C'est la vie. di xnothingbutclaire (/viewuser.php?uid=301428)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un. ***
Capitolo 2: *** Deux. ***
Capitolo 3: *** Trois. ***
Capitolo 4: *** Quatre. ***
Capitolo 5: *** Cinq. ***
Capitolo 1 *** Un. ***
capitolo 1 (c'est la vie)
C'est la vie.
Scrosci
di foglie, cinguettii degli uccelli, sospiri del vento sono quello che
sento dal mio appartamento.
E’ mattina, di nuovo.
Apro lentamente gli occhi,
portando le mani tra i capelli sparsi sul cuscino.
Guardo l’orario
sulla sveglia: 8.30.
Mi ci vuole solo un secondo
per realizzare che sono terribilmente in ritardo.
Mi tolgo la coperta di scatto
e mi alzo ancora mezza addormentata, affrettandomi per arrivare al
bagno.
Cerco di svegliarmi con un
po’ d’acqua sul viso, ma niente, prima della dieci
non mi sveglierò mai del tutto.
Mi impegno con tutta me stessa
di fare veloce, prendo i primi vestiti che trovo
nell’armadio, afferro il cappotto e la borsa e corro fuori,
salutando con un “ciao!” fuggente
François, il mio gatto, che mi guarda come per rimproverarmi
della mia pigrizia.
Controllo l’orario
ancora una volta: 8.45. Dannazione!
Prendo alla svelta le chiavi
della mia misera 500 usata azzurra, le infilo nella serratura e accendo
il motore. Muoviti,
andiamo!
Devo ricordarmi di prendere
una nuova auto. Senza offesa per Lily (la macchina), ma è un
vero catorcio.
Non posso andare a
più di 120 km/h e si rompe in continuazione. Si ferma di
botto mentre guido e certe volte non parte neanche!
E’ tutta colpa mia,
quando ho detto ai miei che non c’era bisogno di comprare una
macchina nuova.
Oh sì, che
c’era bisogno!
Sfreccio verso la mia
destinazione, il negozio di fiori, e ringrazio il cielo di abitarci
abbastanza vicino.
Lavoro lì da circa
un anno, e devo dire mi trovo molto bene.
I clienti sono gentili, il
posto è curato e profumato e ci sono tantissimi fiori.
Ho sempre avuto il pollice
verde, fin da bambina.
Alle elementari, per esempio,
c’è chi amava i computer, chi gli animali e poi
c’ero io, che amavo le piante.
Mi ritrovo in loro, dopotutto
siamo simili. Entrambi tranquilli, entrambi sempre cortesi e gentili.
Non so come mai, forse la mia
testa ha smesso di funzionare correttamente, ma quando vedo un vegetale
mi sembra quasi di riuscire a capirlo.
Se fossero delle persone, le
piante sarebbero davvero dei buoni compagni.
Sono tranquilli, non danno
fastidio, ti stanno accanto senza mai affrettarti.
Ti lasciano fare le tue cose
con calma, ti aspettano sempre lì, non si muovono, non
scappano, non ti lasciano. A pensarci, sono decisamente meglio degli
uomini.
Eccomi davanti alla grossa
insegna rosa e arancione “Flowers
in your life”, il negozio dove lavoro.
E’ di
proprietà di un uomo d’affari di origini inglesi.
Non so davvero cosa
l’abbia spinto a comprarsi un negozietto in una cittadina
insulsa come Saint-Germain.
Saint-Germain-en-Laye
è un piccolo paesino francese dove abitano sì e
no 40.000 abitanti.
E’ carino, questo
sì, ma dopo un po’ che ci abiti e che continui a
fare le stesse cose risulta noioso. Ed io ne so abbastanza.
L’unica cosa buona
è che non succede mai niente di spaventoso. E’
tutto buono e tranquillo, comprese le persone.
Non è come le
grandi città.
Qualche volta vado a trovare i
miei genitori a Parigi e le differenze sono immense.
Soltanto l’aria che
respiri è diversa. E’ tutto così
frenetico, così veloce.
Non hai il tempo di dire una
parola che ti ritrovi già un sacco di persone contro. Non
hai il tempo nemmeno di valutare una scelta o di goderti una giornata.
Ma è divertente,
almeno.
Quando sono stata costretta a
trasferirmi qui, grazie alla casa che un amico dei miei mi ha lasciato,
pensavo che sarebbe stato altrettanto divertente.
Avrei frequentato
l’università normalmente, facendo trenta minuti di
viaggio ogni mattina fino al giovedì per arrivare
all’università più vicina, e il
pomeriggio avrei lavorato in un negozietto.
Il venerdì mattina,
invece, dato che non sarei andata all’università,
avrei lavorato nel negozio. Il week-end sarebbe stato libero,
così avrei avuto un po’ di tempo per me, per gli
amici, per studiare un po’ di più.
Sembrava facile, ma non lo
è affatto.
Mi sono stancata di questa
città. E’ banale e noiosa.
I ragazzi che si vogliono
divertire fanno sempre le stesse cose e sempre con le stesse persone. O
vanno al pub ad ubriacarsi, o in discoteca.
Non c’è
gente molto intelligente o interessante qui. Non che io lo sia
– dopotutto, ho solo ventuno anni e molte volte faccio
delle stupidaggini – ma qui i giovani sono davvero idioti.
Pensano soltanto a quello.
Non capisco proprio cosa abbia
fatto decidere al proprietario di trasferirsi dalla sua bella cittadina
in Inghilterra.
Se avessi la
possibilità, sarei già andata via. Mi sarei
trasferita a Tolosa, o, non so, a Lione… Oppure in
Inghilterra, o in Spagna… Chissà, magari potrei
fare un pensierino anche sull’America!
Sarebbe fantastico viaggiare
per il mondo senza freni, senza problemi, senza complicazioni.
Semplicemente libera.
Ma non posso, assolutamente
no. Sono da sola, con il mio stipendio tra poco non reggo nemmeno me
stessa e non ho la più pallida idea di come si passi un
check-in in aeroporto.
Chi penso di prendere in giro?
Controllo ancora una volta
l’orario e tiro un sospiro di sollievo. Ho ancora cinque
minuti per respirare.
Mi guardo allo specchio,
cercando di migliorare il mio viso con un po’ di trucco e
qualche forcina.
Di solito non metto mai
trucco, se devo essere onesta lo detesto, ma in questo caso
è necessario se non voglio spaventare i clienti.
Mi dò
un’ultima occhiata e finalmente posso scendere.
Esco dalla macchina e mi
avvicino al negozio.
Dopo aver rovistato un
po’ nella borsa, riesco a trovare le chiavi del negozio.
Apro la porta con cautela e
poso la borsa dietro al bancone.
Un nuovo giorno mi aspetta!
Riprendo a sistemare le piante
di iris arrivate ieri negli appositi ripiani.
Adoro essere a contatto con i
fiori, mi mette di buon umore.
Mentre sono concentrata a
mettere a posto le piante, sento un tintinnio, segno che qualcuno sta
entrando nel negozio.
“Buongiorno!”
saluto amichevolmente.
Quando lavori in un negozio
devi essere sempre alla mano e simpatico.
Non puoi essere arrabbiato, o
triste, o depresso, devi avere sempre il sorriso sulle labbra.
Questa è una delle
regole fondamentali che mi ha detto Des, il proprietario, prima di
affidarmi le chiavi del negozio.
Affidarle a me, e a Rosette.
Rosette è la mia
collega da circa un mese, ma non credo sia adatta a questo lavoro.
Non sopporta le piante, gli
animali e qualunque altro essere al di fuori di se stessa e non ha per
niente pazienza.
Io ci vado abbastanza
d’accordo, nel senso che a volte è quasi
un’amica, a volte mi verrebbe da strangolarla.
E’
arrogante… E acida. E non la smette di masticare gomme e di
criticarmi per quello che faccio.
Sa essere anche simpatica,
quando le va. Se le
va.
E’ una ragazza come
me, dovremmo avere più o meno la stessa età.
Forse lei è un
po’ più grande, ma di poco. Ha ancora un viso da
giovane – giovanissima, direi – donna, nonostante
cerchi sempre di mascherarlo con un sacco di eyeliner viola.
A parte questo, non ci
somigliamo affatto.
Oltre alle caratteristiche
fisiche – che comunque determinano un bel po’ di
cose e comportamenti – siamo completamente diverse anche
caratterialmente.
Lei è un vulcano in
continua eruzione. E’ impulsiva, arrogante, acida…
Ma anche divertente, sexy, spumeggiante.
Non sarò mai come
lei, è ovvio. E non mi comporterò mai come lei.
Ho un certo riguardo per le
situazioni sentimentali, sono stata con pochi ragazzi e non ho mai
fatto nulla di disarmante.
E’ un po’
imbarazzante per una ventunenne, ma sono fatta così.
Non ce la faccio proprio a
buttarmi, a socializzare sempre e comunque, non sono il tipo. E poi, ho
anche una grande inesperienza e, in un certo senso, paura.
Invece Rosette è
l’opposto.
Lei ci sa fare con il sesso
maschile, è capace di sedurre i ragazzi anche solo con uno
sguardo, una battuta.
Lei si butta, non ha paura di
risultare eccessiva. Lo fa e basta, non si fa mille problemi come me.
Ed è giusto così.
“Ciao.”
Risponde con aria seccata. Oggi è giornata no.
“Come
stai?” cerco di sembrare il più simpatica
possibile.
“Indovina?”
dice sarcastica. Okay, meglio non continuare questa conversazione.
Chissà cosa
è successo, come mai è così acida
stamattina.
In effetti è sempre
acida, ma di mattina di solito è abbastanza simpatica. Anche
se non lo dà a vedere, ogni mattina è di buon
umore.
Man mano che la giornata
scorre via, il suo lato oscuro viene fuori, e sono costretta a
stringere i denti per evitare di darle un pugno.
“Ehm, scusa Rosette,
potresti darmi una mano con quei lillà? Dovremmo spostarli
all’entrata.” Mi rivolge uno sguardo annoiato, poi
ritorna a guardarsi le unghie, completamente disinteressata.
“Fai te, adesso non
ho molta voglia.”
“Okay.”
Sbuffo dentro di me, scocciata.
Sono sempre io a fare questi
lavori del cavolo, e nonostante cerchi di coinvolgerla in ogni modo,
non ci riesco mai.
Prendo con cautela il primo
vaso e lo porto all’entrata, dopo il secondo e poi il terzo.
Porto delle decorazioni fatte
ieri sera, avevo in mente di disporle all’entrata insieme
alle piante.
Mi fermo davanti
all’entrata, decidendo quale sarebbe la disposizione migliore.
Provo tutte quelle che avevo
in mente, ma nessuna mi convince più di tanto. Sono banali, troppo.
Detesto le cose banali.
E’ bello essere originale.
Mi piacerebbe che, quando una
persona passa per questa via, si fermi ad ammirare la disposizione dei
fiori in vetrina, o qualunque altro lavoretto costatomi tempo e
pazienza.
Presa da un briciolo
d’illuminazione e creatività, dispongo le piante
nuovamente e vado a chiamare Rose per un consiglio.
“Rosette!”
nessuna risposta “Rosette, dove sei? Mi serve un
consiglio!”
Non la vedo da nessuna parte,
così la cerco in magazzino.
Dove diavolo si è
cacciata?!
Assottiglio gli occhi, per
cercare di avere più concentrazione, e finalmente riesco a
vederla.
E’ seduta per terra,
appoggiata a un armadietto, mentre disegna cerchi con il fumo della sua
sigaretta. Non so se scoppiare di rabbia per via del suo continuo
disinteresse o per il fatto che sta fumando in un luogo dove
è assolutamente proibito.
“Rosette?”
la chiamo, cercando di nascondere l’ira che provo nei suoi
confronti.
In questi casi,
l’unico rimedio è sfogarsi contro il centro di
tutti i tuoi fastidi, ma non credo sia l’idea migliore.
“Sì?”
risponde con voce assonnata.
“Che ci fai
qui?!”
“Stavo –
fa un sorriso sghembo e caccia una risatina soffocata –
dormendo. Sì, dormendo!” scoppia a ridere senza
motivo. Oh Dio,
perché tutte a me?
“Dai, andiamo, devi
aiutarmi a sistemare le piante fuori!”
“Ma sistematele da
sola quelle cazzo di piante!” continua a ridere, fumando la
sua sigaretta senza degnarmi di uno sguardo.
Sento che scoppierò
dalla rabbia, un giorno. E quel giorno, è molto, ma molto
vicino.
“Questa la prendo
io.” Prendo la sua sigaretta e la butto per terra,
schiacciandola con la scarpa. Mi giro e vado via.
“Ehy,
perché l’hai fatto?”
Non le rispondo, provo a
calmare il mio sistema nervoso e a riprendere l’idea che
avevo in mente prima.
Torno all’entrata e
dò un’altra occhiata alla disposizione. Non mi
piace.
Sbuffo sonoramente. Non sono
riuscita a fare niente!
Prendo uno sgabello e formulo
qualche disposizione su un foglio, disegnando qualche cesto da
appendere fatto di foglie secche profumate.
Ma non mi viene in mente
niente. Ah, sono spacciata.
Se per stasera non metto a
posto l’entrata, il direttore mi farà una sgridata
che non mi scorderò mai.
Torno dentro, infastidita
più che mai.
Cerco qualche altro lavoretto
da anticiparmi per passare il tempo, oggi non c’è
davvero nessuno.
Dopo un po’, vedo
Rosette ritornare dal magazzino, completamente ripresa.
“Sei riuscita a
mettere a posto i lillà?” mi chiede, come se non
fosse successo nulla.
“Uhm? No, non
ancora. Sono a corto di idee.”
“Ci provo io, vado
un attimo fuori.”
“Okay.” Le
rispondo semplicemente. Se ci riesce, meglio così.
Almeno ha fatto qualcosa
stamattina, oltre a imprecare e a lanciarmi occhiatacce.
“Clara! Vieni a
vedere, subito!” sento Rosette che mi chiama da fuori.
Ha trovato una disposizione?
Speriamo di sì!
Accorro fuori curiosa e devo
dire che sono molto, ma molto sorpresa.
Rosette ha sistemato in modo
fantastico le piante e le varie ghirlande fuori.
Rimango a bocca aperta, non
sarei mai riuscita a ideare qualcosa di più originale.
Improvvisamente, la mia rabbia
verso i suoi comportamenti è sostituita da un grande senso
di ammirazione.
“Rosette, sei stata
grande! E’ meraviglioso!” esulto, non nascondendo
un sorriso entusiasta. La mia collega si mette a ridere.
“Non devi
ringraziare me, l’idea è tutta sua!” non
capisco a cosa si riferisca Rosette, finché da un
lato spunta un ragazzo e si avvicina a lei.
“Piacere, Harry.”
Dice, mentre mi rivolge un sorriso amichevole.
Chiara's corner.
Heeeeeey people! *Sbuca da un angolino*
Sono di nuovo qui! Eh, eh,
vi avevo detto che sarei ricomparsa con una nuova storia,
prima o poi! ;)
Okay, so di avervi detto
che
l'avrei pubblicata a settembre e invece adesso siamo a
gennaio, ma non sono riuscita ad essere puntuale. Quindi,
vi chiedo scusa per la
graaande attesa.
Beh, una cosa buona
di quest'attesa c'è: nuova storia! Ta dan! (?)
In questi mesi non ho avuto
molta immaginazione e la mia mente non è riuscita ad
elaborare un bel niente.
Questa storia mi è
venuta in mente una settimana fa e, man mano che scrivevo, mi sono
accorta che non era una cattiva idea.
La protagonista si chiama Clara e, come avete
letto, è francese. Amo la Francia e il francese a
prescindere, quindi mi sarebbe piaciuto dedicargli un mio scritto.
La città in
questione, Saint-Germain-en-Laye, l'ho presa a caso. Le
cose che scrivo sul suo conto potrebbero anche essere sbagliate, ma
avevo bisogno di un luogo dove far svolgere la storia.
Clara non è ripresa
da nessun personaggio famoso, potete immaginarvela come volete.
Un altro personaggio
importante è Rosette,
la collega di Clara, che è praticamente il suo opposto.
I ragazzi compariranno man
mano nella storia, ma il personaggio maschile più importante
è Harry.
Lo so, sempre lui, ma quando
mi è venuta quest'idea, ho pensato subito ad
Harry come personaggio maschile.
Non
voglio che questa storia venga copiata, se dovesse succedere, verrete
subito segnalati.
Che dirvi, spero che
questa mia nuova creazione non sia una cacca totale (lol) e che
qualcuna di voi abbia pena di me e spenda il suo tempo per scrivere una
recensione più lunga di dieci parole (vi preeeego!).
Mi piacerebbe davvero sapere
cosa ne pensate!
Se avete dei consigli o delle critiche, o tutte e due, non abbiate
paura di dirli! Aiutano
molto entrambi!
Con questo, me ne vado...
Sì, potete stappare lo spumante AHAHA.
Buon anno nuovo a tutti!
:D
Twitter:
@dj_chiara
Tumblr:
chiarascorner
Chiara loves ya.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Deux. ***
cap.2 c'est la vie
C'est la vie.
Squadro il ragazzo
davanti a me con aria sorpresa, prima di rispondere.
E’
molto alto, quasi un metro e ottantacinque, con un corpo magro e
slanciato, ma non gracile.
Ha
delle spalle molto larghe, e braccia possenti, ricoperte di tatuaggi.
Di
solito non trovo molto
affascinanti le persone con tanti tatuaggi – da quello che
riuscivo a vedere, i suoi saranno stati più di una
quarantina
– ma lui era diverso.
Il
suo viso angelico è contornato da una folta massa di ricci
color cioccolato, tirati indietro in modo disordinato.
Sul
suo collo sono attorcigliate
due catenine, una ha un ciondolo a forma di aeroplanino –
che,
secondo me, è davvero bella – e una con una croce.
La
cosa più divertente di questo ragazzo sono i vestiti.
Indossa
una maglietta bianca
semplice abbastanza trasparente, dei jeans neri aderenti con dei buchi
enormi sulle ginocchia e degli stivaletti marroni abbastanza rovinati.
Penso
che, se non fosse così giovane, l’avrei scambiato
per un barbone.
Okay,
sto dicendo una cavolata. Non potrei mai scambiarlo per un barbone.
Nonostante
il look abbastanza trascurato, è impossibile non notare la
sua bellezza.
Il
suo sorriso è luminoso e i suoi occhi verdi sono qualcosa di
spettacolare.
E’
davvero attraente.
E’
una di quelle persone carismatiche, quelle che, dopo anche un solo
sguardo, ti viene la voglia di conoscerli.
“Clara.”
Mi presento e
ricambio il sorriso, guardando poi Rosette. Non capisco il
perché di quelle presentazioni. Insomma, ci ha aiutato con i
fiori, ma basta.
Sicuramente
quella ragazza ha qualche idea in mente.
“Ehy,
Clara – mi giro
verso la rossa, che mi sta parlando – stavo pensando che,
forse,
sarebbe stato giusto ringraziare Harry per il suo aiuto.” Eh?
“Oh,
giusto, scusa. Grazie
mille Harry, davvero non sapevo come fare.” Mi volto verso
Rosette, come per dirle “E adesso?”.
Spero
davvero si accontenti di questa risposta.
“Ehm,
no. Intendevo che potremmo offrirgli il pranzo.”
Scuoto
la testa involontariamente, corrucciando la fronte.
Le
labbra di Harry formano un ghigno soddisfatto, il che mi fa innervosire
ancora di più.
No!
Ma che cavolo si è messa in testa? Non pago il pranzo a uno
sconosciuto!
E
poi, ci ha soltanto aiutato per la disposizione di alcune piante, non
mi sembra che serva ringraziarlo così.
Se
Rosette si è presa una
sbandata, ci può andare anche da sola. Non ho assolutamente
voglia di andare a pranzo con questi due per fare poi il palo durante i
loro corteggiamenti.
“Mi
dispiace, ma non ho
soldi, non saprei come fare…” cerco di sviarla
mentendo,
ma nessuno se la beve. Sono sempre stata una pessima bugiarda.
Tanto
bugiarda alla fine non sono, però, perché i soldi
non ce li ho per davvero.
“Non
importa, allora. Paghiamo noi.” Interviene Harry.
Ugh,
questa non ci voleva! E adesso cosa mi invento?
“Non
credo che possa lasciare
il negozio, di solito a quest’ora c’è
sempre un
sacco di gente!” tiro fuori una scusa idiota, giusto
perché non so più cosa inventarmi.
Questa
strada è desolata da più di due ore.
“A
me non sembra.” Ridacchia Rosette.
“Potrebbero
arrivare!” Harry alza un sopracciglio.
Dopo
la mia affermazione, Rosette mi tira per un polso e comincia a parlarmi
sottovoce, dando le spalle a quel ragazzo.
“E
dai, Clara! E’ finito il turno, possiamo anche chiudere il
negozio!”
“In
realtà manca
mezz’ora! – la correggo – ma in ogni modo
non voglio
assolutamente partecipare a questi tuoi giochetti del cavolo. Sono
stanca e voglio andare a casa.” Replico seccata e anche
abbastanza alterata. Rosette sbuffa sonoramente.
Probabilmente
sta pensando che io sia solo una palla al piede, una perfettina del
cavolo che non si lascia mai andare.
Ed
ha ragione, tutto questo è vero.
Ma
a me, sinceramente, non importa,
ci tengo a questo lavoro, per quanto insulso possa essere. E poi, so
già cosa accadrà al ristorante.
Questi
due si comporteranno tutto il tempo come due fidanzatini ed io
sarò esclusa.
Preferisco
evitare.
“Scusate
ragazzi, ma non posso, davvero.” Che vadano anche senza di me.
“Oh
beh, allora saremo solo
noi due…” dice la rossa, rivolgendo uno sguardo
malizioso
a Harry, che, stranamente, non ricambia.
Sto
per ritornare all’interno del negozio, quando il ragazzo
continua a parlare.
“Ci
parlo io con mio padre.” Che? Vedo Rosette che rotea gli
occhi, infastidita più che mai.
“Tuo
padre?”
“Sì,
lui è Des
Styles, il proprietario di questo negozio. Non credo si
arrabbierà per questa uscita. Dopotutto, è
venerdì
e non c’è nessuno.” Aspettate un momento.
Il
famoso e rinomato – almeno in questa città
– Des Styles è suo padre?
Pensandoci
un attimo, ci assomiglia parecchio. Non ci avevo mai fatto caso.
Stessi
occhi verdi, stessi capelli ricci (anche se quelli del signor Styles
non ci sono quasi più) e stesso sorriso.
Praticamente
due gocce d’acqua, se non fosse per la differenza di
età che li separa.
Harry
mi rivolge un sorrisetto accattivante, ed io non posso far altro che
annuire.
“Fantastico!
Allora Harry, dove possiamo andare?”
“C’è
una
trattoria qui vicino, è italiana ed è davvero
buona!
– si gira verso di me – a te va bene?”
annuisco,
mostrando un timido sorriso.
Da
quando in qua gli interessa del mio parere?
“Come
fai a conoscere tutti
questi bei posti? Si vede che vivi da molto qua!” esclama
Rosette, attorcigliandosi i capelli attorno alle dita.
Sbuffo,
roteando gli occhi al cielo.
E’
possibile che non si sia mai domandata se, con questo suo modo di fare,
possa fare bella figura con gli altri?!
Capisco
che ognuno può fare ciò che gli pare, ma andiamo!
Ogni
volta che incontra qualche ragazzo carino fa la gatta morta! Mi
dà suoi nervi.
Dovrebbe
capire che ci sono cose più importanti di andare con tutti i
ragazzi della città.
Dopo
un viaggio alquanto silenzioso quanto imbarazzante, arriviamo alla
trattoria di cui ci parlava Harry.
Appena
entrati, un ragazzo lo saluta calorosamente, abbracciandolo.
E’
decisamente più basso di Harry, ma è bello quanto
lui.
Occhi
blu, capelli castani e un sorriso spiritoso.
Ha
un’aria simpatica e spensierata.
“Louis!”
Harry ricambia l’abbraccio, sorridendo.
“Cosa
ti porta qui?” si volta e indica noi due, che lo salutiamo
con la mano.
“Lei
è Rosette –
dice indicano Rosette – e lei è Clara”
dice
indicando me. “E lui… Beh, lui è Louis,
il mio
migliore amico nonché neo-cameriere di questo
ristorante.”
Conclude sorridendo raggiante.
L’amico
ci stringe la mano e fa un occhiolino a Harry, per poi lasciarci
entrare nella sala principale.
“Dove
volete sedervi?” ci chiede.
“Qualunque
posto va bene, per me.” Dico io.
“Idem
per me” mi segue Rosette.
Il
cameriere, Louis, ci fa
accomodare in un tavolo al centro della sala e ci fa posare i
giacchetti su un attaccapanni vicino all’entrata.
Rosette
va un attimo in bagno e mi lascia da sola con Harry al tavolo.
Appena
seduta, mi guardo intorno. E’ davvero un bel locale.
E’
piuttosto spazioso, arredato in stile vintage, con tanto di sedie in
vimini e tovaglie a fiori dai colori sgargianti.
“Hey,
che succede?” mi chiede Harry divertito, avendo notato il mio
sguardo meravigliato.
“No,
stavo guardando questo ristorante. E’ davvero bello, non
sapevo nemmeno che ci fosse!”
“L’hanno
finito di
costruire una settimana fa, infatti – lo guardo interessata
– quel mio amico all’entrata ci lavora
da… Due
giorni? E’ davvero un disastro. Perde il lavoro ogni due
settimane!” Non posso fare a meno di sorridere alla sua
affermazione.
“Sembra
simpatico!” annuisce, sorridendo a sua volta.
“Già.”
Se
prima ero a corto di idee, adesso lo sono di parole. Non è
la mia giornata.
Me
ne sto davanti a questo Harry, rigirandomi il cellulare tra le mani e
tenendo gli occhi fissi sul tavolo.
“E
quindi sei inglese,
giusto?” chiedo, sperando di non fare la figura del
poliziotto
che fa il terzo grado al criminale.
“Esatto.
Si nota tanto?”
“In
effetti sì, molto. Il tuo accento si sente
tantissimo.”
“In
pratica il mio francese è pessimo?” chiede
divertito, facendo ridere anche me.
“No!
Si sente soltanto il tuo
accento d’origine, cosa che, per me, è molto
bella. Io
vorrei avere l’accento italiano dei miei nonni, ma la mia
voce
è da perfetta francese.” Spiego sorridendo.
“Italiana,
eh? Un po’ si vede.”
“Nah!”
ribatto.
“Invece
ti dico che si
capisce almeno un po’. Sono stato diverse volte in Italia, ed
ho
avuto la possibilità di osservare molte ragazze –
curva un
angolo della bocca in alto, facendomi capire cosa intendeva –
Ci
assomigli molto.”
“Uh,
mi fa piacere allora.” Lo ringrazio sfoderando un altro
sorriso.
Avrò
sorriso almeno venti volte oggi. Harry mi fa davvero
quest’effetto?
Sembro
quasi entrata in un film adolescenziale.
Ritorniamo
all’estenuante
silenzio di prima. Se ci fosse Rosette non ci sarebbe sicuramente.
Aspetta, Rosette dov’è finita?
“Ma
Rosette?” chiedo insospettita.
“Non
lo so, è in bagno
da almeno quindici minuti.” Mentre parliamo sentiamo la porta
del
bagno chiudersi, e entrambi ci giriamo verso di lei.
Si
siede accanto a Harry, poggiando una mano sulla sua coscia.
Lui
le sorride, visibilmente eccitato, e cominciano a parlare,
estraniandomi completamente dalla conversazione.
Ecco,
i miei presagi si sono
avverati. Mi giro i pollici per un po’, ascoltando i loro
discorsi e cercando di intromettermi, finché arriva il
cameriere
e prende le nostre ordinazioni.
Basta
un secondo e gli occhi blu di Rosette si puntano nuovamente in quelli
verdi di Harry.
I
due flirtano ininterrottamente e, dato che non ho niente di meglio da
fare, li osservo.
Rosette
si gira una ciocca di capelli rossi tra le dita e fissa le labbra di
Harry muoversi mentre parla.
Avere
Harry così vicino mi
fa rendere conto ancora di più di quanto sia affascinante.
Quanti anni potrebbe avere? Ventitrè, ventiquattro?
Sta
chiacchierando a non finire, e, mentre con una mano gesticola, con
l’altra accarezza la mano di Rosette.
Sinceramente?
Mi fa ridere quella situazione.
Da
un lato ci sono questi due che
si corteggiano senza pudore, da un altro ci sono io, la povera sfigata
che si annoia da morire.
Mi
chiedo il motivo per cui mi hanno portato con loro.
Ah,
giusto, Rosette doveva farmi sentire una stupida, ancora una volta.
Guardo
l’orologio, e spalanco gli occhi quando noto che sono ancora
le tre e non ci hanno portato il primo.
Mi
passo una mano sul viso,
pensando all’enorme sbaglio fatto per essermi fatta
convincere. A
quest’ora potrei essere a casa e rilassarmi sul divano,
bevendo
una cioccolata calda e guardando la televisione in compagnia del mio
gatto.
Sgattaiolo
in bagno per passare il tempo, ripetendomi non andare mai
più a questi stupidi appuntamenti a tre di Rosette.
Mi
guardo allo specchio e mi vergogno di quello che vedo.
Ecco
a voi una stupida spilungona,
vestita come una nonnetta, che si intromette in un appuntamento tra due
ragazzi palesemente innamorati.
Certo
che è triste come cosa.
Esco
dal bagno e sbatto contro qualcuno. Perfetto, le figuracce anche nel
ristorante!
Mi
verrebbe voglia di andarmene via
e tornare a casa, chiudermi in camera, infilarmi sotto alle coperte e
restarci per tutto il giorno.
“Scusa,
non volevo!” grido in preda alla disperazione e alla
stanchezza.
“Hey,
non ti preoccupare!” finalmente trovo il coraggio di alzare
il viso e vedo Louis, l’amico di Harry.
“Ti dò
una mano a raccogliere i piatti.”
“Scusami tanto,
davvero. Ero presa dai miei pensieri.” Aggiungo imbarazzata.
“Dai tuoi, o dai
loro?”
dice indicando il tavolo dove sono seduti Rosette e Harry, mentre si
baciano appassionatamente. Scuoto la testa, in segno di disapprovazione
e di disgusto.
“Ci avrei scommesso
di tutto
che entro dieci minuti avrebbero cominciato a sbaciucchiarsi! Da quanto
si conoscono? Una, due ore?” Comincio a ridere, attraendo lo
sguardo stranito degli altri clienti.
“Neanche, una
mezz’oretta scarsa.” Rispondo sconsolata.
“Mi dispiace, devi
essere stanca di tutti quei corteggiamenti.”
“Non ti preoccupare,
sopravviverò!” gli dico, cercando di convincere
più me che lui.
“Dai, che ce la
fai.” Louis sorride e mi dà una pacca sulla spalla.
Ritorno al tavolo e i loro
sguardi si puntano su di me.
“Ma
dov’eri finita? Sono arrivati i primi.” Annuisco,
sedendomi.
Mangio i miei spaghetti senza
proferir parola.
Sicuramente, tra poco
riprenderà la loro alchimia, ed io dovrò stare
lì a guardare.
Ma aspetta, chi mi dice che
devo farlo per forza?
Potrò anche non
essere un asso nel mentire, ma nessuno mi costringe a sopportare questa
noia mortale.
“Scusate ragazzi, ma
devo
andare via… Devo fare un sacco di faccende a casa, poi
c’è anche il gatto…”
Sicuramente Rosette
starà
facendo i salti di gioia dentro di sé, ma la reazione
più
strana è quella di Harry, che si alza e mi segue fino
all’uscita.
“Hey, hey, non
andartene.” Un senso di rabbia mi pervade e gli rispondo con
quello che penso. Tanto non lo vedrò mai più, non
devo
mentire anche con lui.
“Oh, andiamo, non mi
sembra
che vi interessi tanto della mia presenza! C’è una
fermata
dell’autobus qui vicino, torno a casa e mi tolgo di mezzo.
Ciao,
Harry.”
“Lascia che ti
accompagni
– mi ferma prendendomi per il polso –
l’autobus
arriva tra venti minuti.”
“Non mi
interessa.”
“Ti
prego.” Sospiro sconsolata e mi faccio convincere da lui, per
la seconda volta.
Ci avviamo verso la sua auto,
dopo aver avvisato Rosette, che non l'ha presa per niente
bene, anzi, se non fosse stato per Harry lì davanti mi
avrebbe dato un pugno.
E' solo un passaggio, no?
E allora perchè mi sento così... Strana?
Chiara's corner.
Ciao a tutti!
Sono di qui, a sfracassarvi le scatole con il secondo capitolo di
questa fan fiction!
Yayy! (?)
Okay, andiamo subito alla
storia che altrimenti ricomincio a scrivere uno dei miei soliti
monologhi idioti che finiscono soltanto per annoiarvi.
Anche se avevo detto che avrei
cercato di far conoscere di più i nostri personaggi
principali, Harry e Clara, non intendevo che l'avrei in questo capitolo.
Come vedete, è un
capitolo di "passaggio".
Cioè, il
personaggio di Clara
è anche abbastanza ben solidato. E' una ragazza per bene,
posata, un po' timida, impacciata e molto studiosa.
Ma non ho ancora parlato della
sua vita, dei suoi hobby, degli amici, della famiglia... Insomma,
c'è ancora tutto da vedere.
Di Harry invece non si
sa praticamente niente, a parte che, beh, si chiama Harry (ma va? lol),
è il figlio del proprietario del negozio di fiori, ha un
passato in cui ha viaggiato
molto ed è attratto da Rosette ma gli sta simpatica anche la
nostra Clara. Le ha pure offerto il passaggio, che gentleman!
Potrà sembrare che
Styles in questa fan fiction faccia la solita parte del duro e senza
sentimenti che si scopa mezza popolazione femminile, ma no. Assolutamente no.
Non voglio che lui risulti una
persona che non è.
Nei prossimi capitoli si
scoprirà un po' più di lui, ve lo prometto!
Poi, come avete letto, si
è aggiunto anche il nostro carissimo Louis Tomlinson, yay!
Gli ho dato la parte del
cameriere perchè anche nella realtà lo
è stato!
Mi sembrava carina come cosa!
Mi raccomando, ditemi cosa ne pensate
di questo capitolo!
Qualche commento, negativo o positivo che sia, o consiglio mi
aiuterebbe davvero molto.
Ringrazio immensamente le
persone che hanno recensito
lo scorso capitolo (thank you soo much!), quelle che la
hanno aggiunto tra le preferite
e tra le seguite.
Tra le ricordate nessuna, nuo!
:c
AHAHAHA just joking!
Adesso vi saluto tutte!
(immaginatemi mentre faccio "ciao, ciao" con la mano lol).
Buon martedì
(?), si spera che questa settimana sia più veloce e meno
pesante di quella passata!
Au revoir! xx
Ps.
Se volete il mio twittah,
sono
@dj_chiara :)
Se volete
contattarmi, chiedermi scambi recensioni o qualunque altra cosa che vi
venga in mente, io ci sono!
Ps. 2:
Ho anche tumblr!
Voglio conoscere tanti nuovi profili faighissimi (non come il mio, che
è una mezza cacchetta AHAHA), quindi, seguitemi e vi
seguirò subito!
Sono chiarascorner
:D
Ps. 3:
Se qualcuna di voi avesse voglia di scrivere qualcosa
sulla mia fan fiction su twitter, l'hastag
è #C'estlavieFF
Chiara
loves ya.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Trois. ***
cap. 3 c'est la vie
C'est
la vie.
“Siamo
arrivati.” Afferma Harry, scendendo dall’auto e
aprendomi la portiera.
Di
già? Sono passati davvero velocemente questi minuti!
Sono stata
tutto il tempo a guardare il paesaggio fuori dal finestrino.
C’erano
davvero delle bellissime piantagioni di fiori vicino a delle ville
lì fuori.
C’era
anche un vasto prato di girasoli, mettevano un sacco di allegria.
Amo i
girasoli. Sono uno dei miei fiori preferiti, nonostante non abbia una
grande simpatia per i colori accesi come il giallo.
E,
probabilmente, grazie ai fiori sono riuscita a scampare a un
imbarazzantissimo silenzio.
Sentivo lo
sguardo di Harry su di me, lo vedevo con la coda dell’occhio,
ma cercavo in tutti i modi di distogliere l’attenzione.
E’
stato un viaggio terribile, almeno per la mia dignità.
Scendo
dall’auto senza controllare nemmeno di aver preso tutto.
Voglio
smetterla di sentirmi così.
“Ehm,
grazie mille Harry, non dovevi.”
“Avevo
piacere a dartelo, e a stare con te.”
“A
stare con me, cosa?” fingo di non aver capito, quando invece
ho compreso benissimo quello che voleva dire.
“Avevo
piacere a stare con te.” Fa seriamente?
Abbasso la
testa e mi pare di vederlo arrossire.
Un ragazzo
come lui che arrossisce per una… Come me?
Oggi
è una giornata davvero strana.
“Oh.”
Non riesco a dire altro. Stupida,
stupida, stupida!
Sono
praticamente bloccata davanti a lui, e non riesco a smettere di
fissarlo.
“Uhm,
va bene. Allora, io vado.” Continua lui, interrompendo
finalmente il silenzio.
“Grazie
ancora.” Dico sorridendo timidamente.
“Di
niente.” Ricambia il sorriso, mentre mi saluta con la mano e
se ne va.
Prendo la
mia borsa e ci infilo una mano dentro per trovare le chiavi di casa.
E’
sempre una tragedia quando devo trovare delle cose nelle mia borsa.
E’
un po’ quello che succede anche nei miei cassetti.
Magari il
giorno prima sistemo tutto accuratamente, e il giorno dopo mi ritrovo
la stessa bomba atomica di prima.
L’unica
differenza è che non ho mai sistemato i miei oggetti nelle
apposite
tasche delle borse. Io infilo semplicemente tutto dentro e, se ho
fortuna, metto tutto.
Non ho mai
tempo per essere precisa e ordinata.
Sono
sempre disordinata, e la mia vita nel disordine va più che
bene, a
parte quando devo cercare una cosa che non uso da parecchio tempo e
quando deve venire gente a cena e devo mettere a posto la casa.
Non
che fosse grande, eh, è solo un piccolo bilocale comprato
con i soldi
dei miei zii e dei miei genitori, ma quando si tratta di mettere a
posto qualcosa, qualunque cosa, per me è una tragedia.
Magari
lo faccio anche, ma, man mano che metto a posto e butto oggetti
inutili, scovo sempre altri ricordi che non mi ricordavo nemmeno di
avere e così la faccenda diventa ancora più lunga.
Eppure mi
piace l’ordine. Mi piace vedere tutto al proprio posto,
pulito e curato.
Mi
piacerebbe davvero tanto avere per una volta nella vita qualcosa sotto
controllo senza perderla o fare confusione. Ma è impossibile.
Sono nata
per essere disordinata. Anche nella mia testa c’è
un tale casino!
Mi
vengono in mente sempre idee nuove, e per rincorrere i pensieri e le
idee che mi vengono in mente, devo oltrepassare ogni ostacolo.
Oppure, per
esempio, le brutte copie dei temi a scuola: un disastro!
Piene di
cancellature, asterischi di tutti i tipi e lunghi quanto, se non tutta
la Divina Commedia, almeno due o tre canti.
Alla fine
delle due ore che ci concedevano restavo sempre e solo io a scrivere,
molte usavo anche l’intervallo.
E da quello
ho capito che scrivere sarebbe stato la mia più grande
passione.
Lo
è da circa quindici anni, sin da quando ho preso per la
prima volta una
penna in mano e ho cominciato a “ordinare” i miei
pensieri in fogli di
carta.
E’
uno sfogo dei miei pensieri, delle mie idee, di tutto quello che mi
passa per la testa.
Quando
scrivo mi sento molto più libera.
Non ho dei
limiti, posso dire tutto quello che voglio e nessuno può
dirmi se è giusto o sbagliato.
Lo decido
io e soltanto io.
Finalmente,
mentre frugo nella borsa, sento un oggetto di metallo che mi sfrega la
mano e capisco che sono le chiavi.
Le tiro
fuori e, mentre con una mano le infilo nella piccola serratura, con
l’altra tengo la borsa e apro il portone.
Il mio
è un appartamento di una villetta a due piani.
Il
primo piano è occupato da una vecchietta di nome di Daisy.
E’ davvero
dolcissima, sin dal primo giorno in cui sono venuta ad abitare sopra di
lei è sempre stata simpatica e gentile.
Ha
due figli ormai grandi che vivono in Germania, se non mi sbaglio, e che
cercano di venirla a trovare almeno tre o quattro volte
all’anno.
Per
lei, io sono come una nipotina acquisita. Quando le capita, mi porta
sempre una teglia di biscotti fatti da lei e mi invita a prendere il
thè delle cinque insieme per passare il tempo.
Di solito
mi racconta sempre della sua vita quand’era giovane e a me
piace molto ascoltarla e rilassarmi con le sue memorie.
Dice che
sono l’unica che riesce a ascoltarla senza addormentarsi o
cercare di scappare. Rido sempre a questa affermazione.
E’
una signora molto importante per me. Quando, appena arrivata in questa
città, ho avuto dei problemi è subito corsa ad
aiutarmi.
Mi
preparava il pranzo e mi aiutava nelle faccende domestiche quando avevo
tanto da studiare.
I primi
mesi è stato veramente difficile, soprattutto
all’Università.
Tra
esami, corsi e studi vari, non avevo il tempo nemmeno per bermi una
camomilla in pace. Ma gli sforzi sono serviti e adesso posso essere
fiera di dire che sono ad una delle più importanti
Università francesi
e i miei esami sono andati tutti benissimo.
In
questo momento della mia vita, sono fiera di tutti quei pomeriggi
passati a studiare e dell’etichetta che alcune volte mi
davano: “la
secchiona”.
Beh, la
secchiona sta realizzando il suo sogno mentre voi probabilmente siete
ancora in terza media.
Salgo le
scale velocemente, apro la porta di casa mia e, dopo aver posato
giacchetto e borsa, mi distendo sul mio letto.
E’
da stamattina che non vedo l’ora di tornare a casa e
rilassarmi. E’ stata fin troppo estenuante questa giornata.
Le fusa di
François mi risvegliano dal mio sonno profondo.
Apro
lentamente le palpebre e mi ritrovo un paio di occhioni verdi davanti
al viso.
Focalizzo
il musetto del mio gatto che mi lecca il naso.
Gli
sorrido, sono così felice di averlo qui accanto a me sempre.
E’ il miglior compagno di vita che potessi desiderare.
Lo
accarezzo e lui si accosta vicino al mio braccio, strofinandosi contro
di questo.
“No,
non mi alzo!” farfuglio ancora mezza addormentata.
Non ho
assolutamente voglia di alzarmi, fare colazione o qualunque altra cosa
che non comprenda stare nel letto.
La mattina
dei giorni feriali succede sempre così: non mi alzo mai
prima delle dieci e mezza.
Ieri
sera sono andata a letto alle nove – cosa mai accaduta in
tutta la mia
vita – e l’unica cosa che ricordo di aver fatto
è quella di aver
rimuginato a quello che era successo con Rosette e Harry.
Non sono
mai stata più confusa di così. Sentivo dentro di
me sensazioni mai sentite.
In
un attimo, ripenso alla trattoria italiana, ai baci tra Harry e
Rosette, al suo sorriso imbarazzato dopo avermi detto che aveva piacere
a stare con me.
E’
stato così strano per me.
Mi sono
sentita una ragazzina entrata in un triangolo amoroso complicato.
François
continua a strusciarsi contro la mia gamba, e la mia reazione non
è delle migliori.
“François,
smettila!” mi rigiro nelle coperte e cerco di ritornare a
dormire.
Finalmente
il gatto scende dal letto e smette di darmi noia.
Non
potrei essere più felice di così. E’
sabato, non devo andare a lavoro,
non devo sopportare Rosette, non devo fare cose che mi annoiano e,
soprattutto, posso restare nel letto tutto il tempo che mi pare.
Eppure in
tutta quella felicità c’è qualcosa che
non mi convince.
Come
se avessi ancora delle faccende da fare o qualcos’altro che
non
comprenda il restare nel letto e non fare assolutamente niente.
Apro per la
seconda volta gli occhi e mi guardo intorno.
Le
faccende le ho fatte ieri sera, i lavori nel negozio di fiori sono
tutti finiti, le piante all’entrata le ho sistemate
e… Che altro?
Ho fatto
tutto.
Mi rigiro
per un po’ nel letto cercando di riprendere sonno, ma niente
da fare.
Sono troppo
annoiata per restare nel letto, ma sono troppo annoiata anche per
alzarmi! Cosa fare?
Cerco il
cellulare sul comodino per il solito controllo mattutino di messaggi,
chiamate e social network, ma non lo trovo.
Dov’è
finito?!
Mi alzo dal
letto e lo vado a cercare, angosciata all’idea di averlo
perso.
Nel
cellulare ho tutti i miei dati personali ed è costato anche
un bel po’ di soldi!
Detesto
perdere le cose, è frustrante.
Eppure sono
abituata a farlo, perché mi capita molto spesso.
Mia madre
dice che sono costantemente distratta, e non dò mai la
giusta importanza alle mie cose. Sono sbadata, ecco.
Dove lo
posso aver messo?!
Controllo
nei cassetti, nella camera da letto, nella cucina, nel bagno, nei
cappotti, nella borsa… In tutto quello in cui potevo averlo
messo, ma
non c’è nessuna traccia.
Mi metto le
mani tra i capelli, esasperata. Il mio cellulare è tutto per
me.
Mi distendo
nuovamente sul letto, facendo mente locale di quello che ho fatto ieri.
Sono
andata a lavoro, ho discusso con Rosette e sono andata a pranzo con lei
e Harry. E fino a lì non ho tirato mai fuori il telefono
dalla borsa.
Poi cosa
è successo? Harry mi ha accompagnato a casa e mi ricordo di
aver cacciato fuori il cellulare per vedere l’orario.
La macchina
di Harry! Devo averlo perso lì, sono sicura!
Ma come
faccio a riaverlo?
E’
il figlio del proprietario del negozio, avrò sicuramente
altre
occasioni per rivederlo, ma non passerà prima di
lunedì, e a me serve
oggi, assolutamente.
Giro un
po’ per la casa, mordendomi il labbro, poi decido di andarmi
a lavare.
Una bella
doccia calda mi calmerà almeno un po’ e mi
farà venire in mente una soluzione.
Entro in
bagno con tutto il necessario e ci sto almeno un’oretta.
Mi appoggio
al muro freddo della doccia e strofino l’esfoliante sulla
pelle, rilassandomi completamente.
Chiudo gli
occhi e i miei pensieri vanno a qualcuno di inaspettato: Harry.
Ripenso
alla prima volta che l’ho incontrato, ai suoi folti capelli
color
cioccolato, ai suoi occhi così verdi, al suo sorriso, alla
sua
gentilezza disarmante.
E non posso
fare a meno di sorridere. Oh, ma che sto dicendo?
Scuoto la
testa e riapro gli occhi, pronta per risciacquarmi.
Uscita
dalla doccia, mi asciugo il corpo e i capelli ed esco dal bagno,
completamente rinvigorita. Mi vesto e sono finalmente pronta.
In quel
momento suona il campanello della porta. Chi sarà mai?
“Un
attimo!” grido prima di andare ad aprire.
Ed
è l’ultima persona che mi aspettavo.
“Ehy
– esclama il riccio – ti sei dimenticato questo
nella mia macchina, ho
cercato di ridartelo il più presto possibile. Se tieni al
tuo cellulare
quanto ci tengo io, beh, penso mi avresti odiato per tutta la vita se
te l’avessi riportato solo lunedì.” Dice
sfoderando un enorme sorriso,
e porgendomi il mio Iphone nero.
Non posso
fare a meno di sorridere a quella vista.
“Grazie
mille, sei stato gentilissimo, davvero.” Lo ringrazio,
contenta più che mai.
Mi verrebbe
quasi da abbracciarlo ma scaccio via quel pensiero. Troppo affrettato?
Insomma,
potrei sembrare una facile.
Ma
perché mi dovrebbe interessare questo? Forse, mi piace Harry?
“Non
c’è di che.” Risponde lui, scostandosi i
capelli dalla fronte con una
massa che mi lascia senza fiato. E’ senza dubbio molto
attraente.
“Vuoi
entrare?” gli chiedo con tutto il coraggio che ho dentro di
me.
“Certo.”
Gli
prendo il giacchetto e lo attacco all’attaccapanni, mentre
con la coda
dell’occhio lo vedo accarezzare François, che
ricambia strofinandosi
contro la sua gamba.
Osservo
Harry accarezzare il gatto con amore, e sorrido alla scena.
“Ti
piacciono i gatti, vedo.” Esclamo, sedendomi su una poltrona
e facendogli cenno di sedersi nella poltrona di fronte.
“Eh
già, devo dire che li adoro – quando vede la mia
faccia si corregge
subito – cioè, non sono ossessionato e non ho una
casa piena di gatti!
Mi… Piacciono.”
“Non
ti preoccupare, anche se fosse stato così non ti avrei certo
cacciato
di casa. Dopotutto, io amo i gatti ed è normale per
me.” Replico
divertita.
“Anche
se avessi avuto una casa con ventidue gatti?” scherza.
“Uhm,
credo di sì.” Rispondo con lo stesso tono.
“Anche se penso che saresti
già impazzito con tutti quei gatti in casa che ti graffiano
il divano e
scalano le tende!” continuo, sfoggiando un sorrisetto a
metà tra
l’amichevole e il divertito.
“Non
penso, sono un ragazzo molto calmo e rilassato.”
“Allora
penso sarai di buona compagnia, perché anch’io
sono fatta così.”
“Sai,
l’avrei intuito.” Afferma con tono ovvio, ed io
ridacchio.
Passiamo
il tempo a parlare del più e del meno, di noi, dei nostri
hobby e
passioni, ma anche dei nostri genitori e, magari, dei nostri amici.
Non lo so,
ma la sua presenza mi piace.
Al
ristorante avevo intuito fosse un ragazzo simpatico, ma quella zecca di
Rosette lo facevo sembrare soltanto uno
“sciupafemmine”.
Eppure qui
con me non sembra così. Sembra più spontaneo e
genuino, un ragazzo semplice, come me, d’altronde.
Scopro
tantissime cose che da sola non avrei mai intuito.
Ad esempio, Harry non ha l’aria di essere un ventisettenne,
proprio per niente.
Infatti,
quando me lo dice, con assoluta tranquillità, rischio di
strozzarmi con la saliva.
Invece,
quando gli dico la mia età, lui annuisce, senza rispondere.
Probabilmente non sembro né più grande,
né più giovane.
Ad
un certo punto ci ritroviamo a parlare persino di scuola, e intuisco
che a lui non piace granchè, infatti lavora in una
panetteria intanto
che cerca lavoro.
Gli
racconto dei miei due anni all’Università alla
facoltà di Psicologia, e lui sembra quasi affascinato dalle
parole che dico.
Mi guarda
con la fronte leggermente corrucciata, come se stesse ragionando su
ogni piccolo dettaglio che esce dalla mia bocca.
Non ho mai
visto nessuno così interessato a me.
Quando
gli chiedo com’è il suo rapporto con i suoi
genitori, per poco non
scoppia a ridere. Mi dice soltanto che la situazione è
abbastanza
complicata, e che per spiegarmelo ci vorrebbe troppo.
Io ho tempo, vorrei
rispondergli, anche se alla fine rimango in silenzio.
La mia, di
situazione, invece, va abbastanza bene.
Vivo da
sola e non potrei stare meglio. Non ho mai amato stare con i miei
genitori.
Troppe
regole e orari da rispettare, ed io della parola “precisione”
non ho neanche la “p”.
Parlando
di hobby, invece, a lui piace cantare. Dice che una volta, quando aveva
sedici anni, ha provato ad andare ad X-Factor, ma è stato
subito
eliminato ai Boot Camp.
Noto che,
mentre mi racconta la sua esperienza, ha un po' malinconia negli occhi.
Ci teneva veramente.
Non
riesco a reggere il suo sguardo così dispiaciuto senza dire
niente, ma l’unica cosa che mi esce è uno stupido
e banale “mi dispiace”.
Se potessi,
lo abbraccerei forte. Nonostante quello che possa sembrare, amo gli
abbracci.
“Non
fa niente” risponde lui, cercando di fare un sorriso per
rassicurarmi,
anche se invano. Dev’essere stato davvero difficile accettare
questa
sconfitta.
E, anche se
sono passati dieci anni è più, la delusione resta
lo stesso.
“Ti
va un thè?” gli chiedo, provando a cambiare
discorso. La sua espressione sembra cambiare, e mi rallegro subito
anch’io.
“Come
fai a sapere che amo il thè?” chiede, sorpreso.
“In
effetti non lo sapevo, ho tirato a indovinare! Insomma, sei inglese! A
quale inglese non piace il thè?” rispondo, con
fare ovvio. Lui
ridacchia.
“Il
tuo ragionamento non fa una piega.”
Andiamo
in cucina e, mentre tiro fuori dalla dispensa le mie bustine di
thè –
alla fragola, ovviamente – sento il suo sguardo su di me.
“Ti
piace il thè alla fragola, vero?” spero in un suo
sì, perché io lo adoro.
In effetti
amo tutti i tipi di thè, ma quello alla fragola è
in assoluto il mio preferito.
“Preferisco
quello alla vaniglia, ma anche alla fragola va benissimo. Mi
piace.”
“Fantastico.”
rispondo, sorridendogli.
Preparo il
thè con cura e, appena è pronto, gli porto la
tazzina davanti al suo posto, sedendomi accanto.
Ma,
purtroppo, mi dimentico di dirgli che è ancora caldissimo,
perché di
solito lo bevo a temperature molto calde. E quello che succede quando
porta la tazza alla bocca è esilarante.
Beve tutto
d’un sorso almeno un quarto della bevanda, e quando si
accorge che è bollente, lo sputa immediatamente, tossendo.
Non posso
fare a meno di scoppiare a ridere, poco dopo mi segue anche lui.
“Scusa,
è che mi piace berlo caldo… E forse adesso era un
po’ troppo caldo.” Mi scuso, appena riesco a
tornare seria.
“Dici?”
mi domanda, ancora ridendo per l’episodio di prima.
Scoppio a
ridere nuovamente, mentre pulisco il tavolo.
Gli arriva
un messaggio, così prende il cellulare in mano per leggerlo.
La sua
espressione cambia totalmente, da sereno e sorridente ad annoiato.
Sbuffa
sonoramente, facendomi girare.
“E’
successo qualcosa?” chiedo, perplessa.
“No,
niente, è solo che mia, ehm, cugina è rimasta
sola con la babysitter.
Mi dispiace, ma devo proprio andare via, e anche veloce,
perché questa
babysitter non ha alcuna voglia di aspettare!” Dice, con un
espressione
dispiaciuta sul volto.
“Non
fa niente, meglio che vai!” rispondo, comprensiva come al
solito.
Prendo il
suo giacchetto dall’appendiabiti e glielo porgo.
Lui lo
infila velocemente e, mentre scappa via fuori, le sue labbra, morbide e
rosee, si posano sulla mia guancia.
Anche se
è stato soltanto un attimo velocissimo, quel momento per me
è durato minuti e minuti.
Lo
lascio correre via giù per le scale, urlandogli uno
“stai attento!” un
po’ preoccupata, ma anche abbastanza confusa da quella
piccola
effusione di prima.
Non riesco
a non sorridere, e sento lo stomaco in subbuglio.
Tutto per
un piccolo e veloce bacio sulla guancia, da un ragazzo conosciuto il
giorno prima.
Appena
prendo coscienza di quello che mi sta accadendo, cerco di pensare ad
altro e togliermi quei pensieri dalla testa.
Non ho
più quindici anni! E’ davvero ridicolo, ugh.
Beh,
ridicolo o no, man mano che le settimane passano, mi accorgo del
piccolo dettaglio che, sin dal giorno in cui l'ho incontrato, cerco
sempre di non far notare: mi
piace Harry.
Chiara’s corner.
Scusate, scusate, scusate,
scusate, scusate, scusate, scusate e ancora: scusate!
Mi sono presentata di nuovo
qui, dopo due settimane, con il terzo capitolo.
E so che molto probabilmente a
molti non interessa, ma li pubblico lo stesso ;)
Della serie: “Sono strana and I
know it” AHAHAHAHA.
Adesso però
passiamo alla storia! c:
La nostra Clara ci racconta
un po’ meglio di sé!
Ama
scrivere, ha un fantastico rapporto con la vecchietta del piano di
sotto, è una disordinata cronica, studia molto per inseguire
il suo
sogno, frequenta il secondo anno alla facoltà di Psicologia
all’Università, ama il thè alla
fragola e ha una bella cotta per il nostro Harry!
Non si era capito, nono.
E a proposito di Aroldo…
Anche lui si è finalmente presentato meglio!
Non direttamente, okay, ma
grazie alla mia narrazione si è capito che:
1)
Si chiama… *rullo di tamburi* Harry!
2)
Ha ventisette anni! (l’ho un po’
invecchiato, poor Harry :c AHAHA)
3)
Lavora in una panetteria! (Indovinate un po’ come
mi è venuta l’idea)
4)
Non ha un rapporto proprio fantastico con i suoi genitori.
5)
Non ama alla follia la scuola.
6)
Ha fatto l’audizione ad X-Factor ma è
stato eliminato al Boot Camp.
Mentre scrivevo, dispiaceva anche a me, ma ho dovuto farlo succedere
per forza, altrimenti avrei dovuto cambiare le mie idee!
7)
Ama il thè alla vaniglia.
Sinceramente, non ho mai
assaggiato il thè alla vaniglia, però deve essere
buono!
Spero
vi basti per questo capitolo, non voglio fare la fine di certe fan
fiction che fanno succedere un sacco di avvenimenti in pochissimi
capitoli.
Deve essere una cosa
molto lenta, seppur estenuante, ma lenta.
Okay, estenuante magari no,
altrimenti ve ne andate tutti!
La parte più bella
è quella di quel piccolo bacio.
Anche se non è un
bacio vero e proprio, è stato comunque molto dolce!
Mi piacciono questi momenti
così, li preferisco mille volte alle scene di sesso
selvaggio.
Se non fosse così,
non avrei scritto storie tutte rating verde o giallo!
Beh, adesso la smetto di
parlare di moi. Parliamo
di voi!
Siete stati fantastici anche questa volta!
Siamo a dodici
recensioni! *balla la conga, anche se non ha la più pallida
idea di
come si balli*
Ringrazio le meravigliose
persone che hanno speso il loro tempo per scrivere una recensione
più lunga di dieci parole!
Ringrazio mille volte anche
chi ha inserito questa storia tra le preferite, seguite e, stavolta,
anche ricordate! (yuhu!)
E, dulcis in fundo, ringrazio
tutte quelle persone che leggono questa storia!
Grazie mille!
Per
questo capitolo non fisso un record di recensioni, anche
perché, come
avete già visto, ritardo spesso e potrei anche non
rispettare i tempi.
Aggiornerò quando
mi sento di aggiornare AHAHA.
Mi raccomando ladies and
gentleman, ho
ancora bisogno dei vostri pareri!
Quindi,
vi prego, se state leggendo questo “Chiara’s
corner”, lasciate una
recensione – anche piccola, ma di almeno dieci parole
– su questo
capitolo o sull’intera storia!
Non importa che sia
positiva, negativa o neutra, qualunque consiglio e
parere mi servirà sicuramente!
Pleeeease! *puppy
face*
Vabuon, adesso posso
andare via e lasciarvi finalmente in pace per una o al massimo due
settimane!
Godetevele, prima
che ritorni! AHAHAHA.
Sn
prp simpy!!1! xdxd.
Okaaay, lasciatemi
stare lol.
A presto, spero che
passiate una buona
settimana, non come me, che sono contornata da compiti in classe!
Domani ho quello di
algebra e geometria, pregate
per me! Lolz.
Ah, e Harry Edward Styles
tra tre giorni non fa vent’anni, okay?! Okay.
Au
revoir xx
Ps. 1: Come in
tutti i capitoli, ecco i social network dove potete rintracciarmi, per
parlare, scherzare, o anche per chiedere scambi recensioni o di leggere
le vostre storie!
Twitter:
@dj_chiara
Tumblr:
chiarascorner
Hashtag (o come diavolo si
scrive lol) della fan fiction su twitter: #C'estlavieFF
Chiara loves ya.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Quatre. ***
C'est la vie.
La mia normale vita
da studentessa universitaria e commessa in un negozio di fiori continua
senza particolari novità.
La
mia solita routine di questi giorni prevede quattro stadi, escludendo i
pasti – che a volte nemmeno faccio – e i giorni
feriali: lavoro –
università – studio – dormita.
Lo studio
si sta facendo man mano più duro e pesante.
Non che non
sia capace a studiare, soltanto che avrei seriamente bisogno di un
po’ di svago.
Non chiedo
molto, eppure
sembra davvero difficile.
Questa
mattina, come tutte le altre, devo andare
all’Università.
Stanotte
non ho dormito molto bene, perchè il mio caro gattino ha
pensato bene di divertirsi, facendomi svegliare con un
terribile rumore di oggetti rotti.
Fortunatamente
era solo un bicchiere, ma è riuscito comunque a farmi
passare una notte insonne.
Mi sono
già preparata tempo fa, così mi siedo sul letto e
ripasso un po’.
Apro
il libro di 500 e più pagine che ieri sera ho studiato fino
a poterlo
ripetere perfettamente persino nel sonno, ma lo richiudo subito.
Non ce la
faccio più a rileggere nemmeno una parola.
Allora,
prendo la mia amata borsa, assicurandomi di averci messo tutti i libri
necessari, la mia giacca e il mio cellulare, e lascio casa mia.
Arrivo a
quel grande e vasto edificio che identifico come Università,
e entro dentro sorridendo lievemente.
Come se
stessi pensando “questo sì che il posto per
me”.
Sistemo la
borsa sulle spalle e mi incammino, salutando tutti gli studenti che fin
ora ho conosciuto.
Certo, non
sono proprio tantissimi, ma mi accontento.
Meglio
pochi ma buoni, giusto?
Mi fermo in un angolo e faccio
mente locale.
Prima
lezione del giorno: sociologia. Ce la posso fare.
Mi
metto a cercare l’aula di sociologia come se fossi appena
arrivata e,
beh, non posso biasimare gli altri studenti che mi guardano come se
fossi un alieno.
Non ho
molto senso dell’orientamento, e a quanto pare nemmeno una
buona memoria.
Possibile
sia andata così tante volte in quella dannatissima aula e
adesso non mi ricordo nemmeno dove si trova?!
Con
la poca lucidità che mi ritrovo dopo tre orette scarse di
sonno, mi
ricordo della piccola mappa di questo edificio che ci hanno dato
all’inizio del primo anno e che tengo sempre nella borsa.
Ringrazio
il cielo di non aver perso anche quella.
Mentre
cerco di decifrare cosa ci sia scritto sulla cartina
dell’Università, sbatto contro una ragazza.
O meglio,
una ragazza sbatte contro di me.
La
spinta mi fa quasi cadere per terra, ma fortunatamente riesco a
ritrovare l’equilibrio e ad evitare un'altra figuraccia.
Una
parte di me è alquanto infastidita.
Ero concentrata e stavo quasi
per
trovare una soluzione al mio problema!
Un’altra
parte, però, riesce a calmarmi.
Sarà
stato un incidente, oppure potrebbe essere nuova e si è
persa.
E’
una cosa assolutamente normale perdersi i primi mesi che sei in questa
Università. Io lo faccio ancora adesso che è
passato un anno!
Mi volto
verso la persona che mi ha urtato e non faccio in tempo a prendere un
respiro che comincia a parlare.
E’
una ragazza abbastanza bassina, almeno per me, ma
con un corpo snello e minuto e degli occhi davvero belli. Blu, come
l'oceano.
I capelli,
lunghi e biondi, le ricadono sulle spalle in piccoli boccoli.
La prima
cosa che noto è uno strano tatuaggio sul dorso della mano,
un pettirosso, penso.
“Oh mio Dio, scusami
tanto! Sono davvero sbadata, mi
dispiace un sacco di esserti andata in contro! E’ che sono
appena
arrivata e mi sono ritrovata una scuola gigantesca!”
“Ehy,
calma,
non è successo niente! – la rassicuro, sorridendo
– Ti posso assicurare
che anch’io l’ho fatto, parecchie volte! E, a dirti
la verità, lo
faccio ancora!” continuo, ridacchiando leggermente.
“Comunque,
io sono Clara e frequento il secondo anno della facoltà di
Psicologia.” Mi presento, raggiante.
Sento che
potrei consolidare una bella amicizia con questa ragazza.
Mi sembra
semplice e molto gentile, non sgarbata come Rosette.
Lei sembra
simpatica, e sicuramente di buona compagnia.
“Ehm,
piacere, io mi chiamo Sarah e… Wow! Frequento
anch’io questa facoltà!” dice a sua
volta, con molto più entusiasmo.
“Sei
del primo anno?” le chiedo.
“Io?
No, no, sono del secondo, come te!” mi sorprendo leggermente
a scoprire che è del secondo anno. Non si direbbe.
In
realtà, da quel viso non si direbbe nemmeno che fosse una
studentessa universitaria, ma mi astengo dal fare commenti.
“Sai
per caso che lezione abbiamo?”
“Sociologia,
esattamente tra… – guardo il mio cellulare
– cinque minuti.
Sbrighiamoci o altrimenti perdere i posti migliori! Ah, a
proposito…
Non mi ricordo dove sia l’aula di sociologia.” Dico
imbarazzata fino al
midollo.
Di norma mi
sarei aspettata una risata in faccia, invece non succede.
“Non
ti preoccupare, me l’ha spiegato quel ragazzo lì
– bisbiglia, indicando
timidamente un ragazzo a pochi metri da noi – è
davvero carino.”
Continua sognante.
Scoppiamo a
ridere e ci dirigiamo verso la fatidica aula.
Riusciamo a
prendere i posti migliori, ovvero quelli davanti, e aspettiamo che
arrivi il professor Millet.
Durante
l’attesa, chiacchieriamo un po’ e riesco a
togliermi molti dubbi sulla sua presenza. Non l’avevo mai
vista prima!
Mi
spiega che è arrivata da pochissimi giorni
dall’Inghilterra e si è
iscritta a questa Università continuando il corso di studi
che faceva
nel suo paese.
Al sentire
della parola “Inghilterra”
sgrano gli occhi involontariamente.
Dopo
qualche altra battutina, Monsieur Millet fa la sua entrata
nell’aula e
in un momento tutte le risate e le chiacchiere lasciano spazio a un
silenzio di tomba.
Diciamo che
il professore di sociologia non dà tanto l’aria di
esserlo.
Non
capisco proprio cosa l’abbia spinto a scegliere un mestiere
dove si sta
a stretto contatto con altre persone, quando sono proprio queste a
dargli fastidio.
E’ un uomo
insopportabile, ma è il mio professore
e, in quanto tale, potrebbe farmela pagare agli esami orali, come e
quando vuole.
Cerco di
tenermelo buono, anche se a volte è davvero impossibile.
Detesto le
persone come lui,
sempre in guerra col mondo. E' irritante il fatto che anche se una
persona cerca di essere gentile, loro ti trattano sempre e comunque
male.
Ho avuto la
sfortuna di incontrare molte persone così.
Faccio
segno a Sarah di stare attenta nelle sue lezioni, perché
anche solo uno
sguardo altrove o un leggero chiacchiericcio può farlo
imbestialire.
Inizia la
sua solita paranoia sull’argomento su cui ci siamo soffermati
da una settimana circa: sociologia della religione.
Mi piace
molto sociologia, soprattutto perchè è basata
soprattutto sulle idee delle persone e, di solito, durante la lezione
si può anche esprimere il nostro parere.
Essendo una
ragazza molto idealista, mi diverto a formulare pensieri.
Infatti,
sono quasi sempre io ad alzare la mano per esprimere cioò
che penso. Io, e un ragazzo, penso si chiami Zayn.
E' il
ragazzo che stamattina ha dato informazioni a Sarah sull'aula di
sociologia. Solo adesso mi rendo conto che era lui.
Lo vedo
parecchie volte per la scuola, una volta ci ho anche parlato, ma sembra
molto chiuso, sfuggente. Eppure, le sue riflessioni sono molto belle.
La voce del
professore che continua a parlare mi risveglia dai miei pensieri.
“Come
abbiamo visto negli scorsi giorni, nella Seconda Rivoluzione
Industriale, si sviluppano diversi pensieri sulla religione. Marx,
Durkheim e Weber sono i filosofici occidentali che più si
interessano a
questa e ai suoi effetti sulla società.
Dato che
nei giorni scorsi
abbiamo approfondito Durkheim e Weber, stavolta sarà il
turno di Marx.”
Lo dice quasi come se si stesse trattando di bambini che devono fare a
turni per andare su uno scivolo.
Parla per
tutta l’ora senza interruzioni, e l’unica cosa che
posso fare è prendere appunti.
A
volte, con la coda dell’occhio, sorrido a Sarah e prendo
qualche
secondo di pausa, prima di ritornare subito faccia a faccia col mio
quaderno.
La campana
suona la fine della lezione, e gli studenti si
preparano per uscire fuori dall’aula. Anche noi ci alziamo e
ci
incamminiamo verso la prossima aula.
“E
anche l’ultima ora è andata” sospiro,
mentre mi siedo sulla panchina del parco
dell’Università.
“Fortunatamente.”
Aggiunge lei, sedendosi vicino a me.
“Come
ti è sembrato?” le chiedo, riferendomi alle
lezioni svolte oggi.
“Interessante,
bello – risponde sincera – amo questo genere di
argomenti quindi per me
è tutto fantastico.” Annuisco, pensando le stesse
cose.
“Senti,
ti va di fermarti a mangiare qualcosa insieme?” propongo,
sentendo lo stomaco brontolare.
“Uhm,
ci sto! Dove andiamo?”
“C’è
una trattoria che conosco, molto buona. Non è proprio
vicinissima, ma in dieci minuti siamo là. Ti va?”
“Certo!”
Prendiamo
la mia auto e ci dirigiamo verso la trattoria, la stessa dove sono
andata con Harry e Rosette.
Non so, ma
è la prima cosa che mi è venuta in mente.
Ho voglia
di rivedere il cameriere, Louis, sempre che non sia stato licenziato.
E’
un ragazzo simpatico e quell’unica volta in cui ci siamo
visti mi è
sembrato alla mano, persino quando ho urtato contro di lui e gli ho
fatto cadere tutti i piatti.
E, in un
certo senso, ho anche voglia di ritornare nel posto dove ho incontrato
Harry.
Come se
stessi sperando di rincontrarlo di nuovo, anche se sarà poco
probabile.
Appena arriviamo davanti
all’entrata, Sarah sembra riconoscere il ristorante.
“Ehy,
ma io conosco questo ristorante! Ci lavora un mio amico!”
dice, entusiasta.
“Louis?”
domando, ma mi fa cenno di “no” con la testa.
“L’ho
sentito dal mio amico Niall, deve essere un suo collega –
risponde – perché? Tu conosci Louis?” mi
chiede, incuriosita.
“Ehm,
sì, in un certo senso. Cioè, una volta sono
andata a mangiare qui con
due amici e gli ho fatto cadere tutti i piatti per terra…
Beh, penso
che si ricorderà di me.” Scherzo, per smorzare
l’imbarazzo che provo
nel ricordare quel momento.
Sarah ride,
divertita “Ma lo sai che a
me è successa la stessa cosa? Sempre qui, ero col mio
migliore amico e
ho sbattuto contro una pila di bicchieri. E’ stato
esilarante!” spiega,
ridendo.
Non posso
fare a meno di ridere insieme a lei mentre ci avviciniamo
all’entrata.
Il
ristorante è molto bello, come sempre, e mi scappa un
sorriso mentre cammino.
Il
cameriere che accompagna ai tavoli è sempre Louis,
fortunatamente, e colgo l’occasione per salutarlo.
“Ciao
ragazze, in cosa posso aiutarvi?” ci domanda gentilmente.
“Non essere
timida” mi dice il mio subconscio. Ha ragione,
devo fare il primo passo.
“Ciao
Louis, non so se ti ricordi di me, sono quella ragazza che è
venuta qualche settimana fa con due amici, e che ti è andata
a sbattere addosso facendoti cadere tutti i piatti!” dico
tutto quello che mi passa per la mente in un piccolissimo arco di tempo.
Mi maledico
mentalmente per la figura fatta anche questa volta. Non sono mai
stata un asso nelle presentazioni.
Spero
davvero abbia capito chi sono, sarebbe troppo imbarazzante dover
ripetere tutto!
“Ah, sì,
mi ricordo di te!
Infatti il tuo viso mi ricordava qualcosa! E tu invece… Sei
l’amica di
Niall, vero?” Sarah annuisce, sorridendo.
Louis ci
accompagna a un tavolo per due, stavolta più agli angoli
della sala, e ci dà i menù.
“Che
bello andare in un posto tutto made in Italy.” Sorrido
all’affermazione di Sarah.
“Voi
inglesi siete davvero tutti così, amate l’Italia e
il suo cibo, eppure,
guardate un po’, vi trasferite in Francia!”
scherzo, facendo sorridere
anche lei.
La mia
situazione è abbastanza anormale. Ho conosciuto,
in un piccolo arco di tempo, due inglesi doc che amano
l’Italia e il
cibo italiano e hanno amici che lavorano in una trattoria italiana.
“La
mia non è una vera e propria scelta… Io sarei
rimasta volentieri in
Inghilterra!” afferma sinceramente – E’
che il mio migliore amico mi ha
pregato in tutte le lingue del mondo di venire con lui ed io, dopo un
anno, ho deciso di trasferirmi. Non per sempre, però, giusto
per un
anno o poco più.” Mi spiega.
“Il
tuo migliore amico è Niall?” le chiedo, abbastanza
curiosa.
“Oh,
no, no. Il mio migliore amico si chiama Harry, Niall l’ho
conosciuto
perché era un suo amico! Adesso però mangiamo,
che sono arrivati i
piatti!” cambia subito discorso appena vede arrivare i piatti
fumanti
di pasta.
Io, invece,
mi sto ancora soffermando sulle sue parole.
Harry,
inglese, trasferito… Ma no, non può essere.
Mica
c’è solamente lui in tutta la Francia!
Sarà sicuramente un altro Harry.
O almeno,
spero.
Sarebbe davvero un trauma, altrimenti.
Questi miei
pensieri volano via velocemente, quando Sarah mi picchietta il braccio.
“Che
c’è?” le domando. Lei non dice niente,
ride soltanto.
Non
capisco, cosa diavolo ha da ridere?
Alzo un
sopracciglio e il mio fastidio cresce sempre di più, man
mano che provo a chiederle il perché.
Ho sempre
detestato queste situazioni, mi capitavano spesso al liceo.
Probabilmente,
se fossi stata un’altra persona l’avrei presa
meglio, ma sono me stessa
e se c’è una caratteristica che mi
contraddistingue è la mia pesantezza.
Ad un certo
punto, mi giro per prendere il cellulare dalla borsa e noto uno
spostamento d’aria notevole alla mia destra.
Mi giro
impercettibilmente e noto un Louis accovacciato a terra che mi saluta.
Non posso
fare a meno di sorridere.
“E
così… E’ per lui che ridevi?”
chiedo a Sarah mentre Louis si alza.
“Scusa,
è che non sono riuscita a trattenermi!” spiega,
mentre annuisco.
“Signore
– annuncia Louis, una volta alzatosi – volete un
dessert? Oggi la casa
ne ha fatto uno alle mele, è fantastico.” Sorride
smagliante.
“Uhm,
per me noi va benissimo. No?” Risponde Sarah anche per me. Le
annuisco, per confermare.
“Allora
torno subito, a presto!” dice Louis, sgattaiolando in cucina.
Sarah mi
guarda con uno strano sorrisetto sul viso.
“Clara,
non ti trattenere, puoi tranquillamente dirmi che sei attratta dal bel
cameriere, eh.” Sbarro gli occhi, sorpresa. Magari mi
piacesse il
cameriere.
“Ma
chi, a me? Louis? Andiamo, Sarah, ho altro a cui
pensare!” rispondo con tono divertito e ancora sorpreso per
la sua
affermazione.
Cioè,
sì, mi sta molto simpatico Louis, ma non pensavo di sembrare
così interessata.
Interessata,
per cosa, alla fine? Louis potrebbe essere un amico, un grande amico,
per me, ma niente di più.
Meglio
lasciare perdere la persona che considero più di un amico.
Harry…
Ah,
è inutile che ci penso.
Non
si è fatto più vivo, a parte quando viene a
prendere Rosette al
negozio, sulla sua moto fiammante nera ed io li guardo malinconicamente
allontanarsi da me.
Sono
rinomata per essere sempre la sorellastra
della principessa, quella che guarda la sua sorellina prendersi il
meglio, mentre lei se ne sta a guardare e a rodersi il fegato.
Certo,
la sorellastra fa sempre la parte della cattiva, ed io non mi sento
come la cattiva della situazione, anzi, ma volevo soltanto rendere
l’idea.
“Ti
capita spesso?” la voce squillante di Sarah mi risveglia dai
miei ragionamenti.
“Cosa?”
chiedo, confusa.
“Di
guardare nel vuoto.”
“Solo
quando mi metto a pensare.”
“Allora
sei una che pensa tanto.” Deduce, sorridendo. Non
è una presa in giro, è soltanto una…
Costatazione. Vera, tra l’altro.
“Beh,
sì, me lo dicono spesso.” Sorride di rimando e si
mette ad armeggiare col cellulare. Mi dice che deve fare una chiamata urgente, e mi spiega che
si è ricordata adesso che deve chiamare il suo migliore
amico.
Annuisco,
così lei si porta il telefono all’orecchio e
comincia a parlare.
Riesco a sentire
soltanto metà della conversazione, ma, sperando di non farle
sospettare niente, elaboro ciò che dice, cercando di capire di cosa parlano.
E’ sempre
stato divertente per me “intercettare” le
conversazioni.
Non lo facevo
perché fossi pettegola, lo facevo perché ero
curiosa.
“No, non
posso venire. – probabilmente lui le sta chiedendo di uscire
– sì, lo so che ci eravamo messi
d’accordo, ma mi sono scordata – o meglio, lei gli
sta chiedendo di disdire – possibile Harry che tu debba per
forza vedermi adesso?!”sbotta ad un certo punto, e tutti i
presenti si girano.
Anch’io
sgrano gli occhi un po’ più del dovuto sentendo
quel nome.
“Aspetta,
che? Senti, sono fuori, è impossibile.” sbuffa
sonoramente, e posso tranquillamente sentire la voce maschile
dall’altro capo del telefono. E’ una voce
familiare, troppo.
Ad un certo punto, mi
chiede come si chiama il ristorante per non so quale motivo e glielo
dico, un po’ nervosa. Perché adesso le serve il
nome del ristorante?
Un sacco di dubbi mi
assalgono.
“Okay, ciao,
ti voglio bene, ciao.” finalmente chiude la telefonata e
appoggia il cellulare sul tavolo. Fa un sospiro di sollievo.
Incrocio le dita dentro
di me, sperando che non succeda niente che abbia a che fare con la
telefonata. Ma, evidentemente, la fortuna – come al solito
– non è dalla mia parte.
“Ti dispiace
se il mio migliore amico viene qui?” chiede, con uno sguardo
leggermente dispiaciuto.
Rischio di strozzarmi
con la mia stessa saliva, ma cerco di nasconderlo, tossendo un
po’.
“No, non ti
preoccupare! Quando, ehm, dovrebbe venire?” le domando,
facendo il sorriso più falso che abbia mai fatto in tutta la
mia vita.
“Adesso.”
Oh, cavolo.
Chiara's
corner.
Hiiii
people!
*borbotta,
tossisce, soffoca, muore* lol.
Okay,
no, non sono morta fortunatamente, ma penso lo sarò molto
presto.
Lo
so, vi avevo detto che avrei aggiornato prima e blablabla, ma non ci
sono riuscita!
Non
trovavo l'ispirazione, e ogni volta che mi sedevo al computer e
rileggevo quello che scrivevo non mi piaceva.
Adesso,
però, sono qui con il capitolo... Quattro! Yaaaaaay!
Immaginatemi
a fare la ola con un gonnellino di paglia stile hawaiana e una corona
di fiori in testa.
Che dire di questo
capitolo?
Uhm, io direi
soltanto che è una mezza cacchetta.
Cioè,
tanto male alla fine non è, altrimenti non l'avrei
pubblicato, solo che non mi piace particolarmente, non come gli altri.
Non succede niente
di particolare, a parte l'entrata in scena di Sarah e Zayn.
A proposito di Sarah... Amo questo
personaggio.
Mi piace un sacco!
Oltre al fatto di essere bellissima (me la sono immaginata come Nina Nesbitt con
gli occhi azzurri, che cosa bella), è anche molto simpatica,
almeno per me.
Zayn invece
è perfetto come
al solito.
Anche se non
è ancora entrato in scena definitivamente, immaginatevelo
tra i banchi di scuola, con un giacchettino di jeans e una borsa a
tracolla...
Oddio, non vedo
l'ora di farlo entrare nella storia!
Vi dò
una piccola anticipazione su di lui: non avrà molto a che
fare con Clara.
Capirete tutto in
seguito!
Clara,
invece, si vive la sua monotona vita tra università e lavoro
(e gatto, aggiungerei AHAHA), ma non sa che l'amicizia con questa Sarah le
farà vivere moolte esperienze!
Ho parlato un po' delle lezioni all'Università, ma non ne
sono molto sicura, dato che non ho la più pallida idea di
come e cosa si studi alla facoltà di Psicologia.
Quindi, scusatemi per gli eventuali errori!
Comunque,
che ne pensate degli intrugli
che ho creato? Sono sempre stata una grande ad
ingarbugliare le situazioni lol.
Allora, Clara
è amica di Sarah che è amica di Harry che
è amico di Niall e Louis che sono amici di Clara che
è amica di Zayn e Rosette, che è amica di Harry
ecc.
E... Liam?
Liam
arriverà, non vi preoccupate, non prestissimo, ma
arriverà.
Alors,
vorrei ringraziare tutte quelle bellissime persone che anche stavolta
hanno letto, recensito e messo tra le preferite/ricordate/seguite la
storia.
Anche
se sono state soltanto in tre, vi sono comunque grata per il tempo che
avete speso per recensire la mia storia.
Quindi,
grazie a tutti e a tutte!
Mi raccomando, in
questo capitolo vorrei avere tutti i vostri pareri!
Soprattutto da
voi, lettrici silenziose!
Ho visto che siete abbastanza, mi piacerebbe davvero capire
com'è davvero questa fan fiction!
Vi preeeego! Mi
servono assolutamente
i vostri pareri!
Bien,
voilà le chapitre quatre! J'espére que vous aimez
ça!
(Bene, ecco il
capitolo quattro! Spero vi piaccia!)
Vi lascio, come al
solito, i social network dove potete rintracciarmi...
Twitter:
@dj_chiara
Tumblr:
chiarascorner
Chiara loves ya. xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Cinq. ***
C'est la vie.
“But
you're so hypnotising
You got me laughing
while I sing
You got me similing in
my sleep
And I can see this
unravelling
And your love is where
I'm falling
But please don't catch me.”
Sono sempre stata una ragazza
calma e a modo, rispettosa e mai fuori di me.
Dopotutto, fin da piccola mi hanno insegnato a fare così.
Nello
stesso modo in cui mi hanno insegnato a fare molte altre cose, come
l'essere gentile in qualunque circostanza (e sottolineo il qualunque),
ringraziare per ogni minima azione e persino stare diritta con la
schiena.
Il mio
autocontrollo è da record, devo ammettere, e, a meno che
qualcuno non sia terribilmente irritante, cercherò sempre di
stare zitta e sopportare.
O
perlomeno, ci provo.
Adesso,
però, il mio autocontrollo è andato a farsi
benedire. In pratica, sono nel più totale panico.
Tra un
po’, tutta la Francia sentirà il
ticchettìo nervoso delle mie unghie sul tavolo di legno.
Cosa fare quando lui
arriverà?
E’
questa la domanda che gira ininterrottamente nella mia testa.
Non riesco
a smettere di pensare all’incontro con Harry.
Le mie
gambe tremano in continuazone, e tra un po’ penso che mi
metterò a urlare.
La mia
testa mi urla “è
solo un ragazzo!” ed io le dò
ragione, ma non riesco comunque a calmarmi.
L’unica
che non si è accorta di niente è Sarah, che
continua a mangiare il suo tortino al cioccolato senza alcun problema.
Beh, per
lei è una cosa normalissima, è il suo migliore
amico.
Perché
dovevo per forza conoscerlo?!
Diamine,
potevo starmene a casa quel giorno o avere un improvviso mal di testa?
Il destino
si è messo d’accordo con la mia sfortuna e mi ha
fatto questa sorpresina.
Carino da
parte sua.
Ad un certo
punto, decido di andare a fare un giro fuori, con la scusa di voler
andare in bagno. Spero soltanto non si sia accorta che stavo mentendo.
Corro fuori
e prendo un grande respiro.
Il leggero
venticello di questa mattina mi scompiglia i capelli e mi lascio
sfuggire un sospiro.
Riesco
subito a calmarmi un po’, così mi siedo su una
panchina poco distante e chiudo leggermente gli occhi.
Via tutti i
pensieri, le preoccupazioni, le complicazioni… Pensa al
paesaggio.
E’
quello che facevo sin da piccola, quando avevo i miei attacchi di
panico.
Da bambina
ero molto insicura, molto più di quanto lo sia adesso (e vi
assicuro che lo sono molto).
Non mi
è mai piaciuto stare al centro dell’attenzione,
eppure mi ci sono dovuta abituare.
Odiavo
questi attacchi, dovevo prestare attenzione a tutto quello che facevo,
o sarei potuta collassare da un momento all’altro.
In un certo
senso, però, non era poi così male averli.
Mi sentivo,
non so, leggera e, in una decina di secondi, ero per terra, inerme.
I miei
pensieri svanivano e vedevo soltanto una luce bianca e attorno a me
tante voci confuse. Ero come in una bolla.
Il problema più grande di questi attacchi era il risveglio.
La
maggior parte delle volte non c’è voluto molto, ma
sono capitate altre
in cui per svegliarmi mi ci sono voluti ben due giorni.
Per i miei
genitori è stato un incubo, temevano fossi in coma, lo
stesso i dottori.
Poi
però, fortunatamente, la bolla di apatia dove ero
“rinchiusa” è scoppiata, ed ho aperto
gli occhi.
Ho ancora
l’immagine impressa di mia madre piangere di sollievo accanto
a me.
Sono
passati anni dal mio ultimo attacco forte, non posso dire di aver
dimenticato quei momenti, ma li ho abbastanza superati.
Immagino
una bellissima valle verde in campagna, con fiori gialli e rossi
ovunque. Ci sono diversi alberi da frutta, dove si rifugiano piccoli
animali della foresta: scoiattoli, conigli, uccellini…
Il sole mi
rilassa riscaldando la mia pelle bianchiccia.
C’è
un cielo azzurro come il mare, un azzurro mai visto fino ad ora, un
azzurro che fa sognare. La parte più bella, però,
è il verde luminoso del prato.
Un verde
così intenso da perdercisi, ma che dico,
annegarci dentro.
Sento una
mano grande e soffice scuotermi leggermente, accompagnata da una voce
altrettanto bella, calda, roca.
Apro gli
occhi più tranquilla che mai, ma alla vista di chi
è davanti a me, dentro di me si scatena un putiferio.
Il cuore
comincia a battere all’impazzata, e tutto quello che avevo
sognato è stato sostituito dall’immagine del
ragazzo che stavo cercando di dimenticare poco prima.
“C-ciao.”
rispondo, balbettando leggermente.
Le sue mani
si spostano lentamente dal mio braccio alla mia mano. Sento lo stomaco girare, e le
gambe tremolanti come budini.
Le mie
labbra sono bloccate in uno sguardo quasi di smarrimento e i miei occhi
sono incatenati ai suoi, come se mi stesse ipnotizzando.
Improvvisamente,
scuoto la testa e mi alzo in piedi, togliendo bruscamente la sua mano
dalla mia.
Dentro di
me si forma una sensazione di rabbia e desolazione che mi fa venire
voglia di urlare.
Possibile
debba fare soltanto figuracce?
“Stavi
cercando Sarah, giusto?” trovo il coraggio di parlargli, con
tanto di sorriso forzato.
“Ehm,
sì.” Risponde, ricambiando con un sorriso falso
quanto il mio. Chissà quanto imbarazzo gli avrò
messo, mio Dio.
“E’
dentro, seguimi.” La mia affermazione prende più
la piega di una domanda e trovo un’altra ragione per
rimproverarmi e darmi un ceffone mentalmente.
Detesto il
mio imbarazzo con i ragazzi, lo odio con tutta me stessa.
Non riesco
mai a esprimermi liberamente con loro, sembro sempre una ragazzina,
quando invece ho ventuno anni compiuti.
So che a
volte può sembrare, ma non sono timida! Sono i ragazzi a
farmi effetto, lui in primis.
Rientro nel
ristorante giocando con le mani e tenendo la testa bassa, seguita da
Harry che saluta chiunque.
Appena
arriva a Louis, lo abbraccia calorosamente e indica Sarah per fargli
capire che è venuto per lei.
Poi, i loro
sguardi si fermano su di me, ed io sorrido lievemente. Louis ricambia,
ma con un sorriso decisamente migliore del mio.
In questo
momento, non sono in grado di fare nient’altro che riflettere
su quello che è successo prima e a tormentarmi per la mia
ennesima figura.
Sono fatta
così, purtroppo, sono fatta male, forse.
Ragione
molto sulle cose, a volte anche ore e ore, non riesco proprio a
prendere le cose alla leggera.
Ora come
ora, preferirei mille volte stare da sola e pensare per tutto il tempo
che voglio, senza fingere.
Arriviamo
al tavolo di Sarah che, appena ci vede, fa un sorriso a trentadue denti.
Con la coda
dell’occhio noto lo sguardo del ragazzo su di me, che mi fa
arrossire come un peperone.
Chissà
quante risate si starà facendo Harry dentro di
sé. Ah, sono proprio un caso perso.
“Sarah!”
esulta Harry, abbracciando la bionda difronte a noi.
“Idiota,
mollami!” risponde scherzosamente Sarah, poggiando le mani
sul petto di Harry.
Si girano
entrambi verso di me, ed io sorrido lievemente.
“Potevi
anche parlarmi un’altra volta, no? Si dà il caso
che ci stavamo divertendo senza di te.” Continua Sarah,
prendendo in giro Harry.
“Volevo
stare un po’ con la mia migliore amica, non si
può?”
“Mh…
No.” la bionda sorride, per poi avvicinarsi ulteriormente a
me.
“Dato
che siamo tutti qui, volevo fare un po’ di presentazioni.
Altrimenti la povera Clara se ne scappa di corsa!” lascio
spazio a un sorriso sul mio viso, stavolta vero, e già per
questo mi sento un po’ più sicura.
“Harry,
lei è Clara, mia compagna di Università, e Clara,
lui è Harry, mio migliore amico, nonché essere
più idiota sulla faccia della Terra.” Conclude
ridendo. Harry la guarda truce, per poi scoppiare a ridere anche lui.
“Io
e te ci conosciamo di già, no? Sei la collega di Rosette,
siamo usciti insieme un mesetto fa… Proprio qui!”
afferma Harry, parlando con me.
“E
mi hai anche riportato il cellulare!” aggiungo, sorridendo.
“E
tu mi hai offerto un thè.” Commenta lui.
“Con
cui ti sei scottato e mi hai bagnato l’intero
tavolo.” Continuo, facendolo ridere di gusto. Ha una bella
risata.
“Beh,
dato che vi conoscete di già, non devo nemmeno fare le
presentazioni, no?”
Sia io che
Harry scuotiamo la testa, e dentro di me spero davvero che si ricordi
almeno il mio nome.
“Allora,
di cosa mi dovevi assolutamente parlare?” esclama Sarah,
sorridendo leggermente.
“Scusaci
un attimo.” Risponde lui, trascinando l’amica poco
più lontano da me.
Mi risiedo
al tavolo e aspetto pazientemente, provando un po’ a capire
cosa possano dire e perché io non li possa sentire.
Non capisco
proprio perché Harry sia venuto fin qui per parlare con
Sarah.
A meno che
non sia una questione gravissima – e non mi sembra
– sono praticamente una sconosciuta e tutto ciò
che potrebbero dire resterebbe un mistero per me.
Ci sono due
casi: o parlano di me, o di qualcuno che conosco.
E di chi?
Non mi risulta che conoscano qualche mia amica stretta o parente,
l’unica persona che ho in comune con Harry
è… Rosette. Sì, Rosette!
Potrebbe
essere lei, ma chi lo sa, le mie sono tutte prove infondate.
Mentre
controllo sul cellulare l’orario, sento qualche parola
sussurrata leggermente più forte rispetto alle altre, ma che
riesco a percepire abbastanza bene: maschera, festa.
Una
festa… In maschera!
La domanda
sorge spontanea: perché Harry ne dovrebbe parlare in privato
con Sarah?
Li guardo
con la coda dell’occhio e mi sembra quasi che mi stiano
fissando.
Non
può essere, no.
“Ehy
Clara, scusaci, ma quest’idiota – dà una
gomitata ad Harry – mi doveva parlare.” Ridacchio
all’affermazione di Sarah, ricevendo un finto sguardo truce
di Harry.
“Adesso
però possiamo restare sole, vero Harry?” continua,
marcando sempre di più le parole.
“Uhm,
sì, certo! Ciao Sarah – dice abbracciandola
calorosamente – ciao… Clara – si
avvicina a me come aveva fatto con Sarah ma non mi abbraccia, resta a
guardarmi intensamente.
“Ciao
Harry” sorrido leggermente, lui ricambia abbassando lo
sguardo e andandosene via.
Dopo quel
piccolo stato di trance, lo guardo attentamente incamminarsi fuori.
I suoi
jeans neri aderenti si accostano perfettamente a quel maglione color
crema forse un po’ troppo largo, ma giusto per lui.
Si toglie
il cappello e, con un gesto semplice e deciso, si porta indietro con
una mano i capelli, prima di rindossarlo.
E’
davvero… Bello.
Non di
quella bellezza volgare, non è quel genere di uomo
tipicamente californiano, abbronzato e pieno di muscoli.
Oh no, lui
è una bellezza strana, troppo perfetta per essere vera.
“Clara,
ci sei?” Sarah schiocca le dita davanti al mio sguardo perso
e mi fa improvvisamente girare verso di lei.
“Uh?
Oh, scusa. Ero persa nei miei pensieri.”
“Di
niente, tesoro. Prima o poi ci si perde tutte, soprattutto se questi
riguardano Harry, vero?” esclama, facendomi un occhiolino.
“No,
ma che dici?! Non lo conosco nemmeno ed è fidanzato con la
mia collega di lavoro! Non mi metto a fare la gatta morta con qualsiasi
ragazzo, tantomeno lui!” rispondo, risvegliando quella
piccolissima parte di me permalosa e irascibile.
Non so
perché, ma quell’affermazione mi ha dato un
fastidio tremendo.
“Okay,
okay… Allora questo tuo “perderti”
– virgoletta con le mani la parola – nei tuoi
pensieri proprio davanti ad Harry non ha niente a che fare con lui,
no?” incrocia le braccia al petto, in tono di sfida.
“Esattamente.”
Cerco di imitare il suo tono, ma non riesco granché.
Sarah
scoppia a ridere, e poco dopo anch’io. La finta aria di sfida
creata tra noi due era davvero esilarante.
“Okay,
dai, adesso però ti devo fare una proposta, che non potrai
rifiutare. E con “potrai” intendo che, se lo fai,
ti vengo a prendere comunque sotto casa!” esclama ridendo,
contagiando anche me.
“Spara!”
la incito a parlare, curiosa di quello che vuole dirmi.
“Questo
sabato ci sarà una festa in maschera unicamente per single
in una villetta di amici. Dato che tu ed io siamo single e ci saranno
molti ragazzi carini, ci andremo. Intesi?”
Alzo un
sopracciglio, confusa.
“In
realtà questo sabato avrei devo progetti, dovrei
andare…”
“Alla
festa in maschera a casa Malik, esatto.” Mi interrompe,
finendo la frase a suo piacimento.
“E
chi è questo Malik? Sei sicura che mi voglia a casa sua?
Insomma, chi lo conosce?!” le domando.
“E’ Zayn
Malik, un amico di Harry e Louis, molto carino e simpatico. Per quanto
riguarda l’entrata, non preoccuparti. Me ne occupo
io.” Conclude, facendo un sorrisetto compiaciuto. Mi mordo il
labbro, insicura.
Sinceramente
non ho molta voglia di venire, anzi.
Non ho mai
amato le feste, e da quello che ho intuito, sarà una di
quelle così piene di gente che non entrano nemmeno nella
reggia di Caserta.
Musica
house, alcol, ubriaconi e gente che fa sesso ovunque; conosco queste
situazioni.
Sono andata
ad alcune feste e sono state le peggiori di tutta la mia vita. Forse
è per questo che non ci vado dai tempi del liceo.
Non sono
per niente una ragazza festaiola, nemmeno in un universo parallelo.
Già
il fatto che detesto l’alcol e i luoghi troppo affollati sono
segni che non sono fatta per una vita spericolata.
Non si sta parlando del liceo,
adesso. Sei all’Università, sei adulta e
vaccinata, non farti tutti questi problemi!
La parte
coraggiosa di me convince quella insicura e fifona, e mi porta ad
accettare la proposta. Se non va bene, non importa.
Non sono
mica costretta ad andarci sempre! Solo per una sera, no?
“Mh,
va bene. Vengo.” Accetto con un tono di voce sicuro, stavolta.
“Ti
faccio sapere tutto nei prossimi giorni, magari via telefono.
Okay?” mi porge un foglietto di carta con scritto sopra il
suo numero, che prendo e segno sul cellulare.
“Ti
mando un messaggio dopo, così che segni anche il
mio.” Continuo, sorridendo.
Finalmente, alle undici e
mezza, riesco ad infilarmi sotto alle coperte, stravolta dopo una
giornata di Università e lavoro.
Spengo la luce, chiudo gli
occhi e tiro un sospiro di sollievo.
Ad un certo punto, li riapro
improvvisamente, scoprendo un dettaglio che prima non avevo considerato.
Ho sentito due semplici parole
da Harry e Sarah: maschera e festa.
Chissà per quale coincidenza, Sarah mi ha parlato di una
festa in maschera, proprio quando Harry se n’è
andato.
C’è
qualcosa che non quadra.
Chiara's corner.
Buonsalve ladies and gentlemen!
Dopo due millenni –
trascorsi, tra l’altro, a dirsi “adesso
aggiorno” – sono di nuovo qui, per la vostra
infinita gioia! Yay!
Okay, ormai è
meglio che la finisco di scusarmi per i miei ritardi giganormici, non
ho più idee per difendermi lol.
Ma adesso parliamo del
capitolo!
Innanzitutto, ammetto che lo
preferisco mille volte a quello di prima.
Finalmente succede qualcosa tra quei due poveri figli (Clara e Harry)!
Nel prossimo capitolo si accenderà una scintilla che, vi
assicuro, sarà molto
importante nel corso della storia della coppia.
Clara ci svela un altro
dettaglio della sua vita, o meglio, della sua infanzia: gli attacchi di
panico.
Come avete letto, Sarah
è la migliore amica di Harry e si è persino
trasferita dal suo paese per lui!
Non posso dirvi altro sul
futuro di quest’amicizia, però.
Vi lascio affogare nei vostri
filmini mentali.
La domanda sorge spontanea: dove sono finiti Rosette
e Liam?
-Rosette
ricomparirà tra un paio di capitoli.
-Per Liam dovrete
aspettare un po’, scusate!
Il fatto è che non
fa parte della compagnia di amici di Louis, Zayn, Niall e Harry,
e quindi devo trovare il momento giusto per presentarlo.
Ah, e a proposito, vi siete
accorte che il ragazzo che organizza la festa a casa è lo
stesso di cui Clara ha parlato nello scorso capitolo?
Eh già,
è proprio Zayn,
che in questa storia ha le vesti del riservato, ma tremendamente
intelligente.
Il punto, però,
è che Clara
non ha idea che sia quel Zayn.
Le cose si fanno
già complicate adesso, ho fatto troppi intrecci di
conoscenze lol.
In ogni modo, spero che voi li
riusciate a capire e che, in qualche oscuro modo, riusciate a leggere
il capitolo e a non addormentarvi prima.
Capisco che la storia non
è il massimo del divertimento per ora, ma arriveranno le
scene interessanti! (Con scene interessanti non intendo scene rosse, a
proposito).
Perciò, vi incito a
premere il tastino in fondo alla storia, con su scritto “lascia una
recensione”, così da darmi tanti bei
consigli e dritte.
Ringrazio le tre meravigliose
persone che hanno recensito lo scorso capitolo, anche se
all’inizio erano sei, e adesso sono tristemente diminuite.
Comunque, grazie mille a chi
legge senza recensire, a chi legge e recensisce, a chi mette tra
preferite/ricordate/seguite e anche a chi apre la pagina, legge due
righe e la richiude subito.
Con questo, vi lascio con i
siti dove potete rintracciarmi e vi saluto!
Salut et bon week-end! x
Twitter:
@dj_chiara
Tumblr:
chiarascorner
Chiara loves ya.xx
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2375791
|