Then our hearts combined like a neutron star collision

di TheBlackStar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


“E dai Luca, andiamo. Sono sicuro che passeremo una bella serata.”  Mi disse il mio migliore amico Daniele strattonandomi come se non ci fosse un domani per poi buttarmi giù dal letto.
“Quante volte devo ricordarti che non mi va? Non ho voglia” scandii bene le ultime tre parole.
“Fa come ti pare, ci trovi all’Irish pub vicino alla piazza” rispose alla mia affermazione assumendo un’espressione arrabbiata. “Però poi non lamentarti che rimani sempre da solo” proseguì tutto il suo bel discorso.
“Va bene, va bene. Dammi dieci minuti, il tempo di una doccia e andiamo” risposi arrendendomi di fronte alla sua predica.
 
“Cos’è sto schifo?” sussurrò Matteo a Daniele mentre entravamo in quel…posto. Non poteva definirsi un pub, puzzava, potevo chiaramente vederci lo sporco e soprattutto era vuoto ad eccezione di un vecchio che sembrava addormentato ormai da ore su un divanetto di finta pelle rosso che data la sporcizia aveva un colore tendente al nero.
“Fatevelo andare bene” replicò Daniele infastidito.
Tutto sommato, noi, eravamo una bella comitiva. Mancava Roberto, però, che ci aveva esplicitamente evitati per stare con la sua ragazza. Il motivo principale, però, era che qualunque cosa organizzata da Roberto, non era, come dire, il top. Come infatti.
Eravamo una band, io suonavo la batteria, Roberto il basso, Matteo la chitarra elettrica e Daniele era il nostro leader. Il nostro gruppo era di puro divertimento ma non nascondevamo di voler diventare una band famosa, ci chiamavamo ‘Lost in the supermarket’, nome alquanto buffo ma non per gente come noi.
“Perché non c’è nessuno?” domandai un po’ stupito.
“Sai com’è, è estate e sabato sera e tutti sono sul lungomare. Come dare loro torto” mi rispose Matteo.
“Sentite ragazzi, non sapevo di questo spostamento della popolazione dalla città al mare. Potrete, voi, mai perdonarmi?” Daniele era su tutte le furie, poverino.
 
“Allora a un certo punto ho guardato il pollice e ho visto che il colore dell’unghia era leggermente diverso da quella dell’indice, inutile dire che sono andata su tutte le furie”. Entrò così una ragazza bionda seguita da alcune sue amiche ovviamente stupite di tale errore. Il mio volto assunse un’espressione un po’ schifata che andava a dimostrare il problema di fondo del mio essere costantemente single: le donne. Fondamentalmente il problema erano loro. Loro, così fanatiche, così egocentriche, solo loro.
Daniele alla vista di quel gruppo di ragazze strabuzzò gli occhi esclamando anche un “che bomba, ragazzi miei!”. Le ragazze si sedettero a un tavolo non molto distante dal nostro per cui il cantante della nostra band non perse l’occasione per sporgersi verso la ragazza bionda e iniziò dicendo “Ragazze perché non vi unite a noi? Beviamo qualcosa insieme e chiacchieriamo, tanto è un posto morto qui”.
Senza indugiare le ragazze si accomodarono al nostro tavolo: Giulia, Erica, Marta e Viola.
“Facciamo un giro di shortini?” proseguì Daniele.
Nell’esatto istante in cui lui pronunciò quelle parole entrò un’altra ragazza. Stavolta ero io quello che mentalmente diceva “che bomba, ragazzi miei!”.
“Nici, finalmente! Ma ti eri persa? Vuoi unirti a noi? Il ragazzo ci ha appena chiesto se vogliamo uno scortino, che dici?” domandò la bionda che si chiamava Giulia.
“No.” Rispose lei. Decisa, fu un semplice ‘no’ a far crollare quel castello di sabbia che avevo creato. Come quando costruisci con le carte da gioco le casette e arriva il coglione di turno e ci soffia sopra. Non voleva sedersi con noi.
Quella ragazza si avvicinò al bancone e nel momento in cui ordinò ciò che voleva, io la scrutai attentamente: aveva i capelli castani lisci e lunghi, gli occhi castani, intensi, bellissimi, un paio di jeans chiari che le fasciavano le gambe, una tshirt bianca a maniche corte e un paio di All Star nere alte, borsa di pelle nera. Era da capogiro. E avevo anche notato, appena era entrata, che aveva un piercing al naso. Invece del solito brillantino, lei aveva un anellino che non risultava affatto volgare sul suo naso, bensì la faceva ancora più bella.
Presa la sua birra, si sedette sull’unica sedia libera e quella sedia era proprio vicina a me.
“Come mai non siete andate al lungomare come gli altri?” domandò Daniele. Le sue parole mi arrivavano ovattate, ero troppo concentrato a contemplare lei, con lo sguardo basso che, in silenzio, con la mano destra beveva la sua birra e con il pollice della mano sinistra si torturava qualche pellicina attorno all’unghia del mignolo della stessa mano. Notai che aveva anche lo smalto, era nero e, per quanto odiassi lo smalto nero, a lei stava decisamente d’incanto.
“A Nicole non piace il mare, vero Nici?” rispose una delle sue amiche.
Lei non aveva ascoltato nemmeno mezza parola di quel discorso ma appena sentì l’intonazione su ‘Nici’, alzò lo sguardo e disse interrogativa “Eh?”
“Daniele, questo ragazzo, ci ha chiesto come mai non stavamo al mare e io gli ho detto che a te non piace, per questo siamo qui e non lì. Giusto no?” ripeté l’altra.
“Ah. No, a me piace il mare. Però non mi piace quando è troppo affollato. I pensieri si sentono così esposti”. A quella risposta ebbi come l’istinto di abbracciarla, ma mi fermai. Mi faceva una tenerezza assurda. Tutti ignorarono la sua risposta e proseguirono il loro diverso, ma io no.
“Cosa ti piace del mare?” domandai quasi sussurrando.
“A un certo punto, finisce” rispose aprendosi in un sorriso, uno dei più belli e sinceri che avessi mai visto.
Rimasi piuttosto esterrefatto dalla sua risposta ma poi mi ricordai ed esclami a voce bassa “Baricco.” e lei “Già”. Fine della conversazione.
I miei amici e le sue compagne ormai avevo intrapreso una bella chiacchierata da cui io e lei ci eravamo volutamente isolati. Isolati nei propri pensieri ma uniti dai nostri sguardi. Eh già, ci scambiavamo spesso degli sguardi e quasi spesso lei arrossiva. Avevo scoperto che tutte le ragazze della sua comitiva avevano 18 anni, quindi, su per giù, anche lei aveva 18 anni.
“Ti va di accompagnarmi fuori a fumare?” coinciso, deciso.
“Sì” emise una flebile affermazione e si alzò, senza dire nulla a nessuno e andò alla porta e uscì. Spiegai ai ragazzi il motivo di questa sua uscita e mi affrettai a raggiungerla.
“Mi stai simpatico” mi disse, me lo disse sorridendo e io sorrisi di rimando.
“Grazie. Vuoi?” le offrì una sigaretta.
“No, grazie. Io non fumo”
“Allora che fai?” le risposi. Mi guardò leggermente sconcertata e subito continuai dicendo “Che fai nella vita?”
“Sto al liceo classico. Ultimo anno. E suono il basso elettrico.”
In quel preciso istante tutto il mio corpo ebbe un fremito. Bella, brava e anche musicista. Non si fece attendere una mia risposta: “Bello! Io suono la batteria, invece”. Le si illuminarono gli occhi.
“Hai una band?”
“Sì, i ragazzi dentro sono la mia band. Il bassista non c’è stasera perché sta con la sua ragazza. Ci chiamiamo ‘Lost in the supermarket’”.
“The Clash” aggiunse lei.
“Li conosci?”
“Ovvio che li conosco. Li adoro, ottimo nome per una band.” Ignorai del tutto la sua risposta pronto a farle un’altra domanda.
“Quali sono le tue band preferite?”
“Che dire, Pink Floyd, Doors e Rolling Stones sono le mie predilette. Ma amo anche i Clash e i Sex Pistols”
“Capito. La mia, invece, sono i Clash”
“Capito.”
“Già. Sei proprio sicura di non voler fumare?”
“Sicurissima. Comunque piacere, io sono Nicole” e mi porse la sua mano, fredda perché aveva tenuto la bottiglia di birra ghiacciata.
“Ah sì, piacere mio Nicole. Io sono Luca” le risposi con un sorriso a 32 denti.
“Ciao Luca”
“Dovremmo rientrare, mi sa” le dissi
“Lo credo anche io”. E nell’istante in cui lei pronunciò queste parole, tutto il gruppo dei miei amici e delle sue amiche uscì e Giulia, la bionda, ci parlò, anzi le parlò.
“Scusaci Nici, noi stiamo andando sul lungomare.”
“Tranquilla Giulia, semmai io vado a casa. Divertitevi, buona serata” e si voltò anche verso di me.
Mi alzai e andai da Daniele, gli sussurrai qualcosa all’orecchio e mi andai a sedere di nuovo sul marciapiede fuori al locale dove mi trovavo prima.
“Tu non vai?”
“No, io sto qui con te.”


Spazietto per me:
Ciao a tutti! Questa è la prima storia che decido di pubblicare, quindi mi farebbero piacere le vostre recensioni e soprattutto vorrei sapere se devo correggere qualcosa e cosa. Spero vi sia piaciuto questo primo capitolo, un bacio!

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


“Oh…” le uscì della sua bocca, un semplice ‘oh’ detto quasi sussurrando.
“Già. Posso farti una domanda?” le chiesi.
“Sì.”
“Perché sei amica con quelle ragazze? Insomma, sono lontane da te anni luce.” Le dissi semplicemente questo.
“E’ complicato.”
“Mi piacciono le cose complicate, anzi, le persone complicate” accesi un’altra sigaretta.
“Non dovresti fumare così tanto.” Mi rispose, ignorando la prima parte della mia frase.
“Non fumo così dai periodi della terza liceo quando volevo fare lo sborone con quelle della mia classe. Sono passati circa quattro anni. Credo che una sigaretta in più, non cambi la mia situazione di salute. Perfetta, aggiungerei.”
“Hai vent’anni.” Sorrise. Quella conversazione era carica di tensione, ma lei in ogni caso sorrideva.
“Sì”
“E cosa fai nella vita?”
“Studio. Medicina, per la precisione.”
“Ti piace?”
“Da morire. Vorrei specializzarmi in psichiatria, in realtà. La trovo così affascinante. Tu non hai risposto alla mia domanda, però. Perché sei amica con quelle ragazze?”
“Te l’ho detto, è complicato Luca.” e pronunciò il mio nome con una dolcezza inaudita.
“Cosa è complicato? Voglio conoscerti, Nicole.”
“Devo andare Luca, scusa.” E si alzò. Mi alzai anche io di scatto, non volevo farla andare via, volevo parlare con lei, volevo sentire la sua voce per ore e ore. Sembrava cambiata dopo che le dissi “no, io sto qui con te”.
“Non andare, ti prego.” Non potevo aver detto seriamente quelle parole. Non avevo mai pregato una ragazza. Io, che consideravo le donne il problema della mia vita, io avevo pregato una ragazza.
“Si è fatto tardi”
“Sono solo le undici, è presto. Hai diciotto anni ed è estate. Non è affatto tardi, Nicole” e sul suo nome che la mia voce divenne un po’ stizzita, quasi infastidita. Non doveva, anzi, non poteva andarsene.
“Perché vuoi che rimanga con te? Nemmeno mi conosci, sono solo piena di problemi.” Quasi sputò fuori quelle parole.
“Hai ragione, io non ti conosco, ma vorrei conoscerti, Nicole. Ad ogni modo, se non te ne fossi accorta, ti trovo interessante e, okay, sono un caso perso con le donne e ho avuto due relazioni finite male, ma ti prego fai sì che io possa conoscerti perché stasera quando sei entrata da quella porta ho sentito qualcosa nel mio stomaco e, credimi, anche se volessi, non potrei proprio ignorare quella sensazione che avevo – e che ho tuttora – nello stomaco. Quindi ti prego, siediti qui con me e dimmi tutto di te perché io starei ad ascoltarti per ore e non mi interessa quali problemi affliggono la tua vita, voglio conoscerti.” Ero stupito, avevo  fatto quel discorso senza prendere nemmeno un po’ d’aria. Non avevo parlato mai a nessuno in quel modo, né tanto meno ad una ragazzina.
Lei non disse nulla. Aveva lo sguardo basso e probabilmente si sentiva colpevole.
“Vado dallo psicologo.” Disse. Non aveva fatto nessun giro di parole, ma era arrivata al nocciolo della questione.
Decisi di non interromperla e le sorrisi quasi a incitarla a continuare.
“Soffro di solitudine e mia madre mi ha costretta a stare con quelle ragazze. Non sono veramente mie amiche, le amiche non si comportano così. Le amiche non lasciano un’amica da sola, assieme ad un ragazzo conosciuto in un lurido pub. Lo hanno solo fatto per accontentare i miei. Lo psicologo ha detto che devo uscire e interagire con la gente e i miei hanno pensato a loro perché erano le uniche che alle medie mi degnavano di qualche sguardo, che si trattasse di sguardi schifato o no, loro comunque mi guardavano.”
“Quindi non hai amici”. Era una domanda palesemente retorica. Era più per convincere me stesso del fatto che una bellissima ragazza come lei, con dei gusti musicali coi controcazzi – passatemi la parola – non avesse amici.
“Già. Ma non voglio apparire come una ragazza problematica. Non ho problemi, cioè io so di essere così per il mio carattere. Sono i miei genitori che si fanno mille pippe mentali, coinvolgendo anche i dottori. Loro mi hanno costretta ad andare dallo psicologo, io non volevo. A me bastano il mio basso e i miei dischi per stare bene, ma loro non lo accettano. “Non puoi continuare a rifugiarti nella musica” questo mi ripetono di continuo.
Dopotutto vado benissimo anche a scuola, solo che nelle relazioni sociali faccio un tantino schifo. E non so nemmeno come mai stia parlando con te dato che non ti conosco, ma dopo tutto quel discorso e del tuo interesse nei miei confronti, beh, te lo devo. Però non ti sto dicendo queste cose per darti il contentino, mi piace parlare con te. Solo tu, prima, ti sei interessato di me e della mia presenza. Mi hai degnato di una parola, ecco.”
La ascoltai e un pochino mi rispecchiavo in quello che mi diceva. Anche io avevo sofferto di solitudine, ma a parte i ragazzi della band e qualche collega dell’università, non avevo proprio nessuno.
“E dimmi, nella tua classe non c’era proprio nessuno che ti guardava oltre a quelle ragazze?” le chiesi.
“Forse, non ne ho idea. Ma il punto è un altro.”
“Quale?”
“Tutti ti guardano, Luca. Gli insegnanti, i compagni, la gente in autobus o in metro, chi fa la fila alla casa del supermarco, ma nessuno ti vede. Tutti ti guardano, ma nessuno ti vede ed io ho bisogno di essere vista. Per carità, non soffro di manie di protagonismo e di sindrome da prima donna, semplicemente vorrei che tutto ciò che faccio sia, in qualche modo, apprezzato. Solo Sofia mi apprezza”
“Allora ce l’hai un’amica!”
“Peccato che viva a chilometri di distanza da me. L’ho conosciuta su Facebook e l’ho incontrata lo scorso inverno ad un concerto a Firenze e poi in primavera sono andata a Milano, da lei. Ecco in quel giorno, mi sono sentita apprezzata e sono stata vista da qualcuno. I miei, però, pensano che Sofia faccia solo danni alla mia inesistente vita sociale, per cui mi assillano – quasi ogni giorno – che è dannoso parlare con lei, sì dannoso… lo hanno proprio definito così.”
“Mi dispiace.”
“Comunque si è fatto tardi, Luca. E’ quasi mezzanotte e forse è ora che torni a casa.”
“No, resta qui con me ancora un po’. Anzi, ti accompagno io a casa. E’ tardi non puoi tornare da sola”
“Tranquillo Luca, ci sono abituata. Spesso esco la sera molto tardi e faccio il giro a piedi del mio quartiere per poi ritornare a casa.”
“Mi dai il tuo numero?” Ero tutto scemo. Avevo completamente ignorato la sua risposta per poi uscirmene con questa perla di saggezza. Grandissimo Luca… ti sei appena accaparrato il premio gentilezza, eleganza e romanticismo dell’anno.
“Certo” mi sorrise e mi diede il suo numero.
“Ti va se ci sentiamo?” ero diventato paonazzo, non avevo mai chiesto a una ragazza una cosa del genere in modo così esplicito.
“Sì” sussurrò lei, quasi come se nessuno dovesse sentirla.
Iniziai a pensare che non avesse mai avuto un ragazzo dopo tutta la storia che mi aveva raccontato. Ma trovavo questa cosa impossibile, insomma lei era così bella ed era anche intelligente e con ottimi gusti musicali, ribadisco sempre questa cosa.
“Dai ti accompagno, sono a piedi anche io”.
Fece spallucce e ci incamminammo verso casa sua. In realtà lei si incamminava, io la seguivo perché non avevo idea di dove abitasse. Dopo un quarto d’ora buona di silenzio assoluto, arrivammo davanti ad una casetta. Era carina, aveva le pareti gialle, ed era a due piani da come potevo notare dal balconcino al piano superiore. Il giardino era molto curato e, sebbene fosse buio, si vedevano dei fiori colorati.
“Eccoci qua. Sono arrivata” disse lei indicando la casa gialla.
“Bene, allora buonanotte” le risposi.
“Buonanotte” mi guardava con quegli occhi da cerbiatta, avrei voluta baciarla ad essere sincero.
Però mi avvicinai al suo viso, sentivo il suo respiro caldo che mi solleticava il collo e le lasciai un bacio sulla guancia sussurrandole all’orecchio un “Grazie della serata, ci sentiamo”. Lei mi sorrise e io mi staccai. Ci guardammo per l’ultima volta, io alzai la mano in segno di saluto e lei ricambiò. Poi si voltò, aprì il cancello e la seguii con lo sguardo fino a quando non ebbe chiuso la porta d’ingresso.
 
 
Spazietto per me:
Salve a tutti! Ecco il secondo capitolo. Non mi convince parecchio ma ho comunque deciso di pubblicarlo. Come sempre, aspetto le vostre recensioni e spero che stiate apprezzando questa storia, sebbene sia solo agli inizi, perché mi ci sto veramente impegnando. Au revoir!

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