal proprio nome. Si inumidì le labbra, sempre stringendosi convulsamente le braccia addosso, avvolta in quel cappotto nero che la faceva apparire eterea ed impalpabile, come un fantasma. A Tom non piaceva quella Vibeke quasi incorporea, era abituato alle lei grintosa e passionale, e gli faceva paura non riuscire più nemmeno ad intravederla. Occuparsi di lei in un momento così delicato era una grande responsabilità, ma poteva farlo. Voleva farlo.

“Su,” la esortò, prendendola per mano. “Fa’ la brava, solo per un po’.”

Lei si lasciò spingere all’interno spazioso dell’auto e si sedette rigida, le gambe coperte solo dai collant neri e un paio di Doctor Martens abbastanza consumate. Con la temperatura bassa che c’era, si sarebbe congelata. Senza pensarci due volte, Tom si sfilò il giubbotto e glielo porse.

“Prendi.”

Vibeke sollevò il mento e batté un paio di volte le ciglia, come se non capisse.

“E tu?”

Lui fece spallucce.

“Sopravviverò.”

Attese che lei lo prendesse, ma non accadde nulla.

Quanto sei dannatamente cocciuta!, imprecò mutamente, entrando nell’auto per coprirla con le proprie mani. Le sedette accanto e le appoggiò il caldo giubbotto sulle spalle, mentre lei rimase a guardare inerme. Era apatica, vuota, e Tom sperava che le sarebbe passata presto. Gli faceva male vederla così.

“Cerca di dormire,” la ammonì. “Il tempo passerà più in fretta.”

“Non ho sonno.” Disse lei, scossa da un brivido, eppure ce l’aveva scritto in faccia che più sfinita di così non poteva essere.

“E va bene,” disse lui risoluto, chiudendo la portiera. Scivolò più vicino a lei, prese un lembo del proprio giaccone e si coprì assieme a lei, poi le appoggiò un braccio lungo le spalle. “Facciamo i pinguini, mentre aspettiamo l’ora X, almeno non diventeremo ghiaccioli umani.”

Con discreto stupore di Tom, Vibeke non lo scacciò schifata, né fece commenti. Si lasciò invece attirare verso di lui e, dopo una brave esitazione, si ammorbidì, lasciandosi andare.

Tom sorrise nel sentirsi avvolgere la vita dal suo braccio.

“Spero che tu stia comoda, piccola lady, perché io sono in una posizione atroce.” Osservò, sperando di far sorridere anche lei, ma quando guardò in giù si accorse che si era già addormentata.

Meno male che non avevi sonno, eh?

Lui non dormì, quella notte. Tenne Vibeke stretta a sé, ascoltando il suo respiro, osservando il suo petto che si alzava e si abbassava lentamente.

Avevano fatto l’amore tante volte, ma non avevano mai dormito insieme, non la aveva mai vista così. Aveva un aspetto diverso, quando dormiva. Sembrava così dolce, così indifesa…

Niente maschere, nell’incoscienza dei sogni.

Tom non aveva mai avuto occasione, prima, di contemplarla così da vicino, così indisturbatamente, ma gli ci volle poco a capire che avrebbe anche potuto abituarcisi.

Che sensazione strana, però…

Si voltò a guardare il cielo che, pian piano, andava tingendosi di sfumature di viola e di rosa, mentre Vibeke, nel sonno, si accoccolava meglio contro il suo torace. Abbassò lo sguardo su di lei: fu lieto di trovare sul suo viso un’espressione serena, anche se si vedeva benissimo che, almeno fisicamente, era distrutta.

Tom percepì un sorriso che saliva a solleticargli le labbra e, senza un motivo preciso, nel momento stesso in cui il primo raggio di sole sbucava tra qualche nuvola grigia, si chinò per sfiorare con un bacio i capelli di Vibeke, per poi restare a guardarla sorridere inconsapevolmente di quel suo gesto.

Che lo accettasse o meno, la trovava una situazione piacevole. Molto piacevole, ma anche molto spaventosa.

In diverse occasioni gli era capitato di ritrovarsi una ragazza addormentata tra le braccia, ma non c’era mai stato nulla di straordinario, nulla che gli avesse mai fatto pensare che potesse esistere qualcosa di speciale nascosto in un semplice abbraccio. Ne aveva incontrate tante, ma il suo cuore si era sempre ritrovato a battere contro il vuoto, e così quello della fortunata di turno.

Adesso, per la prima volta, il battito di Tom riceveva una risposta tangibile.

Se ne stava lì, immobile, lasciandosi portare via da una nuova, incredibile sensazione: il cuore di Vibeke batteva in perfetta corrispondenza del suo.

“Prova a innamorarti.”

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Note: rullo di tamburi, ovazione di trionfo… Il capitolo sedici è qui! XD Voi non sapete che calvario mi è costato questo capitolo (no, qualcuno una vaga idea ce l’ha ^^), una fatica mostruosa per riuscire a tirare fuori un Tom dolce e sensibile, ma che non fosse un orribile mutazione genetica rispetto al Tom reale. Insomma, ho fatto del mio meglio per far emergere la parte di lui che lui si tiene ben relegata dentro, ma entro i limiti del suo carattere. A voi decidere se sia riuscito o meno. Siete liberissime di linciarmi a sassate, se ritenete che sia un Tom esageratamente premuroso, ma a me sembra di aver mediamente rispettato i canoni.

Devo un grazie, come sempre, a voi lettori che non mancate mai un appuntamento, alle 159 persone che hanno The Truth tra i loro preferiti e alle 84 che hanno me tra i preferiti, ma soprattutto a voi che fedelmente vi prendete quei due minuti per lasciarmi un commento, anche piccolo. Siete voi che mi aiutate a continuare ed è grazie a voi e al vostro sostegno ed entusiasmo che The Truth esiste, perché senza la vostra calda accoglienza per Lullaby, probabilmente non mi sarei presa così a cuore le fan fiction sui nostri Tokio Hotel.

Nello specifico ringrazio:

_Ellie_: me l’hai fatta sospirare questa recensione, ma l’attesa è valsa il risultato. Tu, mia piccola perla di scrittrice, sei sempre una delle più sveglie, quando c’è da percepire le sottigliezze che metto nelle mie storie, e ciò di fa molto onore. Hai una sensibilità che mi sorprende ogni giorno di più, ma è anche per questo che ti stimo tanto come scrittrice. Grazie, dal più profondo del mio cuore (a forma di G, come direbbe la Pao XD).

susisango: eccone un’altra che mi scarica addosso responsabilità! Insomma, è solo una storia! XD No, sto scherzando, mi pare ovvio, perché sarà anche solo una storia, ma anche io ci sono molto affezionata, e vedere che voi condividete con me tutto questo mi fa un gran piacere. Spero di averti soddisfatta almeno un po’. ^^

loryherm: tu sei sempre un’altra di quelle che fiutano tutto, e questo mi compiace sempre. Ogni volta tu, _Ellie_ e Lady Vibeke vi scazzottate a suon di recensioni chilometriche per deliziarmi, ma è inutile che io ti ripeta quanto felice mi fai con questi tuoi acuti accorgimenti! Ti ringrazio, davvero. <3

Purple Bullet: ed ecco la nostra Vi in incognito! Allora, ripresa dallo spavento per il bel BJ? Il tuo fratellone sta bene. XD Spero che il tuo pc sia abbastanza in forma da permetterti di leggere questo capitolo al più presto, attendo impaziente il tuo sospiro di sollievo. ;)

LadyCassandra: ti ringrazio per aver avuto il fegato di spararti questi quindici capitoli come un’endovena di morfina/adrenalina (a seconda di come li hai trovati tu, sei noiosi o interessanti XD). Sono felice di sapere che hai cambiato idea su Vi. È una ragazzaccia spinosa e scostante, è vero, ma ha i suoi pregi, ben nascosti dietro al suo pessimo carattere. Non è del tutto colpa sua, poverina, non ha avuto una bella vita, finora, ma sta provando a rimediare. ^^

RubyChubb: liebe! Ero emozionatissima quando ho letto che eri così entusiasta del capitolo! Ormai lo so che hai un po’ perso la vena Tokiohotellica, quindi so che è difficile farsi appassionare da qualcosa che non si ama più come una volta, e ti ringrazio di ogni parola. Ti liebo! XD

StellaMars: mi sono crogiolata nella tua recensione sguazzandoci come un Bill tra le caramelle gommose, o un Tom in un Sexy Shop, o un Gustav tra i Metallica, o un Georg tra le mie braccia… XD Insomma, più che un GRAZIE grosso così, non saprei che dire. Mi fa piacere che tu abbia notato che Vi non è certo la supergnocca fan dalle mirabili doti ammalianti, ma una qualunque che ha avuto la sfiga/fortuna di incrociare il sentiero della persona sbagliata/giusta (leggasi: Tom Kaulitz). Non è mia abitudine identificarmi con i miei personaggi: li considero come figli, li amo come tali, sono le mie creature e mi piace attribuire loro caratteri e caratteristiche molto diverse tra loro, e in futuro penso sarà sempre più evidente. Mi è piaciuta anche la tua osservazione sull’avere Vi come amica: pur involontariamente, hai anticipato una cosa che accadrà tra qualche capitolo. Non dico altro, solo occhi aperti, perché la vedremo in azione proprio in questi panni che hai descritto tu. ;)

Ladynotorius: anche tu ti sei fatta desiderare, eh? ^^ Non voglio che tu ti senta obbligata a recensire, ovviamente, ma non riesco a non intristirmi se una come te non trova nulla da dire su quello che scrivo. Lo so, sono strana, ma ti ringrazio tantissimo per aver fatto questo sforzo. <3 Adesso sarai in Sardegna, e magari leggerai questo capitolo assieme ad _Ellie_... Ricordati di picchiarla/baciarla da parte mia! ;)

_ToMSiMo_: Tom alle prese con Vi è tutto uno spettacolo, vero? Sono fatti l’uno per l’altra, devono solo riuscire ad ammetterlo. Grazie infinte per i complimenti, che spero di meritare ancora. ;)

Kaho_chan: la tua è un’altra di quelle recensioni che mi hanno fatto brillare gli occhi per ore e ore. Sono sempre felice di sapere che anche chi non ama particolarmente (o affatto) i Tokio Hotel riesca ad apprezzare le mie storie. Mi fa capire che forse riesco davvero a trasmettere qualcosa, al di là di una semplice trama con dei semplici personaggi, e questo significa molto per una scrittrice. Cerco sempre di essere critica nei confronti dei personaggi reali di cui tratto, faccio del mio meglio per essere coerente con le loro personalità per come le percepisco io, pregi e difetti inclusi in egual misura, e mi auguro sempre di fare un buon lavoro. Se ti piacciono quindi nella ff, c’è qualche discreta possibilità che ti piacciano anche nella vita reale, perché, te lo assicuro, la nostra adorabile Principessa non è semplicemente una Diva con la D maiuscola, ma anche un cucciolotto troppo cresciuto che in realtà non vuole saperne di crescere, e così anche per gli altri. Insomma, concludo dicendoti grazie mille e sperando vivamente di essere meritevole di altre tue recensioni splendide come quella dello scorso capitolo.

kikka_tokietta: grazie, grazie e ancora grazie! ^^ Come ti auguravi tu, ho continuato (anche se forse non così presto come speravi) e attendo impaziente di sapere come hai trovato questo aggiornamento. :)

Fashion_Girl: se il resto della storia ti ha fatto emozionare, questo capitolo, che è uno dei più intensi, dovrebbe avere toccato apici discreti di emozione, o così spero, altrimenti significa che ho miseramente fallito nel mio intento. XD Grazie mille anche a te.

juliet_: ed ecco un’altra recensione che mi ha riempito il cuore di orgoglio. Il mio amore per questi ragazzi è smisurato, me ne rendo conto, però mi rendi davvero felice e fiera se mi dici che grazie a quello che scrivo ti senti almeno un pochino riavvicinata a loro. Metterò una passione ancora maggiore nelle mie storie (è possibile? Più passione di così? XD), solo per cercare di non deludere le persone come te, che mi hanno fatto il grande regalo di lasciarsi trasportare da quello che metto nei miei scritti. Grazie.

sbadata93: sì, penso proprio che questa fosse la tua prima recensione, e oso sperare che sia anche la prima di molte altre. ;) Capisco i tuoi sentimenti contrastanti verso Tom e Vi: sono due testoni con due fette di salame grosse così sugli occhi, ma hanno bisogno di tempo, non sono abituati a provare un certo tipo di emozioni, devono imparare a conoscerle e gestirle, e ci vuole tempo e fatica. BJ è uno dei tuoi personaggi preferiti? Condivido pienamente! ^^ Come vedi, gli voglio così bene che non potevo certo lasciarlo morire. Ho grandi progetti per lui! ;)

kit2007: vedo che quel pezzo su Tom è piaciuto a molti, e me ne compiaccio, perché è vero che riassume perfettamente quello che c’è tra quei due. Vuoi mandare dei fiori a BJ, ora che sai che sta bene? Non c’è problema, sappi che presto avremo modo di notare che non sei l’unica ad aver avuto questo bel pensiero per lui! XD Però non scioperare, ti prego, guarda che brava che sono, ho postato! ^^

MARINA KAULITZ: grazie, cara, davvero. Eccoti accontentata, BJ sta bene (oddio, bene non proprio, con quello che ha passato, ma almeno è fuori pericolo ^^). Spero ti sia piaciuto il capitolo.

pIkKoLa_EmO: i pc-rottami sono un male diffuso, purtroppo, anche il mio è una scatola mal funzionante, ma si fa quel che si può. ^^ Moniek è un personaggio secondario, ma è una bella persona, che è in grado di capire quando qualcosa è inevitabile ed accade senza cattiveria. Siamo tutti lieti che abbia dato una bella scossa a Vi. Ora che hai letto, ti ho soddisfatta? Hai pianto? Fammi sapere! ;)

valux91: eheheh, la famiglia Mulino Bianco ne ha ancora tanta di strada da fare, l’appartamento è solo la pietra di base di tutto quanto. Ma diamo loro modo e tempo di costruire con la dovuta calma e vediamo cosa riusciranno a fare. :) Adesso puoi trarre un sospiro di sollievo anche tu, per quanto riguarda BJ. Non sarei mai stata così stronza da portarlo via alla sua sorellina cucciolina. ^^

Lady Vibeke: ti cito testualmente: penso tu sappia cosa intendo se dico che questa piccola serie di magiche parole sia il corrispettivo in prosa di […] un virtuosismo vocale di Tarja”. Questo non è un complimento. No, affatto. Questo è IL Complimento, pure con la C maiuscola. Dio, se solo tu sapessi quando ci ho riso su questa mezza eresia (eresia perché i virtuosismi canori della Divina sono incomparabili, non esiste nulla di paragonabile a Lei <3, ma apprezzo XD), e mi sono pure commossa. Ti ringrazio, soprattutto per i consigli e la pazienza. ;)

GaaRa92: grazie a te! ^^ Ti ho appena servito un altro bel concentrato di riflessioni abbastanza serie… Piaciuto anche questo?

layla the punkprincess: ce l’ho fatta, grazie per avermi ricordato del disegno! *__* Sì, i due cocciuti qualcosa lo stanno cominciando a realizzare… Ma non tutto, non ancora. Intanto però si stanno avvicinando sempre più senza nemmeno accorgersene.

CowgirlSara: tu! Tu, mia artista dalle manine d’oro! Grazie del disegno, della sopportazione e delle belle chiacchierate volte ad ideare nuove storie, che noi già amiamo in anticipo. XD Aspetto il disegno hot di chi sappiamo noi, sappilo! XD

NeraLuna: preghiere nuovamente accolte! Visto come sono compassionevole? ;) Spero di aver dato pace a tutte le tue ansie. ^^

mewmina__91: ho aggiornato più in fretta che potevo! Vedo che ti piacciono in biondini… Eh, anche a me! XD

_Kaay: grazie! Dopo il capitolo particolarissimo, ecco quello pucciosissimo (in un modo tutto suo). Mi auguro sia stato di vostro gradimento, madam. XD

 

P.S. lustratevi i lussuriosi occhi, gente, perché CowgirlSara ha fatto un altro dei suoi capolavori, e stavolta è abbastanza piccante: Tom & Vi

P.P.S. ovviamente la canzone citata nel capitolo è By Your Side, dei magnific Tokio Hotel. Non so se li conoscete... XD

Alla prossima! ^^

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Capitolo 17
*** Shoot Me Again ***


“Vi!”

Lei lo ignorò.

“Vi, cazzo, rallenta, non è che se arriviamo prima aprono prima!”

Non aveva intenzione di dargli retta.

“VI!”

Vibeke aumentò il passo.

Tom poteva urlare e sgolarsi quanto voleva, lei non avrebbe di certo decelerato. Le avevano detto che avrebbe potuto vedere BJ all’apertura delle visite mattutine, alle otto e trenta in punto, e lei aveva tutta l’intenzione di essere là nel preciso istante in cui le porte si sarebbero aperte.

“Vi, cazzo!” sbottò Tom, arrancandole accanto con il fiatone. Era ovvio che non fosse abituato a camminare a passo così svelto.

Lei gli scoccò un impietoso sguardo obliquo e tirò dritto senza considerarlo.

Aveva aperto gli occhi appena cinque minuti prima, ma si sentiva più sveglia ed attiva che mai, anche se doveva riconoscere di avere un certo languorino. Si era svegliata stranamente serena, e in un primo momento non si era spiegata il perché, visto che nella sua testa turbinava ancora la preoccupazione per BJ, ma poi aveva battuto un paio di volte le palpebre, acquisendo coscienza, e si era resa conto di trovarsi comodamente adagiata sul torace di Tom, coperta dal suo giubbotto e dal suo profumo, circondata dalle sue braccia, cullata dal suo respiro.

‘Ho dormito con Kaulitz’ era stato il suo primo pensiero, e le era sembrato quasi buffo. Poi, però, un altro pensiero era subentrato a quello, e l’aveva fatta sentire strana: ‘Sto bene’.

Non aveva potuto fare a meno di ripensare alla prima volta che si era trovata in quell’auto, a quante cose fossero cambiate in quelle poche settimane, e a come sembrasse diverso, Tom, sdraiato lì con lei, addormentato, con quella tenerissima espressione beata che per lei era del tutto inedita.

Cosa non va, in me?, si chiese infastidita, mentre attraversava la strada senza nemmeno guardare. Perché sono così presa da questo ragazzino immaturo ed autocompiaciuto?

“Vi, ti prego, ti supplico, non riesco a starti dietro!” brontolò Tom, ansimando alle sue spalle.

Vibeke si morse un sorriso tra le labbra nel voltarsi a guardarlo mentre si fermava ad aspettarlo in cima alle scale che portavano all’ingresso dell’ospedale: aveva le guance arrossate dal freddo e dallo sforzo, la fascia calata sugli occhi, i larghi vestiti che sembravano pesargli addosso, rallentandolo.

Tom arrancò su per gli scalini e sollevò gli occhi verso di lei, scoccandole un’occhiataccia.

“Ti ringrazio per avermi dato retta solo dopo avermi ucciso di fatica,” berciò, chinandosi su di sé per riprendere fiato, le mani appoggiate alle ginocchia. “Apprezzo davvero la tua gentilezza!”

Lei rise, scuotendo il capo.

Quanto sai essere tenero, quando vuoi…

“Che carino che sei, tutto paonazzo,” lo prese in giro. “La fragile sensibilità estetica di tuo fratello resterebbe molto urtata, a vederti così.”

“Non essere così amabile, rischi di farmi sentire amato e rispettato!”

Lei rise di nuovo e gli pizzicò il naso, estorcendogli un gridolino di protesta.

Aveva sempre pensato che Tom avesse un bellissimo naso, proporzionato e fine, praticamente invidiabile, che non faceva altro che accrescere la già notevole avvenenza del suo viso, esaltando il luccichio beffardo degli occhi, valorizzando la curva morbida della bocca. Era tanto che non si soffermava ad osservarlo – forse non lo aveva mai nemmeno fatto – ma Tom era davvero un bel ragazzo, e fu quasi con inspiegabile orgoglio che si riscoprì a pensarlo.

“Sei un bravo Kaulitz,” gli disse con affetto, battendogli una mano sulla testa. “Una gran testa di cazzo, certe volte, ma pur sempre un bravo Kaulitz.”

Tom si rizzò in piedi, scacciandola indispettito.

“Giù le mani, ingrata!” si ritorse. “Non ti farò mai più un favore in vita mia!”

Vibeke aprì la porta ed entrò.

“Me ne farò una ragione.”

Si sentiva molto meglio, dopo qualche ora di riposo, tanto che stentava a crederci. Si sentiva ottimista e piena di vita, e non vedeva l’ora che BJ si svegliasse per poterlo abbracciare, baciare e magari sgridare un po’.

Alla reception chiesero informazioni e Vibeke fu costretta ad esibire un documento, per poi vedersi consegnare una specie di scontrino con segnate data, ora, piano e numero della stanza, infine Tom la seguì verso gli ascensori. Questa volta non aveva voglia di farsi le scale: sei piani a piedi portavano via troppo tempo, e lei voleva vedere BJ al più presto, senza contare che forse un briciolo di pietà per Tom alla fine la provava.

Salirono in pochi secondi, e Vibeke non attese che le porte si spalancassero del tutto: ci sgusciò in mezzo non appena furono abbastanza aperte da permetterle di passare. Ci mise un momento ad orientarsi nell’atrio: dovette strizzare un po’ gli occhi per mettere a fuoco i cartelli che introducevano ai vari reparti, e quando si mosse per raggiungere quello giusto, ebbe un violento capogiro, che la fece vacillare e la costrinse ad appoggiarsi alla parete per non perdere l’equilibrio.

Merda.

La testa le vorticava in modo insopportabile, se la sentiva vuota e leggera, ma in modo molto sgradevole.

“Vi!”

Sentì la familiare presa delle forti mani di Tom sorreggerla prontamente. Inspirò a fondo, tentando di riprendersi, e, lentamente, la vertigine passò.

“Qualcosa non va?” domandò un’anziana infermiera in camice rosa che passava di lì con un mucchio di cartelle tra le mani. “Cos’ha la signorina?” domandò allarmata a Tom, mentre Vibeke si risollevava con cautela.

“Sto bene,” le disse lei, alzando una mano. “Ho avuto solo un piccolo giramento di testa.”

Vide che Tom e l’infermiera si scambiavano uno sguardo dubbioso.

“Davvero, sto bene,” ripeté con più decisione. “È passato.”

“Forse è solo un calo di zuccheri,” ipotizzò la donna. “Dovrebbe mangiare qualcosa di dolce.”

“È da ieri sera che non mangia,” intervenne Tom, in tono di rimprovero. “Le ho detto che doveva mandare giù qualcosa, ma lei –”

“Oh, per carità!” sbottò Vibeke, sbrigativa. “Avrò tempo dopo per mangiare!”

L’infermiera assunse un cipiglio severo.

“Dia retta al suo ragazzo e mangi qualcosa, cara.” le intimò. Lei e Tom arrossirono e distolsero lo sguardo l’uno dall’altra.

Il suo ragazzo”?!, Vibeke si sottrasse scioccata alle mani di Tom che ancora la trattenevano. Ma non scherziamo, abbiamo forse l’aria di una coppietta in amore?!

“Vada al bar qui sotto e si prenda una bella cioccolata con panna e una brioche, vedrà che si sentirà meglio.”

Senza aggiungere altro, la donna se ne andò, lasciandoli a cuocere nel loro reciproco imbarazzo. Vibeke non lo avrebbe mai riconosciuto, a se stessa men che meno, e se qualcuno, per assurdo, glielo avesse chiesto, avrebbe negato spudoratamente, ma una minuscola porzione del suo cervello era rimasta bloccata su quel ‘il suo ragazzo’ e proprio non ne voleva sapere di smuoversi di lì. Ci girava intorno, ci giocava, lo sfiorava, lo accarezzava, lo attorcigliava tra un pensiero e l’altro, tingendolo di infinite sfumature differenti.

Suonava stranamente… Piacevole.

“Ehm,” Tom si schiarì la gola, le mani sprofondate nelle vaste tasche del giubbotto. “Vado io a prenderti qualche cosa al bar, va bene?” Si offrì. C’era un accenno di rossore sulle sue gote. “Tu va’ pure da BJ, io ti raggiungo.”

“Va bene. Grazie.” farfugliò Vibeke, annuendo.

“Bene. Vado, allora.”

“Ok.”

Tom la occhieggiò brevemente, poi pigiò il bottone di chiamata dell’ascensore, che si aprì in pochi secondi, e lui entrò

“A dopo.”

Vibeke rimase a guardare le porte metalliche che scorsero l’una sull’altra fino a farlo scomparire dalla sua vista, poi si lasciò scappare un mezzo sorriso.

Sei davvero un bravo Kaulitz.

Non le fu difficile trovare la stanza di BJ, in fondo ad un corridoio semideserto, ma le fu difficile non stupirsi quando un uomo in uniforme le chiese se avesse il permesso di stare lì dentro. Solo allora Vibeke si rese conto che quello doveva essere una specie di reparto riservato alle celebrità e che il biglietto che le era stato dato all’ingresso doveva essere una specie di pass. Lo mostrò all’uomo, che lo esaminò con attenzione prima di restituirglielo con un grugnito di assenso, ed infine se ne andò a fare la guardia all’ingresso. Vibeke si ritrovò così in piedi di fronte ad una porta chiusa. Protese la mano verso la maniglia, la afferrò, ma non riuscì a girarla.

Di punto in bianco aveva paura.

Paura, forse, di non saper affrontare quello che avrebbe trovato una volta oltrepassata quella soglia, o forse, più semplicemente, paura di vedere.

Ricordava ancora le condizioni di BJ di quella notte, il suo aspetto provato e tutto quel nauseante odore di ferro, tutto quel rosso, il suo viso tirato ed esangue, e non le piaceva la prospettiva di rivedere quello spettacolo che le aveva fatto stringere il cuore. Però voleva vedere BJ, e non ce la faceva ad aspettare di non avere più paura.

Un movimento determinato, e la porta fu aperta. Vibeke si fece avanti timorosamente, e la prima cosa che avvertì fu un acuto bip intermittente e regolare, accompagnato da una temperatura decisamente calda. Dovevano esserci almeno venticinque gradi, là dentro.

Quando la porta fu chiusa dietro di lei, finalmente Vibeke si fece coraggio e si voltò verso l’unico letto che occupava la stanza spaziosa illuminata da uno sbiadito sole mattutino. Il suo sguardo risalì dalla trapunta verde dall’aspetto nuovo di zecca e finì per posarsi su una mano pallida rivolta verso l’alto, un ago collegato ad un paio di flebo infilato nel polso, poi ancora su, lungo il braccio nudo, ed infine sul viso, e lì si fermò con un brivido.

Fratello…

BJ sembrava pacificamente e profondamente addormentato, ed anche se la sua cera era notevolmente migliorata, aveva ancora quell’aria malata e debole che a Vibeke non piaceva per niente. Il bip insistente proveniva da uno dei tre macchinari che lo monitoravano, collegati da elettrodi al suo petto. Aveva dei tubicini sottili e trasparenti nel naso, che Vibeke suppose dovessero aiutarlo a respirare. Tutto sommato, era già una cosa buona che non avesse cose strane ed invasive infilate in gola.

Si andò a sedere sul bordo del letto, sentendo qualcosa di caldo ed umido che le si raccoglieva agli angoli degli occhi.

Sta bene, le disse la propria testa, mentre lei gli accarezzava la fronte.

Sì, sta bene, si intromise una seconda voce, ma per un soffio.

Avrebbe dovuto sentirsi orgogliosa di lui per quello che aveva fatto, per aver difeso quella ragazza da quegli uomini, ma il suo egoismo non cessava mai di ricordarle che nessun nobile gesto di altruismo avrebbe potuto giustificare l’eventuale perdita del proprio fratello. Era orribile da pensare, e Vibeke si vergognava ad ammetterlo, ma non le importava degli altri, era solo grata che BJ fosse vivo e vegeto, lì con lei.

Un singhiozzo silenzioso le scosse la spalle, mentre una singola lacrima cadeva sulla mano di BJ, stretta tra le sue. Era un momento così surreale e delicato che, ora che era lì, avrebbe voluto non essere da sola, ma, d’altro canto, la presenza di Tom probabilmente avrebbe di nuovo innescato il suo meccanismo di repressione, ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.

Doveva sfogarsi, e c’era una sola persona che al momento avrebbe tanto voluto vedere.

 

***

 

“Fisicamente il recupero sarà lungo e duro, dovremo trattenerlo in ricovero per almeno tre settimane e sarà costretto a prendere qualche farmaco per un po’, ma a parte questo, il signor Wolner non ha nulla di cui temere.”

Gustav ascoltò con crescente sollievo le parole del medico, rincuorato di sentirsi confermare da una voce autorevole qualcosa che in fondo già sapeva. Gli era stato parecchio difficile riuscire a parlare con qualcuno che sapesse qualcosa. Non essendo un parente di BJ, era stato costretto a raccontare alla donna della reception praticamente tutta la travagliata storia dei gemelli Wolner, compreso il dettaglio che non avessero parenti in Germania che potessero venire in visita, ma solo cari amici, tra i quali lui. Aveva già perso le speranze, quando la donna si era finalmente decisa a contattare il chirurgo che aveva operato BJ d’urgenza solo una manciata di ore prima.

“Era quello che speravo di sentire,” commentò, rasserenato, poi chiese titubante: “Crede sia possibile per me vederlo?”

“Credo ci sia già sua sorella, con lui.” Rispose l’uomo, corrugando le sopracciglia.

Gustav sorrise affabilmente.

“È proprio per questo che vorrei essere là.”

Trovava strano che avesse detto solo ‘sua sorella’, visto che Tom avrebbe dovuto essere con lei. Veniva spontaneo chiedersi cosa potesse essere successo in quella notte così bizzarra, per diversi motivi, primo fra tutti l’improbabile prolungata convivenza a stretto contatto tra quei due. Chissà che cos’era successo, durante quella lunga nottata, se qualcosa, in un’occasione così cruciale, si era smosso tra di loro.

Perché Tom non è con lei? Perché mai l’ha lasciata sola?

Che fossero riusciti a scannarsi anche nel bisogno?

“D’accordo, allora,” concesse il medico, rivolgendogli uno sguardo complice. “Mi segua, le faccio strada.”

Gustav intuì che c’era stato un malinteso, e che l’uomo aveva male interpretato la sua frase, ma non era il momento di sprecarsi in sottilizzazioni superflue, quindi lasciò correre. Si fece scortare fino all’ingresso di un ampio corridoio luminoso, dove una guardia vigilava chiunque entrasse ed uscisse.

“Dovrebbero arrivare anche un altro paio di amici, a breve…” disse Gustav, mentre passavano indisturbati, preoccupato che la sorveglianza potesse impedire ai ragazzi di entrare.

Il dottore annuì.

“Dirò di lasciarli passare, a patto che non stanchiate il mio paziente.”

“Non si preoccupi,” lo rassicurò Gustav con lo sguardo più serio che gli riuscì. “Siamo gente tranquilla.”

Era una bugia grossa come una casa, ma non c’era bisogno che il dottore lo sapesse. Ci avrebbe pensato lui, entro i limiti del possibile, a tenere a bada Bill.

Giunto alla fine del lungo corridoio, l’uomo si fermò di fronte all’ultima porta, che recava un targhetta con inciso sopra il numero giusto.

“Questa è la stanza privata del signor Wolner,” lo informò. “L’orario delle visite termina a mezzogiorno, ma, in caso fosse già sveglio, rinnovo il mio invito a lasciare il mio paziente il più tranquillo possibile, comprenderà il perché, signor Schäfer.”

“Naturalmente.”

“Molto bene. Se non ha altre domande, io avrei qualche scartoffia da riempire.”

“Non la trattengo,” Gustav gli strinse cordialmente la mano. “La ringrazio per avermi dedicato del tempo prezioso.”

Lui sollevò una mano, schermendosi.

“È stato un piacere,” gli disse, avviandosi verso l’uscita del corridoio. “Informerò la guardia del reparto dell’arrivo dei suoi amici, così non avranno difficoltà a passare.”

“Grazie.”

Gustav restò per un po’ in ascolto, cercando di capire se ci potesse essere una conversazione in corso o qualche segno che all’interno stesse succedendo qualcosa, ma non udì alcunché. Appoggiò appena la mano sulla porta e questa si mosse quasi autonomamente, senza rumore, aprendosi su una spaziosa stanza bianca che profumava di disinfettante al limone, un odore buono, ma che sapeva fin troppo di clinica. Trovò Vibeke seduta su un lato del letto in cui giaceva BJ, profondamente addormentato, monitorato da tre macchinari diversi che emettevano degli inquietanti suoni regolari. Di Tom, come preannunciato, nemmeno la benché minima traccia.

Non ci credo che ha mollato qui la sua Vi tutta sola, si disse Gustav, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.

Lei era immobile, ma le sua spalle fremevano impercettibilmente. Ci mise un po’ ad accorgersi che c’era qualcun altro nella stanza: era talmente assorta nella contemplazione del proprio fratello che, quando lui si schiarì leggermente la voce e lei si voltò verso la porta, tutto ciò che fece nello scorgere Gustav fu dischiudere di un millimetro le labbra insolitamente pallide con espressione sollevata.

“Gud…” mormorò tremante.

Lui le sorrise

“Ciao, norvegese,” Le si avvicinò tentennante e le posò una mano sulla nuca, accarezzandole i capelli con dolcezza. “Come stai?” le chiese, sedendole accanto.

Vibeke lo guardò fisso per qualche secondo, gli occhi sbarrati e lucidi, senza muoversi di un millimetro, poi, tutt’un tratto, gli gettò le braccia al collo ed affondò il proprio viso nel suo collo, cominciando a singhiozzare sommessamente. Gustav avvertì le sue lacrime calde bagnargli la pelle.

Per un attimo si sentì spiazzato. Aveva ovviamente previsto che la avrebbe trovata sconvolta, aveva imparato a conoscere la sua sensibilità recondita, a capirla, ma non si sarebbe mai immaginato di poterla conoscere così da vicino. Senza la sua armatura di gelido cinismo, Vibeke era così fragile da spaventarlo.

Non ce la facevi con Tom, vero?, pensò, cullandola rassicurante, mentre gettava uno sguardo di compassione a BJ, bianco come un lenzuolo ed altrettanto sciupato. A guardarlo, sembrava davvero un miracolo che fosse vivo. Ancora non ce la fate ad affrontarvi disarmati…

“Ti sei presa un bello spavento, eh?” le mormorò in un orecchio mentre le sfiorava i capelli.

Riusciva quasi a vederla, costretta nel suo atteggiamento da donna adulta ed indipendente, determinata a fare la dura anche quando tutto sembrava andare in pezzi, e Tom lì con lei, a guardare da vicino senza sapere cosa fare, come comportarsi. Avevano entrambi ancora un bel po’ di strada da fare prima di potersi veramente affidare l’uno all’altra.

Vibeke non fiatava. Lo stringeva, scossa dai singhiozzi, e piangeva, mentre lì accanto suo fratello dormiva placidamente, il petto glabro coperto solamente da una pesante fasciatura sulla cui parte sinistra si intravedevano poche minuscole macchioline di sangue.

Gustav ebbe un brivido nel pensare che chiunque, al posto di BJ, sarebbe morto per quella ferita, ma un miracolo aveva voluto proteggerlo, concedendogli il peculiare dono di un cuore dalla parte sbagliata rispetto al disegno originale, un errore di trascrizione che si era rivelato provvidenziale, stavolta, perché lui era vivo, e le probabilità erano state tutte contro di lui, fino all’ultimo.

“Scusami,” farfugliò Vibeke ad un tratto, lasciandolo andare per portarsi le mani al viso. “Sto facendo la figura della bambina impaurita.”

Gustav volse gli occhi al soffitto con paziente indulgenza.

“Bee, per dirla alla Tom: non dire minchiate,” Le diede un pizzicotto su una guancia, strappandole l’abbozzo di un sorriso. “La devi piantare di cercare di essere sempre una statua di marmo, perché sarai anche bella, te lo concedo, ma non sei di pietra.”

Una risatina convulsa animò Vibeke, impegnata a sfregarsi gli occhi e il viso per cancellare ogni traccia del proprio pianto.

Gustav si alzò ed aggirò il letto per raggiungere il comodino di legno chiaro che stava dal lato opposto e sfilò un fazzolettino dalla confezione che vi era posata sopra.

“Si usano questi, barbara.” la canzonò, tornando da lei per porgerglielo.

“Grazie.” Farfugliò lei, soffiandosi il naso arrossato.

Per un paio di minuti Gustav andò avanti e indietro per la stanza, aspettando che lei si fosse completamente calmata, poi le domandò:

“Tom che fine ha fatto, per curiosità?”

“Ah, Tom…” fece lei, come se non ricordasse bene. “Lui è…”

Ad un tratto si sentì una specie di gemito sommesso. Dapprima Vibeke sgranò gli occhi, poi, una frazione di secondo più tardi, si voltò di scatto verso il letto: BJ si era svegliato e batteva faticosamente le palpebre alla luce intensa del sole

“Bjørn!” esclamò lei, quasi lanciandoglisi incontro.

Lui si voltò e la guardò un po’ stranito.

“Vibeke,” sussurrò con voce roca e frastornata. “Perché hai quella faccia orrenda?”

Ci fu un istante di silenzio tombale, poi Vibeke esplose:
“Per te ho questa faccia, cretino!” sbottò contro al proprio fratello, stringendosi le lenzuola tra le dita.

Era evidente che BJ non fosse nemmeno remotamente cosciente della situazione.

“Mi fa male la spalla,” disse sofferente, poi cercò di guardarsi il petto, meravigliato. “Che cos’è successo?” domandò quindi, sempre più confuso.

Vibeke saltò in piedi:

“È successo che quello scemo di mio fratello ama fare il grande eroe e ci ha quasi rimesso la pelle per farsi bello agli occhi di qualche smorfiosa provocatrice!” sbraitò come una furia, gli occhi lampeggianti.

BJ si voltò verso Gustav con un’espressione smarrita.

“Ti prego, traduci.” Lo supplicò.

Gustav sorrise, facendosi avanti.

“Diciamo che hai avuto una nottata piuttosto intensa.”

BJ batté le ciglia, guardandosi un po’ attorno.

“Dove siamo?”

“In ospedale, mi pare ovvio!” scattò Vibeke, ma Gustav la trattenne e le fece cenno di sedersi. Certe volte con lei una camicia di forza non avrebbe guastato.

“Bee, calmati, non lo agitare,” le consigliò, mentre lei si lasciava spingere sul morbido materasso. “Ma soprattutto non ti agitare tu. Sta bene, il dottore l’ha detto che probabilmente avrebbe avuto qualche lacuna.”

Lei deglutì ed annuì, poi tornò a rivolgersi a BJ:

“Ieri sera eri al Cavendish ed hai avuto la brillante idea di metterti a fare Superman con due tizi che probabilmente erano grossi otto volte te perché stavano importunando qualche ochetta esibizionista. E la vuoi sapere una cosa molto divertente? Ci stavi rimettendo le tue cazzo di bionde penne!”

A giudicare dall’espressione di BJ, il pittoresco riassunto non aveva risvegliato alcun ricordo nella sua mente, ma forse era anche meglio così. Non ricordare la sensazione di ricevere un colpo di pistola in pieno torace era sicuramente un vantaggio per la sua salute.

“Mi sta prendendo in giro?” chiese scettico a Gustav, ma lui dovette negare.

“Temo proprio che sia ciò che è veramente successo, lo hanno detto praticamente in ogni notiziario esistente.”

BJ stava per dire qualcosa, ma fu interrotto da un bussare improvviso alla porta.

“Avanti.”

La porta si spalancò lentamente e sulla soglia apparvero Benjamin ed un altro ragazzo alto e magro che Gustav non aveva mai visto.

“Disturbiamo?” disse lo sconosciuto, sorridendo a Vibeke e BJ.

“Ciao, Patrick,” lo salutò Vibeke, poi passò a Benjamin. “Ciao, Benji.”

“Chi non muore si rivede, eh?” scherzò Patrick, sorridendo malizioso a BJ.

BJ lo imitò.

“L’erba marcia non muore mai, lo sai.”

 “Allora, come si sente il nostro paladino della giustizia?”

“Come se mi avessero sparato.” Replicò BJ, serafico.

Patrick si fece una bella risata. Non sembrava granché turbato, ma effettivamente non pareva esserci alcun motivo per esserlo.

Era un ragazzo sui trenta, poco più basso di Benjamin, dal fisico asciutto, con un viso aguzzo e un paio di vispi occhi neri che scintillavano dietro ad un paio di occhiali dalla montatura blu.

“Avevamo paura che non ci facessero passare,” intervenne Benjamin, sorridente. “Ma Pat ha sfoderato il suo biglietto da visita e ci hanno praticamente steso un tappeto rosso davanti.”

BJ tentò di ridere, ma immediatamente strizzò gli occhi con un’espressione di dolore. Quella ferita doveva fare piuttosto male.

Dopo aver scambiato l’ennesima occhiatina impacciata con Patrick, Gustav guardò Vibeke con aria interrogativa.

“Oh, sì, che stupida!” esclamò lei, portandosi una mano alla fronte. “Gud, lui è Patrick, il manager di BJ, e, Patrick, lui è Gustav, il –”

“Favoloso biondo batterista dei Tokio Hotel,” La precedette lui, stringendo energicamente la mano di Gustav. “Sapessi, Gustav,” gli disse in tono confidenziale. “Parla così tanto di voi, che ormai potrei scrivere un libro su ciascuno dei quattro!”

Gustav rise, sia per la battuta, che per la faccia indignata di Vibeke.

Constatò subito che sia lei che BJ mostravano una discreta confidenza verso Patrick: lui e BJ, soprattutto, dovevano essere ottimi amici, sia entro che al di fuori dell’ambito professionale, anche se doveva esserci qualche anno di differenza tra le loro età, ma quello non era mai stato un problema, e nessuno meglio di Gustav stesso poteva saperlo: lui e gli altri avevano sempre trattato Benjamin, David e gli altri membri del loro staff come loro pari (esclusi certi capricci pretenziosi ed irragionevoli di Bill, episodi tutt’altro che rari anche in ambito domestico).

Decise che Patrick gli piaceva, indipendentemente dalla forse eccessiva spigliatezza e dai vestiti sobri ma eleganti. In quanto a stile di vestiario, in effetti, lui e BJ facevano senz’altro a pugni l’uno con l’altro.

“Scusate, ma Georg e Bill dove sono?” domandò ad un tratto Benjamin.

Gustav si morse la lingua. Spiegare quella parte non era contemplato nei suoi piani, avrebbe di gran lunga preferito che fossero i diretti interessati a farsene carico, uno dei due in particolare.

“Be’, siamo usciti di casa insieme,” disse vago. “Ma poi –”

“Toc toc, è permesso?”

Con suo infinito sollievo, alla porta ancora aperta si era affacciata la figura di Bill, che li scrutava curioso uno per uno, con indosso uno dei suoi cappotti lunghi sopra ad una banalissima tuta. Era in tenuta molto casalinga, i capelli lisci e morbidi, senza trucco, e, nonostante il brio, aveva un aspetto stanco, come se non avesse dormito.

“Bill!” gioì la voce affaticata di BJ, mentre anche Georg faceva capolino all’interno della stanza. Lui sembrava un po’ più curato, ma in quanto a stanchezza non aveva nulla da invidiare a Bill.

“Hey!”

“Come stai?” volle subito sapere Bill, precipitandosi al capezzale di BJ, una busta nera patinata che gli pendeva da un braccio. “Ti trattano bene, qui? Ti serve qualcosa?”

BJ dovette soffocare una risata sul nascere.

“Diciamo che sono stato meglio,” dichiarò. “Ma, da quel che ho capito, poteva andare peggio, no?”

“Eccome!” concordò Patrick con veemenza. “Avresti potuto lasciarmi disoccupato!”

Tutti quanti scoppiarono a ridere, eccetto BJ, che si limitò a fargli un occhiolino.

Dopo che furono fatte le presentazioni mancanti, tutti quanti fissavano il misterioso sacchetto chic (che recava la firma di una delle boutiques più famose della città) che Bill aveva con sé.

“Che hai lì dentro?” indagò Vibeke, allungando il collo nel tentativo di sbirciarne il contenuto, ma Bill glielo sottrasse dalla vista, quasi ne fosse geloso.

“Non è roba per te!”

Vibeke si volse allora verso Georg, ma lui si tirò indietro:

“Credimi, non lo vuoi sapere.”

“Ma…”

“È stata un’idea sua,” premise lui, additando Bill. “Gli do credito di tutto quanto, ogni merito è suo e suo soltanto.”

Gustav cominciava a sentirsi molto incuriosito, come del resto anche gli altri. Tutto ciò che sapeva era che si era voluto fermare in centro per comprare qualcosa, ma cosa fosse quel qualcosa non lo sapeva. Si era affrettato ad appioppare a Georg l’onere di accompagnarlo, e lui aveva proseguito per conto proprio, affrontando coraggiosamente a piedi il chilometro che gli restava da percorrere per raggiungere l’ospedale. Per sua fortuna era un comune giorno feriale e non c’erano in giro ragazze in età puberale che potessero dargli noia, anche se aveva fatto caso agli sguardi insistenti di certe donne che gli erano passate accanto.

“Insomma, che cosa c’è lì dentro?” s’impuntò Vibeke, facendo per afferrare la busta, ma Bill gliela sottrasse per un soffio.

“Va bene, va bene, a cuccia, Wolner!”

Bill trafficò per districare i cordoncini dei manici che si erano incastrati tra le cinghie che penzolavano dalla manica della sua giacca, poi infilò una mano all’interno della borsa e ne tirò fuori un involto in carta velina blu notte, tutto soddisfatto.

“Che roba è?” si interrogò Vibeke, mentre Bill scostava la carta con cura.

“Un pigiama per BJ!” Rispose fieramente, dispiegando goffamente un paio di pantaloni con una mano. Sembravano di tessuto pregiato, di un verde molto scuro a sottilissime righe color crema, e la camicia, ancora piegata, sembrava identica. Gustav non poté fare a meno di constatare che il buongusto di Bill sembrava essere ampiamente condiviso da BJ, il quale mostrò di apprezzare molto il pensiero.

“Pura seta, fatto a mano in Italia, firmato Ferragamo!” spiegò Bill pomposo, mostrando i due pezzi a BJ da ogni possibile angolazione. “Così non sarai costretto a metterti quelle schifezze sintetiche che hanno qui!”

Gustav avrebbe voluto ridere, soprattutto per via del silenzio esterrefatto che era piombato nella stanza. Nessuno diceva niente, e Bill si guardava intorno un po’ avvilito.

“Non vi piace?”

“Francamente mi sembra un po’ troppo sciccoso per uno che porta delle pantofole a forma di coniglio.” Commentò Vibeke.

“Non badarci,” esclamò BJ, per niente toccato. “Lei non sa cosa significa essere il gemello bello e sexy, non può capire.”

Bill si illuminò come una lampadina.

“So esattamente cosa intendi!”

Gustav fu costretto a rimangiarsi l’ennesima risatina: quei due erano proprio sulla stessa lunghezza d’onda. Aveva perso il conto di tutte le volte che Bill aveva rinfacciato a Tom di essere il gemello sciatto e privo di raffinatezza.

“Per curiosità,” Vibeke scrutò Bill incerta. “Quanto hai pagato quest’umile straccetto?”

Lui le sorrise modesto.

“Oh, una sciocchezza.”

Lei roteò gli occhi e si rivolse al proprio fratello:

“Almeno si intona bene con quello rosa con gli orsacchiotti, no?”

“Assolutamente!” fece BJ, entusiasta, poi tornò a guardare Bill con un sorriso abbagliante. “Grazie, Bill, sei un tesoro!”

Bill restituì il sorriso, amplificandolo di qualche migliaio di volte, arrossendo un po’ sulle guance.

Chiacchierarono per un po’. Vibeke spiegò a BJ e agli altri cosa fosse successo e quale fosse la prognosi prevista, e a BJ non piacque affatto sentire che sarebbe stato costretto in quel letto per almeno tre settimane.

“Io ci ammuffisco qui dentro!” protestò, disperato.

Gustav ormai lo conosceva abbastanza da sapere che era un tipo troppo iperattivo per non soffrire di una costrizione simile, e gli dispiaceva per lui: BJ era una bella persona, solare ed espansivo, sempre gentile, in apparenza così diverso da Vibeke, la quale preferiva un approccio più distaccato e freddo.

“Farò in modo che tu abbia di che distrarti,” Lo confortò Vibeke, senza farsi impietosire. “Ti porto qualcosa da casa, va bene?”

BJ ci pensò su.

“Il pigiama ce l’ho,” rispose, scoccando a Bill un sorrisetto felino. “Mi servirebbero l’iPod, il portatile, il Blackberry, i libri che ho sul comodino, gli occhiali, un sacco da minimo dieci chili di marshmallows…” Rifletté ancora un po’, poi aggiunse: “Magari dentifricio, spazzolino e quella roba da bagno di prima necessità…”

Vibeke inarcò un sopracciglio.

“Sì, magari…”

“Dici che mi lascerebbero tenere qui Godiva?”

“Godiva?” fecero tutti, guardano ora l’uno ora l’altra, perplessi.

“È la sua cincillà,” sbuffò Vibeke. “E no, BJ, non puoi tenere quella palletta di lardo e pelliccia qui dentro, così come non puoi tenerci il portatile e il Blackberry. Per quanto riguarda il resto, sarò più che lieta di portarti tutto domani. Eccetto i marshmallows.”

“Perché no?!” piagnucolò lui.

“Sei convalescente, cretino, non puoi mangiare quella robaccia!”

“E chi lo dice?”

“I dottori.”

“Sai quanto me ne importa dei dottori!”

“Sai quanto me ne importa di quello che importa a te!”

“Ma sono deperito, non vedi?!” le fece notare BJ, sollevando a fatica il pallido e magro avambraccio in cui erano infilati gli aghi delle flebo. “Non posso sopravvivere a pappette e minestrine!”

“Fratello, chiudi quella fornace e rilassati,” gli intimò lei, categorica. “La tua amabile personcina è stata bistrattata a sufficienza nelle ultime ore.”

A quel punto a BJ non restò altro che imbronciarsi all’ennesima potenza e rassegnarsi.

Gustav sorrise fra sé e sé: gli piacevano quelle scenate tra gemelli, gli ricordavano sempre quanta complicità ci potesse essere tra due persone così legate. E, a proposito di gemelli, ancora non sapeva cosa ne fosse stato di quello che mancava all’appello.

 

***

 

Il lato positivo di trovarsi al bar di un ospedale in un giorno qualunque della settimana era la totale assenza di potenziali molestatrici appiccicose. Il lato negativo, tuttavia, era che la quantità di fancazzisti di diversa estrazione era allucinante. Benché il locale fosse tutt’altro che piccolo, l’affollamento era notevole: medici ed infermieri in pausa caffè, pazienti in vestaglia che chiacchieravano davanti ad un cappuccino, visitatori che si fermavano ad acquistare qualche pensiero per parenti o amici ricoverati.

Tom avrebbe sborsato senza problemi qualche centinaio di euro pur di poter passare davanti a tutta quella gente, ma se avesse fatto troppo in fretta, sarebbe stato tutto inutile.

In fin dei conti, la colazione era stata solo una scusa molto valida per poter lasciare a Vibeke l’occasione di stare un po’ sola con BJ.

Alla fine ci aveva messo quasi venti minuti per ottenere una squallida cioccolata annacquata e un croissant alla crema, che come minimo sarebbe finito in qualche cestino dei rifiuti, dato che lei odiava la crema, ma quello era tutto ciò che era stato in grado di rimediare, quindi almeno un ‘grazie’ se lo meritava, senza contare che era quasi stato costretto a supplicare in ginocchio la guardia che sorvegliava l’entrata al reparto per poter passare. Fortunatamente l’anziana infermiera di poco prima era intervenuta in suo soccorso, altrimenti sarebbe stato ancora là fuori a litigare con quell’ottuso.

La cioccolata bollente in una mano, la brioche nell’altra, Tom percorse il corridoio a passo svelto, ascoltando lo scricchiolio echeggiante che le proprie scarpe provocavano in tutta quella quiete innaturale. Fu solo quando era a pochi metri dall’ultima stanza che udì delle risate. Parecchie risate.

Accigliato, raggiunse la porta, trovandola socchiusa. Riconobbe quasi tutte le voci – tra cui, per il suo sollievo, quella di BJ – che si sovrapponevano l’una all’altra in un chiacchiericcio allegro, eccetto una, maschile e giovane.

Sembrava che si stessero tutti quanti divertendo un mondo.

Cos’è, un festino?

Dopo aver educatamente bussato, Tom spinse la porta. Al suo ingresso, in un attimo ogni vocio si spense.

A ridosso della parete alla sua destra c’erano Georg e Benjamin con un terzo ragazzo dal’aspetto simpatico; sulla sinistra, Vibeke sedeva al fondo del letto in cui giaceva BJ, vispo ma visibilmente spossato, e, in piedi accanto a lei, Gustav, a braccia conserte.

Tom si sentiva un po’ stupido a starsene lì in quel modo a farsi fissare, tanto più che non era così che aveva immaginato sarebbe stato quel momento. Si era figurato Vibeke seduta accanto a BJ che gli teneva la mano silenziosa e un po’ melanconica, pronta ad illuminarsi un poco nel momento in cui lui sarebbe arrivato a portarle da mangiare. Allora Tom le avrebbe detto di bere la cioccolata prima che si raffreddasse, e lei avrebbe replicato che non ne aveva voglia, costringendolo così ad insistere, per poi ringraziarlo con un sorriso.

E invece no, non ci sarebbero stati sguardi comunicativi, tra loro, né altri abbracci confortevoli, e nemmeno un briciolo di intimità: dopo una notte in una dimensione tutta loro, erano tornati al mondo reale, in mezzo a tutti gli altri, di nuovo due individui che si cercavano in mezzo a una massa, spesso senza riuscire a raggiungersi veramente.

“Eccolo qui!” esordì Vibeke, frizzante. “Mancavi solo tu!”

Questo è poco ma sicuro, pensò lui, squadrandola in tralice. Era decisamente più rilassata di come l’aveva lasciata, e gli fece piacere apprendere che andava davvero tutto bene. Era stato preoccupato per lei quasi quanto lo era stato per BJ.

“Ciao,” Rivolse un cenno generico a tutti, fino a fermarsi a BJ: “Tutto bene?” si sincerò.

“Divinamente,” rispose lui vivacemente. “Hai visto?” proseguì, indicandosi il torace con la mano sinistra. “Ho una presa d’aria extra!”

Tom ridacchiò. Gli era sempre piaciuto l’umorismo di quel ragazzo.

“Non le fanno di serie, eh?”

“No, e in optional costano care. Valgono praticamente un polmone, direi.”

“Dateci un taglio con questa ironia macabra, voi due!” li zittì Vibeke. “C’è poco da scherzare!”

Nessuno dei due, però, volle darle corda.

“È forse cibo quello che hai lì?” domandò BJ speranzoso, adocchiando avidamente gli acquisti che Tom reggeva.

“Be’, veramente…”

“Grazie, Kaulitz, sei un amore di maggiordomo,” si intromise Vibeke, alzandosi per appropriarsi di ciò che le spettava. “Quanto ti devo?”

Tom sogghignò.

“Tre euro per la cioccolata, uno e cinquanta per la brioche e quaranta di commissione.”

Vibeke gli rispose con un gesto non troppo garbato. Nessuno commentò: si erano tutti saggiamente sposatati a conversare attorno a BJ, lasciandoli soli ai piedi del letto.

“Guarda che è quello che vale il mio tempo!” si difese lui. “È stato stimato che in media ciascuno di noi quattro guadagna centoventi euro all’ora!”

“Hai ragione, ti chiedo scusa, non ho messo in conto l’immane fatica che devi aver fatto per sfilarti un centone dal portafogli!”

Con una mossa fulminea, Tom staccò un pezzo del croissant che lei aveva in mano e se lo ficcò in bocca.

“Tieniti i tuoi quarantaquattro euro e cinquanta centesimi,” mugugnò, masticando. “Così non potrai più dirmi che non so cosa sia la galanteria.”

Vibeke fece per addentare il resto della brioche senza staccargli gli occhi di dosso, ma appena prima che le sue labbra entrassero in contatto con la pasta, si fermò ed abbassò sospettosamente lo sguardo.

“Kaulitz, mi hai preso un cornetto alla crema!”

“Era l’unico tipo che avevano.” Spiegò lui, con insolita pazienza.

Lei arricciò in naso schifata.

“Tieni,” gli disse, allungandogli la brioche verso la bocca. “Fai ‘Aaah’…”

Lui indugiò, cercando di valutare se volesse giocargli qualche scherzetto o se avesse semplicemente voglia, per una volta, di essere gentile con lui. Il suo viso sembrava rinfrescato, più luminoso, e Tom si fidava di quelle lievissime arricciature che vedeva agli angoli delle sue labbra.

Tom finì per assecondarla: si chinò in avanti e spalancò la bocca:

“Aaah…”

In un baleno si ritrovò la sfoglia dolce del croissant tra i denti, con Vibeke davanti a lui che rideva. Staccò un morso, lo deglutì e si prese il resto tra le dita, leccandosi i baffi.

“Non capisci un cazzo, lasciatelo dire,” La accusò, puntandole contro l’ultimo pezzetto di brioche, che poi fece rapidamente sparire. “Almeno in quanto a cibo,” Rettificò subito dopo, avvicinandosi per sussurrarle all’orecchio: “Di quello che conta davvero, capisci decisamente molto di più.”

Non sapeva nemmeno lui da dove gli fosse uscita quella frase così stupida. Si stava già aspettando una replica stizzita, quando sentì bussare alla porta. Si voltò, e con lui tutti gli altri: la porta si era aperta e ne era entrata un’infermiera giovanissima con lunghi capelli biondi e ricci, che ora se ne stava lì impalata a fissarli tutti con la mandibola cadente. A quanto pareva la concentrazione testosteronica nell’aria doveva essere troppo elevata, per lei.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette, Tom contò divertito i fascinosi elementi maschili presenti, seguendo lo sguardo della ragazza. Immagino sia destabilizzante, se non te lo aspetti, rifletté compiaciuto.

“S – scusate,” balbettò la giovane, i cui pomelli erano vicini all’incandescenza. “Mi hanno chiesto di – di invitarvi a congedarvi dal paziente, sta per passare il dottor Leven a visitarlo.”

Stando all’ilarità che traspariva da ciascuno di loro, stavano tutti morendo dalla voglia di scoppiare a ridere, ma non sarebbe stato molto carino nei confronti della povera malcapitata, perciò si limitarono ad assentire in un coro di borbottii.

“Togliamo subito il disturbo,” le assicurò Benjamin, già accanto alla porta. “Ce lo lasci un minuto per salutare?”

La ragazza avvampò fino alle orecchie ed emise una specie di stridulo squittio che Tom prese per un ‘Sì’, quindi uscì, mancando per poco di inciampare nei suoi stessi piedi.

“Bene, ragazzaccio,” disse Patrick a BJ, stringendogli amichevolmente una mano sulla spalla. “Ti lasciamo al riposo forzato, sei contento?”

“Come una fan dei Tokio Hotel senza gli occhi.” Fece BJ, tetro. Tutti quanti risero.

“Stacci bene,” si raccomandò Gustav, mentre tutti si accodavano verso la porta, salutando. “Ti porteremo noi qualche marshmallow di straforo.”

“L’ho sempre detto che sei un grande, Gustav!” lo ringraziò BJ, sventolando debolmente la mano.

Tom lo seguì, ma all’ultimo momento vide che Vibeke non accennava a muoversi da dove stava.

“Andate avanti,” gli disse lei, intercettando il suo sguardo. “Arrivo subito.”

Tom non attese oltre: rivolse un ultimo cenno di congedo a BJ ed uscì, chiudendo la porta.

Quei due meritavano un minuto solo per loro.

 

***

 

Una volta che non rimase più nessuno al di fuori di loro due, Vibeke e BJ presero a fissarsi reciprocamente negli occhi, senza parlarsi, semplicemente ascoltando il loro silenzio. Lei non desiderava altro che quello, che essere lì e basta, solo perché lui c’era – c’era ancora – ed era bello saperlo di nuovo con sicurezza.

Ad un certo punto BJ tentò, invano di tirarsi su a sedere. Vibeke gli diede una mano, sistemandogli i cuscini dietro alla schiena, il cuore che le si stringeva nel vederlo contorcere il volto in una smorfia sofferente. Dopo aver inspirato lentamente per un paio di volte, BJ la ringraziò e la fece sedere più vicina a lui.

“Volevi parlarmi di qualcosa in particolare?” buttò lì poi, con casualità.

Lei spostò la propria attenzione da lui al paesaggio che si apriva fuori dalla finestra.

“No,” mentì. “Niente.”

Ad essere sincera, non sapeva bene nemmeno lei perché aveva voluto lasciare andare gli altri e fermarsi lì con lui. Aveva una gran voglia di parlare, in effetti, ma aveva talmente tante cose da dire che nemmeno sapeva da dove cominciare, e, anche sapendolo, non avrebbero avuto il tempo di discuterne.

“Vuoi altro, da casa, oltre a quello che mi hai già detto?” gli chiese, prima che potesse essere preceduta.

Lui alzò le spalle.

“La mia consolle ci starà qui dentro?”

“Perché non tutto l’appartamento, allora?”

“Sii seria, Bee,” le rispose BJ, imperturbabile. “L’appartamento in questo buco non ci entra di sicuro!”

Vibeke gli diede un pugno insignificante su una gamba.

“Dico sul serio, idiota.”

“Sei tu quella con il senso pratico, di solito,” disse lui. “Cosa mi potrebbe servire?”

Gli occhi di Vibeke si posarono sul mucchietto di seta verde scuro che giaceva in una nuvola di candida carta velina sul comodino.

“Ti dovrò portare un pigiama di ricambio,” disse. “E della biancheria. Hai preferenze circa la fantasia dei boxer?”

“Fai tu.” Le concesse lui, studiandola con un’espressione strana e indagatrice.

Se adesso fa osservazioni cretine sullo stato in cui versa la mia immagine pubblica, giuro che lo strozzo, brontolò lei con se stessa, cominciando a fare congetture, ma la domanda che BJ le pose saltò fuori dal nulla, imprevedibile:

“Dove sono finiti i tuoi piercing, sorella?”

Vibeke non avrebbe voluto ammutolire in quel modo patetico, ma si era trovata non poco impreparata su quell’argomento. Aveva dato ormai per scontato che fosse una questione chiusa: non se ne era più parlato, dopo quella volta a casa dei ragazzi, e non si sarebbe certo sognata che una cosa così irrilevante sarebbe potuta riemergere proprio adesso.

“Nel cofanetto in camera mia.” Mentì ancora, sostenuta. Il fatto era che non riusciva a ricordare dove li aveva lasciati. Sulla mensola in bagno, forse, o magari nel cassetto.

BJ annuì pensoso.

“È un po’ che stanno là dentro…”

“Qualche giorno.” Puntualizzò lei, che cominciava a percepire la piega indesiderata che stava assumendo la conversazione.

“Strano che tu non te li sia più rimessa, visto che li adori.”

“Mi è sempre passato di mente.”

Doveva smetterla di rispondere in quel modo frettoloso, o lui avrebbe capito che c’era qualcosa sotto. Sempre ammesso, ovviamente, che non lo avesse già capito da un pezzo.

“Sai,” riprese BJ, inarrestabile. “Prima stavo pensando che, con quel piercing sulla lingua, se Bill baciasse qualcuno che ha a sua volta un piercing alla lingua, potrebbe incontrare una serie di difficoltà tecniche piuttosto seccanti…”

“Molto profonda come riflessione.”

“Poi mi sono ricordato che anche Tom ha un piercing,” Incalzò lui, con un tono sottilmente allusivo che diceva chiaro e tondo che aveva capito eccome quello che c’era da capire. “Per la precisione, un piercing alla sinistra del labbro inferiore che, per una buffa coincidenza, finirebbe per incontrare il tuo anellino di destra, se per ipotesi doveste baciarvi.”

“Per ipotesi.” Rimarcò Vibeke, incrociando le braccia.

BJ annuì condiscendente.

“Naturalmente.”

“Dove vuoi arrivare?”

“Lui ti piace, no?”

Lei si accigliò.

“Chi, Kaulitz?” domandò scioccamente.

“No, il principe Carlo, Vibeke!” sbottò lui, esasperato.

Arrendersi era l’unica mossa che le restava: era stanca di girarci intorno, e comunque sarebbe stato inutile. Se era di Tom che BJ voleva parlare, allora che parlassero, una volta per tutte.

“Diciamo che ha dei lati molto sottili e restii ad emergere che potrebbero, in extremis, salvarlo dall’inceneritore.” Ammise diplomaticamente. Si preoccupò però di omettere piccoli, irrilevanti particolari, quali ‘Bacia da dio’, ‘Scopa da dio’, ‘È bellissimo’, ‘La sua voce fa venire i brividi’ e un’altra discreta serie di quella tipologia.

“Ti fidi di lui?” le chiese BJ a bruciapelo, strappandola bruscamente ai propri pensieri. Lei non capì il senso di quell’interrogativo.

“Cosa c’entra tutto questo con i tuoi boxer?” controbatté fulminea, essendosi resa conto di non essere poi così brava a gestire quel punto semidolente.

“Sarei potuto morire.”

Una pulsazione di Vibeke si smarrì nell’eco di quella frase terribile.

“Non dirlo nemmeno!” sibilò, raggelando.

“Poteva succedere,” BJ la trafisse con uno sguardo di metallica durezza. “Può ancora succedere.”

“Smettila!”

“È la verità.”

“Ho detto smettila, Bjørn!” strillò lei, scattando in piedi, le mani strette in pugni lividi.

Perché le faceva questo? Perché la torturava così? Non gli era bastato tutto il resto?

Ma lui restava serio e tranquillo, e non vacillava di un millimetro.

“Voglio che tu impari a fidarti di qualcuno che non sia io, Vibeke,” Le disse con assoluta pacatezza. “Voglio che tu sia pronta ad andare avanti senza di me, se dovesse capitare di nuovo.”

Mi fai male, BJ, gli diceva lei, interiormente, mi fai male, e io non ci voglio pensare!

“Che cosa diavolo ti prende?”

Lui sospirò e si voltò verso la finestra, abbandonando la testa contro il cuscino.

“Non puoi vivere solo perché vivo io, non lo capisci?” Mormorò. “Devi imparare a vivere e basta, a trovare qualcos’altro per cui valga la pena dire ‘Ho qualcosa per cui andare avanti’, altrimenti finirai per perderti per strada un sacco di cose che hai già sotto al naso.” Chiuse gli occhi, prendendo un lungo respiro, poi li riaprì per incrociare quelli di lei: “Devi imparare a fidarti delle persone, Bee, ed imparare ad accettare i rischi che questo comporta. Non puoi sempre farti bloccare dal terrore di farti male. La mamma ci ha abbandonati… E allora?” Accennò un sorriso, uno un po’ triste, ma immensamente sereno. “Solo perché lo ha fatto lei, non significa che lo faranno anche tutti gli altri.”

Vibeke non sapeva più cosa dire, cosa inventarsi. Lui aveva ragione, lo sapeva, e lei aveva tentato tante volte di lasciarsi andare, con tante persone diverse, ma non aveva mai funzionato. Alla fine c’era sempre qualcosa che le impediva di oltrepassare un certo confine.

“Perché vuoi parlarne proprio adesso che fa così male, si può sapere?” gli domandò, ferita da quell’attacco in un momento di tale vulnerabilità.

BJ però, anziché accanirsi ulteriormente, si ammorbidì senza un apparente motivo, e le sorrise indulgente.

“Perché se ti sei tolta quei piercing per il motivo che credo io, forse ti sei già decisa a lasciar cambiare qualcosa.”

 

 

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Note: non ci credete nemmeno voi, non è così? Scommetto che siete tutte lì a dirvi ‘Ma no, è una fregatura, non può avere aggiornato davvero!’, ma vi sbagliate, perché non solo ho aggiornato, ma questo non è uno scherzo: quanto precede queste note è veramente il capitolo numero diciassette di questa storia. Lo dico perché, in tutta onestà, non è che soddisfi proprio pienamente le mie aspettative… Non solo le vostre. Mi sembra troppo ingarbugliato, troppo freddo, troppo scarno, troppo tutto. Non so, come al solito spero che mi vorrete contraddire, tanto per cambiare. XD Comunque, è mio sacrosanto dovere comunicarvi che il titolo del capitolo, Shoot Me Again, è tratto dall’omonima canzone dei sacerrimi Metallica, ed ogni merito appartiene a loro. ^^

Per questo capitolo devo ringraziare specialmente tre persone, che mi hanno sopportata nei miei dubbi infiniti (che parzialmente permangono tuttora XD), e cioè CowgirlSara, Lady Vibeke e la luce dei miei occhi Camilla85. Vi liebo, ragazze! <3 XD

E ora, come di consueto, l’angolo delle risposte alle recensioni!

 

_Ellie_: ti ho già detto tutto il dicibile in MSN, quindi aggiungo una cosa sola: continua a leggermi nel pensiero, fammi felice! *___*

Vitto_LF: Innanzitutto ti ringrazio per aver deciso di leggere e recensire, è una cosa che apprezzo sempre, significa molto per me, perché sono del parere che non vada escluso nulla a prescindere, bisogna sempre dare una possibilità, indipendentemente dal fatto che poi potrà o meno valerne la pena. Non posso certo dire che la tua recensione mi abbia rallegrata, ovviamente, ma non ci sono nemmeno rimasta male. Per quanto riguarda Lullaby, sono io la prima a ritenere che avrebbe potuto essere una storia molto migliore di quello che già è stata, più curata in certi dettagli e più sentita, ma è stata la mia storia d’esordio su questo sito, nonché il mio ”esperimento” sui Tokio Hotel, che all’epoca del primo capitolo conoscevo relativamente poco, e sono stata molto lieta di vedere il successo che ha riscosso, non tanto per il numero delle recensioni e delle aggiunte tra i preferiti, ma piuttosto per l’approvazione che ha ottenuto da quelle autrici che “professionalmente” stimo di più. Stessa cosa per The Truth, anche se mi sembra una storia stilisticamente migliore, rispetto alla prima, poi c’è chi può essere d’accordo, chi meno, quello è inevitabile. Mi dispiace che tu non sia riuscita a trarre alcuna emozione da ciò che scrivo, ma l’emotività è un fattore molto soggettivo, non si può pretendere che solo perché la tendenza va da una parte, allora tutti la seguano, perché non funziona così: ciascuno è diverso e diverse sono le rispettive percezioni, inutile cercare di trovare una regola fissa, in determinati casi, perché non esiste. Ad esempio conosco persone che si sono emozionate moltissimo nel leggere certi libri, ed altre che hanno invece trovato quegli stessi libri noiosi, o stucchevoli, o illeggibili, quindi non mi stupisce né rattrista più di tanto se tu sei l’eccezione alla “regola”, se così la vogliamo chiamare. Allo stesso modo comprendo il motivo per cui a te possano risultare poco “comunicative” le mie storie: ho dato un’occhiata ai tuoi preferiti e ho notato che come gusti siamo abbastanza divergenti, abbiamo palesemente parametri di giudizio differenti, per cui mi sembra anche comprensibile che possiamo farci emozionare da contesti, approcci e stili diversi. Come ho detto, a me basta sapere che a qualcuno qualcosa di significativo l’ho comunicato. In qualità di autrice, non pretendo che tutti mi apprezzino, ma finché qualcuno ci sarà, potrò ritenermi soddisfatta.

Mi auguro anch’io che prima o poi troverai qualche mio scritto che ti faccia provare qualcosa, ma per ora grazie di avermi dedicato quei due minuti del tuo tempo per questa recensione. Nel bene o nel male, è sempre un gesto gradito.

mask92: eccotelo, il seguito! Grazie infinite dei complimenti e benvenuta nel club di coloro che vorrebbero prendere quei due a mazzate nella speranza che aprano gli occhi! ;)

kikka_tokietta: grazie di aver commentato anche se ti sentivi psicologicamente impossibilitata a ragionare! XD Sono una frana con le frecce, sappilo, ma se ho fatto centro, non può che farmi piacere! ^^

Debry91: chiunque sia l’amica che ti ha condotta a me, ringraziala da parte mia per averlo fatto, è un piacere accoglierti tra i miei lettori! Sono felice anche che apprezzi le mie infinite fatiche, e spero non cambierai idea dopo questo capitolo. XD

Ladynotorius: milady! Il tuo Tom non si smentisce mai, vedi? E nemmeno tu ti smentisci mai. Grazie, davvero.

growlitha: anche tu sei una benvenutissima new entry del gruppo! Ho fatto più in fretta che potevo, sei ancora lì ad aspettare? ;)

RubyChubb: liebe! Sull’altro capitolo mi stavi male per l’ansia, qui mi sa che mi starai male per l’indecenza qualitativa. XD

_no sense_: ecco una di quelle recensioni che tornerò a rileggermi per tutta la vita, beata e felice e quant’altro. Le vostre parole sono sogni trascritti in una recensione, mi avete davvero resa la donna più contenta del mondo, non so come ringraziarvi! ^^

ninacri: anche per te, stesso discorso che ho fatto sopra. Mi sono lasciata un po’ viziare dalle tue lodi, ma ogni tanto si può fare, vero? Solo un pochino, giusto per affrontare con più grinta il capitolo a venire. XD Grazie infinte anche a te!

_Kaay: di pochissime parole, stavolta, eh? ;) Ma va bene così, ci sei sempre, mi basta.

Fashion_Girl: abbiamo pareri molto simili verso il nostro caro Sex Gott: fa il duro, ma in realtà (moooolto in fondo) è così tenero che si taglia con un grissimo!

Lady Vibeke: ti voglio santa subito! XD Sia per esserti sorbita le mie invettive contro la tua connessione ballerina, sia per aver pazientemente dissipato i miei dubbi a suon di imprecazioni, botte virtuali e qualche rara rassicurazione dolce. XD A proposito: congratulazioni per la graduatoria del concorso del Goethe! Vai e torna vincitrice, mi raccomando!

Berenice: anche per te, stesso discorso già fatto in merito a recensioni che sanno farti brillare anche la giornata più nera e storta. Spero ce ne saranno altre, se riterrai ne valga la pena. ^^

_ToMSiMo_: mi fai arrossire, se dici così! E sono mi sembri affatto pazza, ma semmai umana e sensibile! E, in caso tu volessi entrare a far parte di coloro che mi “conoscono”, il mio contatto di MSN lo trovi nel mio profilo. ;)

Purple Bullet: immagino che la mamma adorata sia io! *__* Mi sa che devo avvisare una certa persona (sento già qualcuno che salta su urlando “Lo so io chi è! Lo so io chi è!” XD) che abbiamo una figlia non proprio legittima. XD Una figlioletta adorabile che fa sempre regali stupendi alla sua mamma, tipo recensioni come questa. :)

juliet_: non so se posso considerarmi una persona fantastica, ma sai che ti dico? Non mi importa. XD Mi basta sapere che esistono persone come te che amano il mio lavoro e ci tengono a ricordarmelo in ogni momento. È per voi, al di sopra di tutto il resto, che mi piace così tanto scrivere.

winTh: hey, bentornata! È una gioia riaverti tra noi! I “veri” Vi e Tom stanno emergendo, zitti zitti, ma sono come le tartarughe: alla prima avvisaglia di pericolo si ritraggono subito!

loryherm: carissima! Per te non ho più parole… Ti accontenti di un GRAZIE pentitissimo e affezionatissimo? <3

hyena_: breve e concisa, ma hai detto quello che spero sempre di sentirmi dire quando scrivo capitoli così importanti. Grazie!

vivihotel: se trovi Tom reale, non potevi farmi un complimento migliore! Ci tenevo che fosse credibile e in sintonia con il carattere originale, quindi tiro un sospiro di sollievo nel sapere che approvate. ^^

elenoire: mi commuovi, anche tu! “È lui”, commenti, e io gioisco di sollievo se lo trovi un Tom riuscito! Lui e Vi sono… Lui e Vi. ^^ Teste dure che adorano cozzare l’una contro l’altra. XD Ma noi li amiamo così, no?

pIkKoLa_EmO: Gustav come Orsetto Pooh personalmente non ce lo vedo, ma sarà colpa dei miei filtri ottici a luci rosse. XD È una ragazzo che ispira dolcezza, quando e se sorride, ma ha una sensualità molto forte, almeno per quel che percepisco io. La nostra coppietta (in)felice, invece, continua a sbandare di qua e di là un po’ allo sbaraglio… Dove arriveranno mai?

MARINA KAULITZ: mi spiace se le tematiche del capitolo precedente hanno toccato corde delicate, per te, ma al contempo ti ringrazio per le tue belle parole e per il tuo costante sostegno. Per quanto riguarda i miei scritti in libreria… Ci spero sempre! ^^

kit2007: ciao, bionda! Come ho appreso, il tuo compleanno sarebbe stato stupendo anche senza il capitolo, ma… Tanto meglio, mi piace fare regali inattesi! XD

lady dumbledore: il lato dolce di Tom si è già eclissato per bene (o quasi), mentre la perfezione… Be’, lasciamo stare. XD Grazie mille!

NeraLuna: eheheh, i nostri tre cucciolini in macchina sono davvero un bel quadretto, vero? Hai proprio ragione, Tom e Vi sono molto goffi insieme, non hanno nessunissima confidenza con ciò che provano e quindi incespicano nei loro stessi sentimenti. Gustav e Fiona… Mmm, non mi posso sbottonare. ;)

 ruka88: sssh! Se Tom e Vi ti sentono dire che si dovrebbero sposare, scappano uno su Marte e uno su Plutone! XD Sappiamo bene che ufficialmente non provano niente di niente l’uno per l’altra! XD

picchia: accidenti, anche a te ho toccato tasti dolenti! Che faccio, mi punisco? Mi faccio legare e frustare da Georg? No, aspetta… Altro che punizione! XD

CowgirlSara: sua santità! XD Non ci fossi tu, io dove sarei? A cancellare ogni cosa che scrivo, temo. Grazie. Grazie davvero di cuore, per tutto. E W I FILMINI! <3

LadyCassandra: condivido ogni tua singola sillaba, soprattutto l’Augusto Georg! XD Lui è un po’ il fratellone del gruppo, deve occuparsi dei piccoli… E lo fa in modo così dolce e sexy, che lo vorrei anch’io un fratellone così! XD Grazie millissime anche a te!

 

Ora che ho finito (penso) con le singole persone (fatemelo notare se ho sciaguratamente tralasciato qualche pia anima), vi saluto e vado a fare gli ultimi preparativi pre-settimana bianca! Voi statemi bene, e, se un po’ di bene me lo volete, lasciatemi pure in segreteria (o in recensione XD) la vostra opinione su questo capitolo. Capirò se non sarete del tutto entusiasti. Come ho detto, non lo sono nemmeno io. ^^

 

Bis bald, leute!

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Capitolo 18
*** This Moment Is Eternity ***


“Stanotte dormi da noi, non esiste che tu te ne stia tutta sola dopo una giornata simile.” Aveva sentenziato Bill in faccia a Vibeke in tono perentorio (per quanto perentorio potesse essere uno che ruminava gelatine alla ciliegia a dieci alla volta) mentre uscivano assieme a tutta la compagnia dall’ospedale. Vibeke, da parte sua, aveva inizialmente opposto resistenza, ma non esisteva persona al mondo in grado di smuovere Bill da un’idea, e se lui aveva deciso che lei avrebbe passato la notte da loro, così sarebbe stato, così alla fine Vibeke si era arresa ed aveva finito per accettare, benché con una certa reticenza.

A Georg non era sfuggita la faccia risollevata – ed anche vagamente esultante – di Tom.

Checché ne dicesse lui, era cotto e stracotto di Vibeke, e continuare a negare l’evidenza non era che un atto di puerile orgoglio. Figurarsi se Tom Kaulitz avrebbe mai ammesso apertamente di aver perso la testa per una ragazza, soprattutto una come lei.

Alla fine avevano permesso a Vibeke di andare a casa a riposare, mentre loro sarebbero andati allo studio con Benjamin, facendole promettere che si sarebbe ripresentata da loro per cena, e a quanto pareva le minacce avevano funzionato, perché alle otto in punto Vibeke si era burberamente presentata alla loro porta con uno zaino buttato su una spalla e un vassoio di pasticcini nell’altra.

“Pronto?”

Georg abbandonò di colpo le proprie riflessioni, richiamato alla realtà da una voce aveva bramato di sentire fin da quando aveva preso in mano il cellulare e la linea aveva iniziato a suonare libera.

“Ciao, Sandberg.” Salutò, con quella suadenza che gli veniva spontanea, quando parlava con lei.

“Ciao, signor Listing.” Gli rispose lei in tono allegro ed ammiccante.

Dio, quanto gli mancava...

“Ho visto che stamattina mi hai cercato. Scusa se ti chiamo solo adesso, ma volevo aspettare di avere un momento tranquillo.”

“Non era nulla di urgente,” lo rassicurò Nicole. “Volevo solo avvisarti che la ditta dei traslochi viene venerdì. Abbiamo quasi finito di impacchettare.”

Georg sorrise a quelle parole, il cuore che fremeva emozionato al pensiero che lei ed Emily si stessero preparando a trasferirsi nella loro casa. Non avrebbe mai osato sperare che sarebbe successo, così presto ancor meno.

“Come sta la mia piccola peste, a proposito?”

“Ha un po’ di tosse,” rispose Nicole. “Ma questo non le impedisce di fare il diavolo a quattro.”

Georg rise.

“Sente anche lei il fermento per il trasloco,” commentò. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter essere là con loro, ma gli impegni di lavoro lo avrebbero bloccato ad Amburgo ancora per qualche giorno. “Me la passi un attimo?” la pregò poi. Aveva voglia di sentire la voce sbarazzina di Emily.

Sentì Nicole che la chiamava al telefono e uno scalpiccio di sottofondo, che culminò con un fruscio.

“Georg!” esclamò Emily concitata un secondo più tardi.

“Hey, terremoto!” la accolse lui con affetto. “Come stai?”

Emily diede un colpetto di tosse e gli disse mogia:

“Ho il freddo.”

Georg rise a labbra chiuse.

“Il raffreddore?” la corresse intenerito.

“Sì,” confermò lei. “La mamma mi ha dato una medicina cattiva.”

“Però ti fa bene, vedrai,” la rassicurò lui. “Stai facendo la brava, vero?”

“Qualche volta non tanto,” ammise Emily, imbronciata. “La mamma non vuole mai che io e Liesel la aiutiamo a mettere le cose nelle scatole.”

Tipico di Nicole, pensò Georg, sempre a dimostrare che può fare tutto senza l’aiuto di nessuno.

“Sono sicuro che se le chiedi se ti lascia mettere via i tuoi giochi, ti dirà di sì.” La incoraggiò.

Sentì un sorriso rallegrare il tono di Emily:

“Va bene.”

“Me la ripassi, adesso?”

Emily annuì, ma prima di lasciare il telefono aggiunse:

“Quando vieni a trovarci?”

Georg trattenne un sospiro. Era dannatamente complicato ascoltare la nostalgia di una bambina senza lasciarsi spezzare il cuore, e ancora più complicato era, ogni volta, spiegarle che non avrebbe potuto tornare da lei per un po’.

“Presto, tesoro,” le promise. “Prestissimo.”

Dall’altra parte ci fu una breve pausa silenziosa.

“Ti voglio bene.” Pigolò poi Emily, sciogliendo definitivamente i miseri resti della compostezza di Georg.

Emily. La sua piccola Emily. Chi l’avrebbe mai detto che Georg Listing, bassista di una delle band più giovani, amate e premiate degli ultimi anni, un giorno avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe reso conto che una buona percentuale dell’amore messo a disposizione dalla propria anima se l’era portato via una buffa biondina di quattro anni?

Amava Nicole, con tutto se stesso, ma altrettanto amava Emily, e troppe volte si era sentito divorato dai sensi di colpa per essere troppo spesso costretto ad amarle da così lontano.

“Anch’io, piccola.” Sussurrò contrito.

“Ti passo la mamma.”

“Grazie.”

Una serie di rumori attutiti comunicò a Georg che il telefono era passato di mano in mano.

“Quanto siete teneri, voi due.” Sospirò Nicole.

Georg si lasciò andare in una piccola risata.

“Lo sai che sto con te solo perché sono innamorato di lei.” Scherzò.

Nicole, dall’altro capo della linea, esitò.

“Georg,” mormorò cauta. “È tutto a posto? Sembri stanco…”

Nicole era fatta così: anche a chilometri e chilometri di distanza, sentiva sempre quando c’era qualcosa che non andava.

“Sì, in effetti lo sono,” le confessò. Si passò una mano tra i capelli, spostandosi davanti alla finestra del salotto. Dalla cucina sentiva il vociare indistinto degli altri. “È che abbiamo passato una nottataccia, qui. Non so se hai sentito qualche notiziario…”

“Purtroppo no, il televisore è imballato da due giorni.”

“Be’,” Georg cercò di spiegarsi senza farlo sembrare il dramma che in realtà era. “Ieri sera hanno sparato a BJ durante una rissa, fuori da una discoteca.”

Sentì Nicole che tratteneva il respiro.

“Sta bene, vero?”

“Se l’è vista brutta, ma sta benone,”  esplicitò. “Siamo stati a trovarlo stamattina, ed era decisamente in forma.”

“Meno male,” disse Nicole, con tangibile sollievo. “Mi fa piacere.”

“Ospitiamo Vibeke, almeno per stanotte,” proseguì Georg. “Non vogliamo che resti sola.”

“Ottima idea,” approvò Nicole, che non era mai stata gelosa nel senso ossessivo del termine. “La sistemate nella stanza di Emily?”

Un sogghigno istintivo apparve sulla bocca di Georg.

“In teoria sì. In pratica credo proprio che dormirà altrove.”

“Cosa intendi?”

“Le cose tra lei e Tom sembrano svilupparsi, in qualche loro bizzarro modo.” Le confidò.

“Sono una bella coppia, quei due.” Osservò lei, con una punta di soddisfazione.

Stranamente, lo erano veramente. Nessuno aveva ancora capito in quale inconcepibile modo un’appaiata male assortita come una dark e un patito dell’hip hop potessero in realtà risultare una combinazione così vincente, ma così stavano le cose: da che si erano conosciuti, Tom e Vibeke non avevano fatto altro che punzecchiarsi, irritarsi a vicenda ed urlarsi contro, ma, giorno dopo giorno, era diventato chiaro che avevano cominciato a prenderci gusto. Si divertivano a litigare, ed era impossibile, per uno che lo conosceva bene, non notare il cambiamento nel modo di sorridere di Tom, non più come la posa di una fotografia, ma come se avesse veramente qualcosa che lo facesse sorridere, e quel qualcosa era una nevrotica norvegese che adorava chiamarlo per cognome.

“Improbabile, ma bella, non c’è che dire,” concordò Georg.  “Senti, sei ancora dell’idea di sbrigartela da sola con la sistemazione nella casa nuova?”

Nicole emise un mormorio sommesso.

“Insomma… A dirti la verità, non credevo di possedere tanta roba.”

Lui stroncò un ‘Te l’avevo detto’ prima che potesse nascere.

“Porto i ragazzi a sfacchinare un po’, che ne dici?” suggerì quindi.

“Non essere ridicolo, non li voglio sfruttare!”

“A loro farà piacere, ci divertiremo!”

Omise la parte in cui Bill probabilmente avrebbe detto che gli si sarebbero rovinate le unghie, ma tanto non sarebbe comunque riuscito ad aiutarli con gli scatoloni, quindi era probabile che finisse in un angolo a giocare con Emily mentre loro mettevano a posto tutto quanto.

“Allora?”

“D’accordo, come vuoi,” si arrese Nicole, senza riuscire a celare un gorgoglio gioioso. Le mancavano i ragazzi, Georg lo sapeva. “Vorrà dire che vi ricompenserò con un lauto pranzetto.”

“Così mi piaci,” esclamò soddisfatto. “A presto, Sandberg.”

“Ciao,” ridacchiò lei. “Salutami tutti, e tienimi aggiornata su BJ, mi raccomando.”

“Nessun problema. Ci vediamo tra qualche giorno, allora.”

“Vi aspetto.”

Georg chiuse la chiamata e lasciò il cordless sul divano. Si sentiva un po’ meglio, dopo quella telefonata, e tornò verso la cucina decisamente rinvigorito.

“Dio santo, Vi, ci credo che pesi una tonnellata! Mangi come un bue e un Bill messi insieme!” stava esclamando Tom, mentre Vibeke si leccava avidamente qualche briciola dalle dita. Sul vassoio erano rimasti solo una mezza dozzina di bignè.

“Che differenza c’è tra i due?”

“Bill mangia di più.” Disse Tom con ovvietà.

“Ma che vuoi?” mugugnò Bill offeso, infilandosi in bocca un pasticcino al cioccolato. “Devo crescere!”

“Principessa, senza offesa, ma dovresti cominciare a crescere in larghezza, visto che se cresci ancora un po’ in altezza, non passi più dalle porte.”

“Ho un fisico slanciato, non posso farci niente!” si impuntò Bill, dopo aver deglutito.

“Lurido schifoso, non sbattermi in faccia la tua ignobile fortuna!”

“Non odiatemi perché sono bellissimo!” guaì lui. “Non lo faccio apposta!”

Tom grugnì.

“Bill, te lo dico con il cuore: vaffanculo!”

Bill, invece, lo circondò con le sue lunghe braccia sottili, stritolandoselo al petto.

“Grazie, Tomi, ti voglio bene anch’io.” Gli disse amorevolmente, cercando di propinargli un bacio, ma lui lo spinse via in malo modo.

Vibeke li guardava e rideva. Si alzò in piedi e prese a raccogliere le stoviglie dalla tavola, ammucchiando le posate in un piatto. Non fece in tempo ad impilare due piatti uno sull’altro, che Tom era già in piedi accanto a lei e le rubava le cose di mano.

“Vi, aspetta, ti aiuto.”

Vibeke sorrise. Georg anche.

Di solito era Gustav ad aiutare; Bill non si era mai scomodato in vita propria a fare qualcosa che potesse anche lontanamente ricordare delle faccende domestiche, e Georg, personalmente, poteva senza problemi definirsi un disastro, in quel campo, ma Tom era il più refrattario di tutti loro verso quel genere di fatica: per lui era una noia, un tedio vero e proprio badare a sciocchezze come pulire il tavolo o mettere i piatti in lavastoviglie, tanto più che, come ricordava puntualmente, avevano assunto Vibeke proprio per risparmiarsi certe seccature.

Ma quella sera no. Quella sera qualche alieno doveva essere venuto a rapire Tom in assenza di Georg e lo aveva sostituito con un suo replicante fisicamente perfetto ma comportamentalmente del tutto incoerente, perché quello che raccoglieva i piatti senza fiatare, che sottraeva i bicchieri a Vibeke dicendole di stare seduta, non poteva essere il loro Tom.

Georg però notò che non era solo lui ad essere strano. Sia lui che Vibeke si guardavano a stento, e quando si parlavano lo facevano con un insolito imbarazzo mal dissimulato, come se non si conoscessero.

O come se fossero due adolescenti alla prima cotta.

“Posso dare una mano?” si offrì Georg, varcando la porta con nonchalance.

Tom e Vibeke si voltarono, ma Bill, la cui bocca era punteggiata da macchioline di cioccolato, li precedette:

“Lascia fare a Gertrud, per oggi,” disse, dando un paio di pacche sulla schiena del fratello.

Vibeke scoppiò a ridere, ma Tom si limitò ad appioppargli un’occhiata malevola, eppure con rara pazienza.

Cosa diavolo sarà successo la scorsa notte per scombussolare così il sano, vecchio ordine delle cose?

“Abbiamo quasi finito, non ti preoccupare,” gli disse Vibeke. “Come stanno Nicole ed Emily?”

“Bene,” le rispose sorpreso. Aveva sempre avuto l’impressione che Nicole non le piacesse. “Salutano tutti quanti, soprattutto BJ.”

Vibeke sorrise.

“Ringraziale da parte mia, appena le senti.”

Georg non capiva se quella sua apparente vena di gentilezza universale fosse voluta, uno dei tanti metodi che lei aveva per prendere le distanze dagli altri, o se invece le venisse spontaneo, qualunque fosse la causa. All’inizio non gli era piaciuta molto proprio per quello: lui era abile a capire la gente, ed il fatto che lei fosse quanto di più incomprensibile gli fosse mai capitato davanti lo aveva innervosito, nei primi tempi, ma poi, conoscendola, interpretare Vibeke era diventato più abile del previsto. Era bastato applicare la stessa chiave di lettura di Tom, con qualche debito adattamento, ed estenderla alla più intricata complessità emotiva di una ragazza. Ovviamente Georg non aveva la presunzione di aver capito tutto di lei – anzi, aveva ancora parecchi interrogativi in sospeso, che forse solo avendo anni ed anni a disposizione avrebbe potuto risolvere – ma una cosa che aveva indubbiamente capito era che gli piaceva il suo carattere coriaceo. Vibeke era davvero come Tom, a livelli di strutture psicologiche: aveva concentrato ogni sua energia nel costruirsi intorno una fortezza quasi inespugnabile, ma dentro era rimasta senza difese. Una volta penetrati i suoi solidi muri, sarebbe bastato un nonnulla per farla crollare completamente.

Da dentro, Vibeke non sapeva proteggersi.

“La prossima settimana vado a Lipsia,” comunicò Georg agli altri, restando sul vago. Se li conosceva, sarebbero stati loro ad offrire il proprio aiuto. “Per aiutare Nicole con la roba.”

“Posso venire anch’io, se vi fanno comodo un paio di braccia in più.” Disse infatti Gustav, ancora seduto a capotavola.

“Sì!” Bill batté entusiasticamente le mani. “Vogliamo vedere il superattico!”

“Non aspettarti chissà cosa, Bill,” lo frenò Georg. “È spazioso, ma non è una reggia.”

“Sono curioso!”

“Hey, Bee,” Georg si rivolse a Vibeke. “Perché non vieni anche tu? Non devi fare niente, vieni e basta, ti svaghi un po’, passi una giornata diversa…”

“Guarda che non mi crea nessun problema darvi una mano,” replicò lei con leggerezza. “Verrei volentieri, ma BJ…”

“Andiamo via la mattina e torniamo la sera,” tentò di convincerla. “Dai, non fare l’asociale!”

“Non te ne pentirai, vedrai.” Soggiunse Tom, intento ad infilare rozzamente i piatti nella lavastoviglie.

E forse era un semplice caso, ma, dopo quello, Vibeke si ammorbidì.

“Ok,” sospirò. “Vada per la scampagnata a Lipsia.”

“Grande!” si compiacque Bill, alzandosi dal proprio posto. “Film, adesso?”

“Bill, sono le undici, domani ci dobbiamo svegliare all’alba.” Gli fece notare Gustav.

“Guardiamo Il Re Leone, che è corto!”

“Bill…”

Ma era inutile, lo sapevano tutti. Cercare di far ragionare Bill quando si metteva in testa qualcosa era una perdita di tempo a cui avevano rinunciato da anni. Volenti o nolenti, avrebbero guardato Il Re Leone.

 

***

 

Vibeke si vergognava ad ammetterlo, ma era commossa. Doveva essere una delle poche persone al mondo a non aver mai visto quello che tutti decantavano come il più grande classico della Disney, ed ora che i titoli di coda scorrevano, pensò che non erano stati novanta minuti proprio buttati. Le era piaciuto, soprattutto per certe ambientazioni cupe e lugubri, e doveva ringraziare Bill, perché non si sarebbe mai messa a guardare un film del genere di propria volontà.

Era seduta sul divano tra Bill e Gustav, Georg e Tom sull’altro con due facce di sopportazione che avrebbero meritato l’immortalazione, e non le dispiaceva quell’atmosfera quasi famigliare. Era abituata a convivere con loro, anche per diverse ore al giorno, però quella specie di intimo raccoglimento le era del tutto nuovo, e la cosa più strana era che, per una volta, non si sentiva un pesce fuor d’acqua.

“D’accordo, cuccioli, è ora della nanna,” esordì, spegnendo la TV. “Tutti a letto, da bravi.”

“Ma sentitela!” borbottò Tom, stiracchiandosi con uno sbadiglio. “Parla come se fosse lei la padrona di casa!”

“Io obbedisco volentieri,” dichiarò Gustav, mentre si alzava in piedi. “Buonanotte, gente.”

“Il bagno grande è mio!” strillò Bill, schizzando verso il corridoio prima che qualcuno potesse aprir bocca.

Vibeke lo vide correre nel bagno e salutarli allegramente prima di chiudersi dentro.

“Deve farsi bello.” Le spiegò Georg, intercettando il suo sguardo perplesso.

Vibeke si accigliò.

“Si fa bello per andare a dormire?”

“Si strucca, si pettina, si riempie di creme idratanti…”

“Quindi è questo il suo segreto di bellezza…” dedusse Vibeke in tono ilare. “Adesso capisco dove sbagliavo io.”

I ragazzi risero.

Salirono tutti assieme al piano di sopra e si sparpagliarono nelle rispettive stanze. Vibeke entrò nella stanza degli ospiti, dove già aveva portato la propria roba. Stancamente, si lasciò cadere a peso morto sul morbido piumone blu e si guardò attorno: era una delle parti della casa con cui aveva meno familiarità, essendoci entrata solo un paio di volte. Era una camera bianca, piuttosto grande, arredata in modo molto semplice, rispetto alle altre, con mobili di quercia e un bel tappeto rosso davanti al letto, l’unico ad una piazza singola di tutto l’appartamento.

C’era profumo di gelsomino, là dentro, e tutto era pulito ed ordinato, evidente segno che i ragazzi non ci mettevano mai piede. Vibeke chiuse gli occhi e provò ad immaginare Emily sdraiata tra quelle coperte, con Nicole e Georg accanto che le leggevano una storia, o le cantavano una canzone, o semplicemente le rimboccavano le coperte augurandole la buonanotte. Anche lei era stata abbandonata da uno dei suoi genitori, ma per sua fortuna era accaduto prima che potesse avere modo di affezionarsi, e ora aveva Georg, così come Vibeke aveva Sissel, ma loro due sarebbero rimaste due casi totalmente differenti.

Diversamente da Emily, Vibeke non aveva più la meravigliosa capacità infantile di vedere il mondo come se fosse un’opportunità. Per Vibeke il mondo era semplicemente un posto in cui cercare di sopravvivere, e qualche volta nemmeno quello.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per credere ancora nelle favole a lieto fine.

Si tirò su, sentendo un principio di emicrania che cominciava ad annoiarla, afferrò il proprio zaino e si cambiò, poi prese lo spazzolino da denti ed uscì scalza alla volta del bagno, che però trovò chiuso.

Le luci delle stanze dei ragazzi erano tutte accese, non aveva idea di chi potesse esserci dentro, ma comunque bussò.

“Avanti!” le rispose subito la voce di Georg.

Vibeke aprì senza indugi ed entrò, ma si inchiodò immediatamente sulla porta, la mascella che cedeva senza il minimo orgoglio davanti allo spettacolo abbacinante che le si era aperto davanti: Georg le dava le spalle, appostato davanti allo specchio a legarsi i capelli in una coda, con un paio di boxer neri addosso. Soltanto quelli addosso.

Per i lussuriosi gusti di Vibeke, un paio di boxer erano una copertura già eccessiva per quei preziosi e numerosi centimetri di pelle divinamente nuda. Proprio di fronte a lei c’erano un paio di larghe spalle contratte, ogni muscolo ben evidenziato, le braccia sollevate a sistemare l’elastico attorno ai capelli. Seguì con gli occhi la linea netta della spina dorsale, scivolando sulle scapole, la bocca improvvisamente asciutta, e scese verso il basso, sui fianchi, sulle due piccole fossette simmetriche che si intravedevano appena al di sopra del tessuto, gustandosi ogni millimetro con appagante attenzione, pensando ai milioni di donne sparse in tutto il mondo che avrebbero venduto l’anima al diavolo per essere al suo posto. Personalmente, ora come ora, Vibeke avrebbe venduto anche il proprio fratello, per essere al proprio posto. Dio esisteva, non aveva più dubbi, e lei lo aveva incontrato nel bagno di un appartamento di Amburgo.

Quando arrivò alla curva perfetta del fondoschiena, decise che era troppo: o si fermava lì, o sarebbe svenuta su due piedi.

“Dio mio!” esclamò, avvertendo la salivazione che ricompariva, più abbondante del solito.

Georg si voltò malizioso:

“Quante volte te lo devo ripetere che per gli amici ‘Georg’ è più che sufficiente?”

Vibeke non fiatò. Era abituata a vederli tutti quanti aggirarsi mezzi nudi per casa, ma in genere almeno la parte inferiore portava dei pantaloni, e non un misero pezzo di biancheria intima.

“Che c’è?” fece allora lui, gettandole uno sguardo interrogativo.

“Come sarebbe a dire ‘Che c’è?’?” esclamò lei, la voce leggermente strozzata. “Non ti sei mai domandato perché le tue fans ti chiamano Georgasm?”

“Cosa ne sai tu di come mi chiamano le mie fans?”

“Lo sai che la principessa è una pettegola.”

“Togliti quell’espressione dalla faccia, però,” le disse Georg, divertito. “Mi metti in imbarazzo.”

“Tu ridi, ma sono una misera umana, devi avvertire se sei in queste condizioni, la prossima volta potrei non reggere!”

“Scusa la puntigliosità, ma anche tu non sei esattamente coperta…”

“È il mio pigiama.” Si giustificò lei, tirandosi lungo le cosce nude la maglia nera extralarge dei Joy Division. ‘Love Will Tear Us Apart’, recitava lo slogan al di sotto del nome.

“Molto succinto, come pigiama.”

Vibeke sgranò gli occhi spazientita:

“Tu dormi in boxer!”

“Ok, non parlo più,” Ridendo, Georg si voltò di nuovo verso lo specchio e si sistemò la coda. “Ti serviva qualcosa?”

Ah, bella domanda, pensò Vibeke, il cui sistema nervoso sembrava essersi fuso per la vampata di calore improvvisa derivata dalla generosa esposizione delle grazie di Georg.

“Non so, non ricordo… Al momento ho seri problemi di concentrazione, per colpa tua.”

Lui rise ancora ed abbassò lo sguardo sulla mano destra di lei.

“Forse volevi lavarti i denti?” le suggerì.

Vibeke guardò in basso e si ricordò di avere in mano lo spazzolino.

“Oh, sì, bravo!”

Georg si appoggiò all’indietro contro il piano di marmo, incrociò le braccia e da lì la scrutò.

“Mi fa piacere vederti di nuovo carica e spumeggiante,” Le sorrise. “Non eri tu, con quell’aria abbacchiata.”

Vibeke fu pervasa da un forte senso di gratitudine, non solo verso di lui, ma anche verso i tre assenti. Era sinceramente commossa dalla premurosità che avevano dimostrato nei suoi confronti, solo che non sapeva come dirglielo senza sembrare una patetica sentimentalista.

“Devo ringraziare te e quegli altri tre di là, lo ammetto,” si decise, alla fine. “Non fosse stato per voi, ora sarei a casa ad ingozzarmi di patatine davanti ad un film splatter, morendo dalla voglia di correre in ospedale ad importunare mio fratello.”

Georg scrollò le spalle, incurante dei devastanti effetti che i suoi muscoli in bella mostra potevano avere su un soggetto di sesso femminile troppo estasiato per collassare miseramente al suo cospetto.

“Gli amici servono a questo, no?”

Vibeke ordinò alla propria testa di volgersi altrove e trovare un nuovo obiettivo da rimirare che non fossero i pettorali di Georg, o i suoi addominali, o altre invitanti parti anatomiche più meridionali, finendo così per concentrarsi sulle lucide piastrelle nere del pavimento. Qualunque cosa avesse provato per lui in passato ormai era irreversibilmente mutata in un’amicizia del tutto priva di slanci passionali, ma c’erano cose davanti alle quali nessuna donna – etero, lesbica o bisex che fosse – non poteva non farsi venire pensieri impuri, e si dava il caso che il peccaminoso corpo di Georg fosse una di quelle.

“È che non sono abituata ad avere degli amici,” blaterò, mentre le proprie cellule cerebrali si riprendevano dal surriscaldamento. “Non così… Amici.”

“Be’, dovrai abituarti,” ribatté lui. “Avrai bisogno di noi, mentre BJ è ricoverato.”

Vibeke emise un risolino svagato, portandosi la mano libera alla fronte.

“Tutto questo ha dell’assurdo…”

Georg inclinò interrogativamente il capo di lato.

“Perché dici così?”

Vibeke stava graffiando con l’unghia del pollice la superficie del manico dello spazzolino, ancora in contemplazione del pavimento. Nonostante tutto, le venne da sorridere.

“Soltanto qualche mese fa cambiavo canale solo a sentire pronunciare il vostro nome,” disse. “E adesso lavoro per voi, esco con voi, dormo a casa vostra e sono…” Si morse il labbro inferiore tra gli incisivi, smorzando un sorriso colpevole. “Disastrosamente innamorata di voi.”

Sul volto di Georg si spalancò un sorriso radioso, che parve illuminarlo da capo a piedi. Era bellissimo – era perfetto – ma Vibeke non era mai stata così consapevole di avere di fronte una metà che non combaciava affatto con lei.

“Anche di Tom?”

Prima Vibeke cessò di respirare, poi i suoi occhi si dilatarono, ed infine li sollevò di scatto verso Georg, che la osservava con un’espressione saccente.

Che cosa avrebbe potuto rispondergli?

‘Ma cosa ti viene in mente?! Non potrei mai e poi mai innamorarmi di Kaulitz!’

Bugia spudorata.

‘No, Tom no, sai che lo detesto.’

Bugia e basta.

‘Diciamo che non lo odio.’

Quasi verità.

Era un domanda difficile, più di quanto sembrasse.

Tom era antipatico. Ed egocentrico. E vanitoso. E anche insopportabilmente presuntuoso. Senza contare poi le sue irritanti manie di esibizionismo, peraltro accompagnate da una spocchia degna di un dio sceso in terra.

Ma Tom era anche dolce, se si scordava di essere Tom. E sapeva essere generoso, qualche volta, e persino sensibile. E aveva quel modo particolare di sorridere, quando lo faceva davvero, che comunicava una timidezza che normalmente finiva obliata dalle molte tonnellate di pecche che aveva. Tom non era un ragazzo maturo, e nemmeno disponibile, e neanche troppo sicuro di sé come gli piaceva che la gente credesse. Tom Kaulitz dei Tokio Hotel era quanto di più banale, elementare e superficiale si potesse trovare, eppure, quando deponeva le armi e calava il sipario, Tom non era altro che Tom, confuso ed intricato, contorto, ed era una delle cose più belle che lei avesse mai visto.

Che senso aveva mentire ancora a se stessa, quando ormai lo sentiva così forte dentro da temere che da fuori glielo si potesse leggere in faccia?

Sì, era innamorata. Anche di Tom.

Soprattutto di Tom.

Anche se ammetterlo faceva paura.

“Era una domanda retorica, per inciso,” la avvertì Georg. “E anche un pochino bastarda.”

Vibeke si soffiò via dalla fronte un ciuffo di capelli con indifferenza, che sperò risultasse credibile, nei limiti del possibile, considerato che lei era ancora una donna, lui era ancora seminudo, e l’argomento appena toccato era probabilmente il più scottante che si potesse trovare.

“Posso lavarmi i denti, adesso, o hai intenzione di farmi sbavare senza dignità finché ti cadrò ai piedi disidratata?”

Lui si decise finalmente a disincrociare le braccia da quella posa provocante e si incamminò verso di lei, puntando la porta.

“Andrò a vestirmi, contenta?”

“Ciò che resta dei miei neuroni te ne è immensamente grato.”

“Non c’è di che.”

Vibeke lo lasciò passare, ma quando lui fece per aprire, lei lo chiamò:

“Hagen?”

Lui si voltò.

“Mmh?”

Di tutte le cose che avrebbe voluto dirgli, scelse la più sciocca e scontata, forse, ma anche la più vera.

“Le tue Sandberg sono ragazze fortunate.”

Georg ammiccò.

“Lo dico sempre anch’io.”

Vibeke gli fece capire con un’occhiata ciò che pensava di quella sviolinata alla Kaulitz e poi, scherzosamente, lo spinse fuori.

“Buonanotte.” Gli augurò sbrigativa.

“Anche a te,” ricambiò lui. “Dormi bene.”

Ci proverò.

Rimasta sola, Vibeke si portò di fronte allo specchio ed appoggiò lo spazzolino accanto al lavandino. Cercò di guardarsi da fuori, con gli occhi di un estraneo, per capire che cosa vedessero gli altri quando la guardavano, ma tutto ciò che vedeva era la solita ragazza alta e smunta, con dei brutti aloni scuri intorno agli occhi e le unghie mangiucchiate. Odiava non potersi vedere oggettivamente, perché si era sempre chiesta quanto fosse diversa, da fuori, rispetto a ciò che percepiva lei.

Possedeva qualche cosa che potesse piacere ad un uomo?

Pensò a come Tom l’aveva rincorsa per giorni, riuscendo sempre, alla fine, ad intrappolarla con un bacio possessivo. Se si era comportato così, doveva essere perché in lei c’era qualcosa che lui desiderasse, qualcosa che ancora desiderava, visto che non aveva smesso di cercarla, anche dopo aver ottenuto ciò che Vibeke aveva sempre ritenuto essere il suo scopo ultimale. Invece, a quanto pareva, non era solo il sesso che Tom voleva da lei, e questa era una presa di coscienza pericolosa, per i suoi gusti, perché sapere che chi volevi ti voleva a sua volta poteva facilmente dare alla testa, e quello era esattamente ciò che lei cercava di vietarsi da una vita.

Sarebbe stato tutto molto più difficile, nelle settimane a venire, senza BJ a portata di mano che la costringesse a confessargli ogni minima cosa.

Senza barcamenarsi oltre, si sbarazzò di tutti quei rimuginamenti con una spruzzata di acqua gelata sul viso, dopodiché spremette un po’ di dentifricio dal tubetto che trovò nell’armadietto e finalmente si lavò i denti.

Quando fu di ritorno nella propria stanza era così stanca che temeva che non sarebbe mai riuscita a prendere sonno.

Gettò lo spazzolino alla cieca sul comò, spense la luce, tirò indietro il piumone e si sdraiò, inspirando il profumo di bucato delle lenzuola. Dalle altre stanze non giungeva più alcun rumore.

Si rigirò più volte nel letto, protendendo le braccia verso qualcosa che non c’era. Come poteva un letto grande come la metà del suo sembrarle così immenso, freddo e vuoto?

Si sarebbe preoccupata un’altra volta di dormire bene. Per ora le sarebbe bastato riuscire semplicemente a dormire.

 

***

 

Bill sperava di non cadere dalla scale mentre scendeva in punta di piedi al piano inferiore, trascinandosi dietro una coperta di lana che doveva pesare quanto lui.

Erano le tre del mattino: era intontito dal sonno e dalla voglia di ributtarsi a letto dopo essersi trascinato fino al bagno per prendersi un goccio d’acqua, ma aveva notato una luce accesa nel salotto e non aveva saputo resistere. Non poteva trattarsi di Georg, visto che i sassi avevano un sonno più leggero del suo, e Gustav, se si fosse svegliato a notte fonda, non si sarebbe certo sprecato a lasciare la propria stanza, ed anche Tom in genere dormiva tranquillamente fino ad orari impensabili. Tuttavia, quella volta c’era un’anomalia nella loro routine che poteva avergli causato qualche difficoltà ad addormentarsi: Vibeke non aveva mai passato la notte da loro, prima. Non poteva che esserci uno dei due, di sotto.

Non appena fu sceso abbastanza da avere una buona panoramica della sala, individuò Vibeke sul divano, sotto alla luce della lampada a stelo lì accanto, che teneva qualcosa in grembo.

Imbacuccato come una crisalide nella sua coperta, Bill barcollò silenziosamente verso di lei nella penombra.

Ignara, Vibeke se ne stava raggomitolata nel piumone che doveva essersi portata via dal letto, e sfogliava un grosso volume con aria piuttosto assorta, i capelli raccolti su una spalla. Si riusciva quasi a vedere la stanchezza che la appesantiva, ma sembrava rilassata, pacifica. Senza il suo trucco scuro e i vestiti neri, faceva tutta un’altra impressione, e dimostrava qualche anno in meno della sua effettiva età.

“Wolner…”

Vibeke trasalì, accostandosi una mano al petto, e guardò in su..

“Principessa,” lo salutò stupita, mentre lui le si avvicinava. “Che ci fai in piedi?”

Bill si creò un po’ di spazio tra la massa voluminosa del piumone e le si accoccolò accanto con uno sbadiglio.

“Non avevo sonno.” Rispose, appoggiandosi con la guancia alla sua spalla. “Che cosa leggi?”

“Oh, non sto leggendo,” disse lei, mostrandogli quello che stava sfogliando. “Non volevo ficcare il naso, ma l’ho trovato nella libreria e…”

Bill riconobbe subito il rivestimento di lucida plastica nera: era uno degli album che raccoglievano le fotografie scattate durante i tour. Stando a qualcuna delle foto che intravide, doveva essere di un paio di anni prima.

“Sei venuto benissimo, qui.” si complimentò Vibeke, indicandogli una delle fotografie in cui lui indossava la sua affezionata felpa arancione e sorrideva, guardando chissà dove. Non portava un filo di trucco ed aveva i denti ancora storti: non capiva come qualcuno potesse pensare che fosse venuto bene.

“Fatti revisionare il cervello, faccio schifo in quella!”

“Ma no, sciocco,” insisté lei, dandogli una piccola spallata. “Se io fossi bella come te, consumerei gli specchi a furia di rimirarmi.”

Bill le strappò l’album di mano, sbuffando.

“Non riuscirai mai a farti venire sonno se guardi questa roba,” le disse, lasciandolo cadere a terra. “Poi ti sogni le nostre occhiaie.”

Vibeke si lasciò andare contro alla morbida imbottitura dello schienale, sghignazzando, anche se quella di Bill non aveva voluto essere una battuta.

“Wolner?” Bill si accucciò affianco a lei, rispondendo al suo sguardo seccato con uno angelico.

“Cosa c’è?” rantolò lei arrendevolmente.

Bill non si lasciò scoraggiare dai suoi modi scostanti. C’era abituato, e ormai non ci badava più.

“Ci vuoi un po’ di bene?” le chiese, puntandole addosso il suo migliore sguardo da cucciolo.

Vibeke lo fissava come per cercare di capire le la stesse prendendo in giro o meno, ma Bill era serio. Poteva sembrare una domanda stupida, però ci teneva davvero a saperlo. Lui le voleva bene.

“Sì che vi voglio bene, scemo,” Lo canzonò Vibeke, arruffandogli i capelli già ben poco ordinati. “Siete ancora vivi, no?”

Bill arricciò le labbra.

“E a Tom?” le chiese a tradimento.

Vibeke divenne subito rigida. ‘Tom cosa?’, si aspettava Bill, ma questa volta lei non si nascose dietro nessuna risposta evasiva.

“A Tom anche. In modo un po’ diverso.”

Bill era stato pronto a una gamma abbastanza ampia di responsi, fuorché ad uno così diretto. Forse Vibeke non era poi così simile a Tom come aveva creduto lui.

Si diceva che quando una persona era innamorata glielo si vedeva negli occhi. Bill aveva cominciato a sospettare che Tom provasse qualcosa per Vibeke quando aveva notato che il fratello non lo guardava più in faccia. Per loro due era normale saltare le parole e passare direttamente a livelli di comunicazione superiore – sguardi, gesti, e anche silenzi – ma se Tom aveva smesso di permettergli di guardarlo negli occhi, doveva essere conscio che ci fosse qualcosa, dentro di essi, che non doveva essere visto.

“È stato carino con te, la scorsa notte?”

Vibeke s voltò pagina, soffermandosi su una serie di foto che erano state scartate per la diffusione, perché troppo personali: Bill e Natalie che sonnecchiavano l’uno contro l’altra in un camerino, Gustav incazzato nero con Tom dopo un pessimo concerto, Bill che stirava i capelli a Georg…

“Molto.” Gli rispose, annuendo.

Lo sapevo!, pensò Bill, trionfante. Sempre a fare tutto di nascosto, quel cretino. Figurarsi se si mette a fare il carino con lei in presenza di testimoni… No, non sia mai, guai se qualcuno dovesse scoprire che Tom Kaulitz non è l’inutile essere materialista che vuole dare a bere lui.

“Mi fa piacere che si stia interessando a te,” le rivelò Bill. Lei non batté ciglio. “Tu capisci…” proseguì lui, timoroso. Erano corde delicate, quelle tra lui e Tom, e non erano in molti ad essere in grado di inserirvisi in mezzo senza farle stonare. Lei, pur inavvertitamente, ci era riuscita. “Capiresti. Non cercheresti di allontanarci per gelosia. Mi piacerebbe se tra voi due funzionasse.”


***


Funzionare. Vibeke aveva sempre disapprovato l’uso di quel termine in relazione ai rapporti interpersonali.

Perché ‘funzionare’? Perché non qualcosa di più umano come ‘andare bene’ o ‘procedere positivamente’, invece? ‘Funzionare’, come un elettrodomestico o una macchina? E se per caso la storia non funzionava? Dove lo si prendeva il libretto di istruzioni multilingue per capire dove si sbagliava e risolvere i problemi? E c’erano delle garanzie comprese? Tipo, due anni minimi di idillio assicurato ed eventuale ritiro dell’usato con agevolazioni per l’acquisto di un nuovo articolo? O anche una tempestiva sostituzione, in caso. E poi, magari, se qualcosa continuava a non ‘funzionare’, ti restituivano il tuo tempo e ti fornivano un ricambio per il cuore in pezzi?

Sarebbe stato un affare piuttosto vantaggioso. Se davvero fosse stato così, Vibeke avrebbe volentieri trascorso i suoi ventidue anni a passare da un ragazzo all’altro, o da una ragazza all’altra, godendosela un mondo, senza preoccuparsi di sentimenti calpestati e delusioni cocenti.

Invece no. Dopo nove anni, stava ancora aspettando che qualcuno le portasse una nuova fiducia nel prossimo, dopo che sua madre aveva premurosamente pensato di assassinare quella originale, abbandonando la propria famiglia per darsi alla bella vita con un giovane imprenditore americano.

“Bill, perché questo discorso?”

“Perché voi due state bene insieme, vi siete trovati… Forse stai insegnando a Tom a conoscere se stesso.”

“Cosa sono, una cavia?”

Bill soffocò una risatina nella coperta.

“Sì, più o meno sì. È che tu gli hai dato un bello scossone, non riesce ad ignorarti… È un po’ come se la cocaina si rendesse conto di essere dipendente dall’astinenza, secondo me.”

“Metafora contorta, ma credo di avere afferrato.”

“Deve ancora imparare a gestire questa novità, penso.” Rifletté Bill.

Lei gli diede una gomitata spiritosa.

“Sei una principessina saggia, eh?”

“Conosco mio fratello.” affermò lui, serio.

“Nessuno meglio di te.” Convenne Vibeke.

***


Rimasero un momento a fissarsi, e Bill provò quasi pena per lei.

“Hai avuto paura, vero?” sussurrò timidamente.

Vibeke non parve molto toccata da quella domanda, non fosse che le sue dita erano bianche dalla forza con cui stringeva l’album. Bill non sapeva quello che si provava a temere per la vita del proprio fratello, ed, egoisticamente, era ben felice così. Non capiva e non ci teneva a capire, aveva troppa paura di quel particolare tipo di dolore, ma sentiva un’empatia naturale verso di lei e le sue ansie.

“Sì,” riconobbe Vibeke, la voce incrinata da un filo di emozione. “Tanta.”

“Anch’io,” le confidò Bill. “E so che ne aveva anche Tom.”

“È stato gentile, con me. Gli devo un favore.”

Bill dovette rettificare: lei e Tom non erano propriamente identici in tutto e per tutto, ma in certe cose sembravano cloni. Ogni volta che facevano un piccolo progresso, dovevano necessariamente ritrarsi di un passo, giusto per essere certi di non affrettare troppo le cose, e quindi, dopo aver ammesso di volere a Tom un bene diverso da quello che voleva a Bill e agli altri, Vibeke aveva prontamente sminuito tutto quando attribuendo quello che Tom aveva fatto ad un semplice ‘favore’ fatto per ‘gentilezza’.

Ma quale gentilezza, genio?!, avrebbe voluto sbottare. Quando mai Tom fa qualcosa per altruismo? Lui pensa a se stesso, e se ha fatto quello che ha fatto, è solo perché era esattamente quello che voleva lui.

“No, Wolner, non gli devi niente. Lui è corso da te perché lo voleva. Ha fatto stare in pensiero me e gli altri per venire da te,” Una minuscola pausa prima del colpo finale. “Tomi ci tiene a te.”

L’assenza completa di qualsiasi suono era innaturale. Niente scricchiolii di mobili, niente macchine in strada, niente parole o respiri pesanti. Niente di niente. C’erano solo loro due, accoccolati lì sotto ad una montagna di coperte a parlare di cose nuove per entrambi, ad aiutarsi a scoprire lati di Tom finora rimasti ignoti. E Bill aveva la sensazione che Vibeke, congelata in quella posa un po’ goffa, con l’album sulle gambe incrociate e il viso rivolto verso di lui, ce la stesse mettendo tutta per non chiedergli di ripetere quello che le aveva appena detto.

“Sei un bravo Kaulitz anche tu.” Gli disse infine, lisciandogli i capelli con una carezza che lo fece sorridere.

“Posso avere un abbraccio?” azzardò, allargando le braccia, con tanto di coperta sopra.

Vibeke finse di scostarsi un po’ da parte.

“Io sono quella provata e tu chiedi un abbraccio?”

“Tu me lo avresti chiesto?”

“Troppo tardi per scoprirlo.”

“Uno solo,” persisté lui, spalancando ulteriormente le braccia. “Piccolo piccolo!”

“Poi ti devo portare a nanna in braccio, rimboccarti le coperte e darti il bacio della buonanotte?”

Bill si allungò verso di lei, a quattro zampe.

“Lo faresti?”

Lei gli mise una mano sul viso per tenerlo lontano, ma rideva.

“Hey, non sono tua madre!”

“Va bene, ho capito,” Arresosi, Bill cercò di tirarsi su. “Ti lascio in pace. Buonanotte, testona.”

“Bill… Dai,” Approfittando del fatto che si era incastrato su se stesso, Vibeke gli cinse il collo e lo costrinse a restare. “Non fare l’offeso, vieni qui!” E senza preamboli gli schioccò un bacio sul viso.

“Mi hai dato un bacio!” pigolò Bill, toccandosi esterrefatto la pelle umida.

“Non è stato bello,” commentò lei, lasciandolo andare. “Sei praticamente senza guance.”

“Ora capisco perché stai sempre a sbaciucchiarti Gustav.”

“Tu l’hai mai baciato?”

Bill si rizzò in piedi con una smorfia indignata.

“Ma per chi mi hai preso?!”

“Be’, dovresti provarci, non riusciresti più a farne a meno.”

Lui si accostò pensosamente un dito alle labbra.

“Mi chiedo se Fiona sia a conoscenza di questo piccolo particolare.”

“Basta tergiversare,” gli ordinò lei. “Fila a letto, altrimenti le tue occhiaie non me le sognerò soltanto.”

“E tu?”

“Io finisco l’album, poi mi obbligherò a dormire, o almeno a provarci.”

Tanto non ci riuscirai, si disse Bill, poi si aggiustò la coperta addosso e si congedò:

“Buonanotte, allora.”

“’Notte, principessa.”

Tornando a letto, Bill si sentì soddisfatto di quella chiacchierata notturna, primo perché lui e Vibeke non avevano mai avuto occasione di parlarsi a quattr’occhi in una simile intimità, secondo perché aveva avuto la conferma che esistevano delle buone possibilità che Tom, per una volta, avesse trovato una ragazza da affrontare ad armi pari.

 

***

 

Erano le quattro. Le quattro e un quarto, anzi, stando alla radiosveglia, e Vibeke se ne stava distesa a letto ad ascoltare il silenzio.

Dopo l’improvvisata di Bill, che aveva gradito più di quanto avesse mai potuto immaginare, aveva finito di sfogliare l’album, poi ne aveva preso un altro, ed un altro ancora, fino a che, persa ogni speranza, aveva deciso che se magari fosse tornata in camera, un po’ di sonno le sarebbe venuto, ma il problema non era il sonno, perché di quello ne aveva fin troppo. Il problema era che proprio non c’era verso di addormentarsi.

Dopo aver passato venti minuti a disegnare con gli occhi forme astratte sul soffitto, si chiese se non fosse il caso di andare a farsi una camomilla, sempre ammesso che in dispensa ce ne fosse. Non era più in ansia per BJ, ormai sapeva che stava bene, quindi la causa della sua insonnia non poteva essere quello. Ma cosa, allora?

Come faccio?

Chiuse gli occhi, sentendoli bruciare da quanto erano stanchi, e qualcosa si risvegliò dentro di lei. Un profumo, un respiro, un corpo caldo, e due mani che le stringevano le spalle.

Fu breve, ma abbastanza lungo da farle venire un ragionevole dubbio.

Non si fermò nemmeno a valutare i se, i pro e i contro. Calciò di lato le coperte e si alzò, uscendo in punta di piedi. Anche al buio, sapeva perfettamente dove andare.

Le bastò attraversare il corridoio per trovarsi davanti alla porta chiusa. Tutti dormivano, l’unica cosa che riusciva a sentire era il proprio battito che accelerava di secondo in secondo. Abbassò lentamente la maniglia, senza fare rumore, sgusciò all’interno della stanza, per poi richiudere la porta con altrettanta attenzione.

Le persiane non erano state chiuse, la luce della luna quasi piena entrava a fiotti dalla finestra, la cui tenda bianca era stata tirata da parte. In quel bagliore opalescente, Tom giaceva addormentato su un fianco, a torso nudo, i rasta sciolti sul cuscino che avvolgeva con un braccio, la testa leggermente chinata verso il petto, ed era così bello che Vibeke avrebbe potuto passare il resto della notte lì, in piedi, a guardarlo dormire.

Mosse un passo dopo l’altro con le ginocchia che le tremavano. Facendo piano, si appoggiò con una mano al materasso e scostò di poco il piumone; fece per strisciarvi sotto, ma all’improvviso le sembrò una cosa stupida ed infantile, e si sentì patetica.

No, non poteva farlo. Era tremendamente sciocco. Non poteva insinuarsi alla chetichella tra le lenzuola di Tom e mettersi a dormire con lui a sua insaputa. Cosa sarebbe successo, poi? Lui si sarebbe svegliato e se la sarebbe ritrovata accanto, e con ogni probabilità l'avrebbe sfottuta a vita.

Non poteva farlo e basta. Non lo avrebbe fatto.

Lasciò andare il piumone e cercò di risollevarsi, ma qualcosa la bloccò. Lì per lì non capì, ma poi guardò in giù e si accorse che cinque lunghe dita le avevano afferrato il polso, ed un paio di occhi nocciola la stavano osservando nell’oscurità opalescente. Due occhi intensi ed imperscrutabili, che però sembravano sorridenti.

Senza ben comprendere quello che stava succedendo, Vibeke, il cuore che le palpitava violentemente in gola, si lasciò attirare verso il basso, fino a che non si ritrovò sdraiata, proprio davanti a quegli occhi.

Nessuno disse niente. Il braccio di Tom lasciò il cuscino e le scivolò sulla guancia, sfiorandola, poi scese sul collo, sulla nuca, e percorse tutta la schiena, per fermarsi poi sul fianco, prendendone possesso per avvicinarsela ancora di più.

Le sorrise, uno di quei sorrisi a cui non ci si poteva abituare, semplicemente perché troppo speciali e rari, e poi chiuse gli occhi.

Vibeke avrebbe creduto che, dopo la soverchiante carica emotiva di quel momento, non sarebbe mai più riuscita a dormire per il resto della vita, eppure, mentre chiudeva gli occhi, si rendeva conto che un piacevole senso di quiete la stava pervadendo, come una ninnananna fatta di sensazioni, ma per un attimo, un solo, unico attimo, era stata felice.

Ed era incredibile quanto, certe volte, potesse essere bella e sorprendente la lunghezza interminabile di un semplice attimo.

 

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Note: capitolo lungo e sofferto, ma stavolta mi tratterrò dal lamentarmi, visto che le mie lagne non sono apprezzate tra i miei lettori. XD Il capitolo, come avrete notato, è venuto lunghissimo... Spero non troppo! ^^ Comunque, non so come l’avete presa voi, ma a me quest’ultima scena ha fatto un po’ emozionare. Sono affezionata a questi due scemi, che ci devo fare? ^^ Il titolo del capitolo è tratto dall'omonima canzone dei Nightwish. In secondo luogo, devo un grazie grosso così alla mia cara Lady Vibeke, che mi ha fatto un miniwallpaper stupendo con Vi e Tom per questa storia: The Truth Beneath The Rose

Ringrazio come sempre tutti voi per la smisurata pazienza che dimostrate ogni volta nei miei confronti, siete da santificare subito. XD

Passiamo ora all’angolo delle risposte alle vostre stupende recensioni:

Yukiko_chan: la tua non è una recensione, è un colpo al cuore! Ovviamente mi fa sempre piacere quando una fan dei TH apprezza le mie storie, ma quando sono delle non fan a dirmi certe cose, non posso negare di sentirmi realizzata. Per di più hai letto una storia che riguardava qualcuno che non conosci e mi rendo conto che possa essere impegnativo, ma se addirittura ti sei fatta prendere, io non potrei essere più felice! Ho aggiornato pensando soprattutto a te, quindi spero gradirai il pensiero. ;)

RubyChubb: liebe! Spero di non aver gettato troppo sale su qualche piaga delicata. Chiedi venia, sei giustificata se hai saltato quelle righe. ^^ Presto o tardi che sia, io ti aspetto sempre fiduciosa, così come tu aspetti me (vero?! XD). Hai ragione su tutta la linea, come sempre, soprattutto su BJ: lui è molto più forte di Vibeke, anche se può sembrare il contrario. Non ci fosse lui, questa inetta chissà dove sarebbe!

_Ellie_: caVa! devo ribadire tutto? Devo ripetere qui quanto sia acuto il tuo acume nell’individuare i caratteri dei miei personaggi e quelle sfumature di lettura non così immediate? Mi mandi sempre in brodo di giuggiole con le tue recensioni apocalittiche, e stavolta hai anche fatto relativamente presto! XD Grazie, sempre semprissimo!

valux91: bentornata tra noi! ^^ Spero sia passata l’influenza, malanno che io odio ed aborro con tutta me stessa! Aspetterò tue notizie. ;)

loryherm: oh, cara! Come al solito, anche tu arrivi a carpire pezzettini minuscoli che sembrano niente, ma poi sono tutto! Grazie, non manchi mai!

ninacri: sappi che aspetto un tuo parere, perché mi piace il tuo modo diretto di dire le cose, e soprattutto si nota che hai una certa razionalità di giudizio, qualità da me molto apprezzata. È vero, si può sempre migliorare, ed è per questo che amo così tanto scrivere. Più scrivi, più vorresti scrivere, e meno male che ho trovato una droga così positiva ed apprezzata! XD Grazie mille, anche per avermi avvisato dell'invesriome tra i capitoli 13 e 14. ^^ Non so come sia successo, ma ho corretto, grazie a te. ;)

erichina94: eheheh, come avrai notato i sentimenti che hanno iniziato a fare capolino nello scorso capitolo, qui sono decisamente usciti allo scoperto. Non tutti, e non del tutto, ma siamo a buon punto. Grazie per la recensione, spero ne arrivi una anche per questo aggiornamento!

Debry91: parlando di capitoli poco entusiasmanti e ricchi di avvenimenti… Questo era uno di quelli. Almeno fino alla scena finale. ^^ Tom con la testa sul collo e non fra le gambe la vedo ancora come una cosa lontana, ma ci stiamo lavorando. Tu abbi fede. ;)

Lady Vibeke: basta, sono stanca di sentirti! XD La mail era esauriente, non serve che ti dica altro. Solo grazie, per le sopportazioni e soprattutto per la fanart! *__*

NeraLuna: ah, ne so qualcosa di internet che va e viene e so che non è bello. So anche, però, quanto invece sia bello riaverlo e scoprire che qualcuna delle tue storie preferite sia stata aggiornata. ^^ Come vedi, BJ ha in effetti smosso un po’ Vibeke, ma lei ha ancora paura a nuotare in alto mare senza salvagente, quindi… Aspettiamo e spariamo!

kikka_tokietta: BJ ha scelto quel momento così delicato per dire a Vibeke quelle cose perché sapeva che lei in quel preciso frangente era sì vulnerabile, ma anche più ricettiva verso certi tipi di emozioni. Lei è fragile, ma è rimasta in piedi, e BJ ha perfettamente capito perché. Ora sta a lei capire. Mi spiace se anche tu hai vissuto una cosa affine, ma mi fa piacere sapere che è andato tutto bene. ^^

hyena_: Tom te lo sei immaginata proprio bene! XD Non smetterà mai e poi mai di essere uno sbruffone, perché in fondo è quello che è, maschera o non, però deve ancora crescere, e ci sono tante altre caratteristiche in lui che si devono sviluppare. Vibeke invece è più rilassata, è vero, e pian piano sta ammettendo tutto, un pezzetto per volta. Tu continua a tifare per loro, qualunque cosa succeda. ;)

Muny_4Ever: bentornata! È vero, mi sei proprio mancata, ti davo per dispersa! ;) tornerai ancora? Spero tanto di sì!

growlitha: che combinazione, il capitolo è arrivato proprio in corrispondenza dell’inizio delle vacanze di Natale! Se un po’ ti sei sentita come Vibeke, forse capirai meglio di altri certe situazioni future. Per adesso, grazie infinte! ^^

LadyCassandra: che bella questa tua recensione. Bella e molto soddisfacente, per un’autrice. Ti ringrazio davvero tanto per le tue belle parole. Ah, ti posso assicurare che in questa storia non accadrà mai e poi mai alcunché tra Bill e BJ, puoi stare tranquilla. ;)

_no sense_: va bene anche sentire il parere di una sola metà rappresentativa del nick, tranquilla. Mi accontento di poco, io. ;) Comunque grazie, spero di aver aggiornato in tempi più o meno accettabili. ^^

_ToMSiMo_: non ti preoccupare per l’alternanza tra la Vi fredda e quella dolce, quella non se ne andrà mai. Forse capirai meglio a storia finita quello che voglio dire, ma per ora ti chiedo di avere pazienza, abbiamo ancora diversi capitoli da affrontare, e questa altalenanza non mancherà, te lo prometto. ;)

Camilla85: ah, luce dei miei occhi! *__* Come faccio a dirti grazie, se mi hai tolto tutte le parole? Non vedo l’ora di risentirti in MSN, e soprattutto si trovare la tua recensione per questo capitolo, perché ho la vaga sensazione che ci siano particolari che tu potresti aver trovato interessanti. XD

Vitto_LF: rispondo per l’ultima volta, sperando che tu non fraintenda le mie parole. Sì, sono una delle più estreme antitwincest che esistano, ma ho letto molto su questa particolare categoria, e sono perfettamente consapevole che ci siano delle buone opere. In ogni caso, quelli che tu definisci “tipi”sono per me personaggi costruiti per adattarsi ad un altro determinato personaggio, ed il fatto che abbiano determinate caratteristiche è dovuto al fatto che io ho ritenuto quelle caratteristiche le più adatte ad associarsi a quelle di un secondo personaggio. Si tratta ovviamente di pareri soggettivi, quindi non pretendo che siano universalmente condivisi, ancora meno da qualcuno che a prescindere non prova interesse verso il genere. Sottolineo che comunque lo stereotipo è ovunque, e il twincest, soprattutto il Kaulitzcest, così come qualunque altro genere, non ne è immune, ma anzi, forse ne è anche più affetto. I gusti personali sono inopinabili, non mi permetterei mai di metterli in discussione, ma proprio per questa ragione ho trovato insensata tutta la parte centrale della tua recensione, che in effetti recensione non era. Se hai altre osservazioni da fare in merito a questa storia, sono le benvenute, ma la prossima volta ti prego di attenerti ad esse. Se vuoi chiarirmi altre cose, sentiti libera di contattarmi tramite messaggio privato.

kit2007: sì, hai capito bene, intendeva proprio Gud. Infatti, dopo che quella parte resta in sospeso, attacca subito con Gud. ^^ Forse ho dato per scontato che fosse chiaro, ma se così non è stato, mi scuso, farò più attenzione. ;) Grazie!

MarissaOssessionata: mi auguro che tu non abbia sclerato anche per questo capitolo come per il precedente, visto che ci ho messo settimane ad aggiornare. ^^ A parte questo, grazie per tutti i complimenti, il mio ego adesso mi va un pelino più largo. XD

_Kaay: grazie! Anche tu, così come le altre, sarai santificata per la pazienza dimostrata. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo!

pIkKoLa_EmO: eheheh, be’, io dico la mia, voi dite la vostra… Il bello è anche questo! Ti ho dato un assaggino di petto nudo di Tom… Se hai sbavato nel pensarlo che arrossiva, chissà qui! XD

CowgirlSara: la mia compagna di filmini stupendi! *__* Sì, qualche suggerimento è stato ascoltato, ma non in modo letterale… Diciamo che ho preferito restare sull’indiretto, perché mi sembrava presto per fare dire a Vi certe cose in modo esplicito. ^^ Tu continua a suggerire, però, che siete voi MS sezione TH le mie fonti di idee! XD

Purple Bullet: figliola! XD hai visto che brava, mammina? Sono riuscita ad aggiornare entro l’anno! XD Mi fa piacere che ti sia piaciuto il concentrato di gemellosità dello scorso capitolo, e hai proprio ragione, quei quattro sono adorabili. ^^ ti aspetto al varco anche stavolta! ;)

mask92: mi sono sorpresa perfino io di aver postato, non credere. XD Vedo che sei una fan di Tom… Avrai molte rivali, mi sa. XD Comunque, grazie!

picchia: oh, come siete magnanima, mia signora! Posso punirmi in eterno? Magari chiusa in bagno. XD Però non puoi dirmi che Vi non ti è piaciuta e poi non spiegarmi perché! Io poi come faccio a capire? Meriti una punizione anche tu! XD

Ladynotorius: milady! Che bello, mi è piaciuto leggere finalmente una recensione entusiastica! Ultimamente mi sembrava che tu le lasciassi tanto per fare… Meglio così! Grazie! <3

layla the punkprincess: eh, BJ è un tipo molto terra terra, non gli importa poi tanto se gli hanno sparato, gli basta essere vivo. ^^ Però non sarà mai troppo provato per occuparsi della sua sorellina, quindi lo fa, perché lei ne ha bisogno, anche se in modo tutto suo. XD Grazie anche a te!

 

Detto questo, un grazie enorme e generico alle 194 e 87 persone che hanno rispettivamente la storia e me tra i loro preferiti, e anche a tutti coloro che leggono e basta. Buon Natale e Buon Anno a tutti! Ci si risente con un nuovo capitolo nel 2009! XD

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Capitolo 19
*** A Night Like This ***


Amare le persone: uno dei tanti grandi misteri dell’umanità che Tom aveva sempre stentato a comprendere. Volere bene a qualcuno era un vero e proprio onere, che richiedeva responsabilità, dedizione, lealtà, pazienza, tempo e fatica, tutte merci di cui lui disponeva in quantità troppo esigue per potersi permettere di scialacquarle senza un minimo criterio.

L’amore, nel senso più lato della sua essenza, per lui restava un concetto altamente soggettivo e labile, e non era proprio sicuro di conoscerne il vero significato. Amava il proprio fratello, più che chiunque altro. Amava la propria famiglia, i pochi veri amici che aveva, ed amava perfino il proprio cane, volendo, ma l’altra metà dell’amore, di ben altra natura, per lui era un tabù, e adesso che era lì, a contemplare da chissà quanto gli occhi chiusi di Vibeke, gli sembrava legittimo chiedersi se il fatto che faticasse a restare abbastanza concentrato da ricordarsi di respirare potesse avere una qualche connessione con quel tipo di amore.

Che cosa ci poteva mai essere di così diverso con lei, che con le altre era sempre mancato? Perché lei – proprio lei, sfuggente e inarrivabile – aveva l’assurdo potere di fargli sentire la propria mancanza?

Tana per Tom!

Vibeke non era certo la ragazza più bella che lui avesse mai incontrato, però ci doveva per forza essere qualche cosa di magnetico ed irresistibile in lei, perché Tom, per quanto ci provasse, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

Dormiva profondamente su un lato, una mano appoggiata sul cuscino, accanto al viso sereno, la maglietta troppo larga che le pendeva un po’ da una parte, lasciando nudo un lembo di spalla bianca. E forse, no, non era la ragazza più bella che lui avesse mai incontrato, eppure Tom aveva l’assoluta certezza che nulla che lui avesse mai visto fosse bello come lei, in quel momento.

Una forza invisibile guidò la sua mano sul volto di lei, facendogliela delicatamente posare sulla guancia tiepida. Tom non voleva che si svegliasse. Avrebbe anzi preferito che dormisse per sempre, così da poterla guadare e toccare senza dover temere ciò che lei ne avrebbe pensato.

Sarebbe stata una Biancaneve perfetta, in effetti, se solo il Principe Azzurro Anomalo fosse stato capace di non baciarla più. Ma il problema era che ormai era ossessionato da lei e non c’era nulla che desiderasse più dei suoi baci, perché essere baciato da lei era diverso da tutto ciò che aveva sperimentato prima di lei. Gli piaceva baciare Vibeke, per il semplice motivo che si trattava di un piacere che non si fermava alla componente fisica, ed andava invece oltre, giù, in fondo, sconfinando in ambiti sensoriali che Tom aveva persino ignorato esistessero.

Avevano dormito insieme, un’altra volta. Dormito e basta, senza fare altro che tenersi vicini l’una all’altra. Era una cosa nuova, per lui. Non era mai stato abbastanza sentimentalmente coinvolto con una ragazza da provare il desiderio di averla con sé anche solo per sapere che c’era, ma, già dalla notte precedente, dormendo con lei nella Cadillac, aveva scoperto il semplice piacere di sentire il suo calore contro la propria pelle, di rendersi conto che, dopo poche ore, le lenzuola già profumavano di lei.

Che cosa mi hai fatto, si può sapere?

E mentre con il polpastrello del pollice, distrattamente, le contornava lo zigomo netto, Vibeke, inaspettatamente, si svegliò.

Tom lo vide come al rallentatore: le ciglia chiare che fremevano impercettibilmente, le palpebre che si sollevavano piano, pigramente, e poi le due pupille nere che, nelle loro iridi cristalline, si stringevano alla luce ancora fioca del mattino. E lui era lì, ad accarezzarle la guancia, colto in flagrante in un gesto troppo intimo e significativo.

Tom sentì le proprie funzioni vitali cessare di botto, come se gli avessero staccato la spina.

Si sentì nudo, e stupido, ed orribilmente violabile.

Ma Vibeke non disse o fece alcunché che potesse rendere fondate quelle sue sensazioni. Nessuno sguardo ironico, nessuna parola sardonica, niente di niente, se non un piccolissimo sorriso assonnato, e poi, senza un perché, gli si avvicinò un poco, raggomitolandoglisi contro il petto, e chiuse nuovamente gli occhi.

Dopo un attimo di statico sconvolgimento, il cuore di Tom riprese lentamente a battere, i polmoni a respirare, il cervello a funzionare, mentre con le braccia circondava il corpo morbido e caldo di Vibeke, conducendo la sua testa a posarsi nell’incavo della propria spalla. Avvertì le sue labbra che si distendevano in un sorriso contro la propria pelle spoglia.

Era bello, gli piaceva stare lì, così. Niente di più semplice, niente di più appagante. Ed era anche strano, perché non era uno che normalmente sapeva godere della semplicità. Del resto, però, era anche vero che, quando c’era Vibeke di mezzo, niente era normale.

Dal suo angolo sul comò, la sveglia lampeggiò sulle sette in punto. Tom avrebbe voluto poterci buttare sopra un cuscino e fingere che non esistesse, ma aveva davanti una giornata piuttosto densa, e non poteva rischiare di beccarsi qualche strigliata da David o Benjamin o chi per loro circa la fondamentale importanza della puntualità.

Vibeke aveva impiegato poco più di un minuto a riaddormentarsi, e forse era meglio così. Se fosse stato altrimenti, avrebbero sicuramente finito per dedicarsi ad attività a cui Tom non avrebbe avuto la forza sottrarsi con facilità.

Facendosi coraggio, allungò appena il collo verso Vibeke per posarle un bacio lieve sulla punta del naso, poi, il più delicatamente possibile, e non senza una buona dose di svogliata riluttanza cercò di sfilare il proprio braccio da sotto di lei, e ci mise diversi secondi in più del necessario per districarsi.

Appena lui si alzò, Vibeke si stiracchiò tra le lenzuola, senza però svegliarsi. A Tom quella scena ricordò qualcosa, tanto che gli venne un’idea. Sogghignò tra sé mentre, facendo piano, aprì uno dei cassetti dell’armadio e ne tirò fuori un blocchettino di post-it azzurri.

Non è originale come uno scontrino, ma…

Prese una biro e scribacchiò un breve messaggio di buongiorno, poi lo appiccicò alla radio sveglia, dalla parte di Vibeke, ed infine, soddisfatto, sgattaiolò alla porta in punta di piedi ed uscì quatto quatto, augurandosi che lei non si svegliasse prima che lui e i ragazzi fossero usciti.

Si tolse lo spesso elastico nero dal polso e si legò i rasta sulla via per la cucina, allertando l’udito in cerca di segni che ci fosse qualcun altro già in piedi: a giudicare dall’acciottolio proveniente dalla cucina, probabilmente erano stati tutti più mattinieri di lui.

Chissà se qualcuno di loro era andato a controllare la stanza dove teoricamente avrebbe dovuto dormire Vibeke. Avrebbero fatto domande? Era ovvio che, per ovvia esclusione, avrebbero saputo che aveva dormito con lui. E, se davvero lo sapevano, quanto altro avrebbero voluto sapere ancora? E lui cosa avrebbe dovuto rispondere?

Ma la cosa buffa, al di sopra di tutto questo, era che non gli importava veramente. Se avessero aperto un interrogatorio, avrebbe semplicemente dato l’unica risposta che gli venisse in mente: la verità.

Andiamo a letto insieme. Da un po’. Ci piacciamo, anche. Più o meno. E, no, non lo so bene nemmeno io cosa sta succedendo, ma mi piace e mi sta bene così.

Annunciò il proprio arrivo spalancando la porta con un calcio ed entrò con uno sbadiglio rumoroso, stiracchiandosi per bene.

La cucina era inondata della pallida luce invernale che arrivava da fuori, riflettendosi sulle superfici chiare dei mobili e delle pareti. C’era Bill rannicchiato su una sedia, avvolto in una felpa in cui avrebbe potuto entrare altre tre o quattro volte, con davanti una ciotola piena di cereali, che stava sgranocchiando senza troppa presenza mentale. Gustav, già vestito di tutto punto, si stava sbucciando un’arancia con accanto una tazza traboccante di caffè fumante, ed aveva come una furba piega quasi invisibile sulle labbra. Georg sedeva di fronte a Bill, la coda disastrosamente arruffata, ed inzuppava biscotti nel suo caffelatte con aria forse anche più assente ed assonnata di Bill.

“Buongiorno, raggi di sole!”

Bill e Georg lo degnarono a malapena di un’occhiataccia assassina. Gustav, invece, accentuò il suo strano sorrisetto e ricambiò il saluto:

“’Giorno, Tom. Ti vedo pimpante, stamattina.”

Fantastico, pensò Tom sarcasticamente, mentre si trascinava al frigo per cercare qualcosa di mangiabile da eleggere a colazione del giorno, che la sequela di domandacce invadenti abbia inizio…

Arraffò quasi a caso il cartone semivuoto del latte ed una tazza dalla lavastoviglie e si sedette, ancora in attesa dell’inizio dell’interrogatorio, ma gli altri non accennavano ad essere interessati. Georg e Bill si scambiarono solamente un fugace sguardo d’intesa, ma Tom si sentiva troppo in pace con il mondo per calcolarli. Recuperò un cucchiaio che giaceva abbandonato sul tavolo, prese la scatola di cereali che Bill aveva accanto, se ne versò un po’, canticchiando fra sé, e cominciò a mangiare. Tre paia di occhi curiosi lo osservavano in assoluto silenzio.

“Tomi,” Bill aggrottò la fronte. “Stai proprio cantando Thema Nr.1?”

Tom inghiottì i cereali e posò il cucchiaio.

“Io non sto cantando.”

“Sì che stai cantando,” lo contraddisse Georg. “Be’, forse più che altro stai mugugnando a bocca chiusa, grazie al cielo, ma era decisamente Thema Nr.1.”

Tom li guardò uno per uno, impassibile.

“Ok.” Si limitò a replicare, e si ributtò sui propri cereali.

“Ho mangiato il pasticcino di Vibeke.” Piagnucolò Bill, pieno di rimorso, mentre si succhiava le dita dal cioccolato rimastovi sopra.

“Comodo piangere sul latte versato, vero?” lo pungolò Georg.

“Le lascio un bigliettino di scuse,” decise Bill, voltandosi per rovistare all’interno di uno dei cassetti della credenza. Prese un blocchettino ed una penna e scarabocchiò qualcosa. “Ecco,” Staccò il foglietto e lo attaccò al frigo con uno dei magneti. “Spero non se la prenda.”

“Dai qua,” fece Gustav, facendosi passare il blocchetto. “Voglio darle anche la versione reale dei fatti.”

“La mia è la versione reale!”

Georg osservò Gustav mentre buttava giù il suo messaggio e, quando ebbe finito, ne scrisse un altro di proprio pugno.

“Tu non lo vuoi lasciare un biglietto per Vibeke, Tomi?” chiese Bill, e Tom ci mise un paio di secondi a capire di essere stato interpellato.

Finì di masticare, deglutì, e poi fece cenno di no con la testa.

Già fatto, grazie.

I ragazzi lo fissarono in modo insistente e piuttosto disturbante.

Che stessero tentando una nuova tattica? Lo avrebbero psicologicamente vessato fino a fargli sputare fuori tutto spontaneamente?

Sorrise a quell’idea.

“Adesso sorride da solo,” Bill si avvicinò una mano alla fronte. “Ve l’avevo detto che ha perso la testa.”

Gustav rise.

“È un sacrificio ragionevole, visto il risultato, direi.”

“Su questo non ci piove,” sghignazzò Georg. “Una testa di cazzo senza testa… Vuoi vedere che adesso diventa intelligente e pieno di tatto?”

Tom inforcò una nuova cucchiaiata di cereali e la fece sparire in un sol boccone. Non vedeva il senso in tutto quello stuzzicare per vie implicite e battutine, non era da loro girare intorno al dunque, ma appena aveva aperto gli occhi, quella mattina, aveva deciso che sarebbe stata una giornata di quelle che nemmeno le catastrofi peggiori potevano rovinare, e così sarebbe stato, ad ogni costo, e questo implicava ignorare le subdole provocazioni.

“Tomi,” Bill si sgarbugliò con l’agilità di un ragno dall’assurda posizione in cui si era appollaiato sulla sua sedia ed andò a sedersi in braccio a Tom. Gli cinse il collo con le braccia e si premette guancia a guancia contro di lui. “Senza scherzi, noi approviamo.”

Approvate?, Tom, tra lo strano comportamento di Bill e le facce inspiegabilmente gongolanti dei due amici, cominciava a sentirsi parecchio confuso, Approvate cosa? Che io mangi ciambelline di avena e nocciole con il latte parzialmente scremato?

“Bill, sei seduto sulle mie gambe.” Puntualizzò, a corto di parole che non fossero ovvietà.

“Tanto sono leggero.”

“Sì, ma si dà il caso che io stessi facendo colazione.”

“E stavi cantando Thema Nr.1.”

Tom si arrese a dover finire la colazione con Bill in grembo. Con qualche manovra contorsionistica, fece passare una mano dietro alla schiena del fratello e prese la tazza, mentre con l’altra impugnò il cucchiaio.

“Se volete c’è spazio anche per voi.” disse ironicamente a Gustav e Georg.

Gustav si alzò, mise le proprie stoviglie nel lavandino e sollevò eloquentemente le mani

“Vado a lavarmi i denti.” Annunciò, allontanandosi.

“Niente di personale, amico, ma declino l’invito,” disse invece Georg. “Non mi sognerei mai di intromettermi in un momento di comunione tra Kaulitz.”

Tom lo guardò uscire a bocca aperta, sconvolto dai livelli di follia che si stavano toccando.

“Ma che avete tutti quanti, si può sapere?” domandò a Bill, gli occhi ancora fissi sulla porta. Parlare con un fratello appiccicato addosso era meno semplice di quanto si potesse pensare.

“Niente di particolare. Siamo tutti di buonumore.”

“Bene. Ti spiacerebbe portare il tuo buonumore altrove, però? Se arriviamo tardi anche oggi, dovrai cercarti un nuovo gemello.”

Con un piccolo sbuffo deluso, Bill lo liberò aggraziatamente dalla propria morsa d’acciaio e finalmente si alzò, consentendo alle gambe di Tom di tornare a beneficiare dei positivi effetti di una circolazione corretta.

Bill si comportava in modo strano, da qualche giorno, se n’erano accorti tutti. Più ruffiano del solito, più lunatico, ma anche più introverso, e forse Tom aveva anche capito perché: tutta l’attenzione era concentrata su Vibeke, quella di Tom stesso, soprattutto, e questo per uno abituato ad essere il centro di tutto poteva essere difficile da accettare. Eppure Bill gli stava sorridendo, il viso pallido ed ancora sonnolento, con una sincerità così affettuosa da causare a Tom una fitta di nostalgia. Erano passati troppi anni dall’ultimo sorriso di quel tipo che lui aveva regalato a Bill.

“Sono felice per te, Tomi.”

Cinque parole pronunciate con dolcezza, che parvero più forti di ciò che erano, con soltanto loro due nella stanza.

Ok, pensò Tom, mescolando il latte senza un reale scopo, non stava parlando delle ciambelline di avena con latte scremato. Ma quando lo cercò con lo sguardo, Bill era già sparito dalla cucina, lasciandolo a domandarsi cos’altro dovesse aspettarsi da una giornata iniziata in modo così folle.

 

***

 

Silenzio. Profondo, assoluto, incontaminato silenzio. Fu quello che Vibeke trovò ad attenderla al proprio risveglio.

Dapprima, appena aperti gli occhi, non si rese conto di dove fosse, ma poi, mentre la sua vista si abituava alla luce intensa del sole, la sua memoria riaffiorò a poco a poco, facendole ricordare dove si trovasse, come e perché.

Aveva il viso affondato in un cuscino, indubbiamente non suo, che era pregno di un profumo buono, meravigliosamente familiare, che la rassicurava quasi quanto la presenza fisica di Tom. Era quello che era andata a cercare, la sera prima, esasperata dall’insonnia. Era quello che, dopo tanti sforzi inutili, le aveva permesso di addormentarsi.

Si morse il labbro per impedirsi di sorridere.

Ti ha incastrata, Vi, si disse. Il tuo piccolo Kaulitz ti ha in pugno…

Se l’era cercata, non lo poteva negare. Con tutti i preconcetti su di lui da cui era partita, si era ritrovata nel bel mezzo di una situazione del tutto imprevista. Non avrebbe mai più sottovalutato qualcosa o qualcuno. Mai più.

Si girò sull’altro fianco per controllare l’ora, ma trovò il display della sveglia coperto da qualcosa.

Perplessa, stiracchiò la mano verso il rettangolino di carta e lo staccò, strizzando un po’ gli occhi per leggerlo.

La calligrafia di Tom era pietosa, ma sufficientemente comprensibile da permetterle di decifrare quello che aveva scritto. Qualcosa talmente da Tom da farla scoppiare ridere.

‘Buongiorno, bella (?) addormentata,
in caso tu te ne sia dimenticata, siamo allo studio a lavorare ad un paio di demo, torniamo verso le sette. Se magari nel frattempo ci prepari la cena, te ne saremo riconoscenti.
Grazie.
Tom’

Vibeke lo rilesse tre volte prima di decidersi a rimetterlo sul comodino ed alzarsi.

Quanto sei scemo, Kaulitz.

Faceva uno strano effetto trovarsi in quella casa al risveglio. Ormai la conosceva come se fosse la propria, sapeva la precisa collocazione di ogni cosa in ogni stanza, forse perfino meglio dei ragazzi, ma fu comunque buffo arrivare in cucina e realizzare che, per la prima volta, si trovava lì in veste di ospite.

Passò davanti al lavandino e roteò gli occhi di fronte all’accozzaglia di stoviglie sporche che lo gremiva, poi l’occhio le cadde sul frigo, dove qualcuno aveva appuntato un altro biglietto.

‘Ho mangiato io il pasticcino che spettava a te (l’ultimo)… Scusa! Non ce l’ho proprio fatta a resistere, ma a mia difesa posso dire che io non volevo, mi hanno convinto i ragazzi! So che mi perdonerai, perché sono la creatura più dolce e stupenda del mondo e non si può non perdonarmi, anche se in realtà non ho nessuna colpa, se non quella di essere facilmente influenzabile.
Bill
P.S. Ho macchiato il pigiama di cioccolato. L’ho lasciato sulla lavatrice, ci pensi tu per favore?’

Rise.

La sua principessa non si smentiva mai.

Si spostò verso la credenza per prendere il caffè solubile e qualunque cosa di ragionevolmente calorico potesse rivenire, ma scoprì che anche l’anta delle credenza era stata affissa.

Ma cos’avevano quei quattro, stamattina?, pensò divertita, afferrando il foglietto più in alto.

‘Abbiamo tentato di fermare la belva famelica (Bill), ma non ci siamo riusciti. Se vuoi c’è la mia riserva segreta di biscotti, nascosta dove nessuno di questi tre la cercherebbe mai. So che la troverai, in caso di necessità.
Buon appetito!
Gustav’

Vibeke prese appunto mentale di consumarlo di baci non appena fosse tornato. Sapeva esattamente dove cercare.

Passò all’ultimo biglietto, facilmente prevedendone l’autore.

‘Se trovi davvero la scorta segreta di Gustav, io e Bill siamo disposti a pagarti bene per quest’informazione, ma sappiamo che non tradiresti mai il tuo amato Gud, quindi ci rassegniamo.
Svagati un po’, ci vediamo stasera!
Georg’

Ridendosela tra sé, Vibeke staccò anche quello dall’anta e lo sistemò in un angolo assieme agli altri due. Quella era decisamente la mattinata dei post-it. Quattro post-it stupidi che però l’avevano fatta sorridere.

Sbadigliando, Vibeke mise a bollire un po’ d’acqua per il caffè, prese il latte dal frigo ed una scodella pulita dalla lavastoviglie e posò tutto sul tavolo, poi, senza la minima esitazione, aprì uno degli armadietti, ne estrasse una scatola di cracker dietetici e ci infilò una mano. Quando la tirò fuori, le sue dita stringevano un delizioso cookie con gocce di cioccolato.

Gustav Schäfer, io ti adoro!

Se lo portò alla bocca compiaciuta e si andò a sedere, godendo della pace che dominava l’intero appartamento.

Sentiva che sarebbe stata una splendida giornata.

 

 

***

 

Se Bill voleva la prova schiacciante che per Tom Vibeke rappresentasse qualcosa di più di uno strumento sessuale, ormai l’aveva senz’altro avuta, anche se, dovendo essere del tutto sincero, era stato inquietante vedere il proprio fratello in quello stato per tutto il giorno.

Erano anni che Bill lo vedeva svegliarsi la mattina con facce diverse, ed aveva imparato a classificarle una per una, e perfino a riconoscerne i vari ibridi, perciò, quando aveva visto Tom entrare in cucina con quell’espressione di inebetita beatitudine diffusa, non aveva avuto più alcun dubbio: era cotto a puntino.

E la cosa più sorprendente era che quell’espressione era pura, unica, non mostrava alcun segno di contaminazione da parte della tipica ‘faccia da sesso’. Per tutta la giornata, fin dal tradizionalmente critico inizio mattutino, Tom era stato felice e giulivo e gentile con tutti, ed era una cosa che per chi non c’era abituato – ossia chiunque – poteva essere traumatica. Ai tecnici dello studio era preso un colpo quando, anziché con il solito grugnito nervoso, Tom aveva salutato tutti quanti con un ‘Ciao!’ quasi caloroso, e poco ci era mancato che Benjamin cadesse nella sedia nel vederlo sorridere al primo rimprovero sull’esecuzione di una canzone. Una cosa positiva, però, era stata senz’altro la rilassatezza che era conseguita dall’umore stabile e positivo di tutti loro: Georg aveva per la testa solo Nicole e il nuovo appartamento, Gustav aspettava solo che Fiona gli confermasse l’uscita di quella sera, e, per quanto riguardava Bill, era stato semplicemente contento della registrazione ben riuscita.

Era matematicamente sicuro che Tom e Vibeke avessero dormito insieme, e un po’ doveva ammettere di provare qualche stranissima sensazione che somigliava vagamente alla gelosia, ma c’era qualcosa di sovrannaturale in Tom che si limitava ad ospitare una ragazza nel proprio letto senza esigere da lei un particolare servizio, ed assistere ad un simile fenomeno paranormale in un’età che gli consentiva il pieno raziocinio sul soggettivo confine tra realtà e fantasia lo metteva in seria difficoltà.

Tom è innamorato.

Nemmeno a parole sembrava credibile. A fatti doveva essere addirittura inconcepibile.

“Ci vediamo più tardi a casa, ragazzi.” Annunciò agli altri, uscendo assieme a loro nel cortile dove parcheggiavano abitualmente le auto.

“Dove diavolo te ne vai?” indagò Tom sospettosamente, mentre anche Georg e Gustav si fermavano incuriositi.

Bill aprì la propria BMW con un bip del telecomando e rivolse a loro un sorrisino enigmatico.

“Devo fare una cosa.”

 

***

 

Quando Vibeke udì la serratura dell’ingresso che scattava, erano le sei passate e fuori era già buio pesto da un pezzo, anche a causa dei nuvoloni che avevano ricoperto il cielo.

“God kveld, mine kjære, hvordan går dere?”

La voce di Tom irruppe nella cucina prima ancora che lui si avvicinasse alla porta ed entrasse di gran carriera, disseminando una scia di indumenti dietro di sé. In salotto, Georg e Gustav la salutarono mentre sistemavano la propria roba.

“L’ho detto bene?” le chiese Tom tronfio, sfilandosi la pesante felpa blu notte.

Vibeke smise di scartare l’arrosto che aveva comprato e si voltò:

“Pronuncia eccellente,” si congratulò. “La grammatica un po’ meno.”

La spavalderia di Tom si dissolse.

“Hai detto ‘Buona sera, miei cari, come state?’,” gli spiegò. “Invece avrebbe dovuto essere ‘God kveld, min kjære, hvordan går deg?’, al singolare.”

“Ma è uguale!”

“No che non lo è, o non ti avrei corretto.”

Solo in quel momento, vedendo Georg e Gustav apparire sulla soglia con un’aria affamata, Vibeke si accorse che mancava qualcuno all’appello.

“Dov’è la principessa?”

“No ne abbiamo idea.” Rispose semplicemente Gustav.

“Come sarebbe a dire?”

“Ha detto che doveva fare una cosa,” Le disse Georg con un’alzata di spalle. “Non sappiamo altro.”

Vibeke non riuscì a non preoccuparsi. Avevano permesso a Bill di andarsene in giro da solo per la città, per il più dopo il tramonto?

“Ha promesso che non farà tardi,” le assicurò Tom, per niente turbato. “Sarà andato a comprarsi qualche nuova, orrida giacca da tremila euro.”

“Che cos’hai fatto tutto oggi?” intervenne Georg, rubando una patatina fritta dal sacchetto che Vibeke aveva lasciato sul bancone.

“Niente di che,” fece lei. “Sono andata un po’ a casa, poi a trovare BJ.”

“Sei andata anche in piscina?” domandò Tom.

Lei si bloccò un istante, attonita.

“Come fai a saperlo?”

“Ti leghi sempre i capelli quando sei appena stata in piscina.” Rispose lui con naturalezza, accennado alla sua coda.

Una naturalezza che lei non riusciva a condividere, perché il fatto che lui avesse notato un particolare a cui quasi nemmeno lei aveva mai fatto caso era destabilizzante.

L’aveva osservata, dunque. Ed anche con una certa costanza ed attenzione, visto che le sue nuotate non erano sempre regolari.

“Allora, si mangia?” domandò Georg, sgranocchiando un’altra patatina.

“Ma non sono nemmeno le sei e mezza…”

“Perché non usciamo, invece?” propose Tom. “Il pollo possiamo riscaldarlo domani.”

“Sono stanco morto,” brontolò Georg, lasciandosi cadere su una sedia. “Io passo.”

“Passo anch’io,” soggiunse Gustav. “Mi vedo con Fiona tra due ore.”

Vibeke avrebbe benissimo potuto sbagliarsi, ma il modo in cui Tom si volse verso di lei aveva un che di speranzoso.

Io e te?!, esclamò dentro di sé, presa alla sprovvista. Da soli?! No, Kaulitz, non esiste, sarebbe…

Tom abbozzò uno dei suoi sorrisi ruffiani, e lei dimenticò qualunque cosa stesse pensando.

Oh, vaffanculo!

“Be’… Perché no?”

Il piccolo sorriso di Tom dilagò da una parte all’altra del suo viso, mentre Gustav e Georg si scambiavano un’occhiatina sospetta.

Voi due non me la raccontate giusta…

“Vado a cambiarmi,” le comunicò Tom. “Ci metto un attimo.” E si diresse verso il piano di sopra.

Vibeke andò nel salotto e prese a raccogliere il giubbotto, le scarpe e il borsone che Tom aveva abbandonato qua e là. Non aveva previsto di dover uscire, si era messa addosso il vestito più comodo che aveva, nonché uno dei più belli, di velluto nero, con un bel corpetto ricamato e le maniche semitrasparenti. Avrebbe solo preferito che le arrivasse almeno al ginocchio, perché l’ultima volta che era uscita con una gonna in una giornata piovosa, si era congelata fino alle ossa.

E hai anche incontrato Tom Kaulitz, le rammentò la sua fedele voce interiore.

Lei la scacciò, ed intanto Tom scese le scale trotterellando. Si era vestito di viola, una tinta che lei aveva sempre pensato gli donasse particolarmente, ma soprattutto, niente cappellino e niente fascia, come piaceva a lei.

“Allora,” la esortò, togliendole di mano il proprio giubbotto. “Andiamo?”

 

***

 

Bill uscì dall’ascensore ed attraversò l’atrio a passo sicuro, reggendo tra le braccia un enorme sacchetto di plastica che tutti adocchiavano con espressioni curiose. O forse era lui ad attirare tutta quell’attenzione. Aveva fatto del proprio meglio per darsi un aspetto comune ed anonimo, ma probabilmente uno come lui avrebbe dato nell’occhio anche da invisibile.

Oltrepassò con indifferenza l’uomo che sorvegliava il reparto e proseguì dritto verso il capo opposto del corridoio. Arrivò di fronte all’ultima porta e bussò.

“Avanti.” Gli disse una voce familiare dall’interno.

Lui entrò.

BJ era appoggiato con la schiena ad una montagna di cuscini, un braccio steso accanto a sé con le solite flebo attaccate, mentre con l’altra mano saltava noiosamente da un canale altro della TV appesa di fronte al letto. Aveva indosso il pigiama di Ferragamo, e Bill si compiacque di notare che gli stava a pennello.

“Buonasera.” Lo salutò.

BJ si voltò ed i suoi lineamenti si spalancarono in un’espressione piacevolmente sorpresa.

“Bill!” esclamò, illuminandosi. “Che bella sorpresa! Credevo che tu fossi un’altra di quelle sanguisughe che mi molestano!”

“Chi?” indagò Bill, indignato.

“Le infermiere,” Sbuffò BJ, incupendosi. “Non fanno che andare e venire chiedendomi se va tutto bene, se mi serve qualcosa, se possono fare qualcosa per me…”

Bill ridacchiò, appoggiò il sacchetto al piccolo tavolo dietro alla porta e si tolse il cappotto.

“Sono sicuro che ci sono un sacco di cose che bramano dalla voglia di fare per te.”

“Lasciarmi in pace sarebbe sufficiente.”

Bill prese posto sulla sedia che stava accanto al letto e studiò BJ: il suo colorito era più sano dell’altra volta, e sembrava molto più in forze, anche se le ombre scure sotto ai suoi occhi c’erano ancora.

“Hai un aspetto magnifico.”

BJ gli sorrise.

“Sì, è una condizione che ho avuto fin dalla nascita.”

“Oh, anche tu?” Bill portò una mano al petto. “Che coincidenza!”

L’attenzione di BJ, intanto, era volata verso il regalo che Bill gli aveva portato.

“Dimmi che quella roba rosa e morbidosa è per me!”

Sorridendo, Bill andò a recuperare il maxi sacchetto e glielo portò.

“In effetti sì,” disse, porgendoglielo. “Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere una scorta di marshmallows.”

Estatico, BJ ne afferrò le due parti opposte con le dita e tirò, scoprendo che in realtà c’era già una sottile fessura.

“Ma… È aperto?”

“Ehm…” Bill si guardò le mani, avvampando. “Sì, scusami, non sono riuscito a resistere. Ero appena uscito dallo studio, avevo una fame da lupi e…”

BJ scoppiò a ridere, ma una smorfia di dolore gli contrasse il viso e dovette immediatamente ricomporsi. Bill sedette sul bordo del materasso e gli si avvicinò timorosamente. Non era mai stato bravo a sopportare il dolore in silenzio, soprattutto quello fisico, ed ammirava chi invece ne era capace.

“Fa davvero molto male?”

“Niente che non valga quella sessantina d'anni in più da vivere.” Sostenne BJ, sfiorandosi le bende che si intravedevano al di sotto della camicia aperta.

“Mi sono spaventato a morte.” Gli confidò Bill timidamente.

Lui accennò un sorriso.

“Ah sì?”

“Cioè, insomma...” Bill si grattò il naso. “So come si sente tua sorella, deve aver passato la nottata peggiore della sua vita.”

Un’ombra colpevole offuscò il volto di BJ.

“Mi odia. Dice che non devo mai più giocare a fare l'eroe in vita mia.”

Non posso darle torto, pensò Bill, rifiutandosi di immaginare cosa sarebbe successo se Tom fosse stato al suo posto.

“Sì, be’, forse lo penso anch'io.”

“Nessuno che mi abbia detto ancora ‘Bravo, BJ, sei stato coraggioso!’…”

“Hai ragione,” gli concesse Bill, comprensivo. “Lo sei stato.”

“Grazie,” sospirò lui. “Ora magari potresti cercare di convincere anche mia sorella?”

Bill gli scoccò un’occhiata che parlò per lui, ma poi gli sovvenne una cosa, e forse BJ era la persona giusta per discuterne seriamente. Nessuno meglio di loro due conosceva Tom e Vibeke, quindi nessuno meglio di loro due poteva capirci qualcosa di quell’intrico sentimentale pazzesco in cui si erano andati a cacciare.

“A proposito…” disse distrattamente. “Lei e Tom hanno dormito insieme, stanotte.”

BJ strabuzzò gli occhi.

“Intendi nel senso non figurato del termine?”

“Sì.”

Uff da!”

Bill riconobbe quell’esclamazione norvegese: Vibeke la usava sempre quando qualcosa la stupiva.

“Sono sempre stato contrario a tutte le frequentazioni di Tom,” confessò a BJ. “Tanta disponibilità, poco cervello: a lui ha sempre fatto comodo così, con le ragazze. Ma Vibeke mi piace, lei e Tom sono complementari… Solo che fanno troppa fatica a lasciarsi andare fino in fondo. Se non glielo avessi estorto io, Tom non mi avrebbe mai detto che lui e lei…”

BJ annuì comprensivo.

“Sì, anche con Vibeke sono stato costretto alla coercizione.”

“Che coppia di incapaci che sono…”

“Mi ero insospettito quando è passata stamattina,” rifletté BJ. “Sembrava su di giri… Se dormire con tuo fratello le fa quest’effetto, lo faccio brevettare.”

Bill sapeva molto bene cosa intendesse.

Avessi visto Tom…

“Credi che esista qualcosa che possiamo fare per sbloccarli?”

BJ si sfregò pensosamente il mento.

“Chiuderli nella stessa stanza finché non ammettono di essere pazzi l’uno dell’altra?” ipotizzò.

“Temo che si ammazzerebbero prima.” Obiettò Bill.

“Ah, non vale!” BJ si imbronciò. “Tu ti puoi godere tutte le loro litigate dal vivo! Stando a quello che racconta Vibeke, devono essere esilaranti.”

“Non puoi immaginare quanto!”

Tacquero per qualche secondo, osservando il vuoto, poi ad un certo punto BJ guardò verso di lui:

“Credi che ce la faranno mai a comportarsi da adulti?”

“Stiamo parlando degli stessi Tom e Vibeke che conosco io?”

“Domanda stupida, hai ragione.”

“Comunque, “ proseguì Bill. “Ho un buon presentimento, sai?”

BJ lo scrutò interessato.

“Che tipo di presentimento?”

Bill esibì un sorrisino furbo.

“Be’, io, Georg e Gustav abbiamo ritenuto opportuno concedere loro un po’ di intimità,” disse in tono cospiratorio. “E se tutto è andato secondo i piani…”

 

 

***

 

Tom non conosceva quel posto. Era un pub con tavola calda, modesto ma ben tenuto, in una zona tranquilla della città, arredato con uno stile molto britannico ed un clima accogliente, e per di più il cibo era ottimo.

Lui aveva preso una bistecca con patatine fritte, Vibeke, invece, aveva preferito un’insalata mista, ed entrambi avevano divorato i rispettivi piatti tra una chiacchiera e l’altra.

Per la verità, Tom non si era granché curato di quello che si erano detti, sia perché si trattava di discorsi spiccioli, sia perché la sua testa continuava a divagare altrove.

Le labbra morbide di Vibeke erano una distrazione invincibile, e lui aveva trascorso gran parte del tempo a seguire ogni loro minimo movimento: gli piaceva il loro colorito intenso, anche senza rossetto, la forma che prendevano quando lei pronunciava le o e le u, il modo in cui se le tormentava tra i denti appena un argomento le diventava poco gradito, e gli piaceva perfino come avvolgevano le forchettate di insalata mentre lei mangiava.

Da quando era tornato a casa, non aveva pensato ad altro che all’insopprimibile voglia che aveva di baciarla, eppure non lo aveva fatto. Vibeke era riuscita a distrarlo anche da quello.

“Allora, che ne dici?”

Tom si riscosse e cercò di capire a cosa lei si riferisse. Al pub, probabilmente.

“Oh, sì,” farfugliò. “Molto carino. Si mangia proprio bene.”

Vibeke lo fissò per un attimo, poi tornò alle ultime foglie di insalata che giacevano nel suo piatto e le smosse un po’ con la forchetta, senza però infilzarle.

“Ti sei accorto che sono stata in piscina.” Disse ad un tratto.

Tom non era certo di afferrare il motivo di quella constatazione.

“Sì,” Disse, accigliato. “E allora?”

Vibeke si aggiustò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, mettendo in mostra la sua sfilza di piercing. Ci mise diversi secondi a sollevare lo sguardo:

“In quanti altri modi mi puoi ancora stupire?”

Stupita. Tom l’aveva stupita. Era un bene, no?

“In senso positivo?” le chiese, nel dubbio.

Lei sollevò un sopracciglio, e come risposta fu sufficientemente chiara.

“Be’, vediamo…” Tom si mise a pensare. “Odi lavorare in silenzio,” gli venne in mente. “Metti sempre qualche CD di Gustav, quando non ci siamo noi in giro a fare casino,” Non osava guardarla, parlando. Per qualche ragione, lo imbarazzava dirle quelle cose, ma non si fermò. “Prendi il caffè amaro, senza latte né zucchero, ma lo accompagni sempre con qualcosa di dolce. Ti metti vestiti colorati solo quando sei giù di morale, mentre quando sei particolarmente felice esiste solo il nero.”

Vide Vibeke abbassare furtivamente lo sguardo sul tessuto color pece dell’abito che portava ed arrossire impercettibilmente.

“Hai smesso di lamentarti del fatto che io ti chiami Vi dopo la prima volta – be’, seconda, in effetti… – che ci siamo baciati, in camera tua,” continuò. “E oggi abbiamo scoperto che i letti singoli non fanno per te. E poi,” Aggiunse infine. “Parli nel sonno.”

Lei guardò in su di scatto, arrossendo più visibilmente.

“Non è vero!”

“Sì che è vero,” insisté Tom. “Per tua fortuna non so il norvegese, altrimenti potrei ricattarti.”

“Cosa te ne fai di altri soldi?”

“E chi l’ha detto che ti avrei chiesto dei soldi?” replicò lui in tono ammiccante.

“Porco!”

“Non fare finta di essere indignata, non sei tanto diversa da me.”

Lei rise.

“C’è un detto norvegese che dice ‘Like barn leker best’.”

“Che in una lingua a me comprensibile significa…?”

“I bambini simili giocano meglio insieme.” Tradusse Vibeke.

Tom lo trovò uno dei detti più veritieri che avesse mai sentito.

“Gente savia, voi scandinavi.” Commentò, pulendosi la bocca con il tovagliolo.

“In confronto a te, anche un’ameba apparirebbe savia.” Replicò lei.

Infastidito ed offeso, Tom sbatté rabbiosamente il tovagliolo sul tavolo.

“Ancora, Vi?!” esclamò in un sibilo feroce.

Lei non capì.

“Ancora cosa?”

“Mi attacchi senza che io ti abbia fatto niente!”

“Ma di cosa stai parlando?” esclamò lei, irritata.

“Di questo tuo assurdo atteggiamento autodifensivo!” la rimbeccò Tom. “Appena cerco di avvicinarmi a te, tu subito scatti con la solita acidità… Mi sembrava che avessimo chiarito questa faccenda!”

Vibeke boccheggiò interdetta. Lui sentì di aver segnato un punto a proprio favore.

Colpita e affondata, Vi?

 

***

 

Non riusciva a parlare. Non riusciva a pensare. Non riusciva a fare niente, se non fissare Tom con gli occhi sbarrati.

“Appena cerco di avvicinarmi a te…”

Tom voleva avvicinarsi a lei. Voleva stabilire un contatto vero, tra loro, e lei non glielo permetteva. Eppure lei voleva che lui si avvicinasse, lo voleva davvero, ma non riusciva a lasciargli varcare l’ultimo confine. Stava andando tutto in modo troppo strano rispetto al normale: prima il sesso, poi la confidenza, quelle loro strane uscite inclassificabili… Come si faceva a razionalizzare un tale caos?

Vibeke avrebbe voluto con tutto il cuore affidarsi completamente a lui, ma ancora non ne era capace.

Ma lo sarai mai?, si intromise la solita misteriosa entità impicciona che dimorava dentro di lei.

“È più forte di me,” Mormorò Vibeke. “Non lo faccio apposta.”

Quelle poche parole sembrarono ferire Tom più di un insulto diretto.

“Quindi non ti fidi di me.”

“Non ho detto questo.” Sottolineò in fretta lei, ma in realtà, anche se non era quello che aveva detto, era quello che aveva pensato. Tom spesso le ispirava fiducia e sicurezza, a gesti e parole, ma quando lo vedeva nella sua versione pubblica, non era più la stessa persona, e lei aveva il terrore di essersi innamorata del Tom sbagliato. Quale dei due era quello vero, e quale la finzione?

Le sembrava sincero, ora, con quell’ombra malinconica negli occhi, però Vibeke non riusciva a cancellare il dubbio. E non si trattava solo di lui, ma anche degli altri, poi: i Tokio Hotel che conosceva lei erano quelli domestici, liberi dalle influenze di riflettori, telecamere, e pubblici in delirio. In tour, tutto sarebbe cambiato, sarebbe stato completamente diverso.

E lo saranno anche loro?

“D’accordo,” bofonchiò Tom, alterato. “Come vuoi tu.”

“Kaulitz, non è colpa tua,” cercò di blandirlo Vibeke. “Sono io che non… Non riesco ad accettarlo.”

“Ad accettare cosa?” sbottò lui impaziente.

Vibeke lo aveva già ammesso con se stessa, e anche con Gustav, con Georg e con Bill. Implicitamente, lo aveva perfino ammesso con BJ. Ma ammetterlo con Tom era tutta un’altra faccenda.

Se ti ostini a prevenire tutto per evitare il peggio,” le aveva detto BJ non molti giorni prima, a quel pranzo al ristorante. “Va a finire che previeni anche il meglio.”

Bene, Vibeke, si disse risoluta, è giunto il momento che tu impari a rischiare qualcosa.

“Di essere… Dipendente da te.”

Tom si congelò nell’atto spezzettare nevroticamente gli avanzi della propria pagnotta, le spalle ricurve in avanti. Alzò lentamente gli occhi su di lei senza alcuna espressione, le labbra dischiuse.

“Cos’è che hai detto?”

Fu niente più che un sussurro disilluso, così debole che Vibeke si meravigliò di averlo compreso.

“Mi hai sentita.” Tagliò corto, ma era come se lui non l’avesse affatto sentita.

“Vi,” L’incrinatura incerta della voce di Tom, per un fugace attimo, la fece vergognare di aver dubitato della sua onestà. “Io ti piaccio?”

“Ma ci sei o ci fai?” scattò subito lei, innervosita. “Hai sentito mezza parola di quello che ho appena detto?”

“No… Cioè, sì…” Lo aveva messo in difficoltà. “Ma il fatto è che… Insomma, io… Non me l’aspettavo.”

“No? E allora cosa ci facevo nel tuo letto, secondo te?”

“Lo stai facendo di nuovo!” protestò lui con fervore. “Io sto cercando di districare qualcosa e tu fai la scontrosa! Mi renderesti le cose più facili se per una volta ritraessi i canini, sai? Sei inavvicinabile, dimmi come faccio a guadagnarmi la tua fiducia se tu non fai altro che spingermi via! Non puoi venire da me solo quando ti fa comodo, a fare quello che ti fa comodo!”

Aveva ragione lui, su ogni cosa. Era stata lei ad accusarlo per prima di essere un opportunista che prendeva solo quello che gli faceva comodo e snobbava il resto, e lei ora stava facendo esattamente la stessa cosa con lui.

“Odio quando hai ragione,” dovette riconoscere, poi azzardò un mezzo sorriso. “Meno male che capita di rado.”

All’inizio Tom rimase impassibile, continuando solamente a tenerle gli occhi inchiodati addosso, quasi a voler cercare in lei conferme a quanto gli aveva appena detto, ma poi tutto quel gelo si sciolse in un sorriso, caldo e vivo, solare, ed il suo Tom era lì davanti a lei, ed improvvisamente ogni dubbio era sparito.

Mi arrendo, Kaulitz. Hai vinto tu.

“Sono sottotono, stasera,” Si lamentò Tom. “Non riesco nemmeno a tenerti il muso.”

“E io cosa devo dire, allora? Mi punti contro i tuoi occhioni cerbiattoni e la mia dignità va a farsi fottere…”

Tom rise, forse un po’ lusingato.

“Si direbbe che qualcosa Bill sia riuscito ad insegnarmelo, dopotutto…”

Il sentir menzionare Bill fece venire in mente a Vibeke un certo discorso che si era prefissata di affrontare con Tom. Probabilmente non era neanche il momento adatto, e lui le avrebbe detto che non era affar suo, ma lei ci teneva e tentare non costava nulla.

“Kaulitz…”

“Mmh?”

“Quando è stata l’ultima volta che hai detto a Bill che gli vuoi bene?”

Domanda innegabilmente invadente, che richiese alla riservatezza di Tom una discreta riflessione.

“Che ne so… Un paio d’anni fa, credo,” rispose evasivo. “Non guardarmi così,” riprese, quando lei fece una faccia poco convinta. “Non serve che glielo ricordi ogni santo giorno, lui lo sa.”

“Non dico ogni santo giorno,” Precisò Vibeke. “Ma almeno ogni tanto… Qualche volta glielo dovresti ricordare.”

“Che razza di discorsi sono questi?”

Lei si passò una mano tra i capelli, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia.

“Lo vedo un po’ giù, ultimamente,” mormorò. “Ieri sera stavamo facendo due chiacchiere sul divano e mi è sembrato che avesse un gran bisogno di coccole e di affetto.”

Tom fece per dire qualcosa, ma poi parve metabolizzare ciò che lei gli aveva appena comunicato e si fece subito saltare la mosca al naso:

“Dov’ero io? Perché questa parte me la sono persa?”

“Eri a letto, suppongo,” replicò lei in tono pratico. “Io ero sveglia, Bill anche…”

“Non mi dirai che te lo sei coccolata come un gattino, vero?!” sbraitò Tom, a volume così alto che gran parte del resto dei clienti del pub si voltò a guardarli.

“Lo sai che ha bisogno di attenzioni costanti!”

“E c’era bisogno di venirle a cercare da te?!”

“Testa di cazzo, ero l’unica persona sveglia!”

I toni si stavano surriscaldando. Vibeke aveva previsto una reazione difensiva da parte di Tom, ma non certo quell’esplosione di gelosia. Imprevista o meno, comunque, non poteva negare che quella gelosia la lusingasse non poco.

Tom, nel frattempo, si era fatto silenzioso e la sua attenzione era smarrita al centro del suo piatto ormai vuoto.

“Non si è mai fatto problemi a venire a infilarsi nel mio letto.” sussurrò piattamente.

“Forse pensa che ormai siate cresciuti per queste cose.” azzardò lei.

“Chi, Bill? Quello che dorme con lo stesso orsacchiotto da diciotto anni? Sii realista!”

“Forse allora crede che sia tu a pensarlo.”

Tom affondò stancamente il viso tra le mani.

“Ma perché all’improvviso non mi dice più niente?”

Vibeke incrociò le braccia al di sopra del tavolo ed inclinò la testa di lato.

“E tu cosa gli dici?”

Tom tentennò. “Io… Be’…”

“Gli basta poco, Kaulitz,” lo incoraggiò Vibeke. “Cerca solo qualche rassicurazione, vuole solo essere certo che tu sia ancora il suo Tomi.”

Lui si concesse un sospiro.

“Gli parlerò.”

“Bravo.”

“Grazie, Vi.”

“E di che cosa?”

“Di avermi offerto la cena.”

“Io non ti ho offerto proprio niente!” abbaiò Vibeke.

“Be’, allora lo stai per fare, perché ho scordato il portafogli a casa.”

Vibeke si trattenne dall’imprecargli contro.

“Avrei dovuto immaginarlo,” si disse. “Era troppo bello per essere vero.”

“Che cosa?” chiese Tom.

“Be’… Tutto, in generale.”

“Sai che sono quasi tre ore che non litighiamo?” notò lui, controllando l’ora sul proprio polso.

“Due e mezza, veramente,” specificò Vibeke. “In macchina abbiamo litigato per la musica.”

“Ah, giusto,” L’entusiasmo di Tom si affievolì. “E poi anche prima, per dove sederci.”

“Quello non era litigare,” lo contraddisse lei. “Io ti ho assecondato e tu hai insistito per metterci dove dicevo io.”

“Sì, perché tu sai che odio essere assecondato e non volevo darti la soddisfazione di irritarmi.”

Lei si sporse verso di lui, studiandolo attentamente.

“Hai preso un po’ di sole, ultimamente?” si informò.

“No, perché?”

“Niente, mi illudevo che stessi maturando.”

“Stronza!”

Vibeke finse una risatina civettuola.

“Oh, adulatore!”

Tom dissimulò un ghigno e si infilò una mano in tasca, e quando la estrasse, Vibeke scorse un paio di pezzi da venti nascosti nel pugno.

“Tu!” Vibeke avrebbe voluto inveire, ma le scappò da ridere. “Razza di –”

“Adorabile gentiluomo pieno di humour?” suggerì lui, posando le due banconote sul tavolo con una strizzatina d’occhio.

Lei scosse il capo divertita, ma non disse nulla.

“Ce ne andiamo, che dici?” la invitò Tom, che già stava infilandosi il giubbotto.

“E dove?”

Lui fece spallucce.

“Non so, a fare due passi.”

Due passi con Tom Kaulitz… Sembrava il titolo di un libro, o di una commedia.

Due passi in giro per Amburgo con Tom Kaulitz, dopo una sottospecie di cenetta quasi romantica.

L’esito finale di quella follia non era ancora prevedibile, ma ormai Vibeke non aveva più nulla da perdere.

“Andiamo.”

 

***

 

L’aria era gelata, il cielo plumbeo minacciava pioggia imminente e ogni respiro si condensava in piccoli sbuffi di vapore che si diradavano rapidamente nelle brevi folate di vento. Tom, però, non aveva freddo. Forse era merito delle due birre che si era scolato e che gli stavano lentamente arrivando alla testa.

Vibeke aveva un cappotto nuovo, dalla foggia rinascimentale, nero con rifiniture bordeaux, tenuto chiuso da sottili alamari argentati, ed abbastanza corto da concedere una buona visuale delle gambe avvolte dai collant a rete. Tom sapeva che c’era un altro paio di collant invisibili, sotto, perché gli era capitato un paio di volte di sfilarglieli personalmente.

Passeggiavano per strada da qualche minuto, e nessuno dei due aveva ancora aperto bocca. Più volte le loro mani si erano sfiorate inavvertitamente, camminando, ed ognuna di quelle volte lui aveva avuto l’irrazionale tentazione di intrecciare le proprie dita con quelle di Vibeke, ma qualcosa lo aveva sempre trattenuto.

Tenersi per mano era una smanceria per coppiette stereotipate, e lui e Vibeke erano quanto di più lontano da uno stereotipo potesse esistere. Per di più non erano nemmeno una coppia.

O sì?

Dopo un po’, comunque, lei si era messa le mani in tasca, e quindi il problema non si era più posto.

“Dove stiamo andando?” domandò Vibeke, mentre oltrepassavano una fila di macchine.

La gente passava loro accanto senza voltarsi, e Tom per una volta trovava piacevole passare inosservato, anche se un paio di ragazzi che avevano incrociato avevano guardato Vibeke in modo un po’ troppo esplicito, per i suoi gusti.

“Ha importanza?”

Lei non fece altro che calciare una lattina che trovò per terra.

“No.”

Gli piaceva con le guance ed il naso arrossati, in forte contrasto con il suo candore e con tutto quel nero che aveva indosso. Si era raccolta i capelli in una treccia morbida per non farli scompigliare dal vento, ma alcune ciocche più corte erano sfuggite e le contornavano morbidamente il viso sereno.

Avrebbe voluto poterle dire che era bella, ma lei non avrebbe capto. Odiava i complimenti, almeno da parte sua.

Tutt’un tratto provò un irrefrenabile bisogno di una sigaretta. Individuò un distributore automatico in un negozio poco più avanti, dall’altra parte della strada. Doveva avere un qualche moneta in tasca, un pacchetto piccolo sarebbe riuscito a prenderlo.

“Vi, vado un attimo a prendermi le sigarette,” la avvertì. “Aspetta qui, torno subito.”

“D’accordo.”

Attraversò rapidamente e raggiunse il distributore della tabaccheria. C’erano un paio di ragazzini prima di lui, e dovette attendere che inserissero l’importo centesimo per centesimo. Quando finalmente toccò a lui, scoprì che le Lucky Strike erano finite.

Fanculo.

Stava cercando di scegliere tra le Marlboro e le Silk Cut, quando udì la voce di Vibeke rispondere ad un'altra, maschile. Si voltò e scorse un bellimbusto dai capelli grondanti di gel che diceva qualcosa a Vibeke e allungava la mano verso di lei, ma lei si scostò e rispose qualcosa di brusco che Tom non colse.

Non aspettò che il tizio facesse altro: dimentico delle sigarette, si affrettò a ritornare dal lato opposto della via, fumante di rabbia. Qualunque cosa quell’energumeno volesse da lei, non la avrebbe avuta.

“Non fare la ritrosa, piccola, ti ho solo chiesto come ti chiami.”

“E io ti ho detto di girare al largo!”

“Sei una gattina focosa, eh? Mi piacciono quelle come te.”

Tom cominciava a vedere rosso: la mano dello sconosciuto continuava a toccare il braccio di Vibeke, ed anche se lei si ritraeva, lui non accennava a demordere.

“Toglile le mani di dosso,” gli ordinò con un ruggito, giungendogli alle spalle. “Subito.”

Il ragazzo lasciò momentaneamente perdere Vibeke e spostò la propria attenzione a Tom.

“E tu chi dovresti essere? Il suo cavaliere in armatura scintillante?”

“Lei sta con me, siamo… Amici,” mise in chiaro lui, senza lasciarsi intimidire dalla stazza dell’altro. “Quindi, come ti ha già detto lei, gira al largo.”

Lo sbruffone scoppiò spregevolmente a ridere.

“Sì, immagino come te la sbatti amichevolmente questa stron–”

Il pugno sferrato da Tom lo colpì dritto in mezzo al naso, girandogli la faccia dall’altra parte. Un urlo soffocato riecheggiò per la strada.

“Figlio di puttana!” ringhiò il tizio, rivoltandosi contro Tom.

Era parecchio robusto, e Tom non fu in grado di schermarsi dal suo pugno di risposta. Accusò il colpo con violenza e finì scaraventato a terra, con un dolore atroce al labbro, che iniziò a pulsargli, più caldo del normale. Sentì il sangue sgorgare da un punto indefinito e raccoglierglisi in bocca.

La sua vista appannata gli permise solo di intravedere l’altro ragazzo che sputava a terra e voltava loro le spalle, bestemmiando mentre si allontanava.

Tom non si era nemmeno accorto che Vibeke gli era accorsa accanto e gli tendeva una mano. Lui la prese e si lasciò tirare su, scoprendo che Vibeke era più forte di quel che avesse creduto.

“Hai rischiato di non uscirne vivo.” Lo riprese, sostenendolo.

Lui si sfiorò la bocca e la trovò appiccicosa: stava sanguinando abbondantemente.

“Ho solo un taglietto sul labbro.” Sdrammatizzò, ma ogni singola sillaba che pronunciò gli causò un brivido di dolore.

“Sì, che equivale ad un miracolo, visto che quello era grosso quattro volte te.” Sottilizzò Vibeke, mentre cercava di tamponargli delicatamente la ferita con un fazzoletto.

“Ti stava dando della stronza.” Biascicò Tom, trattenendo un lamento per il fastidioso bruciore.

“Tu mi dai della stronza tutti i giorni.”

“Io posso,” si giustificò lui, appena la piccola emorragia si fermò. “Perché tu adori sentirti dare della stronza da me.”

Lei schioccò significativamente la lingua e mise via il fazzoletto sporco, proprio mentre un tuono rimbombava nel cielo. Una frazione di secondo più tardi, quando loro avevano appena ripreso a camminare, una rada pioggerellina cominciò a cadere.

“Ci mancava solo questa…”

Ancora appoggiato a lei e mezzo frastornato, Tom si mise con il naso all’insù, facendosi bagnare il viso dalle gocce che andavano aumentando.

“Ai confini del tempo, dove la pioggia non ci farà male…”

Vibeke lo guardò storto.

“Perché la commistione di alcol e pioggia ti riporta sempre a Monsoon?”

Lui chinò la testa verso di lei.

“Eh?”

“Anche l’altra volta, quando eri ubriaco fino al midollo, avevi citato Monsoon.”

“Non ricordo.”

“Io sì.” Rise Vibeke.

“Aspetta,” la interruppe Tom. “Vuoi farmi credere che sai riconoscere una citazione di Monsoon?”

“Sì,” ribatté Vibeke sulla difensiva. “E allora?”

“Niente, non me l’aspettavo.”

“Come ti ho già detto la prima volta: mai sottovalutarmi, Kaulitz.”

“Allora conosci davvero le nostre canzoni!”

“Solo quelle più famose,” si schermì lei. “A parte un’altra, che ho sentito tempo fa quasi per sbaglio, la mia preferita.”

“Ah sì?” Tom era proprio curioso di saperne di più. “E quale sarebbe?”

“Schwarz.”

Schwarz?, pensò, incredulo.

“Schwarz?”

“Sì. Ha un testo bellissimo, credo che Bill abbia dato il meglio di sé.”

“Mmh, già.”

“Anche se…” aggiunse Vibeke, senza però terminare la frase, ma Tom voleva sapere.

“Anche se…?”

“C’è una strana amarezza nella canzone,” disse lei. “Un sapore che non è da Bill. Forse è per quello che mi piace.”

Tom stentava a credere alle proprie orecchie: Vibeke aveva sempre detto che la loro musica non faceva per lei, ma ora gli veniva a dire che uno dei loro pezzi le piaceva, e non un pezzo qualunque, ma Schwartz. Proprio Schwarz.

“Ti piace.” Ripeté Tom, per essere sicuro di non aver frainteso.

“Sì,” ribadì lei pazientemente. “Mi piace.”

“Ti piace come in ‘Mi piace perché è poetica, profonda e toccante’ o ‘Mi piace perché suona bene’?”

“Non lo so… Entrambe, credo,” Vibeke lo occhieggiò stranita. “Che importanza ha?”

“No, niente…” divagò lui. “Nessuna.”

Le avrebbe detto un’altra volta che Schwarz la aveva scritta lui.

Camminarono ancora per qualche minuto, il braccio di Tom che circondava le spalle di Vibeke, e quello di Vibeke che avvolgeva la vita di Tom, aiutandolo a camminare, anche se ormai non ce n’era più bisogno: Tom si era completamente ripreso dal momentaneo stordimento conseguito dal pugno ricevuto, ma non era necessario che lei lo sapesse. Si fermarono alle strisce pedonali, davanti ad un semaforo rosso. Non c’era in giro quasi nessuno, avrebbero potuto tranquillamente attraversare lo stesso, ma rimasero fermi ad aspettare.

Piovigginava ancora, ma era così lieve che quasi non ce ne si poteva accorgere, e se non altro il vento si era placato.

“Vi?” mormorò Tom ad un tratto, voltandosi a guardarla. Vibeke fece lo stesso.

“Che c’è?”

Con un movimento fluido, Tom ruotò attorno a lei e le si mise di fronte, tenendola appoggiata a sé, le mani sui fianchi.

“Posso baciarti?”

Pur nella scarsa luce notturna, poté distintamente vedere le pupille di Vibeke assottigliarsi nei suoi occhi basiti, e gli sembrò quasi di avvertire anche la pressione del sangue nelle sue vene che saliva.

“Da quando in qua mi chiedi il permesso?”

“Posso?” glissò lui.

Lei era combattuta, era più che evidente, ma in qualche modo riuscì a resistere alle sue moine.

“Niente da fare,” dichiarò, seppur senza un briciolo di convinzione. “In pubblico non se ne parla.”

“Non siamo in pubblico, siamo per strada.”

“Appunto, chiunque potrebbe vederci, e io non ho nessuna voglia di diventare argomento di gossip di qualche gallina strafatta di ninfomania a base di Tom Kaulitz.”

Ma a Tom non importava un bel niente dei suoi vaneggiamenti. Gli importava solo del fatto che fossero lì, da soli ed indisturbati, troppo vicini per sprecare un momento così perfetto.

“Io però ti bacio lo stesso.” Ed avvicinò il proprio viso al suo.

“Ti ricordo che hai un labbro spaccato.” Riuscì a bisbigliare Vibeke, mentre le punte dei loro nasi già si incontravano.

“Chi se ne frega.”

“Ti farà male!”

Tom sogghignò e, senza curarsi minimamente delle sue obiezioni insensate, la sfiorò con le labbra.

“È l’obiezione migliore che riesci a trovare?” le sussurrò con voce roca.

Le lasciò mezzo secondo per tentare di rispondere, poi, senza esitazioni, le mise una mano sul collo e la attirò a sé per baciarla.

Le labbra di Vibeke erano calde e turgide, più corpose di come le ricordava, e non poté fare a meno di stuzzicarle nuovamente tra i propri denti. La assaggiò e si lasciò assaggiare, premendola contro il muro che aveva alle spalle man mano che il bacio si approfondiva, avvertendo le carezze della sua lingua sul proprio taglio.

Era un bacio come mai Tom ne aveva dati prima, dolce, nonostante il sapore di sangue che gli rimaneva in bocca, e non aveva niente di casuale, niente di rubato. Era un bacio consensuale, voluto, anzi, desiderato, tanto da lui, quanto da lei, e pienamente consapevole di tutti i sentimenti che portava con sé.

Era un bacio speciale.

Quello era lo zero, il punto di partenza, l’inizio effettivo di tutto, qualunque cosa quel tutto includesse.

Quello, anche se loro non lo sapevano, era il loro primo vero bacio.

 

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Note: inizio col dire che questa volta sono giustificata per i secoli che ci ho messo ad aggiornare! XD Come avrete notato, il capitolo è il più lungo che io abbia mai scritto. ^^

Qualcuno avrà notato, forse, che il titolo del capitolo è lo stesso di un capitolo di Lullaby, che poi altro non è che il titolo di una splendida canzone dei Cure … Ebbene, vi confesso che credo proprio che questo titolo ritornerà ancora, in futuro, ma non divaghiamo. È tempo dei debiti ringraziamenti:

NeraLuna: be’, non so proprio cosa dire, se non un banalissimo grazie. Per è davvero importante sapere che chi legge le mie storie si senta coinvolto… Non c’è complimento migliore. ^^

Ladynotorius: a te va la dedica speciale, te lo avevo promesso. XD Quindi questo capitolo è tutto per te, spero che tu te lo sia goduta fino in fondo. ;)

natyy: innanzitutto benvenuta! Ti ringrazio dei complimenti, spero di aver aggiornato abbastanza in fretta. XD

growlitha: come si dice, meglio tardi che mai, no? ;) Di’ al tuo pc di funzionare, altrimenti se la dovrà vedere come in persona! (capirai che minaccia, il mio se la vede con me ogni giorno, ma non è affatto intimorito…)

Alexgirl: benvenuta anche a te! Grazie di ogni singola parola! Tu volevi sapere come continua… Ed eccoti accontentata. ^^ Io ora voglio sapere come hai trovato questo capitolo. ;)

Claustrophobical: un altro benvenuto va a te, che mi hai sommersa di lodi che forse non merito del tutto, ma sono sempre apprezzate. XD Cerco sempre di mettere la maggior credibilità possibile in ciò che scrivo, ci tengo che le mie storie siano verosimili, anche a costo di rimetterci la sanità mentale. XD Aspetto la tua opinione!

zoe1230: un’altra nuova accolita, e benvenuta quanto le altre! Mi fa piacere sapere che hai notato che ci metto il cuore nelle mie storie, perché è vero, scrivere è la mia più grande passione, e se poi scrivo sui miei amati Tokio Hotel… Be’, immagina. XD Cuoci bene nel brodo, mi raccomando, ci conto. ;)

Debry91: Io? Pubblicare qualcosa? A dire il vero non ci ho mai pensato, se non quel milione o due di volta. XD Se davvero trovassi l’idea giusta per un romanzo, per me sarebbe la realizzazione di un sogno vederlo pubblicato! Mai dire mai, giusto? In ogni caso, hai ragione ad aspettarti di tutto, perché abbiamo a che fare con due continue sorprese (alias Tom e Vi), e non si sa mai cosa può ancora succedere (o meglio, io lo so, ma vi dovrete aspettare ;) ).

Lady Vibeke: no che non ti uccido, fossi matta! Occhio di Lince mio, non ti lasci sfuggire proprio niente! Sul serio, non credevo che qualcuno avrebbe notato Love Will Tear Us Apart, mi hai stupita! Ok, magari per te era più facile da notare, parti avvantaggiata, ma comunque complimenti! Hai vinto una ciocca di capelli di Georg! XD No, non ringraziarmi, lo so che sono troppo generosa. ;)

StellaMars: eh, lo so, la nostra principessa è un amore sconfinato. *__* Spero che tu riesca a trovare le parole per questo capitolo, ci tengo all’opinione di tutti quanti, adoro sempre leggere cosa ne pensare e le vostre congetture. ^^

_Ellie_: come sempre, tu mi delizi! *__* Una cosa può chiedere di più dalla vita? Un Georg? Un Gustav? Un Bill? Un Tom? Tutti e quattro? Ecco, forse solo quello potrebbe superare le tue recensioni. Sei una delle mie predilette che in realtà, più che recensioni, mi lascia dei favolosi poemi epici interminabili in cui io sguazzo come un Bill in una piscina di caramelle… E non so mai ringraziare abbastanza. Be’, comunque… Grazie! XD

Lady_Daffodil: voglio sperare che quando leggerai questo capitolo non sarai un po’ giù come l’altra volta, ma, in caso tu lo sia, spero che ti possa aiutare di nuovo a trovare un po’ di buonumore. ^^ Prego per i tuoi ringraziamenti, e anche grazie a te per i tuoi immancabili commenti!

susisango: ti piacciono i capitoli lunghi? Bene, che mi dici di questo? XD Ho battuto ogni record! Vi che dice a Georg ‘Georgasm’ è il massimo… Però è una che non si è mai fatta problemi a dire le cose come stanno, tranne quando la riguardano da vicino, e noi ce ne siamo accorti tutti, mi pare. Mi farai attendere secoli anche stavolta? ;)

kikka_tokietta: se ti sei commossa nello scorso capitolo, a questo che cosa mi fai? ^^ I testoni forse hanno cominciato ad essere un po’ meno testoni, pare. Soddisfatta dell’aggiornamento? ;)

lalinus84: ci sono cose nella vita di un’umile autrice di fanfiction che segnano. Ci sono cose che ti fanno fermare, strabuzzare gli occhi e cascare la mascella. Ci sono cose che non puoi non segnare sul calendario per i posteri e innaffiare con una brindata festante di champagne. Una di queste cose è… Una recensione dell’Ale! *__* Tu, ragazza mia, non sai cosa significa per me sapere che mi hai ritenuta degna ti un commento da parte tua! Non lo sai e non lo saprai mai, ma il mio cuoricino è qui che batte commosso e felice per aver trovato una traccia del tuo passaggio tra le recensioni dello scorso capitolo, e quindi grazie, thank you ssso much (con la zeppolina alla Bill ;) ), e fatti viva, ogni tanto, mi manchi!

Muny_4Ever: danke schoen! Davvero, grazie, soprattutto per avermi comunicato che riesci ad immedesimarti in Vi. Lo so che è una questione soggettiva, ma più uno si immedesima, più vive la storia sulla propria pelle, e penso che questo significhi parecchio, per un lettore. Mi raccomando, lo sai che bastano due righe per farmi felice. ;)

Camilla85: mia diletta! Non vedo l’ora di beccarti su msn e sbava parlare ancora un po’ con te. XD Fatti sentire!

winTh: non posso negare che mi farebbe veramente piacere avere la tua opinione per ciascun capitolo, ma mi posso accontentare di interventi saltuari. ^^ Non sei la sola a volersi addormentare come ha fatto Vi, ma, sarò sincera, io preferisco di gran lunga le celestiali apparizioni nei bagni. XD Se trovi un minuto per commentare, sei sempre la benvenuta, lo sai. :)

erichina94: non preoccuparti di essere ripetitiva… Finché sono complimenti, non è un problema. XD

_Kaay: cosa ti ringrazio a fare? In questo preciso istante stiamo chiacchierando in msn, ci stiamo già dicendo tutto lì. XD Ma grazie lo stesso, vale la pena di ribadirlo. ;)

hyena_: scusami, ma la tentazione di piazzare un Uomosesso seminudo da qualche parte è stata più forte di me. XD Temo di aver causato attacchi di ormonite acuta a parecchia gente, ma sono cose positive, no? XD Come vedi, Vi ha dormito come un angioletto tra le braccia di Tom… Hanno già sperimentato tutto il resto, mancava solo dormire insieme in un letto. XD

vivihotel: avrai notato che non è solo Vi che inizia a sciogliersi… E suppongo sia una cosa positiva. XD Spero ti sia sembrato altrettanto fantastica anche questa di fine. ;)

loryherm: cara! carissima! eccoti qui, un’altra delle mie seguaci preferite, con le tue recensioni lunghe una gamba di Bill e mezza! XD Grazie, per esserci sempre ed essere così entusiasta ogni volta, ma soprattutto grazie di capire tante cose non proprio scontate! <3

Ninnola: sì, possiamo dire che scrivere ce l’ho nel sangue… Essendo la mia droga preferita, in effetti, me lo inietto direttamente in endovena, tutti i giorni, più volte al giorno, e quando scrivo sui Tokio Hotel… Viva le overdose! XD Vi è molto tenera, quando vuole, e lo stesso si può dire di Tom… Come sta il tuo cuore dopo questo capitolo? ^^

Purple Bullet: figlia mia! XD Ti avverto, dopo il papiro di recensione che mi hai lasciato l’ultima volta, ne esigo un altro almeno altrettanto lungo! XD Ce la puoi fare? ;) No, scherzo, è ovvio. Mi bastano due parole, lo sai.

mewmina__91: mia piacciono gli epiteti che hai usato (somma, divina, etc…), suonano bene, devo dire. XD Anche tu disidratata dall’Uomosesso? Eh, mia cara, non posso che capirti! Sapessi quanto ci ho messo io a scrivere quella scena! XD Non è comodo battere sui tasti mentre ci sbavi copiosamente sopra! Ora però ricordati di respirare, è una cosa abbastanza fondamentale. ;)

pIkKoLa_EmO: Bill è adorabilerrimo (licenza poetica, anche se poco elegante XD), è un puccioso infinito che ispira coccole e amore. <3 Santa subito? Io? Oh, credo che il signor Papa troverebbe qualche minuscolo dettagliuccio che potrebbe compromettere il processo. XD Però il “Grande fratella, spacchi!” mi piace! XD

juliet_: be’, grazie mille, che altro posso dire? ;)

mask92: lo so, lo so, sono imperdonabile, ci metto sempre troppo ad aggiornare. ç__ç Però, come vedi, in effetti ho postato subito dopo le vacanze! ^^ Aspetto un tuo commento!

CowgirlSara: amora! (come mi sento bimbaminkia XD) Tu sai già tutto quello che potrei dirti, quindi… Grazie, o mia amata compagna di puccierotismo! XD

layla the punkprincess: Tom e Vi… La coppia più bizzarramente carina che esista. XD La dolcezza di Vi emerge raramente, ma c’è, e c’è che si tirargliela fuori, per fortuna. ^^ Spero che tu continui ad apprezzare ogni capitolo!

_ToMSiMo_: grazie, grazie, grazie! Per quanto riguarda la foto… Sì, è davvero stupenda! A storia finita posterò una cosa specialissima che Lady Vibeke mi ha fatto come regalo di Natale… Sarà una sorpresa stupefacente, aspettatevi meraviglie! ;)

Yukiko_chan: ti dico solo che pendo dalle tue labbra, bramo di sapere cosa pensi di questo capitolo, ci tengo tantissimo, perché è raro per me avere pareri da persone che non siano fa sfegatate dei Tokio Hotel. Sono qui in trepidante attesa, sappilo! Intanto, grazie per ogni singola sillaba! *__*

kit2007: anche a te… Che ti ringrazio a fare? Siamo sempre a ciarlare su msn, penso che tu sia anche stufa di me. XD Scherzo, scherzo! Grazie mille anche a te! ^^

ruka88: altra vittima di Georgasm… Non è stupendo immaginare certe scene semipornografiche? XD Se ti è piaciuto lo scorso capitolo, dovresti aver gradito anche questo, ma non si sa mai… Io mi auguro sempre di sì. XD

 

Per il resto, BUON ANNO A TUTTI, un grazie sempre più sentito per il vostro sostegno e… Alla prossima! ;)

Grazie per aver letto, spero che il capitolo valga una recensione. ;)

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Capitolo 20
*** Home Is Where The Heart Is ***


Premessa: per leggere la traduzione delle parti in norvegese, come sempre, è sufficiente che evidenziate la riga con il mouse, così emergeranno le parti in bianco. ;)



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Gustav rimirava distrattamente il paesaggio verdeggiante che scorreva rapidamente fuori dal finestrino, immerso fin dalla partenza in S&M dei Metallica, che lo stava magicamente chiudendo fuori dal resto del mondo, aiutando il tempo a trascorrere. Non aveva mai amato i viaggi, almeno nel senso più fisico del termine. A lui piaceva vedere posti nuovi, riesplorare quelli che già conosceva, fare lunghe passeggiate nelle grandi città, ma anche nelle piccole cittadine dove occasionalmente, in tour, sostavano per qualche minuto, ed anche in qualche anonima stradina sterrata, come molte di quelle che incrociavano adesso, che solcavano i campi da parte a parte in decine di linee rette ed incidenti a disegnare gigantesche scacchiere irregolari nel terreno che cominciava a germogliare pigramente. Sarebbe stata una splendida giornata, lo si sentiva nell’aria fresca e frizzante.

Ormai non dovevo mancare molto a Lipsia, perché fuori dal finestrino il paesaggio rurale cominciava a scomparire, lasciando posto a numerosi paesini di periferia, ancora immersi nella sonnacchiosa quiete delle nove di un sabato mattina d'inverno.

L'autostrada era semideserta, sgombra da mezzi pesanti e dai tipici ingorghi dei giorni lavorativi. In giro c'erano per lo più station wagon con a bordo famiglie che si spostavano dalla città per godersi un finesettimana in campagna. Gustav adorava quel succedersi di campi e villaggi, gli ricordavano molto la sua Magdeburgo, dove lui e i ragazzi tornavano ormai sempre più raramente a causa dei fittissimi impegni che la produzione del nuovo CD richiedeva loro. Per la verità, le tracce dell'album erano già pronte, ciò a cui si stavano dedicando al momento era l'incisione di qualche bonus track da inserire nei futuri singoli e nelle varie edizioni speciali dell'album.

Ma ora non voleva pensare al lavoro. Era il loro giorno di vacanza, e se lo sarebbe gustato senza farsi distrarre da nient'altro che il pensiero delle piacevoli ore che lo attendevano. Lui non era come Bill, non lo disturbava l'idea di faticare un po'. A lui interessava solo stare in compagnia, soprattutto in una giornata così bella. Nonostante le brutte previsioni e la rigida temperatura, infatti, la mattinata era promettente, limpida e soleggiata, ed i piccoli e candidi batuffoli di nuvole sparsi nel cielo terso non facevano altro che rallegrare l'atmosfera.

Appoggiato con un gomito al finestrino della Cadillac, seguì con la testa le ultime battute di The Unforgiven II, accompagnandosi con la mano contro il proprio ginocchio. Al di là delle cuffie hi-tech che gli avvolgevano impenetrabilmente le orecchie, ora che la musica si stava spegnendo, Gustav cominciava ad avvertire un familiare e concitato vocio di sottofondo. Confortato dall’ormai prossimo raggiungimento della meta, spense definitivamente l’iPod e si sfilò le cuffie, preparandosi psicologicamente a dover sopportare il solito pandemonio conseguente l’inevitabile, devastante reazione nucleare derivata da Tom e Vibeke costretti in uno spazio troppo circoscritto.

“Kaulitz!” stava strillando Vibeke, infatti, seduta tra lui e Bill, mentre Tom, alla guida, si divertiva a fare lo slalom tra una serie di auto non particolarmente veloci che oziavano lungo le prime due corsie. “Ma si può sapere chi cazzo ti ha insegnato a guidare? Mi sta venendo da vomitare!”

Ci risiamo, sospirò Gustav dentro di sé.

“Chiudi il becco,” la rimbeccò Tom, facendo come se non l’avesse sentita. “L’autostrada è dritta, non puoi avere il mal d’auto!”

“Sì, ma tu stai continuando a zigzagare come un forsennato tra una corsia e l’altra!” ribatté quindi lei. “Non ci cambia la vita se arriviamo qualche minuto più tardi!”

“A me sì,” specificò lui, sterzando rabbiosamente per inserirsi tra una station wagon e un pulmino. “Non vedo l’ora di sbarazzarmi di te! Non ne posso più delle tue chiacchiere!”

“Se tu non guidassi come un ubriaco, me ne starei zitta e buona!”

“Qualcuno mi dica come ho fatto a farmi convincere a prendere una macchina sola!” si alterò Tom, sferrando un colpo al volante. “Tu e le tue maledette manie ambientaliste, Vi!”

Gustav cercò di non sghignazzare. Tom poteva lamentarsi quanto voleva del fatto che un’auto sola, anche se spaziosa come la sua Escalade, fosse troppo piccola per tutti loro, ma di certo non poteva dire di essersi fatto pregare: era stato lui il primo a dire ‘Buona idea!’, quando Vibeke aveva suggerito di risparmiare benzina ed inquinamento, ma ricordarglielo adesso era decisamente inopportuno.

Meglio non rischiare incidenti.

Georg, però, intervenne con un’occhiataccia.

Era allegro quella mattina, e nonostante facesse il duro per tenere a bada i due litiganti, non riusciva comunque a cancellarsi dal viso quell’espressione di beata ed assoluta felicità che aveva avuto fin da quando aveva messo piede giù dal letto. Ed era una cosa contagiosa, perché Georg in qualche modo sapeva sempre trasmettere un po’ del proprio umore anche agli altri: Gustav era uno che non riusciva mai ad esternare più di tanto i propri stati d’animo, mentre Bill, al contrario, era fin troppo incline a rendere chiunque partecipe di qualunque sua minima variazione emotiva, e, vista l’estrema lunaticità di Bill, non era cosa da poco. Tom, invece, era diverso ancora, esplicito in certi casi e criptico in altri, e talvolta era difficile perfino per Bill capire cosa nascondesse dietro ai suoi silenzi.

“Tom,” sentenziò Georg in tono paziente ma imperativo. “Dimenticati di possedere l’uso della parola, a beneficio di tutti.”

Tom grugnì senza osare replicare, mentre Vibeke si rilassò nel proprio sedile, incrociando le braccia soddisfatta.

“Grazie, Hagen.” Cinguettò.

“E tu anche, non credere.” La mise a tacere Georg, voltandosi a guardarla severamente.

Dallo specchietto retrovisore, Tom le gettò un’occhiatina irriverente che sembrava dire ‘Ben ti sta!’.

“Ma cos’ho fatto?” si lamentò lei, urtata. “Adesso è una colpa tenere alla propria vita?”

“No, ma mi state facendo venire il mal di testa.” Intervenne Gustav, esasperato, ma anche segretamente divertito. Non ci sia annoiava mai con Vibeke nei paraggi a seminare zizzania.

“Quando finalmente saremo arrivati,” esordì Bill, avviluppato in una voluminosa sciarpa verde scuro, gli occhi privi di make up che saltavano dal fratello a Vibeke. “Potrete appartarvi da qualche parte e sfogarvi in modo molto più piacevole e salutare.”

“Fino ad allora,” aggiunse Georg. “Restatevene a cuccia, tutti e due!”

“Hai visto, Kaulitz?” Vibeke si imbronciò. “Per colpa tua adesso Hagen è arrabbiato con me!”

“Hey, qui la banshee urlatrice non sono io, fino a prova contraria!” si difese Tom.

“Basta, vi supplico!” esplose Bill, coprendosi le orecchie. “Nemmeno i bambini dell’asilo si comportano così!”

“Ma senti chi parla!” gli sbottarono contro Tom e Vibeke all’unisono.

Offeso, Bill si voltò dall’altra parte a braccia conserte e si concentrò sul paesaggio, che via via che proseguivano si faceva sempre meno incontaminato: i campi iniziavano a lasciare spazio ai piccoli paeselli di provincia, e l’aumentare dei cartelloni pubblicitari segnalava che Lipsia ormai doveva essere nei paraggi.

“Lo svincolo è tra un paio di chilometri,” comunicò infatti Georg a Tom in quel momento. “Vedi di non mancarlo, o ci tocca fare un giro disumano per arrivare.”

“Georg, rilassati, lo so come si arriva a Lipsia.”

“Ma certo che lo sa,” intervenne Bill. “Il nostro TomTom arriva dappertutto.”

“Ci puoi giurare!” si vantò Tom, mentre gli altri scoppiavano a ridere.

Era facile passare da un’atmosfera tesa ad una perfettamente rilassata, con loro, come se nulla fosse. A volte era dura essere un gruppo così affiatato, perché capitava che ci fossero cose spiacevoli da dirsi, divergenze da affrontare, ma per la maggior parte del tempo, essere un membro dei Tokio Hotel significava avere una seconda famiglia su cui poter contare, ed era una cosa straordinaria che in pochi erano in grado di capire veramente. Ed era piacevole anche, in quelle rarissime occasioni, stringersi un po’ per fare spazio ad un nuovo membro della famiglia. Era successo un anno prima, con Nicole ed Emily, ed ora, osservando Tom e Vibeke che si scambiavano sguardi fugaci attraverso lo specchietto, Gustav sapeva che stava succedendo di nuovo. O meglio, poteva tranquillamente affermare che fosse già successo, perché Tom poteva anche non riuscire ancora ad ammettere apertamente di essersi preso a cuore Vibeke, ma gli altri le avevano concesso un posto d’onore, anche se lei questo ancora non lo sapeva.

E quando Gustav pensava a quella strana famiglia, si domandava sempre chi ci avrebbe portato lui, a suo tempo. Usciva con Fiona da un bel po’, ormai, e lei gli piaceva molto, eppure ogni volta che si proponeva di invitarla a casa a conoscere i ragazzi, qualcosa – qualunque cosa fosse – lo bloccava.

Cos’è che manca?, si era spesso chiesto, pensando a Fiona e ai suoi baci, e alle sensazioni che questi gli recavano. Tutte sensazioni più che positive, indubbiamente, ma forse poco profonde.

Poteva apparire un tipo burbero, ma sotto alla scorza corciacea era un romantico: avrebbe voluto innamorarsi, come era capitato a Georg, come stava capitando a Tom…Ma forse non era cosa per lui, dopotutto. Forse non era nemmeno destino.

“Hey, TomTom,” disse la voce di Georg ad un tratto. “Metti la freccia, l’uscita è lì davanti.”

Tom, che in realtà non aveva affatto notato l’uscita, distratto com’era dal gioco di sguardi intrapreso con Vibeke, si affrettò ad inserire la freccia e a spostarsi verso la diramazione che indicava Lipsia.

Man mano che si addentravano nella città, Gustav non poté fare a meno di notare il miscuglio tra architettura tradizionale e all’avanguardia era notevole, ma la zona in cui erano diretti era libera da freddi grattacieli e costruzioni in cemento: proseguendo, le case si facevano più belle e curate, ville, villette a schiera ed eleganti palazzine incastonate in grandi sprazzi di verde.

“Ecco, ci siamo!” esclamò Georg dopo che Tom ebbe svoltato ad un incrocio, ed indicò un complesso in fondo al viale. Gustav lo promosse immediatamente: erano tre edifici tinteggiati con una calda tonalità color pesca, pieni di vetrate immense e terrazze, affiancati l’uno all’altro, alti all’incirca cinque piani, affacciati da un lato su una fila di villette e dall’altro su un piccolo parco, su cui si affacciavano anche la piscina e i due campetti da tennis.

Tom emise un lungo fischio di approvazione.

“Complimenti, amico, posticino niente male!”

Georg sorrise raggiante:

“E non avete visto ancora niente!”

Era a dir poco estatico. Sorrideva come raramente Gustav lo aveva visto fare, gonfio di orgoglio e soddisfazione. Gustav lo capiva: poteva dirsi un uomo arrivato, con una carriera brillante e consolidata, un’attraente compagna e una bambina a cui voleva bene come se fosse sua, e una casa sicura ed accogliente da offrire loro, assieme ad un tenore di vita decisamente alto e, cosa più importante, un amore forte e sincero.

Per gente popolare come loro era difficile costruirsi una vita ordinaria, e alle volte questo era positivo, ma, affettivamente parlando, la meta conquistata da Georg era invidiabile per tutti loro, anche se probabilmente sarebbero passati anni prima che Bill e Tom iniziassero anche solo a pensare all’ipotesi di farsi una famiglia (se mai ne avessero voluta una), e per quanto riguardava Gustav stesso, per ora non era che un bel pensiero, fumoso ed irraggiungibilmente distante.

Quando si avvicinarono alla cancellata che recingeva i palazzi, Georg tirò fuori un telecomando e la aprì, permettendo così a Tom si portare la Cadillac nel piccolo parcheggio interno. In ogni dove c’erano piante e aiuole di fiori ben tenuti, e perfino una gigantesca fontana di marmo rosato che zampillava acqua da una vera cascata. Quando ci passarono accanto, Gustav notò che non poteva essere più profonda di una trentina di centimetri.

A prova di bambino.

Seguirono tutti Georg verso la prima palazzina, poi entrarono ed oltrepassarono la reception sotto allo sguardo vigile dei due sorveglianti in uniforme, ed infine salirono in ascensore.

“Che fai?” domandò Vibeke, quando Georg si mise a digitare una serie di numeri sulla tastiera, anziché premere semplicemente il tasto corrispondente al piano giusto.

“L’ascensore si apre direttamente sull’appartamento,” le spiegò Georg, mentre iniziavano a salire. “Ci vuole il codice per raggiungere l’ultimo piano, così come per suonare il campanello.”

“Tu non hai comprato un appartamento, hai comprato una fortezza anti-scocciatori!” commentò Bill, ammirato.

“Ho pensato alla sicurezza prima di tutto,” ammise Georg. “Anche salendo con le scale serve un codice per avere accesso al piano.”
“E se ci fosse un’emergenza?”

“In quel caso basterebbe rompere la porta di vetro che chiude le scale, ma questo farebbe scattare l’allarme.”

Annuirono tutti quanto con veemenza. Non si poteva certo dire che quel posto non fosse ben congegnato. A Gustav però venne da ridere a pensare a Nicole, amante delle cose semplici, che di punto in bianco si ritrovava a vivere in quella specie di inespugnabile roccaforte ultramoderna.

In una manciata di secondi l’ascensore si arrestò morbidamente con un breve tintinnio, e subito dopo le due massicce porte metalliche scorsero ai due lati con fluidità, aprendosi su un vasto salotto pavimentato in parquet, arredato in legno e colori caldi. C’erano montagne di scatoloni, aperti e non, sparsi un po’ ovunque, principalmente lungo la vetrata panoramica mozzafiato che sostituiva l’intera parete di sinistra, offrendo una visuale di Lipsia da cartolina.

Mentre tutti quanti ammutolivano increduli, Georg uscì dal vano con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro e si guardò intorno.

“C’è nessuno?” chiese ad alta voce. “Dove sono le mie ragazze?”

Un nanosecondo più tardi, la doppia porta scorrevole in vetro opaco in fondo alla stanza si spalancò e nel mezzo comparve Emily, scalza ed in pigiama, con un’espressione di gioia pura.

“Georg!” urlò esagitata, correndogli incontro come un fulmine. “Georg! Georg! Georg!”

L’equilibrio di Georg vacillò appena lei gli saltò in braccio, ma era difficile dire chi dei due fosse più contento di rivedere l’altro.

“Ciao, terremoto!” la salutò lui, affondando le proprie labbra nella sua guancia soffice. “Dov’è la mamma?” le chiese poi, posandola a terra per permetterle di salutare anche gli altri. Quasi non ebbe il tempo di terminare la domanda, che una voce familiare giunse dall’esatto punto in cui era comparsa Emily.

“Qualcuno mi chiama?”

 

***

 

Vibeke non era un’esperta in amore, e probabilmente non lo sarebbe mai stata, ma di una cosa era assolutamente sicura: nessuno la avrebbe mai guardata nel modo in cui Georg, sollevando lo sguardo, aveva appena guardato Nicole.

Per un attimo era stato come se tutto il resto dell’universo fosse sparito, sostituito dal sorriso timido ma euforico di una ragazza che indugiava su una porta aperta, e gli occhi di Georg si erano come accesi di qualche cosa che Vibeke non aveva saputo riconoscere, una scintilla viva, dirompente, inspiegabilmente meravigliosa.

Quello era l’aspetto di una persona innamorata. Quello era il sorriso di una persona innamorata. E nulla di tutto questo era patetico come Vibeke aveva sempre voluto credere. Come la volpe con l’uva, aveva sempre preferito convincersi che il romanticismo fosse roba per illusi, nient’altro che un edulcorante che la gente usava per sentirsi meglio e credere che la vita fosse come quella dei film, un lungo e travagliato cammino con un bel lietofine nascosto dietro all’ostacolo più impervio.

Ne era sempre stata fermamente convinta, ma ora che guardava Georg e Nicole corrersi incontro e abbracciarsi e baciarsi, ora che Tom le si avvicinava e le strizzava un occhio con aria complice, sentiva qualcosa dentro di sé, qualcosa che era nato da poco e stava crescendo lentamente, ogni giorno più forte e vivido, qualcosa di bello, di speciale, e affatto patetico, che la faceva sentire più umana di quanto non si fosse mai sentita prima d’ora. E nonostante tutto, forse essere umana un po’ le piaceva.

“Benarrivati,” li accolse Nicole, una volta che Georg si fu deciso a lasciarla andare. Li abbracciò uno per uno, esitando un po’ di fronte a Vibeke, che si limitò a sorriderle impacciata. Non avevano una gran confidenza. “Avete trovato traffico?”

“No,” rispose Tom mollemente. “Siamo in ritardo perché Miss Lagna aveva da ridire sulla mia guida.” E diede una gomitata scherzosa a Vibeke.

“Non siete in ritardo,” lo rassicurò Nicole. “Viste le tempistiche medie di Georg, vi aspettavo non prima delle dieci.”

“Ma sentila!” esclamò Georg, portandosi le mani sui fianchi, fingendosi indignato.

Nessuno si risparmiò una risata.

“Siete stanchi?” si informò Nicole, premurosa. “Volete qualcosa da mangiare o da bere?”

“Magari tra un’oretta,” rispose Tom, sfregandosi la pancia. “Abbiamo mangiato una tonnellata di biscotti a colazione.”

“Be’, che ci facciamo tutti qui impalati?” fece Bill, sfilandosi la giacca “Vogliamo vedere la casa!”

Nicole mostrò loro i guardaroba dell’ingresso e li aiutò a sistemare le cose. Si muoveva quasi goffamente, come se non si sentisse a proprio agio in quegli spazi cosi grandi. Vibeke ricordava le foto che aveva visto del suo appartamento: probabilmente sarebbe comodamente entrato tutto in quel salotto.

“Sbaglio o oggi, anche senza trucco, sono proprio un gran figo?” osservò Bill, ammirandosi nello specchio della stanzetta che ospitava il guardaroba.

“Hai ragione, principessa, sembri in gran forma, ultimamente.” Concordò Vibeke.

“Vi, ma sta’ zitta!” le intimò Tom, spingendola di lato con una spallata. “Se lo avessi detto io, al suo posto, mi avresti accusato di essere uno squallido vanitoso!”

“Ma no, Kaulitz, figurati,” minimizzò lei, uscendo. “Al massimo ti avrei esortato a non farti troppe illusioni.”

Tom rimase con un palmo di naso, il proprio giubbotto penzoloni tra le mani, mentre sia Georg che Gustav lo guardavano come per dirgli ‘Te le vai sempre a cercare’.

Mano nella mano con Nicole, Emily in spalla a Gustav, Georg mostrò ai ragazzi l’ampia cucina con un’isola di cottura in granito a dir poco enorme, a cui si accedeva direttamente dal salotto, la sala da pranzo, che si trovava al di là delle porte da cui erano arrivate Emily e Nicole, la lavanderia e il bagno. Tutto era pulito e scintillante, tutto aveva un intenso ma piacevole odore di nuovo. Vibeke rimase a bocca aperta quando, tornando in salotto, si rese conto che l’appartamento era su due piani.

“Hagen, questo non è un attico, è una residenza imperiale!”

“Non fare la solita esagerata…” la frenò Georg con un sorriso modesto.

“No, sul serio,” insisté lei, avvicinandosi alla vetrata. “Se mi affaccio da qui, secondo me si vede la Danimarca all’orizzonte!”

“Quant’è la metratura?” volle sapere Gustav, facendo scorrere lo sguardo in lungo e in largo.

“Sono trecento metri quadri, sia qui che sopra.”

“Su è bellissimo!” esclamò Emily, spalancando gli occhi. “Il soffitto è alto alto e ci sono tantissimi vetri!”

“Venite,” li invitò Georg, accostandosi ad una luminosa rampa di scale di marmo bianco. “Di sopra c’è la zona notte.”

Ma prima che qualcuno potesse muovere un passo, uno strano, inconfondibile gorgoglio si sollevò dallo stomaco di Bill.

“Scusate,” farfugliò lui, portandosi le mani sull’addome mentre arrossiva. “Credo di avere un po’ di fame…”

Tom spalancò la bocca basito:

“Bill, cazzo, ti sei fatto fuori un quintale di biscotti al burro solo due ore e mezza fa!”

“Il mio metabolismo supersonico ha bisogno di energie costanti!” sostenne Bill compunto.

“Vado subito a preparare qualcosa.” Si offrì Nicole, ma Bill la interruppe.

“No, prima finiamo il giro. Posso sopravvivere altri dieci minuti.”

Nicole sembrava intenzionata ad insistere, ma Georg si affrettò a prenderla per mano prima che potesse dire altro e condusse tutti quanti al piano superiore.

Vibeke si era logicamente immaginata che quel famoso attico sarebbe stato grande, poiché qualsiasi membro dei Tokio Hotel che si rispettasse era tale solo se privo di qualunque senso della misura (tranne Gustav, ma lui non era che l’eccezione a conferma della regola), ma ogni volta che vedeva una nuova stanza, il suo stupore cresceva esponenzialmente. Non era una cosa eccessiva, era grande quel giusto che ci si aspettava per una famiglia di tre persone che godesse di una a dir poco florida situazione economica, ma ciò che affascinava Vibeke era il modo in cui era stato arredato: sembrava che Georg e Nicole avessero personalmente disegnato i mobili e concepito la loro disposizione per renderli in armonia con le loro personalità.

Quando fu il momento di visitare la camera da letto di Georg e Nicole, Vibeke si sentì quasi intimorita nel varcarne la soglia. Le sembrava di invadere uno spazio molto intimo e personale, anche se di fatto l’unica cosa che sembrasse mai stata usata di quella stanza era il letto, tra le cui lenzuola disfatte giaceva Wilhelm, il peluche preferito di Emily. Vibeke intuì che lei due Sandberg dovevano aver dormito lì, quella notte. Tuttavia non fu quello che la catturò veramente.

C’era un caminetto di fronte al letto, a diversi metri di distanza, sulla cui ampia mensola di scuro legno massiccio erano già state sistemate diverse cornici, le cui fotografie attirarono immediatamente la curiosità di Vibeke. Fu subito la prima sulla destra a colpirla: una semplice bordatura d’argento custodiva quattro persone che sorridevano all’obiettivo. Una giovane donna dal viso rotondo costellato di piccole efelidi, i corti capelli di un bel biondo rossiccio, con incredibili occhi verdi, teneva in braccio una bambina che non sembrava abbastanza grande per saper camminare, due luminosi occhi cerulei a luccicarle sul viso paffuto, i capelli rossi e scuri raccolti in due piccoli codini in cima alla testa. Accanto a loro, un braccio che avvolgeva le spalle della donna, c’era un uomo biondo dall’espressione gentile che teneva sulle spalle un’altra bambina, di parecchi anni più grande dell’altra, identica al padre, nei cui occhi blu brillava una luce pestifera. Sullo sfondo, prati e colline smeraldini a non finire. Non serviva una gran fantasia per capire chi fossero quelle persone.

La famiglia Sandberg, pensò Vibeke tristemente, studiando quella piccolissima Nicole che si beava in braccio alla madre.

Rimase pietrificata di fronte a quell’immagine così fuori dal tempo e dallo spazio, rapita da quei quattro sorrisi così veri e sereni da consumarla di invidia. Nessuna delle foto di famiglia che lei avesse mai fatto con i propri genitori somigliava a quella, anche solo lontanamente. Le ricordava ancora, chiuse nei pochi album ordinatamente riposti nella libreria, rigidi ritratti di una coppia senza amore e due bambini infelici.

Ma quella che aveva davanti, invece, era una famiglia vera, unita, una famiglia palesemente felice.

Una famiglia che non c’era più.

Che diritto hai di essere gelosa di lei?, si riprese Vibeke, vergognandosi. I suoi genitori sono morti, tu hai solo una madre stronza. Lei si merita molto più di te di essere felice.

Guardò anche le altre foto, senza però riuscire ad accantonare del tutto quel fastidioso rimescolio rodente che le attanagliava lo stomaco. Erano una decina in tutto, e a parte tre di esse (il ritratto di famiglia, la fotografia di una Nicole adolescente in camice d’ospedale che reggeva orgogliosamente un fagottino rosa dai radi capelli così biondi da sembrare bianchi, e un altro scatto in cui madre e figlia posavano in un elegante salotto moderno con una giovane coppia ed un neonato), Georg appariva in tutte: da solo con Nicole, o con Emily, o con entrambe, o ancora con i Tokio Hotel al gran completo, e addirittura con un nutrito gruppo di persone, tra cui Vibeke riconobbe Benjamin, che immaginò costituisse la troupe dei ragazzi.

Chissà, pensò distrattamente, forse un giorno ci sarò anch’io…

Dopo aver visto tutte quelle fotografie piene di affetto, a Vibeke venne un’improvvisa fitta di nostalgia per BJ. Lui le aveva praticamente ordinato di farsi quella capatina a Lipsia perché le avrebbe fatto bene, ma ora, mentre passavano alla stanza successiva, aveva solo voglia di vedere suo fratello.

“Quattro camere da letto con bagno!” stava esclamando Bill, deliziato. “È fantastico, ma cosa ve ne fate delle due che vi avanzano? Una è per gli ospiti, ma l’altra?”

Georg sorrise in modo strano, a metà tra l’imbarazzato e lo speranzoso.

“L’altra è per…” Tentennò, cercando lo sguardo di Nicole, ma lei teneva gli occhi inchiodati a terra, le guance più rosee del normale. “Be’, non si sa mai.”

Vibeke, come sicuramente anche gli altri, sapeva benissimo cosa significasse quel ‘Non si sa mai’: la quarta stanza era riservata agli eventuali bambini che un giorno sarebbero potuti nascere.

“Bene,” esordì Nicole, fattasi improvvisamente più vivace.“Se il giro è finito, vado a preparare uno spuntino, che ne dite? Ho fatto qualcosina ieri sera.”

Bill e Tom annuirono, ma lei e Gustav si scambiarono un’occhiatina d’intesa nel vedere il sorriso di Georg affievolirsi visibilmente.

A Vibeke questo atteggiamento da parte di Nicole non andò giù. Non tollerava che si prendesse il lusso di svilire Georg in quel modo e cavarsela senza conseguenze. Eppure, nonostante quel fastidio, non riusciva a non sentirsi intimidita da lei.

È ridicolo, pensò corrucciata, è più piccola di me, perché mai dovrei sentirmi intimidita da lei?

Gli altri scesero, mentre lei e Gustav, un po’ per caso, un po’ volontariamente, rimasero indietro. Lui la squadrò per qualche istante prima di parlare:

“Allora, qual è il problema?”

“Di cosa stai parlando?”

Gustav la guardò storto, facendole capire che non era disposto ad assecondare i suoi diversivi.

“Sei stata brillante per tutto il viaggio,” le disse. “Perché adesso sei così taciturna?”

Di fronte al suo insistente sguardo inquisitore, Vibeke fu costretta a cedere.

“È una cosa stupida…”

“Sentiamola, questa cosa stupida.”

Vibeke si vergognava non poco di quello che stava per dire.

“Giurami che non lo dirai a Georg.” Ordinò a Gustav.

Lui inarcò le sopracciglia, sorpreso.

“Ha a che fare con lui?”

Vibeke sospirò. Era davvero imbarazzante.

“No,” Si appoggiò con una spalla al muro, rassegnata. “È Nicole.”

Per un momento Gustav si lasciò prendere dallo stupore.

“Nicole?” scandì, perplesso.

Mordicchiandosi il labbro, Vibeke annuì mesta.

“Mi mette in soggezione.”

Tanto per gettare acqua sul fuoco e farla sentire ancora più sciocca, Gustav scoppiò a ridere.

Nicole mette in soggezione te? Nicole Sandberg? La nostra Nicole?”

“Vorrei tanto che la piantaste di chiamarla ‘la nostra Nicole’, tutti quanti.”

“Sei gelosa?” la stuzzicò lui.

Lei inorridì.

“Ma figurati!”

“Tu sei gelosa di Nicole!” ripeté Gustav, sempre più convinto e divertito.

“Non è vero!” sibilò lei, disperata. “E abbassa la voce, maledizione!”

Incurante della sua indignazione, Gustav continuò a ridere, fino a che non gli si inumidirono gli occhi.

“Bee, anche se fosse vero,” le disse, tornando serio. “Sarebbe inutile. Siete due persone completamente diverse, non puoi mettere lei e te sullo stesso piano.”

Vibeke stava già domandandosi se quella fosse una maniera carina per dirle che Nicole contava di più perché la conoscevano da più tempo, quando Gustav la precedette:

“Lei è la nostra Nicole,” aggiunse con un sorriso. “Come tu sei la nostra Vibeke.”

Lei lo fissò interdetta, come stordita da quella frase che le suonava così assurdamente bella.

“Io sono la vostra Vibeke?” balbettò.

Gustav si limitò a sollevare le spalle.

“Mi pareva scontato.”

Le palpitazioni del cuore di Vibeke avevano preso uno strano ritmo accelerato, ma lei era troppo presa ad adorare ogni singola sillaba di quello che Gustav le aveva appena detto per preoccuparsene.

“Gud, chiedimi quanto ti amo.”

“Quanto mi ami?” le chiese Gustav obbediente, sorridendo sornione.

“Tanto così!” esclamò lei, spalancando le braccia, e se lo strinse energicamente tra le braccia, guancia a guancia.

Non le importava niente se era patetico e puerile: era pazza di quei ragazzi, e niente e nessuno le avrebbe mai fatto cambiare idea.

“Vi siete persi, voi due?” gridò la voce di Bill dal piano di sotto.

“Stiamo arrivando!” urlò Vibeke, sciogliendo l’abbraccio.

Gustav stava già cominciando a scendere, quando lei percepì la vibrazione del proprio cellulare nella tasca posteriore dei jeans.

“Vi raggiungo subito,” avvertì Gustav. “Mi stanno chiamando.” Gli spiegò, tirando fuori il cellulare. Guardò il display, ma la chiamata era anonima.

“Pronto?”

“Hei, liten søster!” (“Ciao, sorellina!”)

“Bror!” rispose briosa, riconoscendo all’istante la voce un po’ roca ma sempre allegra di BJ. “Hei!” (“Fratello! Ciao!”)

“Lo sai che ti sto chiamando dal telefono a gettoni del reparto?” esclamò eccitato. “È pazzesco, la gente usava davvero questi cosi, una volta!”

A Vibeke faceva piacere che avesse chiamato, soprattutto perché non erano passati che pochi minuti da quando aveva desiderato sentirlo. La storia della telepatia tra gemelli non era del tutto campata per aria, a volte Vibeke, anche a chilometri di distanza, provava davvero le stesse cose che provava BJ, o avvertiva che qualcosa non andava, e viceversa, ma raramente la gente credeva a quel tipo di cose.

“Veramente la gente li usa ancora,” lo informò. “Sai, quei poveri sfigati che non si possono permettere il tuo Blackberry…”

“Come va, lì?” le chiese lui, senza darle retta. “Tutto bene?”

“Questa è una domanda che dovrei farti io.”

“Oh, sì, tutto a posto,” fece lui, sbrigativo. “Sono su una sedia a rotelle e se mi alzo, mi hanno minacciato di legarmi al letto – possono farlo, ho visto le cinghie – ma la morfina è un’invenzione grandiosa, la adoro! E poi – indovina! – sono arrivati un sacco di regali e fiori da parte dei miei fans! Ho la camera sommersa!”

Vibeke non faticava ad immaginarsi la scena. Aveva visto molte volte lo stato in cui versavano abitualmente i camerini di BJ, e se solo lui avesse voluto vendere tutta la roba che gli veniva regalata, avrebbe potuto arrotondare di un paio di migliaia di euro mensili i propri già considerevoli introiti.

“Ti hanno mandato molti dolci?” gli chiese nel tono più casuale possibile.

“Sì!” rispose subito BJ, ma poi l’eloquente mezzo secondo di silenzio di Vibeke gli fece cambiare idea. “Cioè, no!” rettificò subito. “Volevo dire no! Niente dolci!”

Un giorno ti insegnerò a mentire, si ripromise Vibeke, volgendo lo sguardo al cielo.

“La senti, fratello?”

“Che cosa?”

“L’essenza di puro scetticismo che trasuda dalla mia voce.”

BJ sbuffò annoiato, e Vibeke ritenne che fosse meglio non tirare troppo la corda, per evitare qualsiasi problema, viste soprattutto le delicate condizioni fisiche del proprio fratello.

“Dimmi di te, piuttosto!” la spronò BJ, facendosi interessato.

“Cosa ti dovrei dire?”

“Con te non si riesce mai a conversare decentemente, bisogna sempre cavarti le cose di bocca!” si lamentò lui, schioccando la lingua con disappunto. “Raccontami un po’ tutto quanto… Avete fatto un buon viaggio? Come’è l’appartamento? E con Tom come va?”

Forse era solo un’impressione di Vibeke, ma in un modo o nell’altro si andava sempre a parare lì, con chiunque lei parlasse: Tom. Sempre e solo Tom. Non c’era da stupirsi che lui si credesse il centro dell’universo.

“Abbiamo litigato per tutto il tragitto.” Gli rivelò, asciutta.

“Ci credo,” esclamò BJ. “Sono due giorni che non fate sesso!”

Per poco Vibeke non si soffocò con la propria saliva.

“Cosa diavolo ne sai tu?” biascicò, tra un colpo di tosse a l’altro.

“Me l’ha detto Bill.” Disse BJ, con un tono indecentemente malizioso.

“E Bill come…?” iniziò a chiedersi lei, ma poi si fermò a metà. Pensò che se lo sarebbe dovuta aspettare: in quella casa la privacy era un concetto inesistente, tutti si facevano gli affari di tutti, e non c’era verso di tenere dei segreti, perché prima o poi, con o senza consenso, venivano comunque intuiti. “No, lascia stare, non voglio saperlo.”

“Hai fatto qualche progresso con Nicole?”

“Oh, sì, moltissimi!”

“Davvero?”

“No,” confessò Vibeke, scoraggiata. “Anzi, poco fa ero seriamente tentata di prenderla a schiaffi.”

“Bee, dai!,” la ammonì BJ. “È una ragazza deliziosa, non puoi continuare a detestarla solo perché sta con Georg. Quando Gustav ti presenterà la sua ragazza cosa farai? La truciderai al suo cospetto?”

“Primo, all’eventuale tête-a-tête con la ragazza di Gud penserò quando e se sarà il momento…”

“Povera ragazza, che ingrato destino…” sospirò BJ.

“Mentre per quanto riguarda Nicole, non la detesto,” mise in chiaro. “Ma detesto certi suoi comportamenti.”

“Tipo?”

“Georg è innamorato perso di lei, fa di tutto per ricordarglielo in ogni momento, e lei continua a fare quella che non ci vuole credere fino in fondo! E nessuno le dice niente, perché, no, lei è la loro adorata Nicole, non sbaglia mai!”

“Allora diglielo tu,” replicò BJ tranquillo. “Parlale tu, se loro non ci riescono. Faresti un favore a lei, a Georg, e anche a te stessa.”

Vibeke si mordicchiò un’unghia. Sembrava una buona idea, ma lei non era mai stata un asso nel dire le cose nel modo giusto.

“Lo sai che non ho tatto nel trattare certi argomenti.”

“Bee, sinceramente… In che cosa hai tatto?”

“Føkk deg, bror!” (“Fottiti, fratello!”)

“Jeg ønsker deg det beste også, søster!” contraccambiò BJ soave. (“Ti voglio bene anch’io, sorella!”)

“Ja, ja, jeg kjenner til det.” gli diede corda lei, ridendo. (“Sì, sì,lo so.”)

“Adesso devo andare, sto per finire la moneta,” annunciò BJ. “Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto.”

“Tutto a posto. Domani mattina passo a trovarti, ok?”

“D’accordo, cercherò di nascondere al meglio tutte le leccornie che mi hanno mandato.”

“Non ci provare, o chiamo e ti faccio legare al letto sul serio!”

“Va bene, va bene, farò il bravo.”

“A domani, allora.” Lo salutò, già sapendo che, quando fosse andata a trovarlo, avrebbe dovuto perquisire la stanza.

“A domani,” ricambiò lui. “E fai sesso con Tom appena puoi, mi raccomando.”

Vibeke chiuse la chiamata con un sorriso spensierato. Sarebbe stata persa, senza il suo BJ.

Quando arrivò in cucina, trovò tutti già riuniti attorno all’enorme bancone centrale, letteralmente invaso di stuzzichini di ogni sorta. Nicole doveva averci messo ore a preparare tutta quella roba.

I ragazzi mangiavano con gusto, chiacchierando e ridendo tra loro,come al solito. Vibeke avrebbe solo voluto che la lei di qualche mese prima avesse potuto vedere quella scena, per potersi dare della stupida da sola per aver pensato che quei quattro fossero solo dei montati che pensavano solo ai soldi e alla notorietà. Ora non aspettava altro che il momento in cui li avrebbe finalmente visti esibirsi dal vivo, su un palcoscenico, davanti a migliaia di fans. Li aveva conosciuti ed amati per come erano a riflettori spenti, dietro le quinte a sipario calato, e voleva anche conoscere l’altra metà di loro, quella da star mondiali, ma da qualche parte nella sua testa era viva e presente la consapevolezza che quella metà potesse non piacerle.

Il pubblico e le telecamere cambiavano tutti, e sempre in peggio, e se non c’era cambiamento visibile, allora c’era un trucco da qualche parte. Chiunque risultava diverso, in veste pubblica.

Lo saranno anche loro, rifletté Vibeke, un po’ preoccupata, ma quanto?

Ebbe un flash di Tom che flirtava con un manipolo di ragazze esagitate a cui stava firmando degli autografi, e la sensazione che quest’immagine le lasciò fu di intenso e spiacevole disagio. Per quanto le fosse cosa ben poco gradita, anche quello era Tom, in fondo. Uno dei tanti Tom che convivevano nella stessa persona.

“Vi, ti conviene darti una mossa, se vuoi mangiare qualcosa,” la chiamò la voce di Tom, risvegliandola dalla sua trance. “Bill ha già fatto sparire sei tramezzini!”

“Sette.” Mugugnò Bill, le guance piene come quelle di un criceto e un ottavo tramezzino già pronto in mano.

Vibeke si avvicinò al tavolo e tutti si fecero un po’ da parte per farle spazio.

Lei si accorse subito che l’atmosfera era sensibilmente diversa rispetto alla prima volta in cui si era trovata in quella situazione. Forse era perché, in quelle poche settimane, il suo punto di vista era notevolmente cambiato, o forse non era il suo punto di vista ad essere cambiato, ma tutto il resto.

“Ditemi cosa posso mangiare,” li pregò, occhieggiando avidamente un piatto di focaccine dall’aspetto invitante.

“Quasi tutto,” le rispose Nicole. “Il vassoio grande in mezzo è quello con i panini al prosciutto e al salame, ma il resto è tutto a prova di vegetariano.”

Vibeke la ringraziò, prese il piatto che Gustav le aveva appena passato e si servì di un po’ di tutto, inspirando la fragranza di pane tostato che proveniva dai tramezzini.

Era tutto inconcepibilmente perfetto, proprio come Nicole: una ragazza perfetta, una compagna perfetta, una madre perfetta, un’amica perfetta…

Perfetta, perfetta, perfetta…, cantilenò capricciosamente una voce dentro di lei.

Ma Vibeke, guardando Nicole che prendeva Emily in braccio e la aiutava a mangiare una tartina alle olive senza sporcarsi, si rese conto per la prima volta che quello doveva essere il suo modo di tenersi in piedi, di affrontare la vita. Forse, semplicemente, non aveva avuto scelta.

Ci voleva un bel fegato a tirare su da sola una bambina, per una ragazza così giovane, e Vibeke non poteva non ammettere che lei, personalmente, non sarebbe mai stata abbastanza forte da riuscirci.

“Che buona questa roba!” si complimentò dopo il terzo morso di focaccia. “Io sono negata in cucina.”

“Fidati, lo è davvero.” Confermò Tom, senza essere interpellato.

“Grazie, Kaulitz.” Mormorò lei cupamente.

Per tutta risposta, Tom sollevò il bicchiere di aranciata che aveva accanto e le rivolse uno di quei suoi sorrisetti sfrontati.

“Di niente, Vi.”

Ti odio, ti odio, ti odio, imprecò Vibeke nella propria testa, rispondendogli con una smorfia. Se solo tu non fossi così detestabilmente meraviglioso…

E Tom continuava a fissarla con quell’espressione irriverente, come se sapesse esattamente cosa lei stesse pensando, e più Vibeke gli diceva ‘Ti odio!’, più, quasi inconsciamente, in realtà si convinceva dell’esatto contrario.

Alla fine, un boccone dopo l’altro, lo spuntino divenne pranzo e quasi non rimasero nemmeno le briciole, così alle due, sazi e riposati, cominciarono a darsi da fare con la sistemazione dell’appartamento. Nicole aveva già pensato personalmente ad occuparsi del piano inferiore il giorno precedente, ma ora ai ragazzi spettava il compito di trasportare al piano superiore gli scatoloni più pesanti. Bill, però, aveva serie difficoltà a sollevare le cose che superavano i dieci chili di peso, così Vibeke si fece spontaneamente carico di tutto il lavoro da uomini che sarebbe toccato a lui.

“Così non vale, però!” protestò Tom, mentre assieme a lei portava di sopra uno scatolone particolarmente grosso. “Con la scusa che non ha muscoli, lui non sta facendo praticamente niente!”

“Sei tu il primo ad accusarlo sempre di non saper fare niente!”

“Se mai inizia da qualche parte, mai imparerà!”

Vibeke emise un rantolo paziente, facendo attenzione all’ultimo gradino, poi Georg le comparve accanto, facendole cenno di lasciar fare a lui.

“Ci pensiamo io e Gustav a questi così grandi,” disse, mentre lo appoggiavano a terra. “Voi prendete gli altri.”

“Hey, Georg,” La testa di Gustav fece capolino dalla una delle stanze in fondo al corridoio. “Ci siamo scordati di portare su la roba che hai portato da Amburgo.”

“Merda, è vero!”

“Dammi le chiavi, Tom,” disse Bill, apparendo accanto a Gustav. “Vado io.”

“Tu?!” si stupirono quattro voci in coro.

“Be’,” Bill mostrò la punta della lingua tra le labbra. “Ho voglia di una sigaretta,” confessò. “Quindi già che sono giù a prendere lo scatolone…”

“Tu non prendi proprio niente,” obiettò Georg. “Non riusciresti nemmeno a toglierlo dal bagagliaio, e ti giuro che se rompi qualcosa –”

“Gli do una mano io,” disse Tom, aggiustandosi la fascia bianca sulla fronte, mentre tutti lo guardavano proprio come avevano appena guardato Bill. “Serve anche a me una sigaretta.” Si giustificò, incrociando brevemente la traiettoria visiva di Vibeke, per poi voltarsi subito altrove.

Lei sorrise fra sé e sé. Sapeva cosa aveva in mente.

Bravo, Kaulitz.

 

***

 

Bill era relativamente silenzioso, quel giorno, anche se nessuno, a parte chi lo conosceva bene, lo avrebbe detto.

Tom aveva notato che aveva cercato di tenersi lontano da lui per tutta la settimana, ma ogni volta che aveva avuto intenzione di parlargli, era sempre capitato qualcosa che glielo aveva impedito. Quando poco prima gli si era presentata l’occasione di restare solo con lui, la aveva colta al volo, anche perché, in qualunque caso, Bill non sarebbe mai riuscito a portare su le cose di Georg da solo.

Appena usciti dal portone, Bill si andò a sedere sul muretto in mattoni beige che circondava una delle aiuole e si tirò fuori un pacchetto di sigarette tutto ammaccato dalla giacca. Ne prese una e se la infilò tra le labbra, poi allungò svogliatamente il pacchetto verso Tom.

“Vuoi?”

Tom scosse la testa.

“No, grazie.”

Imperturbabile, Bill ricacciò il pacchetto nella tasca e si frugò nell’altra alla ricerca dell’accendino.

“Bill, senti,” Tom gli si avvicinò e gli sedette affianco. “Lo so che ultimamente ti ho un po’ trascurato.”

Bill non diede segno di volergli dare retta. Continuò a cercare l’accendino, ma senza successo. Alla fine, masticando un’imprecazione, si decise a voltarsi verso Tom.

“Non voglio farti scenate di gelosia,” gli disse pacato. “Siamo grandi, ormai, non dovremmo più dipendere l’uno dall’altro.”

Questa dichiarazione lasciò Tom piuttosto spiazzato.

“Io e te siamo la stessa persona!” affermò contrariato. “Noi siamo dipendenti l’uno dall’altro, e lo saremo sempre, non potrebbe essere altrimenti!”

Finalmente la maschera di impassibilità di Bill vacillò, incrinata da un sorriso sbilenco.

“Meno male che ogni tanto lo ammetti.”

Tom si lasciò contagiare dal sorriso, e Bill, dimentico della sigaretta che ora reggeva in mano, lo scrutò intensamente.

“Com’è?” gli chiese ad un tratto, riferendosi a chissà cosa.

“Com’è cosa?”

“Vibeke,” specificò Bill, le orecchie che gli si tingevano di rosso. “A letto, com’è? Brava?”

Tom non capiva cosa diamine stesse succedendo. Non era da Bill interessarsi alle sue faccende passionali.

“Ma cosa –?”

“Lo fate spesso?”

“Dio, Bill, piantala, per pietà, mi fa impressione parlare di sesso con te!” sbottò Tom, a disagio.

“Grazie!” Umiliato, Bill si fece scorbuticamente in là. “Mi fa piacere che tu abbia tutta questa stima di me!”

Tom si sarebbe rimangiato tutto, potendo. Bill magari non era un campione di mascolinità, ma lui non aveva nessun diritto di trattarlo così.

“Scusami,” gli disse, sinceramente pentito. “È solo che tu ed io non abbiamo quasi mai parlato seriamente di sesso.”

“Cercavo solo di comunicare con te nella tua lingua.” Sussurrò lui.

“La mia lingua?” Tom era esterrefatto. Diceva sul serio? “Quando mai io e te abbiamo parlato lingue diverse?”

Nessuna risposta.

Sei la solita drama queen, borbottò mentalmente, scivolandogli più vicino.

“Io e te dobbiamo parlare, Bill.”

Bill gli gettò uno sguardo in tralice senza troppa fiducia.

“Nel senso che, come al solito, io dico qualcosa e tu fai finta di ascoltare e rispondi a vaghezze?”

“No,” promise Tom. “Nel senso che parliamo tutti e due e ascoltiamo tutti e due, e niente vaghezze, stavolta.”

Gli occhi di Bill si sgranarono nello stesso momento in cui sulla sua bocca si disegnava un ampio sorriso.

“Accidenti, credevo fosse una cosa seria, ma non così tanto…”

“Intendi me e Vi?”

“L’hai detto ad alta voce!” Bill si portò entrambe le mani alla bocca dallo stupore. “Tom, l’hai detto!”

Tom si immobilizzò, stupito a sua volta.

L’ho detto.

L’aveva detto. L’aveva detto davvero. Ad alta voce. Senza pensarci.

Io e Vi… L’ho detto.

Sembrava incredibile

L’ho detto, cazzo!

“Be’…” Tom pregò di non stare arrossendo. Lui non arrossiva mai, non lo aveva mai fatto, ma se mai gli doveva capitare, quello era un buon momento. “Credo sia ora che mi ci abitui, sai…”

“Vibeke mi piace,” disse Bill, giocherellando con un filo d’erba. “Mi piace tanto. Non credevo esistesse una ragazza che potesse andare a genio sia a me che a te.”

“Vi ti vuole bene,” gli disse Tom, rendendosene veramente conto solo mentre pronunciava ciascuna parola. “Sa come prenderti, come sopportare i tuoi capricci…” Bill alzò gli occhi su di lui. “Per me è importante,” proseguì. “Perché niente è più importante di te.”

Bill si sciolse in un sorriso pieno di affetto, e Tom rivide il suo fratellino che alle elementari lo implorava di fare cambio con le merendine, ringraziandolo con quella stessa identica espressione

Era il suo Bill, l’unica certezza su cui sapeva che avrebbe sempre potuto contare, e non sarebbe mai passato giorno senza che lui ringraziasse chiunque gli avesse fatto l’impagabile dono del proprio gemello.

“Allora,” fece Bill, saltando in piedi. “Cos’è che dovevamo prendere?”

“La roba di Georg.” Rispose Tom, imitandolo.

“Sì, giusto.”

Bill, la sigaretta ancora tra le dita, si avviò verso la Cadillac, posteggiata una ventina di metri più in là.

“Bill?” lo richiamò Tom, fermo dov’era. Lui si voltò.

“Mmh?”

Tom stavolta non si preoccupò di passare per un sentimentalista: sorrise a Bill direttamente dal cuore.

“Ti voglio bene.”

E Bill, che non era capace di nascondere le emozioni, non poté fare altro che rispecchiare quello stesso sorriso.

“Ti voglio bene anch’io, Tomi.”

 

***

 

Agli occhi di Vibeke il guardaroba di Nicole appariva esageratamente sobrio e semplice. Da un lato era consapevole di avere dei gusti molto particolari ed appariscenti, ma dall’altro non capiva perché una ragazza carina come Nicole dovesse comprare vestiti che sembravano essere stati cuciti per far passare inosservato chi li portava. Non che credesse che Nicole potesse passare inosservata, anche con l’abbigliamento più anonimo del mondo, ma non vedeva il senso di tutti quegli abiti così poveri di personalità. Di capi interessanti ce n’erano pochi, ma quei pochi se non altro denotavano un certo buongusto.

“Ecco qui,” disse Nicole, facendo il proprio ingresso nella stanza con l’ultimo scatolone. “I ragazzi sono di là a sistemare la libreria, se preferisci aiutare loro –”

“No,” rispose Vibeke, riponendo una pila di magliette sul letto. “Se la possono cavare da soli, soprattutto sotto la supervisione di Emily.”

Nicole rise.

“Già.”

Erano sole, per la prima volta in tutto il pomeriggio, e sulla punta della lingua di Vibeke c’era un intero discorso che premeva per uscire. Non sarebbe stato piacevole, forse, ma non era mai stata capace di tacere sulle questioni che le stavano a cuore.

“Nicole…” Prese un respiro profondo e si fece coraggio. “Possiamo fare due chiacchiere da donna a donna?”

Dopo una momentanea esitazione disorientata, Nicole assentì.

“Certo.”

Vibeke spostò qualche maglietta e si sedette, facendo cenno a Nicole di fare lo stesso.

“È un po’ che osservo il modo in cui ti comporti con Georg,” cominciò, scegliendo accuratamente i termini. “E qualche volta… Non so, ho la sensazione che tu viva nel terrore che da un giorno all’altro lui ti pianti in asso,” Le lanciò un’occhiata di sbieco, ma lei non si mosse di un millimetro. “Sbaglio?”

Fissandosi le mani mestamente giunte in grembo, Nicole si intristì ed esalò un sospiro contrito.

“Non di molto.”

Lo ammetteva, era già un inizio. Il difficile sarebbe stato il resto.

Ricordati il tatto, Vibeke.

“Lo so che non è affar mio, ma...” No, non c’era un modo per dirlo con tatto. “Dovresti smetterla con questi tentennamenti,” la pregò. “Possibile che tu non ti renda conto di quanto tu ferisca Georg, comportandoti così?” Lasciò una breve pausa per permettere a Nicole di metabolizzare quanto le stava dicendo. “Hai l’immensa fortuna di essere innamorata di qualcuno che ti ama a sua volta e più di qualunque altra cosa… Dov’è il problema, si può sapere? Insomma, hai per le mani il libidinoso bassista dei Tokio Hotel, una meta ambita da centinaia di migliaia di ragazze, approfitta di ogni cazzo di secondo! Qualsiasi altra al posto tuo se ne andrebbe in giro ad esibirlo come un trofeo e lo sfrutterebbe a proprio uso e consumo, e tu invece stai a perdere tempo con chissà che seghe mentali!”

Nicole pareva congelata in se stessa, paralizzata in quella posa piena di rimorso.

Parlavamo di tatto?, si intromise l’ironica mente di Vibeke.

“Hai ragione,” riconobbe Nicole. “Avete tutti ragione, lui per primo,” Si prese il volto tra le mani, appoggiandosi con i gomiti alle ginocchia. “Sono insopportabile, certe volte, me ne rendo conto,” Il suo tono era così sommesso e dispiaciuto da far quasi pentire Vibeke di aver voluto aprir bocca. “È solo che… Quando sei abituata a dover faticare per avere il minimo necessario a sopravvivere, va a finire che poi non sei più in grado di fidarti quando ti capita qualcosa di bello e di… Gratuito,” Si passò una mano tra i capelli, inumidendosi le labbra mentre gli occhi si facevano lucidi. “Ti aspetti sempre di dover pagare, prima o poi, non riesci a lasciarti andare del tutto per la paura che da un momento all’altro ti venga presentato il conto… Se tutto diventa troppo bello e facile, cominci a chiederti sempre dove sia la fregatura.”

Vibeke era impressionata, e non poco. Che Nicole fosse una ragazza matura ed indipendente era sempre stato chiaro, non ne aveva mai dubitato, ma che quella maturità nascondesse una tale paura, e per di più così giustificata, non lo avrebbe mai potuto immaginare. Si era sempre limitata a giudicarla in relazione al suo rapporto con Georg, senza mai porsi il problema degli eventuali fattori che potessero esserci a monte delle sue incertezze.

“E tu ti stai ancora chiedendo dove sia la fregatura, con Georg?” si domandò, cominciando a capire moltissime cose che finora aveva deplorabilmente ignorato.

“Be’, ammettiamolo,” Nicole sforzò un mezzo sorriso. “Siamo un’accoppiata abbastanza improbabile. È troppo bello per essere vero.”

“Solo perché hai una figlia?”

“Ogni tanto mi chiedo se sia davvero giusto stare con lui, se io non gli stia portando via qualcosa…”

Ecco, pensò Vibeke, colpita, qui sta la differenza più grande tra me e lei.

La maggiore preoccupazione di Vibeke era sempre stata quella di preservare se stessa, di proteggersi da eventuali minacce ed evitare di farsi ferire dalla gente, di non farsi sottrarre niente che le appartenesse di diritto. Nicole invece era l’esatto opposto: era una giovanissima ragazza madre orfana con una figlia piccola a carico che, per qualche fortunato gioco del destino, aveva incontrato Georg Listing dei Tokio Hotel e lo aveva fatto innamorare, innamorandosene a sua volta, e lei non si preoccupava affatto dei propri problemi. No, lei si preoccupava soltanto del fatto che Georg potesse rinunciare a troppe cose per stare con lei.

Vibeke aveva sottovalutato le ragioni delle insicurezze di Nicole, ma parlarle le era stato utile: si era tolta una fastidiosa spina di pregiudizio. Nicole non meritava l’astio di nessuno. Meritava solo di essere felice, e, per sua fortuna, la felicità aveva già bussato alla sua porta da un pezzo.

“Lascia perdere i dubbi,” la incoraggiò. “Se gli mancasse qualcosa, se si sentisse insoddisfatto, Georg non farebbe finta di niente. Non ti dico di metterti a fare la donna compiaciuta che se la tira perché il suo uomo è figo e ricco e celebre, ma goditi questa cosa, o andrà a finire che rovinerai una storia nata per essere perfetta,” Le sorrise. “Credimi, l’unica cosa che gli hai portato via è il cuore. Fidati di lui e di quello che avete.”

“È solo che lui potrebbe avere tutto, qualunque cosa, qualunque ragazza…” razionalizzò Nicole. “E invece sta con una ragazza madre che se gli va bene vede una volta al mese.”

“Capisco questi tuoi dubbi,” interloquì Vibeke gentilmente. “Ma ormai conosco Georg, e se c’è una cosa che so con assoluta certezza è che farebbe a meno di tutto – tutto, Nicole – ma non di te e di Emily. Credo che tu gli stia facendo molto male, comportandoti così. Lui ti darebbe l’anima,” le ricordò, con una punta di rimprovero. “E tu non sei nemmeno disposta a dargli la tua fiducia.”

Nicole non si mosse. Il suo sguardo era posato su una maglietta azzurra che giaceva un po’ sciupata accanto a lei. La sfiorò con la punta delle dita, quasi riverenzialmente. Sembrava troppo grande per essere sua.

Le sue labbra si aprirono in un debole sorriso acquoso mentre tornava a guardare Vibeke.

“Io lo amo.”

Il cuore di Vibeke fu attraversato da una specie di formicolio indefinibile. Erano tre semplici parole con un suono straordinario. E lei non era il genere di persona a cui capitava di sentirsi veramente felice per gli altri, ma questa volta lo era. Per Georg e per Nicole, e anche per la piccola Emily, perché sapeva cosa significava essere abbandonati da un genitore naturale ed avere la fortuna di trovarne uno acquisito infinitamente migliore.

“Lo so,” replicò comprensiva. “Si vede. Quindi fa’ un favore a tutti quanti: fuori le palle, cazzuta e decisa, manda al diavolo tutti i bastardi che ti hanno resa così diffidente e goditi quest’amore, finalmente.”

Nicole scoppiò in una risatina sommessa.

“I ragazzi hanno ragione,” le disse. “Sei dinamite allo stato puro.”

Lo prenderò come un complimento, decise Vibeke, lusingata, però, del fatto che i ragazzi le avessero parlato di lei,

“Sì, be’, ogni tanto esagero, lo ammetto,” si schermì. “Anzi, magari sono stata un po’ brusca…”

“Credo che mi servisse che qualcuno mi desse una bella scossa,” disse Nicole. “Lo so che divento patetica, qualche volta.”

A questo punto della conversazione, c’era un’ultima cosa che a Vibeke sembrava doveroso fare.

“Devo chiederti scusa, Nicole,” mormorò tutto d’un fiato. “Mi ero fatta un’idea del tutto sbagliata su di te.”

“Cosa vuoi dire?”

“Be’, quando sei arrivata mi sei sembrata così bella e buona, così… Perfetta. Tutti ti adoravano, tutti pendevano dalle tue labbra… Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello che tu ti meritassi veramente tutte quelle attenzioni.”

Nicole le sorrise impacciata.

“Checché ne dica la gente, non è sempre la prima impressione quella che conta.”

“Sì, be’, quello che mi ha dato più fastidio è che io in genere sono la predicatrice antisuperficialità per eccellenza, e invece stavolta ho razzolato proprio male.”

Nicole incurantemente scosse la testa.

“Ammetto che la tua freddezza mi ha lasciata parecchio spiazzata,” disse. “Non riuscivo a capire cosa avessi fatto per darti tanto fastidio, ma forse era solo una cosa che sentivi a pelle…”

“No, è stato per un motivo ancora più stupido,” confessò Vibeke, lisciandosi una ciocca di capelli sulla spalla. “Vedi, credo di essere stata un po’ invidiosa di te.”

Tu?” Nicole spalancò la bocca incredula. “Invidiosa di me?”

“Sì,” Ribadì Vibeke. “Forse tu non te ne rendi conto, ma hai la capacità di farti amare immediatamente, e in assoluta spontaneità. Il mio carattere ruvido e spinoso invece mi rende una persona estremamente difficile da avvicinare, figuriamoci poi da amare. Tu sei esattamente come Bill: ti basta un sorriso, e hai tutti ai tuoi piedi. Ed era questo che all’inizio mi irritava: credevo che fossi una piccola riccastra snob che era misteriosamente riuscita ad accalappiarsi il bel rocker di fama planetaria. Sai, stile Paris Hilton…”

Vibeke non era mai stata così logorroica in vita sua. Una volta esternato un pensiero, gli altri si erano susseguiti uno dopo senza alcun controllo, ma era un bene.

“Poi, però, conoscendoti,” continuò. “Mi sono resa conto del grande abbaglio che mi ero presa. Sei una ragazza forte, determinata, hai lottato duramente per tenere in piedi la tua vita, meriti tutta la stima del mondo. Col senno di adesso, non mi stupisce affatto che Georg sia così innamorato di te. Cazzo, anch’io mi innamorerei di te!”

Nicole rise, visibilmente più rilassata. Il suo sorriso non era affatto posato come Vibeke aveva pensato la prima volta.

“Mi fa piacere che ci siamo chiarite. Nonostante tutto, mi sei sempre piaciuta.”

“Davvero?”

Nicole annuì serenamente.

“Davvero,” confermò. “E ammetto che ero anch’io un po’ invidiosa di te. Non sono mai stata una tosta, e ho sempre ammirato le donne ‘cazzute’, come dici tu.”

“Con quello che hai affrontato, sei molto più cazzuta tu di me e quei quattro messi insieme, credimi.” Le disse Vibeke, riprendendo a tirare fuori i vestiti dagli scatoloni in cui erano stati ordinatamente riposti per il trasloco.

Nicole si alzò in piedi, stringendo la maglietta azzurra tra le mani.

“Grazie, Vibeke.”

“Ah, non dirlo nemmeno,” fece Vibeke, sventolando una mano. “Ora, dimmi, dove va tutta questa roba?”

Ma Nicole era stata distratta da qualcos’altro.

“Cosa ti sei fatta lì?” le domandò, indicandole l’avambraccio.

“Dove?” Vibeke controllò il punto indicato da Nicole e notò che c’era un sottilissimo taglio lungo qualche centimetro vicino al polso. “Oh… Non me n’era accorta.”

“Vado a prenderti qualcosa per disinfettarlo.” Annunciò subito Nicole, ma Vibeke la bloccò:

“No, faccio da me, non ti preoccupare. Dimmi solo dove posso trovare un cerotto.”

“Trovi tutto nell’armadietto del bagno di sotto.”

“Bene,” lasciò cadere a terra lo scatolone vuoto e si diresse verso la porta. “Vado e torno.”

Scendendo le scale, si sentì più leggera che mai. Si era chiarita con Nicole, e l’esito si era rivelato migliore di qualunque sua più rosea previsione.

Ora le mancava solo una cosa per coronare quella giornata quasi perfetta.

 

***

 

Cazzo, ma quante tonnellate di premi abbiamo vinto in otto miseri anni di carriera?!, si stupì Tom, arrancando su per le scale con il pesantissimo pacco tra le braccia. Davanti a lui, Bill saliva disinvolto, portando solamente un mucchietto di CD.

“Tranquillo, Tomi, siamo arrivati. Attento all’ultimo gradino.”

Esausto, Tom depositò scrupolosamente lo scatolone sul pavimento e poi si tirò su, massaggiandosi la schiena indolenzita.

“Quella è la roba di Georg?” domandò la voce di Nicole. Tom la individuò sulla soglia della camera da letto padronale.

“Sì,” ansimò. “Dove va portata?”

“Se non sbaglio Georg voleva appendere tutto nel salotto…”

“Oh, grandioso!”

“Lascia pure tutto qui,” gli disse Nicole. “Ci penserà lui più tardi.”

Tom si guardò attorno e notò che c’era uno strano silenzio.

“Che fine ha fatto Vi?”

“Si è fatta male con qualcosa,” Rispose Nicole. “Dovrebbe essere nel bagno di sotto a cercare dei cerotti.”

Bill gli indirizzò un’occhiata enigmatica, che lui non ebbe alcuna difficoltà a comprendere.

“Vado a vedere cosa sta combinando.” Comunicò, e, senza aspettare risposte, ripercorse le scale a ritroso, diretto verso il bagno. Aveva voglia di parlare con Vibeke.

Hai voglia di Vibeke, lo corresse una vocetta petulante, punto.

Tom bussò alla porta chiusa del bagno.

D’accordo, dovette ammettere, diciamo che ho anche voglia di parlarle.

Vibeke rispose immediatamente:

“Sì?”

“Sei ancora viva, lì dentro?”

“Per tua sfortuna sì, Kaulitz.”

Tom rise fra sé: non si sarebbero mai stancati di punzecchiarsi a vicenda.

“Posso entrare?”

Un attimo di silenzio.

“Entra.” Disse infine Vibeke, e lui entrò, richiudendosi la porta alle spalle.

Lei era di fronte allo specchio e si stava tamponando il lato dell’avambraccio destro con un batuffolo di cotone impregnato di liquido verde.

“Tutto a posto?”

“Sì,” Finito di disinfettarsi, Vibeke gettò il batuffolo nel cestino che era già stato sistemato in un angolo. “È solo un taglietto superficiale, quasi non è uscito sangue.”

Tom si appoggiò di spalle al piano di marmo e la osservò mentre metteva via l’acqua ossigenata e l’ovatta. Aveva un’aria insolitamente calma, rilassata, come se, mentre lui era uscito, si fosse tolta una grossa preoccupazione.

Tom aveva ancora difficoltà a capire cosa provasse di preciso, quando la guardava. Non la sopportava quando cominciava a blaterargli contro perché aveva fatto questo e non aveva fatto quello, e nemmeno quando lo ignorava di proposito per fargli pesare qualche battutina un po’ troppo pesante; la tollerava a stento nei suoi momenti di chiusura totale, quando si presentava con indosso una maglietta rosso fuoco che era tutta un programma, monito esplicito di lasciarla sulle sue per chiunque non avesse voglia di farsi piovere addosso ondate indesiderate di negatività; la sopportava di buon grado quando, senza alcun preavviso, andava da lui mogia e silenziosa e fingeva di avere solo voglia di una sveltina, mentre lui sapeva benissimo che ciò che in realtà cercava era del calore umano, quello stesso calore umano che, tempo addietro, lo aveva accusato di non essere in grado di dare. Ma Vibeke tornava sempre da lui, alla fine, e questo doveva pur significare qualcosa, se non addirittura molto.

O forse tutto.

La adorava quando rideva, perché non aveva mai visto un sorriso così luminoso ed innocente accompagnato a occhi che trasmettevano una stranissima commistione di malizia e malinconia, e il suono della sua risata era diverso da quello della sua voce, più morbido, più fresco, più bambino. Si era accorto di volerle bene – veramente bene – solo quando i ragazzi gli avevano fatto presente che tendeva ad essere lunatico, nei giorni in cui non vedeva Vibeke, ed anche se lui aveva liquidato quella loro supposizione nel suo solito modo sgarbato, intimamente non aveva potuto evitare di prenderne atto.

“Ho parlato con Bill, mentre eravamo giù.” Le disse, infrangendo il breve vuoto che si era venuto a creare.

Vibeke aprì l’armadietto per riporvi le cose, ma gli regalò un piccolo sorriso.

“Lo so.”

“Lo sai?” fece Tom, attonito.

Lei sollevò un sopracciglio.

“Quando mai ti offri di aiutare qualcuno senza secondi fini?”

Tom rise.

Ormai mi conosci, eh?

“Touché.”

“Avete concluso qualcosa?” volle sapere lei.

Lui annuì.

“Direi di sì.”

“E gli hai detto…?”

Tom annuì ancora, compiaciuto.

“Sì.”

“Bravo, Kaulitz,” si congratulò Vibeke, dandogli i soliti colpetti sulla testa. “Sono fiera di te.”

Tom avrebbe fatto tesoro di quel complimento: era raro che Vibeke si sbilanciasse a dire cose carine, almeno con lui.

Scivolò in avanti di una spanna, parandosi di fronte a lei con un sorrisetto furbo pieno di aspettative.

“Mi merito un bacio, non credi?” suggerì, le mani sui suoi fianchi, spingendola contro il piano di marmo con il proprio bacino. Non aspettò responsi inutili, non ne aveva bisogno: percepiva in lei la medesima voglia che sentiva crescere in tutto il proprio corpo. Si chinò ed avvicinò le labbra alle sue, dapprima incontrandole appena – una, due, tre volte – poi ritornando per intrappolarle in un bacio più profondo.

Era seccante ammetterlo, ma quelle labbra carnose gli erano dannatamente mancate.

Quando fece per separarsi da lei, Vibeke gli circondò il collo con le braccia, concedendogli di risollevarsi solo di pochi centimetri. Lo guardò negli occhi come se sperasse di trovarvi qualche risposta alle mille domande che a lui sembrava di poter quasi leggere nei suoi, ed era così bella, in quel modo solo suo di esserlo, graffiante e scura, eppure candidamente limpida.

“Facciamo due?” gli propose con un fil di voce, anche se lui si stava già riavvicinando al suo viso.

“Perché non tre?” le disse Tom, chiudendole la bocca con un altro bacio, e poi uno ancora, e ancora. “Quattro…” La lasciò sorridere ad occhi chiusi per un momento, e poi, di nuovo, un altro. “Cinque…”

“Kaulitz,” sussurrò Vibeke, fremendogli tra le braccia mentre lui la baciava ancora. “Questa è deliberata provocazione.”

Lui sogghignò trionfante.

“Lo so.” rispose, appoggiandosi alla sua fronte.

Fece scorrere le proprie mani su di lei, dalla schiena ai fianchi, e poi verso il bordo dei jeans, che seguì lascivamente fino a che non trovò il bottone di metallo che sovrastava la lampo. Lo slacciò con un movimento esperto ed abbassò la zip, guadagnandosi un gradito accesso al livello successivo. Tutto ciò che fece Vibeke in risposta fu fare lo stesso con i jeans di lui, che effettivamente stavano diventando scomodi e fastidiosi.

Vibeke non staccava gli occhi dai suoi, ed era seria come raramente la aveva vista.

“Ti odio.”

Tom rise silenziosamente e le rubò un settimo bacio.

“Io di più.”

E quando Vibeke si tolse la maglietta nera e la gettò via alla cieca, lasciandolo a contemplare la sua pelle bianca coperta da nient’altro che un reggiseno di pizzo nero, Tom seppe con certezza che avrebbe ricordato quella giornata come una delle più memorabili della propria vita.

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Note: lo so, sono in ritardo, per essere eufemistici, ma sono quasi giustificata anche stavolta. Ho dato un esame importante e finalmente l’ho passato, e alla grande, e poi mi è venuto un blocco indecente per il capitolo, quindi è stato drammatico… Ho praticamente scritto tutto in tre giorni, colta da non so quale illuminazione divina, e quel che ne è uscito è il capitolo più lungo della mia vita. So che lo dico ogni volta, ma ogni volta gli aggiornamenti sembrano allungarsi. Spero solo che la lunghezza compensi un po’ la lunga attesa. ^^

Ora veniamo a noi, ho un sacco di risposte personali da darvi! (43 recensioni?! Sogno o son desta?! Io vi amo! *___*)

eva35: prima di tutto benvenuta! ^^ Grazie davvero per i complimenti, spero che continuerai sempre a trovare questa passione nei miei scritti. Io farò sempre del mio meglio. ;)

Isis 88: come ti ho già detto via messaggio privato, sì, il titolo di questa ff porta lo stesso titolo della meravigliosa canzone dei Within Temptation, gruppo che amo moltissimo e che uso spesso, assieme a qualche altro, come fonte di citazioni poetiche. ;) Mi farebbe piacere ritrovarti tra i miei recensori, qualche volta. ^^

Alexgirl: eheheh, Tom e Vi sono davvero una coppia magnifica… A modo loro. ;) Grazie per la recensione, spero non sia stata l’ultima!

Mairim90: a te va una dedica speciale, questa volta, perché, come Lory ti avrà detto, era molto che desideravo sentire il tuo parere. So che la storia ti piace ed era importante per me poter leggere personalmente le tue impressioni. Ti ringrazio molto, davvero.

schwarznana: ancora viva dopo la full immersion, tra Lullaby e The Truth? XD Sei una miracolata! Ho notato con piacere che hai apprezzato dettagli a cui io stessa tengo moltissimo, quali la caratterizzazione di Tom e lo sviluppo abbastanza cauto del suo rapporto con Vi. Condivido tutto quello che hai detto sulla nostra adorabile principessa, e soprattutto il ‘senza parole’ rivolto alla scena di Georg nel bagno. XD Hai buongusto! ;)

StellaMars: se hai trovato lungo lo scorso capitolo, questo ti sarà parso interminabile. XD È vero, lo scorso capitolo era una bella immersione nelle profondità dei nostri due imbranatissimi eroi, e trovo fantastico che il buonumore di Tom abbia contagiato anche te! Chissà se anche adesso ti senti come si sente lui. XD

Lady_Daffodil: quanti altri tuoi capitoli ho intenzione di scrivere? Be’, non saprei, escluso questo, ne mancano cinque alla fine, quindi mi posso sbizzarrire! Senza contare poi quello che verrà dopo! XD Spero che anche questo ti sia piaciuto, comunque!

mewmina__91: ah, se Tom è il tuo preferito, tieniti pronta, perché The Truth è solo l’inizio. ;) Dichiarazioni spilerose a parte, credo che il C.G.P.P.(Comitato dei Gemelli Portinai e Pettegoli) sia un club esilarante e adorabile, che gode di molti sostenitori tra i lettori. XD fammi sapere cosa ne pensi anche ddi questo aggiornamento. ^^

mask92: sì, il ragno Wilhelm si chiama così proprio perchè il nome di battesimo della nostra principessa è effettivamente Wilhelm (Wilhelm e Thomas Kaulitz… nemmeno tra trent’anni li vorrò mai chiamare così XD).

Ninnola: sono lusingata dal fatto che tu abbia regalato proprio a me la tua prima recensione chilometrica! *__* I miei fedeli sanno che io adoro le recensioni lunghe, quindi immagina quanto me la sono goduta! ;) Spero che ce ne sarà una anche per questo capitolo! (lunga quanto vuoi, tranquilla! ;))

Debry91: se diventi una cantante famosa, ricordati di me, mi raccomando! Saresti l’aggancio ideale per incontrare quei quattro! XD L’ispirazione purtroppo non è stata molto con me, in questo mese di silenzio stampa, ma per fortuna ora sembra ritornata! Speriamo bene! ^^

Muny_4Ever: eh, BJ è fatto per essere amato, poverino! XD Non è particolarmente simile ad un atleta, ma fa del suo meglio, insomma… Ed associato a Bill, dà origine a un boom di pucciosità e fascino indicibile. Mi raccomando, ora che sei tornata, non sparire di nuovo! ;)

Black_DownTH: benvenutissima! Addirittura la tua ff preferita?! Sta’ attenta, io mi monto la testa facilmente, non è bene farmi troppi complimenti! XD sono felice che tu riesca a percepire questa emozione in quello che scrivo. L’ho ripetuto tante volte, ma per me trasmettere le sensazioni è una delle cose più importanti, per le mie storie, e sapere che tanta gente riesce a percepire quello che io vorrei comunicare con le parole, mi rende molto soddisfatta del mio lavoro. Grazie ancora!

NeraLuna: innanzitutto, grazie infinite per la bellissima email, mentre la leggevo avevo due occhioni luccicosi che non ti dico! Però alla fine ce l’ho fatta, hai visto? Grazie del supporto emotivo! ;) Per quanto riguarda il turno di Bill e Gustav… Mettiti comoda, vedrai che il momento arriverà. ^^

erichina94: hai detto una cosa molto vera: Tom e Vi sono davvero contraddizione e completezza insieme. E, sì, in qualche modo qualcosa lo hanno ammesso, anche l’uno con l’altra, ma non lo sanno ancora bene cosa provano. Diamo loro un po’ di tempo, hanno ancora qualche passetto da compiere prima di capire.

Lady Vibeke: a te non dico niente, tanto sei onnipresente, anche quando non ci sei. XD

Zarah: benvenuta anche a te! Ho apprezzato davvero molto la tua recensione, era ben scritta e molto intuitiva, il che mi fa pensare che tu sia un’intenditrice e quindi mi fa anche doppiamente piacere. Concordo con te nel dire che forse lo scorso capitolo era finora uno dei migliori (non so se il migliore in assoluto, poi), ma non finisco mai di sfidare me stessa, spero di riuscire a fare anche di meglio, prima o poi. Ti ringrazio davvero tanto, spero con tutto il cuore che vorrai concedermi altre recensioni,, in futuro!

Yukiko_chan: non voglio vantarmi, ma sono davvero orgogliosa di averti fatta avvicinare ai Tokio Hotel e alla loro musica, con la mia storia. Sono ragazzi che meritano un’occasione, e in genere, se si ha l’umiltà di lasciare da parte i pregiudizi, non deludono. Ho riso come una matta all’idea di Astrid! XD Dovresti scrivere tu la sua storia, sai? Una ff alla ff… Credo che nessuno lo abbia mai fatto prima! Sarebbe un’idea molto carina! Scusami se ci ho messo così tanto a postare, è stato un mese molto duro. ^^

miellita: benvenuta anche a te! Essendo tu una non fan dei Tokio Hotel, ti avverto subito che il semplice fatto che tu abbia ritenuto doveroso recensire lo scorso capitolo solo per dirmi che la storia ti piace, mi ha mandata in brodo di giuggiole. È bello, per me, che una fan ami le mie storie, ma lo è doppiamente quando è una non fan ad amarle, perché è più difficile conquistare l’attenzione di qualcuno che non ha già un legame con i personaggi proposti. E poi, hai proprio ragione: io sono un’amante di Georg senza pudore, ma ho sempre ammesso che il migliore in assoluto, tra quei quattro, è proprio il meraviglioso Gud! E BJ… Be’, si commenta da solo, credo. ;) Se vorrai commentare ancora, sappi che te ne sarò profondamente riconoscente!

Claustrophobical: doccia fredda sopo un semplice (o quasi) bacio? E adesso cosa devi fare, un giretto in bikini al Polo Nord? XD Fammi sapere se funziona, perché in effetti anche io a volte ho difficoltà a sedare certi bollori. ;)

growlitha: non mi parlare di PC dispettosi, perché il mio mi ha fatta impazzire mentre scrivevo questo capitolo! Word continuava a chiudersi da solo e dovevo ogni volta salvare tutto in un nuovo documento… Un’agonia! XD Ma finalmente ci siamo, è fatta! E poi, ti dirò, ci metto quasi sempre qualche cosa di comico nei capitoli, tanto per alleggerire anche le atmosfere un po’ tese. E dì al tuo “magnifico” computer di permetterti di leggere e recensire, o subirà la mia collera! XD

_ToMSiMo_: grazie di ogni parola! Non vedevi l’ora che succedesse altro? Be’, questo era solo un assaggio! ;)

winTh: un’altra recensione lunga lunga! Era un capitolo benedetto, devo dire. XD Comunque, ora sei stata tu a far commuovere me! ^^ Se vorrai davvero recensire ogni capitolo, sai già che ne sarò entusiasta!

lady dumbledore: una recensione ogni tanto è meglio di nessuna, quindi grazie per quelle che lasci, apprezzo ogni minimo sforzo, tranquilla. ;)

picchia: eheheh, illuminazione mistica, eh? ;) Sono entusiasta di aver scelto Kat Dennings come volto per Vi, perché è veramente perfetta. In realtà non la conoscevo, prima che Lady Vibeke arrivasse tutta entusiasta a dirmi che “aveva visto Vi” in un film. XD Ora però mi sono istruita su di lei e devo dire che la trovo una bravissima attrice, oltre che una splendida ragazza. E cosa pretendevi da Bill e BJ? XD Bada a ciò che dici, certe cose sono confidenziali, ricordatelo! XD Verrà il momento, tra mooolto tempo. ;)

valux91: mi rattrista davvero molto che la tua passione per i Tokio Hotel sia scemata, sarà forse perché sento che la mia invece non fa che aumentare spropositatamente di giorno in giorno, ma d’altro canto mi fa anche piacere che, nonostante questo, la storia ti piaccia ancora. ^^ E sono io che ringrazio te, cara. ;)

pIkKoLa_EmO: il romanticismo calibrato e a piccole dosi non fa mai male, quindi finché c’è, gustiamocelo. XD Ho fatto del mio meglio con il Tom dolce ma sempre tommoso, mi fa piacere che tu abbia apprezzato. :)

cicha: come sarebbe a dire che sono riuscita a farsi piacere persino Tom? XD Sei un’altra di quelle che lo trovano irritante, mh? ;) Capisco bene, tranquilla, Tomi è un elemento duro da amare davvero. Grazie dei complimenti, se vuoi, sono sempre ben accetti! XD

erikucciola: grazie, grazie, grazie! ^^ Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo.

loryherm: oh, cara, quale gioiello inestimabile mi hai lasciato! XD Stavo per consumare lo schermo del pc nel leggere la tua recensione! Ti adoro, lo sai! ^^

LadyCassandra: carissima! Non ho parole per ringraziarti… Me le hai tolte tutte! Aspetto con ansia un tuo parere su questo nuovo capitolo!

natyy: ho aggiornato il prima possibile… Ma è stato un lungo aggiornamento lo stesso. ^^ Chiedo scusa ancora una volta, mi auguro che ne sia valsa la pena, anche stavolta. ;)

satanina: benvenuta! Mi lasci senza parole anche tu… Come posso ringraziarti? Hai detto delle cose che mi hanno fatta gongolare di gioia! XD Sai, in molti all’inizio non apprezzavano Vibeke, e questo perché Vi è un personaggio che va scoperto pian piano, va svelato e compreso un pezzetto per volta… Un po’ come tutti, del resto, ma chi sia ama già, come i Tokio Hotel non conta. ^^

vivihotel: credimi, anche a me piacerebbe riuscire a postare più spesso, ma come vedi ogni tanto sono sommersa di impegni e purtroppo ritardo di molto nel pubblicare… :( Però se non altro più ritardo, più i capitoli si allungano, sembra, quindi dovrebbe essere un po’ un controbilanciamento. ^^ Soddisfatta di questo capitolo?

hyena_:  cara! Cosa poso dirti? Hai individuato anche le mie scene preferite! XD Continua così, mi raccomando!

elli_kaulitz: grazie! ^^ Mi sdebiterò con tutte voi, entro la fine, lo prometto, vi regalerò un capitolo che ne varrà mille per ringraziarvi di tutte le vostre bellissime parole!

CowgirlSara: eheheh, anche a te non serve che dica nulla, quasi ne sai di più tu di me. XD Un grazie immenso, di tutto quanto, credo che basti. ;)

_Kaay: ma cara, potevi benissimo scriverne mille di recensioni, io non le avrei certo disdegnate! XD Ma anche una sola vale mille, quindi grazie! ^^

kit2007: hai trovato lungo il precedente, questo capitolo ti sembrerà una cosa eterna… XD Grazie, anche delle chiacchierate deliranti su MSN! ;)

Ladynotorius: Milady! Scusami, davvero, lo so che sono stata imperdonabile, ma questa volta è stata veramente doloroso per me metterci così tanto… Ero proprio bloccata. Ma ora mi sono ripresa, pensiamo positivo. ^^

Un angolo specialissimo va infine dedicato ad Ale, che due giorni fa ha compiuto gli anni (quanti, non si dice, o sono guai XD)! ;) E grazie anche ad _Ellie_, che non ha mai tempo nemmeno per respirare, ma ne trova sempre per leggere! ^^

Alla prossima, gente, e pregate che sia presto!

P.S. ho scordato di postare questa lo scorso capitolo (gentilmente salvato da _Ellie_): 483 recensioni! GRAZIE A TUTTI, il record che ogni fan dei Tokio Hotel sogna! ;)

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Capitolo 21
*** Trust ***


Premessa: come sempre, evidenziate con il mouse le righe delle frasi in norvegese per leggerne le traduzioni. ;)





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“Du er dårlig!” (“Sei cattiva!”)

“Og du er idioten! Jeg bare er bekymret for din helse!” (“E tu sei un’idiota! Mi preoccupo solo per la tua salute!”)

“Det bryr meg ikke, mér líkar þessi matr!” (“Non me ne frega niente, mi piace questa roba!”)

Det bryr ikke deg, bryr meg!” (“A te non frega niente, a me sì!”)

“Takker så mye, liten søster, du er tror vennlig.” (Grazie tante, sorellina, sei davvero gentile.”)

Ignorando deliberatamente le lamentele del fratello, inchiodato al letto dalle flebo, Vibeke continuò indisturbatamente a raccattare qua e là per la stanza, tra ingombranti mazzi di fiori e peluche di ogni tipo e dimensione, confezioni di dolciumi e schifezze varie, rinvenendone alcune perfino tra i fiori che ornavano il davanzale esterno della finestra..

“Bare hyggelig.” Gli rispose tranquillamente, cercando di premere la gran quantità di cibo dentro al piccolo cestino della spazzatura, già traboccante.(“Non c’è di che.”)

“Tranquilla, fai pure,” ironizzò BJ, fissandola funereo. “Tanto non speravo di mangiarli finite le restrizioni alimentari.”

Dato che l’ultimo sacchetto rimasto non ne voleva sapere di smettere di cadere fuori, Vibeke prese a schiacciare tutto quanto con il piede.

“Non fare tante scenate,” lo rimbeccò. “Potrei averti salvato la vita.”

“Gli zuccheri e i grassi non hanno mai fatto male a nessuno!” protestò lui.

Vibeke lo guardò storto:

“Vallo a dire agli obesi, ai diabetici, agli ipertesi, ai cardiopatici e a quelli con la carie!”

“Intendevo nessuno a parte le dovute eccezioni,” brontolò BJ, abbandonandosi contro i cuscini a braccia conserte. “E comunque io non sono né obeso, né diabetico, né iperteso, né cardiopatico, e non ho mai avuto carie in vita mia!”

Vibeke gli sorrise affabilmente, spingendo il cestino al di là della porta e chiudendolo fuori.

“Sono sicura che il tuo organismo ti sarà profondamente grato se gli risparmierai la fatica di cercare di prevenire costantemente una o più di queste cose.”

Lasciò che BJ andasse avanti con i propri mormorii indispettiti e si diresse al piccolo armadio per vedere se ci fosse qualcosa che dovesse portare via da lavare. Passando accanto al tavolino, notò che in cima alla pila di riviste che vi erano posate c’era una copia di Bild sulla cui copertina svettava a tutto campo una fotografia nemmeno particolarmente bella di Georg, accompagnata dal titolo ‘Esclusiva! Georg dei Tokio Hotel racconta: ho trovato l’amore con una fan’.

Un brivido di sdegno scosse Vibeke. Chissà quante altre cazzate come quella avevano sbattuto dentro a quell’articolo. Stando al racconto di Georg, durante l’intervista la giornalista sembrava pronta a romanzare ogni sua singola sillaba, e, almeno a giudicare dal titolo, l’intento sembrava essere stato messo in atto.

‘Ho trovato l’amore con una fan’, Vibeke fece una smorfia irritata, quando mai Hagen direbbe una cosa così nauseabonda e banale?

“Dovresti leggere quell’articolo, è molto interessante,” le suggerì BJ, mentre lei ancora stentava a credere a quel mucchio di cavolate. “Secondo me quella giornalista ha del vero talento, mai letto niente di più fantasioso in vita mia.”

Vibeke si allontanò dalla rivista prima di cedere alla tentazione della curiosità. Preferiva non sapere quanto avessero distorto ed inzuccherato la storia di Georg.

“Hagen si incazzerà da morire.”

“No che non lo farà,” rettificò BJ. “È abituato a queste cose, ha semplicemente scelto il male minore. Immagina cosa sarebbe successo se avesse lasciato dilagare i pettegolezzi…”

Vibeke non voleva immaginare niente. Compativa Georg, Gustav, Bill e Tom per la scarsità di rispetto che spesso la gente mostrava nei confronti della loro privacy, e sentiva di odiare con tutta se stessa tutti quegli impiccioni che li importunavano ovunque ed in qualunque momento.

Fosse dipeso da lei, li avrebbe fucilati tutti quanti a vista, ma sfortunatamente l’assassinio, pur altamente giustificato, era scarsamente tollerato, quindi le toccava adeguarsi.

“Hai della roba da portare a casa?” domandò, rovistando nell’armadio. “Biancheria da lavare, libri finiti…?”

“Il sacchetto rosa è quello della roba da lavare,” rispose lui. “I libri li puoi prendere tutti.”

Vibeke si bloccò a fissare la pila di libri posti sul ripiano e li contò.

“Mi stai dicendo che hai letto otto libri in una settimana?!”

BJ scrollò le spalle.

“Ero annoiato.”

A Vibeke venne un lancinante senso di colpa: suo fratello era costretto là dentro, solo ed annoiato, da giorni e giorni, reduce da un incidente che avrebbe potuto costagli la vita, e lei non solo gli portava via i suoi amati dolci, ma si prendeva anche la libertà di spassarsela liberamente con Tom senza rendergli conto di niente. Gli aveva raccontato tutto per filo e per segno dell’appartamento di Georg e della piacevole giornata trascorsa a Lipsia, ma si era attenuta alla fase non vietata ai minori del racconto, accuratamente tralasciando il dettaglio del personalissimo battesimo che lei e Tom avevano impartito al bagno del piano terra dell’attico. Non lo aveva fatto perché si vergognasse di qualcosa, ma soltanto perché Tom era una cosa sua, solo sua: solo lei sapeva – e nemmeno tanto bene, poi – com’era cominciata e come si stava evolvendo, solo lei era a conoscenza dell’esistenza di quelle bollicine impazzite che le frizzavano nello stomaco quando c’era lui nei paraggi, e solo lei aveva intuito che non era un fenomeno dovuto alla rabbia, come aveva pensato all’inizio.

La verità era che per una volta voleva cavarsela da sola, capire da sola quello che stava succedendo, e, visto l’andazzo, le sembrava anche di stare andando piuttosto bene. Un piccolo passo per volta, senza esagerare. Non era poi così spaventoso come si poteva credere.

Il suo pensiero divagò con una punta di febbrile eccitazione a ciò che la aspettava una volta lasciato BJ: i ragazzi l’avevano invitata a passare dallo studio per vederli nel loro ambiente naturale, e lei si era ritrovata ad accettare elettrizzata prima ancora che Gustav avesse terminato la frase.

E questo a BJ non lo aveva ancora detto, anche se ormai stava iniziando a farsi tardi e lei avrebbe fatto meglio ad andare, visto che avrebbe dovuto farsi una bella camminata per arrivare fino allo studio. Non vedeva Tom da due giorni e i suoi limiti di resistenza erano già da un pezzo giunti allo strenuo.

È imbarazzante, si disse, afflitta, credevo di essere scampata al flagello delle cotte adolescenziali, e invece eccomi qui, invischiata da capo a piedi in questa… Cosa, qualunque cosa sia.

Contrariamente a quelle che erano state le sue convinzioni iniziali, c’era qualche cos’altro, a parte lo spaccone, che Tom sapeva fare bene, e purtroppo per lei quel qualcosa era farsi desiderare.

Era un ragazzino odioso e pieno di sé, egoista ed ipocrita e senza un briciolo di spirito di adattamento nei confronti del prossimo, scontroso, testardo, maschilista e narcisista, eppure qualche cosa di buono in lui doveva pur esserci, perché la sua assenza riusciva ad essere tanto pesante quanto la sua presenza, ed era una cosa che Vibeke proprio non riusciva a spiegarsi.

Per quanto fosse assurdo a dirsi dopo solo due giorni, ma soprattutto dopo tutte le lamentele che fin dall’inizio aveva dispensato contro di lui, Tom le mancava.

“Oh, Bee, per pietà, sei patetica!” esclamò BJ, storcendo disgustatamente la bocca.

Richiamata dalla sua voce, Vibeke tornò in sé e gli rivolse un’occhiata perplessa.

“Cos’ho fatto?”

“Sono sintonizzato sulle onde radio del tuo cervello,” replicò lui. “E, credimi, i tuoi pensieri sono tristemente monotematici. Sei mai riuscita a pensare a qualcosa di diverso da Tom, ultimamente?”

Lei si sentì arrossire anche i capelli.

“Fuori dalla mia scatola cranica, tu!” sbottò, lanciandogli contro la borsa della biancheria sporca. “Fatti gli affaracci tuoi!”

BJ scoppiò a ridere, ma la risata gli si smorzò in gola.

“Merda!” imprecò, stringendo gli occhi, la mano poggiata sul petto. “Mi dimentico sempre di questo cazzo di rammendo!”

Il cuore di Vibeke si fece piccolo piccolo, in inversa proporzione al senso di colpa, che invece aumentò. Avrebbe veramente voluto potersi addossare lei tutte le conseguenze che quel proiettile si era lasciato dietro, ma non poteva. Il massimo che aveva potuto fare era stato avvisare i loro genitori, dopo secoli che non li sentiva, ed avvisarli dell’accaduto, causando al proprio padre una crisi di nervi ed alla povera Sissel un colpo al cuore, ma per fortuna, dolori a parte, BJ stava bene e presto sarebbe potuto tornare a casa.

“Vuoi che resti ancora un po’?” gli domandò Vibeke, passandogli una mano tra i capelli sciolti sulle spalle.

BJ la occhieggiò con eloquenza.

“Faresti aspettare Tom per me? Potrei sentirmi lusingato, sai?”

“Tu cosa ne sai di chi devo fare aspettare?”

“Te l’ho detto, sono sintonizzato sulle frequenze di Radio Vibeke!” sostenne lui. “Non capisco perché la cosa ti stupisca tanto, abbiamo smesso di illuderci di poter avere segreti l’uno per l’altra… Quando? A quattro anni?”

Non aveva tutti i torti. E comunque Vibeke non aveva nulla da temere: sarebbe rimasto ricoverato per altre due settimane, quindi, anche volendo, non avrebbe potuto immischiarsi più di tanto nelle faccende sue e di Tom.

“D’accordo,” si arrese. “I ragazzi mi hanno invitata a trovarli allo studio, quindi più tardi passerò a fare un saluto e vedere un po’ come se la cavano con i loro giocattoli.”

La mascella di BJ cadde mentre i suoi occhi si riempivano di invidia.

“Porta anche me!”

“Non essere ridicolo, ma ti sei visto?” esclamò Vibeke, ed accennò significativamente alle due flebo che si dipanavano dal polso del fratello.

“Sì, ed è stato traumatico!” rispose lui in tono drammatico. “Sono diventato così pallido e magro…”

“Fratello, ti rivelerò uno scoop sensazionale: tu sei pallido e magro da quando sei nato.”

“Ti sembra una scusa valida per non portarmi a sentire i Tokio Hotel nel loro studio?” borbottò capricciosamente BJ.

“Stai parlando come una ragazzina di dodici anni,” gli fece notare Vibeke senza lasciarsi impietosire. “E comunque non credo che i ragazzi avranno problemi ad invitarti quando starai meglio. Ti trovano molto simpatico, sono sicura che si presenteranno altre occasioni.”

La faccia scura di BJ, però, non accennò ad attenuarsi.

“Va bene, sai che ti dico?” le abbaiò contro. “Vai dal tuo Tom, io resterò qui con il mio Nikanor!”

Vibeke corrugò la fronte.

“Ti stanno dando una medicina nuova?”

BJ  sogghignò.

“In un certo senso…” disse, enigmatico. “Una medicina con dei bicipiti favolosi ed un fondoschiena che è pura poesia.”

Vibeke era già in procinto di domandare di chi si trattasse, esattamente, ma lui la precedette:

“È il fisioterapista russo che mi seguirà durante la riabilitazione del braccio.” Le rivelò, sollevando di quel poco che poteva il braccio sinistro, che un tutore gli teneva appeso al collo. Vibeke preferì non pensare che, anziché il polmone e i tendini del braccio, quel colpo di pistola gli avrebbe colpito il cuore, se lo avesse avuto nella consueta posizione. Dopo l’operazione, BJ aveva espressamente richiesto al chirurgo che lo aveva operato se potesse fargli avere il proiettile estratto dalla ferita, per poterne fare un ciondolo. Il chirurgo era rimasto piuttosto sconvolto da quella richiesta, ma Vibeke capiva l’importanza che per BJ avesse quell’oggetto: anche lei, al suo posto, avrebbe voluto conservare un ricordo tangibile della propria scampata morte.

“Hai seriamente intenzione di metterti a provarci anche con il fisioterapista?” disse, iniziando ad infilarsi la giacca, pronta per uscire.

“Io non farò un bel niente, ha cominciato lui!” mise in chiaro BJ.

Lei raccolse la busta di plastica che gli aveva lanciato poco prima e prese la propria borsa dall’attaccapanni alla parete.

“A questo punto mi sento autorizzata a levare le tende.”

“Salutami tutti,” le disse BJ, sventolando la mano sinistra. “E di’ a Bill che i… I fiori che mi ha portato l’altra volta – quelli rosa – sono… Ehm… Finiti.”

Fiori rosa?, pensò Vibeke, sconvolta, dio, solo Bill poteva…

Abituata agli sporadici strafalcioni tedeschi del fratello, cercò di decodificare il messaggio:

“Vuoi dire appassiti?”

“No,” insisté BJ, piccato. “Voglio dire finiti,” Lei fece per ribattere, ma lui non le lasciò il tempo: “Niente domande, riferisci e basta”

Alle volte era veramente complicato avere un fratello che viveva in un mondo tutto suo, ma Vibeke preferì non questionare oltre ed accontentarlo:

“Come vuoi,” sospirò, avvicinandosi alla porta. “Ha det, bror.”

“Ha det, søster.” La salutò BJ, e lei richiuse la porta dietro di sé.

Bene, si disse, incamminandosi verso l’uscita, un salto a casa a portare questa roba, cibo a Rogue e a Godiva, e poi…

Un sorriso le incurvò le labbra senza che lei nemmeno se ne accorgesse.

Non vedeva l’ora di essere allo studio.

 

***

 

Le dita che scorrevano fluidamente lungo le corde spesse e vibranti, i muscoli contratti dalla concentrazione, e poi la musica. La musica che tutti loro amavano e che li aveva resi ciò che erano. Star agli occhi dei più, dei ragazzi che avevano realizzato il sogno di sempre per quei pochi che avessero capito qualcosa di loro.

Georg sorrise fra sé, scivolando lungo le note finali della canzone mentre la voce di Bill si sfumava, svanendo. Calò in attimo di silenzio, in cui tutti restarono immobili, guardandosi l’un l’altro in palpitante attesa. Quando udirono il familiare click attutito che annunciava l’apertura della comunicazione con la cabina del controllo audio, Georg avvertì un brivido attraversargli la schiena.

“Ottimo lavoro, ragazzi, esecuzione impeccabile!” si complimentò la voce di Willi, il loro tecnico del suono, dall’altro lato del vetro. “Fatemi così anche il prossimo brano e possiamo considerare ultimata la registrazione di questo sospiratissimo album.”

Un unico urlo soddisfatto si levò da ciascuno di loro.

In genere registravano prima la musica, e poi Bill ci metteva la parte cantata, ma quella canzone era stata una sfida già al primo tentativo, e alla fine, dopo aver inutilmente insistito, avevano voluto tentare l’ultima possibilità per farla venire come volevano: registrarla tutta in un colpo. Le prime due volte avevano fallito, anche se il risultato non era stato poi così disastroso, ma alla terza avevano fatto centro. Ora un solo brano li separava dall’annuncio ufficiale del termine della registrazione dell’album.

Georg era felice. Nonostante lo stress dovuto alle pressioni che quotidianamente lui e i ragazzi dovevano subire per via del polverone sollevato dai continui rinvii della data di pubblicazione del nuovo CD, le cose stavano andando bene, almeno per il momento. Non era particolarmente lieto dell’impronta che la giornalista di Bild che lo aveva intervistato aveva dato all’articolo sulla storia di lui e Nicole, ma era partito preparato per quella sorpresa: alla gente – a gran parte delle loro fan, soprattutto – non interessava più di tanto la verità, quanto piuttosto ciò che volevano sentirsi dire. Nello specifico, quell’articolo era stato scritto per delle ragazzine che volevano sentirsi dire che Georg Listing dei Tokio Hotel si era prevedibilmente messo con una bella fan conosciuta per puro caso nel backstage di un concerto, semplicemente una come tante che aveva avuto un colpo di fortuna. Nessun accenno al fatto che stavano insieme da un anno e a stento si accennava al fatto che Nicole fosse una ragazza madre. Quelli erano i particolari che sarebbero usciti solo in un secondo momento, Georg lo sapeva, quando lo scoop avesse iniziato a passare in secondo piano. Allora sarebbe emerso anche il resto,  poco a poco, strategicamente. Funzionava così, nei media.

Lui però l’aveva presa con filosofia: si era premurato di avvertire Nicole di prendere con le pinze quanto avrebbe letto nell’intervista, perché il lavoro dei giornalisti era travisare la realtà nel modo più romanzesco e credibile possibile, e Bild era famoso per le brillanti coloriture che dava alle interviste con le celebrità.

“Invoco una pausa!” esclamò Bill, sfilandosi le ingombranti cuffie.

“Ok,” acconsentì Willi dall’altro lato del vetro. “Vi do un minuto, non un secondo di più, chiaro?”

Georg rise mentre Tom gli indirizzava un gestaccio. Si liberarono dai rispettivi strumenti e si diressero verso l’uscita, già pregustando uno spuntino e una cocacola fresca.

Nessuno di loro si sarebbe aspettato quello strillo isterico, tipico da fan schizoide, che li accolse appena misero piede fuori dalla saletta. Ancor meno, però, si sarebbero aspettati che quello strillo appartenesse alla persona che si ritrovarono di fronte.

 

***

 

Tom si domandò chi fosse la ragazza che aveva di fronte, fissandola a bocca aperta mentre saltellava su e giù con le mani giunte davanti al viso e non la smetteva di farfugliare ‘Ommioddio! Ommioddio!’, sfiorando timbri insopportabilmente acuti. Avrebbe creduto che si trattasse di Vibeke, se non avesse avuto la matematica certezza che quella sottospecie di fangirl esagitata non poteva essere Vibeke.

C’era anche Benjamin con lei, e se ne restava lì con assoluta naturalezza, le mani placidamente infilate in tasca dei jeans. Sorrise amabile a tutti loro.

“Lo so, è inquietante.”

Inquietante è dire niente, Benji, pensò Tom.

Gravemente confuso, scambiò delle occhiate attonite con Bill, Gustav e Georg, i quali non sembravano meno spaesati di lui di fronte a quella scena, infine tornò a guardare Vibeke.

“Lo sai che somigli in modo impressionante a una che conosco?” le disse sarcasticamente, mentre lei non la smetteva di vaneggiare.

“Ommioddio!” squittì lei per l’ennesima volta, senza considerarlo, i capelli vezzosamente acconciati in grossi boccoli che ondeggiavano ad ogni minimo movimento. “Cristo! Cristo! Cristo!”

Era avvolta fino ai piedi da un vestito nero e bordeaux che sembrava uscito da una fiaba gotica, dotato di una scollatura squadrata conturbantemente generosa che Tom non poté non apprezzare al punto da essere assalito dall’istinto di fregarsene dei testimoni oculari e inchiodarla al muro lì su due piedi. L’unica cosa che lo tratteneva era l’apparente stato mentale alterato di Vibeke. Chissà cosa diavolo le aveva preso.

“Wolner, che cosa diavolo ti sei fumata?” le chiese Bill, stranito.

Vibeke, però, sembrava dislocata in una dimensione tutta sua.

“Voi… Io…” Sembrava avere serie difficoltà ad articolare le parole.

Tutti quanti risero.

“Ti sei dimenticata il tedesco?” si domandò Gustav, in apparenza piuttosto divertito. Per tutta risposta Vibeke si gli gettò al collo e lo stritolò in un abbraccio dei suoi.

“I miei cuccioli!” chiocciò entusiasticamente. “I miei cuccioli sono dei rocker spettacolari e io non ci credevo!”

Tom sorrise a se stesso. Vederla così euforica per una loro performance lo rendeva stranamente euforico a sua volta. Se voleva essere onesto almeno con se stesso, non poteva sicuramente negare che impressionare Vibeke era sempre stato un suo chiodo fisso, anche all’inizio, quando a malapena poteva tollerarne la presenza. Non che ora fosse cambiato poi molto, a ben guardare, ma se la loro reciproca intolleranza persisteva, si poteva dire, se non altro, che avessero trovato un loro bizzarro equilibrio. Un equilibrio che Tom, con il passare dei giorni, stava scoprendo di gradire più del previsto.

“Noi cinque dobbiamo fare un bel discorsetto, da donna ad armi di distruzione di massa.” Sentenziò Vibeke, piantandosi le mani sui fianchi.

“Cosa diamine vai farneticando?”

“Io non ho idea di che cosa combiniate su un palcoscenico, ma vi ho visti, là dentro, e siete una cosa scandalosa.”

Bill si offese.

“Ma prima dicevi che siamo bravi!”

“E lo siete, cazzo, ma non potete biasimare tutte quelle invasate che vi seguono solo perché siete belli, sexy e non troppo subliminalmente pornografici!”

È matta, si disse Tom, ridendosela sotto i baffi, è tutta matta.

“Lasciatelo dire: sei fusa.” Le disse Georg.

“Tutta colpa del tuo basso inguinale!” lo rimbeccò lei. “Ma fate così a tutti i concerti? Ci credo che poi sviene tutta quella gente, voi dovete suonare, non fare sesso con gli strumenti! Ci sono delle minorenni tra il vostro pubblico!”

Loro risero ancora.

“Credo sia il suo modo di dirci che ha apprezzato.” Osservò Georg.

“Immagino di sì.” Concordò Gustav.

“Ragazzi,” li richiamò Benjamin. “Ricordatevi che quando scendete, ci sarà Chris ad aspettarvi con la telecamera. L’ordine del giorno lo sapete.”

Loro annuirono e Benjamin sollevò due pollici in segno di conferma, poi si congedò.

“Ordine del giorno?” fece Vibeke, curiosa.

Tom annuì.

“Dobbiamo filmare il nuovo episodio della Tokio Hotel TV e far vedere ai nostri fans che siamo ancora approssimativamente vivi e mediamente vegeti.”

Gli occhi di Vibeke scintillarono avidi.

“Posso farmi Bill davanti alla telecamera?” supplicò.

“No che non puoi,” sbottò Tom. “Dobbiamo rabbonire le ragazze, non farle incazzare a morte.”

Lei gli soffiò contro come un gatto irritato.

“Sembri proprio una vampira.” Le disse Georg, squadrandola.

“E mordo, anche!”

“Ma non si diceva che can che abbaia non morde?” la stuzzicò Tom.

“Io invece abbaio e mordo.” Si vantò lei.

“Per i morsi non c’è problema. Vorrei solo sapere come si fa a zittirti.”

Vibeke gli si avvicinò ancheggiando vistosamente e gli si parò davanti. Tom si costrinse a fare sforzi disumani per non darle la soddisfazione di lasciar cadere l’occhio sul suo decolleté.

“Piantami un paletto nel cuore e trascinami alla luce del sole.” Gli sussurrò languidamente.

Tom le afferrò i fianchi.

“Questa mi pare di non averla mai tentata, in effetti. Me la devo ricordare.”

Non cercavano più di fare finta di niente, con gli altri. Sarebbe stato stupido e inutile, e non aveva senso tenere le distanze, visto che i ragazzi sapevano che era tutta una farsa e loro due, in certi momenti, morivano dalla voglia di toccarsi.

Tom non ricordava nemmeno com’era successo, quando era stato che lui e Vibeke avevano inconsultamente deciso che potevano smettere di nascondersi. Era successo e basta, e lui se l’era perso, distratto forse da altro, o forse troppo impegnato a cercare di fare mente locale di quello che stava accadendo dentro di sé per badare a quello che accadeva di fuori.

“Noi iniziamo a scendere,” li avvertì Gustav. “Voi comportatevi bene, e vedete di sbrigarvi a raggiungerci.”

“Bill, prima che mi scordi,” esclamò Vibeke all'improvviso. “Mio fratello mi ha detto di dirti che i fiori rosa che gli hai portato la volta scorsa sono… Finiti?”

Bill sorrise radioso, come se la cosa avesse perfettamente senso.

“Nessun problema, gliene porterò altri.”

Tom gli fece un cenno con la testa ed attese che la porta si richiudesse alle loro spalle, poi dedicò tutta la propria attenzione ad osservare meglio Vibeke. Portava un trucco leggero, come sempre, da qualche tempo a quella parte, e da sotto la lunga gonna spuntavano un paio di anfibi dalla suola molto spessa, che la avvicinavano alle sue labbra di qualche prezioso centimetro. Non che lui faticasse a baciarla, ma avere la sua bocca ad un soffio dalla propria era una provocazione bella e buona, per non parlare di quel collarino nero che le avvolgeva la gola, ben aderente alla morbida pelle bianca.

“Sei sexy vestita così.” Le sussurrò.

“Io sono sempre sexy.”

“Un giorno riuscirò a farti un complimento senza che tu me lo demolisca?”

Vibeke abbassò lo sguardo, ma sorrise. Tom sentì di adorarla con tutto sé stesso.

Era una piccola ipocrita, che sparava senza pietà sui difetti degli altri e non era mai in grado di vedere in sé quegli stessi difetti. Era presuntuosa e cocciuta, a volte incauta ed avventata, altre paranoica, silenziosa o logorroica, ma sempre nei momenti sbagliati, e praticamente ogni volta che apriva bocca, a Tom veniva voglia di chiudergliela, che fosse con un rude gesto della mano o con un bacio. Erano una contraddizione vivente, loro due, sia singolarmente che insieme, uguali ed opposti, e quindi irrimediabilmente attratti l’uno dall’altra.

Qualche volta Tom pensava seriamente che prima o poi avrebbe potuto ucciderla da quanto lo irritava, ma poi si rendeva conto che gli sarebbe mancata troppo, e allora si limitava ad inveirle contro e sbattere qualche porta. Oppure, in alternativa, a trascinarsela in qualche luogo appartato dove potessero trovare sfoghi alternativi.

In qualunque modo la si guardasse, comunque, una cosa era certa: c’erano dentro fino al collo, tutti e due.

“Andiamo giù, prima che la mia virtuosa resistenza ceda e ti strappi di dosso questo bellissimo vestito.”

“Me li dai tu i settecento euro che mi è costato, poi?”

Tom rise e le pizzicò il naso.

“Te ne darei un milione per vederti senza, ora come ora, ma il dovere mi chiama.”

Le aprì la porta e le cedette il passo, invitandola a uscire. Vibeke dovette tenere la gonna leggermente sollevata, mentre scendevano, per evitare di inciamparvi. Quando raggiunsero il salotto, Bill, Gustav e Georg erano già seduti sul divano assieme a Benjamin e stavano conversando con Christopher, il loro fotografo e cameraman ufficiale, che si reggeva la telecamera sulla spalla.

“Ora ci manca un ultimo brano, e poi finalmente avremo concluso,” stava dicendo Bill, sgranocchiando delle patatine. “Ottimisticamente, penso che per fine mese l’album sarà terminato.”

“Avete cominciato senza di me!” finse di protestare Tom. Tutti, Christopher compreso, si voltarono.

“Chris, lei è Vibeke Wolner, il nuovo tecnico delle luci di cui ti avevo parlato,” spiegò Benjamin. “Vibeke, lui è Christopher Häring, il sant’uomo che si occupa di immortalare i momenti salienti della vita di questi quattro.”

Christopher la osservò interessato, senza spegnere la telecamera, e poi si strinsero la mano.

“Fatemi una bella presentazione ufficiale,” disse poi l’uomo, inquadrando lei e Tom..

Tom non se lo fece ripetere due volte. Prima ancora che Vibeke avesse modo di capire cosa intendesse, le cinse le spalle con un braccio e la fece avvicinare all’obiettivo.

“Tranquilla, tanto poi ti censurano,” la rassicurò, vedendola esitante, poi guardò dritto in camera. “Lei è Vi,” la presentò. “Il nostro nuovo tecnico delle luci,” Vibeke sorrise impacciata, facendo un goffo saluto con la mano. “Non fatevi ingannare dall’aspetto aggressivo… È molto peggio di quello che sembra.”

“Come loro, del resto.” Ribatté lei, pronta. Le era bastato un secondo per ritornare la solita lei sfacciata.

“Non datele retta, è solo un’algida norvegese coriacea, non impressiona nessuno.”

“Manodopera di importazione?” chiese Christopher in tono spiritoso.

Tom annuì.

“Si sa che gli scandinavi sono i più competenti in fatto di tecnologie.”

Christopher passò quindi a fare una panoramica sugli altri. Tom sapeva che era arrivata la parte più personale delle riprese. Dopo i mesi di silenzio, ora dovevano aggiornare il pubblico, e le novità più consistenti, per fortuna, arrivavano da Georg.

“Qualche settimana fa in rete hanno cominciato a circolare foto di Georg e della sua ragazza a San Valentino.” Disse infatti Christopher.

“Sapevamo che sarebbe successo, prima o poi,” affermò Bill, serio. “Quando fai una vita come la nostra la privacy diventa un lusso. Abbiamo fan che ci seguono ovunque, anche nei posti più impensabili. Ci trovano sempre, in qualche modo,” Fece una risatina sdrammatizzante. “Fanno paura! A noi fa piacere che le ragazze ci supportino, ma siamo esseri umani anche noi, abbiamo bisogno di un po’ di riservatezza, ogni tanto.”

Concordarono tutti con lui.

“Sappiamo che quelle famose foto hanno suscitato parecchio scalpore,” intervenne Tom. “In meno un giorno abbiamo ricevuto migliaia di messaggi sul nostro sito di MySpace che esigevano delucidazioni.”

“Siamo stati costretti a pubblicare un post di risposta,” raccontò quindi Georg, dispiaciuto. “E anche quello è stato sommerso di commenti, alcuni non esattamente entusiastici. Il nostro manager ha ritenuto opportuno farmi rilasciare un’intervista che spiegasse tutto con trasparenza.”

“Quella che è appena uscita sul Bild, giusto?”

“Sì, anche se consiglio di prendere con le pinze anche quella, perché i giornali ci mettono sempre qualcosa di loro. Comunque è sommariamente affidabile.” Assicurò Georg.

Christopher si avvicinò di un paio di passi e si fermò davanti a lui.

“Le prime reazioni?”

“Ci sono state ragazze che hanno reagito molto male, molte in modo davvero poco maturo, ma altre hanno scritto di essere felici per me, augurandomi il meglio… Queste sono le vere fans, quelle che ringrazio pubblicamente per la loro comprensione e il loro sostegno.”

“La tua ragazza cosa dice di tutta questa agitazione attorno alla vostra storia?”

Georg si incupì lievemente, ma si sforzò di mantenere un tono normale.

“Non è esattamente entusiasta, ma sapeva che prima o poi sarebbe successo. Eravamo entrambi preparati.”

“E lei non è gelosa di tutte le tue fans?”

“Gelosissima. Quando mi dimostro troppo amichevole con qualcuna, subisco punizioni che non posso citare in TV…”

“Sembrava così dolce nelle foto…”

“Tutta apparenza.” Sostenne Georg.

“Mi hanno detto che è irlandese…” disse Chrstopher.

“Sì, da parte di sua madre.”

“Non è un caso che il suo inglese sia improvvisamente migliorato tanto.” Intervenne Bill.

Georg gli scoccò un’occhiatina beffarda e restò al gioco.

“Sì, ormai ho una padronanza da madrelingua, praticamente.”

“State insieme da parecchio, giusto?”

“Abbiamo fatto un anno da poco.”

“Aspettiamo solo che si sposino, adesso!” si intromise Tom.

“Come vi siete conosciuti?”

Un improvviso sorriso nostalgico illuminò non solo il viso di Georg, ma anche quello di tutti gli altri. Tom ricordava tutto come se fosse accaduto il giorno prima: l’apparizione di Emily sul palco, l’arrivo di Nicole, sconvolta, e poi quella bella e fin troppo breve settimana trascorsa con loro, in cui niente era andato come tutti si erano aspettati, ma ciascuno di loro ricordava quel periodo con molto affetto. Accanto a lui, muta come un pesce, Vibeke stava ad ascoltare con interesse.

“L’ho incontrata per la prima volta dopo un concerto, nel backstage,” rispose Georg, quasi sognante. “Mi è piaciuta subito, ma diciamo che non è stata una cosa proprio immediata… Alla fine però ha funzionato bene.”

“Si direbbe di sì. Sarebbe un po’ il sogno di tutte le vostre fans,” L’inquadratura si spostò su Bill e Gustav, seduto uno accanto all’altro. “È mai capitato anche a voialtri qualcosa di simile?”

A Tom venne un crampo allo stomaco. Conosceva la domanda imminente e sapeva che sarebbe toccato a lui, Bill e Gustav rispondere, adesso. Quello che non sapeva era cosa dire.

Si voltò per un attimo verso Vibeke, dubbioso sul da farsi.

Cosa vuoi che dica, strega? Glielo dico o no che ti sei fottuta la mia sanità mentale? Non so che cosa siamo, cosa facciamo… Non so cosa vuoi tu.

“Una volta,” stava dicendo Bill, intanto, voltandosi leggermente verso Georg con un minuscolo sorriso. “Ma non era destino.”

“E al momento?”

“Ho a malapena avuto il tempo di respirare, ultimamente,” scherzò Bill. “Figuriamoci se ne ho per una ragazza.”

La telecamera girò allora verso sinistra.

“Gustav?”

Dall’espressione forzatamente neutra che assunse l’amico, Tom intuì che anche lui aveva difficoltà a scegliere la risposta giusta. Alla fine, però, Gustav alzò pigramente le spalle.

“Nulla di rilevante.”

Tom si irrigidì. Al suo fianco, la presenza di Vibeke lo metteva a disagio.

“Tom?”

Lui si irrigidì. Gustav aveva deciso di non sbottonarsi, di lasciare Fiona ancora nell’ombra, almeno per il momento, probabilmente perché, come era chiaro, ancora non sapeva cosa fare, con lei, e dunque tacere era senz’altro la cosa migliore, ma per Tom la questione era completamente diversa.

Guardò ancora una volta Vibeke e lei ricambiò, attendendo che parlasse.

Che cosa vogliamo fare io e te, Vi?

Tom pensò che forse era giunto il momento che ne discutessero seriamente, faccia a faccia, almeno per capire come doversi comportare, perché se c’era una cosa che per lui fosse peggiore di essere confuso circa i propri sentimenti, era essere confuso circa quelli di Vibeke. A volte gli sembrava che ci tenesse a loro due, altre che non volesse fare altro che voltargli le spalle e scappare il più lontano possibile. Lui tentava sempre di rassicurarla, ma c’era poco da fare: era un totale imbranato, da quel punto vista.

Non gli restava che usare la diplomazia.

“Io mi do sempre da fare, ormai penso lo sappiano tutti.”

Vibeke ebbe un fremito appena percettibile. Tom non riusciva a vederle il viso, guardando nella telecamera, ma gli era quasi parso di avvertire le sue labbra contrarsi in un sorriso trattenuto. Benjamin, invece, gli rivolse uno sguardo strano, che lui, saggiamente, ignorò.

Le riprese proseguirono tranquille per un quarto d’ora abbondante, e Vibeke non se ne perse un solo secondo. Tom la vedeva seguire il tutto con la massima attenzione. Lui e i ragazzi parlarono ancora un po’ dell’album, delle motivazioni che ne avevano tardato l’incisione, poi divagarono un po’ sulle loro occupazioni nel tempo libero e infine espressero i loro desideri riguardo il nuovo tour. Una volta che Christopher ebbe spento la telecamera, Benjamin concesse loro di andare a casa. Si sarebbero occupati un’altra volta dell’ultimo brano che mancava.

Bill sparì ancora prima che Willi fosse sceso a salutarli, Georg e Gustav andarono via insieme, diretti in palestra. Tom rimase solo con Vibeke nel cortile della villa.

Era una bella giornata, serena ma non troppo fredda, e il cielo era di un insolitissimo blu violaceo mentre il sole calava lentamente all’orizzonte. Vibeke si aggirava per il giardino curiosando qua e là, il vestito che ondeggiava ad ogni suo passo. Seduto sul muretto di fronte a cui stava parcheggiata la sua Cadillac, Tom la teneva d’occhio in silenzio.

 

***

 

“Questo posto è una gran figata,” esclamò, mentre rimirava il paesaggio circostante, una vasta distesa di prati in aperta campagna. “Dovreste vivere qui, anziché in città, è molto più tranquillo e rilassante.”

Tom sospirò, scuotendo la testa.

“Se tu conoscessi le nostre fans, non lo diresti.”

Vibeke lo occhieggiò interrogativamente.

“Bill non scherzava quando ha detto che ci trovano ovunque,” le confidò lui. “Capita spesso che usciamo di qui e ce le ritroviamo tra i piedi. In città, non so per quale miracolo, non ci hanno ancora stanati.”

La notizia la impressionò non poco. Non era stupida, sapeva che i ragazzi vivevano sotto costante assedio da parte dei loro ammiratori, e soprattutto ammiratrici, ma non credeva che la situazione fosse così grave. Spesso, vedendoli rincasare con quelle facce stravolte, aveva provato compassione per loro, ma solo adesso capiva quanto dovesse essere dura per loro tenere in piedi una vita così complicata. Odiava tutte quelle stronzette che si divertivano a soffocarli senza alcun rispetto per loro. Le odiava perché amava i ragazzi e voleva che loro stessero bene, voleva che vivessero in pace la loro vita e che nessuno si impicciasse nei loro affari privati. Le odiava, le odiava e basta, perché sapeva che avrebbe sempre dovuto condividere con loro quattro persone che avrebbe voluto solo per sé.

Gettò un’occhiata verso Tom. Era stanco, era abbastanza lampante: pallido, con profonde occhiaie sotto agli occhi opachi, il viso teso. Vibeke si chiese dove Georg e Gustav avessero trovato la forza per trascinarsi in palestra, e se Bill fosse già a casa a godersi un meritato idromassaggio.

“Allora ti è piaciuto.” Mormorò Tom ad un tratto, le mani nascoste nelle tasche dei larghissimi jeans.

‘Piaciuto’ non era un termine che Vibeke avrebbe usato, volendo essere onesta. Ricordava ancora i tempi in cui vedeva i Tokio Hotel in TV e storceva il naso, cambiando canale prima ancora di poter sentire mezza nota. Le sembravano solo quattro bei ragazzini messi a fare gli specchietti per allodole, nulla più. Adesso si pentiva di tutto. Era abbastanza esperta di musica da capire che ne avevano ancora tanta di strada da fare, professionalmente, ma ostinarsi a negare che non avessero del talento per il palcoscenico, che fossero solo belli e affatto bravi, era un’ipocrisia.

“Sapete il fatto vostro, sì,” gli concesse, magnanima. “L’ultima canzone che avete suonato mi è piaciuta molto.”

“L’ho scritta per te.”

Vibeke ammutolì.

“Davvero?”

Tom la fissò seriamente per qualche secondo, poi scoppiò a ridere.

“No. L’ha scritta Bill due settimane fa.”

Vibeke si indignò.

Stronzo! Non giocare con le mie coronarie!

“Già, come se Tom Kaulitz potesse scrivere qualcosa di così profondo…”

“Tom Kaulitz ha scritto la tua adorata Schwarz, tanto per la cronaca.” Puntualizzò lui con disinvoltura.

Stavolta il cuore di Vibeke si fermò davvero.

Da un lato, la cosa aveva un suo folle senso; dall’altro, si rifiutava di credere che il ragazzo che fin dall’inizio aveva accusato di essere un viscido insensibile potesse aver scritto una canzone così profonda. E così triste.

Tom era tutto fuorché quello che dava a vedere, le era bastato poco per esserne sicura, e non riusciva nemmeno a farsi un’idea di quanto in profondità al di sotto della superficie le avesse finora permesso di vedere. Anche se a lei era sembrato di aver scoperto tutto un mondo, dietro alla facciata di Tom, aveva l’improvvisa sensazione che quel mondo non fosse la minuscola sommità di un iceberg chissà quanto grande.

Come si fa a rapportarsi con te, Kaulitz? Sei un gigantesco punto interrogativo che non vuole essere risolto. Forse impazzirò prima di aver veramente capito chi sei.

“Dovrei bermela?” borbottò infine, la testa che un po’ le girava dopo tutti quei ragionamenti confusi.

“Vuoi vedere i credits sul CD?”

“Lo dicevo io che non era da Bill!”

Tom sorrise.

“Non mi dici che sei orgogliosa di me?”

C’era una cosa che, musica ed indubbia bellezza a parte, accomunava tutti e quattro i Tokio Hotel. Una sola, unica cosa. Era quel sorrisino furbo che sapevano fare in certi momenti, quell’arricciatura ai lati delle labbra che li facevano assomigliare a dei gatti ruffiani. Quello stesso sorrisino che Tom si ostinava a puntarle addosso, incenerendo qualunque istinto negativo lei potesse avere nei suoi confronti. Era potente, su di lei, e questo, per una come lei, abituata ad essere perfettamente padrona di sé, era destabilizzante.

“Te lo dirò quando l’essere orgogliosa di te sarà in netto vantaggio sul disprezzarti per la tua infantilità.”

Tom mise subito un falsissimo broncio. Si alzò in piedi e in due falcate la raggiunse al centro dello spiazzo del parcheggio. Vibeke avvertì il calore del suo corpo sopra il proprio.

“Hai intenzione di farmi pesare per il resto della nostra vita il fatto che io sia più piccolo di te?” disse Tom, la voce bassa, carezzevole, facendola rabbrividire. Qualcosa dentro di lei sussultò nell’udirlo pronunciare quel ‘nostra’, che suonava tanto come una promessa.

È un ragazzino, si disse, impietrita. È solo un insulso ragazzino, Vibeke. Perché ti fai annichilire così da lui?

La risposta la sapeva, la sapeva eccome, ma proprio non se la sentiva di affrontarla, ancora.

“Forse non ti è chiaro che non è una questione di età, ma di maturità mentale!”

“Sono ancora un teenager, anche se per poco, e per di più sono figo, famoso e straricco,” si difese lui. “Cerca di capirmi!”

Vibeke non riuscì a sopprimere del tutto una piccola risata. Non ricordava di aver riso così tanto, negli ultimi anni, come da quando nella sua vita erano entrati quei quattro.

Appoggiò una mano sul petto di Tom e, a proprio rischio e pericolo, lo guardò negli occhi.

“Non ti sto dicendo che ti vorrei diverso, Kaulitz. Vorrei solo che tu fossi un po’ più consapevole di quello che fai e perché lo fai.”

“Cosa staresti insinuando?” fece lui, sempre ostentando quel tono giocoso.

“Che sei esattamente come Bill: hai bisogno di rassicurazioni costanti. Solo che, a differenza di lui, che non si fa problemi a chiederle, tu te le costruisci da solo, e uno dei tuoi metodi peggiori è autocelebrare te stesso e mettere in cattiva luce gli altri, come fai con Hagen.”

La sicurezza di Tom tentennò.

“Ma io non –”

“La prossima volta che vuoi essere rassicurato,” lo interruppe Vibeke. “Non stuzzicare lui, vieni a chiedermi perché non ti ho ancora ucciso.”

Tom rimase immobile per un po’, ricambiando il suo sguardo come se stesse valutando la prossima mossa. Un angolo della sua bocca si sollevò.

“Perché non mi hai ancora ucciso?”

Ops, sghignazzò la voce nella testa di Vibeke, questo non l’avevi calcolato, vero?

Non sapeva cosa fare. Rispondere a quella domanda significava, implicitamente, rispondere anche all’altra domanda, ed era fuori discussione. Eppure, sotto sotto, aveva un’irrazionale voglia di dirglielo, tirare fuori tutto e lasciarlo andare allo sbaraglio, per vedere cosa sarebbe successo.

Una catastrofe, probabilmente.

Magari poteva dire qualcosa, anziché proprio tutto.

“Perché sei un ammasso di insopportabili difetti inspiegabilmente dotato di un notevole sex appeal,” disse tutto d’un fiato. “E io, purtroppo per me, ho disgraziatamente commesso il grave errore di imparare a volerti bene così come sei.”

Si rese conto che il suo battito cardiaco era pericolosamente rallentato, facendosi debole e pesante. Il suo cervello era rimasto scollegato per tutta la durata di quell’interminabile confessione, ed ora che si era riconnesso, le sembrava di essersi appena gettata a capofitto nel vuoto.

È fatta, pensò, atterrita. Mi sono definitivamente, irrimediabilmente fregata con le mie stesse mani.

Quando Tom le sventolò una mano davanti agli occhi, Vibeke si rese conto che stava pensando come una quindicenne con una cotta tremenda per il suo compagno di banco, e inorridì. Ma Tom aveva un sorriso che gli attraversava il volto da parte a parte, e gli era sorto dal nulla un luccichio vivace negli occhi che aveva spazzato via metà della sua stanchezza.

“Posso commuovermi o sarebbe troppo infantile?”

Vibeke inclinò il capo di lato, mordendosi il labbro inferiore. Era sola e indifesa contro Tom Kaulitz: non aveva speranze di uscirne vincitrice.

“Sarei proprio curiosa di sapere se esiste qualcosa in grado di commuoverti veramente.” Riuscì a farfugliare, ma lui aveva già in mente altro:

“Vieni a cena da noi?”

Vibeke sospirò, svuotata di tutta la poesia. L’ultima volta che le aveva chiesto di rimanere per cena, era stato perché la lavastoviglie non funzionava e non c’era Gustav che potesse lavare i piatti.

“Cosa devo lavare, stirare o riordinare?”

“Niente, cretina, era un invito.”

“Oh, be’, in questo caso… Cucina Gud?”

“Esce con Fiona.”

“Ancora quella Fiona!” Vibeke si sentì ribollire di rabbia. “Mi piacerebbe proprio conoscerla, quella.”

Tom inarcò le sopracciglia.

“Credo che Gustav la preferisca viva.”

Lei gli diede uno spintone.

“Molto divertente.”

“Dov’è la tua macchina?”

“Sono venuta a piedi.”

“Da casa tua?!” esclamò Tom, strabuzzando gli occhi.

“Sì.”

“Vi, sei matta?! È mezza città!”

“A me piace camminare.” Si giustificò lei, sollevando spalle.

“Non ti sarai stancata troppo, vero?”

“Da quando in qua ti interessi alla mia salute?”

“Contavo che ti fermassi anche a dormire…”

Vibeke emise un basso ringhio gutturale.

“Cosa l’ho chiesto a fare?”

Fece per allontanarsi in malo modo, ma lui la prese per un polso e la fermò.

“Allora, ti fermi?”

Sì!, era tutto quello che la sua mente inviava alla sua bocca, ma non era esattamente la cosa più dignitosa da dire, soprattutto dopo aver tanto fatto la sostenuta.

“Non ho il pigiama.”

Tom ghignò.

“E che ce ne facciamo?”

Vibeke si disse che ormai avrebbe dovuto essersi abituata ai suoi continui voltafaccia, e invece no, non finiva mai si lasciarla senza parole. Solo lui sapeva essere così dolce e venale a intervalli così ridotti.

“Lo sai, potresti almeno fingere che ti importi di qualcosa di diverso dal sesso, ogni tanto.”

“E va bene, allora ti presto una delle mie magliette, contenta?”

“Me la posso scegliere io?”

“Lo farai nuda?”

“Ovviamente no.”

“Allora te lo puoi scordare.”

“E tu ti puoi scordare che io mi fermi a dormire.”

“Sporca ricattatrice!” mugugnò Tom.

“Ho vinto io?” esultò Vibeke.

“Hai vinto tu.”

“Non ti vergogni ad essere così facilmente corruttibile?”

Tom le si avvicinò con un’espressione lasciva.

“Io fossi in te non parlerei.”

“Qualcuno vuole proprio andare in bianco, stanotte…”

“Guarda che potrei trovarmene mille come te.”

Fu uno schiaffo in pieno viso. Fu come cadere in acque gelide dopo aver goduto del tepore dei raggi del sole. Fu come se un artiglio invisibile la avesse afferrata per la gola e la stringesse sulla giugulare, bloccando sangue, aria e qualunque altra cosa.

“Bene!” strepitò, dopo aver deglutito a fatica il bruciore della delusione. “Bene, non c’è problema! Anzi, già che ci sei, potresti almeno pagarmi, come si fa con una qualsiasi prostituta!”

Tom sembrava mortificato. Cercò di trattenerla, mentre lei gli voltava le spalle.

“Vi, aspetta! Non volevo dire quello… Mi è uscita male,” La costrinse a girarsi di nuovo e a fronteggiarlo. Si passò la lingua tra le labbra, in evidente difficoltà. “Io… Intendevo che ne troverei mille disposte a venire a letto con me.”

“Oh, ora sì che mi sento speciale!”

“Tu non sei speciale,” disse rigidamente Tom, facendosi improvvisamente serio mentre la guardava negli occhi. Sembrava quasi arrabbiato. “Sei esattamente come tutte le altre, sei una qualsiasi, solo una delle tante.”

Vibeke era immobile, paralizzata davanti a lui, con un gelo mortale che le cresceva dentro. Non sapeva se era il vento freddo a pungerle gli occhi, o delle lacrime di cui non era consapevole. Non c’era niente, in fondo, di cui fosse consapevole, se non del fatto che, da qualche parte nella sua testa, ci fosse un briciolo di coscienza della realtà circostante ancora attivo che si rifiutava di credere a quelle parole.

“Tu non sei affatto speciale,” le ripeté lui, impassibile, ad un palmo dal suo naso. C’era qualcosa che gli riluceva negli occhi, una scintilla che Vibeke non ricordava di aver mai visto. O meglio, la aveva vista, ma non negli occhi di Tom; la aveva vista in quelli di Georg, a Lipsia, quando lui aveva riabbracciato la sua Nicole. “Sei così squallidamente poco speciale, che io…” Tom lasciò la frase a metà, ad aleggiare nell’aria assieme al suo profumo, corrugando impercettibilmente le sopracciglia in una piega intimorita.

Vibeke tremò.

“Che tu…?”

“Io non lo so come funzionano queste cose, Vi,” sospirò Tom. “Per me è una cosa nuova, ma credo – credo che esista una remota ed alquanto improbabile possibilità che la tua assoluta mancanza di specialità mi abbia inavvertitamente fatto…” Una pausa lunga un’infernale eternità, poi Vibeke le sentì, quelle parole che credeva sarebbero sempre e solo esistite nella sua più ingenua fantasia. “Innamorare di te.”

Lei aveva ormai rinunciato a sforzarsi di reagire in qualsiasi modo.

Non ha detto quello che credi di aver sentito, sosteneva la voce di quel famoso briciolo, convinta. Sai bene che non può averlo detto davvero, e, anche se fosse, sai che non puoi permetterti di credergli.

E, sì, sicuramente lei sapeva bene sia l’una che l’altra cosa, ma questo non significava che fosse in grado di metterle in pratica.

“Apprezzerei almeno un cenno da parte tua,” tentò di scherzare Tom. La sua espressione timida, in qualche modo, lo faceva sembrare ancora più identico a Bill. “Perché, sai, quello che ho appena detto non è esattamente la solita cazzata buttata lì a sproposito…”

Ma Vibeke proprio non riusciva a sbloccarsi da quello stato catartico provocatole dallo shock.

“Vi?”

“Non mi devi niente, Kaulitz,” mormorò lei, articolando a fatica ogni singolo suono. Era come se avesse dimenticato come comandare il proprio corpo e le proprie azioni. “Non sei obbligato a –”

Una penetrante occhiata particolarmente severa da parte di Tom la trafisse da parte a parte, facendole morire le parole in bocca.

“Ti sembra una cosa che uno come me direbbe così, tanto per dire?” le domandò tagliente. “Ti sembro il tipo che va in giro a mentire alla gente quando gli gira?”

No, doveva ammetterlo. Tom aveva tante pecche, ma non era da lui mentire su cose così compromettenti. Era uno che prendeva anche senza chiedere, all’occorrenza, ma senza mai illudere nessuno per raggiungere il proprio scopo.

“L’ho detto perché era il momento di dirlo,” dichiarò Tom, senza perdere per un solo istante quella serietà pietrificante. “E perché tu sapessi che so benissimo che non esiste solo il sesso, e soprattutto che non mi importa solo di quello.”

“Non lo pensavo sul serio.” Ammise Vibeke, pentita.

Tom si addolcì.

“E io non pensavo sul serio che tu lo pensassi, ma sei così tenera quando fai la permalosa che mi hai fatto pensare: ‘Forse merita di sentirselo dire’.”

Vibeke si passò una mano tra i capelli.

“Devo essere proprio una pazza a stare qui a darti retta…”

“Non ho mai dubitato che tu lo fossi.” Disse Tom, divertito, ma poi si voltò di scatto verso i cespugli della siepe, lontani una ventina di metri da loro.

Vibeke lo imitò istintivamente.

“Che succede?”

Tom scrutava circospetto tra le fitte fronde.

“Mi è sembrato di vedere un flash.”

“Paparazzi?”

“Peggio: fans.”

L’idea elettrizzò Vibeke.

“Vuoi dire che là dietro da qualche parte ci sono nascoste delle fans dei Tokio Hotel che mi stanno odiando a morte perché mi trovo qui con te?”

“Altamente probabile.” Rispose Tom, facendole segno di seguirlo. Aggirarono la Cadillac e si fermarono alla sua ombra.

“Sai che comincia a piacermi la prospettiva di farmi vedere in giro con te?”

Tom schioccò la lingua fingendo disappunto e tornò a sedersi sul muretto, al riparo da occhi ed obiettivi indiscreti.

“E l’esibizionista sarei io?”

“Non è esibizionismo, è sadismo! Non è soddisfacente essere odiati dalla gente perché si ha qualcosa che loro non avranno mai?”

“La tua perversione raggiunge picchi inquietanti,” commentò Tom, mentre giocherellava con una margherita che spuntava tra le mattonelle dell’aiuola alle sue spalle. “Ma se mi ritieni un motivo di vanto, non posso certo biasimarti.”

Continuò a rigirarsi il piccolo fiore tra le dita, accarezzandolo con i suoi polpastrelli ruvidi. A un tratto si fermò. Vibeke non ebbe nemmeno il tempo di capire che cosa stesse facendo, che lui aveva già strappato il gambo dal terreno.

“Hai ammazzato una margherita!” lo rimproverò.

Tom batté interrogativamente le ciglia con un’espressione costernata.

“Ma… Io volevo solo…”

“Non si colgono i fiori!”

“E se io l’avessi colta per te?”

“Ancora peggio!” insisté lei, pestando un piede per terra. “Un fiore reciso è destinato a morire entro pochi giorni, e un regalo che muore è di pessimo gusto!”

“Scusami,” biascicò Tom, piantandole la margherita in mano mentre si accostava alla macchina. “Non raccoglierò più un fiore in vita mia.”

Vibeke si rese conto di aver reagito in maniera eccessiva. Gli andò accanto con un sorriso colpevole e gli solleticò il collo con i soffici petali del fiore.

“Non sento abbastanza rimorso nella tua voce.” Lo prese in giro.

“Chiudi quella boccaccia, stronza,” la zittì, senza nascondere una punta di ilarità. “Andiamo a casa, sono a pezzi.”

Aprì l’auto, salì ed avviò il motore. Vibeke aggirò nuovamente la Cadillac per raggiungere la portiera del passeggerò, e lì indugiò. Era stata sul punto di lasciar cadere la margherita a terra, prima di salire, ma ci ripensò: la guardò, sorrise, e se la infilò in tasca, poi raggiunse Tom a bordo.

Era stato un pomeriggio fuori dal comune, per diversi motivi. Ora, diretta verso casa dei ragazzi assieme a Tom, covando dentro riflessioni su quanto loro due si erano detti, si crogiolava nella paura di un lietofine.

 

***

 

La casa, nonostante fossero appena le dieci, era tranquilla come raramente capitava. Di solito a quell’ora c’era un chiasso infernale, dovuto alle loro chiacchiere, ai bisticci di due o più di loro, al rumore della TV o della Playstation, ma non quella sera. Georg, appena finito di cenare, si era rintanato in camera sua, incollato al telefono con Nicole, e nessuno lo aveva più visto; Gustav era uscito per vedersi con Fiona, anche se non era parso particolarmente entusiasta; Bill era rimasto solo di sotto, a guardare la TV sul divano.

Tom si era appena infilato i boxer dopo essere tornato da una doccia che aveva agognato per ore e adesso non aspettava altro che anche Vibeke tornasse dalla sua. Accese lo stereo, in cui Vibeke doveva aver dimenticato uno dei CD di Gustav, poi si mise a raccattare un po’ di vestiti sparsi in giro per la stanza e si sforzò di dare loro la parvenza di una piega. Non voleva farle trovare troppo disordine in giro. Sarebbe stata un’operazione decisamente più facile, tuttavia, se solo lui avesse avuto una vaga idea di come si piegasse quel groviglio di magliette e felpe che aveva ammassato sul letto.

So close, no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trusting who we are
And nothing else matter
s…

“Lascia stare quei poveri innocenti, casalinga disperata fallita.”

Tom guardò in su: Vibeke era comparsa sulla soglia, scalza e con indosso una maglietta extralarge di un verde smunto che lui non metteva da anni. Le stava malissimo quel colore, ma non glielo disse. Si limitò invece a spostare il mucchio di indumenti su una sedia. Lasciando così il letto libero.

Vibeke chiuse la porta e gli andò incontro, portandosi dietro una scia di inebriante profumo di bagnoschiuma al sandalo, quello che usava Bill. Solo che su Bill non faceva quell’effetto, perlomeno non a Tom.

Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don't just say
And nothing else matters…

“Ho messo un po’ d’ordine.” Le comunicò, mentre lei si metteva a sedere sul letto, appoggiandosi ai cuscini. Tom avrebbe preferito che quella maglietta le coprisse qualche centimetro in più di gambe, e soprattutto che lei non le esibisse con una tale nonchalance, perché lui stava cominciando a sentirsi fastidiosamente accaldato. Lei invece lo osservava come se non fosse stata minimamente consapevole degli effetti che stava sortendo su di lui.

Trust I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters…

“Sei cotto, vero?” gli domandò.

“Sono stanchissimo,” rantolò lui, andandosi a sdraiare al suo fianco. “Abbiamo suonato tutto il giorno, Bill non era mai contento, Gustav ci ha fatto rifare sei volte un passaggio perché sosteneva che non gli riusciva mai bene…”

Vibeke gli carezzò compassionevolmente i capelli.

“Oh, povero, povero Kaulitz…”

Steso supino, Tom la guardò dal basso.

“Mi sfotterai a vita se ti dico che non sono in vena di sesso?”

“Il ninfomane sei tu, non io.”

Lui non si lasciò toccare da quelle insinuazioni. Si spostò più vicino a lei e le appoggiò la testa in grembo.

“Fammi un po’ di coccole.”

Vibeke rimase interdetta di fronte a quella richiesta inconsueta.

“Cos’è questa novità?”

Tom strusciò la guancia contro le sue gambe nude. Erano calde e setose, chiare quasi quanto le lenzuola.

“Ma come?” si stupì. “Prima ci siamo detti tutte quelle cose così svenevoli e romantiche… Non mi verrai a dire che mi sono umiliato con quella marea di cazzate per niente, vero?”

“Parrebbe di sì.”

“Ma le coccole me le fai?”

Vibeke rise, e gli occhi le si assottigliarono in due mezzelune grigioverdi.

“Sono mai stata capace di dirti di no?” sospirò, riprendendo ad accarezzarlo. Le sue mani erano fredde, ma era un freddo piacevole, che Tom si sentiva sulla fronte come acqua fresca.

“Hai avuto la tempra di provarci, una volta o due.”

Dal fianco si girò sulla schiena, ma non riusciva a trovare la posizione giusta.

“Cazzo se sei scomoda!”

Lei interruppe le carezze.

“Non dire stronzate!”

“Hai delle cosce dure come il cemento!”

“Si dice sode.”

“Mettila un po’ come ti pare, ma sei scomoda.”

“Le preferivi molli e flaccide e piene di cellulite?”

Tom si contorse in una smorfia.

“Che schifo!”

“Ecco, appunto, quindi taci.”

Normalmente Tom sarebbe rimasto lì a lasciarsi viziare, beandosi in tutte quelle attenzioni solo per lui, ma quella sera, per qualche ragione, non riusciva a stare zitto.

“Le tue tettone però mi coprono la visuale nord.” Si lamentò.

Vibeke sbuffò spazientita, schiacciandosi il petto con un braccio.

“C’è qualcosa di me che ti va a genio?”

“Era solo un’osservazione,” disse lui. “E comunque la tua dotazione mi piace. È che di solito mi piace anche guardare in faccia la gente con cui parlo.”

“Questa è proprio bella, me la devo segnare.”

“Sono così stanco che non riesco nemmeno a controbattere.”

La mano fredda di Vibeke gli sfiorò delicatamente la guancia, ancora e ancora.

“Dormi, allora.” Gli sussurrò.

Tom chiuse gli occhi, ma non voleva dormire. Se si fosse addormentato, non sarebbe più stato conscio della sua presenza, e ora che la aveva lì, non se la voleva perdere. Era la prima volta che condividevano un momento così intimo; di solito passavano direttamente al livello successivo, e le due volte che avevano solo dormito insieme, era stato semplicemente un sonno trascorso l’uno accanto all’altra. Ma le coccole, le tenerezze scambiate con calma, il dialogo fine a se stesso… Quello era tutto nuovo. E la cosa più stupefacente era che era stato lui a volerlo.

“No, voglio essere coccolato,” si impuntò. “Lo esigo, me lo merito.”

“E io cosa mi merito?” replicò Vibeke, tranquilla. “Cosa mi merito io per tutta la pazienza che porto con te? Per il tempo e le energie che ti dedico, per essere pronta a dirti di sì ogni volta che mi chiedi qualcosa, senza chiedere mai niente in cambio?”

“Hai me in cambio!”

“Sì, quando vuoi tu e come vuoi tu.”

Tom si tirò su a sedere e la scrutò da vicino.

“Mi stai facendo una scenata, per caso?”

Lei sostenne lo sguardo senza l'ombra di cedimento.

“No.”

“No?”

“Non sono mica la tua ragazza.”

Tom si accigliò.

“E chi l’ha detto?”

“Chi non l’ha detto, semmai.”

Ora capisco…

Tom si disse che avrebbe dovuto arrivarci da solo e un po’ prima. Vibeke poteva anche essere una ragazza anomala, ma era pur sempre una ragazza. Gliene erano capitate tante che, dopo una notte con lui, si erano illuse che lui le trovasse speciali, diverse dalle altre, e lui le aveva sempre deluse, spinte via quasi con disgusto, sentendosi soffocare dalle loro aspettative. Ora che gli era capitata quella che non gli aveva chiesto niente, era lui a volerle dare tutto.

“Ok,” disse risoluto. Si alzò dal letto e la prese per mano, trascinandosela dietro. “Se il problema è questo…”

“Kaulitz, cosa –?” Vibeke lo seguì, non senza proteste perplesse, ma lui non la ascoltava. “Kaulitz!”

Tom la portò nel bel mezzo del corridoio. Lì si fermò, inspirò a fondo e spalancò la bocca, urlando:

“Vi è la mia ragazza!”

“No, niente,” si sentì dire dalla voce di Georg, al di là della sua porta. “È solo Tom che sbraita ovvietà.”

Un’intensa sfumatura di rosso si diffuse sul viso di Vibeke, che prese a strattonare Tom per il braccio, imbarazzata.

“Zitto, sveglierai tutto il palazzo!”

Senza darle retta, Tom si affacciò alle scale, sempre con lei appresso, e anche da lì si mise a gridare:

“Bill, Vi è la mia ragazza!”

Dal piano inferiore arrivò la sommessa e sarcastica risposta di Bill:

“Non lo avevo capito!”

“Smettila, scemo!” gli sibilò invece lei, tentando in tutti i modi di riportarlo in camera, ma lui già puntava verso la finestra.

“Oh, no!” lo ammonì, anticipando la sua mossa. “Kaulitz, non osare nemmeno pensar–”

Era già tardi: con una mano sola, Tom aveva aperto la finestra e vi si era affacciato, sporgenbdosi verso Amburgo in piena attività notturna.

“Vi è la mia ragazza!” urlò ancora una volta. “Vibeke Vanessa Wolner è la ragazza di Tom Kaulitz!”

“KAULITZ!”

Vibeke lo trascinò giù, al di sotto del davanzale della finestra, e finirono entrambi seduti a terra, l’uno addosso all’altra. Lei aveva un’espressione sconvolta e incredula, lui rideva incontrollatamente, tanto da farsi venire le lacrime agli occhi e i crampi agli addominali. Rideva e le stringeva la mano, e respirava il suo profumo, ridendo addosso a lei.

“Sei contenta, adesso?” riuscì a chiederle, non appena la crisi ridanciana si fu un po' sedata.

“Tu sei fuori di testa!” disse lei sottovoce, aggiustandosi la maglietta sulle spalle.

“Sei contenta?” ripeté Tom, appoggiandosi con la propria fronte alla sua. Lei lo sfidò con uno sguardo.

“Se pensi che ti degnerò di una risposta, ti sbagli di grosso.”

Lui le sorrise.

“Sì che sei contenta.” Si compiacque. Non aveva bisogno di sentirselo dire, glielo leggeva negli occhi.

Si chinò per baciarla. Vibeke gli posò una mano sul collo prima ancora che le loro labbra si incontrassero. Fu un bacio breve, poco approfondito, ma a Tom non importava.  Gli bastava sapere di averla stupita, in senso positivo, ancora una volta. Ora sapeva che quello che voleva lui, lo voleva anche lei.

“Non avevi sonno?” mormorò Vibeke, mentre lui le faceva scorrere una mano lungo la coscia. Gli ci volle un sforzo non indifferente per separarsi da lei e ritrarre la mano. Nonostante stesse cominciando a sentirsi eccitato, la stanchezza gli pesava addosso anche dopo la doccia, e tutto ciò che voleva era infilarsi sotto le coperte e dormire. Assieme a lei.

“Sì, giusto,” Si alzò in piedi e poi aiutò Vibeke, porgendole anche l’altra mano. “Andiamo a letto.”

Lei si lasciò tirare su e gli lasciò un altro bacio sulle labbra, poi ritornarono in camera. La canzone di prima stava finendo.

Forever trusting who we are
No, nothing else matters.

 

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Note: ebbene sì, miei fidi e adorati lettori, sono proprio io! So che molti di voi di davano per defunta o dispersa, ma in realtà era semplicemente stata travolta dal dovere, che ogni tanto, purtroppo per tutti noi, chiama, quindi spero che non siate troppo arrabbiati per il ritardo record di (ommioddio!) quasi due mesi. ç___ç Vi autorizzo al linciaggio via recensione, se volete, ne avete tutto il diritto.

Dunque, passando al capitolo, avrete notato che si sono toccati livelli di sdolcinatezza che per me sono inconsueti. Ebbene, è mio dovere informarvi che gatta ci cova. Ma non dirò altro, altrimenti che sadica sarei? XD Ricordatevi sempre di insospettirvi quando vedete che nelle mie storie è tutto bello, felice e facile, perché in realtà, quando è così, significa che vi sto preparando un tiro mancino. ^^ Fra l’altro, la canzone citata alla fine (ossia la meravigliosa Nothing Else Matters by Metallica), è un po’ un mio rigiramento del coltello nella piaga, con questa storia delle fiducia, ma capirete meglio la prossima volta. XD

Dichiaro anche che, purtroppo, la geniale, splendida frase “si crogiolava nella paura di un lietofine” è ispirata quasi alla lettera da Grey’s Anatomy, quindi date pure ai suoi autori il merito di questa piccola poesia. Per quanto invece riguarda la frase di Vibeke “Piantami un paletto nel cuore e trascinami alla luce del sole”, è tratta dalla letteradalla divina Slaying The Dreamer, by Nightwish (come sempre, diffidate dalle imitazioni post 2005 u__u)

Ultima dichiarazione: la parte dello sclero ormonale di Vibeke dopo aver visto i ragazzi suonare è anch’essa frutto di un’ispirazione, stavolta sorta da un colto e raffinato dialogo via MSN con l’esimia Lady Vibeke, che vi riporto qui di seguito:

Pao *liebe kinder, ich liebe euch so sehr* scrive:

non mi parlare di batterie, perchè lo sai cosa mi succede quando si menzionano i batteristi

Princess scrive:

sì, lo so, lo so bene XD

Princess scrive:

un po' quel che succede a men quando si menzionano i bassiisti

Pao *liebe kinder, ich liebe euch so sehr* scrive:

come se a me i bassisti non facessero effetto, no?

Pao *liebe kinder, ich liebe euch so sehr* scrive:

l'Uomosesso mi lascia del tutto indiferente, con la sua prestanza da stuprevolezza vivente e quel cazzo di basso inguinale ormone-aizzatore

Princess scrive:

XD

Princess scrive:

ok, mi consola sapere che la sola malata non sono io

non credo serva commentare, no? XD

Se avete trovato errori di qualsivoglia tipo all’interno del testo, sappiate solo che ancora non ho riletto. So che si dovrebbe controllare prima di postare, ma ho promesso che avrei aggiornato entro oggi, e quindi ci tenevo a mantenere la promessa. State pur certi che comunque gli errori saranno corretti. ^^

Angolo delle note personali, per stavolta limitate a risposte a domande precise e delucidazioni:

ninacri: mi eri mancata, ma vedo che non solo sei tornata, ma hai anche intuito sottigliezze della trama che non è semplice cogliere, e questo non può che farmi molto piacere. Le tue sensazioni circa quel qualcosa di appena cominciato sono abbastanza fondate, ma non dico altro, non roviniamo le sorprese. XD

schwartznana: mi chiedi se ci sarà un seguito anche per Gud, e la rispostaè : ma certo! ^^ La ff per il nostro meraviglioso angelo è pronta per essere iniziata, ma per ora cominciamo a finire The Truth, che non è cosa da poco. ;)

Se ho scordato di chiarire qualcosa a qualcuno, fatemelo sapere! O anche se avete altre domasnde

Detto questo, vi lascio, con il solito invito a lasciare un recensione, per quanto piccola possa essere, anche se pensate che possa essere sciocca, perché per me anche un “Grazie, è bellissima!” è piacevole da ricevere. ^^

Alla prossima!

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Capitolo 22
*** Such A Beautiful Lie ***


“Scherzi?”

“No!”

“Tu scherzi!”

“No, ti dico!”

“Bill, tu stai scherzando!”

“Ti giuro sulla mia borsa di Gucci che è vero!”

A BJ a quel punto non restò che credergli sulla parola ed assumere un’espressione di puro sconvolgimento.

“Herregud!” (“Oh mio dio!”)

Erano seduti ad un tavolino nell’atrio deserto dell’elegante ala VIP dell’ospedale, davanti a loro le grandi vetrate affacciate sul giardino della clinica e sulla parte sud di Amburgo, che dominavano dall’alto del settimo piano. Bill aveva portato cappuccino e un gigantesco sacchetto di morbidi e gustosi fiori rosa, importati direttamente dall’America, e da qualche minuto, dopo i convenevoli rituali, si erano messi a discutere della situazione tra i propri fratelli. Bill gli aveva già parlato il giorno prima di quello che era successo allo studio, ma le succose novità che erano poi seguite avevano appena iniziato a sviscerarle.

“Assurdo, lo so,” convenne Bill, prendendo un marshmallow. Se lo infilò in bocca, immediatamente imitato dall’amico, che attendeva avidamente che lui continuasse a raccontare. “E poi Tom si è messo a urlare a squarciagola ‘Vi è la mia ragazza! Vi è la mia ragazza!’,” Deglutì. “Anche se io non credo che agli aborigeni australiani interessasse più di tanto.”

BJ, avvolto in una morbida vestaglia blu notte firmata Emporio Armani, si concesse una risatina trattenuta. Bill vedeva la sua salute migliorare ogni giorno e questo lo rincuorava, anche se il grosso cerotto bianco che gli avevano messo in sostituzione alle bende aveva comunque un aspetto poco rassicurante. Ma BJ stava bene e, come Vibeke non perdeva occasione di ricordare, da lì a pochi giorni sarebbe stato finalmente dimesso.

“Meno male che ci sei tu. Mia sorella non si degna mai di raccontarmi le cose veramente interessanti.”

Bill gli sorrise.

“Forse ce l’abbiamo fatta, sai?” gli confidò, fiducioso. “Li vedo convinti di quello che stanno facendo.”

BJ prese un generoso sorso di cappuccino, e quando lo posò fissò riflessivamente il bicchiere.

“Sono senza parole, lo ammetto,” disse, dopo qualche istante. “Tom è l’ultima persona che mi sarei mai immaginato al fianco di Vibeke, eppure… Sono un’accoppiata assurda, ma vincente, si direbbe.”

“Kaulitz e Wolner…” bisbigliò Bill fra sé, soppesando il suono di quelle due parole associate l’una all’altra. “E io che credevo fosse una combinazione ingestibile.”

“Mai dire mai, nella vita.”

Bill si abbandonò contro la sedia, sospirando.

“Già.”

Tom e Vibeke, ripeté dentro di sé, stranito. Tom e Vibeke. Tom e Vibeke. Tom… E Vibeke.

Sì, suonava proprio bene.

Tom Kaulitz e Vibeke Wolner. E un giorno magari saranno Tom e Vibeke Kaulitz, e io avrò tanti piccoli nipotini Kaulitz…

Un’improvvisa, agghiacciante consapevolezza congelò le sue fantasticherie: se mai Tom e Vibeke avessero procreato, in un remoto ed improbabile futuro, il risultato sarebbero stati dei figli dotati di personalità miste tra loro due, e si trattava di una prospettiva abbastanza spaventosa. Una sintesi genetica tra Tom e Vibeke doveva essere una creatura fatta di fuoco e argento vivo, testarda, permalosa, orgogliosa, irascibile…

Bill represse un brivido. Non era sicuro di volere dei nipoti così.

“Mi sarebbe piaciuto venire a trovarvi allo studio,” disse BJ ad un tratto, affranto. “Ma purtroppo sono prigioniero qui dentro per almeno un’altra settimana.”

“Vorrà dire che ci verrai a trovare per qualche concerto.” Suggerì Bill, cercando di rallegrarlo, e la proposta, in effetti, sortì l’effetto sperato: il viso pallido di BJ si illuminò di speranzoso entusiasmo.

“Sul serio?”

“Hai conoscenze influenti, no?”

“Oh, sì!” Con un’espressione felina, BJ si sporse in avanti, portandosi una mano accanto alla bocca con fare cospiratorio. “Non dirlo a nessuno, ma ho degli agganci con i Tokio Hotel.”

Bill sgranò gli occhi con enfasi.

“No!”

“Sì!” fece BJ. “E a quanto pare mia sorella se la fa con il loro chitarrista.”

Scoppiarono entrambi a ridere. BJ aveva una bella risata, limpida e spontanea, e quando rideva gli si formavano delle piccole rughe ai lati degli occhi. Bill aveva notato che da quando era stato ricoverato, aveva smesso di tenere la barba regolarmente rasata, e infatti diversi ispidi peletti biondi iniziavano a spuntagli qua e là lungo la mandibola e il mento. Bill pensò che quel dettaglio gli donava parecchio, chiedendosi come sarebbe stato lui, con la barba, ma l’idea non lo allettava particolarmente. Anche volendo, in ogni caso, a lui non ne era mai nemmeno spuntato nemmeno un accenno.

“Speriamo che duri.”

BJ annuì.

“Sì, speriamo davvero.”

Bill trovava vagamente bizzarro starsene lì a chiacchierare degli affari di cuore del proprio fratello davanti a cappuccino e marshmallows alla fragola, ma BJ era un tipo in gamba e si preoccupava di Vibeke come lui si preoccupava di Tom, e sicuramente potevano aiutarsi l’un l’altro ad aiutare quei due imbranati che si ritrovavano per fratelli.

“Sai,” rifletté. “Tom è stato con diverse ragazze, e ne ha conosciute un’infinità, e con alcune ci stava bene, ma è la prima volta che lo vedo felice di essere con qualcuna.”

“A Vibeke non è mai importato niente di quelli con cui stava. Ha sempre avuto il terrore della solitudine e dell’abbandono.” Il penetrante sguardo grigioverde di BJ si posò su quello attento di Bill. “Due paure piuttosto contrastanti, capisci? È sempre stata una frana a gestire i sentimenti. Se per Tom ha trovato il coraggio di affrontare se stessa, la cosa deve essere seria.”

Bill sospirò.

Il problema è un po’ quello, si disse. Tanto più la cosa era seria, quanto peggiori sarebbero state le conseguenze del più piccolo errore.

“Ad essere sincero è proprio questo che mi spaventa un po’.”

“Dici che combineranno per forza qualche casino?”

“Be’, quando fai una cosa per la prima volta, è logico che il risultato sia un po’ scarso… Bisogna prenderci la mano.”

“E quei due non hanno nemmeno cominciato.”

“Esatto.”

“La situazione è delicatissima. Vanno tenuti d’occhio.”

“Ah, tranquillo,” lo rassicurò Bill, fiducioso. “Io e i ragazzi li monitoriamo da prima che si accorgessero di stare insieme.”

“Deve essere bello avere degli amici che si occupano di te e di tamponare le tue cazzate.”

Bill batté le ciglia con aria interrogativa, percependo delle note di rimpianto in quelle parole.

“Sai,” riprese BJ, affrettando una risatina leggera. “Predico tanto a Vibeke, ma alla fine nemmeno io sono granché incline ad affezionarmi veramente alle persone.”

A Bill non sembrò strano come avrebbe potuto apparire a qualcun altro: ogni volta che lo aveva visto, lo aveva sempre trovato circondato da interi capannelli di persone, ma avere folle intere al seguito non significava necessariamente non sentirsi mai soli. Anzi.

Quello che ancora non sapeva era il motivo per cui BJ e Vibeke avessero questa sorta di blocco nei confronti dell’affettività.

“E come mai?”

“Oh, è una lunga storia.”

“Raccontamela.”

BJ gli scoccò un sorrisino di rimprovero.

“Se te la senti, intendo.” Precisò Bill, mortificato. Non aveva avuto nessuna intenzione di sembrare sgarbato ed impositivo; il problema era che era troppo abituato a dare ordini per ricordarsi dell’educazione, in certi frangenti.

BJ, però, non sembrava essersela presa male. Prese un paio di marshmallows dal ricco sacchetto e li fece sparire in un sol boccone, poi bevve un po’ di cappuccino e tacque per qualche istante. Quando tornò a guardare Bill, c’era una insolita ombra solenne sul suo volto.

“Sono passati tanti anni ormai…”

Bill non seppe quanto a lungo BJ parlò. Lo ascoltò soltanto, senza fiatare, apprendendo via via informazioni che gli aprirono gli occhi su diverse questioni.

BJ gli raccontò della propria madre naturale, una donna fredda e severa, e di come, quando lui e Vibeke erano piccoli, lei avesse abbandonato la propria famiglia senza alcuno scrupolo per seguire il proprio giovane amante negli States. Sapeva che Vibeke aveva confidato a Tom di avere una matrigna, tempo prima, ma non aveva mai osato chiederle altro, per evitare il rischio di toccare tasti delicati. Vibeke aveva fatto la donna di casa per quattro anni, finché il padre si era risposato con l’attuale moglie, Sissel Lerø, e tutto aveva cominciato ad andare meglio. Ma a lui e Vibeke era rimasto l’amaro in bocca per tutti gli anni infelici vissuti in quella casa, e quando lui le aveva detto di essere determinato ad andare a cercare fortuna i Germania, lei non era stata capace di separarsi da lui. In cuor suo, Bill era cosciente che la fortuna l’avevano trovata davvero: BJ, grazie al proprio fascino e all’irresistibile carisma, accompagnati ad un notevole talento, era riuscito a diventare una celebrità affermata nel giro di un paio d’anni, finendo così per conoscere altre celebrità, tra cui proprio Benjamin, con cui aveva stretto amicizia molto in fretta. Per quel che riguardava Vibeke, Bill non aveva ancora capito se il destino avesse deciso di condurla fino a loro con un intento preciso o se avesse solo voluto giocare con il fuoco, ma una cosa era certa: erano tutti felici che fosse successo.

“Mi chiedo se Tom le sappia tutte, queste cose.”

“Probabilmente ne sa anche di più,” gli rispose BJ, sicuro di sé. “Mia sorella forse non lo ammetterà mai, ma si fida di lui, e io so che si è aperta molto di più di quello che vuole far credere.”

Bill avvertì una spiacevole sensazione rosicante allo stomaco. Vibeke gli era sempre piaciuta, anche quando, all’inizio, lo trattava con sufficienza, ma era dura prendere atto del fatto che ora c’era un’altra presenza importante nella vita di Tom.

“Cosa farebbero senza di noi?”

BJ gli rispose con un sorriso:

“Quello che faremmo noi senza di loro: niente di niente.”

Bill non ebbe nemmeno il tempo di sorridere di rimando. Capì che era arrivato qualcuno prima ancora di vedere o udire qualcosa: alle narici gli era improvvisamente arrivata una zaffata di profumo troppo forte che gli aveva fatto arricciare il naso; lui e BJ si erano voltati simultaneamente ed avevano trovato una giovane infermiera che stanziava sulla soglia della sala. A Bill non piacque: era magrissima, con un uniforme rosa pallido e i capelli biondi e crespi raccolti in una coda di cavallo. Era carina, ma il modo compiaciuto in cui li guardava – come se desse per scontato che loro dovessero ammirarla – gli diede sui nervi.

“Oh, scusate,” esclamò, portandosi affettatamente una mano al petto. Aveva una voce acuta e squillante, e rivolse a Bill uno sguardo fulmineo tutt’altro che amichevole. “Non volevo disturbare.”

Raccontalo a qualcun altro, commentò lui fra sé, mentre lei non osava muoversi da dov’era, seppur chiaramente tentata.

“Ciao, Linda,” la salutò BJ, cordiale come suo solito. “Avevi bisogno di qualcosa?”

La ragazza sfoggiò uno sfolgorante ed impeccabile sorriso a trentadue denti.

“Volevo solo ricordarti che tra mezzora hai i controlli di routine.”

“Va bene, grazie.”

“Bene. Riferirò al dottor Leven.” Fece lei, ma non accennò ad andarsene.

“Bene.”

“Perfetto.”

Nonostante gli impliciti ma ovvi inviti ad andarsene che BJ le stava comunicando, Linda pareva troppo occupata a mangiarselo con gli occhi per badarvi.

“Linda, ho compagnia, come vedi,” le fece presente BJ, con garbo. “Ti spiacerebbe…?”

Una nuova occhiatina feroce piovve su Bill da parte della giovane infermiera, ma venne quasi immediatamente eclissata da un pronto ripristino del sorriso ammaliante.

“Oh, sì, scusate,” Il suo tono dispiaciuto non era minimamente convincente. “Lei e la sua amica avrete molto di cui parlare.”

Bill aggrottò la fronte, irritato.

Possibile che anche senza trucco mi debbano scambiare per una ragazza, e in patria, per giunta? E questa in che mondo vive? Sono Bill Kaulitz, non il primo che passa per strada!

“Veramente io non –”

“Grazie di essere passata,” lo interruppe BJ, rivolgendosi a Linda senza fare una piega. “Ci vediamo.”

“Sì,” La delusione dipinta sul volto della ragazza fece quasi scappare da ridere a Bill. “Ci vediamo.”

Quando i suoi passi che si allontanavano nel corridoio furono abbastanza lontani, Bill si voltò per studiare il proprio riflesso nella finestra: era pallido, ma un po’ di colore gli tingeva le guance, e gli occhi privi di trucco gli sembravano ancora gonfi come quando si era appena alzato, ma gli sembrava impossibile che qualcuno potesse prenderlo per una ragazza. Ma forse era perché lui sapeva chi era.

“Che smacco, povera Linda.”

Bill tornò in sé, ma non comprese l’osservazione di BJ.

“Come, scusa?”

“È da quando sono stato ricoverato che lei e le sue colleghe mi ronzano intorno speranzose. Avranno una crisi isterica quando andrà a raccontare che ero qui, immerso in una conversazione intima con una bellissima spilungona sexy.”

Bill si sentì arrossire. Non si era ancora abituato del tutto alla completa incuranza di BJ nell’esternare i propri pareri: diceva sempre quel che pensava e non usava mai mezzi termini o giri di parole.

“Non sapevo che le infermiere adesso le pagassero anche per molestare sessualmente i pazienti.”

BJ rise sommessamente.

“Bill!”

“Ma è vero!” protestò Bill con veemenza. “E ti ha dato anche del tu!”

“Mi fa impressione farmi dare del lei.” Rispose BJ, scrollando le spalle.

Bill trovava il suo accento davvero curioso. Non era nemmeno un accento vero e proprio, in realtà, ma quella sua r così insolitamente liquida e dolce suonava bene alle sue orecchie, abituate alla dura pronuncia tedesca.

“Lo so,” gli disse, concorde. Farsi dare del lei a vent’anni era davvero poco simpatico. “Anche a me.”

BJ lo scrutava pensoso, un marshmallow accostato alle labbra chiuse, gli occhi leggermente socchiusi in un sorriso.

“Mi piace il tuo modo di pronunciare le s, sai?” osservò ad un tratto, mordicchiandosi distrattamente il dolcetto tra i denti. “Era un complimento, Bill.” Aggiunse, divertito, vedendolo esitare.

“Oh,” Bill si schermì con una risatina imbarazzata. “Be’, grazie.”

“Quanto vorrei che tu venissi tutti i giorni,” sospirò BJ, accarezzando con devozione la plastica della confezione di marshmallows. “Qui dentro tutti mi trattano come se fossi la regina d’Inghilterra.”

“La tizia di prima non ti guardava esattamente come guarderebbe la regina d’Inghilterra.”

“Un regina d’Inghilterra maschio, giovane e attraente, allora.”

“Dimentichi ‘in veste da camera’.”

“Giusto,” annuì BJ, serioso. “Hey,” aggiunse poi, abbassando lo sguardo sul tavolo. “Ci siamo divorati quasi tutti i fiori rosa.”

In risposta alla sua espressione delusa, Bill allungò un braccio verso la sedia accanto a sé, per afferrare la propria borsa.

“Ne ho un sacchetto più piccolo, qui,” lo tranquillizzò, facendo comparire una nuova confezione. “L’avevo preso per me, ma sinceramente credo di averne mangiati un po’ troppi.” Lo porse a BJ, i cui occhi brillarono di entusiasmo. “Prendilo tu,” gli intimò, in tono solenne. “Ne hai più bisogno di me.”

BJ non fece complimenti: accettò il lucido sacchetto di buon grado, imitando la solennità di Bill, e se lo strinse tra le braccia. Bill non si sarebbe mai capacitato di quanto gli occhi suoi e di Vibeke potessero essere così identici nell’aspetto e così diversi nell’espressività. Anche lui e Tom erano così, o almeno questo era quello che diceva loro la gente, ma lui non aveva mai notato la differenza.

“Grazie, Bill,” gli disse BJ, più serio. “A te e agli altri. Per questo e per tutto il resto.”

“Allora,” fece Bill, con forzata noncuranza. Non era molto bravo a recitare. “Com’è?”

“Che cosa?”

Il sorriso furbo che finora Bill era riuscito a trattenere emerse senza più costrizioni.

“Avere degli amici che si occupano di te.”

BJ non rispose. Restituì semplicemente il sorriso, nascosto dietro al bicchiere formato take-away del cappuccino.

“Mi sdebiterò, promesso,” disse dopo un po’, riabbassando il bicchiere. “Un giorno o l’altro vi invito tutti a cena.”

“Cucini tu?” scherzò Bill, ripesando ai commenti di Vibeke sulle abilità culinarie del fratello.

“Sai che in effetti è una cosa a cui sto pensando da un po’?”

“Cucinare?”

“Sì. Proprio l’altro giorno stavo dicendo a Vibeke che mi piacerebbe iscrivermi a un corso di cucina, appena esco di qui.”

“Un corso di cucina?” gli fece eco Bill, perplesso.

“Sì!” confermò BJ, entusiasta. “Dopo essere quasi morto, mi è venuta voglia di aprire un po’ gli orizzonti, sai…”

A Bill piaceva l’idea di avere per amico un mago della cucina, perciò fu decisamente favorevole all’ispirazione di BJ.

“Se avessi bisogno di qualcosa, qualunque cosa, facci uno squillo, ok?”

“Di questo passo ce ne vorranno mille, di cene, per sdebitarmi con voi…” sospirò BJ, ma con briosa ironia.

“Mi toccherà proprio accettare tutte e mille le volte, o rischierei di offenderti, giusto?”

“Giustissimo. E poi voglio assolutamente assistere a una litigata di Vibeke e Tom dal vivo!”

Bill, che adorava prendersi cura delle persone a cui era affezionato tanto quanto adorava che loro si prendessero cura di lui, si ritenne soddisfatto della giornata. Sperava che ci fossero tanti altri giorni, a venire, in cui lui e BJ potessero spettegolare alle spalle dei propri fratelli.

Sempre ammesso che quei due incapaci non si ammazzino prima…

 

***

 

Vibeke chiuse la Golf e si aggiustò la borsa sulla spalla, incamminandosi verso l’ingresso del Bleichenhof, il miglior centro commerciale di tutta Amburgo. Doveva comprare un po’ di cose di prima necessità per i ragazzi e cercare un nuovo paio di jeans per sé. Sperava solo che all’alba delle quattro di un sabato pomeriggio così bello e caldo non ci fosse molta gente disposta a rinchiudersi là dentro.

A una decina di giorni di distanza dalla sua fatidica visita allo studio, non riusciva ancora a capire molto bene cosa stesse succedendo. Un giorno lei e Tom erano mezzi sconosciuti che si davano addosso come bambini infuriati, il giorno dopo erano sdraiati l’uno nelle braccia dell’altra a parlare di coccole. Non aveva alcun senso, eppure era così che era andata e continuava ad andare, come se la loro fosse una storia formato Dottor Jekyll e Mister Hyde. Una coppia normale si sarebbe frantumata dopo pochi giorni di variazioni così repentine, ma per loro sembrava essere un punto di forza.

Vibeke varcò le porte del supermercato con il sorriso sulle labbra.

Il famoso episodio della Tokio Hotel TV che milioni di fans avevano atteso tanto a lungo era uscito quella stessa mattina, e lei aveva provato un piacere perverso nel vedersi filmata assieme ai ragazzi, soprattutto nella parte in cui Tom la stringeva a sé per presentarla al pubblico. Era stata censurata, ma chiunque la conoscesse avrebbe potuto facilmente riconoscerla. Del resto era una che di segni particolari ne aveva da vendere.

Passò di fronte alle vetrine delle marche più prestigiose senza nemmeno fermarsi a guardarle. Era tutta roba troppo costosa per le sue tasche, e comunque, anche volendo, non sarebbe mai riuscita ad entrare in quelle taglie impossibili. Il suo negozio preferito era lo Scary Miss Mary, miniera d’oro per i cultori dell’alternativo, ma anch’esso un po’ caro. Ci avrebbe fatto un salto dopo, se le fosse avanzato un po’ di tempo. Aveva appena preso un cestino dalle alte pile all’ingresso del supermarket, quando la melodia di Labyrinth dei Cure la avvertì che qualcuno le stava telefonando.

‘So say it’s the same house
And nothing in the house has changed
Say it’s the same room
And nothing in the room is strange…’

Recuperò il cellulare dalla borsa e controllò il display: il numero era privato.

“Hei?” (“Pronto?”)

“Hei, det er jeg! Hvor er du?” (“Ciao, sono io! Dove sei?”)

A Vibeke occorse un attimo per capire perché quelle parole le suonassero tanto strane: era la voce di Tom. Nello specifico, la voce di Tom che le parlava in norvegese, anziché nel solito tedesco. Non ci aveva fatto subito caso, per lei l’una e l’altra lingua erano naturali, ma era buffo sentire Tom che parlava un’altra lingua.

“Kaulitz?”

“Che ne dici del mio norvegese?” si pavoneggiò lui. A Vibeke parve quasi di vederlo sorridere.

“Fa progressi,” fu costretta ad ammettere. Non si sarebbe mai immaginata che Tom avesse assorbito qualche nozione di norvegese, in quei mesi. “Sono colpita.”

“Allora, dove sei?”

“Appena arrivata al supermercato per fare la spesa a quattro disgraziati non autosufficienti.”

Tom ignorò la provocazione e la carezzò con un tono suadente:

“Cosa ne diresti di tornare a casa dal tuo Kaulitz preferito?”

Vibeke roteò pazientemente gli occhi, passeggiando tra gli scaffali.

“Oh, scusami, Bill, ti avevo scambiato per Tom!”

Se la rise sotto i baffi nel mezzo secondo di indignata esitazione che giunse dall’altra parte.

“Vi, vaffanculo!”

Lei non seppe risparmiarsi una risata.

“Autoironia, Kaulitz: ne hai mai sentito parlare?”

“Vieni a casa o no? Gli altri sono fuori fino all’ora di cena, abbiamo l’appartamento tutto per noi.”

Lei controllò l’orologio. Se avesse rinunciato allo shopping personale, avrebbe potuto cavarsela relativamente in fretta

“Penso di essere lì tra un’oretta, salvo traffico imprevisto.” Gli concesse.

“Mi farò trovare pronto.” Le rispose lui con malizia.

“Speriamo che Tom non ci scopra.” Lo punzecchiò lei.

“Fidati,” replicò lui, sornione. “Scoprirti sarà la prima cosa che Tom farà appena ti metterà le mani addosso.”

Vibeke scosse la testa, rassegnata. Si era lasciata conquistare da un ragazzino esaltato e sopportare le sue cavolate era il prezzo da pagare per quell’imperdonabile distrazione. Distrazione che peraltro la aveva resa felice come mai si sarebbe abbassata ad ammettere, ma quello non era che un effetto collaterale imprevisto.

“Staremo a vedere,” ribatté, sostenuta, poi lo salutò: “Vi sees, idiot.” (“A dopo, idiota.”)

“Vi sees, stronza.”

Chiusa la chiamata, Vibeke mise via il cellulare e si guardò intorno, calcolando che forse, tutto sommato, poteva anche farcela in meno di un’ora.

 

***

 

Quando Gustav era sceso dalla sua BMW, aveva intuito, a istinto, che qualcosa non andava. Era stato un brivido inspiegabile, una sensazione sgradevole, ma lo aveva distintamente avvertito, e quando, avvicinandosi al punto del parco in cui si era dato appuntamento con Fiona, la vide seduta sul bordo della fontana, immobile, con una faccia scura che non era da lei, ebbe la conferma di tutto.

Se il problema era quello che pensava lui, poteva scordarsi la rilassante ora di jogging per cui era andato lì.

Quando lo vide arrivare, Fiona si alzò in piedi, vestita di tutto punto, con jeans attillati e camicetta nera, ed era chiaro che non era andata lì con l’intenzione di fare jogging. Parecchi ragazzi, passando, le lanciavano occhiatine di apprezzamento, ma lei non guardava che lui, ostile e minacciosa, rigida ed impettita.

Pur prevedendo cosa sarebbe successo, Gustav decise di salutarla con naturalezza.

“Ciao…”

‘Nulla di rilevante’, vero?!” esclamò lei, senza nemmeno lasciargli il tempo di chiudere la bocca. La rabbia più feroce le contorceva il viso in una smorfia furente. “Nulla di rilevante, eh, Gustav? Nulla di serio, nulla che valga la pena di essere considerato, nulla che significhi qualcosa di più di una scopata!”

Lo sapevo, si disse lui, afflitto, lasciandosi vessare impotente dal suo inveire. Lo sapevo che sarebbe finita così.

In un certo senso, era la prova finale che gli serviva per avere conferma dei proprio dubbi. Per quanto Fiona gli piacesse, per quanto fosse in sintonia con lei, non era quella giusta per lui, e quella sfuriata lo dimostrava.

“Che cosa sono, Gustav, la tua bambolina usa e getta?” continuò a strillare Fiona, attirando l’attenzione dei passanti. “Credevo di significare qualcosa di più di ‘nulla di rilevante’, per te! Credevo che ci fosse qualcosa tra noi due!”

Un sorriso amareggiato sfiorò le labbra di Gustav. Anche lui si era quasi illuso che tra loro due ci fosse qualcosa, ma quella di Fiona era collera, non dispiacere, né dolore. Era umiliazione per non aver ricevuto un pubblico riconoscimento che si era invece aspettata.

Non era quello che lui cercava. Non era una storia da poter svendere al pubblico e ai media ad ogni occasione, e non voleva una ragazza che stesse con lui perché era il batterista dei Tokio Hotel. Probabilmente era troppo sperare di incontrare una ragazza che riuscisse ad apprezzarlo per quello che era a prescindere da tutto il resto, che sapesse riconoscere la persona che stava dietro al personaggio, come Vibeke aveva fatto con Tom, ma nel profondo, nonostante i vari tentativi falliti dimostrassero l’esatto opposto, lui ancora ci voleva credere. Una cosa però era certa: la ragazza che cercava lui non era Fiona.

“Mi dispiace,” mormorò, sincero. “Credevo fosse chiaro che non amo sbandierare ai quattro venti le mie faccende private.”

Fiona ebbe un istante di smarrimento e Gustav seppe di aver toccato il tasto giusto.

“Tu mi piaci, Fiona, e anche parecchio,” le disse. “Sei carina, sei intelligente, hai degli ottimi gusti… Ma non sei il tipo di ragazza di cui ho bisogno io.”

Se ne rese conto solo mentre lo pronunciava: aveva detto ‘di cui ho bisogno’, non ‘che vorrei’.

Era davvero arrivato a quel punto? La sua vita era davvero così insulsa da fargli sentire il bisogno di avere qualcuno che le desse un significato? Aveva tutto, tutto quello che un ragazzo della sua età potesse sognare: fama, ricchezza, ammirazione, dei genitori che lo supportavano, degli amici fidati ed insostituibili… Eppure non era abbastanza. Il vuoto che sentiva dentro, anziché andarsene, cresceva di giorno in giorno, e lui non sapeva più cosa fare per non farsene sopraffare.

“Mi hai usata!” sibilò Fiona in un tremito iroso. “Ti sei servito di me finché ti ha fatto comodo, e ora –”

“Fiona, per favore,” Gustav sollevò una mano e sorrise con indulgenza. “Risparmiamoci le ipocrisie. Siamo stati bene, ma era una cosa che non poteva durare.”

Lei la pensava allo stesso modo, glielo lesse negli occhi, ma non sembrava intenzionata ad ammetterlo, e lui non aveva voglia di tirare inutilmente le cose per le lunghe, ai erano detti tutto ciò che avevano da dirsi. Non restava più niente di tutto quello che c’era stato.

Niente.

Non restò ad aspettare che lei aggiungesse qualcosa, né lo fece lui. Chinò il capo e si nascose le mani nelle tasche della felpa nera; le gettò un ultimo sguardo privo di rimpianti, che lei sostenne con orgogliosa ostinazione, dopodiché Gustav le voltò le spalle e se ne andò, senza voltarsi più indietro.

Finiva così, ancora una volta.

Finiva sempre così.

Sarebbe sempre finita così.

Chissà…

Decise che sarebbe andato alla villa fuori città per restare un po’ da solo. Avrebbe avvisato più tardi che non sarebbe tornato a casa per cena.

 

***

 

Tom non aveva smesso un secondo di sorridere come un idiota da quando aveva chiuso la telefonata con Vibeke, e non solo ne era perfettamente consapevole: gliene importava anche ben poco.

Per mesi aveva sfottuto Georg per la cosiddetta ‘faccia da rimbambito lobotomizzato’ che gli veniva quando si parlava della sua Nicole, senza mai comprendere come il semplice sentirla nominare potesse farlo sorridere in quel modo beato ed in pace con il mondo. Aveva sempre pensato che non avrebbe mai avuto modo di capire veramente, che non si sarebbe mai innamorato, perché di ragazze ne aveva incontrate tante, più di qualunque suo coetaneo, ma nessuna gli aveva fatto l’effetto che Nicole faceva a Georg. La cosa, però, non gli aveva dato grandi pensieri: innamorarsi non era mai rientrato nella lista delle sue priorità.

Ma poi, una notte di gennaio, quando meno se l’aspettava, si era ritrovato – nemmeno lui ricordava esattamente come – a discutere animatamente con una dark impicciona in mezzo ad una strada, ed era stato nel preciso istante in cui aveva incrociato per a prima volta quei sui strani – insolenti, irritanti, penetranti – occhi bicolori che tutto aveva cominciato a cambiare.

Erano partiti con il piede sbagliato, quello era certo, ma forse era solo con un inizio sbagliato che due persone apparentemente così sbagliate l’una per l’altra potevano finire per combaciare in modo così sorprendentemente giusto.

A pelle, Tom aveva sentito subito che c’era della sintonia che vibrava tra loro due, ma ad entrambi erano serviti tempo e fatica per imparare a trovare un punto d’incontro tra le loro lunghezze d’onda, e anche ora che lo avevano trovato, spesso e volentieri non erano in grado di mantenerlo in equilibrio per più di qualche istante.

Fin dall’inizio, le loro litigate avevano avuto dei singolari interludi di confidenza semipacifica, e volta per volta Tom si era reso conto che entrambi si stavano scoprendo e lasciando scoprire.

Era sicuro che non sarebbe mai riuscito a risalire al momento esatto in cui qualcosa di indefinito era scattato e aveva sconvolto tutto, però di una cosa non dubitava: nessun’altra, a parte Vibeke, avrebbe potuto trascinarlo fino al punto in cui si trovava ora.

Nel silenzio incontaminato dell’appartamento deserto, Tom si specchiò nel vetro della finestra del salotto e sorrise al proprio riflesso.

“Sei un bravo Kaulitz”, gli diceva Vibeke ogni tanto, nelle sue rare parentesi di buona, e forse stava cominciando a crederci anche lui.

Pensò che essere innamorati era strano, come se qualcuno gli avesse somministrato una dose massiccia di ecstasy direttamente in endovena e gli effetti non accennassero a svanire. Era una sensazione che non riusciva a paragonare con nulla che avesse mai provato, e ancora, dentro di sé, non sapeva spiegarsi come fosse potuto succedere, eppure lui era lì, a contare i secondi che mancavano a quando la avrebbe rivista, con un sorriso ebete stampato in faccia e un formicolio solleticante allo stomaco, e si sentiva irreprensibilmente felice.

Che cosa diavolo mi hai fatto, Vi?

Mentre l’ultimo raggio di sole calava oltre l’orizzonte, Tom decise che, per ingannare l’attesa, una doccia era quel che gli ci voleva, e se Vibeke fosse tornata mentre lui era ancora sotto l’acqua, poco male: avrebbero unito l’utile al dilettevole.

Ormai sarebbe dovuta rincasare a minuti.

Si sfilò felpa e maglietta e le lasciò cadere sul pavimento, poi iniziò a slacciarsi i pantaloni. Aveva appena abbassato la lampo, quando il campanello suonò, facendolo saltare sull’attenti.

Eccola qui, pensò, compiaciuto, correndo al citofono, e mai una volta che si ricordi le chiavi.

Premette il pulsante del portone senza nemmeno disturbarsi a chiedere chi fosse ed attese che il campanello suonasse di nuovo, quindi aprì la porta, atteggiandosi in una posa seducente:

“Finalmente! Stavo per cominciare da so–”

La voce gli si smorzò in gola mentre lo stomaco gli si contorceva.

Non se n’era accorto immediatamente, ma un secondo era bastato: i vestiti troppo colorati e trendy, le gambe troppo magre, il seno troppo piccolo, e poi quegli occhi, così verdi e arroganti, così sbagliati

“Lara!” Un’esclamazione strozzata fu tutto ciò che gli uscì dalle labbra. Era surreale. Era assurdo. Era impossibile. “Come hai –?”

La ragazza gli stava di fronte a braccia incrociate, alta, snella e bellissima, ed altrettanto minacciosa. Improvvisamente Tom non vedeva più alcuna somiglianza con Vibeke.

“Le Cadillac sono vistose, Tom,” affermò Lara, un’increspatura astiosa che le solcava la fronte. “Avresti dovuto sceglierti un’auto più discreta se non volevi essere individuato così facilmente.”

Tom non riusciva a reagire. Lo aveva colto troppo alla sprovvista, muoversi sembrava impossibile.

“Che cosa vuoi?” le chiese, balbettando. Temeva di conoscerla, la risposta.

“Ti ho visto con quella sottospecie di bambola dark, l’altro giorno, mentre uscivi dallo studio.”

“Da quanto tempo mi segui?” indagò Tom, iniziando a sentire la rabbia che gli ribolliva dentro. Lo aveva seguito, lo aveva spiato, e chissà cos’altro aveva fatto.

Lara gli rivolse uno sguardo colmo di disprezzo.

“E tu da quanto tempo te la sbatti?”

Tom si impose si rimanere calmo.

Non osare insultarla, puttana!

“Non sono faccende che ti riguardano.”

Affatto impressionata, Lara avanzò di un passo, ed automaticamente lui arretrò. Il cuore aveva preso a battergli a mille e una pelle d’oca da brutto presentimento di toccò le braccia e la schiena.

“Allora, com’è la storia?” fece Lara con falsa incuranza, avanzando ancora verso di lui, e lui ancora arretrò. “Sei un feticista dei capelli lunghi e neri? O sei semplicemente fissato con un certo tipo di ragazze per qualche trauma infantile?”

Non hai capito niente, stronza. Non hai capito proprio un cazzo.

Passo dopo passo, si ritrovarono al centro della stanza.

“Lara, non dovresti essere qui,” la rimproverò Tom, che non desiderava altro che lei sparisse una volta per tutte, e al più presto. “E men che meno a fare certe scenate. Sai che tipo sono, e lo sapevi anche quando hai attaccato bottone, quindi non venire a dirmi che ti aspettavi che ci sposassimo e vivessimo per sempre felici e contenti.”

L’occhiata gelida che lei gli scagliò contro gli fece venire i brividi.

“No, Tom, ma perlomeno avresti potuto trovare un modo un po’ più elegante di darmi il benservito, anziché sparire nel nulla.”

Ha ragione, e tu lo sai bene, gli disse la sua coscienza. Te la sei cercata, Tom.

Era tardi per i pentimenti, ormai, ed erano poche le cose pericolose come una donna umiliata.

“Ok, mi dispiace, sono stato maleducato,” le concesse, sbrigativo e ansioso. “Ora vattene e non farti più vedere, per favore.”

“Oh, ora hai imparato a dire ‘per favore’?” lo canzonò lei.

“Ho detto vattene.”

“No, non me ne vado! Voglio sapere chi ti credi di essere per usare così le persone! Lo sai, stando con te, per un momento ho pensato ‘Forse non è l’idiota che sembra. Forse c’è qualcosa di più’… Invece sei ancora peggio di quello che sembri! L’ho visto come ti strusciavi su quella puttana, su YouTube! Tutto il mondo l’ha visto!”

Merda!, imprecò Tom, incassando duramente il colpo. Lui e Vibeke non avevano fatto niente di compromettente, né nel filmato, né fuori dallo studio, ma Lara aveva visto tutto con gli occhi della gelosia, e tutto doveva esserle sembrato più esplicito di quel che era stato.

“Lara, per favore…”

“Andatevene a fanculo, tu e i tuoi ‘per favore’!” gli sbraitò contro lei, con un brusco spintone. “Quanto la farai durare, per curiosità?” Un altro spintone, e lui subiva senza difendersi, retrocedendo ogni volta di qualche centimetro. Non voleva toccarla, nemmeno con un’unghia. “O forse ti sei già stancato? E lei lo sa che presto la mollerai per un’altra sgualdrina?”

Al quarto spintone, Tom si trovò intrappolato tra lei e il divano, e al quinto, giunto a tradimento, si sentì cadere all’indietro. Atterrò sui morbidi cuscini del divano con un tonfo sordo e fu costretto suo malgrado ad afferrare i polsi di Lara per impedirle di colpirlo.

Rimasero immobili così per diversi secondi, respirando affannosamente poco distanti l’uno dall’altra. Tom avrebbe voluto torcerle le braccia e buttarla fuori con tutta la violenza di cui era capace. Era stato scorretto con lei, lo ammetteva, ma tutte quelle scenate erano inutili, le cose non sarebbero cambiate, e lui di certo non la avrebbe rivalutata.

Voleva solo che se ne andasse. Doveva assolutamente andarsene, prima che succedesse l’irreparabile.

Prima che…

‘So say it’s the same house
And nothing in the house has changed…’

Il sangue si congelò nelle vene di Tom nell’udire quella melodia. La conosceva, e fin troppo bene. Era  la suoneria di un cellulare, il cellulare dell’ultima persona che avrebbe voluto fosse presente in quel momento.

Le mani ancora saldamente strette attorno ai polsi sottili di Lara, si voltò verso la porta d’ingresso sudando freddo, e lei era là, sulla soglia, e nel vedere la sua espressione Tom si sentì morire.

 

***

 

Sessantotto, sessantanove, e settanta.

Vibeke rise di se stessa. Non era da lei contare i gradini, ma non aveva potuto farne a meno. Era una recidiva: anche con le tre grosse buste della spesa in mano, aveva preferito le scale all’ascensore. Era salita in fretta, quasi di corsa, chiedendosi se avesse fatto bene a non passare a casa a cambiarsi. Tom si aspettava sicuramente qualcosa di più provocante di una jeans e felpa, ma lei non se l’era sentita di mettersi in ghingheri. Da quando loro due avevano iniziato a vedersi, aveva anche quasi smesso di truccarsi, anche se il perché non lo sapeva nemmeno lei.

Attraversò il pianerottolo in tre falcate e si ritrovò così di fronte alla porta aperta dell’appartamento. Si avvicinò, chiedendosi se Tom non le stesse preparando qualche tiro mancino.

“Kaulitz?” chiamò, entrando circospetta. Non accadde nulla. “Dai, cretino, cosa diavolo stai –?”

Restò inchiodata sul posto, le buste della spesa ancora strette tra le mani, e non riuscì ad impedire alle proprie labbra di schiudersi dallo shock.

No…

Si rifiutava di crederci. Non voleva credere a quello che stava vedendo davanti ai suoi stessi occhi. Non voleva credere alla verità.

Voleva solo trovare una valida spiegazione razionale, qualcosa – qualunque cosa – che giustificasse la scena che aveva di fronte senza torturarle il cuore in quel modo straziante.

‘Say it’s the same room
And nothing in the room is strange…’

Il suo cellulare aveva cominciato a suonare, ma Vibeke lo sentiva solo come un’eco lontana, e restò paralizzata dov’era, i muscoli come atrofizzati, incapaci di muoversi, la bocca così stupidamente spalancata, l’espressione così genuinamente sconvolta.

Poteva rifiutarsi di crederci, ma quello che vedeva era reale.

‘Oh, tell me it's the same boy burning in the same bed…’

Tom sul divano, mezzo nudo, i jeans sbottonati, con quella ragazza davanti, e lei lì impalata a guardare come una sciocca, il sangue che le pulsava alle tempie tanto intensamente da farle male.

 ‘Tell me it's the same blood breaking in the same head…’

Aveva rinunciato al suo shopping personale per risparmiare tempo, per tornare prima da lui, e la ricompensa era quella simpatica sorpresa. Se glielo avessero raccontato, avrebbe pensato ad una bugia, ad uno scherzo, ma era tutto lì, davanti a lei, chiaro e semplice. Non era quella la bugia, ma tutto il resto. Tutto quanto. Nient’altro che un gioco.

Tutto quello che Tom le aveva detto, quello che aveva fatto, i suoi sorrisi, le sue belle parole… Si era bevuta tutto. Ci aveva creduto. Ci aveva creduto davvero.

Si era fidata.

E non era stato niente.

Lei non era stata niente. Nient’altro che un’insignificante goccia nell’oceano.

Avrebbe dovuto immaginarlo.

 ‘Say it's the same taste taking down the same kiss…’

Che stupida…

 ‘Say it's the same you…’

“Vi!”

‘Say it's the same you and it's always been like this…’

Si era accorto di lei, e si era bloccato, rispecchiando perfettamente l’espressione che lei stessa aveva.

 Say it's the same you…’

Lasciò andare la ragazza e si tirò su, il collo arrossato, e la guardò atterrito.

 Say it's the same you and it always and forever is…’

Vibeke avrebbe voluto gridare, urlargli in faccia tutto il male che le stava sgorgando dentro, ma non ce la faceva. La voce le era rimasta imprigionata nella gola, che le doleva dallo sforzo di trattenere le lacrime di rabbia. Rabbia verso se stessa e verso un’ingenuità che non aveva mai avuto prima di allora.

 Say it's the same you…’

Com’era successo? Da quando Vibeke V. Wolner dimenticava il contatto con la realtà per abbandonarsi a degli stupidissimi sogni ad occhi aperti?

 Say it's the same you…’

Era sembrato tutto così vero, così bello, così sincero… Non riusciva a credere che proprio lei, fra tutte, ci fosse cascata così miseramente. Con uno come lui, per giunta.

Si sentiva dilaniata da una cocente umiliazione.

‘And it's not the same you…’

Voleva che quell’immagine svanisse, che lui scomparisse dalla sua memoria in quell’esatto istante, per sempre.

 It's not the same you…’

Cancellare ogni cosa con un taglio netto.

 No, it never was like this.’

Scagliò le borse a terra con uno scatto rabbioso, metà di lei – stranamente, quella irrazionale – che pregava che quelle maledette lacrime se ne restassero nascoste almeno fino a che lui non avesse più potuto vederla, l’altra metà che cadeva in pezzi, sbriciolandosi in un soffio di polvere.

Lui non si mosse; la guardò come se fosse stato il proprio giorno del Giudizio e fosse appena stato sentenziato colpevole, ma non fece nulla quando lei, in preda a sentimenti ancora ignoti, ma orribilmente devastanti, gli voltò le spalle con un turbinio di capelli corvini striati di bianco e scomparve dalla sua vista.

E pensare che era stata proprio lei a fargli quel bel discorso metaforico sulle rose e le loro spine.

“Le rose sono così belle che ci si dimentica che hanno le spine.”

Da quando aveva iniziato ad affezionarsi a lui, se n’era completamente scordata, di quello come di molte altre cose. Uno sull’altro, i giorni si erano avvolti come una corolla di petali rossi, e lei aveva assistito alla nascita e alla crescita di tutta quell’insospettabile bellezza senza più pensare al resto, alle spine.

Ed eccole lì, adesso, le spine di quella inverosimile ma splendida favola che Tom le aveva regalato. Un’illusione agrodolce, plausibile, così lontana dall’essere perfetta da farle credere che potesse essere reale.

Tom era stato convincente, timido e titubante al punto giusto dolce quanto bastava per conquistarla, ma non tanto da disgustarla. Calibrato e naturale, in sguardi, gesti e parole.

Ed era stato tutto una farsa.

Le aveva fatto dono di una nuova capacità di fidarsi delle persone, e, dopo tante incertezze, Vibeke aveva stretto quel dono tra le proprie dita e lo aveva sentito suo – meravigliosamente suo – con tanta patetica ingenuità, tremando per il timore di rovinare qualcosa, ma ammirandone al tempo stesso, senza fiato, l’impensabile fascino, inebriata da quel buon profumo di felicità che sembrava avere quel fiore ancora non del tutto sbocciato.

Ma le spine c’erano, e lei lo aveva sempre saputo. Se n’era solo dimenticata, troppo presa dal lato più bello di tutto il resto per ricordarsi di proteggersi come aveva sempre fatto.

E così si era punta, e ora sanguinava, fissando una pioggia di petali distrutti che giaceva inanimata sul pavimento, ormai priva di qualunque significato.

E le sembrava di non essersi mai fatta male, prima, come se fosse la prima volta che qualcosa la feriva.

‘Chi se ne frega di Vibeke’: il momento era arrivato.

Dove aveva sbagliato? Quando era stato che aveva cominciato a perdere la propria obiettività? Perché il suo infallibile istinto ad un certo punto aveva cessato di urlarle dentro ‘Sarai una del mucchio, un giorno’?

Stupida. Si sentiva così stupida, tutt’un tratto.

Le veniva da ridere, perché, sì, dopotutto era buffa come situazione: lo aveva saputo fin dall’inizio che sarebbe finita così – finita, non andata – non era nulla di nuovo o inatteso, nulla di sconvolgente, in fondo. Quello era semplicemente Tom che era di nuovo se stesso, il solito di sempre, e non c’era alcunché di cui meravigliarsi.

Avrebbe voluto chiedergli perché. Perché avesse voluto sprecarsi in quella sceneggiata lunga settimane intere, se il suo intento era sempre e solo stato divertirsi con lei e basta. Non gli aveva mai chiesto niente, non aveva mai preteso di essere l’unica, di essere amata e coccolata, non gli aveva mai nemmeno chiesto di essere gentile con lei. Tutto ciò che aveva voluto era rispetto, e credeva di averlo ottenuto. Lo aveva creduto davvero.

Tom aveva fatto tutto da solo, aveva cambiato atteggiamento spontaneamente, senza una ragione precisa, e allora perché non avrebbe dovuto credergli? Perché non avrebbe dovuto fidarsi?

Perché?

Le bruciava la gola, le bruciavano gli occhi, le bruciava anche l’aria nei polmoni. Era come se niente avesse più un senso.

Perché, Kaulitz?

Guardava Tom e quella ragazza, ed era esattamente come lei si era sempre immaginata: lei bellissima e sottile, una modella che sembrava uscita dal servizio fotografico di una rivista di moda, e lui che si lasciava spogliare dalle sue mani perfettamente curate ed esperte. Era proprio come se l’era sempre figurata, un’istantanea di un mondo di cui lei non faceva parte, con cui non c’entrava niente.

Per tutto quel tempo si era solo lasciata cullare dal tiepido abbraccio di un’illusione. E non riusciva a capire perché lui avesse voluto infierire così, perché avesse voluto a tutti i costi dirle quelle cose, allo studio, e convincerla di provare qualcosa per lei. Tom sapeva che lei non si era mai aspettata niente da lui, che non lo avrebbe lasciato in ogni caso, ma aveva insistito perché lei si persuadesse dei suoi sentimenti.

E perché? A che scopo?

Non aveva senso. Non aveva nessun senso. Non aveva nessun fottutissimo senso.

Perché?, si chiese, mentre una voragine nera le si spalancava dentro. Spiegami il perché di tutto questo, Kaulitz.

Era sempre stata convinta che non esistesse niente di peggio che essere abbandonati.

Non si era mai sentita tradita, prima di allora.

 

***

 

Non era possibile.

Non poteva stare capitando, proprio a lui, proprio adesso, proprio così.

Era tutto dannatamente sbagliato.

A Tom bastò incontrare gli occhi sbarrati di Vibeke, il suo sguardo incredulo e ferito, per sentirsi prendere dal panico. Ebbe un improvviso e sgradevolissimo senso di soffocamento.

Ti prego, supplicò, guardandola atterrito, ti prego, ti prego, ti prego, non pensare quello che so che stai pensando. Non farlo, ti prego. Non è così, non è come sembra. Ti prego, Vi, non puoi credere che io possa farti una cosa simile!

Ci aveva messo così tanto a farle capire quanto ci tenesse a lei, a convincerla che non desiderava altro che stare con lei. Si era sforzato tanto per meritarsi la sua fiducia…

No!, urlò internamente, già disperando nel vedere Vibeke scuotere impercettibilmente il capo con le labbra contratte in una piega angosciata. No, no, maledizione!

Scaraventò Lara da parte e cercò di alzarsi, ma la testa aveva preso a girargli vorticosamente e non riuscì a tenersi in piedi.

“Vi!” esclamò, sentendosi mancare. Senza curarsene, Vibeke gli volse le spalle e mosse un passo verso le scale. Qualunque cosa potesse dirle, Tom sapeva che non aveva più importanza. Si precipitò verso la porta, inciampando nei suoi stessi vestiti abbandonati a terra.

“Vi, aspetta!”

Ansimava, parlando, o forse non riusciva nemmeno a respirare, non lo sapeva nemmeno lui.

Le afferrò bruscamente un polso e la obbligò a fermarsi al secondo gradino, stringendola così forte da bloccarle il sangue. Tremava, aveva le dita ghiacchiate e prive di sensibilità, ma non poteva lasciarla andare via così.

Lei doveva sapere che era tutto un malinteso. Lei doveva lasciarlo spiegare, doveva capire

Vibeke si strappò a lui con un gesto secco e deciso, ma non affrettato, poi si voltò. E vedendo la rabbia e l’odio repressi nei suoi occhi vitrei, per un attimo Tom temette che lo avrebbe schiaffeggiato.

Quanto lo avrebbe voluto, uno schiaffo…

Quanto avrebbe preferito che lei gli si avventasse contro, picchiandolo, graffiandolo, distruggendolo.

Vibeke lo distrusse, sì, lo annientò, ma non a colpi tangibili. Le bastò la violenza del suo sguardo ferito, tradito, del modo glaciale ed impotente in cui chinò la testa e se ne andò in silenzio, lentamente, senza più guardarsi indietro, lasciandolo impietrito a fissarla.

Tom non fu più in grado di muoversi, né di parlare. Poteva solo pensare. Pensare a due parole assordanti ed insopportabili che gli stavano facendo scoppiare la testa.

È finita.

 

***

 

Gustav richiuse il proprio cellulare la fronte corrugata dalla perplessità, guardando la strada ormai buia avanti a sé. Non era mai successo che Vibeke non rispondesse ad una sua chiamata.

In un giorno qualunque avrebbe liquidato la cosa attribuendola al fatto che probabilmente era stata distratta da Tom, ma non quella volta.

Qualcosa, istintivamente, gli diceva che avrebbe dovuto preoccuparsi.

Senza pensarci due volte, approfittando del fatto che la carreggiata fosse sgombra, fece una repentina inversione a u e premette l’acceleratore, sfrecciando nella direzione opposta.

Aveva un pessimo presentimento.

 

***

 

Bill seppe che qualcosa non tornava prima ancora che lui e Georg mettessero piede in casa.

Era solo una sensazione, ma raramente le sue sensazioni sbagliavano.

L’assenza assoluta di suoni e rumori di alcun tipo era surreale e gli fece presumere che non ci fosse nessuno. Entrò e lasciò che fosse Georg a richiudere la porta. Fecero entrambi per togliersi le giacche, quando fecero caso a tre borse della spesa abbandonate a terra poco lontano da loro, il contenuto quasi del tutto rovesciato e sparso a terra.

Bill occhieggiò confusamente Georg, poi si voltò verso il resto della sala, e allora notò che qualcuno c’era, dopotutto.

Tom era seduto sul divano, piegato su se stesso con la testa tra le mani, immobile e muto come una statua di sale.

“Tomi?” Preoccupato, Bill gli si fece vicino con titubanza, la sensazione di poco prima che diventava sempre più forte e più brutta. “Tomi, che cosa –?”

Quando Tom sollevò la testa – lentamente, come se gli facesse un male insostenibile – Bill trattenne il respiro: non aveva mai visto il proprio fratello con un’espressione così impotente e frustrata, e così disperata.

Qualunque cosa fosse accaduto, doveva essere parecchio grave.

 

***

 

In ospedale, reduce da una visita a sorpresa di Bill e Georg particolarmente piacevole, BJ stava beatamente consumando la propria lauta cena a base di linguine al pomodoro, insalata mista e budino al cioccolato, quando la porta della stanza si spalancò all’improvviso, facendolo trasalire. C’era un’unica persona che sarebbe potuta entrare in quel modo, ma l’orario delle visite private era passato già da mezz’ora, quindi non poteva essere. Eppure, quando si voltò, BJ vide esattamente chi si era aspettato di vedere.

“Sorella!” esclamò, stupefatto, e stava per domandarle che cosa ci facesse lì a quell’ora, ma poi notò i suoi occhi arrossati e lucidi, il viso cereo, e il suo cuore sprofondò in un abisso ghiacciato. “Ma cosa –?”

Vibeke non gli rispose. Gli si gettò tra le braccia, avvinghiandosi a lui così forte da fargli male, le unghie che affondavano nella carne al di sotto del tessuto sottile del pigiama, ma lui non se ne curò. Era destabilizzante sentirla tremare in quel modo.

“Non chiedermi niente, per favore,” La voce di sua sorella era poco più di un flebile anelito soffocato che lo raggelò fino alle ossa. “Sto ancora cercando la forza di dirmi ‘Te l’avevo detto’.”

 

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Note: no, non ci credo nemmeno io che questo capitolo sia stato postato. XD Mi dilungherei in chiacchiere, ma la pausa pranzo sta per finire e il lavoro mi chiama. Stasera aggiungerò le risposte a tutti i vostri meravigliosi commenti per lo scorso capitolo, e spero di trovane di nuovi, data la bellissima (?) sorpresa che vi ho fatto con questo. ^^

Perdonate eventuali errori di battitura e sviste, ho riletto, ma controllerò ancora, per essere sicura, ma se non posto subito c’è una nutrita lista di personcine che esigerà la mia testa. ^^

A stasera con l’aggiunta della rubrica dedicata al pubblico. ;)

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Capitolo 23
*** What Lies Beneath ***


“Vi, lo scimmione della tua portineria dice che in casa tua non c’è nessuno, ma io lo so che sei lì. Da BJ non ci sei. Grazie per aver spento il cellulare, fra parentesi, così chiamarti sul fisso mi costa il doppio. Allora, cosa vogliamo fare? Hai intenzione di lasciarmi spiegare o farai la malmostosa ancora per molto? Quella troia mi è piombata in casa all’improvviso, che cazzo ne sapevo io? Stavo aspettando te, le ho aperto senza nemmeno controllare! Vi, maledizione, tira su questa dannata cornetta e di’ qualcosa!”

 

***

 

“Søster, volevo solo avvisarti che Tom ti ha cercata qui. Gli ho detto che non c’eri, ma perché non gli vuoi nemmeno dare modo di dire la sua? Io penso che sia sincero quando dice che non ha fatto nulla di male. Non fare la scema come al solito, potresti essere tu a sbagliare, sai? Non farmi stare in ansia, se poi mi viene un infarto cosa facciamo? Tom ti vuole bene sul serio, aveva una voce spaventosa quando ha chiamato. Non essere ipocrita, ti stai fasciando la testa prima del tempo. Ti rendi conto di cosa stai buttando via, vero? Se cerchi l’amore perfetto, vallo a cercare nei libri di fiabe. Nella vita reale, un rapporto sano non si basa sul non sbagliare mai, ma sull’imparare a risolvere i problemi. Anche se Tom avesse commesso un errore così stupido, non significa che non possa essersene sinceramente pentito, non credi? Klem Klem, il tuo Orsacchiottino ti vuole tanto bene e spera che tu ti decida a ragionare.”

 

***

 

“Sto cominciando a innervosirmi. Sarà il decimo messaggio che lascio e, oltre ad intasarti la segreteria, sto sprecando tempo, denaro e fatica, solo perché sei una maledetta cocciuta vittimista che crede di sapere tutto lei. Credi che mi darei tanta pena per riuscire a parlarti se non me ne fregasse un cazzo di te? Rispondi, stronza!”

 

***

 

“Vi, mi hai proprio rotto! Ti decidi a rispondermi, cazzo?! Ti stai comportando da stupida, lo vuoi capire o no? Se ti degnassi di lasciarmi spiegare come stanno veramente le cose, capiresti che è tutto fumo e niente arrosto! Mi basta un minuto. Un solo fottutissimo minuto, comprendi? Pensi di potermi concedere un sacrosanto minuto di pazienza, per cortesia?”

 

***

 

“Bee, sono Georg. Ti prego, parla con Tom. Sta dando di matto, non sappiamo più come calmarlo. Lo so che è difficile credere che non abbia fatto niente, ma è davvero sconvolto, una possibilità di spiegarti la situazione gliela dovresti dare. Pensaci, almeno, ok?”

 

***

 

“Wolner, dai, non fare così! Lo so che Tomi è un idiota, ma non è colpa sua, è caduto dal seggiolone da piccolo! Perché non vi vedete e ne discutete con calma? Almeno per correttezza… Se sentissi la sua versione, sono sicuro che cambieresti idea… Spero. Sii buona!”

***

 

“TRE GIORNI! Tre Cristo di giorni che non ti fai vedere né sentire, Vi! Ti stai divertendo? È soddisfacente mandarmi in bestia in questo modo? Sono al limite, ti avverto. Dimmi cosa devo fare per riuscire ad avere un dialogo da adulti con te! Mi devo appostare sotto casa tua ed aspettare che tu esca? Lo faccio, se serve a qualcosa!”

 

***

 

“Ti dai alla macchia, norvegese? Avanti, almeno con me potresti parlare, che ne dici? Io e te e basta, te lo giuro. Di me ti fidi? Voglio solo sapere come stai, anche se penso di avere un’idea abbastanza precisa. Richiamami, siamo preoccupati.”

 

***

 

“Va bene, Vi, fa’ come cazzo ti pare! Sai che ti dico? Me ne sbatto di te e delle tue scenate! Vuoi farci la figura dell’ottusa? Accomodati, io me ne lavo le mani! Questione chiusa.”

 

***

 

“Un favore, Dio santo, un misero, banalissimo favore! Me lo puoi fare, per una volta? Ok, me ne hai già fatti tanti, è vero, ma stavolta è importante. Importante sul serio, Vi, davvero. Non ho fatto niente con quella, te lo giuro. Cioè, l’ho fatto, ma prima che tu ed io… Insomma, sono stato sempre onesto con te, credevo lo sapessi! Vi…? Non ci credo che non vuoi nemmeno urlarmi un po’ addosso… Tira fuori tutto una buona volta, sbraita quanto ti pare, ma lascia che dica la mia una volta per –”

Un click inaspettato troncò il finale della frase di Tom, che fu scosso da un sussulto interiore nel rendersi conto che quel minuscolo ed infinitesimale frammento di silenzio significava che la segreteria era stata interrotta.

“BASTA!” Stentorea ma rauca, uscendo dal nulla, la voce distante di Vibeke lo aggredì rudemente. “Basta, basta, basta!” Suonava stanca, ma fin troppo piena di rancore. Dopo giorni, ancora le bruciava tanto da intaccare la fermezza del suo tono. “Non ho nessunissima voglia di stare a sentire qualunque stronzata tu pensi di rifilarmi! Io… Io non so più cosa fare, con te, onestamente! Sei troppo… Doppio! A volte ti guardo e penso di aver capito tutto di te, altre invece mi sembri un perfetto estraneo… Io non ho la più pallida idea di chi sia Tom Kaulitz! Dopo mesi che ti conosco, ancora non sono capace di distinguere fino in fondo il vero e il falso che ci sono in te! Sei un attore, spesso pessimo, ma in certi momenti la parte del pezzo di merda ti riesce così bene che non sono più sicura di niente, se non del fatto che ai miei occhi resti ancora la stessa terrificante, inaffidabile doppia faccia di sempre!”

Tom boccheggiò spaesato, il volto in fiamme e le mani gelate. Razionalmente, non era sicuro di aver captato con esattezza tutte le parole di quella soverchiante invettiva a valanga, ma sensibilmente parlando aveva perfettamente colto il messaggio: categorico, insindacabile, irrevocabile sabotaggio di qualunque speranza gli fosse sopravvissuta in corpo.

“Senti,” sospirò, lo sconforto che, suo malgrado, dilagava senza controllo. “Perché non –”

“Perché no!” sberciò lei, senza neanche lascialo finire. “Ora, gentilmente, piantala di assillarmi!”

“Ma io…”

“Non cercarmi più, non chiamarmi più, non fare più un cazzo!”

Non aggiunse altro, né lasciò a lui il tempo di replicare. Gli riattaccò il telefono in faccia e lo lasciò a se stesso, abbattuto e svuotato di ogni grammo di positività.

Più in basso di così gli sembrava impossibile andare.

 

 

***

 

The pain ain’t hurting me
But the love that I feel

Ce l’aveva conficcata in testa, quella frase, come un disco rotto che le cantava dentro. E dire che era una delle sue canzoni preferite.

Non è il dolore a farmi male, ma l’amore che provo.

Se solo avesse potuto staccare la spina e far cessare tutto. Era sempre stata brava a curare le ferite altrui, ma con le proprie non ne era mai stata in grado. Era forte e invincibile solo quando c’era da lottare per gli altri; quando si trattava di se stessa, sapeva solo giocare in difesa, e se la difesa falliva poteva solo sperare di non essere colpita.

Così non era stato.

Da quanto lo aveva aggredito verbalmente, ormai due giorni prima, Tom non aveva più osato farsi sentire, a differenza degli altri, che non avevano ancora demorso. Le dispiaceva tagliarli fuori così, ma c’erano ferite che preferiva leccarsi da sola, anche se aveva la netta sensazione che questa volta, in qualunque caso, non sarebbe riuscita a curarle.

Lasciò squillare per l’ennesima volta il telefono, abbandonata tra i cuscini del divano di fronte alla televisione accesa su nemmeno lei sapeva cosa. Al decimo squillo, si attivò la segreteria telefonica.

La voce alterata di Gustav riempì la stanza:

“Bee, adesso basta! Ti do dieci secondi per prendere il telefono e darmi segni di vita, dopodiché chiamo la polizia, e non sto scherzando. Uno… Due… Tre…”

Vibeke chiuse gli occhi e si strinse un cuscino al petto.

“Quattro… Cinque…”

Non aveva voglia di sentire nessuno. Erano quattro giorni che dormiva poco e male, che non riusciva a mangiare, che non usciva di casa. Aveva persino trascurato BJ, limitandosi a sentirlo via telefono un paio di volte.

“Sei… Sette…”

Ciononostante, era cosciente di non poter andare avanti così per sempre. E poi sentiva il bisogno di qualcuno con cui razionalizzare tutta quella stupida faccenda, anche se, prevedibilmente, Gustav sarebbe stato dalla parte di Tom.

“Otto…”

Cosa darei per un tuo abbraccio, Gud…

“Nove…”

Qualcosa dentro di lei stava ferocemente lottando per impedirle di alzarsi e rispondere a quella telefonata. Qualcos’altro, però, le diceva che chiudersi in se stessa non la avrebbe portata da nessuna parte.

“Dieci.”

Delusione, amarezza, rammarico, preoccupazione… Vibeke contò le emozioni che trasparirono da quell’ultima parola rassegnata che Gustav pronunciò. Lui non aveva colpe, era meschino lasciarlo stare in pena per lei in quel modo.

“D’accordo,” sospirò Gustav, mesto, dal nastro della segreteria. “Non ti disturberò più. Quando avrai voglia di parlare con qualcuno, io sono qui. Spero che tu –”

“Gud!”

Vibeke non aveva saputo trattenersi: a tutto poteva resistere, ma non ad un Gustav Schäfer così dolcemente preoccupato per lei.

Un paio di secondi di vuoto, poi la voce risollevata di Gustav tornò a lambirla con il suo solito potere lenitivo:

“Finalmente ti sei decisa, avevo già perso le speranze.”

“Mi dispiace,” si scusò frettolosamente lei. “Non avevo molta voglia di parlare…”

Dall’altra parte, Gustav sospirò.

“Voglia e bisogno non vanno di pari passo.”

Oh, taci, taci, taci!, lo sgridò Vibeke, mordendosi la lingua. Angelo saggio e premuroso contro umile essere umano non è uno scontro equo!

“Bee,” riprese Gustav, non ricevendo risposte. “Non fare la testona come al solito, almeno con me la vuoi dimostrare un minimo di disponibilità?”

Vibeke era disponibilissima, ma non le mancava qualche legittima riserva in merito.

“Kaulitz ti avrà già accuratamente infiocchettato la storia nella sua comoda ed innocente versione dell’equivoco, scommetto.”

“Sì, ma –”

“Quindi starai già sicuramente dalla sua parte.”

“Non ci sono parti, c’è solo da mettersi a discuterne civilmente!”

“Civilmente?!” abbaiò Vibeke. “In quale bucolica ed utopistica dimensione parallela una frase che ha me e Kaulitz come soggetto contiene l’avverbio civilmente?”

Gustav sospirò di nuovo.

“Anche questo è vero.”

In cuor suo, Vibeke capiva che la situazione non era semplice nemmeno per lui, e una minuscola porzione della sua coscienza non faceva che ripeterle che, delle tante pessime idee che avrebbero potuto venirle in mezzo a tutta quella negatività in cui si era ritrovata, parlare con Gustav era senza ombra di dubbio la più sana e sensata. Quando qualcosa non andava, la risposta giusta a ogni male era sempre Gustav Schäfer. Il suo appiglio sicuro, il suo rifugio, la spalla a cui appoggiarsi per chiudere gli occhi e dimenticare, le braccia forti in cui nascondersi nel momento del bisogno, e quegli incredibili occhi che avevano il potere di curare tutto.

O quasi.

Gustav per lei rappresentava certezze e affidabilità, un punto fermo e nitido, trasparente e solido al tempo stesso. Tutto era bello, con lui, tutto era sereno e tranquillo e così semplice.

Gustav. Il suo Gustav. Il suo meraviglioso, adorato Gustav… Lui era tutto quello che non era Tom.

Già, Tom...

Solo a ripensare a lui, si sentiva mancare. Percepiva di nuovo quella sgradevole sensazione di vuoto improvviso che aveva provato nel trovarlo con quella ragazza, lo stesso senso di impotenza e stordimento, la stessa angoscia.

Questo è quello che succede alle sciocche illuse che cascano come pere mature nelle trappole di quelli come lui, rimproverò a se stessa, amaramente. Eppure lo sapevi che sarebbe successo, prima o poi…

“Bee, sei ancora lì?”

“Sì,” Vibeke ripiombò bruscamente nel presente. “Scusa, ero soprapensiero.”

“Se passo da te avrai il coraggio di ignorarmi?” la punzecchiò Gustav.

A lei venne quasi da ridere: ignorare Gustav, quando tutto ciò che voleva era sprofondare nel calore di un suo abbraccio e della sua voce, era possibile quanto spegnere il sole.

“Perché vuoi farmi puntualizzare l’ovvio?”

Lui emise una piccolissima risata divertita, che le scivolò addosso come una morbida coperta avvolgente e la cullò con dolcezza. Si sentì stupida per aver anche solo avuto la presunzione di pensare di non avere bisogno di lui.

“Allora tra una mezzoretta sarò lì.” Promise Gustav. “A dopo.”

“A dopo.”

Quando Vibeke ripose il telefono, si sentiva strana: aveva la sensazione di aver sbloccato qualcosa dentro di sé, ma al contempo si domandava se fosse un bene, un male o semplicemente un dettaglio indifferente.

Ma al momento le importava un po’ meno di quello e di tutto il resto: Gustav stava arrivando, tutto sarebbe andato meglio.

 

***

 

Il cielo sopra Amburgo era plumbeo, violaceo, tappezzato da una densa coltre di pesanti nuvole gonfie d’acqua, che lacrimavano una rada e sottile pioggerellina che quasi sembrava condensa nebbiosa. Secondo il termometro non faceva freddo; secondo Tom, un clima così rigido non si era sentito in tutto l’inverno.

Sedeva nella piccola serra attigua alla villa dello studio, con una tazza di cappuccino ormai gelato davanti e qualche biscotto che Bill gli aveva lasciato lì, nella vana speranza che mangiasse qualcosa.

Ma Tom non voleva mangiare.

Imbracciava la chitarra con indolente mollezza, pizzicando corde a caso, lo sguardo perso nel vuoto. Guardava il cortile al di là dei vetri e rivedeva il sole caldo di pochi giorni prima, l’espressione curiosa di Vibeke mentre gironzolava per il giardino, facendo frusciare quel suo abito così bizzarro che le stava tanto bene. Guardò l’aiuola piena di margherite dai petali flosci e anneriti e capì di sentirsi così, come loro. Tutto quanto, adesso, era esattamente come quei fiori: splendore appassito, un regalo morto.

La rabbia che Tom aveva sputato nei messaggi lasciati alla segreteria di Vibeke non era che la traduzione sbagliata di qualcosa di ben diverso e ben più forte, lo sfogo errato di un’emozione che altrimenti non sarebbe mai riuscito a lasciar emergere.

Aveva troppa paura del dolore per affrontarlo.

E, dopotutto, la rabbia, le urla, i litigi erano sempre stati i loro mezzi di comunicazione primari, e forse non avrebbero mai imparato a fare diversamente.

Non c’è più niente da imparare, si disse Tom, sfiorandosi il piercing con la lingua. Non c’è più niente.

Di tutto quanto, la cosa che più lo feriva era la facilità con cui Vibeke aveva lasciato crollare tutto, senza nemmeno lasciargli il tempo di dire mezza parola. Probabilmente si era aspettata un passo falso da parte sua fin dall’inizio – se mai un vero inizio c’era stato – e non si era mai veramente fidata di lui. A nulla erano valsi i suoi sforzi di impegnarsi, di adattarsi, di comportarsi in modo più spontaneo. Vibeke non lo aveva mai preso sul serio comunque, ed era un pensiero che feriva Tom più di ogni altra cosa.

Quel che era peggio, inoltre, era che ora sicuramente Vibeke pensava che lui l’avesse presa in giro, confessandole di essere innamorato di lei, quando a lui invece quelle parole erano costate una fatica lunga settimane e tutto il coraggio di una vita.

Non avrebbe pianto – no, quella era una capacità che aveva perso già da diversi anni – ma se ne sarebbe rimasto lì, isolato da tutto e da tutti, a rimuginare su troppe cose per una mente sola, suonando note casuali con la testa completamente altrove.

Lui e i ragazzi avevano un album da terminare con urgenza, e tutto ciò che lui sapeva fare era starsene lì a sentirsi uno straccio.

“Tomi.”

Tom trasalì. Bill, comparso dal nulla al suo fianco, gli sedette accanto, mettendosi a cavalcioni sulla panca. Osservandolo anche solo distrattamente, Tom lo vide stanco e preoccupato, e si sentì profondamente in colpa: la loro empatia spesso era tutt’altro che un fattore positivo.

“Non hai mangiato niente.”

La voce desolata di Bill gli inferse una pesante gomitata nello stomaco. Se mangiare avesse reso le cose più facili almeno a lui, Tom decise che poteva anche costringersi a buttare già qualcosa. Afferrò alla cieca un biscotto e se lo mise in bocca, masticandolo grossolanamente, infine deglutì a fatica, come se la sua laringe fosse dimezzata di diametro.

Bill rimase a guardarlo in silenzio per un po’, poi sussurrò:

“Gustav sta andando da Vibeke. Forse lui riesce a farla ragionare.”

“Bene.” sbottò Tom, pungolato dalla solita, fastidiosa gelosia. Per qualche strano motivo, per Gustav tutto era semplice, con Vibeke. “Così magari, tra un abbraccio consolatorio e un bacio rassicurante, capiscono di essere fatti l’uno per l’altra e vivranno per sempre felici e contenti. Anzi, ora che ci penso, avrebbero dovuto stare insieme fin dall’inizio. Starebbe stato meglio per tutti.”

“Tom.” Bill gli rivolse una timida occhiata di ammonimento, ma lui continuò a suonare. “Tom,” Con maggiore decisione, Bill gli afferrò il polso e lo obbligò a fermarsi e guardarlo. “Non dare la colpa a Gustav perché non ha il tuo caratteraccio.”

“Devi darmi dello stronzo anche tu, adesso?”

Bill chinò umilmente il capo e non disse più niente. Di nuovo, i sensi di colpa attanagliarono le viscere di Tom. Doveva smetterla di accanirsi su Bill, non avrebbe risolto niente e gli avrebbe solo fatto del male. Del resto, stava solo cercando di aiutarlo, come tutti gli altri.

In quel momento Georg apparve sulla soglia, il basso in una mano e un plettro nell’altra. Anche lui, come Bill, aveva un’aria spossata. Lanciò a Tom una rapida occhiata compassionevole e prese posto all’altro lato del tavolo, di fronte a lui.

“Gustav è andato,” comunicò. “Ha promesso che farà del suo meglio per ammorbidirla.”

Ammorbidirla. Tom dubitava che perfino Gustav sarebbe riuscito in quell’impresa, almeno considerato il particolare frangente. Cocciuta com’era Vibeke, nemmeno un miracolo l’avrebbe smossa dalle sue assurde convinzioni.

“Sta andando a sprecare il suo tempo.” Borbottò, rassegnato. “Vi non gli darà retta, soprattutto se vuole fare l’avvocato del diavolo.”

“Mi sembra che non ci sia molto altro che si possa fare, no?” ribatté Georg, seccato.

Aveva ragione, e fin lì nessun problema. Il guaio era che Tom temeva davvero che, in un momento così delicato, Vibeke potesse aprire gli occhi e capire di essere stata stupida ad infatuarsi di lui, che avrebbe comprensibilmente realizzato che Gustav era migliore di lui – più dolce, più paziente, più gentile – e che era lui quello per cui aveva senso innamorarsi davvero, non Tom.

“Sai,” proseguì Georg, tentennando. “Pensavo che forse un modo ci sarebbe per sistemare le cose.”

Un flebile barlume di speranza di accese in Tom.

“Che cosa?”

“Chiedile scusa.”

Tom steccò, sollevando la testa di scatto.

“Ho capito bene?” indagò, offeso. Scusarsi sarebbe stato come ammettere di essere colpevole.

“Hai capito benissimo.” Confermò Georg. “Penso che dovresti scusarti con lei.”

Scusarmi?!, Tom era sul punto di scoppiare. Scusarmi, io! Io chiedere scusa a lei per qualcosa che non ho fatto! Per una cosa che si è inventata da sola!

“Ma io non ho fatto un cazzo di niente!” protestò vividamente. “Io l’ho respinta, Lara, Cristo!”

Georg si limitò a fare spallucce.

“Io ti credo, ma ti aspetti veramente che Vibeke faccia altrettanto, con la reputazione che ti ritrovi?”

D’improvviso, Tom perse tutta la sua aggressività.

“No.” Ammise a malincuore.

“Georg ha ragione,” soggiunse Bill con delicatezza. “Ho paura che sia l’unica via, Tomi.”

“Non capisci?” insisté Georg. “È l’unico modo. Se ti scusi con lei avrai qualche possibilità di essere perdonato. Se ti ostini a negare, penserà solo che sei un bugiardo.”

“Avrò chiesto scusa tre volte in tutta la mia vita e non rovinerò certo la media per una colpa che non ho!”

Georg si alzò in piedi e si stagliò contro Tom, serio ed estremamente rigido.

“Chiediti se stavolta non valga la pena di farlo. Altrimenti saprai che ha ragione lei: sei solo uno stronzo.”

A Tom veniva da vomitare, la testa gli vorticava. Si dovette appoggiare al tavolo, una mano alla fronte, per riacquisire lucidità, scrutando cupo la propria immagine nella superficie riflettente del vetro.

Si sentiva uno schifo.

Se c’era qualcuna che poteva ridurti così, non poteva che essere una stramba psicopatica con gli occhi bicromi e il cuore al contrario.

Era scandalizzato: non solo gli era piombata addosso un’accusa del tutto ingiusta, ma adesso doveva addirittura umiliarsi a chiedere perdono per una colpa inesistente. Lui, che non si scusava nemmeno per gli errori che commetteva davvero. Lui, che aveva sempre messo l’orgoglio davanti a tutto il resto, anche al costo di mentire a tutto il mondo presentandosi come qualcuno che non era davvero.

Lui, che si era dimenticato ogni maschera per crogiolarsi liberamente nel benessere di giorni che ormai non sarebbero più tornati.

A meno che…

Gli doleva ammetterlo, ma, ad essere onesto almeno con se stesso, era abbastanza disperato da essere disposto a scendere a qualunque compromesso.

“E che cosa dovrei fare, sentiamo?”

Bill e Georg si scambiarono uno sguardo d’intesa e la risposta di Georg fu eloquente ed inequivocabile: gli sfilò il cellulare dalla tasca della felpa e glielo mise in mano.

“Chiamala.”

“Mi sbatterà il telefono in faccia, come del resto ha già fatto,” puntualizzò Tom, lugubre. “Sempre ammesso che risponda, in ogni caso.”

“Usa la chiamata anonima.”

“Resta sempre il problema dello sbattimento di telefono in faccia.”

“Dacci un taglio, è inutile cercare scuse,” intervenne Georg, duramente. “Se vuoi risolvere la situazione, sai cosa fare, altrimenti avrai solo risparmiato a Vibeke il fastidio e l’umiliazione di risentirti.”

Tom fissò a lungo il display nero del proprio Nokia, domandandosi fino a che punto ne valesse la pena. Era poi così importante? Era vissuto senza legami affettivi con le ragazze fino ad ora, che differenza avrebbe fatto continuare così?

La differenza è che adesso sai cosa ti perdi, lo pungolò la sincerità che sopravviveva in lui.

Il suo pollice indugiò sul tasto che selezionava l’ultimo numero chiamato, quello di Vibeke. Georg e Bill osservavano pazienti, ma carichi di aspettativa. La cosa, però, lo metteva pesantemente a disagio.

Alla fine, chissà come, qualche forza ignota gli fece premere il tasto. Il cuore che gli martellava ansiosamente nel petto, Tom si portò il cellulare all’orecchio. Il segnale era libero.

Uno squillo.

Rispondi.

Due squilli.

Rispondi, Vi.

Tre squilli.

No, non rispondere, ti prego. Non ti reggo proprio quando fai la drama queen.

Quattro squilli.

No, rispondi, invece. Ho bisogno di sentirti.

Cinque squilli.

Non risponderai, vero?

Sei squilli. Bill e Georg cominciavano a sembrare sconfortati.

Stupida ottusa.

Sette…

“Kaulitz.”

Il cuore di Tom crollò precipitosamente nello stomaco, affondando nel buio come se fosse stato di piombo. La voce di Vibeke, forzatamente calma e così gelida, gli fece male dentro.

“Vi…”

“Smettila,” ordinò lei, tagliente. “Smettila, una buona volta, Tom. Fa’ un favore a entrambi e dacci un taglio, non abbiamo niente da dirci.”

L’aveva chiamato Tom. Era la seconda volta, da quando si conoscevano, e il suo tono, stavolta, non avrebbe potuto essere più diverso di quello della prima. Il primo ‘Tom’ era stato morbido, esausto ma gentile, colmo di riconoscenza e forse anche affetto. Il ‘Tom’ di adesso era stato usato alla stregua di un’arma, con una premeditazione infierente e crudelmente mirata, e si era conficcato alla sinistra del petto di Tom come una freccia avvelenata. E al di sopra della rabbia e della frustrazione per essere trattato con una tale cattiveria del tutto ingiustamente, al di sopra dell’offesa e del risentimento, c’era il dolore, e non per se stesso, ma per lei, per la consapevolezza della ferita che, pur involontariamente, le aveva inferto.

Seppe con certezza di aver veramente toccato il fondo: provare rimorso per qualcosa che non aveva mai compiuto era davvero all’apice del ridicolo.

“Abbiamo un sacco di cose da dirci, invece! Se solo tu –”

“Che bisogno avevi di rifilarmi tutte quelle stronzate?!” gli abbaiò contro Vibeke, l’odio che permeava ogni suo singolo respiro. “Io non ti ho chiesto niente, perché hai voluto mentire a tutti i costi?!”

“Io non ho mentito!” si infiammò lui. Era una fortuna che fosse seduto, perché le ginocchia gli tremavano come se qualcuno gli avesse puntato una pistola alla tempia.

“Oh, no, certo! La sgualdrina era solo un’amica e io tu eri seminudo per il caldo, giusto?”

“Vi, ascoltami, per favore…” la pregò, ma inutilmente.

“Sono stanca di ascoltarti, Kaulitz,” gli sibilò lei. “Stanca di credere come una scema a cose che non esistono!”

“Vi, aspetta!” urlò lui, sotto agli sguardi pietosi di Bill e Georg. “Io volevo chiederti scu–”

Ma la linea era già caduta.

Stupida, stupida, stupida!, ringhiava Tom dentro di sé, mentre degli artigli invisibili lo martoriavano dall’interno.

“Maledizione!”

“Tom…” Bill allungò esitante una mano verso la sua spalla, ma Tom scattò in piedi, scaraventando il cellulare a terra in un raptus di furia irrazionale. Il Nokia si frantumò sul pavimento con uno schianto secco e pezzi della cover e dei tasti schizzarono in ogni dove.

Bill sussultò dalla sorpresa; Georg sgranò gli occhi senza emettere un suono. Tom non attese che uno di loro dicesse o facesse qualcosa. Non era proprio in vena di essere compatito.

“Che diavolo state combinando, qui dentro?” Benjamin era appena spuntato dalla porta e li guardava accigliato. “E posso sapere perché Gustav ha preso e se n’è andato senza una paro–?”

L’occhio gli era caduto sui resti del cellulare di Tom. “Ok, esigo spiegazioni.” Portò lo sguardo su Tom, ma questi si voltò dall’altra parte. “Tom Kaulitz, voglio sapere perché hai fatto a pezzi un ninnolo da settecento euro, e lo voglio sapere adesso. Allora, cosa sta succedendo?”

Bill strinse le labbra, sgranando gli occhi, e Georg incrociò le braccia, come faceva sempre quando era teso.

“Niente di nuovo, Benji,” rispose Tom, in tono neutro. “Sta succedendo quello che succede da anni: la mia vita va a farsi fottere.”

“Gesù, non ricominciamo!” rantolò Benjamin. “Siamo in ritardo mostruoso sulla tabella di marcia, l’album è già stato rimandato tre volte e dio solo sa quando e se lo finiremo. Non te ne puoi venire fuori con una crisi depressiva in un momento come questo!”

In due falcate furibonde, Tom lo raggiunse.

“Mi procurerò un po’ di ecstasy, allora, va bene?” lo sfidò. “Così saremo a posto con il curriculum da rockstar doc: falso, puttaniere e drogato. Ci stai?”

“Tom!” lo riprese Benjamin, allibito, ma Tom era stanco e irritabile e tutto ciò a cui riusciva a pensare era scappare.

“Tom un cazzo! Chiedo solo un po’ di pace, vi sembra eccessivo?!” sbraitò, guardandoli tutti uno per uno. “Me ne vado. Non rompetemi i coglioni fino a domani, se ce la fate. Grazie.”

Sgusciò fuori dalla serra, dentro alla casa.

“Tom!” esclamò Georg, ma Tom non lo ascoltò. Attraversò tempestosamente il salotto ed infilò la porta a vetri che dava sul retro. Aveva parcheggiato la Cadillac subito fuori dal cancello.

Oltrepassò il cancello con una tale rapidità che, quando individuò un ostacolo non indifferente, fece appena in tempo a fermarsi per non andare a sbattervi contro. La reazione immediata fu di tentare un dietrofront subitaneo, ma le due ragazze al suo cospetto avevano già sfoderato due espressioni di puro sconcerto misto a cupidigia, e Tom non riuscì nemmeno a pensare di essere irrimediabilmente braccato: le due brandivano una macchina fotografica digitale e carta e penna. Non c’era l’ombra di un’emozione concreta nei loro occhi; solo compiacimento e una discreta dose di sfacciata malizia. Lui era lì, ma era come se non lo vedessero, come se davanti non avessero una persona, ma una semplice attrazione turistica.

Per la prima volta in tutta la sua carriera, Tom si sentì offeso ed intimamente svilito da quella cecità.

Una delle due ragazze – bassa, bionda, magra da fare impressione – gli sventolò un foglio sotto al naso, porgendogli un pennarello indelebile nero.

“Tom, ci fai un autografo?”

L’altra, non molto più alta dell’amica, anch’essa bionda, ma tozza e sgraziata, sorrise con grottesca voluttà.

“Non vi faccio un bel niente,” tagliò corto Tom, cercando di scansarle. “Sparite, andate via.”

“Ma sei una star…” insisté la bionda grassa, tallonandolo, la fastidiosa amica alle calcagna. “Perchè non ci puoi fare un autografo?”

“Non sono una star. Andatevene.”

“E allora cosa sei?”

Una lunga serie di risposte risuonò nella mente di Tom, riemergendo da ricordi di scene così diverse tra loro.

“Sei un bullo presuntuoso.”

“Sei un coglione.”

“Sei il solito capriccioso!”

“Sei un cafone pieno di sé da far vomitare!”

“Sei proprio un bambino!”

“Sei una merda.”

“Sei solo un porco.”

Suoni aspri, stizziti, indignati, sprezzanti, a cui si era abituato in fretta. E poi, in quel marasma di insulti, una goccia di insolita bontà, di cui lui aveva segretamente fatto tesoro, custodendola dentro gelosamente.

“Sei un bravo Kaulitz.”

Ricordava ancora distintamente il tono soffice della voce di Vibeke nel pronunciare quella frase, la sua espressione docile e commossa. Ricordava, e fin troppo bene, il senso di appagamento che era scaturito in lui nell’udire quel complimento. Quello che non riusciva proprio a ricordare era la sensazione della mano di Vibeke che lo accarezzava.

“Sei un bravo Kaulitz.”

Gli era sembrato tutto, in quel momento.

“Sei un bravo Kaulitz.”

E lui l’aveva delusa.

Era tutto rovinato. Per niente.

L’angoscia gli stava di nuovo montando dentro, mordendo e graffiando senza pietà. Si sentiva claudicante, senza Vibeke, come se gli fosse stato tolto un sostegno fondamentale.

Vi…

Gli mancava il respiro.

“Non sono nessuno.” Mugugnò stancamente, la mano che, all’interno della tasca, già stringeva convulsamente le chiavi della macchina.

“Allora perché lo fai?”

Tom si fermò e si voltò di scatto. Le due scocciatrici sussultarono.

“Chi dice che se faccio musica, allora voi ve ne potete stare qui?” ringhiò, inveendo contro le ragazze, prese in contropiede. “Chi l’ha detto? Chi vi dà il diritto?”

“Ma…”

“Sparite!” ordinò loro Tom.

“Non stiamo facendo niente!” protestò quella tarchiata, in tono di sfida.

“Siete qui, e mi dà fastidio!” sentenziò lui. “Andate a fanculo!”

Aprì in fretta l’auto con il telecomando e salì a bordo prima che una delle due potesse dire altro. Infilò la retro e, dopo una manovra fulminea e decisamente azzardata, sgommò via a tutta velocità, senza una meta.

Non aveva importanza il dove, la direzione. Voleva solo andare via.

 

***

 

Gustav giunse di fronte alla porta di casa Wolner con un fastidioso peso allo stomaco. Si sentiva spiacevolmente diviso tra la cieca fiducia verso Tom e la solidale comprensione che provava per Vibeke.

In fondo, anche se lei non sapeva che quanto aveva visto in realtà non era mai esistito, la sua delusione era fin troppo concreta.

Se solo quella cocciuta desse retta a qualcuno…

Premette appena il bottone del campanello, pronto a tutto, e attese. Un attimo dopo, la porta era aperta. Al di là di essa, con nient’altro che una delle sue magliette extralarge addosso, Vibeke.

“Ciao, Gud.” Lo salutò flebilmente. Sembrava davvero depressa.

Entrarono. Gustav la studiò meglio: aveva un pessimo colorito, spento e grigiastro, gli occhi nudi sgranati in un’espressione stravolta, e, sotto, delle terribili occhiaie. Non sembrava lei.

“Ho portato una cosina per facilitare lo sfogo.” Le disse, e nel farlo sollevò un piccolo sacchetto trasparente, contenente una cosa che aveva sottratto alla dispensa dello studio un attimo prima di uscire. Qualcosa che Vibeke non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere alla prima occhiata..

“Nutella!”

Gustav sorrise.

“Quanto mi ami?”

Sorridendo a sua volta, tristemente, Vibeke spalancò le braccia:

“Tanto così.” E lo strinse in un abbraccio pieno di gratitudine.

“È sempre bello sentirselo ricordare.” Sdrammatizzò lui.

“Non ti saresti dovuto precipitare qui in questo modo. È sabato, avrai i tuoi programmi con Fiona, e io –”

“Non ho nessun programma con Fiona,” Mise subito in chiaro Gustav. “Non ne avrò mai più.”

Vibeke parve stupita dalla notizia.

“Scusa?”

Gustav sospirò. Lasciò la Nutella sul mobile dell’ingresso e andò a sedersi stancamente sul divano. Vibeke fece lo stesso, prendendo posto accanto a lui.

“Io e lei…” Gustav non sapeva nemmeno da che parte cominciare. Forse tagliare corto era la cosa migliore. “Be’, è finita, qualche giorno fa.”

Dirlo a voce alta era meno doloroso di quel che avrebbe creduto.

Una strana espressione di dispiacere misto a sollievo calò sul viso di Vibeke.

“Oh. Gud, mi dispiace, io…”

“Bee, dai, non potevi nemmeno sentirla nominare.” Le ricordò lui, ma con una punta di ilarità.

Apparentemente imbarazzata, lei chinò il capo.

“Sì, è vero, ma… A te piaceva. Anche se l’ho sempre detto io che non ti meritava.”

“Stando a te, non mi meriterebbe nessuna.” La canzonò lui.

“Infatti! Tu sei solo mio, solo io ti amo senza condizioni, sono la sola che ti merita in questo mondo di viscide maniache sovreccitate!”

Gustav rise con le lacrime agli occhi. In pochi sapevano divertirlo come lei.

“Forse hai ragione,” ammise, ma poi si incupì leggermente. “Però non mi dispiacerebbe anche incontrare un tipo di amore diverso, prima o poi.”

Arrossì, vergognandosi. Erano fantasticherie da adolescenti sentimentalisti, quelle, e lui non lo era mai stato. Era facile, tuttavia, finire per desiderare ciò che di bello si vedeva nelle mani degli altri.

“Ma Fiona non era quella giusta.” Decretò Vibeke, decisa, e Gustav capì che aveva avuto ragione lei fin dal principio, riguardo Fiona.

“Preferisco che sia andata così, davvero.” La rassicurò. Non gli andava di parlare di sciocchezze simili: era lì per lei, per aiutarla, non per farle carico anche di problemi non suoi.

“Ma cos’è successo, esattamente?” Volle però sapere lei.

“Ha visto il nuovo episodio della Tokio Hotel TV,” Sembrava una cosa stupida, a pensarci adesso. “Non le è piaciuta la parte in cui la definisco ‘nulla di rilevante’.”

“Se devo essere sincera, non è una cosa molto carina da sentirsi dire, anche se indirettamente.”

“Cosa avrei dovuto fare, scusa?” si difese lui. “Lei mi piaceva, è vero, ma nient’altro. Se avessi detto qualcosa di diverso, avrei mentito, e lei si sarebbe illusa e basta.”

Vibeke fissava il pavimento con uno sguardo vacuo e immobile.

“Giustamente.” Mormorò. Tirò su con il naso, poi sollevò le spalle. “Dopotutto è un ragionamento che farebbe chiunque possedesse un minimo di umanità e di riguardo verso il prossimo.”

Gustav sospirò, chiedendosi se parlare fosse saggio, visto che aveva la sensazione che qualunque cosa avesse detto, sarebbe stata quella sbagliata.

“Mi dispiace, davvero,” sussurrò infine. “Io credo a Tom quando dice di non aver fatto nulla di male, ma non smetteremo mai di dargli dell’idiota per come si è comportato.”

“Non è Tom l’idiota,” disse Vibeke amareggiata. “Lui si è sempre comportato così, era prevedibile che facesse qualcosa del genere. L’idiota sono io che mi sono dimenticata di ricordarmelo.”

Gustav era senza parole. Aveva frainteso tutto. Era stato fermamente convinto che Vibeke ce l’avesse a morte con Tom per quello che credeva le avesse fatto, ma non era affatto così.

“Tu non sei arrabbiata con lui,” realizzò, quasi senza capacitarsene. “Sei arrabbiata con te!”

“Non mi ero mai concessa un simile lusso, prima,” proseguì lei, senza dargli ascolto. “E una volta che lo faccio –”

“Di che lusso stai parlando?”

“Di…” Vibeke tentennò e non osò guardarlo. “Di abbassare la guardia.”

‘Abbassare la guardia’ non era ciò che era stata sul punto di dire all’inizio, Gustav lo sapeva, ma preferì soprassedere. Mettere i puntini sulle i con Vibeke con i nervi ballerini era sconsigliabile.

“Penso che sia il momento della Nutella,” suggerì. “Che ne dici?”

Vibeke si concesse un sorriso umido. Allungò una mano e gliela posò su una guancia, accarezzandolo piano. Lo guardò a lungo negli occhi, da vicino, le labbra premute tra loro in un’espressione assorta. Aveva le mani calde, cosa insolita, per lei, e le sue carezze erano leggere e tremule, commosse.

“Avrei dovuto innamorarmi di te, Gud.”

Un sussurro o poco più, questo era stato. Pieno di amore e rimpianto, e di una voglia esasperata di stabilità. Gustav le pizzicò affettuosamente il naso.

“Sarebbe stato piuttosto squallido doverti venire a rifilare il solito ‘Ti amo come una sorella’…”

Il tentativo di alleggerire la tensione emotiva fallì: Vibeke aveva un tristissimo languore negli occhi. Era davvero spenta, le mancava quel suo tipico fuoco impetuoso che la illuminava da dentro.

A Tom non sarebbe piaciuto vederla così.

“Non sono all’altezza.” La udì farfugliare, dietro a una cortina di capelli neri.

“All’altezza di cosa?” Glielo chiese, anche se non ne aveva alcun bisogno.

“All’altezza di Kaulitz,” rispose Vibeke, dando così conferma ai timori di Gustav. “Dei suoi gusti, dei suoi standard, di tutte quelle strafighe perfette che è abituato a filarsi.” Rassegnazione. Troppa rassegnazione e troppa arrendevolezza in quel tono labile. “Io non sono una cantante, né una modella, né una celebrità di alcun tipo. Io sono Vibeke, e ho le smagliature e gli incisivi sovrapposti, non ho grazia femminile, non so camminare sui tacchi a spillo, e non entrerò in una quaranta nemmeno tra un milione di anni!” Si afflosciò contro i cuscini, come svuotata, e si prese il viso tra le mani. “Io non sono a misura di Tom Kaulitz, Gud. Non sono niente.”

Era così tenera, senza la sua artiglieria pesante di sarcasmo addosso. Le persone erano fragili, lontane dalle loro maschere.

“Tom non se ne fa niente di una sua replica al femminile, Bee. Ci potrebbe andare a letto, si potrebbe divertire, ma poi rimarrebbe sempre con il suo solito senso di vuoto. Lui non lo sa, ma ti ha cercata per anni nei volti di mille ragazze sbagliate. Adesso che ci sei, non puoi lasciarlo solo senza nemmeno parlare con lui.”

La bocca di Vibeke si aprì, ma si richiuse subito dopo. A quanto pareva Gustav aveva trovato il modo di lasciarla senza parole.

Ora, pensò, fissandola negli occhi con ferrea determinazione, viene la parte difficile.

La aveva ammorbidita. Adesso bisognava convincerla a cedere.

Gustav pregò che un miracolo intervenisse ad aiutarlo.

 

***

 

“Voglio morire!”

“Non dire stronzate.”

“No, voglio morire davvero!”

“Piantala, idiota!”

“Ho il cuore a pezzi! Tu non puoi capire, sei un automa senza sentimenti!”

“Oh, BJ, falla finita, era solo uno stupido fisioterapista!”

“Era il mio fisioterapista, e poteva almeno finire la mia terapia prima di farsi arrestare per atti osceni in luogo pubblico!” protestò BJ con veemenza. “Licenziato per una simile cavolata! E mi mandano una racchia dell’era mesozoica a sostituirlo!”

“Bror,” sospirò Vibeke, sfregandosi la fronte con una mano. “Quella poverina avrà a stento cinquant’anni.”

Non riusciva a credere di essersi fatta fregare. Nel bel mezzo della visita di Gustav, aveva ricevuto una telefonata disperata da parte del proprio fratello. Non aveva capito un bel niente dei sui vaneggiamenti, ma Gustav la aveva convinta che andarlo a trovar avrebbe giovato a entrambi, così lei, fidandosi del suo buonsenso – caratteristica di cui lei aveva gravi carenze –, gli aveva dato retta, ed era corsa alla clinica in fretta e furia, il tutto per scoprire che l’insensatezza dei discorsi di BJ era dovuta al trauma del licenziamento in tronco del suo adorato Nikanor.

Non fosse stato un prolungamento di lei che le era irrimediabilmente necessario per vivere, Vibeke avrebbe ammazzato il proprio fratello già da un pezzo.

“Va bene, allora,” concesse lui, sistemandosi meglio tra i guanciali. “Basta parlare di me. Parliamo di te. Ti sei decisa a uscire di casa, finalmente.”

”Sì.” Mugugnò lei, alterata. Lo aveva fatto per lui, solo per quello. Fosse dipeso da lei, se ne sarebbe rimasta sul divano con Gustav per sempre, al sicuro.

“Dimmi, il tuo Gud ha cavato qualche ragno dal buco con te?”

“E tu che ne sai di Gud?”

BJ fece ruotare gli occhi con ovvietà.

“Ti ho quasi vista sorridere quando ti ho detto di Nikanor. Solo Gustav potrebbe rasserenarti abbastanza da farti sprecare un sorriso nel bel mezzo di una fase di faccia da funerale perenne come quella che ti stai ostinando a mantenere in questi giorni.”

“Non mi sto ostinando a fare un bel niente!” tuonò Vibeke. “Sono incazzata e basta!”

BJ non si scompose di una virgola. Assunse anzi un’espressione irritantemente indulgente, come se lei fosse una bambina da assecondare nei suoi capricci.

“Lo sai perché sei così incazzata?”

“Perché Kaulitz è un pezzo di merda patentato?” rispose prontamente lei. In effetti, era fermamente convinta che il mondo sarebbe stato senz’altro un luogo migliore – più sereno e felice – senza la piaga del sesso maschile a infestarlo.

Immune dai suoi attacchi di cinismo pungente, però, BJ sorrise e scosse la testa.

“No.” Il suo sorriso si fece enigmatico, poi incredibilmente serio. A Vibeke fece una certa impressione: raramente, in vita sua, BJ era stato serio. “Perché, volente o nolente, Tom ti ha resa umana,” le disse tranquillamente. “E sai che ti dico? Gli devi un grazie, se adesso stai ricordando cosa significa essere fallibili e vulnerabili.”

Non è vero, disse Vibeke a se stessa. Non è vero, maledizione!

Si sarebbe coperta le orecchie con le mani, se non fosse stato un segno di immaturità, e non voleva dare al fratello una ragione in più per accusarla di puerilità.

“Il trucco non è non ferirsi mai, Bee,” continuò BJ, infierendo con perfida consapevolezza. “Ma farsi male e imparare a sanguinare, curarsi nel modo giusto… E credo che tu e Tom abbiate molto da insegnarvi l’un l’altra, sotto questo aspetto.”

“Io sono sempre stata umana.” Disse Vibeke, ma si rese conto di non suonare convincente nemmeno a se stessa.

“No.” Fu infatti la secca obiezione di BJ. “Scusa la franchezza, ma erano anni che eri palesemente disumana. Fredda e sarcastica con chiunque tentasse di avvicinarsi a te, diffidente e discostante fino all’esasperazione… Non so come facevi a vivere, prima.”

“Prima di cosa?”

“Prima che Tom frantumasse il tuo guscio di apatia verso il mondo.”

“Non dire assurdità!”

“Vibeke, apri gli occhi!” esclamò BJ con evidente impazienza. “Eri una maschera, prima di conoscere lui, sorridevi senza avere nulla di cui sorridere, evitavi qualunque cosa potesse turbare il tuo prezioso equilibrio statico… Non era vita, quella!” Il discorso la scosse dentro come un tuono. BJ non si arrabbiava mai, e per questo, le sporadiche volte che accadeva, la rendeva irrequieta. “Tom ha fatto a pezzi le tue convinzioni? Bene, non posso che rallegrarmene. Magari è la volta buona che riesci a liberarti dagli strati di te stessa che non ti appartengono più!”

Per l’ennesima volta in quei giorni, Vibeke sentì che qualcosa dentro di lei si incrinava e si sbriciolava, lasciandola con una difesa in meno, pericolosamente vicina all’essere nuda.

Che fossero gli strati di cui parlava BJ?

Tom ha fatto a pezzi molto più delle mie convinzioni, pensò, arrabbiata.

“Jeg kjenner deg, søster,” aggiunse BJ. “Det er som du villet.” (“Io ti conosco, sorella. È quello che volevi.)

“Mi credi veramente così masochista?”

BJ continuava a fissarla orstinato:

“Hai tirato in piedi una tragedia per questa storia, ma a chi vuoi darla a bere? Tu non vedevi l’ora che Tom facesse un passo falso. Eri lì, vigile; non aspettavi altro. Non vedevi l’ora di trovare una bella scusa per ritirarti nel tuo bozzolo e rimettere il filo spianto, blindata a vita. Bene, non sei contenta?”

La bocca di Vibeke era asciutta, incapace di muoversi.

No, non è così. Io non sono così…

“Sì che sei così,” la contraddisse BJ, leggendo direttamente nei suoi pensieri. “Raccontati tutte le trottole che vuoi, ma è la verità.”

“Si dice frottole.” Lo corresse a mezza voce.

BJ fece un gesto incurante.

“Quello che è. Il punto è che te lo farò pesare per i prossimi mille anni se ti lasci scappare così l’unico folle autolesionista che si sia interessato a te per l’odiosa iena intrattabile che sei e non per le tue tette.”

“E chi te lo dice che non sia per le tette?”

BJ sorrise furbamente.

“Due tette così le trova ovunque, un carattere pessimo come il tuo è una vera rarità, per somma fortuna del genere umano.”

“Probabilmente dovrei sentirmi lusingata…” ironizzò lei.

“Sono abbastanza sicuro che Tom non ti piaccia per le sue tette,” la ignorò BJ. “Quindi magari un minimo di disponibilità a collaborare gliela potresti anche concedere. ‘Hard, I’m harder than the life I’ve lived. Strong, I’m stronger than the pain you give’… Ricordi?”

Questa volta a Vibeke un sorrisino scappò davvero. Sì, ricordava. Non avrebbe mai potuto dimenticarla: era stata la sua prima canzone preferita. Lost, dei Tristania, suoi conterranei. Erano stati a lungo la sua band più ammirata; a dodici anni il suo vanto era portare il nome della loro vocalist. Poi, quando la formazione era cambiata e la cantante se n’era andata, tutto aveva perso senso. Ma quella canzone le era rimasta nel cuore, perché sembrava scritta apposta per lei. Ora più che mai.

Sono più dura della vita che ho vissuto, sono più forte del dolore che tu mi dai.

“Ci credi ancora?”

“Probabilmente no.” Gli rispose Vibeke con voce priva di colore.

“Allora perché non –”

“Perché no!”

“Se continui così, mi costringerai a passare ai mezzi pesanti, Vibekina!”

Vibeke lo derise.

“E cosa fai, sentiamo? Mi leghi con le tue flebo e con i tuoi portentosi sessantatre chili di cosiddetti muscoli mi trascini di peso da Kaulitz?”

“Non mettermi alla prova!” la avvertì lui, ma senza intimidirla. Bloccato lì dentro, poteva minacciarla quanto gli pareva, ma c’era poco, in concreto, che potesse fare.

“Sto tremando di paura.” Si alzò dalla sedia e raccolse la borsa da terra.

“Te ne vai di già?” fece lui, deluso.

“Ti ho già lasciato sbizzarrire abbondantemente, per oggi. Non stressiamo la pressione.”

“La mia pressione sta benissimo.”

“Dicevo la mia.” Chiarì Vibeke, poi si allungò verso di lui per stampargli un bacio su una guancia. “Vado un paio d’ore in piscina. Ti chiamo domani, d’accordo?”

BJ annuì come un bambino ubbidiente.

“D’accordo. God natt.” (“Buona notte.”)

“Natt!”

Una volta uscita, Vibeke poteva dire di stare un po’ meglio. Non tanto da non sentirsi più l’anima appesantita dal macigno di sentimenti in lotta tra loro, ma quanto bastava per godersi una serata in piscina e magari una pizza gigante.

Andò a dormire verso mezzanotte, portandosi dietro un interminabile susseguirsi di riflessioni.

Tutta colpa di BJ.

Prese un CD dalla pila che teneva sul comodino, quelli sacri che non si sarebbe mai stancata di ascoltare, e lo inserì nello stereo.

Si addormentò così, abbracciata al cuscino, con Rogue ai piedi del letto che faceva le fusa, e la voce di un angelo lontano a cullarla.

Sing for me, my love
Sing the right from wrong
Here inside my mind
Truth is hard to find

 

***

Dopo la scenata di Tom, Bill si era sentito veramente male. Sia per il fratello, che sembrava impazzire a causa dei recenti avvenimenti, sia per Vibeke, che per le stesse ragioni era diventata un fantasma.

Non la vedeva da giorni e da altrettanto tempo non aveva sue notizie, se non il succinto resoconto che Gustav aveva riferito a lui e Georg appena rientrato. Se non altro era viva, anche se forse non proprio vegeta.

Erano lei sei quando Bill aveva lasciato lo studio e, risoluto, si era diretto al Sankt Georg. Non avrebbe avuto molto tempo per parlare con BJ, ma qualcosa andava fatto, e in fretta, perché la situazione era grave.

Come d’abitudine, uscito dall’ascensore, attraversò il corridoio e si diresse verso la porta della stanza, seguito da una pioggia di sguardi omicidi provenienti dalle infermiere.

Sono un maschio, gente, piantatela di rompere! Non ve lo tocco il vostro bocconcino norvegese!

Colmo di sdegno, si sistemò la Prada sulla spalla e bussò.

“Avanti!”

Entrò. Trovò la stanza stranamente in ordine, segno che Vibeke era passata di lì non più di un paio d’ore prima. Il letto era sfatto, ma vuoto. Perplesso e vagamente allarmato, Bill ispezionò la camera con lo sguardo: BJ era davanti alla finestra, nient’altro che i pantaloni del pigiama indosso, e si stava tamponando i capelli umidi con un asciugamano. Attaccate al suo braccio c’erano un paio di tubicini che si ricollegavano a una piccola sacca piena di liquido trasparente, fissate a una stampella con le rotelle, mentre sul torace era ben visibile il grosso medicamento bianco che proteggeva la ferita ancora fresca.

“Bill!” trillò entusiasta appena lo vide. “Sei esattamente chi speravo di vedere!”

Bill rimase di sasso.

Davvero?

Al di là della brutta sensazione di essere arrivato in un momento inopportuno, si chiedeva se per caso BJ non si fosse aspettato un nuovo rifornimento di fiori rosa, dato che non ne aveva portati. Aveva deciso di andarlo a trovare su due piedi, non aveva affatto pensato che sarebbe stato maleducato presentarsi a mani vuote.

“Siediti, non stare lì impalato!” lo invitò BJ, indicandogli il letto. “Mettiti comodo, sarai stanco. Vibeke mi ha detto che state lavorando sodo…”

“Sto benone, grazie,” affermò lui, prendendo comunque posto. “Era un po’ che non venivo, e visto quello che è successo…”

“Ah, non me ne parlare!” BJ gettò l’asciugamano sulla sedia ai piedi del letto e si sedette anche lui, senza preoccuparsi di mettersi addosso qualcosa di caldo. “Oggi è stata qui mia sorella e non ti dico che lotta all’ultimo sangue è stata per ficcarle un po’ di sale in quella sua maledetta zucca dura.”

“Risultato?” domandò Bill, speranzoso.

BJ gli rispose con un eloquente ed avvilente pollice verso.

“Abbiamo due fratelli deficienti.” Sospirò Bill.

“Puoi dirlo forte.”

“Soprattutto il mio.”

“Be’, come direbbe Vibeke: ‘È un uomo, non è tutta colpa sua’. E in effetti credo che in questo caso non abbia nulla di cui essere incolpato, sbaglio?”

“Infatti. Però non doveva fare entrare Lara, sapeva che Vibeke stava arrivando. Esistono uomini che capiscono quando hanno la fortuna di aver trovato la persona giusta e imparano a non fare cazzate.”

“Parli di Georg?”

“Mh?”

“Avevi un debole per Nicole, sbaglio?”

Bill lo fissò ammutolito. Era così evidente?
“Lei ti vuole veramente molto bene, si vede da come ti guarda.” Aggiunse BJ mite.

“Sì,” Bill si sentì riscaldato da dentro al pensiero di Nicole. L’amicizia che era nata tra loro due era più bella e vera di qualunque amore Bill avesse mai immaginato. “È un bene che ho imparato ad apprezzare e ricambiare nel modo giusto.”

BJ annuì pensoso.

“So che Vibeke ti ammira molto per questo.”

Bill rimase a bocca aperta:

“Vibeke mi ammira?”

“Che c’è di strano?” replicò BJ con un sorriso.

“Sai com’è, sono troppo abituato a sentirmi chiamare Principessa con quel tono di sopportazione…”

“Non farti ingannare dal suo cinismo. A Vibeke raramente piace manifestare i propri sentimenti, lo ha sempre visto come un segno di vulnerabilità. Sono rimasto scioccato nel vederla così affettuosa con Gustav, l’unico altro essere vivente per cui abbia mai dimostrato un tale affetto è Rogue.”

“Sì, credo di saperne qualcosa… Anche Tom è così.”

“Sì. E credo di avere abbastanza in comune con lui da capire le sue motivazioni.”

“Ah sì?” Bill aveva immaginato che Tom e BJ avessero molti potenziali punti di somiglianza. Anche se per certe cose erano opposti, per altre sembravano usciti dallo stesso stampino.“Penso che Tom non abbia molta confidenza con l’amore, sbaglio?”

“Se intendi in senso romantico, non sa nemmeno cosa sia.”

“Be’, tu immagina di essere innamorato per la prima volta, di avvertire questo sentimento fortissimo che non conosci e non sai come gestire, che ti viene scatenato da una singola persona…”

Bill tentò di immedesimarsi in Tom. Un Tom innamorato che non sapeva nemmeno cosa volesse dire, che si ritrovava solo dopo aver finalmente trovato il coraggio di ammettere che la solitudine non gli bastava.

“Panico.” Disse, a disagio. Non aveva mai provato pena per il proprio fratello, prima.

BJ mosse appena il capo in un cenno di assenso.

“Già.”

Bill non l’aveva mai guardata da quest’ottica. Aveva sì pensato che Tom potesse trovare strana e poco consona alla propria persona l’idea di legarsi stabilmente a una ragazza, ma che addirittura la prospettiva potesse spaventarlo non lo aveva mai supposto. Riflettendoci, tuttavia, aveva un suo intricato senso.

“Ti è capitato?”

BJ parve rifletterci.

“Una volta sola, un paio di anni fa,” confessò poi. “Ma ho fatto esattamente come Tom, anche se forse con un po’ più di cruda consapevolezza.” Il suo sguardo, la copia esatta di quello della sorella, si sollevò su Bill. “È rischioso investire il proprio cuore in qualcosa di incerto come una relazione.”

“Sì, è vero.”

“Ma se mai rischi, mai scoprirai come può andare a finire.”

A quel punto Bill si sentì in dovere di spezzare una lancia in favore del proprio fratello. Lui, in fondo, ce la stava mettendo tutta, mentre Vibeke non faceva che scappare.

“Tom ci sta provando a chiarire le cose,” precisò. “Ma Vibeke non ne vuole sapere più niente.”

“Sicuramente al telefono non risolveranno mai niente.”

“Lo so.” Convenne Bill.

BJ si sfregò meditabondo il mento.

“Andrebbe colta di sorpresa.”

“E come?” Si interrogò Bill. Cogliere di sorpresa una fredda calcolatrice come Vibeke era come buttare Tom giù dal letto la mattina: una missione impossibile.

Eppure BJ aveva l’aria di chi la sapeva lunga. Il suo viso si illuminò di compiacimento mentre rivolgeva a Bill un inquietante sorrisetto sibillino.

“Una mezza idea ce l’avrei…”

 

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Note: sì, lo so, anche stavolta vi starete chidendo: “Sogno o son desta? È forse un miraggio? Possibile che quell’inetta di _Princess_ abbia aggiornato davvero?!”

Ebbene sì, gente, è così: ho aggiornato. Siete liberi di invocare il coro dell’hallelujah, se credete. ^^

Dunque, il capitolo è abbastanza frammentario, come vedete. A parte la sequela di messaggi telefonici dell’inizxio, ho voluto comunque inserire una serie di confronti tra personaggi, perché era un po’ lo scopo dell’intera faccenda nata nello scorso capitolo: far riflettere tutti.

Le più aggiornate di voi sui nostri quattro amati sdapranno che il pezzetto del 'litigio' cvon le fan assillanti è accaduto davvero e il dialogo è preso parola per parola dalla registrazione che le due rompipalle hanno fatto dell'incontro con Tom. Ho semplicemente interpretato il fatto a modo mio. ^^

Vi informo che le due canzoni che ho usato appartengono nell’ordine ai Nightwish (Higher Than Hope), ai Tristania (Lost), e alla Divina Tarja Turunen (Sing For me). Per qualunque altro dubbio, sapete che sono disponibile a chiarire. ^^ Ah, quasi dimenticavo: l'espressione "Klem klem" usata da BJ è un modo di dire norvegese, tipico del linguaggio internet, che significa "Abbraccio abbraccio".

Ora, finalmente, dopo mesi e mesi di vane promesse, i ringraziamenti ad personam:

TushiUndDark: eccola qui, l'inetta! XD Una che ha la maturità e si spara ventidue capitoli di una ff in tre giorni non può che essere una... grande! ;) Dopotutto lo studio è marginale, no? XD Ti ringrazio davvero tanto per i complimenti! Lo so, ci ho messo due mesi ad aggiornare (Oddei! XO), ma è stato un periodo pesante, chiedo venia!

Miss Dangerous: quando ricevo recensioni come la tua, ammetto che per qualche minuto vado in modalità pavone: gonfia di orgoglio e compiaciuta fino all'osso, se non anche dentro. ^^ Hai ragione, Vibeke è un personaggio abbastanza complesso nella sua psicologia. Mi piace dare uno spessore alle mie creature, un'impronta tutta loro che le renda uniche e inconfondibili, e spero di riuscirci almeno in parte. E poi adoro la Psicologia, quindi, anche in futuro, darò ampio sfogo a questa mia passione. XD E chiedo scusa anche a te, come a tutti, per la mia orribile incostanza nell'aggiornare. Sono un disastro, lo so, ma l'ispirazione ultimamente scarseggiava. A parte le mie pecche, un grazie enorme di tutto!

natyy: purtroppo non so se sei riuscita a leggere il capitolo, e quindi anche questa nota, ma ti lascio ugualmente due righe di ringraziamento, se mai ci riuscirai. ^^ Spero davvero che tu abbia modo di sfruttare qualche pc 'esterno', perché la fine è vicina e sarebbe un peccato perderla proprio ora!

rose_: quando una non-fan dei Tokio Hotel mi dice che, nonostante tutto, apprezza la mia storia, io non so mai che dire. Vale il doppio del complimento di una fan, perché significa che si ama la storia per quello che è e non anche per i personaggi che contiene. Sono davvero lusingata! Spero che continuerai a seguirmi e apprezzare il mio sudato lavoro, anche per le storie che seguiranno! GRAZIE! *__*

schwarznana: è viva, signori! XD Ormai ti avevo data per dispersa, ma tu sei magicamente apparsa proprio quando la speranza era perduta! Bill e BJ sono due pettegole, non c'è niente da fare, ma se non ci pensassero loro a parlare di queste cose, chi lo farebbe? I loro gemelli sono due incapaci, mica sono in grado di fare da sè! Ora dimmi tu se ho fornito abbastanza conforto al tuo cuoricino, con l'ultima parte del capitolo. ;) E grazie!

azzapaloccip: piccolapazza... mi sento scema, ma ci ho messo qualche momento a capire il 'gran segreto' del tuo nick! XD Però mi piace un sacco come suona! E un fiume di punti in più, visto che hai letto anche Lullaby! sai, molti si fiondano su The Truth, e Lullaby nemmeno si accorgono che esiste. ^^" Mi chiedi se sto pensando di fare un ulteriore sequel... be', direi che la risposta è: sì! Ho già iniziato a scrivere qualcosa già mesi fa, quindi appena terminata The Truth, arriverò con il suo seguito (Il cui profetico titolo sarà Once In A Blue Moon). Sono felice che la storia ti piaccia, ma se secondo te ci sono dettagli da perfezionare, sarei ben felice di sapere quali, di modo da chiarire o, in caso, rimediare! ^^ Ci conto!

Lady Vibeke: sempre a rate arrivi, tu! XD Tra perle sui Nightwish (sia resa lode a Dio u__u) e recensioni 'illuminate', mi sembra quasi di ricordarmi chi sei! XD Ma un salto su MSN qualche volta no, vero? E non usare la scusa 'Faccio sempre un salto, ma tu non ci sei mai!', perché ieri sono stata al pc quasi tutto il giorno, e tu nada! >:( Vabbe', attenderò che tu risorga dai gravami lavorativi. Attendo giudizi su questo capitolo, visto che non lo hai nemmeno betato! ^^

Kvery12: la prima recensione è sempre speciale... ma spero non sarà l'ultima! ;) Grazie per il fiume di complimenti, e... no, aimè, non sono norvegese. ^^ Sono solo molto solerte nelle mie ricerche scientifiche al fine di insaporire la storia. XD

ninacri: carissima! meglio tardi che mai, no? Ti vedo molto sgamata sul destino dei miei personaggi, soprattutto su quello di Gustav! XD Ma, no, non sono così crudele, anche Gud avrà modo di sperimentare... ma non sbottoniamoci troppo! ;) Ti ho messo un bel po' di BJ, visto che sei una buongustaia.,.. Soddisfatta?

cri_4e_: non tutto può sempre andare alla perfezione, no? Se tutto fosse perfetto, non si potrebbe imparare dagli errori, no? ;)

Debry91: non ti dico come finisce, ma ti dico che nel prossimo capitolo lo scopriremo, e che quello dopo ancora sarà l'epilogo. ;)

NeraLuna: eheheh, noi universitarie siamo sempre superimpegnate, soprattutto se lavoriamo anche, ma ti ringrazio per aver trovato il tempo di commentare dopo la lettura, lo apprezzo tantissimo! Mi auguro di scrivere sempre cose sensate e degne (?) di lode. XD

ruka88: eh, sei una delle poche che ha sentito puzza di bruciato nell'uscita di scena così repentina di Lara! Brava!

Lady_Daffodil: le tue recensioni sono tra quelle che amo di più, perché approfondisci, ti soffermi sui dettagli, pertmettendomi così di capire pregi e difetti di quello che scrivo e di come lo scrivo. Ti devo un grazie particolare per questo. Soprattutto sono lieta che tu abbia compreso le dinamiche psicologiche della reazione di Tom. Grazie anche di questo! ;)

loryherm: ecco la nostra maturanda! Serve che dica qualcosa, a te? Ci sei sempre, fedelissima e dettagliatissima, ormai fin troppo ferrata nello sgarbugliare i miei perfidi garbugli. ;) Danke schoen!

kikka_tokietta: come vedi, Bill e BJ si sono messi in moto! XD Ora vediamo che combinano... e incrociamo le dita! E tu non ti preoccupare di dilungarti troppo, io amo la prolissità! ^^

lafandeitokiohotel: per mancanza di tempo, non ho risposto alla tua email con quella canzone, ma sappi che l'ho trovasta veramente adatta! Non è per niente il mio genere, lo ammetto, ma devo dire che è proprio azzeccata, hai avuto occhio! Spero che qualcosa di questo capitolo ti abbia risollevata. :) un bacio!

Lales: quando ho visto la tua recensione, ammetto di essermi un po' emozionata. Stimandoti molto come scrittrice, non ho potuto fare a meno di provare una puntina di vanaglorioso orgoglio nel ricevere dei complimenti da te. Non so che dire, se non grazier, anche se è riduttivo.

Reby94xx: mi fa male la pancia da quanto ho riso per la tua stupenda recensione. Mi ci voleva! grazie! XD

winTh: e ci sei anche tu! meno male, perchè quando salti un turno, mi manchi! La spiegazione del perchè Vi ha creduto così ingenuamente all'equivoco è tutta qui nel capitolo, spero sia stata esauriente. ^^

Orologio: prima di ogni altra cosa, ti ringrazio per aver speso cinque minuti per commentare, è una cosa che sembra niente, ma per me è importante. Mi fai notare che il capitolo scorso è 'banalotto' e io non sono certo così ipocrita da negare. ^^ mi spiego meglio: l'equivoco in sè è un topos letterario abusatissimo, ben lo so, e sicuramente non è la cosa più originale da inserire in una storia, ma forse quello che non è poi così scontato è il perché io lo abbia inserito: lo scopo non è semplicemente mettere zizzania facile in una situazione che era troppo amena; lo scopo è mettere due personaggi, notoriamente egoisti, testardi e insicuri, di fronte a un problema serio. Quello che volevo era che si trovasserro di fronte a qualcosa di grosso contro cui sbattare il muso e rendersi conto che la situazione tra loro due è molto più complessa e profonda di quel che credano loro. Forse, o almeno spero, comprenderai meglio cosa voglio dire nel prossimo capitolo. intanto, grazie ancora.

CowgirlSara: con te non posso commentare niente, potrei lasciarmi sfuggire cose altamernte spoilerose e puccierotiche. XD Ma sei la Grande Favorita, per quanto riguarda le mie storie, quindi è superfluo aggiungere alcunché al tutto che già sai. ;)

marty sweet princess: eheheh, sì, un break-up generale! Ma Georg e Nicole non li scolla nessuno... o quasi. ;) Presto la storia finirà e tutti i nodi verranno al pettine, tranquilla, quindi non c'è che da mettersi comodi e aspettare con calma. ^^

LadyCassandra: mia diletta! ** Anche a te, cosa dovrei dire, a parte che mi manchi? E, ovviamente, a parte che le tue analisi sono sempre impeccabili e delizianti (ehm, passami il termine XD). Fatti viva, ogni tanto!

kit2007: vedo che anche tu hai capito il vero problema di quello che è successo: non la rabbia, ma la delusione. E, ora che hai letto, saprai che avevi ragione. se tutto non fosse stato così bello, per lei, Vi non ci sarebbe rimasta così male. E sono io che devo ringraziare te, per tutto. :)

Isis 88: mi vergogno da morire! Mi hai supplicata di aggiornare ben due mesi fa, e io posto solo adesso. ç__ç Non sono degna di rispetto professionale. Almeno spero ne sia valsa un po' la pena. ^^
Ladynotorius: ma io aggiorno senza avvisare per farti delle sorpresone! XD E, a proposito, lo hai visto il videomessaggio di Tom? ;) Se era figo nel photoshoot di H&M, chissà cosa mi dirai di questo! XD

vivihotel: per ora non hanno chiarito, ma almeno si sono confrontati con un bel po' di gente che li ha saputi consigliare. Ora è tutto in mano loro... e dei loro gemelli! XD

eva35: ommamma, che sfilzona di esclamazioni! XD Me le devo segnare tutte! Ma davvero hasi sognato the Truth? Voglio sapere tutto per filo e per segno! racconta!

fruminella89: dai, stavolta non dovrebbe essere stato traumatico leggere il nuovo capitolo. ^^ Rispondendo alle tue domande: 1) tra Bill e BJ sta semplicemente nascendo una bellissima amicizia; 2) non so il norvegese, faccio solo accuratissime ricerche in rete. ;)

_Pulse_: mi ha fatto sorridere vedere che hai citato il 'bravo kaulitz' di Vibeke, perchè in effetti, come avrai notato, è una cosa che ha colpito molto anche lui. :) Scusa il ritardo di postaggio, ma ho avuto da fare. ^^"

pazzerella_92: il titolo di questo capitolo era lievemente più rassicurante, no? XD E anche il capitoloo dovrebbe averti un pochino rasserentata. ora abbi solo un po' di pazienza e saprai tutto! ;)

Ho terminato, per oggi, credo. Vi lascio ai commenti, che spero vorrete lasciare, per dare alla mia triste vita di topo da biblioteca estivo un senso e una gioia. XD

Per il resto, grazie a tutti e alla prossima! <3

 

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Capitolo 24
*** Please, Let Me Get What I Want This Time ***


C’erano giorni in cui svegliarsi era un piacere. Giorni in cui, pioggia o sole che fosse, la bellezza accecante delle cose circostanti era tanta e tale da strappare dal letto e trascinare fuori di casa a vivere.

C’erano giorni, invece, in cui anche il sole più luminoso nel cielo più azzurro poteva apparire desolante.

Vibeke sedeva da sola al tavolo della cucina di casa, immersa in una cascata di fiotti di luce bianca che sapeva già di primavera. Tutto ciò che era rimasto dell’inverno, ormai, era qualche sporadica folata di vento dal Nord che di tanto in tanto si risvegliava e scuoteva le chiome degli alberi e rare spruzzate di neve sparse sulle montagne. E il grigiore che lei si sentiva dentro.

Guardava la tazza di caffelatte, ripetendosi che se non si fosse decisa a berlo in fretta si sarebbe raffreddato, ma non aveva appetito. Normalmente reagiva allo stress ingozzandosi di dolciumi e schifezze fino alla nausea, eppure ora come ora aveva solo voglia di scaraventare la tazza a terra e chiudere tutte le persiane per lasciare fuori quell’odiosa luce che le bruciava agli occhi.

Tutto era silenzioso e immobile, tutto taceva. L’assenza di BJ, al contrario di quel che lei da sempre sosteneva, non era affatto un bene, per quella casa. Sembrava che qualcuno avesse estirpato l’anima da ogni cosa.

Il cucchiaino tintinnava a vuoto contro il bordo di ceramica della tazza, ruotando ininterrottamente per sciogliere dello zucchero che nemmeno c’era. Lei odiava lo zucchero nel caffè. Non aveva mai capito che scopo avesse scegliere una bevanda amara come il caffè, se poi lo si doveva correggere con zucchero o dolcificanti.

Il caffè era amaro. Nasceva amaro e amaro doveva essere. Se si doveva insistere per addolcirlo, tanto valeva bersi un succo di frutta.

Lei amava il caffè per quello che era: nero e torbido e amaro. Ma la mattina, a colazione, ci aggiungeva il latte, dolce ma non troppo, perché la trovava una buona combinazione.

Restò per un attimo a osservare la spirale di onde che animava il liquido beige sulla scia del passaggio del cucchiaino: caffè e latte erano perfettamente fusi l’uno nell’altro, senza però confondersi. Si potevano ancora distintamente sentire l’amarezza dell’uno e la dolce cremosità dell’altro.

Erano davvero una buona combinazione.

In quel momento qualcosa di soffice le sfiorò i polpacci nudi. Vibeke abbassò lo sguardo e quasi sorrise.

“Rogue.”

Lui le rispose con un miagolio lamentoso, continuando a strusciarsi contro le sue gambe. Faceva sempre così, quando voleva qualche vizio, e lei non sapeva mai dirgli di no.

Mi ricordi qualcuno, palla di pelo.

Si tirò appena indietro con la sedia e gli fece cenno di saltarle sulle ginocchia. Rogue non se lo fece ripetere due volte: atterrò su di lei con un balzo morbido e continuò a strusciarsi, beato delle carezze che lei gli concedeva.

“Sei tu il re indiscusso del mio cuore, amore mio,” gli sussurrò Vibeke, grattandogli il pelo tra le orecchie. “Ci ameremo per sempre, noi due, vero?” Gli stampò un bacio sul muso, ignorando le sue proteste infastidite. “Sei il mio unico, vero amore, tu.”

Lo coccolò per un po’, mentre lui le faceva le fusa soddisfatto. Era decisamente più conveniente amare una creatura che non sapeva nemmeno cosa fosse il tradimento.

“Hey, hey!” esclamò Vibeke, bloccandolo non appena lui tentò uno scatto felino per saltare sul tavolo, puntando dritto al caffelatte. “Dove credi di andare?”

Rogue socchiuse pigramente gli occhi un paio di volte, guardandola come per dirle ‘Ma tanto tu non lo bevi’. Un sospiro sfuggì dalle labbra di Vibeke e lei lasciò andare Rogue. Subito lui tuffò la testa nella tazza, iniziando a leccare con gusto. Non si disturbò a interrompere nemmeno quando squillò il telefono.

Svogliatamente, Vibeke si tirò su dalla sedia e, scalza, attraversò la cucina per raggiungere il telefono. Non guardò il numero, né si chiese chi potesse essere. A volte le sembrava di riconoscerlo semplicemente dal suono dei trilli.

“Morn, tøffing.” Salutò, senza entusiasmo. (“Buongiorno, ragazzone.”)

“Ikke ironi, baillmonster! l’avvertì BJ. Jeg er utlsitt og høyst sulten!(“Niente ironia, stronza! Sono stanchissimo ed estremamente affamato!”)

“Oh, fattig liten gutt!” lo scimmiottò lei. (“Oh, povero piccolino!”)

Come sempre, BJ soprassedette:

Si Bill på gi meg noen få rosa blomsten, vær så god!” (“Di’ a Bill di portarmi un po’ di fiori rosa, per favore!”)

Fiori rosa. Un’altra vola. Vibeke si disse che avrebbe proprio dovuto fare quattro chiacchiere chiarificanti con Bill.

“Hva? Pånytt?!” (“Cosa? Di nuovo?!”)

“Vær så god! Jeg elsker deg uansett om du ikke elsker meg!” (Per favore! Io ti voglio così incondizionatamente bene e tu non mi ami neanche un po’!”)

“Hold kjeft!” (“Ma sta’ zitto!”)

“Sta’ zitta tu, piuttosto!” la rimbeccò dispettosamente BJ. “Hai una voce che fa paura. O ti sei beccata una tonsillite a furia di urlare improperi dietro a Tom, oppure il karma ti sta dicendo che qualcosa dentro di te non va affatto bene.”

“Oh, geniale! Mi serviva una bella somatizzazione per capire che qualcosa non va, vero?”

“L’avevo detto a papà e a Sissel che la tua passione per gli agrumi era malsana… Guarda quanta acidità hai accumulato in tutti questi anni! Magari Bill può comprare un po’ di marshmallows anche a te.”

“Marshmallows?” fece Vibeke, confusa. “Ma co–?” Poi di colpo realizzò. “I fiori rosa!” sbraitò, incredula. “Quei cazzo di misteriosi fiori rosa! Non mi stupisce affatto che fossero finiti così in fretta!”

“Ops…”

“BJ!” si arrabbiò lei. “Razza di idiota irresponsabile! E quel cretino di Bill che ti spalleggia! Ah, ma mi sentirà!”

Lui, come nulla fosse, rise.

“Nobile tentativo di sviare la conversazione, devo dire,” sottolineò, angelico. “Stavamo parlando di Tom e del tuo karma.”

Non voglio parlare di Tom, rispose la testa di Vibeke, fortunatamente non assecondata dalle sue labbra.

In verità una parte piuttosto consistente di lei aveva una certa voglia non solo di parlare di Tom, ma anche di parlare con Tom, e forse, molto in fondo, anche di vederlo. Benché non sapesse proprio comprenderne il perché, dato che non aveva nessun senso, Vibeke sentiva incredibilmente la sua mancanza.

Il problema reale era che c’erano infinite cose di lui che le davano sui nervi e avrebbe potuto passare ore intere a elencarle, ma poi le tornava in mente quel suo modo insolente e ruffiano di sorridere, l’assottigliarsi irriverente dei suoi occhi luccicanti di malizia, ma così inequivocabilmente velati di dolcezza da stregare.

E lei poteva non accettarlo, non riconoscerlo, ma non era bastato quel colpo a tradimento che lui le aveva inferto per spezzare quello che inaspettatamente era nato tra di loro. Si era innamorata di lui prima per i suoi difetti che per i suoi pregi, e con questo, in un modo o nell’altro, avrebbe comunque dovuto fare i conti, prima o poi.

Eppure era così comodo credere ciecamente di avere assoluta ragione.

“Per l’ultima volta,” intimò brusca a BJ. “Kaulitz non rientra nella mia top five di migliori argomenti per una piacevole conversazione di cortesia.”

“Se la tua me la chiami cortesia…” sottilizzò lui.

“Anzi, a dirla tutta penso che venga anche dopo la vita sentimentale del Chihuahua di Paris Hilton e la lotta ai radicali liberi di Madonna.”

“Ed è prima o dopo l’insopportabile testardaggine delle sorelle gemelle norvegesi?”

“Ora che ci penso non è nemmeno in classifica.” Aggiunse lei, senza ascoltarlo.

“Senti un po’, Vetriolo Wolner, mi sono un bel po’ rotto della tua acidità,” dichiarò BJ con disarmante placidità. “Se hai finito di trattarmi male perché sono un fratello convalescente e bisognoso che odia essere trascurato, ci sarebbe qualcosa di piuttosto serio di cui ti vorrei parlare.”

Vibeke fiutò aria di argomenti spinosi. Già il fatto che BJ avesse scelto un vocabolo impegnativo come ‘serio’ era preoccupante, se poi ci aggiungeva anche un ‘piuttosto’, allora la cosa diventava piuttosto preoccupante, e dato che da giorni a quella parte chiunque con cui avesse parlato aveva necessariamente, in un modo o nell’altro, voluto discutere di lei e Tom, le probabilità che la conversazione non si sarebbe conclusa nel peggiore dei modi erano scarse, e lei cominciava a non poterne più.

Perché non potevano semplicemente lasciarla dimenticare? O almeno lasciare che ci provasse?

“Se si tratta ancora di Kaulitz, ti avverto che non –”

Uno sbuffo irritato provenne dall’altro capo della linea.

“Sempre la solita prevenuta!” si lagnò BJ, in tono dolente. “Se si fosse trattato di Tom, avrei detto semplicemente ‘seria’. Invece ho detto ‘piuttosto seria’.”

Vibeke ne rimase così disorientata da perdere l’uso della parola per un paio di secondi buoni. BJ era il tipo che definiva una cosa ‘seria’ solo se questa implicava del cibo, una bella ragazza o un bel ragazzo, oppure, in casi rari ed estremi, questioni di vita o di morte. Per lui nemmeno il suo recente incidente era stato classificato come serio, e a questo punto Vibeke non sapeva più cosa aspettarsi.

“Mi devo preoccupare?”

Nel millisecondo di silenzio che le giunse in risposta riuscì ad immaginare una lunga serie di possibilità tra le più disparate. In realtà dovette presto ammettere che, anche dopo quasi ventitré anni di vita trascorsi simbioticamente con lui, suo fratello era ancora in grado di lasciarla senza parole.

 

***

 

“Bill, è una cazzata.”

“Non è affatto vero!”

“Andiamo, non funzionerà mai!”

“Sì, invece!”

“È una cazzata, ti dico!”

“Taci, Tom! Funzionerà eccome! Vatti a preparare e piantala di rompere!”

Tom se ne rimase impalato in mezzo al salotto, le mani con i palmi interrogativamente rivolti verso l’alto, e guardò Bill uscire sorseggiando una lattina di Red Bull.

“Cosa vuol dire ‘Vatti a preparare’?” gli urlò dietro, disperatamente confuso. Ancora, dopo tre nevrotiche spiegazioni, il piano gli risultava ben poco chiaro.

Bill tornò indietro con gli occhi rivolti al cielo, come se stesse avendo a che fare con un ritardato mentale.

“Hai presente quella serie di gesti che si compiono per rendersi presentabili prima di uscire?” domandò, gesticolando impazientemente. Dopo un istante di perplessità da parte di Tom, però, si bloccò e si diede una pacca sulla fronte. “Ah, no, scusami! Aspetta, te lo spiego.”

Tom si costrinse a non scaraventarlo contro il mobile bar, rammentando a se stesso che una vasta collezione di alcolici contava di più di una vendetta contro un fratello idiota.

“Molto, molto divertente.” Commentò, funereo. Farsi prendere in giro anche in un momento di depressione era davvero il colmo. Perché nessuno mostrava rispetto verso il suo stato?

“Insomma, ti vuoi muovere?” lo bacchettò Bill, portandosi le mani ai fianchi asciutti.

“Ma che cosa dovrei fare?” balbettò Tom, ancora incapace di afferrare il nocciolo della questione.

“Fai qualcosa!” strillò Bill, che pareva sull’orlo di un cedimento di nervi. “Qualunque cosa! Qualcosa di effetto!”

Tom aggrottò le sopracciglia.

“Di effetto… In che senso?”

Bill chinò la testa e la scosse sconsolato.

“Lo sapevo che la mamma doveva insistere a farti mangiare il pesce, da piccolo.” Sospirò. “Ormai è troppo tardi per salvarti il cervello.” Un altro sospiro, poi inspirò a fondo e, risoluto, si avvicinò a Tom e gli pose le mani sulle spalle, guardandolo negli occhi. “Dunque, te la farò molto, molto semplice: vattene a metterti qualcosa di più chic di una stupida tuta sciupata!”

“Ma io ho solo stupide tute, e sono tutte sciupate, dato che sono secoli che quella stronza non si fa vedere!” obiettò Tom, un po’ punto nel vivo. Per lui qualcosa di ‘chic’ era semplicemente costituito dalla felpa più costosa che aveva, i jeans più costosi che aveva e la scarpe più costose che aveva. Tutto lì. Per Bill, invece, la faccenda sembrava decisamente più complessa.

“Be’, dobbiamo inventarci qualcosa, allora.”

Inventarsi qualcosa. Tom si era spesso chiesto se esistesse qualcosa al mondo che potesse essere ‘di effetto’ su una come Vibeke. Sicuramente sarebbe stato ‘di effetto’ se si fosse messo un naso rosso e una parrucca variopinta, ma sicuramente non in positivo.

Al diavolo! Perché devo pensare a come vestirmi se lei nemmeno mi vuole rivolgere la parola?

“Sì, ma non –” iniziò a protestare, ma poi fu come attraversato da un fulmine a ciel sereno, e tutto gli sembrò più chiaro. “Aspetta.” si bloccò e sollevò lo sguardo su Bill, cercando riscontro in lui, le pulsazioni che incrementavano spropositatamente di intensità. “Forse ho capito dove vuoi arrivare.” Soffiò. Non solo aveva capito. Sapeva anche esattamente dove puntare. Era un’idea stupida così assurda che forse poteva addirittura funzionare. “Bill,” Tom afferrò febbrilmente il proprio disorientato fratello per le spalle e lo strinse convulsamente. “Devi darmi una mano tu.”

 

***

 

Vibeke evitava di guardare le vetrine, camminando a passo spedito per il centro. Preferiva non vedersi.

Sapeva di avere un pessimo aspetto – struccata, colorito cadaverico, occhi gonfi e arrossati, abbigliamento del tutto trascurato e capelli disastrosamente increspati dall’umidità – e non le andava di deprimersi ulteriormente nel vedersi.

In giro era pieno di giovani, molti riuniti in gruppi, altrettanti che andavano in giro in coppia, mano nella mano, scambiandosi baci e sorrisi innamorati. Seduta su una panchina, Vibeke scorse una ragazzina che avrebbe benissimo potuto essere lei a quindici anni, con qualche piccola differenza circostanziale: alta e formosa, vestita di nero da capo a piedi, trucco pesante, borchie e catene ovunque, e uno sguardo languido perso nel vuoto. Sola.

Vibeke, tuttavia, ebbe a stento il tempo di interpellare la compassione: un secondo dopo che lei la ebbe vista, alla ragazzina si avvicinò un ragazzo che doveva avere pressappoco la sua età, alto e smilzo, con uno stile nettamente più sobrio e ordinario di lei. Guardandoli abbracciarsi e baciarsi, Vibeke provò una fitta di gelosia: lei, a quell’età, era stata troppo occupata con la sua guerra contro il resto del mondo per potersi dedicare a quel genere di cose, e, in ogni caso, nessuno dei suoi compagni di scuola sarebbe stato disposto a volerla, strana com’era. Eppure lo aveva voluto lei.

Si costrinse a riscuotersi da quella contemplazione inopportuna e accelerò il passo, zigzagando nervosamente tra la lemme folla del sabato pomeriggio. Di tanto in tanto, nevroticamente, si tormentava i due piercing che da qualche giorno si era rimessa al labbro.

Lei odiava il caos, il rumore, i luoghi affollati. Era tutta colpa di BJ. Un’altra volta.

Con la scusa che il suo petto era stato perforato da un proiettile, suo fratello era diventato un tiranno capriccioso e quanto mai esigente, e, ovviamente, chi poteva mai adempiere il suo volere se non l’amata sorellina?

Vibeke non capiva che utilità potesse avere una camicia di lino – per di più di un’atroce tonalità ciclamino – per un ragazzo convalescente, ma BJ aveva sfoderato il suo collaudato musetto da cucciolo supplichevole, e lei non si era potuta rifiutare, così lo aveva lasciato con la promessa che, sì, nel pomeriggio si sarebbe recata alla boutique di Guess del centro e, no, non avrebbe sbagliato colore.

Selezionò la modalità shuffle sull’iPod e si sistemò meglio l’auricolare nell’orecchio destro. Avere entrambe le orecchie occupate dalla musica non le piaceva, in pubblico. Le sembrava di essere indifesa, di poter essere colta alla sprovvista da qualcosa, se restava isolata da suoni, voci e rumori, e lei, di natura, era una che preferiva coprirsi le spalle.

Almeno di norma.

Scansò in malo modo una donna con due bambini per mano e una vecchietta che si trascinava dietro un carrellino della spesa, aggirò una cestino della spazzatura e schivò un paio di ragazzi dall’aria fiacca che militavano accanto a un semaforo, armeggiando con i rispettivi iPhones.

Vibeke non poté fare a meno di pensare che il vizio più generoso che suo padre le avesse mai concesso era stato un paio di Dr Martens – che peraltro lui aveva pesantemente criticato – per i suoi quattordici anni, e il tutto solo dopo le assidue insistenze di Sissel.

La vita non le aveva mai regalato niente, se non forse un fratello che aveva saputo tenerla per mano anche quando lei aveva nauseato perfino se stessa.

Non c’era nulla che non avrebbe fatto per BJ. Nemmeno sorbirsi il pienone del sabato del cuore di Amburgo per comprargli una stupidissima camicia da un paio di centinaia di euro che le avrebbe senz’altro fatto schifo.

Svoltò l’angolo e finalmente, pochi metri avanti a sé, individuò la scintillante vetrina supergriffata della boutique. Si sarebbe dovuta disinfettare, una volta uscita.

Puntò al negozio di malavoglia, ma fu bloccata da una melodia nota che le giunse all’orecchio sinistro. Un’intro di pianoforte leggera e vagamente angosciosa che lei adorava e che aveva preferito sostituire alla vecchia canzone dei Cure.

Senza riflettere, recuperò il cellulare dalla borsa e rispose, senza preoccuparsi di spegnere l’iPod o sfilarsi l’auricolare. Era appena iniziato un brano che le piaceva.

Nell’istante stesso in cui si poggiò il telefono all’orecchio, prima ancora di rispondere, Vibeke si rese conto di tutto: aveva accettato una chiamata e non si era curata del numero apparso sullo schermo. Un numero che, nonostante lo avesse visto di sfuggita, aveva finora evitato con scrupolosa costanza.

“Smettila di chiamarmi!” berciò d’istinto, prima che il suo attimo di defaillance diventasse palese. Riattaccare immediatamente sarebbe stata una cosa sensata, dopo un simile scatto, ma la ragione dettata dal suo cervello non raggiunse mai la mano di Vibeke, che invece restò lì, ferma in mezzo al marciapiede, aspettando.

Aspettando, senza sapere cosa. Senza aspettarsi niente.

“No che non la smetto!” replicò la voce sostenuta di Tom. “Voglio che tu mi lasci spiegare!”

Voglio, voglio, voglio... Conti sempre e solo tu, vero?

Vibeke strinse il cellulare tra le dita, combattuta tra la propria rabbia e l’assurdo, urgente bisogno di sentire ancora il suono della voce di Tom.

Non voleva starlo a sentire. Era stanca, stanca di essere la sua serva personale senza retribuzione, stanca di farsi prendere in giro gratuitamente e non riuscire mai a ricambiare. E dall’auricolare la voce di Lauri Ylönen infieriva quasi perfidamente sulla situazione.

I think I should go and leave you alone, yeah
Stop this game and hang up the phone, and more…

“Non devi spiegarmi niente.” Tagliò corto lei. “Lara è venuta prima di me, sono io l’intrusa.”

“Di Lara non me ne è mai fregato un cazzo!” ringhiò Tom.

“Non solo di lei, a quanto pare!”

“No, Vi, stai zitta un attimo, per favore!”

“Stai zitto tu!”

It's like I wanted to break my bones…

“Vi, per favore…”

Tom aveva quel tono supplichevole nel parlarle. C’era una vibrazione strana nelle sue parole, qualcosa che le rendeva vagamente tremule. E c’era quel ‘per favore’, insistente e disperato.

Qualcosa di ignoto agguantò il cuore di Vibeke e lo strinse fino a farle avvertire un lancinante dolore nel profondo.

To get over you…

“Che cosa vuoi ancora da me, Kaulitz?” gli domandò, come se non lo sapesse già perfettamente che cos’era che lui le avrebbe chiesto. Ma lei, alla fine, non era poi meno disperata di lui. “Mio fratello è in ospedale e io non oso andare a trovarlo perché so che vedendomi capirebbe che sto male e starebbe male anche lui, la mia pseudo-ragazza mi ha lasciata perché ha capito che qualcosa non andava, e io, come una scema, anziché riparare i danni, lascio andare tutto perché tu chiami e corro da te!” Ansimava. Era come se le parole non volessero lasciare posto al silenzio. Era fatta così, lei: metteva muri ovunque, anche quando si trattava di discorsi fastidiosi. “E per cosa poi? Per farmi incastrare in una cazzo di mezza storia senza significato e poi vederti tornare dalla tua bella bambolina sexy?”

Tutto diventò vero man mano che Vibeke sentiva sé stessa dirlo ad alta voce. In realtà ci aveva rimuginato sopra parecchio – su Tom, sulle sue leggendarie imprese di playboy, sulla leggerezza delle sue bugie e sulla complicatezza delle sue verità – ma finora le era mancato il coraggio di affrontare davvero il punto. E non si trattava di coraggio nemmeno adesso, quanto piuttosto di nuda esasperazione.

“Non è come sembra, stavolta!”

“Stronzate!”

‘Cause if I stay, I'm number two anyway…

“Vi…”

Nonostante la tonalità umile di Tom, il cipiglio mordace di Vibeke non si smorzava:

“Vi un cazzo, Kaulitz! Mi sono fidata di te, anche se la mia testa cercava in tutti i modi di impedirmelo, e dio solo sa quanto mi è costato ammettere che io volevo fidarmi di te, e tu… Tu mi hai ripagata così!”

“Tu non capisci!”

“No, infatti, non capisco! Ma sai una cosa? Non me ne frega un cazzo di capire! Ne ho avuto abbastanza, davvero, ne ho piene le palle di te e del tuo egoismo!”

Like a bullet you can hurt me, take me, break me…

“Cazzo, quanto sei cocciuta! Ti odio quando fai così, sei insopportabile!”

Like fire you can burn me, convert me…
Like a bullet you can hurt me…

“E cosa devo dire io, allora?” urlò Vibeke, incurante della molta gente che si voltava a fissarla, passando. “Pensa che stupida, quasi ci avevo creduto! Mi ero quasi lasciata persuadere a credere che tu fossi umano, che avessi dei cazzo di sentimenti oltre alla fame di sesso!”

Qualcuno ridacchiava, qualcun altro scuoteva indignato la testa. Lei nemmeno li vedeva o sentiva.

“Vi, ho fatto una cazzata, ma –”

“Esattamente, una cazzata!” Vibeke tentò di moderare la propria voce, ma non ci riusciva. Ora che aveva cominciato, sentiva che avrebbe continuato fino a che non avesse vomitato fuori tutto quello che da tempo incalcolabile si era reclusa dentro. “Lo vuoi sapere quante cazzate mi sono capitate nella vita? Prima mia madre fa la cazzata di piantare la sua bella famigliola e se ne va chissà dove con un giovane riccone senza più dare notizie, poi un idiota ubriaco fa la cazzata di sparare a mio fratello e quasi lo ammazza, e poi ancora un altro idiota decide che sarebbe divertente fare la cazzata di scopare un po’ con me e condire il tutto con qualche bella frase ben studiata, per poi tornare dalla sua Miss Germania alla prima occasione! Io però sono stanca delle cazzate, io voglio vivere senza dovermi preoccupare di difendermi da tutto questo!”

“Vi…” fiatò Tom, apparentemente sconvolto, ma non ci fu altro, perché Vibeke riprese subito ad inveire:

“E lo sai qual è la cosa più divertente? Se tu te ne fossi stato zitto, allo studio, io non avrei avuto alcun diritto di arrabbiarmi! Sarei andata avanti chissà quanto lasciarmi beatamente usare da te mentre tu ti facevi anche chissà quante altre troiette, e mi sarei accontentata, perché ai miei occhi non sarebbe esistita la benché minima possibilità di illusione che io per te potessi essere di più. Ma tu invece hai dovuto per forza aprire quella tua dannata bocca e trasformare tutto in un casino! È la tua specialità, vero?! Tutte le cose semplici, con te, diventano casini!”

“Mi lasci spiegare?!” si infuriò allora Tom, gracchiando attraverso il pessimo audio del telefono. La linea era disturbata da interferenze e rumori e fruscii di sottofondo.

“Non voglio sentire un cazzo!” lo aggredì lei, ritirandosi in una stradina laterale meno battuta.

You say there are so many things going on in your life now…

“Perché non vuoi capire?” tenne duro lui. “Non è facile per me, stanno succedendo una marea di cose tutte insieme, non so più a che santo votarmi per trovare il bandolo della matassa! È un casino, Vi, e tu stai facendo di tutto per peggiorarmi le cose!”

And you say: do you believe in the destiny?
This is the way it was meant to be…

“Non provare a dare la colpa a me adesso!” si oppose Vibeke. “Non voglio sentire un’altra parola, mai più! Non azzardarti a richiamarmi!”

I gotta leave to make you see I'm over you…

“Invece ti richiamo eccome, se non mi lasci dire quello che ho da dire!”

‘Cause if I stay, I'm number two anyway…

“Credi che io abbia voglia di stare a sentire i tuoi sproloqui, dopo quello che è successo?”

“Allora lascia che ti dica un’ultima cosa.”

Con uno schiocco ironico della lingua, Vibeke si ravviò i capelli oltre la spalla.

“Sentiamo.” Sbuffò con supponenza.

“Voltati.”

Maybe I'm blind…

E lei si voltò.

Il suo cuore saltò una pulsazione nello scorgere la persona che le stava di fronte, fissandola con un’espressione pesantemente seria ed adombrata. Portava un paio di jeans insolitamente stretti – forse addirittura troppo – e una camicia bianca che gli andava decisamente larga, con tanto di cravatta nera, annodata mollemente attorno al collo, su cui ricadevano i rasta, legati in una coda sulla nuca, ed in mano reggeva un cellulare che stava richiudendo.

Era lì. Lui era lì. Tom era lì davanti a lei, passato direttamente dalla sicura, affidabile distanza di una telefonata al suo indifeso cospetto.

“Kaulitz…”

Forever young…

Non era giusto. Non sarebbe dovuta andare in quel modo.

Si era adoperata per evitarlo con la stessa dedizione con cui avrebbe evitato una malattia infettiva, e forse anche con maggiore scrupolo, perché Tom, per lei, era indiscutibilmente più pericoloso e letale di una malattia infettiva.

Dalle malattie si poteva guarire. Da Tom Kaulitz no.

Don’t get me wrong…

“Ciao.” Mormorò Tom pacato. La guardò negli occhi, e il sincero rammarico che Vibeke vide in lui la paralizzò.

“Come diavolo mi hai trovata?”

I don’t belong here…

Tom si lasciò sfuggire un minuscolo sorrisino furbo, che Vibeke connesse in un lampo a quello che le aveva rivolto BJ nel chiederle quella maledetta camicia.

“Non ha importanza.”

Ma ce l’aveva eccome.

Bjørn Jesper Wolner, sei uno schifoso, infido doppiogiochista scriteriato!

Tom le si avvicinò solenne, con un’aria tesa e cupa. Erano pochi metri, pochi secondi, pochi passi, ma sembrò una lunghissima eternità. Vibeke non riuscì a muoversi, nemmeno quando lui, deglutendo, la afferrò per le spalle. E aveva quella scintilla negli occhi.

“Lo so che sono un idiota,” mormorò labilmente, roco. “E so anche che per questo è difficile fidarsi di me,” aggiunse, abbassando per un momento lo sguardo. “Quindi…” Quando i suoi occhi tornarono su quelli di lei, Vibeke fu attraversata da un brivido. “Pensa quello che vuoi, Vi. Credi quello che vuoi.” Le disse Tom, con disarmante morbidezza. “Non mi interessa.” E, dopo un secondo di tentennamento, stupendola come mai prima, con uno slancio improvviso la avvolse in un abbraccio che le impedì di respirare. E quello che poi le sussurrò, non fu che il colpo di grazia.

Like fire you can burn me…

“Ho solo bisogno che tu mi perdoni.”

Like a bullet you can hurt me.

 

***

 

Esistevano buone probabilità che i miracoli esistessero.

Seduto in un minuscolo bar praticamente deserto, Vibeke davanti e un tumulto incalzante nel petto, Tom non si sentiva ancora pronto a credere di esserci riuscito, nemmeno dopo qualche provvidenziale sorso di Baileys alla menta.

Vibeke era rimasta a lungo immobile tra le sue braccia, muta, mentre la gente attorno a loro passava e li occhieggiava infastidita o incuriosita. L’aveva tenuta stretta, perché gli era mancata troppo la sensazione di avere il suo corpo addosso, di sentire il suo profumo selvatico nei polmoni, respirandola per ritrovarla, accarezzandola per riscoprire quanto forte e vivida la avesse sempre sentita dentro di sé.

E poi – dopo quanto tempo, non lo sapeva – la aveva lasciata andare, ed erano rimasti lì, l’uno davanti all’altra, a guardarsi e basta. Lui aveva aspettato che lei facesse o dicesse qualcosa; lei, gli occhi sgranati, sembrava essere rimasta ghiacciata sul posto, e allora Tom, che non aveva alcuna voglia né intenzione di perdere altro tempo, le aveva chiesto una tregua: mezz’ora di armistizio per raccontarle tutto, per tentare di farle capire come stavano le cose, e poi, se lei ancora non avesse voluto credergli, basta. La avrebbe lasciata in pace.

Ma lasciarla in pace era una cosa che non rientrava minimamente nelle sue intenzioni, quindi non c’erano se: doveva per forza farle capire.

Ormai, anche volendo, non avrebbe più avuto la forza di tenersi lontano da lei.

“Ti ho portato una cosa.” Le disse, infrangendo la fragile barriera di silenzio che si era innalzata tra loro.

Vibeke, le braccia appoggiate al tavolo, ostilmente conserte, sollevò diffidente le sguardo. Tom era nervoso, timoroso di sbagliare qualcosa e compromettere tutto prima ancora di iniziare. Eppure si trattava solo di infilarsi la mano in tasca e tirare fuori una scatoletta che nemmeno gli riempiva il palmo.

Quando finalmente ci riuscì, posò con incertezza l’oggetto di fronte a Vibeke, e attese. Lei osservava senza espressioni la piccola scatola. Era rotonda, di cartoncino grezzo, anonima e priva di pretese. La cosa più umile che fosse riuscito a trovare, per custodire una cosa che, si augurava, sarebbe stata speciale.

“Vorresti corrompermi con qualche stupido regalo?” sbuffò Vibeke, dopo un attimo di esitazione.

Sempre così. Sempre la solita, acida Vibeke.

Aveva un aspetto trascurato, quel giorno, Tom lo aveva notato subito. Era vestita in modo abbastanza sportivo, di un pallore innaturale, quasi malaticcio, e c’erano preoccupanti ombreggiature violacee agli angoli interni degli occhi opachi. E probabilmente era colpa del tempo, ma quel giorno entrambe le loro iridi sembravano grigie.

E poi c’erano i piercing. Quei due anellini argentati che erano tornati a ornarle le labbra, come una specie di segnale di avvertimento che diceva ‘Non baciarmi più’.

“Non è uno stupido regalo.” Sostenne, composto. “O almeno, spero che non lo sia.”

Glielo spinse in avanti, invitandola implicitamente ad aprirlo.

Senza mostrare interesse, Vibeke afferrò la scatoletta, squadrandola distrattamente. Non sembrava impressionata. Una volta che ebbe sollevato il coperchietto, però, la sua espressione mutò radicalmente.

Tom vide con piacere le sue labbra che si schiudevano in una piega sorpresa e anche vagamente perplessa. Sul fondo della scatola, adagiata su un cuscinetto di paglietta, c’era una cipollina dorata un po’ sporca di terra umida.

Le sopracciglia di Vibeke si aggrottarono leggermente.

“Che cos’è?” gli chiese. Tom non riuscì a riconoscere vibrazioni nel suo tono.

“Il bulbo di un fiore.” Le spiegò, il viso improvvisamente caldo. Non era mai stato bravo negli approcci pseudo-romantici. “Non chiedermi di quale fiore, ti prego,” aggiunse rapidamente, incontrando il suo sguardo interrogativo. “L’ho rubato dall’aiuola del giardino dei vicini.”

L’ultima confessione aprì a Tom un minuscolo squarcio di speranza, perché, pur involontariamente, riuscì a scucire a Vibeke un inconsulto fremito delle labbra, subito sedato, che però non poteva che essere il soffocato germoglio di un sorriso.

Si sentì un po’ più forte nel realizzare che, sotto sotto, aveva qualcosa a cui aggrapparsi.

“È il contrario di un fiore reciso.” Le disse, mentre le dita di lei sfioravano insicure la sottile pellicola semitrasparente che velava il bulbo. “Questo non è un regalo che muore,” Tom attese che lei lo guardasse negli occhi. “È un regalo che deve ancora nascere.”

 

***

 

Sapeva che non avrebbe dovuto sollevare lo sguardo.

Sapeva che guardare Tom negli occhi sarebbe stato fatale per la sua determinazione.

Sapeva che avrebbe dovuto resistere, ma non ne fu capace.

Alzò lo sguardo, e Tom era lì, davanti a lei, stringendo il bicchiere che sembrava perdersi in quelle mani grandi, e la scrutava, silenzioso ma carico di aspettativa e timore.

Mandalo via! Digli che non ne vuoi sapere di lui!, la supplicava il suo amor proprio. Ti farà soffrire ancora, lo sai. Litigherete in ogni momento, avrete un’infinità di incomprensioni, non funzionerà mai!

Ma Vibeke fissava ora il piccolo bulbo dorato, ora Tom, e tutto ciò a cui riusciva a pensare era che voleva stare con lui, contro ogni ragione e buonsenso.

“Vi, mi dispiace che sia successo tutto questo casino.”

Vi, Vi, Vi…, rimuginò lei, infastidita. Non glielo avessi mai detto che odio essere chiamata così…

“Perché ci provi tanto gusto a farmi arrabbiare?” sbottò.

Tom inclinò il capo di lato, rigirandosi il bicchiere vuoto tra le mani. Lei il suo non lo aveva nemmeno ancora toccato.

“Mi piaci.” Fu l’inaspettata risposta.

“Scusa?”

“Mi piaci quando sei arrabbiata.”

Poco ci mancò che a Vibeke sfuggisse una risatina incredula.

“Questa è bella.”

Ma Tom rimaneva impassibile.

“Non sto scherzando.” Asserì. “Quello che dicono i ragazzi è vero: mi piace litigare con te, è molto… Stimolante.”

“Curiosa scelta del termine.”

“Vi, non è questo il punto.”

“E quale sarebbe allora?”

Tom congiunse le mani davanti a sé, le dita intrecciate, e chinò la testa.

Vibeke avrebbe voluto essere capace di non guardarlo, di smettere di seguire i battiti pensosi delle sue ciglia scure, ma non ce la faceva. Le fattezze di Tom erano maturate molto, rispetto a certe fotografie che lei aveva visto, ma il suo viso conservava ancora qualcosa di acerbo, una morbidezza dei lineamenti che lo rendeva uno strano ibrido tra un giovane uomo e un bambino che non voleva crescere. Ed era così bello che sarebbe potuta restare a studiarlo per ore, e non se ne sarebbe stancata. Poteva essere in collera con lui quanto voleva, ma non poteva negare a se stessa che lui le smuovesse qualcosa dentro.

Dopo diversi secondi di assorta riflessione, Tom risollevò lo sguardo, trafiggendola da parte a parte. Si era armata fino ai denti per affrontarlo, eppure vinceva sempre lui.

“Io non voglio una squallida oca qualunque.” Le disse. “Io voglio una stronza schizoide norvegese che adora farmi incazzare almeno quanto io adoro incazzarmi con lei.”

Suo malgrado, Vibeke avvertì un’impercettibile stretta allo stomaco.

Fai il tenero bastardo, adesso? Gioco scorretto, Kaulitz. Gioco maledettamente scorretto.

“Ti sei già preso tutto quello che potevi, di me,” replicò, sperando che la propria voce non tremasse. “E devo dire che sono stata lautamente ripagata.”

Tom sospirò e si sfregò impazientemente la fronte tra le mani.

“Ma allora non hai capito proprio un cazzo!”

“Cos’è che non ho capito di così elementare in quest’intrico di bugie, psicopatia e perversione?”

“Non si tratta solo di… Di sesso.”

“Ah no? Ci mettiamo anche un po’ di droga e rock’n’roll?”

Il modo impotente in cui Tom la guardò la fece sentire un verme per come lo stava trattando. Sembrava sincero, in fin dei conti.

“Vi, io credo… Io so che le cose sono andate un po’ più in profondità, stavolta.”

E lo diceva così, con quel sentore di paura misto a timidezza, occhi negli occhi con lei.

Vibeke non aveva mai imparato a difendersi da quello sguardo. Era forte, era penetrante, era bruciante. Era invincibile, perché non poteva mentire.

“Non è solo questo il problema, Kaulitz.” precisò lei. “Il fatto è che a me non piace rapportarmi con una persona che si incolla addosso una maschera quando gli fa più comodo. Ne ho avute troppe di bugie, non me ne servono altre.” Si interruppe per un attimo, inumidendosi le labbra. Aveva sempre desiderato affrontare quell’argomento con lui, ma ora che c’erano arrivati, si stava rivelando più difficile del previsto. “Se solo tu non fossi così egoista da non pensare sempre e solo a te stesso, se solo tu riuscissi, per una volta, a pensare che quello che tu fai può avere delle ripercussioni sugli altri…”

“Io non penso solo a me stesso.” Si difese Tom a denti stretti.

“No, è vero. Pensi anche a Bill. Ma Bill è te, tu sei lui, quindi cambia poco. Ma una cosa vi distingue: Bill ammette la propria sensibilità, sa prendersi in giro, sa mettersi in gioco, si lascia dare del gay come se fosse un insulto e poi ci ride sopra, si prende una cotta per una ragazza e non la butta via quando scopre che lei non lo ricambia… Tu non sei così. Tu hai una paura mostruosa di quello che sei davvero, ti servono quintali di impalcature attorno che la gente possa rimirare e valutare anziché farlo con il vero te. Temi il giudizio delle persone e quindi ti sei creato questo personaggio forte ed irreprensibile che ti fa da facciata. Ma questo non sei tu, c’è un altro Tom che io ho conosciuto, uno più umano e simpatico, uno a cui non spaccherei la faccia come prima cosa, e voglio capire quale dei due Tom mi sta parlando adesso.”

Lui scosse la testa.

“Non fa nessuna differenza.”

“Fa tutta la differenza, invece.” Si impuntò lei.

Tom sollevò il bicchiere e bevve in un sorso tutto il Baileys rimanente.

“No.” Dichiarò, posando nuovamente il bicchiere. “Quello che fa tutta la differenza è che tu conosci entrambe le parti e, che tu lo creda o no, le sai scindere e distinguere. Credi che non sappia di risultare artificiale, certe volte? Ne sono perfettamente conscio. È solo più forte di me. Ma tu…” Esitò, inspirando a fondo. “Vi, tu non lo vuoi proprio capire, vero?”

“Che cosa?”

“Ti ho dato tutto quello che potevo. Più di quanto io sia mai stato in grado di dare a una ragazza. Il cento percento di me, nel bene e nel male, senza riserve,” Lei era senza fiato; lui sembrava del tutto intenzionato a fenderle il colpo di grazia. “E gradirei che tu me ne dessi credito.”

Vibeke si mise a frugare la propria mente alla ricerca di un appiglio, qualcosa da poter usare contro di lui per riuscire a dargli torto, per dimostrargli che aveva sempre ragione lei, su quello e tutto il resto, ma non trovò nulla, se non la propria coscienza in tumulto.

“Cosa staresti cercando di dirmi?” gli domandò, incapace di formulare qualcosa di più sensato.

“Dimmelo tu.” La sfidò Tom, impassibile. Qualcosa nel suo modo di porsi, tuttavia, era irrequieto. “Dimmi cosa vedi.”

Vibeke indugiò, spiazzata.

Che cosa vedeva?

Vedeva il gradasso borioso che aveva incontrato mesi prima fuori da un festino da cui entrambi erano usciti brilli e irritabili.

Vedeva il vanesio chitarrista sicuro di sé di una rockband che spopolava in tutto il mondo.

Vedeva il giovane imbranato, indisponente e non autosufficiente per cui BJ le aveva suggerito di lavorare.

Vedeva il ragazzo di successo ma forse non troppo felice, circondato da amici eppure solo, ambiguo e scorbutico, ma affascinante, dotato di dolcezza e premura tutti suoi, modi di fare altalenanti e un carattere ingestibile.

Vedeva una persona che, per qualche assurdo, inconcepibile motivo, l’aveva conquistata.

“Vedo un ragazzino smarrito che non sa cosa fare, una persona immatura che pretende di crescere tutta in un colpo.”

Tom azzardò un microscopico sorriso speranzoso.

“Qualcosa di buono?”

“Non lo so.” ammise Vibeke. “Io riponevo qualche aspettativa in te, nonostante tutto. Mi sono fidata di te e mi sono sentita tradita. In un certo senso, ti ho messo io nelle condizioni di potermi ferire, ti ho dato io questo potere, e anche se questo non giustifica quello che hai fatto, devo almeno ammettere che… Be’, forse qualcosa c’è davvero, dopotutto.”

Tom annuì, ma non pareva granché soddisfatto o rincuorato.

“Lo so che non mi credi quando dico che non ho fatto nulla di male, con Lara…”

Tasto dolente. Onestamente, Vibeke non sapeva più cosa credere in merito a quella faccenda. Era stata così sicura della bravata di Tom, appena si era ritrovata faccia a faccia con quella patetica scena… Adesso, invece, cominciava a nutrire qualche perplessità.

“Senti, ne abbiamo già –”

“Quindi ti chiedo scusa e basta.”

La frase si spense in gola a Vibeke, mentre la sua mente accusava il colpo senza la minima preparazione. Era abbastanza sicura di aver frainteso.

“Mi chiedi scusa?” balbettò per verificare l’impossibile.

Ma Tom, dopotutto, aveva già varcato la barriera di quello che lei aveva creduto l’impossibile già un paio di volte, da quando lo conosceva.

“Sì.” Confermò infatti lui.

“Cos’è questo voltafaccia improvviso?”

Tom, semplicemente, le sorrise.

“Io so cos’è successo veramente, so di avere la coscienza pulita, ma se tu non mi credi… Mi hai sempre rinfacciato che sono privo di umiltà, giusto? Perché ci vuole umiltà per chiedere perdono per un proprio torto. Ma quanta ce ne vuole per chiedere perdono per un torto che si sa di non avere?” Lasciò il discorso in sospeso, e con esso il respiro di Vibeke. “Io ci tengo a sistemare le cose con te, Vi, e se l’unico modo che ho per riuscirci è scusarmi, allora… Ti chiedo di perdonarmi, se puoi.”

La cosa più folle, di tutto ciò, era che Vibeke sentiva di credergli.

Improvvisamente, nel mezzo della frastornazione, ricordò uno stralcio di conversazione avuta con Gustav tempo prima riguardo ad un litigio tra Georg e Nicole.

“Io al suo posto non mi sarei mai piegata a chiedere scusa, soprattutto per una colpa non mia.”

“Forse non hai ancora trovato la persona per cui valga la pena di farlo.”

Tom le stava chiedendo scusa, anche se si era sempre animatamente dichiarato non colpevole di fronte alle accuse che lei gli aveva rivolto.

Tom, che non chiedeva mai scusa a nessuno, stava chiedendo il suo perdono per qualcosa che forse davvero non aveva mai fatto.

Tom si stava addossando una colpa che non aveva, solo per riuscire a fare pace con lei.

Solo per lei.

“Non servono queste patetiche scuse-placebo.” Gli disse pacata.

“Vi, per favore…” la pregò lui.

Lei, per la prima volta da giorni, sorrise.

“Ti credo, Kaulitz.”

“Davvero?”

“Sì.”

Il volto di Tom si illuminò.

“Grazie. Davvero, per me era importante mettere tutto a posto.”

“Ho detto che ti credo, non che è tutto a posto.” Lo frenò lei.

La gioia sul volto di Tom di dissolse.

“Ma…”

Vibeke non sapeva più nemmeno lei cosa dire. Da un lato, la voglia irrefrenabile di rimettere tutto a posto; dall’altro, l’aspra consapevolezza che rimettere insieme i cocci avrebbe significato per lei una lunga strada accidentata da percorrere.

“Le persone come te e me non stanno insieme.” Mormorò. Provò quasi compassione per Tom, vedendo riflessa in lui tutta quell’ansia. “Andava bene finché riuscivamo a fare finta che fosse solo una storiella futile, tanto per fare, ma adesso…” Si tirò indietro i capelli, temporeggiando. Quello che stava per dire avrebbe fatto più male a lei che a lui. “Tu cerchi cose che io non posso darti. Sì, è vero, forse provi qualcosa per me, ma non è abbastanza. Io non sono abbastanza. E non voglio stare con te mentre tu cerchi quello che io non ho in altre ragazze. Sono quella che sono, Kaulitz, con i miei difetti e le mie lacune, e non sono abbastanza cinica e disillusa, purtroppo, da riuscire ad accettare di non essere tutto ciò che hai sempre voluto.”

Tom non fiatò. Era rimasto completamente indifferente a quelle parole, o, se così non era, non lo dava a vedere. Vibeke pensò che probabilmente loro due non si erano mai parlati con tanta calma e sincerità come ora.

“E va bene,” esordì Tom,dopo una discreta pausa. “Sì, è vero, non lo sei. Non sei la ragazza che ho sempre voluto, nemmeno lontanamente. Lo ammetto.” Una spina di dolore punse il cuore di Vibeke. “Sei abissalmente diversa da qualunque altra ragazza io abbia mai desiderato, e forse sarà per questo che, anche dopo averti avuta, ti voglio ancora più di prima.”

Flash di momenti passati con lui balenarono nella mente di Vibeke. I suoi baci, le sue carezze, tutte le volte che avevano fatto l’amore… Un crescendo di intensità e sensazioni in diametrale antitesi con quanto aveva appena detto, e perfettamente coerente, invece, con quanto appena detto da Tom.

“Il fatto è che non me ne frega niente, Vi.” Continuò lui. “Chi se ne frega se sei alta, se adoro le tue tette e il tuo fondoschiena, se i tuoi occhi mi paralizzano. Credi che me ne importi qualcosa se sei bella? Ne ho incontrate un’infinità, di belle ragazze, e in tutta sincerità anche di più belle di te. Eppure tu… Quando penso a te – quando mi manchi – non è al tuo corpo che penso. È al bene che mi fai.”

Ragazzino immaturo e smarrito: uno, Vibeke agguerrita ed ostile: zero, ghignò la perfida vocina che dimorava nelle profondità della coscienza di Vibeke.

“Vi, seriamente…” aggiunse ancora Tom, mentre lei ancora non riusciva a muoversi. “So di non essere perfetto… Come persona, ma soprattutto come compagno…”

“Dire che non sei perfetto non ti sembra un eufemismo un tantino eccessivo?” interloquì lei. “Sei uno stronzo egocentrico, egoista, permaloso, narcisista, orgoglioso, cocciuto e menefreghista, con allucinanti complessi di inferiorità che non sai più come nascondere. E so che non potrei aspettarmi rose rosse e cioccolatini, da te, né cene galanti, né lunghe passeggiate notturne mano nella mano, e nemmeno parole dolci sussurrate nell’orecchio…” Finalmente, anche lei prese il proprio Baileys e lo vuotò tutto d’un colpo, poi restituì a Tom la piena attenzione. “È per questo che mi piaci.” Gli buttò lì con casualità, poi gli elargì un piccolo sorriso rilassato. “Sei la persona più incongruentemente adatta a me che io abbia mai conosciuto”

“Quindi ci stai?” fece Tom, fiducioso, sporgendosi leggermente in avanti.

Vibeke inarcò un sopracciglio ed incrociò le braccia.

“Insomma,” Tom si schiarì la gola. “Non mi è mai capitata una cosa così… Così. Non so come ci si comporta, non so cosa bisogna fare e come, e… So già che sbaglierò un milione di volte e ti farò incazzare a morte, ma se… Se tu potessi avere la pazienza di farmici abituare e di… Di lasciarmi imparare… Capisci?”

Sì, capiva.

Non solo capiva, ma vedere Tom così in difficoltà – insicuro, quasi timido, che balbettava con quell’adorabile imbarazzo – le fece capire che qualcosa c’era, e senza forse, sotto a quella complicata rosa di eventi che li aveva portati fin lì.

“D’accordo, Kaulitz, sarò paziente. Ci proverò, perlomeno. Ma esigo un serio impegno anche da parte tua.”

“Te lo prometto.”

“Per ogni cazzata, ci sarà un prezzo da pagare.”

Tom sbiancò.

“Un prezzo?”

“Io sacrifico la mia preziosa pazienza. Tu ci metti i tuoi preziosi rasta. Mi pare un buon deterrente, non trovi?”

“Ma così resterò calvo entro la prossima settimana!”

“Prendere o lasciare.”

Tom non disse altro. Si limitò a fissarla con attenzione, quasi stesse cercando di capire se si trattasse di uno scherzo.

Un sospiro sconfortato già aleggiava sulle labbra di Vibeke – no, lui non avrebbe mai accettato delle condizioni simili, e ancor meno le avrebbe capite – quando improvvisamente Tom si alzò in piedi e, senza mezza parola, ma con un’aria risoluta, le voltò le spalle e si diresse disinvoltamente verso il bancone.

Ma che diavolo…?

Basita, Vibeke lo guardò dire qualcosa alla barista, la quale annuì, voltandosi per un secondo, per poi tornare a porgergli qualcosa. Tom ringraziò. Vibeke non comprese che cosa la donna gli avesse dato finché non lo vide impugnare lo strumento lucente e prendersi un dreaklock biondo tra le dita, sfilandolo dalla coda.

Non le lasciò nemmeno in tempo di stupirsi: un taglio netto e deciso, vicino alla radice, e il dreadlock si staccò, ricadendogli in mano.

Tom ringraziò nuovamente la sconvolta barista e le restituì le forbici, poi, con assoluta naturalezza, ritornò baldanzosamente al tavolo e consegnò il rasta a Vibeke.

“Ecco qui,” disse, rimettendosi a sedere. “Tutto tuo.”

Era calmo. Era rilassato. Era soddisfatto. E aveva un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.

“Kaulitz,” Vibeke sembrava a corto di commenti. “Hai ringraziato la barista.”

“Sì.”

“Due volte!”

“Sì. E ho anche detto ‘per favore’ quando le ho chiesto le forbici.”

“Non ci credo…”

Tom fece subito il permaloso:

“Chiedilo a lei!”

“Mi fido.” Rise Vibeke. “Ho solo un’ultima domanda,” disse infine, squadrandolo da cima a fondo. “Cosa ci fai conciato così?”

Lui assunse un cipiglio evasivo.

“Mi darai del patetico.”

“Tranquillo, niente di nuovo.”

Tom sollevò una mano e se la sfregò sulla bocca.

“Lo vuoi sapere sul serio?”

Vibeke scrollò le spalle.

“Forse no, ma la curiosità e la voglia di riderti in faccia stravincono su tutto.”

“Me la stai ancora facendo pagare, vero?”

“E continuerò fino a tempo indeterminato.”

“Sei perfida.”

“Avanti, Kaulitz, confessa.”

“E va bene.” Si arrese Tom. “Hai detto una cosa a San Valentino, quando hai visto Georg vestito così per Nicole… Ricordi?”

Ricordava. Eccome se ricordava.

“Solo l’amore può far impazzire un uomo a tal punto da vestirsi in quel modo spontaneamente.”

No. Non poteva averlo fatto per quello. Non poteva essere così pazzo da…

Ma Tom abbassò lo sguardo sconfitto e visibilmente a disagio, e a quel punto fu indubbio che fosse effettivamente così pazzo, e Vibeke si sentì in dovere di farglielo notare.

“Sei un pazzo, Kaulitz.”

Tom sorrise.

“Lo siamo tutti e due, o non saremmo qui.”

Indubbiamente, era una grande verità.

“Già.”

“Allora posso dire a David che può riprendere a mangiare e dormire perché abbiamo un tecnico delle luci?” chiese Tom, sornione.

“Puoi dire a David che può riprendere a mangiare e dormire perché avete un tecnico delle luci.” Gli concesse lei.

Strinse il rasta e rammentò a se stessa che ne sarebbero seguiti molti altri, a quello, ma, per quanto la riguardava, era già un grande passo.

 

***

 

Devo ricordarmi di far erigere un monumento a quei disgraziati, pensava Tom, intento a persuadere se stesso che quanto stava accadendo era reale e concreto.

Ce l’aveva fatta. Ce l’aveva fatta davvero.

Vibeke continuava a rigirarsi il rasta tra le dita, compiaciuta come una bambina che aveva ricevuto il regalo di compleanno dei suoi sogni. Tutto sommato bastava poco per farla contenta.

E anche lui era contento di vederla così. Era stato sufficiente un sorriso per farla apparire abissalmente diversa da come era stata poco prima.

Dopo un po’ Tom si stancò di starsene lì a fare niente. Euforico com’era, aveva voglia di uscire e andare a mostrare ai ragazzi il risultato della sua ardua impresa. Avrebbe offerto la cena a tutti, più tardi.

“Avanti,” disse, alzandosi in piedi. “Leviamo le tende, mi sono rotto di questo posto.”

Porse una mano a Vibeke e lei la accolse, alzandosi a sua volta.

“Eravamo qui da neanche mezzora.”

“Fin troppo.”

Uscirono. Tom la teneva per mano, felice di ritrovare la sensazione della sua pelle morbida e fredda contro la propria.

C’era molta gente in giro, tra cui un considerevole numero di ragazzine, così Vibeke lo aveva costretto a mettersi in testa la propria felpa, e ora lui se ne andava in giro con una sottospecie di velo nero a coprirgli i rasta e oscurargli il viso, e la cosa più pazzesca era che non riusciva a smettere di ridere. Era una fortuna che si fosse conciato in quel modo: se fosse stato vestito alla solita maniera, sarebbe stato comunque riconoscibilissimo.

Raggiunsero l’Audi in pochi minuti. Lei, come suo solito, era arrivata in centro a piedi.

Tom aveva parcheggiato dietro a un supermercato, perché, se per caso le cose fossero andate male, avrebbe avuto bisogno di un supporto ad alto tenore di zuccheri, prima di rimettersi alla guida. Erano tanti i dettagli, anche se recessivi, in cui somigliava a Bill.

Tom aprì l’auto e la prima cosa che fece fu sbarazzarsi di quell’insopportabile copricapo che Vibeke gli aveva messo addosso. Aprì a portiera e gettò la felpa sul sedile, poi si voltò verso Vibeke. Le appoggiò una mano su un fianco e con l’altra le spostò i capelli dietro all’orecchio.

“Migliaia di ragazze in tutto il mondo piangeranno per questo.” Le sussurrò, sfiorandole la punta del naso con le labbra. “Forse qualcuna delle più fanatiche si suiciderà.”

La schiena appoggiata all’Audi, Vibeke tentò di dissimulare una breve risata sommessa. Gli accarezzò il viso con entrambe le mani, dolcemente, osservandolo con affetto.

Tom si sentì straordinariamente importante.

“Stai per caso cercando di compiacermi?”

“Si nota?” ridacchiò lui.

Lei finse di soppesare la questione.

“Sai fare di meglio.”

“Sei una stronza ingrata!”

“Ecco, intendevo proprio questo!”

Oh, Vi…

Tom non riusciva a trattenere l’entusiasmo. Riaverla con sé gli faceva un effetto inebriante, lo sovreccitava a livelli impensabili. In quel momento si ripromise che si sarebbe sempre ricordato di quello che aveva passato in quei giorni, per evitare in ogni modo che dovesse capitare una seconda volta.

“Allora, come funziona?” si informò. “A questo punto dovremmo baciarci e vivere per sempre felici e contenti, no?”

Vibeke fece una faccia scettica.

“Per il tuo compleanno ti regalo un po’ di sano realismo, che ne dici?”

“Saltiamo il bacio e il vivere felici e contenti, allora.” Propose Tom, decisamente favorevole alla prospettiva. “Passiamo direttamente al livello successivo.”

Lei lo colpì al petto.

“Maiale.”

Lui le rivolse un sorriso da angelo.

“Ma tu mi ami così.”

“Mai detta una stronzata simile.” Dissentì Vibeke.

“Oh, sì, invece.” La corresse Tom, avvicinandosi ulteriormente. “Tra le righe.”

A Vibeke sfuggì un’altra piccola risata.

“Ma sta’ zitto!”

Tom fece spallucce.

“Ok.”

Il suo viso era ormai a un soffio da quello di lei. Erano giorni che non la baciava e aveva abbondantemente superato ogni limite di resistenza. Incapace di attendere oltre, la attirò verso di sé e le loro labbra collisero in un bacio incontaminato da qualsiasi tipo di lussuria. Erano solo grati di essere di nuovo insieme. Tom non vedeva l’ora di ricominciare a bisticciare con lei.

Era morbida e amarognola come la ricordava lui, cedevole e mansueta nelle sue braccia. Per niente al mondo la avrebbe più lasciata andare via.

Ad un tratto, però, smise di baciarla.

“Vi?” mormorò, staccandosi appena dalle sue labbra.

“Mmh?” rispose lei, in un sussurro arrochito.

Tom cercò di sollevarsi, ma non ce la fece. L’anellino destro che lei aveva al labbro era rimasto incastrato nel suo piercing.

“Devi proprio toglierti questi dannati cosi.”

 

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Note: ed eccoci qui, miracolosamente, con il famigerato capitolo ventiquattro! Il titolo è tratto dall'omonima canzone degli Smiths, mentre l'altra citata, quella che Vibeke ascolta per strada, è Bullet, dei the Rasmus. Questo capitolo è il penultimo, miei cari. Il prossimo sarà l’epilogo, dopodiché The Truth Beneath The Rose sarà ufficialmente conclusa.

Ad oggi, ci sono 40 persone che hanno la storia tra le seguite, 246 che la hanno tra le preferite, e 108 che hanno me tra gli autori preferiti. Non so se potete immaginare quanto questo significhi per me, ma, credetemi, è veramente tanto.

Ora che ci avviciniamo alla fine, mi piacerebbe che tutti voi che state seguendo e, spero, apprezzando la storia lasciate un segno del vostro passaggio, qualche parola che racconti il perché la storia vi piace – o non vi piace, in caso. Vorrei davvero che i miei lettori si facessero sentire tutti, almeno una volta, per concludere degnamente una storia che per me è stata splendida e difficile al tempo stesso, sia nella stesura fisica che nell’analisi più profonda.

Vi preannuncio che alla fine del prossimo capitolo, l’ultimo, ci sarà una sorpresa speciale per voi, creata dalla mia indispensabile Lady Vibeke con tanta pazienza, dedizione e affetto. Vi piacerà com’è piaciuta a me, lo so già. J

Per ora voglio solo ringraziare nuovamente tutti voi, perché sarò anche stata io a scrivere The Truth, ma voi l’avete creata con me, mi avete aiutata a darle vita, a migliorarla, a farla conoscere anche a chi, diversamente dalla maggior parte di noi, ama i nostri adorabili crucchi alla follia.

 

Grazie, grazie e ancora grazie.

 

Vi devo tutto.

 

 

P.S. Nel capitolo precedente non ho specificato una cosa: il titolo, What Lies Beneath, è lo stesso del prossimo album di Dio Tarja Turunen. In realtà l’ho scoperto solo dopo, ma mi è parsa una buffa coincidenza, quindi sempre meglio specificare. ^^

 

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Capitolo 25
*** Epilogue ***


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Aprite questo link e troverete una sopresa specialissima creata appositamente da Lady Vibeke per The Truth!




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E ancora verso il niente, nuotando nel nero del mare.
Bagno i capelli e faccio colare il maquillage.

 

***

 

C’era una luce caliginosa che fendeva il buio a lame regolari, protratte in avanti fino ad adagiarsi sulla moquette blu scuro del pavimento e il ceruleo del copriletto. Le lenzuola erano spiegazzate e arrotolate in un paio di punti, palese testimonianza dell’intensa attività che avevano ospitato durante la notte.

Faceva piuttosto caldo, quella mattina. Ferragosto era da poco passato, ma le temperature non accennavano a scendere.

Vibeke si rigirò oziosamente nel letto, sola, circondata dal profumo di Tom e con il suo sapore ancora in bocca. Stava iniziando ad abituarsi a risvegliarsi in quella stanza, ormai, e la cosa non le dispiaceva affatto. Si sforzò di mettere a fuoco l’ora: le due del pomeriggio passate.

Maledizione, pensò, Kaulitz mi sta contagiando con i suoi orari da rockstar. E chissà dove diavolo si è cacciato lui.

Si sfregò delicatamente gli occhi, pregando di non stare spargendo trucco lungo tutto il viso. Non riusciva a ricordare se ne aveva messo o meno, la sera precedente. Scostò le coperte con uno sbadiglio e si stiracchiò, guardandosi intorno alla ricerca, pezzo per pezzo, della propria biancheria, ma non ce n’era traccia. I casi erano quindi due: o Tom era stato particolarmente fantasioso nel togliergliela, o gliela aveva nascosta chissà dove.

Completamente nuda, si alzò e andò all’armadio, da cui tirò fuori una a caso delle magliette di Tom. Fosse stato per lei, sarebbe anche andata a fare colazione così com’era – Georg era a Parigi con Nicole ed Emily e Gustav a Magdeburgo dai suoi, ed entrambi non sarebbero tornati prima di sera – ma Bill probabilmente avrebbe avuto qualcosa da ridire in merito, sempre ammesso che fosse già sveglio, e Tom anche peggio.

Ricordava ancora con estrema nitidezza la prima volta in cui aveva aperto gli occhi in quella casa, la sensazione di benessere che aveva provato nel rendersi conto che qualcosa era cambiato. Sembravano passati anni, quando in realtà erano passati solamente una manciata di mesi. Mesi durante i quali lei aveva scoperto con impensabile piacere che fare parte della sgangherata famiglia Tokio Hotel, oltre che arrecare danni irreversibili alla salute psico-fisica, poteva anche rappresentare un potentissimo toccasana per uno spirito antisociale come lei. Aveva sempre sostenuto che non la pagassero abbastanza perché si prendesse cura di quattro disastrati come loro, ma a conti fatti, tra una cosa e l’altra, si erano presi più cura loro di lei che non il contrario. Perché, sì, Tom era egoista, ingestibile e privo di pazienza, ma nessuno sapeva farla ridere e stare bene come lui; e, sì, Bill era una primadonna esigente e capricciosa, ma di persone genuine e affettuose come lui non ne aveva mai incontrate; e, sì, Georg era un lunatico che abitava in un mondo suo personale, in cui il caos regnava sovrano e la puntualità era un’utopia, ma senza il suo buonsenso e la sua presenza rassicurante Vibeke non avrebbe più saputo come fare; e, sì, Gustav era probabilmente il ragazzo più complicato e introverso con cui avesse mai avuto a che fare, ma restava anche il più sensibile e generoso, e guai se qualcuno glielo toccava.

Innamorarsi di Tom Kaulitz era stata un’improponibile avventura che rasentava l’azzardo.

Innamorarsi dei Tokio Hotel era stato l’inizio di qualcosa che lei aveva sempre dato per scontato di non poter avere: una famiglia.

E assieme a lei in quel pazzo vortice di novità c’era finito anche BJ, accolto a braccia aperte in quella casa come se da sempre fosse appartenuto al gruppo, non perché fosse suo fratello, ma perché, semplicemente, non si poteva entrare in contatto con BJ e non volerlo con sé per sempre.

Vibeke sorrise fra sé.

Uscì scalza, senza disturbarsi ad aprire le imposte. Ci avrebbe pensato più tardi. Attraversò il corridoio tendendo l’orecchio in cerca di segni che denotassero attività al piano inferiore, ma tutto taceva. Dedusse che almeno uno dei due Kaulitz doveva essere uscito, perché quella quiete non era compatibile con la presenza di entrambi sotto lo stesso tetto.

Scese con calma, con una strana sensazione addosso che le dava il tormento. Era come se un campanello le trillasse in testa per ricordarle qualcosa e lei non riuscisse a capire cosa. Si arrese prima di essere arrivata in fondo alle scale: le sarebbe venuto in mente, prima o poi.

La cucina era luminosa, lambita dai limpidi raggi del primo pomeriggio, ed era decisamente più in disordine di come avrebbe voluto trovarla, soprattutto considerato che metà degli inquilini erano via, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. Un piacevole guizzo istintivo le solleticò lo stomaco nell’individuare il piccolo vaso in cotto che faceva bella mostra di sé sul davanzale della finestra: il regalo di Tom era nato. Avevano piantato il bulbo insieme il giorno stesso che lui glielo aveva donato, e lei lo aveva lasciato lì, delegando a Tom il compito di occuparsene in sua assenza. E così, dopo due mesi di attesa, aveva lentamente iniziato a spuntare un minuscolo germoglio verde, che era cresciuto con esasperante lentezza, stiracchiandosi pigramente verso l’alto, fino a che, un mattino di giugno, Vibeke e Tom si erano alzati e avevano trovato un bocciolo rosso che spuntava in cima allo stelo. Due giorni dopo, un piccolo tulipano era sbocciato praticamente sotto ai loro occhi. Fra le altre cose, e non senza incontrare proteste, Bill aveva insistito per chiamarlo Rudolf.

Rudolf il Tulipano. A Vibeke veniva ancora da ridere, a ripensarci. Solo Bill…

Appena entrò, trovò Tom, in boxer, stravaccato su una sedia con una caffettiera davanti, un piatto di toast bruciacchiati, burro semisciolto e un vasetto di marmellata di ciliegie. Stava leggendo una rivista di auto sportive.

Vibeke gli passò di fronte e lui non diede nemmeno segno di aver notato il suo ingresso. Non la considerò neanche quando lei dovette sgusciare tra lui e l’isola di cottura per prendersi una tazza pulita.

“Si saluta, cafone!” esclamò, propinandogli una manata sulla nuca.

Tom emise un gemito di dolore esagerato.

“Mi hai fatto male!” piagnucolò, massaggiandosi il punto in cui lei lo aveva colpito.

“Oh, scusa!” tubò lei. “Non l’ho fatto apposta!”

Prese il latte dal frigo e una fetta di pane tostato dal piatto e sedette di fronte a Tom, che si era immerso nuovamente nella colta lettura e ancora insisteva a non calcolarla.

“Sei stato veramente carino a portarmi la colazione a letto.” osservò sarcasticamente.

Sulla fronte di Tom apparvero una serie di rughe, ma lui si limitò ad annuire distrattamente.

“Mmh.”

“Anche la tua prestazione di stanotte è stata grandiosa.” Insisté lei. “Eri decisamente in forma.”

“Mmh.”

“Magari la prossima volta ci riproviamo senza il viagra nell’aperitivo.”

“Mmh.” Annuì ancora Tom, completamente assente, e voltò la pagina. Poi, però, ad un tratto si bloccò e sollevò gli occhi sgranati su di lei: “Hai detto ‘viagra’?”

Vibeke sollevò disinteressatamente le spalle.

“Ti ho visto un po’ sottotono, ultimamente, così ho pensato di darti una mano.” Gli sorrise candidamente. “Ma, tranquillo, era solo mezza pastiglia. È stato praticamente tutto merito tuo!”

La faccia di Tom divenne una maschera di terrore puro.

“Tu hai fatto cosa?!” sbraitò, paonazzo, scaraventando a terra la rivista e scattando i piedi. “Vi, ma sei impazzita?! Ho diciannove anni, non mi serve una cazzo di pillola, per fare sesso!”

Vibeke a quel puntò non poté esimersi dallo scoppiargli a ridere in faccia, e solo allora Tom capì di essere stato preso in giro. Si rimise a sedere, fumante di rabbia e umiliazione, e si ficcò in bocca un toast intero, guardando Vibeke con astio.

“Vaffanculo.” Le ringhiò tra i denti.

“Di anni ne hai quasi venti, comunque.” Gli fece notare lei, versandosi del caffè nel bicchiere di latte. “Considerato che il tuo compleanno è tra meno di –”

Bastò quel nonnulla per farle crepitare una scintilla in testa, e finalmente il campanello smise di suonare.

Come se ne era potuta dimenticare?

Che stupida!

Da allegro, il suo umore precipitò rapidamente nel furioso. Lasciò perdere la colazione e ricambiò lo sguardo di Tom con uno mortalmente glaciale. Immediatamente Tom saltò in modalità difensiva:

“Che c’è, cos’ho fatto? Perché mi guardi così?”

Lei incrociò severamente le braccia.

“Hai niente da dirmi?”

“Intendi a parte la canonica serie di insulti e improperi?”

“Hai niente da dirmi?” ripeté lei, scandendo minacciosamente ogni parola.

“Dovrei?” fece lui, masticando incurante un boccone di pane e marmellata.

I nervi di Vibeke fremettero di irritazione. Un impulso ferino scalpitava in lei, facendole prudere le mani. Avrebbe ribaltato il tavolo, se solo quello che c’era sopra non fosse appartenuto anche a Bill, Gustav e Georg.

“Kaulitz,” Si sforzò, nei limiti del possibile, di mantenere un tono calmo. “Che giorno è oggi?”

“Il diciannove agosto.”

“E…?”

“E fa un caldo boia.”

“E…?”

“E più tardi dobbiamo andare a prendere Georg e le ragazze in aeroporto.”

“E…?”

Tom roteò gli occhi con un rantolo scocciato.

“Vi, che palle, che gioco scemo è mai questo?”

Te n’eri quasi scordata tu. Come pretendevi che se ne ricordasse lui?, la biasimò la poca razionalità che le era rimasta.

“Lo sapevo! Lo sapevo, cazzo!” imprecò furiosamente. “Lo sapevo che te ne saresti dimenticato!”

Tom batteva le palpebre inespressivo.

“Dimenticato di cosa, di grazia?” farfugliò, il toast mangiucchiato che gli pendeva dalla bocca.

Vibeke decise che sarebbe stato controproducente cercare di trattenersi ulteriormente.

“È il mio compleanno, razza di deficiente che non sei altro!”

“Ah, davvero?” fece lui, sollevando appena gli occhi dalla sua rivista, del tutto privo di interesse. “Scusami. L’anno prossimo me lo segno, promesso.”

“Sei un gran pezzo di stronzo!” urlò lei, balzando in piedi. Come una furia, gli piombò davanti e gli strappò la rivista di mano, scaraventandola contro la parete alle sue spalle. “Sei… Sei un… Un…”

“Dai, stupida, vieni qui.” Rise lui abbracciandola, cercando di baciarla, ma lei si divincolava, spingendolo via.

“Non provare a fare il cucciolone coccoloso con me, non attacca!” lo avvertì, pur permettendogli di attirarla a sedere sulle sue ginocchia. “Questa non te la perdono, dico sul serio! Sei stato veramente un –”

Tom la zittì, riuscendo finalmente a tapparle la bocca con un bacio, che lei, suo malgrado, si lasciò dare.

“Sei un bastardo.” Piagnucolò Vibeke, allentando lentamente la propria rigidità.

“Non sono un bastardo.” Mormorò Tom, accarezzandole una guancia con le labbra.

Vibeke lo detestava, quando faceva così. Gli era fin troppo facile mandare in tilt il suo sistema nervoso con l’infallibile metodo Kaulitz.

“Sì che lo sei.” Gemette, senza riuscire ad opporsi alle sue moine. “E bello grosso, anche.”

Tom le posò le mani sui fianchi e la guardò corrucciato.

“Ma per te conta solo come sono dentro?”

“E cos’altro dovrebbe contare? La tua superlativa presenza scenica?”

“Non vorrei erroneamente passare per un superbo, ma credo che un figo come me sia decisamente sprecato con una che non bada minimamente all’aspetto esteriore.”

Vibeke gli circondò il collo con le braccia.

“E chi l’ha detto che non ci bado?” replicò, e si chinò sulle sue labbra per adagiarci un bacio leggero. Lo odiava per il gretto menefreghismo che a volte dimostrava, ma era vergognosamente incapace di tenergli il broncio a lungo. “Credi che abbia accettato di lavorare per i Tokio Hotel solo per la gloria? La paga farà anche schifo, ma le panoramiche offerte compensano. E comunque ti stavo dando dell’ignobile bastardo per aver dimenticato il mio compleanno.”

Tom rise morbidamente, allungandosi in avanti per prendere a baciarle il collo con languida tranquillità.

“Scommetto quello che vuoi che non sei ancora andata in sala da pranzo e non hai visto quello che c’è sul tavolo.” Sussurrò contro la sua pelle tra un bacio e l’altro.

Vibeke si scostò da lui con uno scatto incredulo.

“No!”

“Oh, sì.” Si compiacque Tom.

“Non è possibile!”

“E invece sì.”

Vibeke sorrideva guardando Tom sorridere.

Gli piaceva farla arrabbiare e poi far crollare tutto, solo per il gusto di vederla raggiungere il punto di sopportazione massima e poi capitolare miseramente davanti a uno dei suoi sguardi ruffiani.

Sei una gran testa di Kaulitz.

“E perché te ne sei rimasto qui a farti dare del bastardo, stronzo, deficiente, eccetera?”

Tom arricciò furbamente gli angoli della bocca.

“Perché sei troppo bella quando sei incazzata.”

Cercando invano di non assumere un’aria troppo beata, Vibeke finse di spintonarlo.

“Sei un vile leccaculo!”

“E tu una vecchia ventitreenne che non ha ancora aperto il suo regalo.”

Vibeke si era spesso chiesta a chi dovesse essere grata per tutte le cose belle che negli ultimi mesi le erano state concesse. Non credeva in dio, non credeva nel destino e, nonostante BJ amasse scherzarci sopra, non credeva nemmeno nel karma. Forse poteva permettersi di credere nella teoria del caos, nella casualità, ma poteva davvero essere stato per caso che due persone come lei e Tom avevano finito per incontrarsi? Com’era possibile che un’ordinaria ragazza proveniente da una cittadina del sud della Norvegia incrociasse il cammino del chitarrista di una rockband tedesca di fama mondiale senza che ci fosse un dio, o un destino, o di qualche folle contrappasso karmico a volerlo?

“Certe volte mi chiedo cosa ci facciamo io e te insieme…” si domandò, cercando negli occhi profondi di Tom una risposta che già conosceva.

“Tante belle cose.” Disse lui in tono pratico. “Vedi la memorabile performance ultrabollente di stanotte, o anche –”

“A-ha, quanto sei spiritoso.” Commentò lei, lugubre.

“Guarda che non stavo mica scherzando.”

“Nemmeno io.”

“Vi, che domande sono?” Tom inarcò le sopracciglia come se davvero temesse che lei non lo sapesse. “Io e te stiamo insieme perché nessun altro ci sopporterebbe, e comunque noi stessi non riusciremmo a sopportare qualcuno che ci sopporta. Ma, soprattutto,” Con una mano le sistemò i capelli dietro alla spalla, scoprendo poco per volta la pelle nuda. “Perché nessuno dei due è così stupido a pensare che ci sia qualcun altro al mondo che ci meriti.”

“Con questo intendi che nessuno merita un flagello come noi due per compagno, vero?” chiese lei, fingendo una baldanza che di fatto le parole e il gesto di Tom le avevano tolto.

Benché ormai si conoscessero da quasi otto mesi, la capacità che lui aveva di stupirla non accennava ad esaurirsi.

“Certo.”

“Mi pareva…”

Tom incrociò le mani dietro alla schiena di Vibeke, senza badare ai capelli che gli restavano intrecciati tra le dita.

“Hey, le tue labbra hanno un piega strana.” Osservò, assottigliando attentamente gli occhi. “Hai fatto qualche strano ritocco chirurgico? Oh, no, aspetta… Stai sorridendo!”

Vibeke scontrò scherzosamente la propria fronte contro la sua.

“Scemo!” gli intimò, lottando contro una risata per impedirle di soffocarle le parole. “Scemo, scemo, scemo!”

Se anche Tom, come lei, aveva lottato contro una risata, aveva senz’altro perso.

“Mi fa quasi tenerezza vedere quanto sei succube della tua adorazione per me.”

“Mi fa quasi pena vedere quanto sei accecato dalla tua adorazione per te.”

Sapeva che non era vero, e che lui sapeva che lei lo sapeva. La favola del Sex Gott spavaldo e spaccone trovava terreno fertile nelle ragazzine accecate dal fanatismo; a una qualsiasi analisi appena più approfondita che non si limitasse a sbavare per una passata di lingua su un piercing sarebbe stato evidente che tra personaggio e sostanza c’era un’abissale differenza.

“Senti,” brontolò Tom. “Non è che perché sei vecchia ti puoi prendere la libertà di massacrarmi così.”

“Non sono io ad essere vecchia.” Puntualizzò lei. “Sei tu che sei un –”

“Moccioso. Lo so.”

“Un moccioso molto ricco, però.”

“Ma tu stai con me solo per i soldi?”

Vibeke si portò sdegnosamente una mano al petto.

“Che insinuazione scortese!” esclamò, leziosa. “Lo sai benissimo che non è vero! Il nostro caro Rudolf ne è la prova, no?”

“Ah, già…” Tom si voltò e adocchiò il tulipano sulla finestra. “Rudolf.”

“E poi c’è il sesso.” Aggiunse Vibeke.

“Come mi sento stimato.”

“Se non altro adesso sai cosa provo io quando vieni a casa e mi dici ‘Vi, spogliati, devo sfogare una giornataccia pesante’.”

“Ma io lo dico per scherzare!”

“Sarà…” fece Vibeke, trasudando scetticismo. Si rianimò subito appena le venne in mente cosa la aspettava in sala da pranzo. “Allora, mi lasci andare a vedere il mio regalo?”

“Veramente mi pare di sentire qualche residuo di viagra che chiama…” disse Tom, dando un colpo di bacino.

“Non ti ho dato nessun viagra, e lo sai.” Sbuffò lei, tentando di alzarsi, ma lui la trattenne.

“Ma ormai mi sono convinto di averlo preso.” Dichiarò, cercando un bacio che lei non gli concesse. “È l’effetto placebo, non posso farci niente.”

Vibeke cominciava ad avere l’impressione che tutta quella scenetta si stesse protraendo più a lungo del dovuto e che Tom, per qualche ragione, non volesse lasciarla andare.

“Non c’è nessun regalo per me di là, vero?” gli chiese, mentre l’entusiasmo la abbandonava.

“Sì che c’è.” Rispose Tom, sicuro. “È lì da una settimana.”

“Non è vero!” sbottò Vibeke. “L’unica cosa che c’è lì a muffire da una settimana è un pacco indirizzato a te, e tu non –”

A metà frase, sul viso di Tom era apparso un sogghigno perfidamente gongolante.

“Overrakelske!” esclamò, spalancando le braccia. (“Sorpresa!”)

“Guarda che si dice overraskelse.” Lo corresse lei, afferrandogli le mani.

“Uffa, perché non apprezzi i miei sforzi?” frignò lui.

“Ma sì che apprezzo.” Dato che Tom insisteva a tenerla prigioniera, Vibeke sollevò una gamba e si mise a cavalcioni su di lui. “Mi dici cosa mi hai regalato?”

“Perché non vai a vedere tu?”

“Se tu mi mollassi…”

Ma Tom, anziché mollarla, la intrappolò completamente tra le proprie braccia.

“Gratulerer med fodselsdagen, stronza.” Le bisbigliò all’orecchio con voce roca, provocandole un inevitabile brivido lungo tutta la spina dorsale. (“Buon compleanno, stronza.”)

Quasi nel medesimo istante, però, Vibeke realizzò un particolare non del tutto marginale che le era proprio scappato di mente.

“Oh, min gud!” strillò. Si strappò all’abbraccio di Tom con uno scatto spasmodico e schizzò in piedi. “Kaulitz, jeg har gremmet meg og min bror! Det er også hans fodselsdag!” (“Oh, mio dio! Kaulitz, mi sono dimenticata di mio fratello! È anche il suo compleanno!”)

Tom la fissava con la fronte corrugata.

“Ho capitolo solo ‘Oh, mio dio’, ‘Kaulitz’, ‘mio fratello’ e ‘compleanno’, ma penso di aver intuito il nocciolo della questione.”

Stupida, stupida, stupida! Come diavolo ho fatto a dimenticarmene?! Come se non fosse una vita che compiamo gli anni insieme…

“Devo chiamarlo subito!”

Vibeke si precipitò verso il cordless appoggiato sul bancone accanto alla porta e stava già digitando frettolosamente il numero, ma Tom cercò di farla ragionare:

“Vi, permettimi di farti notare che sono le due.”

Il pollice di Vibeke si fermò appena prima di premere il tasto della chiamata. Passando tante notti fuori casa, aveva quasi dimenticato i ritmi nottambuli di BJ.

“Hai ragione.” Delusa, ripose il telefono. “Starà dormendo.”

“Glielo hai preso un regalo?”

Lei si appoggiò al bancone e si raccolse i capelli su una spalla con un sospiro. Erano due anni che aveva rinunciato a fare regali a BJ. A Natale si limitava a fargli arrivare simbolici pacchi formato gigante di biscotti allo zenzero dalla Norvegia; ai compleanni, in genere, lo portava a cena fuori e poi se ne andavano da qualche parte fuori città, su un lago o lungo un fiume, come spesso avevano fatto da adolescenti, a Stavanger. Lì in Germania, però, non c’erano i fiordi e il mare. Non c’era il sole di mezzanotte, né le aurore boreali. Lì in Germania, d’altro canto, avevano trovato molte altre cose da apprezzare.

“Cosa può mai regalare una sorella povera in canna a un fratello straricco che ha tutto?”

“Non lo so.” fece Tom, dalla sua sedia, con una scrollata di spalle. “Sono un fratello straricco che non sa mai cosa regalare a un fratello straricco, quindi temo di non poterti aiutare.”

Vibeke si era già arresa in partenza. Fosse stata una comune ragazza della sua età, avrebbe potuto fargli una torta, o qualche dolce particolare di quelli che piacevano a lui, ma era abbastanza consapevole delle proprie incapacità culinarie da non provarci nemmeno.

“Però a BJ piace stare in compagnia, no?” riprese Tom, dopo un secondo. “Se i ragazzi tornano presto, possiamo fare una festa a sorpresa.”

“Kaulitz, non vorrei sbagliarmi, ma sembra che tu abbia appena avuto un lampo di genio!”

“Dovrei ridere?”

“Allora, Georg e le ragazze dovrebbero essere qui per le cinque.” Iniziò a calcolare lei, ignorandolo. “Se faccio uno squillo a Gustav, sono sicura che riuscirà a venire via un po’ prima e arrivare in tempo. Come lo attiro qui, BJ?”

“Digli che la Golf è in panne, noi abbiamo litigato e non ti va di tornare a piedi.”

“Scusa pietosa.” Sconfortata, Vibeke tornò al tavolo, sedendosi su Tom anziché sulla sedia. Si avvicinò la tazza e il piatto e riprese a mangiare da dove pochi minuti prima era stata interrotta. “Il neurone ti si è sovraccaricato per l’idea di prima?”

Tom le diede un pizzicotto indispettito sul braccio.

“Senti, o chiudi il becco, o te lo faccio chiudere io, ok?”

Vibeke si girò verso di lui, masticando un boccone di toast.

“Mi stai minacciando?”

Tom sfoderò un impietoso attacco di suadenza:

“Ti sto tentando.”

Vibeke intinse un angolo del toast nel caffelatte, costringendo se stessa ad ignorare le mani di Tom che scorrevano lascive lungo le sue cosce, insinuandosi al di sotto dell’orlo della maglietta. Era difficile continuare a mangiare mantenendo una certa compostezza, quando tutto ciò che il suo corpo le chiedeva di fare era abbandonare la colazione e concedersi completamente a quelle effusioni.

“Dovresti metterti un po’ a dieta.” osservò Tom a un certo punto.

“Credevo di piacerti così come sono.” Ribatté lei, tagliente.

“Non è una questione di estetica,” precisò lui. “È che pesi una tonnellata.”

Vibeke avrebbe replicato a modo, se solo la mano di Tom non si fosse spostata sul suo addome, ricordandole che non indossava assolutamente nulla sotto alla maglia extralarge.

“Non mi hai ancora detto cosa mi hai regalato.” Disse, a corto di diversivi più efficaci.

Tom le rispose, ma le sue carezze provocanti non cessarono.

“Non indovinerai mai.”

“Dai, dimmelo!”

Vibeke si stupì nel vederlo abbassare lo sguardo per non incontrare i suoi occhi.

“Guarda che è una cosa stupidissima.”

Non era niente di nuovo: le cose stupide con lui erano l’ordine del giorno, e lei, comunque, non si era aspettata niente. Stavano insieme solo da nemmeno sei mesi e non avevano ancora una grande confidenza con quel tipo di ricorrenze. Ad essere sincera, Vibeke era già rimasta allibita al compleanno di gruppo di Georg, Nicole ed Emily, tutti e tre nati a marzo, quando il loro regalo cumulativo era stato un quadro formato gigante contenente una foto di loro tre addormentati l’uno addosso all’altra sul divano del salotto di casa Tokio Hotel addobbato con decorazioni natalizie, più un buono da cento euro per Emily – che Nicole aveva contestato, definendolo esagerato – per comprarsi qualcosa a suo piacimento. Per quell’occasione Vibeke si era immaginata pacchi con incarti griffati e gioielli preziosi, invece era stato stranamente piacevole scoprire la bellezza di un pensiero così modesto e sentito. Aveva imparato presto che i ragazzi, perennemente circondati da lusso e vizi, entro le mura domestiche preferivano volentieri le cose semplici a quelle ricercate.

“Da te non potevo certo aspettarmi altro.” Disse a Tom, deglutendo il toast. “Su, dimmelo!”

Era difficile prevedere cosa potesse aver partorito la mente di Tom. Che fosse andato nel giardino dei vicini a rubare un fratellino per Rudolf?

“È un album.” Confessò invece Tom.

“Un album di chi?”

“Non un CD. Un album per fotografie.”

Vibeke ammutolì. Non poteva nemmeno rimproverare la propria immaginazione per non aver avuto la fantasia di arrivare a contemplare una cosa smile, perché in effetti un album per fotografie non era per niente un regalo da Tom. Ammesso che fosse vero, Vibeke aveva già in mente una lunga serie di foto da metterci dentro.

“Uno nuovo? Vuoto?”

“Be’, sì.” Tom non ne voleva sapere di sollevare la testa, ma lei era pronta a giurare di intravedere del vago rossore sulle sue guance. “Poi dovremo riempirlo. L’ho fatto fare in un posto che conosce Nicole, dove usano carta riciclata e la trasformano in cose pazzesche. Ho pensato che una maniaca dell’ambiente come te avrebbe apprezzato.”

Oh, Kaulitz…, sospirò lei dentro di sé. Il mio stupido, stupendo, adorabile Kaulitz…

“E infatti la maniaca apprezza.” Confermò.

“Meno male.” Si rincuorò Tom, sollevato. “Temevo ti aspettassi qualche cosa di complicato e costoso.”

Vibeke inarcò ironicamente un sopracciglio.

Anche se fosse, non è che avresti avuto grandi problemi a spendere qualche centinaio di euro…

“Non è mia abitudine misurare il valore delle cose in base al prezzo, sai?” lo rassicurò, accarezzandogli il capelli. Non si era ancora abituata del tutto ai cornrows e doveva ammettere che i rasta le mancavano, ma aveva il sospetto che la decisione di Tom di cambiare stile fosse stata influenzata dal fatto che, in qualunque caso, i rasta si stessero decimando in fretta a causa del loro accordo: una cazzata, un rasta. In effetti da quando aveva i cornrows Tom aveva iniziato a comportarsi decisamente meglio, onde evitare di essere costretto a tagliarsi qualche treccina, ma anche lei, con il tempo, si era molto ammorbidita, iniziando a condonargli piccole bravate su cui una volta sarebbe stata intransigente.

Vibeke lo baciò, ma Tom si ritrasse quasi subito.

“Non sei delusa, vero?” le chiese, improvvisamente preoccupato. “Volevi veramente un regalo più ricercato? Sei vuoi andiamo a cercare qualcosa di più –”

Lei gli tappò la bocca ridendo.

“Non dire stronzate, cretino. L’importante è che non ti sia dimenticato del mio compleanno.”

“Devo confessarti che è stato Gustav a ricordarmelo per tempo.” Disse Tom, e finalmente si decise a guardarla. “Ti giuro che me ne sarei ricordato da solo, ma solo oggi.”

Vibeke non ne dubitava. A sentir nominare Gustav, le era venuto in mente che ci dovevano essere almeno un paio di messaggi d’auguri che attendevano di essere letti sul suo cellulare, ma per quelli avrebbe avuto tempo dopo. Adesso stava troppo bene lì dov’era.

Avvolse di nuovo le braccia attorno al collo di Tom e gli sorrise, persa in tutto quello che vedeva nei suoi occhi. Le ci era proprio voluto un ragazzino per farla innamorare come una ragazzina.

“Che cosa sei tu?”

Tom la prese per la vita a la strinse a sé, restituendo mite il sorriso.

“Che cosa sono?” le fece eco, con un’espressione che la fece praticamente sciogliere nel suo abbraccio. Vibeke si scoprì a trattenere il respiro mentre in lei si formava un pensiero per lei assolutamente nuovo.

Sono felice.

Sfiorò la punta del naso di Tom con il proprio e inclinò leggermente il capo.

“Sei il mio bravo Kaulitz.” sussurrò, suscitando un repentino allargamento del sorriso di Tom, e di conseguenza anche del proprio.

Non era così tutte le mattine, né mai lo sarebbe stato, ma poco importava, perché era proprio quello il bello.

E Rudolf era sulla sua finestra a prendere il sole, e ogni giorno, pazientemente, cresceva ancora un po’.

 

***

 

Mi purifica l’acqua che bagna i miei vestiti, i miei capelli, e sconvolge il mio trucco.
Sono le quattro di notte e nuoto in un mare che mi ha sempre spaventato senza sole.

(Fluo, Isabella Santacroce)

 

 

 

THE END

 

 

 

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Note: ci siamo, gente. Pare proprio che questa volta sia veramente la fine. Si chiude con questo capitolo d’epilogo il secondo capitolo di una saga cominciata per caso, da un’idea nata dal nulla, una bambina di nome Emily e quattro rockstar tedesche. Ed ora eccoci qui.

Non mi voglio dilungare in struggenti e svenevoli commiati, ma scrivere The Truth Beneath The Rose è stato per me un viaggio e un piacere insieme, e non sarebbe mai stato così bello se non ci foste stati tutti voi, miei fedeli lettori, a farmi compagnia, con i vostri commenti, i vostri complimenti, i vostri suggerimenti, le vostre teorie…La metà della bellezza che questa storia ai miei occhi la avete fatta voi, e per questo non so più come ringraziarvi.

Alcune di voi hanno visto nascere The Truth, la hanno vista e aiutata a crescere, a migliorare, ad arricchirsi, ad avere un futuro, e un grazie speciale va a voi, sempre e comunque. Sapete chi siete. ;)

 

Ora non mi voglio dilungare oltre. Voglio solo chiedere a tutti voi che siete tra le 258 persone che hanno la storia tra le preferite, le 44 che le hanno tra le seguite e le 120 che hanno me tra gli autori preferiti, per una volta, di farmi il regalo di spendere due minuti del loro tempo e lasciare un commento, anche piccolo, per questa conclusione. Ci tengo veramente molto a conoscere i vostri pensieri sulle mie creature, e quindi non solo la storia, ma anche i personaggi, le caratterizzazioni, le relazioni e interazioni tra di loro… Qualunque cosa. Grazie, già da ora.

 

Dopo un anno e un terzo, la storia finisce qui, ma voi tenete gli occhi aperti, perché la saga è appena cominciata e di strada da fare ce n’è ancora tanta. La prossima storia si chiamerà Once In A Blue Moon, e sarà il seguito di The Truth e di Lullaby. Vi aspetto tutti ‘di là’. ;)

 

GRAZIE

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