English Summer Rain

di Sneezewort
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** uno: Tracey ***
Capitolo 3: *** due: Theodore ***
Capitolo 4: *** Tre ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa long-fic nasce da qui, che questa poi sia la mia prima long-fic è un'altra storia. Potrei dire di non avere idea di come sono riuscite a convincermi a scrivere qualcosa di così lungo. Ma ho tutta l’intenzione di portarla a termine, giuro.

ATTENZIONE: Questa fanfiction presta fede agli eventi fino al sesto libro, dunque non verrà accennato nulla del settimo libro e, anzi, in parecchi punti sarà discordante da esso. Questo perché, avendo letto il libro solo in inglese non sono in grado di scrivere qualcosa basandomi sui fatti in esso narrati.

La dedico a Marcycas e a Ryta Holmes, le quali mi hanno biecamente traviato sulla strada del TxT.



English Summer Rain
Biografia di coloro che non amano restare soli sotto la pioggia


Always stays the same, nothing ever changes,
English summer rain seems to last for ages.

[English Summer Rain, Placebo]
Oggi mi sono rinchiusa in casa e mi sono seduta davanti alla finestra.
Fuori nevica e piove nello stesso momento, il nevischio si scioglie appena entra in contatto con l’asfalto.
Sopravvive solo ai margini della strada, dove già la neve si è posata nei giorni passati.
Quelli della casa di fronte hanno posizionato un abete accanto alla porta, piccolo, uno di quelli finti, di plastica. Lo hanno agghindato con delle luci colorate, ma molte si sono già rotte.
Mancano dieci minuti alla mezzanotte.
Tra poco la chiesa in fondo alla strada chiamerà i fedeli a raccolta per la messa e io continuerò a guardare la neve e la pioggia che cadono.
Tra poco il telefono squillerà a vuoto. Naturalmente sarà mamma. Daphne da quando ha scoperto i computer e internet non fa altro che subissarmi di e-mail. Il telefono dice che non le piace. Ma non le ho chiesto il perché.

È il terzo Natale senza di lui.


Dal diario di Tracey Davis, 24 Dicembre 2002


Prologo
Ovvero: Come Daphne Greengrass si consacra a Regina del Mi-faccio-i-fatti-altrui.


“Allora?”
Tracey sollevò il viso dal tema d’Incantesimi, così da incrociare la dentatura smagliante di Daphne Greengrass.
Come al solito, rimase abbagliata per un prolungato istante. Scosse piano il capo, come per riprendersi da una lunga trance. I capelli corti oscillarono seguendo il movimento, per poi tornare nella medesima posizione di poco prima, lisci e imperfetti. Li aveva tagliati a caschetto, nella speranza di riuscire a tenerli un po’ più ordinati, ma si era dovuta ricredere in fretta. C’era sempre una ciocca scura che sfuggiva all’ordine che veniva loro imposto. Nessun incantesimo lisciante, nessuna pozione aveva sortito un qualche effetto positivo. Del resto, lei non era neanche un granché, come strega.
“Quando ti decidi a tornare al tuo colore naturale, Daph?” Chiese, ignorando le labbra della compagna che ripetevano ancora una volta “Allora?” per cercare di riprendere il discorso della frase lasciata a metà.
“Non vedo il motivo di farlo.” Mormorò Daphne chiaramente divertita, inclinando la testa, come ogni volta che il suo sorriso in tralice le spuntava sulle labbra.
Tracey provò un forte senso di repulsione e allo stesso tempo di attrazione, per quel sorriso. L’immagine della piuma che si conficcava al centro di quelle labbra la colpì, allettante, per un istante e poi la abbandonò in fretta, insieme al contrasto di emozioni, sostituito dall’irritazione.
Picchiettò la punta della piuma sulla pergamena, mentre la stretta dell’indice e del pollice sullo stelo sottile aumentava impercettibilmente. Una piccola goccia di inchiostro si espanse sul foglio, replicando le macchie nere sulle dita pallide della ragazza. Ma non prestò molta attenzione a quel danno di proporzioni minime.
“Sei peggio di un pugno in un occhio per chiunque ti guardi.” Borbottò senza preoccuparsi di celare al meglio il fastidio.
In realtà non era il colore dei suoi capelli a irritarla tanto, per quanto, alla vista, la carnagione cannella contrastava troppo con i capelli biondi, tanto chiari che era palese che fossero tinti. Quel contrasto però, non sminuiva la figura piacevole della ragazza ma, anzi, le donava un tocco esotico più di quanto i suoi tratti e il suo forte accento latino riuscivano a fare. Ogni sguardo che si posava su Daphne scivolava in fretta dallo sdegno all’ammirazione.
Era la risata latente di cui era intrisa la sua voce, a farla impazzire tanto. Una risata che non scoppiava mai, neanche per sbaglio. Semplicemente, restava lì, nella voce.
“Oh, miss Davis ha forse gli occhi delicati?” Replicò, ignara della seconda immagine che fulminava la mente della compagna. La voglia di piantare la piuma nelle sue labbra morbide e scure aumentava a vista d’occhio, in Tracey.
“Fottiti, Greengrass.” Sibilò aspra, distogliendo lo sguardo per puntarlo altrove e senza prestare vera attenzione, a quell’altrove.
“Suvvia, mia cara,” La risata sembrò quasi aumentare nella voce di Daphne, beffarda e sgradevole. “Non è un buon modo di esprimersi, tra confidenti.”
“Oh, giusto,” Concordò, caustica, Tracey, mentre il suo sguardo incrociava nuovamente il sorriso della compagna. “Perché, gentilmente, non apri le tue graziosissime gambe al primo pezzente che capita e mi lasci al mio tema?”
“Perché ti ho fatto una domanda, sulla quale hai ampiamente glissato per dieci minuti.” Rispose Daphne, picchiettando un paio di volte le dita sul velluto smeraldino della poltrona. “Sai quanto odio quando il mio interlocutore non risponde in fretta alle mie domande.” Concluse con la parodia piuttosto teatrale di un broncio infantile, accavallando le gambe e sistemandosi meglio nella poltrona.
Tracey inarcò un sopraciglio, ben consapevole che, se non avesse risposto alla domanda, il suo tema sarebbe rimasto inconcluso e un forte mal di testa avrebbe accompagnato il suo sonno. Daphne aveva la straordinaria capacità di irritarla e di catturare la sua attenzione esclusivamente su di sé, oltre a strapparle qualsiasi cosa volesse. Non aveva mai nascosto di usarla per i propri scopi, per quanto futili fossero, più di una volta e a Tracey andava bene così. Ma a Tracey andava sempre bene tutto e non si lamentava mai.
“Mi chiedo cosa ci trovi di divertente nel cronometrare gli altri.” Mormorò pensierosa, quasi a sé stessa.
Daphne sbuffò, lievemente annoiata dalla piega che aveva preso il discorso, senza dubbio, non la piega che aveva preventivato in partenza. Ma con Tracey era sempre così, bastava avere pazienza. “Ecco, l’hai fatto di nuovo.”
“Cosa?”
“Glissi, Davis, glissi.” Modulò la voce, controllò il sorriso, tanto che Tracey rimase spiazzata per un attimo dalla dolcezza con cui era impostata la frase. Un sussurro dolce di un serpente che si era stancato di girare attorno alla preda. Il senso di repulsione tornò a far capolino sul fondo dello stomaco.
“Ok,” Mormorò abbandonando la piuma sul tavolo. “Quale sarebbe questa domanda?”
Daphne sorrise, in tralice. I denti fecero capolino tra le labbra e il capo si piegò di nuovo, lasciando scivolare qualche ciocca bionda sulla spalla.
Poi sparò il colpo, a bruciapelo, certa che l’amica l’avrebbe incassato.
“Tu e Nott. Due sere fa.”

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Capitolo 2
*** uno: Tracey ***




Tracey Davis non era una ragazza solitaria, ma aveva sempre fatto fatica a socializzare. Per quanto non amasse la solitudine e i pensieri fastidiosi che questa comportava, non riusciva mai ad avvicinarsi spontaneamente a qualcuno.
Già alla scuola elementare Muggle che aveva frequentato non era riuscita a farsi degli amici, o meglio, per tre anni di seguito si era seduta in disparte, in fondo alla classe vicino ad una finestra. Poi un giorno una bambina si era seduta accanto a lei, senza che la maestra le avesse ordinato di farlo. Dopo qualche giorno di silenzi imbarazzati, avevano cominciato a parlare. Anche se era sempre l’altra bambina a tenere banco il più delle volte. Tracey era troppo riservata e tranquilla per sbottonarsi.
Da allora, però, erano diventate amiche e Tracey passava molto tempo con lei, a scuola, a casa, nei giardini pubblici. Sua madre a volte si ricordava di lei, tra un fidanzato e l’altro, e si chiedeva dove diavolo passava tutto il suo tempo libero quando non era in casa. Ma poi, l’ennesimo uomo attirava la sua attenzione e dimenticava la sua piccola bambina silenziosa e assente.
Anche ad Hogwarts aveva fatto fatica a inserirsi nel gruppo. Anzi, non si era mai inserita nella ristretta cerchia Slytherin. Era tornata ai suoi primi anni di scuola, seduta da sola in fondo alla classe, senza lamentarsi della sua solitudine.
Poi, sul finire del primo anno, Daphne Greengrass aveva deciso di trovarla interessante e aveva occupato il banco vuoto accanto a lei, durante Storia della Magia.
Tracey non aveva detto nulla, si era solo voltata verso quella ragazzina dai lineamenti morbidi e la pelle scura, perplessa che qualcuno si avvicinasse a lei. Poi era scattata la diffidenza, in pochi minuti, per quel sorriso che con il crescere si sarebbe trasformato nel famoso sorriso in tralice di Daphne, carico di malizia e ironia.
Daphne aveva incominciato a parlare sottovoce, come se lei e la compagna fossero amiche da sempre. Da allora erano diventate più o meno inseparabili.
Formavano una strana coppia e quasi tutta la scuola guardava con diffidenza e perplessità la loro improbabile amicizia. La tranquilla, silenziosa, apparentemente priva di qualsiasi ambizione, Halfblood di Slytherin, per quanto carina con i suoi grandi occhi castani, era troppo insipida per attirare l’attenzione e appariva ancora più scialba accanto alla figura longilinea, al sangue purissimo e alla spiccata curiosità e furbizia che caratterizzavano l’amica.
La vita sociale di Tracey, però, iniziava e finiva con Daphne. Il naso di Pansy era troppo perfetto e troppo all’insù per sprecarsi a parlare con una Halfblood. Su esempio della ragazza anche le altre compagne non si permettevano di rivolgerle la parola, se non per lo stretto necessario. Tra i ragazzi, invece, arrivava a scambiare qualche parola con Crabbe e Goyle, il più delle volte durante i pasti e quasi sempre chiedeva loro di passarle il sale, o il caffè.
Inoltre già dal primo mese della sua permanenza in quella scuola aveva capito che gli Slytherin restavano con gli Slytherin. Era una legge non scritta che mai e poi mai qualcuno si sarebbe sognato di infrangere. Se avevi bisogno di aiuto, se ti serviva qualcosa lo trovavi solo nei sotterranei. Questo era un dato di fatto, non serviva aggiungere altro.
A lei, comunque, non importava di essere considerata inferiore dalla maggior parte delle persone con cui divideva il dormitorio. Le bastava passare il proprio tempo con Daphne.

Questo almeno fino al quinto anno.

Accadde quasi per sbaglio, mentre la campanella del pranzo suonava al termine di due interminabili ore di Storia della Magia. Daphne non era arrivata in aula, mimando un forte mal di stomaco nei corridoi, ma il banco vicino stranamente non era vuoto.
Per tutta la lezione, però, non si era neanche accorta di avere compagnia. Per questo quando posò lo sguardo sul compagno accanto a lei alla fine dell’ora, arrotolando con calma la pergamena di sporadici appunti, le sembrò di aprire gli occhi per la prima volta su Theodore Nott.
La frangia scura che adombrava il viso pallido celando malamente gli occhi, il naso un po’ troppo lungo e un po’ troppo appuntito, la forma regolare e dura della mascella, le labbra fini piegate in una smorfia d’insofferenza per il baccano attorno a loro, quei piccoli particolari del suo volto le lasciarono un’impressione piacevole e una sensazione che non riuscì a definire, ma tanto forte da lasciarla paralizzata ad ammirare il profilo concentrato del ragazzo.
Il desiderio di sentire il suo peso gravarle addosso, il petto gracile premerle contro il seno ancora acerbo, le dita sottili e nervose del ragazzo scoprirle la pelle, di averlo sopra di sé, dentro di sé la colpì tanto acuto e tanto inaspettatamente da farla traballare.
Si aggrappò al banco per non scivolare a terra confusa e incerta delle proprie emozioni e in quel momento Theodore si accorse che lo stava fissando. Non si era mai fermato a guardarla o a rivolgerle la parola. Ora, invece, sollevò un sopraciglio, dedicandole uno sguardo freddo.
“Che vuoi, Davis?” Chiese seccato, squadrandola da capo a piedi. Minuta, quasi piatta, il viso armonioso circondato da un caschetto disordinato benché la spazzola provasse in ogni modo di tenerlo fermo, gli occhi castani anonimi, se non troppo grandi. Non aveva mai attirato la sua attenzione ma, dopotutto, nessuna attirava mai la sua attenzione.
“Nulla.” Mormorò Tracey, senza riuscire a sostenere lo sguardo e con le guancie leggermente arrossate; non sapeva se per l’imbarazzo o il calore pulsante che percepiva chiaramente tra le gambe. Forse entrambe le cose. Tornò a prestare attenzione alla propria borsa, con gesti veloci, per chiuderla e scappare il più velocemente possibile da quella stanza.
Il ragazzo scoccò un occhiataccia a quella figuretta che schizzava fuori dalla porta e tornò ad ordinare gli appunti con meticolosa cura.

Il giorno successivo Tracey si recò in biblioteca, senza un fine preciso da raggiungere. Le sensazioni provate il giorno prima non accennavano a diminuire ma, anzi, il cuore iniziava stupidamente ad accelerare il proprio battito ogni volta che sbirciava verso Nott, ben contenta che lui la ignorasse come al solito.
Anche se aveva saltato il pranzo dopo Storia della Magia per evitare di averlo troppo vicino e a lezione si era seduta, come di consueto, accanto a Daphne, a cena lui si era seduto solo due posti più in là e Tracey aveva perso l’appetito. Oltre a ogni facoltà di pensiero coerente.
Ma, per quanto durante la notte si era ripromessa di evitarlo con cura, ora entrava in biblioteca senza aver alcun libro da prendere in prestito o restituire.
Continuava a ripetersi la patetica scusa del tema di Pozioni, mentre procedeva lentamente tra gli scaffali, peccato per il suo sguardo che non faceva altro che cercare le spalle del ragazzo curve su qualche libro, le scapole sporgenti che si potevano intravedere nonostante la camicia della divisa, le sue labbra che mormoravano assorte una frase che non funzionava…
Ebbe la vivida sensazione di quelle labbra sulla pelle, immaginò il loro percorso sul collo, lungo le clavicole e poi contro il seno, mentre lambivano il capezzolo…
Il cuore iniziò a battere più veloce, pompando più sangue che fluì verso il cervello e sul viso. Sentì caldo, molto, molto caldo, un calore che partiva dall’inguine e si spandeva per tutto il corpo. Si sentiva stordita, eccitata, confusa. Voleva che lui la prendesse ora. Voleva abbandonarsi contro di lui e placare quel desiderio assurdo.
Non si accorse di essere andata a sbattere contro qualcuno, finché la voce della bibliotecaria non sovrastò il rumore del battere del cuore. Sollevò lo sguardo sulla donna, il volto arrossato dal calore ma spento, indifferente a qualsiasi cosa le stesse dicendo. Biascicò delle scuse poco convinte, che stava pensando a un libro in particolare che le serviva e non si era accorta di aver davanti qualcuno. Per cercare di rendere più plausibili quelle scuse si allungò a prendere un libro qualsiasi e la precedette verso la cattedra per i prestiti. Mentre la donna scriveva il suo nome nel registro si guardò intorno, fino ad incontrare Theodore seduto solo ad un tavolo vicino alla finestra. Non studiava, anche se attorno a lui il tavolo era ricoperto di libri e pergamene, ma guardava fuori dalla finestra. Non poteva vedere il suo volto, da quella posizione, ma il cuore ricominciò a battere impazzito.
“Miss Davis?”
Il richiamo la strappò dal sogno ad occhi aperti con brutale tempismo. Scosse il capo, abbozzando un pessimo sorriso di scuse mentre riponeva il libro nella tracolla.
Non si permise una seconda occhiata in direzione del ragazzo mentre lasciava in fretta la biblioteca.

I tre giorni successivi passarono con: Tracey di pessimo umore, assolutamente confusa, che non metteva più piede fuori dalla Sala Comune e saltava tutte le lezioni e i pasti, Daphne di ottimo umore che non perdeva mai l’occasione di tampinare l’amica e Blaise Zabini che tutto a un tratto si era interessato alle letture di Tracey. Senza dimenticare che, ormai, di lì a due giorni sarebbero iniziati gli O.W.L.s.
Ma andiamo con ordine.
Dalla famosa lezione di Storia della Magia, Tracey non riusciva più a guardare verso Nott e mantenere il contegno. Il cuore iniziava la sua folle corsa e il cervello lo seguiva a ruota in vividi sogni erotici ad occhi aperti. Non serviva a nulla ripetersi di essere una stupida o una maniaca.
Dormiva poco e male, non aveva più appetito e si sentiva la testa pesante. Continuava a ripetere a Daphne che non aveva voglia di fare nulla, che non non avrebbe fatto nulla di quello che lei voleva e che non sarebbe andata da nessuna parte se non nel suo letto. Passava il tempo per lo più a ripassare in vista degli esami, intrattabile e scontrosa.
Daphne, dal canto suo, non riusciva a capire da cosa derivasse quel comportamento e, ovviamente, ne era incuriosita, se non proprio elettrizzata da quel piacevole cambiamento. Piacevole, dal suo punto di vista, che adorava qualsiasi tipo di novità, positiva o negativa, finchè non toccava lei in prima persona senza chiedere il suo consenso.
L’improvviso malumore di Tracey fu come un fulmine a ciel sereno e spazzò via l’apatia in cui si trastullava dopo il primo entusiasmo per la sua partecipazione alla Squadra d’Inquisizione. In un paio di settimane dalla formazione della Squadra si era divertita a infierire su chiunque. Ma il potere che le dava la spilla le venne a noia in fretta e perse tutto il suo entusiasmo. Anche civettare con Draco sotto gli occhi di Pansy non le dava più alcuna soddisfazione. Anche perché la compagna tendeva a ignorare i suoi tentativi di farla innervosire e così non c’era gusto.
Così ora si concentrò totalmente sul misterioso problema di Tracey.

La Sala Comune era praticamente vuota. Con la data degli esami fissata per il giorno dopo e il sole che splendeva sul parco, tutti erano da qualche parte a ripassare e pochi avevano voglia di restare nei sotterranei. Tra questi pochi c’era Tracey con una copia sgualcita dell’edizione economica dei Fiori del male dietro cui nascondersi. L’aveva letta, riletta, sfogliata talmente tante volte che praticamente cadeva a pezzi. Non aveva più la copertina. Le pagine arricciate avevano sopportato di tutto, dalla pioggia londinese al caffè matuttino. Ogni volta in cui cadeva nel malumore si immergeva nella lettura di quelle poesie. Poteva continuare a leggere per ore, se indisturbata.
“Ancora rintanata, Tracey?” Daphne si appollaiò sul bracciolo della poltrona, in bilico ma perfettamente a suo agio. La sua voce sembrava ancora più squillante e divertita del solito, se era possibile. “Possibile che non sai far altro che nasconderti per un qualche motivo? Snape inizia a lamentarsi perché tutti i professori si sono accorti che non vieni a nessuna lezione. E ovviamente, chi deve sorbirsi Snape? Io.” Fece una pausa con un sospiro teatrale. La sua attenzione fu catturata dal libro e il libro fu catturato dalle sue mani. “Che leggi? Baudelaire? Mai sentito.”
“E’ un poeta francese, Daphne.” La informò Zabini, fermo dietro alla poltrona. Appoggiò entrambe le braccia sul bordo dello schienale, con una luce d’interesse nello sguardo.
Tracey agrottò la fronte seccata dall’interruzione. Non solo non si era accorta del loro arrivo, ma Daphne l’aveva riempita di lamentele inutili e l’aveva interrotta nel suo crogiolarsi. “Posso riavere il libro, grazie?” Daphne la ignorò e tornò alla pagina a cui aveva interrotto la lettura dell’amica. Si appoggiò allo schienale e iniziò a declamare la poesia in lingua originale. La pronuncia era perfetta, benchè l’accento inglese non rendeva giustizia alla lettura. Zabini storse le labbra in una smorfia ma non la interruppe.
“O fins d’automne, hivers, printemps tempés de boue, Endormeuses saisons! je vous aime et vous loue, D’envelopper ainsi…
[i]
“Hai qualche altro autore?” Chiese il ragazzo, chinadosi verso Tracey. Daphne arricciò il naso irritata dall’interruzione. Tracey si strinse nelle spalle, come sempre.
“Qualcuno. Molti libri li ho lasciati a casa.”
“Potresti prestarmeli? Non è molto semplice trovare degli autori Muggle.” Continuò Blaise, rivolgendo alla ragazza un sorriso, per la prima volta in cinque anni. In realtà, era la prima volta che le prestava attenzione. Tracey si infastidì nel notare che aveva i denti ancora più smaglianti di quelli di Daphne. Doveva essere una questione di carnagione. “Ok.” Mugugnò senza entusiasmo.
“Blaise, Blaise, cos’è questo interesse per il mondo Muggle?” Lo canzonò Daphne piegando la testa, con il sorriso in tralice.
“L’arte è arte. A Maman non dispiace se qualche autore non è pureblood o mago.” Rispose il ragazzo, senza scomporsi. “Non è certo un buzzurro inglese come tuo padre.”
Mentre Daphne riempiva la Sala Comune con la sua risata cristallina, Tracey le strappò di mano il libro e, insofferente, tornò a immergersi nella lettura.
“Potrei essere lasciata in pace, ora?” Borbottò cupa, rivolta in particolare all’amica. Si sentiva circondata su ogni lato.
Lei ammiccò divertita e non si mosse di un centimetro. Aveva un interrogatorio da portare avanti, non sarebbero certo stati i modi bruschi di Tracey a farla desistere, tutt’altro.

Credo che sia mia madre che Daphne hanno istinti suicidi.
Devo fare in modo che non si incontrino mai più.
Ne va della mia tranquillità.

Dal diario di Tracey Davis, 26 Dicembre 2002

[i] “O tardi autunni, inverni, primavere fangose. Io vi amo e vi lodo, stagioni obliviose, d’avviluppar così…”
Pioggie e Brume, Baudelaire

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Capitolo 3
*** due: Theodore ***




Era successo tutto così rapidamente che non riuscì a non mostrarsi indifferente, il primo momento. Draco invece no, Draco appena si era trovato davanti il Prophet con la bella notizia in prima pagina era impallidito notevolmente. Aveva contratto i pugni per la rabbia e il suo sguardo era corso immediatamente al tavolo di Gryffindor.
Lui, invece, non aveva fatto nulla, anche se il nome di suo padre continuava al balzargli all’occhio mentre leggeva l’articolo. Si sentiva come se qualcuno lo avesse Confuso. O, in termini Muggle, che il suo cervello avesse avuto un black out. Di parecchi istanti.
Il silenzio attonito aveva raggelato tutta la tavolata, eppure, non riusciva a percepirlo.
Non volava una mosca in quella porzione della Sala Grande. Tutti i loro sguardi erano puntati sul volto di Draco sconvolto dalla rabbia e dalla frustrazione, tutti tranne il suo.
Più tardi qualche voce malevola avrebbe insinuato che era un insensibile, che non gli importava minimamente che suo padre fosse ad Azkaban. Ma lui non avrebbe sentito.
Ripiegò con cura il giornale, senza guardare nessuno attorno a lui, tantomeno Draco, leggermente sollevato dalla sedia, o Crabbe e Goyle con lo sguardo puntato sui piatti senza toccare cibo. Evento più unico che raro, avrebbe ironizzato qualcuno per spezzare la tensione.
Aveva la curiosa sensazione della testa leggera. Eppure gli sembrava anche terribilmente pesante. Ma come poteva percepire chiaramente due sensazioni opposte nel medesimo punto e momento? Non era logico. E lui credeva fermamente nella logica e nel raziocinio.
“Nott?”
Ignorò il richiamo vagamente premuroso di Pansy, quando si alzò. Ignorò lo strano sguardo della Davis e il sorriso in tralice di Daphne, nonostante lo irritasse il divertimento che la ragazza traeva dalle disgrazie altrui, mentre si allontanava. Ignorò qualsiasi sguardo di pietà e risentimento si fosse puntato su di lui, mentre usciva dalla Sala Grande e camminava in fretta verso il giardino.

Sentiva la strana sensazione di non riuscire a respirare, di aver bisogno d’aria. L’elenco dei Death Eaters arrestati continuava a scorrergli davanti agli occhi e lui non riusciva a vedere dove stesse andando. Sentiva gli occhi pizzicare fastidiosi, con il nome del padre che s’ingrandiva davanti a lui mentre vagava sul prato. Sentiva lo stomaco contrarsi e il respiro bloccarsi in gola, spezzato da un groppo fastidioso tanto quanto il bruciore agli occhi.
Si rese conto che stava per piangere e questo lo fece infuriare. Non aveva mai pianto, lui, neanche quando sua madre era morta e non aveva potuto far altro che assistere alla scena del suo corpo che si spegneva. Suo padre gli aveva insegnato che piangere era da deboli, che non portava a nulla. Come gli aveva insegnato che lasciarsi trasportare dalla rabbia era altrettanto un sintomo di debolezza.
E adesso che le lacrime non gli permettevano di vedere con chiarezza si sentiva furioso, confuso e abbandonato. Si sentiva impotente. Si sentiva un ragazzino di quindici anni che era stato privato di entrambi i genitori, lasciato a sé stesso in una villa troppo grande.
La mancanza della madre quasi non l’aveva sentita, dopo la sua dipartita. Se non fosse stato presente al momento della sua morte probabilmente non si sarebbe neanche accorto del fatto. Mrs Nott, del resto, era una donna debole di salute ed era raro vederla fuori dalle sue stanze, dallo stesso baldacchino. La villa era troppo fredda per il fisico cagionevole della donna, la quale, spesso per ordine di qualche Medimago, non osava mettere piede fuori dalle coperte. Theodore non faceva mai visita a quella donna pallida e febbriciante. Spesso delirava, nella febbre e lui ne aveva timore.
Ma non aver più il punto fermo che era suo padre, significava che il mondo poteva crollargli addosso da un momento all’altro. Quasi ne sentiva la presenza sulle spalle, troppo pesante. Prima poi avrebbe ceduto. Prima o poi sarebbe stato sconfitto.

Colpì il tronco di una quercia con il pugno, con tutta la forza che possedeva. Vacillò. L’albero non fece una piega, immobile, fiero e impassibile.
Non servì a nulla, se non a farlo sentire ridicolo e a graffiarsi a sangue. La corteccia era ruvida e la sua pelle non aveva mai sopportato nulla di rude. Aveva le mani da intellettuale, gli ripeteva qualche volta sua madre, prima di morire. Lui non capiva cosa intendesse ma era felice del sorriso che le illuminava il volto pallido e sofferente quando gli guardava le mani. Sembrava lucida, presente, quando parlava delle mani del figlio. Solo in quei momenti Theodore riusciva a provare un qualche affetto verso la donna.
“Prendere a pugni un albero è una cosa parecchio stupida.”
Tracey Davis lo aveva raggiunto senza che lui la sentisse arrivare. Sussultò sorpreso, come colto in fallo, alla voce della ragazza. Non lo derideva, per quella scena patetica a cui aveva assisstito, né, tanto meno, lo compativa. Sembrava che non le importasse molto, in un mormorio monocorde, annoiato, forse.
Theodore piegò le spalle sulla difensiva istintivamente, come a richiudersi in un guscio, irritato dalla presenza intrusiva della ragazza. In quel momento si rese conto che lo aveva seguito a distanza fin da quando aveva lasciato la Sala Grande. Che erano settimane che lo seguiva. Il motivo? Francamente, non gli interessava poi molto capire cosa passasse per la testa di quella Halfblood.
“Che cosa vuoi?” Chiese brusco, cercando di ricacciare indietro le lacrime sempre più fastidiose. Nascose il sangue, coprendo le nocche con l’altra mano, anche se Tracey non sembrava farvi molto caso, mentre si stringeva nelle spalle. “Piangi?” Chiese con un pizzico d’interesse, invece che rispondere alla sua domanda.
“No.”
“Non è poi una gran vergogna piangere ogni tanto, sai?” Continuò imperterrita, con un mezzo sorriso divertito.
Theodore, di contro, si irrigidì, irritato dalla conversazione. Non si erano mai parlati, voleva restare solo e adesso lei gli parlava di quanto facesse bene piangere ogni tanto. Oltre al fatto che aveva tutta l’aria di prenderlo in giro, con quei discorsi e quel sorrisetto. “Tu hai mai pianto?”
“No.” Ammise tranquilla, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le dita che giocherellavano col bordo della gonna.
“E allora sta zitta.” Ordinò spazientito, sperando di levarsela di torno e non riuscì a non notare che avesse delle belle gambe, tra lo sconvolgimento di sentimenti che provava e che non poteva permettersi di lasciar uscire nuovamente. Non davanti a lei, belle gambe o meno.
Tracey si strinse di nuovo nelle spalle ma, invece che girare i tacchi e tornare al castello, si appoggiò all’albero con una spalla. Sembrava avere tutta l’intenzione di restare lì. Theodore aggrottò la fronte, squadrandola. La superava in altezza di parecchi centimetri, in pratica torreggiava su di lei, ma la ragazza non sembrava preoccupata di nulla, anzi, aveva perso qualsiasi interesse per tutto. Gli sembrò ancora più insignificante del solito, mentre gli rivolgeva quel suo sguardo strano.

“Che cosa vuoi?” Ripeté un po’ meno convinto. Non aveva solo delle belle gambe, in realtà. Anche le labbra non erano male, né troppo sottili, né troppo carnose.
Tracey non rispose. Continuò a sorridere impertinente, divertita, irritante. Il ragazzo scostò lo sguardo da quelle labbra, infastidito dal trovarle piacevoli e la guardò negli occhi. “Allora?” Chiese, con un sopraciglio inarcato per quel silenzio.
“Mi hai detto di stare zitta, no?” si giustificò la ragazza, un po’ perplessa. Aveva una fossetta all’angolo destro delle labbra. Si formava sempre quando cercava di non tradire il proprio divertimento. Ma Theodore non lo sapeva, le fossette di Tracey Davis non lo avevano mai interessato.
Si ritrovò a chiudere gli occhi esasperato. Sembrava che vivesse in un altro mondo quando usciva con delle frasi del genere, o che fosse irrimediabilmente stupida. Perché era lì a perdere del tempo con lei?
“Sei forse idiota, Davis?” Sibilò sferzante, al limite della pazienza. Che non ne avesse molta, di pazienza, era tutta un'altra storia. In quella situazione, poi, il limite era sempre più basso. Gli occhi continuavano a essere lucidi, le lacrime continuavano a punzecchiarlo. Non controllare le proprie reazioni emotive lo infastidiva.
“Se lo dici tu.” Replicò Tracey con tono piatto e si strinse nelle spalle per l’ennesima volta.
“Era una domanda.” Sbottò scocciato del suo comportamento. Non faceva altro che stringersi nelle spalle come se non le importasse di nulla e rispondeva con delle assurdità. Come se non fosse stata lei a seguirlo e a imporgli la propria presenza.
“Dal tono non sembrava.”
Non si aspettava quella risposta a tono, benché la voce era sempre piatta e indifferente. Una semplice costatazione annoiata, nulla di più. Era sempre più irritante. Fece scivolare l’indice e il pollice sulle palpebre, un modo per raccogliere le lacrime sul punto di nascita e farle sparire. Gli sembrava che gli occhi fossero stranamente appiccicosi.
“C’è qualcosa che ti interessa nel mondo, Davis?” Chiese caustico. Non aveva idea del perché continuasse a parlarle quando non sperava altro che si levasse di torno.
Lei sorrise, semplicemente divertita. Inclinò il capo, con quel sorriso sulle labbra, nello stesso modo in cui lo piegava la Greengrass quando sorrideva.
“Dovresti arrivarci.” Mormorò con quello sguardo strano con cui da qualche settimana lo fissava, poi gli diede le spalle e iniziò ad allontanarsi verso il castello.

Ho abbandonato l’idea di ricontare i giorni da capo. Non servirebbe a nulla.
Credo che oggi sia un giorno di festa.
La zuppa del pasto era vagamente migliore del solito.
Dalla porta del detenuto 33258, senza data

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Capitolo 4
*** Tre ***




Greengrass Manor, York, 2 Luglio 1996

Mio caro Blaise,
Alza il tuo perfetto naso dal quel libro Muggle che hai requisito a Tracey e prestami attenzione, grazie. Ora, tu sai perfettamente quanto mi infastidisca non sapere qualcosa che accade intorno a me, dunque, mio caro, dovrai aiutarmi. Naturalmente puoi chiedermi ciò che desideri in cambio.
Ovviamente, sai già di chi parlo, non è vero?
La nostra piccola e apatica eroina ha deciso di mostrare interesse ed attenzione per qualcosa, o per qualcuno. E dal mio ruolo di sua migliore amica ho tutto il diritto di sapere quale sia questo qualcosa, o qualcuno, non? Infondo, potrei anche decidere di aiutarla, peccato che Tracey non ha nessuna intenzione di aprire la sua boccuccia di rose.
Questa mattina, comunque, ha deciso di esporsi un pochino, probabilmente senza accorgersene. Salazar, sa essere così poco Slytherin il più delle volte…
Comunque, mi ha scritto per chiedermi il tuo indirizzo e per farsi spiegare come funzionano i collegamenti via camino. Immagino che a breve troverai la sua testolina vuota tra le fiamme del caminetto in salotto.
Spero che tua madre non si spaventi per i suoi capelli. Non capisco come facciano a essere così assurdi e ribelli pur essendo lisci.

Daphne.


Parigi, 3 Luglio 1996

Daphne,
Non preoccuparti per mia madre, ha deciso di passare qualche giorno dal suo nuovo fidanzato, quindi non ha avuto modo di vedere lo stato dei capelli di Tracey. Trovo, comunque, che i tuoi capelli siano uno schiaffo al buon gusto molto più dei suoi. Quando decidi di porre fine a tanta scempiaggine e torni al tuo colore naturale?
Tornando alla “Nostra eroina”, come ti ostini a chiamarla. Ieri sera è spuntata nel mio camino come avevi predetto e devo dire che aveva un colorito piuttosto verdognolo. Immagino che abbia rimesso nel bagno del Leaky Cauldron, sempre che quel posto abbia dei servizi igienici. Oppure il pavimento si è impreziosito del suo vomito. Non credo che poi faccia molta differenza.
Ovviamente, potrei riferirti immediatamente ciò che ho scoperto, ma, mia cara, sai quanto amo tenerti sulle spine. Sappi, comunque, che la faccenda sta diventando molto, molto interessante.
Ti rivelo che l’interesse di Tracey non è per qualcosa, ma per qualcuno e non vedo l’ora di vedere come riuscirai a scoprire chi.
Le mie labbra sono cucite a meno che tu non sappia propormi qualcosa di più interessante dei tuoi sforzi.

Blaise.


Greengrass Manor, 5 Luglio 1996

Razza di brutto ingrato!
Come puoi lasciare un povera fanciulla che si annoia oltremodo, con la sola distrazione di un padre buzzurro da poter prendere in giro?
Sei un piccolo, malefico, ingrato, ecco! Lasciarmi così in balia della curiosità, quando sai perfettamente che effetti può portare. Malefico, malefico Blaise! Ma non sperare che il tuo silenzio mi porti ad arrendermi. Oh, no, assolutamente no. Troverò il modo, stanne certo. E poi, la cerchia si è già ristretta, non sarà troppo difficile.
Ingrato!
E non parlar male dei miei capelli!

Daphne.


Parigi, 9 Luglio 1996

Non aspetto altro, ma già lo sai.

Blaise.

P.S.: Ah, un'altra cosa, un nostro compagno mi ha scritto ed era piuttosto nervoso.


Londra, 15 Luglio 1996

Daphne va’ al diavolo e lasciami in pace. E no, non vengo con te a “fare shopping” così che puoi tormentarmi per cercare di scoprire cosa succede. E no, non ti porto a “scoprire il mondo Muggle” per lo stesso motivo. E no, non ti porto a “mangiare al cinese” per lo stesso motivo.
E comunque, sì, ho chiesto una cosa a Blaise, ma non ti riguarda.

Tracey.

P.S.: Ci vediamo davanti al Leaky alle sei, smettila di spuntare a casa mia nei momenti peggiori. Il nuovo fidanzato di mamma è già sul punto di scappare per colpa delle tue visite assurde. Poi mia madre in lacrime devo sopportarla io.




Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto vai problemi con la connessione. So che è molto, molto corto come capitolo, ma è solo di transizione.
Spero di aggiornare più in fretta.
Grazie a Babykagome, sono felice che apprezzi la storia.
Nano e Ry invece non vi ringrazio finché non la smettete di assillarmi u.u (Non è vero, vi amo e sono una pessima pusher XD)

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