Finn

di Salmcroe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo io e lui. ***
Capitolo 2: *** Appena fuori dalla stanza. ***
Capitolo 3: *** Bellissimo anche nel sonno. ***
Capitolo 4: *** Vestirsi per spogliarsi. ***
Capitolo 5: *** Corsi fuori, senza voltarmi. ***
Capitolo 6: *** Amare le docce al mattino. ***
Capitolo 7: *** Tante lacrime dopo lo sbaglio. ***
Capitolo 8: *** Urlare senza aver voce. ***
Capitolo 9: *** Coperte bianche e odore dolce. ***
Capitolo 10: *** 7 chiamate perse. ***
Capitolo 11: *** Apnea. ***
Capitolo 12: *** Cappotto nero. ***
Capitolo 13: *** Iridi. ***
Capitolo 14: *** Cena in tre. ***
Capitolo 15: *** Conversazione. ***



Capitolo 1
*** Solo io e lui. ***


Salve a tutti :) molto piacere... ok sembra tanto una cazzata, però questa storia ho intenzione di farla crescere bene.... scusate se come scrittura non è il massimo, ma vi sarei grata se leggeste i capitoli seguenti, per capire anche solo il perchè del  rating arancio o del genere erotico/sentimentale.... so che magari da un tento così corto è difficile capire se una storia vi interessi o meno, continuate a leggerla però, potreste scoprire che vi piace, e potreste rendere felice una nuova piccola autrice di questo sito :) Sperando che vi piaccia, vorrei chiedere qualche recensione, per sapere cosa ne pensate, per potermi migliorare. Che dire,, buona lettura <3  

 

 

Capitolo 1

 

 

 

Mi risvegliai sudata, infastidita dal peso delle coperte.

La sera prima non ricordavo cosa avessi fatto, ma di sicuro era stato poco piacevole... Ogni piccolo movimento contribuiva a farmi sentire ancora peggio se possibile, facendomi pulsare inevitabilmente le tempie. La parte più dolorante era il braccio, che con mia poca sorpresa era gonfio ed arrossato: diversi taglietti superficiali segnavano la pelle, e sulla spalla la cicatrice che portavo da sempre era rossa e inspessita più del solito. Mi rigirai e la forte luce che arrivava dalla finestra semiaperta mi fece socchiudere gli occhi. Mi alzai. La testa mi girava vorticosamente, rischiai infatti di cadere a terra; riuscii però a sorreggermi poggiando entrambe le mani sulla testata del letto di legno scuro. Aprii la finestra, godendo di quell'aria fresca che mi accarezzava la pelle del volto e delle spalle, facendomi alleviare un poco il pulsare della testa. Indossavo solo la biancheria, mi affrettai infatti a cercare nel cassettone ai piedi del letto una maglietta qualsiasi per coprirmi e per poter scendere a far colazione. Ne trovai una blu, slarga e consumata, perfetta. Non mi preoccupai di cercare dei pantaloni, poiché quelle maglie erano talmente lunghe da coprirmi ben oltre metà coscia, minuta com'ero. Mi era ormai familiare la sensazione che provavo ad indossarle: il cotone caldo che mi abbracciava, l'odore dolce di Zac... il mio migliore amico. Un ragazzo un anno più grande di me, alto quasi un metro e novanta, bellissimo. Tutte le ragazze lo guardavano, per il fisico perlopiù, mentre io nonostante lo conoscessi da quando avevamo dieci anni, rimanevo ancora sorpresa da quanto i suoi occhi fossero verdi, a volte azzurri, da come fossero carnose le sue labbra e dagli alti zigomi che vi sottostavano.

Scesi le scale, mettendoci più del necessario aiutata dal piede malconcio, e dal mal di testa martellante. Le scale davano direttamente sulla cucina ampia, dove, seduto al tavolo nel centro delle stanza, stava Zac, intento a leggere un quotidiano trovato probabilmente sotto il cuscino del divano, e vecchio di qualche giorno.

-Ehi piccola, sei stata una bomba ieri sera!

Disse ammiccando, chiaramente ironico.

-Ahh, sta zitto Zac.

Dissi di rimando. Scoppiò a ridere in una sonora risata che contagiò la stanza. Alzai un angolo della bocca, a mo' di sorriso.

-Ti sentivo russare dal piano di sotto Finn. Eri davvero distrutta ieri sera; non ti porto più al bar con me e gli altri se ti riduci cosi...

Roteai gli occhi, chiaramente scocciata, e questo sembrò far divertire ancora di più il ragazzo.

-Dimmi solo cos'ho fatto, mi sta scoppiando la testa, Cristo...

Mosse la testa indicando la sedia davanti a lui; mi sedetti. Non riusciva a guardarmi senza ridere.

-Finnesia Dinnegar, in nove anni di amicizia, credo di non verti mai visto ubriaca come ieri sera. Eri fuori di te. Dopo la seconda vodka stavi già ballando sul tavolo a biliardo del pub... poi sei caduta.

Ecco spiegato il piede dolorante e il mal di testa ( non reggevo bene l'alcool)

–Ti ho rimesso in piedi, ma neanche il tempo di dirti che ti riportavo a casa che eri già sparita. Ti ho ritrovato venti minuti dopo nel bagno del locale accollata a Paul, ed è stato imbarazzante dovervi separare.

Spiegato anche il rosso della cicatrice; un succhiotto o un morso (in effetti ho sempre trovato carino Paul)

-… ho dovuto prendere il ragazzo e consigliargli caldamente di non farsi vedere in giro almeno per un mese.

In quel momento mi immaginai uno Zac che, dall'alto del suo metro e novanta, prendeva in braccio me completamente sbronza e guardava furente il suo amico, avvisandolo di girare al largo. Sarebbe stata una scena da filmare. - Zacary Davidson che, audace, si preoccupa della mia incolumità. Ha-ha. Una scenata di gelosia per una pomiciata in bagno?! E con Paul per di più...

Stavolta fui io a scoppiare a ridere, cosa che gli fece sgranare gli ochhi.

-Eravate tutti e due ubriachi marci, e non volevo lasciarti fare cose di cui poi ti saresti pentita. Se sentissi i discorsi che Paul fa su di te quando non ci sei ti saresti preoccupata quanto me...

Un sorriso malizioso mi arricciò le labbra

-Mmm... e così Paul fa dei discorsi su di me...

Zac diventò paonazzo.

-FINN!-

scoppiai a ridere, quel ragazzo mi voleva proprio bene. Lo amavo come si ama un fratello, e adoravo questa sue scenate di gelosia, anche quando erano esagerate, perché lui mi faceva sentire bene, con tutto quello che faceva. Io e lui eravamo perfettamente compatibili. Infatti appena potevo andarmene di casa raccoglievo i vestiti per un paio di giorni e andavo a stare da lui, nella sua villetta appena fuori dal centro. I miei erano costantemente via per il lavoro, e stavano via anche per mesi, all'estero; così io ne approfittavo e andavo nel mio rifugio sicuro, tra le braccia calde e confortanti del mio migliore amico, lontano da tutto e da tutti.

Feci il giro del tavolo e mi misi a sedere in braccio a lui, abbracciandolo forte e a lungo. Una volta sciolto l'abbraccio, lui mi guardò.

–Adesso hai due opzioni: o mi fai una proposta indecente e corri su nel letto ad aspettarmi, oppure ti alzi dalle mie gambe, visto che sei mezza nuda...

Con uno scatto mi alzai, sentendo affluire il sangue nelle guance. Lui rise dolcemente, e attirandomi a se mi sussurrò ad un orecchio

–Vai a vederti allo specchio piccola, e sistemati.

Si allontanò quel tanto che bastava per osservarmi, e, passandomi un braccio attorno alla vita, mentre lui era ancora lì seduto, ed io in piedi di fronte a lui, col sorriso che gli decorava le labbra piene, continuò a parlare.

–Non che non mi piaccia lo stile punk da post-sbronza, però preferirei averti in casa se fossi più presentabile e se odorassi meno di alcool.

Scoppiammo a ridere ancora, ed io non smisi fino a che non mi fecero male le costole dallo sforzo;

-Va bene grazie della schiettezza Zac, vado a farmi una doccia... e dopo mi racconti com'è finita la serata.

Con questo mi congedai, e risalii le scale fino alla cameretta dove recuperai della biancheria pulita, dopo di che andai nel bagno accanto alla stanza, dove mi vidi allo specchio per la prima volta quella mattina: i capelli erano un groviglio corvino di nodi, e facevano da cornice a due stralunati occhi blu, cerchiati da pesanti occhiaie. Sul collo notai un altro segno rosso molto vistoso, un ricordo da Paul. Le uniche note normali in quella visione erano la maglia larga di Zac, e il piccolo tatuaggio blu tra l'incavo del collo e la clavicola: una N tracciata in un corsivo elegante, grande all'incirca un centimetro. Quella lettera era l'iniziale dell'unica persona che venisse prima del mio migliore amico. Mio fratello Noah.

 

 

 

 

 

 

ok.. grazie per chi è sopravvissuto fino alla fine del testo :D adesso posso solo pregarvi di continuare a leggere, sperando che seguiate i prossimi capitoli... Giuro che saranno meglio *diventa paonazza e chiede scusa se non vi è piaciuta* ..... per quelli che vorranno, ci si vede al prossimo capitolo <3

 

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Capitolo 2
*** Appena fuori dalla stanza. ***


Capitolo 3

 

 

 

Sentii due braccia stringermi. Mi staccai velocemente da Zac e dalle sue labbra, ancora socchiuse, e scesi dal divano. Il pavimento mi sembrava stranamente freddo, e la pelle d'oca si fece strada sulle gambe e sulle braccia. Il mio migliore amico mi guardava immobile, ancora fermo sul divano, nella stessa posizione di poco prima, fatta eccezione per le braccia, adesso lasciate immobili lungo i fianchi, le dita chiuse a pugno, la pelle sulle nocche bianca da quanto era tirata. Un piede, quello destro, era ancora indolenzito dalla posizione tenuta fino a poco prima, e la testa mi girava per essermi alzata così repentinamente, risvegliando quindi anche il mal di testa di quella mattina. -Finn?

Continuava a fissarmi con quegli occhi verdi, lo percepivo; ma io non riuscivo ad alzare lo sguardo, fingendomi stranamente interessata al bordo della maglia verde che indossavo, torturato dalle mie mani nervose.

-Senti guardami almeno.

Alzai la testa.

-Non me l'aspettavo, piccola. Non è successo niente, calmati e torna a sederti. Non mi mossi. Decise allora di alzarsi lui. Mi si parò di fronte, e mi prese per le spalle. Cercai di non fare caso al dolore che mi provocava alla spalla con la sua stretta, fortunatamente si accorse di dove aveva appoggiato la mano e la spostò.

-Finn...

Il mio nome mi suonò stranamente dolce, pronunciato con la sua voce. -...perché se tanto agitata? Non è successo niente, se vuoi dimentichiamo tutto ok?

Piano piano i nervi si stavano distendendo, sentendolo così calmo. Non se l'era presa, aveva capito che non volevo fare casini, che mi ero sbagliata, era stato accidentale...

-Scusa Zac.

Scoppiò a ridere,cosa che contribuì a confondermi.

-Piccola perché chiedi scusa?

Non mi diede il tempo di rispondere che continuò.

-Calmati, non mi dispiace, lo prendo come un ringraziamento per i complimenti di prima

Abbozzò un sorriso.

-Scemo.

Gli risposi.

Scoppiammo a ridere adesso entrambi, fino a che la faccenda non fu accantonata, quando io salii per trovare qualche libro da leggere e lui si rimise sul divano.

Verso tardo pomeriggio sentii i passi pesanti del mio migliore amico sulle scale, passare per il corridoio ad affacciarsi alla porta.

-Senti Finn stasera ti porto in un locale nuovo, che hanno appena aperto sulla statale. Inizia a prepararti che usciamo alle nove, e sappiamo entrambi che ti ci vorrà un po'.- disse ammiccando.

-Dimmi che non ci saranno Greg, Paul e Lavinia ti prego...

Lavinia era a sorella di Zac, una ragazza dolcissima, che adoravo; ma che non volevo vedere a causa delle mie performance della sera precedente.

-Solo noi due per tua fortuna. Ho sentito Greg però, e ha detto che ha un paio di video stupendi che ti riguardano...

-Quello...stronzo!

Zac scoppiò a ridere, voltandosi per uscire dalla stanza, e continuò a parlare.

-Attenta alle parole ragazza, fino a prova contraria non è stato lui ad ubriacarsi ieri... e comunque sono stato o a dirgli di girarli i video..

Un sorriso divertito mi distese le labbra.

Scesi dal letto, poggiando il libro che avevo tra le mani sulle lenzuola, la copertina blu chiaro rivolta verso il soffitto. Azzerai la distanza tra noi con una decina di passi, e quando fui dietro si lui gli presi un polso, facendolo voltare, ed inserendomi tra le sue braccia.

Qualcosa andò storto, perchè Zac si sbilanciò, e mentre mi avvicinavo per abbracciarlo, lui cadde all'indietro, portandomi giù con se, avendomi preso per la vita.

Finimmo entrambi sul parquet freddo del corridoio, io sopra il mio migliore amico. Eravamo stretti in quell'abbraccio, ancora a terra, quando lui si rigirò, ed io mi trovai sul pavimento. La schiena ormai scoperta dalla maglia, che si era alzata completamente lasciandomi in biancheria, era fredda, e aveva perso tutto il calore de momento precedente. Zac mi guardava intensamente, da quei pezzi di ghiaccio che aveva a posto degli occhi, verosimilmente freddi, eppure in quel momento lasciavano passare un calore mai visto prima nel suo sguardo. Mi sorrise, e stava per alzarsi, quando afferrai la stoffa della sua t-shirt, stringendola tra le dita, facendolo riavvicinare molto più di quanto non mi fosse vicino prima.

Era la seconda volta quel giorno. Ci guardavamo da troppo vicino, lui chiaramente imbarazzato, ed io anche di più. Sciolsi piano la presa dalla sua maglia, notando come le mie nocche si allontanavano dal calore e dalla morbidezza della pelle che ne stava sotto. Sentii il sangue affluire alle guance, poi fu tutto molto veloce.

Zac si era fermato sulle mie labbra, le fissava, ed io ero immobile. Una sua mano morbida mi scivolò sulla nuca, le dita attorcigliate attorno ai riccioli neri mi spinsero contro di lui, che si avventò sulla mia bocca semichiusa. Ripresi a respirare, accorgendomi di non averlo fatto durante quegli attimi.

Le sue labbra si muovevano sulle mie, scivolando, in un contatto delicato, leggero. Inspirai rumorosamente, e lui spinse ancor più la bocca verso di me. Sentii la sua lingua inumidirmi le labbra, ed io le dischiusi, assaporando la dolcezza, il sapore del ragazzo; calda e umida, la sua lingua si faceva strada sul mio palato, incontrando poi la mia, accarezzandola freneticamente, stringendola tra i denti, tirandola verso di sé. Una sua mano si spostò sul mio fianco, puntando le dita nella pelle fredda per il contatto col pavimento, salendo verso le costole, tracciandone il contorno con i polpastrelli.

Mi ero abbandonata a quelle carezze e quei baci, quando sentii le sue ciglia muoversi sulla pelle accaldata e rossa delle mie guance. Aprii gli occhi, trovandomi di nuovo difronte a quelle iridi, dove la pupilla scura si stava divorando l'azzurro ghiaccio. Si staccò da me.

Mi guardò, e senza dire una parola si alzò, porgendomi la mano per aiutarmi una volta in piedi davanti a me. Fui così in un attimo in piedi anche io.

-Finn...

Aveva la voce spezzata, il viso ancora rosso per il bacio.

-Vado a prepararmi per stasera...

Mi congedai, lasciandolo in piedi davanti alla porta, che chiusi non appena fui dentro la camera da letto, e contro la quale mi accasciai. Mi presi la testa tra le mani.

Non poteva essere successo veramente. 

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Capitolo 3
*** Bellissimo anche nel sonno. ***


Capitolo 2

 

 

 

Una lunga doccia calda, mi aiutò ad attenuare il mal di testa. Uscendo dalla porta mi feci scivolare di dosso l'asciugamano, che cadde a terra, e dopo aver indossato la biancheria decisi di vestirmi semplicemente con un altra maglia larga del mio migliore amico, questa volta verde scuro. Tornai davanti allo specchio dell'anticamera, armata di spazzola, per cercare di sistemare quello che avevo in testa. Dopo aver rinunciato, decisi che era forse meglio legarle i capelli, li avrei lavati il giorno dopo. Non mi truccai per il semplice fatto che sapevo quanto Zac odiasse vedermi truccata, e perché non ne avevo nessuna voglia. Mi morsi le labbra per farvi affluire un po di sangue, e darle un po di colore; un trucco per farmi sembrare meno stravolta. Scesi le scale.

Zac mi aspettava stavolta sul divano, e appena mi vide sorrise. Quant'era bello. Allontanai in fretta quel pensiero. Mi fece segno di avvicinarmi per sedermi accanto a lui. Con un salto arrivai sul divano, piombando direttamente sul mio amico, che scoppiò in una fragorosa risata nonostante il fiato smorzato a causa del mio peso.

-Se possibile sei ancora piu bella di prima Finn.

Lo guardai da sotto il suo braccio, dove mi ero accoccolata a lui.

-Eddai non accetti neanche più i complimenti adesso?!... Comunque, un grazie basterebbe, sai?

Lo disse stringendomi più forte, e più vicino a lui. Non risposi ancora. Mi piacevano troppo quei momenti, tanto che avevo la perenne paura di rovinarli dicendo qualche cazzata. Rimanemmo così in silenzio, fino a quando non fu lui a parlare di nuovo.

-Mentre eri in doccia ha chiamato Noah. Dice che viene tra qualche settimana e si ferma per un po'. Ha chiesto se puoi rimanere qui mente lui e Christal stanno a casa vostra. Ho detto che per me non c'erano problemi ma ne doveva parlare comunque con te. Richiamerà.

Lo guardai; quegli occhi color ghiaccio mi sapevano leggere neanche fossi un libro aperto. Sapeva benissimo che non avevo problemi a rimanere a casa sua, visto che ci vivevo già per la maggior parte del tempo, e pur sapendo sempre anticipatamente ogni mia risposta non si permetteva mai di darla per me.

-Si Zac, se non ti dispiace starei qui. Anche perché non riuscirei a stare nella stessa stanza con la ragazza di mio fratello per più di dieci minuti.

Dissi sorridendogli. Lui annuì, e li la conversazione cadde. Non parlammo per almeno un ora, durante la quale pensai a mio fratello.

Noah aveva quattro anni in più di me, ed eravamo molto uniti. Era un ragazzo alto, (poco meno di Zac), e magro. Completamente diverso da me, i suoi occhi erano marroni ed i capelli color caramello, le labbra piccole e sottili, ma nonostante questo il suo sorriso era bellissimo e luminoso. Amavo mio fratello, e mi dispiaceva non poterlo vedere molto spesso, poiché conduceva gli studi universitari all'estero. Studiava biologia, e grazie ad un corso di chimica conobbe la terribile ragazza con cui stava da ormai tre anni; Christal, due anni in più di me, si riteneva un genio. La odiavo per questo, e per il fatto che lui la stesse ad ascoltare, qualunque stronzata dicesse. Era una ragazza alta, fisico mozzafiato, bionda, occhi verdi. Un altro motivo per cui si era procurata tutto il mio odio era che risultava sempre bellissima agli occhi di tutti, tranne naturalmente che a me e Zac. Persino i miei genitori la ritenevano la ragazza ideale, esortandomi a prendere esempio da lei, affermazione alla quale rispondevo con un innumerevole numero di imprecazioni.

Tornai a focalizzarmi su Zac, che si era addormentato accarezzandomi la testa, e non me n'ero neanche resa conto. Gli spostai delicatamente la mano, mentre l'altra era ancora salda sul mio fianco. Mi posai delicatamente su di lui per cercare di uscire dal suo abbraccio, riuscendo però solo a complicare la situazione, ritrovandomi distante qualche centimetro dal suo volto rilassato, sentendo il suo fiato caldo sulle guance. Lo guardai, compiacendomi vedendo quanto fosse perfetto.

Dormiva profondamente, ed era bellissimo anche così, sdraiato sul divano, che mi circondava con le lunghe braccia. Non ci pensai neanche, e mi allungai su di lui, così da diminuire ancor più la distanza tra noi. Osservai le ciglia lunghe, il naso delicato e infine le sue labbra piene, e vi posai sopra le mie.

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Capitolo 4
*** Vestirsi per spogliarsi. ***


Capitolo 4

 

Ero arrivata alla doccia numero tre quel giorno. Avere i nervi a fior di pelle non aiutava di certo, si aggiungeva solo alla lunga lista di problematiche che presentavo. Mi avvolsi i capelli, ora sciolti dal loro groviglio di nodi e ben lavati. Mi spogliai, indossai la biancheria pulita e scelsi con cura il vestito da mettere: optai per un abitino blu scuro a maniche lunghe, attillato ma comunque non troppo elegante. Misi un paio di calze spesse, non prima di essermi però fasciata stretta il piede destro, per riuscirmi poi ad infilare le scarpe. Venti minuti dopo ero sulle scale, vestita e truccata, pronta per uscire. -I tacchi ti slanciano, piccola...- Mi girai e vidi Zac, in jeans e camicia, intento a sistemarsi la sciarpa, ottenendo scarsi risultati. - Sta' fermo, te la metto a posto io. - Mi avvicinai per aiutarlo, quando mi prese una mano e lentamente se la portò sul viso. Se la premette dolcemente sulla guancia, ed espirando disse - ...amo il tuo profumo, da sempre. - . Arrossii a quell'affermazione, e in quell'attimo lui, con un movimento tanto repentino da non farmene quasi accorgere, mi spinse conto il suo petto. Sentivo i battiti accelerati sotto la mano che avevo aperto sul suo torace, attutiti solo dal rumore dei nostri respiri. Chiusi gli occhi. In un attimo il suo viso fu allacciato al mio, ed io mi sciolsi sotto il calore di quelle labbra piene, schiudendo le mie. Le lingue giocavano e le mani esploravano; le sue appena sotto i miei fianchi, mentre le mie intrecciati tra i capelli mossi e morbidi. Inutile dire che quella sera non uscimmo. Finimmo quasi subito nella mia stanza, dove Zac mi adagiò tutt'altro che delicatamente sulla scrivania. Mi tolsi le scarpe lanciandole dall'altra parte della camera, incurante di qualsiasi altra cosa non fosse la bocca del ragazzo, impegnata adesso a lasciare leggeri baci sulla pelle del mio collo. Si soffermò nell'incavo tra spalla e clavicola, e alzò la testa: -Finn..-, cominciò ansimante, - ...quanto in là vogliamo spingerci?-. Afferrandolo per il colletto della camicia lo attirai verso di me, fino a quando i nostri volti furono a meno di un centimetro distanti l'uno dall'altro. Insinuai una mia gamba tra le sue, strusciandola contro l'interno coscia, poco sotto il cavallo dei pantaloni. Sentii il respiro farsi irregolare, ed un rumore grave uscì da quelle labbra perfette. Zac mise le mani tra l'inizio dei miei polpaccio e la fine dalle cosce, e con uno scatto del polso mi avvicinò sé. Mi strinsi attorno alla sua vita, e allacciai le mani dietro la nuca. I nostri corpi aderivano perfettamente l'uno all'altro: sentivo i muscoli tesi dell'addome e del ventre; inutile dire che la cosa mi eccitasse da morire, e non solo perché il mio migliore amico fosse bellissimo e dotato di un fisico invidiabile da chiunque, ma soprattutto per il fatto che non avevo mai pensato di voler vedere Zac in questo modo. Eppure il mio corpo smentiva questa cosa, facendomi continuamente spingere il bacino verso quello del ragazzo. Mi buttò sul letto senza molti riguardi, e, messo a cavalcioni sopra di me, finalmente la sua bocca fu di nuovo sulla mia. Godemmo di quella vicinanza per qualche secondo, fino a quando non si sollevò per liberarsi dalla camicia, (che nel frattempo avevo già quasi completamente sbottonato), aiutando poi me con la cerniera del vestito. Le calze scivolarono via dalle mie gambe aiutate dalle mani di Zac, dopo di che finirono a terra assieme ai suoi pantaloni e a qualsiasi altro indumento che fosse rimasto addosso. Si alzò dal letto, e rimase in piedi difronte alla testata di legno. Rimanemmo quindi così, per secondi che sembrarono ore: ci fissavamo intensamente, ora negli occhi, ora lasciando che lo sguardo vagasse per trarre beneficio da ciò che vedeva. Io stesa sul letto, con indosso solo un completo intimo lilla, e lui in piedi, teso, con gli occhi lucidi, le guance rossastre e con indosso un paio di boxer che lasciavano tutto all'immaginazione. Non pensai. Lo volevo. Lo volevo con tutta me stessa, e non pensai quando, alzandomi, ripresi possesso di quel corpo caldo insinuandomi tra le sue braccia. Gli diedi una leggera spinta con le mani, quel tanto che bastava per farlo cadere nuovamente tra le lenzuola morbide, e quando, invertiti i ruoli, fui io stavolta sopra di lui, lo vidi risvegliarsi dalla calma che l'aveva invaso fino a poco prima. Un sorriso malizioso gli increspò le labbra. In un attimo non ci fu più neanche la biancheria a porre un freno tra noi, e a quel punto il lato migliore di entrambi venne allo scoperto.

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Capitolo 5
*** Corsi fuori, senza voltarmi. ***


Capitolo 5

 

 

Ero immersa nel profumo dolce di Zac. Le sue braccia lunghe mi circondavano, e le sue labbra socchiuse erano posate sulla mia fronte. Ero accucciata accanto a lui, la testa nell'incavo del collo e le mie mani aperte sulla sua schiena. Accarezzai lentamente la pelle calda con i polpastrelli, godendo di quel contatto, così intimo. Alzai lo sguardo sul suo volto: era rilassato, le ciglia dorate disegnavano ombre scure sugli zigomi alti, e dalla bocca piena sfuggivano respiri regolari. Era dannatamente bello anche mentre dormiva. Mi mossi lentamente per cercare di uscire da quell'abbraccio senza svegliarlo, ma subito una sua mano si spostò sul mio fianco nudo, costringendomi a girarmi, mi ritrovai così davanti a due iridi chiare che mi fissavano. - Finn... - Lo sguardo era assonnato, ed i capelli spettinati. Il lenzuolo era scivolato sulla sua pelle lasciandolo così per buona parte scoperto. Avvicinai il mio viso al suo, cercando un breve contatto di labbra. Fu veloce e leggero, ma bastò per farmi scorrere un brivido che partì dalla base della schiena. Ci guardammo per qualche secondo, distanti pochi centimetri l'uno dall'altro, quando lui passò leggero le dita sulla mia guancia, poi si rigirò su un fianco, e chiuse gli occhi. I respiri ripresero profondi e regolari, facendomi capire che si era riaddormentato. Poggiai i piedi sul pavimento freddo, e recuperando la camicia del ragazzo da dov'era stata lasciata la sera prima, a terra, la indossai. Cercai di aprire la porta silenziosamente dopo che ebbi preso dall'armadio un paio di jeans e una maglia, scendendo poi le scale e andandomi a sedere sul morbido divano al centro del salotto.

 

Mi accorsi che era mezzogiorno passato solo per i segnali che il mio stomaco mandava lamentoso. Non toccavo cibo da almeno un giorno, mi avvicinai così al frigorifero nella vana speranza di trovarci qualcosa di commestibile, ma l'unica in quella casa che si degnava di uscire a fare la spesa qualche buona volta era la sottoscritta. Lo trovai vuoto, completamente, fatta eccezione per due birre nel ripiano più alto ed una bistecca surgelata; chiusi quindi lo sportello. Quando mi girai fui lieta di vedere che due assonnati occhi chiari mi osservavano dall'alto della scala. Zac era avvolto nel lenzuolo bianco del letto, i ricci color caramello erano un groviglio unico, avevo una gran voglia di passarci dentro le dita, sentirli scorrere morbidi sulla pelle e sciogliere tutti quei nodi. Scese le scale lentamente, con passo incerto. Immaginavo fosse per il sonno, ma scoprii purtroppo che il motivo di quell'esitazione era un altro.

 

 

 

(…)

 

– Ci devo pensare...

  • Cosa vuol dire che ci devi pensare?

  • Significa che non lo so Finn.

  • Non sai cosa?!

  • Non so se è giusto. Per me, ma soprattutto per te.

  • Scusa ma so io cos'è meglio per me, non ho bisogno di certo di chiedere a te.

  • Non fare così...

  • Così come Zac? Non dovrei incazzarmi forse?! Dopo sette anni ad essere praticamente fratelli hai superato l'unico confine che ci eravamo posti, ed IO non dovrei fare così?!

  • Lo sapevo che sarebbe andata a finire così, era una discussione che non avremmo dovuto neanche iniziare.

  • Si hai ragione, se avessi saputo che avresti detto certe cazzate magari non mi sarei tolta i vestiti ieri sera.

  • Finn..

  • No, hai ragione non sarebbe dovuta iniziare questa conversazione, come non sarebbe dovuto iniziare niente ieri sera.

  • Pensavi che forse sarebbe andato avanti tutto come sempre, che non cambiasse niente, tra noi?

  • Speravo di certo in una mattinata migliore.

  • Avresti dovuto pensarci prima di baciarmi ieri pomeriggio allora.

  • Vaffanculo.

 

 

 

Salii le scale due scalini alla volta, aprii la porta della stanza e presi tutti i vestiti che il mio zaino riusciva a contenere. Recuperai il telefono e mi infilai il cappotto. Scesi nuovamente da basso, attraversai il salotto quasi di corsa e afferrai il pomello della porta.

Sentivo mano di Zac posarsi leggera sul braccio che teneva stretta la borsa, quando mi girai, e mossi la mano con cui tentavo di aprire la porta, per spostarla dal pomello al volto del ragazzo.

Usai tutta la forza che riuscì a trovare, e le cinque dita aderirono perfettamente sullo zigomo alto, e sulla guancia morbida. Volevo fargli male, davvero male; almeno tanto quanto lui me ne stava facendo in quel momento, stando fermo dietro di me, a guardarmi con gli occhi compassionevoli e lucidi di chi crede di aver fatto la cosa giusta ad un prezzo troppo alto. Il contatto fu veloce, accompagnato dal rumore sordo della pelle contro la pelle. Girò la testa per il colpo, e subito la forma rossa comparve su quella pelle perfetta. Vedevo dallo sguardo che non credeva a ciò che avevo appena fatto, non credeva che per me fosse possibile arrivare a tanto. Si premette un palmo sulla zona dolorante, spingendo intensamente con le dita nella carne, conficcandovi le unghie quasi volesse farne uscire del sangue. Lo faceva per dirsi che era tutto vero, come quando ci si da un pizzicotto per svegliarsi da un brutto sogno. Sapevo che per lui tutto quello era distruttivo come per me, ma non me ne importava. Le iridi chiare mi trapassavano, incredule, spaventate, ferite e supplicanti; le labbra piene erano appena socchiuse, e tremavano impercettibilmente. Mi fissava, con la mano sulla guancia, avvolto ancora nel suo lenzuolo, ferito dall'unica che pensava di amare incondizionatamente seppur non nel modo in cui questa avrebbe voluto. Furono secondi che sembrarono secoli. Mi mossi velocemente, e senza il minimo dubbio annullai lo spazio che c'era tra di noi, sfiorando la sua bocca con la mia. Lo lasciai lì, in piedi difronte alla porta di legno massiccia, con gli occhi semichiusi per cercare di trattenere quello che poteva fuoriuscirne. Girai il pomello. Le lacrime non tardarono ad arrivare, rigandomi calde il viso. Piangevo. Piangevo mentre uscivo dalla villetta, piangevo mentre attraversavo il cortiletto, quando passai per il cancello di ferro, e piangevo anche quando, girato l'angolo della casa, mi sedetti sul marciapiede deserto, col fiato rotto dai singhiozzi.

 

 

 

Ciao a tutti :) Inizio col ringraziare tutti quelli che hanno letto questa mia storia, soprattutto fino a questo punto. Scusatemi per eventuali errori di battitura, sarei molto felice comunque se qualcuno mi lasciasse una recensione, giusto per capire come vi sembra come fanfiction ... Si accettano assolutamente le critiche per chiunque ne avesse, mi aiuterebbero anzi a migliorare qualcosina magari :) Grazie in anticipo, tra non molto credo di pubblicare il prossimo capitolo …

 

P.S per chiunque volesse leggere una FF sul DoctorWho, ne stanno scrivendo una bellissima che si intitola “Everithing is possible, if someone still believes it.” ….per favore dateci un'occhiata:) 

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Capitolo 6
*** Amare le docce al mattino. ***


Capitolo 6

 

 

 

Tirava aria corrente. Le spalle e la schiena mi venivano accarezzate dal soffio leggero e freddo che proveniva dalla finestra adiacente al letto, lasciata accostata. Una mano riposava calda tra le mie scapole, ed un respiro estraneo mi batteva regolare sul collo. Aprii gli occhi lentamente. Avevo ancora sonno, ma mi costrinsi ad alzarmi. Scivolai sotto il tocco di chi mi era sdraiato accanto, e mi liberai dalle coperte. Aprii il più silenziosamente possibile la porta e percorsi lo stretto corridoio che portava al bagno.

Entrai in doccia subito, mettendomi sotto il getto caldo, avvolta dal vapore che si era creato e massaggiata dall'acqua che mi colpiva la pelle ed i muscoli ancora intorpiditi dal sonno. Sciolsi i capelli che erano stati legati fino a quel momento in una coda stretta, lasciandoli ricadere sulla schiena e pettinandomeli con le dita. Chiusi gli occhi, piacevolmente rilassata e cominciai a canticchiare.

Un tocco leggero si fece strada su una mia spalla, una leggera carezza che scese fino ad incontrare il polso, poi la mano; e delle dita si intrecciarono alle mie.

-Sembri un angelo quando canti...

Un bacio alla base del collo, un altro sul profilo della mascella, uno dietro l'orecchio... La mano che non era allacciata alla mia si occupò di scostarmi i capelli dalla schiena, spostandoli sull'altra spalla. I muscoli tesi del suo ventre aderirono alla pelle bagnata della mia schiena; contatto che mi fece rabbrividire. Lasciò l'intreccio delle nostre dita, e facendo saldamente presa sui miei fianchi, mi voltò, ed io lo guardai. Osservai i riccioli rossi che gli ricadevano scomposti sulla fronte, appesantiti dall'acqua; il profilo spigoloso della mascella era già ricoperto da un velo di barba, e le labbra sottili erano aperte in un sorriso dove spiccavano i denti perfetti. La linea dritta del naso mi portò agli occhi ambrati, che illuminati dal riflesso dell'acqua lasciavano intravedere dei riflessi più scuri, delle pagliuzze bronzee nell'iride chiara. Le ciglia lunghe li mettevano in risalto, soprattutto adesso che erano fissi nei miei, caldi, quasi che l'ambra di cui avevano preso il colore si fosse sciolta. Non era il classico bel ragazzo, aveva più che altro fascino, e lo vedevo con la tipica ammirazione di chi guarda un ragazzo così particolare per di più di qualche anno più grande.

-Anche tu sembri uno di loro, ma non perché canti...

Annullai la poca distanza che era rimasta tra noi, appoggiando la mia fronte sul suo petto, cosa che mi fece sentire minuscola, come sempre del resto quando si trattava di paragonarmi in altezza a lui, e aprii i palmi sulle sue spalle, spostandomi poi per andare a giocherellare con le dita sul pomo d'Adamo.

-Mmh...

Sospirò di piacere quando raggiunsi e sue labbra posandovi sopra lei mie. In un contatto prima casto, poi sempre più dolce, affamato del sapore dell'altro, le labbra di entrambi si schiusero. Il suo respiro era rotto quando fece scivolare una mano dietro la mia nuca, passandola tra i capelli, vagando sulla schiena, scendendo velocemente oltre i fianchi. Mi strinsi maggiormente a lui, e ci staccammo solo quando fummo a corto di aria, per scambiarci uno sguardo complice, dei sorrisi maliziosi, ed aumentare la temperatura dell'acqua già bollente. Infilai le dita tra i capelli bagnati di lui e glieli spostai dalla faccia, tirandoli un po per fargli tirare la testa indietro, così da poter posare la bocca sulla pelle liscia del collo, dove lasciai piccoli baci leggeri fino all'orecchio, mordendone delicatamente il lobo carnoso, mentre lasciavo che le mani esplorassero libere il corpo del ragazzo. Reagì al mio tocco passando dolcemente sulle mie cosce, e posizionate le mani tra l'inizio del polpaccio ed il ginocchio, con un rapido gesto mi prese in braccio, come se non avessi un peso, senza alcun apparente sforzo, portandomi così alla sua stessa altezza. Strinsi le gambe alla sua vita, e, riprendendo possesso di quei ricci rossi, mi riallacciai alle sue labbra.

 

 

 

-Elia..

-...

-Elia ti dispiacerebbe girarti?

-....Scusa piccola non adesso.

-Non chiamarmi piccola.

-Si ok, ho da fare del lavoro adesso, scusa.

-Non hai da fare del lavoro, hai detto che eri libero stamattina.

-Mi hanno chiamato mentre ti asciugavi i capelli, sono solo un po' di carte da compilare, Finn.

-Fa' come vuoi. Ha chiamato Noah, ha detto che sono arrivati, sto uscendo per vedere come va.

-Certo. Chiudi la porta quando esci grazie.

-...

 

Mi vestii velocemente, avevo una tremenda voglia di uscire di casa. C'era stata un po' di tensione, e non avevo voglia di litigare. In alcuni momenti Elia era bello tanto quanto stronzo.

Stavamo insieme da qualche mese, e già avevo sistemato da lui la maggior parte delle mie cose. L'avevo conosciuto qualche settimana dopo essermene andata da casa di Zacary, in un pub qualunque. Mi aveva offerto da bere, eravamo usciti qualche volta. Inizialmente nessuno dei due voleva niente di serio, era solo sesso, ma non durò molto; ripensammo tutti e due se fosse il caso di vederci per qualcosa di più, per avere una relazione normale. Fui fortunata, a trovare un ragazzo che così giovane aveva già un buon lavoro, un appartamento in centro, e dei soldi da parte; e per di più che accettasse di condividere con me un po' del suo tempo.

Salutai Elia con un bacio veloce, un leggero contatto di labbra, e lo lasciai di nuovo alle sue carte.

Arrivai a casa in poco più di mezz'ora. Aprii il cancello ed entrai dal vasto portone di legno scuro, senza neanche avvisare di essere arrivata. Alla fine ero in casa mia. Posai la borsa sul divano bianco del salotto e mi diressi in cucina, da dove sentivo provenire delle voci. Seduti al tavolo c'erano mio fratello, ed anche Christal.

Noah corse ad abbracciarmi, stringendomi così forte da smorzarmi il respiro. Seppellii il volto nella sua maglietta, sentii il suo odore dolce. Non lo vedevo da sei mesi, e di certo avevo sofferto per quella distanza, nonostante ci sentissimo tutti i giorni, perché in quei mesi le cose non erano andate bene a nessuno dei due, e lo si capiva da come ci guardavamo; perché mi immersi in quegli occhi marrone scuro, che mi erano mancati così tanto, e quell sorriso malinconico che gli increspava le labbra. Lo avvicinai ancora forte a me, forte tanto da non volerlo più lasciare andare, e gli presi il volto tra le mani, spingendogli le dita così forte nelle guance da fargli quasi male.

-Ehm,ehm...

Due colpetti di tosse interruppero il nostro silenzio. Due stramaledettissimi colpetti di tosse.

-Falla uscire Noah.

-Christal vai.

Lo guardò accigliata, stupita.

-Davvero?

-No, scherzo.

Ironizzai, con un tono che voleva sembrare tutt'altro che divertito. La voce flebile di mio fratello smorzò però, un po' della mia rabbia.

-Vai a prenderti un caffè qui al bar, ti prego Chri.

Alzai gli occhi al cielo, infastidita e disgustata al tempo stesso dal nomignolo. Non facendoselo fortunatamente ripetere, si alzò dalla sedia sulla quale era appollaiata e dopo pochi secondi la sentimmo uscire dal portone dove poco prima ero entrata io, sbattendolo teatralmente. Presi mio fratello per mano e lo guidai nel salotto, dove una volta seduti sul divano, iniziammo a parlare.

 

-Come stai?

-Di merda, il solito.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Tante lacrime dopo lo sbaglio. ***


Capitolo 8

 

 

 

Lentamente il portone di legno scuro di casa mia si aprì. Lo scricchiolio che la serratura faceva da sempre era inconfondibile. L'avevo chiuso a chiave, quindi chi stava entrando era sicuramente Christal, solo lei aveva le chiavi.

In quel momento, mentre la serratura scattava e la maniglia viniva abbassata, mi accorsi del silenzio che accompagnava la situazione. Io era ancora immobile, stupidamente ferma, e Noah stava lì, al centro della stanza, intento a fissarmi, e a disperarsi. Dei passi risuonarono per il corridoio, ma non sembravano quelli di una sola persona; si udivano distintamente due paia di piedi, due con un passo veloce e leggero, e gli altri due che pesantemente si appoggiavano al pavimento, strusciando anche un po'.

Mi gettai accanto a mio fratello, prendendogli il viso tra le mani, ma lui mi allontanò di scatto. Le cose si fecero molto confuse in molto poco tempo: Noah si agitò, probabilmente per la mia vicinanza, e strabuzzando gli occhi mi spinse via di nuovo quando tentai di riavvicinarmi per calmarlo, mentre le lacrime non smettevano di scendere, una dopo l'altra, calde e salate, ed io disperata ripetevo il suo nome.

-Noah, sono qui! Noah! Noah! Ascoltami Cristo Noah!

Urlavo ancora, per la seconda volta quel giorno, ma mio fratello mi guardava non vedendomi. I suoi ochi erano puntati su di me, ma lo sguardo era vitreo, come se mi passasse attraverso e vedesse solo la parete di pietra fredda.

Due mai mi sollevarono, ma non volevo separarmi da lui. Strillai e mi rilanciai sul pavimento, dove riafferrai le spalle del ragazzo, scuotendolo, chiamandolo, pregandolo tra i singhiozzi di riconoscermi e di parlare, dire anche solo una parola, di togliersi quell'espressione spaventosa dalla faccia, di rinvenire, di insultarmi, di fare qualsiasi cosa non fosse rimanere inerme a guardarmi non vedendomi. Ma in poco meno di due secondi le mani che mi avevano sollevato prima, mi ritrovarono, e stavolta, più convinte, mi staccarono dal pavimento. Chiusi gli occhi e le lacrime risgorgarono, più amare.

Sentivo un calore familiare sulla schiena. Un petto ampio, muscoli tesi. Mi ero abbandonata tra quelle mani, che mi avevano circondato la vita, e con gli occhi ancora chiusi, sentii il rumore dolorosamente familiare dei passi pesanti e dei piedi trascinati, mentre venivo trasportata in una stanza del piano di sopra.

Riaprii gli occhi solo quando fui certa che la porta della stanza in cui mi avevano portato fosse chiusa. La camera dei miei. Il letto chiaro, le lenzuola bianche, il profumo intenso di mia madre, fecero da calmante naturale. Inspirai lentamente, riempii i polmoni di quell'aria familiare, di casa, ed espirai, buttando fuori il fiato caldo dal pianto che ancora non si era fermato, intervallando i singhiozzi. Mi voltai, e la prima cosa che vidi fu l'azzurro dei suoi occhi, che risaltava in tutto quel bianco.

Zac. Fermo davanti alla porta, mi stava leggendo con quelle sue iridi chiare, rese lucide dallo sforzo di portarmi su per due rampe di scale, dopo che io avevo anche opposto resistenza. Era uno sguardo caldo, carico di affetto ne ero certa, e di comprensione. Annullai la distanza tra noi, attraversando la stanza correndo, gettandomi sul suo petto, inspirando il suo odore, allargando i palmi sul tessuto morbido della maglietta per tirarlo e torturarlo con le unghie. Per quanto ferita ed orgogliosa potessi essere, adesso ammettevo quanto quel contatto mi fosse mancato per tutti quei mesi, durante i quali l'avevo evitato. Spinsi le labbra nell'incavo del suo collo, dove il cotone della maglietta attenuò le mie grida. Perchè gridai, gridai fino a perdere la voce, mentre la stoffa che attutiva quel suono si bagnava delle mie lacrime. Gridai tutta la mia disperazione, per l'avere quella vita di merda, dove vivevo sola, dove mio fratello cadeva in depressione ed i miei genitori erano lontano migliaia di chilometri da noi, fregandosene del nostro dolore, e continuai, sentendo le mani del mio migliore amico che mi stringevano, in un abbraccio caldo, che però non mi dava conforto.

Zac non smise di stringermi, neanche quando le gambe mi cedettero, e scivolai sul tappeto che ricopriva il parquet. Lui mi raccolse, e pazientemente mi adagiò sul letto fresco. Mi alzò il viso, delicatamente, mettendomi una mano sotto il mento, e con la manica della felpa mi tamponò le guance e gli occhi gonfi, asciugandoli. Ci guardammo in silenzio per attimi che potevano essere stati minuti, come secondi, e posò le labbra sulla mia fronte, spostandomi i capelli che vi erano scesi davanti. Si allontanò quel tanto che bastava per lanciarmi un altro sguardo dolce, e poi posò di nuovo le labbra, questa volta sopra le mie. Le premette in un contatto casto, semplice; non era nulla di sensuale o passionale, era solo un tocco rilassante, di pura amicizia. Lo fece per farmi calmare, per ridarmi un attimo di serenità, e poi si staccò nuovamente da me.

Parlò solo quando il mio respiro divenne regolare, e sentendo il suono della sua voce, ritrovai la mia.

-Finn...

-Cosa ci fai qui, Zacary?

-Ero venuto a trovare Noah; qualche mese dopo l'incidente abbiamo riallacciato i rapporti, abbiamo iniziato a parlare.

-Ed eri insieme a Christal quando sei entrato? Vi siete visti al bar?

-Ci siamo visti sul vialetto di casa, e siamo entrati insieme, non ero con lei.

Ansimavo.

-Grazie, di essere intervenuto.

-Cos'è successo prima che entrassimo Finn?

-Io... Stavamo parlando, e hatirto in ballo te, noi, il come ti trattavo, del fatto che avrei dovuto riallacciare i rapporti, e sono scoppiata. Gli ho gridato in faccia di smetterla, di prendersi le sue responsabilità e non occuparsi di quelle degli altri.

Sentivo le lacrime affiorare di nuovo, e lottai per ricacciarle dentro, strizzando le palpebre, abbassando lo sguardo.

-Gli ho detto di non preoccuparsi del mio senso di colpa, ma di alleviare il suo.

Le guance venero rigate ancora, e ancora, e ancora. Zac mi strinse a se, accarezzandomi la testa, che io sentivo leggera e pesante al tempo stesso.

-Christal si sta occupando di Noah. L'attacco di panico di poco fa è stato uno dei peggiori dall'incidente. Finn, sta bene adesso, succede, lo sai anche tu.

Singhiozzi, erano la mia unica risposta a quelle attenzioni.

-Ha pianto, si è sfogato, e adesso è con Christal e sta bene, mi hai capito Finn? Sta bene.

Continuò cullandomi tra le sue braccia. Me lo ripetevo nella testa, un chiodo fisso, un mantra.

-Sta bene, sta bene, sta bene, sta bene.....

Lo sussurrai, e mentre mi addormentavo stretta in quell'abbraccio sentivo il mio migliore amico che ripeteva anche lui, in un soffio:

-Shh, starai bene, sono qui... Shh, starai bene, sono qui.

 

Fui colta dal sonno. Sto bene, sei qui.

 

 

 

 

 

 

Ecco il novo capitoloo :) Ciao a tutti, come sempre grazie a chi legge le mie storie, spero che questo capitolo vi piaccia quanto piace a me... aspetto vostre recensioni.. al prossimo  ;)

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Capitolo 8
*** Urlare senza aver voce. ***


Capitolo 7

 

 

 

Avevamo entrambi le mani sudate, ma continuavamo comunque a tenerle una intrecciata all'altra, per darci forza, per sentirci un po' più vicini. Il discorso era sempre quello, lo stesso che portavamo avanti ormai da mesi, senza purtroppo risolvere nulla.

Noah mi trapassava letteralmente con quelle sue iridi scure, ed io cercavo di restituire lo sguardo in modo che non si percepisse la tristezza che provavo nel vederlo così; agitato, frustrato. Le occhiaie gli cerchiavano gli occhi, e la pelle delle guance era tirata sugli zigomi, più sporgenti dall'ultima volta che l'avevo visto. Era dimagrito.

-Ho sentito Zac.

-Cosa vuol dire che l'hai sentito?

-Mi ha chiamato qualche mese fa, per sapere come andava. Mi ha chiesto di te, poi.

-Non avrebbe dovuto tirati in ballo. Sono cose tra me e lui.

-A quanto pare tra te e lui non c'è più niente invece, neanche vi parlate più.

-Stanne fuori Noah, hai cose più importanti a cui pensare.

-Più importanti di mia sorella, non credo. Di certo preferisco preoccuparmi di te piuttosto che crogiolarmi nella mia depressione.

-Non ho bisogno che ti preoccupi per me.

-Io dico di si. Finn, mi sembrava a terra, voleva chiamare anche te, ha detto di averti lasciato moltissimi messaggi in segreteria, e di averti cercato di contattare in ogni modo possibile. Gli errori si fanno sai, ha sbagliato.

-Non cercare di sensibilizzarmi su queste cose, ti prego. So benissimo di tutte le volte che mi ha scritto, chiamato o contattato in qualsiasi altro modo, ma semplicemente non mi interessa.

-Non essere stupida, certo che ti interessa. Senti, richiamalo e sistemate la questione.

-No grazie, tu occupati dei tuoi problemi e non dei miei una buona volta! Dio santo Noah, guardati! Avrai perso dieci chili, sei pallido, e non dormi da giorni. Preoccupati di alleviare il tuo senso di colpa e non quello degli altri!

 

Gridai quell'ultima frase. La gridai usando tutto il fiato che avevo nei polmoni, con tutto l'odio e la rabbia che avevo represso in quei mesi; per Zac, per i miei genitori assenti, e per come mio fratello si stava buttando via. La gridai contro Noah, l'unico che mi aveva sostenuto sempre, nonostante io non riuscissi a fare altrettanto bene con lui, rinfacciandogli gli sbagli che stava commettendo solo perchè voleva aiutarmi a riparare ai miei, solo perchè in quell'ultimo periodo le cose non mi erano andate bene, solo perchè ero egoista, tanto da non riuscire a vedere quando fermarmi, come in questo caso.

Le parole che avevo detto io stessa mi piombarono addosso come un macigno, schiacciandomi sotto il loro peso. Spinsi convulsamente le mani davanti alla bocca, per affievolire l'urlo che tentava di uscirne, e che non riuscendoci si trasformò in un soffio raschiato in gola, basso e doloroso; mentre gli occhi mi si gonfiavano e la figura di mio fratello lentamente si distorceva e si appannava dietro alle lacrime. Il mio viso fu squarciato da quei rivoli caldi, che passavano sullo zigomo, scendevano sulle guance, e si posavano sulle labbra, infilandosi tra le dita ben serrate, ancora lì premute. Avevo appena visto l'espressione di Noah, mutare men mano che realizzava la mia ultima affermazione, poco più che una frase, lanciata come se fosse una freccia, dritta in una delle tante piccole crepe dell'armatura che mio fratello si era creato da solo, distruggendola. Era sbiancato, le labbra distese a formare una sottile linea bianca. Lo sguardo che si spegneva, le iridi che si scurivano, le pupille che si dilatavano. Aveva buttato le spalle avanti, espirando sonoramente, prima di portare le mani ai capelli, infilandovi le dita, e tirandoli fino a farsi male, per realizzare, per provare dolore.

Mio fratello era crollato. Ero riuscita ad impedirlo per tanto tempo, e adesso ero stata proprio io a demolirlo, con una frase. Una sola fottutissima frase.

Sapevo cosa avevo appena fatto, ma non volevo crederci. Era adesso a terra, in ginocchio, e in un urlo sordo si sfogava, quasi piangendo, preso da un attacco di panico. Guardandosi intorno cercava un posto da dove scappare, ma riusciva a vedere solo me, allibita, immobile, e non potevo fare altro che assistere a quello spettacolo.

 

Mio fratello sei mesi prima era stato coinvolto in un incidente stradale, dove il suo migliore amico Matt era morto, sul colpo. La colpa dell'accaduto non fu sua, ma si convinse comunque del contrario. Aveva ucciso un ragazzo, il suo migliore amico. In quegli ultimi sei mesi Noah aveva convissuto ogni giorno con il senso di colpa, vivendo la perdita cadendo lentamente e inesorabilmente in depressione.

Ed ero stata io, in quel momento a farlo ricadere in quel vortice, buttandogli addosso una verità che lui aveva distorto, e che gli faceva più male di quanto avrebbe dovuto. Era come se glie l'avessi urlato contro, implicitamente, una muta accusa, gridata in modo da non farla sembrare tale, consapevolmente. Avrebbe capito così la mia frase:

Arrenditi Noah, tanto sai di averlo ucciso.

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tuttii :) Ok, inizio col ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia storia, fino a questo punto soprattutto ... Questo capitolo è molto personale secondo me, dal punto di vista di finn, e ho adorato scriverlo per quanto sia poco allegro.. Comunque, aspetto vostre recensioni, davvero, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, mi sarebbe anche molto utile per migliorare visto che è la prima ff che scrivo.. Beh io aspetto :) ancora grazie, al prossimo capitolo!

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Capitolo 9
*** Coperte bianche e odore dolce. ***


 

Capitolo 9

 

 

 

Un odore dolce, familiare; un intenso profumo di colonia e dopobarba, mi investì in pieno. Aprii le palpebre ancora pesanti per il sonno, sbattendole ripetutamente per spannare gli occhi stanchi, reduci da una notte quasi insonne. Vidi per prima cosa le lenzuola bianche e morbide dentro le quali ero avvolta, e che avevo tirato fin sopra la fronte, creandomi uno spazio caldo nel grande letto matrimoniale. Mi sciolsi dall'abbraccio confortevole delle coperte, per sollevarmi e far scorrere lo sguardo sulla stanza: era semi buia; la luce entrava in lame sottili dall'ampia finestra che avevo alle mie spalle, passando dalle fessure delle imposte, per giocare sulle pieghe del copriletto bianco. Dei mobili scuri si riuscivano a distinguere vagamente solo i contorni. Mi accorsi solo dopo qualche secondo, di un ritmo ovattato, che regolare rompeva il silenzio della camera.

Zac era sdraiato alla base del letto, ancora vestito come la sera precedente. La felpa gli si era spostata coprendogli il viso, lasciando così vedere solo i riccioli color caramello. La schiena era rimasta parzialmente scoperta, come la vita sottile spuntava sotto i jeans leggermente abbassati. Un braccio era sotto la testa, a fargli da cuscino, mentre l'altro era allungato verso i guanciali del letto, dove le sue dita si aprivano appena. La mia mano era a pochi centimetri dalla sua, e probabilmente ci eravamo addormentati così, nello stesso letto, rimanendo a distanza, uniti da quel caldo contatto di pelle e dita. Mi mossi verso di lui, e delicatamente, per cercare di non svegliarlo, gli scoprii il viso. Le labbra carnose, semichiuse, erano schiacciate contro il braccio. In un movimento impercettibile, le ciglia si aprirono, rivelando le iridi color ghiaccio. Mi accorsi di averlo svegliato, e feci appena per spostarmi, ma lui si mosse subito, alzandosi con un gesto fluido dal materasso per mettersi seduto. Si abbassò la maglietta con molta calma, e notando che guardavo purtroppo con interesse, mi lanciò uno sguardo malizioso di sottecchi. Si passò le mani nei capelli, scuotendoli e tirandoseli indietro per toglierli da davanti agli occhi.

-Buongiorno piccola.

Disse mentre si alzava in piedi, fermandomisi difronte, davanti alla testata del letto. Risentirglielo dire mi fece affluire il sangue alle guance, e gli occhi mi si inumidirono.

Quanto avevo desiderato riaverlo con me in quei mesi, quanto mi ero disprezzata per come lo avevo trattato. Appena dopo l'accaduto ricordo di essermi chiusa in me stessa; divenni triste, malinconica, fino a che non sopraggiunse la rabbia, con un impeto tale da farmi credere di odiarlo, di non volerlo rivedere mai più, di aver sprecato anni pensando di conoscerlo ed illudendomi. Ebbi la sensazione di non aver più alcun bisogno di lui, e finsi di sentirmi bene, ma sapevo cosa provavo davvero. Ero delusa, perchè mi aspettavo qualcosa di migliore che una notte di sesso e poi mille scuse, perchè speravo solo di vederlo sorridere, e non di dover scappare da quella che ormai era anche casa mia.

Ora Zac mi fissava con quei suoi occhi chiari, aprendo la bocca in un mezzo sorriso. Chiaramente aveva notato la mia reazione, sapevo che era capace di leggere ogni mio pensiero solo guardandomi, e ne sembrava divertito, quasi compiaciuto. Ci scambiammo sguardi, nel silenzio della camera da letto buia. Dapprima divertiti ed imbarazzati, questi si fecero più attenti, osservatori. Colsi la dolcezza, il desiderio e la preoccupazione nei suoi occhi, in quelle iridi ghiacchio, che apparivano incredibilmente calde, quasi che questo si fosse sciolto. Interruppe lui quel silenzio, ancora:

-Come stai Finn?

Deglutì, cercando di utilizzare la voce che sembrava si fosse rintanata nell'angolo più recondito della gola. Uscì infatti in un sussurro, che anche Zac faticò a sentire; provata dal pianto della sera precedente, vibrante e leggermente rauca.

-Potrei stare meglio.

-Di cosa avresti bisogno per stare meglio?

Di te. Non lo dissi, non avrei mai potuto, ma lo pensai, lo gridai nella mia testa, utilizzando la voce che non avevo.

-Voglio vedere Noah.

-Andiamo allora.

Si girò di schiena e fece per aprire il pomello della porta dopo aver attraversato la stanza con solo due grandi falcate, ma si fermò. La mano allungata sulla maniglia, gli occhi fissi sul pavimento, i muscoli del collo tesi. Strinse le dita, piegando le nocche nella presa finchè la pelle che le ricopriva non divenne bianca per quanto era tirata. Si girò e affondò le labbra nella mia spalla, inspirando il mio profumo, spostando una mano tra i miei capelli.

-Mi sei mancata.

Mi stringeva a sé, sul petto ampio. Mi irrigidii in quell'abbraccio, e lui, accorgendosene mi lasciò.

-Scusa, non avrei dovuto.

Così dicendo si rigirò, veloce quanto prima, e passò la soglia.

Tintinnai un momento, ancora perlessa da quanto era accaduto, con ancora il suo ododre doce nelle narici, la sensazione dei suoi polpastrelli che mi accarezzavano leggeri i capelli. Fu un attimo, ma fu comunque terribile. Un colpo dritto in mezzo al petto, che riaprì una voragine che speravo fosse chiusa. Lo guardai, ancora tesa e rigida, ma potevo vedere solo i muscoli contratti del collo, e le mani strette a pugno alla fine delle braccia lasciate dritte lungo i fianchi. Ero sicura che sul volto avesse un'espressione vuota, lo sguardo perso. Aveva sofferto anche lui, e me ne aveva dato una prova, adesso.

Non potevo preoccuparmene però, non adesso, non lì. Mi costrinsi a scacciare via tutte le immagini che stavano riemergendo nella mia mente, tutti i pensieri, tutte le emozioni che affioravano, schiacciandoli nell'angolo più buio e desolato di questa. Lo superai velocemente, passandogli affianco, e lo sentii trattenere il respiro, per una frazione di secondo, poi tornò al ritrmo regolare di sempre. Camminai veloce attraversando il corridoio, e non mi fermai né mi girai per guardarlo. Seppi solo che ad un certo punto i suoi passi risuonarono dietro di me, ma non nella mia stessa direzione. Si allontanavano, si facevano più leggeri, poi una porta che si chiude. Era rientrato in camera.

Continuai a camminare, ancora.

Avevo cose più imortanti a cui pensare, avevo Noah. Mi importava più di lui che di chiunque altro, anche di Zac, soprattutto di Zac. Avevo appena spento l'interruttore delle emozioni, me ne ero resa conto, ed ero felice di aver fatto questa scelta, per quanto mi fosse difficile. E lo era, davvero, perchè ancora odoravo di lui, ancora sentivo i suo tocco, la sua voce nelle orecchie, ma non potevo permettermi di ricascarci.

 

Non avevo bisogno di lui, non adesso, non così vicino da portarmi ferire ancora.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao :) Sono riuscita a scrivere e pubblicare in un po' di giorni, ma sono mediamente contenta di come è venuto. Speravo meglio, scusatemi ma è tutto quello che riesco a fare. Spero in vostre recensioni, fatemi felice daii :) Beh sempre un grazie ai lettori, che stanno diventando numerosi. Alla prossima pubblicazionee <3

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** 7 chiamate perse. ***


Capitolo 10

 

 

 

 

 

Noah dormiva. Ero entrata nella sua stanza nonostante le occhiate rabbiose e seccate della sua ragazza, ed ora mi trovavo sulla soglia della porta, in silenzio, a guardarlo mentre si agitava nel sonno. Incrociai le braccia davanti al petto, e mi accorsi di stare tremando. In quella stanza faceva davvero freddo. Mi mossi lentamente, e quando fui sul lato del letto, alzai le coperte calde, infilandomici sotto. Presi posto accanto al fianco di Noah, abbassandomi per sistemare la testa sulla sua spalla. Il contatto con la mia pelle fredda lo fece sussultare, ma non si svegliò. Le palpebre erano serrate, anche se qualche volta tremolavano aprendosi quasi, e le iridi si muovevano veloci sotto la pelle sottile; le labbra sottili erano semiaperte, il volto rilassato. Non c'era traccia di alcuna emozione sulla sua espressione, a parte quando si agitava per un qualche sogno, allora contraeva la bocca, piegandola in una smorfia e serrava le palpebre, muovendosi leggermente sotto le coperte. Mi addormentai sul ritmo regolare dei suoi respiri, sentendo il suo fiato spostarmi i capelli, percependo il calore della pelle. Poi strinsi le dita attorno al tessuto della sua maglia, e mi addormentai.

Due mani mi scossero dal sonno scuotendomi piano dalle spalle, e udii distintamente la voce di mio fratello chiamarmi.

-Finn... è tardi svegliati.

Strinsi le palpebre, infastidita dall'improvvisa luce che c'era nella stanza. Non avevo idea di che ora fosse, neanche quando prima di andare da Noah mi ero svegliata nella stanza con Zac; avevo direttamente attraversato la stanza, e imboccato il corridoio, schivando Christal, solo per vederlo. L'idea iniziale era quella di parlare, per quanto questo l'ultima volta fosse risultato distruttivo.

Quando mi decisi ad aprire gli occhi, Noah mi guardava sorridente. Aveva la pelle leggermente pallida, il viso era lucido, e dalle guance agli zigomi un rossore lo colorava. I capelli gli ricadevano scomposti sulla fronte, ma li teneva a bada con una mano, mentre con l'altra si reggeva per tenersi alto su di me, spingendola contro il materasso. Stranamente esibiva un sorriso; una splendida piega su quelle labbra sottili che mostrava i denti perfetti. Era un sorriso vero, di quelli che scoprivano la fossetta accanto alla bocca, e che gli illuminavano gli occhi, e stranamente lo stava rivolgendo a me. Dopo tutto quello che era successo il giorno prima, credevo che gli sarebbe stato difficile anche solo parlarmi , e che si sarebbe infuriato vedendomi nel letto con lui. Invece mi sorrideva, e sembrava davvero felice.

Mi alzai sui gomiti, e lui indietreggiò piano, così da ritrovarci faccia a faccia. Mi tolsi i capelli da davanti il viso, ed alzai una mano per portarla sulla fronte di Noah.

-Tu scotti.

-Buongiorno anche a te sorellina.

Spostai la mano sulla sua guancia, e anche lì la pelle era troppo più calda del normale perchè non avesse la febbre. Lo guardai preoccupata, ma lui sorrideva ancora, raggiante. Ricambiai il suo sorriso, esitando con le dita sul suo volto.

-Davvero Noah, sei bollente, devi provarti la febbre.

-Si si, dopo la provo. Comunque, come stai?

-Lo stai chiedendo tu a me?

-Perchè, non dovrei?

-Beh, no! Sei tu che ieri hai avuto un attacco di panico, e a causa mia.

Il sorriso gli si restrinse sulle labbra, senza fargli perdere però l'espressione tranquilla.

-Non è stata colpa tua.

-Si, lo sai benissimo. Sono stata stupida a dirti certe cose, ad urlartele in faccia. Sai che non le penso davvero, era la rabbia a parlare, non io.

Prese la mano che avevo nel frattempo tolto dal suo viso tra le sue, stringendola piano, facendomi percepire ancora di più quanto fosse calda la sua pelle.

-Basta, non voglio più sentire certe stronzate. So cos'ho fatto, so che non avrei dovuto interessarmi degli affari tuoi e di Zac, e che non avrei dovuto tirare in ballo la questione. Non parliamone più, ti prego, dimentichiamo di ieri pomeriggio.

Ecco che il sorriso riprendeva posto distendendogli le labbra.

-Certo, basta stronzate.

Mi allacciai al suo collo, e le sue braccia mi strinsero.

 

Erano le due di pomeriggio. Dopo che mio fratello fu uscito dalla stanza mi vestii: un paio di vecchi pantaloni del pigiama di Noah ed una maglia di mio padre mi bastarono. Andai nel bagno della stanza. Raccolsi i cappelli corvini, ormai lunghi quasi fino al bacino, in una coda alta, da dove fuoriuscivano numerosi ciuffi che mi ricadevano sulla nuca. Andai davanti allo specchio: gli occhi blu, stralunati come sempre, mi facevano risaltare la pelle chiara, mentre le guance piene evidenziavano le labbra piccole ma carnose. Era abbastanza minuta, la vita sottile, i fianchi pronunciati quel poco da dar la pervenza che avessi qualche forma. Il collo lungo, alla base di cui erano evidenti le clavicole, mi davano un aspetto slanciato. Non mi osservavo da qualche tempo, e notai di aver perso peso. Mi spogliai, distogliendo lo sguardo dal mio riflesso, e decisi di entrare in doccia.

Stetti sotto il getto abbastanza tempo da riempire il piccolo ambiente interamente di vapore. Mi avvolsi in un asciugamano, e recuperando i vestiti rientrai nella camera da letto. Solo quando mi avvicinai alla scrivania di Noah mi accorsi del post-it che, attaccato sullo schermo del mio telefono, diceva:

Hai 7 chiamate perse, forse dovresti richiamarlo, quando ho risposto sembrava piuttosto agitato.

Riconobbi la scrittura di mio fratello, e staccando il biglietto attivai lo schermo facendomi scorrere davanti agli occhi i numeri della rubrica.

Rispose al secondo squillo.

-Elia...

-Elia un cazzo Finn! È due giorni che non ti fai sentire, ti ho chiamato ma non lo sentivi neanche il telefono, cristo!

-Lo so, mi dispiace ascoltami...

-No ascoltami tu, perchè poco fa, all'ennesima chiamata, hai risposto; inutile dire che io non abbia urlato perchè sai che non è così. Per due minuti ininterrotti ho parlato da solo, mentre all'altro capo del telefono c'era solo silenzio, e quando mi sono sfogato mi rispondono dicendomi Sono suo fratello amico, calmati. Capisci cosa mi irrita di tutta questa storia?!

-Ero in doccia, e ieri è successo un casino e non ho potuto chiamare. Mi dispiace non essermi fatta sentire, ma Noah ha solo risposto al telefono.

-Il problema non è tuo fratello Finnesia!

-E allora che problemi hai, visto che mi sono già scusata?

-Il problema è che ti interessi solo di te stessa, non pensavi che io fossi qui ad aspettarti ieri sera, come non pensi mai a nulla!

Urlava, e dovetti allontanare il microfono dall'orecchio.

-Mio fratello è stato male, ed io pure! Ti avrei chiamato, l'avrei fatto tra poco, ma vedo che comunque non ti interessa molto quello che dico, quindi è inutile parlare.

-Si è inutile, tanto non capisci.

Riappese.

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi... scusatemi se ci ho messo più del solito a pubblicare questo capitolo, ma nella testa avevo una storia, e scrivendo ne è uscito tutt'altro! Mi spiace se alcuni pezzi sono un po' confusi, ho fatto del mio meglio... I prossimi saranno meno malinconici giuro <3 Aspetto recensioni vi pregooo, anche una parolina o due, niente di che, ma fatemi sapere cosa ne pensate, o magari cosa vorreste che accadesse, ve ne sarei davvero grata... al prossimo capitolo gente <3

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Capitolo 11
*** Apnea. ***


Capitolo 11

 

 

 

 

 

Mi ero vestita in fretta, sfilandomi distrattamente la maglia dalle spalle e facendo scivolare i pantaloni larghi lungo le gambe. Avevo preso portafoglio, telefono e chiavi di casa, ed ero uscita dalla stanza.

La stazione distava poco meno di un chilometro da casa dei miei genitori. In quel momento era deserta, vuota, e sembrava ancora più grande di quanto in realtà non fosse. Il vento mi tagliava la faccia, ed io alzai il bavero del cappotto leggero che mi proteggeva; chiusi le dita attorno alle maniche, e alzai il volume della musica. Le note della canzone mi riempivano la testa, e la melodia mi faceva un po' di compagnia, con il fischio leggero del vento. Socchiusi gli occhi, e senza accorgermene canticchiai a bocca chiusa qualche accenno della canzone, fino a quando il vibrare delle rotaie non fu abbastanza forte da sovrastare il volume delle note.

Mi mossi verso la porta del vagone, esattamente davanti a me, e misi il piede sul primo gradino. Un'alta figura nera mi passò accanto, ed indifferente del fatto che fossi lì mi urtò dandomi una spallata, quasi facendomi perdere l'equilibrio.

Girai la testa con uno scatto, e misi a fuoco la figura di poco prima: un alto ragazzo biondo, avvolto in un cappotto nero. Il bavero alzato era leggermente coperto dai capelli biondo pallido, e le gambe lunghe avanzavano con passo sostenuto nella direzione opposta rispetto a dov'ero io.

-Ehi!

Gridai irrompendo il silenzio della stazione, disturbato solo dai rombi del motore del treno. Avevo un piede sull'asfalto del binario, e l'altro all'interno della porta. Il ragazzo si voltò, mostrandomi il volto sottile; i ciuffi biondi cadevano scomposti davanti agli occhi, neri e lucidi, e un sorriso si allargava sulla bocca rossa, scoprendo i denti affilati. Alzò la mano in segno di scusa, e mentre le porte del treno si richiudevano, si voltò, per riprendere la sua camminata veloce.

 

Ascoltai la stessa canzone fino a quando non arrivammo alla fermata dove dovevo scendere. Mi preparai per affrontare di nuovo il vento gelido, e per camminare fino a casa di Elia.

 

Infilai le chiavi nella toppa, e mi soffermai sull'uscio. Strattonandole piano, mi tolsi le cuffie dalle orecchie, posandole insieme al telefono e alle chiavi sul tavolino accanto all'entrata. Mi liberai delle scarpe e del cappotto, lasciandole distrattamente da qualche parte e appendendo l'altro all'attaccapanni. Mi passai una mano sul viso, pronta ad affrontare una nuova discussione con Elia, notando quanto ancora fossero freddi i polpastrelli in contrasto con la pelle calda delle guance; mi tolsi i capelli dagli occhi, mi risistemai la maglia.

Forse era una mia impressione, ma quel giorno il silenzio era assordante, sia alla stazione poco prima, che in casa in quel momento. Non accesi la luce del corridoio, e silenziosa aprii la porta della mia camera da letto. Avevo una tremenda voglia di liberarmi dei vestiti, per mettermi più comoda, o forse per sentirmi addosso l'odore di Elia; così spalancai l'anta del suo armadio, e ne tirai fuori una maglia, arrangiandomi ad indossare un paio di vecchi pantaloni, che non mi andavano più un granché bene. Uscì dalla stanza, chiudendomi alle spalle la porta, e riattraversai il corridoio. La sala era buia, e sul divano riconobbi subito il profilo di Elia.

Era sdraiato sui cuscini, con i riccioli rossi che gli coprivano la faccia, ancora vestito come la sera prima immaginavo, col completo da ufficio. Mi piegai su di lui, e nonostante la rabbia che provavo per come mi aveva trattato al telefono la mattina, mi avvicinai per posargli un bacio sulla fronte, da sopra i capelli rame che la coprivano. Il fruscio della stoffa mi fece spostare lo sguardo sul suo braccio, prima lungo il fianco, adesso spostato per poter posare la mano sulla mia gamba. Mi voltai di nuovo, ed incontrai le iridi ambrate, fisse nelle mie.

-Finn...

-Elia.

Entrambi non sapevamo cosa fare, inconsapevoli di come l'altro aveva preso l'ultimo scambio di battute che c'era stato tra di noi, e ce ne stavamo lì fermi, troppo vicini per poterci concentrare a sufficienza, nella penombra, a guardarci.

-Senti io... non so cosa mi sia preso davvero.

-Avrei dovuto chiamarti... non ho idea del perchè non l'abbia fatto.

Parlammo in sincrono, e l'ombra di un sorriso gli mosse le labbra. Non era incazzato come temevo.

-Scusami piccola.

-Non chiamarmi piccola.

Sapeva che non avrebbe neanche dovuto chiedermi scusa, ma lo faceva sempre comunque. Quella che prima era un ombra, adesso gli si allargò sul volto, aprendogli le labbra e distendendogli l'espressione in una più serena. Si mosse sul divano, buttando a terra qualche cuscino, e mettendosi seduto. Le dita ancora immobili sulla mia coscia.

 

Mi avvicinai istintivamente a lui, e piano, mi accoccolai sulle sue gambe. Con una mano mi accarezzava i capelli sulla spalla, giocando con i boccoli, attorcigliandoseli attorno alle dita, con l'altra mi cingeva la vita, per farmi rimanere in equilibrio sul fianco. Avvicinai il volto al suo collo, sentendo il suo profumo, pizzicandomi con la barba che accennava a crescere.

 

-Elia...

-Mmh?

-Ti amo.

 

Le carezze si fermarono. Le dita strinsero la presa sul mio fianco. Giurai di aver sentito il suo respiro bloccarsi dentro ad i polmoni per un attimo, lasciandolo in apnea per la sorpresa. Mosse la testa verso il basso, ed in quel poco di luce che la stanza ci permetteva di avere, scorsi la sua espressione. Le labbra socchiuse, le sopracciglia tirate a formare una linea dritta, gli occhi un poco più aperti del normale. Non disse niente, e mi spinse contro il suo petto, cercando le mie labbra con foga.

 

Un contatto leggero, uno sfiorarsi di bocche. Le carezze non tardarono a farsi meno delicate, e in molto poco, le sue mani trovarono il mio volto, circondandolo, spingendolo ad annullare totalmente lo spazio tra noi due; i baci si fecero più profondi quando sentii la sua lingua bagnarmi le labbra. Scese sul mio collo, appoggiando la bocca sulla clavicola, tirando appena la pelle con i denti, mentre le mie mani armeggiavano con i bottoni della camicia, e le sue risalivano piano sotto la mia maglietta. Ci liberammo di entrambe, lasciandole sul pavimento. Appoggiai i palmi sul petto nudo, ma Elia si allontanò dal tocco, prendendomi per i fianchi e facendomi sdraiare completamente sul divano. Lo guardavo dal basso, mentre era cavalcioni sopra di me, con un velo di sudore sulla fronte, ed i capelli scompigliati ad incorniciargli il viso. M fece scivolare via dalle mie gambe i pantaloni, con un unico movimento, insieme veloce e delicato. Armeggiai con il bottone dei pantaloni da sartoria, ma non mi diede tempo di arrivare alla zip; mi prese le mani, facendomi allungare le braccia sopra la testa, e fermandole stringendomi i polsi insieme. Spinsi la testa all'indietro, quando Elia risalì piano dal fianco alla spalla, tracciandone il profilo con le labbra e con la lingua, soffermandosi sulla cicatrice rossa che avevo appena sotto l'incavo del collo, e ritornando in basso, verso l'ombelico. Quando lasciò la presa sui miei polsi, in preda ai brividi, immersi una mano nei riccioli rossi, facendogli alzare la testa, per guardarlo, e riportare sulle mie le sue labbra morbide. Fui accontentata; la sua lingua esplorava libera il mio palato, incontrava la mia, mi bagnava le labbra, che stringeva anche piano tra i denti. Le mie dita scesero nuovamente sulla chiusura dei pantaloni questa volta riuscendo nell'intento, così che lui fui costretto a scalciarli via, rimanendo con “indosso” solo la biancheria.

Il nostro ritmo si era fatto frenetico, il suo respiro affannoso ed il mio altamente irregolare. Le sue mani erano scivolate sulla mia schiena, e soffermatesi un attimo sul ferretto del reggiseno , senza aspettare lo tirarono finchè non cedette e si aprì. Mi accarezzò, graffiandomi le guance con la barba appena ispida, spingendo il bacino contro il mio, chiaramente impaziente. Ribaltai le posizioni, facendolo girare, e montando su di lui, circondandogli la vita con le gambe. I suoi boxer stavano diventando velocemente troppo stretti, e le sue mani senza sosta vagavano sulla mia schiena, spingendomi sul suo petto, stringendomi la nuca mentre mi solleticava il lobo con le labbra. Spostò le dita per andare a giocare con il merletto dei miei slip, tirandoli appena, e passandoci sotto per aprire il palmo sulla natica, stringendo piano la presa, facendomi sussultare. Con un sospiro fin troppo rumoroso mi avventai di nuovo sulle sue labbra, mordendolo, graffiandogliele con i denti, lasciando che aderissimo perfettamente l'uno all'altro, incontrando la pelle calda ed umida sotto la pancia ed il seno, percependo gli slip scivolare via dalle cosce accompagnati dalle sue mani, cominciando poi con un ritmo incessante, facendo sbattere il divano conto il muro, in colpi sordi, nel buio della stanza.

 

-Ti amo, ti amo anch'io.

 

 

 

 

 

 

Buenos diassss :D scusate se vi ho fatto aspettare, ma la scuola in questi giorni non mi ha permesso di scrivere più di tanto... questo capitolo è...è.... beh non è come credevo che sarebbe venuto, ma ci accontentiamo :/ Scusate se alcuni passaggi sono confusi, ma non essendo questo propriamente il mio genere è stato più complicato di quanto mi aspettassi ..* arrossisce poi abbassa la testa dalla vergogna*.... Comunque... sto ancora aspettando le vostre recensioni, anzi, sembra che le stia un po' elemosinando... mi spiace essere insistente, ma mi farebbe davvero molto piacere, e se volete vedermi conteeentaaaa.... :3 Va beh, ci si vede al prossimo capitolo gente. Au revoir! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Cappotto nero. ***


Capitolo 12

 

 

 

 

-Il termometro segna 39°...

-Cazzo. Ok, portagli il ghiaccio, io sto arrivando.

-Aspetta, cosa dovrei fare finché non arrivi?!

-Non ne ho idea! Ancora tre fermate e sono in stazione.

-Ok, a dopo Finn.

-Ciao Zac.

Poggiai il polpastrello sull'icona rossa dello schermo, terminando la chiamata. Il treno era come sempre deserto, e l'unico rumore che si sentiva era quello del cigolare delle rotaie. Mi voltai verso il finestrino, e osservai la città che mi passava veloce davanti agli occhi.

Solo la notte prima ero stata con Elia, e adesso ero seduta sul sedile scomodo del vagone, per arrivare in fretta da mio fratello, che essendo a casa solo con Zac, mi aveva chiamato informandomi di avere la febbre e di essere preoccupato da una possibile idea del ragazzo di occuparsi di lui. A quel pensiero un sorriso mi distese le labbra.

La voce robotica che usciva dall'altoparlante informò i passeggeri di essere arrivati a una delle fermate, e distraendomi, mi fece spostare lo sguardo sulle porte automatiche della carrozza. La gente stava salendo, affollando il piccolo spiazzo per passare dalla prima alla seconda classe, ed interrompendo il silenzio che mi aveva accompagnato fino a quel momento. Addio tranquillità. Mi feci più piccola sul mio sedile, stringendomi la borsa sul fianco con una mano, e cercando con l'altra le cuffiette nella tasca. Tirai fuori il groviglio di fili, e facendo partire la musica sul telefono, mi isolai, sperando di passare inosservata e che nessuno occupasse qualcuno dei tre posti che avevo liberi accanto. Scivolai sullo schienale, e mi spostai dei boccoli corvini dietro le orecchie, aspettando che il treno si mettesse in movimento.

Il baccano delle persone nella carrozza era attutito dalle note della melodia, quando percepii una voce di sottofondo. Tirai appena il filo di una cuffia, sfilandomela dall'orecchio, e girai la testa in direzione della voce.

Due iridi nere mi guardavano, a poco meno di mezzo metro di distanza. Il proprietario della voce si trovava in piedi davanti al mio sedile, indicando appena con la mano il posto davanti a me. Alto e slanciato, il lungo cappotto nero lo fasciava lasciando percepire la linea della vita stretta, e le spalle larghe. La pelle bianchissima faceva risaltare ancor più gli occhi scuri ed i capelli chiari, in un contrasto strano. Le labbra erano distese in un sorriso di cortesia. Quando riemersi dai miei pensieri, mi accorsi di averlo fissato senza rispondere alla sua domanda, che tra l'altro non avevo capito per via della musica. Era ancora in attesa di una risposta.

-Ehm.. si scusa..

-Si posso sedermi, o si il posto è occupato?

-Si, scusa siediti.

Con un movimento fluido si infilò tra i due sedili, prendendo posto. Ancora imbarazzata per prima, cercai di non incontrare il suo sguardo, concentrandomi sullo schermo spento del telefono che avevo in mano, o sulle note della canzone che stava riproducendo. Mi sentivo stranamente impacciata, e per un qualche motivo mi ritrovai a constatare che le nostre ginocchia si toccavano nello stretto spazio per le gambe, così che io riuscissi a percepire il calore della sua pelle sotto i jeans. Mi mossi nel tentativo di mettere quanta più distanza tra noi, ma di nuovo la sua voce interruppe i miei pensieri.

 

-Scusa per la spallata.

Rincontrai le iridi nere. Un angolo della bocca gli si era alzato appena, nella strana imitazione di un sorriso. Non avevo idea riguardo a cosa si stesse riferendo. Doveva avermi scambiato per qualcun altro.

-... Quale spallata?

-L'altro giorno, in stazione. Ero di fretta e non mi sono potuto scusare.

Davanti agli occhi mi balenò l'immagine della stazione deserta, due giorni prima, e delle porte del vagone che si aprivano davanti a me. Una figura che scendeva gli scalini, un accenno di scuse con la mano.

-Ah... Avrei..Avrei dovuto riconoscerti.

Un sorriso luminoso, poi si allontanava camminando veloce, mentre salivo in carrozza.

-Non fa niente, tranquillo.

Accennai un sorriso timido. Uno sconosciuto mi stava chiedendo scusa. Uno sconosciuto dannatamente attraente.

-Comunque piacere, Sebastian.

Il cappotto nero che svolazzava, ed io che lo seguivo con lo sguardo; le porte automatiche che si chiudevano.

-Finnesia.

Un altro sorriso, questa volta più caldo. Stavo parlando con un ragazzo che non conoscevo, che avevo appena definito dannatamente attraente, e che il giorno prima mi aveva visto in stazione, provocandomi un bel livido viola sulla spalla. Mi convinsi che però non c'era niente di male, tanto non lo avrei più rivisto, quindi afferrai la mano che aveva proteso verso di me e la strinsi, mentre un sorriso gli illuminava gli occhi.

Pensai davvero che fosse strano, forse per l'aspetto o perchè solitamente i ragazzi non sono così cortesi.

La voce elettronica mi riscosse dai miei pensieri, facendomi staccare lo sguardo dal ragazzo, avvisandomi di essere arrivata alla stazione. Mi alzai in piedi, e percepii di nuovo il contatto delle nostre gambe. Allontanai velocemente quello stupido pensiero, e alzando il bavero del cappotto, accennai un saluto con la mano.

-Ciao, Sebastian.

 

 

 

Il vento, come il giorno prima, soffiava freddo, ed il sottile cappotto non mi riparava come avrebbe dovuto. La distanza dalla stazione a casa dei miei genitori era di poco meno di un chilometro, ed in cinque minuti mi ritrovai davanti al cancello di entrata.

Percorsi il vialetto, per aprire poi il portone di legno scuro, col familiare cigolio della maniglia. Il calore che usciva dalla porta mi investì in pieno, facendomi stringere nella giacca. Il salotto era illuminato, e sul divano candido riuscivo a vedere Noah.

Due mani calde si soffermarono sulle mie spalle magre, ed io mi voltai, trovandomi difronte il petto ampio di Zac.

-Dammi il cappotto.

Il viso familiare era addolcito dal sorriso, e i ricci chiari erano portati dietro le orecchie.

-Ciao Zac.

Misi quanto più entusiasmo potevo nel mio tono di voce, per mascherare quanto mi faceva male ancora vederlo. Non parve accorgersene, probabilmente fingeva anche lui come me.

Mi feci scivolare dalle braccia la giacca, dirigendomi verso il divano. Mi sedetti accanto a mio fratello, prendendogli la testa e mettendomela sulle gambe. Premetti le dita sulla sua fronte: la pelle scottava sotto la mia mano, e notai come anche il sudore gli aveva attaccato i capelli color caramello lungo la linea dell'attaccatura. Le guance erano più rosse sugli zigomi, e quando le palpebre sbatterono appena, vidi le sue iridi ambrate rese lucide dal caldo. Noah mi fissava dal basso, in parte coperto dai miei capelli, scesi da dietro la spalla.

-Ehi Finn.

Mi rivolse un sorriso debole, ma subito girò la testa, scosso da dei colpi di tosse.

-Come hai fatto a ridurti così? Sto via una notte sola, e ti ritrovo moribondo...

Rise appena, muovendosi sulle mie gambe per tirarsi un po' su.

-A proposito... Serata movimentata con lo stronzo delle chiamate?

-Lo stronzo di.. che cosa?!

Sentii la risata tonante di Zac dalla cucina, e scorsi l'espressione divertita sulla faccia di mio fratello. Aveva appena alluso ad una mia “serata movimentata”, e al mio ragazzo come “lo stronzo” di che so io....

Presi a passargli le dita tra i capelli, vedendo il sollievo che gli dava il contatto con la mia pelle ancora fresca da fuori. Ero in attesta di spiegazioni.

-Finn, sono più grande di te, e ho capito subito che eri corsa a casa per sistemare le cose.

-E questo dovrebbe spiegarmi il senso di 'serata movimentata' ?

-Beh, si risolvono col sesso queste cose, non credere che non lo sappia.

Sbuffai, ma in fondo ero divertita; quella conversazione non era propriamente strana per me e mio fratello, e neanche per Zac, ma la trovavo comunque mal inserita in quel contesto, mentre Noah era malato, e tra me e Zac le cose andavano.. beh non andavano.

Mi accorsi della presenza del ragazzo nella stanza quando prese posto accanto a me, sul divano. Cercai di non farci caso.

-Riposati Noah, io devo sistemare le mie cose, rimango qui per 'sta notte.

-Agli ordini.

Lo borbottò mentre si rigirava su un fianco, sdraiato sui cuscini del lungo divano.

Uscendo dalla stanza mi voltai verso Zac, che fiducioso mi rivolse un sorriso.

Salii le scale, percorrendo il corridoio per entrare nella stanza dei miei, dove qualche notte prima avevo dormito con il ragazzo al piano di sotto. Cercai di non pensarci, quando tirando fuori i vestiti dalla mia borsa, li riposi nell'armadio. In mano mi capitò il telefono. Lo schermo era illuminato e la scritta 4 messaggi non letti era ben visibile.

 

'Mi dispiace piccola, ma il capo ha chiamato, dicendo che questa settimana ci sarebbe stato bisogno di me ad un distaccamento della banca.'

'Scusa davvero, non posso dirgli di no.'

'Ti amo, ti chiamo io' -Elia.'

Il quarto messaggio veniva da un numero sconosciuto.

'Spero di rivederti, prendo sempre lo stesso treno.

-Sebastian'

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scusate se vi ho fatto aspettare dieci giorni... ma eccoci col nuovo capitolo :)  Mediamente soddisfatta di com'è venuto, dichiaro ufficialmente di essere un po' a corto di idee.. vi sarei grata se qualcuno avesse la bontà d'animo di lasciarmi qualche idea nelle recensioni, spero di non chiedere troppo <3 Comunque, grazie di aver letto il capitolo, alla prossima!

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Capitolo 13
*** Iridi. ***


Capitolo 13

 

 

 

 

 

Un filo d'aria corrente mi accarezzava la pelle della schiena scoperta. Mi risvegliai sentendo pungente l'odore della sua pelle, e percependo le mani inserite tra i ricci morbidi della testa. Il petto ampio mi sfiorava il seno nudo, mentre il ventre caldo aderiva al mio fianco, coperto dalle lenzuola. Le lunghe braccia mi rinchiudevano in un abbraccio stretto, dove eravamo attaccati e respiravamo l'uno il fiato dell'altra. Mossi piano le palpebre, schiudendo le ciglia quel poco che mi bastava per vedermi riflessa nelle sue iridi.

Le vidi nere. Vidi due liquide iridi nere, sotto delle ciglia bionde, sottili, quasi trasparenti.

Sobbalzai quando percepii il tocco delicato dei suoi polpastrelli sulla pelle fresca della mia spalla. Chiusi gli occhi, spingendomi più verso di lui. Quando ricatturai il suo sguardo, gli occhi ambrati e familiari che mi aspettavano non erano gli stessi che avevo visto poco prima.

Alzai un la testa, quel tanto da vedere chiaramente il groviglio di ricci rossi tra le mie dita. La barba ispida di Elia mi graffiava le guance appena,e la sua voce mi giunse alle orecchie in un soffio.

-Buongiorno.

Un mugolio di piacere mi uscì dalle labbra, quando le sue dita mi scivolarono su per la coscia, soffermandosi sul fondoschiena, per iniziare con una lenta carezza. Mi allacciai alle sue labbra, assaporandole con foga, in un bacio profondo. Lo feci forse per l'eccitazione, o forse per allontanare il pensiero di poco prima, quello in cui non ero sicura di chi avrei voluto vedere nel letto con me.

La bocca screpolata di Elia si era spostata sul mio collo, dove lasciando segni rossi, si stava facendo strada verso le spalle ed il petto. Mi liberai delle coperte calciandole via, e rabbrividendo sentendo la pelle ancora calda dal sonno raffreddarsi alla carezza dell'aria.

Sebastian

Quel fottuto nome era scritto dentro le mie palpebre, e lo rivedevo ogni volta che chiudevo gli occhi. Sbuffai spazientita, ed il ragazzo, prendendolo per un verso di piacere mi scivolò ancor più addosso, per sistemarsi tra le mie cosce, continuando con i suoi baci, mentre le sue mani erano ferme sui miei fianchi; le dita spinte sulla mia pelle a lasciare leggeri graffi. Io accarezzavo l'ampia schiena, godendo al contatto dei muscoli tesi delle spalle e del collo con i palmi ben aperti. Gli occhi, tenuti ben chiusi fino a quel momento, adesso riuscivano solo a guardare il volto arrossato di Elia, e a percepire quanto fosse impaziente ed eccitato. Mossi una mano per prendergli il mento, e riportarlo su, verso di me, per riprendere possesso delle sue labbra. Si mosse allora veloce, affamato com'era di quel contatto. Gli avvolsi le gambe attorno alla vita, premendomi forte contro il suo petto, sentendo il contatto col suo ventre caldo. Prese a mordermi le labbra, forte, poi a baciarle, dolcemente e piano iniziò con movimenti lenti, spingendomi tra le pieghe del copriletto bianco.

 

Mi svegliai per la seconda volta quella mattina. Passai una mano sul lato opposto al mio del letto matrimoniale, sentendolo vuoto e freddo. Il silenzio che regnava nell'appartamento era inquietante, ma era sempre così quando Elia usciva ed io ero da sola. Mi alzai subito per andare verso la finestra, chiudendola per fermare l'aria corrente. Attraversai la stanza, lanciando uno sguardo al letto ormai completamente disfatto, ed aprii la porta per dirigermi al bagno che stava alla fine del corridoietto. Una doccia calda mia aiutò a svegliarmi del tutto, facendomi pensare al primo risveglio di quella mattinata. Nascosi la faccia sotto il getto caldo e scrosciante.

Vidi nuovamente il suo nome, nel buio delle palpebre chiuse, ma allontanai veloce il pensiero, dandomi della stupida e riaprendo forzatamente gli occhi.

Uscii dal bagno che avevo riempito di vapore, dirigendomi verso il salotto. Non mi curai dei capelli gocciolanti né del fatto di essere nuda; alla fine ero in casa mia. Mi avvicinai al bancone della cucina, dove un biglietto scritto da una calligrafia familiare e ordinata mi diceva:

-Ti ho lasciato dormire, mi dispiaceva svegliarti solo per dirti che uscivo. Stasera non aspettarmi alzata perchè torno tardi. Il capo ha avvisato che tra due giorni parto per un distaccamento, e starò via una settimana. Mi dispiace, ti amo.

-Elia

 

Roteai gli occhi all'indietro, scocciata e stufa di quei continui viaggi di lavoro, che nelle ultime settimane si erano fatti sempre più frequenti, ma sorrisi appena rileggendo quel ti amo scarabocchiato con l'inchiostro nero.

Lasciai dov'era il biglietto, e recuperato il mio cellulare dal tavolino della sala, mi diressi in camera da letto per vestirmi.

Il pomeriggio arrivò veloce. Lo passai a leggere e a vedere qualche film, poi, verso sera mi decisi a chiamare Noah.

-Ehi, Noah.

Dall'altro capo del telefono nessuno rispondeva.

-Noah..?

Un colpetto di tosse leggero annunciò una risposta.

-Ciao Finn.

Riconobbi il tono di voce. Sentii il cuore perdere un battito, nel petto. Odiavo sentirlo, odiavo sentire la sua voce dannatamente dolce, dannatamente familiare. Non avevo alcun tipo di rapporto con lui, cercavo di guardarlo il meno possibile, di non stare nella stessa stanza in cui stava lui, ma di certo Noah non mi rendeva la cosa facile, visto che lo invitava a casa praticamente tutti i giorni adesso che Christal era tornata all'università, mentre lui aveva intenzione di prendersi un anno sabbatico. Strinsi un poco di più il telefono tra le dita.

-Ciao Zac.

 

La telefonata fu breve e concisa. Il ragazzo mi aveva informato del fatto che Noah l'avesse invitato, come suo solito, e che entrambi mi volevano lì per cena. Fui tentata di dire di no, ma alla fine cedetti, nonostante il pensiero di passare tutta la serata in compagnia di Zac mi provocasse una stretta al cuore. Purtroppo gli volevo bene, un bene diverso da quello che si prova per un migliore amico, ma che era misto all'odio e alla rabbia per avermi trattato come aveva fatto.

La conversazione terminò, ed io andai dritta in camera per vestirmi. In poco meno di mezz'ora fui pronta, così uscii di casa per camminare fino alla stazione.

Come al solito la stazione era deserta. Il silenzio perenne stava diventando assordante, cominciavo a guardarmi in giro per vedere se ci fosse qualcun altro oltre a me. Nessuno. Mi strinsi allora nel cappotto, cercando di non pensare al cielo che diventava sempre più scuro, e la temperatura sempre più bassa.

La campanella tintinnò annunciando l'arrivo del treno, squarciando il silenzio in cui ero avvolta e anche spaventandomi col suo suono improvviso. Le rotaie vibrarono sotto il peso delle carrozze, quando una di queste mi si fermò davanti aprendo le porte.

Attraversai la soglia dirigendomi al sedile più vicino, buttandomi la borsa accanto. Chiusi gli occhi ed aspettai che il treno cominciasse a muoversi sotto di me.

Arrivata a due stazioni da casa, provai l'insensato impulso di riaprire le palpebre che erano state serrate fino a quel momento; forse aspettandomi il normale afflusso di gente di quando prendevo il treno al mattino, o nel pomeriggio, forse aspettandomi di vedere lui; trovai però lo spiazzo tra la prima e la seconda classe completamente vuoto, nessuno che saliva o scendeva dagli scompartimenti. Delusa, richiusi gli occhi.

 

Anche la stazione vicino a casa era tristemente vuota e silenziosa. Gli unici suoni udibili erano quelli del motore del treno ancora in sosta, e delle poche macchine che passavano a quell'ora. Presi a camminare in fretta. Ero quasi oltre il cancello, quando una mano si posò delicata sul mio braccio.

Mi voltai veloce, e l'unica cosa a cui pensai fu Sebastian.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scusate di nuovo per il ritardo... ringrazio come sempre tutti quelli che hanno letto la mia storia fino a questo capitolo, vi prego se ne avete voglia di lasciarmi qualche recensione <3  Ci si vede al prossimo capitolo :)

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Capitolo 14
*** Cena in tre. ***


 

 

Capitolo 14

 

 

 

 

Ero quasi oltre al cancello, quando una mano si posò delicata sul mio braccio. Mi voltai veloce, e l'unica cosa a cui pensai fu Sebastian.

 

 

Due iridi chiare erano fisse nelle mie, stanche ed ingrigite, e fui delusa di non vedere lo sguardo scuro e liquido che mi aspettavo.

Un elegante signore avanti con l'età, saldamente poggiato ad un bastone di legno scuro, tendeva una mano verso di me.

Mi sentii stupida per due motivi: il primo era che speravo di rivedere il ragazzo, per quanto insensato fosse, mentre il secondo era che stavo fissando l'anziano insistentemente, senza alcun apparente motivo. Fu la sua voce a risvegliarmi dai miei pensieri, e mi sforzai di mostrare un sorriso che apparisse quantomeno cordiale.

-Temo le sia caduto questo.

Mosse le dita attorno all'oggetto che teneva nelle mani bianche. Un telefono.

-Grazie, ma credo non sia mio.

Mi ricontrollai le tasche per averne la conferma.

-Sono certo che sia suo, glie l'ho visto cadere dalla tasca mentre scendeva dalla carrozza.

Spostai lo sguardo dal viso dell'uomo al telefono. Il modello, il colore. Ne fui certa quando vidi il graffio irregolare a lato dello schermo, lo riconobbi.

-Oh, certo. Si è del mio ragazzo, non mi ero accorta che mi fosse caduto. Grazie mille.

Allungai la mano e lo presi mentre me lo porgeva. Si liquidò con un saluto cordiale ed un sorriso caloroso, ritornando verso la stazione, mentre già si faceva buio.

 

Percorsi la strada dalla staziona a casa di fretta, col vento che mi fischiava nelle orecchie, ed i lampioni che ronzavano. Mi rigirai il telefonino tra le dita per tutto il tempo, tanto che era diventato caldo nei punti dove lo tenevo. Non capivo perchè ce l'avessi io, ma decisi che ci avrei pensato poi. Lo infilai in tasca quando arrivai finalmente al cancello d'entrata, e percorrendo il vialetto mi fermai davanti al portone di legno scuro. Poggiai il dito sul campanello, che trillò insistente. La maniglia cigolò, e Zac comparve sulla soglia. Sorrisi appena superandolo di fretta, non ascoltando nemmeno i saluti che aveva tentato di farmi, di cui avevo colto solo qualche borbottio insensato. Il salotto si apriva davanti a me, luminoso e caldo; la voce di Noah mi arrivava dalla cucina.

Abbandonai il cappotto sul divano, e attraversai la stanza per raggiungere mio fratello cercando di non pensare ai passi pesanti di Zac che sentivo dietro di me. Corsi ad abbracciare Noah, allacciandomi alla sua vita, stringendomi sulle sue spalle. Si girò nell'abbraccio, così da potergli vedere il viso, disteso in un espressione felice, con le fossette evidenti che solcavano le guance. Mi strinse a sua volta.

-Ciao sorellina.

-Come stai Noh?

Si allontanò di qualche passo, e distendendo il braccio indicò la tavola apparecchiata.

-Abbastanza bene da permettermi di cucinare tutto il pomeriggio per te.

Rise. Adoravo sentirlo ridere.

-Speriamo sia servito a qualcosa.

La voce di Zac era sarcastica, ma non per questo il commento mi giunse meno pungente. Non sapevo bene se il suo scopo era avvicinarmi fingendosi simpatico, o quello di allontanarmi definitivamente. Probabilmente lui era confuso quanto me.

Mio fratello gli rispose qualcosa che non mi preoccupai di ascoltare, concentrata com'ero sull'odore che arrivava dai fornelli accesi.

Mangiammo tra risa e battute, stranamente senza commenti sul fatto che Elia fosse partito di nuovo così all'improvviso, o su Christal che era tornata in università da diverso tempo. A fine cena, Noah parlò.

 

-Ho lasciato Christal.

Mi bloccai col bicchiere in mano, a metà tra la bocca ed il tavolo. Zac lo guardava scioccato.

-Tu cosa?!

Non ci credevo. La odiavo, ok, ma non era così che mi immaginavo di ricevere la notizia. Speravo di più in un litigio teatrale, con tanto di uscita di scena sbattendo il portone; sarebbe stato divertente.

-Cosa c'è? Se n'è andata lasciandomi da solo, per lei era più importante lo studio di me.

Ne parlava come se fosse una cosa logica. In effetti detta così poteva anche sembrarlo.

-E tutti i vostri progetti? La casa, il matrimonio...

-Quelli erano tutti progetti di mamma e papà per noi, io non ho ai avuto intenzione di sposarmela. Ci hanno sempre creduto più loro di me, anche se ammetto di averla amata.

Zac lo interruppe.

-Certo, e adesso BOOM! Non la ami più? Così, tutto d'un tratto?

-No, idiota. Ci ho pensato su un po', poi l'ho chiamata stamattina ed ho chiuso.

Non avevo parole. Credevo che mio fratello fosse attaccato alla sua insopportabile ragazza, che tenesse di più a lei, che non l'avrebbe mai lasciata con una chiamata come il peggiore degli stronzi. Mi dovetti ricredere.

Aprì appena la bocca per rispondere a Noah, ma il suono acuto del campanello mi fermò.

Veloce mio fratello si alzò della sedia, sotto lo sguardo accusatorio mio e stupito di Zac. Si diresse verso la porta. Mi girai verso il ragazzo, e gli parlai a mezza voce, mentre dei brusii venivano dalla sala.

-Non posso crederci.

-L'avresti mai detto? Tuo fratello ha avuto finalmente le palle di scaricarla.

Roteai gli occhi infastidita da quel commento. Per quanto potessi odiarla mi dispiaceva che Noah l'avesse trattata in un modo così insensibile.

-Dici che veramente è quello il motivo? Lo studio e la distanza?

-Secondo me si era stufato di essere trattato di merda.

-Forse.

Non mi convinceva la versione di Zac, ma la conversazione non proseguì oltre. Dei passi percorrevano la sala, e udii distinta una voce alle mie spalle, che mi irrigidì i muscoli del collo, facendomi raddrizzare sulla sedia. Mi voltai di scatto, ed incontrai uno sguardo liquido,

delle iridi nere.

 

 

 

 

 

 

Ciao ragazzi :) Scusate per l'attesa, ma ecco finalmente il nuovo capitolo. Non è venuto come speravo, (anzi, detesto questo pezzo della storia), ma purtroppo anche le parti noiose servono. Prometto che il prossimo sarà devastante, altrimenti potete venire a cercarmi u.u …..Non vi farò aspettare così tanto per la prossima uscita, vi chiedo di lasciare un commento, una recensione se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate, mentre io prego di avere un'illuminazione per scrivere qualcosa di degno *voci celestiali cominciano a cantare l'alleluia*.... speriamo in qualcosa di buono <3 Un bacio lettori...

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Capitolo 15
*** Conversazione. ***


Capitolo 15

 

 

 

 

Mi ero voltata veloce, e l'avevo visto, accanto a mio fratello, in mezzo al salotto di casa mia. Le mani bianche infilate nelle tasche dei jeans chiari, le spalle incurvate appena, e la testa rivolta verso Noah. Ci eravamo scambiati uno sguardo appena, e forse lui neanche se n'era accorto. Se ne stava lì a parlare, con un angolo delle labbra sollevato.

Mi mossi dalla sedia, facendo il giro del tavolo e mettendomi in piedi accanto a Zac. Lui ne fu sorpreso, ma si alzò a sua volta.

-Sebastian!

Lo chiamai a mezza voce, ma lui mi sentì perfettamente, e voltandosi verso di me si illuminò in un sorriso.

-Finnesia.

Noah si era anche lui rivolto nella mia direzione e mi guardava dubbioso. Nel frattempo il ragazzo mi si era avvicinato di qualche passo, scordandosi del tutto di mio fratello.

-Vi conoscete?

Parlò lui, sempre guardandomi.

-Si. Si ci conosciamo.

 

Spiegai a Noah come ci incontrammo, e lui spiegò a me come l'aveva conosciuto. Perchè anche loro si conoscevano, oh si.

-Veniva in università con me, il semestre scorso.

Studiava quindi.

-Poi ho lasciato. Non faceva per me.

Non feci altre domande, capii che voleva liquidare così il discorso. Ancora non mi era chiamo come mai fosse in casa mia, e non mi feci scrupoli a chiederlo.

-Sebastian ?

-Si ?

Stava parlando con Noah, ma si girò subito per rispondermi, trafiggendomi con le iridi nere. Lo sguardo era liquido, i denti bianchi risaltavano scoperti sotto le labbra rosse. Feci appena in tempo a vedere lo sguardo contrariato di Zac. Non aveva aperto bocca da quando il ragazzo era entrato, se non per presentarsi, come mio amico, migliore amico. Mi era rimasto accanto, ed era lì ancora adesso che dal salotto ci eravamo spostati in cucina e seduti al tavolo sparecchiato nel frattempo. Posai lo sguardo di nuovo su Sebastian.

-Come mai sei venuto?

Mio fratello mi scoccò un'occhiataccia. La mia era solo curiosità. Sebastian rise.

-Volevo solo passare a salutare Noah, ho saputo l'altro giorno che era abitavate in zona.

-Certo.

 

Mio fratello e lui parlavano tranquillamente, io e Zac stavamo lì imbarazzati. Avrei voluto chiedere qualcosa a Sebastian, ma mi trattenni. Non mi sembrava.. il caso, il momento. Finalmente posero fine alla conversazione, ed io rinvenni dai miei pensieri sentendo le sedie strisciare sul parquet.

Uscì silenzioso dal portone di casa mia, avvolto dal cappotto nero, quello della prima volta alla stazione, dopo aver salutato ed avermi rivolto un “Ciao Finn” con un sorriso caldo. La maniglia aveva cigolato, e lui era scomparso oltre la soglia.

 

Mi voltai verso la sala; Zac stava dirigendosi verso le scale e mio fratello verso il divano, dove si sedette pesantemente. Fui istintiva. Presi il cappottino e la sciarpa, raccolsi i capelli in una coda di cavallo, e facendo cigolare anch'io la maniglia dal portone uscii avvisando i due ragazzi.

-Sto uscendo.

Scandii.

-Non aspettatemi.

 

Corsi fuori, percorsi il vialetto e mi fiondai sul marciapiede, stringendomi la sciarpa al collo e seguendo l'ombra del ragazzo proiettata dai lampioni, incorniciata dai bordi del cappotto che svolazzavano mossi dal vento freddo che mi tagliava le guance.

 

 

 

 

Buongiorno lettori :) Scusate l'attesa ma questo capitolo è stato pessimo da scrivere. Spero che a voi piaccia più che a me. Beh dopotutto è scorrevole, (almeno quello direte), e corto (ci mancherebbe), quindi non dovrebbe essere troppo male. Ultimamente ho le paturnie dello scrittore, quindi è possibile che pubblichi qualche nuova FF scritta così, d'impulso, e mi farebbe piacere se le leggeste ( se siete per il genere Slash), probabilmente incentrate su una Destiel o una Johnlock... comunque per adesso ancora niente, ma spero di pubblicare presto, sia qui che nelle nuove storie. Che dire, dopo avervi annoiato a morte, ci si vede al prossimo capitolo <3 sempre un grazie a chi legge e soprattutto a chi comenta :)

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