Surviving

di C l o u d
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (Soprav)vivere. ***
Capitolo 2: *** Lavoro ***
Capitolo 3: *** Incontri (1* parte) ***



Capitolo 1
*** (Soprav)vivere. ***


1.
 
 
The minute you think of giving up, think of the reason why you held on so long.
(Il minuto in cui pensi di arrenderti, pensa alla ragione per cui hai resistito per così tanto tempo)
 
Fili di luce argentea illuminavano il viso niveo di una giovane fanciulla addormentata, evidenziandone i lineamenti perfetti e il colore pallido. Lunghi capelli biondi si estendevano per metà del letto, rendendola una dea in quel tranquillo quadro notturno.
Mosse leggermente le palpebre, sollevandole man mano che i suoi occhi si adattassero a quella flebile luce emanata dalla Luna. Era ancora notte. I suoi occhi oceano1 cercavano qualcosa di indefinito in quella stanza antica. Torse il naso, sentendo un leggero odore di muffa circolare in quel piccolo spazio ove riposava la notte.
Urara Kasugano viveva in una zona emarginata di una piccola cittadina americana. Era per metà giapponese, dato che il padre, Kasugano Misheru, era originario del Giappone, ma aveva ereditato tutto dalla madre, di origine americana, che morì mentre portò la luce la piccola Urara.
La sua dimora era piccola e inospitale, addobbata con mobili vecchi e in rovina e quadri leggermente graffiati; la zona soggiorno – o, almeno, così si poteva definire – conteneva un piccolo fornello elettrico, adagiato su un mobiletto in legno antico per metà ammuffito, un tavolino da salotto ove, miseramente, pranzava e, in casi fortunati, cenava: lo scarso stipendio che si procurava lavorando in un bar del centro città, oltre a permetterle di procurarsi miseri capi d’abbigliamento, le permetteva di mangiare qualcosa di commestibile. La camera in cui riposava conteneva una piccola finestra, una grande cassa, con all’interno un materasso, utilizzata per letto, un piccolo comodino, in cui riposava una vecchia sveglia e il suo cellulare da dodici dollari all’incirca, e una piccola toilette. Il tutto, illuminato soltanto dalla leggera luce notturna, aveva un aspetto inquietante.
La vita che conduceva era davvero misera, ma dentro di sé sentiva che qualcosa sarebbe cambiato nel corso degli anni e che, in qualche modo, avrebbe realizzato il suo obbiettivo, il suo sogno. Urara voleva diventare una cantante di fama mondiale: si esercitava da sé, dato che non poteva permettersi né lezioni pubbliche, né lezioni private. Ogni tanto, la sua – unica - migliore amica Kurumi, assisteva a qualche suo piccolo spettacolino e poteva dare lei dei consigli su come migliorare.
Ma, nelle condizioni in cui si trovava, era quasi impossibile.
Sollevò di poco il capo e, dopo aver strofinato un occhio, posò lo sguardo alla sua sinistra, sulle lancette della sveglia. - Sono ancora le tre – borbottò, la voce rotta dal sonno. Si stiracchiò, sbadigliando sonoramente e inghiottendo a vuoto.
Un brivido le percosse la schiena; la leggera camicia da notte che indossava non le trasmetteva abbastanza calore, in quella dimora quasi vuota. – Sarà meglio tornare a dormire
 
Sottili raggi di sole le solleticavano le palpebre, costringendola ad aprire gli occhi; la flebile luce mattutina rendeva il blu dei suoi occhi più evidente. A malavoglia, scostò le coperte del suo corpo minuto e si mise a sedere ai bordi del letto, sbadigliando e strofinando gli occhi. Il suo sguardo si posò sulle pareti giallastre della camera, dove vi era appeso un quadro raffigurante un prato fiorito. “A volte i rifiuti non sono così male” pensò. Infilò ai piedi le sue infradito quotidiane e si diresse verso la piccola toilette: vi erano appena un piccolo lavabo e un water adornato da minuscole macchie indelebili, procuratesi chissà dove. Sospirò, riempiendo una grande bacinella che avrebbe dovuto usare come vasca da bagno.
Soddisfò ogni suo bisogno igienico e, subito dopo, scelse i capi che avrebbe indossato per l’intera giornata: il suo armadio era davvero povero, scarso. A stento teneva due t-shirt, una gonna, due paia di jeans e un abito da passeggio. E dopo aver indossato maglia, jeans e i suoi soliti scarponcini e aver preso il suo vecchio cellulare, uscì di casa.
Il suo corpo caldo, a contatto con la brezza primaverile, rabbrividì. Non appena si fu abituata all’aria esterna, quel venticello le parve scomparire e un gran tepore l’avvolse.
Sentì vibrare una o due volte il telefono nella tasca destra dei jeans. Con un rapido gesto delle dita, l’afferrò e rispose alla chiamata, senza controllare chi fosse. – Pronto? Oh, Kurumi!
Le faceva sempre un enorme piacere sentirla, era l’unica cosa che aveva in quel mondo che le si ribatteva contro. – Arrivo subito! – E con questo terminò la chiamata.
 
Urara attendeva Kurumi davanti la caffetteria del piccolo parco centrale. Incrociò le braccia sotto il seno e si guardò in torno, sperando di vedere arrivare l’amica.
- Urara! – Dall’altra parte della strada, una ragazza dai lunghi capelli viola fece segno alla bionda di attraversare. Quest’ultima sorrise, camminando a passo svelto per arrivare dall’altra parte.
- Attenzione!!! – Urara voltò di scatto il capo, incontrando due occhi color nocciola venirle incontro all’improvviso. L’amica fece in tempo a tirarla per un braccio, evitando che si procurasse qualche danno.
- Che maleducato. Ti sei fatta qualcosa? – Le domandò preoccupata, abbracciandola istintivamente.
- No, Kurumi, non preoccuparti – le sorrise – Cos’hai fatto ai capelli?!
I capelli di Kurumi erano di un viola chiaro – ma non tanto – sfumatosi di un viola più scuro nelle punte.
- Ti piacciono? – Se ne vantò quest’ultima. Era una ragazza alquanto vanitosa, lei, anche se Urara non ci faceva molto caso.
Non era attratta dalla sua bellezza, – è ovvio – neanche dal suo modo di fare e di essere e neanche le sue origini giapponesi - come le sue -, le voleva bene e basta. Un mezzo sorriso le apparve sul volto, prendendo tra le mani una ciocca viola e facendo scorrere le dita all’interno di essa. – È piena di nodi – le rispose, scoppiando a ridere, seguita dall’altra.
 
Si erano sedute a un tavolo della caffetteria lì vicino, a prendere due tazze di caffè offerte da Kurumi. Era sempre stata affettuosa nei suoi confronti, aveva sempre fatto il possibile – nel suo piccolo - per farla stare bene. Si comportava come una seconda mamma.
Economicamente, Kurumi stava abbastanza bene.
Il padre era un medico molto acclamato, mentre la madre insegnava in una scuola media a New York.

Dati i lavori dei genitori, Kurumi passava parecchio tempo da sola, in casa, magari svolgendo faccende domestiche che sua madre non poteva svolgere, oppure gironzolava per i vari quartieri insieme ad Urara.
- Allora, Lemonade, – cominciò – come va col tuo lavoro? – Urara bevve un sorso di caffè bollente, guardandola negli occhi. – Sai che odio essere chiamata così! – borbottò, bevendone un altro sorso e poggiando la tazza sul piccolo piattino abbinato perfettamente ad essa. – E, comunque, tutto bene
Accennò una piccola smorfia, aggiungendo dello zucchero in quel caffè un po’ amaro. Prese il cucchiaino datogli da un cameriere e cominciò a mescolare. – Lo stipendio è misero – si lamentò – Riesco appena a pagare la luce! – Sbuffò, pensando a tutto ciò di cui doveva occuparsi. - Sono dei bastardi – completò poi.
- Uh, che paroloni! – dalle labbra di Kurumi fuoriuscì un leggero risolino – Ma sappi che, se avrai bisogno di qualcosa, puoi chiedermi tutto ciò che vuoi! -  La bionda scosse il capo, finendo l’ultimo sorso di caffè. – Lo sai che non voglio recarti disturbo
- Sei proprio una stupida – sussurrò scherzosamente l’amica.
 
Mezzogiorno era ormai alle porte e il sole picchiava leggermente sui passanti. Urara e Kurumi vollero accomodarsi su una panchina del parco, per chiacchierare del più e del meno – e di cose alquanto stupide.
- Fra due mesi è il tuo compleanno! – canticchiò Kurumi, prendendo le mani di Urara e facendole oscillare a destra e a manca. L’altra annuì, silenziosa. Kurumi sapeva del dolore che provava la sua migliore amica, sapeva di tutto quello che aveva passato in quegli anni, della morte dei suoi genitori e di ciò che aveva tentato.
 
“ Il suono di auto e sirene era incontrollabile quella sera. Tutti erano immobili a fissare la cima di un palazzo del centro città, ove una ragazza si teneva in equilibrio sul bordo frontale. – Urara! – urlava una giovane dai capelli castani2, mentre correva verso il palazzo, in lacrime, cercando di raggiungerla, per poi afferrarla e portarla al sicuro. Ma fu fermata da un poliziotto e, subito dopo, da un altro ancora. – Sono la sua migliore amica! Fatela scendere, vi prego! – “

 
 
Il suo volto s’incupì tutto d’un tratto, e prese a guardare negli occhi l’amica quando quest’ultima rafforzò la presa delle loro mani congiunte. – Non vedo l’ora di festeggiarlo, insieme a te – le sussurrò, facendo nascere nelle labbra di Kurumi un intenso e dolce sorriso. D’istinto, l’abbracciò, stringendola a sé sempre più forte. – Ti voglio bene, Urara … -
Urara sapeva che l’amica aveva paura. Paura che qualcosa sarebbe successa, come quel giorno. Ma adesso era forte, perché “quando si è sul punto di arrendersi, si cerca di pensare alla ragione per cui si è resistito fino a quel momento”.
 
1 […] occhi oceano = Urara ha gli occhi blu.
2 […] dai capelli castani = Il colore naturale dei capelli di Kurumi.



 
Note me: Buonsalve a tutti, lettori passanti e lettori loggati! Si, lo so. In questo momento starete pensando "Ma questa che ci rompe a fare con delle long iniziate e mai finite?" Eh eh, no problem. Stavolta, ho pensato a tutto! Ho già scritto quattro capitoli, compreso questo, e, man mano che pubblicherò quelli già scritti, avrò il tempo per scrivere gli altri, sì! Che felicità (ma anche no). 
Passiamo a rivedere un po' come stanno le cose: Urara vive una vita misera, già. Vi prego, don't kill me, please! Neanche io avrei voluto, ma la adoro così tanto da metterla ovunque. Ho dovuto cambiare il colore dei suoi occhi perché ... erano un po' rari, e poi l'azzurro, in versione umana, gli donano molto (credo).
Non so se avete notato, ma la Urara/Shiro, anche se pochissimo, è presente in questo capitolo. Siete riusciti a trovarla? Eh eh.
Poi, Kurumi. Ah, la nostra cara e folle Kurumi che si tinge i capelli di viola! (Non potevo mica scrivere che li aveva naturali, quale donna o uomo sano di mente e salute avrebbe i capelli viola naturali?)
Vi chiederete "Perché Kurumi?". Non lo so neanche io. Forse perché entrambe insieme sono una novità! Per mantenere le loro identità, ho voluto scrivere che entrambe provengono dal giappone, ma della vita di Kurumi tratteremo più avanti.
Allora, è stato di vostro gradimento? Recensioni/Critiche ben accette, yes! Ci conto a sapere il vostro parere, mh?
Alla prossima,
  Ayako.

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Capitolo 2
*** Lavoro ***


2.
 
 
The minute you think of giving up, think of the reason why you held on so long.
(Il minuto in cui pensi di arrenderti, pensa alla ragione per cui hai resistito per così tanto tempo)
 
Urara guardò l’ora sul display del cellulare e sbuffò: le 20:45. Si avviò verso l’armadio, per prendere la divisa da lavoro e, con calma, indossarla. Un semplice abito color panna in seta la copriva sino a metà coscia, lasciando in bella vista le sue gambe snelle; ne aggiunse un gilet nero e una cravatta del medesimo colore, unendo i suoi capelli dorati in un’altra coda di cavallo. Si guardò allo specchio e sospirò, pensando a tutto ciò che l’aspettava, come ogni sera: ubriachi e tant’altro che con lei non c’entrava nulla. Raccolse il piccolo cellulare dal letto e uscì, rabbrividendo a contatto con l’aria gelida. Si guardò intorno, intravedendo due fari di auto illuminarla e fermarsi dinanzi casa sua: Kurumi si era offerta di darle un passaggio sino al bar in cui avrebbe dovuto trovarsi entro … – Cinque minuti! – esclamò, aprendo la portiera rossastra dell’auto e tuffandosi dentro quest’ultima. Strofinò le mani l’una con l’altra, voltandosi a guardare la sua migliore amica, sorridente. – Sbrighiamoci o arriverò in ritardo! – l’aveva avvertita, afferrando una trousse che giaceva sotto il sedile anteriore. - Buona sera anche a te, Urara. – ironizzò la viola, accennando un sorrisetto divertito nel notare l’amica passare un velo di matita sulle palpebre pallide. – Oh, ricordati il rossetto! – le consigliò, poggiando le mani sul volante – Hai le labbra pallide.

Il centro era pienamente affollato, ragazzi di ogni età che passeggiavano per le strade abbastanza ampie e grigiastre, allegri e pimpanti; Urara li osservava con un’ amara invidia, ma scacciò quei pensieri non appena Kurumi la prese sotto braccio e la trascinò verso un bar affollato. “So chic” diceva l’enorme insegna posta sopra l’appartenente vetrina. La guardò per bene, prima di ritrovarsi tra una numerosa folla di persone. Raggiunse il bancone, salutando con gentilezza la proprietaria del bar. – Sei in ritardo di … due minuti esatti, tesoro. – scherzò la giovane ragazza, provocando nella bionda uno sguardo truce – Come siamo scherzosi stasera, Karen! – Ella rise, prendendo tra le mani uno straccetto e pulendone un bicchiere in vetro. – Forza! Il lavoro attende. – Urara annuì, afferrando un blocco di fogli e una penna.
La musica era assordante e pareva che il suo cuore seguisse il ritmo del brano in riproduzione. Si avviò verso la folla e cominciò a guardarsi intorno: da dove avrebbe iniziato? I tavoli erano al completo e, ovunque guardasse, i clienti erano già stati serviti. Ma, all’angolo del locale, vicino la vetrina, un ragazzo se ne stava con il capo chinato verso le sue mani, impegnate a torturarsi a vicenda. A passo leggero, si incamminò verso di lui e, con un leggero sorriso che adornava il suo viso, si posizionò alla sua destra. – Ciao! Vuoi ordinare qualcosa? – E non appena incontrò i suoi occhi, le sembrò di averli già visti. Nocciola, occhi color nocciola. Forse era semplicemente la somiglianza con quelli di Kurumi1, o forse li aveva visti davvero da qualche parte.
- Qualche problema? – A riportarla in sé fu la frase acida del giovane, sentendo un brivido attraversarle la spina dorsale in un nanosecondo. – No … no. – Si trovò a borbottare imbarazzata, abbassando lo sguardo. – Cosa desideri?
Vide il giovane afferrare il piccolo pezzo di cartoncino giacente sul tavolino ove teneva poggiati entrambi i gomiti. Diede un’ occhiata veloce, per poi annuire debolmente e rivolgersi alla bionda. – Vodka alla menta. – Mordicchiò il tappo della biro prima di annotare ciò che egli aveva ordinato. Lo guardò un’altra volta, prima di sussurrargli un “bene”, girare i tacchi e portare l’ordinazione al bancone.
- Una vodka alla menta! – urlò senza nemmeno volgere uno sguardo al barista. Sbuffò, sistemando la cravatta color pece e riflettendosi nel marmo lucido del bancone. “Questa è la settimana di stipendio” si ritrovò a pensare chissà come, inarcando un flebile sorriso tra le labbra rosso fuoco. Soltanto $250 al mese erano pochi, per lei, non riuscendo a pagare nemmeno l’importo totale di luce e acqua mensili. Scacciò via quei pensieri non appena vide il bicchiere di vodka alla menta dinanzi a lei, pronto per essere servito.

Ecco a te. – Porse il bicchiere di vetro al giovane dagli occhi nocciola, ricevendo un “grazie” scocciato come risposta. Non sembrava un bravo ragazzo, lui: lo si poteva notare dallo sguardo fulminante e dal modo di dialogare. Sapeva di non aver avuto un lungo dialogo con costui e che neanche lo conosceva, ma, da quelle piccole cose, aveva già notato.
- Allora? – La ragazza lo guardò, confusa da quella breve domanda. – Che hai da guardare? – Urara sentì una leggera rabbia ribollirle nelle vene: avrebbe voluto dirgliene quattro! – Che modi! – Borbottò, allontanandosi a passo pesante.
Certe volte gli uomini non li capiva proprio!

Si sedette al bancone, non avendo nulla da fare e cominciò a perdere tempo col suo cellulare un po’ malridotto. Kurumi era tornata a casa per cenare e sarebbe tornata lì non appena concluso. Si guardò intorno, cercando qualcosa di indefinito con lo sguardo e sbuffando continuamente. - Tu. – Urara sospirò, alzando lo sguardo e rivolgendosi alla persona così ‘cortese’ che si era rivolta a lei. – Dimmi pure! – Il ragazzo la guardò con una smorfia in volto, prima di schiarire la voce. – Il conto, grazie.
"Che arroganza!” pensò, prima di porgergli un foglietto in cui vi era scritto il costo di quel bicchiere.
- Nove dollari? Ma siete impazziti?! – Quell’esclamazione fece voltare mezzo locale, dato che, in quel momento, non vi era nessun brano in riproduzione. – Qualcosa non va, ragazzo? – Karen fece il suo ingresso, avvicinandosi a quest’ultimo e rivolgendogli un sorriso cordiale. – Che significa? Nove dollari per uno stupido drink? Siete matti! – Karen gli rivolse uno sguardo divertito, poggiando le mani sui fianchi. – Suvvia, tutte queste storie per nove dollari? – A Urara parve di sentirlo ringhiare, ma, forse, era tutta immaginazione. Il giovane frugò tra le tasche, sbattendo violentemente nove dollari sul bancone gelido.
- Tsé, altro che crisi! – Si lamentò lui, prima di uscire completamente dal locale. La bionda sospirò, amareggiata. Quella sera ebbe il brutto presentimento che l’avrebbe incontrato ancora.

- Ma che bella faccia tosta! – Kurumi sorseggiò un po’ della sua bevanda alcolica preferita, aggrottando le sopraciglia per ciò che le aveva appena detto l’amica. – Se ti sfiora solo con un dito – ringhiò lei – lo sottopongo ad un’ operazione chirurgica!
Ed entrambe scoppiarono in una fragorosa risata, come solo due amiche sanno fare.
 
1 […] con quelli di Kurumi = Kurumi ha gli occhi nocciola.


 
Note me: Buonsalve a tutti, da quanto tempo! Scusate il mio immenso ritardo, ma non ho nemmeno avuto il tempo di aprire EFP in queste ultime settimane. Ogni anno che passa, a quanto pare, i professori sono sempre più insensibili, pff. Dalle 14:00 alle 20:00 sui libri, oh santa Nozomi.
E allora? Piaciuto? A quanti di voi sta antipatico Shiro? - alza la manina - Oh, bene. Urara/Shiro moments everywhere. Chissà come farà Urara a sopportarlo, boh.
Kurumi con gli occhi nocciola, sì! Sto modificando parecchie cose, lo so. Eh già.
Me la lasciate una recensione? Anche voi, lettori silenziosi, ci tengo tanto.
Oh, ma voi avete saputo dell'undicesima serie delle Pretty Cure? Happiness Charge, se non erro. Non vedo l'ora di vedere questa nuova serie!
Alla prossima,
  Ayako.

 

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Capitolo 3
*** Incontri (1* parte) ***


3.
parte prima.
 
 
The minute you think of giving up, think of the reason why you held on so long.
(Il minuto in cui pensi di arrenderti, pensa alla ragione per cui hai resistito per così tanto tempo)
 
Erano già le dieci del mattino, ma Urara faticava ad alzarsi. La sera prima era stata davvero impegnativa – come tutte le altre – e l’indomani si ritrovava sempre così stanca. Sbuffò, portando il lenzuolo leggero fino al capo, così da coprirla tutta. Era domenica, ma non importava, per lei ogni giorno era uguale e senza distinzione.
Il cellulare squillò e Urara portò una mano nell’orecchio destro, il suono di quell’aggeggio l’infastidiva e di malavoglia lo prese tra le mani, scrutando con sguardo assonnato il piccolo schermo. Dopo aver visto lampeggiare il nome di Kurumi, premette il tasto verde per rispondere alla chiamata.
Pronto, Kurumi … – la voce impastata dal sonno, gli occhi socchiusi e l’aria ancora stanca.
Urara! Come mai quella voce? – per un attimo dovette allontanare il cellulare dall’orecchio per non rischiare di diventare sorda, ma poi rispose, strofinandosi le palpebre con un dito: – Non riesco ad alzarmi … –.
Dormigliona! – rise dall’altra parte Kurumi, provocando nella bionda un sospiro rassegnato. Chiuse gli occhi, sbadigliando, dimenticando che la sua migliore amica era a telefono e stava ancora in ascolto. La viola, questa volta, rise di gusto. Urara sapeva essere davvero buffa, molte volte!
Facciamo così! – le disse – Vestiti e vieni da me, mi sento sola!
Urara sorrise lievemente, cercando di alzarsi da quella calamita. Sbadigliò ancora e annuì all’amica. – Sono da te fra un’ora circa.

Dopo aver eseguito la solita routine mattutina e dopo aver messo nello stomaco un poco di pane, uscì di casa e si diresse verso il centro città, dove abitava Kurumi.
Era davvero una bella giornata, quella, e Urara aveva una matta voglia di godersi quella passeggiata secondo per secondo. Respirò a fondo l’aria tiepida, portando le mani al petto: i battiti regolari del suo cuore rimbombavano nelle sue mani affusolate. Si sentiva davvero bene.
I grandi ciliegi in fiore rendevano l’atmosfera più che piacevole, mentre piccole foglie rosate si lasciavano trasportare dal tepore di una brezza accennata. I lunghi capelli biondi di Urara, raccolti in due code basse, ondeggiavano nell’aria, leggeri, solleticandole la nuca e le orecchie. Il cinguettio degli uccelli sembrava un armonioso e unico canto, così bello da suscitare in lei una tenera sensazione.
Si guardò intorno, curiosa, intravedendo un’ esile figura. Mise a fuoco per bene, avvicinandosi, con passo felpato. Sgranò gli occhi vedendo lo stesso ragazzo che la sera prima si era guadagnato l’attenzione di tutto il locale per le sue polemiche. Sbuffò, forse un po’ pesante, perché il ragazzo si voltò verso di lei. La guardava con uno sguardo annoiato, secco, mentre Urara voleva scappare lontano.
Trasalì quando vide il moro avvicinarsi lentamente a lei.
Tu. — la sua voce era calma e pacata — Ci siamo già visti? —. La scrutò con attenzione, riportando la sua attenzione agli occhi ambrati di lei. Urara sospirò.
Sono la barista di ieri sera. — ed egli parve ricordare. Le lanciò un’occhiata seccata, portando le mani nelle tasche dei jeans un po’ strappati.

Ed ecco che il silenzio si faceva sempre più imbarazzante.
Entrambi ammiravano i ciliegi in fiore in silenzio, senza disturbarsi a vicenda, come a non voler rovinare quel momento di pura tranquillità. I loro respiri si mescolavano con il fruscio delle foglie e il soffiare del vento. Per un momento, ad Urara parve di sentire gli occhi nocciola del giovane puntati su di lei.
Qual è il tuo nome? —. Fu lui a rompere il silenzio, – che sembrava durare in eterno – chiedendole qualcosa che nemmeno lei si sarebbe mai immaginata di sentire. Si voltò a guardarlo con sguardo interrogativo, nonostante non ci fosse nulla di strano. Di rimando, lui si voltò a guardarla con lo stesso sguardo di prima. — E beh? Non ti ho chiesto mica di riassumermi Beautiful!
Arrossì per l’imbarazzo, stritolando la stoffa della maglia che indossava. — U – Urara. — borbottò — Il mio nome è Urara!
Mh, che nome strambo.
Come osa?!, pensò. Lo guardò con rabbia, provocando in lui un sorriso sghembo. Sbuffò, lanciando gli occhi ambrati verso il cielo coperto da un velo di nuvole bianche. — Invece il tuo? — azzardò, con non chalance.
Non ti interessa.
Ciò fece innervosire la bionda, che non resisteva nel dargli un pugno nello stomaco. Chi si credeva di essere quel delinquente? — Tu sai il mio. Adesso ti tocca dirmelo!
Non ti ho mica costretta, io. — ribatté il moro — Sei stata tu a dirmelo, di tuo proposito!
Forse un po’ di ragione ce l’aveva, ma Urara era troppo orgogliosa per ammetterlo. Lei era così: timida, ma testarda. Quando una cosa doveva essere, doveva essere e basta. Nessuno immaginerebbe questo comportamento da un bel visino da diciassettenne come il suo, ma l’apparenza inganna, e parecchio anche.
Invece io ti sto costringendo. —.
Tale affermazione non abbatté il moro, perché scoppio in una strana risata subito dopo. Urara non sapeva fino a quando sarebbe rimasta così paziente con lui, perché il suo comportamento era davvero meschino. Si trovava a pensare che lui fosse uno di quei disgraziati di strada.
Senti, non ho tempo da perdere con te. — lo avvisò — Non vuoi? Okay, fai come ti pare.
Proprio quando stava per incamminarsi verso la casa di Kurumi, si sentì prendere per un braccio e sussurrare nell’orecchio sinistro: — Il mio nome è Shiro, cara Uralia. — Il viso niveo di Urara divenne di un rosso scarlatto e, prima che Shiro – così, almeno, aveva detto di chiamarsi – lo notasse, corse via, divincolandosi bruscamente dalla sua presa. — Al diavolo! Il mio nome è Urara! — gli urlò, senza voltarsi. Doveva andare da Kurumi, e al più presto.

Urara! — Kurumi abbracciò l’amica con tanto affetto.
La bionda ricambiò, ricordandosi solo in quel momento di quanto grande fosse la casa di Kurumi: l’enorme salotto, posto alla sua destra, era davvero accogliente e avrebbe lasciato di stucco chiunque; il lungo corridoio portava alle enormi camere da letto, al soggiorno, con una piccola cucina integrata e alla toilette. Era davvero una bella casa.
Ne hai impiegato di tempo, eh? — Le sorrise la viola, appena finito di legare i suoi capelli in uno chignon disordinato — È successo qualcosa?
Urara le raccontò l’incontro con quell’arrogante di Shiro in tutti i dettagli, lasciando Kurumi stupita, ma allo stesso momento leggermente infastidita dal comportamento di quel ragazzo.
Davvero stupido! — sussurrò, più a sé che ad Urara, incrociando le braccia sotto il seno, — Sarà uno di quelli che passano la maggior parte del loro tempo per le strade!
Urara annuì, afferrando uno dei cioccolatini posti in una ciotola in ceramica all’ingresso.
Se non fosse per il suo carattere antipatico, sarebbe davvero carino! — confessò.
 
Note me: Buonsalve a tutti, da quanto tempo! Lo so che non dovrei trascurare, ma non sono nemmeno riuscita ad entrare in quest'ultimo mese, perdonatemi!
Innanzitutto, buon anno, miei cari! Ormai il nuovo anno ci ha accolti a braccia aperte, già già. E pensare che neanche sembra.
Comunque, passando al capitolo, cosa ne pensate? Ci tengo a saperlo, mi raccomando. Avrete notato il 'parte prima' sotto il numeretto. Beh, era così lungo che ho dovuto dividerlo, purtroppo. Ma niente problemi!
Spero di sentirvi in una recensione! Lettori silenziosi, non siate timidi, non mangio carne umana, tranquilli. XD
A presto!
  Ayako.

 

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