Un inutile addio di MAMMAESME (/viewuser.php?uid=187306)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Creep ***
Capitolo 1 *** primo capitolo ***
UN INUTILE ADDIO
La notte era
passata lenta ma inesorabile, come una colata di catrame su una
striscia di strada che mi portava verso un giorno inutile, il primo
d’infiniti giorni inutili.
Sedevo con un bicchiere vuoto tra le mani fredde, sul davanzale della
finestra chiusa, guardando il riflesso del buio oltre il vetro.
Nonostante il sole avesse leso le nuvole con flebili raggi, io
continuavo a vedere nero, come se l'alba non fosse mai arrivata, come
se non dovesse arrivare mai più.
Un leggero bussare infastidì il mio silenzio.
La rabbia della sera aveva lasciato il posto ad una glaciale
passività e non avevo voglia di infrangere la cortina di
gelo che mi stavo costruendo a fatica.
La maniglia si mosse lentamente e la porta cigolò mentre
riconoscevo i passi di Elena che entrava nella stanza.
Cercai di non voltarmi, di fissare lo sguardo sulle mie mani.
- Damon ... -
La sua voce fu una scarica elettrica che mi scosse nel profondo.
Strinsi il bicchiere per cercare di non muovermi, ma il fragile vetro
si frantumò sui miei palmi.
- Damon ... -
La sua voce era titubante, quasi timorosa ...
Voltai lo sguardo verso i vetri, resi opachi dalla condensa del mio
respiro, e vidi il suo riflesso.
- Ok ... - continuò lei - se non vuoi parlarmi, almeno
ascoltami. Non so cosa ti sia preso ieri sera ... non so quale malsana
idea ti abbia fatto dire quelle frasi insensate ma ... –
Elena incontrò i miei occhi nel riflesso della finestra che
ne cambiava il colore, da azzurri a grigio piombo, il colore del mio
umore.
-Vedo che non sei ancora pronto a discuterne con calma ...-
Non lo sarei mai stato.
- Stefan ha chiamato: ci vuole parlare ... deve essere accaduto
qualcosa a Katherine e ...
Mi voltai di scatto e la guardai con disgusto: non
m’interessava nulla di Kath ... non me ne fregava niente di
Stefan.
La sera prima avevo dato un taglio alle mie illusioni e mi ritrovavo a
dover decidere un futuro senza Elena: qualsiasi cosa stesse al mondo
accadendo non era affar mio, non più.
- Perché mi guardi quel modo? - domandò affranta,
fraintendendo il mio sguardo.
- Perché sto cercando di stapparti dalla mia anima, e non
é facile se tu mi sei vicina. -
- Damon ... parliamone. -
Poggiai i piedi sul pavimento e mi alzai per dirigermi verso la porta.
- Non c'é nulla di cui parlare ... -
- Va bene ... non ora. Ho bisogno di cambiarmi e di farmi una doccia
... -
- Me ne stavo giusto andando: fai quello che vuoi ... -
Mentre le passavo accanto, lei mi posò la mano sul braccio:
un tocco lieve, un debole tentativo di trattenermi.
Guardai prima la mano e poi alzai lo sguardo verso il volto di Elena.
Il ghiaccio aveva raggiunto i miei occhi, ma sentivo il colore
irradiarsi dalla sua mano. Rimasi immobile.
Vedendo la mia espressone truce, Elena si ritrasse e, abbassando lo
sguardo, si diresse verso il bagno.
Guardai la sua schiena allontanarsi: i capelli ondeggiarono mentre
scuoteva la testa, esasperata.
Richiusi la porta alle mie spalle con un tonfo sordo e mi diressi verso
l'uscita: qualsiasi cosa avesse in mente mio fratello, non volevo farne
parte.
Non feci in tempo ad afferrare il mio giubbotto di pelle che la porta
si aprì di fronte a me: Jeremy e Bonnie fecero capolino
oltre la soglia.
- Buongiorno ... Stefan ci ha detto di venire ... - mi
salutò Jeremy.
Vedendo il mio volto assolutamente impassibile, mi rivolse uno sguardo
indagatore.
- Dormito male? - insinuò Bonnie.
Mi spostai per farli entrare senza proferire parola: se avessi permesso
alle mie labbra di aprirsi, li avrei investiti d’insulti.
- Dove credi di andare? - la voce di mio fratello bloccò i
miei passi sui gradini ancora bagnati dalla rugiada della notte.
- Credo che non siano affari tuoi. - riuscii a ringhiare.
- Elena non ti ha detto che ... -
- La tua messaggera ha trasmesso il tuo ordine ma credo di essere
impegnato.-
- Kath sta male ... -
- Sai cosa me ne importa.-
- Potrebbe morire ... -
Mi voltai a fatica.
Non avevo voglia di affrontare una conversazione e sapevo che, con
tutta la rabbia e la frustrazione che avevo in corpo, una discussione
avrebbe potuto trasformarsi in una rissa.
- Stefan ... capisco che la vostra "ricongiunzione" possa averti fatto
dimenticare di chi stai parlando ma ... per me potrebbe schiattare
anche adesso. –
- Damon, per favore ... - Stefan sapeva essere veramente fastidioso.
- Se proprio ci tieni, verrò a brindare alla sua dipartita
... ma non adesso; ho bisogno di uscire. -
La mia maschera di ghiaccio doveva funzionare se nessuno riusciva a
cogliere la devastazione che nascondeva o, forse, più
semplicemente nessuno poteva credere che io, Damon Salvatore, potessi
avere un motivo plausibile per essere sul baratro della mia esistenza.
- Sua figlia la sta portando qui ... volevo che trascorresse le sue
ultime ore in casa nostra ...
Stefan non voleva mollarmi: che palle!
Avevo sete ... avevo voglia di sangue ... avevo voglia di andare a
sbattere contro un albero ... avevo voglia di mettere mille miglia tra
me ed Elena ... di tornare in camera e amarla fino allo finimento.
Invece ero intrappolato dallo sguardo tra il patetico e
l’accusatore che mio fratello mi rivolgeva.
- Che cosa vuoi che faccia? Che mi sieda al suo capezzale e le tenga la
mano finché non esalerà il suo ultimo respiro? O
preferisci che ponga fine alla sua agonia spaccandole l'osso del collo?
– domandai.
- Damon ... capisco che tu non senta empatia verso di lei, ma potresti
essere un po' meno sarcastico? A volte sei proprio insensibile ... -
Io ero insensibile ...
Io, che mi stavo frantumando ... che stavo rinunciando a vivere ... che
stavo ritornano nel nulla ...
Rassegnato ai lapidari giudizi del mio candido fratellino, feci dietro
front e raggiunsi l'allegra compagnia nel salotto.
Alle mie spalle sentii una macchina frenare nel vialetto: probabilmente
Kath e sua figlia erano arrivate.
Stefan mi oltrepasso per andare ad accoglierle, mentre io non volevo
nemmeno posare lo sguardo su colei che era stata la rovina
d’intere generazioni di persone.
Entrando in salotto, percepii la presenza di Elena.
Senza guardare dove fosse, mi avvicinai ai liquori e mi versai
un'abbondante dose di bourbon.
Sentii i passi di Stefan e di altre persone dirigersi al piano di sopra.
Jeremy e sua sorella stavano parlando sottovoce, mentre Bonnie
ascoltava silenziosa.
- Se ti chiedessero di guarirla, cosa faresti? - le domando il suo
ragazzo.
- Ti ha ucciso ... io sono un'ancora ... Elena ha patito le pene del'
inferno ... Caroline è un vampiro e tutto grazie a lei ...
Credo che meriti di andare incontro alla sua sorte. Poi anche volendo,
non ho più i miei poteri, quindi il problema non si pone. -
Nella stanza entrarono Stefan e Matt.
- Abbiamo portato Kath in una delle stanze. É grave e credo
che sua figlia voglia tentare l'impossibile ... - ci
comunicò Stefan laconico.
- Brindiamo alla sua imminente e gloriosa morte! – dissi,
alzando il bicchiere.
- Smettila di fare il cinico. – mi rimproverò
Stefan.
- Cerca di capire Stefan: non gioisco … non
m’intristirò … non me ne può
fottere di meno!
- E’ stata parte delle nostre vite …-
- La parte peggiore. Ognuno di noi ha un motivo per odiarla, forse
più di uno … nessun ricordo felice …
nessun motivo per rimpiangerla … nessuno, tranne tu,
l’unico ed infinito amore che si è preso la sua
ultima notte. –
Elena voltò lo sguardo verso mio fratello, stupita,
incuriosita e … gelosa?
Stefan si diresse verso la finestra sul giardino, in silenzio.
Decisi si sprofondare nel divano, in attesa del momento propizio per
andarmene. Non volevo rimanere per celebrare la più grande
stronza che avessi mai incontrato.
Cercai di ricordare il motivo per cui l’avevo amata, per cui
avevo trascorso decenni a struggermi per una sua falsa morte, a tentare
di riportarla in vita per poi sentirmi dire che non mi aveva mai amato
… che aveva amato sempre e solo Stefan.
Eppure allora non ero il mostro in cui lei e i sadici dottori mi
avevano trasformato. Non ero cinico … non ero marcio
… eppure …
Elena, seduta sul tappeto, seguì Stefan con lo sguardo, per
poi riposarlo su di me.
Piegai le labbra in un sorriso tagliente come la lama di un rasoio.
-A volte bisogna rassegnarsi: rianimare un moribondo significa solo
allungare le sue agonie. Combattere contro la sorte è un
atteggiamento suicida e deleterio: prima ci si rassegna, prima si va
avanti. –
- Parli con me o con Stefan? – chiese Elena.
- Parlo per chi mi vuole ascoltare. –
- Ascoltati prima di dire altre banalità –
replicò lei, alzandosi.
Era ovvio a tutti che qualcosa era accaduto tra me ed Elena, ma nessuno
osava proferire parola.
Kath parlava sommessamente con la figlia: stavano discutendo sulle
varie possibilità di sopravvivenza, di magie e contro
incantesimi, riti e antichi misteri.
Non volevo saperne nulla … non volevo essere parte di nuovi
esperimenti.
Elena aveva raggiunto Stefan e stavano parlando a voce bassissima, in
modo che nemmeno con l’udito vampiresco potessi ascoltare la
loro conversazione.
Lei aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva, mentre lui aveva lo
sguardo perso nel mare caldo delle iridi color cioccolato della mia
donna … della donna che non era più mia.
Lui alzò il braccio e le accarezzò dolcemente la
guancia, mentre lei gli afferrava la mano per trattenerla un attimo di
più, un attimo di troppo.
Era lui quello giusto? Ce ne sarebbe mai stato una abbastanza giusto
per lei?
Lo spettacolo delle loro amichevoli effusioni mi stava nauseando.
Non potevo rimare un attimo di più.
Nadia entrò nel salone, proprio mentre anche
l’amica oca di Elena faceva il suo debutto trionfale.
Dissero qualcosa … pronunciarono parole senza alcun suono,
mentre mi fiondavo fuori, per scomparire in un secondo oltre i confini
della mia proprietà.
Ormai il sole era allo zenit e le nuvole si erano dissolte.
Tutto quel trionfo di luce m’infastidiva, urtava contro il
mio desiderio di buio e oblio.
Sferrai un calcio a un sasso, la cui unica colpa era di trovarsi al
pasto sbagliato nel momento sbagliato.
Io ero nel posto sbagliato.
Io ero sbagliato.
Sbagliato per Elena … sbagliato per chiunque.
Mi ero illuso di poterla amare, mi ero illuso di poterne essere degno,
riscattare il mio passato con un presente diverso, con un futuro da
costruire.
Illuso … appunto.
Tutti vedevano il mio ritratto distorto … solo Elena ed io
ci illudevamo di poterne dipingere uno nuovo.
Con un pugno sradicai un piccolo albero, con un ringhio feroce feci
scappare uno stormo di uccelli … ma a che cosa serviva la
mia potenza, a cosa la mia ferocia, se non potevo scegliere come e con
chi vivere la mia vita?
Travolto dal fiume in piena delle mie sensazioni mefitiche, mi diressi
verso il Wickery Bridge, inizio e fine di ogni storia di questa
città.
Mi appoggiai al parapetto e aspettai.
Aspettai un segnale dal destino, un passante da dissanguare, un fulmine
che mi trapassasse, un alito di vento, una goccia di pioggia.
Come evocata, una giovane studentessa si materializzò nella
direzione che portava alla periferia della città.
Era piccola … un’adolescente ancora in bocciolo.
Il profumo del suo sangue mi violentò le narici: era tanto
tempo che trattenevo il mostro … troppo tempo che frustravo
il mio istinto.
Come un cobra, mi misi tra lei ed il pomeriggio appena iniziato.
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Capitolo 2 *** Creep ***
Capitolo secondo
CREEP
You're so fuckin' special
I wish I was special
But I'm a creep, I'm
a weirdo.
(Radiohead)
La
ragazzina era ancora molto giovane. I suoi capelli biondi erano
raccolti in una coda spettinata, le gambe avvolte in un paio di jeans
strappati e una candida maglietta bianca fasciava il suo torace ancora
acerbo.
Agganciai i
suoi occhi ai miei, in un richiamo ipnotico, e la costrinsi a seguirmi
lungo la riva del fiume che scorreva placido sotto il ponte. Nessuno ci
avrebbe visti … nessuno mi avrebbe disturbato.
-Shh
– le intimai. – Non urlare … non dire
una parola. –
La ragazza mi
guardò con l’innocenza di chi non ha mai commesso
alcun crimine e crede ancora nell’impossibilità
che, a Mystic Falls, possano accadere cose crudeli a creature indifese.
Un’illusione che avevo già letto molti anni prima
negli occhi di Elena, prima che il mondo le si rivoltasse contro, prima
che entrasse nel mio mondo.
Elena
… sempre Elena … comunque Elena.
Scacciai il suo
nome dalla mia mente e mi avvicinai alla fanciulla: cominciava a
sentirsi il pericolo, percependo il profondo sgomento che mi
attanagliava, uno sgomento inusuale in un vampiro che, come me, era
abituato alla brutalità … che aveva vissuto nella
brutalità, l’aveva inferta e subita a mani piene.
Ubbidiente al
mio comando, la mia nuova vittima non emetteva alcun lamento, ignara di
quello che volevo farle … che le avrei fatto.
-Piccola
… ho sete … ho solo bisogno di bere …
di bere la tua vita … -
Mi avvicinai a
quel piccolo corpo indifeso, reso immobile da un comando al quale non
poteva disubbidire, e mi avvicinai alla sua gola.
La paura
repressa le faceva pulsare la carotide in modo invitante; le passai il
dorso delle dita sulla pelle tesa sopra l’arteria e mi
avvicinai ferino.
-Durerà
solo un attimo, solo un attimo e poi … -
Accostai i miei
canini affilati, spostandole i ciuffi di capelli che scendevano lungo
il collo e feci per azzannarla.
Profumava di
gioventù e di vaniglia.
Invece dei
denti, appoggiai al collo la mia fronte, incapace di infierire in una
pelle ancora inviolata, di rubare una vita ancora inconsapevole
…
O forse le
avrei fatto un favore? Fermare i suoi giorni prima che diventassero
notti, lasciare chi i suoi sogni non si trasformassero in incubi, le
sue speranze in disillusioni?
Ma quando mai
mi ero fatto tali e tante seghe mentali?
Io ero Damon
Salvatore, quello cattivo … il mostro … io non
badavo a certo a chi azzannavo, al perché: ero un predatore,
un assassino … un traditore.
Eppure, quella
pelle bianca era una barriera impenetrabile, un veto assoluto che non
potevo violare.
Guardai ancora
negli occhi la ragazza senza nome e le sussurrai di scappare, di
dimenticare.
Maledicendo la
mia debolezza, mi sedetti sulla riva del fiume e cominciai a lanciare
sassi nella corrente.
Non potevo
essere come Elena avrebbe voluto …
Non potevo
tornare ad essere quello che io avrei voluto …
Ero bloccato in
un limbo, con un piede nella melma del passato e l’altro in
bilico nel vuoto.
… e
questo mi consumava.
Mi faceva
sentire spezzato, rotto, inceppato … una pistola carica con
la polvere da sparo bagnata … un’arma inutile.
Quando la luce
nel cielo prese i colori del sangue che tanto bramavo, mi alzai,
rassegnato a tornare sui miei passi.
Dentro di me mi
augurai che tutta la faccenda di Katherine fosse finita, in qualsiasi
modo. Volevo tornare a casa, prendere una sacca di sangue e chiudermi
in camera, per cercare una qualsiasi soluzione a quella situazione di
stallo.
Avvicinandomi
al pensionato, vidi che tutte le luci erano spente, ad eccezione della
fiamma del camino, che colorava di rosso le finestre del soggiorno:
pochi ceppi si erano trasformati in braci roventi, senza più
fiamma.
Facendo il giro
dal retro, entrai e mi recai verso il frigorifero che conteneva le
sacche di sangue.
Ne afferrai a
caso e mi diressi in camera mia, silenzioso e fulmineo, sperando di non
incontrare nessuno.
La casa
sembrava deserta, e nessun rumore indicava una qualunque presenza.
Entrai nella
mia stanza e chiusi la porta, spingendola con la schiena.
Sentii subito
la sua presenza, la sentii nonostante trattenesse il respiro per non
farsi scoprire.
-Sei ancora
qui? – domandai all’ombra seduta sul letto.
-Dove altro
dovrei essere? –
- In qualsiasi
altro posto …
-
L’unico posto dove vorrei essere è qui con te
… -
-
L’unico posto dove non dovresti essere è qui con
me … Elena, per favore, non rendere tutto più
difficile –
- Damon, non
è difficile … anzi è facilissimo: io
ti amo e voglio stare qui con te! –
- Elena, non
è difficile … anzi è semplicissimo: io
ti amo e non ti voglio qui con me! –
Lei si
avvicinò silenziosa e posò la sua mano sulla mia
guancia, un gesto che usava fare ogni volta che voleva entrare in
connessione con i miei pensieri.
-Damon
… -
Se le avessi
permesso di proseguire, tutti i miei propositi per la salvezza della
sua essenza, per lasciare integra la sua anima, si sarebbero
volatilizzati come piume di un cuscino rotto.
Richiamai tutta
la mia cattiveria … e non fu difficile: rivolsi verso di lei
tutta la rabbia che avevo contro me stesso.
Le presi le
mani e la scaraventai contro il muro, tenendole i polsi in una morsa
ferrea, bel sollevati sopra la testa.
La schiacciai
col mio corpo contro la parete fredda.
-Cosa vuoi,
Elena? Una scopata d’addio? –
La girai con
violenza, tirandole i capelli per farla inclinare la testa
all’indietro. Lei non emise un suono.
-In fondo
cos’altro abbiamo avuto nella nostra splendida estate?
Cos’altro volevi da me se non uno stallone pronto a
soddisfare ogni tua voglia? –
In un impeto di
ribellione, Elena cercò di voltarsi per guardarmi in viso.
-Sicuro, Damon:
raccontatela e credici! – disse sarcastica.
-Beh
… adesso sono disposto a darti solo questo … e
solo per un’ultima volta, se proprio insisti … -
-Vai al diavolo
… -
- Io sono il
diavolo! –
Accecato dalle
bestialità che stavo dicendo e dalla brutalità
con cui stavo trattando la persona più importante della mia
intera esistenza, lasciai che il mostro riaffiorasse e, dimenticando
che Elena era un vampiro, affondai i miei denti nella sua giugulare.
Elena emise un
debole lamento, tentando di liberarsi dalla morsa dei miei denti: tutto
il dolore che c’era tra noi aveva annullato ogni possibile
estasi che lo scambio di sangue procurava ai vampiri.
-Lasciami
… - imprecò.
Il suo sangue
scese nella mia gola, graffiandomi dentro.
Mi separai da
lei e la scostai, spingendola in mezzo alla camera.
-Allora
… scopiamo o no? – grugnii guardandola assatanato,
senza un briciolo di umanità nella voce.
- Vai a fa
‘n culo, Damon … fottiti tu! Non sono disposta a
farmi insultare … non sono disposta ad essere la tua valvola
di sfogo: sei furioso con te stesso? Va bene: se vuoi il mio aiuto, non
hai che prendertelo … se vuoi ferirmi, puoi farlo
… ma non ti permetto di umiliarmi … non ti
permetto di umiliare il nostro amore … non ti permetto di
infangare l’uomo che amo! Vuoi che me ne vada? Ok
… se la mia presenza ti urta … se il tuo amore
è tanto fragile da crollare alla prima difficoltà
… me ne vado. –
Così
dicendo, aprì l’armadio e cominciò a
togliere le sue cose, raccogliendo i suoi indumenti dalle grucce ...
dai cassetti … dal pavimento.
Con la manica
della maglia asciugava le lacrime che non riusciva a trattenere.
Se ne stava
andando.
Stava
raccogliendo le sue cose …
Stava infilando
in una borsa i suoi vestiti … quella camicia da notte che le
avevo tolto tante sere fa … il reggiseno appeso al bordo del
letto … quello della prima volta …
Gli indumenti,
lasciati per giorni sopra al pavimento, erano i testimoni dei nostri
abbracci, della voglia di sentire la pelle sotto la pelle: non riuscivo
a sopportare di vederli inghiottiti dal cuoio della valigia
…
Incapace di
fermarmi, volai verso di lei e le afferrai la vita da dietro,
trattenendola come se stesse per crollare in un burrone.
-Fermati, ti
prego ... – le sussurrai.
- Lasciami!
– protestò, cercando di liberarsi dalla mia presa.
- Un attimo
… un attimo solo … fermati. –
Lei divenne una
statua, i pugni chiusi e i muscoli tesi.
Senza cambiare
posizione, appoggiai il mento sulla sua spalla.
-Elena
… quando lo capirai che lo faccio per te? –
- Vigliacco!
–
- Non vuoi
capire! Lo capiscono tutti … lo hanno capito tutti
… solo noi siamo stati ciechi davanti all’evidenza
… ma io ti amo e non posso trascinarti ogni volta nelle mie
battaglie contro un passato che presenta il conto delle mie malefatte
… -
- Vigliacco!
–
- Io andrei nel
fuoco per te … io, per te, sto andando all’inferno
… -
- Tu sei solo
un gran vigliacco! Oh, certo … quando devi fare
l’eroe, quando ti devi prendere una freccia al mio posto
… uccidere qualcuno per salvarmi … quando devi
compiere un gesto plateale, sei in prima linea … ma quando
ti si chiede un impegno costante … quando ti si chiede di
combattere le piccole battaglie quotidiane … scappi!
- Ma
… io … -
- Tu sei un
bastardo … testosteronico … maschio del cazzo!
– era furibonda.
Si
liberò dalla mia presa, ormai debole, e mi guardò
dritto in faccia.
-Tu mi hai
detto che non puoi cambiare? Beh … notizia
dell’ultima ora: sei già cambiato! E non per me
… non per tuo fratello … ma perché tu
hai voluto cambiare, tu hai voluto disseppellire quella parte che avevi
sepolto, per poter tornare ad amare, per poter tornare ad essere felice
… -
- Ti sembro
felice? – urlai. –Ti sembro rinato? Sono
l’ombra di me stesso, divorato dai sensi di colpa per quello
che ho fatto, che ti ho fatto … che sicuramente ancora
farò! –
- Che cosa
vorresti fare, allora? Spegnere tutto un’altra volta e
lasciarmi nell’angoscia? Lasciarmi senza amore? –
- Dovrei
… vorrei … -
- E allora
fallo, vigliacco … fallo e seppellisci ancora una volta
quella meraviglia che si nasconde dietro muri di cartone …
fallo e fai decomporre la persona che amo e che amerò per
sempre. –
- Quella
persona non esiste! È solo la proiezione dei tuoi desideri!
Io sono …-
- Bla bla bla:
io sono un mostro … io non posso cambiare … io ti
farò del male … bla bla bla … Damon!
Forse non te ne sei accorto, ma sono diventata una donna …
una vampira. Ti ho visto … ti conosco … e ti ho
amato, ti amo, per come sei. Quante altre volte dovrò
ripetertelo. Ma tu non vuoi sentire, non mi vuoi ascoltare:
è molto più semplice costruire una barriera e
continuare a recitare la parte del cow boy solitario, senza impegni e
senza legami … e questo mi delude più di tutti i
tuoi omicidi … delle tue barbarie sanguinose, del tuo
passato oscuro. –
Le sue parole
mi ponevano di fronte ad uno specchio ... ogni velo stava
cadendo e mi vedevo nudo ... indifeso.
Davvero aveva
ragione lei?
Davvero stavo,
ancora una volta, distruggendo per il timore di venire distrutto?
Una cosa era
certa: se avessi permesso al tempo e a Elena di lasciarmi mentre ero
spoglio di ogni difesa, mi sarei disintegrato.
Una cosa era
sicura: se avessi permesso al tempo e alle mie colpe di ferire Elena,
sarebbe stata la mia condanna alle fiamme eterne.
Perché?
Perché
doveva essere tanto difficile?
Perché
amare era così difficile?
Mi sedetti sul
pavimento, la schiena appoggiata al letto.
Elena era
ancora immobile di fronte a me, il viso sfatto dalle troppe lacrime e
dalla frustrazione.
Fissavo vacuo
le punte dei suoi piedi.
Silenzio.
Che cosa
eravamo lei ed io?
Un uomo e una
donna che non avrebbero dovuto incontrarsi mai … che, in un
mondo normale, non si sarebbero mai incontrati.
Invece, siamo
scivolati in una storia contro cui niente e nessuno ha potuto nulla:
noi contro il destino … noi contro l’universo
… noi contro tutti.
La nostra era
una relazione nata sotto la maledizione di una cometa, rubata a un
altro amore, combattuto da antichi malefici; una storia fatta di
piccole schegge infilate nel cuore … di quelle che ti
mozzano il fiato.
Una storia mai
uguale, diversa ogni giorno, ogni giorno più vera,
coinvolgente avvolgente … spaventosa.
Io sono quello
sbagliato.
Troppo diverso
… troppo perverso … troppo debole.
Eppure
…
Pur vedendo il
baratro, lei mi è venuta incontro … io le sono
andato incontro …
Impossibile
fermarsi … impossibile non sentirsi … non amarsi.
Ogni volta che
abbiamo tentato di combatterci erano lacrime e sofferenza …
ogni volta che tentavamo di eluderci, ci sentivamo inesorabilmente
attratti …
Lei
soddisfaceva il mio bisogno di abbandono, la mia voglia di lasciarmi
andare per quello che sono … per come sono … con
ogni mia sfumatura, senza maschere o camuffamenti.
Per quanto
tempo avremmo potuto proseguire senza ferirci a morte?
Per quanto
tempo avrebbe sopportato il mio passato di violenza e sangue?
Per quanto
tempo avrei potuto sopportare di vederla accettare
l’inaccettabile?
Sentii il corpo
di Elena scivolare accanto al mio.
Sentii le sue
mani afferrare la mia testa, portarla sul suo seno: cominciò
a cullarmi, come con un bambino impaurito … come con un uomo
perso e ritrovato, graffiato dai rovi di una foresta insidiosa.
Affondai la mia
disperazione nella sua carne morbida e lasciai che le sue dita tra i
miei capelli scompigliassero i miei pensieri.
E rimanemmo
così … ad aspettare il mattino.
“In fondo a
quest’oggi c’è ancora la notte
in fondo alla notte,
c’è ancora … c’è
ancora …”
F.G.
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