Il mondo delle correnti: Cronache delle Ventiquattro Isole

di Fuschissimo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - parte 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 - parte 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 - parte 1 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 2 - parte 2 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 3 - parte 1 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 3 - parte 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 
 
Occhi. Due bellissimi occhi. Una donna piange, tenendo in grembo suo figlio, appena nato. Attorno a lei, le anziane levatrici dell’isola portano a termine i consueti riti finali della cerimonia, rallegrandosi per la nuova vita e la freschezza che porta con sé.
La sera, non appena la giovane madre resta sola, cala il silenzio. Un solo respiro si sente in casa, quello del bambino, accompagnato a tempo dalle onde del mare che bagnano la riva.
La speranza della donna risiede in quel piccolo corpicino, che un giorno dovrà portare il peso di una famiglia e magari vivere in un posto migliore, sentire altri odori oltre a quello del sale, udire altri suoni oltre a quello dell’acqua che sbatte violentemente sugli scogli, vedere altri animali oltre ai gabbiani che, beati loro, possono volare, andare dove vogliono, non come lei, che mentre pensa a questo, abbassa tristemente lo sguardo verso il piccolo pargolo, e con un gesto che solo la dolcezza di una madre è capace di compiere, accarezza il viso del piccolo.
Lei è una donna stupenda. Non molto alta, snella, con una folta chioma di capelli che vanno dall’arancio-biondo al castano chiaro, una rarità in confronto agli altri abitanti dell’isola. I suoi occhi sono nocciola chiaro, quasi dorati, contornati da ciglia scure e da piccole rughette che vengono accentuate dal sorriso, splendido come pochi. Avrà trent’anni circa, ma la sua vita sana e movimentata l’ha portata a mantenersi giovane e bella, come tutte le altre del resto.
Dei rumori rompono la quiete della serata. La donna si alza, ripone il pargolo nella culla e prende uno dei bastoni contenuti in una cesta di fianco alla porta.
- chi.. chi è a quest’ora?-
Un altro rumore scuote la casa e fa vibrare forte la porta. La giovane madre non sa come spiegarsi il fenomeno, si guarda attorno, a destra, verso la cucina, dove i piatti e le ciotole in legno sono sparse sul pavimento e la dispensa sembra per esplodere; a sinistra, verso la stanza da letto, dove le leggerissime tende poste sull’uscio sembrano immobili nonostante le enormi vibrazioni che scombussolano la casa.
Ad un certo punto il rumore, che fino a quel momento aveva risuonato come un tamburo, smette di folgorare la casa.
E il bambino? Dov’è il bambino? Sono i primi pensieri della donna. È nella sua culla, al caldo. Non piange, ma scruta il mondo con i suoi occhioni dorati, come la madre. La donna sospira e sorride, ma i suoi pensieri vengono interrotti da una voce, calda e un po’ grottesca:
- Amore! AMORE! Dove sei? –
La donna, dapprima sorpresa, poi rincuorata, sorride e si reca all’entrata della casa. Fuori dalla finestra non vi sono luci, ma solo un buio fitto senza luna. Aperta la porta, la donna trattiene a malapena un urlo di stupore e paura, nel vedere davanti a sé una figura alta quasi quanto lei, enorme, lunghissima. Un pesce. Un pesce gigante. La bocca è spalancata e insanguinata, gli occhi vitrei sbarrati e vuoti, le squame grosse e azzurre e all’altezza delle branchie vi erano infilzati dei ganci.
D’improvviso appare un uomo alto e grosso, dal fianco del pesce, con una folta barba e dei capelli lunghi mossi, il viso arrossato e lo sguardo ribelle, accentuato dalle sopracciglia ingrigite e la fronte corrugata.
- Sono tornato. –
Era più un’ammissione di colpa che altro, difatti lei, dapprima splendente, divenne cupa e con un sorriso falso, replicò: – Entra pure.. –
L’uomo entrò, si tolse il pesante mantello in pelle marrone umidiccio e sbiadito e pian piano si sfilò guanti, stivali, giacca e un grosso borsone che teneva dalla cintola, lungo la schiena e fino al collo, molto pesante e ingombrante.
Il suo sguardo cupo si interessò alla culla, nell’angolo opposto della stanza, e il suo viso si illuminò di stupore, lo stupore di un uomo che, dopo tanto tempo dall’ultima volta, prova gioia, amore e felicità.
- È.. nostro? – disse indicando la culla con il suo indice grossolano.
- Sì. Mio e tuo, John. È nato oggi. –
- Io.. sono un pescatore fortunato.. –
L’omone si girò di scatto, la morse nella presa delle sue forti braccia avvolgendola delicatamente. Fino a quel momento lei era rimasta impassibile.
- Dovevi stare via tre mesi, tutti ti davano per morto.. – disse tra le lacrime.
- Sai come sono le correnti, non sai mai qual è quella giusta fino a quando non ti ritrovi un’isola davanti.. – le asciugò il viso.
- Ripartirai? – disse lei, aggrottando all’insù le sopracciglia.
- Sì. Domani. Come l’hai chiamato? – sorrise lui.
- Matthew.. – abbassò lo sguardo, continuando a piangere.
- Matthew dell’isola del Sole. Non sarà un rinnegato come il padre.. dico bene? – disse il pescatore, con aria provocatoria.
- Sì. Devi scusarmi, sono stanca.. –
- Scusami tu.. ah! Ti ho portato uno dei pescioloni che ho pescato con le mie mani, per domani te lo faccio trovare pronto per esser messo a posto.. –
- Non mi interessa. –
- Ma, Beatie cara, non.. –
La conversazione era finita. L’uomo rimase a lungo lì, in piedi, a contemplare la culla da lontano. Meritava questo? Meritava di scoprire la gioia di aver creato una nuova vita?
Si rivestì, estrasse dal borsone un lungo coltello ed uscì a lavorare il pesce.
L’odore del mare era sparso in tutta la casa, e il piccolo bambino restò muto tutta notte, non per caso, ma perché vi erano altre lacrime, innocenti come l’amore, versate quella notte, come quelle di un bambino.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - parte 1 ***


Capitolo 1 - parte 1



Pioveva. Non accadeva da due anni sull’isola del Sole. Matthew sapeva che, come lui da piccolo, i bambini dovevano essere corsi fuori dalle loro case a godersi quello spettacolo raro, quell’acqua dolce che cade dal cielo, quell’ondata di freschezza.
Ma lui non poteva permetterselo. A 16 anni, era già uomo. Quella mattina, con la pioggia o senza, doveva partire, con la sua barca, percorrendo le correnti che portano all’isola dei Tulipani, a nord dell’arcipelago, dove doveva portare una spedizione dei gran pesci gialli, gli Skib, una rarità che solo al sud era possibile trovare e che, se pescata con cura, dedizione e pazienza, poteva far ricavare al pescatore anche mille pietre nere all’anno.
Doveva affrontare un viaggio di due settimane, da solo, o come lui pensava, in compagnia del mare. Lo chiamavano tutti Matì, colui che solca alle correnti. Non ne aveva mai persa una, non aveva mai perso una rotta in quelle acque vorticose, una cosa più unica che rara. Reputato il miglior navigatore del sud, I marinai che incontrava lo rispettavano come un loro pari, nonostante l’età. Era convinto che la sua bravura fosse merito di sua madre, che gli aveva insegnato più a sentire il mare, invece di volerlo dominare, e di suo padre che, pur non avendolo mai visto, lo ha spinto a buttarsi nelle correnti per amore, non della pesca, non del commercio o del guadagno, ma per il mare stesso, come se fosse una vocazione, tramandata da padre in figlio. Il suo unico amore era, è e sarà il mare.
La sua barca, la Beatie, in nome della madre, è una piccola nave facilmente governabile da una persona, con un complesso sistema di timoni e pale immerse in acqua. Nessuna vela, nessun telo di stoffa, teli che i marinai più esperti utilizzano per rallentare e domare le correnti, con scarsi successi, data la potenza che i dragoni del mare sprigionano. Gli era stata donata da un ingegnere anziano che viveva a est, sulla grande isola Bianca, dove il giovane non aveva mai visto così tanta gente tutta insieme, vestita di tutti i colori, con grandi sacchi pieni di pietre nere, pronti a fare di tutto per accaparrarsi i pesci migliori.
Aveva visto anche armi sull’isola Bianca, grandi lance e scudi di metallo, una cosa così rara sulla sua isola, ma una cosa normale nelle isole montuose a est, conosciute per l’odio e l’astio che provano l’una per l’altra. Lui l’unico metallo che aveva visto fino a quel momento era quello del suo coltellaccio, lungo quanto un braccio, e dei quattro ami che possedeva, oltre ai due speroni che utilizzava per finire i pesci più grandi e portarli con sé.
La sua fama gli ha donato anche una certa notorietà nei confronti delle donne: quell’anno aveva già ricevuto diverse proposte di matrimonio da parte di diverse famiglie medio-povere dell’arcipelago. Ma ovviamente, il giovane Matì, aveva altro a cui pensare, un altro amore, più vorticoso e avvincente, più avventuroso di una qualunque vita in famiglia su un isola a caso dell’arcipelago.
Una famiglia. Da sei anni ormai non ce l’aveva più. Era sua madre, che fino a quel momento lo aveva accudito, protetto e allo stesso tempo lanciato in mare. Gli aveva raccontato le avventure di suo padre, John dall’isola d’Ebano, che con un bastone appuntito e una corda riuscì a domare il pesce carnivoro più grande del sud, e che aveva rinunciato al suo onore per poter vivere con lei, Beatriz dall’isola del Sole, la donna della sua vita. E che per proteggerla, dovette imbarcarsi su ogni nave dell’arcipelago, a pescare lontano da chi lo voleva morto, a pescare per tenere al sicuro la sua famiglia.
Sei anni di pratica, sei anni su una tavola in legno, poi diventata zattera, poi canoa e infine barca. Sei anni dove Matì vide, anche se alcune solo in lontananza, ogni isola, ogni atollo dell’arcipelago delle ventiquattro isole. Pochi al mondo, prima dei vent’anni, erano riusciti in questo. E quest’impresa era il suo viaggio, la sua vita. Non gli importava nulla della pesca e delle pietre nere, avrebbe preferito stare tutta la vita in balia delle sue correnti, se solo non sentisse il desiderio di mangiare, bere e dormire.
Quel giorno piovoso Matì sentì un brivido lungo la schiena mentre era curvo nel legare bene le merci alla nave, che lo elettrizzò fino all’attaccatura dei capelli, neri e mossi come quelli di suo padre, e alzando gli occhi ambrati della madre scrutava l’orizzonte alla ricerca di una corrente.
L’arcipelago delle ventiquattro isole è un insieme di terre separate dal grande mare, o il nido dei dragoni, un mare calmo, calmissimo. Nemmeno uno spiffero di vento, nemmeno una corrente d’aria che potesse guidare le vele di qualcuno verso l’isola di qualcun altro. Ma l’uomo ha scoperto negli anni che il calore della madre terra genera delle correnti, che trasportano il tepore e la freschezza da un mare ad un altro, ed ha imparato a sfruttarle, vedendole innalzarsi sul livello del mare.
Quando si vede una corrente in lontananza, può sembrare la schiena di un pesce gigante, o il dorso di uno scoglio che affiora dall’acqua: sta nell’abilità del navigatore capire se ciò che vede è o non è una corrente.
Così, delle trecento correnti marine, Matì riusciva a identificarne circa la metà, e nonostante ciò non ne aveva mai sbagliata una. Non erano in punti precisi e si muovevano come grandi serpi nel sottobosco, per questo erano difficili da classificare e segnare lungo le mappe, ma ognuna aveva qualcosa di particolare, un odore, un sapore, un suono.. qualcosa di proprio, come se fossero degli esseri viventi, che avevano prestato all’uomo la propria forza per potersi incontrare, legare e amare.
E Matthew era bravo, bravissimo a sentire queste sensazioni che le correnti sprigionano, ed ogni viaggio era per lui un’ondata di esperienze emotive, unico nel suo genere.
Appena prima di partire, il ragazzo era abituato a salire in cima alla collinetta che fiancheggia la casa e che si prolunga verso il mare, creando un promontorio roccioso a strapiombo. Lì è dove sua madre era sepolta, e prima della sua morte era il luogo dove lo portava a scrutare le onde, a salutare le navi in partenza dall’isola e a osservare il volo degli uccelli, che sbattevano affannosamente le ali salendo ad altezze vertiginose, fino a planare dolcemente verso l’orizzonte.
Sua madre era stata trovata morta, sei anni prima, nel sonno. Poteva essere accaduto in qualunque modo, ma Matì sapeva che era stato qualcuno, quella notte, la prima notte della sua vita passata lontano da casa, che si era intrufolato dentro la loro dimora. Lo aveva capito, ma nessuno poteva credergli. La madre era solita sbarrare porte e finestre la notte, e casualmente, quella sera era tutto aperto; doveva essere per forza una persona che conosceva, qualcuno che le avesse dato un motivo per aprire. Un'altra prova è che lei amava molto gli odori della natura, per questo ogni sera accendeva qualche lume di cera mista a miele o lavanda, per addolcire il sonno diceva, e quella sera si era messa a letto senza accenderne neanche uno, lasciandoli lì, spenti.
Mentre si avviava verso la collina, vide una figura china in cima ad essa, che sembrava prostrarsi verso la tomba della madre. Avvicinandosi, vide un uomo, alto e calvo, lasciare dei fiori sul santuarietto in pietra conficcato nel terreno. Il ragazzo corse su per la collina, e vide che era Gorn, un uomo che conosceva più che altro per il commercio delle rocce nere, la materia prima grezza che serviva per creare le monete che circolavano tra le isole. Gorn era l’unico minatore dell’isola, e ultimamente aveva avuto grande fortuna nei suoi scavi, tanto da permettersi un paio di muli giovani comprati sull’isola del Centauro, a nord-ovest da lì. Quell’uomo aveva affidato a Matthew molte spedizioni, pagandolo anche profumatamente, molto più di quello che si aspettasse per delle merci varie e piccole.

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 - parte 2 ***


Capitolo 1 - parte 2

 

Appena il minatore notò la presenza del giovane Matì, non sembrò assolutamente sorpreso e, mettendosi il mantello, indicò la piccola casa di legno sotto la collina che apparteneva al giovane pescatore.
- Andiamo lì? Vorrei parlarti, mio caro.. –
Matì osservò il dito calloso dell’uomo che aveva davanti, e senza indugio annuì.
Entrati in casa si trovarono davanti ad un piccolo tavolo quadrato, con due sedie ai lati opposti di esso; senza indugio l’uomo si tolse il mantello che aveva addosso e lo appese vicino al portabastoni a destra della porta.
- Non è cambiata molto negli anni questa casa.. – Disse dopo essersi seduto ed aver appoggiato maleducatamente i piedi sul tavolo. Matì notò che gli stivali che il minatore aveva addosso non erano da lavoro, e anzi non erano neppure sporchi, addirittura sembravano tenuti molto bene, e di una qualità di pelle non reperibile sull’isola.
- Ti starai chiedendo come faccio a conoscere questa casa, vero piccolo? – Gorn aveva un’espressione spavalda, quasi paurosa, come quella di un ladro che si gusta il bottino nel suo rifugio, e Matì era ancora lì, in piedi, a fissare gli scarponi, come se gli ricordassero qualcosa.
- Vedi, ero un vecchio conoscente di tuo padre.. –
Non era possibile. John dell’isola d’Ebano non aveva amici, né parenti, era sempre per mare. Lo sguardo di Matì iniziò a vacillare, i suoi occhi tremavano, ogni suo muscolo era teso e immobile, quasi come se avesse perso ogni facoltà motoria.
L’uomo continuò: - .. tua madre.. era così bella, anche quando la sua pelle diventò fredda e chiara, quella notte.. –
Matì sobbalzò quasi da perdere l’equilibrio. La borsa dove aveva messo le sue armi era legata alla nave, in spiaggia. La casa era vuota, dietro di lui c’era solo la porta d’entrata.
- Mi hanno chiesto di ucciderla, sei anni fa. Non c’ho pensato su due volte, su quest’isola.. non ci sono mai state pietre nere.. – A Matthew iniziò a mancare il fiato, aveva davanti a sé l’assassino. Ma aveva troppe domande per dar spazio alla propria vendetta, così tante che il suo pensiero iniziava ad offuscarsi e gli occhi brillavano nel trattener le lacrime.
- Vedi, l’isola d’Ebano paga bene. Non hanno mai trovato tuo padre, e quando sono giunto a tua madre e mi sono guadagnato la sua fiducia, ho scoperto che quel vile traditore era scappato anche da lei, dieci anni prima. Ovviamente non potevano lasciarla in vita, e sì, hanno deciso di chiedere al loro informatore su quest’isola, l’unica persona che le è stata vicina per anni, di ucciderla: mio padre aveva imparato a scavare sull’isola d’Ebano nella ricerca dei giacimenti di pietre nere, e aveva passato a me il suo sporco lavoro. Naturalmente fare il minatore per una causa persa non è mai stato il mio sogno, e guadagnare soldi facili lavorando per l’isola d’Ebano è molto più conveniente. –
Matì deglutì silenziosamente, e mentre stava per pronunciare le sue parole, rinunciò ad esse, chiuse gli occhi e strinse i pugni.
- .. così una sera.. – Continuò Gorn – ..sono venuto qui, proprio dove son seduto ora, ed ho brindato con tua madre, a te, che a soli dieci anni eri partito per il tuo primo viaggio.. peccato che non ti avrebbe visto tornare.. con tutto quel veleno che ha ingerito. –
L’uomo si ricompose, e dopo una breve pausa si alzò e sbattendo le mani sulle assi del tavolo, si chinò verso Matì, dall’altra parte di esso: - Era tutta una copertura, le pietre che ti davo servivano solo come diversivo, per non far capire il lavoro che svolgo qui. E ora? Ora devo rinnovare la mia fedeltà con loro, devo pagare con il sangue dei traditori.. –
Matì arretrò di scatto e puntò alla sinistra del tavolo, verso le camere da letto. Gorn estrasse un sottile e lungo coltellino e si fiondò alla propria destra, ma si ritrovò a mani vuote: Matì aveva fintato uno scatto verso le stanze, e ora era già sul ciglio della porta, mentre l’aggressore era rimasto vittima della finta. Matì corse fino alla spiaggia, dove vi erano tutte le sue cose, ben agganciate alla barca, e girandosi, vide l’uomo che aveva ucciso sua madre rincorrerlo, urlando e imprecando, inciampando più volte nella sabbia, follemente.
Il giovane scrutò per bene l’orizzonte, entrando in acqua con la piccola barca.
- Ne arriverebbero altri. – Pensò. – Pagherà per i suoi sbagli con la sua vita quando tornerà dai suoi mandanti, non ho tempo per lui. –
Matì, dimostrando una freddezza inumana, si voltò e pensò solo a nuotare, dove ormai l’acqua era alta, alla ricerca di una corrente. Non ci volle molto per incontrarne una, molto frizzante e odorosa: sapeva che conduceva all’isola dei tulipani.
Poteva essere fortuna, ma con un viaggio così lungo non sapeva se anche lì si celava il pericolo ad attenderlo.
- Sfortuna. – Disse sottovoce.

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 - parte 1 ***


Capitolo 2 - parte 1

 
 
Attraverso una lente sfocata Matì vedeva un uomo, o almeno le sue gambe, girato di spalle rispetto a lui. Non riusciva a guardarsi attorno e neanche ad alzar lo sguardo, ma gli odori e le poche pareti che vedeva sembravano quelle di casa sua.
Tutto d’un tratto l’uomo si girò, e chinandosi verso Matì, sorrise. Era un giovane uomo, con i capelli castani brizzolati, il naso un po’ grosso e gli occhi scuri. Era vestito con un giaccone di pelle e una camicia leggera, i pantaloni erano di un tessuto che sembrava morbido e lucente, mentre gli stivali..
Splash! Scosso da un balzo della barca, Matì si svegliò. Dopo due giorni di viaggio i suoi sogni si erano fatti più chiari, ma si interrompevano sempre lì. A quegli stivali, a quell’uomo misterioso, che tanto gli appariva rassicurante e al tempo stesso sicuro di sé.
La piccola barca, larga due metri e lunga complessivamente sei, di un legno scuro rossastro, con ornamenti di un legno chiaro lavorato finemente nel dettaglio, sembra adagiarsi e sollecitarsi ad ogni onda, mentre ad ogni sussulto corrisponde una risposta decisa di essa, calma e sicura. Su un lato vi è inciso un sole, consuetudine per indicare la provenienza della propria nave, mentre dall’altro lato Matì vi aveva inserito un sistema di ingranaggi e corde capace di calare una rete di sei metri per sei, estesa fino alle grandi profondità ed utilizzata molto frequentemente per pescare. Ad ogni intreccio di corda corrispondeva un amo e un’esca, a forma di pesciolino argentato, in modo che il movimento delle esche nelle correnti potesse ricordare il nuoto dei piccoli pesci di cui si cibano comunemente i predatori medi dell’oceano.
Dopo essersi svegliato per bene ed aver bevuto un po’ dell’acqua dalla scorta, sentì il mare farsi più movimentato, più scuro, odoroso, sintomo dell’arrivo del momento che alimenta gli incubi che tuttora i marinai hanno, dopo aver solcato le correnti: l’acqua iniziò a spingere, torcersi, avvilupparsi su se stessa, avvitarsi, allungarsi e distendersi, come una grande corda torta e poi rilasciata. Matì, dopo essersi alzato, si avvicinò all’estremità più alta della barca per porre il suo peso contro la corrente, per evitare che la barca si ribaltasse.
La corrente iniziò a innalzarsi dal mare, ed ecco l’apparire de “il grande dragone”: una colonna d’acqua agitata, che non aspetta altro che distruggere, fracassare e inabissare tutto ciò che porta in se; Matì distingue benissimo nella grande spirale pezzi di nave, corpi ormai ridotti all’osso e bandiere, stendardi di tutti i tipi. Ogni corrente porta con sé le anime e i corpi degli incauti, e Matì lo sapeva bene. Due settimane prima, un giovane ragazzo poco più grande di lui, cadde in una corrente mentre si stava dirigendo all’isola delle sirene, e nonostante fosse legato alla nave con svariate corde, venne preso e trascinato via nell’oscurità degli abissi.
Fortunatamente la Beatie e lo stesso Matì erano abituati a ciò che ormai, era diventato un rito consueto: dopo aver chiuso ogni stipo interno della barca, prendendo nella mano destra due corde e nella sinistra una, fissate alla barca, il giovane ragazzo si lanciò dalla corrente, che ormai si era innalzata di circa quattro o cinque metri al di sopra del mare.
Un tuffo. Un secondo. È il tempo che si impiega a lanciarsi giù, verso il mare calmo, con la massima precisione, senza slanciarsi troppo indietro per evitare che la corrente ti risucchi all’interno del dragone, e senza sporgersi troppo in avanti, per evitare che la barca ti cada addosso spinta dalla corrente che si avviluppa attorno alla vorticosa colonna.
Il segreto di Matì era il munirsi di una barca molto leggera, qualche corda ed una concentrazione disumana. Non aveva mai sbagliato un salto, non era mai stato più lento della barca, era sempre atterrato prima lui, poi Beatie. E anche in quest’occasione, fu così.
Le grandi navi non utilizzano questo metodo, non disponendo di barche leggere e di un equipaggio coordinato e freddo, preferendo un metodo duro ed efficace: l’ammazzadraghi, un’ancora grande circa cinque metri per due, a forma di forcone, che viene lasciata nella corrente appena essa si innalza; questo peso fa abbassare la nave di molto, tanto che a volte dell’acqua si riversa nel ponte. Dopo il leggero sprofondamento, le grandi vele vengono spiegate e creano una sorta di forza frenante, che abbassa la velocità della nave e quindi della stessa ancora, che perde leggerezza e sprofonda al di sotto della corrente. Dopo ciò, appena il dragone emerge dal pelo dell’acqua, la nave viene trascinata dall’ancora giù nel mare calmo, e deve attraversare la corrente da sopra a sotto all’interno, una mossa pericolosissima: moltissime le navi che hanno perso equipaggio, capitano, merci, per colpa di questa manovra, ritenuta troppo rude e sempre contestata dal giovane Matì.
Sceso nel mare calmo, rigirò la barca che si era ribaltata, e salendoci sopra estrasse i due grandi remi. Sulla destra vedeva l’isola dei tulipani, e già l’aria era intensamente colma degli odori di fiori, profumi e oli della città.

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Capitolo 5
*** Capitolo 2 - parte 2 ***


Capitolo 2 - parte 2



L’isola dei Tulipani è situata a nord rispetto all’isola del Sole, dove le piogge sono più frequenti e il clima più mite. Grande la metà della terra da dove proviene Matì, non è un ottimo posto dove nascondersi, specialmente nell’ottanta percento dell’isola, ricoperto da alti tulipani di ogni colore, alti fino a mezzo metro e controllati periodicamente dai fioricoltori.
La morfologia dell’isola è semplice: la costa traccia un confine semicircolare col mare e la grande pianura che ricopre l’intera isola si innalza dall’acqua di qualche metro, creando un altopiano circondato da scogli ripidi.
Sul segmento dritto dell’isola vi si trova la cittadina principale, con il grande porto e il mercato dei fiori. La città vive di un’economia basata sul commercio di profumi e oli unici al mondo, il che le dona un’ottima importanza economica e aristocratica nell’arcipelago, quindi un’inattaccabilità militare assoluta.
Non avendo un esercito, la società dell’isola si è concentrata sull’istituzione di una guardia cittadina che tutelasse l’ordine, un consiglio di artigiani e mercanti e un grande centro burocratico.
Matì girò un angolo scoglioso e si diresse velocemente verso il porto, remando con tranquillità. Mettendosi un mantello e tirandosi su il cappuccio, si diresse verso il registro portuale all’entrata della città.
Un cancello divide la città dal porto, e davanti ad esso la guardia cittadina tiene i controlli dei viaggiatori. Matì era già stato sull’isola, e non ricordava affatto la presenza di una dozzina di guardie all’ingresso. Vestite di nero, avvolti da lunghi mantelli ornati da dettagli bianchi, le guardie che gli si ponevano davanti non somigliavano affatto alla milizia cittadina, solita camminare per le strade della città vestita con tuniche leggere e azzurre.
Un uomo, al centro del gruppo, alto quasi due metri e molto robusto, dalla barba nera lunga e curata, indossava una cappa bianca raffigurante un rombo verticale nero, simbolo che Matì riconobbe subito: era inciso su ogni singola pietra nera nel commercio, oltre che su ogni palazzo della grande isola bianca.
Erano dunque uomini provenienti dall’isola più grande dell’arcipelago, uomini delle grandi città, delle grandi battaglie e dell’agricoltura? Matì era terribilmente confuso. Con il suo carico di pesce, si avvicinò al cancello.
- Fermo! –
Un uomo gli si era posto davanti, mostrandogli un foglio. Matì lo osservava con i suoi occhi dorati, e intravedeva un semplice uomo, costretto ad eseguire degli ordini.
“È questa la libertà?”
- Da ieri al tramonto e nelle prossime due settimane i mercanti e i viaggiatori sono obbligati a subire un controllo di sicurezza per la salvaguardia della città. –
Alzando lo sguardo, il ragazzo si tolse il cappuccio e annuì. La guardia sorrise per un secondo poi riprese:
- La presenza delle guardie personali della corona bianca nella città è dovuta ad un viaggio personale di un membro della famiglia reale. Nessun uomo può uscire o entrare senza un controllo totale. –
Detto questo la guardia si avvicinò a Matì, e sussurrando chiese: - Quanti anni hai, ragazzo? –
- Sedici. –
- Sedici?! – L’uomo si sgranò gli occhi e, divertito lo accompagnò ad un tavolino, recante una pergamena, calamo e penna.
- Da dove vieni? –
- L’isola del sole.. sono partito due giorni fa, trasporto un carico di Skib per il mercante del pesce nella zona nord della città.. –
- Bene, è tutto. Dovrei perquisirti per vedere se hai armi.. –
- Valgono gli attrezzi di pesca? –
- Non ci sono laghi in città ragazzo, li terrò io.. –
- Ho sedici anni e sono gracile e stanco, non credi che per qualche amo non accadrà nulla? – Matì tratteneva a stento un sorriso. Doveva entrare in città e conservare i suoi strumenti, come aveva sempre fatto: aggirando la sorveglianza. Ormai era esperto nel mostrarsi debole, soprattutto davanti a delle persone semplici come la guardia che si trovava davanti.
- Le regole sono regole. –
L’uomo dalla cappa bianca era di fianco a lui, altissimo, enorme. Come aveva fatto a non accorgersi di lui? Aveva sentito il ragazzo prendersi gioco della guardia, ormai il cancello per la città sembrava sempre più lontano.
- Sei furbo ragazzo, ma gli Skib non si pescano da soli, ci vogliono braccia forti e mente lucida. –
Matì alzò gli occhi, tremendamente stupito e terrorizzato.
- Non ti preoccupare, Matthew del Sole, la tua fama arriva a toccare ogni isola dell’arcipelago. –
- Anche quella di chi mi vuole morto, aggiungerei. –
Matì sorrise arrogantemente e diede le spalle al cancello.
- Quindi non posso entrare? Il carico di Skib me lo posso mangiare nel viaggio di ritorno, non ho problemi finanziari.. –
- So quanto un pescatore tiene ai suoi strumenti, ma so anche quanto li sappia usare bene. –
L’uomo aveva un espressione dura, ma sincera.
Matì sentì un brivido lungo la schiena, come se una corrente..
Gli si illuminarono gli occhi. Guardò l’uomo dritto in faccia e gli disse:
- Sento il mare, copritevi. –
Detto questo, si girò e si diresse verso la locanda al di fuori del cancello, dove di solito coloro che non potevano permettersi il soggiorno in città aspettavano l’annuncio di una corrente.
Camminando, non si voltò neanche una volta, rischiò di cadere, la sensazione che gli prendeva la schiena non se ne voleva andare, era sempre più forte. Sembrava quel lieve solletico che gli prende quando una corrente sta per arrivare a largo della costa, però parecchio più forte.
Entrato in locanda, sentì la sensazione indebolirsi di poco, e quel poco gli bastava per pensare a che sensazione fosse. Era rabbia, furia e ira. Era qualcosa di incontrollabile, irrefrenabile. Si avvicinò al bancone a stento quando la sensazione scomparve.
- Tutto bene? –
L’oste si era avvicinato preoccupato, e cercando di capire che cosa fosse successo borbottava: - Non è un ospedale questo, ragazzo. Le guardie non ti hanno fatto entrare? Hai dei problemi con qualcuno? Sei ferito? Guardati, sei bianco come il latte! –
Silenzio.
Matì inspirò profondamente, ed espirando sentì una sensazione di pace, di quiete e di silenzio mai avuta prima d’ora.
Il caos, pochi secondi dopo, degenerò. I vetri si infransero, la porta saltò per aria, e l’acqua entrava da ogni apertura. Le pareti in mattoni sembravano cedere, si sentivano rumori preoccupanti. Le persone nella locanda impazzirono, e corsero al piano di sopra.
Anche Matì era incredulo, e alzandosi, con l’acqua ormai sopra alle ginocchia, salì al secondo e ultimo piano con fatica, dato che l’acqua arrivava anche dal piano superiore. Sembrava che il mare fosse caduto dal cielo.
Trovò il piano superiore scoperchiato, le persone incredule e, da lì, il possente cancello sfondato. Metà della cinta di pietra era crollata, e la metà a sud della città era completamente ricoperta d’acqua.
Nessuna traccia delle guardie, il mare aveva inghiottito tutto.
Un silenzio apocalittico stroncava le urla delle donne. Tutti avevano il presentimento, la paura.
Un dragone, una corrente, poteva essere l’unica spiegazione logica dell’accaduto. Ma, non era mai successo che si abbattesse come una furia su una città.
Un uomo pose le mani sul viso della figlia e cerco di rincuorarla: - Torneremo a casa, piccola. –
Pronunciate quelle parole, si sentì un boato e la locanda iniziò a crollare su se stessa. Parte del pavimento del secondo piano cedette, e l’uomo con la bambina cadde.
Matì corse verso il buco, e vide che l’uomo era appeso con una mano al bordo del pavimento, e con l’altro braccio teneva la bambina.
- Prendi questo! –
Il ragazzo tirò fuori un grande amo, e tenendolo dalla parte curva lo pose all’uomo. La bambina afferrò l’anello e lasciò il padre, mentre lui afferrò il bordo con entrambe le braccia.
Un’altra ala della locanda crollò, e un uomo sul ciglio del tetto urlò: - Il mare si sta ritirando! Non è finita! È la nostra fine! –
Effettivamente il mare si stava ritirando, come le onde del mare sulla spiaggia quando esauriscono la loro forza travolgente.
L’uomo appeso al bordo osservò Matì porgergli l’amo di nuovo, tenendo la bambina aggrappata dietro la sua testa, seduta sopra al carico che teneva nel borsone sulla schiena.
Aveva troppi chili addosso, non sarebbe mai riuscito a tirare su quell’uomo di mezza età, così pesante. Gli porse lo stesso l’amo, e l’uomo accettò.
Si fece forza e tirò, tirò fortissimo con entrambe le mani, non curante di stringere anche una parte della punta dell’amo, quella all’indietro che trattiene l’amo infilzato nella bocca del pesce.
Il sangue di Matì percorse il corpo dell’amo, e, arrivato alle mani dell’uomo, il pavimento crollò. Caddero tutti in quello che restava del piano inferiore, un ammasso vorticoso di fango, legno e mattoni che si ritraeva verso il mare.
Il giovane pescatore imprecò alla bambina di restare abbracciata per bene al suo capo, mentre la corrente lo trascinava verso ciò che restava di un muro della locanda, alto ormai un metro circa.
Con ancora l’amo in mano, Matì cercò di attaccarsi a qualcosa utilizzando l’uncino, dapprima su una parte di parete, poi su qualche oggetto abbastanza pesante, ma risultava tutto troppo debole rispetto alla forza del mare, e veniva trascinato via comunque.
Arrivato contro il muro, sbattendo il torace contro il muretto in pietra ulrò, ingoiando acqua e imprecando alla bambina di stare attenta, visto che una ciocca dei capelli di Matì ora si trovava in mano alla bambina.
Con un gesto di disperazione tentò di aggrapparsi al pavimento in legno della locanda, utilizzando l’amo. Stupito, sentì il braccio tornargli indietro con l’amo, e vide che l’acqua iniziò a concentrarsi nel punto dove aveva affondato l’amo.
Aveva aperto una botola, e l’acqua ci si stava riversando dentro. Ora Matì veniva attratto anche lui dal buco, e ormai senza forze, si lasciò cadere, stringendo la bambina a sé.
- Stai attenta, trattieni il fiato piccola.. –
Furono le sue parole prima di sprofondare.

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Capitolo 6
*** Capitolo 3 - parte 1 ***


Capitolo 3 - parte 1
 
 
Sul tavolo in cucina venivano spesso portati dei tulipani blu. Quel giorno ne erano stati portati quattro, e sporgendosi, Matì riusciva a toccarne i soffici petali.
- Stai diventando grande, piccolo mio! –
Era sua madre, appena rientrata in casa.
- Solo un anno, e già cammini! Vorresti farti un giro per la casa, vero? Dai, ora che sono tornata, ti tiro fuo-
- Bea, dobbiamo parlare. –
Un uomo era entrato, ma Matì non riusciva a vederlo, era sfuocato, poco nitido. Distante e vicino allo stesso tempo. Pian piano iniziò a farsi tutto più scuro, e infine rosso.
- Svegliati!! Ti prego!! –
Aprendo gli occhi, Matì si trovò davanti una bambina, la bambina che era caduta con lui nella botola. Erano ancora vivi? Come sono sopravvissuti ad una simile tragedia? Toccandosi la fronte, vide le sue dita macchiarsi di sangue. Un mal di testa atroce lo opprimeva.
Guardandosi attorno, vide che sopra di loro il pavimento del piano terra aveva resistito, e che la botola, per qualche strano motivo, si doveva essere chiusa.
Dall’alto filtrava una luce fioca tra le assi di legno del pavimento, illuminando ciò che avevano attorno: circa dieci centimetri d’acqua, mobili, pentole, cibo, cianfrusaglie in disordine sparse e rotte in tutta la stanza. Galleggiavano delle travi di legno, cadute assieme ai due sopravvissuti. L’acqua era sporca, marrone avrebbe scommesso Matì, se fosse riuscito a capirne il colore.
- Tranquilla. Riesci a muoverti? –
La bambina sorrise e accennò a un timido sì con la testa.
- Il.. tuo braccio.. –
Matì tentò di alzarsi, ma un dolore allucinante gli flagellò il braccio sinistro. Voltandosi, vide il proprio braccio penzolare dall’avambraccio in giù, segno di una grave frattura.
- Beh, le gambe le muovo almeno.. mi sa che l’ho rotto. Ascolta, qui nello zaino dovrei avere degli oggetti, puoi prendermeli? –
La bambina girò attorno al ragazzo e prese ogni oggetto che Matì le indicò: delle corde, alcuni teli e dei supporti in legno.
- Ora, prendi quel coltello sul lato dello zaino.. preso? Bravissima.. adesso tagliami la manica del vestito.. fai piano però. –
Con estrema diligenza la bambina tagliò l’attaccatura delle maniche del vestito, e con prudenza la sfilò dal braccio di Matì.
- Hey, come ti chiami? –
- Rose. Tu? –
- Matì. Sono un pescatore. –
- Lo so, mio padre stava cercando uno come te.. per questo eravamo qui. –
- Ah, beh.. ora ascoltami, Rose. Controlla se non ci sono ossa o ferite che sporgono dal braccio, per favore. –
- Non c’è nulla, Matì. –
- Hai paura? –
Gli occhi della bimba tremavano.
- No, è molto buio qui.. mio papà.. -
- Fatti forza. Prima usciamo da qui, prima troviamo tuo padre. -
Non era così grave. Si era già rotto una gamba, saltando giù da una palma, vicino casa sua. Sua madre gli aveva steccato abilmente il tutto, e dopo qualche mese aveva ripreso a correre come se non fosse successo niente.
Ricordandosi la procedura, con l’aiuto di Rose Matì riuscì a steccarsi grossolanamente e molto dolorosamente il braccio, per poi appenderlo delicatamente al collo utilizzando la manica tagliata poco prima.
Alzandosi, notò che il livello dell’acqua nella stanza si stava abbassando costantemente, e che defluiva verso l’altro lato della cantina.
- Ci serve più luce.. Piccola, andremo in un posto buio ora. Tieniti a me. –
Dall’altro capo della stanza, grazie alla poca luce che filtrava, Matì vide una grata, grande un metro per un metro circa, da cui potevano passare e che, probabilmente, conduce alla città o al mare.
“La botola si sarà chiusa col peso delle macerie, dev’essere sicuramente coperta da qualcosa..”
- Meglio passare da qui, su! Dovresti passarci facilmente tu.. Non ti preoccupare per il buio –
Dopo aver detto questo, con un amo fece leva sulla vecchia grata, la quale venne sradicata facilmente dal muro.
Rose si fece coraggio e, chiudendo gli occhi, si abbassò ed entrò nel buco.
Il cunicolo era stretto, umido e scuro. Matì dovette sedersi e trascinarsi con i piedi, tenendo con un braccio lo zaino, che lo seguiva strisciando a terra. La luce dell’entrata in pochi minuti si fece quasi impercettibile, tanto che Matì dovette fermarsi un paio di volte a rincuorare Rose, abbracciandola. Il suo pianto rimbombava nel tunnel, il quale sembrava non finire mai. Oscurità davanti a loro, oscurità dietro di loro. Si sentiva le gambe e la schiena a pezzi, per non parlare delle braccia, che non sentiva già da un bel po’.
Percorsero il piccolo tunnel per quelle che sembrarono ore, ritrovandosi a svoltare due volte, una a destra e una a sinistra, finché Rose non andò a sbattere con la testa contro quella che sembrava una grata simile a quella all’ingresso del cunicolo.
- Ahia! –
- Rose.. –
- Ho fame Matì.. –
Con tutte le sue forze, Matì iniziò a prendere a calci la grata, spostando Rose a lato del tunnel. Al quarto calcio, la grata venne giù, e dopo un tonfo metallico, uscirono.
Il senso di libertà s’arrestò subito. Dovevano essere diventati ciechi, o il tunnel si era solo allargato. Ora si trovavano in un tunnel più grande, simile a un grande canale di scolo, dove al centro l’acqua toccava le ginocchia e ai lati, due rialzi gli permettevano di stare in piedi tranquillamente.
Non si vedeva niente, nessuna luce e nessun foro permetteva loro di percepire forme e colori, si basavano ormai da ore sul tatto e sull’olfatto per muoversi. Matì si sedette al lato del tunnel, mise a fianco a sé lo zaino e fece capire a Rose che si dovevano riposare.
- Dev’essere sera.. o notte. Domattina ci sveglieremo con la luce del sole.. –
Sentì le braccia della bambina stringerlo attorno al tronco, seduta di fianco a lui. Tremava paurosamente. Le poggiò una mano sulla fronte.
- Hai la febbre Rose.. –
- Matì.. –
Con le sue ultime forze prese due coperte nello zaino e le avvolse a loro, infine, si addormentarono.
- HAAAAA! –
Matì sobbalzò, svegliato da un urlo. Di fianco a lui, Rose stava in piedi e si teneva il volto con le mani.
- Rose, che succede? Che c’è? –
- Il tuo zaino.. –
Si voltò. Metà dello zaino era sparito, la metà inferiore, dove Matì teneva le provviste.
- Sono stati i topi.. –
- No Matì, erano blu, lucertole blu! –
Se fosse stata la verità, erano nei guai. Aveva sentito dagli agricoltori dell’isola che esisteva una varietà di lucertole blu, capaci di generare piccole scariche elettriche, che venivano avvistate ogni tanto quando si irrigavano i campi, e che chi le toccava poteva perdere l’uso della mano, per molti mesi. Ma erano storie, non conosceva nessuno che le aveva toccate, e visto che la varietà più comune di tulipani è quella blu, potevano benissimo aver scambiato qualche petalo strano per una lucertola, e aver inventato la storia per dei bambini.
- L’hai viste veramente? Lucertole? Blu? –
- Sì. Si muovevano nell’acqua, come dei pesci.. mi hanno svegliata perché si continuavano a tuffare. Erano carine, poi hanno iniziato a mordere lo zaino.. ho avuto paura.. –
- Che.. Quante erano? –
- Tantissime! Erano più scure sulla schiena, e sulla pancia erano luminose. Non so quante, ma ne ho viste tante più delle dita della mia mano! –
- Bene. Abbiamo finito le provviste e siamo in un cunicolo sperduto. Dove finiremo? –
- Ma.. Matì, guarda! –
Rose indicava un foro, circa a cinque metri sopra di loro, dal quale entrava luce. Luce! Si era dimenticato che ora ci vedevano tranquillamente.
Le pareti del tunnel erano in mattoni di pietra, molto vecchi, ricoperti da muschi e eriche che sembravano tappezzarlo all’infinito, tanto da farne parte.
L’acqua del canale al centro era fangosa, probabilmente l’inondazione era arrivata fin lì, entrando anche dal foro.
- C’è nessuno?! HEEEY! Quaggiù!! –
Nessuna risposta. Matì continuò per cinque minuti, ma non sentiva nessun suono ritornargli tranne l’eco che rimbombava per il tunnel.
- Dove siamo finiti.. –

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 3 - parte 2 ***


Capitolo 3 - parte 2


Proseguirono per un chilometro, fino a ritrovarsi di fronte un bivio. Scelsero di andare a sinistra, e dopo un paio d’ore si fermarono.
Rose aveva raggiunto il limite. Matì sapeva che non trovando un uscita, in poche ore sarebbe morta. La testa, annebbiata, non portava che dolore, aggravando la situazione. Il corpo iniziava a non rispondere più alla mente, la mente non riusciva più a concentrarsi. Prese con sé la bambina, leggera, col braccio sano, la tirò su sulla spalla. Camminò ancora, e ancora, il tutto sembrava non avere fine.

- Non è mai tornato.. Ora io, amo te. –
- E lui? Diventerà.. nostro? –
- No.. lui.. deve partire.. –
Un vaso, rotto. Era ciò che rimaneva di una conversazione andata per le lunghe, con urla e grida di rabbia, dolore. In mano, una piccola barchetta in legno, e di fianco a Matì, un secchio.
- Bello essere giovani, basta poco.. per viaggiare. –
Un uomo alto, strambo, dagli occhi svegli e neri come la pece guardava Matì, porgendogli la mano.
- Vieni, ho un regalo per te. –
- Un.. altro? –

Aprendo gli occhi, Matì vide una ragazza, vestita di bianco, dai finissimi capelli dorati, fissarlo incredula. Riprendendosi, appoggiando la mano sugli occhi di Matì, disse:
- Sei morto. I morti non aprono gli occhi. –
- Ro..Rose? –
Tentò di alzarsi di scatto, ma la schiena gli doleva a tal punto da strozzargli l’urlo in gola. Non si sentiva né braccia né gambe, era totalmente immobilizzato.
- Chi è Rose? La tua fidanzata? –
- Non sono morto.. sento l’odore del mio zaino, in mezzo a questa puzza di profumi, stupida ragaz-
La ragazza gli strinse il braccio.
- Zitto, ci sono le guardie. –
La luce divampò in quella che sembrava una stanza, una piccola stanza in movimento. Si accorse, nel dolore, di essere in quello che sembrava un carro. Tende rosse lo circondavano, e cuscini di ogni colore erano sparsi ovunque, sotto e di fianco a lui.
- Che.. Ah! Mi scusi.. Fatela passare! –
- Grazie, buonuomo.. –
Matì, voltando la testa, vide una ragazza splendida, con una carnagione chiarissima, quasi lucente, vestita completamente di bianco, coperta da una vestaglia lunga che arrivava fino ai piedi, scalzi. Portava una tiara dorata che si insinuava attorno al capo, sormontato da capelli dorati molto lunghi. Il viso era avvolto dalla luce esterna, non riusciva a definirlo ancora con chiarezza, ma era sicuramente splendido.
La medicazione al braccio era stata cambiata, in qualcosa di più elaborato e pulito.  Era stato lavato e cambiato, aveva molte medicazioni e una benda attorno alla testa, che gli copriva anche parte dell’occhio sinistro. Dietro la schiena sentiva qualcosa di fresco, intenso. Non si mosse per toccarlo, ma chiese alla giovane ragazza che cosa fosse.
- Nulla, non capiresti. –
- Ma.. è fresco, come ghiaccio, ma non è possibile.. –
- Non capiresti. Ora dormi, tra poco saremo arrivati. –
Dopo una decina di minuti, il carro si fermò.
- Bentornata! Sua Maestà vi aspetta.. –
- Sì, ma prima dovrei prepararmi, no? Digli che può aspettare ancora! –
- Sì.. Subito! –
Il carro riprese ad avanzare, questa volta in salita, curvando parecchio.
- Non mi piacciono i carri.. non mi fido.. –
- Shhh! Dannazione vuoi stare zitto? Se ci scoprono è una tragedia! –
Fermatosi ancora il carro, la ragazza aiutò Matì a tirarsi su. La schiena stranamente faceva molto meno male, e girandosi finalmente vide l’oggetto che tanto lo incuriosiva.
- Che cos’è? –
- Ancora?! Non capiresti, ora alzati, abbiamo poco tempo.. –
L’oggetto misterioso era sferico, con incise delle rune incomprensibili. Emanava una luce tra il bianco e l’azzurro e le rune emettevano uno strano bagliore, il quale sembrava circondare la sfera senza propagarsi come è solita fare la luce normale. Appena la ragazza toccò la sfera, questa smise di brillare. Ora era più vestita, indossava un’altra veste e un soprabito pesante, delle scarpe ricamate e portava sulla spalla una grande borsa bianca, con inciso un altro simbolo a Matì sconosciuto. Lì la ragazza ripose la sfera, per poi incrociare lo sguardo curioso di Matì.
Gli occhi di lei erano azzurri, chiarissimi e intensi. Pensò di vedere il mare, dentro quegli occhi. Li vide agitarsi e muoversi, contorcersi e rilassarsi, ondeggiare e placarsi. Il suo naso a punta era abbastanza lungo, la bocca rossa e carnosa, al contrario della carnagione bianchissima. I capelli andavano a coprire orecchie e sopracciglia, molto alte.
- Vieni dal nord, giusto? Hai la pelle troppo chiara per esser di qui, o mi sbaglio? –
- Sbagli. E hai ragione. Il mio nome deve restarti sconosciuto, visto che tra poco te ne andrai. –
- Come?! – all’improvviso gli era tornata in mente Rose – Con me non c’era forse una bambina? Che fine ha fatto? Dimmelo, dimmelo! –
Si trovava a pochi centimetri da lei, e le stava stringendo il braccio, trattenendola. Un riflesso incondizionato, non era da lui. Nei suoi occhi vide rabbia, poi freddezza.
- Lasciami. Ho trovato solo te e ti ho curato, ora seguimi, ti mostrerò la via per uscire dalla città.. –
- Io non voglio uscire! Voglio trovare Rose! Le.. ho.. fatto una promessa. –
La ragazza, che si stava allontanando, si fermò di colpo.
- Una promessa? –
- Sì, è importante. L’avrei portata fuori di lì, così da cercare suo padre.. –
- Saresti in grado di farmene una anche a me? –
- Ora che mi hai curato, anche se non so come.. sono in debito. Dimmi.. –
Lei sorrise. Non fece in tempo ad aprir bocca che si sentì bussare al portone della sala dove era entrata la carrozza. Un grande fienile, con cavalli e carrozze ovunque. Sembrava tutto imbrattato, sporco, infangato. Nulla faceva pensare ad una dimora reale, se non per gli araldi appesi ed i bassorilievi alle pareti, molto curati.
- Arrivo! Presto, vai, segui questo cunicolo.. –
Premendo su un mattone sporgente, si aprì una porticina vicino ad un grande camino. Dal cunicolo uscì molta acqua, tanto da riempire metà stanza. Matì osservava con aria preoccupata.
- Mi hai raccolto in un cunicolo, e ora mi ci rimandi? –
- Muoviti, ci metterai poco. Lo usavo quando ero più piccola, per uscire in piazza. –
Matì entrò nel cunicolo. Aveva la pelle d’oca, gli tremavano gli occhi. Una volta entrato dentro, si girò per ringraziare, ma trovò solo il suo zaino e una lettera poggiata sopra, insieme ad un sacco mezzo pieno di provviste.
- Grazie. –
Sentì delle voci provenire da dietro di lui, poi nulla più. Il tunnel proseguiva dritto, non sapeva dire in che direzione, ma ad un certo punto iniziò a sentir delle voci. Sembrava quel caos che si crea al mercato, una marea di voci. Poi sbattè il naso contro una porta, e tutto si zittì.

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