Sotto il tuo sguardo. Proteggimi.

di Kuri
(/viewuser.php?uid=19340)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Sulle sponde ***
Capitolo 2: *** 20 Settembre - Inevitabili ospiti ***
Capitolo 3: *** 21 Settembre - Decisamente c'è qualcosa che non va ***
Capitolo 4: *** 22 Settembre - Spire che si stringono ***
Capitolo 5: *** 23 Settembre - Tra distese scarlatte di sangue e di vita ***
Capitolo 6: *** Epilogo - Sotto il tuo sguardo ***



Capitolo 1
*** Prologo - Sulle sponde ***


Questa storia partecipa alla III Disfida indetta da I Criticoni. Alla fine di ciascun capitolo riporterò delle note, sia per spiegare alcune cosa (che per molti versi non sono chiare neppure a me ^^'') sia per indicare i prompt che hanno ispirato questa bazzecola di storia.




Prologo - Sulle sponde


Una bava di aria umida scivolava tra i lycoris che ricoprivano le sponde del fiume con la loro coltre scarlatta e si stendevano fino a dove giungeva il suo sguardo, oltre l'orizzonte brumoso.[1] Il cielo era chiaro, tinto di violetto e lilla, e su tutto splendeva una luna argentea di una consistenza trasparente.
Yūko intravedeva la figura sottile e allampanata di Watanuki dall'altra parte, sopra il gorgoglio placido dell'acqua da cui saliva quella nebbiolina che inondava tutto il panorama, senza tuttavia riuscire a soffocare il rosso vivo dei fiori, le cui enormi corolle spumose ondeggiavano all'estremità dei lunghi steli.
Watanuki stava muovendo le braccia sottili con gesti veloci e ampi, come accadeva quando cercava concitatamente di spiegare qualcosa. A Yūko sembrò quasi di sentire le parole del ragazzo arrivare fino a lei, ma il venticello leggero le trasportò via.
Ben poco riusciva a passare dall'altra parte, soprattutto in quei giorni.
«Yūko? Dobbiamo andare.»
La strega delle dimensioni alzò una mano candida per zittire quella voce alle sue spalle. La manica dell'abito nero, il sontuoso vestito che indossava ogni volta che doveva recitare la sua parte, le scivolò lungo il braccio bianchissimo.
Dalle sue labbra scarlatte, strette in una linea sottile, non uscì una sola parola, ma l'urgenza della sua richiesta risultò evidente a tutti gli astanti.
Teneva gli occhi rossi inchiodati sulle spalle del ragazzino dall'altra parte del fiume e tutto in lei era proteso a quel punto. Sarebbe bastato sfiorarla con un dito per vederla infrangersi in mille schegge di paura, anche se non sarebbe mai stata disposta ad ammetterlo.
«Yūko?»
La donna chiuse le palpebre bistrate per un lungo istante, poi annuì con gravità.
Nel momento in cui sentì il suo corpo sciogliersi nell'aria, le sembrò di vedere quel ragazzino troppo alto voltarsi per rivolgerle un sorriso di dolce soddisfazione.





[1]Lycoris. Sono detti anche Higan-bana e sono legati al culto dei morti, in quanto sono molto presenti sulle sponde dei fiumi, come accade vicino al fiume per eccellenza: quello che divide il mondo dei vivi da quello dei morti. L'immagine di questi campi ricoperti di fiori rossi con uno stelo molto sottile e una corolla grande e "spumosa" l'ho avuta dall'immagine 030. I lycoris sono fatti così.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 20 Settembre - Inevitabili ospiti ***




20 Settembre - Inevitabili ospiti


Watanuki sorrise e la tensione sembrò sciogliersi dalle sue labbra mentre ondeggiava soddisfatto sulle piante dei piedi, le mani ben piantate nelle tasche della divisa scolastica. Le foglie secche, variegate di rosso, marrone intenso, intarsiate di bagliori dorati e venature ancora verdi, scorrevano tra le sue gambe ad ogni alito di vento che entrava nel giardino del negozio.
La sua felicità non derivava solamente dal fatto che Yūko non gli aveva chiesto di raccogliere tutte quelle foglie cadute, ma non morte, che producevano una musica tanto lieve.
Watanuki era felice perché era il venti settembre. Una giornata in cui il sole intiepidiva l'aria, in cui pulviscolo dorato sembrava pervadere ogni cosa e posarsi sulle superfici per impreziosirle.
Himawari e Doumeki avevano apprezzato particolarmente il bentō, Maru e Moro erano rimaste per buona parte del pomeriggio tranquille a giocare con una scatola di pastelli a cera, disegnando grandi lune splendenti su campi sconfinati di fiori rossi, sgambettando con i piedini sollevati in aria.
Infine Mokona e Yūko erano state estremamente indaffarate a confabulare tra di loro, chiuse all'interno della camera della strega e non si erano fatte sentire per tutto il pomeriggio con le loro richieste e capricci assurdi.
Era stata una lunga giornata di pace, quell'ultimo giorno d'estate. Anche fuori dalla recinzione di legno del negozio, neppure uno spirito l'aveva tormentato, non c'era stato neppure il più flebile lamento spettrale.
Era il venti settembre e Shubun no hi[2] si stava avvicinando sempre di più. La sua influenza si stava facendo sentire e le voci degli spiriti si erano acquietate, e sarebbero rimaste completamente mute per quella settimana soltanto, sette giorni a cavallo dell'equinozio d'autunno, in cui era compito dei vivi rendere omaggio ai morti che li attendevano pazienti, e non il contrario.
Nelle settimane degli equinozi di primavera e d'autunno, l'aria si faceva limpida e quieta.
Il sole era tramontato da una manciata di minuti.
Le chiome fulve degli alberi si rimbalzavano da una parte all'altra dei giardini gli ultimi raggi di luce, mentre il cielo si tingeva di violetto.
Watanuki si sentiva enormemente sollevato e non lo avrebbe nascosto.
L'indomani, tornando da scuola, sarebbe andato dal fiorista e avrebbe acquistato un paio di grossi mazzi di lycoris da mettere nel negozio. Sapeva che Yūko avrebbe apprezzato gli enormi fiori vermigli. La loro vita, che esplodeva così repentina per esaurirsi nell'arco di una sola settimana, la affascinava.
La luna sarebbe sorta tra poche ore.
Watanuki avrebbe chiesto a Yūko di potersi fermare per quella notte nel negozio. Ammirare la luna da quel giardino che si ritagliava come un'oasi di pace e silenzio in mezzo ai palazzi scuri, sarebbe stato qualcosa di assolutamente incantevole.
Il ragazzo quasi non si accorse delle piccole bolle d'aria che avevano iniziato a salire da un angolo del giardino lasciato scoperto dalle foglie.
Piccole sfere traslucide sembrarono staccarsi dagli steli d'erba e incerte presero a galleggiare nell'aria, risalendo in un flusso ondeggiante.
Watanuki sbatté le palpebre mentre il sorriso lasciava il posto ad una smorfia di incredulo stupore.
Il terreno si era illuminato di un bagliore rosato e le bollicine, leggere come piume, avevano iniziato a risalire con maggiore intensità.
La cosa che sbigottiva maggiormente il ragazzo non era assistere a quella scena che aveva il sapore surreale di un manga, quanto piuttosto che tutto stesse accadendo all'interno del recinto del negozio senza che ci fosse nei paraggi la strega a ridere delle sue espressioni buffe.
Voltò la testa verso la casa, da cui non arrivava il minimo rumore. Il portico che si affacciava sul giardino era deserto, tranne per il lungo filo su cui si trovava steso uno dei preziosi kimono di Yūko.
Quando tornò a guardare il giardino, al posto della vaga luce rosa si trovava un enorme bocciolo dai petali carnosi, i cui bordi leggermente increspati erano imperlati di rugiada. Il fiore sembrava pulsare di vita, mentre dai suoi petali filtrava un suono flebile, come un lamento soffocato.
Watanuki arretrò di un passo.
Il fiore si mosse appena, come se avesse avvertito il suo gesto. I petali fremettero. Sul loro bordo prese a splendere una luce forte che tagliava l'aria sempre più scura con fasci di raggi dorati.
Watanuki si schermò gli occhi con la mano quando la peonia prese a schiudersi.
Era incapace di muoversi. Quello spettacolo era incantevole, eppure allo stesso tempo non poteva osservarlo senza sentirsi raggelare.
«Aiutami...»
La voce che giunse alle sue orecchie era dolce come lo zufolio di un flauto, venata di una preghiera disperata che strappava il cuore.
Watanuki abbassò le mani. Di fronte a lui, adagiata al centro del fiore come una splendida corolla luminosa, si trovava una bellissima fanciulla. I capelli biondi le scendevano in anelli soffici ai lati del viso pallido e ricadevano come un manto, quasi potessero proteggere quel piccolo corpo avvolto da una veste candida.
Quando i loro occhi si incrociarono, Watanuki sentì la convinzione di non avere mai visto qualcosa di tanto bello. Le lacrime che le imperlavano le ciglia chiare rendevano gli occhi della fanciulla due splendidi smeraldi liquidi che lo fissavano supplichevoli.
«Aiutami...»
Ancora quella voce soffice come zucchero filato, venata di dolce fragilità.
Watanuki aprì la bocca per parlare, ma dalle sue labbra non uscì nulla, solo un flebile sospiro.
«E tu che ci fai qui?»
L'esclamazione di Yūko lo fece sobbalzare e si voltò per incrociare lo sguardo della strega delle dimensioni che stava in piedi sotto il portico. Il corpo affusolato era stretto da un abito alla cinese di un cupo colore scarlatto. Un filo d'argento disegnava sull'intera superficie del tessuto sagome puntute di lycoris.
Il piede di Yūko, chiuso in un prezioso sandalo dello stesso colore del vestito, batteva con un certo nervosismo sulle assi di legno del portico mentre i suoi occhi continuavano a fissare implacabili la fanciulla che teneva le mani intrecciate all'altezza del petto minuto, in un gesto di supplica.
«Yūko, ti prego, aiutami...»
In quel momento l'aria venne scossa da un'improvvisa raffica di vento che sollevò le foglie del giardino in una spirale scarlatta rivolta verso il cielo, dove si erano accese le prime stelle. All'interno della colonna prese consistenza una forma, finché il vento calò e tutte le foglie ricaddero a terra.
«Buonasera, strega delle dimensioni.»
Accanto al fiore su cui era appollaiata la fanciulla era comparso un ragazzino bardato di vesti sontuose e riccamente decorate, che reggeva tra le mani un lungo bastone da cui provenivano bagliori sinistri.
Watanuki indietreggiò ancora di un passo quando questo gli posò sopra uno sguardo chiaro e freddo, venato di una gravità che contrastava con il suo aspetto infantile.
«Clef.»
Yūko strinse le braccia sotto il seno prosperoso con un moto di dispetto, accompagnandolo con il tono indisponente della voce.
«Ti prego, Yūko, solo tu puoi aiutarci.» la voce lamentosa della principessa fece chiudere gli occhi di Yūko con un'espressione di esasperazione, come se quel pigolio intriso di lacrime fosse in grado di irritarla come poche cose al mondo.
«Cosa volete? È inutile che vi ricordi che per ogni richiesta deve essere corrisposto il giusto pagamento, vero?»
L'evidente irritazione di Yūko non sembrò aver impressionato particolarmente le due strane persone che erano comparse nel giardino. Il ragazzino si era voltato verso la fanciulla, le aveva porto una mano e l'aveva aiutata a scendere dalla grossa peonia la cui luce iniziava ad affievolirsi. Tra tutte le cose che Watanuki aveva visto da quando lavorava nel negozio, ma sicuramente anche da prima, quella scena era di certo tra le più strabilianti per le strane reazioni che provocava in Yūko. Non pensava di averla mai vista così nervosa e il suo consueto sorrisetto d'indifferenza era ben lontano dalla bocca sottile.
«Ecco, noi...»
Dal negozio arrivò un rumore assordante di porte sbattute e di passi precipitosi che si facevano sempre più udibili. Sul portico comparvero le faccette arrossate di Maru e Moro che alzarono gli occhi sulla figura di Yūko, seguite da Mokona che cercava di raggiungerle con le sue zampette corte, facendo ondeggiare il corpicino rotondo.
«Yūko!» l'esclamazione dell'animaletto era carico di allarme mentre spiccava un salto per atterrare sulle mani raccolte a coppa della donna «È arrivata! È arrivata!»
Yūko serrò maggiormente le labbra, ma il moto di dispetto sul suo viso venne interrotto dall'irruzione sul portico di due giovani donne dall'aspetto identico, i capelli stretti in code alte e lo sguardo tremendamente corrucciato.
«Strega delle dimensioni, la principessa Hinoto è arrivata, come ti aveva già annunciato la settimana scorsa. Dicci qual'è la stanza che hai preparato per lei, in modo che possa riposarsi dal viaggio.»
Il tono delle due donne era stato duro, un cipiglio declamato contemporaneamente che non ammetteva nessuna replica.
Watanuki cercò lo sguardo di Yūko, stordito dalla confusione che in pochissimo tempo era venuta a crearsi in quello che sembrava essere il regno inviolabile della donna. Lei stava rigida, con Mokona preoccupata che ondeggiava sulle sue mani, completamente immobile mentre il viso le si trasformava in una maschera di gelo.
«Hinoto?» la vocina della fanciulla bionda era risuonata nell'aria come il cinguettino di un passero «Hai sentito, monaco guida Clef? Anche Hinoto è venuta qui per Shubun no hi! Questo mi riempie di gioia!» aveva stretto ancora di più le mani intrecciate e delle lacrime di felicità erano luccicate agli angoli degli occhi, rendendone le iridi ancora più smeraldine.
Yūko aveva voltato la testa di scatto verso i due ancora in piedi al centro del giardino.
«Cosa? Shubun no hi? Non se ne parla neppure!»
La sua esclamazione fece sussultare Watanuki di sorpresa.
«Strega!» il piccolo monaco sollevò il suo lungo bastone, la cui pietra centrale aveva iniziato a brillare «Non puoi rifiutare un pagamento quando questo è commisurato alla richiesta fatta. La nostra armaiola di corte, Plesea, ha forgiato queste armi evoluzionarie come pagamento per la tua gentile ospitalità.» la luce della pietra si fece più forte finché al centro dello spazio che li divideva, sospese in aria, non si profilarono le sagome di due spade e un fioretto «La principessa Emeraude chiede ospitalità presso la tua dimora per poter assistere alle funzioni dello Shubun no hi. In cambio accetta il nostro dono.»
Watanuki aveva ancora il naso sollevato in aria quando vide la luce del bastone annullarsi di colpo e le armi precipitargli addosso, colpendolo con un fragore sferragliante.
«Ahi!»
«Yūko, finalmente sono arrivata. Buonasera anche a te, principessa Emeraude di Sephiro. Sono felice di incontrarti in questa occasione.»
Watanuki sollevò la testa mentre si massaggiava il cranio indolenzito dalla botta. Sulla porta che si affacciava sul giardino era comparsa una portantina trasportata da quattro uomini vestiti di scuro. Al centro, su un cuscino di seta rosa, era seduta una giovane donna dai lunghi capelli candidi, il cui corpo era chiuso da un kimono bianco e viola che ne nascondeva le forme. Le piccole labbra a cuore erano rimaste perfettamente immobili mente la sua voce risuonava nelle loro teste e gli occhi li stavano fissati vuoti, coperti da una patina lattiginosa che aumentava il pallore del viso minuto.
Watanuki fissò la nuova arrivata, la fanciulla e il monaco in giardino e poi rivolse una lunga occhiata a Yūko, mentre cercava di rialzarsi da sotto il peso delle armi che gli erano precipitate addosso.
Gli occhi della strega erano completamente assenti e una forza misteriosa sembrava essersi impossessata del suo corpo, lasciandolo completamente irrigidito.
E Watanuki aveva avuto la netta sensazione che la sua lunga giornata di pace si era appena, irrimediabilmente, conclusa.[3]





[2]Shubun no hi. E' una festa nazionale giapponese e corrisponde all'equinozio d'autunno. I giapponesi vanno in visita ai cimiteri, per rendere omaggio alle tombe degli antenati, dopo che per tutta l'estate (tradizionalmente la stagione degli spiriti) i fantasmi hanno visitato la terra dei vivi. La giornata è propiziatoria nei confronti degli antenati e dei rapporti che ancora li legano alla terra.
[3]E' quasi inutile che lo dica... praticamente tutta la fic, ma sarà più evidente tra un paio di capitoli, è basata su questa frase di Jean-Baptiste Alphonse Karr: "L'amicizia di due donne comincia o finisce per essere un complotto contro una terza."

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 21 Settembre - Decisamente c'è qualcosa che non va ***




21 Settembre - Decisamente c'è qualcosa che non va


La prima giornata d'autunno di Watanuki era iniziata con un notevole senso di confusione in testa. Aveva avuto bisogno di un paio di minuti per far passare l'intontimento e rendersi conto che era nel suo letto, che la notte prima era tornato a casa incredibilmente tardi, e che doveva alzarsi nel giro di pochissimi istanti se voleva fare in tempo a preparare il bentō per Doumeki e Himawari e vestirsi per andare a scuola.
Quello che era realmente successo nel negozio di Yūko lo aveva realizzato solo una volta superato il cancello della struttura scolastica, mentre Himawari lo salutava da lontano per attirare la sua attenzione.
Non sapeva bene cosa pensare, anche perché non c'era stato molto tempo per ragionarci su. Dopo un primo istante di scoramento, Yūko gli aveva seccamente imposto di preparare le stanze per le due ospiti e il loro seguito e poi era scomparsa in un turbinio feroce di seta cremisi e capelli scuri come la notte. Solo Maru e Moro avevano sollevato i musetti nella sua direzione e avevano eseguito con solerzia i suoi ordini. Alla fine di tutto quel gran daffare si era avviato verso casa, dove era crollato esausto sul proprio letto.
Tutto era accaduto così in fretta che non riusciva neppure a chiedersi chi fossero quelle due donne, e tanto meno a darsi una risposta.
«Cosa c'è, Watanuki? Qualcosa ti preoccupa?»
La voce dolce di Himawari lo scosse dai suoi pensieri mentre la sua ombra gli sottraeva i raggi tiepidi del sole. Il ragazzo sollevò la testa verso di lei rivolgendole un sorriso, seduto su un giardino nel posto consueto in cui i tre ragazzi andavano a mangiare sul retro della scuola. Himawari rispose alla sua espressione sollevando le spalle con una risatina leggera e scuotendo le lunghe code ricciolute.
«Sei sempre così serio e concentrato, Watanuki! Il lavoro al negozio ti occupa molto, non è vero?»
«È colpa sua che si agita per un nonnulla, e non è in grado di organizzarsi.» disse Doumeki che si trovava seduto accanto a Watanuki, infilandosi poi un maki in bocca con perfetta indifferenza.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere! E poi non vedo perché devi startene a mangiare qui. Questa è la settimana dello Shubun no hi, non ho bisogno di te, stupido Doumeki!»
«Uh?»
«Già, è vero!» il viso di Himawari si allargò in un nuovo sorriso «Questa è la settimana dell'equinozio. Immagino che per te sarà un grande sollievo, Watanuki!»
La faccia del ragazzo assunse un'aria vagamente idiota mentre sorrideva beato a Himawari e Doumeki ne approfittò per sottrarre un altro maki dal suo bentō.
«Al negozio, però, sono arrivate delle strane persone, ieri sera... temo che non avrò molto tempo per le visite al tempio e al cimitero» improvvisamente il viso di Watanuki assunse un'espressione addolorata. Himawari si portò una mano alla bocca appena si accorse di quella smorfia, come se fosse stata causata direttamente dalle sue parole.
Watanuki non era mai triste. Ogni volta che la sua memoria faceva riemergere i vaghi ricordi dei suoi genitori e della loro morte, si sforzava di sorridere, di alleggerire la tensione riducendo l'intensità di quello che sentiva in un'apparente sciocchezza, in un pensiero da nulla che poteva essere allontanato con facilità.
Ma Himawari e Doumeki sapevano che non era così. I due ragazzi erano consapevoli di quanto quei discorsi lo sprofondassero in un sentimento limaccioso di malinconia. Eppure sapevano anche che non avrebbero potuto fare nulla per migliorare le cose. Il dolore di Watanuki diventava con immensa tenerezza anche il loro e lunghi minuti di rammarico silenzioso colavano di tanto in tanto sulla piccola compagnia senza che potessero evitarlo.
«Se vuoi potremmo andarci insieme, Watanuki. Se io e Doumeki chiediamo alla signorina Yūko di lasciarti venire con noi, non dirà certo di no.»
Watanuki scosse la testa con decisione, anche se quel sorriso addolorato continuava ad aleggiargli sulle labbra.
«Non voglio che poi lei vi chieda qualcosa in cambio.»
«Yūko potrebbe allora addebitare tutto a te.» l'esclamazione di Doumeki lo colpì facendolo quasi cadere dal gradino su cui era seduto.
«Tu ti diverti a vedere Yūko che mi tiranneggia, vero? Ammettilo, bastardo! Tu godi nel vedermi soffrire alle dipendenze di quella donna orribile!» si mise a gridare Watanuki mentre tentava di strangolare un Doumeki indifferente, completamente assorto dalla scelta tra un maki al tonno e uno al salmone.


«È per caso il ragazzino alto con gli occhiali?» la voce della ragazza dai lunghi capelli neri soffiò come una bava di vento, quasi inudibile.
«Sì, è lui.» le rispose baldanzosamente il ragazzo, scoccandole un'occhiata affettuosa a cui lei rispose con un vago rossore sulle guance.
Le due figure tornarono ad osservare, seminascoste dalle fronde dorate degli alberi di ginko su cui erano salite.
Di tanto in tanto un refolo di vento faceva staccare dei rami delle foglie accartocciate e sollevava il bavero alla marinaretta della divisa di lei.
«Non sembra molto forte, e neppure il ragazzo che sta con lui.» disse, spostando appena dietro l'orecchio una ciocca di capelli.
«Eppure da un mondo all'altro si dice che lui sia l'erede della strega delle dimensioni, e che anche l'altro sia dotato di un forte potere.»
Una smorfia di misurato disprezzo le si disegnò sulle belle labbra sottili.
«Le chiacchiere non hanno mai racchiuso la verità. Io non percepisco in loro nessuna forza così straordinaria.»
Lui fece spallucce, accovacciandosi sulle ginocchia, evidentemente divertito.
«In ogni caso sarà prudente tenerlo d'occhio.»
Il salto che spiccarono fu così veloce che nessuno, anche se avesse alzato lo sguardo sulle cime degli alberi, avrebbe potuto dire con precisione il momento esatto in cui le due figure erano sparite.


«Shubun no hi a me piace molto. Si respira un'aria di tale pace che sembra quasi irreale. E poi è l'ultima occasione per vedere le persone in kimono prima di capodanno...»
«E tu sei così carina in kimono, Himawari-chan!» esclamò Watanuki piroettando in mezzo alla strada che stavano percorrendo dopo la fine delle lezioni, stringendosi il viso tra i palmi delle mani, mentre la sua fervida immaginazione prendeva il sopravvento.
«Dicono che a Shubun no hi pioverà a dirotto.»
Watanuki per poco non incespicò lungo il marciapiede appena sentì la voce di Doumeki infrangere, come di consueto, le sue fantasie.
«Maledetto uccellaccio del malaugurio, ma non sei capace di stare zitto una volta in vita tua?» gridò Watanuki allungando le mani per artigliare il collo di Doumeki.
In quel momento qualcosa leggero come una carezza gli sfiorò il viso. Una carezza, gelida come una lama sottile, una sensazione di freddo che gli attraversò il viso lasciandolo immobile.
Si bloccò, mentre le sue mani rimanevano sospese a mezz'aria.
«Watanuki!» Himawari lanciò quell'esclamazione d'angoscia portandosi le mani alla bocca, mentre i grandi occhioni scuri si spalancavano per l'orrore.
Doumeki voltò la testa di scatto, come se avesse udito qualcosa, poi tornò ad osservare lungo la strada che stavano percorrendo. Tutto sembrava immerso nella quiete placida dei tetti che sbucavano dalle recinzioni e le chiome rosse degli alberi che mormoravano scosse dal vento.
In ogni cosa, c'era silenzio.
Watanuki si portò una mano sulla guancia e le sue dita incontrarono la sensazione viscosa del sangue.
Fissò con stupore i polpastrelli tinti di rosso mentre Himawari si precipitava su di lui per tamponargli la ferita con un fazzoletto.
«Cosa è stato?» il sussurro impaurito di Himawari prese forma tra di loro con la consistenza di una bolla.
«Non lo so.» rispose con apparente semplicità Doumeki. Eppure Himawari poteva vedere come ogni muscolo del ragazzo fosse in tensione. A causa di un sentimento inspiegabile, per Doumeki era impensabile che qualcuno potesse fare del male a quel giovane alto e occhialuto che ogni giorno soddisfaceva le sue più assurde richieste di bentō. Ma di sicuro quello che lo muoveva andava ben aldilà di una questione di stomaco.
Che qualcuno – o qualcosa – potesse aver colpito Watanuki in sua presenza, era semplicemente inconcepibile.
La risata maschile si liberò nell'aria con sincero divertimento.
Le dita di Doumeki si contrassero, mentre le mani si chiudevano a pugno.
La strada seguitava ad essere deserta e quella voce sembrava essere giunta dall'alto, da un posto che i tre ragazzi non riuscivano a vedere.
Himawari strinse con più forza le braccia sulle spalle di Watanuki che si tamponava la ferita, mentre sul visino pallido di lei la paura lasciava il posto ad un'espressione di decisione.
«Caro Seishiro, non credo che sia il caso di fare già a fettine questo simpatico giovane prima che lo possa vedere la nostra Kanoe. Sono sicuro che lo troverebbe estremamente simpatico. E poi la strega delle dimensioni non gradirebbe una sua così repentina dipartita.»
I ragazzi alzarono lo sguardo e finalmente lo videro, in piedi sul ramo di un albero, in perfetto equilibrio sulla corteccia sottile. Indossava un lungo soprabito candido, come dello stesso colore era l'abito dal taglio impeccabile che si intravedeva sotto i lembi svolazzanti della stoffa. Una sfarzosa cravatta di seta viola spezzava quella monocromia abbacinante con una nota buffa.
I capelli, chiarissimi, gli scendevano in onde morbide e disordinate sul viso dai lineamenti perfetti e sorridenti. Quel sorriso, tuttavia, aveva qualcosa di agghiacciante.
Doumeki allargò appena le gambe, come a voler fare maggiore presa sul terreno.
«E tu chi sei?»
Negli occhi dell'uomo si accese un lampo di divertimento.
«Oh, sono solo un semplice passante.» rispose l'uomo chiudendo gli occhi e inclinando la testa di lato in un'espressione di presunta innocenza.
«Che io sappia, i semplici passanti non camminano sugli alberi.» fu l'affermazione brusca di Doumeki.
L'uomo scoppiò nuovamente a ridere, come se la situazione fosse di un'ilarità fin troppo evidente.
«Kigai. Non mi sembra il caso di perdersi in inutili convenevoli.»
Accanto all'uomo vestito di bianco comparve un secondo individuo. A differenza del compagno vestiva completamente di nero, come scuri erano anche gli occhialini che spiccavano sul pallore terreo del volto magro. Era talmente scavato, quel viso, che a tratti si poteva credere che la pelle si tendesse direttamente sulle ossa del cranio, come in una macabra e viva rappresentazione della morte.
L'uomo vestito di bianco scoppiò nuovamente a ridere nel notare l'espressione sempre più sbigottita di Himawari e Watanuki e il cipiglio diffidente di Doumeki.
«Poveri ragazzi.»
«Eccovi, finalmente!»
L'esclamazione fece voltare di scatto la testa ai tre ragazzi.
A gridare quella frase era stato uno strano giovane che agitava forsennatamente le braccia in direzione dei due uomini, e al cui fianco si stagliava una bellissima ragazza dai capelli corvini. Sul volto perfetto di lei aleggiava un'impenetrabile espressione di freddezza. In mano stingeva una katana che appariva fusa con la sua mano da un fascio di filamenti organici.
Anche loro sembravano trovarsi molto a loro agio sulle cime degli alberi.
«Arisugawa-kun, che piacere rivederti!» lo salutò l'uomo vestito di bianco. Il ragazzo proruppe in una risata e alzò la mano a stropicciarsi la zazzera di capelli neri spettinati.
Doumeki sbatté le palpebre un paio di volte, poi scosse la testa mugugnando qualcosa a mezza bocca. Infine afferrò Watanuki per un braccio e prese a trascinarlo lungo la strada, seguito da Himawari.
«Ehi, aspettate, dove state andando voi tre?» esclamò all'improvviso l'uomo dagli abiti candidi lanciando su di loro uno sguardo violetto fendente come una lama.
«A casa. Mi sto davvero scocciando.» gli rispose Doumeki senza degnarlo di un'occhiata.
«Ma noi non abbiamo ancora finito con voi tre, soprattutto con lo spilungone occhialuto.»
Watanuki alzò gli occhi mentre sentiva ancora la ferita bruciare sotto la pressione del fazzoletto.
«Beh, io mi sto annoiando.» concluse Doumeki senza dare segno di volersi fermare.
«Kigai! Io e Arashi non vi permetteremo mai di fargli del male!»
«Non ne ho il minimo dubbio, Arisugawa-kun!»
Watanuki non riusciva a capire. Tutto gli sembrava più concreto rispetto alle volte in cui gli spiriti gli facevano visita, ma allo stesso tempo quegli eventi sembravano appartenere ad un mondo e ad una storia che non conosceva e proprio per questo tutto gli risultava incomprensibile.
Come quando il ragazzo dai capelli spettinati stese in avanti il braccio, con il palmo della mano rivolto verso l'alto, e sul suo viso si formò una smorfia di concentrazione. Dal palmo iniziò a crescere un cubo traslucido come vetro. Watanuki si portò istintivamente il braccio sul viso quando quello strano schermo lo investì, ma non sentì nulla, tranne un leggero formicolio sulla superficie della pelle.
Quando riaprì gli occhi, vide gli sguardi dei quattro personaggi puntare su di lui e i suoi amici con interesse.
«Posso capire i ragazzi, ma c'è anche lei all'interno della tua barriera.» la frase pronunciata dalla ragazza sembrò una banale constatazione, espressa con apparente indifferenza.
«Come è possibile?» il tono interrogativo e stupito dell'uomo vestito di bianco catturò l'attenzione dei ragazzi «Forse siete anche voi legati alla fine del mondo?»
«Cosa?» gridò Watanuki agitando le braccia come impazzito «Cosa volete da noi? Quale fine del mondo?»
Yuto Kigai aprì la bocca, come a rispondere alle sue domande, ma l'uomo chiuso nel lungo impermeabile scuro stese una mano per zittirlo. Con il mento, impercettibilmente, indicò la figurina sottile di Himawari, e Yuto si bloccò, spostando lo sguardo duro sulla ragazzina. La osservò per un lungo istante, per poi distogliere gli occhi con un sorrisetto.
«Beh, non si può certo essere sempre fortunati.»
Portò la mano affusolata a scostare le ciocche chiare di capelli dalla fronte e in quel gesto il suo corpo e quello dell'uomo accanto a lui sembrarono dissolversi nell'aria, lasciando solo il ramo dell'albero ad ondeggiare con un fruscio leggero di foglie secche.
I ragazzi voltarono di scatto la testa quando gli altri due giovani scesero dal loro albero con un salto poderoso.
Doumeki strinse i pugni istintivamente, chiudendo lo sguardo sulla katana della ragazza. Questa gli restituì un'occhiata gelida e poi, con apparente indifferenza, fece rientrare l'arma nel proprio corpo attraverso il palmo della mano.
«Ehi, signorinella, hai messo proprio una bella paura a quei due cattivoni!» esclamò il ragazzo esplodendo in una fragorosa risata nella direzione di Himawari. Lei si strinse a Watanuki, mentre le mani le tremavano, aggrappate alla cartella della scuola con un gesto convulso.
«Cosa volete da noi?»
Il ragazzo fissò Doumeki, senza che il suo sorriso sincero si spegnesse sulla bocca.
«Ciao, io sono Sorata e questa è la mia ragazza, Arashi.» lei avvampò, mantenendo il cipiglio imbronciato sul viso bellissimo «Siamo qui per proteggere la profetessa Hinoto da tipi come quelli, che l'hanno seguita fin qui perché sanno che le possibilità di difesa sono minori. Ma ci siamo noi, per questo non potranno mai averla vinta!» esclamò occhieggiando con evidente soddisfazione.
I ragazzi rimasero ammutoliti.
«Ma tu sei il discepolo della strega. Credo che sia opportuno non trattenerti oltre. Immagino che avrai giornate intense al servizio di quella vecchia volpona di Yūko!»
Watanuki sospirò, sentendo che la tensione si stava sciogliendo.
Effettivamente, da quando aveva conosciuto Yūko, non aveva avuto modo di annoiarsi.
La strega avrebbe dovuto spiegargli un bel po' di cose, quel pomeriggio.
C'era decisamente qualcosa che non andava.


Appena entrato nel negozio, Watanuki realizzò che effettivamente c'era qualcosa che non andava. La casa era immerso nel silenzio, ma non era la consueta pace interrotta solo di tanto in tanto dagli schiamazzi dei suoi caotici abitanti.
Era come se un velo sottilissimo e leggero avvolgesse ogni oggetto, rendendo i movimenti e i respiri difficili.
Watanuki entrò nel negozio chiamando Yūko a gran voce.
La volpe della pipa gli venne incontro fluttuando nell'aria e avvolgendosi con affetto intorno al suo collo, lanciando deboli pigolii di piacere.
«Brava, brava... Yūko è in camera sua?» le chiese mentre la accarezzava distrattamente.
Pur non essendo la strega all'apice della sua scala di affidabilità, la sua presenza lo aiutava a percepire con più nettezza le cose strane che gli accadevano attorno, consentendogli di prendere le giuste distanze da quei fenomeni. Era proprio per quel motivo che aveva bisogno di una sua spiegazione, per quanto strampalata potesse essere.
Si avviò lungo il corridoio in cui si trovava la camera della strega e subito non si avvide della densa bava di fumo che passava da sotto la porta, insinuante come un serpente con le sue spire contorte.
«Yūko!»
Watanuki si precipitò verso la stanza, mentre la sua mente pensava a tutte le sventurate circostanze in cui poteva essersi scatenato un incendio all'interno della camera della donna. Le aveva detto mille volte di non accendere impudentemente il braciere con l'incenso senza poi curarsi di spegnerlo.
Quando spalancò la porta, la scena che apparve sotto i suoi occhi lo lasciò completamente sbigottito, tanto che non realizzò subito che il fumo della pipa che Yūko si portava furiosamente alla bocca aveva invaso tutta la stanza in una nebbia densa e grigiastra.
«Yūko!»
La strega alzò la testa di scatto, distogliendo lo sguardo iroso dal bracciolo della chaise longue. Lo fissò per un lungo istante che fece scorrere un brivido gelido lungo la schiena di Watanuki, poi sbatté le palpebre sopra le iridi rossastre.
«Dove sono?»
Watanuki socchiuse le labbra.
«Chi?»
Yūko si alzò di scatto, la seta nerissima della vestaglia da camera che le vorticava tra le gambe pallide, e si avvicinò alla cassettiera intagliata per prendere altro tabacco per la pipa.
«Quelle due streghe...»
Watanuki arretrò di un passo. La furia palese della voce di Yūko lo stava spaventando molto di più delle frasi sibilline e misteriose che snocciolava con i suoi clienti.
«Non lo so, sono appena rientrato. Ma chi sono, Yūko? Insomma, ieri sera...»
«Ehi, cosa hai fatto al viso?»
Watanuki sollevò la mano alla ferita sulla guancia che bruciava un po'.
«Dei personaggi strani hanno attaccato me, Doumeki e Himawari dopo la scuola. Ci hanno aiutato due ragazzi che ci hanno detto di avere un legame con la profetessa.»
La donna riempì con cura la pipa, mentre la bocca formava un taglio sottile e crudele al centro del viso. Avvicinò un lungo fiammifero al fornello e la brace sopita riprese a rosseggiare e a spandere il suo fumo denso nell'aria già soffocante.
«Non avvicinarti troppo a quelle due donne, Watanuki. Qualsiasi cosa loro ti chiedano, qualsiasi cosa vogliano da te, tu fingi di non averle neppure viste. Di loro si occuperanno Maru e Moro, e i servitori che si sono portate dietro.»
«Perchè? Yūko, io non capisco...»
La strega si voltò, mentre le spire del fumo le si avvolgevano attorno ai polsi e al viso come grossi boa pigri. Nel suo sguardo c'era qualcosa di indecifrabile, un grumo di significati che Watanuki non riusciva a capire, anche se sapeva essere rivolti a lui. Il mondo di Yūko era incomprensibile, ma quello che poteva nascondersi dietro al suo sguardo fosco e a quei lampi scarlatti era vasto almeno quanto uno dei tanti mondi le cui fila la donna intesseva tra le dita.
«Emeraude è la principessa di un mondo che è specchio di una Terra parallela, costruita da un dio alquanto bizzarro.» lo sguardo della donna si distolse dal viso di Watanuki per lanciare un'occhiata affettuosa alla piccola Mokona che ronfava beata sulla chaise longue «È una donna sulle cui spalle grava un peso che ben presto la schiaccerà, e il suo mondo con lei. Coinvolgerà molte persone nel suo dolore, perché è l'unico mezzo che ha per liberarsi del senso di colpa. Hinoto invece è la profetessa potentissima di una Terra che sta affrontando una guerra all'ultimo sangue tra due fazioni molto determinate e che vedrà un'apocalisse terribile abbattersi su ogni cosa. Dentro il cuore di Hinoto...» si interruppe per lasciare le proprie dita scivolare sulla pelliccia soffice di Mokona e poi si voltò nuovamente verso Watanuki «Dentro il suo cuore ci sono troppi sentimenti e troppe paure, e proprio la Terra che vuole difendere potrebbe essere distrutta da questa sua debolezza. Sono donne molto pericolose, e meno stanno in questo mondo, meglio sarà per tutti.»
«Perchè sono qui, allora?»
Watanuki si sentiva completamente inebetito.
«Per lo Shubun no hi. Ogni cinquant'anni gli esseri magici più potenti di tutti i mondi si radunano sulle sponde del fiume per rendere omaggio a coloro che non ci sono più, in modo che la loro magia non torni sui mondi guidata da passioni e sentimenti distorti. Diciamo che è il corrispettivo magico di una visita al tempio e al cimitero.»
«Per fiume intendi...»
Yūko chiuse gli occhi e per la prima volta sorrise, annuendo piano con la testa. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quelle piccole lezioni erano per lei veri momenti di piacere. Watanuki era un ragazzo estremamente ricettivo e attento, e la strega sapeva che nessuna delle sue parole sarebbe andata persa, ma sarebbe stata esaltata da quell'anima preziosa.
«Già, proprio quel fiume.»
«Yūuuuko!» il lungo lamento di Maru e Moro proruppe nella stanza mentre le due bambine precipitavano dentro rovinando a terra. Apparivano distrutte, i visini tirati dalla stanchezza.
«Cosa succede?» esclamò Watanuki chinandosi per aiutarle ad alzarsi.
«Continuano a chiederci tante cose e noi...»
«Quelle due maledette!» Yūko strinse la mano a pugno, mentre il suo viso riprendeva un'espressione di furore «Adesso le caccio e non mi importa delle conseguenze, chiuderò ogni più piccolo spiraglio tra il loro mondo e...»
Il campanello posto nell'ingresso del negozio suonò, malgrado il frastuono che regnava.
Solitamente Yūko si divertiva a percepire la presenza dei suoi clienti fin da quando erano ancora nella strada, ma aveva deciso lo stesso di installare un piccolo campanellino di bronzo che tintinnava ogni volta che la porta si apriva.
Lei sollevò la testa, tendendo la propria attenzione verso quello che percepiva con la forza naturale della sua magia.
«Maru, Moro, l'abito di taffetà con le maniche lunghe, farà freddo, questa sera.» schioccò le dita con forza e i suoni secchi fecero rialzare le bambine improvvisamente rianimate, mentre la bollicina che si gonfiava sul nasino di Mokona esplose con un plop sordo «Watanuki, ti prego, fai accomodare la nostra cliente e servi pure il thé alla vaniglia. Io arrivo subito. Falla accomodare nella stanza dove hai messo il vaso con le camelie.»
Yūko congedò il ragazzo con un volteggiare setoso di stoffa, scomparendo oltre il paravento decorato che usava come spogliatoio.
Watanuki uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Si incamminò a passi lenti lungo il corridoio, diretto all'ingresso.
Quando si affacciò, lei si voltò. Aveva lunghi capelli neri che le ondeggiarono sulla schiena e la pelle che sbucava dall'abito scollato aveva il colore del cappuccino, una tonalità brunita insolita per quell'angolo di mondo, come insolite erano le pagliuzze dorate nelle sue iridi intense e dolenti, degli occhi dalla tondeggiante forma occidentale. Il vestito che indossava era intessuto di foglie smeraldine e fiori vermigli su campo nero, un pesante stoffa lucida che la avvolgeva come un abbraccio.
Tutto, nella donna, era esotico e strano, come se la sua sola presenza fosse una nota incrinata.
«Ciao.»
«Buongiorno, io sono qui... non lo so, ma...»
Watanuki sorrise, abituato all'iniziale perplessità di tutti i clienti della strega.
«Adesso verrà immediatamente la proprietaria del negozio. Se vuole, intanto, si accomodi in questa stanza, le servirò subito del thé.»
La donna ebbe un tremore, come se il suo corpo fosse stato attraversato da un'impronta gelida.
«Ecco...»
«Accomodati pure.» la voce forte di Yūko fece voltare tutti. Teneva le braccia incrociate sul petto prosperoso, nella sua posa migliore da sibilla misteriosa, perfettamente calata nella parte. L'abito di stoffa morbida si apriva sulle sue gambe in dolci increspature, in un taglio da bambola vittoriana.
«Non manca molto a Shubun no hi. Dobbiamo fare presto.»


C'era il thè che fumava nelle tazze di ceramica dipinte. La casa sembrava di nuovo finalmente deserta. Watanuki era seduto alle spalle di Yūko, accomodata al tavolo con il mento mollemente appoggiato al dorso della mano.
Come sempre aspettava che le parole arrivassero da sole, spinte dagli impulsi più primordiali.
«C'è qualcosa che desideri? Qualunque cosa ti può essere offerta, in cambio del giusto prezzo.»
La donna si morse il labbro inferiore, carnoso e morbido, con i denti candidi e perfetti.
«Dimmi.»
Tentennò ancora un attimo, tamburellando con le unghie traslucide come perle sulla superficie del tavolo.
«Voglio liberarmi di lui. Voglio che non mi ami più. Voglio perderlo.»
«Ma tu lo hai già perso. È morto, e non tornerà più.»
Le parole di Yūko erano state inevitabili come sassi lanciati in un laghetto.
«Torna sempre. Ogni notte mi aspetta nel salottino della mia casa, mentre mi preparo per la notte. Sorseggia vino aromatizzato alla magnolia, fatto arrivare direttamente dall'America. Aspetta me e intanto fissa il letto coperto di lenzuola di raso nere, con desiderio.»
Watanuki sentiva che l'aria si faceva più densa e pesante. Era come se le promesse tropicali di quella donna straniera le turbinassero attorno come un incantesimo.
«Nel vino splendono dei diamanti, e io so che sono per me. È il prezzo che lui mi paga, ogni sera. Poi appoggia il bicchiere sul tavolino accanto alla poltroncina e si avvicina a me. Mi abbraccia, dice che la mia pelle sa di cioccolato e ha il colore del café au lait...» [4]
La donna si strinse le braccia attorno alle spalle, senza distogliere gli occhi fieri da quelli della strega che la fissava con il suo consueto sorrisetto.
Yūko non giudicava. Semplicemente, la realtà la divertiva molto.
«Poi mi stringe e cominciamo a ballare, balliamo per tutta la notte follemente e io non riesco a smettere e a sfuggire da lui. All'alba svanisce e io sento il cuore nel petto che mi scoppia. E so che morirò perché lui vuole che io muoia per essere sua ancora.»
Yūko chiuse gli occhi. Watanuki poteva sentire la tensione scorrere dalla bellissima donna creola, una cliente tanto insolita per quel negozio.
«Getta via la bambola voodoo che hai fatto, quella che lo rappresenta. Bruciala e disperdi le sue ceneri. Bada di fare tutto prima dell'equinozio d'autunno, perché allora le porte si chiuderanno e più nulla potrà passare da una parte all'altra, se non all'alba del giorno successivo e sarà molto importante riuscire a disperdere la sua mangia in tempo. Parleremo poi del giusto prezzo.»
La donna si alzò dal tavolo, ondeggiando sugli altissimi tacchi delle scarpe di lucida vernice rossa che non si era tolta prima di entrare. Lanciò un'ultima occhiata alla strega, che trasudava una magia diversa da quella carnale e soffocante a cui era abituata, ma che era ugualmente terrena e reale.
Yūko rimase immobile mentre la donna se ne andava e Watanuki le apriva gentilmente le porte.
Vino, danze. Un ricordo che passava fugace dietro lo schermo di quegli occhi misteriosi, per poi essere affossato di nuovo nella memoria.
Anche lei aveva qualcuno da salutare, legata contro la sua volontà ad un profumo che arrivava dall'altra sponda del fiume.





[4] questo discorso ricalca parte del testo della canzone Lady Marmalade nella versione fatta da Christina Aguilera, Lil' Kim, Mya & Pink.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 22 Settembre - Spire che si stringono ***




22 Settembre - Spire che si stringono


Il trambusto lo riscosse all'improvviso.
Watanuki alzò la testa dal piano della cucina, tendendo l'orecchio al vociare concitato che proveniva da fuori. Appoggiò il coltello e la mela che stava sbucciando per Maru e Moro e tentò di guardare fuori dalla finestra per vedere cosa stesse accadendo.
Yūko gli aveva tassativamente imposto di andarsene subito, appena finito di rassettare la sua camera che era ancora impregnata dell'appestante odore di tabacco, ma lui si era attardato per preparare una merenda alle due bambine che apparivano distrutte, sfinite da uno sfibrante correre su e giù agli ordini delle strane ospiti del negozio.
Non riusciva a vedere nulla, oltre la cornice della finestra, ma le parole si facevano sempre più forti.
Watanuki si asciugò le mani contro uno strofinaccio e si avviò verso l'ingresso, togliendosi dalla testa il fazzoletto con cui teneva indietro i capelli mentre cucinava.
Sentì singhiozzare mentre era ancora nel corridoio, e una vocetta lamentosa che zufolava parole incomprensibili.
Quando si affacciò sulla porzione di giardino antistante al negozio, vide che un grosso fiore rosa era spuntato in mezzo al vialetto e al centro, appoggiata con leggiadria sulla corolla, si trovava la principessa dai lunghi boccoli biondi. Gli voltava le spalle e sembrava parlare ad un uomo alto dai lunghi capelli neri che passava in quel momento per strada. Il giovane fissava stupito la fanciulla, sbattendo le palpebre sugli occhi di un intenso colore violetto.
«Zagart, mio amato Zagart... io devo fare il bene del mio mondo... cerca di capirlo!» la principessa singhiozzava forte, torcendo le manine candide davanti al petto. Watanuki si sporse fuori dalla porta e poté vedere le lacrime cadere come frammenti di cristallo da quel volto perfetto. Tutto nel suo viso esprimeva disperazione e un dolore intensissimo, un sentimento tanto forte che rischiava di spezzare quel corpo minuscolo e fragile.
«Stai parlando con me?» il giovane si puntò l'indice contro, controllando che lungo la strada non ci fosse nessuno.
«Hai indossato strane vesti per seguirmi fino a questo mondo, ma non posso venire con te, amato Zagart...»
Watanuki sbatté le palpebre. Quella era diventata ufficialmente la scena più bizzarra a cui lui avesse mai assistito. Anche se Yūko lo aveva avvertito che quelle due donne erano esseri potentissimi, si sentì sprofondare in un profondo sbigottimento, pari almeno a quello del giovane dai lunghi capelli corvini.
«Tu sei tutta matta...» il ragazzo si portò un dito alla testa, picchiettandolo contro la tempia e avanzò di un passo per allontanarsi in tutta fretta dal cancello del negozio.
Il vento si alzò improvviso e furibondo, sollevando i lembi della giacca che il giovane indossava, costringendolo a coprirsi gli occhi con gli avambracci per riparare il viso dalla polvere e le foglie sollevata da quella folata violenta.
Due risate femminili si spanderono nell'aria con singulti striduli che a Watanuki diedero una spiacevole sensazione di déjà-vu.
«Eccoti, finalmente, principessa Emeraude! Ora non potrai scampare al laccio, cocca!»
Watanuki sollevò lo sguardo. In piedi sul muro della casa che si trovava dall'altro lato della strada si trovavano due donna agghindate con strani costumi che lasciavano scoperti abbondanti lembi di pelle alla carezza fredda del vento.
La ragazza che aveva parlato, dai vistosi capelli rosa e la carnagione bruna, abbassò il braccio che aveva puntato contro la principessa piangente e si strinse nel proprio mantello.
«Certo che fa davvero un freddo becco, Alcyone, ma in che razza di mondo sghembo mi hai trascinato?»
Sul volto della donna al suo fianco si dipinse un'espressione di insofferenza.
«Sei tu che mi hai seguito, stupida. Potevi anche startene a Sephiro.»
«No, non verrò mai con voi, io devo proteggere il mio mondo!» fu l'esclamazione della fanciulla nel fiore.
Il ragazzo che ancora era rimasto impietrito al centro della strada lanciò un'ultima occhiata di terrore a Watanuki prima di fuggire, correndo a perdifiato lungo la strada per sparire in lontananza.
«Amato Zagart!»
«Zagart, dove vai?!»
Watanuki si mosse e il suo piede urtò i ciottoli che delimitavano le aiuole intorno alla porta.
Le tre donne si voltarono di scatto, puntandogli gli occhi addosso.
«Ehm...» il ragazzo indietreggiò di un passo, portando davanti le mani.
«Ehi, sbarbino, chi sei?» esclamò a voce esageratamente alta la ragazza dai capelli rosa.
«Il discepolo della strega.» la voce di Alcyone si era ridotta ad un sibilo.
«No, vi state sbagliando... io sono solo un ragazzo tutto-fare...»
L'aria intorno ad Alcyone si addensò, mentre le molecole di congelavano e si aggregavano fino a formare lunghi stiletti di ghiaccio.
«Andate via di qui.»
La frase era scivolata dalle labbra di Yūko con un soffio gelido.
Watanuki si voltò.
Lei era in piedi sotto la tettoia che riparava l'ingresso del negozio dai raggi del sole. Tutto il suo viso era in ombra, tranne il bel mento sottile e la bocca dalle labbra dipinte. L'inclinazione del viso le faceva cadere sugli occhi la frangetta nera, così che non era possibile vedere la sua espressione.
Il corpo, colpito dalla luce del sole del pomeriggio, era avvolto in uno dei suoi consueti kimono. La seta rosa riluceva, mentre l'obi riccamente decorato abbozzava le sue forme prosperose sotto la pesante copertura della stoffa. Il venticello faceva ondeggiare i fermacapelli pendenti e i petali delle peonie che risaltavano chiare sullo sfondo dei capelli corvini.
«Andate via di qui. Immediatamente.»
Le due ragazze fissarono Yūko con un tremore improvviso del corpo. Emeraude continuava a piangere, gli occhi smeraldini che brillavano sotto la rifrazione delle lacrime, ma a Watanuki, per un breve istante, parve di scorgere un'altra immagine, come se la figura della principessa si fosse sdoppiata in un miraggio indefinibile. E aveva visto un volto più adulto, dagli stessi lineamenti, la cui bocca era piegata in un sorrisetto crudele.
«Strega, tu...» Alcyone le lanciò uno sguardo di sfida, sollevando il mento in alto.
«Ho detto via
Yūko sollevò il braccio, la mano stesa in avanti. E i corpi delle due ragazze si sciolsero nell'aria, come se fossero state risucchiate da una forza irresistibile alle loro spalle, mentre le loro smorfie si facevano di stupore e terrore.
«Watanuki, ritorna in cucina da Maru e Moro. Meglio non lasciarle da sole a giocare in un posto dove si potrebbero fare male.»
Il ragazzo le passò accanto, cercando di intercettare il suo sguardo, ma non riuscì a cogliere nessun bagliore in quegli occhi che fissavano con ostinazione il pavimento dell'ingresso da sotto lo schermo della frangia.
Yūko aspettò di sentire i passi di Watanuki affievolirsi all'interno del negozio, poi alzò le iridi brunite sulla principessa che stava comodamente adagiata al centro del suo fiore.
«È davvero un ragazzo con molte potenzialità, Yūko. Non è comune trovare giovani del suo calibro, in questo mondo.»
A Yūko non servì voltarsi per sapere che Hien e Sohi, le due donne gemelle, avevano diligentemente portato Hinoto all'ingresso, seduta sul suo cuscino di seta rosa, e che la profetessa aveva condotto quella frase con precisione nella sua mente. Se la figura di Hinoto avesse potuto specchiarsi, il suo riflesso avrebbe sogghignato sadicamente. Invece la bocca muta era socchiusa, piccola e morbida come un bocciolo e gli occhi vuoti apparivano addolorati.
«State lontane da lui. Sono costretta ad accettare la vostra presenza nella mia casa per questo Shubun no hi, perché questo è inevitabile, ma non sfidate oltre la mia pazienza.»
La principessa Emeraude si mosse dal suo fiore. Allungò un piede per scendere dalla corolla, e come toccò terra il suo corpo sembrò tremare. Il fisico si fece più adulto, modellato in forme generose e femminili. Il vestito divenne più ricco, aderente alla pelle. I capelli biondi, sempre lunghissimi e lucenti come oro, erano trattenuti dal diadema su cui brillavano le tre pietre verdi.
«Siamo in due, Yūko. Perchè dovremmo avere paura?» la voce non era più lamentosa. Le lacrime erano ben lontane da quel tono deciso.
«Perchè sarebbe saggio, Emeraude.»
«Yūko è spaventata dalla possibilità che ci prenderemo il suo mondo dopo aver distrutto i nostri, cara Emeraude. È per questo motivo che è così aggressiva.»
Yūko rimase immobile quando quella voce risuonò nella sua testa, e si limitò solamente a stringere i pugni dentro le ampie maniche del kimono. Se si fosse voltata, quell'espressione di disgustosa crudeltà sul volto di Hinoto avrebbe potuto scorgerla con facilità attraverso i veli delle apparenze.
Invece sorrise.
«Sarai sorpresa quando constaterai quanto egregiamente i vostri mondi vi sopravviveranno, Hinoto. Forse venire qui ti ha fatto diventare cieca sul serio.»
«Non è scorretto prevedere il futuro alle proprie colleghe?» Emeraude si stirò le pieghe del vestito con un movimento carico di una sensualità che era completamente sconosciuta alla sua controparte bambina, avanzando di un altro passo.
Yūko detestava quelle due donne. Disprezzava la loro ambiguità perché non era sorretta dal perfetto equilibrio stimato dall'ago della giustizia, ma solo da un sordido e sconfinato egoismo. Le davano la nausea perché avevano soggiogato ogni altra creatura ai loro capricci.
«Non è certo più scorretto di quello che state facendo voi. Pensavi che non lo sapessi, Hinoto, che i tuoi ragazzi ieri hanno seguito Watanuki?»
La risatina della profetessa risuonò con cattiveria nella sua testa.
«»
«L'affetto di Kanoe nei tuoi confronti è fin troppo prevedibile, Hinoto. Almeno i suoi intenti sono molto meno disprezzabili dei tuoi. Kanoe, malgrado tutto, è dotata di una sincerità e una coerenza che che commuovono.»
«Forse è per questo motivo che voi due vi piacete tanto. Siete ugualmente sciocche e patetiche.»
«Potrete fare qualsiasi cosa. Potrete rimuginare nei vostri mondi in sfacelo finché non vi farete venire in mente una buona idea per togliermi di mezzo. Ma non potrete mai battere quel ragazzo. Quando verrete all'attacco, gli basterà pensarlo, e voi svanirete. E non ci sarà nessuna riva punteggiata di lycoris ad aspettarvi. Semplicemente non esisterete più.»
«Non è forse che sei tu la prima a desiderare la nostra scomparsa per un semplice capriccio personale, Yūko? Tu che predichi tanto la giustizia, stai allevando un pulcino di mago solo per questo scopo?» esclamò Emeraude con veemenza.
«Infatti.» la risposta di Yūko fu calma. Sorrideva tranquilla, le labbra piegate in un'espressione di divertimento sincero «Non c'è nessuna giustizia in tutto questo. Ci sono solo io. E basta.» [5]
Si voltò, senza degnare di uno sguardo Hinoto, mentre alle sue spalle la figura di Emeraude tornava bambina in una cascata di scintille lucenti.
Yūko entrò in casa con passi misurati, facendo scivolare con delicatezza le suole degli zoccoli di legno sulle assi del pavimento.
Aveva decisamente bisogno di un po' di saké.


Il tramonto entrava con i suoi raggi obliqui nella stanza della strega.
Quei lunghi nastri dorati la colpivano mentre se ne stava distesa sulla sua chaise longue, nel punto preciso in cui tutti i suoi pensieri riuscivano ad addensarsi nella loro forza. Sul pavimento era abbandonata la bacinella di metallo in cui faceva le divinazioni, due dita d'acqua che stagnavano immobili e che non riflettevano nulla se non il pallido braccio di Yūko che cadeva come abbandonato sul pavimento.
«Yūko...» il corpo grassoccio di Mokona ondeggiò sulle zampine corte mentre si avvicinava a lei, il musino preoccupato.
«Va tutto bene, Mokona. Tra due giorni se ne saranno andate, e per un pezzo non ne sentiremo più parlare. Per fortuna non è necessario celebrare Shubun no hi sul fiume ogni anno.»
L'animaletto non parlò e Yūko non sentì il bisogno di proseguire la discussione.
Nessuno avrebbe potuto chiarire quello che si agitava sotto le sue iridi dal colore fulvo. La stessa Yūko rimaneva schiacciata sotto il mistero di tutti quegli anni trascorsi a vivere la magia, a mantenere sulle punte delle dita un equilibrio perfetto.
E ora c'era una debolezza, una sottilissima crepa che uno sguardo disattento non avrebbe mai potuto notare. Non era nulla, e forse tutto quello che lei aveva costruito sarebbe rimasto intatto ancora per moltissimo tempo.
Watanuki.
Il suo giovane discepolo – che non aveva la minima idea di essere stato chiamato ad un ruolo tanto grande e sapeva solo lamentarsi di quanto lei lo schiavizzasse – cominciava ad essere conosciuto nei mondi. E aveva ancora così tanto da conoscere e imparare che Yūko poteva sentire forse per la prima volta un sentimento di preoccupazione che si avvicinava alla paura.
Allungò la mano a tentoni sul pavimento, finché le sue dita non incontrarono la bottiglia di liquore e si strinsero attorno al collo gelido.
Quel momento di debolezza, chiuso saldamente entro i confini della propria stanza, le sembrava inaccettabile, ma anche inevitabile. Essere stretta, in modo così consapevole e indifeso, nella morsa del destino, le sembrava per la prima volta un'ingiustizia.
Il picchiettio alla porta la colse di sprovvista, anche se era stato quasi impercettibile.
Sollevò la testa di scatto, allungando il collo candido verso il luogo da cui proveniva il rumore.
«Yūko? Yūko, ci sei?»
Si risollevò, contraendo le gambe verso il corpo, in modo da assumere una delle sue consuete pose.
«Vieni pure, Watanuki.»
Il ragazzo aprì la porta. Forse non si era aspettato di vedere la strega così tranquilla che centellinava il suo sakè, perché sbatté le palpebre un paio di volte senza riuscire a dire nulla, solo la bocca socchiusa in un'espressione idiota.
«Allora?»
«Ah, sì... c'è la cliente di ieri sera. È ancora qui.»
Yūko sorrise, sciogliendo l'intrico delle gambe e gettando i piedi sul pavimento.
«Che strana ostinazione per uno spirito, in questo periodo dell'anno. Ma forse il sole caldo lo sta illudendo che sia ancora estate.»
Passò accanto a Watanuki, il consueto sorriso che le increspava le labbra.
«Porteresti il thé? Oggi lo vorrei al gelsomino. E magari anche qualche dolcetto, ne hai preparati oggi?» la donna sussurrò appena quelle parole, come se gli stesse confidando un segreto. Un tono che al ragazzo era parso come una carezza, una confidenza esclusiva per loro due.
«Sì. Ti porto tutto subito.»
Lei chiuse gli occhi, inclinando la testa di lato, mentre il suo sorriso si ampliava facendo comparire i denti candidi.
«Grazie mille.»
Yūko si allontanò lungo il corridoio, mente lo strascico del kimono la seguiva con un suono ovattato. Ad ogni passo la stoffa e gli accessori tra i suoi capelli componevano una melodia mistica che rimbombava all'interno del negozio.
«Watanukiii! Ti aiutiamo noi!» Maru e Moro si lanciarono di peso sulle sue gambe facendolo cadere a faccia in giù sul pavimento.
«Aaahh!»
Yūko sorrise nel sentire il trambusto arrivare dal corridoio mentre la mano si appoggiava sulla porta e la spingeva di lato.
La donna creola era seduta al tavolo, perfettamente composta, il rossetto rosa pastello che risaltava sulla pelle scura. Eppure il suo viso era stanco, come se parte dell'energia che rendeva quella carne piena e desiderabile le fosse stata succhiata via.
«Ecco io...» lei si alzò di scatto dalla sedia, posando sul tavolo la mano aperta «Ho bruciato la bambola appena sono tornata a casa, ma anche questa notte è venuto a trovarmi. Verrà per sempre.»
Yūko si accomodò con grazia.
La donna strinse le mani, affondando le unghie smaltate di rosso contro i palmi. I capelli crespi le ricaddero sul viso, oscurandone i tratti esotici.
«Liberami, ti prego.»
«Siediti. Aspettiamo il thé.»
La donna si risedette, i pugni chiusi sulle ginocchia e il viso distorto dalla sofferenza piantato contro quello della strega.
Yūko aveva ancora quello strano sorriso di poco prima.
A cosa poteva servire avere timore? Aumentava solo la debolezza. La fiducia era l'arma migliore, per la guerra che aveva deciso di combattere.
Watanuki entrò nella stanza e portò il vassoio con il thé al tavolo. Accanto, su due piattini, campeggiavano due superbe fette di torta al cioccolato, in cui strati di soffice crema bruna si alternavano a sfoglie croccanti.
«Grazie, Watanuki. Accomodati pure con noi.»
«Io sono quella che si potrebbe chiamare una cortigiana. Sono venuta da un paese lontano perché non sapevo come aiutare la mia famiglia.» la donna iniziò a snocciolare una parola dopo l'altra, continuando a tenere gli occhi fissi in quelli di Yūko. Al sentire quelle parole, Watanuki arrossì, ma nessuna delle due donne parve farci caso.
«Per anni ho visto uomini tutti uguali, persone la cui esistenza a malapena riusciva a sfiorarmi.»
Yūko chiuse gli occhi e annuì. Conosceva bene la sensazione. Migliaia di volti, tratti che si confondevano nella banalità delle loro esistenze, nel loro vivere fugace solamente per la frazione di un istante. Un essere per sempre che annullava ogni interesse, a favore di un più ragionevole equilibrio.
«Eppure, quando per la prima volta i nostri occhi si incontrarono, ho saputo che dovevo entrare a far parte della sua vita. Che ero lì affinché lui potesse vedermi, e amarmi.» [6]
Un incontro fuggevole pianificato dal Fato, qualcosa che non poteva essere in alcun modo evitato, ma forse, proprio per questo motivo, tanto importante che lasciarselo sfuggire sarebbe stato da sciocchi.
«Tutto quello che ho visto, toccato e sentito con lui mi è sembrato vero per la prima volta, come se una luce potentissima fosse entrata nella mia vita. Per questo ho fatto quella bambola, con la magia che mi ha insegnato mia madre. Perché volevo che lui restasse, ad ogni costo. Perché quel vero amore da vivere era diventato tutto e la fine di tutto.»
Yūko lasciò che la voce della donna creola si spegnesse. Poi avvolse le mani sottili intorno alla tazza del thé e se la portò alla bocca, sorseggiando con grazia.
«L'amore è solo un sentimento, si disperde. È tenace, caparbio, ma è comunque solo un sentimento. Non dovrebbe essere difficile sciogliersi da esso, una volta che il cuore che pulsava d'amore si è spento. Purtroppo, però, chi rimane molte volte ha forza a sufficienza per incatenare gli spiriti al mondo.» Yūko sollevò gli occhi sulla donna e le sorrise sinceramente, come se riuscisse a capire alla perfezione il tormento che la invadeva «Lui è ancora qui perché tu vuoi che sia ancora qui. Prima con l'amore, poi con la magia, e ora con il rimpianto. Lascialo andare. Lascialo.»
«Lo sto facendo!»
«Non lo stai volendo davvero.»
La donna abbassò lo sguardo, mentre lacrime di rabbia le rigavano le guance scure. Si mordicchiava il labbro inferiore con i denti perfetti.
Yūko conficcò la forchettina nella fetta di dolce e se lo portò alla bocca.
Negli incontri predestinati dal Fato, non ci poteva essere nessuna forma di coercizione, né di angoscioso affetto.
Si doveva lasciare che le cose si compiessero nella loro pienezza.
Non volse la testa verso Watanuki che sedeva immobile e nervoso alle sue spalle. Avrebbe potuto intuire con precisione la portata dei pensieri e l'espressione del viso del giovane. E in questo la magia non c'entrava nulla.
Forse tutto dipendeva dal fatto che ogni giorno che passava assomigliava sempre di più a lui. Nell'aspetto, con quegli occhialini che gli scendevano sempre sulla punta del naso. Nello scandalizzarsi e nel rimproverarla per le sue pessime abitudini. Nell'osservare il mondo con uno sguardo di trattenuto affetto. Nel far parte della sua vita e nel renderla meno solitaria, per quando stare da sola non le dispiacesse affatto.
«La vita che lui ti ha promesso, ora non è più possibile. Devi imparare a vivere in un mondo in cui lui non c'è più.»
Ed era molto più semplice di quanto si potesse pensare.
La donna si strinse la testa tra le mani, affondando le unghie dipinte nella capigliatura leonina.
«A volte, i motivi per non avere rimpianti sul passato giungono inaspettati. Bisogna solo farsi trovare pronti per accoglierli con semplicità.»
Yūko si sollevò in piedi, appoggiandosi con i palmi delle mani sul tavolo.
Quando passò accanto alla sedia su cui stava Watanuki, volse di sfuggita un'occhiata al ragazzo che la fissò incredulo.
Fortunatamente lei aveva riconosciuto alla prima occhiata nello specchio un motivo davvero speciale per non dover più guardare indietro, alla ricerca di una figura alta e occhialuta confusa tra i veli del tempo.





[5] Citazione della frase "THERE IS NO JUSTICE - THERE'S JUST ME." di Terry Pratchett. Questa frase è di Yūko fino al midollo, non trovate? *__*
[6] Il discorso tra Yūko e la donna creola ricalca il testo della canzone Love is only a feeling dei Darkness.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 23 Settembre - Tra distese scarlatte di sangue e di vita ***




23 Settembre - Tra distese scarlatte di sangue e di vita


Watanuki strinse il nodo della cravatta con attenzione, mentre le punte del colletto, rivolte all'insu per consentirgli l'operazione, gli sfioravano le guance.
Gli abiti che indossava avevano l'odore delicato del deodorante che teneva nell'armadio. Era rimasto indeciso fino all'ultimo istante, tentato di mettere la divisa scolastica come ogni giorno, ma alla fine aveva ceduto e aveva indossato il completo elegante.
Forse era anche colpa di Yūko.
Quando la donna creola se ne era andata dal negozio, la sera precedente, la strega gli aveva detto che non c'era più bisogno di lui. L'abito da cerimonia era già pronto su una sedia, ben piegato, e Maru e Moro l'avrebbero aiutata ad abbigliarsi ed acconciarsi come il solito. L'indomani Watanuki avrebbe potuto dedicare l'intera giornata alle sue attività, perché in ogni caso Yūko sarebbe stata assente fino al tramonto della luna dell'equinozio.
Poi gli si era avvicinata, ancora con quel sorriso divertito.
«Apri la mano.» gli aveva detto.
Lui aveva obbedito, stendendo il palmo liscio verso di lei.
Il fermacravatta d'argento era caduto con un luccichio, tanto che lui non l'aveva riconosciuto subito.
«Spero che si abbini all'abito che indosserai domani.» aveva concluso sparendo poi tra i fruscii del kimono di seta, lasciandolo inebetito a stringere tra le dita quell'oggetto freddo.
Watanuki sistemò il fermacravatta. Aveva una decorazione preziosa a forma di farfalla, il cui corpo era formato da una pietra blu a forma di goccia. La sfiorò con i polpastrelli, incredulo, come se si aspettasse di vedere quel piccolo insetto prendere il volo da un momento all'altro.
Watanuki scosse la testa con vigore. Non era certo che fosse una buona idea tenere quella spilla, visto che ogni cosa proveniente dal negozio spesso era legata a vicende o fenomeni poco chiari.
Eppure non riusciva a toglierla.
Si staccò dal lavandino come se separarsi dalla propria figura replicata allo specchio fosse una fatica immane.
La volpe della pipa si avvicinò a lui e si infilò dentro la manica della sua camicia, provocandogli il solito brivido di solletico.
Uscì allora dal bagno ed indossò la giacca, sistemandosi il bavero con i palmi delle mani.
La sua immagine, riflessa ancora allo specchio attraverso la porta lasciata aperta, lo osservò con angoscia lisciare la stoffa scura dell'abito. Alzò la mano, come per richiamare la sua attenzione, ma Watanuki aveva già la mano sulla maniglia della porta all'entrata.
Il ragazzo si bloccò, come se avesse sentito qualcosa.
Sorrise, rassicurato dal silenzio, e uscì dall'appartamento mentre il riflesso muto tentava disperatamente di chiamarlo battendo i pugni dalla sua prigione di vetro.


Pioveva a dirotto. Come aveva predetto quel maledetto.
Watanuki lanciò un'occhiata distratta attorno a sé mentre si avviava verso l'ingresso del tempio della famiglia di Doumeki, sotto il suo ampio ombrello rosso che assomigliava alla corolla di una lycoris.
Il piazzale antistante era gremito di persone che parlottavano e si alternavano dentro e fuori dal perimetro del tempio. Alcuni indossavano abiti comuni, altri avevano preferito i kimono colorati dagli obi preziosi, anche se dovevano sollevarne i lembi per evitare che si inzaccherassero. Altri ancora stringevano tra le mani mazzi di fiori o piccole offerte che avrebbero lasciato nel cimitero per onorare i defunti.
Le aiuole che fiancheggiavano quello spazio enorme erano esplose del colore carminio dei lycoris che il grigiore della pioggia non riusciva a spegnere.
«Watanuki!»
Il ragazzo sollevò il viso. Himawari era in piedi vicino ad uno dei pilastri dell'entrata del tempio e lo salutava con il braccio teso in alto, il palmo che si agitava a destra e a sinistra.
Indossava un cappottino leggero, bianco dall'ampio bavero nero, e il visino era illuminato da un sorriso di dolcezza che gli fece battere il cuore più forte.
«Ciao Himawari-chan...»
«Andiamo, Doumeki ci sta aspettando dentro per la preghiera. Suo nonno poi ci ha preparato il pranzo.» la ragazza lo disse veloce, eccitata dall'idea «Sono molto felice che tu oggi sia venuto al tempio, Watanuki.»
Quelle ultime parole le aveva scandite con lentezza, quasi tutto il significato di quella giornata si condensasse in quell'unica frase.
Watanuki arrossì, scompigliandosi i capelli con la mano.
«Yo...» sentirono dire con voce atona alle loro spalle.
Quando si voltarono, trovarono Doumeki che li aspettava, vestito della veste cerimoniale del tempio.
«La signorina Yūko ci raggiunge dopo?» chiese Himawari incamminandosi di fianco ai due ragazzi.
«No. Andava a pregare altrove.» le rispose Watanuki, senza riuscire ad impedirsi un brivido gelido lungo la schiena.
Compiere tutti i gesti meccanici della preghiera, percependo accanto a sé la presenza rassicurante di Doumeki e Himawari, gli riuscì spontaneo. Il gorgoglio dell'acqua, il suono della campana, tre battiti forti di mani davanti al viso. Sorprendendosi da solo, a differenza di tutti gli equinozi passati, riusciva a respirare.
Sbirciò alla sua destra, dove Himawari si trovava intenta con i palmi delle mani giunti di fronte al viso.
La ragazza aveva un'espressione concentrata, come se quella preghiera, concepita nel cortile del tempio invaso dal profumo dei lycoris, avesse un'importanza vitale.
Di tanto in tanto stringeva gli occhi e le ciglia che tremavano con delicatezza gettavano un'ombra tremula sui suoi zigomi.
Doumeki teneva il viso alto, rivolto a tutto quello che accadeva nel tempio. Saltuariamente accennava ad un saluto nei confronti dei devoti che passavano loro accanto.
Watanuki sollevò la testa. L'aria era immobile e silenziosa. C'era solo il mormorare placido dei visitatori del tempio e lo scricchiolio della ghiaia sotto i loro piedi.
Nessuna voce angosciosa, nessun lamento o mano spettrale rivolta verso di lui.
Solo una profonda pace e la sensazione, che gli provocò un sussulto di piacevole stupore, di non essere solo.


Le bambine le girarono intorno un'ultima volta per controllare che l'ampia gonna nera dell'abito fosse perfetta, senza pieghe.
Yūko attendeva immobile, le mani giunte sul grembo, le palpebre abbassate.
Si sentiva un leggero trambusto all'interno del negozio, ma lei non se ne curava.
Se avesse potuto scegliere, avrebbe voluto non doversi recare al fiume, o almeno poterlo fare da sola, ma anche lei era sottomessa all'inevitabile.
Avrebbe voluto intorno la pace di quella landa desolata e ricoperta di leggera umidità per poter guardare dall'altra parte e, finalmente, vederlo, anche se in tutti quegli anni dalla sua scomparsa non era mai accaduto.
Strinse le lunghe dita in un moto di stizza.
Se avesse potuto parlare con lui, affacciata sopra il corso d'acqua placido che gorgogliava, lo avrebbe rimproverato per questo. Non si poteva scomparire all'improvviso e sobbarcare un'altra persona di una scomoda eredità. Quando ancora lui andava a trovarla nelle sue stanze invase di dolci volute di fumo, intrattenendola con disquisizioni sulla realtà di tutti i mondi possibili, le aveva sempre detto che una sola cosa sarebbe rimasta immutabile e comune per tutti. L'egoismo dei morti, la loro crudeltà sui ricordi dei vivi.
«Bene, possiamo andare.»
Yūko si incamminò fuori dalla camera, lungo il corridoio che conduceva al giardino sul retro. Al suo passaggio, due porte si aprirono. Da una uscì la principessa Emeraude fiancheggiata dal monaco giuda, dall'altra Hinoto veniva trasportata dai propri servitori su un'agevole portantina.
Si accodarono in silenzio, formando una strana processione avvolta da un silenzio profondo, pervaso di misticismo.
Quando sbucarono nel giardino, Yūko alzò istintivamente gli occhi al cielo. Pioveva e tutta la volta era tinta di grigio.
Sorrise tra sé e sé, con dolcezza.
Probabilmente i ragazzi avevano già consumato il loro pasto al tempio e si stavano godendo la giornata a sorbire il thé nella quiete di quell'aria umida.
In ogni caso, l'unica cosa che le importava era che Watanuki comprendesse che a Shubun no hi si doveva essere in grado di dire addio senza rimpianti.
Era buffo però come alla fine lei per prima non si fosse mai trovava nella condizione di farlo davvero, perchè lui era semplicemente scomparso senza dirle una parola.
Yūko alzò il mento in un gesto di decisione altera.
«Mokona, siamo pronti.»
Chiuse gli occhi mentre la bocca dell'animaletto si allargò a dismisura e l'aria iniziò a vorticare furiosamente in quella porta nera.
Nessuno le avrebbe impedito di venire meno alla sua tacita promessa. Nessun destino scritto in qualsiasi dei mondi possibili l'avrebbe sconfitta, per quanto fossero inevitabili. La sua resistenza sarebbe stata implacabile, perché anche questa cosa era scritta nel futuro.
Il vento fischiò con più forza. Yūko sentiva già il profumo delle enormi distese di lycoris che ricoprivano le sponde del fiume.


«Tra poco sorgerà la luna.»
Doumeki teneva lo sguardo rivolto verso il cielo tinto di violetto, un braccio ripiegato sul busto che stringeva una scatola zeppa di polpette, spuntino che avevano acquistato da una bancarella poco lontano. Aveva smesso di piovere e le nubi si stavano disperdendo, liberando ampi lembi di blu.
Watanuki alzò gli occhi. La giornata era stata piacevolissima e placida, libera di ogni sorta di ansia. Avevano già accompagnato Himawari a casa e ora di stavano dirigendo verso il negozio. Watanuki era sicuro che a Yūko avrebbe fatto piacere trovare i suoi abiti pronti per l'indomani mattina, unica nota di ordine nel caos di quei giorni.
«Torna pure al tempio. Proseguo da solo.»
«Non ho nulla da fare, e al tempio è tutto ok.»
Doumeki si infilò in bocca un'altra delle polpette che aveva pescato con uno stecchino dalla propria scatola.
«Non farti problemi.»
L'aveva detto con un tono di voce brusco, reso ancora più smorzato dal fatto che stesse masticando, come se davvero non gliene importasse nulla.
Watanuki sorrise nervoso, grattandosi la nuca con le dita in un gesto imbarazzato.
Se ci fosse stata Yūko, gli avrebbe dato un colpetto nel fianco con il gomito e gli avrebbe ingiunto di ringraziate con un sorriso di affettuosa derisione. Watanuki sapeva che sarebbe stato sufficiente aprire la bocca e pronunciare una semplice parola, ma ogni volta che ci provava qualcosa gli strozzava la gola impedendogli di parlare.
Allungò la propria scatola di polpette sotto il naso di Doumeki.
«Vuoi anche le mie? La tua presenza mi ha fatto perdere l'appe...»
Watanuki si interruppe. Verso di loro si muovevano due figurini che parlottavano piano e i cui passi risuonavano lungo l'asfalto e il silenzio nella notte.
Watanuki sbatté le palpebre quando le due ragazze che avanzavano verso di loro vennero illuminate dalla pozza di luce di un lampione.
Non le aveva mai viste insieme e il quadro che formavano, mentre chiacchieravano tra loro percando da un cartoccio comune piccoli wustel a forma di polipo, era sicuramente bizzarro.
La gotic lolita dai capelli azzurri sorrideva arricciando un po' il piccolo naso in un'espressione lieta che sul bel viso pallido appariva inconsueta. La ragazzina al suo fianco, dal tradizionale kimono fiorito, parlava a voce bassa con una certa foga, come se avesse tantissimi piccoli segreti da raccontare all'amica. Watanuki notò che i suoi capelli scuri erano trattenuti di lato da due piccole mollette con una decorazione a forma di ali.
Quando si accorsero che i due si erano fermati ad osservarle, le ragazze sollevarono lo sguardo ammutolendo di colpo, mentre le loro guance di coprivano di rossore per essere state colte in un atteggiamento così ingenuo e confidenziale.
«Kimihiro Watanuki!» esclamò con foga la Amewarashi puntandogli contro il dito della mano guantata «Non ti ha detto nessuno che è sconveniente fissare le ragazze?»
«Ecco, io... veramente...»
«Ciao...» il saluto della Zashikiwarashi fu solo un pigolio appena sussurrato. Subito avvampò, portandosi una mano a schermare la bocca quasi avesse urlato, e abbassò lo sguardo verso i propri zoccoli di legno.
«Ciao.» anche il saluto di Watanuki era venato di imbarazzo «Siete state a festeggiare Shubun no hi
Appena pronunciata la frase si diede dell'idiota. Probabilmente erano state in compagnia di Yūko dall'altra parte e non come loro in un normalissimo tempio della città.
«Non dire idiozie, Kimihiro Watanuki! Figurati se noi abbiamo bisogno di onorare gli spiriti degli esseri umani!»
«Ehi...»
Lo schiocco furioso della frusta accanto a loro esplose improvviso.
Alzarono gli occhi, sgomenti, mentre il cielo sembrava essersi tinto del nero più cupo. Echi di risate femminili rimbalzavano da una parte all'altra, come se provenissero da ogni angolo del quartiere. Nell'aria si spanse l'odore dolciastro dei ciliegi in fiore. Ma non era il consueto profumo dei delicati petali rosa, quanto piuttosto un tanfo nauseabondo e appiccicoso, come sangue.
«Guarda un po' quanti bei pulcini... non si dovrebbe stare fuori fino a tardi, la sera. Si possono fare incontri sgradevoli.»
In piedi su uno dei lampioni svettava la figura dell'uomo vestito di bianco che li aveva aggrediti due giorni prima. Poco lontano, come un'ombra, stava il ragazzo vestito di nero. Voltava loro le spalle e l'ovale pallido del viso era appena intuibile dietro lo schermo degli occhiali scuri.
L'Amewarashi strinse le spalle della Zashikiwarashi in un gesto di protezione, mentre anche gli altri due ragazzi si facevano più vicini.
«Cosa volete!?» Watanuki cercò di sembrare minaccioso, ma la voce gli uscì arrochita e stentata per la paura.
«Assolutamente nulla dai tuoi amici. Ci hanno chiesto di scambiare quattro paroline con te, piccolo insetto...» in piedi sul muro comparvero le due donne che il giorno prima erano state cacciate da Yūko. La donna dai lunghi capelli neri che aveva parlato lo fissò con gli occhi di ghiaccio come se avesse potuto schiacciarlo solamente con lo sguardo, e lui fosse la nullità più rivoltante della terra.
Doumeki fece un passo in avanti, stendendo il braccio per schermare Watanuki.
«Se c'è una cosa che adoro di questo lavoro sono i tiepidi momenti di coraggio che hanno gli esseri umani. Sono commuoventi.» disse Yuto Kigai mentre la sua frusta schioccava ancora nell'aria.


Dal prato punteggiato di corolle vermiglie sembrava salire il mormorio soffocato di una canzone, come se ogni più piccolo filo d'erba stesse recitando un mantra propiziatorio.
Yūko stava in piedi, la veste mossa dal vento, e avvertiva dietro di sé la presenza di tutte le persone accorse per lo Shubun no hi. Erano giunte da ogni mondo per rendere omaggio, per ricordare che c'era un luogo dove, malgrado la potenza dell'anima, prima o poi ci si sarebbe ritrovati a transitare, non aveva importanza se si aveva a disposizione un solo giorno o centinaia d'anni.
Sull'altra riva, oltre il velo di umidità che saliva dal fiume, si intuiva l'affollarsi di anime. Alcune non erano altro che confuse macchie grigie. Di altre si poteva distinguere una sagoma più definita, qualche particolare importante, che rendeva quella visione unica e straziante.
Yūko alzò gli occhi dalle palpebre pesantemente truccate. La luna era enorme, argentea e traslucida e galleggiava sul cielo lilla e viola.
«È davvero bellissima.»
La strega rivolse lo sguardo verso Mokona che se ne stava placida ai suoi piedi. Sorrise, e il viso cereo assunse un'aria malinconica.
«Già, è davvero bellissima.»
«A Watanuki piacerebbe molto.» continuò l'animaletto dopo un cenno affermativo «Per il prossimo Shubun no hi lo porteremo con noi, Yūko?»
La donna non fece in tempo a rispondere. I suoi occhi riuscivano solo a vedere la gemma blu al centro della fronte dell'animaletto lampeggiare in un angoscioso segnale d'allarme.


Un lembo del vestito dell'Amewarashi sbucava dall'enorme blocco di ghiaccio in cui era intrappolato il corpo dello spirito.
Fili invisibile bloccavano la Zashikiwarashi, tenendola sospesa a pochi centimetri dal suolo.
Gli esserini che solitamente proteggevano lo spirito domestico erano appesi a testa in giù da un albero e si dimenavano mugolando sotto bavagli che non si potevano vedere.
Doumeki era riverso a terra, svenuto, e la veste stracciata del tempio lasciava intravedere le lunghe ferite orlate di sangue provocate dalla frusta di Yuto Kigai.
Watanuki chiuse gli occhi mentre storceva la bocca in una smorfia.
Cercò di riprendere fiato. Poteva anche essere un brutto sogno, il frutto di un'abile illusione. Dopotutto, come gli aveva insegnato Yūko, tutte le sensazioni che un uomo poteva provare erano solo una proiezione della sua mente, di pensieri e pulsioni dettate dai desideri.
Per questo, probabilmente, era solo qualche abile magia a fargli sentire quella sensazione di freddo che dalle punte delle dita gli stava ghermendo il petto e gli faceva pulsate gli occhi nelle orbite.
Seishiro Sakurazuka contrasse con più forza le dita intorno al collo di Watanuki mentre la volpe della pipa tentava di difendere il proprio padrone, mordendo con la piccola bocca la mano guantata dell'assassino.
Il ragazzino della strega delle dimensioni stava dimostrando molta più tenacia e attaccamento dalla vita di quando Seishiro si fosse aspettato.
Si stava aggrappando fiducioso agli ultimi brandelli di vita che gli erano rimasti.
Non se ne voleva andare.
Seishiro abbassò lo sguardo sul fermacravatta di Watanuki, la cui pietra blu pulsava di una debole luce intermittente.
Lo strappò con la mano libera e lo gettò a terra, pestandolo poi con la suola della scarpa, finché non sentì l'oggetto frantumarsi in mille briciole.
Watanuki tremò sotto la sua presa, il corpo sottile sollevato da terra che si scuoteva come in preda ad un brivido, poi esalò un sospiro mentre gli occhi rimanevano spalancati in un'espressione di attonito dispiacere.
Seishiro allargò le dita della mano e il corpo di Watanuki rovinò a terra immobile, come una bambola rotta.
«Possiamo andare.»
Yuto Kigai rimase a guardare il giovane ragazzo occhialuto. Il suo sguardo non tradì nulla, né rammarico, né compiacimento.
Tutti i loro destini erano già stati scritti. Quella era davvero l'unica cosa che contasse.
I quattro sicari svanirono nella notte densa della strada.
Su ogni cosa brillava, indifferente, la luna.


«Benvenuto.» sussurrò una voce modulata vicino al suo orecchio.
Watanuki aprì gli occhi di scatto, come se la sveglia del mattino gli avesse rimbombato con forza nella testa.
Su di lui erano chine una decina di persone che gli sorridevano con dolcezza, sussurrando appena frasi rassicuranti.
Poteva sentire i lunghi steli d'erba carichi di rugiada solleticargli le guance e il vento sussurrare tra i lycoris.
La donna che aveva parlato aveva un viso pallido circondato da una massa di riccioli scuri e ribelli. Aveva labbra morbide truccate di rosso e un sontuoso abito bianco da cui spuntavano due piccole ali che sembravano meccaniche.
«Sei un angelo?» anche la sua voce risuonava gentile nell'aria rarefatta.
La donna ridacchiò chiudendo gli occhi e inclinando la testa di lato.
«No, non ci sono angeli qui. Solo persone. Uh...» la donna sollevò la testa, l'attenzione rivolta altrove «Sei arrivato in un momento davvero speciale, sai?»
Watanuki sbatté le palpebre.
Fu in quel momento che avvertì, trasportato dal vento, il mormorio della preghiera. Era basso e indistinto, e le parole si accavallavano l'una sull'altra, senza forma.
«Stanno pregando per la nostra serenità. È un gesto di rara dolcezza ed è proprio per questo l'atto più prezioso di tutti.» continuò la donna volgendo gli occhi verso l'altra sponda del fiume.
Watanuki portò lo sguardo nella stessa direzione.
Mentre la nebbiolina scorreva tra le rive accarezzando i fiori sempre più rossi e vividi, iniziò ad intravedere le sagome di uomini e donne vestiti di abiti preziosi, dritti in piedi, rivolti verso di loro.
Pur avendo capito dove si trovava, Watanuki non provò alcuna angoscia.
Era semplicemente lì, e basta.
Poi, un pensiero lo colpì con una forza inaspettata che gli fece mancare il respiro.
I suoi genitori. Se davvero si trovava dall'altra parte, avrebbe potuto rivederli, conoscerli, ritrovare tutti i gesti che non aveva avuto in quegli anni trascorsi senza di loro.
Iniziò a percorrere la moltitudine degli spiriti con lo sguardo, nella speranza di rispecchiarsi in volti dai tratti conosciuti. Avanzava tra quelle ombre opalescenti, incurante dei saluti garbati che gli rivolgevano e dei sorrisi di gentilezza. Procedeva fendendo la folla con la spalla, come durante le affollate serate estive tra le bancarelle e le lanterne cinesi. Morto tra i morti, stava cercando qualcuno che lo aveva abbandonato troppo presto.
Watanuki non sentiva più la litania che giungeva dall'altra sponda, il suo gonfiarsi come una fiamma crepitante, per poi tornare ad essere un sussurro. I suoi piedi scostavano i fiori rossi che punteggiavano la landa incantata.
«Mamma! Papà!» pronunciò quelle parole con un tremito incontrollato. Dopo molti anni – tanti che ormai non voleva neppure più conteggiarli – li chiamava con la speranza di una vera risposta, di vederli comparire davanti a lui con i visi gentili e affettuosi.
«Watanuki...»
Si voltò al richiamo di quel sussurro.
I suoi occhi si dilatarono nell'incontrare le figure della Zashikiwarashi e della volpe della pipa nella sua forma completa, con le nove code che si agitavano nell'aria rosa.
«Ah...»
«Watanuki, dobbiamo andare. Devi ritornare. Non è ancora il tempo per te di stare qui.»
La volpe avanzò mentre lo spirito domestico parlava con dolcezza, stringendo le mani in una preghiera carica di lacrime. L'animale gli afferrò delicatamente la manica con i denti e gliela tirò, mugolando piano.
«Vorrei vedere i miei genitori. Vorrei solo vederli per un istante, poi verrò con voi, ve lo prometto.»
La Zashikiwarashi scosse la testa stringendo gli occhi e la sua piccola bocca si chiuse in una smorfia di diniego.
«Non puoi, non abbiamo tanto tempo. Devi venire subito, Watanuki, altrimenti dovrai rimanere qui per sempre, e non puoi...»
Il ragazzo rimase come sospeso.
«Ma...» allargò le braccia, come a voler circondare tutta quella distesa di pace su cui splendeva la luna dell'equinozio.
Watanuki si guardò le mani. Erano le mani di uno spirito. Mani che non avrebbero più potuto stringere nulla, se non quell'erba sottile e quei fiori dal colore splendente.
Chiuse gli occhi.
Cosa aveva detto, Yūko?
Si doveva lasciare andare le cose e le persone ormai perdute. Vivere senza rimpianti, lasciando che il passato sfumasse lievemente alle spalle con il procedere del cammino.
Dire addio, sciogliere le dita intrecciate, e sollevare la testa con il desiderio dell'orizzonte.
E lui non era ancora pronto a dire addio ai bentō preparati per Doumeki ed Himawari, ai gridolini di Maru e Moro, al chiassoso chiacchiericcio di Yūko e Mokona dopo che avevano alzato troppo il gomito. Non poteva rinunciare a tutti i visi incontrati fugacemente per strada, alle giornate di sole vissute con leggerezza, ai mille piccoli dolori che lo avrebbero aspettato.
Non riusciva a pensare di dover fare a meno di tutto quello che ancora non conosceva. Non poteva pensare ad una vita più bella della propria, qualsiasi cosa l'avesse sorpreso nel passato e qualsiasi angoscia lo aspettasse nel futuro.
Non era ancora pronto.
Si voltò, d'istinto, e tra le volute della nebbia la vide che lo fissava con intensità, con quelle iridi rosse che sfidavano il confine del mondo dei morti per posarsi su di lui con ansiosa attenzione.
Le sorrise, inclinando appena la testa di lato.
Non era pronto a dirle addio, ed era sicuro che lei si sarebbe arrabbiata moltissimo, se lui se ne fosse andato senza neppure un saluto.
La figura ammantata di nero di Yūko svanì, mentre l'aria, sul fiume, ritornava immota e silenziosa.
«Andiamo. È ora di tornare a casa.»





Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Epilogo - Sotto il tuo sguardo ***




Epilogo - Sotto il tuo sguardo


Gli occhi di Watanuki divoravano avidi i caratteri stampati sul giornale. Parola dopo parola percorreva le righe, mentre le sue mani si contraevano sulla carta con un gesto di ansia.
Quasi non si accorse che il quotidiano era sparito da sotto il suo naso, e lui continuava a fissare la superficie lucida e brunita del tavolo.
«I minorenni non dovrebbero leggere notizie così scabrose. Ne va della limpida innocenza della pubertà.»
Yūko inclinò la testa di lato, mentre reggeva il giornale tra le dita della mano come se fosse stata una cosa sporca.
«Ehi! E poi senti chi parla! Abusando di alcool e di tabacco non offri certo un esempio migliore delle notizie di cronaca nera!» rispose Watanuki querulo, fingendo un'espressione offesa.
«Non essere pignolo come il tuo solito, Watanuki. Se ti permetterai ancora di commentare il mio stile di vita, aggiungerò altre ore lavorative al tuo servizio!»
«Sei una strega!» gridò il ragazzo saltando in piedi con veemenza.
«Allora sii gentile, caro Watanuki. Prepara un paio di birre fresche e degli stuzzichini per me e Mokona. Ora che quelle due antipatiche se ne sono andate, ho proprio voglia di scolarmi l'ultima birra della stagione calda, bevuta comodamente in giardino!» gli chiese arricciando il naso in un presunto gesto di carineria.
«Sei una donna orribile! Mi avrai sulla coscienza!» rispose lui marciando impettito verso la cucina, mentre Maru e Moro lo seguivano, imitandolo con un'andatura altrettanto marziale.
Yūko appallottolò con calma il giornale, posandolo sul tavolo.
«Notizie sulla donna creola?» chiese Mokona.
«Suicidio. Forse sperava di poterlo raggiungere. Non sapeva che uno spirito tormentato dai rimpianti non può raggiungere quel luogo
Non poteva esserci nessun rimpianto. Nessuna amarezza dell'animo, nessuna ombra allungata sul cuore.
Watanuki era ritornato, accompagnato dalla Zashikiwarashi e dalla volpe della pipa, e anche con l'aiuto di un vigoroso massaggio cardiaco fatto da Doumeki.
Watanuki era ritornato e non era ancora arrivato il momento di dire addio.
E Yūko non poté impedirsi, sotto la maschera della strega potente, di sentir nascere una felicità trepida e dolce.
Avrebbe potuto osservare Watanuki aggirarsi nel negozio e nella sua vita ancora per moltissimo tempo, controllare con saggezza tutti i suoi affanni, ridere per ogni volta che perdeva le staffe.
Raccolse l'ampia gonna dell'abito con la mano affusolata, avviandosi verso la porta. Quando fu in corrispondenza della cornice di legno, schioccò le dita.
Delle fiamme viola esplosero intorno alla palla di carta del giornale, consumandolo con un rombo soffocato. Mentre la cenere risaliva verso l'alto, dalla voluta di fumo prese forma una farfalla dal profilo aggraziato.
L'animale spirituale sembrò indugiare un istante. Poi le sue ali presero a sbattere con più vigore e uscì dalla finestra aperta, volando sempre più in alto verso il cielo screziato d'oro.





Fine dell'avventura!
Volevo ringraziare Roran dei commenti carinissimi! *___* Spero che tu sia arrivato fino in fondo a questa storia senza annoiarti.
Uff, sono felice... questa è ufficialmente la fic più lunga che io abbia mai scritto (e terminato, soprattutto) perciò la cosa mi riempie di gioia! Enjoy! *______*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=232708