Un inutile addio

di MAMMAESME
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Creep ***



Capitolo 1
*** primo capitolo ***


UN INUTILE ADDIO

La notte era passata lenta ma inesorabile, come una colata di catrame su una striscia di strada che mi portava verso un giorno inutile, il primo d’infiniti giorni inutili.
Sedevo con un bicchiere vuoto tra le mani fredde, sul davanzale della finestra chiusa, guardando il riflesso del buio oltre il vetro.
Nonostante il sole avesse leso le nuvole con flebili raggi, io continuavo a vedere nero, come se l'alba non fosse mai arrivata, come se non dovesse arrivare mai più.
Un leggero bussare infastidì il mio silenzio.
La rabbia della sera aveva lasciato il posto ad una glaciale passività e non avevo voglia di infrangere la cortina di gelo che mi stavo costruendo a fatica.
La maniglia si mosse lentamente e la porta cigolò mentre riconoscevo i passi di Elena che entrava nella stanza.
Cercai di non voltarmi, di fissare lo sguardo sulle mie mani.
- Damon ... -
La sua voce fu una scarica elettrica che mi scosse nel profondo.
Strinsi il bicchiere per cercare di non muovermi, ma il fragile vetro si frantumò sui miei palmi.
- Damon ... -
La sua voce era titubante, quasi timorosa ...
Voltai lo sguardo verso i vetri, resi opachi dalla condensa del mio respiro, e vidi il suo riflesso.
- Ok ... - continuò lei - se non vuoi parlarmi, almeno ascoltami. Non so cosa ti sia preso ieri sera ... non so quale malsana idea ti abbia fatto dire quelle frasi insensate ma ... –
Elena incontrò i miei occhi nel riflesso della finestra che ne cambiava il colore, da azzurri a grigio piombo, il colore del mio umore.
-Vedo che non sei ancora pronto a discuterne con calma ...-
Non lo sarei mai stato.
- Stefan ha chiamato: ci vuole parlare ... deve essere accaduto qualcosa a Katherine e ...
Mi voltai di scatto e la guardai con disgusto: non m’interessava nulla di Kath ... non me ne fregava niente di Stefan.
La sera prima avevo dato un taglio alle mie illusioni e mi ritrovavo a dover decidere un futuro senza Elena: qualsiasi cosa stesse al mondo accadendo non era affar mio, non più.
- Perché mi guardi quel modo? - domandò affranta, fraintendendo il mio sguardo.
- Perché sto cercando di stapparti dalla mia anima, e non é facile se tu mi sei vicina. -
- Damon ... parliamone. -
Poggiai i piedi sul pavimento e mi alzai per dirigermi verso la porta.
- Non c'é nulla di cui parlare ... -
- Va bene ... non ora. Ho bisogno di cambiarmi e di farmi una doccia ... -
- Me ne stavo giusto andando: fai quello che vuoi ... -
Mentre le passavo accanto, lei mi posò la mano sul braccio: un tocco lieve, un debole tentativo di trattenermi.
Guardai prima la mano e poi alzai lo sguardo verso il volto di Elena. Il ghiaccio aveva raggiunto i miei occhi, ma sentivo il colore irradiarsi dalla sua mano. Rimasi immobile.
Vedendo la mia espressone truce, Elena si ritrasse e, abbassando lo sguardo, si diresse verso il bagno.
Guardai la sua schiena allontanarsi: i capelli ondeggiarono mentre scuoteva la testa, esasperata.
Richiusi la porta alle mie spalle con un tonfo sordo e mi diressi verso l'uscita: qualsiasi cosa avesse in mente mio fratello, non volevo farne parte.
Non feci in tempo ad afferrare il mio giubbotto di pelle che la porta si aprì di fronte a me: Jeremy e Bonnie fecero capolino oltre la soglia.
- Buongiorno ... Stefan ci ha detto di venire ... - mi salutò Jeremy.
Vedendo il mio volto assolutamente impassibile, mi rivolse uno sguardo indagatore.
- Dormito male? - insinuò Bonnie.
Mi spostai per farli entrare senza proferire parola: se avessi permesso alle mie labbra di aprirsi, li avrei investiti d’insulti.
- Dove credi di andare? - la voce di mio fratello bloccò i miei passi sui gradini ancora bagnati dalla rugiada della notte.
- Credo che non siano affari tuoi. - riuscii a ringhiare.
- Elena non ti ha detto che ... -
- La tua messaggera ha trasmesso il tuo ordine ma credo di essere impegnato.-
- Kath sta male ... -
- Sai cosa me ne importa.-
- Potrebbe morire ... -
Mi voltai a fatica.
Non avevo voglia di affrontare una conversazione e sapevo che, con tutta la rabbia e la frustrazione che avevo in corpo, una discussione avrebbe potuto trasformarsi in una rissa.
- Stefan ... capisco che la vostra "ricongiunzione" possa averti fatto dimenticare di chi stai parlando ma ... per me potrebbe schiattare anche adesso. –
- Damon, per favore ... - Stefan sapeva essere veramente fastidioso.
- Se proprio ci tieni, verrò a brindare alla sua dipartita ... ma non adesso; ho bisogno di uscire. -
La mia maschera di ghiaccio doveva funzionare se nessuno riusciva a cogliere la devastazione che nascondeva o, forse, più semplicemente nessuno poteva credere che io, Damon Salvatore, potessi avere un motivo plausibile per essere sul baratro della mia esistenza.
- Sua figlia la sta portando qui ... volevo che trascorresse le sue ultime ore in casa nostra ...
Stefan non voleva mollarmi: che palle!
Avevo sete ... avevo voglia di sangue ... avevo voglia di andare a sbattere contro un albero ... avevo voglia di mettere mille miglia tra me ed Elena ... di tornare in camera e amarla fino allo finimento.
Invece ero intrappolato dallo sguardo tra il patetico e l’accusatore che mio fratello mi rivolgeva.
- Che cosa vuoi che faccia? Che mi sieda al suo capezzale e le tenga la mano finché non esalerà il suo ultimo respiro? O preferisci che ponga fine alla sua agonia spaccandole l'osso del collo? – domandai.
- Damon ... capisco che tu non senta empatia verso di lei, ma potresti essere un po' meno sarcastico? A volte sei proprio insensibile ... -
Io ero insensibile ...
Io, che mi stavo frantumando ... che stavo rinunciando a vivere ... che stavo ritornano nel nulla ...
Rassegnato ai lapidari giudizi del mio candido fratellino, feci dietro front e raggiunsi l'allegra compagnia nel salotto.
Alle mie spalle sentii una macchina frenare nel vialetto: probabilmente Kath e sua figlia erano arrivate.
Stefan mi oltrepasso per andare ad accoglierle, mentre io non volevo nemmeno posare lo sguardo su colei che era stata la rovina d’intere generazioni di persone.
Entrando in salotto, percepii la presenza di Elena.
Senza guardare dove fosse, mi avvicinai ai liquori e mi versai un'abbondante dose di bourbon.
Sentii i passi di Stefan e di altre persone dirigersi al piano di sopra.
Jeremy e sua sorella stavano parlando sottovoce, mentre Bonnie ascoltava silenziosa.
- Se ti chiedessero di guarirla, cosa faresti? - le domando il suo ragazzo.
- Ti ha ucciso ... io sono un'ancora ... Elena ha patito le pene del' inferno ... Caroline è un vampiro e tutto grazie a lei ... Credo che meriti di andare incontro alla sua sorte. Poi anche volendo, non ho più i miei poteri, quindi il problema non si pone. -
Nella stanza entrarono Stefan e Matt.
- Abbiamo portato Kath in una delle stanze. É grave e credo che sua figlia voglia tentare l'impossibile ... - ci comunicò Stefan laconico.
- Brindiamo alla sua imminente e gloriosa morte! – dissi, alzando il bicchiere.
- Smettila di fare il cinico. – mi rimproverò Stefan.
- Cerca di capire Stefan: non gioisco … non m’intristirò … non me ne può fottere di meno!
- E’ stata parte delle nostre vite …-
- La parte peggiore. Ognuno di noi ha un motivo per odiarla, forse più di uno … nessun ricordo felice … nessun motivo per rimpiangerla … nessuno, tranne tu, l’unico ed infinito amore che si è preso la sua ultima notte. –
Elena voltò lo sguardo verso mio fratello, stupita, incuriosita e … gelosa?
Stefan si diresse verso la finestra sul giardino, in silenzio.
Decisi si sprofondare nel divano, in attesa del momento propizio per andarmene. Non volevo rimanere per celebrare la più grande stronza che avessi mai incontrato.
Cercai di ricordare il motivo per cui l’avevo amata, per cui avevo trascorso decenni a struggermi per una sua falsa morte, a tentare di riportarla in vita per poi sentirmi dire che non mi aveva mai amato … che aveva amato sempre e solo Stefan.
Eppure allora non ero il mostro in cui lei e i sadici dottori mi avevano trasformato. Non ero cinico … non ero marcio … eppure …
Elena, seduta sul tappeto, seguì Stefan con lo sguardo, per poi riposarlo su di me.
Piegai le labbra in un sorriso tagliente come la lama di un rasoio.
-A volte bisogna rassegnarsi: rianimare un moribondo significa solo allungare le sue agonie. Combattere contro la sorte è un atteggiamento suicida e deleterio: prima ci si rassegna, prima si va avanti. –
- Parli con me o con Stefan? – chiese Elena.
- Parlo per chi mi vuole ascoltare. –
- Ascoltati prima di dire altre banalità – replicò lei, alzandosi.
Era ovvio a tutti che qualcosa era accaduto tra me ed Elena, ma nessuno osava proferire parola.
Kath parlava sommessamente con la figlia: stavano discutendo sulle varie possibilità di sopravvivenza, di magie e contro incantesimi, riti e antichi misteri.
Non volevo saperne nulla … non volevo essere parte di nuovi esperimenti.
Elena aveva raggiunto Stefan e stavano parlando a voce bassissima, in modo che nemmeno con l’udito vampiresco potessi ascoltare la loro conversazione.
Lei aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva, mentre lui aveva lo sguardo perso nel mare caldo delle iridi color cioccolato della mia donna … della donna che non era più mia.
Lui alzò il braccio e le accarezzò dolcemente la guancia, mentre lei gli afferrava la mano per trattenerla un attimo di più, un attimo di troppo.
Era lui quello giusto? Ce ne sarebbe mai stato una abbastanza giusto per lei?
Lo spettacolo delle loro amichevoli effusioni mi stava nauseando.
Non potevo rimare un attimo di più.
Nadia entrò nel salone, proprio mentre anche l’amica oca di Elena faceva il suo debutto trionfale.
Dissero qualcosa … pronunciarono parole senza alcun suono, mentre mi fiondavo fuori, per scomparire in un secondo oltre i confini della mia proprietà.
Ormai il sole era allo zenit e le nuvole si erano dissolte.
Tutto quel trionfo di luce m’infastidiva, urtava contro il mio desiderio di buio e oblio.
Sferrai un calcio a un sasso, la cui unica colpa era di trovarsi al pasto sbagliato nel momento sbagliato.
Io ero nel posto sbagliato.
Io ero sbagliato.
Sbagliato per Elena … sbagliato per chiunque.
Mi ero illuso di poterla amare, mi ero illuso di poterne essere degno, riscattare il mio passato con un presente diverso, con un futuro da costruire.
Illuso … appunto.
Tutti vedevano il mio ritratto distorto … solo Elena ed io ci illudevamo di poterne dipingere uno nuovo.
Con un pugno sradicai un piccolo albero, con un ringhio feroce feci scappare uno stormo di uccelli … ma a che cosa serviva la mia potenza, a cosa la mia ferocia, se non potevo scegliere come e con chi vivere la mia vita?
Travolto dal fiume in piena delle mie sensazioni mefitiche, mi diressi verso il Wickery Bridge, inizio e fine di ogni storia di questa città.
Mi appoggiai al parapetto e aspettai.
Aspettai un segnale dal destino, un passante da dissanguare, un fulmine che mi trapassasse, un alito di vento, una goccia di pioggia.
Come evocata, una giovane studentessa si materializzò nella direzione che portava alla periferia della città.
Era piccola … un’adolescente ancora in bocciolo.
Il profumo del suo sangue mi violentò le narici: era tanto tempo che trattenevo il mostro … troppo tempo che frustravo il mio istinto.
Come un cobra, mi misi tra lei ed il pomeriggio appena iniziato.

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Capitolo 2
*** Creep ***


Capitolo secondo
CREEP
You're so fuckin' special
I wish I was special

But I'm a creep, I'm a weirdo.
(Radiohead)

La ragazzina era ancora molto giovane. I suoi capelli biondi erano raccolti in una coda spettinata, le gambe avvolte in un paio di jeans strappati e una candida maglietta bianca fasciava il suo torace ancora acerbo.
Agganciai i suoi occhi ai miei, in un richiamo ipnotico, e la costrinsi a seguirmi lungo la riva del fiume che scorreva placido sotto il ponte. Nessuno ci avrebbe visti … nessuno mi avrebbe disturbato.
-Shh – le intimai. – Non urlare … non dire una parola. –
La ragazza mi guardò con l’innocenza di chi non ha mai commesso alcun crimine e crede ancora nell’impossibilità che, a Mystic Falls, possano accadere cose crudeli a creature indifese. Un’illusione che avevo già letto molti anni prima negli occhi di Elena, prima che il mondo le si rivoltasse contro, prima che entrasse nel mio mondo.
Elena … sempre Elena … comunque Elena.
Scacciai il suo nome dalla mia mente e mi avvicinai alla fanciulla: cominciava a sentirsi il pericolo, percependo il profondo sgomento che mi attanagliava, uno sgomento inusuale in un vampiro che, come me, era abituato alla brutalità … che aveva vissuto nella brutalità, l’aveva inferta e subita a mani piene.
Ubbidiente al mio comando, la mia nuova vittima non emetteva alcun lamento, ignara di quello che volevo farle … che le avrei fatto.
-Piccola … ho sete … ho solo bisogno di bere … di bere la tua vita … -
Mi avvicinai a quel piccolo corpo indifeso, reso immobile da un comando al quale non poteva disubbidire, e mi avvicinai alla sua gola.
La paura repressa le faceva pulsare la carotide in modo invitante; le passai il dorso delle dita sulla pelle tesa sopra l’arteria e mi avvicinai ferino.
-Durerà solo un attimo, solo un attimo e poi … -
Accostai i miei canini affilati, spostandole i ciuffi di capelli che scendevano lungo il collo e feci per azzannarla.
Profumava di gioventù e di vaniglia.
Invece dei denti, appoggiai al collo la mia fronte, incapace di infierire in una pelle ancora inviolata, di rubare una vita ancora inconsapevole …
O forse le avrei fatto un favore? Fermare i suoi giorni prima che diventassero notti, lasciare chi i suoi sogni non si trasformassero in incubi, le sue speranze in disillusioni?
Ma quando mai mi ero fatto tali e tante seghe mentali?
Io ero Damon Salvatore, quello cattivo … il mostro … io non badavo a certo a chi azzannavo, al perché: ero un predatore, un assassino … un traditore.
Eppure, quella pelle bianca era una barriera impenetrabile, un veto assoluto che non potevo violare.
Guardai ancora negli occhi la ragazza senza nome e le sussurrai di scappare, di dimenticare.
Maledicendo la mia debolezza, mi sedetti sulla riva del fiume e cominciai a lanciare sassi nella corrente.
Non potevo essere come Elena avrebbe voluto …
Non potevo tornare ad essere quello che  io avrei voluto …
Ero bloccato in un limbo, con un piede nella melma del passato e l’altro in bilico nel vuoto.
… e questo mi consumava.
Mi faceva sentire spezzato, rotto, inceppato … una pistola carica con la polvere da sparo bagnata … un’arma inutile.
Quando la luce nel cielo prese i colori del sangue che tanto bramavo, mi alzai, rassegnato a tornare sui miei passi.
Dentro di me mi augurai che tutta la faccenda di Katherine fosse finita, in qualsiasi modo. Volevo tornare a casa, prendere una sacca di sangue e chiudermi in camera, per cercare una qualsiasi soluzione a quella situazione di stallo.
Avvicinandomi al pensionato, vidi che tutte le luci erano spente, ad eccezione della fiamma del camino, che colorava di rosso le finestre del soggiorno: pochi ceppi si erano trasformati in braci roventi, senza più fiamma.
Facendo il giro dal retro, entrai e mi recai verso il frigorifero che conteneva le sacche di sangue.
Ne afferrai a caso e mi diressi in camera mia, silenzioso e fulmineo, sperando di non incontrare nessuno.
La casa sembrava deserta, e nessun rumore indicava una qualunque presenza.
Entrai nella mia stanza e chiusi la porta, spingendola con la schiena.
Sentii subito la sua presenza, la sentii nonostante trattenesse il respiro per non farsi scoprire.
-Sei ancora qui? – domandai all’ombra seduta sul letto.
-Dove altro dovrei essere? –
- In qualsiasi altro posto …
- L’unico posto dove vorrei essere è qui con te … -
- L’unico posto dove non dovresti essere è qui con me … Elena, per favore, non rendere tutto più difficile –
- Damon, non è difficile … anzi è facilissimo: io ti amo e voglio stare qui con te! –
- Elena, non è difficile … anzi è semplicissimo: io ti amo e non ti voglio qui con me! –
Lei si avvicinò silenziosa e posò la sua mano sulla mia guancia, un gesto che usava fare ogni volta che voleva entrare in connessione con i miei pensieri.
-Damon … -
Se le avessi permesso di proseguire, tutti i miei propositi per la salvezza della sua essenza, per lasciare integra la sua anima, si sarebbero volatilizzati come piume di un cuscino rotto.
Richiamai tutta la mia cattiveria … e non fu difficile: rivolsi verso di lei tutta la rabbia che avevo contro me stesso.
Le presi le mani e la scaraventai contro il muro, tenendole i polsi in una morsa ferrea, bel sollevati sopra la testa.
La schiacciai col mio corpo contro la parete fredda.
-Cosa vuoi, Elena? Una scopata d’addio? –
La girai con violenza, tirandole i capelli per farla inclinare la testa all’indietro. Lei non emise un suono.
-In fondo cos’altro abbiamo avuto nella nostra splendida estate? Cos’altro volevi da me se non uno stallone pronto a soddisfare ogni tua voglia? –
In un impeto di ribellione, Elena cercò di voltarsi per guardarmi in viso.
-Sicuro, Damon: raccontatela e credici! – disse sarcastica.
-Beh … adesso sono disposto a darti solo questo … e solo per un’ultima volta, se proprio insisti … -
-Vai al diavolo … -
- Io sono il diavolo! –
Accecato dalle bestialità che stavo dicendo e dalla brutalità con cui stavo trattando la persona più importante della mia intera esistenza, lasciai che il mostro riaffiorasse e, dimenticando che Elena era un vampiro, affondai i miei denti nella sua giugulare.
Elena emise un debole lamento, tentando di liberarsi dalla morsa dei miei denti: tutto il dolore che c’era tra noi aveva annullato ogni possibile estasi che lo scambio di sangue procurava ai vampiri.
-Lasciami … - imprecò.
Il suo sangue scese nella mia gola, graffiandomi dentro.
Mi separai da lei e la scostai, spingendola in mezzo alla camera.
-Allora … scopiamo o no? – grugnii guardandola assatanato, senza un briciolo di umanità nella voce.
- Vai a fa ‘n culo, Damon … fottiti tu! Non sono disposta a farmi insultare … non sono disposta ad essere la tua valvola di sfogo: sei furioso con te stesso? Va bene: se vuoi il mio aiuto, non hai che prendertelo … se vuoi ferirmi, puoi farlo … ma non ti permetto di umiliarmi … non ti permetto di umiliare il nostro amore … non ti permetto di infangare l’uomo che amo!  Vuoi che me ne vada? Ok … se la mia presenza ti urta … se il tuo amore è tanto fragile da crollare alla prima difficoltà … me ne vado. –
Così dicendo, aprì l’armadio e cominciò a togliere le sue cose, raccogliendo i suoi indumenti dalle grucce ... dai cassetti … dal pavimento.
Con la manica della maglia asciugava le lacrime che non riusciva a trattenere.
Se ne stava andando.
Stava raccogliendo le sue cose …
Stava infilando in una borsa i suoi vestiti … quella camicia da notte che le avevo tolto tante sere fa … il reggiseno appeso al bordo del letto … quello della prima volta …
Gli indumenti, lasciati per giorni sopra al pavimento, erano i testimoni dei nostri abbracci, della voglia di sentire la pelle sotto la pelle: non riuscivo a sopportare di vederli inghiottiti dal cuoio della valigia …
Incapace di fermarmi, volai verso di lei e le afferrai la vita da dietro, trattenendola come se stesse per crollare in un burrone.
-Fermati, ti prego ... – le sussurrai.
- Lasciami! – protestò, cercando di liberarsi dalla mia presa.
- Un attimo … un attimo solo … fermati. –
Lei divenne una statua, i pugni chiusi e i muscoli tesi.
Senza cambiare posizione, appoggiai il mento sulla sua spalla.
-Elena … quando lo capirai che lo faccio per te? –
- Vigliacco! –
- Non vuoi capire! Lo capiscono tutti … lo hanno capito tutti … solo noi siamo stati ciechi davanti all’evidenza … ma io ti amo e non posso trascinarti ogni volta nelle mie battaglie contro un passato che presenta il conto delle mie malefatte … -
- Vigliacco! –
- Io andrei nel fuoco per te … io, per te, sto andando all’inferno … -
- Tu sei solo un gran vigliacco! Oh, certo … quando devi fare l’eroe, quando ti devi prendere una freccia al mio posto … uccidere qualcuno per salvarmi … quando devi compiere un gesto plateale, sei in prima linea … ma quando ti si chiede un impegno costante … quando ti si chiede di combattere le piccole battaglie quotidiane … scappi!
- Ma … io … -
- Tu sei un bastardo … testosteronico … maschio del cazzo! – era furibonda.
Si liberò dalla mia presa, ormai debole, e mi guardò dritto in faccia.
-Tu mi hai detto che non puoi cambiare? Beh … notizia dell’ultima ora: sei già cambiato! E non per me … non per tuo fratello … ma perché tu hai voluto cambiare, tu hai voluto disseppellire quella parte che avevi sepolto, per poter tornare ad amare, per poter tornare ad essere felice … -
- Ti sembro felice? – urlai. –Ti sembro rinato? Sono l’ombra di me stesso, divorato dai sensi di colpa per quello che ho fatto, che ti ho fatto … che sicuramente ancora farò! –
- Che cosa vorresti fare, allora? Spegnere tutto un’altra volta e lasciarmi nell’angoscia? Lasciarmi senza amore? –
- Dovrei … vorrei … -
- E allora fallo, vigliacco … fallo e seppellisci ancora una volta quella meraviglia che si nasconde dietro muri di cartone … fallo e fai decomporre la persona che amo e che amerò per sempre. –
- Quella persona non esiste! È solo la proiezione dei tuoi desideri! Io sono …-
- Bla bla bla: io sono un mostro … io non posso cambiare … io ti farò del male … bla bla bla … Damon! Forse non te ne sei accorto, ma sono diventata una donna … una vampira. Ti ho visto … ti conosco … e ti ho amato, ti amo, per come sei. Quante altre volte dovrò ripetertelo. Ma tu non  vuoi sentire, non mi vuoi ascoltare: è molto più semplice costruire una barriera e continuare a recitare la parte del cow boy solitario, senza impegni e senza legami … e questo mi delude più di tutti i tuoi omicidi … delle tue barbarie sanguinose, del tuo passato oscuro. –
Le sue parole mi ponevano di fronte ad uno specchio ...  ogni velo stava cadendo e mi vedevo nudo ... indifeso.
Davvero aveva ragione lei?
Davvero stavo, ancora una volta, distruggendo per il timore di venire distrutto?
Una cosa era certa: se avessi permesso al tempo e a Elena di lasciarmi mentre ero spoglio di ogni difesa, mi sarei disintegrato.
Una cosa era sicura: se avessi permesso al tempo e alle mie colpe di ferire Elena, sarebbe stata la mia condanna alle fiamme eterne.
Perché?
Perché doveva essere tanto difficile?
Perché amare era così difficile?
Mi sedetti sul pavimento, la schiena appoggiata al letto.
Elena era ancora immobile di fronte a me, il viso sfatto dalle troppe lacrime e dalla frustrazione.
Fissavo vacuo le punte dei suoi piedi.
Silenzio.
Che cosa eravamo lei ed io?
Un uomo e una donna che non avrebbero dovuto incontrarsi mai … che, in un mondo normale, non si sarebbero mai incontrati.
Invece, siamo scivolati in una storia contro cui niente e nessuno ha potuto nulla: noi contro il destino … noi contro l’universo … noi contro tutti.
La nostra era una relazione nata sotto la maledizione di una cometa, rubata a un altro amore, combattuto da antichi malefici; una storia fatta di piccole schegge infilate nel cuore … di quelle che ti mozzano il fiato.
Una storia mai uguale, diversa ogni giorno, ogni giorno più vera, coinvolgente avvolgente … spaventosa.
Io sono quello sbagliato.
Troppo diverso … troppo perverso … troppo debole.
Eppure …
Pur vedendo il baratro, lei mi è venuta incontro … io le sono andato incontro …
Impossibile fermarsi … impossibile non sentirsi … non amarsi.
Ogni volta che abbiamo tentato di combatterci erano lacrime e sofferenza … ogni volta che tentavamo di eluderci, ci sentivamo inesorabilmente attratti …
Lei soddisfaceva il mio bisogno di abbandono, la mia voglia di lasciarmi andare per quello che sono … per come sono … con ogni mia sfumatura, senza maschere o camuffamenti.
Per quanto tempo avremmo potuto proseguire senza ferirci a morte?
Per quanto tempo avrebbe sopportato il mio passato di violenza e sangue?
Per quanto tempo avrei potuto sopportare di vederla accettare l’inaccettabile?
Sentii il corpo di Elena scivolare accanto al mio.
Sentii le sue mani afferrare la mia testa, portarla sul suo seno: cominciò a cullarmi, come con un bambino impaurito … come con un uomo perso e ritrovato, graffiato dai rovi di una foresta insidiosa.
Affondai la mia disperazione nella sua carne morbida e lasciai che le sue dita tra i miei capelli scompigliassero i miei pensieri.
E rimanemmo così … ad aspettare il mattino.

“In fondo a quest’oggi c’è ancora la notte
in fondo alla notte, c’è ancora … c’è ancora …”
F.G.

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