Save me from my solitude

di Alkimia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** overture ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** capitolo quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventunesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventiduesimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitreesimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventiquattresimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo venticinquesimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventiseiesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventisettesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventottesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo ventinovesimo ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentesimo ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentunesimo ***
Capitolo 33: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** overture ***


OVERTURE

Ho ancora la forza che serve a camminare...
Aveva ancora la forza, a dispetto del mondo, quel mondo ai cui occhi la sua deformità rendeva il bisogno d'amore una colpa quasi più grave degli assassini che aveva compiuto.

Le schegge di vetro gli avevano graffiato le mani e i polsi, ma Erik continuava a scagliare con forza il candeliere contro la sua immagine riflessa nello specchio, come se volesse distruggere sé stesso più che la superficie di vetro.
Il lungo corridoio oltre la cornice era buio, l'oscurità gli sembrò quasi l'abbraccio consolatorio di una madre dopo che tutto il pubblico dell'Opera Populaire aveva posato lo sguardo su quel viso deforme che l'uomo aveva celato per una vita intera. Dopo che anche LEI aveva posato gli occhi sul suo volto di mostro.

Lei... lei che non lo amava, lei che aveva scelto un altro, lei l'angelo per cui Erik si era dannato l'anima. Lei che era andata via, ma che prima di sparire si era voltata verso di lui.

Se in quel buio ci fosse stata una creatura della notte, un vampiro, in agguato per bere il suo sangue, lo avrebbe trovato amaro come bile. Quell'amarezza Erik la sentiva in bocca, nel cuore, nel respiro, in quelle maledette lacrime che gli rigavano le guance e sembrava quasi che gli tagliassero la pelle.

Ma ho ancora la forza...

Il respiro diventava via via sempre più irregolare mentre l'uomo correva lungo il corridoio. Quel cunicolo di pietra portava alle stalle del teatro, lì avrebbe preso un cavallo e sarebbe fuggito via, in un posto dove nemmeno i rimorsi e il rancore avrebbero più potuto raggiungerlo, dove la storia del Fantasma dell'Opera sarebbe diventata una leggenda anche per lui.
Era stanco e annientato da un male che che aderiva al suo corpo come la stoffa dei pantaloni ancora bagnati.
Ma aveva ancora la forza...

Dov'è che un uomo prende la forza in momenti in cui tutto sembra perduto?
Il voler mettersi in salvo era forse la cosa più folle in tutta quella pazzia, morire sarebbe stato più facile... più sensato. Ma ciò che era accaduto dimostrava che da quando l'amore era entrato nel suo cuore, la sensatezza aveva abbandonato la sua mente.

Il corridoio si allargava appena e terminava con un muro sul quale c'era un pannello di legno che non era visibile dall'esterno. Tastando nella penombra i contorni della superficie della porta segreta Erik trovò la molla che ne consentiva l'apertura e la fece scattare.
La stalla era vuota: erano tutti alla prese con l'incendio divampato nel teatro, e quelli che non  stavano spegnendo il fuoco erano nei sotterranei in cerca di lui.
Nel silenzio poteva sentire lo scoppiettio del fuoco... il fuoco, quale giocattolo migliore per il Figlio del Diavolo?

L'uomo staccò una lampada ad olio dal muro e prese a sellare un cavallo con gesti rapidi, si interruppe quando sentì dei suoni flebili provenire da un angolo in ombra.
Prestò attenzione a quei suoni solo quando riconobbe in essi delle parole precise
“Mamma... mamma... dove sei?”,
Erik puntò istintivamente la lampada verso il cono d'ombra dal quale sentiva provenire la voce, preso dai suoi pensieri e dal suo dolore riuscì comunque a stupirsi quando si rese conto che c'era una bambina rannicchiata contro la parete, seduta sul pavimento con la testa tra le ginocchia. I capelli castani lunghi e ondulati le coprivano il viso delicato illuminato da grandi occhi scuri dai quali scendevano grossi lacrimoni, doveva avere circa sei anni.

L'uomo restò alcuni minuti con il braccio sollevato a reggere la lampada, incerto sul da farsi, quella bambina avrebbe potuto urlare e farlo scoprire, ma nel frattempo lei, confortata dalla luce e dal fatto che non fosse più sola, aveva smesso di piangere. Si sollevò facendo frusciare la veste di raso e merletti ricca ed elegante quanto quella di una gran dama dell'alta società parigina. Venne verso di lui con passi aggraziati, Erik si stupì del fatto che il suo viso non la spaventasse... ma del resto era una bambina e forse credeva che la deformità dei suoi lineamenti fosse solo un trucco da teatrante.
“Signore, puoi aiutarmi a trovare la mia mamma?” disse la piccola con vece cristallina,
Erik ebbe un sussulto, la bimba si fermò davanti a lui e gli puntò in viso i suoi occhi nerissimi e vivaci.
Non poteva farle del male, gli occhi imploranti della piccola sembrava gli succhiassero via le poche energie che il dolore non aveva ancora consumato.
Tutta Parigi era sulle sue tracce e quell'esserino gli stava chiedendo di aiutarla...
“Non posso aiutarti, vai via” rispose l'uomo con un tono più gentile di quanto avrebbe voluto. La piccola arricciò le labbra in un'espressione triste e dal tremolio dei suoi occhi Erik capì che stava per mettersi a piangere di nuovo, infatti pochi secondi dopo emise un singhiozzo sordo,
“Eravamo nel teatro quando è scoppiato l'incendio- disse la piccola con voce tremula- la gente è iniziata a scappare da tutte le parti e io ho perso la mia mamma... ti prego aiutami”
l'uomo non si chiese cosa ci facesse una bambina così piccola a teatro, davanti alla morsa che gli stringeva il cuore ogni cosa perdeva di importanza, tuttavia sospirò,
“Mostro fino in fondo” si disse con una smorfia di disgusto per sé stesso, si chinò e prese la bambina tra le braccia. Non sapeva che fare, ma se la madre di quella bambina l'aveva persa mentre era in teatro di sicuro era ancora lì dentro, nessuna madre sarebbe andata via senza sua figlia, nessun genitore avrebbe abbandonato la sua bambina... come sua madre aveva fatto con lui.
“Se tua madre era nel teatro quando l'hai persa allora è ancora lì” sussurrò osservando l'espressione della bambina che sembrava perfettamente tranquilla mentre gli posava le braccia intorno al collo.

Sfruttando un altro dei passaggi segreti che conosceva Erik raggiunse il salone di ingresso dell'Opera, che come previsto era vuoto, sgattaiolò con attenzione nel corridoio che conduceva agli alloggi delle ragazze che venivano a studiare danza nel collegio dell'Opera, entrò furtivamente nella stanza di madame Giry, accese la luce e mise a sedere la bambina su una sedia,
“Resta qui e non muoverti, arriverà qualcuno” concluse. Non poteva fare di più per lei, ora doveva pensare davvero a mettersi in salvo.  
Erik fece per andare via dirigendosi velocemente verso l'uscita,
“Grazie, signore...” disse la bambina con vece dolce
lui le lanciò uno sguardo indecifrabile prima di uscire,

Ho ancora la forza...” si disse, poi si lasciò inghiottire di nuovo dal buio.
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Note:
la frase "ho ancora la forza che serve a camminare" è presa dal testo della canzone "ho ancora la forza" di Francesco Guccini
Ringrazio la mia betareader Ilaria che mi ha gentilmente sOpportato e sUpportato

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


CAPITOLO PRIMO

Fuoco, fumo che toglieva il respiro, urla, paura, gente che correva. L'incendio distruggeva i velluti delle tende e lo stucco delle decorazioni barocche del lussuoso teatro dell'Opera...
Ma alla donna non importava cosa fosse successo e perché. E non le importava nemmeno di salvarsi dall'incendio che stava per devastare la sala.
Aveva appena assistito a una scena del tutto surreale, era andata a teatro per la rappresentazione di un'opera in musica, il “Don Juan Trionfante” di un autore anonimo. La rappresentazione era partita bene, Christine Daae, la graziosa soprano, aveva dato prova di una grande bravura, nonché di grandi capacità interpretative nella parte di Aminta, nel bel mezzo della prima scena lei e l'uomo che interpretava don Juan si erano lanciati in un duetto talmente sensuale che aveva messo in imbarazzo i ricchi e raffinati signori del pubblico. A lei, a Diane de Valois, quel ballo e quella musica erano piaciuti, non era una donnina subdola e maliziosa, anzi ne sapeva fin troppo poco della passione per poter immedesimarsi nei personaggi che avevano preso vita sul palco, ma forse fu per questo che quelle scene portarono particolarmente in alto i suoi sogni quella sera. Del resto era per questo che lei andava a teatro.
Ma all'improvviso la soprano aveva smascherato il suo compagno, sotto la maschera nera era apparso un volto deformato da una grossa piaga che si stendeva su tutto il lato destro del viso. Quello spettacolo aveva avuto l'effetto di strappare dalla platea un'esclamazione collettiva di disgusto che si era tramutato in vero e proprio terrore quando l'uomo aveva tagliato una corda e il grosso lampadario che illuminava il teatro era crollato ai piedi del palco provocando un incendio che aveva preso piede con la stessa rapidità con cui l'uomo e la ragazza erano spariti...
La gente aveva preso a scappare in ogni direzione, sul palco la Daae e l'uomo erano scoparsi inghiottiti da una botola, il visconte de Chagny era corso dietro le quinte con aria concitata, alcune persone si erano unite ai poliziotti e si scambiavano proposte sul come trovare “il mostruoso carnefice”...
Ma di tutto questo a Diane importava ben poco in quel momento.
Era venuta a teatro con Vivianne, sua figlia. La bambina aveva solo sei anni e quando aveva visto la madre uscire di casa aveva insistito per andare con lei, così Diane l'aveva portata con sé a teatro, quando la gente aveva cominciato a correre via la bambina era stata trascinata dalla folla e sua madre l'aveva persa di vista.
A costo di bruciare insieme al teatro, Diane non si sarebbe mossa di lì fino a quando non avesse avuto la certezza che la piccola era in salvo.
“Venite via madame!- disse una voce spaventata -Signora marchesa, venite via, vi prego!”
Diane continuava a guardarsi intorno cercando di scorgere tra il fumo e gli sbuffi di cenere il volto di sua figlia. Due mani forti e ruvide l'afferrarono indelicatamente per le spalle e la trascinarono via.

*

La donna non voleva sapere, adesso si voleva concedere il lusso di avere paura ed essere debole, comunque sarebbe andata a finire... e sarebbe finita presto, in un modo o nell'altro.
Eloise Giry sapeva che il palcoscenico non è l'unico luogo dove la gente recita, dove nasce la finzione... lei aveva recitato la parte della donna assennata per una vita intera, ma il fuoco che stava devastando il teatro era una prova evidente di quanto poco senno ci fosse in ciò che aveva fatto.
Si poggiò con le spalle contro la parete del corridoio e sospirò. Era evidente che aveva sbagliato qualcosa... aveva sbagliato a proteggere lui o a non riuscire a proteggere gli altri?
Ma tra LUI e gli altri non aveva mai saputo scegliere... e forse era questa la sua colpa più grande.
Un senso gelido e pungente di angoscia le attanagliò lo stomaco, tanto che desiderò che il suo cuore bruciasse insieme con il teatro per non dover più sentire niente. Eppure, anche lì da sola, in quel corridoio buio che portava alle sue stanze madame Eloise riuscì a trovare il contegno necessario ad evitare le lacrime. Tra le mani stringeva la maschera nera del Don Juan, l'aveva raccolta dal palcoscenico prima che fosse sommerso dalle fiamme. Parigi intera avrebbe potuto continuare a reputarlo un mostro, ma il ricordo che lei avrebbe conservato di Erik sarebbe stato il ricordo di una persona a cui aveva voluto bene. Anche se ora non voleva saperlo... non voleva sapere cosa ne era stato di lui... di Christine Daae che considerava una seconda figlia, di Raoul de Chagny...
Continuò a camminare poggiandosi al muro, nel buio vide un'ombra proprio davanti alla porta della sua stanza. Sobbalzò,
“Sei tu?...” disse con un filo di voce
l'ombra non rispose
“Erik?...” domandò ancora la donna sicura di non essersi ingannata, lei aveva imparato a riconoscerlo persino dal silenzio delle sue apparizioni furtive,
l'uomo venne avanti, fu come se la sua figura emergesse dal buio mentre raggiungeva il cono di fioca luce proiettato dalla luna che filtrava attraverso una piccola finestra, il volto continuò a restare in ombra, madame Giry pensò che nemmeno lei lo aveva più visto senza maschera dalla notte in cui lo aveva portato con sé all'Opera.
“Odiami anche tu, così potrò andarmene senza rimpianti” sibilò la voce di Erik priva di emozione,
“Non ti odio... e in questa faccenda non sei il solo ad avere delle colpe, ho colpe anche io” rispose la donna,
lui non disse niente, lei gli porse la maschera
“Pensavo di conservarla, ma forse ne hai bisogno” aggiunse. Per l'uomo fu quasi un sollievo poterla indossare di nuovo, quando l'ebbe allacciata dietro la nuca permise alla pallida luce di illuminargli anche il volto mascherato,
“Potrei lasciarmi prendere, e sarebbe tutto finito, sarei morto nelle loro mani prima di domattina” disse
“E di me, cosa ne sarebbe?- rispose la donna spaventata da quelle parole- i miei sensi di colpa sono già abbastanza grandi, non sopporterei l'idea di non saperti in salvo”
“Hai passato la vita a proteggermi, all'insaputa di tutti, perfino di tuo marito, ma non sono più un ragazzino impaurito, Eloise”
“Ho passato la vita a prendermi cura di te, è vero... e l'unica cosa che puoi fare per ripagarmi di quello che ho fatto per te ora è metterti in salvo”
Erik annuì
“Addio, Eloise” mormorò, e prima che la donna avesse tempo di rispondergli sparì inghiottito dal buio, proprio come un fantasma.

*

Il braccio di Raoul sanguinava ancora mentre sul suo collo si stava illividendo un solco violaceo in corrispondenza del punto in cui il cappio lo aveva stretto, come le impronte delle dita della morte passate sulla sua gola.
Con l'altro braccio il giovane uomo cingeva le spalle della ragazza... finalmente solo sua, finalmente libera, finalmente in salvo.
Sarà per sempre in me...” pensò di nuovo Christine premuta contro il velluto del sedile della carrozza che saettava nella fresca sera parigina.
Il silenzio dopo la musica lascia sempre l'opaca sensazione del risveglio da un sogno. E ora si che non ci sarebbe stato nient'altro che silenzio.
Lei scrutò il viso di Raoul, la tensione che si stava allentando rendeva le palpebre pesanti, gli occhi bruciavano.
Era strano come la sensazione di sicurezza si confondesse con l'angoscia. L'Angelo della Musica l'aveva lasciata andare.
Christine era giovane e inesperta, ma non abbastanza da non sapere che ogni scelta comportava sempre una rinuncia. Lei aveva scelto ma sapeva che il ricordo della persona a cui aveva rinunciato non le avrebbe mai lasciato pace. Dopotutto la scelta le era sembrata facile... era la rinuncia che le avrebbe pesato con l'andare del tempo, non si può pensare di fare a meno di un pezzo della propria anima.
Christine ti amo...” glielo aveva detto cantando, e l'idea che il suono di quella voce d'angelo si perdesse nella memoria le faceva intravedere la prospettiva di una vita diversa, più serena e radiosa ma più vuota... più silenziosa.
Non avrebbe dovuto voltarsi verso di lui prima di andare via, ora sapeva che il ricordo di quelle lacrime non le avrebbe mai lasciato tregua se mai si fosse trovata sola con i suoi pensieri. Nell'angolo più remoto della sua mente si augurò che il Fantasma dell'Opera fosse morto. Quell'uomo non avrebbe mai avuto pace su questa terra, e lei preferiva saperlo morto e in pace, che in vita e dannato... dannato a causa sua.

*

Dietro le macchie nere lasciate dalla cenere il volto di Diane era pallido,
“Vivianne... bambina mia...” singhiozzava, ripetendo ossessivamente il nome di sua figlia con la voce ormai ridotta a un rantolo confuso.
L'avevano portata via dal teatro e l'avevano condotta fuori, all'aperto. Sul piazzale dinnanzi all'Opera si era riversata tutta Parigi, gente volenterosa di aiutare a placare l'incendio o semplicemente curiosi richiamati dalle fiamme. I cavalli erano imbizzarriti e i cocchieri faticavano a calmarli. I passeggeri delle carrozze chiedevano di affrettarsi a domarli e di tornare a casa al più presto per poter dimenticare una serata fin troppo movimentata.
Tutta Parigi... e nessuno a cui interessasse di quella madre che piangeva per sua figlia. Se qualcuno dei presenti chiedeva delle sorti di qualcun'altro era solo per sapere del Fantasma dell'Opera:
“L'hanno preso dunque quel mostro?”
“Quell'assassino... spero abbia avuto la sorte che meritava e che sia morto nella sua fogna”
“Spero che lo prendano, voglio vedere la sua testa in mano al boia, sempre che non lo ammazzino di botte prima...”
affermazioni come queste serpeggiavano tra la gente accorsa nella piazza.
Ma Diane non prestava ascolto a nient'altro che non fosse la sua angoscia. Ogni boccata d'aria che respirava le sembrava un furto commesso ai danni del destino... se il cielo quella sera aveva ancora bisogno di reclamare qualcuno doveva essere lei, non la sua piccola Vivianne.

Quando scorse la figura di sua figlia per mano a quella donna, in cima alle scale del teatro, per un attimo pensò che si trattasse di un'allucinazione, invece la bambina lasciò andare la mano della sua accompagnatrice e corse incontro alla madre.
“Vivianne, piccola mia!” esclamò Diane sollevando la bimba tra le braccia e baciandole il viso delicato,
lei si strinse contro la donna
“Mamma... scusa se ti ho fatto preoccupare... io non volevo, ho avuto paura e sono scappata” singhiozzò,
“Non importa amore mio, non importa- rispose la madre accarezzandola, poi guardò la donna che l'aveva accompagnata- grazie madame per avermela riportata”
“L'ho trovata nelle mie stanze, signora marchesa, evidentemente era scappata lì per proteggersi dall'incendio” spiegò madame Giry
“No, ero scappata fuori, nelle stalle- spiegò Vivianne con premura- ho trovato un signore che mi ha portato dentro...”
madame Giry aveva intuito che doveva essere stato Erik a portare al chiuso la piccola, ma preferì non dire niente, se si fosse saputo i suoi inseguitori avrebbero intuito che lui era ancora nei paraggi, che era ancora vivo. La marchesa non prestò troppa attenzione al racconto di sua figlia, sollevata com'era dall'averla ritrovata sana e salva.
“Grazie ancora, signora” disse Diane guardando madame Giry con un sorriso cordiale offuscato dalle lacrime che scendevano piano portandosi via un po' delle fuliggine che le macchiava il viso,
“Non ringraziatemi, madame, sono una madre anche io” rispose l'altra donna sforzandosi di ricambiare il sorriso... tutta Parigi lì fuori e nessuno che immaginasse minimamente la pena che lei stava provando in quel momento.

*

E' finita ora, la musica della notte...”, la musica aveva lasciato il posto a un silenzio e quell'assenza di suono aveva per lui un'aria innaturale, lui che aveva il grande dono di trasformare ogni silenzio in melodia semplicemente sedendosi al suo organo o imbracciando il suo violino.
Il cavallo correva come un fulmine per le strade di campagna, come se il tormento dell'uomo che portava in groppa fosse anche il suo, il buio lo proteggeva dagli occhi di Parigi, dagli sguardi della folla che avrebbero fatto male più delle bastonate che avrebbe certamente ricevuto se lo avessero preso. Erik sperava che il vento che gli soffiava violentemente contro avrebbe portato via un po' del suo dolore. Anche se in quel momento non riusciva a pensare a niente... voleva solo scappare. Scappare dal suo teatro che aveva distrutto con le proprie mani, scappare dal male che aveva fatto e da quello che aveva ricevuto.

Si fermò nei pressi di un ruscello per lasciare che il cavallo si abbeverasse e riprendesse fiato.
L'istinto di sopravvivenza è un lato strano della natura umana, ti costringe a lottare per metterti in salvo anche quando non hai nessun motivo per andare avanti. Ed Erik di motivi davvero non ne aveva, e nemmeno sapeva dove cercarli.
Gli tornò in mente la bambina che aveva incontrato, lei gli aveva chiesto aiuto, per la prima volta in vita sua Erik aveva ricevuto un ringraziamento per qualcosa di buono che aveva fatto.
L'istinto di sopravvivenza... forse è semplicemente una dimostrazione del fatto che il cuore di ogni uomo conserva anche nei momenti peggiori una manciata di speranza.
E l'ultima impercettibile scintilla di speranza per lui si era accesa nello sguardo dolce di quella bambina, più che nelle ultime parole che aveva scambiato con Madame Giry.
O forse preferì pensare solo alla bambina per non pensare a lei, a Christine. In tasca aveva l'anello che lei gli aveva reso prima di andarsene, lo prese e ne fissò il luccichio facendolo saltare sul palmo della mano,
“Malgrado tutto, Christine ci apparterremo sempre” mormorò stringendo il gioiello nel pugno, poi spronò di nuovo il cavallo e ripartì, incitando la bestia a correre più che poteva.

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


CAPITOLO SECONDO

Il sole filtrò prepotente tra le pesanti tende di velluto scuro, penetrando persino nel baldacchino del ricco letto.
Diane si girò di lato e nascose la faccia sotto al cuscino, la sera prima non era stata piacevole come avrebbe dovuto essere. Lei amava il teatro, ma recandosi all'Opera non avrebbe mai creduto di ritrovarsi spettatrice di una catastrofe, meno che mai avrebbe immaginato lo spavento che aveva preso per sua figlia, quella bambina era l'unica gioia della sua vita e se le fosse accaduto qualcosa non avrebbe avuto motivi di continuare ad andare avanti.
Era la ricca e conosciuta Marchesa de Valois, ma né il denaro né il titolo bastavano a fare la felicità di una persona.
A diciotto anni suo padre le aveva combinato un matrimonio tra lei e il marchese Luois de Valois, un uomo con una promettente carriera politica davanti, nonché figlio di una delle più ricche e potenti famiglie della nobiltà parigina, per il matrimonio la ragazza dovette lasciare la sua Marsiglia e trasferirsi a Parigi. Diane sapeva che una ragazza di buona famiglia non poteva sperare di sposarsi per amore, di scegliere l'uomo che avrebbe voluto al suo fianco, e non si era presa nemmeno la briga di protestare quando suo padre le aveva detto di averle trovato marito, e tutto sommato non le era andata male: Louis aveva dieci anni più di lei ma era un bell'uomo e comunque una persona che l'aveva sempre rispettata e trattata come la migliore delle mogli. Ma non poteva renderla felice, non lui, estremamente corretto nei suoi confronti, ma attaccato più al suo lavoro che alla famiglia e privo dello spirito e dell'allegria necessaria a far sorridere una donna. Per fortuna un anno dopo il matrimonio era nata Vivianne e Diane aveva ritrovato nella maternità uno scopo per la sua esistenza.
La bambina era venuta al mondo un giorno di gennaio, una mattina in cui Parigi era stata sorpresa da una nevicata inaspettata. Spiando dalla finestra la donna aveva visto la neve luccicare sotto un accenno di sole, come se tante piccole stelle di ghiaccio fossero arrivate a fare dono della loro luce a quella nuova piccola anima.
Un paio di anni dopo suo marito era stato nominato ambasciatore di Francia e aveva vissuto molto tempo fuori dal paese. Non c'era mai, e la sua assenza aveva fatto perdere alla giovane donna ogni speranza di poter trovare in quel matrimonio almeno una piccola parte della felicità che si auspicava  e a cui credeva di aver diritto.
Si era detta che prima o poi, a forza di convivere con Louis, avrebbe imparato ad amarlo. Le circostanze le avevano dato torto, e non perché suo marito non fosse una persona amabile, ma avevano vissuto così poco insieme che i loro rapporti erano comunque molto formali, si parlavano molto di più per lettera quando erano lontani che non a voce quando lui tornava a Parigi.
Il motivo per il quale Louis de Valois avesse voluto sposare una donna a lui del tutto sconosciuta, col solo merito di appartenere a una ricca famiglia dell'alta borghesia marsigliese, Diane aveva messo poco tempo a capirlo: tra i nobili un uomo che non si sposa e non si assicura degli eredi è oggetto di critiche, biasimi e talvolta calunnie. Era passato quasi un secolo dalla Rivoluzione, erano cambiati i modi di pensare ma la nobiltà manteneva le sue assurde posizioni. Posizioni odiose per una donna come Diane, non nobile di nascita e con una certa insofferenza per tutti i formalismi a cui quella gabbia dorata la costringeva.

La marchesa sentì la porta della sua camera aprirsi lentamente, Colette, l'anziana domestica entrò con passo felpato e si diresse verso il letto, sbirciò attraverso le tende del baldacchino con aria interrogativa,
“Si... si... sono sveglia” borbottò Diane spingendo via il guanciale,
“Perdonate madame, ma vostra figlia si è svegliata già da un po' e chiede insistentemente di voi” disse la cameriera,
la marchesa scostò le coperte e si mise a sedere sul materasso mentre Colette le porgeva la vestaglia,
“Oh cielo madame, finalmente il vostro viso è tornato bello come sempre- commentò l'anziana donna- ieri notte quando siete tornata con la faccia annerita dalla fuliggine devo confessarvi che mi avete messo paura”. Diane fece un leggero sorriso, Colette lavorava in quella casa da anni e si era subito affezionata a lei quando era andata a vivere lì dopo il matrimonio con il marchese.
La marchesa fissò la sua immagine riflessa nel grande specchio sistemato su una parete, i capelli biondi e ondulati, gli occhi grandi e scuri incorniciati da sopracciglia sottili ma nere, che fancevano contrasto con i capelli e davano al suo viso un'aria risoluta, il fisico snello e aggraziato... la bellezza florida dei suoi venticinque anni non era stata scalfita né dalla gravidanza né dalla malinconia.
“Vado da mia figlia” disse poi dirigendosi fuori dalla stanza.

Vivianne era seduta sul pavimento e stava giocando con una delle sue tante bambole di porcellana sotto lo sguardo vigile della sua governante, Martine.
Diane la spiò dall'uscio, le somigliava molto, tranne che per il colore dei capelli. Le somigliava anche nel carattere. Era quella creatura a darle tutta l'allegria che le era mancata, quando vide sua madre lei scattò in piedi e le corse incontro,
“Buon giorno piccola mia” disse Diane baciandole la fronte
“Mamma esistono gli angeli?” domandò la bambina con l'aria di chi stava rivolgendo un quesito fondamentale
“Ma certo, solo che noi non possiamo vederli”
“Ma io ne ho visto uno mamma, ieri sera, quello che mi ha aiutato quando mi ero persa”
Diane rise intenerita dall'ingenuità di sua figlia
“Ma no, tesoro, quello non era un angelo, era solo un uomo, e probabilmente un uomo molto buono” disse
“No, mamma, ti dico che era un angelo... aveva gli occhi troppo belli per non essere un angelo- rispose energicamente la bambina- anche se sembrava che aveva pianto...”
la marchesa alzò le spalle
“Forse me lo ha mandato papà, visto che lui è lontano mi ha mandato un angelo... pensi che lo rivedrò il mio angelo, mamma?” chiese ancora Vivianne
“Bhe, se dovessi rincontrarlo, mi raccomando, presentamelo perché devo ringraziarlo di averti aiutato” concluse sua madre.

*

Erik aveva trovato un vecchio casale diroccato ai limiti di una campagna, molto distante da Parigi... abbastanza distante, pensò.
Era una settimana che cavalcava e si nascondeva. Il tempo aveva reso il silenzio più sopportabile, più naturale, malgrado in quel silenzio la voce dei suoi pensieri avesse un'eco straziante. Una settimana era troppo poco per riuscire a scappare via da sé stesso...
Legò il cavallo a una ringhiera arrugginita, si stese in un angolo pensando di usare la sella come guanciale. Era esausto e il suo stato d'animo non lo aiutava a fare i conti con la stanchezza che lo aveva invaso quando quel giorno aveva scorto il cielo schiarirsi all'orizzonte.
Si addormentò quasi subito, ma quel sonno fu più una risposta fisica alla sua stanchezza che non un vero e proprio abbandono. Chissà se sarebbe riuscito più a dormire come un uomo normale, lui che normale non lo era mai stato, da qualsiasi punto di vista la si volesse mettere.
Erik non poteva immaginare che presto il suo sonno sarebbe stato disturbato da un arrivo tanto provvidenziale quanto inaspettato...

*

“Se c'è un cavallo c'è anche un cavaliere” pensò ad alta voce Alain osservando l'animale legato alla ringhiera, passandosi una mano tra i capelli rossicci, si guardò intorno e in un angolo, dietro un pilastro spoglio scorse il profilo di un uomo steso a terra con il capo poggiato sulla sella.
Il ragazzo e la sua famiglia erano arrivati in quel prato e avevano deciso di stabilirsi lì per le prossime settimane, periodo durante il quale il loro circo avrebbe dato spettacolo nella piazza del villaggio vicino, fuori dalla casa diroccata la carovana di artisti di strada stava preparando l'accampamento, l'edificio fatiscente sarebbe stato utile per ripararsi in caso di pioggia e per tenere al chiuso gli animali. Alain era entrato a constatare le condizioni della costruzione e aveva trovato il cavallo e il suo padrone.
Il ragazzo, un tipo smilzo sui ventisette anni, si era avvicinato allo sconosciuto che dormiva, si piegò poggiando le mani sulle ginocchia e lo osservò incuriosito.
“Per diamine, non sembra in buone condizioni- commentò tra sé e sé- e poi perché uno dovrebbe addormentarsi con una maschera sulla faccia?...”,  
il ragazzo allungò una mano e con un paio di dita picchiettò sulla spalla dello sconosciuto
“Ehi amico, sveglia...” disse
l'uomo sollevò le palpebre di colpo rivelando due occhi chiari e intensi, un lampo di furia passò nel suo sguardo e con un gesto rapido afferrò il polso del ragazzo
“Ehi, ehi, ehi, bello, stai calmo” disse questi sconcertato
“Chi sei? Cosa vuoi?” esclamò Erik con aria minacciosa
“Che ci fai qui dentro steso sul pavimento?”
“Non sono affari che ti riguardano, e ora lasciami in pace o ti farò pentire di esserti trovato sulla mia strada”
il ragazzo fece una smorfia perplessa e si lasciò cadere seduto per terra accanto all'uomo che aveva svegliato; non poteva essere pericoloso, sembrava solo adirato.
“Accidenti, ti hanno fatto arrabbiare di brutto- disse con aria canzonatoria- credimi amico, me ne andrei ma si dia il caso che se vuoi essere lasciato in pace non devi chiedere a me, ma a tutta la mia famiglia che è lì fuori”
Erik balzò in piedi e guardò il suo interlocutore sempre più spazientito, poi si allungò a guardare fuori e vide il prato all'esterno del rudere coperto di carri e tende,
“Ma che accidenti...” borbottò
“Comunque sia, mi hai chiesto chi sono e che voglio- disse il ragazzo- dunque, sono Alain e non voglio altro che sapere il tuo nome”
Erik non badò a lui, sollevò da terra la sella e si diresse verso il suo cavallo,
“Ho capito, sei uno di poche parole!” bofonchiò Alain senza alzarsi dal pavimento su cui era seduto, spiò i gesti frettolosi dell'uomo con uno strano sorriso infantile
“Perché scappi uomo dalle poche parole?” chiese insistente,
Erik si voltò a guardarlo
“Non sto scappando, me ne sto solo andando, è diverso” disse seccato
“Perché?”
“Perché voglio stare da solo”
“Uhmm brutta cosa la solitudine...” concluse il ragazzo arricciando il naso lentigginoso
“Ma sentitelo!” pensò Erik al culmine dell'irritazione mentre fissava la sella sotto la pancia del cavallo, cosa ne sapeva quello sciocco ragazzino della solitudine?!
“Bhe ti dirò, a noi quelli che scappano ci piacciono molto- aggiunse Alain alzandosi e raggiungendolo- e uno che va in giro su un cavallo, senza bagaglio, con i vestiti sporchi e con una maschera in faccia è decisamente uno che scappa”
“Lasciami in pace” borbottò Erik
Alain lo osservò mentre completava la sellatura poi gli si illuminò lo sguardo
“Hai le mani da musicista!- esclamò come se la cosa fosse un miracolo- Suoni, non è così?!”
Erik si decise a rispondergli, altrimenti non se lo sarebbe tolto dai piedi
“Si”
“Allora ho una proposta per te!” continuò Alain con l'aria raggiante
“Senti, ragazzo, devo andare, qualunque cosa sia non mi interessa”
“Ma come fai a dirlo se non sai di che si tratta?! Ascolta... a noi occorre un violinista, quello che avevamo è morto, era vecchio, pace all'anima sua! Potresti restare con noi, se è scappare che ti interessa non avresti problemi, noi non ci fermiamo mai in un posto per più di qualche settimana, siamo un circo... metà delle gente che troverai lì fuori fa parte della mia famiglia, l'altra metà l'abbiamo trovata per strada... tutti in fuga, chi per un motivo chi per un altro... e i motivi sono i tuoi e non dovrai renderne conto a nessuno”
“Perché dovrei accettare?” domandò Erik scuotendo il capo e infilando un piede in una staffa
“Perché scappare da soli non è una bella cosa” rispose il ragazzo alzando le spalle e puntando i suoi occhi verdi in quelli di Erik.
No, essere soli non è una bella cosa. Da soli non si può vivere e non si può nemmeno dimenticare perché quando si è soli c'è il silenzio e il silenzio non offre riparo dai brutti ricordi...

*

Diane era uscita a fare una passeggiata in città, era passata una settimana dall'incendio del teatro e tutta Parigi continuava a parlare di quella storia, e del Fantasma dell'Opera. Si diceva che fosse morto, annegato in qualche fogna dei sotterranei, mentre qualcuno più fantasioso sosteneva che era semplicemente scomparso nel nulla come si addice a una presenza spiritica...
Le conversazioni piene di stupore degli avventori che si incontravano nei caffé, le chiacchiere dense di superstiziosa soggezione della gente per strada, le congetture poco plausibili dei mercanti... non si parlava d'altro e Parigi non sapeva che quei discorsi avrebbero fatto nascere una leggenda destinata a tramandarsi nell'immaginario collettivo per tanti decenni a venire.
Diane non si era interessata alla vicenda, era tra i pochi a credere che l'accaduto fosse stato un incidente, era abbastanza lontana dal palco per aver osservare attentamente quello che era successo, né le era pervenuta la notizia che il tenore Ubaldo Piangi era morto quella sera, assassinato dal Fantasma dell'Opera che aveva preso il suo posto sul palco nei panni del Don Juan.
Diane era una donna con uno spiccato senso pratico e non credeva ai fantasmi.
La marchesa si trovò a passare davanti all'Opera Populaire, il teatro sembrava lo sfarzoso gioiello di architettura che era sempre stato, ma a guardarlo bene si vedevano le finestre prive dei vetri che si erano rotti a causa delle fiamme incandescenti e i contorni dei telai cerchiati da irregolari macchie di nero.
Nessuno si sarebbe preso la briga di ristrutturare l'Opera, nessuno a Parigi era tanto ricco da poter sostenere una spesa così esosa, e Diane ne rimase dispiaciuta: le rappresentazioni teatrali e la musica a cui andava ad assistere lì erano le uniche cose che riuscivano a trasmetterle delle forti emozioni nella sua vita vuota. Pensò che sarebbe stato bello se sua figlia avesse potuto imparare a suonare, e il pensiero la fece sorridere.
La marchesa tornò a casa ad ora di pranzo, intristita,
“Sono arrivate delle lettere per voi, madame” disse Colette accogliendola nello sfarzoso ingresso della sua villa,
su un vassoio d'argento poggiato su un comò Diane trovò due buste da lettera chiuse da un sigillo di ceralacca, le prese e si andò a sedere sul divano.
Una delle due lettere era di suo marito, poche righe in cui le chiedeva come stessero lei e la bambina, le diceva che lui stava bene e che sarebbe tornato di lì a un mese. Quando Diane lesse il mittente dell'altra lettera sorrise, quella missiva era da parte della sua amica Jeanne che viveva in Provenza:

Mia cara Diane,
Come stai? Mi auguro dal profondo del cuore che tu stia bene, così come anche tua figlia.
So che il tempo non è dei migliori, mi dicono che su Parigi la neve ha smesso di cadere solo da poche settimane, ma vorrei ugualmente invitarti a passare un po' di tempo in casa mia, insieme alla tua bambina sapendo che tuo marito è impegnato nel suo lavoro lontano da casa. Immagino che tu ti senta molto sola amica mia, e come ben saprai sono sola anche io, mi manca la compagnia e l'affetto di un'amica sincera quale tu sei, e immagino che una tua visita qui in Provenza nella mia casa possa fare bene sia a me che a te, e magari anche alla piccola Vivianne non dispiacerà cambiare aria. Quindi ti invito a raggiungermi nelle settimane in cui il marchese tuo marito sarà assente.
Sperando che tu accolga presto il mio invito ti saluto e ti abbraccio.
Con affetto, Jeanne.

“Oh cara Jeanne...” sospirò Diane rileggendo velocemente la lettera.
“Mamma, dove sei stata?” la voce di sua figlia la strappò ai suoi pensieri
“Ho fatto una passeggiata, tesoro mio- rispose la donna accarezzando la manina paffuta della piccola- ascolta, ti piacerebbe passare qualche settimana da Jeanne?”
dal sorriso entusiasta di Vivianne Diane comprese di aver ricevuto una risposta affermativa.

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Rinnovo i ringraziamenti alla mia betareader per la paziente e gentile assistenza.
Grazie ad Anto per essere stata la prima a recensiere e per gli incoraggiamenti quotidiani  per questo mio "lavoretto".
Grazie a  Amy Foster per la recensione. La storia è stata pensata come l'alternarsi delle vicende dei vari protagonisti fino a quando non si rincontreranno (tra qualche capitolo torneranno anche Christine con relativo fidanzato e Madame Giry).
Grazie a chi ha letto... insomma, grazie a tutti ^^

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


CAPITOLO TERZO

Erik decise di restare con la gente del circo. Non era quello che aveva in mente quando era scappato ma per la prima volta in vita sua si sentì leggermente fortunato.
Il direttore della compagnia di artisti di strada era Maurice Chatelet, il padre di Alain, un uomo talmente corpulento che a guardarlo veniva da chiedersi come poteva essere il padre di un ragazzo smilzo e gracile come Alain.
Quando suo figlio gli presentò Erik dicendogli che era un musicista e raccontandogli di averlo trovato nella casa diroccata Maurice rimase di stucco: gli sembrava improbabile che il cielo gli avesse inviato una soluzione così immediata per riempire il vuoto che si era creato dopo la morte del loro vecchio violinista, e ancora più improbabile gli sembrava il fatto che la soluzione consistesse in quello strano uomo che aveva di fronte.
Maurice mise in mano allo sconosciuto lo strumento del musicista defunto e gli chiese di suonare.
Immediatamente lo stupore più profondo piombò sulla carovana. Tutti si erano radunati intorno a quello strano personaggio ad ascoltare la sua musica celestiale. Perfino gli animali si erano zittiti e immobilizzati... sembrava che si fosse fermato anche il vento, che finanche Dio si fosse affacciato da dietro le nuvole per ascoltare.
Come Erik cessò di suonare, Maurice si riscosse e si lisciò i grossi baffi brizzolati, batté una mano sulla coscia mentre allargava un grosso sorriso mettendo in mostra i denti ingialliti,
“Accidenti, quel pezzo di legno non lo avevo mai sentito cantare così!- esclamò con aria gioviale- Puoi restare con noi se vuoi”,
Erik fissò la gente che lo accerchiava, le loro facce stupite e ammirate, molti abbassarono il viso quando il suo sguardo glaciale si posò su di loro. Non avrebbero mai saputo chi era, nemmeno sembravano interessati a saperlo, e per lui sarebbe stato più facile nascondersi in mezzo a loro che restando da solo. Come aveva detto Alain era fin troppo evidente che lui era un uomo che stava scappando. E lì in mezzo c'erano di sicuro altri in fuga dalla legge come lui, gente perduta per debiti, perché aveva fatto, magari da ubriaco, qualche sciocchezza, qualcuno forse perduto per amore, personaggi loschi che non avevano altro modo per sopravvivere che fidarsi l'uno dell'altro. Gente con un passato da nascondere sotto i tendoni e gli orpelli del circo del signor Mourice.
Lui sotto quel tendone avrebbe nascosto il suo dolore, come nascondeva il suo viso sotto quella maschera.

*

La campagna della Provenza era velata di foschia, il sole stava già tramontando quando la carrozza si fermò davanti a una villa dalle pareti bianche con le colonne del portico avvolte dall'edera.
Diane scese aiutata dal cocchiere, annusò l'aria della campagna il cui odore era reso più pungente dalla pioggia della mattina, e lanciò uno sguardo a sua figlia addormentata sui sedili, il viaggio era stato scomodo, noioso, disagevole e freddo... ma grazie a Dio erano arrivate.
Colette, che aveva seguito la sua signora, aggiustò lo scialle sulla schiena della bimba addormentata e sospirò contenta di essere arrivata, Martine, la governante, si sfregò le mani avvolte nei guanti di cuoio,
“Lo so, non è stato un viaggio piacevole” disse la marchesa quasi con aria di scusa
“Le mie vecchie ossa non sono adatte per essere sballottate in una carrozza, madame, ma la casa sarebbe stata incredibilmente vuota senza voi e la bambina” rispose Colette mentre si sistemava lo chignon argentato dietro la nuca,
Diane sorrise intenerita dall'affetto della vecchia domestica,
“Diane!!!” una voce stridula chiamò il suo nome con entusiasmo
“Jeanne, cara” rispose Diane con un sorriso altrettanto entusiasta mentre osservava la padrona di casa venire verso di lei.
Se la sua vita non era stata del tutto rosea, quella di Jeanne non era stata certo più felice, aveva solo due anni più di lei eppure era già vedova e senza nemmeno la consolazione della maternità.
A volte è strano come il destino metta piccoli tesori sul nostro cammino e quanto certe coincidenze siano provvidenziali, le due donne si erano conosciute a un ricevimento anni prima ed erano subito andate d'accordo, e pensare che quella sera Diane era quasi decisa a non uscire di casa, le serate dell'alta società l'annoiavano così tanto. Loro due condividevano l'insofferenza per le formalità a cui le signore del loro rango erano obbligate, il carattere allegro e vivace che denotava una prepotente voglia di vivere a malapena celata dietro le ampie gonne e gli stretti bustini dei loro ricchi abiti. Per Diane Jeanne era l'unica amica sulla quale potesse contare, l'unica in grado di capirla e con cui si poteva confidare, anche se per questioni pratiche la loro amicizia si basava per lo più su una fitta corrispondenza.
“Ma che meraviglia di bambina, diventa ogni giorno più bella, come la sua splendida madre!” esclamò Jeanne lanciando uno sguardo dentro la carrozza e notando la graziosa figura di Vivianne ancora coricata sul sedile,
Diane abbracciò l'amica e la baciò sulle guance,
“Anche tu sei splendida” disse
“Oh per favore, piantala, non sarò mai bella come te...” concluse Jeanne con una smorfia,
in effetti il suo aspetto, per quanto gradevole, era decisamente più anonimo e meno attraente di quello di Diane,
“Sono così contenta di avervi qui, te e la piccola” disse poi posando una mano sulla spalla dell'amica.
Diane sorrise raggiante, pregustando l'allegria dei giorni che sarebbero trascorsi da lì a qualche settimana.

*

Lalla, la scimmia, saltellò da una parete all'altra del vagone del carro, facendo tintinnare le perline del suo vestito dal taglio orientale, cucito su misura per lei, poi atterrò sulla spalla di Erik, l'uomo le accarezzò il musetto peloso e la bestiolina emise un versetto riconoscente,
“Ah sei qui piccola peste di una scimmia” disse Alain sbirciando dalla tenda l'interno del vagone,
Lalla squittì, e strinse le zampine attorno alla stoffa della camicia di Erik, Alain ridacchiò
“Quella scimmia è innamorata di te amico” disse scherzosamente,
Erik gli lanciò un'occhiata di sufficienza
“Sono esseri affascinanti le scimmie, tu non trovi?” mormorò facendo un'altra carezza a Lalla,
Alain roteò gli occhi con aria di sopportazione, poi entrò nel vagone e raggiunse l'uomo staccandogli con delicatezza la scimmia dalla spalla.
Nel circo di suo padre Alain era uno dei pagliacci, e non avrebbe potuto essere altrimenti, sembrava essere nato apposta per quello, aveva un viso dalle espressioni così buffe, un portamento così sgraziato, una gestualità così enfatica anche quando non si esibiva, parlava sempre troppo, proprio non gli riusciva di non essere inopportuno, aveva un carattere molto semplice e quasi infantile, ma i suoi compagni di avventura gli volevano bene anche per questo, considerando anche che lui riusciva a voler bene a tutti, anche ad Erik, che aveva preso subito in simpatia, anche se proprio non gli riusciva di capire la strana personalità di quel sorprendente musicista. Alain aveva la tendenza a ironizzare su tutto riuscendo a divertire gli altri e sé stesso ma quell'uomo, quello strano e stupefacente musicista, non era mai riuscito a farlo ridere, e se qualche volta Erik sorrideva si trattava di sorrisi amari e sprezzanti, del tutto privi di ilarità. Il ragazzo era affascinato da lui, aveva capito che quell'uomo possedeva una genialità, un'intelligenza e uno spirito più notevoli di quelli delle altre persone che lavoravano in quel circo, decisamente più notevoli di quelle di qualsiasi persona che lui avesse mai conosciuto, in più aveva quei modi così composti, quel carattere così poco espansivo e poco loquace  che non potevano non affascinare una persona umile come Alain.
“E quella cos'è?” domandò Alain indicando la maschera sul viso di Erik, quando lo aveva incontrato portava una maschera nera allacciata dietro la nuca e che gli copriva tutta la parte superiore del viso, ora invece indossava una mezza maschera bianca che celava solo la parte destra del viso dalla fronte fino all'angolo della bocca
“L'ho fatta io, ne avevo già fatta una simile in passato” rispose Erik senza scomporsi
“Uahu! E come ci riesci?!” chiese Alain ancora una volta stupito dall'abilità del suo compagno
Erik alzò le spalle
“Con le mani”  disse con aria noncurante
Alain lo guardò incuriosito e gli girò attorno fissando per intero la sua imponente figura,
“Perché porti sempre la maschera?” domandò
“Perché non c'è niente di bello sulla mia faccia”
“Ma sei scemo?! Le nostre donne ti guardano sempre in quel modo... si, insomma in quel modo in cui mi piacerebbe essere guardato da una donna...”
Erik si lasciò sfuggire uno dei suoi sorrisi amari, a detta di Alain avrebbe potuto avere ai suoi piedi tutte le donne del mondo (prospettiva che tra l'altro gli sembrava abbastanza improbabile vista la vera natura del suo aspetto), ma era una sola quella che aveva posseduto il suo cuore, quella che avrebbe portato nel cuore per sempre. Era passato un mese da quella sera all'Opera e lei era sempre nei suoi pensieri. Lo sarebbe stata per sempre, aveva lasciato il suo cuore sulle labbra di Christine, dopo il loro unico bacio, e sapeva che il destino non gli avrebbe mai permesso di andarselo a riprendere... quel ragazzo non poteva nemmeno minimamente immaginare quanto poco gli importasse degli sguardi delle donne, donne che sarebbero fuggite comunque se avessero visto il suo viso sotto la maschera, se avessero saputo che lui era un assassino, se avessero saputo che lui era il Fantasma dell'Opera... o meglio, che lo era stato...
“Dimmi la verità, sei un nobile o qualcosa del genere! - disse Alain con l'aria convinta di chi crede di aver fatto una sagace scoperta- tu non sei come noi altri”
“E come sono?” domandò Erik con un sospiro, era grato a quel ragazzo per l'interesse che aveva sempre manifestato nei suoi confronti, ma non si era mai fidato del mondo, perché fidarsi di quello sprovveduto?
“Sei... uno che conosce un sacco di cose, che sa fare un sacco di cose... e poi hai dei modi da signore... e poi suoni troppo bene, si capisce che hai studiato in una di quelle scuole per ricchi”
“Alain, non ho origini meno umili delle tue, se può farti piacere saperlo, e non ho mai studiato musica in una scuola”
il ragazzo lo guardò incredulo, non sapeva se credergli o meno,
“Uno come te per finire a fare il violinista in un circo ambulante deve avere dei motivi gravi, cosa ti è successo?”
Motivi gravi... quale motivo è più grave, più giusto e più sacrosanto dell'amore?
“Quando mi hai proposto di venire con te e i tuoi compagni mi avevi detto che i miei motivi sarebbero stati miei e miei soltanto” concluse Erik con durezza
“Io sono tuo amico- mormorò il ragazzo accennando un sorriso infantile- se un giorno avrai voglia di raccontarmi chi sei mi farà piacere starti a sentire... a dirla tutta è sempre un piacere starti a sentire”
ciò detto Alain strinse forte la scimmietta tra le braccia e uscì dal vagone, Erik sospirò, non aveva niente contro quel ragazzo, ma lui non era fatto per avere amici, le circostanze avevano dimostrato quanto fosse capace di distruggere tutto quello che toccava...
Tirò fuori dalla tasca l'anello che aveva continuato a conservare e passò il dito sulla superficie liscia e fredda della pietra preziosa incastonata sul gioiello, luminosa come i suoi occhi, gli occhi della persona a cui quell'anello era destinato, poi lo ripose nella tasca e prese in mano il suo violino,
“Anche stasera suonerò per te Christine, solo per te mia musa...” mormorò ricacciando le lacrime che gli assediavano le ciglia.

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Note:
Devo confessarvi che tengo in modo particolare a questa fanfiction... ho fatto un "gran fatica" a creare i personaggi nuovi, in particolare il personaggio di Alain, spero comunque che risultino tutti abbastanza plausibili e che il personaggio di Erik non sia OOC.

Per Amy Foster: Ti dirò che il nome per il personaggio di Alain l'ho preso proprio da Lady Oscar (un manga\cartone che amo moltissimo) ma che il personaggio della mia storia non ha molto a che vedere con il suo omonimo, il mio Alain è molto "meno sveglio" e più "sempliciotto", anche se sul cuore grande ci hai preso in pieno ^^ , tra qualche capitolo tornanano un pò di personaggi del film (non mi piace "spoilerare" ma più in là... mooolto più in là è previsto un ritorno in grande stile persino di Carlotta... è un personaggio che nel film da molto nell'occhio e non ho potuto fare a meno di riservalre un posticino nella mia fanfic)

Al prossimo capitolo.
Ciao

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


(piccola premessa: il paragrafo conclusivo di questo capitolo mi ha lasciato in dubbio fino alla fine, sono stata a lungo incerta se cancellarlo o no... Erik è un personaggio difficile da gestire e da mantenere IC -e mi chiedo continuamente se ci sto riuscendo- dal momento che, volendosi basare solo sul film di Schumacher, a cui è ispirata questa fanfiction, non si hanno molti elementi per caratterizzarlo e immaginarlo al di fuori del teatro alle prese con un certo tipo di situazione- compresi i normali rapporti sociali. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e che il comportamento di Erik nell'ultimo paragrafo vi risulti plausibile)
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CAPITOLO QUARTO


Diane posò la tazzina di the sul piatto di porcellana, il tintinnio fece intuire che il suo polso non era del tutto fermo.
Aveva raccontato a Jeanne dell'incidente all'Opera, anche se era passato un mese il ricordo della paura che aveva provato per sua figlia le fece venire i brividi.
“Oh mia povera Diane, immagino che siano stati momenti terribili, tu da sola in mezzo all'incendio, senza sapere che fine avesse fatto la tua piccola Vivian” commentò l'amica dispiaciuta
“Già, per fortuna è solo un brutto ricordo” disse la marchesa con un sospiro
“E la bambina, immagino sia rimasta scioccata”
“No, anzi... dice di aver conosciuto un angelo che l'ha aiutata... naturalmente sono solo fantasticherie di bambini, ma qualcuno che l'ha aiutata e ha fatto in modo che la ritrovassimo c'è stato, solo che non so chi sia”
“Potrebbe essere stato proprio il Fantasma dell'Opera, magari- suggerì Jeanne- la storia è arrivata anche qui, si dice che sia stato lui a rapire la cantante e a provocare volutamente l 'incendio, tutta Parigi è stata sulle sue tracce ma non l'hanno trovato e si pensa che sia morto”
“Si, storia avvincente... non so quale sia la verità, forse quell'uomo avrà avuto motivi che noi non conosceremmo mai”
“Resta sempre il fatto che è un criminale assassino”
“Non so, le storie lo dipingono come un genio dalla voce angelica, probabilmente è una persona dalla sensibilità così particolare che è bastato poco per condurlo alla pazzia”
“Sembra che tu lo voglia giustificare” disse Jeanne
“Non sto dicendo questo, non mi importa di lui e quali che siano le sue colpe ne risponderà dinnanzi a Dio un giorno, se non l'ha già fatto...- rispose Diane- dico solo che è facile giudicarlo senza conoscerlo e senza conoscere la sua storia e le sue ragioni... spesso proprio i gesti più assurdi nascondono le ragioni più profonde”
“Come sei saggia amica mia!” scherzò Jeanne con una smorfia di sarcasmo
“E tu sei sempre più insopportabile” rispose la marchesa tirandole un buffetto affettuoso sul braccio.

*

Erik imparò ben presto che il circo era un pianeta a parte, un mondo nel mondo, la compagnia di Maurice Chatelet non era come la banda di zingari con cui era stato da ragazzino, quelli da cui era fuggito con l'aiuto di Madame Giry... dopo aver commesso il suo primo omicidio...
Lì quella gente era davvero una grande famiglia e l'interesse che gli altri mostravano nei suoi confronti non era solo curiosità, era un sentimento vero e proprio di solidarietà, un senso di condivisione quasi primordiale, arcaico. Per lui era strano... non aveva mai provato sentimenti per nessuno, eccetto l'amore sconfinato per Christine e la riconoscenza fraterna per Eloise. Rapportarsi con quella gente gli sembrava complicato, talmente tanto che sembrava inconcepibile che una mente così geniale non arrivasse a comprendere dei semplici meccanismi sociali.
Gli altri della compagnia lo avevano accettato, lo ritenevano uno della famiglia, eppure, come aveva detto Alain, sapevano che Erik non era come loro, aveva qualcosa in più, di molto diverso dagli altri, per questo avevano per lui un rispetto che in alcuni casi sfiorava la venerazione, per non dire il timore... e poi erano tutti estasiati, quasi soggiogati, dalla sua musica: quando Erik suonava non c'era uno solo di loro che non lasciasse perdere la propria occupazione per ascoltarlo.
Quella sera il circo era in viaggio verso una nuova località dove esibirsi, un grande villaggio della Provenza.
La carovana si fermò alle porte del villaggio quando la luce del sole quasi del tutto tramontato cominciava ad assumere riflessi azzurrini.
“Siamo arrivati giusto in tempo, tra meno di un'ora calerà la sera” commentò Maurice saltando giù dalla carrozza. Nelle ore successive il gruppo di artisti di strada si affannò a mettere in piedi l'accampamento, sistemò le carrozze in circolo lasciando uno spazio molto ampio nel mezzo, era lì che  si sarebbe svolto lo spettacolo nelle giornate successive.

La sera era fredda, tra le tende gli uomini borbottavano commenti su quando sarebbe arrivata la fine di quel dannato inverno.
Erik era nella sua tenda, osservò Lalla, la scimmietta si era addormentata accoccolata sulla sua branda. Intorno c'era il silenzio, l'uomo si mosse nervosamente nel piccolo spazio in cui alloggiava, a vederlo sembrava un leone in gabbia... il silenzio, maledetto silenzio che non gli permetteva di respingere l'assedio dei pensieri...
Mesta creatura lontana, quale esistenza è la tua?...”  poteva sentirla ancora la sua voce, quelle parole, quello sguardo... il volto di Christine era umido di lacrime mentre lo baciava. Lacrime di pietà, quella pietà che Erik aveva desiderato dal mondo, dal resto del mondo, ma non da lei, perché dove c'è la pietà non ci può essere l'amore. Era per questo che l'aveva lasciata andare. Era questo che gli faceva male più dell'idea di averla persa, ed era per questo che di tutte le parole di quella sera le uniche che gli risuonavano in testa erano proprio quelle:
Mesta creatura lontana, quale esistenza è la tua?...
Si portò le mani alla testa e le premette sulle tempie,
“Basta, vai via! Non tormentarmi più!” blaterò con voce flebile mentre sentì sul viso scorrere le stesse lacrime di quella notte, lacrime amare e taglienti.
Nessuna fuga, nessuna maschera, nessuna bugia protegge un uomo dal dolore: nascondere il volto agli occhi del mondo non permetteva di nascondere il cuore dai propri fantasmi.
Quando staccò le mani dalle tempie lo fece con un gesto rabbioso così rapido e violento che la maschera si staccò dal viso e cadde in terra. Erik si ritrovò a fissarla, per poi spostare lo sguardo verso l'interno del catino posato su uno sgangherato tavolo di legno tarlato. L'acqua gli restituì fedele l'immagine del suo volto disastrato... che lo vedesse ora la gente del circo che tanto lo ammirava! Che lo vedesse, che comprendesse di quale inferno ci fosse bisogno per creare quella musica da paradiso!

“Posso entrare?...” la voce allegra di Alain costrinse Erik a riemergere dai suoi pensieri cupi,
la scimmietta, svegliata dai rumori era saltata rapidamente giù dal letto atterrando ai piedi di Erik, aveva raccolto la maschera con le zampine anteriori e l'aveva annusata con aria incuriosita, poi era saltata sulla spalla di Erik e gliela aveva restituita,
“Si” disse l'uomo non appena ebbe coperto di nuovo il viso,
“Ho fatto una pensata magnifica!” annunciò Alain entrando a rapidi passi e battendo la mano sulla spalla di Erik,
il musicista lo guardò arricciando le labbra
“Quando tu pensi c'è da aver paura...” commentò torvo,
il ragazzo non ci badò e proseguì
“Ti porto con me stavolta- disse- avanti, seguimi”,
Erik si armò di pazienza e si incamminò dietro al ragazzo
“Posso sapere dov'è che stiamo andando?” domandò notando che avevano raggiunto il centro della cittadina e si stavano infilando in una serie di vicoli scuri,
“Come sarebbe? Dove vanno tutti...” borbottò il pagliaccio
“All'inferno?”
“Ah, spero che il tuo rifiuto di goderti il bello della vita non arrivi a tanto”
Erik gli lanciò uno sguardo interrogativo
“Dimmi un po'- aggiunse Alain bonariamente- cosa ne pensi delle donne?”
lo sguardo fiero e scintillante dell'uomo si fece cupo, istintivamente abbassò il capo
“Che sono la migliore via per la dannazione, non solo nell'altra vita, anche in questa”
“Eh già, così problematiche ma così necessarie”
Erik sapeva che le donne erano una delle manie di Alain, il ragazzo era incapace di trovarsi dinnanzi una bella donna senza perdere quel po' di lucidità che aveva...
“Alain, tu pensi poco e quando lo fai pensi anche male” mormorò tetro l'uomo quando arrivarono a destinazione
“Tutti gli uomini hanno bisogno di queste cose... anche quelli di ghiaccio come te” disse il ragazzo  lanciando al suo compagno un'occhiata complice, Alain non era certo capace di comprendere il disagio che stava provando Erik in quel momento, soprattutto visto che di quel disagio non ce n'era traccia sul viso severo e impassibile dell'uomo.
Davanti a loro si apriva una via contornata da edifici bassi che avevano tutta l'aria di essere osterie e taverne, lungo la stradina, illuminata da fuochi accesi all'interno di barili di metallo, si aggiravano donne in abiti succinti che sorridevano agli uomini che entravano o uscivano dalle locande. L'aria era densa di risate di ubriachi e gemiti delle prostitute e dei loro clienti.
Alain sembrava perfettamente a suo agio, si voltò verso Erik,
“Bhe, che c'è? Non ti vorrai mettere a fare il romantico o il moralista” gli disse
“Moralista...” ripeté l'uomo con amarezza, poteva uno come lui permettersi di fare il moralista? Poteva un assassino fuggiasco illudersi di avere una morale da sostenere? Poteva forse un uomo come lui ritenersi un vero uomo e pensare di avere un'anima da preservare?...
Erik si limitò a dondolare il capo e si addentrò nella via al seguito del suo compagno, camminarono per qualche metro sotto gli sguardi languidi delle donne che si avvicinavano al bordo della strada.
Alain sparì dietro un angolo, in compagnia di una ragazza dai capelli biondi, Erik per la prima volta in vita sua si sentì stranamente indifeso... all'improvviso, tra le donne che camminavano nella sua direzione, scorse una giovane, non l'avrebbe notata se non fosse stato per i suoi capelli di uno strabiliante tono di rosso, la giovane stava in disparte rispetto alle sue compagne, poggiata con la schiena contro la parete di un edificio, lo sguardo basso, sembrava assolutamente poco intenzionata ad adescare clienti, eppure il suo abbigliamento non lasciava dubbi sul fatto che fosse una donna di malaffare come le altre che affollavano la via.
Erik raggiunse la ragazza, le lanciò una rapida occhiata, doveva avere più o meno vent'anni, il viso tondo dalla carnagione chiarissima era illuminato da occhi verdi, il corpo esile coperto da un vestito stinto e rattoppato che le lasciava scoperte le spalle sulle quali ricadevano scomposti i folti capelli rossi, malgrado le vesti logore aveva un aspetto gradevole. La giovane alzò lo sguardo verso Erik che era davanti a lei, l'uomo non disse nulla, si limitò a tenderle la mano in un gesto composto. Un velo di rossore colorì le guance della giovane, con riluttanza mise la sua mano in quella dell'uomo e lo seguì.
“Lo hai un nome?” domandò lui all'improvviso facendo quasi sobbalzare la ragazza
“Marianna, monsieur”.
Erik entrò in una locanda, lasciò una manciata di monete sul bancone, il vecchio che era all'ingresso gli indicò la porta di una stanza, lui e la ragazzi vi si chiusero dentro.
Lei rimase impalata sulla soglia poggiandosi contro la porta chiusa, Erik la fissò per qualche  momento,
“E' la prima volta che vieni in strada, vero?” le chiese
“N... no...” farfugliò Marianna, cercando di darsi un'aria convincente
l'uomo accennò un sorriso indulgente
“Non mentirmi” disse con voce calma
lei abbassò lo sguardo, Erik le si avvicinò e la guardò con aria comprensiva,
“Ti dirò una cosa, è la prima volta anche per me” le mormorò
la ragazza si costrinse a fissarlo, lo squadrò da capo a piedi con attenzione, nonostante le apparisse curiosa la maschera sul volto, quello sconosciuto aveva un aspetto decisamente attraente,
“Non sembrate un uomo che ha bisogno di pagarle le donne, monsieur” gli disse
lui scosse il capo, naturalmente quella sventurata non poteva sapere... come non poteva immaginare che per “prima volta” Erik si riferisse alle donne in generale,
“Le apparenze ingannano- commentò in tono piatto come se stesse pensando ad alta voce, poi tornò a guardarla- non voglio farti del male”
“Non preoccupatevi per me monsieur- rispose la ragazza- sarà pure la prima volta che batto il marciapiede ma non è la prima volta che ho a che fare con un uomo”
Erik si soffermò a pensare quali fossero i motivi per cui una ragazza così giovane e carina si fosse ritrovata a vendere il proprio corpo, poi preferì non indugiare troppo su quelle riflessioni, altrimenti sarebbe stato tutto più difficile.
La ragazza si stupì della gentilezza che le mostrò quell'uomo, non la trattò da prostituta, come si aspettava di essere trattata, le raccomandò solo di non toccare la maschera, e notò che quello sconosciuto aveva gesti lenti e delicati, quasi incerti, i gesti di chi ha paura di commettere qualche errore, aveva quasi avuto la sensazione che quell'uomo non sapesse come comportarsi, come se non fosse mai stato con una donna. Ma lei non poteva sapere quanto quella sensazione corrispondesse alla verità.
Quando lo sconosciuto andò via Marianna si chiese semplicemente a chi appartenesse quel nome che l'uomo aveva pronunciato prima di raggiungere il piacere tra le sue braccia: Christine...
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Note: ora se volete impiccarmi con il lasso del Fantasma vi prego di attendere il 23 di giugno, data in cui devo sostere un esame a cui tengo molto e per il quale ho già studiato come una dannata... datemi almeno la soddisfazione di prendere (si spera) un bel voto poi l'osso del mio collo sarà a portata del vostro cappio...
ok, scherzi a parte, spero di  non essere uscita troppo dal seminato... in caso contrario anche le critiche sono ben accette ^^

Grazie ad Anto per  la recensione e per l'incoraggiamento costante, come al solito. Sono molto contenta che Alain ti piaccia, è destinato (insieme alla "marmocchia") ad essere l'anima leggera e allegra della situazione, visto che qui son tutti musoni XD
E ancora grazie alla mia betareader per avermi convinta a non cambiare il finale del capitolo (tutto sommato a me questo capitolo piaceva così com'è).
Grazie ancora una volta a tutti quelli che hanno letto.

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


Scusate il ritardo per la pubblicazione di questo capitolo.

Stavolta comincio con i ringraziamenti... Grazie per le recensioni^^
Masked_Lady: sono contenta che tu abbia apprezzato, spero che la storia continui a soddisfare le aspettative. Dovresti pubblicarle le tue fanfic, non capirò mai perchè il fandom sul Fantasma dell'Opera ha avuto poco successo (almeno qui in Italia).

Amy Foster: grazie dell'appunto, hai ragione in generale nelle fanfic su questo film Erik ha un successo con le donne un po' troppo al di sopra delle sue "capacità". Io ho interpretato la cosa a mio modo, per quel che riguarda le donne del circo, ho detto che tutti nel circo sono affascinati da Erik (perchè lui è diverso da loro) e quando ho detto che le donne "lo guardano" non intendevo dire che le donne lo corteggiano, ma mi pare ovvio che un personaggio che affascina eserciti questo fascino maggiormente su persone di sesso opposto. Per quel che riguarda la prostituta, non intendevo dire che Erik abbia di colpo sfoderato una chissà che sensibilità nel capire le donne e di conseguenza ci "abbia saputo fare" con la ragazza, era solo un modo per dire che lui non è brutale quanto la rabbia che si porta dentro faccia supporre.
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CAPITOLO QUINTO


Le dita azzurrine dell’alba parigina accarezzavano la città, inondando di luce i viali.
Christine si girò su un fianco e sospirò tirando le coperte fin sotto al mento. Anche quella notte aveva dormito poco e male, ma riuscì a riprendere sonno per un po' prima che fosse ora di alzarsi: ma il mattino arrivò anche quel giorno.
La domestica bussò e poi entrò nella stanza,
“E' ora di alzarvi mademoiselle” disse scrutando la giovane rannicchiata sotto le coperte
Christine strizzò gli occhi e mise a fuoco la figura della donna che la guardava con un'espressione vagamente severa, le sembrò che fosse particolarmente presto quella mattina e si chiese perché non l'avesse lasciata dormire,
“Avete appuntamento con la sarta per il vostro abito nuziale, mademoiselle, rammentate?” rispose prontamente la cameriera intuendo i pensieri della giovane,
Christine fece un debole sorriso
“Si, certo Anne, grazie, potete andare” mormorò,
la donna fece un leggero cenno col capo e uscì, la ragazza si mise a sedere in mezzo al letto e sospirò. Sapeva che i domestici non la vedevano di buon occhio, tutta la servitù di palazzo de Chagny prestava servizio in quella casa da anni, e a forza di lavorare per i nobili tutti i domestici di quella casa erano diventati come loro, diffidenti e di vedute ristrette. La prospettiva che il loro buon padrone avesse deciso di sposare una cantante di teatro sembrava metterli a disagio, per non parlare della malsana idea del visconte di far trasferire la ragazza a palazzo. E Christine lo sapeva, era giovane e ingenua, ma non era una sciocca, nessuno dei domestici si era mai azzardato a mancarle di rispetto, anche con lei erano tutti sempre efficienti e servizievoli, ma nei loro occhi la ragazza vi leggeva una strana e gelida diffidenza che le trapassava il cuore ogni volta che la osservavano. Si auspicava che una volta divenuta la moglie del visconte la servitù cominciasse a trattarla con un po' più di calore.
“Sembra che la vita ci posi sul capo una condanna dal momento stesso in cui nasciamo” mormorò tra sé e sé infilandosi la vestaglia ed ebbe come la sensazione che il freddo venisse da dentro piuttosto che dall'aria fuori... condannata perché diversa dal mondo di cui ora faceva parte; proprio come era accaduto al suo Angelo della Musica.

*

“Non voglio mettere la sciarpa, mamma” protestò Vivianne arricciando il muso
“Aaah, non fare i capricci!- esclamò Diane annodandole una spessa sciarpa di lana attorno al collo- fa freddo fuori”
“Ma c'è un sole bellissimo”
“Lo vedo anche io il sole, ma non è mica estate! E poi da quand'è che sei diventata così disobbediente signorinella?”
Vivianne si allentò il nodo della sciarpa con aria infastidita,
“Punzecchia...”
“Non dire sciocchezze, è di lana non di cilicio”
“Uffa...”
la bambina si decise a tenere la sciarpa, ma si allontanò da sua madre con aria imbronciata, Diane sospirò e guardò Jeanne che era dietro di lei,
“E' solo una bambina” disse l'amica con un sorriso
“Si, ma se ci fosse suo padre sarebbe più facile, non è semplice crescere un figlio da sola” mormorò la marchesa infilandosi i guanti
“Ti capisco cara, ma Vivianne è ancora piccola, vedrai che tra qualche anno migliorerà”
“Ah lo spero, perché se peggiorasse sarei proprio in un mare di guai!”
lo sguardo di Diane si fece triste e si fissò nel vuoto, Jeanne le tirò un buffetto sulla spalla
“Suvvia, suvvia, l'importante che ora siamo tutte e tre belle e pronte per uscire” le disse con aria allegra, la marchesa sorrise e si avviò verso l'uscita.
Le donne e la bambina salirono sulla carrozza, Vivianne guardava il paesaggio della campagna dal finestrino pensando che le sarebbe piaciuto vivere lì,
“Un giorno mi porterai a Marsiglia, dove sei nata, mamma?” chiese all'improvviso
“Un giorno, spero...” rispose Diane
“Non ho mai visto il mare, solo in qualche dipinto, è davvero così grande e profondo?”
“Oh si, lo è!”
“Come gli occhi del mio angelo”
la marchesa ridacchiò, ogni tanto Vivianne tirava in ballo la storia dell'angelo del teatro, poi i suoi pensieri si concentrarono sul mare... proprio come aveva detto sua figlia, era nata a Marsiglia, suo padre era un armatore navale, uno degli uomini più ricchi e influenti della città, la sua famiglia vivevano in una bella palazzina accanto al porto. Dalla finestra della sua stanza Diane vedeva il mare, vedeva le navi che partivano e arrivavano. A volte da ragazzina si sedeva sul davanzale e osservava i marinai sbarcare e correre incontro alle loro famiglie, erano immagini che soffiavano strane ma del tutto legittime ventate di immaginazione nella sua mente di fanciulla. Nei giorni di festa correva verso la spiaggia e faceva lunghe nuotate, nuotare e giocare nell'acqua era il suo divertimento preferito, sua nonna le diceva sempre che una bambina nata vicino mare impara prima a nuotare e poi a camminare!
“Diane, cara, dobbiamo scendere” la voce di Jeanne la strappò alle sue riflessioni e ai suoi ricordi mentre alla mente le si presentava vivida l'immagine di sé stessa da ragazzina che giocava a far saltare sassi piatti sul pelo dell'acqua con l'odore del mare che le riempiva le narici,
“Mamma, ti sei incanta?” aggiunse Vivianne tirandole l'orlo della gonna,
la giovane donna si scosse e scese dalla vettura.

*

“Chirsitne...”
le mani si tendevano, la sfioravano ma non riuscivano a toccarla, la voce urlava il suo nome ma lei sembrava non sentire...e andava via, e la sua immagine sbiadiva lentamente, sempre meno visibile, sempre più lontana...
“Christine!!!”

“Erik... svegliati” Alain lo strattonò posandogli una mano sulla spalla, il musicista aprì gli occhi di colpo: era stato un sogno, l'ennesimo sogno in cui lei tornava a tormentarlo...
“Non sarò mai abbastanza lontano- si disse l'uomo mettendosi a sedere sulla branda- sarà per sempre in me...
“Accidenti, che aria sbattuta... ti senti bene?” chiese il ragazzo
“Ho solo dormito male” mugugnò Erik
“Parlavi nel sonno- disse Alain guardando il suo interlocutore con aria apprensiva, lui non rispose- Chi è Christine?”
un lampo feroce di rabbia passò nello sguardo di Erik, Christine era il tesoro che lui custodiva nel cuore, sentire quel nome sulle labbra di quel ragazzo lo irritò
“Non os...” avrebbe voluto gridargli di non osare pronunciare quel nome, ma la voce gli morì in gola, si morse le labbra e abbassò lo sguardo: Alain non poteva sapere,
“Cosa c'è? Sicuro di stare bene?” aggiunse il ragazzo
“Te l'ho detto, ho solo fatto una brutta dormita”
“Ah... bhe allora fa niente”
“Fa niente cosa?”
“Niente...”
Erik si strofinò la fronte con le dita, quel ragazzo era da uccidere!
“Diamine Alain, se mi hai svegliato ci deve essere un motivo! E ora, già che ci siamo gradirei sapere qual è questo motivo” borbottò l'uomo
“Niente, io vado in paese, andiamo a fare pubblicità” mormorò il ragazzo mortificato
“Uhm... e allora?”
“E allora volevo chiederti se volevi venire, così giusto per farti una passeggiata per vedere il paese”
Erik alzò le spalle
“Sarà uguale a tutti gli altri paesini che abbiamo girato, lasciami stare”
“Si, certo... scusa...”
Alain uscì dalla tenda con aria mesta, Erik lo seguì con un'occhiata indecifrabile. Lo sapeva che tutti i tentativi del ragazzo per strapparlo alla sua apatia erano fatti con le migliori intenzioni, ma più lui tentava e più l'uomo capiva che non era ancora tempo di tornare al mondo. Avrebbe voluto spiegarlo ad Alain, così che si rassegnasse e smettesse di ronzargli intorno come un cagnolino affettuoso, ma sapeva che il ragazzo non avrebbe capito... o forse c'era dell'altro, in fondo Erik aveva il sospetto che se Alain e la gente del circo avessero saputo chi lui fosse in realtà lo avrebbero respinto come avevano fatto tutti gli altri in precedenza,e non sarebbe rimasta traccia della loro benevolenza e dell'ammirazione che gli avevano sempre riservato.
Già, chissà come avrebbe reagito Alain, che tanto lo adorava, se avesse saputo che lui era stato un assassino.
Erik sbuffò pensando che aveva imparato a voler bene a quello stupido di un ragazzo, e si dispiacque di averlo trattato male.

*

La piazza del mercato era un'esplosione di vita, in quella mattina fredda ma assolata. Il continuo vociare della gente sembrava una piacevole musica di sottofondo, da dietro ai loro banconi i mercanti cercavano di attirare l'attenzione dei passanti.
Diane teneva per mano sua figlia e pensava che la vita in città era meno tranquilla ma più silenziosa e grigia. Una sensazione piacevole di serenità le fece accennare un sorriso involontario mentre Vivianne la tirava per costringerla ad affrettare il passo, tanto forte era la curiosità della bimba di esplorare il paese. Diane si stupiva ogni volta di quanta vita bruciasse instancabile in quel corpicino, osservò sua figlia correre sgambettando a pochi metri da lei e sperò che il futuro di quella bambina fosse più roseo del suo, senza costrizioni e senza obblighi.
Dopo una lunga passeggiata la marchesa e la sua amica si sedettero su una panchina ai margini della piazza mentre Vivianne divideva l'ultimo pezzo della sua brioche con dei fortunati piccioni che si erano trovati ad atterrare accanto a lei. La bambina fu distratta all'improvviso dal suono allegro di un tamburello, lasciò cadere il pezzo di dolce sul quale si avventarono presto alcune decine di colombi, e guardò sua madre come a chiederle il permesso, Diane e Jeanne ridacchiarono poi si alzarono per accompagnare la piccola,
“E' un fuoco inestinguibile quella bambina, Dio la benedica!- esclamò Jeanne, sollevando appena l'orlo del vestito per permettersi di camminare più velocemente- quasi non riesco a starle dietro”
“Ora capisci cosa intendo!” esclamò la marchesa divertita, mentre Vivianne correva in direzione della musica.
Nel centro della piazza c'era un ragazzo vestito da pagliaccio, i capelli rossi arruffati sotto un cappello adorno di campanellini tintinnanti, attorno a lui c'era una ragazza con le trecce vestita con un abito dai colori sgargianti che suonava il tamburello, e un altro ragazzino basso e tarchiato con una maschera dorata a forma di gatto che suonava una grancassa, sulla spalla del pegliaccio era accovacciata una scimmietta vestita con degli abitini orientali decorati con perline luccicanti.
“Uhau!- esclamò Vivianne spalancando gli occhi e osservando quello spettacolo con aria ammirata- chi sono?”
“Gente del circo, ne è arrivato uno in paese qualche giorno fa” spiegò Jeanne
“Non ho mai visto un circo!” rispose la bimba sempre più ammirata
sembrò che il pagliaccio l'avesse sentita, perché si voltò di scatto verso di lei e la raggiunse buttandosi a terra e facendo una capriola che lo fece atterrare proprio davanti alla bambina,
“Non hai mai visto il circo?! Non hai mai visto il circo?!” esclamò il saltimbanco facendo una smorfia stupita che fece scoppiare Vivian in una grossa risata
“No... non l'ho mai visto” rispose
il pagliaccio la scrutò
“Allora devi assolutamente rimediare” aggiunse facendole un occhiolino
“Mi ci porti mamma?” domandò subito la piccola voltandosi verso Diane
“Vedremo, se farai la brava” mormorò lei
“Come ti chiami?” disse il pagliaccio
“Perché vuoi saperlo?”
“Perché voglio conoscere il nome della bambina più bella di tutta la Francia”
Vivianne sorrise compiaciuta da quel complimento
“Mi chimo Vivianne”
“E noi possiamo conoscere il nome del pagliaccio più ruffiano di tutta la Francia?” domandò Diane scherzosamente
“Il mio nome è Alain- rispose questi con un goffo inchino- e voi siete la mamma più bella di tutta la Francia, ma che non ha mai portato la figlia al circo... devo sgridarvi madame”
la marchesa ridacchiò davanti alla smorfia del ragazzo
“Che pagliaccio impertinente!” si intromise Jeanne
“No, solo un pagliaccio sincero” ribatté lui
Diane si coprì la bocca con la mano per soffocare una risata mentre l'amica le lanciava uno sguardo di rimprovero,
“Ebbene, pagliaccio sincero e impertinente, saremo liete di venire a farti visita” concluse la marchesa con un sorriso talmente adorabile che Alain provò un attimo di capogiro... ah le donne, che cosa meravigliosa anche solo da guardare!
“Che bello!” esultò Vivianne battendo le mani,
“Allora vi saluto belle signore” concluse Alain togliendosi il cappello in cenno di saluto, per poi correre via a rimescolarsi tra la folla che riempiva la piazza.
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NOTE:
Colgo spunto dalla recensione di Amy Foster per una piccola precisazione sul mio modo di vedere il personaggio di Erik: fermo restando che nel film del 2004 è interpretato da un attore che è un sicuramente bell'uomo e di conseguenza rende il personaggio molto (ma molto molto) più piacente di quanto non lo sia nel libro, e tenendo conto che l'Erik della mia storia è esattamente quello del film, io penso che lui non sia "bello" o almeno non è la bellezza che mi ha colpito e che mi fa piacere questo personaggio, è piuttosto il suo "fascino", un fascino che rigurarda "l'essenza" del personaggio, la sua natura fuori dal comune (nel bene e nel male), più che il suo aspetto. Ed è questo "magnetismo" che ho cercato di conferire al personaggio di Erik nella mia fancfiction, senza negare che abbia un caratteraccio (prepotente, presuntuoso perchè consapevole di avere una mente geniale, istintivo...), e una personalità difficile resa anche peggiore dalla vita solitaria. Di Erik non si sa se è buono o se è cattivo, perchè non avendo mai vissuto una vita vera non ha mai potuto scegliere tra "bene" e "male", e i vari assassini, minacce e quant'altro erano dettati da una mente annebbiata da un amore troppo disperato, quindi non possono essere presi come "metro di valutazione" di quella persona (anche se obbiettivamente parlando sono azioni orribili).
Al prossimo capitolo ^^

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


CAPITOLO SESTO

No one would listen
No one but her
Heard as the outcast hears

Shamed into solitude
Shunned by the multitude
I learned to listen
In my dark, my heart heard music

I long to teach the world
Rise up and reach the world
No one would listen
I alone could hear the music

Then at last, a voice in the gloom
Seemed to cry, "I hear you!
I hear your fears,
Your torment and your tears!"

She saw my loneliness
Shed in my emptiness
No one would listen
No one but her
Heard as the outcast hears

No one would listen
No one but her
Heard as the outcast hears

Erik sospirò al pensiero che non cantava dalla sera in cui era scappato dal teatro: ormai parecchie settimane prima. Perché si fosse messo a cantare proprio in quel momento non lo sapeva, ma la sua voce era splendida, perfetta e ammaliante, stupefacente, come sempre, come la magia di una fata e pericolosa come il sortilegio di una strega. E lui si sentiva terribilmente inutile e vuoto: un angelo senza ali.
Ora non viveva più isolato nel buio dei sotterranei dell'Opera, era perfino amato dalla gente che lo circondava, eppure la deformità del suo volto sembrava riflettersi nei suoi giorni rendendoli tutti imperfetti ed incompleti. Come era egli stesso: mostruosamente imperfetto e maledettamente incompleto senza quell'amore che il destino gli aveva negato.
In qualunque posto, in qualunque condizione, alla sua vita sarebbe sempre mancato qualcosa.
In tutti gli anni che aveva vissuto all'Opera a Erik non era mai capitato che il peso della solitudine gli facesse provare tanta pena per sé stesso. Allora aveva la speranza, o forse l'illusione, di riscatto sul mondo: lui era un genio, con l'orgoglio, la presunzione persino, di mettere le sue straordinarie capacità al servizio dell'arte più sublime, proprio quell’arte e quella musica che venivano venerate nel tempio dell’Opera Populaire, in cui ogni emozione suscitata, ogni applauso, erano un omaggio al suo maestoso talento. Ora quello splendore si era trasformato in cenere insieme al teatro che lui stesso aveva fatto bruciare, e tutto a causa di una donna.
..Il triste pianto che versai per te cessò, io odio quel che sei...- mormorò Erik rammentando ciò che gli aveva detto Christine, poi alzò gli occhi al cielo e si rivolse a Dio per la prima volta nella sua vita- Signore, concedimi almeno di odiare il suo ricordo...”
ma sapeva che nemmeno Dio avrebbe potuto esaudire una simile preghiera.
Sentì un fruscio alle sue spalle come se qualcuno fosse entrato o uscito, si voltò di scatto, ma la sua tenda era vuota, non c'era nessuno,
“Il Fantasma dell'Opera vittima dei fantasmi del passato, che ironia!” borbottò tra sé e sé, poi accordò il violino preparandosi allo spettacolo di quella sera.

Erik uscì dalla sua tenda con il violino tra le mani, a pochi metri scorse Alain immobile,
“Non sei ancora pronto” gli fece notare quando si accorse che il ragazzo non aveva ancora indossato il suo costume da pagliaccio,
Alain gli rispose con uno sguardo inebetito fissandolo con gli occhi sgranati,
“Ehi, Alain, non vorrai fare tardi?” domandò il musicista
ancora una volta il ragazzo non parlò e lo guardò con quell'aria stupita, Erik gli posò le mani sulle spalle e lo scosse,
“Sveglia! Cosa ti è successo?!” esclamò con una punta di irritazione
“Co... cosa mi è successo?- farfugliò il ragazzo sbattendo rapidamente le palpebre- ti ho sentito... ti ho sentito cantare, ecco cosa mi è successo!”
“Ah...”
“Non sapevo che tu... non pensavo avessi... diamine Erik, hai la voce di un angelo...”,
L'uomo si morse il labbro inferiore... sarebbe stato quasi più facile raccontare a quel ragazzo la verità sul suo passato, almeno non avrebbe più infierito con affermazioni come quella e come tante alte uscite infelici che Alain continuava a tirare fuori ogni volta che tentava di animare Erik in qualche modo o che provava a esprimergli la propria ammirazione.
“Si, so cantare” concluse sbrigativo
“Dire che SAI CANTARE è riduttivo amico mio! Ma da dove salti fuori? Dall'Opera di Parigi?...” esclamò Alain senza liberarsi di quell'espressione di stupore,
“E che ne sai di come cantano quelli dell'Opera di Parigi, non ci sei mai stato- borbottò Erik- avanti, togliti dai piedi, va' a prepararti altrimenti non sarai pronto per l'inizio dello spettacolo!”
il ragazzo annuì e corse via.

*

Colette pettinò con delicatezza i lunghi capelli della marchesa, poi ne fece una treccia e la sistemò in uno chignon che fissò con un fermaglio d'argento a forma di fiore.
Diane spiò il volto della domestica alle sue spalle attraverso lo specchio e si lasciò scappare un sorrisetto impertinente,
“Non fare quella faccia Colette!” esclamò
“Oh suvvia madame, non chiedete la mia approvazione!” protestò l'anziana donna portando le mani sui fianchi
“Infatti non te l'ho chiesta”
“Un circo di paese non è un posto adatto a una signora come voi... se lo sapesse vostro marito non gli farebbe piacere!”
Diane sospirò
“Non c'è bisogno che mio marito lo sappia, del resto nemmeno io so tutto quello che fa lui quando è via, e immagino che anche a me alcune di quelle cose non farebbero piacere”
la donna pronunciò le ultime parole con un'ilarità densa di malizia, la domestica chinò il capo con aria imbarazzata,
“State attenta alla bambina, madame- aggiunse poi mettendosi a sistemare gli oggetti per la toilette- non si mai che gente gira in questi posti”
Diane si allontanò dallo specchio,
“Ho la sensazione che sarà una bella serata!” disse prima di uscire,
Colette unì i palmi delle mani e alzò gli occhi al cielo,
“Ecco dove sua figlia ha preso tutte quelle smanie!” sospirò.

Il pavimento della villa di Jeanne era coperto da mattonelle di marmo bianco alternate a piastrelle di marmo nero, disposte a scacchiera. Vivianne era nell'ingresso, non aveva protestato quando le era stato imposto di mettere la sciarpa e coprirsi bene, né aveva avuto da ridire sul fatto che il cappotto le stringesse troppo le spalle, e in attesa della madre si mise a saltellare a zig-zag nervosamente cercando di atterrare solo sulle mattonelle scure, evitando quelle bianche.
“Un circo, come ti è venuto in mente?” disse Jeanne raggiungendo Diane, dirigendosi insieme a lei verso l'ingresso
“Oh, ti prego, dov'è la mia amica Jeanne che non bada alle convenzioni?” sbuffò la marchesa
“Ma qui non si tratta di convenzioni, è solo che una come te, passare dall'Opera di Parigi a un circo di campagna!”
“Ogni tanto fa bene cambiare”
le due donne si concessero una risatina, poi raggiunsero la bambina che le aspettava con aria trepidante,
“Mmh, ho notato che stasera sei stata particolarmente solerte a prepararti, chissà come mai” commentò sarcasticamente la marchesa rivolta a sua figlia
“Ho pensato che era meglio fare presto così la serata non diventerà troppo fredda!” rispose prontamente Vivianne con un ghigno
“Ma che bambina lungimirante!” scherzò Jeanne,
“Vieni, piccola peste, andiamo” concluse Diane allungando la mano verso la piccola, ma lei si fiondò fuori dalla porta con l'aria precipitosa e concitata tipica dei bambini che si sentono prossimi a vivere un bel sogno ad occhi aperti.

La sera era umida, ma il cielo limpido che lasciava intravedere le stelle era una prova evidente del fatto che l'inverno stava per finire.
“Siamo arrivati?” domandò Vivianne premendo il viso contro il finestrino della carrozza
“Ma siamo partiti solo da pochi minuti tesoro” le fece notare Jeanne
“Uhm... e non si può dire al cocchiere di andare più veloce?”
“Guarda che il circo non scappa da lì” protestò Diane
“Ma quanto manca ancora?” domandò la bambina saltando sul sedile
sua madre roteò gli occhi con aria spazientita
“Dirò al cocchiere di allungare la strada se non ti calmi e non ti metti seduta come si deve”
Vivianne sbuffò e si schiacciò contro lo schienale incrociando le braccine.

Il piazzale era illuminato dal fuoco acceso in bracieri di metallo disposti in circolo lungo il perimetro e da fiaccole sistemate sulla sommità di pali di legno, le tende dove alloggiavano gli artisti del circo sembravano grossi funghi colorati che puntavano dal terreno.
Al centro della piazza c'era un grosso tendone fatto di grossi teli di colori diversi cuciti insieme, davanti all'entrata c'era una bancarella di dolciumi dalla quale si alzava un invitante odore di zucchero caramellato.
Vivianne corse verso un angolo dove altri bambini erano accalcati a guardare la scimmietta che ballava al suono del tamburello di una ragazza, la piccola ricordò di aver già visto la giovane e la bestiola quella mattina in paese.
Dall'altro lato della piazza c'era una contorsionista che assumeva le posizioni più sorprendenti strappando di volta in volta esclamazioni di stupore alla piccola folla che la circondava. Poco distanti c'erano un uomo e una donna che facevano i mangiafuoco, a guardarli sembravano intenti a gareggiare su chi riusciva a inghiottire più fiamme, come se le punte delle torce che maneggiavano fossero succulente mele caramellate. E ovunque c'erano personaggi in costume che giravano per la piazza lanciando coriandoli e stuzzicando la gente venuta ad assistere agli spettacoli.
Vivianne correva da una parte all'altra osservando un'attrazione per poi precipitarsi a guardare qualcos'altro, per poi tornare indietro e guardare ancora, come se temesse che i suoi occhi non riuscissero a contenere tutte quelle meraviglie, sembrava che avesse paura che se fosse rimasta troppo tempo a guardare una sola cosa le altre sarebbero sparite.
“Io non so se stasera tornerò a casa viva!” esclamò Jeanne con il fiato corto mentre cercava di stare dietro a Diane, che con scarso successo e molta fatica a sua volta cercava di stare dietro a sua figlia.
Il ragazzino con la maschera a forma di gatto uscì dal tendone suonando la sua grancassa, richiamò a gran voce l'attenzione dei presenti e li invitò ad accomodarsi dentro per l'inizio dello spettacolo.
Jeanne si fermò in mezzo alla piazza tenendosi il petto con la mano, cercando di far tornare regolare il proprio respiro, Diane si fermò accanto a lei, ma Vivianne raggiunse le due donne e le tirò per le gonne dei loro vestiti,
“Dobbiamo andare! Non avete sentito, lo spettacolo sta per cominciare!” esclamò con una smorfia severa,
“Guarda il lato positivo- concluse la marchesa rivolta all'amica- almeno dentro potremmo stare sedute”.
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NOTE:
La canzone scritta all'inizio del capitolo si intitola "no one would listen", è tratta da una scena tagliata del film che eventualmente potete trovare su you-tube. L'ho scelta perchè è l'unico brano in cui il Fantasma parla un pò di se stesso e rivela il suo lato più umano e "vulnerabile".
Ora, già che ci siamo, vi faccio una confessione: IO ODIO IL CIRCO!!! Non ricordo come sono i circhi di oggi e non ho la più pallida idea di come fossero quelli dell'800, spero comunque che le mie descrizioni siano plausibili.

Ringrazio ancora una volta Amy per la recensione e per aver avuto la pazienza di leggere e rispondere alla mia mail (non mi piace spoilerare... ma anche io la penso come te, Erik ha bisogno di fare pace con la sua "vecchia fiamma" prima di rifarsi una vita ^^) e spero che la storia continuerà a piacerle... anche se per la protagonista non mi sono ispirata alla Knitley (... scherzavo XD).
Ringrazio la mia betareader che non solo mi sopporta e sUpporta pazientemente per e-mail e su msn, ma è anche venuta qui a rileggere e commentare la mia storia.

Al prossimo capitolo.

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***


CAPITOLO SETTIMO

All'interno del tendone c'erano delle panche di legno sistemate attorno a una pista circolare coperta di paglia e contornata da balle di fieno che separavano la scena dalla prima fila. Intorno alla pista c'erano molte candele coperte da vetri dipinti che proiettavano luci colorate e specchi orientabili che permettevano alla luce di espandersi o di concentrarsi in un unico punto a seconda delle necessità di scena.
Il tendone era pieno di gente, e non c'era da stupirsi, l'atmosfera colorata del circo era il giusto angolo di mondo in cui le persone potevano cercare rifugio dal grigiore della vita.
Quando il pubblico vociante si mise a sedere Maurice Chatelet fece il suo ingresso vestito con un vistosissimo frak blu, fu accolto da un caloroso applauso al quale rispose con uno dei suoi larghi sorrisi.
“Benvenuti cari signori e rispettabili signore!- esclamò con un lieve inchino- benvenuti nel mio regno incantato, giacchè siete entrati nel mio mondo vi chiedo di lasciare fuori dalla soglia ogni malumore e ogni dispiacere, perché il mio mondo è fatto di magia! Ma la magia sortisce i suoi effetti solo su cuori leggeri e sereni, quindi mi auspico che i vostri cuori siano liberi da tutte le ombre cosicché possiate riempirli di magia e portare questa magia con voi quando tornerete alla vostre case! Buon divertimento”
questa enfatica orazione di benvenuto fu salutata con entusiasmo dagli spettatori.
Maurice lasciò la pista per sparire dietro un telo colorato, un attimo dopo ci fu un piccolo scoppio e al centro del tendone si levò una densa nuvola di fumo. Quando il fumo si dissolse comparve come per magia un uomo che indossava una larga camicia scura decorata con dei piccoli frammenti di specchio che luccicavano sotto la luce delle candele: il pubblico ebbe l'onore di salutare il mago Thobias che divertì i presenti con alcuni giochi di prestigio, semplici ma efficaci. L'uscita di scena del mago fu seguita dall'ingresso degli acrobati, poi fu la volta dei pagliacci.
“Guarda mamma, quello è Alain, il pagliaccio che abbiamo conosciuto stamattina!” esclamò Vivianne che con la sua foga si era guadagnata la prima fila e guardava lo spettacolo praticamente in piedi con il mento poggiato su una delle balle di fieno che separava la pista dalle panche.
Dopo i pagliacci tornarono i fachiri che già avevano accolto il pubblico all'ingresso, seguiti dai giocolieri e da una giovane acrobata che eseguiva il suo numero in sella a un cavallo che correva in circolo lungo la pista.
Il pubblico dovette dare ragione a Maurice... forse era una suggestione creata dai colori, forse era un piccolo miracolo che l'uomo creava con le proprie mani senza bisogno di scomodare il Padreterno, ma il circo era magia, era sogno che si realizzava anche solo per un paio di ore.
Quando si concluse l'ultimo numero Maurice tornò nuovamente in pista,
“Cosa ne dite, signori miei? La serata è stata abbastanza magica?” domandò l'uomo, dagli spettatori si alzò un “SIIII” collettivo, il padrone del circo sorrise e continuò,
“E come giusta conclusione della serata quindi non potevamo che augurarvi la buona notte in maniera altrettanto magica, con quella che posso giurare è la musica più incantevole che le vostre orecchie potranno mai udire” ciò detto fece un profondo inchino, salutò il pubblico mandando baci e agitando le mani e poi andò via, fu allora che fece la sua entrata il violinista, l'ultima attrazione della serata.

L'uomo camminava verso il centro della pista con passi lenti composti, i suoi abiti non erano colorati e vistosi come quelli degli altri, indossava una camicia bianca e un paio di calzoni neri, in compenso però il suo viso era coperto da una mezza maschera bianca che celava la parte destra del volto. Era molto alto, i corti capelli neri erano sistemati all'indietro, inizialmente il pubblico non riuscì a vedere bene i suoi occhi perché l'uomo teneva lo sguardo basso, poi quando raggiunse il centro della pista sollevò il capo e percorse con lo sguardo tutta la platea di spettatori. Ognuno dei presenti ebbe per un attimo la sensazione di essere trapassato dallo sguardo di quegli occhi profondi color acquamarina, come se quell'occhiata fosse rivolta personalmente a ognuno di loro.
“Che sfacciataggine quel tipo del circo, come si permette di dire che quella di quest'uomo è la musica migliore che potremmo ascoltare- protestò Jeanne a bassa voce nell'orecchio dell'amica- è evidente che non è mai stato in un vero teatro, lì si che si trovano dei veri musicisti”
“Potresti ascoltarlo prima di giudicare” rispose Diane con calma osservando incuriosita il violinista.
Nel frattempo l'uomo al centro della pista aveva chinato leggermente il capo in segno di saluto e si era sistemato il violino sulla spalla,
“Ah per piacere cara, cosa vuoi che ne sappia un artista di strada di cos'è la vera musica...” insistette Jeanne,
“Ssssh” le disse Diane nel momento in cui l'uomo iniziò a suonare.
Un attimo dopo che l'archetto prese a sfiorare le corde del violino il pubblico del circo si zittì. Mentre l'uomo suonava il silenzio creatosi era tale da dare l'impressione che l'aria stessa inghiottisse ogni rumore per lasciare spazio solo a quella melodia celestiale, sembrò che quella musica venisse, dalla terra, dal cielo, dalle pareti di stoffa del tendone... sembrò che avesse un corpo, una forma, che avesse delle mani con delle dita che si insinuavano fin dentro l'anima di chi ascoltava.
Quando l'uomo smise di suonare il pubblico scattò in piedi e gli regalò un applauso entusiasta.
“Eh il nostro Erik ha fatto centro anche stasera, come sempre del resto” disse Maurice con un sospiro compiaciuto,
il musicista chinò il capo in un composto gesto di saluto, e poi sparì.

Vivianne affondò le dita nel fieno della balla che aveva davanti strappandone qualche filo,
“E' lui mamma, è lui, è lui...” cominciò a ripetere quell'esclamazione ossessivamente strattonando la gonna di sua madre
“Cosa c'è cherie?” chiese Jeanne perplessa
“Lui chi?”
“Lui, mamma, il mio angelo... quello del teatro di Parigi!”
“Ma, Vivianne ti sbagli, non può essere lui, come avrebbe potuto trovarsi un violinista da circo nelle stalle dell'Opera?” domandò Diane perplessa
“No, è lui, mamma, gli occhi... quegli occhi sono i suoi... è lui, sono sicura” Vivianne sembrava molto convinta, la marchesa non aveva mai visto la bambina così risoluta
“Bhe, potete andare a chiederglielo” disse Jeanne lanciando uno sguardo complice verso la piccola che ricambiò con un sorriso contento
“Ma è ridicolo...” protestò Diane
“Non ti costa niente” le rispose l'amica alzando le spalle
la marchesa guardò sua figlia ancora aggrappata alla sua gonna, aveva l'aria quasi implorante
“Ah, e va bene, va bene, andiamo, piccola peste” disse lanciando un sospiro rassegnato e prendendo Vivianne per mano,
quando si guardarono intorno si accorsero che il violinista non era nei paraggi,
“Chiediamo dov'è” disse Vivianne tirando sua madre con una forza impensabile per un corpicino così piccolo,
la marchesa e sua figlia presero ad aggirarsi per il piazzale affollato di gente, dopo qualche minuto si imbatterono in Alain che si stava avviando verso la sua carrozza per togliersi il trucco e gli abiti da pagliaccio, Vivianne lasciò la mano di sua madre e gli corse incontro,
“Tu sei il pagliaccio che abbiamo incontrato stamattina” gli disse guardandolo con un sorriso, tirandogli un lembo degli ampi pantaloni coperti di toppe colorate per attirare la sua attenzione,
“E tu sei Vivianne, la bambina più bella di tutta la Francia!” rispose Alain riconoscendo la piccola
Vivian allargò un sorriso
“Io e la mia mamma stavamo cercando il signore che suona il violino” aggiunse
“Cercate Erik...”
“E' così che si chiama?- intervenne Diane- bhe si, lo cerchiamo”
“Scusate, madame, ma a che proposito?” domandò il ragazzo
“Non è solito ricevere complimenti dal pubblico?- chiese la marchesa stupita da quella domanda- suona in modo divino, immagino che la gente gli si accalchi attorno dopo la sua esibizione”
Alain alzò le spalle
“A lui non piace parlare con la gente” rispose
“Ma noi lo conosciamo!” protestò la bambina
“Ah davvero? Ero quasi certo che Erik non conoscesse nessuno” disse il ragazzo come pensando ad alta voce, poi si portò le mani alla bocca rendendosi conto dell'espressione incredula che gli stava rivolgendo la signora, ancora una volta era incappato nel suo difetto di parlare troppo e a sproposito,
“Crediamo di conoscerlo- disse Diane decidendo di non far caso all'affermazione del giovane- mia figlia pensa di averlo già incontrato in un'altra circostanza in cui lui le ha fornito il suo aiuto, vorrei sapere se è davvero l'uomo che ha incontrato mia figlia, per ringraziarlo”
Alain si grattò il capo con aria pensierosa, non sapeva se era il caso di far incontrare ad Erik quella donna e sua figlia, non voleva si infastidisse al punto di arrabbiarsi con lui
“Ma se è di disturbo non importa” concluse la marchesa in tono gentile
“Oh, su per piacere...” disse Vivianne puntando in faccia al ragazzo due occhioni imploranti
“Se vostra figlia mi guarda con quella faccia non riesco a dire di no- sbuffò il pagliaccio con una smorfia- spero che le sue moine riescano a intenerire anche Erik...”
la bimba sorrise soddisfatta
“Piccola strega” sibilò Diane sconcertata dall'abilità persuasiva di sua figlia,
Alain condusse le due donne davanti a una piccola tenda, dall'esterno si vedeva che era illuminata da una lanterna, sulle pareti di tela si disegnavano le ombre dell'uomo che era dentro, il ragazzo si affacciò all'entrata
“Erik, c'è qualcuno per te” disse
l'uomo gli lanciò uno sguardo vacuo, Alain sapeva bene che lui non amava incontrare gente, perchè diavolo aveva portato qualcuno da lui?...
“Ehmm... ecco... lo so, lo so...- farfugliò il ragazzo prima ancora che Erik potesse protestare- lo so, ma la bambina ha fatto gli occhi dolci, sua madre era gentile... scusa... non sono riuscito a dire no”
ciò detto Alain sparì con tale rapidità che Erik non ebbe nemmeno il tempo di pensare a una rispostaccia da dargli, al suo posto sull'entrata comparve Diane, Erik la squadrò con una rapida occhiata
“Ora capisco perché Alain non le ha saputo dire di no, basta il sorriso di una bella donna e lui perde la ragione... già ne ha poca, tra l'altro...” pensò tra sé e sé
“Ero certa che era lui!” disse una vocina sottile, solo allora Erik notò la bambina che faceva capolino tra le pieghe dell'ampia gonna del vestito della donna, la voce e la figura di quella bambina gli diedero una strana sensazione di deja-vù, poi ricordò... ricordò la voce, quel ringraziamento che gli aveva lasciato prima che sparisse... Erik aveva una certa abilità quando si trattava di voci e suoni... deglutì nervosamente: la bambina dell'Opera! Se quella bambina avesse parlato, lui sarebbe stato perduto, ma la sua fredda razionalità lo costrinse a calmarsi: la bambina non aveva idea di chi potesse essere lui, e se sua madre avesse avuto qualche sospetto avrebbe avvisato le autorità e non si sarebbe certo presentata nella sua tenda tutta sola...
“Scusate monsieur- esordì la donna con voce gentile- ma mia figlia...”
Vivianne non diede il tempo a sua madre di concludere la frase e corse verso Erik
“Sei tu, l'uomo che mi ha aiutata quella sera, ti ho riconosciuto, il pagliaccio ha detto che ti chiami Erik, ti ricordi di me?” disse la piccola cominciando a parlare a raffica
come accidenti aveva fatto quella bambina a riconoscerlo e a ricordarsi di lui,
“Vivianne, non essere insopportabile come tuo solito!- la rimproverò la madre per poi fissare l'uomo con un dolce sorriso- scusate, ma mia figlia è convinta che voi siate l'uomo che l'ha aiutata in una situazione poco piacevole, dice che siete il suo angelo...”
a quell'affermazione il cuore di Erik perse un battito, spostò nervosamente lo sguardo tra la bambina e la donna,
“Non so di cosa parliate, madame” disse con freddezza
“Sei tu, lo so che sei tu... ho riconosciuto i tuoi occhi” disse Vivianne con una smorfia crucciata
Diane era perplessa, certo quell'uomo non aveva motivo di mentire su una cosa del genere, quale uomo mentirebbe se lo si ritenesse autore di una buona azione? Eppure la bambina era così sicura, così determinata, più del solito, molto più del solito...
“Monsieur, vi assicuro che mia figlia quando dice una cosa con tale convinzione non è mai a sproposito” mormorò cercando lo sguardo del suo interlocutore, l'uomo la fulminò con un'occhiata gelida,
“Non so come faccia vostra figlia ad essere sicura che io sia l'uomo di cui parla, è solo una bambina madame, può essersi ingannata, anzi si è ingannata di sicuro” rispose
la marchesa osservò di nuovo quel viso coperto per metà dalla maschera, e guardò di nuovo in quegli occhi, malgrado la freddezza e anche lo strano dolore che vi leggeva erano quasi terrificanti,
“Avete degli occhi che non è facile dimenticare o confondere monsieur” concluse corrugando la fronte
Erik le lanciò un sorriso beffardo
“Siete sfacciata, molto più di quanto si possa tollerare da una donna sposata e del vostro rango” sibilò
“Lo dicevo senza alcuna malizia, era solo un'osservazione!- rispose Diane piccata, non gli avrebbe dato la soddisfazione di arrossire o di mostrarsi imbarazzata- se siete l'uomo che ha aiutato mia figlia avete tutta la mia riconoscenza, in caso contrario mi limito a farvi i complimenti per la vostra musica”
“Non è possibile che non sia lui” si intromise la bambina stringendo le manine in due pugni incolleriti
Erik sbuffò
“Madame, sarà meglio che spiegate a vostra figlia che io non sono l'uomo che ha incontrato all'Opera, temo altrimenti che non riuscirete ad addormentarla stanotte” commentò con una punta di sarcasmo
Diane si lasciò sfuggire un sorriso e tese la mano a sua figlia, Vivianne prese la mano della madre e si rassegnò ad andare via,
“Vi rinnovo le congratulazioni per le vostre doti musicali, monsieur, buona notte”
“Vi ringrazio del complimento madame, buona notte”
quando la donna uscì Erik tirò un sospiro di sollievo, cominciò a sbottonarsi la camicia e a prepararsi per la notte. Sorrise, il primo sorriso divertito e sincero da mesi... l'ultima volta che aveva sorriso era stato per Christine, la sera che l'aveva condotta la prima volta nella sua casa sul lago, mentre le cantava una splendida canzone...
“Però, sagace la bambina!” disse mantenendo quell'espressione, lasciando cadere la camicia sulla branda,
“Comunque!...” esclamò una voce alle sue spalle, lui si voltò di colpo e si trovò dinnanzi la donna che aveva conosciuto poco prima,
la marchesa arretrò imbarazzata dall'esserselo trovato davanti a dorso nudo, ma si costrinse a darsi un contegno e a smettere di fissarlo, gli puntò in faccia due occhi dall'espressione decisa,
“Pensavo che le donne della vostra posizione chiedessero permesso prima di entrare” disse Erik con una malizia priva di ironia
la donna restò concentrata sul suo viso e malgrado si sentisse avvampare sostenne il suo sguardo,
“Comunque!- ripeté con la voce resa meno ferma dall'imbarazzo- visto che mi trovo qui, volevo anche ringraziarvi per aver aiutato mia figlia, visto che solo l'uomo che l'ha aiutata poteva essere a conoscenza del fatto che l'episodio di cui parlavamo era avvenuto all'Opera, un particolare che avete menzionato voi, senza che noi dicessimo nulla a riguardo”
ciò detto la donna si voltò di scatto e sparì fuori dalla tenda,
Erik si morse il labbro, si era tradito da solo, come uno sprovveduto!
“Sagace anche sua madre...” mormorò sbuffando.
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NOTE:
Spero che mentre leggevate gli ultimi paragrafi del capitolo non abbiate sentito in sottofondo la sigla di "kiss me Licia" (avete presente "un giorno di pioggia Andrea e Giuliano incontrao Licia per caso... lalalalalalalaaa..."?), come al solito cerco di rendere la storia palusibile e i personaggi quanto meno verosimili., e questi "momenti topici" sono sempre uno strazio, come le parti dialogate lunghe in un testo scritto, del resto... spero di non aver fatto troppi danni XD

Grazie a chi ha letto e grazie per le recensioni ^^
Masked_lady sono contenta che la storia continui a piacerti e spero, andando avanti, di non deluderti e mantenere viva la tua attenzione.

Amy Foster, dilungati pure quanto vuoi, mi piacciono i tuoi commenti ^^, sono contenta che il rapporto tra Diane e Vivianne funzioni (era una cosa che mi "terrorizzava", non avendo bambini intorno, e non essendo genitore non so quanto sia capace di rendere una relazione madre\figlia) in quanto a Jeanne diciamo che è un personaggio secondario che ho tirato fuori semplicemente per scopi di trama (perchè hai la sensazione che nasconda qualcosa?), però, come avevi già notato, i nomi di alcuni personaggi li ho tirati fuori direttamente da lady Oscar quindi potrebbe anche chiamarsi Jeanne la Motte XD (anche il cognome della famiglia di Alain, Chatelet, viene da lì ^^). Per Carlotta dovrai pazientare ancora qualche capitolo... ma ti assicuro che sarà un ritorno in grande stile :-D

Monipotty grazie dei complimenti, so che qualche sera fa hanno trasmesso il film in tv e sono contenta che il personaggio del Master abbia conquistato altri cuori, del resto io l'ho sempre trovato un gran bel personaggio, sia nel musical che nel libro... ora sai anche cosa ha fatto la bambina quando lo ha visto, spero di non aver deluso le tue aspettative XD

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


CAPITOLO OTTAVO

La domestica strinse le stringhe del bustino con gesti rapidi e indelicati, facendo sobbalzare la ragazza ad ogni stretta. Quando ebbe finito di vestirsi e di prepararsi, la giovane scese in salotto accompagnata dal fruscio dell'abito, più sontuoso di quelli a cui era sempre stata abituata.
“Christine, sembri una principessa, a momenti stentavo a riconoscerti!” esclamò una voce familiare e affettuosa che per la giovane fu come acqua nel deserto.
Madame Giry era ad attenderla in piedi al centro della stanza, l'abbracciò con calore materno e le accarezzò i folti ricci. Erano passati meno di due mesi dai funesti avvenimenti dell'Opera eppure la ragazza sembrava aver reagito a quanto accaduto con tutto il suo essere, il suo sguardo dolce era diventato più deciso, meno infantile, i suoi gesti più sicuri. Il dolore aveva trasformato la ragazzina in una donna, una donna molto bella, più di quanto non lo fosse già.
“Come stai, bambina?” le chiese madame Giry baciandole le guance,
“Bene...” rispose Christine, in cuor suo sapeva che quella dopotutto non era una menzogna, stava bene al pensiero di poter finalmente sposare l'uomo che amava, anche se la vita in quella casa le sembrava assurda, le regole e le formalità a cui doveva sottostare, comportamenti a cui doveva conformarsi... tutto così diverso dalla vita libera e spensierata che faceva a teatro. Ma non era sola, c'era Raoul con lei e questo le bastava a trovare la forza di andare avanti.
“Madame Giry, che piacere vedervi” esclamò il giovane uomo entrando e rivolgendo alla donna un lieve inchino
“Visconte, buon giorno” lo salutò lei,
Raoul de Chagny si avvicinò a Christine e le baciò la mano, nello sguardo che le rivolse c'era tutta la tenerezza del mondo,
“Dunque a quanto pare oggi facciamo il primo passo verso l'altare” disse allegro, rivolto alla sua fidanzata
Christine rispose con un adorabile sorriso
“Sono contenta che madame Giry abbia accettato di accompagnarmi dalla sarta per aiutarmi con il vestito” aggiunse
“Sei come una figlia per me, mia cara, e ogni madre che si rispetti aiuta la propria bambina in queste faccende” concluse la donna.
Pochi minuti dopo madame Giry e Christine erano su una carrozza dirette verso il centro della città, dove la sarta le attendeva per la scelta dei merletti con cui decorare l'abito nuziale.
“Avete sue notizie, madame?” domandò a bruciapelo la giovane fissando la donna con gli occhi colmi di una strana emozione,
madame Giry sobbalzò, la domanda l'aveva colta completamente alla sprovvista, ma fu facile per lei indovinare a chi si riferisse la giovane. Se Parigi non aveva dimenticato il Fantasma dell'Opera come avrebbe potuto dimenticarlo quella ragazza?
“Non so niente di lui” ripose con voce tremula,
“Addio, Eloise” era stata l'ultima volta che aveva ascoltato la sua voce d'angelo prima che il buio lo portasse via dai suoi occhi e dalla possibilità di regalargli un ultimo abbraccio,
“Credete che sia... morto?” Christine pronunciò quell'ultima parola a fatica impigliando le dita in un lembo della gonna,
“Lui è troppo geniale persino per la morte, bambina mia” concluse la donna abbassando lo sguardo,
“Lo rivedremo un giorno?...”
madame Giry scosse il capo
“No, non credo... non è così stolto da tornare a Parigi” disse, ma dentro di sé ebbe come la sensazione di essersi sbagliata, e se Erik un giorno avesse deciso di rivedere Christine? E se si fosse reso conto di quanto gli fosse impossibile restare lontano da quella città?...
“Non guardatemi in quel modo, vi prego...” mormorò Christine notando lo sguardo che ora le stava rivolgendo la donna, un'occhiata tra il preoccupato e il contrariato,
“Tu pensi a lui?” domandò madame Giry senza cambiare espressione
“Si” disse la ragazza decisa, lasciandosi scappare un sospiro
“Christine, tu stai per sposarti! Stai per diventare la viscontessa de Chagny! Raoul ti adora...”
“Ho detto che penso a lui, ma non nel modo che credete” la giovane si rese conto di essere incapace a pronunciare il nome del suo Angelo della Musica,
madame Giry si strinse un po' di più nello scialle e attese che la ragazza continuasse con le sue spiegazioni,
“L'amore che ho provato per quell'uomo non è l'amore che provo per Raoul, lui per me rappresentava il mio sogno artistico e lo amavo come amo la musica, non amavo la persona, amavo ciò che quella persona rappresentava e credevo che per lui fosse la stessa cosa... pensavo mi amasse e tenesse alla mia carriera perché io ero il mezzo attraverso il quale poteva far conoscere la sua bravura al mondo, mi aveva insegnato tutto quello che sapeva sull'arte del canto perché la mia voce fosse il mezzo per portare sul palco la sua anima... mi ero illusa che fosse così, che sciocca che sono stata a non aver compreso la vera natura dei suoi sentimenti per me” mentre pronunciava queste parole la voce di Christine diventava sempre più tremula e incerta,
madame Giry trovò a fatica la forza di risponderle,
“Tu sei così giovane, lui era così solo e disperato... nessuno di voi due poteva avere la lucidità per impedire che le cose prendessero la piega tragica che hanno assunto. Io piuttosto, avrei dovuto fare qualcosa... ma infondo credo che anche io lo temessi in qualche modo, forse lo ritenevo troppo brillante per potermi opporre a lui” concluse la donna
“Non ha senso ricercare colpe- disse Christine coprendosi il viso con le mani- ma io ora non trovo pace, sogno i suoi occhi tutte le sere, la sua angoscia mi è entrata nel cuore come se fosse una malattia che mi ha contagiato... so che la mia esistenza sarà felice accanto a Raoul, perché ci amiamo... ma la mia felicità mi sembra un furto al destino se penso che dipende dall'infelicità di quell'uomo...”
“Mi piace pensare che lui se la sia cavata in qualche modo, e che quando i ricordi saranno abbastanza remoti da non essere più una condanna, troverà il suo posto nel mondo. Tu, figlia mia, goditi la tua vita senza rimpianti, ne hai tutto il diritto”
Christine avrebbe voluto rispondere che le era impossibile nascondersi dal rimorso, ma la carrozza si fermò, erano giunte a destinazione, davanti alla bottega della sarta.
Durante il tragitto di ritorno né la ragazza, né madame Giry trovarono la forza di riprendere la discussione.

*

Vivianne aprì gli occhi di colpo, tirò via le coperte e scese dal letto con un salto. Il pavimento sotto i piedini era freddo, la bimba raggiunse la finestra e scostò le tende, si alzò sulle punte per guardare oltre il davanzale, il prato dinnanzi alla casa era illuminato da una luce fioca e dai riflessi appena rosati: era da poco sorto il sole, era troppo presto.
La bambina aveva sperato che fosse un'ora abbastanza inoltrata, in modo da trovare sua madre sveglia e poterle parlare. La sera prima era stata piena di emozioni, dal divertimento e lo stupore per quel meraviglioso mondo dei balocchi che è il circo, all'eccitazione e alla gioia di aver rincontrato il “suo angelo”, alla delusione per il fatto che l'uomo aveva negato di essere chi lei credeva. Aveva tanto bisogno che qualcuno le spiegasse, voleva parlare con sua madre, ma quando raggiunse la camera di Diane si accorse che la donna dormiva ancora, si limitò a salire piano sul materasso e infilarsi sotto le coperte accanto a lei, in attesa che si svegliasse.
Quando Diane aprì gli occhi scorse il profilo di suo figlia inginocchiata accanto a lei che spiava con aria trepidante i movimenti del suo viso alla ricerca di un segnale o di un minimo movimento che presagisse il risveglio.
“Tu cosa ci fai qui?” domandò la donna stropicciandosi il viso con le mani
la bambina alzò le spalle con aria vaga,
“Bhe, non dai nemmeno il buon giorno a tua madre...” protestò Diane quando gli occhi misero completamente a fuoco la stanza,
Vivianne si chinò a darle un bacio sulla guancia, poi si rannicchiò contro di lei,
“Cosa ha detto alla fine?” le domandò
“Chi?...”
“Lui, il mio angelo”
Diane sbadigliò e si passò una mano tra i capelli, poi si voltò verso sua figlia e cercò di tirare fuori i ricordi dalla sua mente ancora intorpidita dal sonno. Arrossì impercettibilmente al ricordo dell'essere piombata nella tenda di quel musicista mentre lui si stava svestendo, di avergli detto, con la voce resa stridula dall'imbarazzo, che si era tradito e che lei era certa che fosse l'uomo che aveva aiutato sua figlia, e poi se n'era andata senza attendere la sua risposta.
“Niente, Vivianne, non ha detto niente” concluse
la bimba arricciò il labbro in una smorfia di dissenso
“Allora dobbiamo tornarci” rispose semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo
“Levatelo dalla testa!” esclamò sua madre
“Perché?... lo dici che sembra che ti vergogni”
Diane tirò un cuscino contro la bambina come per gioco, in realtà lo fece per nascondergli la sua espressione imbarazzata, sapeva che rivedere quell'uomo le avrebbe messo soggezione... per quello che era successo quando lei era tornata nella tenda, per quella sua espressione maliziosa... e quegli occhi, così gelidi e tristi che faceva male al cuore guardarli,
“Non mi vergogno, sciocchina! Semplicemente non mi sembra il caso di tornare a trovare quell'uomo” concluse la marchesa quando incontrò nuovamente lo sguardo di sua figlia
“E perché?”
“Non ti sembra che sia un tipo un po' antipatico?”
“No, forse ieri sera era di cattivo umore perché aveva mal di testa...” propose Vivianne
“Ma che fantasia!” esclamò sua madre
“Ma... mamma”
“Si, cara?”
“Possiamo tornare e chiedergli perché ha detto una bugia”
Diane scese dal letto e infilò la vestaglia che la sera prima aveva poggiato sullo schienale della poltrona, pensandoci bene le era sembrato strano fin dal primo momento che quell'uomo avesse mentito sull'aver compiuto una buona azione, e soprattutto le veniva da chiedersi cosa ci facesse un musicista da circo nelle stalle dell'Opera, e cosa ancora più strana, cosa ci facesse un musicista così eccelso in un circo di paese!
“Si io un po' sono curiosa, ma non mi sembra un motivo sufficiente per tornare da lui” concluse sbrigativa,
la bimba sbuffò, non le piaceva la prospettiva di non soddisfare le sue curiosità su quell'uomo,
“Perché non ha detto la verità, mamma? Dimmelo tu” domandò ancora
“Oh cielo! Stamattina ti sei svegliata con l'intenzione di farmi l'interrogatorio!” borbottò la marchesa tornandosi a sedere sul letto accanto a sua figlia
“Visto, possiamo tornare a chiederlo” rispose Vivianne con aria innocente
Diane strinse le spalle cercando di assumere un'aria noncurante, ma in realtà era curiosa quanto sua figlia. Forse quell'uomo era un criminale in fuga per questo non voleva che si sapesse chi fosse... ma un criminale in fuga non si trova nelle stalle dell'Opera di Parigi durante un incendio. Forse Jeanne aveva ragione quando aveva detto scherzando che l'uomo che aveva aiutato Vivianne avrebbe potuto essere proprio il Fantasma dell'Opera... ma era assurdo, se il Fantasma era il mostro che tutti dicevano non avrebbe aiutato sua figlia, piuttosto l'avrebbe uccisa, o magari usata come ostaggio per coprirsi la fuga.
La marchesa scosse il capo e rise per le sue stesse congetture che le sembravano così eccessivamente ardite quasi quanto le fantasticherie di sua figlia,
“Sai, mia piccola Vivianne, credo proprio che questa faccenda resterà un mistero- disse facendo cenno a sua figlia di scendere dal letto- e poi tra qualche giorno dobbiamo tornare a Parigi”
“Chissà... forse prima che partiamo cambi idea” rispose la piccola con un sorrisetto furbo.

*

L'aria quella mattina era meno umida, l'erba del piazzale non era coperta di brina: chiara avvisaglia dell'inverno ormai prossimo a finire.
Alain stava sbocconcellando delle gallette seduto su una cassa di legno vicino alla tenda di Erik, aspettava con rassegnazione il momento in cui il musicista si fosse svegliato e fosse venuto a cercarlo per rimproverarlo di avergli presentato quella donna e quella bambina.
Quando Erik uscì dalla tenda gli lanciò uno sguardo in cenno di saluto, il ragazzo ricambiò con un mezzo sorriso imbarazzato e lo guardò avvicinarsi,
“Ne vuoi?...” domandò Alain tendendo verso di lui le mani che reggevano una manciata di biscotti
Erik fece cenno di no, il giovane abbassò lo sguardo e dondolò le gambe,
“Come siamo silenziosi stamattina” commentò il musicista in tono piatto
“Cosa volevano da te quella signora e sua figlia?”
“Niente... mi avevano scambiato per qualcun'altro...”
il pagliaccio deglutì nervosamente senza dire niente e strizzò gli occhi in un'espressione mortificata,
“Alain?...”
“Si...”
“Ma che hai?” domandò Erik spazientito, non era il tipo da soffermarsi più di tanto a cercare di comprendere gli sbalzi di umore altrui,
il ragazzo sollevò il viso e guardò timidamente il suo interlocutore,
“Senti, lo so che sei arrabbiato per ieri sera... ora sgridami e facciamola finita” concluse
“Sembri un condannato a morte! Non sono arrabbiato”
“Davvero?” sul viso di Alain comparve un sorriso compiaciuto
“Davvero. Non capisco perché ti preoccupi così tanto di me e delle mie opinioni, o di quello che potrei fare o dire”
“Perché sei migliore di me... e perché siamo amici!- esclamò il ragazzo come se fosse la cosa più logica del mondo- ...siamo amici, vero?”
“Alain... se tu sapessi... non mi riterresti migliore di te, né ti importerebbe essere mio amico”
“Se io sapessi cosa? Non so chi eri prima di arrivare qui, ma so chi sei”
“Bella notizia! Io invece non lo so chi sono”
“Io so che sei uno che ne ha passate un bel po', che ha un modo strano di stare al mondo, un modo che non capisco... ma sei troppo intelligente per fare le cose senza motivo, quindi sono sicuro che la tua storia giustifica tutto... anche se non vuoi raccontarmela so di certo che è così”
Erik arricciò le labbra in una specie di sorriso,
“Ti sei mai innamorato, Alain?” domandò
il ragazzo alzò gli occhi cercando di ricordare e tamburellò l'indice sul mento con aria pensosa,
“Dipende da cosa intendi per essere innamorato” ripose poi
“Intendo: sentire che una persona è una parte di te talmente grande da non poter rinunciare a lei... anche quando non si è ricambiati, ed essere disposto a tutto pur di dimostrarle quanto sia importante”
“Uhmmm... essere disposti a tutto significa anche lasciarla andare se capisci che lei non ti vuole” concluse Alain,
Erik si lasciò fuggire un sorriso triste
“Esattamente, amico mio”
“Comunque, no, non credo di aver mai provato nulla del genere- aggiunse il ragazzo- ho incontrato donne così belle che non mi sarebbe dispiaciuto poterle portare con me... ma credo che l'amore con la bellezza c'entri poco, se si ama una persona perché è bella allora non è amore...”
“Il problema è che alcune persone si aspettano che l'amore possa venire solo da ciò che considerano normale- rispose Erik fissando il suolo- amare ed essere amati è un diritto che ci dobbiamo guadagnare, io sono solo uno che non ci è riuscito”
Alain fissò il musicista con una punta di stupore, non si aspettava tutte quelle confidenze in una volta sola, meno che mai quella mattina che si era svegliato con l'ansia di ricevere una strigliata dal suo amico. Stava per dire qualcosa ma Erik lo bloccò,
“Ora è meglio che tu vada o farai tardi” gli disse con tono neutro,
il ragazzo annuì con un cenno e scese dalla cassa su cui era seduto, fece qualche passo poi si voltò nuovamente girando su una gamba e fissò il musicista,
“Non ti avevo mai sentito parlare così tanto...” disse con la sua aria da ragazzino
“Non avevo mai parlato così tanto... nemmeno prima di arrivare qui” rispose Erik alzando appena un angolo della bocca in un accenno di sorriso.
L'uomo si ritrovò a fissare Alain che si allontanava pensando con stupore a quanto quel ragazzo riuscisse a comprenderlo. Forse aveva sottovalutato la situazione; per la prima volta pensò che dopotutto non era nel posto sbagliato.
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Note:
Questo era un capitoletto di passaggio senza troppi scossoni, spero non vi abbia annoiato.

Come al solito ringrazio di cuore chi mi segue ^^
Monypotty: Grazie per l'incoraggiamento ^^ sono contenta che ti piaccia il personaggio di Diane e che questo capitolo abbia strappato qualche sorriso (specie per Erik che si tradisce da solo XD in effetti non ero sicura che la cosa poteva funzionare ma alla fine vedo che avete apprezzato)
Amy Foster: Grazie ancora per i commenti sempre graditi. Bhe Carlotta tornerà più avanti in un lungo dialogo con Alain in cui "si verificherà una disgrazia al di fuori della vostra immaginazione" come direbbe il Master (ma che mi fai dire?!?!?... ok basta con gli spoiler), per le gemelle, grazie per l'augurio ma ne riparlaimo tra dieci o quindi anni, ok? XD

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


AVVISO:
Rieccomi, dopo più di una settimana. Scusate il leggero ritardo ma la preparazione di un piccolo viaggio mi ha tenuta impegnata.
A proposito di tempo, ci tenevo a dire una cosa... il prossimo aggiornamento è previsto per l'inizio della settimana prossima. Per il mese di agosto penso che la fanfiction andrà in vacanza insieme a me (o quanto meno, non credo che aggiornerò settimanalmente), ma spero che l'interruzione degli aggiornamenti non vi faccia credere che mi sia dimenticata di questo mio lavoretto e che abbia intenzione di lasciarlo incompiuto. Spero che a settembre, dopo la pausa vacanziera, ritornerete a seguire la mia storia.

Come al solito grazie ai lettori, a chi ha recensito e ancora una volta grazie a Ilaria, la mia efficientissima betareader che in questi giorni, oltre a trovarsi annegata nei risultati della mia fantasia bacata ha avuto a che fare anche con lunghe mail da logorroica quale io sono ^^
(me si inchina facendo svolazzare le code del frak e depone una rosa rossa listata di nero sulle vostre scrivanie, poi ritorna mesta e silenziosa nel suo antro sotterraneo e vi lascia all'ultimo parto mentale prodotto, augurandovi buona lettura)

I remain, gentlemen, your obedient servant...

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CAPITOLO NONO

“Spero di aver preso tutto” pensò Colette fissando le valige sistemate ai piedi del letto, l'anziana domestica fece la lista mentale delle cose da prendere, gli abiti della sua padrona e della bambina, i gioielli, gli oggetti per la toiletta, alcuni giocattoli di Vivianne... l'indomani sarebbero ripartite per Parigi e non voleva rischiare di aprire le valigie scoprendo di aver lasciato qualcosa in Provenza.
“Penso proprio che ci sia tutto” concluse soddisfatta,
in quel momento sentì la porta aprirsi alle sue spalle e dei passi entrare rapidamente,
“Buon giorno madame” disse notando che Diane era appena arrivata
la marchesa guardò le valige già chiuse
“Oh... ehmm... scusa Colette, hai già preparato i bagagli, sei stata bravissima, ma... ecco, io avrei bisogno delle scarpe più comode, le hai già messe via?” disse
l'anziana donna fece mente locale e non riuscì a trattenere una smorfia quasi angosciata: quelle scarpe erano sul fondo di uno dei bauli!
“Si, madame, ma ve le prendo subito...” disse incerta
“Lo so, ti faccio penare, mi dispiace- mormorò Diane con dolcezza- la mia buona Colette!”
“Preferisco le pene che patisco con voi per via della vostra vitalità- rispose ironica la domestica- che non quelle che patirei in una casa di qualche vecchia nobildonna isterica e annoiata”
la marchesa ridacchiò, e guardò con affetto la donna che toglieva delicatamente i vestiti piegati dalla valigia, dopo qualche minuto Colette depose sul pavimento le scarpe che la sua padrona le aveva chiesto,
“Grazie” mormorò Diane sedendosi sul letto per indossarle
“Se posso permettermi, madame, credevo che oggi sareste rimasta in casa, dov'è che andate?” domandò la domestica
“Torniamo al circo, Vivianne vuole salutare quel musicista di cui parla in continuazione” spiegò la marchesa
Colette la guardò perplessa per un istante, per poi tornare a risistemare i bagagli che aveva appena dovuto disfare,
“Si, lo so... non dovrei, avanti, dillo” aggiunse Diane, conosceva fin troppo bene la sua cameriera per non comprendere al volo ogni sua espressione,
“Perdonate l'impertinenza, madame... ma non credevo l'avreste data vinta alla bambina anche stavolta” concluse la domestica
“Stai dicendo che vizio troppo mia figlia?”
“Non mi permetterei mai, madame...”
Diane rivolse a Colette un sorriso indulgente per toglierla dall'imbarazzo,
“Stai dicendo che vizio troppo mia figlia- ripetè la marchesa, e stavolta non era una domanda- lo so, so come la pensi... vizio mia figlia e lo faccio con piacere, perché so che verrà un giorno in cui Vivianne avrà degli obblighi, come li ho avuti io, voglio che faccia ciò che vuole, finché è in tempo per farlo”
“Siete la madre più affettuosa che un figlio potesse desiderare, madame” concluse Colette fissando negli occhi la sua padrona.

*

Maurice Chatelet era chiuso nella sua tenda a contare il denaro ricavato nelle ultime settimane in Provenza. Non era mai stato un uomo venale, si rapportava con i soldi come con le altre cose: era un uomo libero che non amava i vincoli. Non gli importava dei guadagni, aveva scelto di mettere su un circo quando era ancora molto giovane, lavorava la terra affidatagli da un grande duca di Francia, poi un giorno un incendio aveva distrutto quelle proprietà e lui, con una moglie e un figlio in fasce era stato costretto a reinventarsi l'esistenza. Voleva creare qualcosa che fosse suo, e che dopo una vita quasi da schiavo gli permettesse di viaggiare. Il circo era un mestiere che comportava fatiche e rinunce, e che non gli avrebbe certo garantito di fare fortuna e vivere nell'opulenza, ma era un'occupazione che gli aveva sempre dato da vivere e lo aveva tenuto al riparo dalla miseria. Lui, e tutta la sua grande famiglia.
A Maurice non importava arricchirsi purché avesse il necessario per mettere del pane in tavola e comprare vino nei giorni di festa, eppure aveva notato che negli ultimi due mesi i guadagni del suo circo si erano quasi raddoppiati. Non era un caso, era merito di Erik. La musica di quell'uomo aveva stregato tutta la Francia, in qualsiasi posto si fermassero si spargeva subito la voce di quel musicista dalle doti così straordinarie e molta gente accorreva al circo solo per sentirlo suonare, in tanti tornavano nelle sere successive per riascoltarlo.
L'uomo pensò a quanto fosse stato fortunato a incontrare quel singolare personaggio sulla sua strada, ma la sua tenda si aprì e la comparsa di suo figlio lo strappò ai suoi pensieri.
“Tra qualche giorno ripartiamo” annunciò Maurice mentre Alain si andava a sedere di fronte a lui,
“Ah, si. Dove si va stavolta?” chiese il ragazzo
“Non lo so figliuolo, in qualche paese qui nei dintorni... anche se...”
“Anche se?”
“No, sono sciocchezze” borbottò Maurice con un gesto vago
“Sono un pagliaccio, ci lavoro con le sciocchezze, mi piacciono molto” insistette il ragazzo con un sorrisetto
“Anche se pensavo... la nostra fama sta aumentando, e sai, pensavo che nei prossimi mesi magari potremmo aspirare a qualcosa di più di questi paesi di provincia”
“Stai pensando a...”
“Si ci sto pensando...”
“Parigi” mormorò Alain con aria sognante
“Penso che forse, tra qualche mese... a Parigi ci sarà una grossa festa e se riuscissimo a essere lì, chissà, potrebbe essere la nostra fortuna” concluse Maurice con lo sguardo acceso da un entusiasmo gioviale.
Alain uscì dalla tenda di suo padre con l'aria inebetita e contenta per la prospettiva di poter andare a Parigi, era tutta la vita che sognava un'occasione del genere,
“Ahia!” esclamò quando finì per sbattere contro qualcuno
“Alain! Che strano vederti senza il tuo costume da pagliaccio” disse una voce gentile
il ragazzo si fermò e guardò davanti a sé la persona con la quale si era scontrato,
“Voi... madame, scusate ero sovrappensiero” disse con una punta di imbarazzo riconoscendo Diane
“Ciao Alain!” fece eco la voce di Vivianne che si parò davanti a sua madre
“Ciao piccola... che piacere rivedervi... ma cosa ci fa una signora come voi in un posto come questo?”
“Mia figlia voleva fare qualche saluto, domani partiamo torniamo a casa nostra, a Parigi” spiegò la marchesa
“Anche il nostro circo forse sarà a Parigi il mese prossimo” disse Alain con un sorriso
“Che bello, così posso tornare a vedervi!” esclamò Vivianne
“Lo spero proprio” commentò il ragazzo accarezzandole la testa
“Alain potremmo parlare con il violinista, Vivianne ci terrebbe moltissimo a salutare anche lui”
il giovane si grattò il mento con aria imbarazzata
“Ne siete certa madame? Cioè... siete proprio certa di voler parlare con Erik?”
“Ah ho notato che è un arrogante pieno di sé, ma mia figlia ci tiene così tanto”
“Mamma, non dire queste cose cattive del mio angelo!” la rimproverò la bambina
“Ehm... no madame, Erik non è poi così male, è solo... timido”
“Timido?!- esclamò Diane sarcasticamente- bhe, se la timidezza non lo ha costretto a murarsi vivo potremmo vederlo?”
Alain si rimproverò di non essere stato più furbo e aver detto subito che Erik non c'era, ma ormai sarebbe stata una scusa poco credibile, e poi avrebbe fatto troppa fatica a dire di no a quella donna così bella e gentile e a quella bimba così adorabile,
“Si... temo, ehmm, credo di si...” concluse incerto il ragazzo mentre faceva cenno a Diane e a sua figlia di seguirlo.

Erik era fuori alla sua tenda seduto su una radice che sporgeva dal terreno, ai piedi di un grosso pioppo. La comparsa improvvisa di Alain non fu motivo di disturbo, per la prima volta dopo tante settimane l'uomo era riuscito a godersi il silenzio senza pensare a niente.
Alzò lo sguardo verso il ragazzo che era in piedi davanti a lui,
“Mi dispiace, premetto che mi dispiace, anzi ti dirò di più, GIURO che mi dispiace” esordì Alain alzando le mani
“Ti dispiace per cosa?” domandò Erik
“Mi dispiace per averle portate di nuovo qui... ma suvvia, sono la coppia di madre e figlia più dolci che si siano mai viste in giro, non sei d'accordo anche tu?”
“Sono solo una donna e una bambina...”
Erik sbuffò intuendo subito di chi stesse parlando Alain, il quale si dileguò un secondo dopo con la speranza di evitarsi qualsiasi tipo di rimprovero anche stavolta,
“Non vi arrabbierete con lui spero” disse Diane arrivando davanti ad Erik, lanciando un'occhiata divertita al ragazzo che scappava via
“Buon giorno, madame” bisciò Erik con tono inespressivo
“Buon giorno!” rispose la bambina con entusiasmo
Erik si soffermò a guardarla per qualche secondo, era davvero una bambina graziosa, gli fece venire in mente l'immagine di Christine da piccola, quando fu portata all'Opera da madame Giry non era tanto più grande di lei, un senso di calore e tenerezza colpì Erik allo stomaco come un pugno... tenerezza, non nostalgia dovette ammettere l'uomo, mentre quasi involontariamente un sorriso lieve rivolto a Vivianne affiorava sulle sue labbra.
“Vedo che dopo il riposo notturno siete un pò più affabile monsieur” scherzò Diane notando quel sorriso
Erik si scosse come se fosse stato rimproverato, poi guardò la donna e si degnò di alzarsi in piedi, guardò la donna in viso sostenendo il suo sguardo con una strana occhiata velata di sfida. La marchesa non sembrò né intimorita né infastidita dal modo in cui il musicista la stava guardando, semplicemente si concesse di osservare ancora una volta gli occhi dell'uomo, le iridi che qualche sera prima le erano sembrate di uno strano colore di verde quasi tendente al grigio adesso apparivano di una brillante tonalità di azzurro, merito, probabilmente, della luce del sole che li illuminava in maniera diversa di quanto aveva fatto la fioca luce delle candele quella sera nella tenda. Per un attimo l'espressione e lo sguardo di Diane palesarono una strana impressione nel notare la strana alchimia di inquietudine, malinconia e furore, un fuoco che sembrava provenire direttamente dall'animo di quell'uomo tanto singolare e scontroso.
“Mi sembra che l'altra sera ci fossimo già detti tutto, madame” disse Erik con voce ferma, ponendo fine a quella silenziosa guerra di sguardi,
“Non esattamente, io non vi ho chiesto scusa per esservi piombata davanti all'improvviso... e voi non mi avete chiesto scusa per avermi mentito”
l'uomo dondolò il capo senza dire niente
“Siete forse uno di quegli individui che non sopportano i complimenti? Il vostro amico mi diceva che non amate ricevere gli ammiratori dopo il vostro spettacolo” aggiunse la marchesa
“Diciamo che non amo riceve persone in generale, ma so bene che è una prerogativa di voi nobili prendervi tutto ciò che volete infischiandovene delle attese altrui” rispose lui scoccandole un'occhiata eloquente di rimprovero
Diane ridacchiò per stemperare la tensione, era lì per sua figlia, ma se fosse dipeso da lei non si sarebbe trattenuta un minuto di più con quell'uomo, tuttavia non voleva dargli la soddisfazione di mostrasi in alcun modo offesa o colpita dalla sue parole,
“Complimenti per la diplomazia! Comunque, non temete questa è l'ultima volta che veniamo a importunarvi, domani partiamo, torniamo a Parigi”
“Capisco...”
Erik sentì su di sé lo sguardo della bambina, sembrava che la piccola pendesse dalle sue labbra; era davvero così facile ottenere la riconoscenza e la simpatia di qualcuno, o forse erano i bambini ad essere meno complicati e più corretti degli adulti?
I bambini non hanno pregiudizi” pensò Erik tra sé e sé e si decise a dare attenzione a Vivianne e lasciar perdere la donna,
“Dunque, piccola, non so ancora il tuo nome” le disse cercando di essere gentile
lei sorrise contenta di aver finalmente ricevuto l'attenzione del suo eroe, Diane fu grata al cielo che quell'uomo di fosse degnato di parlarle e quasi si stupì di come avesse cambiato così facilmente umore e tono,
“Mi chiamo Vivianne” rispose la piccola
Erik spostò lo sguardo sulla donna
“... Diane de Valois” disse questa accennando un sorriso, prima che il musicista le chiedesse di presentarsi,
“Duchessa?”
“Marchesa”
“Perchè porti la maschera?- domandò all'improvviso Vivianne- quando ti ho incontrato quella sera non l'avevi”
“Ho fatto un voto quella sera stessa- mentì Erik con la prima scusa che riuscì a trovare, poi cercò un modo per cambiare argomento- dunque Vivianne, tu vivi a Parigi?”
“Si, in una bella casa insieme alla mamma... anche il papà ogni tanto, non c'è quasi mai, viaggia sempre per lavoro... a volte mi manca”
Vivianne lo guardava con gli occhi più limpidi che lui avesse mai visto, in effetti non aveva mai avuto a che fare con un bambino, a parte Christine, ovviamente... Erik accarezzò la guancia rosea della piccola
“Evidentemente perché ha un lavoro molto importante- le disse- le cose più importanti sono quelle che portano più problemi di solito”
“Bhe, si... ma non dovremmo essere più importanti io e la mamma?”
a quella domanda Diane sussultò, Erik la guardò come se fosse indeciso su cosa dire alla bambina, la donna notò una punta di imbarazzo sul viso di quell'uomo che sembrava sempre così duro e sicuro di sé
“Sono certo che tuo padre tiene te e tua madre nel suo cuore alla stessa maniera con cui si conservano dei diamanti in uno scrigno” concluse
“E tu che ne sai?”
“Perché... anche nel mio cuore c'è una persona lontana”
“Perché non torni da lei?” domandò Vivian
Diane scrutava ancora il volto di Erik e lo vide vacillare davanti a quella domanda, capì che sua figlia si stava spingendo troppo oltre
“Vivianne, smettila di impicciarti negli affari altrui!” esclamò severa, la bimba chinò il capo e si morse il labbro con aria dispiaciuta,
in quel momento un ombra nera piombò dai rami degli alberi per atterrare ai piedi di Vivian con uno squittio sordo, Diane sobbalzò spaventata per la comparsa improvvisa invece la piccola non si mosse e osservò la scimmia che era saltata davanti a lei
“Che carina...” disse divertita, poi allungò le braccine verso di lei
“Vivianne, stai attenta, potrebbe morderti!” eclamò Diane
“Ecco un'altra prerogativa di voi nobili- borbottò Erik- vi spaventate sempre per le cose sbagliate! Gioca pure con la scimmietta se vuoi Vivian, tanto non morde...”
la bimba si mise a correre per il prato inseguendo Lalla che saltellava in ogni direzione, Diane restò a guardare Erik con aria crucciata
“Cosa avete contro i nobili, si può sapere?” protestò
“Ce n'è stato uno in passato con il quale ho avuto un piccolo bisticcio...” rispose l'uomo alzando le spalle
“Un piccolo bisticcio? Sembra che parliate del vostro peggior nemico!”
“In ogni caso, madame non sono cose che vi riguardano”
“No... comunque, non pensate che i nobili siano tutti uguali”
“Voi sareste diversa, madame?” domandò Erik con aria poco convinta
“Faccio del mio meglio per esserlo- rispose Diane decisa- però volevo ringraziarvi, siete stato gentile con mia figlia oggi”
“E' una bambina adorabile, e voi immagino siate una brava madre, a quanto ho capito l'avete cresciuta da sola”
“Mio marito è ambasciatore all'estero, purtroppo è il suo lavoro, non è colpa di nessuno”
“Si, certo, capisco...”
“Siete di Parigi anche voi?” chiese Diane nel tentativo di continuare la conversazione mentre osservava sua figlia divertirsi a giocare con la scimmietta,
“Mi è capitato di viverci per un po'” rispose Erik con noncuranza
“Alain ha detto che il circo tornerà a Parigi- disse Vivianne tornando accanto a sua madre e a quell'uomo- lo spero proprio, vorrei tanto venirti ad ascoltare di nuovo”
Erik ebbe un sussulto appena sentì quelle parole... tornare a Parigi? Se fosse tornato non sarebbe stato in grado di resistere all'impulso di cercare la sua Christine. Avrebbe voluto rivederla un'ultima volta, in tutte quelle settimane si era reso conto che era da lei che era scappato, ancora prima che dal pericolo di essere catturato e ucciso.
“Qualcosa non va monsieur?” domandò Diane notando l'espressione pensosa e persa dell'uomo il cui sguardo si era fatto ancora più malinconico
“Tutto bene, madame... auguro a voi e a vostra figlia un buon viaggio di ritorno” rispose Erik tornando a guardare la donna con la sua consueta aria fredda e decisa,
la marchesa provò di nuovo quella strana sensazione di disagio e malinconia davanti a a quello sguardo, poi prese per mano sua figlia,
“Saluta Vivianne, dobbiamo andare” le disse,
la piccola si liberò dalla stretta di sua madre e si mise davanti a Erik facendogli cenno di chinarsi, si alzò sulle punte e gli lasciò un bacio sulla guancia scoperta dalla maschera, non notò l'emozione che scosse leggermente l'uomo,
“Alla prossima volta Erik” gli disse sorridendo
il musicista sentì stringersi il cuore a sentir pronunciare il suo nome con una tale tenerezza, quel nome che per anni interi nessuno aveva conosciuto,
“Alla prossima volta, Vivianne” rispose
“Dunque attendiamo il vostro circo a Parigi, monsieur” aggiunse Diane
“Si, arrivederci, madame”.

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Capitolo 11
*** Capitolo decimo ***


Come promesso ecco il prossimo capitolo. Il prossimo aggiornamento è previsto tra una settimana ^^

GraSSSSie (come si dice dalle mie parti) per le recensioni.
Per Amy: uhm... ora che mi ci fai pensare... la marmocchia in effetti è appiccicosa ed insistente ma elaborando la trama di questa storiella ho pensato che Erik probabilme riuscisse ad essere più normale e socievole con i bambini che non con gli adulti, in primis perchè si rende conto (e lo dice nel precedente capitolo) che i bambini hanno meno pregiudizi degli adulti, secundis ho pensato che avendo dato lezioni di canto a Christine fin da quando lei era bambina (stando a quello che si capisce dal film), il Master avesse una certa capacità, oltre che un certa simpatia, per i cuccioli d'uomo. Comunque, hai ragione... cercherò di non far salire il diabete a nessuno ^^; Grazie per continuare a seguire questo parto mentale e grazie per continuare ad apprezzare il mio delirio malgrado le sue imperfezioni :-) (per Carlotta.. tieni duro, arriverà... ma c'è tempo...)

Per Monypotti: bhe, non voglio anticiparvi niente, ma sono sempre stata dell'idea che un continuo del film in cui Erik e Christine non si mettono insieme è plausibile solo a patto che quei due si incontrino di nuovo e in qualche modo "chiariscano", perchè penso che tra loro ci siano un pò di cosucce in sospeso e nessuno dei due avrà pace finchè non si sistemano le cose... del resto Christine, anche lei, povera... sta antipatica a quasi tutti, insieme a Raoul... in realtà sti poveracci erano semplicemente innamorati e quando il loro amore è stato ostacolato dal Fantasma hanno tentato di reagire, l'avrebbe fatto chiunque... anche se io facevo il tifo per Erik (ok, lasciamo perdere, sto divagando)

buona lettura


CAPITOLO DECIMO

La voce sembrava fatta di aria, riempiva lo spazio di un angusto corridoio senza che si riuscisse a individuare la direzione da cui proveniva. Ed era vellutata, come il vento profumato di mare che le accarezzava la schiena nei pomeriggi della sua infanzia trascorsi stesa sulla spiaggia di Marsiglia. Cantava una canzone che lei aveva già sentito... anche quella voce aveva un suono conosciuto, ma la donna non riusciva a ricordare dove l'avesse già udita...

“Madame...”

“No, non voglio andare via...”
quella voce era una magia troppo potente perché potesse sottrarvisi, la ragione le diceva che doveva avere paura, ma l'istinto le chiedeva di abbandonarsi a quel sortilegio e lei continuava incoscientemente a percorrere il corridoio di pietra, l'aria era umida e viziata, l'illuminazione scarsa proveniva da fiaccole appese al muro in anelli di ferro arrugginito. In lontananza un rumore sottile interferiva con la perfezione di quella voce d'angelo: il suono fluido dell'acqua che urtava piano contro una sponda di roccia...

“Madame, svegliatevi”

“No, non voglio...”
voleva ascoltare ancora, riempirsi le orecchie e il cuore di quella melodia... e scoprire cosa fosse celato alla fine di quel corridoio...

“Madame, è ora”

“NO!”

“NO!” Diane gridò quasi sconvolta aprendo gli occhi, poi si impose di calmarsi quando vide il volto perplesso di Colette chino su di lei. Era stesa sul sofà della sua stanza, teneva un libro in grembo, il romanzo che stava tentando di leggere combattendo con il sonno che però aveva finito per avere la meglio sulla sua volontà, si era addormentata senza accorgersene e aveva fatto uno strano sogno: era in una corridoio dalle pareti di pietra nuda, privo di finestre e fonti di luce naturale, cercava un modo per uscire, e all'improvviso aveva cominciato a sentire una voce che cantava, la voce più bella che avesse mai sentito.
“State bene, marchesa?” domandò la domestica con apprensione mentre la donna si metteva seduta per scacciare via i residui di sonno,
“Si, stavo sognando...” rispose con voce impastata coprendo uno sbadiglio con il palmo della mano,
“Bene, ora è tempo che vi prepariate”
“Prepararmi?... per cosa esattamente?”
Colette ridacchiò porgendo le pantofole alla sua padrona,
“Capisco che non amate questo genere di cose, ma non credevo le odiaste al punto da dimenticarle” concluse. Era passata più di una settimana dal loro ritorno a Parigi e la mente della marchesa sembrava rimasta in Provenza...

*

“Per amor del cielo, Alain smettila” intimò Erik coprendosi le orecchie con le mani
“Faccio così schifo come cantante?” chiese il ragazzo che aveva appena finito di far sentire al musicista una delle canzoni che gli cantavano da piccolo
“Sei agghiacciante”
“Ah... scusa...”
Alain chinò il capo e arricciò le labbra in un'espressione dispiaciuta
“In compenso sei il miglior pagliaccio che conosca!” aggiunse Erik dandogli una pacca sulla spalla, riuscendo a fargli tornare il sorriso
“Ci pensi, amico... ci pensi?!”
“A cosa?”
“Parigi... andiamo a Parigi!”
“Ah, si... anche se me lo fossi dimenticato ci sei tu a ricordarmelo ogni secondo che passa”
il barlume di allegria che era comparso poc'anzi nello sguardo di Erik si spense di colpo e fece sfumare anche l'espressione entusiasta di Alain,
“Non devi essere nervoso, lo so che esibirsi davanti al pubblico di una grande città non è come le altre volte, ma tu sei un fenomeno, ce la farai” disse il pagliaccio tentando di risollevare il morale al suo amico,
Erik si massaggiò la tempia scoperta, non era il pubblico di una grande città a spaventarlo, non erano gli occhi dei parigini a fargli paura. Erano i ricordi, era la prospettiva di ritornare dove era sempre vissuto, in quei luoghi dove c'erano stati giorni in cui ogni persona aveva pronunciato il nome del Fantasma dell'Opera come una minaccia da temere. Il destino gli aveva giocato un altro dei suoi brutti scherzi organizzandogli un così delizioso appuntamento con il suo passato, proprio ora che sembrava stesse trovando la forza di dimenticare.
“Sei mai stato a Parigi?” domandò Alain strappandolo alle sue riflessioni
“Si” rispose mestamente l'uomo
“Davvero! Non me lo avevi mai detto! E com'è?”
Erik aprì la bocca per rispondere, ma si rese conto di non sapere cosa dire. Come avrebbe potuto spiegare a quel ragazzo che tutto ciò che conosceva di Parigi lo aveva spiato dalle quinte dell'Opera Populaire?
“E'... molto viva, immagino che tutte le grandi città lo siano” tagliò corto con un'alzata di spalle
Alain si sedette per terra e incrociò le gambe,
“Perché sei andato via? Uno come te a Parigi avrebbe avuto mille possibilità” domandò
“I patti non erano che nessuno mi avrebbe domandato dei miei motivi?” rispose Erik senza scomporsi
“Già... tu non sei andato via, tu sei scappato”
“Alain... senti...”
“No, non mi dire niente... non lo voglio sapere- gli occhi del ragazzo si spalancarono come se fosse spaventato- se c'è qualcosa di brutto da raccontare preferisco non sentirtelo dire”
“Perché?”
Alain si rannicchiò cingendosi le gambe con le braccia, il suo sguardo si fissò nel vuoto
“Perché non avevo mai ammirato nessuno prima di conoscere te...”
“E questo che vuol dire?” borbottò Erik aspro
“Vuol dire tanto... ma forse a te non è mai capitato, incontrare qualcuno che vale la pena di ammirare, di stimare davvero, anche se non è perfetto, ti fa venire voglia di migliorare, e se pensi che che puoi migliorare te stesso inizi a sognare anche di migliorare la tua vita, ora hai capito?”
“Ti sei scelto la persona sbagliata Alain...”
“Hai preso tutto? Non hai dimenticato niente?” domandò il giovane con premura cercando di cambiare argomento,
“Il bello di possedere poco è che non corri il rischio di dimenticare qualcosa” commentò Erik lanciando un'occhiata alla sua sacca di pelle
“Era una battuta? Tu hai fatto una battuta?” esclamò Alain enfatizzando in maniera teatrale il tono sorpreso
Erik scosse il capo con espressione rassegnata
“Andiamo, ragazzo o partiranno senza di noi” borbottò
“Si, era decisamente una battuta... stai migliorando, ne sono contento!”
“Si, dici che se continuo così potrò prendere parte al tuo spettacolo di pagliacci?” commentò il musicista
“NO! Ne hai fatta un'altra... smettila o verrà a piovere” rispose Alain ridendo,
Erik gli tirò uno scappellotto sulla spalla e lo spinse verso il carro già pronto a partire.
Il ragazzo si rannicchiò in un angolo della vettura, prese una mela dalla tasca e cominciò a mangiarla.
Il carro cominciò a muoversi lentamente, presto i suoi passeggeri si addormentarono cullati dal dondolio. Erik rimase sveglio, lui non aveva l'abitudine di dormire troppo, nelle sue notti in cui viveva a teatro a volte il silenzio era così pesante da fargli venire mal di testa, e allora si alzava dal letto, quel meraviglioso letto a forma di cigno che aveva intagliato personalmente curando ogni particolare, e si sedeva al suo organo per suonare, allora il silenzio prendeva forma diventando musica, spesso si accompagnava anche col canto, quando gli altri non potevano udire, beandosi della perfezione divina della sua voce ma la maggior parte delle volte finiva per essere assalito da un'onda di amarezza insostenibile all'idea che nessuno avrebbe mai potuto ascoltare la sua musica e la sua voce a causa del suo volto deforme, lei era stata l'unico mezzo per portare la sua canzone agli occhi del mondo... ma lei lo aveva tradito, abbandonato... e probabilmente, ormai, lo aveva anche dimenticato.
Fu sottratto alle sue tristi riflessioni da un tocco sulla spalla,
“Alain, pensavo dormissi” mormorò cercando di abbassare il tono di voce per non fargli sentire che gli tremava
“Si, ma mi sono svegliato...”
“Lo vedo”
“Pensavo una cosa, non te l'ho mai chiesto ma sono curioso- disse il ragazzo- quella donna e quella bambina, la marchesa e sua figlia... perché la bambina ti ha chiamato il suo angelo? Avevi detto che ti avevano scambiato per qualcun altro ma poi sono tornate a salutarti...”
Erik deglutì, aveva compreso da tempo che Alain non era ingenuo e sprovveduto come poteva sembrare,
“Si, ho incontrato la bambina tempo fa, praticamente in un'altra vita, e l'ho aiutata” disse
“Come?”
“Si era persa durante un incendio e ho fatto in modo che la ritrovassero”
“Ecco, lo sapevo che sei una persona buona”
il musicista si grattò la nuca con aria spazientita
“Per favore, non ricominciare, sono uno qualsiasi, ne abbiamo già parlato”
Alain fece una strana smorfia e si frugò nelle tasche tirando fuori un'altra mela
“Ah, ne ho un'altra, la vuoi?” chiese con un sorriso
“No, l'unica cosa che voglio è che tu non dica un'altra parola finché non saremo arrivati”

*

“Perché devo farlo?” sbuffò Diane guardando con aria sconsolata il suo riflesso nello specchio mentre Colette le porgeva un girocollo di perle
“Perché siete la marchesa de Valois madame, e le marchese vanno ai balli e ai ricevimenti, e al teatro... non al circo!” rispose la domestica, evidenziando le ultime parole con una punta di durezza nella voce solitamente gentile
“Se mi fossi ricordata del ballo in casa dei Saussere sarei rimasta in Provenza per almeno altre due settimane”
“Suvvia, lo sapete perché siete dovuta tornare”
“Si, si certo che lo so, tra poco torna mio marito e io da brava moglie devo preparare ogni cosa per il suo ritorno, eccetera, eccetera... a proposito, le cameriere hanno finito di lucidare l'argenteria per la cena per il ritorno del marchese?”
“Certamente madame”
“Mio Dio, ma sentimi, parlo come una di loro!” borbottò Diane come se stesse parlando a se stessa
“Una di loro?...” chiese Colette perplessa
“Si, una di quelle oche, come la duchessa de Saussere, Veronique Angelique Saussere... ci può essere nome più odioso?!”
l'anziana cameriera alzò gli occhi al cielo e mise la collana al collo della sua padrona, erano tornate dalla Provenza da appena dieci giorni e la marchesa era già di pessimo umore, anzi in quei giorni era, se possibile, più insofferente del solito.
“Mamma, mi porti con te?!” Vivianne fece irruzione nella stanza correndo
“Non voglio che corri in casa, signorina!” la sgridò sua madre
“Si, si... scusa... allora, mi porti con te?”
“No, tesoro, credimi non è una cosa a cui vale la pena assistere”
“E allora perché tu ci vai?”
“Perché potrei perdere il posto in Paradiso che mi sono faticosamente guadagnata a forza di farti da madre!” scherzò la donna
“Oh vi prego, madame, non dite queste cose alla bambina” piagnucolò Colette coprendosi il viso con le mani in un gesto quasi sconcertato,
Vivianne si sedette davanti alla specchiera, sollevò il coperchio di madreperla del cofanetto della cipria e soffiò più volte, divertendosi a sollevare piccole nuvolette rosa
“Anche io ho un posto nel Paradiso, mamma?” domandò senza smettere di dedicarsi a quell'occupazione che sembrava divertirla tanto,
“Se non smetti di sporcarmi lo specchio credo proprio di no”
“Madame...” sospirò Colette scuotendo la testa,
la bambina rimise il coperchio al suo posto e si stese contro lo schienale della poltrona su cui era seduta e incrociò la mani sulla pancia, in quel momento il maggiordomo bussò alla porta della camera e annunciò alla marchesa che la sua carrozza era pronta.
“Molto bene, Colette prega per me- borbottò la donna infilandosi i guanti- e tu, signorina, fila a letto”
“Ma mamma... mi lasci qui da sola! E se succede qualcosa?” protestò Vivianne scendendo dalla poltrona e correndo ad aggrapparsi alla gonna di sua madre
“Tesoro mio, ma tu hai il tuo angelo che veglia su di te, lo hai forse dimenticato?” disse la marchesa accarezzando il viso della piccola
“Ma lui è con il suo circo in giro per la Francia, chissà dove...”
“Ma gli angeli arrivano sempre quando c'è bisogno di loro” concluse Diane con un sorriso per poi chinarsi a baciare la fronte di sua figlia,
“Buona notte mamma” disse la bambina trotterellando in direzione della sua tata che l'attendeva per metterla a letto
“Buona notte anche a te tesoro, ti voglio bene”.
Diane scese al pian terreno per raggiungere l'uscita del palazzo dove l'attendeva la carrozza, si fermò nel salone indugiando nel guardare il suo riflesso distorto sulla superficie nera e lucida di un magnifico pianoforte a coda. Quello strumento era in quel palazzo fin da quando lei era arrivata, né la marchesa né suo marito avevano attitudini musicali, ma in casa di ogni nobile c'era uno strumento da far suonare durante le feste, la donna posò un dito su uno dei tasti, ne uscì una nota acuta che si dissolse in un secondo nell'aria dell'ampio salone, Diane sorrise,
“Vivianne potrebbe prendere lezioni di musica un giorno” pensò tra sé e sé prima di uscire.

*

Raoul de Chagny sbuffò lasciando cadere sulla scrivania la lettera che aveva appena finito di leggere. Veniva dalla Spagna, dove i suoi genitori si trovavano da settimane per un lungo viaggio, i medici avevano detto che un soggiorno in paesi dal clima più caldo e temperato sarebbe stato l'ideale per curare i reumatismi di suo padre e la Spagna era abbastanza vicina per due persone anziane che non potevano permettersi di affrontare viaggi troppo lunghi.
Nella lettera i vecchi coniugi de Chagny informavano il figlio del fatto che la Spagna fosse splendida, la salute del padre stava migliorando e avevano stretto amicizia con un console francese, infine si erano premurati di avvisarlo che non sarebbero riusciti a tornare per il suo matrimonio con madamoiselle Daae.
Raoul si morse il labbro in un moto di rabbia, l'assenza dei suoi genitori al matrimonio era un deliberato e prepotente atto di protesta, per quanto, in quella lettera, suo padre e sua madre avevano fatto sembrare quell'assenza uno spiacevole e involontario e imprevisto.
Fin da quando Raoul aveva preso a frequentare assiduamente l'Opera Populaire per corteggiare quella fanciulla, i suoi genitori avevano cercato di dissuaderlo dallo sposare una ballerina di teatro, e quando si era scoperto che la ragazza era coinvolta nella scandalosa vicenda di quell'assassino conosciuto come il Fantasma dell'Opera, le loro insistenze nel cercare di convincere il figlio a rinunciare a quel fidanzamento si erano fatte più aspre, ma lui non aveva voluto saperne di rinunciare alla persona che amava, e se non poteva fare a meno di lei avrebbe comunque fatto a meno dell'approvazione della famiglia. Il giovane non era preoccupato per i suoi genitori, non gli importava delle loro sciocche convinzioni da nobili antiquati, ma sapeva quanto Christine soffrisse nel non sentirsi accettata, sapeva come lei notasse le cameriere che la salutavano con una riverenza, ma appena voltate le spalle erano pronte a commentare in maniera impietosa quanto un' ex-cantante fosse fuori posto in quel palazzo, e alla ragazza non sarebbe certo sfuggito il motivo dell'assenza dei suoi futuri suoceri il giorno delle nozze. Raoul sapeva che Christine era contenta di stare con lui, aveva giurato sulla sua anima di renderla felice la notte in cui l'aveva portata via dai sotterranei dell'Opera Populaire, quando erano tornati in superficie, all'aperto, dopo essersi bruciati la punta delle dita nello sfiorare uno spicchio di inferno. Ma sapeva anche che in quel mondo Christine era sola, inoltre lui nutriva il sospetto che la sua fidanzata non avesse ancora chiuso i conti con il suo passato: era incredibile quanto il tratto più saliente di un ricordo fosse la sua indistruttibilità.
“Raoul...” Christine fece timidamente capolino dalla porta
“Vieni avanti” disse il ragazzo con un sorriso tendendole la mano per indicarle di sedersi accanto a lui,
“Notizie dai tuoi genitori?” domandò la giovane notando la lettera aperta poggiata sulla scrivania e la busta di carta con il sigillo in ceralacca che recava lo stemma dei de Chagny,
“Si... pare che non riusciranno a tornare in tempo... per il matrimonio” malgrado avesse cercato di stemperare l'amarezza con un'improbabile aria indifferente, Raoul pronunciò quella frase con gli occhi bassi e ogni parola fu come una coltellata,
“Ah, capisco” rispose Christine cercando di mascherare la delusione nell'aver immediatamente compreso il significato di quella notizia,
i due innamorati si fissarono in viso con aria triste
“Mi dispiace, non riesco a farti felice” mormorò poi lui stropicciandosi il viso con le mani in un gesto frustrato
“Tu non c'entri niente, non è colpa tua se... se le persone non riescono a dimenticare chi sono”
“Già, ma vorrei almeno poter fare in modo che lo dimenticassi tu”
a quelle parole Christine ebbe un sussulto
“Nemmeno questo è colpa tua, purtroppo non dipende da te, non è colpa di nessuno” disse accennando un sorriso mesto
Raoul si lasciò sfuggire una smorfia
“Sai, se penso a... a LUI, e ti assicuro che ci penso più di quanto sarei pronto ad ammettere, immagino che avrei potuto perdonarlo, perdonare quello che ti ha fatto... se solo il suo ricordo non continuasse a gettare ombre sul nostro futuro” concluse in tono aspro,
“Non credere che LUI abbia importanza, cosa credi che conti ora come ora?” sospirò la ragazza con voce incerta, abbassando lo sguardo,
“Conta perché, nel bene e nel male, quello che ha fatto e quello che ha significato per te, sarà sempre più grande di quello che potrò fare io...” concluse lui, poi non diede il tempo a Christine di aggiungere altro, perché si alzò di scatto e uscì di fretta dalla stanza lasciando la sua fidanzata sola con i suoi pensieri e i suoi dispiaceri.

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Capitolo 12
*** Capitolo undicesimo ***


CAPITOLO UNDICESIMO

Diane si svegliò di buon umore al ricordo degli sguardi perplessi, quasi imbarazzati, degli invitati della cena di beneficenza a cui aveva partecipato la sera prima. Stava raccontando ad alcune signore del suo soggiorno in Provenza e una di loro le aveva chiesto se durante quella gita avesse partecipato a qualche ballo, o assistito a qualche importante rappresentazione teatrale, ma lei aveva risposto con disarmante candore che la cosa più interessante che aveva visitato era stato un circo di campagna.
Era per questo che Diane non aveva molti amici a Parigi: lei era una a cui piaceva sconvolgere le persone e i nobili erano una razza con vedute talmente ristette che gli bastava poco per farsi sconvolgere da una di loro che si comportava come una borghese qualsiasi. Strappare a quella gente smorfie di malcelata perplessità era per Diane una sorta di piccola vendetta. I pettegolezzi sulla marchesa de Valois erano all'ordine del giorno nei salotti parigini, malgrado tutti sapessero che era una moglie onesta, si sprecavano affermazioni e commenti su quanto una donna che viveva senza il controllo del marito che, sventuratamente, era lontano per questioni di lavoro, finisse per adottare una condotta così poco consona alla sua posizione sociale.
“Pensano che se avessi un marito accanto sarei diversa, che sciocchi!” si disse Diane legandosi la cintura della vestaglia attorno ai fianchi, poi la sua mente si concentrò su qualcosa che avrebbe dovuto ricordare ma che le sfuggiva...
“MIO MARITO!- esclamò la donna ricordando all'improvviso, battendosi un palmo sulla fronte- oggi è il gran giorno...”.
Diane scese di colpo al pian terreno, nel salone trovò un nutrito gruppo di domestici intenti a pulire e sistemare sotto le direttive precise e severe di Colette che gracchiava contro chiunque non facesse bene il proprio lavoro.
“Sembri un generale dell'esercito prima della battaglia Colette” commentò sarcastica la marchesa
“Oh, buon giorno madame,- disse la domestica con un sorriso- tra poco sarei venuta a svegliarvi... ehi, Rosalie! Attenta a quel vaso di fiori!... ah, scusate madame, vado a dire di prepararvi la colazione”
“Mia figlia è sveglia?” chiese la marchesa
“Non ancora madame, eppure pensavo che si sarebbe svegliata presto, che non stesse nella pelle all'idea di rivedere suo padre”
“Sarà che è talmente abituata a non vederlo mai che nel frattempo si è dimenticata di averne uno”
Colette fece un segno della croce e baciò il crocifisso d'argento che portava al collo,
“Sarebbe una cosa orribile, madame...” piagnucolò
“Si... certo...” concluse sbrigativa la marchesa avviandosi in sala da pranzo dove le sarebbe stata servita la colazione. Diane comprendeva l'attaccamento di Colette al padrone di casa, aveva servito in quel palazzo praticamente per tutta la vita, aveva visto Louis nascere, era quasi come un figlio per lei.
La marchesa bevve una tazza di the e mangiò un paio di biscotti, poi andò in camera di sua figlia. Vivianne dormiva tranquilla abbracciata alla sua bambola preferita, una bambola di pezza di ottima fattura con le trecce rosse e un vestito di raso di una sgargiante tonalità di arancio. Diane scosse con delicatezza la bambina fino a quando la piccola non si svegliò,
“Avanti tesoro alzati, oggi torna tuo padre e voglio che ti trovi più bella di quando è partito” le disse con un sorriso posandole un tenero bacio sulla fronte,
“Era oggi che tornava? Quand'è che arriva?” chiese Vivianne allontanando con delicatezza la bambola prima di scendere dal letto
“Se Dio vuole, oggi avremo il grande onore di vedere la famiglia riunita per pranzo”
“Mamma, quanto da tempo è che siamo tornate a Parigi?”
“Tre settimane, me lo chiedi ogni giorno Vivianne...” sbuffò Diane
“Si, è che... te lo ricordi il mio Angelo? Aveva detto che il circo veniva a Parigi, chissà quanto tempo ci mettono ad arrivare” disse la bambina
“Tesoro, ma loro non viaggiano come noi, forse ci metteranno mesi ad arrivare qui, prima magari dovranno fermarsi in altri posti”
Vivianne sbuffò delusa, poi lasciò che la sua tata la vestisse e la preparasse per quel giorno che in casa dei marchesi de Valois avrebbe dovuto essere una sorta di festa.

*

Gli occhi scuri osservarono per un attimo il sentiero sterrato lungo il quale procedeva la carrozza, poi lo sguardo dell'uomo tornò a concentrarsi sui fogli che aveva tra le mani: lettere scritte in una calligrafia allungata e perfetta, frasi fitte e allineate che ferivano il bianco del foglio con parole che a lui sembravano troppo grandi per poter essere assimilate dalla sua mente spossata dal lungo viaggio. Righe, frasi, parole che lui ormai ricordava a memoria ma che ogni volta che rileggeva sembravano sorprendenti e piacevoli come piccole sorprese inattese. Le buste da lettera erano prive di sigilli, quelle missive erano state consegnate dalla mano discreta e furtiva di un domestico direttamente a lui, senza che nessuno sapesse, senza che nessuno vedesse.
Dopo aver letto uno ad uno tutti i fogli, Louis de Valois li ripiegò con cura e li sistemò nella tasca del cappotto, poi si sporse dal finestrino della vettura, la strada gli sembrava irriconoscibile, quando era partito gli alberi stavano appena cominciando a perdere le foglie, ora invece quegli stessi alberi erano spogli e i loro rami puntellati di boccioli pronti a far nascere altre foglie, altri fiori, un'altra primavera. Altre stagioni che rincorrevano stagioni... e lui non riusciva a ricordare quanto fosse lontana la sua casa.
“Quanto manca?” domandò al cocchiere
“Tra meno di un'ora saremo a Parigi, monsieur” rispose l'uomo sferrando un'altra frustata ai cavalli,
il marchese estrasse il suo orologio da taschino e controllò l'orario, erano le dieci e mezza del mattino: quel giorno gli aspettava un pranzo con la sua famiglia.
Louis osservò il proprio riflesso nel vetro della carrozza, si passò un dito intorno agli occhi chiedendosi se sua moglie lo avrebbe trovato più vecchio, o diverso. Chiedendosi quanto lei lo conoscesse e fosse in grado di capire, ma sapeva che Diane era una donna intelligente, lo era sempre stata, era per questo che aveva scelto lei tra lo stuolo di giovani pretendenti che aspiravano a sposarlo, voleva una donna con la quale poter conversare di tanto in tanto, qualcuna che avesse argomenti più eloquenti del mobilio da cambiare o della servitù di cui lamentarsi, qualcuna di cui potersi innamorare nel corso degli anni trascorsi insieme, poiché era opinione condivisa che, nei matrimoni combinati, l'amore nascesse in seguito, durante la convivenza. Se Louis avesse avuto il tempo di innamorarsi di sua moglie probabilmente l'avrebbe convinta a seguirlo in Spagna, dove da diversi anni svolgeva la funzione di console di Francia, invece l'incapacità di provare un qualsiasi sentimento profondo nei confronti di quella giovane donna tanto brillante e attraente gli rendeva le lunghe permanenze lontano da casa una sorta di allettante via di uscita da una situazione che non era riuscito a piegare al suo volere: una vera delusione per un uomo autoritario e sicuro di sé come lo era lui. Non aveva avuto tempo di innamorarsi della donna che aveva sposato in effetti, e nemmeno di essere un padre per la figlia che aveva messo al mondo: sapeva che per la piccola Vivianne lui era poco più di un estraneo. Eppure Louis de Valois non era una cattiva persona, né un cuore di pietra come il suo atteggiamento serio faceva supporre.
Quando la carrozza giunse nel cortile della sua tenuta, ai margini della capitale Francese, e l'uomo vide sua moglie ad attenderlo in piedi davanti al portone di ingresso della villa pensò che avrebbe fatto meglio a sposare una subdola donnina interessata solo al suo denaro, che avrebbe gioito della libertà delle sue assenze più di quanto sua moglie se ne rammaricava, forse sarebbe stato meglio lasciare Diane a qualcuno capace di renderla felice, non aveva mai compreso le amarezze di sua moglie prima di allora... mo ormai era tardi per tornare indietro.
La carrozza si fermò davanti al palazzo, una villa dalla facciata barocca risalente ai tempi della monarchia dei Borboni, con un portone sormontato da un grosso arco di marmo bianco decorato con bassorilievi floreali che si intrecciavano lungo le semicolonne scanalate che sorreggevano la volta dell'arco. Il palazzo era immerso in un giardino curato e adorno di aiuole regolari e roseti.
Alle spalle di Diane stava la servitù, ordinatamente allineata, tutti attendevano con le mani conserte il ritorno del padrone.
Louis scese dalla carrozza facendo svolazzare i lembi della sua giacca, due domestici furono solerti ad occuparsi dei bauli assicurati al retro della carrozza con cinghie di cuoio, mentre l'uomo procedeva spedito verso sua moglie.
Le basette folte ai lati del volto erano leggermente brizzolate e contrastavano con il castano dei capelli facendolo apparire leggermente più vecchio dei suoi trentacinque anni, ma gli occhi scuri erano vividi e intelligenti, quasi sempre fissi in un'espressione decisa e imperscrutabile, il volto adorno di un paio di baffi sottili e di un pizzetto alla nazzarena aveva tratti attraenti ma decisi e conferiva alla sua figura un'aurea elegante di prestigio, accentuata dal fisico piuttosto robusto ma proporzionato.
“Bentornato” disse Diane con un sorriso
“Grazie, mia cara” rispose lui baciandole le guance, poi lanciò un'occhiata rapida ai domestici,
Colette fece un passo avanti e chinò il capo in un rispettoso cenno di saluto,
“E' bello riavervi a casa, monsieur” mormorò, la sua voce leggermente squillante tradiva una contentezza maggiore di quella che l'eticcheta le permetteva di mostrare,
Louis accennò un sorriso sotto i baffi sottili e si incamminò verso l'ingresso della sua casa. Appena entrato nel palazzo il marchese lanciò un'occhiata in giro quasi a voler controllare che fosse tutto come lo aveva lasciato.
“Colette ha pensato di far mettere dei fiori freschi per il vostro ritorno” disse Diane che procedeva a passi lenti dietro suo marito
“E' stato un bel pensiero- rispose lui- ma... dov'è mia figlia?”
“Forse la tata non ha sentito che stavate arrivando, sarà in camera sua”
l'uomo annuì, poi si voltò verso i domestici che stavano trascinando dentro i pesanti bauli, fece loro cenno di fermarsi e questi deposero i bagagli. Louis aprì una delle grosse valige di cuoio e ne estrasse un pacco incartato con una sottile carta trapuntata con dei fiori come se fosse stato un fazzoletto di stoffa damascata, poi si avviò lungo le scale,
“Come è stato il viaggio?” chiese Diane
“Decisamente noioso”
“Ah, capisco”,
il marchese e sua moglie raggiunsero la camera della bambina, Louis aprì la porta e trovò Vivianne seduta sul tappeto insieme alla sua governate, intenta a giocare con dei mattoncini di legno colorati. La tata, Martine, si alzò subito in piedi salutando il padrone di casa con un leggero inchino, la bambina scattò diritta e andò incontro a suo padre. Le sarebbe piaciuto potergli correre incontro e abbracciarlo, ma sua madre le aveva spiegato che non era buona educazione che una signorina corresse e facesse delle moine, e almeno davanti a suo padre la bambina era stata istruita a evitare di concedersi gli strappi all'etichetta che le erano permessi quando lui era via., così come le era stato raccomandato di non raccontare a suo padre della visita al circo, dell'incidente all'Opera e dello strano uomo che lei continuava a chiamare il “suo Angelo”.
“Bentornato” si limitò a dire Vivianne con un sorriso imbarazzato, aspettando che fosse lui a concederle la prima dimostrazione di affetto,
Louis si chinò su sua figlia e le posò una mano sulla testa
“Che bello rivederti, bambina mia, cresci a vista d'occhio, non ricordo che eri così alta quando sono andato via l'ultima volta” le disse con un sorriso tenero, strappandole una risatina lusingata,
Diane, alle sue spalle sospirò pensando che sua figlia si era comportata bene,
“Ho questo per te- aggiunse poi il marchese porgendo alla figlia il pacco che aveva estratto poco prima dal suo baule- l'ho fatta costruire appositamente da una famosa bottega di Madrid”
“Grazie!” esclamò Vivianne allargando il sorriso, facendo scoprire a suo padre quanto la sua bambina fosse ancora più graziosa di quanto la ricordasse,
la piccola scartò il pacco con le manine frementi, ne estrasse una bambola di porcellana, il viso perfetto era dipinto con maestria, gli occhi di vetro erano verdi e luminosi, i capelli morbidi erano disposti in boccoli corvini, il vestito curato nei minimi dettagli riproduceva con esattezza un tipico abito spagnolo. Vivianne alzò la bambola ad altezza del suo viso, tendendo le braccine, la osservò con attenzione,
“E' bella... non è uguale alle altre che ho” disse, poi la porse a Martine che la ripose su una mensola accanto al letto,
Diane lanciò un'occhiata complice a sua figlia, poi posò una mano sulla spalla di suo marito,
“Martine, prepara Vivianne per il pranzo- disse alla giovane governante- sarà bello essere a tavola tutti insieme oggi”
la donna si chiuse la porta della camera della bambina alle spalle, seguita da suo marito,
“E' molto bella la bambola che avete regalato a Vivianne” disse lei incamminandosi verso lo studio del marchese
“Si, ma ho la sensazione che non abbia apprezzato molto il regalo” commentò Louis perplesso
“Ah, bhe... forse non sapete”
“Cosa?”
“A Vivianne non piacciono molto le bambole di porcellana, preferisce quelle di pezza perché sostiene che quelle di porcellana possono rompersi più facilmente e lei non è libera di giocarci come vuole per paura che si frantumino”
dopo quelle frasi il viso di Diane si rabbuiò, Louis la scrutò con aria perplessa,
“Lo trovate così triste?” chiese con una punta di ironia, non comprendendo la malinconia che aveva visto passare sul volto di sua moglie
Quello che trovo triste è che una vecchia domestica sia contenta del ritorno di mio marito più di quanto lo sia io e che uno sconosciuto in un circo faccia sorridere mia figlia più del rivedere suo padre” pensò Diane, ma evitò di dar voce a quelle riflessioni e rispose a Louis con un rapido sorriso di circostanza.

*

Quando qualcuno desidera qualcosa è capace di tirar fuori risorse che nemmeno pensava di possedere pur di raggiungere il suo scopo. Questo Erik lo sapeva fin troppo bene, ma non credeva che quel giorno avrebbe visto questa semplice legge della natura umana attuarsi per un piccolo incidente di percorso.
Mentre la carovana del circo procedeva lungo una stradina di campagna una ruota di uno dei carri si incastrò in una buca rallentando il viaggio.
“Uffa, non è possibile, proprio ora che c'eravamo quasi!” aveva borbottato Alain guardando il piccolo disastro con aria quasi affranta,
Erik, dal canto suo, si limitava a fissare pazientemente gli uomini impegnati a tentare di sbloccare la ruota. Avrebbe dato volentieri una mano a sollevare il carro, ma c'era talmente tanta gente accalcata intorno alla buca che non avrebbe saputo dove inserirsi, sembravano un mare di formiche accorse su un pezzo di dolce caduto in un prato. Stava per proporre di usare una lunga trave per fare leva e sollevare la ruota, ma la gente circo sembrava intenzionata a cercare un'improbabile soluzione al dilemma nell'utilizzo della forza bruta.
“Mi è venuta un'idea!- esclamò all'improvviso Alain battendo sulle schiene curve dei suoi compagni impegnati a tentare di sbloccare il carro- potremmo usare qualcosa che faccia da leva!”
Erik sussultò per la sorpresa nel sentire quell'affermazione
“La sfortuna aguzza l'ingegno, a quanto pare” mormorò tra sé e sé quasi divertito,
“Si, possiamo prendere uno dei pali che usiamo per il tendone del circo, è abbastanza lungo e sarà una buona leva” continuò Alain spronando i suoi compagni
“Ottima idea!” gridò Erik per farsi sentire e dare il suo appoggio alla trovata del ragazzo, era improbabile che Alain conoscesse le leggi fisiche che regolavano il funzionamento delle leve, ma era talmente tanta la sua smania di raggiungere Parigi che la tua testolina lo aveva costretto a concentrarsi su una soluzione logica per uscire da quell'intoppo.
“Stai migliorando” mormorò il musicista all'orecchio del ragazzo quando la ruota del carro fu sbloccata e la carovana fu pronta a ripartire,
“Lo vedi che dopotutto la tua vicinanza mi fa bene!” esclamò Alain contento mentre la vettura riprendeva il suo ipnotico dondolio.
Alain era sembrato un bambino impaziente durante tutto il viaggio, uno dei suoi sogni era ormai realizzato e lui non riusciva a contenere l'entusiasmo e l'euforia. Il circo, dopo essere ripartito dalla Provenza si era fermato per alcuni giorni in un piccolo villaggio di campagna e poi si era messo nuovamente in viaggio verso Parigi. Maurice contava di rimanere parecchie settimane nella capitale, fin quando avrebbero avuto pubblico e in una grande città c'era da aspettarsi un'affluenza di gente maggiore di quella che di solito si verificava nei paesini di campagna, inoltre il mese di maggio che era alle porte era un mese ricco di feste e fiere per festeggiare le fioritura e la prosperità della primavera e l'approssimarsi dell'estate, non a caso durante la Rivoluzione il periodo che andava dal 20 di aprile al 19 di maggio era stato chiamato Florèal.
Il sogno di Alain si stava realizzando, come pure i peggiori incubi di Erik che erano ormai a sole poche miglia da lui. I pochi mesi passati dalla tragica notte dell'incendio dell'Opera erano sembrati un'eternità, ma più la carovana si avvicinava a Parigi e più lui avvertiva quanto fossero ancora troppo dolorose le ferite che il suo passato gli aveva inflitto. Quelle lunghe settimane trascorse tra la gente del circo non erano bastate a lavare via il dolore, meno che mai quel poco tempo trascorso gliela aveva fatta dimenticare: Christine era sempre nei suoi pensieri, era sempre la musa che metteva le ali alle sue note ed era questo a spaventarlo. Non aveva paura di tornare a Parigi perché temeva che qualcuno lo potesse riconoscere o perché pensava che le autorità lo stessero ancora cercando, aveva paura di sé stesso, della sua stessa natura, temeva di non riuscire a combattere contro l'impulso che avrebbe sicuramente provato di andare a cercare il suo piccolo angelo, il suo unico amore, una volta tornato nella città in cui aveva vissuto. Finché ne era rimasto lontano per lui Parigi era semplicemente la fredda tomba nella quale era rimasto seppellito il suo cuore, adesso quella tomba rischiava di aprirsi riportando in vita tremendi fantasmi che ancora si agitavano nel profondo della sua anima inquieta, fantasmi che lui non era sicuro di riuscire a domare.
Che sciocco era! Si preoccupava di Christine quando avrebbe invece dovuto temere che qualcuno lo riconoscesse... ma del resto solo una minuscola parte di Parigi aveva visto il mostruoso volto del Fantasma dell'Opera: i presenti alla rappresentazione del suo Don Juan, e loro erano tutti nobili che frequentavano teatri e gallerie d'arte, nessuno di loro sarebbe venuto a vedere il circo.
“I nobili non frequentano questo genere di posti, nessuno di loro...- pensò Erik tra sé e sé, poi un sorriso laconico si rese conto che i suoi recenti ricordi correggevano questa sua stessa affermazione- nessuno ad eccezione di quella strana marchesa con la sua bambina pestifera...”.
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NOTE:
Eccomi, un pò in anticipo... ero ansiosa di postare questo capitolo perchè contiene un particolare sul quale ho sudato parecchio: il ritorno del marito di Diane e la presentazione del suddetto personaggio.
Prossimo aggiornamento previsto per la decina di agosto ^^

Per Amy: Vai tranquilla, non ho mai pensato che tu sia acida (se le persone acide fossero semplicemente quelle che scrivono una recensione in maniera obbiettiva il mondo sarebbe un posto migliore XD), anzi, ribadisco, mi piacciono i tuoi commenti, fai bene a farmi notare qualcosa che secondo te non va. Ci tengo davvero alla mia passione di scrivere e spesso una critica è più utile di un complimento. Quando rispondo a quello che mi si fa notare non è per giustificarmi o per rimproverare, semplicemente penso che sia giusto spiegare perchè certe cose le ho rese in un certo modo (poi, si può essere d'accordo o meno con le mie motivazioni, ma questo non è un problema), come ho già detto non sono un'esperta di bambini, semplicemente penso a sei anni quando un bambino si fissa su qualcosa sia difficile toglierglielo dalla testolina, per questo la marmocchia è così fissata col Master.
Se il marchese è antipatico, ora che è "tornato tra noi", lo giudicherai tu stessa XD, in effetti non vorrei che venisse considerato il cattivo della situazione solo perchè è il marito di Diane.
Per la durata della storia, non so dirti quanto durerà e quanto sarà lunga, per ora ci sono ancora molti capitoli in cantiere, ma, a parte la pausa estiva, cercherò di aggiornare con regolarità in modo da non dilatare i tempi più del dovuto e non rendervi il seguire la mia storia una specie di parto plurigemellare.

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Capitolo 13
*** Capitolo dodicesimo ***



CAPITOLO DODICESIMO

Il viale che portava alla piccola chiesa era di ciottoli bianchi. La donna in abiti scuri procedeva a passi lenti e regolari seguita da sua figlia.
Eloise Giry aveva la mente ingombra da troppi pensieri mentre si recava a messa quella mattina, e sua figlia Meg, avuta da un matrimonio finito prematuramente con la morte inaspettata dell'amato marito, lo sapeva. Negli ultimi mesi la giovane aveva visto lo sguardo di sua madre farsi più spento, le sottili rughe di espressione, che prima conferivano eleganza ai suoi lineamenti ancora giovanili, erano diventate più marcate. La donna parlava poco ma Meg aveva concluso che a sua madre mancasse il teatro in cui aveva lavorato per lunghi anni. Da quando l'Opera Poplaire aveva preso fuoco a causa della pazzia dell'uomo che si celava dietro la maschera del leggendario Fantasma la loro vita non era stata più la stessa.
Meg aveva trovato posto come ballerina in un altro teatro di Parigi, ma sua madre non poteva rifarsi una vita, portava sul suo capo il peso dello scandalo: la città aveva saputo che lei conosceva molti dei misteri del Fantasma dell'Opera, era stata lei a guidare il giovane Visconte de Chagny nei sotterranei, era lei che consegnava ai direttori del teatro le missive del mostro. Fortunatamente nessuno si era reso conto di fino a che punto la donna fosse coinvolta in quella storia, altrimenti non sarebbe stato solo lo scandalo a infangare il suo nome, ma anche una condanna per essersi resa complice di quel folle carnefice.
Meg sospirò osservando le spalle di sua madre che procedeva a passi decisi dinnanzi a lei, sostenendo a testa alta le occhiate severe dei passanti. La ragazza pensava di essere troppo giovane per conoscere l'odio eppure aveva odiato quell'uomo, il Fantasma dell'Opera, chiunque egli fosse. Lo aveva odiato, lo odiava. Non gli avrebbe mai perdonato di aver distrutto il suo mondo per un capriccio, di aver stravolto la sua vita e quella di sua madre, come non gli avrebbe mai perdonato il male fatto a Christine.
Chissà se i sentimenti di Meg verso quel mostro si sarebbero mutati se avesse saputo che era per lui che sua madre era in pena, più di quanto non lo fosse per aver dovuto rinunciare al suo impiego.
Le due donne entrarono in chiesa e si sedettero l'una accanto all'altra in un banco in quinta fila, aspettando in silenzio che cominciasse la funzione.
Durante la messa il prete lesse il brano del Vangelo in cui si narra di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio di Gerusalemme rovesciando i banchi su cui erano esposte le loro mercanzie, e quel passo sembrava voler dire persino il Figlio di Dio potesse incollerirsi per una buona ragione. Il brano del Nuovo Testamento si concludeva con un invito al perdono:

“Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei Cieli perdoni a voi i vostri peccati (*)”

“Ma io non voglio perdonare...” mormorò tra sé e sé Meg, guardando sua madre di sottecchi.

Alla fine della messa la chiesa si svuotò lentamente, la gente tornò alle proprie case e alle proprie occupazioni uscendo accompagnata dal brusio delle loro chiacchiere e dal tramestio dei loro passi leggeri sul marmo del pavimento.
“Tu vai a casa se vuoi- disse Madame Giry a sua figlia- io ho bisogno di restare ancora un po' qui”
“Ma, mamma...” tentò di replicare Meg
“Ho bisogno di pregare- aggiunse la donna in un tono leggermente autoritario- tu vai, ti raggiungerò per il pranzo”
la ragazza annuì e si allontanò senza aggiungere altro.
Eloise Giry si sentiva estremamente piccola e vuota. Pensava a Christine, alle amarezze che quella giovane creatura doveva affrontare giorno dopo giorno, ai ricordi che non le lasciavano tregua e che probabilmente non le avrebbero mai dato pace, pensava a sé stessa, ai malumori con i quali stava imparando a convivere giorno dopo giorno con la stessa caparbietà con cui aveva sempre affrontato una vita che con lei era stata tutt'altro che generosa. E pensava a lui, a quel figlio, a quel fratello, a quell'amico che aveva perso. Quanto avrebbe voluto saperlo vivo e in buona salute, sapere che aveva trovato un posto nel mondo, uno spiraglio di quella felicità a cui ogni uomo ha diritto. Perché lei non aveva mai conosciuto il Fantasma, solo Erik, solo l'uomo.
Come se il peso di tutti quei pensieri fosse divenuto improvvisamente insostenibile, Madame Giry cadde in ginocchio su uno dei gradi dell'altare, congiunse le mani e pregò.

*

Diane soppesava con gesti lenti il volume che teneva in mano, un libro dalla copertina di pelle consunta, una traduzione dei sonetti di Shakespeare. Quel poco che sapeva, o che credeva di sapere, dell'amore lo aveva imparato da lì, quel libro le era stato regalato quando aveva quattordici anni, lo aveva letto e riletto nel corso della sua vita, immaginando di sapere cosa il poeta inglese volesse intendere, come se certe emozioni riuscissero a trasmettersi da una semplice lettura. Non voleva ammettere con sé stessa che leggere delle poesie romantiche non era affatto sufficiente per sapere cosa fosse l'amore. Ammetterlo avrebbe significato rendersi conto che lei l'amore non lo conosceva e non lo avrebbe conosciuto mai: una pena troppo grande per il cuore appassionato di una giovane donna.
La stanchezza di Louis per il viaggio l'aveva esonerata, per quella notte, dall'assoluzione dei suoi doveri coniugali, suo marito si era ritirato nelle sue stanze, che, come volevano le usanze nelle case nobiliari, erano separate da quelle di sua moglie, dopo un formale e distaccato augurio di una buona notte.
La donna posò il libro dei sonetti sul tavolino e guardò il suo riflesso nello specchio, si domandò come mai non era mai stata una moglie infedele. Aveva una libertà che molte altre donne le invidiavano, quella di passare lunghi mesi senza suo marito, eppure non ne aveva mai approfittato, non nel modo che le malelingue avrebbero inteso, e in effetti, pensandoci era strano che una donna giovane e avvenente si tenesse lontano dagli uomini per rispetto a un marito assente, che non amava e che non avrebbe mai saputo delle sue eventuali infedeltà. La verità era che Diane non sentiva la necessità di trovare qualcuno che le scaldasse il letto, non era questo quello che il suo cuore desiderava e non sarebbe stata una notte tra le braccia di un uomo qualsiasi a farle conoscere l'amore vero. Diane era una donna abbastanza pragmatica da provare una certa insofferenza per le azioni insensate e immotivate.
Tuttavia quella mattina si costrinse a riemergere dai suoi pensieri malinconici per recitare la parte della moglie devota e interessarsi, per quanto poteva, alle faccende di suo marito. Quando si erano sposati il lavoro di Louis fuori dalla Francia era solo un'invitante prospettiva che lui avrebbe colto a braccia aperte se si fosse presentata l'occasione, ma quando gli fu chiesto di sostituire un ambasciatore che aveva prematuramente abbandonato l'incarico, il marchese di Valois credeva che non avrebbe rivestito a lungo quella carica, per cui aveva risparmiato a sua moglie e a sua figlia l'incombenza di un trasferimento in un paese straniero.

Diane uscì dalla sua stanza e si diresse verso lo studio dove, come previsto, si trovava Louis, intento a scrivere delle lettere. Bussò con tocco leggero alla porta e attese il permesso di entrare. Suo marito le indicò una sedia davanti alla scrivania e lei vi si sedette.
“Dunque, ditemi Diane- esordì il marchese abbandonando la stesura delle sue lettere- cosa mi sono perso in questi mesi?”
la donna inarcò le sopracciglia; cosa si era perso? Oltre al vedere sua figlia crescere, allo stare vicino a sua moglie e a godersi la ricca tenuta che gli aveva lasciato in eredità la sua famiglia? Oltre a questo si era perso ben poco, qualche ballo di galà, qualche rappresentazione teatrale...
Diane cercò un modo diplomatico per continuare la conversazione
“Il precettore di Vivianne dice che la bambina è in gamba, ha imparato a leggere con una rapidità impressionante, dovreste sentirla! Legge quasi meglio di un adulto- disse con un sorriso, ricordandosi quanto sua figlia significasse per lei e tentando di farlo capire a suo marito- infatti, pensavo che magari, sarebbe il caso di impegnare la sua intelligenza in qualche attività costruttiva... ad esempio potrebbe studiare musica”
“Studiare musica?”
“Pensavo al violino, sono certa che le piacerebbe”
“Si, si certo, potrebbe essere una buona idea... ma, mi avete scritto che avete trascorso delle settimane in Provenza dalla vostra amica, come sono state?” domandò Louis
“Piacevoli, anche Vivianne si è divertita, è stato un bene per entrambe cambiare aria” rispose la marchesa
“Certo, immagino di si. Ah ma so che c'è stato un terribile incidente all'Opera Populaire, un incendio... cosa è accaduto?”
Diane congiunse le mani e pensò a come raccontare a suo marito di quella terribile serata, omettendo il particolare della presenza e dello smarrimento della bambina, per non parlare della vicenda dell'uomo che l'aveva soccorsa e che avevano incontrato settimane dopo in quel circo in Provenza,
“Conoscete la leggenda del Fantasma dell'Opera?” chiese
“Si”
“Bhe, a quanto pare la leggenda era vera”
Louis sorrise divertito, sua moglie non aveva mai dato adito a quel genere di storie,
“Suvvia, non ci crederete sul serio, non siete mai stata il tipo di persona che crede ai fantasmi” disse ridacchiando
“Infatti non si trattava di un fantasma, ma di un uomo- aggiunse la donna- un uomo sfigurato e folle che viveva nascosto nei sotterranei, quella sera è salito in scena e ha tentato di rapire una giovane soprano di cui pare fosse follemente innamorato, e per far perdere le sue tracce ha fatto crollare il lampadario dell'auditorium provocando l'incendio, questo almeno è quello che so, i risvolti sentimentali e romanzeschi di questa storia li lascio ai chiacchieroni nei caffè”
“E che n'è stato di quest'uomo? E della cantante?”
“Bhe, lei è stata portata in salvo, lui è sparito, malgrado non sia stato ritrovato il corpo, si suppone sia morto, e si pensa che il suo cadavere si scomparso in uno dei canali che dai sotterranei del teatro portano alla Senna, quindi probabilmente non verrà mai ritrovato”
“Una vicenda tanto assurda quanto cupa” commentò Louis
“Si, ma voi come fate a esserne al corrente?”
“Ah, ho dimenticato di raccontarvi di alcune conoscenze che ho fatto in Spagna”
Diane si lisciò distrattamente la stoffa della gonna e lanciò un'occhiata interessata a suo marito come per esortarlo a raccontare,
“Il conte de Chagny e sua moglie erano in Spagna, pare per una lunga vacanza- spiegò Louis- quando hanno saputo che nella città dove alloggiavano c'era la sede del consolato Francese hanno voluto incontrarmi, abbiamo stretto una cordiale amicizia, sapete, è bello incontrare qualcuno della propria città quando si è all'estero”
“Sono contenta per voi”
“Già, si dia il caso che il conte e la contessa mi abbiano caldamente raccomandato il loro giovane figlio, il Visconte Raoul”
Diane distolse lo sguardo cercando di ricordare. Aveva già sentito quel nome... già, il visconte de Chagny insieme alla sua famiglia era diventato mecenate e finanziatore dell'Opera Populaire, era presente anche lui la sera dell'incendio, con un ulteriore sforzo di memoria riuscì a ricordarsi anche di averlo conosciuto, si erano parlati qualche volta prima dell'inizio di qualche spettacolo o durante gli intervalli. Raoul de Chagny era di poco più giovane di lei e lo ricordava come un ragazzo adorabile, cordiale e gentile, e anche piuttosto avvenente.
“Si, ho avuto modo di conoscere il Visconte a teatro” concluse Diane
“Bene, vedete i suoi genitori sono molto preoccupati per lui, perché pare che il ragazzo voglia sposare una fanciulla che loro non vedono di buon occhio, a quanto pare si tratta proprio della giovane soprano coinvolta nella scabrosa vicenda di cui mi avete parlato- continuò il marchese- francamente non voglio impicciarmi in queste faccende che riguardano esclusivamente il Visconte e la sua famiglia, ma ho promesso al conte e alla contessa che lo avrei invitato da noi una di queste sere, infatti era a lui che stavo scrivendo poc'anzi”
la donna sorrise e asserì con un cenno del capo, dunque suo marito sapeva già tutto dell'incendio dell'Opera, e a quanto pareva era persino meglio informato di lei sui pettegolezzi di Parigi,
“La trovo una magnifica idea, per quel poco che ho avuto modo di conoscerlo, il Visconte mi sembra una persona molto cortese- concluse Diane con un sorriso che avrebbe dovuto sembrare complice- potreste invitarlo alla cena che daremo in onore del vostro ritorno”
“Ben detto mi cara, faccio subito spedire la lettera insieme a un invito per il ricevimento” concluse Louis compiaciuto.

*

La gente guardava incuriosita la carovana passare lentamente nelle vie più ampie della città, i bambini si accalcavano ai bordi delle strade per vedere gli animali chiusi nelle grosse gabbie trasportate da robusti carri trainati da cavalli dal manto pezzato. Era un'altra compagnia di artisti di strada in arrivo da chissà quale parte della Francia, giunta a Parigi per le feste di piazza previste per il mese di maggio, una delle tante, un come le altre. Ma quella gente non poteva sapere che chiuso in uno di quei carri, adagiato mollemente contro il fianco della vettura c'era l'uomo che tutta Parigi aveva cercato per settimane, l'uomo che un tempo era stato il Fantasma dell'Opera.
Erik se ne stava immobile e silenzioso, ascoltando distrattamente i rumori della città che provenivano dall'esterno. I suoi ricordi tornarono indietro, in un tempo ancora più distante e remoto di quello vissuto nei sotterranei dell'Opera Populaire, ripensò a quando era arrivato per la prima volta a Parigi, era insieme a una compagnia di zingari, loro facevano una vita non molto diversa da quella di Alain e della sua famiglia, ma lui non era lo strabiliante violinista della compagnia e non viaggiava insieme agli altri su un carro per passeggeri, era chiuso in una gabbia al pari di una bestia, legato alle grate con una corda che gli stringeva la caviglia magra, il volto coperto da un sacco lercio. Era un bambino e non aveva conosciuto altra vita che quella, da quando sua madre lo aveva scambiato per una manciata di monete, vendendolo per liberarsi di quel dono mostruoso che la sfortuna le aveva lasciato. Lo chiamavano il Figlio del Diavolo, e lui ci credeva, come avrebbe potuto non crederci dal momento che gli sembrava di vivere all'inferno?
Il rumore del carro che sobbalzava sulla strada sconnessa si confuse con il ricordo del rumore delle bastonate ricevute tanti anni prima sul corpicino scheletrico e livido. Erik chiuse gli occhi in modo ricacciare indietro le lacrime e cercò di riportare il silenzio nella sua mente affollata e sofferente per i dolorosi ricordi. Ora che era soltanto un uomo avrebbe preferito tornare un fantasma, invisibile ed etereo per sfuggire alle girnfie dell'angoscia che gli lacerava l'anima.
La carovana si fermò, come di consueto, in uno spiazzo ai margini del centro cittadino. Gli uomini del circo cominciarono a montare le loro tende e a piantare nel terreno i paletti ai quali legare le funi di sostegno del tendone.
“A quanto pare ci siamo davvero!” commentò Alain che stentava a credere di essere arrivato a destinazione
“A quanto pare si” rispose Erik con noncuranza
“Chissà se torneranno”
“Chi?”
“Quella marchesa, con la bambina, avevano detto che sarebbero venute”
“E tu ci credi? Credi alle parole di quella gente?”
Alain sbatté le palpebre in una smorfia perplessa
“Perchè non dovrei crederci?” chiese
Erik fece una smorfia stizzita
“Si vede che non conosci il mondo, e che non consci quella gente” commentò con aria di sufficienza mentre gli angoli della bocca si sollevavano nell'accenno di una smorfia di scherno,
“Ma di che gente stai parlando?”
“Dei nobili, Alain, gente infida e meschina, che pensa solo a sé stessa”
“Bhe, non conosco altri nobili, ma quella signora con sua figlia non mi sembravano tanto male, e poi mica hanno promesso mari e monti, hanno solo detto che sarebbero tornate a vedere il nostro circo”
Erik rispose con un'alzata di spalle e decise di far morire il discorso, non era il caso di continuare quella discussione con Alain, lui non avrebbe potuto capire,
“Sono stanco, vado a dormire, ci vediamo domattina” disse, per poi sparire rapidamente nella sua tenda.
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(*) dal Vangelo di Marco

Scusate per l'attesa più lunga del solito, ma come vi ho detto l'estate influisce negativamente sui miei "progressi", dopo agosto riuscirò a essere più "solerte".
Piccolo excursus sul personaggio di Louis, visto che lo avete commentato nelle recensioni: in effetti no, non è cattivo, può risultare antipatico perchè caratterialmente è l'opposto di Diane ma come personaggio in sè non ha nemmeno un grande ruolo nella storia, ciò che ha rilevanza ai fini della trama è il fatto che Diane sia sposata, a prescindere da chi e come sia suo marito.

Per Monipotty: Personalmente non sono mai stata una sostenitrice della coppia Erik\Christine, ma ho il sospetto che prima della fine della mia storia quei due si rincontreranno, e poi staremo a vedere (anche se io stessa tremo all'idea di dover scrivere un eventuale dialogo tra quei due...). Ma un pò di "toromento" ci vuole, altrimenti come si crea il phatos? XD Ho sempre pensato che Erik non possa andare avanti se non chiude i conti con il passato.

Per Mystere Angelique de Benoit: grazie per i complimenti e per l'incoraggiamento (sia qui che nei nostro scleri quotidiani on line XD)... per "la sagace marchesa alla riscossa" diciamo che tra qualche capitolo la situazione comincerà a farsi più... come dire... "sentimentale" (no, tranquilli, spero non ci sarà bisogno di tenere a portata di mano l'insulina)... per tutto il resto pazientate ^^ (prima o poi sto delirio arriverà a una conclusione...e spero prima che mi appassiscano tutte le rose rosse, sennò io i nastrini neri dove li metto?!)

Per Amy: a dire il vero non leggo "Nana" (anzi, ho letto un solo manga in vita mia ed è stato Lady Oscar XD... sono una persona abbastanza incostante e non riesco a seguire un telefilm, figuriamoci un fumetto...). Hai compreso perfettamente quello che volevo esprimere con il personaggio di Louis, lui rappresenta la parte "antipatica" della nobiltà, quella parte che Diane non sopporta ma con la quale deve convivere. Anche io ho sempre fatto caso all'anno in cui è ambientata la vicenda, il 1870 è stato un anno "tranquillo" in confronto a ciò che è venuto dopo ed è curioso che tu abbia tirato in ballo la storia dal momento che l'epilogo della mia fanfiction prevede un excursus storico sulla fine dell'800 ^^

Dulcis in fundo... oltre a ringraziare i lettori e i recensori, rigrazio sentitamente nuovamente felicemente (sembro l'Onorevole Cettola Qualunque XD) la candidata al premio nobel per la pazienza: la mia betareader Ilaria ^^
E nuovamente le note sono quasi più lunghe del capitolo stesso... meglio che la chiudo qui!
(prossimo aggiornamento previsto tra una decina di giorni)

I remain, gentlemen, your obedient servant

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Capitolo 14
*** Capitolo tredicesimo ***


Ok, non ce l'ho fatta ad aspettare... stamattina la mia betareader mi ha rimandato il capitolo corretto, mentre lo rileggevo ho pensato che ero davvero curiosa di sapere cosa ne pensate (quando leggerete capirete perché)... spero perdonerete il mio tocco di "narcisismo" e le mie smanie infantili.


CAPITOLO TREDICESIMO


Il maggiordomo camminò a passi leggeri attraversando la grande sala da pranzo come se volesse che i presenti non si accorgessero del suo passaggio. Aveva imparato che una delle norme per essere un buon domestico era quella di diventare invisibile e comparire solo quando era necessario, anche quando faceva il suo ingresso in una stanza. L'uomo reggeva in mano un vassoio d'argento al centro del quale era inciso lo stemma della famiglia de Chagny, sul fondo era posata una lettera chiusa da un sigillo di ceralacca con il blasone di un'altra famiglia nobile. Il maggiordomo attese in un angolo che il visconte gli facesse cenno di avvicinarsi, il giovane era seduto a capotavola e stava consumando in silenzio la sua colazione, accanto a lui era seduta mademoiselle Daae che sorseggiava compita una tazza di the.
I due fidanzati erano costretti a mantenere un riservato e gelido contegno in casa, dal momento che la servitù non li lasciava soli nemmeno per un attimo, probabilmente secondo gli ordini dei genitori del visconte che volevano evitare qualsiasi situazione potesse aggiungere altra vergogna a quella che già era piovuta sulla loro famiglia per colpa delle scelte di quel figlio testardo e sconsiderato.
Raoul sollevò lo sguardo dalla sua tazza e si rese conto che il maggiordomo era in attesa di un cenno da parte sua,
“Cosa c'è Gustave?” domandò il ragazzo
il domestico si avvicinò porgendogli il vassoio, con un inchino che scompose leggermente i lembi della sua livrea scura,
“Immagino sia una missiva importante, monsieur, il sigillo è quello dei de Valois, l'ha consegnata un loro domestico poco fa”
Raul fece un vago cenno di assenso, conosceva il nome dei de Valois e, se la memoria non lo ingannava, aveva avuto anche a che fare con la marchesa Diane, una giovane signora che frequentava l'Opera. Pensandoci bene, ricordò che aveva letto il nome del marchese de Valois nelle lettere ricevute da parte dei suoi genitori, era l'ambasciatore francese che avevano conosciuto in Spagna e di cui gli avevano scritto con tanto entusiasmo.
“Ah, si, i de Valois” asserì prendendo la lettera, aprì la busta e ne estrasse un foglio ripiegato sul quale erano scritte poche righe:

Signor Visconte,
Ho avuto modo di conoscere i Vostri genitori durante la mia ultima permanenza in Spagna e sono lieto di aver stretto con loro una cordiale amicizia che spero anche voi vogliate accordarmi.
Io e mia moglie saremmo lieti di invitare Voi e la Vostra fidanzata al ricevimento che si terrà in casa nostra martedì sera.
I miei Omaggi.
Louis De Valois

Raoul lesse la lettera ad alta voce per mettere a corrente anche Christine del contenuto,
“Mi sembrano parole amichevoli” commentò la giovane accennando un sorriso,
“A me non sembrano diverse dalle altre parole che ricevo- rispose il visconte con aria leggermente seccata- immagino che sia un'ennesima trovata dei miei genitori per tenermi sotto controllo”
“Tu credi? Ho sentito parlare della marchesa de Valois e da quello che ho udito non credo sia il tipo di persona che tua madre e tuo padre potrebbero scegliere per tenerti d'occhio, forse le parole di suo marito sono sincere e disinteressate”
“Ah, si, l'ho conosciuta la marchesa, è una persona affabile quanto bizzarra”
“Per quanto ne so, ciò che nell'alta società significa bizzarro per la gente comune significa simpatico”
Raoul sorrise, e sfiorò la mano di Christine con la sua,
“Se vuoi, se ti fa piacere, possiamo andarci e verificare se la marchesa è così simpatica come sembra” concluse
la ragazza annuì,
“Come futura moglie del visconte de Chagny dovrò pur abituarmi a certi impegni mondani” disse,
“Molto bene- esclamò Raoul- allora scriverò subito una lettera al marchese per dirgli che accettiamo il suo invito”

*

Il primo giorno a Parigi era trascorso abbastanza tranquillamente. Erik era stato talmente occupato, con gli altri, nella cura dell'allestimento del circo che non aveva avuto tempo di pensare. Solo di notte, quando era rimasto solo nella sua tenda a cercare disperatamente di prendere sonno, nuovi malumori erano tornati ad affacciarsi alla sua mente, e nuovi incubi lo avevano tormentato nelle scarse ore di sonno che era riuscito a concedersi.
Quel mattino fu svegliato da Alain, che come al solito gli chiese se aveva voglia di accompagnarlo in città a promuovere il circo, e come al solito ricevette la consueta risposta negativa, ma ciò non tolse nulla all'entusiasmo del ragazzo di poter girare finalmente per le strade della capitale francese.
“Bhe, già che sei qui Alain- disse Erik camminando a passi lenti nella tenda- avrei un favore da chiederti”
“Ma certo! Dimmi pure” esclamò il giovane contento di poter essere utile in qualche modo
“Se andando in città dovessi imbatterti in un cartolaio, vorrei che comprassi per me dei fogli da musica, con i pentagrammi per scrivere le note”
“Fogli da musica, si, va bene, ma a cosa ti servono?”
Erik roteò gli occhi seccato e sospirò con aria di sopportazione
“A scriverci delle note, mi pare ovvio, no?” disse
“Ah, perché hai intenzione di scrivere della musica?” domandò Alain leggermente perplesso
“Bravo, vedo che con un po' di impegno ci arrivi alle cose- borbottò l'uomo, poi il suo viso assunse un'espressione cupa e la sua voce divenne triste- una volta, molto tempo fa, io componevo musica”
“Ah, ho capito. D'accordo, avrai i tuoi fogli con i pentagrammi” concluse Alain con un sorriso, poi uscì dalla tende e andò via più allegro e vivace del solito.
Erik rimase a suonare il suo violino e la melodia che ne uscì era triste, quasi macabra, ma concentrarsi sulla musica gli impediva di impegnare la sua mente nella formulazione di un qualsiasi piano per rivedere Christine.
Suonò fino a quando le dita non gli fecero male, poi lasciò il violino e si mise a passeggiare lentamente intorno allo spiazzo in cui era stato allestito il circo.

Ester, la giovane donna che si occupava dei lavori di sartoria all'interno del circo, si stava recando ad aggiustare uno strappo che si era aperto su un lato del tendone, in mano teneva una scatola di legno contenente ago e filo e un paio di grosse forbici da sarta, camminava con lentezza, non poteva permettersi grossi sforzi dal momento che era incinta, all'ottavo mese di gravidanza. Il paio di forbici le cadde accidentalmente da mano, la ragazza sbuffò e tentò di chinarsi lentamente, ma l'impresa le risultò impossibile a causa della pancia prominente, dopo pochi secondi decise di rinunciarvi e si raddrizzò con un sospiro portandosi la mano ad altezza dei reni, avvertendo, non senza una leggera fitta di dolore, il bambino che portava in grembo cambiare posizione. Si lasciò scappare un piccolo gemito e restò a guardare le forbici a terra decisa a fare un altro tentativo per raccoglierle, ma appena si fu minimamente chinata in avanti una mano le si posò sulla spalla,
“Non dovresti fare questo genere di sforzi” le disse Erik in tono piatto per poi chinarsi a raccogliere l'oggetto caduto,
la ragazza accennò un sorriso riconoscente
“Grazie” mormorò leggermente imbarazzata, gli altri della compagnia erano tutti molto gentili e premurosi nei suoi riguardi ora che aspettava un bambino la cui nascita sembrava assai prossima, non c'era da stupirsi che anche il violinista lo fosse, ma quell'uomo suscitava in lei, come in molti altri, un misto di soggezione e ammirazione, quindi Ester non riuscì a trattenersi dall'abbassare lo sguardo e ad arrossire lievemente,
Erik le rispose con un accenno di sorriso e non aggiunse altro, avrebbe voluto chiederle della gravidanza, del bambino, di come si sentiva. Immaginava che diventare genitore doveva essere davvero un dono del cielo, più grande di qualsiasi talento e di qualsiasi genio, e soprattutto per una donna l'idea di avere in sé un'altra vita doveva essere una sensazione strabiliante e indescrivibile. Avrebbe voluto chiederle tante cose, ma si trattenne, si rese conto di essere del tutto incapace di sostenere un discorso del genere, soprattutto con una ragazza così timida come Ester, quindi rinunciò nel suo intento e continuò in silenzio la sua passeggiata.

*

Il pomeriggio era assolato e su Parigi soffiava una piacevole brezza primaverile. Diane guardava il giardino di casa sua dalla finestra del salotto. Che lo volesse o no, quando suo marito era in casa la marchesa si trovava a doversi comportare come una donna qualsiasi, a prendersi cura della casa e recitare il ruolo della moglie devota.
Ogni volta che Louis faceva ritorno in Francia organizzava una serata per festeggiare il suo ritorno insieme ai conoscenti più cari. E anche quella volta a Diane toccava occuparsi del ricevimento, quando avrebbe preferito volentieri essere in giardino a giocare con sua figlia. Ma del resto, a quell'ora Vivianne era impegnata nelle lezioni con il suo precettore. La bambina, come Diane aveva avuto modo di raccontare entusiasticamente a Louis, aveva già imparato a leggere, e anche se scriveva con una calligrafia incerta e commettendo molti errori ortografici, era un'alunna abbastanza diligente e decisamente sveglia.
“In cucina è tutto pronto, madame” disse Colette entrando nella stanza con un sorriso compiaciuto e gioviale, che tuttavia non venne ricambiato dalla sua padrona
“Molto bene” si limitò a dire la marchesa con voce spenta
“Madame... avrei bisogno della vostra collaborazione, cioè, dovreste dirmi cosa volete che si cucini per la cena del ricevimento”
la marchesa scrollò le spalle
“Non ho voglia di pensarci, mi affido a te, farai certamente delle ottime scelte” concluse
Colette guardò dispiaciuta la sua padrona, che quel giorno sembrava aver perso molta della sua proverbiale vitalità, si morse il labbro, indecisa se informarla o meno di ciò che aveva visto.
“Ah, madame, ecco, io non so se vi può interessare- esordì la domestica con fare incerto- ma stamane al mercato non immaginerete mai chi mi è capitato di incontrare”
“Il Fantasma dell'Opera tornato a Parigi dall'inferno?” domandò la marchesa sarcastica
“No, sarebbe una vera sciagura madame- si affrettò a rispondere l'anziana donna- mi è capitato di incontrare dei saltimbanchi che parlavano di un circo, e se non mi sono ingannata ha lo stesso nome di quel circo che visitaste in Provenza con vostra figlia”
“Dei saltimbanchi?” chiese Diane come se si fosse destata all'improvviso e solo allora si fosse decisa a concedere a Colette l'attenzione che meritava
“Si, una ragazza che suonava un tamburo e un giovane dai capelli rossi, vestito da pagliaccio e con una scimmia sulla spalla”
la marchesa guardò la domestica con aria sorpresa, Vivianne non parlava d'altro da quando erano tornate dalla Provenza, ma lei credeva che quel circo avrebbe impiegato molti mesi ad arrivare a Parigi, e invece era lì e l'idea che cominciò a balenarle nella testa era tanto assurda quanto divertente a suo avviso.
La giovane donna guardò Colette con un sorriso che fece intendere alla cameriera che i pensieri della sua padrona, al momento non erano affatto consoni a una signora nella sua posizione,
“Grazie per avermelo detto- esclamò- ora prendimi il cappotto per favore, devo assolutamente uscire”
“E a fare cosa, madame, se posso permettermi?” chiese l'anziana donna con una punta di preoccupazione nella voce
“Niente per cui tu ti debba spaventare, cara la mia Colette”.
In quello stesso momento il marchese fece il suo ingresso nel salotto, tra le mani teneva una busta da lettere aperta e il foglio che essa conteneva,
“Dunque, il Visconte de Chagny ha risposto al mio biglietto, ha detto che lui e la sua fidanzata saranno presenti al ricevimento” disse con aria soddisfatta
“Che magnifica notizia, mio caro, ora scusatemi ma ho una commissione da svolgere” rispose frettolosamente Diane infilandosi il cappotto che Colette le porgeva
“Una commissione? A quest'ora?” domandò Louis
“Esattamente, una sorpresa per il ricevimento”
“Che genere di sorpresa, cara?”
Diane non riuscì a trattenere una risatina divertita
“Bhe non ve lo dico, non sono sicura di riuscire nel mio intento e nel caso fallissi non vorrei che rimaneste deluso” disse con aria allegra,
suo marito la fermò stringendole delicatamente il polso, lei si voltò a guardarlo e si stupì dell'espressione che vide disegnata sul volto dell'uomo, un'espressione di tenerezza e di malinconia allo stesso tempo,
“Diane, voglio che sappiate che non c'è mai stato un solo momento in cui io mi sia sentito deluso da voi” le mormorò
davanti a quell'affermazione la giovane donna rimase perplessa, quasi sconvolta, aprì la bocca per parlare ma dovette passare qualche secondo prima di riuscire a trovare le parole adatte. Cosa significava quella frase? Una cosa del genere, detta da suo marito poi!
“E' bello sentirvelo dire Louis, ci siamo fatti una promessa dinnanzi a Dio, e io sono una donna che tiene fede a ciò che promette” concluse con voce incerta
il marchese sorrise senza cambiare espressione, si portò la mano di sua moglie alla bocca e vi impresse un bacio delicato, poi la lasciò andare, più confusa e incredula che mai.
Diane salì sulla carrozza con la mente ancora annebbiata da quanto era accaduto poco prima nel salotto, non tanto per la garbatezza di Louis, che con lei era sempre stato cortese, ma perché non capiva il senso di quel gesto e di quelle parole. Il cocchiere la dovette chiamare più volte per chiederle dove desiderava andare, in un primo momento la donna sembrava così presa dai suoi pensieri che non lo sentì.
“Dobbiamo trovare un circo” disse infine la donna
“Un circo, madame?” domandò il cocchiere dubbioso
“Esattamente!” rispose Diane con un sorriso incoraggiante.

Il cocchiere ebbe un gran bel da fare tra giri nelle campagne vicino Parigi e richiesta di informazioni a diverse persone per trovare il circo, ma alla fine gli fu detto che quello che cercava si trovava in un prato non molto distante dal centro della città.
L'uomo fece scendere la marchesa dalla carrozza, lei le disse di aspettarlo,
“Ne siete sicura madame? Voi da sola, in un circo...” disse lui incerto
la donna sospirò spazientita
“Non è un covo di assassini, è un circo!” esclamò allontanandosi dalla carrozza.
Diane trovò subito Alain, era difficile non vederlo o non riconoscerlo, con quel colore di capelli tanto insolito e con quella andatura dinoccolata praticamente inconfondibile.
Il ragazzo si voltò trovandosi subito davanti alla marchesa, la guardò stupito, poi le sorrise
“Voi, madame?!” esclamò
“Ciao Alain, come stai?” domandò lei ricambiando il sorriso
“Non potrei stare meglio ora che sono qui a Parigi!”
la marchesa rise, le piacevano i modi spontanei e genuini di quel ragazzo,
“Se ci vivessi, scopriresti che non è poi così bella, non c'è neanche il mare” disse
“Si, ma c'è tutto il resto, oggi sono andato in città, non avevo mai visto così tanta gente, così tanti palazzi, strade così ampie”
“Bhe, se ne sei così convinto allora, non mi resta che augurarti una buona permanenza”
“E voi?- chiese il ragazzo- vostro marito lascia davvero andare una donna bella come voi in giro da sola?”
“Alain!- tuonò una voce aspra- non dovresti parlare così a una signora”
“Cosa ho detto?...” domandò il ragazzo mortificato, voltandosi e guardando Erik che era arrivato alle sue spalle e che lo fissava con aria di rimprovero
Diane rise e posò una mano sulla spalla del pagliaccio
“Non fa niente, Alain, il senso dell'umorismo non è una dote che hanno tutti- gli disse, per poi lanciare un'occhiata verso Erik- buon pomeriggio monsieur”
“Bentrovata madame” rispose secco il musicista
“Immagino che la cosa non vi farà fare i salti di gioia, ma devo parlarvi”
“Cosa vi spinge a tormentarmi ancora?” domandò l'uomo sospirando con aria di sopportazione e avvicinandosi a Diane incrociando le braccia sul petto,
la donna allungò una mano verso di lui
“Giacché prima sembravate così volenteroso di dare delle lezioni di buone maniere al vostro amico, monsieur, ora potreste offrirmi il braccio e invitarmi a passeggiare qui intorno”
Erik inclinò leggermente la testa di lato e fissò la donna con aria imperscrutabile, la marchesa era decisamente irritante nella sua gentile ostinazione,
“E sia, se ci tenete tanto” borbottò lui porgendole il braccio che Diane prese con una stretta delicata, i due si incamminarono sotto lo sguardo divertito di Alain.
“Quando cominciano le rappresentazioni del circo?” chiese lei
“Dovrebbero cominciare dopodomani, se vorrete venire a vederle avete tutto il tempo, ho la sensazione che resteremo a Parigi a lungo”
“Lo dite come se vi dispiacesse, comunque sia, domani sera siete libero da impegni quindi?”
Erik si lasciò scappare un sorriso malizioso, visto che quella donna sembrava così insistente e così sfacciata lui non aveva altro modo che minare la sua ostinazione cercando di metterla in imbarazzo e a dire il vero provava un certo divertimento a prendersi gioco di lei in quel modo,
“Non vi sembra una domanda sconveniente da parte di una donna sposata?”
Diane inarcò leggermente le sopracciglia e fissò il suo interlocutore negli occhi: in quel moemnto ritrovò un mare azzurro nel quale sembrava inabissata una malinconia senza nome e una strana ferocia latente. Uno sguardo pieno di un magnetismo reso ancora più oscuro dalla maschera bianca che copriva la metà del volto, lasciandone libero solo il lato sinistro disegnato da lineamenti decisi e virili. Era chiaro che lui cercava di imbarazzarla, quell'uomo era una persona a cui evidentemente piaceva giocare, fin dal primo momento l'aveva trattata con un atteggiamento arrogante di sfida, senza sapere che infondo lei aveva apprezzato quell'atteggiamento molto più di quanto apprezzasse il comportamento servile e reverenziale a cui era abituata,
“Non vi sembra che un uomo intelligente come voi dovrebbe evitare di fraintendere ogni volta le mie parole?” chiese di rimando
“Dunque, spiegatevi meglio”
“Domani sera, in casa mia, si terrà un ricevimento per festeggiare il ritorno di mio marito, vorrei che suonaste per noi”
Erik non riuscì a trattenere la risata amara che gli assediava la gola, davvero quella donna aveva detto ciò che lui credeva di aver udito? Doveva essere completamente pazza!
“Forse non ricordate madame, quanto io abbia poca simpatia per i nobili, e voi ora venite a chiedermi di suonare per loro” disse
“Sapevo che mi avreste risposto così, monsieur”
“E allora perché vi siete scomodata a venire fin qui a chiedermelo?”
Diane sorrise con aria di sfida
“Perché i nobili, quelli che anche io non ammiro, anzi, forse disprezzo quasi quanto voi, sono assai sensibili allo stupore”
“Oh, lo so bene, non immaginate quanto!”
“Ebbene, io sono una persona a cui piace stupire, Erik, e anche voi lo siete”

... Erik

Il suo nome buttato in mezzo a quella frase, pronunciato da quella donna, sembrò uno schiaffo in pieno viso. La marchesa si illudeva forse che sentendosi chiamare con il suo nome lui si sentisse minimamente complice, coinvolto? Quella donna non era che una sconosciuta, come poteva pretendere che lui uscisse dal buio del suo nascondiglio per recarsi nel mondo sfavillante e luminoso di un palazzo nobiliare? Eppure aveva ragione, gli piaceva stupire, lo faceva ogni sera con la sua musica beandosi per pochi minuti degli sguardi attoniti e ammirati del pubblico. Lo aveva sempre fatto, stupire, suscitare sgomento e sorpresa... ma quello era il Fantasma nel suo regno magico dell'Opera, non l'uomo. L'uomo viveva tranquillo nella sua vita normale tra le tende di un circo e certi voli ormai gli erano preclusi.
“Non posso accettare” concluse
“Datemi una buona ragione, che non sia il fatto che vi sto antipatica” disse Diane ironica
“Il fatto che potrebbero starmi antipatici tutti gli altri presenti al ricevimento vi sembra una ragione sufficiente?”
“Ah, già dimenticavo la vostra ritrosia ai contatti umani, bhe se accetterete vi assicuro che nessuno vi importunerà, dopo aver suonato potrete andare senza aspettare che i miei ospiti si fermino a complimentarsi”
Erik sospirò e assunse per qualche secondo un'aria pensosa, poi tornò a guardare la donna che continuava a camminare accanto a lui, appoggiata al suo braccio,
“Come sta vostra figlia, madame? Come mai non è con voi?” domandò
“Vivianne sta bene, oggi era impegnata con il suo maestro e non le ho detto che siete qui a Parigi altrimenti mi sarebbe corsa dietro, spero che resterete a Parigi fino a dopo la partenza di suo padre, così potremo tornare a vedervi” rispose la marchesa
“Dovete aspettare che parta vostro marito per venire ad assistere allo spettacolo?”
“Eh già, mio marito ama l'etichetta più di quanto non la ami io”
“Certo, capisco” concluse Erik
“Ora devo tornare- disse Diane, dopo una breve pausa- vi dispiace accompagnarmi alla mia carrozza, monsieur?”
l'uomo annuì e si voltò per tornare indietro. Giunti alla fine dell'accampamento Diane lasciò il braccio del musicista ed estrasse dalla tasca del cappotto un biglietto,
“Dunque a domani sera, a questo indirizzo” gli disse porgendogli il piccolo pezzo di carta con un sorriso gentile,
Erik lo prese e fece una smorfia di disappunto,
“Non mi sembra di avervi detto di si” rispose
“E invece lo avete fatto, monsieur- concluse Diane con espressione maliziosa- buona serata”,
l'uomo si ritrovò a fissare per qualche secondo la carrozza della marchesa che si allontanava, pensando che quella donna doveva essere proprio una strega.

Diane tornò a casa soddisfatta, le sembrava di aver vinto una piccola battaglia. Avrebbe voluto raccontare l'accaduto a Vivianne, ma la bambina non le avrebbe perdonato l'essere andata a far visita al “suo Angelo” senza averla portata con sé, e inoltre se avesse saputo che Erik avrebbe suonato in casa loro la sera del ricevimento sarebbe rimasta sveglia ad aspettarlo. Si promise che non le avrebbe detto niente ma che l'avrebbe portata al circo il prima possibile, anche a costo di mentire a suo marito.
_________________________________________

NOTE:
Come al solito non mi piace svelare particolari prima del tempo, però devo confessarvi che quando ho capito che si sospetta che il buon Louis ci lascerà le penne ho ridacchiato compiaciuta... ricordate che il caro marchese è entrato in scena leggendo delle lettere?...

Vorrei dire (correndo il rischio di sembrare "retorica" ma non importa) che sono contenta di aver trovato così tante recensioni per questo capitolo e di vedere che così tanta gente segue e apprezza questa mia "opera prima" che con tutti i suoi difetti e le sue imperfezioni riesce comunque a interessare, più di quanto avessi sperato.
Grazie di cuore.

Per Maskedlady, grazie dei complimenti e del sostegno. Spero di poter leggere presto altre tue storie sul nostro Fantasma preferito. Quella del Fantasma dell'Opera è una vicenda che mi affascina così tanto che appena trovo una nuova fanfiction non riesco a non appassionarmi.

Per Bloodred_rose, dovresti scrivere un libro "come fare arrossire una persona con 4 righe" XD, scherzi a parte, sono contenta che la storia ti piaccia- Sull'inevitabilità di uno scontro tra Erik e il suo passato ci hai preso in pieno, ho sempre pensato che scrivere un continuo della storia del Fantasma trovando un probabile lieto fine comporti per forza far scontrare (e riappacificare) Erik con il suo passato.

Per Amy, come al solito GRAZIE, dai commenti che scrivi si capisce che presti molta attenzione alla lettura di questa storia e la cosa non può che farmi piacere. Madame tra un pò troverà una bella sorpresa come risposta ai suoi tornamenti (che non è un ometto però XD). Diane e il Master... bhe, sto facendo del mio meglio ora che sto scrivendo dal capitolo 17 in poi e la melassa sto tentando di evitarla con tutta me stessa, cercando di arginare i classici sguardi da "ti-salterei-addosso-ma-non-so-ancora-se-mi-piaci" e i gesti allusivi e scontanti da soap di bassa lega... non garantisco per la buona riuscita dell'impresa ma l'ipegno c'è tutto. Per la Divina... ho già scritto... devo solo capire dove "incollare" il pezzo che la riguarda, in realtà sarebbe dovuta arrivare molto prima, ma c'è stato un piccolo cambiamento di rotta nella trama per cui la comparsa della dea del canto è inevitabilmente slittata a un futuro da destinarsi (comunque stai tranquilla, arriverà perchè mi serve, mi è praticamente indispensabile... anche se l'idea che Carlotta possa essere indispensabile è poco credibile).

Per Anto (scusa, sono troppo abituata a chiamarti per nome che proprio non riesco a usare il nickname), superate invasioni tedesche e impegni vacanzieri e non sono riuscita a vergare anche un altro capitolo... so quanto poco tu ami la fanciulla riccioluta (che poi, oh, son riccioluta anche io!!!) ma ti assicuro che non farà troppi danni, non direttamente almeno... e se fa danni ci pensa Super-Alain... scherzo, comunque un ringraziamento anche a te e un bacione ^^

Per Monipotty, ebbene si, prossimamente ci saranno un sacco di re-enrty e di incontri... se la cosa sarà positiva o negativa non so, dipende dai punti di vista XD però, bella o brutta che sia la cosa, Diane che comincia ad aver a che fare con il visconte e fidanzata penso possa aprire prospettive interessanti (ecco, ora divento immodesta, colpa dei vostri complimenti, mi state viziando! XD)

I remain, gentlemen, your obedient servant

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordicesimo ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO

“Masquerade! Paper faces on parade . . .
Masquerade! Hide your face,
so the world will never find you!”

Poteva sentire ancora l'eco di quella notte di festa. Poteva rivedere nitide e precise le immagini accavallarsi nella sua testa; il ballo di gala tenutosi nel salone di ingresso dell'Opera Populaire, tutta l'alta società parigina si era messa in maschera per festeggiare la fine dell'anno mentre la città era illuminata dai fuochi d'artificio, e ancora l'ambiente illuminato a giorno da centinaia di candele, il fruscio dei costumi, il ticchettio dei passi delle decine di invitati che danzavano al suono dell'orchestra del vecchio maestro Reyer. Christine gli era sembrata un fiore di primavera avvolta nel suo abito di seta rosa... sottobraccio al visconte de Chagny, felice per il loro fidanzamento, mentre i direttori del teatro festeggiavano anche la sparizione del Fantasma dell'Opera, che da mesi ormai non scriveva, non mandava ordini e non manifestava in alcun modo la sua presenza. Tutti esclamavano allegri che era sparito, ma improvvisamente le candele si spensero e lui piombò nella sala da ballo facendo ammutolire i presenti, persino l'orchestra aveva smesso di suonare come pietrificata da uno strano maleficio. Aveva sceso le scale con un incedere teatrale e solenne, avvolto nel suo costume rosso. Gli occhi cerchiati di nero visibili dalle fessure di un'inquietante maschera a forma di teschio sembravano brillare di un feroce trionfo. Aveva lanciato la partitura della sua opera ai piedi di Andrè e Firmin, come un dio generoso che elargisce i suoi doni a comuni mortali timorosi e smarriti. Aveva dato ordini perentori e precisi a quel branco di inetti su come mettere in scena la sua opera, il suo capolavoro, intriso di una passione e di una potenza fuori dal comune. Il suo “Don Juan Trionfante”, scritto con l'inchiostro rosso, come se avesse usato il suo stesso sangue per creare quella musica, avrebbe dovuto far sdegnare i signori e far arrossire le signore. Il suo Don Juan doveva bruciare, come il fuoco dell'inferno in cui l'autore ardeva mentre componeva quell'opera, come il suo sangue reso incandescente da un amore troppo grande per essere compreso.
Era andato lì, vestito come la morte, furente come un gigante incollerito, aveva brandito la spada proferendo minacce... ma quando i suoi occhi avevano incontrato quelli di Christine il suo sguardo si era fatto incerto, la sua voce si era affievolita e aveva tremato, persino quando, con brutale prepotenza, le aveva strappato la catenina da cui pendeva l'anello di fidanzamento di Raoul sibilando che lei gli apparteneva. Era stato allora che si era illuso, quando lei lo aveva guardato con ammirazione, accennando un sorriso, quasi dimenticandosi di quel damerino che si era precipitato fuori dalla sala per prendere la sua spada... era stato in quel momento che il suo cuore si era deciso a credere che Christine lo amasse, nonostante tutto.

La mente di Erik ripercorreva faticosamente le scene di quella notte lontana. Quella sera lo attendeva una festa in casa dei marchesi de Valois, e non era riuscito a evitare che i ricordi creassero una strano parallelismo con il ballo dell'Opera.

“... io sono una persona a cui piace stupire, Erik, e anche voi lo siete”

Di quella donna non avrebbe certo potuto dire che fosse una sprovveduta. Aveva accettato di suonare per lei cedendo al fascino della sua arguzia, o forse per reclamare quel posto nel mondo che lo aveva sempre rifiutato; finalmente quella sera un piccolo angolo di Parigi avrebbe conosciuto il suo talento.
Era un artista, un genio, e nemmeno quella maschera poteva farglielo dimenticare!

*

Christine guardò il proprio riflesso sul vetro della finestra. Fuori cominciava ad imbrunire: le giornate si erano fatte più temperate e la sera calava sempre più tardi, proiettando la mente dei parigini verso un'estate che si annunciava calda e vivace.
La giovane era seduta sul sofà, indossava l’abito da sera che aveva scelto per il ricevimento a casa dei marchesi De Valois: un vestito beige, quasi bianco come quello di una sposa. Era stato uno dei tanti regali di Raoul, uno dei tanti lussi a cui stranamente faticava ad abituarsi, anzi, la mettevano a disagio, soprattutto davanti agli occhi di quella ragazza che per lei era come una sorella.
Meg Giry fissava l'amica con affetto. Le due fanciulle si incontravano ogni volta che Meg aveva un momento libero, e la cosa accadeva sempre più raramente ora che la piccola Giry era entrata a far parte del corpo di ballo del Teatro dell'Odeon.
L' Odeon, che era uno dei grandi templi dell'arte di Parigi, inaugurato dalla regina Maria Antonietta pochi anni prima della caduta dei Borboni, si apprestava a diventare il nuovo fulcro della musica e del ballo dopo la catastrofe che aveva distrutto l'Opera Populaire.
Christine viveva con tristezza il fatto che le visite della sua amica si andassero sempre più diradando, ma non voleva fargliene una colpa: Meg era nata per la danza, come lei era nata per il canto, purtroppo mademoiselle Daae non aveva avuto la stessa ostinazione dell'amica nel proseguire la strada verso cui sembrava destinata. Ora che stava per sposare Raoul non poteva più dedicarsi alla musica, già il fatto che stesse per sposare un visconte senza che una sola goccia di sangue nobile scorresse nelle sue vene rappresentava uno scandalo, una viscontessa che si esibiva sul palco di un teatro sarebbe stato inconcepibile!
Christine aveva detto addio al canto quando aveva abbandonato il suo Angelo della Musica. Aveva fatto una scelta e ora doveva convivere con essa e con le sue conseguenze.
“Un ricevimento in casa di un marchese!- esclamò allegra Meg- chi l'avrebbe mai detto”
“Ne parli come se fosse una delle nostre feste in soffitta” rispose Christine con la voce leggermente velata di malinconia
“Mai mettere limiti alla provvidenza! Potresti divertirti, la marchesa de Valois non è quella donna di cui tutti parlano con tanto biasimo?”
“Già, forse è davvero una persona interessante”.
Meg sorrise, poi incrociò lo sguardo di Christine e un lieve senso di tristezza le fece morire in gola il risolino che avrebbe voluto lasciarsi sfuggire. Erano così cambiate entrambe, le loro vite erano così diverse ormai che sembrava che l'incendio dell'Opera fosse avvenuto decenni prima e quelle due ragazze stavano diventando donne senza che gli eventi lasciassero loro il tempo di rendersene conto.

Quando la sera dell'incendio Meg era riemersa dai sotterranei dove aveva guidato la folla che bramava la testa del Fantasma, aveva subito raggiunto sua madre nei suoi alloggi e l'aveva trovata riversa su una sedia, in lacrime. Madame Giry aveva pianto una sola volta in vita sua, al funerale di suo marito, e sua figlia era troppo piccola per ricordarlo. Tuttavia, quella sera, quando Meg le si era avvicinata e le aveva posato la mano sulla spalla scossa dai singhiozzi, Eloise Giry non aveva tentato di nascondere le lacrime, poi sua figlia le aveva porto la maschera bianca che aveva trovato nella dimora del Fantasma, la donna l'aveva guardata perplessa e incredula, poi la giovane le aveva spiegato di aver condotto la folla nei sotterranei tramite il passaggio che aveva scoperto tempo prima, attraverso quella porta coperta dallo specchio, nel camerino della primadonna. A quelle parole Madame Giry aveva guardato sua figlia con rabbia e le aveva tirato un sonoro schiaffo sulla guancia,
“Stupida ragazzina sconsiderata!- aveva esclamato adirata- avresti potuto morire! Non immagini quante trappole siano disseminate in quei sotterranei! E poi questa notte è stata già abbastanza maledetta senza che tu e tutte quelle persone vi metteste in pericolo per la vostra sete di vendetta!” ciò detto la donna le aveva ordinato bruscamente di lasciarla sola...

“Meg! A cosa pensi?” le domandò all'improvviso Christine, strappandola alle sue riflessioni
“A niente... scusa... sono stanca” farfugliò la ragazza prendendo tra le dita la sua treccia bionda,
in quello stesso momento Raoul fece il suo ingresso nella stanza, vestito di tutto punto e pronto per recarsi al ricevimento.
“Buona sera visconte” lo salutò Meg alzandosi in piedi
“Mademoiselle Giry, posso chiedervi ancora una volta di chiamarmi per nome?” disse il ragazzo con un sorriso gentile
“La stessa richiesta vale per voi” rispose prontamente la giovane,
Raoul si rivolse alla sua fidanzata, guardandola con aria soddisfatta. Era più bella ed elegante di tutte le altre dame che aveva conosciuto. La cascata di morbidi ricci era stata domata da un fermaglio che teneva sollevati i capelli scoprendole il collo e le spalle, il suo viso colorito da un leggero tocco di belletto sembrava più maturo, più adulto.
“Sei bellissima, Christine- commentò Raoul rapito, poi le porse un cofanetto di velluto blu- con questi sarai ancora più splendida”
la ragazza sollevò il coperchio della scatola che conteneva un pendente costituito da una perla a forma di goccia e due orecchini simili al ciondolo.
“No... non posso prenderli Raoul, sono di tua madre!” esclamò la ragazza con riluttanza restituendo il cofanetto al suo fidanzato
“Ho scelto a posta questo vestito perché mi sembrava perfetto con questi... non essere sciocca” disse il visconte
“Ha ragione Christine, questi gioielli sono perfetti per questo abito” commentò Meg divertita
“Ma se dovessi smarrirli... se una di queste perle dovesse staccarsi... o se... se, cosa racconteremo a tua madre?”
“Oh avanti Christine!- esclamò Raoul- mia madre ha tanti di quei gioielli che nemmeno li ricorda tutti, e in ogni caso non verrebbe mai a sapere che li hai indossati”
“Ma io...”
“Sei sempre la solita!- borbottò Meg insicura- indecisa e insicura! Date a me...”,
ciò detto la ballerina prese il cofanetto dalle mani di Raoul e ne estrasse la collana, si avvicinò alla sua amica e gliela agganciò al collo, poi le porse gli orecchini che la giovane prese con la punta delle dita e indossò con delicatezza, come se temesse che di punto in bianco si sciogliessero tra le sue mani come se fossero fiocchi di neve.
“Sei meravigliosa, amica mia!” si complimentò Meg, strappando alla ragazza un sorriso timido, poi si congedò e lasciò i fidanzati a completare i preparativi per il ricevimento.

*

“Dunque, non volete dirmi di chi si tratta” disse Louis con un sorriso indulgente mentre si annodava la cravatta di seta bordeaux attorno al collo,
“Vi dico che è una sorpresa, caro, e comunque, non ha nessuna importanza chi sia e da dove viene, non siate petulante” rispose pazientemente Diane
“Va bene, va bene, non insisterò oltre. A volte dimentico quanto siete ostinata!”
la donna sorrise divertita pensando che se non fosse stata per la sua ostinazione quella sera non avrebbe avuto quel musicista eccellente con cui stupire i suoi ospiti,
“Perdonate monsieur, gli ospiti cominciano ad arrivare” intervenne Colette facendo capolino nella stanza,
il marchese si lisciò la giacca dell'abito e si concesse un'ultima occhiata allo specchio, poi porse il braccio a sua moglie e insieme raggiunsero il salone al pian terreno della villa.

Charles Ronzelli fu il primo ad arrivare in casa dei de Valois quella sera, avvolto nel suo completo di seta decorato da un paio di gemelli d'oro appuntati ai polsini della camicia di batista. Ronzelli, come il suo cognome faceva supporre, era di origine italiana, figlio di un banchiere romano fallito, suo padre venuto a cercare fortuna in Francia e l'aveva trovata nel matrimonio con una rampolla di una famiglia nobile. Era una delle tante prerogative dei nobili quella di ostentare ricchezza anche quando si annegava nelle cambiali dei creditori e Charles incarnava nella sua figura longilinea ed elegante tutte le caratteristiche, sia positive che negative, della vecchia nobiltà. Tuttavia l'uomo era dotato di un animo sensibile e gioviale che lo rendeva affabile e faceva di lui un personaggio molto amato nei salotti di Parigi.
“Marchese, marchesa, che piacere vedervi” disse l'uomo con fare cerimonioso consegnando il cappotto e il cilindro a un domestico, si lisciò il baffi sottili e si avviò verso i suoi ospiti con le sue movenze fluide ed effeminate, fece un galante e compito baciamano a Diane e rispose con una stretta di mano poco energica a quella vigorosa di Louis.
“Charles, grazie per aver accettato il nostro invito, siete sempre il benvenuto” disse la marchesa con un sorriso sincero: malgrado Ronzelli fosse un nobile con la puzza sotto il naso come molti suoi simili, era una persona molto più amabile di tanti altri signori di alto rango, ed era un ottimo conversatore, nonché un eccellente pianista.
“Mi sarebbe piaciuto, amico mio, che stasera foste voi ad allietarci con le vostre sonate- disse Louis- ma mia moglie ha insistito per proporci un misterioso violinista, a suo parere eccellente”
“Sono certo, monsieur, che la marchesa ha operato un'ottima scelta, conosco il buon gusto di vostra moglie” rispose Charles lanciando a Diane un sorriso complice.
Nella mezz'ora successiva all'arrivo di Charles Ronzelli la casa dei marchesi de Valois si riempì di invitati.

“Monsieur, è arrivato il visconte de Chagny” mormorò il maggiordomo avvicinandosi discretamente al marchese.
Raoul de Chagny fece il suo ingresso nel salone tenendo sottobraccio la sua fidanzata.
L'arrivo della coppia più chiacchierata di Parigi fu accolto da un vocio sommesso, quasi impercettibile, e Mademoiselle Daae attirò su di sé tutti gli sguardi dei presenti.
“E' adorabile la fidanzata del visconte- commentò un signore panciuto tra una boccata di pipa e l'altra- così graziosa che la si potrebbe quasi scambiare per una giovane ereditiera di qualche antica casata”
“Oh è una ragazza abbastanza piacente- disse una signora attempata sventolandosi con il suo ventaglio di merletto e perline- ma quei gioielli, e quell'abito... proprio non le si addicono, in quanto al visconte, lo vedrei meglio con accanto una fanciulla più degna di lui, mia figlia ad esempio...”.
I commenti dei presenti erano tutti rivolti alla ragazze e ciò non sfuggì a Diane, che affiancatasi a suo marito si diresse verso la coppia di fidanzati per salutarli e fare gli onori di casa.
“Visconte, sono lieto che abbiate accettato il mio invito, spero che questo incontro sia solo il primo di una lunga serie, compatibilmente con i nostri rispettivi impegni, si intende” disse Louis con un sorriso cordiale, poi si volse verso Christine e le depose un bacio sulla mano
“Mademoiselle Daae, benvenuta anche a voi” le disse
“Lieta di fare la vostra conoscenza, marchese” rispose la ragazza sforzandosi di tenere lo sguardo alto e di apparire sicura
“Spero che vi divertiate stasera” aggiunse Diane affabile, indugiando per un attimo con lo sguardo rivolto a Christine
“Spero che in questo trambusto io riesca a trovare il tempo di scambiare qualche parola con voi più tardi, madmoiselle” mormorò la giovane donna all'orecchio della ragazza, lanciandole un sorriso amichevole
“Si, madame, me lo auguro” rispose Christine ricambiando il sorriso e sentendosi per un attimo a proprio agio.

Il ricevimento proseguì come da copione, dopo la cena gli uomini si erano riuniti in un angolo della sala a bere cognac, fumare sigari e discutere di affari. Le donne invece, raccolte attorno al tavolo chiacchieravano di moda e degli ultimi scandali dell'alta società.
Christine aveva tentato, senza successo, di inserirsi in una conversazione che verteva sulle botteghe dei sarti migliori della città, e lei avrebbe avuto parecchio da raccontare visto che passava mattinate intere a girare nelle sartorie più prestigiose di Parigi per completare il suo corredo nuziale. All'ennesimo tentativo fallito di tentare di partecipare alla discussione, malgrado la interessasse poco, la ragazza desistette e si allontanò dalla sala, uscendo fuori al balcone desiderosa di una boccata di aria che non fosse viziata e pesante come quella che si respirava nel salone.
Con un gesto stizzito la ragazza tirò via il fermaglio lasciando la cascata di boccoli bruni cadere libera sulle spalle. Sbuffò e si godette per un attimo il silenzio e l'aria fresca.
“Non dovreste dargliela vinta- disse una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare- ah, scusate mademoiselle, non volevo spaventarvi”
“Marchesa, siete voi...- mormorò Christine- scusate, non sono un'ospite molto corretta, ma avevo bisogno di aria”
“Anche io” rispose la marchesa con aria complice
“Ma voi siete in casa vostra, dovreste sentirvi a vostro agio”
“Uhm, non sono mai a mio agio con certe persone, ancora non mi sono abituata”
Christine posò le mani sul parapetto del balcone e guardò il giardino, siepi regolari spuntavano dalla semioscurità della sera disegnando perfetti schemi geometrici, Parigi era un grappolo di luci in lontananza.
“Allora è vero quello che si dice di voi” disse la ragazza con aria un po' più allegra
Diane inarcò le sopracciglia fingendosi perplessa
“Perché? Cosa si dice di me?”
Christine si ritrovò ad arrossire
“No, scusate... io... non volevo offendervi”
la marchesa rise sommessamente e si avvicinò un po' di più alla ragazza poggiandosi di fianco contro la ringhiera
“No, scusate voi, non volevo mettervi in imbarazzo, so bene cosa si dice di me e personalmente ne sono fiera”
“Ma voi avete sposato il marchese”
la donna inclinò leggermente il capo da un lato, stupendosi per ingenuità dell'affermazione di mademoiselle Daae,
“Non tutte le donne hanno la vostra fortuna di sposarsi per amore, è un gran privilegio il vostro tenetevelo stretto e non date peso a tutte queste chiacchiere...- disse decisa, prendendo a giocare con una ciocca di capelli- sapete nemmeno io sono nobile di nascita, quindi visto che siamo tra pari, smettiamola di darci del voi e di usare questi stupidi formalismi, io sono solo Diane...”
“Ma voi... cioè, tu... vieni da una famiglia ricca, io sono un'orfana per di più una cantante, e per giunta coinvolta in una vicenda scabrosa... forse ricorderai... ne ha parlato tutta Parigi per settimane”
a quelle parole un alone di tristezza velò lo sguardo di Christine che si ritrovò a distogliere il viso per nascondere alla sua interlocutrice quel momento di debolezza
“Si, lo ricordo bene, ero presente anche io a teatro quella sera...” disse Diane
la giovane si voltò di scatto e tornò a fissarla con occhi sbarrati,
“Si, c'ero- continuò la marchesa- ma non preoccuparti, non mi metterò a fare domande, immagino sia stato già tutto fin troppo doloroso perché la mia curiosità o quella di qualcun altro ti costringa a rivivere quegli avvenimenti”
“Grazie, Diane” mormorò Christine
“Ora torna dentro, cara, come ti dicevo, non dovresti dargliela vinta a quelle oche- suggerì la donna raccogliendo il fermaglio di Christine e sistemandole nuovamente i capelli- ignora le loro linguacce avvelenate e le loro mentalità medioevali!”
la ragazza rise e fissò la marchesa con aria complice, stava per aggiungere qualcosa ma fu interrotta dalla comparsa di una cameriera che fissava con aria imbarazza Diane
“Ehm... madame?” mormorò la domestica
“Si, Colette cosa c'è? Cos'è quella faccia? Forse Vivianne sta male?...”
“No, madame, la bambina è a letto da un pezzo, ecco... io non vorrei disturbarvi ma...”
“Ma?”
“Ci sarebbe quella persona del circo”
“Mio Dio ti ringrazio!- esclamò Diane visibilmente sollevata- cominciavo a pensare che non venisse più”
“Si, ma vedete... il ragazzo non vuole entrare, è sulla porta e chiede di voi... e ad ogni modo non mi sembra proprio il caso che entri” spiegò la cameriera
“Il ragazzo? Colette capisco che dopo una certa età sembrino ti sembrino tutti dei ragazzi, ma...”
“Ma, madame, vi assicuro che è un giovane... quello che faceva il pagliaccio in piazza”
“Cosa?! Come sarebbe a dire il pagliaccio? Io non aspettavo il pagliaccio!”
Colette fece rapidamente il segno della croce,
“Signora marchesa, non urlate per favore” disse con voce quasi implorante
Christine assisteva alla scena con una punta di divertimento, malgrado non capisse cosa stesse accadendo, Diane si voltò verso di lei e cercò di fare appello a tutta la sua calma per sfoderare un sorriso
“Scusami cara, tu torna dentro, io devo sistemare una piccola bega” disse, ma la ragazza non poté fare a meno di notare una vena di nervosismo nella sua voce, tuttavia tornò nel salone senza domandare nulla, poco dopo anche Diane rientrò, ma invece di fermarsi nella sala e tornare dai suoi ospiti, attraversò l'ampia stanza e si diresse a rapidamente verso l'ingresso, seguita da Colette che faticava a tenere il passo.
All'ingresso del palazzo, con una mano poggiata allo stipite della porta c'era Alain con il viso arrossato e sudato e la bocca spalancata nel tentativo di riprendere fiato.
Sul volto di Diane si dipinse una smorfia crucciata... quale scusa le avrebbe raccontato ora quel benedetto ragazzo?! Perchè Erik non era lì?!

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NOTE :
(la seguente frase è da leggersi immaginando l'autrice sorridere sadicamente)- Non avrete davvero creduto che la cosa si sarebbe risolta con un incontro combinato dalla sfortuna e dalla "sagace marchesa" che non si fa mai gli affaracci suoi?! Insomma, non vi aspettavate certo che li avrei fatti incontrare così presto, vero?...
Ok, sono da linciare... anzi da impiccare... ma i colpi di scena hanno una loro funzione anche quando sono "finti", non trovate?
Va bene, dopo che avrò risposto alle recensioni il mio collo sarà a portata del vostro cappio (ma, permettete di rammentarvi che, se mi ucciderete, non saprete mai come andrà a finire XD).

Per Bloodred_rose: ebbene si, se si scongelano i ghiacciai della calotta polare a causa del buco dell'ozono non vedo perchè non debba scongelarsi anche il Maestro XD Comunque... sulla calma prima della tempesta ci hai preso in pieno, semplicemente l'uragano si scatenerà qualche capitolo più avanti... grazie a (tu guarda un pò) Christine e (piccolo spoiler) a Carlotta (ebbene si, nella mia storia delirevole c'è posto anche per la cantante isterica). Grazie per i complimenti e per il sostegno ^^

Per Amy: ci siamo dette tutto (e anche di più) per e-mail, comunque sia, se avrai voglia di un ritorno in anticipo dalla Cornovaglia i miei deliri li trovi sempre qui ^^. Per la Divina appuntamento al capitolo 18 e 19 prossimamente su questi schermi!

Per Moonipotty: invoco nuovamente pietà per Christine, è vero che ha il gusto per l'orrido (altrimenti come avrebbe potuto scegliere Raoul), è vero che è talmente indecisa e svampita che mette ansia... ma ha anche lei un suo perchè: se avesse scelto Erik e la faccenda del Fantasma si fosse conclusa con un "e vissero felici e contenti" a quest'ora non straremmo qui a leggere e scrivere storie XD. Scherzi a parte, grazie per il seguito ^^

I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 16
*** capitolo quindicesimo ***


CAPITOLO QUINDICESIMO

Diane aveva una gran voglia di mettersi a urlare, pestare i piedi come fanno i bambini e lanciare insulti a quell'odioso violinista burbero, scontroso e arrogante. Ma per una volta il buonsenso ebbe la meglio sul suo carattere impulsivo e avvicinandosi ad Alain si rese conto che il ragazzo aveva una faccia stravolta.
“Alain... ma cosa?...” domandò perplessa la marchesa
“Madame... vi prego di... di scusarmi...” disse il giovane continuando ad ansimare
“Ti senti bene?”
“Si, si madame... è solo che ho corso parecchio”
“Mio Dio, eri inseguito dal diavolo in persona? Entra, ragazzo, vuoi dell'acqua?”
Alain lanciò un'occhiata imbarazzata verso l'interno della casa, non gli sembrava decisamente un posto adatto a lui
“No, grazie madame... ma sono venuto da parte di Erik... lui...”
“Che scusa ha inventato per non venire, sentiamo?!” esclamò Diane interrompendo il ragazzo che solo in quel momento sembrò recuperare un respiro regolare
“No, signora marchesa, vi assicuro nessuna scusa, era davvero dispiaciuto, non l'ho mai visto tanto dispiaciuto, cioè non l'ho mai visto dispiaciuto in generale... comunque, vi giuro che era davvero mortificato, ma c'è stata un'emergenza”
“Ma, lui sta bene, vero?” chiese la donna con apprensione
“Lui si, cioè stanno bene tutti, più o meno... è che nel nostro circo, la sarta, Ester, aspettava un bambino, poco fa sono cominciate le doglie... non trovavamo un dottore a quest'ora e abbiamo chiesto a Erik di restare, lui, sapete, conosce tante cose, non credo sia un medico ma immagino abbia letto parecchi trattati di medicina, vi giuro che mi sembrava abbastanza capace, più di ogni altro di noi, almeno, insieme alle altre donne della compagnia, avreste dovuto vederlo... ma si è ricordato che doveva venire da voi e ci è rimasto male, ma capitelo, non se l'è sentita di lasciare la ragazza in quello stato, mi ha chiesto di venirvelo a dire immediatamente e di portarvi le sue scuse”
Diane era indecisa se ridere nell'immaginarsi il violinista alle prese con una donna partoriente o se piangere per aver perso l'occasione di divertirsi a impressionare i suoi ospiti, tuttavia non optò per nessuna delle due possibilità
“Va bene, va bene Alain, è tutto a posto, calmati- disse battendo la mano sulla spalla del ragazzo- spero solo che il parto sia andato bene e che la ragazza e il suo bambino stiano bene”
“Lo spero anche io... quando sono andato via quella piccola anima non era ancora venuta al mondo” rispose il ragazzo
“Bene, vieni con me!” esclamò all'improvviso la marchesa tirando Alain per un braccio
“No, no, no, no! Madame, dove mi state portando? Casa vostra non è il posto adatto a uno come me” protestò il ragazzo
“Piantala Alain! È un'emergenza mi pare, no?!” borbottò lei costringendo il giovane a seguirla
Colette si precipitò dietro di loro con aria contrariata
“Madame, cosa pensate di fare esattamente? Ci sono i vostri ospiti di là” domandò esasperata
“Si, certo i miei ospiti sopravviveranno per qualche altro minuto senza di me” disse la marchesa con noncuranza, condusse Alain nello studio di suo marito, accese la lampada a gas e si sedette alla scrivania, scrisse rapidamente qualche riga su un foglio e appuntò un indirizzo su un biglietto, poi porse entrambi i fogli ad Alain dopo aver sigillato la lettera con lo stemma dei de Valois impresso nella ceralacca.
“Vai a questo indirizzo, c'è un dottore molto bravo” disse Diane
“Ma, madame, se lo sveglio a quest'ora mi farà prendere a bastonate” protestò il ragazzo
“Digli che vai a mio nome, ti crederà, sulla lettera c'è il sigillo della mia famiglia, portalo al circo, lui aiuterà la vostra sarta, anche se sono certa che il vostro violinista se la stia cavando egregiamente, ci vuole pur sempre l'occhio di un medico”
Alain, imbarazzato, prese i fogli che la donna gli stava porgendo e se li mise in tasca
“Grazie madame, siete molto generosa” disse arrossendo prepotentemente
“No, sono solo una donna e una madre, e adesso mi sa che ti tocca un'altra corsa ragazzo, ti accompagnerei io in carrozza, credimi, ma mio marito ne avrebbe a male se non tornassi immediatamente alla sua festa”
“Certo madame, avete fatto fin troppo... grazie ancora”, ciò detto il ragazzo se ne andò scortato da Colette che continuava a fissarlo con aria burbera.
Diane uscì dallo studio e fece per tornare nel salone, ma si fermò in mezzo alle scale scossa da una forte risata, proprio non era riuscita a trattenersi dall'immaginare quel burbero violinista impegnato a gestire un parto. Tuttavia le risate si interruppero quando la donna prese atto del piccolo inconveniente che si era venuto a creare: era rimasta senza un musicista da far suonare al ricevimento!

Diane tornò nel salone con aria lievemente affranta. Louis le andò incontro e le posò una mano sulla spalla,
“Diane, volete dirmi cosa sta succedendo?- borbottò in tono brusco- siete sparita, non dovreste lasciarmi da solo ad intrattenere gli ospiti”
la donna sospirò
“Avete ragione, Louis, perdonatemi, ma ho avuto un piccolo inconveniente... avete presente il musicista che doveva rappresentare la mia sorpresa? Bhe si dia il caso che ha dato forfait” rispose la donna mortificata
“Ed è per questo che vi siete data tanta pena? Non preoccupatevi, siamo tutti impegnati in conversazioni interessanti a quanto vedo, nessuno noterà la mancanza della musica”
“Nessuno tranne me” concluse Diane con aria sconfortata
Louis le impresse un lieve bacio sulla guancia
“Suvvia, mia cara, la vita è già abbastanza difficile senza che voi vi angustiate per una faccenda così insignificante” commentò accennando un sorriso
“Avrei voluto sentirlo suonare ancora...” mormorò Diane come se stesse parlando a sé stessa, poi si scosse e tornò in mezzo a un crocchio di signore che discutevano della nuova bottega di profumi che si era aperta in rue St. Paul.
Dopo una decina di minuti la marchesa si scosse dal sonno in cui quelle chiacchiere la stavano facendo cadere e raggiunse Ronzelli che era poggiato al caminetto e sembrava mostrare un profondo interesse per il discorso di un duca che riteneva di essere stato truffato nell'acquisto di una pariglia di cavalli purosangue. La marchesa prese gentilmente Charles sottobraccio e lo allontanò dal gruppo di signori,
“Scusate, Charles, ma ho bisogno di voi” gli mormorò all'orecchio
“Oh cielo mia cara, sono lieto che mi abbiate salvato, il duca de Guavas sa essere incredibilmente noioso- commentò l'uomo con fare enfatico- e poi figuriamoci se a me interessa l'andare a cavallo, potrebbe venirmi una delle mie crisi respiratorie!”
“Si, Charles, ho memoria del fatto che abbiate una certa avversione per la respirazione... ehm, che soffriate d'asma volevo dire- rispose sbrigativa la marchesa- scusate ma ho bisogno di un favore, mi imbarazza chiedervelo proprio ora... ma...”
“Ah, Diane, non credevo che vi avrei mai vista imbarazzata, comunque sia, di che si tratta?”
“Ecco, vorrei chiedervi se siete ancora disposto a suonarci qualcosa al pianoforte, purtroppo il violinista che attendevo ha avuto un imprevisto”
Ronzelli spalancò la bocca in una smorfia teatrale di stupore
“Tutto qui?!- esclamò- ma, mia cara, ma certo che sono disposto a suonare se me lo chiedete voi!”
“Grazie, Charles, siete adorabile come sempre”
“Suvvia, suvvia, madame, per così poco” commentò l'uomo dirigendosi spedito verso il pianoforte
“Diane, tutto bene?” domandò Christine affiancandosi alla marchesa
“Oh, si ora si... era successo un piccolo disguido, il musicista a cui avevo chiesto di venire a suonare stasera non è potuto venire e monsieur Ronzelli sarà così gentile da sopperire a questa mancanza” rispose la marchesa
un lampo strano animò per un attimo lo sguardo della ragazza, avrebbe dovuto lottare con sé stessa ed evitare di pronunciare le parole che stava per dire ma non riuscì a trattenersi
“Posso cantare...” mormorò, e la sua sembrava più una richiesta accorata che una proposta
Diane la guardò con una punta di perplessità
“Si, ma certo, se vuoi” le disse sbattendo più volte le palpebre
un sorriso raggiante, quasi infantile, si dipinse sul volto di Christine, poi la ragazza raggiunse Ronzelli che stava prendendo posto sullo sgabello del pianoforte a coda posto su un lato della sala,
“Scusate monsieur, mi dicono che siete un eccellente pianista...” gli disse mademoiselle Daae posandogli una mano sulla spalla
“Eccellente? Troppo buona mademoiselle” rispose Ronzelli con finta modestia
“Mi chiedevo se poteste accompagnarmi mentre canto, solo una o due arie magari” domandò la ragazza
Charles allargò un sorriso disponibile
“Ma certamente, mademoiselle, cosa preferite che suoni per voi?”
Christine pensò per una manciata di secondi, e c'era una canzone che le riaffiorava prepotente nei pensieri, l'unica che era sicura di ricordare per intero, l'aveva cantata al suo debutto all'Opera, quasi un anno prima e non avrebbe mai potuto dimenticarla.
“Conoscete l'aria di Elissa dell'Annibale di Chalumeau?” domandò
“Se la conosco?! Naturalmente, mia cara- esclamò Ronzelli sistemandosi i lembi della giacca mentre si accomodava sullo sgabello rivestito di morbido velluto rosso, poi indicò a Christine lo spazio vuoto affianco al piano- prego, mademoiselle, sono pronto quando lo siete voi”.

Raoul aveva assistito alla scena da un angolo della sala, aveva intuito subito quello che la sua fidanzata stava per fare e non era del tutto convinto che fosse una buona idea, ma non ebbe il cuore di protestare. Sapeva quanto Christine soffrisse per non avere più la possibilità di cantare e si augurò che sentendo la sua splendida voce, i presenti si ricredessero sul suo conto e trovassero almeno qualcosa per cui ammirarla.
La ragazza si sentiva stranamente emozionata, avrebbe cantato in pubblico dopo tanto tempo. Era dalla sera dell'incendio che non cantava più, la sua voce sembrava essere volata via insieme al suo Angelo, ma la ragazza sapeva che era giunto il momento di guardare avanti. Non era sicura che la sua voce sarebbe uscita limpida e perfetta come lo era quando tutti i giorni cantava insieme al suo misterioso maestro chiusa in soffitta davanti alla foto sbiadita di suo padre, ma doveva provare, ricordarsi delle lezioni che l'Angelo della musica le aveva dato per impostare la voce...

... Contrai i muscoli della pancia... non troppo...
... Impara a inspirare rapidamente ogni volta che puoi, il canto per volare ha bisogno di aria...
... Devi lavorare sul respiro, non sulle corde vocali... le corde vocali devono solo assecondare il passaggio dell'aria...
... Riprova ancora, Christine...
... Brava... continueremo domani, non devi sforzare troppo la voce mio piccolo angelo...

Ronzelli posò le dita affusolate, curate quanto quelle di una donna, sulla tastiera, il pianoforte iniziò a vibrare con la stessa intensità con cui l'anima di Christine sembrava scossa da quella strana euforia. La ragazza tenne il ritmo della musica fino a quando non riconobbe il momento in cui doveva attaccare...

Think of me
think of me fondly
when we say goodbye
remember me
every so often
promise me you'll try

on that day
that not so distant day
when you are far away and free
if you ever find a moment
spare a thought for me

and while it's clear
oh it was always clear
that this was never meant to be
if you happen to remember
stop and think of me

think of august when the trees were green
don't think about the way things might have been
think of me
think of me waiting silent and resigned
imagine me trying too hard to ward you from my mind
think of me,
please say you'll think of me
what ever if you choose to do
there will never be a day when I won't think of you

flowers fade
the fruits of summer fade
they have their season
so do we but please promise me
that sometimes you will think of.... me.

Un applauso prima freddo e poi sempre più caloroso e intenso si alzò dalla sala, mentre Christine si appoggiava con il fiato corto al fianco del pianoforte, tenendo una mano sul petto come a cercare di fermare il respiro e il cuore che batteva come se avesse corso lungo tutta la Senna.
La sua voce si era alzata perfetta e cristallina nell'aria come una piccola magia che era poi scomparsa inghiottita dal silenzio che aveva seguito la fine della canzone.
Per quei brevi minuti era tornata sul palco dell'Opera Populaire, immersa nel suo sogno fatto di arte e innocenza, immersa nella sicurezza che in quel palazzo incantato dal sortilegio di uno strano Angelo lei sarebbe stata al sicuro da tutto. Era tornata la bambina che si lasciava guidare da una voce misteriosa quanto bellissima e che scopriva il mondo e la vita semplicemente assistendo a spettacoli teatrali. Era tornata per un attimo dal suo Angelo della Musica, al ricordo delle favole che raccontava suo padre. Era tornata in un luogo dove era stata felice davvero, anche se quella felicità si era rivelata presto un'illusione fragile e ingannevole.
Raoul era poggiato allo schienale di una poltrona, anche lui era ritornato con la mente agli spettacoli dell'Opera, dove aveva combattuto un Fantasma con le sue sole forze da uomo, dove era nato l'amore per Christine, dove quell'amore era stato difeso fino allo stremo, fino a rischiare di essere ucciso. Quei ricordi, la violenza con la quale si infransero in quel momento contro la sua mente, gli diedero la conferma che non c'era altra cosa al mondo che voleva se non l'amore di quel piccolo angelo che ora tremava contro la fiancata di un pianoforte.

Il ricevimento finì a notte tarda, gli invitati lasciarono la casa del marchese portandosi dietro il ricordo di alcuni minuti di stupore.
Louis e sua moglie salutarono a uno a uno i loro ospiti che si avviavano a tornare alle loro case, il giardino della grande villa si sgombrava a poco a poco dalle carrozze che vi si erano radunate.
“E' stata una bella serata” commentò Louis in tono piatto
Diane lo guardò senza rispondere
“Vado a vedere se Vivianne dorme” disse dirigendosi verso le scale, raggiunse la camera della bambina e aprì lentamente la porta, la piccola era addormentata e sembrava tranquilla, abbracciata alla sua vecchia bambola di pezza.
Quando Diane si voltò per uscire trovò Louis alle sue spalle, sobbalzò
“Mi avete spaventata” mormorò
“Scusate...- rispose lui- non mi avete detto cosa ne pensate del ricevimento”
la marchesa si strinse nelle spalle
“Cosa volete che vi dica? Mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato il musicista che avevo scelto- borbottò- in compenso Charles e mademoiselle Daae ci hanno fatto uno splendido regalo”
“Immagino che proviate simpatia per quella giovane”
“Esattamente, le ho detto di tornare a trovarmi nei prossimi giorni”
Louis si lisciò la barba e guardò sua moglie con aria pensierosa
“I genitori del visconte sono molto preoccupati per la scelta fatta dal loro figlio, pensano che quella ragazza non sia un buon partito per lui- disse- in effetti, ha buone maniere ed è una fanciulla graziosa, ma...”
“Ma cosa?- esclamò Diane piccata- non è nobile? Nemmeno io lo ero quando ci siamo sposati, Louis”
“Voi siete diversa”
“Diversa? E perché? Perché la mia famiglia era ricca? Già, certo, so bene perché mi avete scelta”
gli occhi della donna erano pieni di rabbia mentre sosteneva lo guardo perplesso di suo marito che mai si sarebbe aspettato una simile reazione,
“Vi ho scelta perché vi ritenevo una donna migliore di tante altre Diane- concluse Louis con durezza- e mi dispiace non essere un marito presente quanto voi meritereste”
la marchesa sospirò rassegnata, cercò di riacquistare la calma e dondolò il capo in un vago cenno di assenso,
“Buona notte Louis” concluse sbrigativa dirigendosi verso le sue stanze.
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Il Master si scusa per la sua assenza in questo capitolo XD... il COME e il PERCHE' si sia ritrovato a "fare da ostetrica" vi verrà svelato nella prossima puntata, ci tengo a dirlo perchè mi rendo conto che vista così la cosa può sembrare un pò implausibile.

Per Bloodred_rose: sono contenta che tu abbia apprezzato il "finto colpo di scena". Il marchese è vivo e in buona salute, e ti assicuro che lo sarà a lungo ^^. Per Carlotta, ricordo, capitolo 18 e 19 e penso che le tue speranze non saranno vane (io non ho detto niente eh...) ^^

Per Moonipotty: eccoti svelato l'arcano... il caro Erik in effetti non andrà al ricevimento... ma in futuro ci sarà occasione per fare danno, stai tranquilla ^^

Grazie a tutti quelli che seguono la mia storia, anche semplicemente leggiucchiando qua e là ;-)
I remain, gentleman, your obedient servant.

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Capitolo 17
*** Capitolo sedicesimo ***


CAPITOLO SEDICESIMO


Le voci cantavano all'unisono con una perfezione quasi divina, come se fossero voci di anime fuse l'una nell'altra. Il palco era illuminato grazie a un sapiente gioco di luci che riproduceva l'effetto di fiamme tremule... una sorta di inferno di candele e specchi pronto a diventare reale e devastante...
la voce della ragazza cristallina e soave, la voce dell'uomo mascherato magnetica e potente... la musica era una tentazione alla quale abbandonarsi...
E lei era l'unica spettatrice in piedi in mezzo al teatro deserto.
Quella voce... l'aveva già incontrata nei suoi sogni... e quegli occhi li conosceva, li aveva già visti... ma dove?
La passione si faceva melodia e prendeva corpo in quella canzone, scivolando fino alle sue orecchie per raccontarle un tipo amore che lei non conosceva, per raccontarle la passione che per lei era solo una parola.

“Past the point of no return
the final threshold...”

Poi il fuoco esplodeva, partiva dal palco e si spargeva nel teatro. I due cantanti continuavano la loro esibizione, salivano su un ponte costruito al centro della scena, si abbracciavano, si stringevano come se il destino li avesse riservati l'uno all'altra senza possibilità di errore...

“... the bridge is crossed, so stand and watch it burn:
We've passed the point of no return”

E il fuoco continuava a spandersi distruggendo tutto, lei era ancora lì, in piedi al centro dell'auditorium, incapace di muoversi, troppo concertata a cercare di ricordare di chi fosse quella voce, dove avesse già visto quegli occhi... ma il fuoco la stava raggiungendo e lei era ancora immobile.
La musica aveva taciuto di colpo, gli occhi dell'uomo si erano fatti imploranti, aveva preso le mani della fanciulla tra le sue,e aveva continuato a cantare:

“...save me from my solitude...”

Ma la ragazza era sparita, e l'uomo era rimasto senza maschera mostrando il profilo destro di un viso che celato sembrava perfetto ed attraente e invece scoperto mostrava una piaga che deformava i lineamenti del lato destro.
Il fuoco ora invadeva anche il palco, le fiamme si alzavano come muri che le impedivano la visuale, l'uomo era ancora sul ponte, osservava con sguardo vuoto l'incendio espandersi.
“Vai via da lì!” urlò lei, nel tentativo di smuoverlo, ma lo scoppiettio dell'incendio copriva la sua voce e il fumo le toglieva l'aria, mentre le fiamme raggiungevano inesorabilmente il ponte sul palco, consumando le travi che lo reggevano, con uno schianto il legno crollò verso il basso, facendo precipitare l'uomo verso quell'angolo di inferno che si era inspiegabilmente scatenato attorno a loro...

Diane si svegliò con un sussulto, la camicia da notte le era scivolata di lato scoprendole interamente la spalla sinistra, le lenzuola si erano appallottolate in fondo al materasso, la fronte era imperlata di sudore. Dentro di sé la donna sentiva ancora l'angoscia vissuta in sogno, si mise a sedere al centro del letto, prese la testa tra le mani tirando indietro i capelli liberando il viso dalle ciocche bionde che si erano attaccate contro la fronte sudata. Sospirò, aspettando che il ritmo dei suoi battiti tornasse regolare.
“Mio Dio...” mormorò inspirando profondamente, strizzò gli occhi con l'intento di recuperare dalla memoria le immagini dell'incubo che aveva fatto, cercando di concentrarsi sulla figura dell'uomo, c'era qualcosa che era sicura valesse la pena ricordare.
Aveva sognato la sera dell'incendio dell'Opera, del resto era un evento che le era rimasto ben impresso e non c'era da stupirsi se tornava a tormentarla nei suoi sogni, aveva rivisto anche Christine Daae, forse perché l'aveva incontrata la sera prima... ma come poteva quell'uomo mascherato, il Fantasma dell'Opera che aveva terrorizzato tutta Parigi, esserle così familiare? Forse semplicemente per quella frase pronunciata mentre cantava, come se fosse una preghiera:

“... save me from my solitude...”

Anche lei aveva bisogno di essere salvata dalla sua solitudine...
Cercò di riflettere, probabilmente stava impazzendo... ma il volto deformato sul lato destro le ricordava prepotentemente una maschera bianca delle stesse dimensioni di quella piaga sulla pelle.
“Non è possibile...” mormorò a se stessa la marchesa, eppure quegli occhi...

... quegli occhi...

*

Quella notte era stata tremendamente difficile!
Le palpebre gonfie e pesanti coprivano gli occhi arrossati e stanchi, il doloroso ronzio che gli tormentava la testa sembrava crescere minuto dopo minuto, i capelli erano in disordine, la camicia sudata gli si attaccava alla pelle, le maniche ancora sollevate sui gomiti. Erik si lasciò cadere su una sedia e si versò un bicchiere d'acqua dalla caraffa posata sul tavolino, chiuse gli occhi e sperò che il silenzio gli alleviasse il mal di testa.
Avvertì la sensazione di qualcosa di caldo e vischioso che scivolava lentamente lungo le sue braccia scoperte, aprì gli occhi e si guardò le mani, le vide sporche di sangue che colava copioso scorrendo sulla sua pelle, gocciolando sulla punta delle dita. Sbatté più volte le palpebre, scosse il capo, tornò a guardare, e le sue mani gli apparvero pulite com'erano in realtà. Era un assassino... no, quello non era lui, non più.
Era stato il Fantasma ad uccidere, non l'uomo. L'uomo aveva solo amato, amato quella fanciulla e la musica, nient'altro. L'uomo aveva sofferto, era stato il Fantasma a tramutare quella sofferenza in sete di sangue. Ma il Fantasma ora era morto. L'uomo era sopravvissuto, tanto da vivere quella notte appena trascorsa in cui aveva visto la vita scivolare nelle sue mani, una vita che nasceva sotto gli occhi di chi in passato si era sentito in diritto di dare la morte.

Il parto di Ester si era rivelato più difficile del previsto, lungo, doloroso, sfiancante, sia per la giovane donna sia per tutti quelli che cercavano di assisterla in mancanza di un medico. Le donne del circo erano tutte al capezzale della loro compagna: donne che aiutavano un'altra donna, niente di più naturale, gli uomini cercavano di alleviare la preoccupazione del marito della sarta che cresceva col passare del tempo,
“Quanto diamine ci vuole?- aveva domando l'uomo agitato misurando a grandi passi il terreno fuori dalla tenda- come è possibile che non si trovi un dottore e una levatrice?!”
in effetti l'ora era tarda, Parigi era già deserta e addormentata e loro in quella città non conoscevano nessuno,
“E tu?” aveva domandato all'improvviso Alain rivolto ad Erik
“Io cosa?”
“Tu, dico, una volta mi hai detto che sai tante cose perché hai letto un sacco di libri... in tutto quello che sai non c'è niente che serva ad aiutare Ester?”
“Alain... non sono un medico!” aveva protestato il musicista
“Però hai letto di medicina”
“Non è la stessa cosa”
il marito di Ester aveva udito quella breve conversazione e si era voltato verso Erik con aria quasi implorante
“Se ci fossi tu a dare una mano...” gli aveva mormorato
“Io? La nascita di un bambino è una cosa naturale, la natura non ha bisogno di aiuti” aveva protestato lui non riuscendo a mascherare il suo imbarazzo
“Non mi sembra una cosa tanto naturale il fatto che ci stia mettendo così tanto tempo” aveva commentato Alain
“Se ci fossi tu... tu che ne sai più di tutti noi messi insieme... mi sentirei più tranquillo” concluse il marito di Ester
Erik si era guardato intorno, aveva gli occhi di tutti gli uomini del circo puntati addosso, avevano una concezione di lui talmente alta e forse lo sopravvalutavano. Da come lo guardavano il musicista capì che era perfettamente inutile tentare di spiegare loro che non avrebbe potuto fare nulla e che era la persona meno indicata a gestire una situazione del genere, ed era perfettamente inutile cercare di far capire al marito di Ester che un suo intervento non sarebbe servito a niente, l'uomo, al momento, non era nelle condizioni di poter capire, era troppo preoccupato per la sorte di sua moglie e del bambino che stava per nascere e si sarebbe aggrappato a qualsiasi cosa gli avesse dato un minimo di conforto.
Dopo aver spedito Alain a casa della marchesa per avvisarla che non sarebbe venuto, Erik era entrato nella tenda di malavoglia e con la guancia scoperta velata di un rossore provocato da un imbarazzo che fino ad allora gli era sconosciuto, stava maledicendo in cuor suo Alain, il marito di Ester e tutti gli altri uomini che lo avevano costretto a intervenire in quella situazione. E ora che era lì cosa doveva fare?...
C'era stato un tempo e un luogo in cui la sua parola era legge, in cui tutto accadeva perché lui disponeva le cose alle sua maniera, muoveva i fili di ogni individuo che metteva piede nel teatro dell'Opera, come un burattinaio sapiente, era un tempo e un luogo in cui non gli importava nient'altro che soddisfare il suo bisogno di perfezione per creare l'arte più pura alla quale dedicava ogni secondo della sua esistenza. Nessuno poteva disobbedire o tradire le attese del Fantasma dell'Opera, nessuno aveva voce in capitolo tranne lui.
Entrando in quella tenda Erik si era reso conto che non c'era più nessun Fantasma. Era rimasto solo l'uomo, un uomo che, in quanto tale, doveva qualcosa ai suoi simili, che doveva obbedire a comandamenti più naturali e importanti di quelli che lui elargiva crogiolandosi nella sua genialità frustrata. Quella sera un altro uomo aveva bisogno che lui mettesse piede in quella tenda per trovare un minimo di pace ai suoi tormenti, e lui doveva accontentarlo, per il semplice fatto di essere una persona come lui, semplicemente perché gli uomini hanno bisogno di altri uomini e c'era bisogno di guardare oltre il muro che la sua solitudine aveva costruito intorno al suo cuore.
Tuttavia non era stato facile. Poi l'arrivo provvidenziale di Alain con un medico accompagnato da una levatrice aveva risolto la situazione. Il bambino si era spostato assumendo una posizione inadatta al parto, e solo una sapiente manovra della levatrice aveva risolto quel pericoloso intoppo.

Gli spettacoli del circo sarebbero iniziati con qualche giorno di ritardo rispetto alle previsioni iniziali. Dopo la notte che tutti avevano trascorso senza chiudere occhio, Maurice aveva pensato che fosse il caso che l'intera compagnia si prendesse un giorno di riposo, tutti avevano cercato di recuperare il sonno perduto durante la mattinata e nel pomeriggio e la sera era giunta con una rapidità impressionante.
“Dove vai?” chiese Alain notando Erik allontanarsi dall'accampamento proprio all'ora di cena
“Non sono affari tuoi” rispose lui brusco, erano diversi giorni che il ragazzo aveva notato un miglioramento nei modi e nell'umore del musicista, eppure da quando erano arrivati a Parigi le cose sembravano nuovamente peggiorate,
“Sai cosa penso?- domandò ancora il pagliaccio tentando di trattenere l'amico- dovresti mandare un biglietto alla marchesa, forse andarla a trovare... lei è stata tanto cara con noi”
“Forse lo farò, ma ora quella donna è l'ultimo dei miei problemi, ho da fare adesso”
“Ma... tra poco si cena” tentò di protestare Alain
“Non ho fame” disse l'uomo incenerendolo con lo sguardo e allontanandosi a rapidi passi.
Giacché il destino lo aveva riportato così vicino al suo passato, tanto valeva affrontare i ricordi: solo affrontandoli il Fantasma sarebbe morto davvero, per lasciare il posto all'uomo... ma Erik non aveva voglia di dare spiegazioni, quella sera aveva un appuntamento con una persona importante, e aveva fretta di riuscire a incontrarla.

*

La ragazza si chiuse la porta alle spalle con un sospiro di sollievo, sentendo nel silenzio il rumore delle ruote della carrozza che l'aveva accompagnata allontanarsi lungo la strada. Finalmente quella giornata assurda era finita.
Era caduta mentre eseguiva una piroetta, aveva rallentato le prove di tutto il corpo di ballo e per questo era tornata a casa così tardi. Quando le sue compagne le avevano chiesto se si era fatta male lei aveva mentito dicendo di no e aveva continuato faticosamente a ballare, ma ora la caviglia si era gonfiata e le doleva in maniera insopportabile.
La piccola casa che divideva con sua madre era immersa nel buio, sul tavolo in cucina c'era una candela quasi del tutto consumata e una cena ormai fredda in un piatto coperto da un tovagliolo.
Quell'abitazione era la casa in cui madame Giry era andata a vivere dopo essersi sposata, la casa in cui Meg era venuta al mondo. Quando entrambe lavoravano all'Opera Populaire alloggiavano nel collegio del teatro e la casa era rimasta disabitata, ma Eloise si era sempre rifiutata di venderla, sicura del fatto che le sarebbe tornata utile in vecchiaia, quando non avrebbe più potuto lavorare in teatro. Gli eventi l'avevano costretta ad abitare la casa molto prima del previsto, e comunque era un luogo accogliente e confortevole, per quanto semplice potesse essere.
Meg camminava lentamente, sostenendosi contro il muro per paura che la caviglia dolorante la tradisse e la facesse cadere, in ogni caso il dolore era troppo forte perché la ragazza potesse spostare normalmente il peso su quel piede senza appoggiarsi. Si affacciò alla camera di sua madre e la trovò addormentata, non ebbe cuore di svegliarla anche se avrebbe voluto chiederle se conosceva qualche rimedio per alleviare il fastidio alla caviglia, quindi si decise a tornare in cucina, mangiare un boccone e poi andare a letto, con la speranza che l'indomani il dolore sarebbe scemato da solo.
La ragazza fece per voltarsi, e non si accorse dell'ombra che si era mossa rapidamente dietro di lei per confondersi nuovamente con il buio, tornò in cucina e trovò la candela spenta. Procedendo a tastoni contro le ante dei mobili raggiunse la dispensa dove sua madre teneva candele e fiammiferi, sostituì la candela consumata con una nuova e sfregò il fiammifero contro il bordo del tavolo. Alla luce della piccola fiammella, Meg fece appena in tempo a scorgere il profilo di qualcuno che se ne stava immobile davanti a lei, dall'altro lato del tavolo, poi il fiammifero le cadde di mano per lo spavento, accompagnato da una flebile scia di luce che si spense prima di raggiungere il pavimento.
“Mam...” la giovane non fece in tempo ad urlare, una mano comparve all'improvviso dal buio e si premette con forza sulla sua bocca, la giovane sentì il suo corpo esile venire imprigionato in una salda stretta, contro il corpo del suo aggressore,
“Non urlare, Meg, non ti serve” disse una voce calda che le suonò vagamente familiare. Chi era quel delinquente che conosceva il suo nome?
La ragazza tentò di parlare per avvisare l'uomo che non riusciva più a respirare con la sua mano premuta in viso, ma produsse solo un mugugno confuso, evidentemente lui comprese la richiesta della sua vittima perché allontanò la mano lentamente, pronto a stringere di nuovo se Meg avesse tentato di urlare,
“Chi siete? Qui c'è ben poco da rubare...” disse la giovane con la voce ridotta a un soffio dallo spavento
“Non sono un ladro, ragazzina... forse, se non fossimo al buio mi riconosceresti”, con un braccio lo sconosciuto continuava a stringere la ragazza contro di sé mentre con la mano libera cercava nelle tasche un altro fiammifero da accendere, quando lo stoppino della candela prese fuoco la fiamma illuminò il buio pesto che regnava nella casa quel tanto che bastava a permettere a Meg di scorgere con la coda dell'occhio il profilo dell'uomo.
Erik non ebbe bisogno di zittirla con la forza, appena la ragazza lo ebbe riconosciuto il grido di terrore le morì in gola prima ancora che il suo cervello le suggerisse di gridare. L'uomo la sentì tremare contro di lui e provò una tale pena per sé stesso: la gente avrebbe avuto sempre paura di lui, anche ora che in lui era rimasto ben poco del Fantasma dell'Opera.
“Non voglio farti del male” sussurrò in tono piatto, senza trovare il modo di imprimere alla sua voce una nota tranquillizzante,
Meg non rispose, semplicemente tentò di dibattersi, urtando con il fianco contro una sedia che cadde rovinosamente sul pavimento,
“E adesso avrai svegliato tua madre...” commentò calmo Erik
“Mamma!” riuscì finalmente a urlare la giovane, l'uomo allentò la stretta permettendole di staccarsi da lui, ma al primo passo Meg perse l'equilibrio a causa della caviglia infortunata e cadde all'indietro finendo di nuovo contro il petto dell'intruso,
“Meg... cosa succede?” domandò una voce preoccupata proveniente dal corridoio, l'arrivo di madame Giry fu preceduto dalla luce della lampada ad olio che reggeva in mano, arrivata sull'uscio della cucina la donna si bloccò incredula.
“Buona sera, Eloise” disse Erik con un tono familiare e pacato che riportò la mente di entrambi a giorni passati e lontani
“Tu?...” mormorò madame Giry scoprendosi incapace di fare un solo passo,
Meg, ancora poggiata contro il torace dell'uomo, imprigionata in quella odiosa posizione dal dolore alla caviglia, spostava nervosamente lo sguardo tra sua madre e il Fantasma. La ragazza aveva sempre avuto il sospetto che sua madre sapesse molte cose su quell'assassino, e ne aveva avuto conferma la sera in cui Christine era stata rapita, quando la donna aveva mostrato al Visconte la via per raggiungere il nascondiglio del Fantasma, ma non aveva idea di quanto potesse essere profondo il legame tra la donna e quel criminale, e quella sera si stava rendendo conto che era persino peggio di quanto aveva sempre creduto: quell'uomo era lì, si era introdotto in casa loro, avrebbe potuto fare qualunque cosa, e sul volto della donna c'era solo stupore, nemmeno un'ombra di paura o di disprezzo.
“Come sei entrato?” domandò Eloise dopo qualche istante di silenzio in cui la sua mente aveva cercato di metabolizzare la sorpresa,
“Se non ricordo male, uno dei miei tanti nomi era il signore delle botole” rispose lui
la donna guardò sua figlia arrabbiata e preoccupata poggiata goffamente addosso ad Erik e le lanciò un'occhiata perplessa
“Tu... tu mamma... sapevi che era vivo!- esclamò Meg- Lo sapevi e non hai mai fatto niente! E ora che è qui... chiama la polizia”
“E' evidente che ci sono molte cose che tua figlia non sa, Eloise” disse Erik
“Tu... sei ancora in combutta con questo assassino, mamma!” gridò la giovane in tono accusatorio e deluso,
sentendosi apostrofare in quel modo l'uomo avvertì un dolore lacerante riaprire dentro sé ferite ancora non del tutto sanate, ma mantenne la calma, come madame Giry, che si mise a sedere con la sua solita aria compassata, spostò la lampada per vederci meglio e scrutò Erik come per constatare in che condizioni fosse, dentro di sé fu grata al Cielo quando si rese conto che il suo vecchio amico appariva in forma e in buona salute,
“Cosa ci fai qui? Non saresti dovuto tornare, ti ricordavo più scaltro” chiese, mentre sua figlia diventava più furiosa ad ogni secondo che passava, eppure non accennava a spostarsi da dosso al loro ospite
“Non è dipeso da me” rispose Erik, poi finalmente si decise ad avvicinare una sedia e vi fece sedere Meg allontanandola da lui con un gesto brusco
“Dopo l'incendio sono scappato a cavallo, nelle campagne- proseguì l'uomo- ho cavalcato per giorni, poi mi sono imbattuto in un circo, ora lavoro lì, non pensavo che mi sarei ritrovato a tornare a Parigi con loro”
madame Giry cercava di mettere ordine tra le sensazioni che le annebbiavano i pensieri, era incredula, ma anche commossa. Dunque quell'uomo era riuscito a trovare un suo posto nel mondo e ad avere una vita normale? Chissà se aveva incontrato anche una donna che lo aveva reso felice... no, forse era troppo presto, lei lo conosceva, una persona impetuosa come lui non poteva dimenticare tanto presto un sentimento così forte come il suo folle amore per Christine. Si chiese se Erik fosse felice ora che viveva in mezzo ad altra gente, ma il suo sguardo non era tanto diverso da quello che aveva quando viveva isolato e nascosto. Nonostante tutto era ancora solo, e la donna capiva il perché...
“Sono contenta di sapere che stai bene, ma cosa sei venuto a cercare in casa mia?” gli domandò
“Notizie...” fu la risposta secca dell'uomo
“Come osi!- strillò di nuovo Meg, se la caviglia non le avesse fatto così male si sarebbe scagliata con tutta la sua forza addosso a quel mostro- come osi venire qui?! Dopo quello che hai fatto, come osi stare al mondo, respirare, camminare in mezzo alla gente?”,
madame Giry avrebbe voluto rimproverare e zittire quella figlia che ora parlava come la peggiore delle serpi, ma comprendeva la sua rabbia, quell'uomo aveva ucciso davanti ai suoi occhi, distrutto il mondo in cui avevano sempre vissuto, messo in pericolo la sua migliore amica, minacciato di morte il Visconte de Chagny, Meg non aveva mai conosciuto l'uomo sotto la maschera, non aveva mai passato le notti a sperare che Dio donasse un po' di pace alla sua anima tormentata, non lo aveva accudito quando era un ragazzino spaventato, non lo aveva visto rinchiuso in una gabbia, deriso e picchiato a sangue per il divertimento di un pubblico sadico e insensibile. Meg non poteva comprendere.
A quelle parole della ragazza Erik si decise a prestarle attenzione, la guardò severo,
“E' grazie a gente come te che sono diventato il mostro che credi che io sia- le disse- ma non ti biasimo...”
“Biasimarmi? Non ne hai il diritto! Cosa avresti fatto a Christine e Raoul se non fossero riusciti a scappare?!”

Christine...

La tenerezza che esplose nel cuore di Erik a sentir pronunciare quel nome fu sostituita immediatamente da un'ondata di furia nel comprendere il senso della frase di Meg, guardò per un attimo Eloise per poi spostare lo sguardo sulla ragazza mentre nel cielo dei suoi occhi chiari saettava un lampo di collera e ferocia, ritrovò dentro di sé la sua antica rabbia, l'anima del Fantasma che credeva sopita.
“E' dunque questo quello che ti hanno raccontato?” domandò con la voce colma di collera
per quanto Meg si sentisse in dovere di contrastarlo, si rese conto di essere del tutto incapace di sostenere il suo sguardo
“Noi... non lo sappiamo...- fafugliò madame Giry spaventata, rendendosi conto di cosa stesse accadendo nell'animo di Erik in quel momento- non abbiamo mai chiesto cosa fosse successo in quei sotterranei, né loro ce l'hanno mai raccontato”

“ Sewear to me never to tell
the secrets you know of the Angel in Hell”

Già, glielo aveva chiesto lui stesso... ma ora scopriva con amarezza che Christine e il Visconte lo avevano preso decisamente alla lettera. Non aveva raccontato nemmeno che un Angelo all'Inferno può pentirsi e redimersi, anche se all'ultimo momento, nessuno aveva mai chiesto loro perché fossero tornati in superficie quando tutti li credevano spacciati tra le grinfie del mostro. Nessuno glielo aveva chiesto perché tutti pensavano che fossero miracolosamente riusciti a fuggire, grazie a un colpo di fortuna. Nessuno avrebbe mai creduto che il mostro li aveva lasciati andare. Un dolore nuovo e potente lo attanagliò di lui, insinuandosi fin dentro la sua anima, minacciando di trasformarsi in lacrime, rendendo di nuovo il suo sangue un amaro veleno.
Erik poggiò i palmi delle mani sul tavolo e abbassò la testa, quando chiuse gli occhi una lacrima, un'unica goccia salata e bruciante, spuntò oltre le ciglia, rigandogli la guancia scoperta,
“Io li ho lasciati andare- disse semplicemente, riuscendo a tenere la voce ferma- l'amavo troppo per tenerla prigioniera, solo avevo bisogno di capire, di essere certo che lei non mi amava”
“Se ti avesse amato non avresti avuto bisogno di rapirla per conoscere la sua risposta” commentò Meg con tono inespressivo, non avrebbe mai potuto abbandonare in un solo istante la rabbia e il profondo risentimento per quell'uomo, ma scorgere sul suo volto e nella sua voce una sofferenza così profonda, scoprirlo capace di piangere smorzò almeno per quel momento la sua rabbia.
La notte dell'incendio la ragazza aveva condotto la folla nei sotterranei, spinta dal furore e dal desiderio di salvare Christine, se fosse stato necessario. Ma quando aveva raggiunto la Dimora sul Lago non aveva potuto fare a meno di notare quanta umanità ci fosse in quell'abitazione così insolita, disegni e fogli scritti erano sparsi ovunque, a testimonianza dell'immenso e versatile talento artistico del Fantasma, e quando aveva raccolto la mezza maschera bianca gettata a terra, ai piedi del letto a forma di cigno, aveva provato una gran pena per quell'uomo perché le era parso di comprendere ciò che aveva dato origine alla sua pazzia e alla sua ferocia: un genio esiliato e costretto a nascondere il suo volto e la sua arte. Non può esserci niente di più frustrante, per questo era andata via quasi subito, mentre la folla rimaneva lì a distruggere e saccheggiare la casa. E quella sera, in quel momento, aveva ritrovato quel solidale spirito di comprensione, niente avrebbe assolto il Fantasma dell'Opera dai suoi crimini, ma Meg non si sentiva più in grado di condannare l'uomo dietro la maschera.
Madame Giry raggiunse Erik e gli posò le mani sulle spalle,
“Mi dispiace...” gli mormorò
“E Christine... come sta? Cosa mi dici di lei?” domandò lui sforzandosi di ritrovare il suo solito freddo contegno
“Perché vuoi tormentarti con il ricordo?...”
“Non è più tempo che tu mi protegga, te l'ho già detto Eloise. Ora dimmi, lei ha già sposato il Visconte? È felice?”
“Non si sono ancora sposati... ma sono certa che lei sta bene” concluse la donna
“Abita dai de Chagny immagino” disse Erik
Eloise lo guardò con apprensione
“Non vorrai andare da lei?!” chiese con aria allarmata
“Sono pazzo Eloise, non sono stolto... so che non posso permettermi di andarla a cercare finché è in quella casa- rispose l'uomo, facendo suonare le ultime parole con una nota quasi minacciosa- ad ogni modo, non mi tratterrò a Parigi che per poche settimane”.
Il silenzio pesante che era piombato nella piccola cucina fu interrotto da un energico bussare di porta che fece sobbalzare le due donne
“Madame Giry! Sono io, Christophe, il vostro vicino!- esclamò la voce roca e allarmata di un uomo fuori all'ingresso- ho sentito dei rumori provenire da casa vostra, state bene?!”
Erik e le due donne guardarono verso la porta,
“Pensandoci bene, potrei trattenermi a Parigi ancora a lungo, in una cella forse- mormorò l'uomo guardando Meg con un'espressione indecifrabile e con tono calmo- ora, se vuoi, puoi far entrare quell'uomo e chiamare i gendarmi, del resto non so che farmene della libertà e meno che mai della mia vita”
la giovane scosse il capo e sospirò, per poi costringersi a guardarlo negli occhi
“Sono certa che la gente del circo ha bisogno della tua musica- disse- mentirei se ti dicessi che mi è facile perdonarti, ma sembra che tu sia stato così fortunato da ricevere un'altra possibilità, e non sarò io quella che te ne priverà”
“Madame Giry!!!” urlò ancora Christophe battendo più forte il pugno sulla porta, la donna finalmente si scosse e raggiunse l'ingresso della casa, aprì uno dei battenti della porta, quel tanto che bastava per permettere al suo vicino di vederla in viso impedendogli di entrare,
“Monsieur Christophe, siete stato gentile a preoccuparvi- gli disse con un sorriso cordiale- mi dispiace di avervi svegliato, ma va tutto bene, i rumori che avete udito li ho provocati io, ho fatto cadere delle cose camminando al buio, vi prego di scusarmi per il fastidio e per lo spavento”
l'uomo, un tizio corpulento con una lunga barba scura si grattò una guancia e fissò la donna
“Uhmm, l'importante che voi e la piccola Meg stiate bene, madame” borbottò
“Si, benissimo, grazie ancora monsieur, e buonanotte” concluse sbrigativa Eloise, per poi richiudere la porta non appena Christophe si fu allontanato.
“Hai la caviglia slogata Meg, ti ho vista zoppicare mentre camminavi nel corridoio- disse Erik appena la situazione tornò calma- permettimi di dargli un'occhiata”
la ragazza non trovava particolarmente allettante l'idea di farsi toccare da quell'uomo ma sua madre le lanciò un'occhiata severa e lei non seppe rifiutarsi, si tolse la scarpa e sollevò l'orlo della gonna scoprendo la giuntura gonfia, Erik si chinò afferrando delicatamente il tallone per farle sollevare il piede, tastò piano la caviglia e la ragazza lanciò un lamento infastidito
“Mio Dio Meg, ma cosa è successo?!” domandò madame Giry preoccupata
“Sono caduta male dopo aver fatto una piroetta” spiegò la figlia
“E' lussata, c'è bisogno di rimettere a posto l'osso, ti avviso fin da ora che farà male, ma sarà solo un attimo e domani potrai già tornare a fare le tue piroette” spiegò Erik. Meg Giry non aveva abbandonato la danza malgrado il teatro in cui aveva sempre lavorato non esistesse più, pensò lui, doveva essere davvero una ragazza in gamba, e non poteva essere altrimenti se era figlia di una donna come Eloise.
La giovane strinse le mani attorno al piano della sedia e si morse le labbra
“Fai quello che devi fare, ma sbrigati...” disse chiudendo gli occhi,
Erik posò una mano sotto la pianta del piede e un'altra poco sopra la caviglia con una presa salda e sicura, se non fosse stato scosso da tutte quelle forti emozioni avrebbe pensato ironicamente al fatto che stava prendendo una certa familiarità con le faccende mediche, con un gesto deciso mosse le mani in modo che le ossa della ragazza riassumessero la loro naturale posizione, il movimento della caviglia fu seguito da uno schiocco e da un grido soffocato di Meg che sobbalzò sulla sedia, ritrovandosi con il fiato corto e gli occhi lucidi, era stato davvero un attimo, ma era stato il dolore più forte che lei potesse ricordare,
“Tra poco anche il gonfiore sparirà- le disse Erik- e non dirmi grazie, suonerebbe insincero”
“Allora ti ringrazio io” sussurrò madame Giry, si concesse di abbracciarlo, come avrebbe voluto fare la notte dell'incendio quando si erano detti addio, sicuri di non rincontrarsi mai più,
Erik rispose all'abbraccio con un certo imbarazzo, poi si allontanò dalla donna,
“Prego ancora per te...” disse madame Giry accompagnando Erik alla porta
“Grazie Eloise” concluse lui, e senza aggiungere altro uscì e si allontanò dalla casa, cominciando a camminare senza meta per la città addormentata.
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Questo capitolo mi ha lasciato poco convinta fino alla fine per diverse cose. La visita di Erik in casa Giry dovrebbe essere un momento forte e significativo e non so se sono riuscita a rendere bene ciò che questo passaggio dovrebbe rappresentare. E poi lo ammetto, l'espediente del sogno non è una gran trovata (non lo è quasi mai, non solo in questa occasione)... all'inizio, quando proggettai la storia, Diane doveva scoprire la vera identità del musicista molto più tardi e in tutt'altra maniera, ma mi è sembrato implausibile che una donna sveglia e intelligente, come ho cercato di rendere Diane, non riuscisse a "mettere insieme i pezzi" e a capire che il violinista del circo fosse in realtà il famigerato assassino conosciuto come il Fantasma dell'Opera. Inoltre spero che la parte in cui Erik riflette su se stesso, sul suo passato e sul suo presente non sia troppo contorta, e che sia comprensibile e verosimile il come sia finito a fara "da ostetrica".

Per Anto: Bhe, ti ho già annunciato che tra un pò ci sarà bisogno di preparare il valium... ma la maestra dei colpi di scena rimani tu XD Appena lo studio mi lascerà un pò di tregua non vedo l'ora di riprendere i nostri scleri. Besos

Per Monipotty: Spero che la tua curiosità sia stata soddisfatta ^^. Per quel che riguarda Christine, in effetti il problema è proprio il suo essere una ragazza di origini non nobili, per di più una ex cantante e ballerina di teatro (e all'epoca la gente che lavorava nel teatro, specie le donne, non erano viste tanto di buon occhio, il teatro era un ambiente considerato "immorale") per giunta coinvolta nella faccenda del Fantasma, quindi è ovvio che i nobili non la vedessero di buon occhio, a prescindere dal fatto che lei nella vicenda del Fantasma non aveva nessuna responsabilità. Spero di essermi fatta capire ^^

Per Bloodred_rose: Grazie ancora per i complimenti e il sostegno. Mi auguro che la tua pazienza sia stata ben ripagata, per questo capitolo ce l'ho messa davvero tutta, aspetto con ansia l'epilogo della tua storia ^^

I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 18
*** Capitolo diciassettesimo ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO

Il silenzio nella sala da pranzo era tale che il leggero tintinnio delle stoviglie sembrava quasi fare eco.
Diane fissava con sguardo assente la sua stessa ombra che si rifletteva sulla superficie lucida e scura del pesante tavolo attorno al quale sedeva con suo marito e sua figlia. Vivianne posò il croissant che stava mangiando e tolse con il tovagliolo l'alone di zucchero a velo che le era rimasto agli angoli della bocca,
“Sai cosa ho sognato stanotte, mamma?- disse la bambina strappando la marchesa alle sue riflessioni- ho sognato che Alain ci veniva a trovare qui a casa”
Loius guardò sua figlia lanciandole un'occhiata da dietro la pagine del giornale che stava leggendo,
“Chi è Alain?” domandò
Diane lanciò un rapido sguardo irritato verso sua figlia con l'intento di zittirla, lei abbassò gli occhi con aria mortificata,
“Era un signore che abbiamo conosciuto in Provenza mentre eravamo ospiti da Jeanne, Vivianne lo ha preso subito in simpatia” spiegò la donna buttando fuori la prima bugia che le venne in mente, confidando sul fatto che a suo marito non interessasse poi molto sapere davvero chi fosse la persona nomina da Vivianne,
“Ah, capisco” Louis si limitò ad annuire, per poi immergersi nuovamente nella lettura del suo giornale.
“Dopo colazione, Colette, di' alla governante di preparare Vivianne per uscire” disse Diane mentre l'anziana domestica si avvicinava al tavolo per sparecchiare, poi la marchesa si rivolse a suo marito,
“Volete venire con noi Louis? Ho intenzione di andare in città, con questa bella giornata è proprio un peccato rimanere in casa”
“Ho dei documenti da compilare- rispose il marchese con un sospiro- tra una settimana devo ripartire per la Spagna”
Diane seguì con lo sguardo sua figlia che si allontanava accompagnata da Colette, poi tornò a fissare suo marito cercando di mostrarsi quanto meno interessata a quella notizia che la lasciava, in realtà, del tutto indifferente, anche se le sembrava strano che lui l'avesse informata in maniera così superficiale, come se fosse una cosa qualsiasi che gli fosse venuta a mente solo in quel momento,
“Speravo che vi tratteneste più a lungo” mentì Diane allontanando il suo sguardo da quello di suo marito
“Lo speravo anche io” rispose il marchese dopo un leggero colpo di tosse,
Diane si alzò da tavola celando a stento un sorriso amaro: tra lei e suo marito avrebbero potuto fare a gara a chi fingeva peggio.
“Comunque sia- disse Diane prima di congedarsi- pensavo che Vivianne potrebbe prendere lezioni di musica, qualcuno dovrà pur imparatre a suonare quel pianoforte che abbiamo nel salone”
Louis arricciò le labbra
“Penso che la bambina sia troppo piccola per interessarsi a queste cose” disse
“Voi trovate? Io credo che se una passione, o magari un talento, si comincia a coltivare in tenera età può portare a grandi risultati”
“Forse avete ragione, non mi sembra un'idea poi tanto malvagia, basta trovarle un buon maestro” concluse il marchese
“Già fatto” sussurrò Diane come se stesse parlando a sé stessa.

Tornata nella sua camera da letto Diane aprì un'anta dell'armadio di legno smaltato, si chinò ed estrasse due grosse scatole rivestite di tela damascata e chiuse da spessi nastri di raso rosa, posò le scatole sul letto, sciolse i fiocchi e sollevò i coperchi, l'aroma dei rametti di lavanda ormai secchi era ancora forte e piacevole. La donna esaminò con cura la biancheria conservata in quei contenitori: il corredino di Vivianne, confezionato appositamente per lei dai migliori sarti e dalle migliori ricamatrici di Parigi, c'erano lenzuola per la culla con i bordi di merletto, calzini minuscoli di maglia fatti a mano, scialli, morbide e candide fasce di lino, e anche qualcuno dei suoi primi giocattoli, tutto conservato con cura e con la tenerezza che solo un genitore che prova l'inconscio desiderio di vedere suo figlio sempre bambino può avere.
Diane si accertò che la biancheria fosse in buono stato, provò un inspiegabile commozione nel tenere tra le mani quegli oggetti: le sembrava che Vivianne crescesse troppo in fretta, un giorno non avrebbe avuto più bisogno delle cure di sua madre, presto forse sarebbe diventata persino insofferente alle sue carezze e alle sue attenzioni, si sarebbe detta troppo grande per certe cose. La prospettiva di un futuro in cui sua figlia avrebbe potuto allontanarsi da lei fece sentire Diane incredibilmente sola, ma dopo qualche minuto la donna si decise ad allontanare quei pensieri tristi concentrandosi su ciò che aveva in mente di fare per quella mattina. Chiamò un domestico e chiese di farsi preparare una carrozza, infine ordinò di portare i due bauli di biancheria nella vettura e andò a chiamare sua figlia.
“Vivianne, quante volte ti ho detto che devi fare più attenzione quando parli davanti a tuo padre!” esclamò severa la marchesa appena lei e sua figlia furono salite sulla carrozza
“Si... scusa...” mormorò la piccola rannicchiandosi con aria triste contro il sedile
“E pensare che io avevo una sorpresa per te, ma non so se te la meriti” aggiunse Diane
“Una sorpresa?!- Vivianne spalancò gli occhi incuriosita e afferrò un lembo della gonna di sua madre- ti prego mamma, dimmi cos'è! Prometto che starò attentissimissima e buonissima”
la marchesa si scoprì ancora una volta incapace di rimanere arrabbiata con sua figlia, malgrado si sforzasse di mantenere un'espressione seria e dura non riuscì a trattenere un sorriso divertito all'idea dello stupore di Vivianne quando avrebbe scoperto cosa aveva in serbo per lei.
“Forse non è un caso che tu abbia sognato Alain- disse la donna- il circo è tornato a Parigi, è lì che stiamo andando”
Vivianne balzò in piedi, ciondolando in mezzo allo stretto spazio tra i due sedili della carrozza,
“Davvero?!” esclamò sgranando gli occhi, Diane annuì
“Però, sia chiaro, signorina, tuo padre non deve saperlo”
la piccola incrociò gli indici premendoli contro le labbra
“E ora rimettiti seduta- aggiunse sua madre- potresti cadere”.

*

Erik sfogliava distrattamente pagine del suo quaderno da musica, le righe dei pentagrammi delle prime pagine erano piene di note vergate a matita con una calligrafia frettolosa, le chiavi di violino erano ghirigori tracciati con tratti continui e nervosi. L'ultima pagina su cui aveva scritto era costellata in vari punti di piccole macchie circolari: aveva pianto su quei fogli.
L'aver rivisto Eloise, l'aver letto prima un disprezzo meritato e poi una compassione inattesa negli occhi della giovane Meg, l'essere tornato a vagare di notte nei bassifondi di Parigi protetto dal buio che in passato era stato il suo più fedele alleato, erano state cose che avevano risvegliato in lui ricordi più prepotenti e dolorosi di quanto potesse credere.
“Sono il Figlio del Diavolo, non avevo il diritto di desiderare un Angelo” si disse.
Eppure Christine non era ancora sposata e lui non voleva altro che rivederla. I pochi mesi lontani da Parigi non erano stati sufficienti a liberarsi da un'ossessione tanto forte. Il gelo dell'inverno appena trascorso non aveva spento il fuoco di quell'amore... ma era davvero quello l'amore? Era quella delirante e prepotente smania di possesso a cui i più grandi artisti della storia avevano dedicato la maggior parte delle loro opere? Erik era certo che fosse così, prima di trovare un nome a ciò che provava per Christine aveva conosciuto l'amore osservando da dietro le quinte le opere liriche in cui i protagonisti compivano i gesti più estremi e folli in nome di quel sentimento tanto celebrato, era quello il vero volto dell'amore, un volto paurosamente somigliante a quello della pazzia.
Ma se era vero che amare rendeva folli e provocava un così profondo e incurabile tormento, perché c'era anche tanta gente che grazie a quel sentimento trovava la pace e la felicità? La mente di Erik andò immediatamente ad Ester e a suo marito, al figlio che avevano messo al mondo, alla loro gioia, alla vita insieme che condividevano con tanto calore. L'uomo non aveva mai perso tempo indugiando in filosofiche riflessioni romantiche, e non vi si sarebbe soffermato nemmeno stavolta, ora doveva concentrarsi sul trovare un modo per rivedere Christine.

Alain osservava da lontano la tenda chiusa dove alloggiava Erik, era preoccupato per lui. Era certo di non aver mai compreso a fondo quell'uomo. Era sicuro che ci fossero un sacco di cose di lui che non conosceva, ma erano diversi giorni che il suo amico era più brusco e taciturno del solito, la notte prima non era nemmeno tornato a dormire negli alloggi del circo, in un primo momento Alain aveva pensato che Erik si fosse intrattenuto in dolce compagnia, ma visto lo sguardo triste e spento con cui si era ripresentato nel primo mattino i motivi di quell'assenza erano evidentemente meno piacevoli.
“Un pagliaccio non deve avere una faccia così triste” disse improvvisamente una vocina sottile che scosse il ragazzo dai suoi pensieri,
Alain non si stupì di ritrovarsi davanti la bambina che aveva conosciuto in Provenza, seguita da sua madre, tutte e due reggevano un pacco chiuso da un nastro rosa,
“Oh piccina, che piacere rivederti! Buon giorno anche a voi madame”
“Salve Alain- disse Diane- come sta la neomamma?”
“Bene, madame, è ancora molto stanca... ma se non fosse stato per il medico che ci avete mandato chissà cosa sarebbe potuto succedere, vi siamo tutti molto grati”
“Smettila di ringraziarmi Alain, piuttosto dacci una mano con questi pacchi”
“Sono le cose mie di quando ero piccola- spiegò Vivianne- può usarle il bimbo che è nato... anche se è un maschietto possono andare bene lo stesso”
Alain sorrise contento e tolse i pacchi da mano alle sue ospiti
“Si, in effetti è un maschietto, lo hanno chiamato Robert, e voi madame siete sempre troppo buona. Vado a portare i vostri regali ad Ester, se volete salutare Erik è laggiù, nella sua tenda, spero gli farà bene un po' della vostra allegria, tornare a Parigi lo ha reso triste”
“Ma lui c'è già stato qui a Parigi, anche a teatro, l'ho incontrato nell'incendio del teatro” disse Vivianne
“L'incendio del teatro?” domandò Alain incuriosito, posando i pacchi a terra,
“Esattamente, Vivianne ha incontrato Erik durante l'incendio che ha distrutto il teatro dell'Opera di Parigi qualche mese fa- spiegò la marchesa- lei si era persa e lui ci ha aiutato a ritrovarla, non te lo ha mai raccontato?”
il ragazzo scosse il capo
“No, è strano, ha fatto un bel gesto, è strano che non lo abbia mai detto... chissà perché”
Diane abbassò lo sguardo pensierosa...

...chissà perché...
... il sogno... l'incendio... quell'uomo...
... i suoi occhi... la maschera...
... la musica... la sua voce...
... Erik... il Fantasma dell'Opera...

“Non può essere...” mormorò la marchesa
“Come dite, madame?” chiese Alain
la donna fece un gesto vago con la mano
“Niente, niente... pensieri sciocchi di una donna annoiata”
“Andiamo da Erik mamma!” esclamò Vivianne, prese per mano sua madre e la trascinò verso la tenda indicata loro da Alain, raggiunta l'entrata la marchesa trattenne sua figlia per la manica del vestito
“Meglio chiedere il permesso prima di entrare” disse sorridendo al ricordo del suo primo incontro con quel bizzarro musicista, quando lei era entrata come una furia nella sua tenda ritrovandoselo davanti mezzo svestito.
“Erik!!! ci sei?!” strillò Vivianne portando le mani a coppa vicino alla bocca
“Un po' più di garbo la prossima volta, magari...” commentò Diane con una smorfia.
Per un attimo Erik fu tentato di non rispondere, di non uscire, aveva riconosciuto la voce della bambina, l'avrebbe riconosciuta ovunque, lei era stata il primo frammento di mondo con cui si era scontrato la notte in cui quello stesso mondo gli era parso più che mai lontano e irraggiungibile. E poi c'era sua madre, Diane: a quanto pareva, la sfida con quella donna insistente e sagace era ancora aperta...
“Se la bambina non avesse gridato non l'avrei sentita, madame” disse l'uomo uscendo
“Almeno spero che il contraddirmi vi renda più allegro monsieur, non avete certo l'aria dell'uomo più felice del mondo” rispose prontamente la marchesa
Erik sembrò non farci caso,
“Buon giorno Vivianne, bentrovata madame”
“Che bello che sei a Parigi, così possiamo tornare a vedere lo spettacolo del tuo circo!” esclamò la bambina
L'uomo quel giorno aveva ancora meno voglia del solito di parlare e lo sguardo tenero e ammirato di Vivianne lo metteva più che mai a disagio, inoltre aveva notato che la marchesa lo osservava in modo strano, diverso dal solito, sembrava lo volesse analizzare. Si chiese cosa accidenti volevano ancora quelle due da lui, eppure due sere prima avrebbe dovuto andare in casa loro e stranamente l'idea gli era dispiaciuta assai meno di quanto aveva dato a vedere.
“Avrei dovuto mandarvi un biglietto, madame, per l'altra sera- disse Erik- comunque immagino che Alain vi abbia spiegato la situazione”
“Non che me lo aspettassi un vostro biglietto, so che non siete particolarmente versato nella comunicazione” rispose Diane
“Avrei dovuto mandarvi un biglietto” ripeté l'uomo col fare prepotente di chi non è abituato ad essere contraddetto,
“Devo ammettere che provo un certo gusto sadico a ricevere le vostre scuse, comunque, non dateci più peso”
“Non vi sto chiedendo scusa”
“Perché dovevi mandare un biglietto alla mia mamma?” domandò Vivianne
“Avevo invitato Erik a suonare da noi, tesoro, ma stai tranquilla, non ti sei persa niente, non è potuto venire” le spiegò sua madre
“Ma dovevi dirmelo! Il mio Angelo veniva a suonare a casa nostra e io non lo sapevo!”

... il suo Angelo

Erik sospirò, non era la prima volta che quella bambina lo chiamava così. Non era la prima volta che qualcuno lo chiamava così.
“Non sono un angelo, Vivianne” protestò serio, ma come sempre gli capitava davanti a quella piccina, non riusciva a infondere alla sua voce la giusta dose di freddezza,
“Per me lo sei!” ribatté prontamente la bimba
“Un giorno mi spiegherete perché gradite così poco i complimenti” sbuffò Diane
“Un giorno, madame? Quando questo circo lascerà Parigi non credo che ci rivedremo, a meno che non vogliate continuare a perseguitarmi”
“La cosa vi dispiace, monsieur?”
“Non quanto piace a voi” concluse Erik ritrovando la solita malizia con cui usava scontrarsi verbalmente con Diane, nel tentativo di imbarazzarla
“E' vero che qui nel circo è nato un bimbo piccolo?” chiese Vivianne cercando di inserirsi nella discussione
“Si, lo hanno chiamato Robert, è un bambino molto bello”
“Mi hanno detto che avete dato una mano a farlo venire al mondo” disse Diane
“Non esattamente” rispose Erik vago sentendosi stranamente prossimo ad arrossire
“Posso vederlo?” domandò ancora Vivianne, guardando il musicista nella speranza di una risposta affermativa, lui annuì, la bambina si staccò da sua madre e lo prese per mano
“Mi ci accompagni?”
Erik strinse appena le dita intorno alla manina della piccola e si soffermò a guardarla. Diane sorrise impercettibilmente, ridendo tra sé e sé delle sue strane congetture: se quell'uomo fosse stato davvero il Fantasma dell'Opera, l'assassino, il mostro, il demone, non avrebbe potuto guardare sua figlia con tanta malinconica tenerezza, non l'avrebbe aiutata in quella terribile notte... eppure troppe cose strane, coincidenze, e quel sogno, e quegli occhi!
“Venite anche voi, madame?” domandò Erik facendo segno alla donna di seguirlo, la marchesa si avviò silenziosamente dietro di loro guardando con una strana contentezza le figure di sua figlia e dell'uomo mano nella mano. Nemmeno a suo padre Vivianne aveva mai concesso un gesto del genere.
Ester e suo marito alloggiavano in una tenda poco più grande di quella di Erik, Alain era davanti all'entrata e giocherellava con dei fili di erba.
“Madame, Ester vi ringrazia di vero cuore per i vostri regali” disse il ragazzo con un sorriso
“Regali?” chiese Erik
“Si, abbiamo portato al bambino le mie cose di quando ero piccola” spiegò Vivianne
il musicista lanciò una rapida occhiata a Diane, poi indicò la bambina
“Alain, porta dentro la nostra piccola ospite, desidera vedere il bimbo” disse, Alain fece un cenno affermativo e indicò l'entrata della tenda
“Per di qua mademoiselle, seguitemi” disse il pagliaccio facendo un goffo inchino alla bambina.
Quando sua figlia sparì all'interno della tenda Diane si voltò a guardare il musicista con aria divertita,
“Non credevo vi allettasse così tanto l'idea di rimanere solo con me” disse, usando lo stesso tono malizioso e canzonatorio che solitamente le riservava lui
“Continuate a usare parole troppo sfacciate, Diane- rispose Erik, sillabando lentamente ogni singola lettera di quel nome- devo ricordarvi che siete una marchesa e per di più sposata?”
lei si concesse una leggera risata
“Siete un testardo”
“Mai quanto voi...”
“Comunque, visto che volete farvi perdonare dell'assenza della sera scorsa...” esordì Diane
“Non ho mai detto che voglio farmi perdonare!” la interruppe Erik brusco
“Avete dei modi e un linguaggio così fine che non posso pensare che sareste così sgarbato da non accordarmi un favore per rimediare al fatto di avermi lasciato senza un musicista per la mia festa. A dir la verità, monsieur, siete dotato di così tanta eleganza che non posso pensare che siate nato e cresciuto in un circo” commentò la marchesa
“Avete forse deciso di condurre un esperimento su di me, madame? È per questo che avete preso ad analizzarmi in ogni dettaglio?”
“Può darsi”
“E da dove nasce tutto questo interesse nei miei riguardi?”
“Mi ricordate insistentemente qualcuno che ho già visto, forse quella sera a teatro, forse ci siamo incrociati di sfuggita”
“Non mi sembra di ricordarlo- disse l'uomo- forse mi confondete con qualcun'altro”
“Dite? Andate in giro con una maschera, è bizzarro, non credo ci sia molta gente che abbia questa abitudine” rispose Diane
“E' per un voto che ho fatto” mentì Erik con la solita scusa che si era abituato a usare ogni volta che qualcuno faceva qualche riferimento alla sua maschera,
“E cioè?”
“Non sono cose che vi riguardano- borbottò l'uomo, poi cercò qualcosa per cambiare argomento- cosa volevate dirmi, a proposito?”
“Vorrei che Vivianne studiasse musica” rispose semplicemente la marchesa
“Ah, e perché lo state dicendo a me?”
“Perché credo che sarebbe contenta di avere voi come maestro”
Erik inarcò leggermente le sopracciglia in un'espressione indefinibile. Non era capace di trovare le parole più adatte a pregare quella donna di lasciarlo stare, se la marchesa avesse saputo non sarebbe stata così tranquilla ad affidargli sua figlia come allieva. Quella donna lo sopravvalutava, come tutti gli altri con cui aveva avuto a che fare da quando era scappato dal teatro: il mondo che lo aveva sempre rifiutato ora gli concedeva molto di più di quanto meritava, e comunque, molto meno di quanto desiderava.
“Cosa vi fa credere che abbia le competenze adatte? E ad ogni modo non sono capace di insegnare, meno che mai a un bambino” disse, quante menzogne avrebbe ancora dovuto inventare per allontanare quella donna? Lui aveva insegnato canto a Christine quando non era tanto più grande di Vivianne, ed era stato un grande maestro visti i risultati. E se si fosse rivelato anche una gran persona sotto quella maschera, dietro alla leggenda del Fantasma, probabilmente molte cose sarebbero andate in tutt'altra maniera...
“Cos'è quell'aria assorta? Si può sapere a cosa state pensando?!” esclamò all'improvviso Diane, Erik si scosse, evidentemente erano diversi secondi che era rimasto lì, imbambolato a pensare
“Scusate... stavate dicendo?” disse lui, come se nulla fosse
“Non vi capirò mai! Possibile che non abbiate una sola ragione al mondo per non essere così cupo?”
“In effetti no, madame, ed è meglio per voi che continuate a non capire”
“Sapete cantare?” chiese la marchesa a bruciapelo,
“Vi interessa saperlo?” domandò l'uomo di rimando
lei fece un cenno affermativo e lo fissò in attesa di una risposta,
“Cantavo...”
“Dove? In un teatro?”
Erik corrugò la fronte guardando Diane senza capire perché gli avesse fatto quelle domande, forse la marchesa sospettava qualcosa? No, ovvio che no, se qualcuno sospettasse che l'uomo che ha davanti fosse il Fantasma dell'Opera non gli chiederebbe di fare da maestro di musica a sua figlia, non lo inviterebbe nella propria casa! E poi, ormai a Parigi tutti dovevano crederlo morto.
Il musicista scosse il capo e non rispose, Diane si ritrovò a posare la mano su quella del suo interlocutore, in un gesto quasi involontario, come se le fosse impossibile restare inerme davanti a tanta malcelata malinconia,
“Forse è tempo che cerchiate un motivo per guardare al futuro, qualunque siano le ombre del vostro passato” mormorò
Erik abbassò lo sguardo a fissare per un secondo la mano della donna posata sulla sua, poi si ritrasse con un gesto lento, cercando di non mostrarsi brusco, riuscendo involontariamente a far arrossire Diane che si ritrovò a distogliere lo sguardo imbarazzata.
“Potete provare” suggerì prontamente la marchesa cercando di stemperare il disagio
“A fare cosa?” chiese Erik, imponendo ai suoi pensieri di sorvolare su quel piccolo incidente appena avvenuto
“A fare da maestro a mia figlia”
“Perché io?” chiese l'uomo, tornando a chiedersi per quale dannato motivo il destino tornava in qualche modo a tormentarlo costringendolo a rivivere il suo passato... anni prima Chrisitine, adesso Vivianne... entrambe gli avevano toccato il cuore seppure in modi diversi,
“Perché Vivianne vi adora, che ci crediate o no, e sono certa che questo riuscirà a motivarla. Voglio che mia figlia abbia un'occupazione costruttiva, fa parte delle preoccupazioni di un genitore”
Vivianne non era Christine... nessun'altra avrebbe potuto essere Christine...
Erik restò pensieroso per qualche secondo, nessun'altra... nel bene e nel male... e lei era solo una bambina...
“Non sono adatto- ripeté scuotendo la testa- e ad ogni modo tra qualche settimana immagino che il circo ripartirà per qualche altro luogo”
“Lo so, pensavo che Vivianne potrebbe cominciare con voi giusto il tempo di appassionarsi alla musica, poi quando partirete continuerà con qualcun altro”
Erik scrollò le spalle
“E vostro marito?”
“Mio marito riparte tra una settimana, potreste cominciare appena lui sarà andato via. Pensateci” concluse la marchesa guardando l'uomo negli occhi
“Non è così facile come credete che sia, Diane”
“Ribadisco: non vi capirò mai”

meglio così, Diane, meglio così!

“Mamma! Che bello!- esclamò Vivianne uscendo dalla tenda, mettendosi tra sua madre ed Erik- è così piccolo! Anche io ero così?... poi la mamma Ester ha detto che ci ringrazia tanto, poverina è tanto stanca, però ha detto che tanto tanto felice”
la bambina parlava a raffica, pronunciando le parole velocemente, spinta dalla contentezza e da quell'entusiasmo per le cose più semplici e belle che solo un bambino riesce a provare,
“Ho capito, ho capito, Vivianne, tranquilla...” Diane la guardò divertita e cercò di farla calmare
“Mamma, mamma... voglio anche io un fratellino piccolo” aggiunse la bimba strattonando il vestito di sua madre,
la marchesa restò perplessa, una strana smorfia le si dipinse in viso
“Ma... ma Vivianne...” farfugliò senza sapere cosa rispondere,
Erik spostò lo sguardo dalla donna alla bambina per poi concedersi una leggera risata, forse la prima dopo tanto tempo, probabilmente dopo anni. Diane sbatté le palpebre imbarazzata,
“Bhe, se non altro io e mia figlia possiamo vantarci dell'essere riuscite a farvi ridere” concluse, cercando di mostrarsi sicura
Erik la fissò con uno sguardo un po' meno freddo del solito
“Si, di questo devo darvene atto, madame” rispose,
“Tornerai a casa nostra qualche altra volta, in queste sere?” chiese Vivianne voltandosi verso il musicista
“Non credo ci sarà occasione, piccola, domani cominciano gli spettacoli”
“Allora saremo noi a venire da te!”
“Ora dobbiamo andare Vivianne, tuo padre si starà chiedendo dove siamo finite- concluse Diane prendendo per mano sua figlia, poi si rivolse al musicista- avete una settimana di tempo per pensare a quello che vi ho detto monsieur”
lui la guardò senza rispondere e dondolò il capo
“Arrivederci madame” disse sbrigativo
“Spero che ci rivediamo presto” aggiunse Vivianne, baciando Erik sulla guancia per poi allontanarsi insieme a sua madre.

*

“Ditemi che non lo avete fatto, in nome di Dio!” esclamò Colette non appena vide la marchesa comparire sull'uscio di casa,
“Fatto cosa?” chiese Diane liberandosi del cappotto mentre Vivianne sgusciava via per correre in camera sua, ancora visibilmente eccitata dal incontro appena concluso
“Non sarete tornata in quel circo” mormorò la domestica, guardandosi intorno con aria prudente per assicurarsi che il padrone non fosse nei paraggi,
la marchesa scosse la testa e ridacchiò
“Dici la stessa cosa ogni volta, non rischierai di diventare ripetitiva” disse in tono canzonatorio
“Madame, lo dicevo per voi... e per la vostra reputazione, se qualcuno sapesse penserebbe...”
“Penserebbe che sono l'amante di un saltimbanco, allora si che ci sarebbe da ridere!”
“Madame! Non urlate, vi prego, se vi sentisse vostro marito, morirebbe dal dispiacere...” concluse Colette con la solita aria esasperata
“Va bene. C'è altro che devi dirmi, a parte i richiami sulle visite che scelgo di fare durante il mio tempo libero?” chiese Diane assumendo l'aria di una bambina impertinente
“Ah si, è arrivato un biglietto per voi, l'ho lasciato sul comodino nella vostra camera”
“Molto bene”.
Diane si diresse spedita in camera sua, passando davanti allo studio di suo marito trovò la porta chiusa e si decise a non disturbarlo.
Sul comodino accanto al letto la marchesa trovò una busta senza sigillo e all'interno un foglio ripiegato con un lungo messaggio:

Cara Diane,
spero tu mi voglia concedere la confidenza di chiamarti così.
Perdonami se non ti ho scritto il giorno dopo il ricevimento, ma la preparazione del mio matrimonio mi sottrae più tempo di quanto potessi mai immaginare, non credevo che sposarsi fosse tanto complicato.
Domani avrò finalmente un giorno di respiro, Raoul sarà fuori città un paio di giorni a sbrigare delle commissioni. Ad essere sincera, sta cercando una casa per noi due, non ha intenzione di rimanere con i suoi genitori dopo il nostro matrimonio. Siccome non amo rimanere sola in casa vorrei chiederti se avresti piacere di venirmi a fare visita dopo cena, quando ti sarai liberata degli impegni con la tua famiglia. Ho apprezzato molto la tua ospitalità e la nostra breve chiacchierata, e sarei davvero lieta di rivederti.
In attesa della tua risposta ti auguro un buon pomeriggio.
Christine Daae

Diane sorrise rileggendo quel biglietto scritto in toni tanto amichevoli e schietti,
“I preparativi delle nozze sono la parte meno complicata di un matrimonio!” pensò tra sé e sé, poi prese carta e penna e rispose alla lettera di Christine, dicendole che sarebbe stata ben felice di farle compagnia l'indomani.
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Note:
La sottoscritta ammette con candore che sta ancora gongolando, peggio del Maestro prima del Don Juan, lusingatissima da quanto le avete scritto.*_*
Sono contenta che lo scorso capitolo vi sia piaciuto, ringrazio Anto e Bloodred_rose per le recensioni e tutti quelli che hanno letto.
Ora che ho davanti a me dieci lunghi giorni di nulla prima dell'inizio dell'università sono riuscita persino a scrivere due righe nella pagina del profilo e a mettere mano a un altro delirio... ma soprattutto mi sono concessa il lusso di sperare che entro l'inizio dei corsi in facoltà riuscirò a completare la QUESTA fanfiction.

I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 19
*** Capitolo diciottesimo ***


Scusate il ritardo...
grazie per le letture e le recensioni.
Monipotty: Vedrai che il nostro Erik ce la farà... come faccio a saperlo? bhe la storia è mia XD
Bloodred-rose: Sono contenta che ti piacciano le mie descrizioni astratte... in effetti è con la "roba concreta" che ho grossi problemi... specie quelle faccende tipo i baci e tutto il circondiario... infatti tremo alla sola idea di doverne descrivere uno prima o poi. La marchesa non è così stupida in effetti, non a caso il Master la definisce "sagace"... ma per non far fallire il 2+2 avrà bisogno di un piccolo aiuto... come vedrete nel capitolo che state per leggere.
Facy: grazie per i complimenti e benvenuta nel club dei candidati alla canonizzazione per il "sopportamento" dei miei deliri. Spero che andando avanti la storia non ti deluda.

Buona lettura...
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CAPITOLO DICIOTTESIMO

La residenza dei conti de Chagny era una elegante villa nel cuore della città, il palazzo in stile neoclassico era di recente costruzione.
Diane scese dalla carrozza e si diresse verso l'entrata, accompagnata da un valletto in livrea scura, guardò il giardino e poi la facciata del palazzo e si ricordò che la famiglia de Chagny non doveva essere diversa dalle altre famiglie nobili della Francia e pensò a quanto dovesse essere difficile per la giovane Christine Daae vivere in quel mondo senza avere una sola goccia di sangue blu nelle vene e meno che mai una dote nuziale con cui pagare l'ammissione in una delle più vecchie e rinomate famiglie dell'aristocrazia parigina. La marchesa sospirò e si disse che l'amore doveva essere una ragione sufficiente per sopportare tutto quello che Christine stava certamente subendo.
Aveva detto a suo marito che sarebbe uscita dopo cena per andare a far visita a un'amica, senza nemmeno darsi la pena di dirgli chi fosse l'amica in questione. Louis non aveva fatto domande e lei non sapeva se interpretare questa cosa come una totale concessione di fiducia o come la più profonda dimostrazione di disinteresse.
Una giovane domestica dall'aria arcigna quanto quella di una vecchia zitella fece accomodare Diane in un salottino,
“Vado a informare mademoiselle Daae del vostro arrivo, madame” disse la cameriera con un compito inchino, sparendo dietro a una porta di legno scuro.
“Diane! Grazie di essere venuta!” quando Christine fece il suo ingresso nella stanza sembrava contenta, Diane si alzò dalla poltrona su cui era seduta e le andò incontro, si salutarono con un amichevole abbraccio e un sorriso sincero.
Quando si misero sedute l'una di fronte all'altra, nell'attesa che venisse servito il caffè, la marchesa ebbe modo di osservare la sua giovane ospite: Santo Cielo, era solo una bambina! La sera del ricevimento vestita in abiti da pomposi, con i gioielli e il trucco che le appesantiva il viso, le era sembrata molto più grande, ora sembrava uno scricciolo, ma la marchesa dovette ammettere che quella sua aria infantile e innocente le conferiva una bellezza quasi angelica.
“Come stai Diane?” chiese la ragazza poggiandosi contro l'alto schienale della poltrona
“Bene, e tu? Spero che i preparativi delle nozze non ti stiano creando troppi problemi”
“Se avessi saputo quanto è complicato organizzare un matrimonio forse non avrei accettato di sposarmi”
“Io avevo diciotto anni quando mi sono sposata e a dir la verità non feci granché per prepararmi al matrimonio, si occupò di tutto mia madre...”
Diane pronunciò quella frase con leggerezza, ma si interruppe pentendosi di averla detta perché Christine le rimandò uno sguardo malinconico
“Scusa, cara... non volevo” concluse la marchesa imbarazzata
la giovane scosse il capo
“No, non fa niente, almeno tu lo hai detto senza intenzione di ferirmi”,
un silenzio pesante calò per una manciata di secondi nel piccolo salotto, poi l'imbarazzo fu stemperato dall'arrivo della cameriera che posò sul tavolino un vassoio d'argento con due piccole tazze di porcellana, una caraffa fumante e un piattino con dei biscotti,
Diane prese un biscotto e scrutò la ragazza che osservava con aria indecifrabile la domestica lasciare silenziosamente la stanza,
“Ti ci abituerai a tutto questo” le disse con aria complice, indovinando i suoi pensieri
“Si, immagino di si, ma tu come fai a passare il tempo?”
“Dio mi ha voluto benedire dandomi mia figlia, vedrai, quando sarai anche tu madre non penserai più a fare biscotti”
Christine sorrise intenerita, figurandosi l'immagine di sé stessa che stringeva tra le braccia un neonato meravigliosamente somigliante a Raoul. Si i figli sarebbero stati una benedizione prima o poi, ma per ora era il fatto di non poter più cantare che le rendeva i giorni maledettamente lunghi e pesanti.
“E così, hai una figlia” disse
“Si, si chiama Vivianne, ha sei anni. Spero di fartela conoscere un giorno, è una bambina meravigliosa”
“Certo”
“Avete già fissato la data del matrimonio?” domandò Diane
“No, purtroppo no. Avevamo scelto un giorno, ma i genitori di Raoul sono in Spagna e ci hanno fatto sapere che non riusciranno a presenziare alla cerimonia, quindi abbiamo deciso di rimandare” rispose Christine mentre un ricciolo ribelle sfuggiva alla presa del fermaglio cadendole lungo la guancia
“Capisco”
“Si, capisco anche io... che l'hanno fatto di proposito, loro non vogliono che io e Raoul ci sposiamo”
la giovane pronunciò quelle parole con tristezza, ma senza risentimento, cercando di riportare indietro la ciocca di capelli che le solleticava il viso. Diane la osservò oltre il bordo della tazza, doveva avere una grande forza d'animo per accettare tutto ciò con rassegnata sopportazione, e in più doveva essere davvero molto innamorata del visconte. Un pizzico di invidia solleticò l'animo della marchesa, anche lei avrebbe sopportato tutti quegli ostacoli pur di stare vicino a un uomo che amava, ma a diciotto anni, quando le era stato detto che avrebbe sposato Louis non aveva trovato l'energia di ribellarsi.
“Devi amarlo davvero tanto Raoul, confesso che ti invidio”
a quelle parole Christine sospirò: era vero, sopportava tante cose per amore di Raoul, ma in fin dei conti le opposizioni dei genitori del suo promesso sposo le sembravano il male minore, dopo tutto quello che avevano passato. Dopo tutta l'amarezza e il rimpianto con cui lottava ogni giorno.
“E' che... abbiamo sopportato di peggio” ammise la giovane trovando finalmente la forza di guardare Diane negli occhi, senza imbarazzo.
Lo sguardo di Christine non aveva niente di quell'alone infantile che caratterizzava il suo aspetto, non più almeno. Era lo sguardo di una donna, di una persona che cercava dentro di sé la forza di districarsi tra la prospettiva di un futuro che aveva sempre sognato e i ricordi dolorosi di un passato che era impresso troppo a fondo nella sua anima.
“Di peggio? Cosa c'è di peggio di due vecchi genitori dal sangue blu con la mente confinata al medioevo?!” esclamò Diane sarcastica,
Christine non poteva concedersi il lusso di ridere a quella battuta, Diane le sembrava una persona sensibile e se avesse conosciuto la storia non avrebbe parlato in quel modo. Ma la marchesa non poteva sapere. Il dramma, la leggenda del Fantasma dell'Opera, che aveva coinvolto così a fondo lei e Raoul stava per essere dimenticata, soppiantata da nuovi scandali, nuove storie con cui alimentare il focolaio di chiacchiere nei salotti e nei caffè. Fa parte della natura umana dimenticare, anche ciò che ha più sconvolto: sostituire l'orrore di una vicenda violenta con un'altra storia nuova e più sconvolgente. Tutti sono in grado di farlo, ma non chi ha guardato in faccia l'inferno che quella violenza ha potuto provocare. Christine non aveva dimenticato, e anche se certi ricordi erano spariti dai suoi discorsi, non erano certo scomparsi dal suo cuore. Non ne aveva più parlato con nessuno, non aveva mai nemmeno raccontato cosa fosse successo davvero quella notte nei sotterranei. Non aveva raccontato di come un Angelo all'Inferno può piangere, redimersi, sparire...
Diane posò la mano su quella della giovane che era rimasta immobile a fissare il vuoto con sguardo vacuo,
“Christine, tutto bene? Ho detto qualcosa che non va?” chiese la marchesa preoccupata,
la ragazzi si scosse
“No, no Diane, non è colpa tua...”
“Cosa c'è? Sembri turbata”
gli occhi di Christine si fecero sottili, il suo sguardo si fece cupo,
“Non ho mai raccontato a nessuno la verità- disse con la voce ridotta ad un soffio- le persone a me care non mi hanno mai chiesto niente, le persone curiose e insensibili mi hanno fatto molte domande ma io non ho mai risposto. Mi illudevo che non parlarne mi aiutasse a dimenticare, ma non è così”
Diane non ci mise molto tempo a capire a cosa si stesse riferendo la sua interlocutrice,come tutti, era a conoscenza del fatto che Christine era stata coinvolta nella storia del Fantasma dell'Opera, ma, come gli altri, non sapeva fino a che punto, non conosceva i motivi, i veri retroscena di quella vicenda destinata a restare una strana favola ma resa realtà dall'edificio dell'Opera Populaire che rimaneva una carcassa vuota a cui l'incendio aveva consumato il cuore, rendendolo solo un vistoso sfregio sul volto di Parigi. Lei non voleva essere una di quelle tante persone pettegole e indelicate che facevano domande per saziare la propria curiosità, ma si rese conto che quella storia le stava a cuore: pochi giorni prima aveva fatto un sogno che aveva gettato strane ombre sulla figura di un uomo a cui stranamente aveva permesso di entrare nella sua vita, seppure per un breve periodo. Un uomo a cui aveva pensato con una certa insistenza nei due giorni trascorsi dal loro ultimo incontro.
Diane si impose di restare calma e lucida, di tacere. Le sue perplessità, i suoi strani sospetti su Erik erano un problema soltanto suo, Christine non meritava di essere strapazzata solo perché lei aveva viaggiato un po' troppo con la fantasia.
“Non sei obbligata a raccontarlo, meno che mai a me Christine” disse la marchesa senza riuscire però a trattenere un gesto di nervosismo al quale la giovane sembrò non fare caso
“E se invece io volessi farlo, Diane? Sta diventando un peso così grande...” gli occhi della ragazza esprimevano un bisogno così urgente che la donna non seppe come replicare.

... e se invece io non volessi ascoltare, Chirstine?

Diane posò le mani sull'estremità dei braccioli della poltrona. Non era certa di aver voglia di venire a conoscenza di quella storia, il racconto che fino a poche settimane prima tutta Parigi avrebbe voluto conoscere nei minimi dettagli.

*

Lo spettacolo era andato bene. Tutti nel circo si sentivano intimoriti dall'idea di confrontarsi con il pubblico di una grande città, ma il gran successo della serata aveva superato le loro più rosee previsioni.
Alain era contento e soddisfatto, corse spedito nella sua tenda a togliersi il trucco e il costume e indossò i vestiti migliori che aveva,
“Stasera ho voglia di festeggiare!” esclamò,
si diresse verso la tenda di Erik ma la luce era spenta: il musicista era già andato a dormire o aveva finto di farlo per non farsi importunare.
Lanciando un ultimo sguardo alla tenda del suo amico Alain scrollò le spalle e si diresse fuori dagli alloggi del circo, verso la città.

L'aria frizzante della sera era densa del frinire dei grilli, oltre la stradina di campagna che portava nel cuore della città il ragazzo si trovò ad osservare un mondo nuovo e affascinante. La notte parigina era, se possibile, ancora più viva del giorno stesso. Le strade secondarie erano illuminate a giorno dai lampioni e dalle luci provenienti dalle numerose osterie ancora piene di clienti. Le piazze erano percorse da carrozze di ricchi signori in doppiopetto, diretti verso qualche circolo culturale o verso la casa della propria amante. Qualche artista di strada allietava ancora i passanti in ritardo per la cena o qualcuno dei mendicanti che si scaldava attorno ai rari fuochi accesi all'angolo di una via. Tutto dava la sensazione di un energico movimento perpetuo, di un'instancabile voglia di vivere.
Alain osservava divertito la città sorprendentemente sveglia e popolata, i lampioni allungavano le ombre sul pavimento della piazza in cui si era ritrovato. Alzò lo sguardo ammirando incuriosito la costruzione che si ergeva su un lato dell'ampio piazzale: la facciata decorata da rilievi e semicolonne si apriva in tante finestre e in tre porte precedute da una scalinata di marmo, al centro del tetto si alzava una cupola che conferiva una certa maestosità all'edificio, il tetto era contornato da un parapetto di pietra sul quale poggiavano statue bronzee di angeli e cavalli alati, sull'edicola che sormontava la porta centrale si trovava invece una statua di Apollo che teneva tra le mani la sua lira e guardava benevolo verso la piazza. Il ragazzo osservò meglio quella strana costruzione, i tre portoni di legno erano sbarrati, chiusi con travi di legno inchiodate contro gli stipiti delle porte, le finestre erano tutte chiuse e non c'era una sola luce o un solo suono che facesse pensare che quella costruzione avesse qualcosa da spartire con l'aria di vitalità che si respirava nelle strade, anzi, a guardarla bene, Alain trovò quel palazzo buio e silenzioso quasi macabro per quanto potesse apparire bello.
Il ragazzo fermò un passante afferrandolo per un lembo della camicia,
“Scusate signore, mi sapreste dire che cos'è quello?” domandò indicando l'edificio,
l'uomo inclinò il capo da un lato guardando Alain con aria perplessa
“Quella è l'Opera Populaire!- esclamò come se si trattasse della cosa più ovvia del mondo- è il più famoso teatro della città, o meglio, lo era”
E dunque era quella l'Opera di Parigi famosa in tutto il mondo?
“In che senso? Perché non lo è più?” chiese ancora Alain, spostando più volte lo sguardo tra lo sconosciuto e la facciata del teatro
“Non conosci la storia ragazzo? Da dove vieni per non sapere?- borbottò lo sconosciuto- mesi fa è stata distrutta da un incendio”
il giovane guardò meglio l'edificio e notò che i vetri delle finestre erano rotti e i telai di legno consumati e contornati da macchie nere
“Non conosci la storia del Fantasma dell'Opera?” incalzò l'uomo sempre più sconcertato dal fatto che ci fosse qualcuno non al corrente dei fatti che riguardavano l'Opera di Parigi
Alain scosse il capo, lo sconosciuto sbuffò
“Dunque, devi sapere che il teatro era infestato da un fantasma... probabilmente un'anima in pena che, forse per vendicarsi di qualche torto subito in vita, finì per dare fuoco al nostro bel teatro... forse da vivo era stato un orchestrale licenziato dai direttori” l'uomo spiegò la breve storia con aria seria e convinta, fissando il suo interlocutore per assicurarsi che avesse ben compreso l'accaduto
“Ah, si capisco!- rispose Alain senza riuscire a mascherare la sua aria divertita- devo dire a mio padre di non licenziare mai nessuno o il nostro circo potrebbe venire distrutto!”
l'uomo fissò il giovane con espressione piccata
“Si, ridi pure sciocco! Intanto puoi chiedere a chi vuoi, qui tutti sanno del Fantasma dell'Opera” concluse, per poi allontanarsi con aria offesa.
Alain si concesse qualche minuto per dare sfogo alla sua ilarità, l'aria grave con cui quello sconosciuto gli aveva raccontato una storia tanto stupida lo divertiva troppo, possibile che anche in una grande città la gente fosse così credulona e superstiziosa?
Ripresosi dall'incontro, il ragazzo decise di proseguire la sua passeggiata, si intrufolò in un vicolo laterale al teatro e guardò un'ultima volta l'edificio che una volta era definito un tempio dell'arte: in effetti i segni dell'incendio erano evidenti e quel luogo visto così, spento e deserto, metteva i brividi. Alain sbuffò pensando a quanto fosse stupido a lasciarsi condizionare da quel racconto senza capo né coda, tuttavia si affrettò ad allontanarsi dal teatro, addentrandosi sempre di più in quella sconosciuta e fitta rete di strade.
Persino i sobborghi di Parigi, situati così in prossimità della piazza dell'Opera e dei quartieri ricchi, erano vivi e affollati a quell'ora. Davanti agli occhi di Alain si apriva una strada stretta e dalla pavimentazione sconnessa sulla quale affacciavano numerose locande, bettole e case di malaffare dalle quali uscivano con aria disinvolta anche ricchi signori ben vestiti. Il ragazzo sentì un gran vociare provenire da un punto preciso della strada e si avviò a seguire gli schiamazzi, si rese conto che provenivano da una locanda in fondo alla strada, quella che sembrava la più grande e la meno squallida di tutte, l'insegna di legno sulla porta recava la scritta “les sept vieillards”. Si decise ad entrare nel locale, gli sembrò accogliente e arredato con gusto per essere una taverna dei bassifondi di una grande città. In effetti, i clienti non erano affatto degli avventurieri con abiti logori o operai venuti a sbronzarsi dopo una giornata di lavoro, sembravano piuttosto borghesi venuti a svagarsi in un posto del tutto decoroso.
“Sono finito in un posto di elite nel cuore povero di Parigi” mormorò il ragazzo andandosi a sedere a uno dei tavoli, ordinò un boccale di birra e si divertì ad origliare le conversazioni degli altri uomini seduti attorno a lui.
Il fitto vociare all'interno della locanda si interruppe quando un suono acuto arrivò improvviso quasi a spaventare i clienti. Tutti si voltarono verso una pedana di legno sistemata di fronte al bancone, Alain osservò la persona spuntata sulla pedana con la sua aria curiosa di bambino mai cresciuto. Si trattava di una donna sulla trentina, avvolta in un ricco abito viola, di una tonalità così carica e appariscente che era un vero strazio per la vista, soprattutto accostato ai folti capelli fulvi acconciati in larghi boccoli.
“Buona sera”disse la donna con voce squillante e con un forte accento straniero, il suo sguardo, stranamente altezzoso e penetrante, percorse tutta la sala in attesa di un applauso che non arrivò.
La donna si schiarì la voce e cominciò a cantare un'aria di Elisabetta dal Don Carlos di Giuseppe Verdi. Se qualcuno dei presenti fosse stato un frequentatore dell'Opera Populaire avrebbe potuto ricordarsi che era stata quella stessa donna a interpretare la composizione del maestro italiano sul palco del più grande teatro di Parigi solo tre anni prima.

... Di qual amor, di quant'ardor
Quest'alma è piena!
Al suo destin voler divin
Or m'incatena!
Arcan terror m'avea nel cor,
E ancor ne tremo...
Amata son io, gaudio supremo
Ne sento in cor!(*)...

Dopo i primi minuti di silenzio un borbottio sommesso cominciò a riempire nuovamente la sala. I clienti della locanda smisero di prestare attenzione alla cantante, anche se era difficile dimenticarsi di lei visto che la sua voce era così acuta e potente da risultare estremamente sgradevole.
Non passò molto che diverse persone cominciarono a protestare.
Alain non sapeva se ritenersi più divertito o intenerito da quella donna tanto bizzarra ed enfatica che continuava a cantare con aria decisa e saputa, malgrado le proteste dei clienti.
Quando la cantante ebbe terminato l'aria che stava eseguendo il padrone della locanda, in piedi dietro al bancone, le fece cenno di allontanarsi, lei rispose con uno sguardo adirato che non risparmiò di rivolgere anche a quello che avrebbe dovuto essere il suo pubblico, portò le mani ai fianchi e prese fiato,
“Statemi bene a sentire,- esclamò puntando l'indice contro gli uomini seduti davanti a lei- io sono Carlotta Giudicelli, primadonna dell'Opera Populaire! Ma evidentemente il mio talento è troppo sopraffino per le vostre orecchie da sempliciotti!!!"”
ciò detto la donna si voltò e se ne andò con un gesto stizzito, seguita dallo sbuffo della ampia gonna del suo vestito e accompagnata da una lunga serie di risate e borbottii di scherno.

Alain trascorse ancora qualche minuto seduto al suo tavolo, poi pagò la birra che aveva bevuto ed uscì dalla locanda con addosso una strana allegria non dovuta all'alcol ma a un inspiegabile sensazione di benessere. Era deciso a dirigersi verso uno dei bordelli che aveva visto sulla strada qualche metro più avanti, ma la sua attenzione fu attirata da uno strano squittio che proveniva dalla viuzza dove la taverna faceva angolo. Perplesso il ragazzo si affacciò al vicolo, una stradina stretta buia dove erano accantonati i barili vuoti della locanda. Su uno di quei barili c'era la donna che aveva provato a cantare, il suo suo abito praticamente brillava nella penombra, era impossibile non riconoscerla. Le spalle si sollevavano con piccoli scatti, una mano davanti alla bocca tentava di soffocare i singhiozzi striduli.
Quella scena fece svanire in un attimo tutta l'euforia di Alain il quale si avvicinò a passi cauti alla cantante, quella donna che fino a un minuto prima aveva dato prova di un immenso orgoglio ed era uscita a testa alta da una situazione tanto offensiva e imbarazzante.
“State bene, madame?” mormorò il ragazzo
la donna sobbalzò e guardò lo sconosciuto con aria piccata
“E tu che vuoi?” squittì tirando su con il naso e asciugandosi le lacrime con la mano guantata
“Vi ho sentita piangere, mi sono preoccupato”
la donna arricciò il naso e squadrò il giovane con aria di sufficienza
“Non voglio la tua compassione ragazzino... ma ti sarei grata se avessi un fazzoletto da prestarmi” disse ostentando una certa sicurezza che contrastava con il suo viso ancora rigato di pianto
Alai si frugò nelle tasche ed estrasse un fazzoletto di stoffa a quadri
“Ecco, madame” lo porse alla donna con un sorriso gentile, lei glielo strappò di mano e lo esaminò
“Almeno è pulito” borbottò per poi soffiarsi rumorosamente il naso e rendere l'oggetto al suo proprietario,
Alain sospirò e prese il fazzoletto con due dita poggiandolo sul davanzale di una finestra, poi si mise a sedere accanto alla donna,
“Posso capirvi, madame, sapete anche io mi esibisco e mi rendo conto di quanto possa essere bruciante non venire apprezzati...”
la donna interruppe il giovane con una risata sarcastica,
“Tu capisci? Tu capisci?! Ma sentitelo LUI CAPISCE!” esclamò ad alta voce
Alain arricciò il naso
“E io che pensavo che Erik fosse il peggio...” mormorò tra sé e sé
“Come?!” domandò lei fissandolo indispettita
“No, niente, pensavo ad alta voce- si affrettò a rispondere lui, per poi tornare in piedi- scusate del disturbo, madame, buona sera”
“E adesso dove vai?!” esclamò la cantante inarcando un sopracciglio con aria di rimprovero
Alain si grattò la nuca
“E pensare che la serata era partita così bene...” sospirò
“Vieni qui” lo richiamò la donna con un gesto della mano, il ragazzo la guardò incredulo, che tipa strana, prima lo trattava come l'ultimo degli stupidi e ora gli chiedeva di rimanere, o era pazza o aveva un pessimo carattere, o forse tutte e due le cose insieme, ma sicuramente aveva un gran bisogno di compagnia.
Alain tornò a sedersi pensando che prima o poi gli sarebbe spuntata l'aureola a forza di avere a che fare con gente dal brutto carattere, poi all'improvviso si ricordò di quello che aveva detto la donna poco prima nella locanda.
“Scusate madame, Carlotta giusto? Prima avete detto di essere stata la primadonna dell'Opera Populaire” esordì il giovane
“Si! Perché? Non mi credi forse?” borbottò lei
“No, vi credo, certo che vi credo... è che sono passato fuori al teatro prima e ho incontrato un uomo che mi ha raccontato una storia, di un fantasma e di come questo fantasma abbia fatto scoppiare l'incendio che ha distrutto il teatro”
“Si, immagino... raccontano tutti strane storie”
“Allora non c'è nessun fantasma”
Carlotta spalancò la bocca in un'espressione stupita e contrariata
“Ma da dove vieni ragazzo, dalla Papuasia? Come puoi non sapere?!” esclamò
“Siete tutti ossessionati allora!” borbottò Alain
la donna si lasciò scappare una smorfia di amarezza
“E' la stessa cosa che dissero i nuovi direttori quando arrivarono all'Opera- commentò stringendo nervosamente un lembo della gonna- se non ci fosse stato nessun fantasma il mio Ubaldo a quest'ora sarebbe ancora vivo”
“Ah, mi dispiace madame... non volevo mettervi di cattivo umore”
Carlotta si sistemò i capelli
“Un sacco di gente mi ha chiesto di raccontare la storia- disse con l'aria infantile di un bambino che vuole mettersi in mostra per la sua buona azione quotidiana- ma io non ne ho mai parlato con nessuno, non è una bella storia, sono state raccontate molte versioni su come andarono i fatti, tanto che la verità è stata completamente stravolta, ma io so come è andata la sera dell'incendio, io ero lì! Anche il mio povero Ubaldo c'era, che Dio lo abbia in gloria”
Alain era incuriosito, quale era questa storia così avvincente e brutta da essersi meritata di diventare una leggenda? Chi era il Fantasma dell'Opera?
“Dunque c'è stato davvero un fantasma nel teatro!” disse sgranando gli occhi
“Oh si... solo che non era un fantasma, era un uomo” rispose Carlotta distogliendo lo sguardo e fissandolo nel vuoto come se stesse cercando di seguire il filo dei ricordi, Alain pendeva letteralmente dalla sue labbra,
“Raccontatemi, madame, vi ascolto...”.
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NOTE:
E ora, un bell'applauso per la Dea del canto!!! Amata e acclamata da tutta Parigi e da tutti i recensori di questa fanfic...
Visto, alla fine è arrivata!
Scherzi a parte, spero che vi sia piaciuta (e che vi piacerà, visto che ci terrà compagnia anche nel prossimo capitolo).

(*) A proposito, il "Don Carlos" di Giuseppe Verdi non l'ho citato a caso, ho fatto un pò di ricerche, ad onor del realismo e ho scoperto che è stato davvero suonato in anteprima all'Operà di Parigi nel 1867 (ovvero tre anni prima del 1870, anno in cui è ambientata la vicenda del Fantasma dell'Opera)

La mia betareader mi faceva giustamente notare che forse il discorso dell'uscita dopo cena (con annesso il totale menefreghismo del buon marchese) suona un pò anacronistico... in realtà ho pensato che all'epoca probabilmente si cenava molto presto e di conseguenza il "dopo cena" non era proprio "sera inoltrata"... e poi ai fini della storia mi serviva che il dialogo tra Diane e Christine avvenisse contemporaneamente all'incontro tra Alain e Carlotta (nel prossimo capitolo capirete perchè). In Quanto al marchese... nel capitolo 20 sono previste un pò di precisazioni sul caro vecchio Louis... e si capiranno un pò di cose...

Il nome della locanda "les sept vieillards" è il titolo di una poesia di Baudelaire

Per ora vi lascio con tante scuse da parte del Master che si è assentato da questo capitolo.

I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 20
*** Capitolo diciannovesimo ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO

Christine non sapeva perché si stesse fidando di quella donna, l'aveva trovata subito simpatica, diversa da tutti gli altri aristocratici con cui era venuta a contatto da quando era ufficialmente diventata la fidanzata del visconte de Chagny, ma bastava? Il suo bisogno di parlare di quella storia era davvero così impellente da affidarla alla prima arrivata? Forse si! Non poteva parlane con madame Giry o con Meg, loro erano troppo coinvolte e sarebbero state in ansia per lei se le avesse messe a parte dei suoi malumori, e meno che mai poteva parlarne con Raoul, lui non sembrava in grado di sopportare l'idea che la sua fidanzata portava ancora nel cuore il suo Angelo della Musica.
La marchesa strinse un po' di più le dita attorno ai braccioli, e fissò Christine,
“Ti ascolto” le disse non senza un certo timore, quasi come un colpevole che confessa i suoi reati sicuro di andare incontro al patibolo.
“Avevo sette anni, mio padre era morto e madame Giry mi prese con sé, mi portò al collegio del teatro, mi promise che avrei avuto un lavoro e un tetto sulla testa- esordì Christine- lei e Meg, sua figlia, divennero la mia famiglia. La cupola al centro dell'auditorium aveva una piccola soffitta, doveva essere ciò che rimaneva di un'antica costruzione, le pareti erano coperte da vecchi affreschi, c'era un candelabro arrugginito con vecchie candele mezze consumate, scoprì quella vecchia soffitta durante uno dei miei giochi con le altre bambine che vivevano nel collegio, c'era una piccola cappella...”
Diane ascoltava attenta, decisa a non interrompere, a non fare domande, voleva lasciare che Christine le dicesse ciò che voleva, come voleva.

La ragazza proseguì il racconto spiegandole come quella soffitta polverosa e buia era diventato il suo rifugio, vi andava tutte le volte che voleva rimanere da sola. Sistemò la foto di suo padre, unico ricordo che le era rimasto di lui, sul braccio del candelabro, e ogni sera prese l'abitudine di accendere una candela e pregare per la sua anima.

“Prima che morisse mio padre mi stava insegnando a cantare, quando si ammalò mi promise che una volta andato in Paradiso mi avrebbe mandato l'Angelo della Musica, così che io non sarei rimasta sola...- proseguì la fanciulla- un giorno, l'Angelo è arrivato”

Christine viveva nel collegio da pochi mesi, anche quella sera era andata ad accendere una candela per suo padre. Da qualche giorno aveva cominciato a cantare davanti alla sua fotografia, cantava le arie che aveva imparato osservando le prove da dietro le quinte del teatro. Quella sera una voce bellissima e sconosciuta si unì a lei continuando la canzone che aveva cominciato, era la cosa più bella che avesse mai sentito, un suono così bello poteva venire solo dal Paradiso. La bambina chiese alla voce se fosse l'Angelo della Musica e la voce rispose di si.

“Ora mi crederai pazza...” sospirò Christine fissando Diane con aria incerta, la marchesa le concesse un sorriso indulgente
“No, eri solo una bambina, e le fantasie di un bambino non sono mai frutto della pazzia- rispose- continua, ti prego...”
la ragazza proseguì,
“La voce... l'Angelo della Musica cominciò a darmi lezioni di canto, era un maestro severo ed esigente, ma i risultati erano in proporzione ai miei sforzi. Mi insegnò come modulare la voce, e col tempo come raggiungere le tonalità da soprano, io stessa mi stupivo delle capacità che avevo sviluppato...”

Gli anni passarono, nel teatro cominciarono a succedere cose strane, oggetti di scena che sparivano, incidenti che capitavano agli artisti più presuntuosi e meno dotati, strani scricchiolii nel buio, qualcuno che diceva di aver visto un'ombra scura nei depositi del sottopalco, correva voce che il direttore ricevesse strane lettere chiuse da un sigillo di ceralacca a forma di teschio: nacque la leggenda del Fantasma dell'Opera, molti erano convinti che fosse ben più di una leggenda perché non si trovava spiegazione a quegli strani avvenimenti.

“Io non sapevo se crederci o meno, e fui talmente ingenua da non associare la presenza di quello che credevo il mio Angelo agli avvenimenti che testimoniavano l'esistenza del Fantasma” precisò Christine.

Per diversi anni tutti coloro che lavoravano in teatro, dal più famoso tenore, all'ultimo degli inservienti, si erano decisi a convivere con la leggenda del Fantasma. I macchinisti si rifiutavano di lavorare da soli, le ballerine facevano attenzione a non rimanere separate dalle loro compagne. Si temeva che il Fantasma avrebbe potuto colpire da un momento all'altro. Ma in realtà non succedeva mai niente di grave. Poi un giorno la primadonna, Carlotta Giudicelli, una soprano con una voce molto meno bella di quanto la sua presunzione facesse supporre, abbandonò il suo posto, esasperata dai continui incidenti, proprio quando la direzione del teatro passava dal vecchio direttore a due ricchi signori che, con il sostegno economico di Raoul de Chagny e della sua famiglia, avevano deciso di imbarcarsi nella complessa impresa della gestione artistica dell'Opera. Anche loro avevano iniziato a ricevere lettere che, seppur con parole eleganti e dall'apparenza affabile, contenevano vere e proprie minacce, insieme a precise istruzioni su come dirigere il teatro.

“I nuovi direttori si decisero a ignorare quelle missive, ma su suggerimento di madame Giry mi fecero cantare al posto della primadonna che aveva dato forfait, fu un successo- disse Christine con gli occhi che brillavano al ricordo degli applausi ricevuti, al ricordo di quell'unica sera di trionfo- quando tornai nel camerino Raoul venne a farmi visita, ci eravamo conosciuti da bambini, anche se erano anni che non lo vedevo. Rivederci fu una grande emozione per entrambi e cominciammo a capire che tra di noi c'era qualcosa di più forte di una semplice amicizia...”

Ma quella sera Raoul non fu il solo a fare visita alla giovane. Quando tutti furono andati via la voce dell'Angelo della Musica chiamò Christine, le disse che quella sera lei lo avrebbe conosciuto, oltre lo specchio si aprì un corridoio di pietra e la giovane si ritrovò davanti un uomo.

“Oh Diane, avresti dovuto vederlo... credo di non aver mai provato un'emozione simile in vita mia, avevo scoperto che il mio Angelo era un uomo in carne ed ossa, un uomo bello, vestito come si addice a un gran signore, ma i suoi occhi erano tristissimi e il suo viso era coperto per da una mezza maschera bianca” Christine pronunciò queste parole tutte d'un fiato, mossa da un'emozione profonda e inspiegabile
“Una... una mezza maschera... bianca” farfugliò Diane smarrita
“Si, sul lato destro del viso”
“Erik...” sussurrò la marchesa in un soffio impercettibile che la giovane non udì, la donna reclinò la testa incapace di trattenere l'amarezza, lacrime cocenti le si annidarono ai lati degli occhi, ma ancora una volta si costrinse a trattenersi, doveva sapere come sarebbe proseguita la storia, cosa era successo, invitò Christine a continuare e restò ad ascoltarla,
“Lui mi condusse nella sua casa, scendendo fino al terzo livello del sotto-placo, era una grotta su un lago sotterraneo, era un posto singolare ma arredato con tanto buon gusto, a me sembrava un altro mondo, tanto che pensai che stessi sognando... ma ormai avevo capito che il mio Angelo e il Fantasma erano la stessa persona”

L'uomo misterioso mostrò a Christine la sua casa, cantò per lei con la sua voce meravigliosa, fino a quando l'emozione e lo stupore presero il sopravvento su tutto e la ragazza svenne tra le sue braccia. Si risvegliò nel letto del suo Angelo quando doveva essere già mattina anche se era difficile dirlo visto che in quel mondo sotterraneo la luce del sole non poteva arrivare. Si alzò e andò intorno all'uomo che era seduto al suo organo, lo accarezzò come per accertarsi che fosse fatto davvero di carne ed ossa, poi però non seppe trattenere la sua curiosità e gli strappò via la maschera.

Diane deglutì sentendo la tensione premere come un macigno sullo stomaco. Cosa c'era sotto quella maschera? Cosa aveva il volto di Erik di così orribile da destare tanto orrore? Lei non riusciva a ricordarlo, la sera della rappresentazione del Don Juan era troppo lontana dal palco per cogliere i particolari e le immagini del suo sogno ormai le apparivano confuse.
Nel frattempo Christine si era interrotta, i ricordi erano diventati forse troppo dolorosi, con un enorme sforzo di volontà la ragazza cercò di proseguire
“Quello che vidi non fu piacevole- ammise- ma quello che mi spaventò di più fu la sua reazione. Si arrabbiò, cominciò a girare per la grotta maledicendomi, gettando per aria tutto ciò che gli capitava a tiro... e alla fine si accasciò a terra accanto a me, e coprendosi il viso con le mani mi disse che non avrei dovuto guardarlo prima di imparare ad amarlo... e io avrei potuto amarlo, Diane, credimi... ma...”
“Ma?...” domandò la marchesa
“Ma poi la situazione precipitò... una sera fu messo in scena il Muto, lui aveva mandato una lettera in cui ordinava perentoriamente che dovessi essere io a cantare nella parte della protagonista, ma i direttori, un po' per orgoglio, un po' per assecondare i capricci di Carlotta, ignorarono ancora una volta le richieste del Fantasma...”

La rappresentazione stava andando bene, il pubblico rideva, i direttori erano soddisfatti. Ma all'improvviso una voce potente echeggiò nell'auditorium, era lui, il Fantasma, venuto a posta per rimproverare i direttori. Dopo quella strana interruzione sparì, inseguito da Joseph Bouquet, uno dei macchinisti. All'improvviso però Carlotta si ritrovò senza voce, tentò un paio di volte di ricominciare a cantare, ma l'unico suono che produsse fu una sorta di sordo gracidio. I direttori si affrettarono a salire sul palco per scusarsi, dissero che la Giudicelli sarebbe stata sostituita dalla Daae, ma ormai era tardi, avevano sfidato il Fantasma nel suo regno!
Il corpo di ballo salì sul palco per intrattenere il pubblico con un balletto dando a Christine il tempo di cambiarsi d'abito, ma all'improvviso il corpo senza vita di Bouquet cadde sul palco, strangolato da un cappio.

Diane sentì un brivido di orrore salirle lungo la schiena,
“Mio Dio...” sospirò mentre il suo viso sbiancava rapidamente
“Esatto, il Fantasma aveva ucciso Bouquet io uscì dal camerino richiamata dalle grida di orrore delle mie compagne, Raoul mi raggiunse per accertarsi che stavo bene... ma io avevo capito: il Fantasma voleva me, e Raoul non era al sicuro... lo portai sul tetto, nonostante la neve, mi illudevo che lì il Fantasma non ci avrebbe raggiunti, non avrebbe potuto udirci. Gli raccontati tutto, lui mi promise che mi avrebbe protetto e giurò di amarmi...” Christine si interruppe di nuovo, esitante e scossa
“E il Fantasma vi vide, vi udii e non fece nulla?” chiese la marchesa
“Sparì, per mesi, tanto che pensammo che avesse abbandonato il teatro, ma la notte di capodanno, durante il ballo in maschera, ricomparve... era vestito tutto di rosso, con una maschera a forma di teschio, sembrava la morte in persona, ma era bello, bello e spaventoso... consegnò lo spartito del suo Don Juan ai direttori dando istruzioni su come mettere in scena la sua opera, poi guardò verso di me, e avrei giurato che a entrambi fosse mancata l'aria, ma quando mi fu vicino mi gridò che ero sua e che non potevo sfuggirgli, poi sparì in una botola, Raoul lo inseguì senza riuscire a trovarlo”
“Ma perché hai cantato la sera del Don Juan? Sei salita sul palco sapendo che lui voleva te, perché hai rischiato?”
Christine sospirò
“Me lo aveva chiesto Raoul, avevano messo in scena la sua opera per attirarlo, costringerlo a uscire dal suo nascondiglio, e io dovevo fare da esca- spiegò- ci aspettavamo di vederlo comparire ovunque, ma mai sul palco, accanto a me... Diane io... quella sera... avrei potuto cedergli, il nostro duetto, il nostro ballo nella scena del Don Juan, le sue mani... non mi ero mai sentita così, non conoscevo quel genere di sensazioni”
Diane raddrizzò la schiena, un senso pungente di gelo e amarezza le trafisse il cuore, provò quasi fastidio nel sentire la ragazza parlare così di quell'uomo. Provò fastidio nel pensare che Erik aveva trasmesso a Christine certe sensazioni... ricordò di loro due stretti in quel ballo così passionale e il livore che le riempì di amaro la bocca aveva lo strano e inspiegabile sapore della gelosia. La marchesa guardò la ragazza con uno sguardo involontariamente freddo,
“Dopo che tu ti eri ripresa e gli avevi strappato via la maschera cadde il lampadario e scoppiò l'incendio- disse la donna senza riuscire ad addolcire il tono della sua voce- cosa successe dopo?”
ora lei doveva assolutamente sapere...
“Mi trascinò fino alla grotta sul lago, era fuori di sé- aggiunse Christine- disse che sarei dovuta rimanere con lui, che mi sarei abituata al suo aspetto e io gli risposi che ormai non era più il suo volto a farmi paura, era la mostruosità della sua indole... poi però arrivò Raoul, nell'ansia di salvarmi fu così sprovveduto da farsi catturare, il Fantasma lo legò a una grata e gli mise un cappio intorno al collo, mi disse di scegliere: o acconsentivo a passare il resto della mia vita con lui o avrebbe ucciso Raoul”
a quel punto Diane non fu più in grado di trattenere il pianto, un singhiozzo sordo fu subito accompagnato dalle lacrime
“Deve essere stato terribile...- farfugliò la marchesa, cercando di far intendere che si era commossa per l'intensità della storia e non per il fatto che fosse coinvolto un uomo che mai come in quel momento sentiva vicino, malgrado tutto- ma come avete fatto a salvarvi, come siete fuggiti?”
sul volto della ragazza comparve un sorriso amaro, abbassò lo sguardo con una strana aria colpevole,
“Non siamo fuggiti... lui ci ha lasciato andare” concluse
“Come?... come sarebbe?”
“Gli dissi che sarei stata sua, per convincerlo gli andai incontro e lo baciai... ma subito dopo scoppiò il lacrime... lasciò l'estremità del cappio con cui teneva Raoul e ci disse di andare, ci chiese perdono, ci chiese di dimenticare... poi immagino che sia fuggito, c'era una folla che si era precipitata nei sotterranei per catturarlo...”.
Fu quel momento fu Christine che scoppiò a piangere violentemente, la lacrime che avrebbe voluto versare molto tempo prima ma che non era mai stata in grado di far uscire,
“Christine...” sussurrò Diane cercando, almeno lei, di ritrovare la calma
“Tornai indietro per dirgli addio... lui mi disse che mi amava... lui... lui non era cattivo, Diane... è il mondo che lo ha reso così, tutti lo hanno odiato, e lui ha odiato di rimando perché non ha conosciuto altro sentimento che il disprezzo- disse la giovane tra i singhiozzi- forse con me aveva trovato qualcosa di differente, aveva sperato che la mia riconoscenza si trasformasse in qualcosa di diverso... ma non è stato così... e ora lui... non so nemmeno se è vivo”
“Tu non hai colpe... dovevi vivere la tua vita, non sarebbe stato giusto sacrificarla in nome della pietà, perché non era della pietà che aveva bisogno quell'uomo” rispose la marchesa cercando di offrire alla sua interlocutrice un punto di vista distaccato e obbiettivo mentre dentro di sé sentiva solo una tempesta di emozioni contrastanti,
“Credetemi Diane, ormai non importa, vorrei solo sapere che è vivo... che sta bene, che ha trovato un poco di quella felicità che io gli ho negato” concluse stancamente la fanciulla,
la marchesa le si avvicinò e le cinse le spalle con un braccio, indecisa su cosa fare, se dirle o meno ciò che sapeva.

*

Alain posò le mani sulle ginocchia e inarcò leggermente il busto in avanti per poi voltarsi verso Carlotta, pendeva letteralmente dalle sue labbra. La donna si aggiustò i capelli con un gesto pieno di teatrale enfasi, tossicchiò, e cominciò a parlare.
“Ero la primadonna da cinque stagioni, ero l'unica vera dea che avesse mai calcato il palco dell'Opera Populaire- esordì alzando la testa con fare presuntuoso- tutti mi adoravano, il direttore era un burattino nelle mie mani, pronto a obbedire a ogni mio capriccio”
“Pover'uomo...” mormorò Alain
“Vuoi ascoltare ragazzo, o preferisci rimanere da solo con la tua ironia da quattro soldi?!” gracchiò la donna indispettita
“No, vi domando scusa madame, sono tutto orecchi”
“Dunque, ero venerata, adorata, amata... finché un giorno non cominciarono a succedere strani incidenti, e guarda caso molti succedevano proprio a me! Capisci, quel Fantasma maledetto osava prendersi gioco di me!”
“Era il Fantasma a far succedere gli incidenti dunque?”
“Allora il cervello un po' ti funziona, mi congratulo, ragazzo! Ovvio che era lui!- esclamò Carlotta- da alcuni mesi aveva cominciato a spedire lettere al direttore in cui dava suggerimenti su come gestire il teatro e ogni volta che i suoi consigli non venivano seguiti lui faceva capitare qualche disastro, inoltre esigeva anche di essere pagato! Ma tutto sommato il teatro andava bene e non c'era motivo di far incollerire il Fantasma”
“Ma, madame, avevate detto che era un uomo” commentò Alain
“Esattamente, era un uomo, un uomo che viveva nascosto nei meandri dei sotterranei del teatro e che si muoveva nell'ombra, come un vero spirito. Fatto sta che dopo alcuni anni il direttore si stancò di quest'andazzo e decise di lasciare il teatro a due signori... due incapaci che si erano arricchiti tramite il commercio di immondizia, rottami... non ricordo, comunque sia, questi due vennero finanziati dal Visconte de Chagny e dalla sua famiglia, lui era un ragazzotto che sembrava in gamba ma aveva strani gusti in materia di donne e finì per innamorarsi di una ballerina, una ragazzina stupida, un'oca insomma!”
“E tutto questo cosa c'entra col Fantasma dell'Opera?” chiese Alain stringendosi un po' di più nella sua giacca, cominciava a far tardi e l'aria stava diventando fredda, nel frattempo la storia sembrava destinata ad essere lunga
“C'entra ragazzo, c'entra, altrimenti non te lo direi! Comunque, a quanto pare la ragazzina conosceva il Fantasma, sembrava che lui le avesse dato di nascosto lezioni di canto e progettava di sostituire me con lei! Capisci, quell'ignobile essere, quell'assassino vigliacco che si credeva un artista, voleva che lei diventasse primadonna al mio posto! All'inizio io credetti che si trattava di una macchinazione innescata dal visconte, divenuto l'amante della sciocca, ma non era così, era stato il Fantasma a chiedere ai direttori di sostituirmi con lei, ma io minacciai di andarmene e i signori decisero di disobbedire agli ordini del Fantasma”
“E accadde qualche altro disastro?”
“Si, una sera io stavo cantando al cospetto del mio pubblico adorante, ma all'improvviso il Fantasma comparve sul loggione dell'auditorium del teatro, farneticando qualcosa riguardo ai suoi ordini disattesi, poi scomparve, io decisi di ignorarlo e ripresi a cantare... ebbene dopo la prima manciata di secondi avevo perso la voce”
“E' agghiacciante madame!” esclamò Alain sbarrando gli occhi
Carlotta deglutì nervosamente fissando il giovane, si fece aria con le mani, sembrava accaldata malgrado la temperatura fosse nettamente calata, il respiro divenne quasi affannoso, la voce si fece ancora più stridula ma stranamente incerta
“Questo è solo l'inizio degli orrori che accaddero da quel momento in poi- mormorò- quella sera io corsi nel mio camerino sopraffatta dalla vergogna, i direttori dissero che la ragazzina mi avrebbe sostituita nella rappresentazione e mentre lei si cambiava d'abito fecero cominciare il balletto per intrattenere il pubblico... ma a un certo punto...”
“A... a un certo punto... madame?”
“A un certo punto il macchinista cadde dalle travi sopra al palco, privo di vita, strozzato da un cappio”
“Oh mio Dio!”
“Già, il Fantasma lo aveva ucciso... io non lo vidi per fortuna, sentì solo le grida e le ballerine che correvano a destra e a manca... e poi, da quella sera, il Fantasma sparì per mesi, per poi ripresentarsi la sera di capodanno al ballo di gala dell'Opera e lì fu tutto chiaro da come la guardava, da come le parlava...”
“Cosa fu chiaro?”
“Che il Fantasma era innamorato di lei, della ragazzina! Quell'esserino inutile... stava accadendo tutta per colpa sua! E poi lei, del resto, ricambiava l'amore del Visconte... e certo! Lui era ricco e bello, quale partito migliore per quella sciocca approfittatrice! Dio la maledica!... il Fantasma lasciò lo spartito di una sua opera ai direttori, componeva, si credeva un genio della musica... e disse che quella dannata ragazzina doveva cantare nel ruolo della protagonista, ci terrorizzò tutti, e quella sera tentò anche di uccidere il Visconte che gli era corso dietro. Comunque sia i direttori, sotto consiglio del Visconte, decisero di mettere in scena l'opera per catturare il Fantasma... ma lui era folle e ci vuole ben altro che qualche poliziotto nascosto dietro le quinte per fermare un folle”
Alain aveva chiuso gli occhi e si era poggiato con la schiena contro il muro per riflettere, avrebbe potuto dubitare della veridicità di quel racconto, del resto era una storia tanto assurda! Ma il turbamento crescente che avvertiva nelle parole della sua interlocutrice non gli permetteva di mettere in dubbio che il suo racconto fosse reale.
“Metteste in scena l'opera del Fantasma, dunque... e cosa accadde poi?” incalzò il ragazzo sempre più desideroso di conoscere la fine di quella vicenda
“Quella sera la ragazzina cantò, Ubaldo, il mio Ubaldo... Ubaldo Piangi, tenore del teatro da diversi anni, faceva il protagonista, uscì di scena dopo la prima aria e quando il suo personaggio ricomparve sul palco c'era il Fantasma al suo posto... fu lui a cantare il duetto insieme a quell'inutile ragazzina... e quei dannati poliziotti non sparavano... e intanto lui... lui aveva ucciso il mio Ubaldo! Lo aveva strangolato con il suo cappio, come il macchinista”
Carlotta scoppiò in lacrime, violenti singhiozzi le facevano sollevare il petto nella scollatura dell'abito, si coprì il volto con una mano sopraffatta dalla tristezza, Alain deglutì sorpreso da come una donna così altezzosa e presuntuosa potesse cedere a tale dolore per l'uomo che aveva perso, le posò una mano sulla spalla e la guardò intenerito
“Suvvia madame, comprendo la vostra pena, ma fatevi forza” le mormorò
Carlotta tirò su col naso e pianse forte ancora per qualche minuto, poi quando riuscì a calmarsi decise di riprendere il suo racconto,
“Madame, non voglio che continuate- disse Alain- non credevo che i ricordi fossero così dolorosi per voi, non voglio arrecarvi altro male... vi prego, lasciate stare”
con quelle parole il giovane tentò di mostrarsi gentile e comprensivo nei confronti della signora, ma in realtà era davvero convinto di non voler ascoltare oltre lo sviluppo di quella vicenda, gli aveva provocato così tanto orrore quel racconto... come poteva un uomo uccidere così, a sangue freddo, solo per prendere il posto di un altro in una rappresentazione? E poi, perché?
“No, no ragazzo... è giusto che tu sappia come va a finire- sospirò Carlotta- dopo il duetto la ragazza tolse la maschera al Fantasma mostrando a tutti il suo volto deforme... era per quello che lui si nascondeva e viveva lontano da tutti... e credimi ragazzo, quel viso era davvero il viso del male! Oh avresti dovuto vederlo per capire quanto orrore! Ma il Fantasma si infuriò e sparì con la ragazza”
“Sparì? E come?”
“Con una botola, spinse una leva e lui e la ragazza sparirono in una botola sotterranea... e intanto fece crollare il lampadario e il teatro cominciò a prendere fuoco! Io non volevo scappare senza il mio Ubaldo... ma quando lo andai a cercare lo vidi morto a terra... e non c'era più niente da fare” disse la donna
“Madame... vi giuro, non ho parole per dirvi quanto mi addolora la vostra storia...- rispose Alain faticando a frenare le lacrime- ma della ragazza cosa ne fu? E del Fantasma?”
“Non lo so... so solo che una folla si radunò nei sotterranei per dare la caccia al Fantasma, trovò il suo rifugio ma era vuoto, e la ragazza a quanto pare fu messa in salvo dal Visconte perché ricomparvero entrambi molte ore dopo, incolumi... ora so che stanno per sposarsi.. in quanto al Fantasma, non si è più saputo nulla... molti dicono che sia morto, io non ci credo! Credo che sia scappato, fuggito da qualche parte”
Alain sospirò
“Avete detto che il volto del Fantasma era completamente deforme” disse
“No, solo una parte, la parte destra se non erro” mormorò Carlotta
il ragazzo trasalì, poi strinse gli occhi come per cacciare lo strano pensiero che gli era venuto in mente: la parte destra del volto esattamente quella che Erik teneva coperta dalla maschera!
“La parte destra?” ripeté in un sibilo
“Oh si, infatti quando comparì la sera che uccise il macchinista io lo vidi lontano ma ricordo distintamente il volto coperto solo per metà da una maschera bianca” concluse la donna
il giovane balzò in piedi e indietreggiò lentamente sulle gambe malferme, fino a posarsi con le spalle contro il muro dal lato opposto del vicolo,
“Che ti prende ragazzo, hai forse VISTO UN FANTASMA?!” Carlotta scoppiò in una risata isterica, mentre Alain avvertiva il sangue gelarsi nelle vene tanto da rendergli quasi impossibile respirare
“Un... un'ultima domanda... madame...- farfugliò- la ragazzina, qual'era... qual'era il suo nome?...”
Carlotta lo fissò con una smorfia teatrale di disgusto
“Christine, Christine Daae” rispose, per poi alzarsi in piedi, si tastò la faccia come per assicurarsi che le lacrime di poco prima non l'avessero segnata, si sistemò i guanti e le pieghe dell'abito e poi guardò Alain ancora immobile contro il muro davanti a lei completamente sconvolto dall'aver rammentato che quel nome era lo stesso che aveva sentito più volte pronunciare da Erik in sogno...
“Suppongo che ti dovrei ringraziare per avermi ascoltato, nessuno lo fa più ormai!- borbottò la donna- ma vedrai, presto qualche direttore di qualche importante teatro si ricorderà del mio talento e mi manderà a chiamare, il pubblico non può fare a meno di me! Au revoire garçon” ciò detto si allontanò a testa alta, senza risparmiarsi di lanciare uno sguardo indignato verso l'interno della locanda.
Alain si sentiva schiacciato contro quel muro, incapace di muoversi. Lacrime cocenti di sconcerto e delusione presero a scendere rapide dai suoi occhi portando un sapore stranamente amaro agli angoli della bocca. Non potevano esserci probabilità di errore. Il Fantasma dell'Opera portava una mezza maschera bianca per coprire il lato destro del viso, era un genio della musica, amava una ragazza di nome Christine... il Fantasma dell'Opera era sparito, fuggito... il Fantasma dell'Opera era Erik, e Erik dunque era stato un assassino!
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Rieccomi. L'autrice si cosparge il capino di cenere per non essere riuscita ad aggiornare entro una settimana, ma con l'inizio dell'università i tempi si stringono persino più fatalmente del laccio del cappio del nostro Master.
Tra l'altro nell'ultima settimana la mia vita è stata cosparsa di eventi che hanno portato via non solo tempo ma anche concentrazione (di buono c'è che erano tutti lieti eventi ^^).

Come al solito vi ringrazio per l'attenzione, per le letture e le recensioni.
Sono contenta che vi sia piaciuta Carlotta... sinceramente è piaciuto anche a me raccontare di lei... e spero che vi sia piaciuta anche questo capitolo...
E più di ogni altra cosa spero che questo capitolo non vi abbia annoiato visto che è nient'altro che la doppi ripetizione della storia che già conoscete.

Per Facy: il Master torna nel prossimo capitolo, promesso ;-) per ora spero che vi accontenterete del sentir raccontare la sua vicenda da due testimoni moooolto diverse. Eh si, la "sagace marchesa" ha già compreso ogni cosa... ma ora sarà costretta a prenderne atto definitivamente.
Per Monypotti: Ehehe... bhe, se ti consola posso anticiparti che almeno per ora la prospettiva sarà assai meno tragica di quanto credi. Nel prossimo capitolo saprai OGNI cosa del buon Louis, ad ogni modo perchè si sono sposati lui e Diane lo già accennato qua e là.... praticamente si sono sposati per dovere e nient'altro, non c'è un vero e proprio motivo ^^
Per Bloodred-rose: No, mi dispiace... Carlotta e Christine non credo avranno il piacere di rivedersi (almeno non per come ora penso che andrà la storia... comunque in questi giorni sto elaborando un'idea alternativa a quella che avevo quando ho cominciato a scrivere quindi niente è detto), comunque per gli scenari apocalittici... bhe, tra un pò potrebbe essere consigliata l'assunzione di ansiolitici prima della lettura XD

Il Master si scusa nuovamente per l'assenza ma promette di tornare nel prossimo capitolo.

I remain, gentleman, your obedient servant.

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Capitolo 21
*** Capitolo ventesimo ***


CAPITOLO VENTESIMO

Diane si lasciò cadere pesantemente contro il sediolino della carrozza e si stropicciò il volto con un gesto nervoso della mano.
Dunque, era successo tutto per amore. Per l'amore di una fanciulla. Per amore della graziosa Christine.
La marchesa si sentiva come se stesse galleggiando nel vuoto, non avvertiva il rumore e il dondolio della carrozza che si era rimessa in moto per riportarla a casa.
Ecco perché aveva fatto quel sogno. Ecco perché Erik aveva cercato di nasconderle che era stato lui ad aiutare sua figlia. Ecco cosa l'aveva spinta a interessarsi a quell'uomo: erano uguali, segnati dalla solitudine, ma lei prima non aveva potuto immaginare fino a che punto lo fosse anche lui. Ecco perché non riusciva a provare orrore, nonostante tutto. Ecco il perché di tante cose. Troppe perché il suo cuore potesse sopportarle tutte insieme.
Di quale folle, profondo, incondizionato amore era capace l'uomo che era stato il Fantasma dell'Opera? Di quali sentimenti estremi e terribili riusciva a vivere quella creatura?
Una sensazione improvvisa e invadente di calore le esplose dal più profondo dell'anima rimescolandole il sangue che solo poco prima aveva sentito gelarsi nelle vene.
Da quando aveva cominciato a provare quello strano e repentino interesse per quell'uomo? Non era in grado di rispondere a quella domanda, e tanti altri quesiti cominciarono a tormentale la mente. Quando aveva saputo che il circo che era tornato a Parigi era corsa a chiedergli di suonare per lei, per impressionare i suoi ospiti; scoprire che non sarebbe venuto era stato più bruciante di una semplice delusione. E poi era tornata a chiedergli di insegnare musica a sua figlia malgrado avesse strani e terribili sospetti sul suo conto. E anche adesso che aveva scoperto che i suoi sospetti erano fondati non riusciva a essere inorridita.
“Ma è un assassino...” si disse, lo ripeté ad alta voce, come per convincersene.
Si può amare un assassino, qualsiasi siano le sue scusanti?
“Ma io non lo amo... e lui non ha scusanti. Quanta gente avrebbe potuto morire in quell'incendio... anche io, anche Vivianne”
ma Vivianne era stata ritrovata, sana e salva... grazie a lui!
“Basta...” mormorò Diane, doveva smetterla di pensare quelle cose.
Aveva lasciato Christine con gli occhi ancora gonfi di pianto, con l'aria ancora addolorata. Non le aveva detto niente di quello che sapeva, non le aveva detto che quell'uomo era vivo, che era a Parigi e che, a giudicare dallo sguardo perdutamente triste, soffriva ancora per lei. Non le aveva detto che forse lui l'amava ancora, perché lei stessa non voleva ascoltare quella verità che mai come in quel momento le sembrava dolorosamente palese.
Era per questo che gli occhi di Erik erano così tristi. Era per Christine.
Un amore che conduce un uomo alla pazzia può essere dimenticato?
Domande strane si accavallavano tra i pensieri di Diane, domande a cui lei non avrebbe comunque potuto trovare risposta. Lei dell'amore non sapeva niente, era per questo che non riusciva a provare terrore o disprezzo per Erik, perché non poteva minimamente comprendere come la ragione soccombe al sentimento e danna l'anima. Era per questo che si era sentita invadere da una gelosia tanto amara: non c'entrava ciò che provava per quell'uomo, lei non avrebbe mai conosciuto quel sentimento.
“Maledetto...” sibilò la marchesa stringendo i pugni.
Maledetto lui e il suo circo, che sparisse al più presto. Maledetto per quello che aveva fatto, per il tormento che aveva lasciato nel cuore della piccola Christine e per il tormento che stava facendo nascere nel suo cuore.

“... lui non era cattivo... è il mondo che lo ha reso così, tutti lo hanno odiato, e lui ha odiato di rimando perché non ha conosciuto altro sentimento che il disprezzo...”

Quelle parole di Christine gettavano un sottile e incerto spiraglio di luce nel buio in cui stavano precipitando i pensieri della marchesa.
Lei stessa era convinta che i gesti più estremi nascevano dalle ragioni più eloquenti. E quale ragione poteva essere più sacrosanta dell'amore?
Come sarebbe stato Erik se il mondo non lo avesse odiato? Come sarebbe stato con una donna che ricambiasse i suoi sentimenti? Cosa sarebbe accaduto se qualcuno gli avesse mostrato il buono celato dietro a quelle che ad egli stesso sembravano le sembianze di un mostro?

Un mostro...

Cosa c'era sul suo viso? Cosa mai poteva esserci sotto quella maschera da renderlo così spaventoso? Come aveva potuto la sua deformità essere così profonda da penetrare fino a corrompere la sua anima?
E lei, cosa doveva fare ora? Aspettare che gli eventi si sviluppassero... ma svilupparsi verso quale direzione?
“Basta...- si ripeté con più durezza- basta...”.
La marchesa non sentì la ventata di aria fredda che invase la vettura quando il valletto aprì lo sportello della carrozza e le tese la mano per aiutarla a scendere.
“Madame, siete arrivata” disse il cocchiere, notando che lei non accennava a muoversi,
“Madame, vi sentite bene?” fece eco il valletto,
solo allora la donna si scosse e si decise a scendere.

*

Louis aprì il primo cassetto della scrivania e ne estrasse alcuni documenti che sistemò in una cartellina di cuoio. Rovistò sul fondo del cassetto e ne estrasse un piccolo plico di lettere tenute assieme da un cordoncino di seta. Era dal giorno in cui aveva fatto ritorno a Parigi che non le rileggeva, l'ultima volta che lo aveva fatto era stato mentre era ancora sulla carrozza, prima di raggiungere la sua casa. Sul fondo del cassetto c'era un'altra lettera, la busta era ancora chiusa, gli era stata recapitata direttamente lì, nella sue residenza parigina. Non l'aveva letta, ma l'indirizzo era vergato con una calligrafia che conosceva fin troppo bene.
L'uomo sospirò, e si sedette sulla sedia stringendo tra le dita la busta chiusa, la guardò come se fosse indeciso sul da farsi, poi dopo qualche secondo, afferrò il tagliacarte e tagliò il margine della busta, ne estrasse un foglio ripiegato con cura, lo posò sul piano della scrivania e cominciò a leggere:

Mio caro Louis,
Siete partito da quattro giorni, so che mi avevate raccomandato di non scrivervi mentre eravate in Francia, ma l'idea di non potervi parlare mi rattrista.
Ora giudicatemi una bambina sciocca, se lo ritenete opportuno, ma mi mancate.
Scrivo queste righe senza sapere se troverò davvero il coraggio di spedire la lettera, ma almeno mi è di consolazione poter fermare sulla carta ciò che vorrei dirvi, ciò che vi direi se foste qui. Prego solo che questa lettera non capiti nelle mani della marchesa. Potrei odiare quella donna per quanto la invidio, ma voi me ne avete parlato con così tanta ammirazione, con una tale tenerezza, l'avete descritta come una persona così adorabile e piena di spirito che non riesco ad avercela con lei. Posso solo continuare a ripetermi che non è lei la donna che amate. E non vi nascondo il compiacimento che provo a questo pensiero. È egoistico, me ne rendo conto, e l'egoismo è un peccato. Ma in tutto ciò che riguarda me e voi, noi due insieme, non c'è nulla che non sia peccaminoso, per cui affido senza troppa pena la mia anima all'inferno finché ho la certezza che voi affidiate la vostra a me. Ma io vi amo Louis, per questo non posso sopportare l'idea che anche la vostra anima sia condannata all'inferno per un peccato a cui vi ha condotto la mia debolezza di donna.
So che siete un nobile di Francia e per questo avete degli impegni con i vostri pari. E siete un uomo sposato, e ciò significa che avete fatto una promessa dinnanzi a Dio, una promessa che io non potrei mai chiedervi di disattendere. Quindi vi chiedo, quando farete ritorno in Spagna, non cercate più di me, non possiamo rivederci, non dovete rivedermi!
Onorate vostra moglie, siate un buon padre per vostra figlia e dimenticatemi.
Ma soprattutto, perdonatemi per gli errori che vi ho indotto a commettere.
Sempre vostra Clara.

L'uomo sospirò, ripiegò il foglio infilandolo nuovamente nella busta e ripose la lettera insieme alle altre dentro al cassetto.
“Clara...” mormorò con un sorriso triste.
Gli stava chiedendo di dimenticarla, di tornare indietro, di non cercarla. Lo stava lasciando e si stava prendendo la colpa di ogni cosa, di tutti i loro peccati. Ma era troppo tardi.
Louis si prese la testa fra le mani e affondò le dita tra i capelli. Erano passati sette anni da quando aveva sposato Diane. Non l'aveva scelta per convenienza, era già un uomo ricco dal nome importante e non aveva bisogno né di ricchezze né di parentele che incrementassero il suo prestigio. Lei era diversa dalle altre ragazze che si comportavano come animaletti addomesticati nella speranza che un ricco signore potesse vedere in loro una futura moglie devota. Ma non l'aveva scelta nemmeno per amore: lui era un uomo pratico, sapeva come andava il mondo e conosceva le regole a cui un nobile di Francia doveva sottostare. Era suo compito scegliere una donna con la quale fare dei figli che perpetuassero il suo nome, nient'altro. Poi il dovere lo aveva condotto in Spagna, era partito sapendo che per alcuni anni avrebbe dovuto servire il suo paese restando lontano dalla propria casa, a costo di perdersi la giovinezza di sua moglie e l'infanzia di quella figlia messa al mondo quasi per dovere. E tutto questo senza che sua moglie gliene facesse mai una colpa, senza che lei lo disonorasse. Louis conosceva i pettegolezzi che serpeggiavano tra i salotti della nobiltà e non c'era mai stata nessuna chiacchiera infamante sulla condotta di Diane. Alla fine lei si era dimostrata una buona moglie, forse migliore di tante altre nobildonne apparentemente più sottomesse alle regole dell'alta società, persino migliore di lui.
Sembrava che tra loro due ci fosse un tacito accordo riguardo al fatto che avrebbero potuto fare a meno dell'amore, ma poi, in Spagna lui aveva incontrato Clara, e aveva conosciuto l'amore in un letto che non era il talamo nuziale, e quel sentimento gli aveva avvelenato l'anima, facendogli dimenticare ogni dovere e ogni regola. Non era stata la debolezza di donna di Clara a farlo cedere, era stato il suo stesso sangue a reclamare un pizzico di quella meravigliosa e complessa alchimia che è l'amore.
E ora Louis si sentiva perduto. Non avrebbe mai potuto essere così crudele nei confronti di Diane e di sua figlia da rompere quel matrimonio e tornare in Spagna lasciando loro due in balia di uno scandalo. Né sentiva di avere la forza per condannare se stesso all'infelicità, lontano dall'unica donna che avesse mai amato.
“Louis...” Diane lo chiamò bussando leggermente alla porta dello studio, lui sobbalzò
“Avanti” disse con voce incerta, lanciando un'occhiata al cassetto per assicurarsi di averlo chiuso,
la marchesa socchiuse la porta e si fermò sull'uscio
“Volevo dirvi che sono rientrata, vi auguro la buona notte” disse semplicemente, senza avvicinarsi
“Si... buona notte Diane” rispose lui abbozzando un sorriso,
“Vi sentite bene Louis? Siete pallido...”
“I preparativi per la partenza sono snervanti”
“Capisco” tagliò corto la donna richiudendo la porta dopo un ultimo cenno di saluto.
Louis sospirò chiedendosi se sua moglie avesse capito qualcosa in quelle settimane, se avesse notato il suo atteggiamento particolarmente distaccato e la sua aria spesso assente. Pregò Dio di indicargli una strada, poi si decise ad andare a letto, preparandosi a una notte che sarebbe stata insonne e tormentata.

*

Erik era steso nel suo letto con le mani dietro la nuca, la lampada ad olio era ancora accesa. Non si era tolto i vestiti né la maschera, sapeva che Alain al suo ritorno sarebbe andato da lui per raccontare con il suo entusiasmo infantile le meraviglie che aveva visto visitando Parigi di sera. Lalla, la scimmietta che aveva da sempre mostrato una certa simpatia nei suoi riguardi, era appollaiata sulla testata del letto, con un leggero pigolio cercò di attirare l'attenzione di Erik che allungò una mano ad accarezzarle il muso tozzo,
“Aspetti anche tu il nostro amico?” chiese l'uomo spostando lo sguardo verso l'animale, per poi soffermarsi a pensare a quanto aveva appena detto: da quando in qua Alain era suo amico? Da sempre forse. Ma lui non ci aveva mai dato peso, non lo aveva mai considerato tale eppure all'improvviso si era reso conto di come tutto era così profondamente cambiato negli ultimi mesi. A cominciare dai suoi stessi sentimenti.
L'immagine di Christine tornava a tormentarlo ogni notte, eppure, di giorno la compagnia di Alain, il suo lavoro nel circo, i giorni che si accavallavano uguali ma pieni di rumori e di vita, gettavano un velo sempre più opaco sui suoi ricordi.
Erik si mise a sedere sul bordo del letto e osservò la sua tenda, non era altro che una porzione di terreno circondata da pareti di tela, spoglia di tutti gli orpelli con cui aveva abbellito la sua dimora sul lago nei sotterranei dell'Opera, i suoi abiti erano umili, le sue dita accarezzavano ogni sera un vecchio violino, e lui era solo un uomo, ma un uomo che aveva un posto nel mondo.
E poi c'erano quella bambina e sua madre, di colpo l'idea di recarsi in casa loro per dare lezioni di musica alla piccola Vivianne non gli sembrò più una cosa tanto folle. La bambina lo adorava, su questo non poteva avere dubbi, e la marchesa doveva avere quanto meno un po' di stima e di fiducia in lui se lo aveva invitato in casa propria.
L'uomo lasciò cadere la maschera sul guanciale e sfiorò con le mani il proprio viso. Sul lato destro della faccia le dita tastarono i solchi della pelle grinzosa, i contorni della grande piaga che aveva tolto per sempre al suo aspetto la bellezza che lo avrebbe contraddistinto se non avesse avuto quella deformità. Poi le dita scesero verso il mento fermandosi ad altezza della bocca e fu lì che Erik notò un'altra anomalia: le sue labbra stavano sorridendo. Non gli era mai capitato, non in quel modo, senza un motivo preciso. Dondolò la testa e indossò nuovamente la maschera, senza smettere di sorridere, pensando che, se avesse potuto guardarsi allo specchio, avrebbe visto un uomo normale che poteva concedersi il lusso di ignorare quella maschera e ciò che essa nascondeva.
“Qualcosa sta cambiando” disse a sé stesso.
La scimmietta gli saltellò su una spalla solleticandogli il collo con la punta della coda.
“Dovrò dire la verità ad Alain- mormorò Erik come se stesse parlando con l'animale- posso solo sperare che comprenda e apprezzi il fatto che almeno con lui sia stato onesto... se lo merita”
Lalla squittì scendendo dalla spalla dell'uomo e saltellando fuori dalla tenda, Erik la seguì, indovinando che la scimmietta aveva sentito il suo padrone rientrare, infatti l'uomo vide da lontano la sagoma alta e snella di Alain che camminava a passi rapidi verso la sua tenda. Lo chiamò ma il ragazzo non rispose.
“Ehi, Alain!...” Erik tentò una seconda volta, il giovane si fermò e spostò lentamente il capo in direzione del musicista
“Ti devo parlare” disse semplicemente l'uomo
“Un'altra volta... vado a dormire!” gridò da lontano il pagliaccio per poi dirigersi verso i suoi alloggi.
Erik scrollò le spalle, era evidente che il suo amico fosse nervoso e pensò che poteva essere a causa di un'avventura andata male. Non poteva immaginare la verità e non si era reso conto che il volto del ragazzo era rigato di lacrime.
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Sorpresa!!! (mi riferisco alla faccenda di Louis naturalmente....)

Sono contenta che lo scorso capitolo vi sia piaciuto, ero abbastanza preoccupata perchè mi sembrava ridondante ^^;
Grazie per le recensioni e grazie di cuore a tutti quelli che sono passati di qui.
Al prossimo capitolo.

I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 22
*** Capitolo ventunesimo ***


CAPITOLO VENTUNESIMO

Il tempo cura, riordina e rimescola, aiuta e quando non ci riesce assopisce e getta polvere sulle macerie lasciate dal passaggio di qualche tempesta.
Il tempo sarebbe servito a qualcosa forse. Ma nessuno ne era sicuro.
Non ne era sicura Christine che si avviava verso il coronamento del suo sogno d'amore sicura delle sue scelte ma piena di rimorsi per il passato. Non ne era sicura Diane che non riusciva a trovare pace, a far combaciare i richiami del cuore con i comandi della ragione. Non ne era sicuro Erik che non riusciva a rifiutare la proposta della marchesa di fare da insegnante a sua figlia, continuamente diviso tra il bisogno di rivivere momenti che si stavano quasi perdendo nella sua memoria e il bisogno di cancellare il passato con ricordi nuovi. Non ne era sicuro nemmeno Alain, che notte dopo notte, si rigirava nel letto, pieno di delusione e amarezza, davanti alla quali non riusciva a prendere una decisione. E neanche Louis riusciva a convincersene, mentre preparava il suo ritorno in Spagna, senza sapere cosa i suoi sentimenti gli avrebbero fatto fare una volta arrivato.
I giorni passavano lenti e nella gloriosa Parigi c'erano persone che non riuscivano a trovare pace, come se i loro animi e le loro vicende personali volessero preannunciare l'arrivo di quell'ondata di violenza che la storia avrebbe presto scagliato sulla città.

*

Nella residenza dei De Valois l'ultima settimana era trascorsa lenta, i giorni erano stati uno stillicidio di tempo che non si decideva a passare. Louis si era dedicato quasi con foga ai preparativi per la partenza, nella speranza di tenere occupata la mente e distrarsi dal pensiero di ciò che lo attendeva al suo ritorno in Spagna, e naturalmente le sue preoccupazioni non erano di natura professionale. La servitù non aveva potuto fare a meno di notare, invece, quanto l'umore della marchesa fosse instabile, la donna passava da momenti di apatica malinconia a sprazzi della più odiosa e insopportabile irritabilità. Colette si era voluta convincere che il cattivo umore della sua padrona dipendesse dal fatto che presto suo marito l'avrebbe lasciata nuovamente sola, ma da qualche anno ormai, le partenze del marchese lasciavano sua moglie se non indifferente, quanto meno, tranquilla e rassegnata. L'unica persona che sembrava aver conservato la sua allegria era la piccola Vivianne, la bambina appariva in preda a una strana euforia, come se attendesse un gran bel regalo che avrebbe ricevuto a breve, parlava delle lezioni di musica e sembrava davvero entusiasta.
Louis partì il giorno stabilito, in mattinata, sua moglie e sua figlia attesero in giardino fin quando la carrozza non varcò il cancello della tenuta, poi tornarono in casa.
“Oggi verrà a farmi visita un'amica” annunciò Diane a Colette, dirigendosi verso la fornita biblioteca della casa, con l'intento di cercare una lettura che la distraesse,
“Posso sapere chi, madame?” domandò la cameriera rincorrendo la sua padrona
“Christine Daae, il suo fidanzato si è trattenuto fuori città più del previsto e lei si sente molto sola”
“Potremmo invitarla a restare qualche giorno, se posso permettermi un suggerimento”

Già... così nei giorni a venire assisteremo a un magnifico incontro tra il Fantasma dell'Opera e il suo vecchio amore mai dimenticato...

“Non credo sia una buona idea far restare qui mademoiselle Daae- disse Diane, cercando di scacciare via i pensieri sulla fanciulla e sul Fantasma- già è abbastanza vittima delle malelingue, non oso immaginare cosa direbbero di lei se passasse la notte fuori casa in assenza del suo fidanzato”
“Oh, si madame, avete ragione, non ci avevo pensato” concluse Colette in tono di scusa
“Cosa sta facendo mia figlia?”
“Contempla il pianoforte in salotto”
“Magnifico! Visto, Colette, abbiamo trovato un modo per farla stare tranquilla”
“Ah... si...”
“Ora lasciami sola per favore- concluse la marchesa sull'uscio della biblioteca- per il pranzo e la cena scegli tu cosa preparare, non ho voglia di pensare alla casa adesso”,
Colette osservò la sua padrona chiudersi la porta della biblioteca alle spalle e alzò gli occhi al cielo
“Ah, Signore, dona un po' di pace a quella povera anima in pena!” sussurrò, per poi dirigersi verso le cucine, gracchiando ordini agli altri componenti della servitù.

Rimasta sola Diane fissò gli imponenti scaffali di legno scuro intarsiato, i libri erano sistemati in perfetto ordine sulle mensole. Louis doveva essersi occupato personalmente di quei volumi, erano posizionati non solo in ordine crescente di altezza, ma anche i colori delle copertine, alcune in pelle, altre in tela, erano abbinati con gusto.
Lo sguardo di Diane cadde sull'ultima mensola in basso, nell'angolo sulla destra erano sistemati alcuni libri in orizzontale e sembravano buttati lì a casaccio. Dovevano essere quelli che il marchese non amava e di cui si sarebbe volentieri sbarazzato, ma ce ne era uno in particolare che Diane non avrebbe mai permesso che venisse gettato via. Il libro in questione era diverso da tutti gli altri, aveva la copertina in cartone e sembrava sgualcito. Il titolo, in caratteri stampati in nero recitava: Les Fleurs du Mal- C. Baudelaire.
Quell'opera, una raccolta di poesie di uno strambo artista morto solo pochi anni prima, aveva avuto una storia travagliata, era stata pubblicata e poi ritirata per “oltraggio alla morale”, così si era detto nel processo, era stata editata nuovamente con diversi tagli e censure, ma il volume che Diane teneva tra le mani era una copia della prima edizione, quella con tutte le poesie, comprese quelle scartate nelle edizioni successive, perché considerate troppo audaci. Lei amava quelle poesie, pensava che non ci fosse nulla di così offensivo nei temi che trattavano, persino i versi più audaci non erano altro che una metafora di una ribellione meno violenta e lesiva di quanto sembrasse. La diversità andava accettata, non messa al bando!
La donna sospirò e aprì a caso il libro, la pagina era la numero 70, la poesia si intitolava Un Fantộme. Diane scosse il capo pensando che la casualità a volte faceva scherzi davvero poco gradevoli..

“Dans les caveaux d'insondable tristesse
où le Destine m'a dèja releguè,
où jamais n'entre un rayon rose et gai
où seul avec la Nuit maussade hotesse

Je suis comme un peintre qu'un Dieu moqueur
condamne à peindre, helas sul le ténèbres...”

“Nelle gemonie di tristezza nera, dove sepolto mi ha la Malasorte, sinistro ostello di luci morte cui presiede la Notte, aspra megera- lesse Diane con un filo di voce- dove a dipinger tenebre un Iddio beffardo mi condanna...”,
dopo quei primi versi la marchesa ripose il libro e si lasciò cadere su una poltrona.
Continuava a pensare a lui con un tormento sempre maggiore nel quale non c'era niente di quel romanticismo che dovrebbe caratterizzare i pensieri di una donna per un uomo che l'ha in qualche modo stregata. Diane continuava a pensare a Erik chiedendosi cosa fosse giusto fare. Non aveva detto a Christine che lo aveva incontrato, che sapeva che era vivo e per di più, che era proprio a Parigi. Non era stata del tutto onesta nei confronti di quella fanciulla che le aveva aperto il cuore, ma non lo aveva fatto solo per quell'inspiegabile senso di gelosia che l'aveva colta dopo aver ascoltato il racconto di Christine. Se lei o Erik si fossero esposti in qualsiasi maniera per rivedersi, e se qualcuno li avesse scoperti sarebbe stato un disastro, per entrambi. Ma ciò che non aveva detto a Christine non era l'unica cosa che la preoccupava. Non sapeva cosa fare con i suoi stessi sentimenti, non riusciva a odiare il Fantasma come invece aveva fatto il resto della città. Non riusciva a credere che dietro al violinista da circo si nascondesse ancora un mostro.

Un uomo con quegli occhi non può essere un mostro!

L'indomani Erik sarebbe venuto a casa sua per cominciare le lezioni di musica con Vivianne. La marchesa si decise a rimandare i suoi dubbi e i suoi pensieri al giorno dopo, sperando che quando avrebbe rivisto l'uomo le sarebbe stato tutto molto più chiaro. Sperando che in lui avrebbe potuto trovare un segno per decidersi a condannarlo o ad assolverlo definitivamente.

*

Era passata una settimana. Un altra settimana a Parigi, e per Erik non c'erano stati problemi. Una strana e piacevole sensazione stava cominciando a impadronirsi di lui, un'emozione leggera alla quale non riusciva a dare un nome, evidentemente solo perché non l'aveva mai provata prima, ma se avesse avuto dimestichezza con quel genere di sensazioni avrebbe saputo che quella era serenità.
Aveva fatto consegnare un biglietto alla marchesa in cui le diceva che accettava la sua proposta di insegnare musica alla bambina. Pensandoci bene, ne era quasi contento, anche se non era del tutto convinto che fosse una buona idea, quella bambina lo spiazzava con una tenerezza che lui era certo di non meritare e sua madre lo sopravvalutava, non era un uomo che meritava tanto interesse, come avrebbe potuto lui, che aveva vissuto tutta la vita rinchiuso nei sotterranei di un teatro, riuscire a sostenere anche solo una semplice discussione con quella donna così brillante e vitale? Cosa avrebbe dovuto dirle una volta messo piede in casa sua?
Erik appuntò ancor qualche nota sul suo quaderno, pensando che si stava creando decisamente troppi problemi, non aveva motivo e non avrebbe dovuto avere nessun tipo di interesse nel chiedersi come risultare gradevole a quella donna. In effetti aveva di meglio a cui pensare, Alain per esempio, nell'ultima settimana gli era sembrato così strano, era scostante e di pessimo umore, ogni volta che poteva si allontanava dagli alloggi del circo e in quei giorni loro due non erano riusciti a parlarsi. La cosa ad Erik non piaceva, voleva assolutamente dire la verità a quel ragazzo, stranamente aveva notato che il suo passato gli faceva ogni giorno meno male, ma per liberarsene del tutto avrebbe dovuto almeno essere onesto con l'unica persona che gli voleva bene.
Ma Alain era davvero l'unica persona che gli voleva bene? Eloise di certo non lo avrebbe mai dimenticato e Christine... chissà se pensava ancora a lui. Chissà se lo aveva perdonato fino in fondo. E naturalmente c'era la simpatia che provava Vivianne, ma lei era solo una bambina... e sua madre che sembrava ammirarlo più di quanto meritasse. Già, Diane... e lei era una donna, una bella donna...
Erik sospirò riponendo il violino e lanciando un'occhiata ai pentagrammi che aveva riempito di note. C'era stato un tempo in cui la sua esistenza non aveva avuto altro scopo se non l'arte e il riuscire a conquistare Christine. Adesso era tutto più confuso, meno chiaro... rivedere Christine per riuscire a dirle addio e dimenticarla! Chiudere con il passato e diventare davvero solo un uomo! Ma ad ogni modo i suoi progetti più prossimi erano di ben altra natura e riguardavano un futuro ben più definito e a portata di mano: l'indomani. Il giorno dopo sarebbe dovuto andare per la prima volta dalla marchesa per insegnare a sua figlia, e di colpo si rese conto che la cosa era più complicata di quanto potesse sembrare, considerando che lui negli ultimi mesi non aveva mai messo piede fuori dal circo!

*

Christine salutò Diane con un affettuoso bacio sulla guancia, la marchesa la condusse in un salotto dove si sedettero in attesa del the.
“Come stai Diane?- chiese la ragazza- sarai dispiaciuta per la partenza di tuo marito?”
Diane sollevò appena un sopracciglio
“Facciamo finta che io sia una signora come si deve, se così fosse ti direi: assolutamente si” rispose laconica
“Ma, Diane... non ti dispiace?”
“Ci ho fatto l'abitudine, tu piuttosto, come stai? Come procedono i preparativi?”
“Ah è quasi tutto pronto, ieri sono stata dal sarto, ho provato l'abito da sposa è praticamente finito, però è noioso preparare tutto con Raoul che è fuori città, non so nemmeno se quello che sto facendo va bene...”
“Capisco cara, ma per me non è mai stato un problema agire con la mia testa- rispose la marchesa lasciando affondare una zolletta di zucchero nella tazza fumante- comunque sia, quando tornerà il visconte?”
“Tra dieci giorni e io...” Christine abbassò lo sguardo e arrossì lievemente come una bambina che è stata colta con le mani nella marmellata
“Tu cosa?”
“Oh Diane, ho fatto una cosa pessima, alle spalle di Raoul, mi sento così in colpa!”
Diane ebbe un sussulto, di improvviso pensò che Christine avesse saputo di Erik, che fosse andata a cercarlo,
“Cosa, Christine?” domandò cercando di mascherare l'ansia,
“Ieri la mia amica Meg mi ha accompagnato dalla sarta per la prova finale dell'abito- esordì la ragazza- ebbene devi sapere che lei lavora nel corpo di ballo del teatro dell'Odeon e mi ha detto che stanno mettendo in scena un'opera che io conosco molto bene, sai... in tanti anni a teatro ho imparato a memoria molte arie liriche...”
“Certo, capisco, ma cosa c'entra?” domandò Diane confusa, ma anche contenta perché le sue preoccupazioni sembravano infondate
“Ebbene, la mia amica mi ha detto che la primadonna del teatro ha dato forfait e la sostituta potrà farne le veci, tranne che mercoledì prossimo, perché ha un'improrogabile impegno familiare, la commemorazione di un parente defunto pare... non ricordo...”
la marchesa sorrise divertita, aveva già capito tutto e aveva anche compreso la natura dell'agitazione e del senso di colpa di Christine
“Dunque mi è stato proposto di sostituirla, per quella sera...” concluse la ragazza
“E tu non hai saputo dire di no” le fece eco Diane
“Esattamente, ma mi rendo conto che se Raoul lo sapesse non apprezzerebbe... ma io... oh amica mia, il teatro mi manca così tanto!”
“Bhe Raoul non può impedirti di fare una cosa che ami, e ad ogni modo è fuori città e non può opporsi”
“Ma è proprio per questo che mi sento in colpa, capisci?! È come se stessi tramando a sua insaputa” brontolò Christine
“Non si può sempre rinunciare, non si può essere sempre dei martiri mia giovane amica... ogni tanto fa bene cedere a qualche tentazione” rispose la marchesa con un sorriso complice. Era assolutamente convinta che Christine avesse fatto bene ad accettare la proposta della sua amica e tornare a cantare se ne sentiva il bisogno.
“Se Raoul lo scoprisse...” mormorò la ragazza portandosi una mano alla fronte in un gesto ansioso
“Bhe, se Raoul ti ama, e io sono certa che sia così, vedrai che capirà”
“Ma c'è un'altra cosa... che mi spaventa assai più della reazione di Raoul” ammise Christine
“Cioè?”
“Diane, è tanto tempo che non canto! Da quando...bhe, dalla sera dell'incendio”
“Hai cantato qui in casa mia, alcune settimane fa e sei stata perfetta!”
“Non è la stessa cosa...- mormorò la ragazza torcendosi le mani- lì ero accompagnata da un pianoforte, con poca gente attorno, non immagini cosa possa significare cantare con un'orchestra sperando che ogni nota dei tanti strumenti che ti accompagnano sia perfetta in modo da non farti stonare, e allo stesso tempo cercare di rendere perfetta la tua voce in modo che si accordi alla musica... e poi, il teatro, il pubblico... oh, Diane, non so se ho fatto bene ad accettare!”
“Non dirlo nemmeno per scherzo! Hai fatto benissimo, sono certa che un'ultima sera di trionfo ti aiuterà a trovare l'energia necessaria ad affrontare il futuro e poi, se ti fossi rifiutata saresti rimasta con il rimorso di non aver tentato- esclamò la marchesa- la vita è fatta di scelte e di rischi Christine e c'è sempre una qualche scelta che impone delle rinunce e delle sofferenze, a noi o a qualcun altro che ci è vicino”
Christine cercò per un attimo lo sguardo di Diane. La marchesa le aveva detto ciò che lei già sapeva, perché lo aveva imparato sulla propria pelle, eppure proprio in quel momento quelle parole scagliatele contro con tanta grinta la ferirono. Se avesse avuto la forza d'animo, il carattere deciso di Diane forse sarebbe stato tutto più facile. Chissà cosa avrebbe fatto lei al suo posto? Chissà se sarebbe scappata via come una vigliacca davanti al dolore dell'Angelo della Musica?
“A cosa pensi Christine?” domandò la donna
“A te... a come sarebbe stato se fossi stata come te, se ci fossi stata tu al mio posto- rispose la fanciulla con candore- tu non saresti scappata”
Diane comprese a cosa si stesse riferendo la sua interlocutrice e avvertì l'improvvisa sensazione di qualcosa di pesante che le veniva scagliato contro il petto. In effetti lei aveva tentato di scappare per tutta la settimana appena trascorsa, scappare da sé stessa e dalla responsabilità di prendere atto di qualcosa di strano che cominciava a provare.
“Nemmeno tu sei scappata, hai solo scelto. E comunque non è solo voltando le spalle e andando via che si scappa...” mormorò la marchesa
Christine si morse il labbro mentre nella sua mente i pensieri si accavallavano e si confondevano impedendole di trovare, in quella strana matassa, qualcosa da rispondere all'affermazione di Diane. Ma un bussare alla porta del salotto esonerò la ragazza da tale compito,
“Avanti” mormorò la marchesa,
dall'uscio fece capolino la testolina di Vivianne con i capelli scompigliati e i piedi nudi, evidentemente si era appena svegliata dal suo riposo pomeridiano
“E tu, sei forse uscita dalla bottega di un fabbricante di bambole difettose?” chiese sua madre guardando contrariata lo stato in cui si era presentata la bambina
“Vivianne... venite qui!” la voce della governante arrivò affannata dal fondo del corridoio, poi la povera donna aprì la porta del salotto con una spazzola in una mano e un paio di piccole pantofole di raso nell'altra
“Scusate, marchesa...-disse la povera donna cercando di riprendere fiato- la bambina mi è sfuggita di mano prima che riuscissi a pettinarla e a renderla presentabile”
“Stai tranquilla Martine, sono a conoscenza del fatto che mia figlia è peggio di una tempesta quando c'è da sistemarsi come si conviene a una signorina per bene” rispose Diane, per poi tornare a guardare Vivianne con aria di rimprovero
“Ma mamma, mi fa male quando mi pettina!” protestò la piccola
“Se tu stessi ferma quando ti spazzolano i capelli non sentiresti male!- rispose prontamente sua madre, poi le fece cenno di avvicinarsi- ma visto l'entrata trionfale che hai fatto ora vieni qui e lasciati almeno presentare alla mia amica, fingeremo che tu sia conciata a dovere e spero che mademoiselle Daae voglia chiudere un occhio sulla tua trascuratezza!”,
Christine osservò la bambina avvicinarsi a lei e a sua madre camminando scalza sul morbido tappeto che ricopriva il pavimento. Aveva l'aria allegra e un po' mascalzona della piccola peste, ma sembrava adorabile.
“Mademoiselle Daae non si sveglia spettinata anche lei?” domandò Vivianne perplessa, senza riuscire a capire perché sua madre facesse tante storie solo perché non aveva i capelli in ordine e le pantofole ai piedi,
Christine rise di gusto alla domanda ingenua della piccola e le sorrise
“Si, anche io mi sveglio spettinata, ma non sono bella come te senza i capelli in ordine” le disse con dolcezza
Vivianne ridacchiò compiaciuta a quel complimento, le piaceva essere ammirata, poi si sistemò sulle ginocchia di sua madre e guardò la loro ospite cercando di capire dove l'aveva già vista,
“Tu sei la cantante del teatro! Quella della sera che ha preso tutto fuoco!” esclamò
“Ti ricordi di me?” domandò Christine stupita
“Si, Vivianne ha una memoria impressionante per le facce delle persone...” spiegò Diane, sperando che la bambina evitasse di raccontare del suo Angelo e di tutto quanto riguardasse quella faccenda
“Ma allora tu canti- proseguì la bambina visibilmente colpita- io domani comincio a studiare musica!”
“Ma che bella notizia Vivianne!- esclamò Christine- comunque, io non canto da un po' di tempo, però penso che la musica sia una cosa bellissima...”
“E se ti piace perché non canti?” insistette la piccola
“Vivianne, perché devi sempre trovare le domande più inopportune da fare alle persone?!- borbottò Diane tirando leggermente l'orecchio della bambina- scusala Christine, è davvero una piccola impicciona decisamente indiscreta”
“Lo sono tutti i bambini del resto” rispose la ragazza
la marchesa pensò che fosse il caso che sua figlia le lasciasse sole, avrebbe davvero potuto fare qualche danno con la sua lingua lunga, chiamò la governate e le disse di pettinarla e vestirla con cura.
“Tua figlia è una bambina adorabile” commentò Christine quando Vivianne fu uscita
“Si, ma io la preferisco quando dorme” rispose ironica la marchesa
“Oh, non fare finta di essere scorbutica, si vede che non hai occhi che per lei!”
“In effetti è vero, è la mia unica ragione di vita” concluse Diane con un sospiro.

Il pomeriggio fu piacevole, dopo l'allegra incursione della bambina i dialoghi tra Chrisitine e Diane cominciarono ad avere temi più leggeri e il tempo trascorse in fretta lasciando che il pomeriggio diventasse sera quasi senza che le due donne avessero occasione di rendersene conto.
Christine si decise a tornare a casa poco prima dell'ora di cena, Diane la accompagnò in giardino, fino alla carrozza che l'avrebbe riportata a casa,
“Grazie Diane, la tua compagnia mi fa bene” ammise la ragazza prendendo per mano la marchesa
“E' stato un piacere Christine- rispose la marchesa con un sorriso- e sappi che ci tengo molto a sentirti cantare mercoledì prossimo”
“Oh, verrai?”
“Certo!”
“Allora davvero non ho parole per ringraziarti”
Diane abbassò lo sguardo, non era certa che il suo comportamento nei confronti di Christine fosse il più giusto da adottare, non era nemmeno sicura di aver fatto bene a incoraggiarla a cantare...
“Christine... c'è una cosa che dovresti sapere” disse all'improvviso
“Si, dimmi pure”
la marchesa deglutì, poi si morse il labbro... non poteva dirglielo, non ora!
“Nulla... nulla, cara, volevo solo dirti di tenere duro, ormai manca davvero poco la matrimonio” concluse sbrigativa
“Si” rispose Chirstine con un sorriso contento, poi chiuse lo sportello della carrozza
“Ci vediamo mercoledì, nel vostro camerino, mademoiselle Daae!” esclamò Diane con aria complice, la ragazza la salutò con un cenno dal vetro della carrozza che già cominciava ad allontanarsi.
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Note:

Capitolo tutto al femminile, con un pò di accenni agli "altri". Spero vi sia piaciuto.
Chiedo umilmente perdono per aver tenuto troppo tempo il Master lontano da queste pagine... ma i prossimi due capitoli saranno tutti suoi!!!
I Fiori del Male sono uno dei libri che più amo e non potevo non trovare loro una collocazione in una fanfiction su una delle mie storie preferite.
Annunciazione!!! Annunciazione!!! Non so se l'ho detto la volta scorsa, comunque, dopo un periodo ascetico di meditazione e digiuno (ovvero studio di sociologia e dieta ferrea) la sottoscritta ha deciso di cambiare la trama dei capitoli conclusivi della storia così come erano stati pensati quando ha cominciato a scrivere la fanfiction... la qual cosa significa anche qualche catostrofe e qualche capitolo in più. Per gli eventuali pomodori da lanciare consultare le pagine gialle alla voce "fruttivendoli".

Grazie a tutti.

Per Facy: mi hai scaldato il cuore con la tua analisi sul personaggio di Louis nel precedente capitolo, hai compreso perfettamente ciò che volevo trasmettere con quel paragrafo su di lui. Per quel che riguarda Erik e la marchesa, staremo a vedere... poi dipende cosa voi intendete per "intrecciare una relazione", Diane è pur sempre una donna sposata ed Erik non è così stupido da buttarsi di nuovo in un altro amore perso in partenza... ma... restate in onda e vediamo un pò che succede ^^
Per Monipotty: l'autrice qui presente ti presta la sua fiala di valium (ce l'ho sempre a portata di mano, che a scrivere di un certo Fantasma si finisce sempre per averne bisogno) e ti suggerisce di fare un bel riespiro... ok, torno seria... suvvia... suvvia, tranquilla. Gli imprevisti servono, non può mica andare tutto troppo bene, del resto mi era stato fatto notare che la storia procedeva in maniera troppo rosea (e anche solo "rosa") quindi... un pò di scombussolamento non potrà che farci bene... in caso contrario propongo una bella camomilla colletiva
Per Bloodred_rose: Diciamo che in parte ci hai visto giusto... cioè I CASINI DI DIMENSIONI COSMICHE SONO IN ARRIVO!!!... ok, come al solito ho un pò dilatato i tempi e per l'arrivo della catastrofe dovrete aspettare ancora un pò... ma, arriverà... arriverà un incontro tra "vecchie conoscenze" anzi anche più di uno XD... e arriveranno le conseguenze della scoperta di Alain... e arriverà una smossa nella vita della famiglia De Valois... ma con calma, con molta calma... nel frattempo suggerisco un the con biscottini, gongolandosi amenamente nella lettura delle tua nuova fanfiction (per cui la sottoscritta ha esultato mica poco XD).

I remain, gentlema, your abedient servant.

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Capitolo 23
*** Capitolo ventiduesimo ***


CAPITOLO VENTIDUESIMO

Ci riusciva tanta gente, praticamente ogni essere umano sulla faccia della terra, perché non avrebbe dovuto riuscirci anche lui? A questo pensava Erik tenendo sottobraccio il suo violino e il suo quaderno da musica, mentre in tasca teneva il biglietto con l'indirizzo della tenuta della marchesa. Ci riuscivano tutti, ce l'avrebbe potuta fare anche lui, bastava mettere un piede davanti all'altro e fare come se si volesse spingere via il suolo. Camminare non era poi così difficile. Camminare per le strade di una città non era tanto diverso dal passeggiare nei dintorni del circo.
Il mondo non poteva più fargli del male ora che era un uomo.
Erik ripeté a sé stesso questo pensiero ma sentì un dolore bruciante percorrergli la schiena, lì dove tanto tempo prima aveva ricevuto frustate e colpi di bastone.
Il mondo non era cambiato, non era pronto ad affrontare la diversità.
Forse era meglio lasciar perdere, forse era il caso di rifiutare la proposta della marchesa e non andare da lei. Forse era il caso di non vedere mai più quella donna, tanto da lì dieci giorni il circo avrebbe lasciato Parigi e lei non sarebbe più tornata a perseguitarlo con la sua sfrontatezza. E non avrebbe più sentito la voce di quella bambina che lo chiama il “suo Angelo”.
Non era un vigliacco, non si era mai nascosto per mancanza di coraggio, si era nascosto per difendersi, per sopravvivere. Era cresciuto nell'idea che solo restando nascosto avrebbe potuto sopravvivere, e così era stato, prima da solo nei sotterranei del teatro e poi tra le tende del circo insieme a quella gente. La libertà che il suo aspetto gli aveva negato gli pesava meno di quanto pensasse ora che avrebbe dovuto uscire dal suo nascondiglio. Gli era capitato in passato di uscire alla scoperto, ma solo a notte fonda, quando la città dormiva e per strada c'erano solo altri rinnegati come lui.
Aveva paura, semplicemente. Non c'era molto da fare. Poteva rinunciare, era nel suo pieno diritto mandare al diavolo la marchesa e la sua marmocchia petulante. Ma poi?... poi non gli sarebbe rimasto nessun ricordo bello per affrontare il futuro, perché qualcosa dentro di lui gli faceva presagire che avrebbe incontrato molte cose belle da ricordare se non si fosse negato quella possibilità.
Erik sospirò, si frugò nelle tasche per cercare il biglietto con l'indirizzo e lo rilesse.

Stupido, è solo un modo per perdere tempo, conosci a memoria quell'indirizzo...

“Coraggio- mormorò a sé stesso- ci riescono tutti gli altri, posso riuscirci anche io!”.
Erik fece qualche passo, allontanandosi lentamente dagli alloggi del circo, piano, come per lasciarsi la possibilità di abituarsi all'idea o di tornare indietro nel caso si fosse reso conto che era qualcosa di più grande di lui. Ma dopo una decina di minuti si rese conto che alle sue spalle non si vedevano più le tende e i carrozzoni del circo e davanti a lui si disegnavano già i tetti delle case di Parigi.
Non c'era bisogno di attraversare tutta la città, la casa dei De Valois non era nel centro cittadino, e quando dopo quasi mezz'ora di cammino trovò quello che cercava si lasciò scappare un sospiro di sollievo: Erik, l'uomo non il Fantasma, ce l'aveva fatta, ottenendo molto di più di quello che aveva avuto quando un intero teatro era sottoposto al suo comando.
Oltrepassò il cancello e il giardino, arrivando davanti al portone d'ingresso della villa, di certo non aveva intenzione di passare da qualche entrata secondaria come l'ultimo dei servi. Bussò energicamente alla porta e attese, dopo pochi secondi un'anziana domestica gli venne ad aprire.
La donna lo guardò con aria perplessa soffermandosi stupita a guardare la sua maschera. Tutte le persone che aveva incrociato per strada l'avevano notata, ma sembrava gli dessero meno peso di quanto lui aveva sempre pensato, in fondo Parigi era una grande città e di gente bizzarra in giro ce n'era abbastanza da rendere un uomo mascherato meno interessante di quanto si potesse credere.
Colette si concesse ancora qualche secondo per mettere a fuoco la figura dell'uomo. A parte la strana maschera che portava, ciò che colpiva maggiormente erano i suoi occhi chiari, lo sguardo austero e glaciale che lanciavano e che era reso ancora più impressionante dalla sua figura imponente ma non priva di una certa eleganza. La domestica non seppe nemmeno decidersi se considerarlo bello o brutto, di certo le appariva strano.
“Ehm... cosa posso fare per voi, monsieur?” chiese lei incerta
“La marchesa mi sta aspettando, sono il maestro di musica di Vivianne” rispose l'uomo, il suono della sua voce era forse più impressionante del suo aspetto, aveva un tono caldo e carezzevole e allo stesso tempo deciso e fermo.
Colette sbatté le palpebre in un'espressione perplessa,
“Ah... siete voi” mormorò spostando lo sguardo sulle mani che reggevano il violino, quelle dita erano inequivocabilmente quelle di un musicista.
Erik chinò leggermente il capo in avanti, chiedendosi quando la vecchia si sarebbe decisa a farlo entrare, poi oltre le spalle della cameriera vide comparire una figura familiare.
“Non avevo dubbi che sareste stato di una puntualità impeccabile!” esclamò la voce di Diane,
solo allora Colette si decise a spostarsi e fare largo al musicista che entrò in casa e si diresse verso la marchesa,
“Buon giorno madame” mormorò semplicemente.

Un uomo, nient'altro. Come poteva Diane provare paura o risentimento? Eppure aveva ucciso, eppure aveva manifestato la più ceca pazzia, la più malsana ossessione. I pensieri ricorrenti che l'avevano assillata in quei giorni tornarono prepotenti ad assediarle la mente nel preciso istante in cui Erik aveva messo piede in casa sua.
Temerne la spietatezza o ammirarne la passione, per quanto cieca e folle aveva potuto essere?
Gli occhi di Erik erano un po' meno tristi, ma lasciavano ancora vedere quanto tormento si celasse nella sua anima.

“Madame, vi sentite bene?” la voce dell'uomo la strappò alle sue riflessioni,
“Si... benvenuto monsieur” rispose prontamente lei sforzandosi di sorridere,
“Bene. Dov'è Vivianne?”
“La governante sta finendo di prepararla, è sempre una faticaccia cercare di vestirla e pettinarla, tentare di prepararla come si deve”
“Come si deve? Perché, cosa c'è da preparare in vostra figlia? È una bambina, è perfetta così com'è” asserì Erik
“Ah, per carità, non fate mai un'affermazione del genere davanti a lei, potrebbe svenirvi tra le braccia, è così civettuola!”
“Non credo lo sia, è una bambina a cui piace sentirsi amata... come tutti i bambini, immagino”
Diane accennò un sorriso
“Cosa vi rende così loquace?- chiese sarcastica- forse è perché non siamo all'aperto, preferite i luoghi chiusi voi, ho indovinato?”
Erik arricciò le labbra
“Che razza di domanda è?” borbottò
“Niente, non fateci caso, dicevo per dire. Comunque, venite di là, vi mostro il pianoforte”
Diane posò delicatamente una mano sul braccio del suo ospite, attraversò l'ampia sala di ingresso della villa e lo condusse nel salone.
Erik si guardò intorno, non aveva mai visto una vera e propria casa, ad eccezione di quella di Madame Giry, e si stupì di quanto una villa nobiliare fosse piena di spazio inutilizzato. In quella casa vivevano solo la marchesa e sua figlia, insieme ai domestici, cosa se ne facevano di soffitti così alti, di così tanti divani e poltrone, di tutte quelle porte che immettevano in altre camere tutte vuote?
L'uomo guardò di traverso la marchesa che camminava accanto a lui, tenendolo per il braccio. Dunque non era necessario un volto deforme per essere condannati alla solitudine? Dunque esistono prigioni più belle e più ariose dei sotterranei del teatro?
“Eccolo” disse Diane indicando il pianoforte a coda posizionato al centro della stanza poco lontano dal camino, Erik si avvicinò allo strumento e lo osservò
“Ma è nuovo!” esclamò
“Si, lo ha comprato mio marito un paio di anni fa, ma né io né lui sappiamo suonare, lo teniamo solo per farlo suonare a qualche ospite durante le feste” spiegò la marchesa
Erik sollevò il coperchio che proteggeva la tastiera e provò qualche accordo
“Ha un buon suono, è un ottimo strumento, madame, vostro marito sa scegliere bene a quanto pare” disse
Diane ridacchiò
“Non so se è un modo implicito per farmi un complimento, ma io lo prenderò come tale” rispose
“Ah già, quasi dimenticavo la vostra sfrontatezza, alla quale dovrei aggiungere anche un po' di immodestia forse” mormorò Erik senza scomporsi
“Volete dire che non merito un apprezzamento galante per quanto velato?”
“Non è mia abitudine fare apprezzamenti sulle donne, specie sulle donne sposate. E comunque una bella donna non credo abbia bisogno di sentirselo dire”
Diane si concesse un'altra risata
“Dite? Allora si vede che conoscete poco le donne!” esclamò guardando divertita il suo interlocutore,
lui scrollò le spalle
“Detto così non mi sembra un complimento” commentò in tono piatto
“Le donne sposate non fanno complimenti ad altri uomini” rispose prontamente la marchesa
Erik incassò il colpo, l'ennesimo ricevuto da quella donna che avrebbe potuto persino essere adorabile nella sua furba sfacciataggine.
“Raccontatemi di voi” disse all'improvviso Diane, cogliendolo assolutamente impreparato
“Immagino che sia inutile ricordarvi che il vostro invadente interessamento è fin troppo audace per una donna sposata- rispose lui quasi con ironia- non c'è molto da sapere su di me”
“Io invece credo di si”,
la donna lo guardò negli occhi in uno dei rari tentativi riusciti di sostenere il suo sguardo, c'era una strana severità nel modo con cui lo stava guardando ed Erik dovette accorgersene perché corrugò lievemente la fronte in un accenno di perplessità, ma subito l'espressione di Diane divenne scanzonata,
“A dire il vero, più che sapere voi chi siete, mi interessa sapere cosa deve fare qualcuno per ottenere la vostra fiducia” aggiunse, facendo suonare quella frase come una battuta detta per caso
“Non so cosa possiate farvene della mia fiducia” ribatté Erik con durezza, tornando serio quando fino a pochi secondi prima sembrava si stesse lasciando andare
“Con la fiducia si può fare tutto, ad esempio io vi ho dato la mia fiducia permettendovi di venire in casa mia e di insegnare a mia figlia e voi ora potreste fare di tutto”
“E che cosa potrei mai avere intenzione di fare, secondo voi?”
“Tradire la fiducia che vi ho accordato, in qualsiasi maniera. Ci sono così tanti modi per farlo”
“Ditemi, tutto questo discorso è forse un modo per rimproverarmi del fatto che ho eluso la vostra richiesta di raccontarvi di me?” chiese Erik, mentre gli occhi tornavano a brillargli di quella strana ferocia che rendeva così tagliente il suo sguardo. Si sentiva spalle al muro, gli capitava spesso con Diane ed era una sensazione che non gli piaceva... non gli piaceva perché temeva che prima o poi la marchesa sarebbe riuscita a farlo cedere.
“Pensandoci bene- disse Diane, continuando a mantenere l'aria tranquilla di chi stava parlando giusto per ingannare l'attesa- non mi interessa nemmeno sapere chi siete”
“Ah no?”
“No, lo so già...”.
La marchesa proferì quell'ultima breve affermazione in un sussurro appena percettibile, lanciando verso Erik un altro sguardo pieno di un'incomprensibile durezza. L'uomo sussultò, non era certo di aver udito bene, né di aver compreso il senso di quelle parole, ma non ebbe tempo di fare domande, perché in quel momento arrivò Vivianne che gli corse incontro con entusiasmo.
“Che bello che sei qui!” esclamò abbracciando quello che sarebbe stato il suo maestro
Erik cercò di togliersi dalla mente le ultime parole scambiate con la marchesa e accarezzò la testa della bambina.
“Molto bene, ora che siamo tutti felici e contenti... spero vivamente che lo sia anche il nostro maestro- esclamò Diane- vi lascio alle vostre lezioni”
“E tu mamma che farai?” domandò la bambina senza accennare minimamente a volersi staccare da Erik
“Me ne starò nel salotto qui accanto a leggere un buon libro. In quanto a voi, monsieur, spero che mia figlia non si riveli un'allieva troppo indisciplinata, in caso contrario siete autorizzato a far cadere accidentalmente il coperchio della tastiera sulla sue belle manine. Buona lezione”
ciò detto Diane si allontanò in silenzio, Erik la seguì con lo sguardo e si rese conto di sentirsi smarrito e confuso come non lo era mai stato in vita sua. Fortunatamente avrebbe frequentato quella casa solo per un paio di settimane, e magari anche meno, altrimenti quella donna lo avrebbe fatto impazzire!

“Non c'è bisogno di farmi male alle mani, prometto che sarò buona” disse Vivianne quando sua madre fu andata via, poi corse a sedersi sullo sgabello davanti al pianoforte
Erik si inginocchiò per arrivare alla sua altezza e le prese il mento tra l'indice il pollice
“Ti svelo un piccolo segreto, Vivianne- mormorò- non farei male alle tue belle manine in ogni caso”
la bambina ridacchiò
“Ma questo- precisò Erik rimettendosi in piedi- non significa che tu non debba essere buona!”
“Sarò più buona di Gesù Bambino, promesso!”
l'uomo le concesse un mezzo sorriso, poi si mise a camminare attorno al pianoforte cercando un modo per cominciare, avrebbe dovuto cercare di farle imparare tutti i nomi delle parti di cui è composto un pianoforte, ma se si fosse messo lì a farle un elenco di nomi da imparare di certo la bambina avrebbe cominciato a trovarlo meno affascinante di quanto aveva fatto fin'ora, così decise di cominciare direttamente dalle note e dalla tastiera, tutte le nozioni tecniche avrebbe avuto modo di impararle più in là e poteva farlo benissimo da sola. Erik sapeva che era controproducente fare da maestro alla bambina per una sola settimana, tanto lei si sarebbe trovata presto ad avere a che fare con un nuovo insegnante, ma le ragioni che aveva spinto la marchesa a scegliere lui per quei primi giorni erano abbastanza comprensibili: Diane voleva che sua figlia si appassionasse alla musica e cominciando con quell'uomo che adorava sarebbe stato più facile, quindi tanto valeva mostrare alla piccola la parte più affascinante di ciò che avrebbe imparato.
“Non arrivo con i piedi su quei cosi” disse la piccola con aria preoccupata indicando i pedali davanti a lei
“Non ti preoccupare, per ora quelli non ci servono” spiegò Erik
“Si ma cosa sono?”
“Sono i pedali che servono a far cambiare il suono, ma sono l'ultima cosa che hai da imparare, ora fammi posto”,
Erik si sedette sullo sgabello al posto di Vivianne, poi fece sedere la bambina sulle sue gambe e le mostrò le sue mani,
“Guarda Vivianne, le dita, quando suono il pianoforte devono posarsi in questo modo sui tasti...” le spiegò arcuoando leggermente le dita e mostrandole come farle cadere sulla tastiera, premette dei tasti che diedero una nota il cui suono si sparse quasi rimbombando nella grossa sala vuota,
“Questa nota che hai sentito è un LA, è una nota molto importante perché serve per accordare gli strumenti, è un punto di riferimento”
“Cosa vuol dire accordare?” domandò la piccola
“Significa sistemare uno strumento in modo che sia intonato perfettamente, se non lo fosse le note non suonerebbero bene e poi non potrebbe suonare insieme ad altri strumenti- disse Erik- vedi, le parti di cui è fatto uno strumento, soprattutto le parti che gli permettono di suonare, si consumano o possono cambiare e quindi c'è bisogno di regolarle in modo che mantengano sempre le note perfette”
“Anche con il violino?”
“Si, con il violino si tendono le corde grazie a quelle piccole chiavette in fondo al manico”
“E con il pianoforte?” domandò Vivianne sempre più interessata
“Bhe per il pianoforte ci sono dei martelletti che toccano delle corde che a loro volta producono il suono... ma questo te lo farò vedere un'altra volta magari, ora torniamo a noi...”.

“E' da non credere” mormorò Diane scuotendo il capo.
Stava osservando la scena da una porta socchiusa alle loro spalle. Sua figlia ed Erik, lei era tranquilla e attenta più di quanto lo fosse mai stata e lui... lui era disarmante per la calma e la competenza, per la pazienza che stava usando con la bambina, era quasi dolce.
“Il Fantasma dell'Opera...- mormorò la marchesa- quell'uomo! Faccio sinceramente fatica a crederlo...”
ma poi ricordò del racconto di Christine, lei le aveva detto che la voce le aveva dato lezioni di canto ed era stato un ottimo maestro. Forse non era così stupefacente che Erik fosse tanto capace di trattare con i bambini, eppure aveva vissuto una vita intera lontano da tutti!
Diane sospirò, era davvero triste pensare che, qualunque fossero stati gli errori commessi da quell'uomo, lui forse non avrebbe mai avuto una famiglia e dei figli suoi.
E ancora una volta la marchesa si ritrovò a chiedersi cosa poteva mai esserci dietro quella maschera di tanto orribile.

Quando Erik annunciò che la lezione era terminata Vivianne si lasciò scappare un'espressione triste. Diane li raggiunse nel salone,
“Avete avuto bisogno di chiuderle le dita nel coperchio molte volte, monsieur?” chiese scherzosamente
“Nemmeno una, madame” rispose lui lanciando alla bambina uno sguardo complice.
“Ci vediamo domani Vivianne” concluse Erik
“Vi accompagno alla porta” disse Diane avviandosi verso l'uscita,
arrivati davanti al portone l'uomo la guardò beffardo e incrociò le braccia sul petto
“Lo so che mentre io e vostra figlia eravamo al pianoforte voi stavate origliando, madame- mormorò con aria saputa- dunque non è poi vero che vi fidate di me”
la marchesa sospirò
“Non vi spiavo perché non mi fido di voi, vi spiavo per cercare di conoscervi meglio” rispose
“Uhm, e pensare che mi era parso che aveste detto che sapete già chi sono”
“So che il mio giardiniere è un giardiniere, ma non so che tipo di persona è”
Erik dondolò il capo
“Si, va bene, mi arrendo!” ammise alzando le mani in segno di resa
Diane rise,
“Non sarebbe la prima volta” rispose sarcastica
“Bhe, voi siete una donna che ama parlare e io un uomo di poche parole, non c'è da stupirsi che con la dialettica siate più brava di me”
“E' vero, ma resta il fatto che vinco sempre io”
“E allora non mi resta che sperare che vincere così facilmente diventi noioso e la smettiate” concluse Erik
“Non vedo dove sia il problema, tra due settimane partirete e non credo ci rivedremo” disse lei
“Esatto. Ora devo tornare, madame, vi auguro buona serata”
“Altrettanto... e... Erik, grazie”.

*

Alain accarezzò il muso del mulo che stava brucando l'erba accanto a lui. A breve Erik sarebbe tornato, chissà come era andato il pomeriggio a casa della marchesa.
Il ragazzo si raggomitolò contro una roccia che sporgeva dal terreno prendendo le gambe tra le braccia. Si sentiva uno sciocco, avrebbe dovuto capirlo da solo che c'era qualcosa di terribile nel passato di quell'uomo, di una persona così burbera e malinconica, così poco disposta a parlare di sé. Doveva immaginare che il fatto che Erik portasse sempre la maschera non era un voto come lui gli aveva raccontato. Doveva arrivarci da solo, ma lui era figlio di una vecchia mentalità che credeva che se una persona fosse più brava di un'altra allora ne veniva di conseguenza che fosse anche più buona, ed Erik era infinitamente migliore di lui sotto tanti punti di vista, eppure il racconto di quella donna, di quella cantante, non lasciava spazio ad equivoci: era stato crudele e spietato, e per cosa poi? Per un capriccio...
Era cattivo. Lo era davvero? Possibile che non ci fossero spiegazioni migliori per la vicenda del Fantasma dell'Opera? Possibile che non ci fosse un motivo valido dietro a tutta quella follia? No, non c'era, se ci fosse stato Erik avrebbe raccontato la sua storia, ammesso le sue colpe e illustrato le sue giustificazioni. È così che agisce un uomo di coscienza, un uomo giusto, perché al mondo dopotutto esistevano solo gli uomini giusti e gli uomini cattivi. Ed Erik non era stato né coscienzioso né giusto, era stato un vigliacco! E soprattutto, gli aveva mentito e gli aveva nascosto ogni cosa, a lui, proprio a lui che gli aveva sempre voluto bene, che era stato suo amico.
Alain non riusciva a farsene una ragione, a capire perché quella delusione così cocente fosse toccata proprio a lui che era sempre stato buono con tutti.
In quei giorni il ragazzo non riusciva a ritrovare il suo buon umore e la sua spensieratezza, era pieno di dubbi, di angosce. Si chiedeva cosa fosse giusto fare, se consegnare Erik alle autorità o se fingere di non sapere e dimenticare. In quei giorni lo aveva evitato, ma per quanto poteva continuare a farlo? E più di tutto, Alain si sentiva in dovere di pensare alla sua famiglia, non poteva pensarla al sicuro con un assassino in mezzo a loro. Ma allo stesso tempo non sapeva se avrebbe mai trovato la forza di tradire Erik.
Il ragazzo era perso in queste riflessioni quando vide da lontano il musicista che rientrava. Decise che era meglio non farsi trovare, nemmeno quel giorno si sentiva pronto ad affrontarlo, del resto cosa avrebbe dovuto dirgli?

Erik non fece caso ad Alain che si alzava dall'angolo di prato in cui era seduto e si dirigeva verso la sua tenda, cercando di non farsi vedere. Era sovrappensiero. Pensava al pomeriggio appena trascorso e alle parole della marchesa:

... Non mi interessa sapere chi siete, lo so già...

Si sedette su una sedia e ripose il violino e il quaderno.
“Lei lo sa” disse a sé stesso, convinto della soluzione a cui i suoi ragionamenti erano giunti.
Diane sapeva, non poteva essere altrimenti, del resto lui l'aveva sempre trovata una donna intelligente e in quanto tale non avrebbe potuto non capire...
Una strana agitazione si impadronì di lui. Si stava forse cacciando nei guai? Perché la marchesa non lo aveva denunciato? Possibile che lei fosse così comprensiva? Al punto da permettergli di frequentare casa sua?
Era del tutto irrazionale.
“E' completamente pazza... pazza almeno quanto me!” si disse Erik, scoprendo che il suo cuore aveva preso di colpo un ritmo strano. L'uomo si promise che prima di andare via da Parigi avrebbe parlato con quella donna e cercato di capire cosa l'aveva spinta a comportarsi in quel modo sconsiderato.
Ma in effetti lui non le aveva fatto del male, e non avrebbe mai e poi mai creato il minimo dispiacere a lei o alla bambina, e quella donna non aveva niente da temere da lui. Come avrebbe potuto nuocere loro, erano così...

... così care...

“Così care...” si disse deglutendo nervosamente, quasi infastidito dal non riuscire a trovare niente dalla sua antica ferocia nei suoi pensieri per Diane e sua figlia.
“No, sono più pazzo io!” borbottò tra sé e sé Erik passando una mano sulla maschera, come se all'improvviso avesse sentito il bisogno di ricordarsi chi era... e cosa era stato.
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Eccoci qui... pensieri... mondi che si toccano... chissà cosa ne verrà fuori (non è una battuta sadica, fino a poco fa non lo sapevo neanche io, non so se ve l'ho già detto ma di recente ho cambiato idea per la trama della fanfiction, quindi sono ancora incerta anche io su come andranno le cose).
Spero che vi piaccia, non sono brava con questo genere di cose, non lo dico per dire... (in particolare il dialogo tra Erik e Diane...spero non suoni troppo "moderno" della serie "oh ma quello\a ci sta provando!!!")
Chiedo scusa per la maldestra lezione di musica, non è il mio campo.

Per Anto: Ebbene no, nemmeno in questo capitolo ti sarà servito il valium immagino. Magari solo un pò di insulina XD Sapevo che avresti apprezzato la poesia ^^ Comunque, Diane non strozza Christine perchè infondo Diane "non è una di noi" ahahah... faccio uno sfozo immane ogni volta che devo farle incontrare, cerco di ricordarmi "Diane non sei tu, non farle uccidere Christine sennò la storia come la porti avanti?!?!?"... Grazie tesòòò per la recensione, al prossimo capitolo e ai prossimi scleri messengeriani XD

Per Monipotty: Christine e Erik... bhe prima o poi si rincontreranno... ma poi poi poi... XD Sono contenta che il personaggio della marmocchia continui a piacervi, io non sono una grande esperta di bambini e ho sempre paura di fare qualche pasticcio.

Per Yuko_chan: Grazie per aver recensito e per i complimenti... oddio, ma allora mi spiate nell'ombra prorpio come il Fantasma O_O Scherzi a parte, spero che la storia si mantenga all'altezza delle tue aspettative, fino alla fine (e non è che ci manchi molto XD)

Per Bloodred_rose: Grazie davvero per quello che mi hai scritto, sono ocntenta che la storia non vi stia annoiando, condierando che questi sono tutti capitoli di passaggio. L'apocalisse è in agguato... dalla fine del prossimo capitolo in poi, promesso (spero solo che sia abbastanza apocalittico per te ^^). Oddio spero di non averti tolto il sonno... anche perchè tu DEVI scrivere... (si avvisa la gentile clientela che la RosaRossoSangue qui presente ha cominciato una nuova fanfiction fantasmosa e il primo capitolo mi ha già lasciato sui carboni ardenti XD).

Alla prossima.
I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 24
*** Capitolo ventitreesimo ***


CAPITOLO VENTITREESIMO

Vivianne si morse il labbro e scese dallo sgabello troppo alto per lei. Era sul punto di mettersi a piangere.
Erik disse a se stesso che non era stata una buona idea, ora ne era completamente convinto. Sapeva che non avrebbe potuto fare da maestro alla bambina per più di una decina di giorni e ora era arrivato il momento di salutarla. Maledisse sua madre per quella folle idea e per essere riuscita a convincerlo e maledisse se stesso per non essere stato così fermo da rifiutare, per essersi lasciato tentare dall'idea di poter fare di nuovo ciò che gli riusciva meglio: mettere il suo genio a servizio della musica, nel delicato e difficile compito di trasmettere parte di questo genio a qualcun altro. Del resto il talento spesso è più una maledizione che un dono, quando hai un grande talento non puoi reprimere il desiderio di sfruttarlo, e se lo ignori rischi di implodere, di soffocare.
Quell'ultima settimana era stata difficile. Erik aveva cercato di domare il suo cuore e assopire il lato più impulsivo del suo carattere, nei lunghi mesi trascorsi nel circo c'era riuscito, faticosamente, quasi con dolore, perché non era facile dimenticare ciò che il suo animo era capace di provare quando tutte le notti sognava l'unica donna che avesse mai amato e tutti i giorni si svegliava smarrito e deluso nel comprendere che si era trattato solo di un sogno. Ma alla fine era riuscito a segregare certe emozioni nella parte più recondita della sua coscienza, fino a quando negli ultimi giorni quella bambina e sua madre non gli avevano ricordato che la vita ha una sola possibilità di essere definita tale: quando è vissuta con qualcuno che ti rende felice. E in quella settimana Erik si era sentito assai prossimo alla felicità, più di quanto non lo fosse mai stato.
Aveva ancora un conto in sospeso con la marchesa: aveva bisogno di capire perché lei lo avesse accettato senza riserve davanti alla consapevolezza che lui fosse il Fantasma dell'Opera. Era innegabile che lei lo avesse capito, e nel momento in cui Erik ne aveva preso atto aveva anche afferrato il senso di tutte le strane domande e allusioni che lei aveva cominciato a rivolgergli.
Quel pomeriggio si sarebbero dovuti salutare e lui non aveva intenzione di lasciarla senza capire.
“Sono stata contenta” disse Vivianne con la vocina che le tremava
“Di cosa?” domandò lui
“Che sia stato tu a insegnarmi...”
“Ah. Si, ora però Vivianne promettimi che continuerai a studiare musica, tua madre ci tiene tanto e io sono certo che tu diventerai molto brava”,
la bambina sorrise, combattendo coraggiosamente contro i lacrimoni che minacciavano di cadere. Evidentemente aveva ereditato da sua madre la stessa forza d'animo.
“Continuo, promesso” disse convinta
“Molto bene” concluse Erik alzandosi e riprendendo le sue cose
“La mamma ha detto che domani sera ti verrò a vedere, è l'ultima sera del tuo circo a Parigi”
“Si, è l'ultima, ripartiamo dopodomani”
“La mamma ha detto anche che lei non verrà perché domani ha un impegno importante... io vengo con Martine”
“La tua governante?”
Vivianne fece un cenno affermativo poi guardò l'uomo con aria titubante
“Voglio che mi dici una cosa” mormorò
“Si?”
“Perché quella prima volta che io e la mia mamma ti abbiamo visto al circo tu hai detto di non essere stato tu ad aiutarmi la sera a teatro?”
Erik chinò il capo cercando di trovare la risposta migliore per non urtare la suscettibilità della bambina.
“Quella sera a teatro mi sono successe delle cose brutte, faccio di tutto per non ricordarmela” spiegò
“Allora non sei stato contento di avermi incontrato?”
“Oh no, sono stato contento di averti rivista e sono contento di essere qui, ma quando ho visto te e tua madre comparire nella mia tenda mi sono sentito un po' troppo sorpreso”
“Ah... va bene...” concluse Vivianne, mentre sull'uscio del salone comparve la sua governante che le fece cenno di venire a prepararsi per la cena, la bambina sospirò riluttante a salutare il “suo Angelo”,
“Ci vediamo domani sera- concluse Erik per incoraggiarla ad andare- tu e Martine potrete venire a salutarmi dopo lo spettacolo”
“Allora ci salutiamo domani” concluse la piccola dirigendosi verso l'uscita della stanza,
“Noi invece ci salutiamo adesso, monsieur” disse Diane entrando dopo aver guardato sua figlia allontanarsi insieme a Martine.
Erik prese un grosso respiro: era arrivato il momento di affrontare quella donna.
“Mi stupisce che perdiate l'occasione di essere con vostra figlia domani sera” le disse,
la marchesa abbassò lo sguardo; se solo lui avesse saputo! Se solo avesse saputo che il motivo per cui l'indomani non poteva andare al circo era il fatto che Christine tornava a cantare, probabilmente per l'ultima volta in vita sua e lei le aveva promesso di non mancare!
“Mi dispiace, credetemi...” mormorò, poi guardò l'uomo, era in piedi davanti a lei e sembrava non volersi decidere ad andarsene,
“Avete qualcosa da dirmi Erik?...” gli chiese perplessa,
“Più che altro sto pensando a cosa avreste dovuto dirmi voi e non lo avete fatto” rispose lui guardandola negli occhi
“Non vi seguo...”
“Davvero? Non capite, suvvia, siete una donna così sagace, è stata la prima cosa che ho pensato di voi quando vi ho incontrata. Voi sapevate chi sono...”
Diane ebbe un sussulto comprendendo dove il suo interlocutore voleva arrivare, del resto nemmeno lui era uno stupido e lei lo aveva continuamente sottoposto a una serie di allusioni a volte persino non troppo velate.
“Ero lì a teatro la sera dell'incendio... ho conosciuto la vostra storia... solo una stupida non avrebbe capito” concluse la marchesa con voce incerta
“E vi ho appena detto che non vi giudico tale, solo non capisco perché una donna tanto intelligente abbia permesso a uno come me di entrare in casa sua e di fare da maestro a sua figlia” aggiunse Erik freddo
“Se aveste voluto far del male a mia figlia, non l'avreste aiutata la sera dell'incendio, avevate tutta Parigi alle costole quella sera, eppure siete tornato indietro per metterla al sicuro, rischiando di farvi scoprire e catturare. Hanno inventato le storie più assurde dopo il disastro dell'Opera e tutti parlavano di un mostro... io ho conosciuto solo un uomo”
Erik lanciò verso Diane uno sguardo privo di qualsiasi emozione. Non aveva fatto nulla per lasciare a quella donna un buon ricordo di sé, non credeva nemmeno che gli importasse farsi stimare da lei, ma ora l'aver appreso che conosceva il suo passato gli provocò un dolore così intenso e inaspettato che il fatto di riuscire a reggersi ancora sulle proprie gambe gli sembrò quasi un miracolo.
E ora avrebbe voluto urlarle di scappare, di andare a denunciarlo. La forca sarebbe stata la migliore delle consolazioni per lui.
“Dunque, sapevate chi sono e siete ancora qui a parlare con me invece che in un ufficio della gendarmeria, allora facevo bene a credervi pazza” pronunciò quelle parole con una calma impressionante, ma dentro di sé avrebbe voluto gridare: non si era mai vergognato della violenza che si celava nel suo animo, nemmeno quando Christine gli aveva urlato che lo odiava per la mostruosità del suo animo e non per quella del suo volto, ma ora davanti alla calma con cui Diane gli aveva detto di conoscere la sua vera identità si sentiva un verme.
“Non mi avete ancora detto perché...” aggiunse lui
“Perché sono in debito con voi, avete aiutato mia figlia”
Era solo per quello?... Ad ogni modo Erik si sentì sollevato da quella risposta, la gratitudine era pur sempre un sentimento migliore della pietà,
“Perché non mi avete almeno lasciato in pace Diane?” aggiunse sospirando
“Perché non è liberandovi di me che vi sareste sentito in pace- rispose lei- Voi forse non avete il diritto di assolvervi ma io non ho il diritto di condannarvi perché non posso comprendere il vostro dolore e ciò che avete dovuto patire... temo che dovrete vivere come un uomo e scoprire da solo cosa siete in grado di essere”
“Non avrei mai voluto che lo scopriste, ma ormai non ha più molta importanza, questa è l'ultima volta che ci vediamo”
Diane annuì, mentre una parte della sua anima reagiva a quella frase come se fosse stata una pugnalata,
“E' vero, sembra che io abbia finito di perseguitarvi e non so chi di noi due deve avere più paura di questo”

...forse entrambi...
... forse nessuno dei due!

Erik e Diane non si resero conto di chi aveva fatto per primo quel passo che li aveva portati ad avvicinarsi, ma la mano dell'uomo si ritrovò a stringere quella di lei.
Com'è fatto un bacio dato con passione? I loro occhi sembravano domandarselo a vicenda, visto che nessuno dei due fino a quel momento aveva mai avuto occasione di scoprirlo. La risposta al quesito fu una sensazione dolce e allo stesso tempo incandescente. Le braccia di Erik si stringevano saldamente sulla schiena di lei, una mano di Diane era posata dietro la sua nuca, un'altra sul suo petto ad altezza del cuore, come a tastarne i battiti rapidi, quasi violenti.
Un bacio dato con passione è fatto come un'onda che si infrange sull'anima lasciandole il sollievo della sua freschezza e la voglia di abbandonarsi alla marea per poterne ricevere ancora.

*

Era quasi sera, Christine osservava il giorno che finiva con addosso la strana sensazione che il tempo fosse trascorso troppo velocemente. L'indomani sarebbe tornata su un palco a cantare, di nuovo, davanti a un pubblico. Non poteva dire di avere paura, sarebbe stato sciocco, aveva conosciuto momenti ben peggiori, aveva conosciuto la paura guardandola negli occhi, quel sentimento che ti gela il sangue e ti paralizza ogni pensiero. Quando conosci quel tipo di terrore non puoi sentirti spaventata da l'idea di doverti esibire in pubblico.
Christine accartocciò l'ennesimo foglio e lo lasciò rotolare sul piano dello scrittoio. Stava cercando di scrivere una lettera a Raoul. Lui era a Saint- Etienne du Rouvray, una cittadina nei pressi di Rouen, lì la sua famiglia aveva delle proprietà e il visconte aveva da tempo preso in considerazione l'idea di trasferirsi lì dopo il loro matrimonio.
Del resto Raoul non era uno stupido, conosceva i tormenti e i rimpianti che si celavano nell'animo della sua amata fidanzata e si era convinto che molte delle ombre del loro passato avrebbero potuto dileguarsi se si fossero trasferiti lontano da Parigi. Senza contare che per loro la vita sarebbe stata molto più serena lontano dalle malelingue che continuavano a sputare veleno su quelle nozze, quasi che il loro amore gli desse fastidio più di ogni altra cosa.
Christine si era finalmente decisa a scrivere una lettera di scuse al suo promesso in cui lo informava del fatto che l'indomani sarebbe tornata a cantare in pubblico, forse per l'ultima volta. Voleva scusarsi per aver preso questa scelta senza consultarlo e voleva metterlo a parte della cosa, tanto ormai era tardi per tornare indietro e, comunque, qualsiasi reazione avrebbe potuto avere Raoul, la lettera gli sarebbe arrivata quando ormai tutto era stato fatto. Christine avrebbe preferito non dirglielo, ma alla fine si era resa conto che l'avrebbe scoperto lo stesso una volta tornato a Parigi, quindi, tanto valeva che lo venisse a sapere da lei.
La ragazza aveva tentato più volte di tradurre in parole e mettere nero su bianco le ragioni che l'avevano spinta ad accettare la proposta di Meg di tornare a cantare, ma ogni volta si era ritrovata a rileggere le righe che aveva scritto e a rendersi conto che le sue parole non dicevano abbastanza, o meglio, non avrebbero detto abbastanza per Raoul. La tremenda nostalgia che Christine provava per il teatro era forse una delle poche cose che lui non era stato mai in grado di comprendere, e quando lei aveva tentato di spiegargliela il visconte aveva finito con il travisare il discorso, collegando inevitabilmente la passione del canto al complesso e anomalo rapporto che legava la ragazza a quell'uomo tremendo che era stato il Fantasma dell'Opera, e che lei fino alla fine aveva chiamato Angelo della Musica. E la cosa non poteva che metterlo in agitazione visto che si trattava dell'uomo che aveva minacciato di ucciderlo e che, secondo lui, avrebbe potuto davvero far del male a Christine.
Quella sera, per la prima volta, la ragazza cominciò a riconoscere ciò che Raoul aveva sempre saputo e che aveva sempre temuto in tutti quei mesi trascorsi dall'incendio dell'Opera: non era solo il rimorso di aver abbandonato l'uomo che le aveva regalato la magia del canto, Christine aveva nostalgia del suo Angelo, una nostalgia che lasciava nella sua anima un posto vuoto in cui anche il minimo rumore creava un eco insopportabile. Non lo amava, non lo aveva mai amato, non nel modo in cui avrebbe voluto essere amato lui, almeno. Ma quell'uomo rappresentava il suo sogno, quell'insieme di speranze a cui si era aggrappata per mantenersi in vita quando non aveva altra ragione al mondo. Un rifugio a cui tornare ogni volta che si sentiva in balia della solitudine contro cui non aveva mai saputo lottare.
La notte dell'incendio gli aveva detto, con gli occhi colmi di disprezzo e delusione che lei gli aveva donato la sua anima incondizionatamente, e lui l'aveva tradita. Eppure lui la aveva dato l'unica cosa che possedeva: la musica.
L'indomani avrebbe cantato, sarebbe andata bene, sarebbe stata come la sera del suo debutto all'Opera, ci sarebbero state Meg e madame Giry ad applaudirla, ci sarebbe stata la sua nuova amica Diane. Ma lui non ci sarebbe stato, non c'era nessuno da rendere orgoglioso, nessuno da compiacere, e ciò che l'atterriva era la sensazione che nessun angelo sarebbe accorso a sorreggerla con le sue ali se fosse caduta.

“Whising you were samehow here again,
knowing we must say goodbay.

Try to forgive, teach me to live,
give me the strenght to try”

Lo sapeva, lo aveva sempre saputo dal primo momento, da quella notte in cui lui era comparso dietro lo specchio e l'aveva portata nel suo mondo, persino allora lei sapeva che quella magia sarebbe finita un giorno. Ma era finita nel modo peggiore.
Quando se ne era andata con Raoul, lasciando il suo Angelo da solo, con tutta Parigi che gli dava la caccia e con il teatro, la sua casa, che cedeva in rovina, lui le aveva detto che l'amava, e tutto ciò che lei era stata in grado di rispondere era stato un sordo e impercettibile singhiozzo.
Lui stava precipitando verso l'inferno ma le sue ultime parole erano state “Christine, ti amo...”.
E poi silenzio. Lunghi mesi di silenzio si erano rincorsi a fatica, trascinandola verso la sua nuova vita. Ma per quanto tempo Christine avrebbe potuto sopportare quel vuoto?
“Mi ci abituerò” si disse, come a cercare di farsi forza, poi si alzò dallo scrittoio, dimentica dell'intento che si era prefissa, quello di scrivere a Raoul.
Si avvicinò alla finestra e spiò il giardino della tenuta mentre la sera scendeva rapida su Parigi. Per settimane aveva sperato di vederlo comparire in quel giardino, non per portarla via o per chiederle di tornare con lui, semplicemente per darle la possibilità di dirgli ciò che non gli aveva detto quella sera. Lei non poteva e non voleva ricambiare il suo amore, ma le parole “ti amo” su quelle labbra, su quel volto bagnato di lacrime, avrebbero meritato una risposta ben più eloquente di quella che aveva dato lei.
“Angelo... dove sei?” sussurrò la ragazza illudendosi per un attimo che lui potesse sentirla.

“No more memories, no more silent tears,
no more gazing across the wasted years.
Help me say goodbey

“Aiutami a dire addio...” disse la giovane alzando gli occhi al cielo, come se fosse una preghiera per quel Dio che poteva tutto, persino restituirle quel pezzo di anima che aveva lasciato a bruciare insieme all'Opera quella notte di tanti mesi prima.

*

Erik era quasi arrivato a destinazione, ancora poca strada e avrebbe raggiunto il circo, in tempo per la cena e per il penultimo spettacolo a Parigi.
Nei giorni precedenti la strada che separava il circo dalla casa della marchesa gli era sembrata lunga, quasi infinita. Quella sera invece si stupì di quanto poco tempo ci voleva per tornare. Ma nei suoi lunghi anni di solitudine aveva imparato che il tempo non trascorreva mai allo stesso modo e che non usava quasi mai la cortesia di conciliarsi con i bisogni delle persone. Lui quella sera avrebbe avuto bisogno che il tragitto durasse abbastanza da permettergli di riflettere con calma su quanto era accaduto.
Non credeva di poter provare una simile sensazione, non credeva che l'animo umano riuscisse a celare l'emozione che gli si era sprigionata nel cuore poco prima. Aveva amato fino alla follia, aveva sofferto, aveva desiderato febbrilmente con l'anima e con il corpo una fanciulla che non avrebbe mai potuto avere, e tutto ciò lo aveva portato a un passo dall'inferno, ma ora era tutto diverso.
Non poteva chiamarla felicità, del resto nemmeno stavolta la donna che gli aveva acceso l'anima avrebbe potuto essere sua, sapeva che quel bacio era stato un addio. Non poteva chiamarlo nemmeno amore, quel sentimento non avrebbe mai avuto il tempo di diventare tale. Eppure la sensazione che provava era di leggerezza, quasi di soddisfazione, per la prima volta qualcuno lo aveva accettato per quello che era, senza paura e senza disprezzo. Si sentiva forte e sicuro, come non lo era mai stato.
Certo, Diane non aveva visto il suo volto sotto la maschera, ma lei aveva compreso meglio di chiunque altro come tendere una mano a un'anima così terribilmente in bilico sull'orlo di un precipizio. Perché era questo che Diane era stata: la sua salvezza. Gli aveva regalato la serenità necessaria ad affrontare il futuro, dovunque la sua vita lo avrebbe condotto.
Erik si lasciò scappare un sospiro colmo di pacifica malinconia mentre si domandava invece lui cosa aveva fatto per quella donna, cosa le aveva lasciato. Probabilmente non lo avrebbe mai saputo, e di colpo l'idea che non l'avrebbe più rivista gli fece male.
“Meglio così, meglio così...” si ripeté mordendosi il labbro.
Meglio così. Diane era una donna sposata, era una marchesa e lui era solo il violinista di un circo, anche se pochi mesi prima c'era stata una notte in cui probabilmente era stato l'individuo più famoso di tutta Parigi. Non avrebbe potuto amarla comunque, il mondo non glielo avrebbe lasciato fare, e non avrebbe mai potuto averla per sé, con sé... quindi, tanto meglio che la cosa fosse finita. Tra due giorni avrebbe lasciato Parigi e Diane e sua figlia sarebbero state solo un bel ricordo da richiamare alla mente tutte le volte che si fosse sentito triste. Non potevano essere nient'altro.
Erik decise di fermarsi in strada, di posticipare di qualche minuto il suo ritorno al circo. Avrebbe benissimo fatto a meno di cenare quella sera, del resto non aveva affatto fame. Si poggiò con le spalle contro il muro e guardò verso l'alto.
Si chiese se Dio lo stesse guardando in quel momento e si rispose che forse Dio lo aveva guardato per la prima volta solo quella sera.
Quando abbassò lo sguardo e lesse il manifesto sul muro davanti a lui si rese conto che forse Dio era venuto a cercarlo per togliergli la pace che lui sembrava aver finalmente conquistato.
Il manifesto era una stampa a colori che raffigurava un uomo che reggeva un arco in una mano e una bandiera nell'altra, la figura era sormontata da una scritta:
il teatro dell'Odeon è lieto di presentarvi “Guglielmo Tell” di G. Rossini.
Sul margine inferiore del manifesto si poteva leggere l'elenco degli interpreti principali, sul nome della soprano era incollata una striscia di carta con una scritta stampata:
Durante la terza replica la primadonna, sarà sostituita in veste eccezionale da Mademoiselle Christine Daae.

*

Maurice fece scorrere lo sguardo lungo la tavolata, i suoi numerosi commensali avevano appena preso posto per la cena e chiacchieravano allegri di come il circo avesse fatto fortuna durante le settimane a Parigi e lui si sentiva soddisfatto di non aver sbagliato le sue previsioni. Tuttavia l'uomo non poté fare a meno di notare due posti vuoti: suo figlio non era venuto a tavola e Erik non era ancora tornato.
“Alain avrà trattenuto Erik con una delle sue conversazioni” pensò tra sé e sé Maurice lisciandosi i folti baffi, ma l'uomo non fece in tempo a finire questo pensiero che vide la figura di suo figlio passargli accanto e allontanarsi senza sedersi a tavola. Nell'ultima settimana il ragazzo era stato davvero strano, era triste, taciturno e scostante, tutti se ne erano accorti ma nessuno era riuscito a spiegarsi il motivo di quell'atteggiamento tanto insolito né tanto meno il ragazzo si era mostrato disponibile a parlane.
“Alain! Alain, dove diamine stai andando?!” lo richiamò suo padre
il ragazzo rallentò il passo per poi fermarsi e voltarsi verso Maurice
“Tornerò in tempo per lo spettacolo” si limitò a dire per poi riprendere a camminare con quell'andatura rapida
“Ma... è pronta la cena” protestò il padre
“Non ho fame!” fu l'unica cosa che disse suo figlio, senza degnarsi di voltarsi.
Pochi minuti dopo Erik arrivò dalla direzione opposta in cui era andato via Alain, Maurice lo guardò con un mezzo sorriso
“Se fossi arrivato un po' più tardi avresti rischiato di non trovare più niente per cena” gli disse ironico,
il violinista non rispose, continuò a camminare nervosamente diretto alla sua tenda
“Erik?” Maurice tentò di attirare la sua attenzione ma lui sembrò non averlo nemmeno sentito, pochi secondi dopo era già sparito verso il suo alloggio.

Alain intanto si era diretto rapidamente verso il centro cittadino, non aveva visto Erik rientrare e forse era stato meglio così, vederlo non gli avrebbe reso più facile ciò che aveva deciso di fare.
Non era sicuro di aver fatto la scelta giusta. Da quando aveva scoperto l'orribile passato di un uomo nel quale aveva creduto non era più sicuro di niente.
Parigi era vuota e silenziosa, evidentemente le persone erano chiuse in casa a cenare a quell'ora. La città spoglia era assai diversa dalla capitale piena di vitalità che aveva conosciuto vedendola di giorno o nella tarda serata. A quanto sembrava, tutto aveva una doppia faccia... o più semplicemente ogni cosa cambiava a seconda della prospettiva da cui la si guardava.
Il ragazzo sorpassò sgraziatamente un vecchio che gli si era avvicinato in cerca di elemosina e continuò per la sua strada. Sapeva dove stava andando, aveva imparato a conoscere piuttosto bene quella città.
Le facciate spoglie dei palazzi dei quartieri meno lussuosi si rincorrevano sotto il suo sguardo, tutte uguali nel buio della sera che si andava inoltrando minuto dopo minuto. Il ragazzo continuava a camminare quasi alla cieca. Continuando ad essere sicuro della strada che stava percorrendo e ad essere sempre più incerto riguardo alla sua decisione. Era ancora confuso, malgrado ci avesse riflettuto per una settimana intera, malgrado avesse cercato in ogni modi di farsene una ragione.
Ma non c'erano giustificazioni da trovare. Il mondo per lui era quello, diviso in buoni e cattivi, i buoni devono sopravvivere, i cattivi devono essere fermati.
Alain avvertì una fastidiosa sensazione di freddo quando si fermò, una volta giunto a destinazione, probabilmente nella sua corsa aveva sudato parecchio ed era tutta colpa di quella leggera brezza. Era solo il vento, si disse, non era lui ad essere nervoso. E perché avrebbe dovuto esserlo? Stava facendo la cosa più giusta. Non era un tradimento quello e se anche lo fosse stato, non era altro che la reazione a un tradimento subito.
L'edifico davanti a lui era una costruzione bassa dalla facciata spoglia coperta dall'intonaco scrostato in diversi punti, il portone di legno era preceduto da una piccola scalinata di pietra.
“Già... occhio per occhio...” mormorò il ragazzo salendo i gradini che portavano alla gendarmeria di Parigi.
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Ci sarebbero moltissime cose da dire su questo capitolo... ma forse è meglio che non dica niente, rischierei di scrivere note più lunghe del capitolo stesso e magari di condizionare opinioni e interpretazioni...
Al limite vederò di rispondere a quello che direte voi se vorrete recensire ^^
Spero solo che la prospettiva che si apre con questi ultimi sviluppi sia abbastanza "apocalittica" XD

Grazie per l'attenzione, per le letture e le recensioni.

I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 25
*** Capitolo ventiquattresimo ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

“Madame... mi state ascoltando?” domandò timidamente Colette.
No, non la stava ascoltando affatto, la marchesa era troppo impegnata a trattenere le lacrime, cosa che aveva fatto per tutto il giorno.
Lui le aveva detto che la considerava una “donna sagace” e invece era solo una stupida. Era stata talmente stupida da lasciare il cuore sulle labbra di quell'uomo sapendo che non avrebbe mai potuto riaverlo indietro. Ed era stata così subdola da nascondere a Christine la verità e non raccontare a Erik il motivo per cui non sarebbe andata a vederlo suonare quella sera. Non gli aveva detto che la fanciulla che aveva amato, alla quale aveva donato l'arte del canto quella sera avrebbe servito la musica per l'ultima volta, e tenendolo all'oscuro di quell'informazione gli aveva negato anche la possibilità di rivederla, cosa che probabilmente lui bramava più di tutto. Diane sapeva, si era resa conto che la storia del Fantasma dell'Opera e della giovane soprano si era conclusa senza un vero addio e forse questo tormentava l'animo di quell'uomo più dell'amore non ricambiato. Ma la marchesa aveva fatto prevalere un'egoistica gelosia che le aveva fatto desiderare di essere l'ultima donna che lui avrebbe visto prima di lasciare Parigi, con la sciocca e infantile speranza che il ricordo di lei avrebbe potuto per un attimo essere più forte di quello di Christine. Non aveva mai conosciuto quel genere di sentimento, e adesso si sentiva tremendamente piccola davanti all'idea di ciò che provava per un uomo che non avrebbe mai più rivisto in vita sua.
“Madame...”
“Si... si, Colette, dicevi?”
“Non mi avete detto cosa volete indossare stasera” disse la domestica
“Il vestito blu” rispose la marchesa senza pensarci, non aveva nessuna importanza. Molte cose avevano perso di importanza nell'arco di un giorno. Di colpo la solitudine in cui viveva aveva cominciato a sembrarle enorme, opprimente come una tempesta di neve, con il suo freddo e il fischio del vento nelle orecchie che attutisce ogni percezione.
Diane si avviò in camera sua per prepararsi per la sera, non aveva nemmeno letto la lettera di suo marito che era arrivata quella mattina. La missiva era ancora sul fondo del vassoio poggiato sul comodino di ciliegio fuori la porta della sua stanza.
Colette sospirò maledicendo in cuor suo quell'uomo. Del resto la domestica aveva compreso ogni cosa, non era difficile capire che tra quello strano violinista e la sua padrona si fosse accesa una scintilla, e ora che lui era partito, probabilmente per sempre, aveva lasciato solo il segno profondo e doloroso di una bruciatura sul cuore della marchesa. Colette si disse che era stata stupida, nell'ultima settimana non aveva potuto fare a meno di notare quello che stava succedendo, come non rendersene conto del resto? Lo strano magnetismo che c'era tra la marchesa e quel musicista era palpabile, era evidente come in una settimana il loro avvicinarsi, il loro cercarsi fosse divenuto di giorno in giorno sempre più palese e repentino. Aveva visto lo sguardo freddo dell'uomo accendersi si uno strano calore ogni volta che Diane sorrideva durante i loro scambi di battute in cui sembravano due duellanti che lottavano piuttosto che due persone che parlavano. Colette si disse che avrebbe dovuto fare qualcosa...
“Colette...” la marchesa uscì dalla sua stanza con indosso un abito blu più ricco ed elaborato di quelli che indossava di solito, e che non le donava: i colori scuri si sposavano male con il biondo dei capelli e con il colore delicato della sua pelle,
“Si, madame” rispose prontamente la domestica riemergendo dai suoi pensieri
“Il fioraio ha già portato i fiori?”
“Si, poco fa, marchesa”
“Bene”
Diane accennò un sorriso tirato. I fiori erano per Christine, voleva farglieli trovare nel camerino insieme a un biglietto, del resto immaginava che nessun'altro gliene avrebbe regalati.
La marchesa si diresse nello studio di suo marito alla ricerca di una busta da lettere e un biglietto da poter allegare ai fiori, non trovò carta sul ripiano della scrivania e decise di cercarla nei cassetti. Cercò nei primi due con scarso successo e finì per tagliarsi un dito sul bordo della pagina di un documento,
“Maledizione!” imprecò, spingendo via il cassetto con un gesto sgraziato, questo si staccò dal suo binario e cadde capovolto sul tappeto.
Diane si stropicciò il viso con le mani e si chinò a raccogliere il pesante cassetto di legno che aveva fatto cadere, pensando che non si era mai sentita così frustrata e nervosa in vita sua. Lo rimise a posto e prese a raccogliere il contenuto che si era sparso sul tappeto. Sotto la sedia notò un pacco di lettere tenute insieme da un nastro,
“Che ce ne sia una bianca da usare per i fiori...” pensò sbuffando, ma raccogliendo il plico di fogli si rese conto che le buste non erano bianche, avevano tutte la scritta “ Por Louis” sul davanti nella stessa identica calligrafia su ogni busta, mentre sul retro mancava il mittente e sembravano lettere consegnate a mano. L'ultima invece recava l'indirizzo della villa e sembrava essere stata spedita per posta.
La donna corrugò la fronte perplessa ed aprì l'ultima busta tirando fuori il foglio, la lettera era scritta in francese, con una bella calligrafia ma piena di cancellature come se chi l'aveva scritta fosse continuamente incappato in errori ed incertezze, probabilmente l'autore di quelle missive non doveva essere di origine francese. Diane cominciò a leggere ad alta voce le righe di quella lettera,
“Mio caro Louis, siete partito da quattro giorni, so che mi avevate raccomandato di non scrivervi mentre eravate in Francia ma l'idea di non potervi parlare mi rattrista...”
la voce della donna si affievoliva via via che proseguiva nella lettura,
“... dimenticatemi... sempre vostra CLARA!”
Diane lasciò cadere il foglio cominciando a ridere in maniera isterica, prima sommessamente poi con il riso che diventava più acuto e stridulo.
Non aveva mai pensato che Louis le fosse rimasto fedele in tutto il tempo trascorso in Spagna e finché le sue erano state solo delle supposizioni, la cosa non sembrava nemmeno turbarla più di tanto. Adesso invece si era trovata a scoprire che c'era un'altra donna, una donna che amava quell'uomo che lei aveva sempre considerato arido e poco interessante, una donna che la invidiava per essere la moglie di quello stesso uomo, e probabilmente una donna di cui quell'uomo era innamorato. C'era un'altra donna, Clara, questo era il suo nome, e lei era disposta a lasciarlo per non comprometterlo e a rinunciare a quello che sembrava un grande amore, in nome dell'onore del marchese... Diane si morse il labbro in un moto di rabbia e strinse tra le dita un lembo della gonna. Un'altra volta aveva avuto la dimostrazione che l'amore è anche rinuncia. E lei non aveva saputo rinunciare alla sua gelosia per permettere a Erik e Christine di rivedersi, e in tutto quel tempo aveva continuato a ripetersi che non era innamorata di lui. Era stata solo egoista, senza nemmeno un motivo valido per comportarsi come tale!
“Mamma, mamma, sei qui!” la voce di Vivianne arrivò carica di una palese nota di entusiasmo, la bambina fece capolino sull'uscio dello studio,
Diane gettò le lettere sul fondo del cassetto e lo chiuse con un gesto rapido
“Mamma, che ci fai seduta a terra?” domandò la bambina fermandosi dinnanzi a lei
“Raccoglievo una cosa che era caduta...” rispose distrattamente la marchesa rimettendosi in piedi,
“Noi stiamo per uscire... sei sicura che non vuoi venire anche tu?”
“No, piccola mia... no... tu vai, e mi raccomando, non far penare Martine”
Vivianne scosse il capo in un cenno negativo
“Saluto Erik anche per te- concluse la bambina, poi guardò meglio il viso di sua madre- mamma... hai le guance e gli occhi tutti rossi...”
Diane si fece aria con le mani,
“E' il caldo... adesso vai, altrimenti farete tardi...”.
La marchesa osservò sua figlia sgambettare fuori dalla stanza e ascoltò i suoi passi allontanarsi lungo il corridoio verso l'uscita, poi tornò verso la sua stanza per finire di prepararsi.

*

Era stato un successo.
“Ce l'ho fatta...” mormorò Christine a se stessa mentre si inchinava davanti al pubblico del teatro dell'Odeon che si era alzato in piedi per applaudirla.
Tutto esattamente come quella sera di tanti mesi prima. La ragazza non poteva fare a meno di pensarci, e immaginava che questo stesso pensiero fosse condiviso da Madame Giry seduta in prima fila e da Meg che la osservava da dietro le quinte. Di certo la fanciulla non poteva immaginare che in segreto un'altra persona la stava guardando e stava rivivendo i suoi stessi ricordi.
Christine sorrise rialzando lo sguardo e puntandolo sulla platea. Aveva imparato che, quando si sale su un palco, il pubblico davanti a sé diventa una macchia indistinta in cui non si riescono a riconoscere i volti, in cui è inutile ricercare visi noti, fisionomie conosciute, ma lei quella sera poteva vederli, loro, la Parigi bene che la denigrava fuori da quel teatro e che invece quella sera la osannava. Proprio come aveva previsto.
Eppure il calore del pubblico le sembrava tiepido: non c'erano i due uomini che aveva amato, seppure l'uno in maniera diversa dall'altro, in quella piccola folla entusiasta. Non c'era il suo fidanzato, e non c'era il suo maestro... o almeno questo era ciò che la ragazza credeva. In compenso c'era Diane, la marchesa doveva essere da qualche parte, seduta in uno dei palchi del primo ordine, più tardi l'avrebbe ricevuta volentieri nel suo camerino, ma adesso la fanciulla sentiva solo un'impellente desiderio di restare sola, lasciare che la tensione si allentasse, lasciare che i ricordi che aveva rivissuto tornassero a riposare placidi nell'oblio della sua coscienza e smettessero di riecheggiare dolorosamente dietro le sue palpebre.
Christine si inchinò un'ultima volta poi sparì dietro le quinte per lasciare che gli altri componenti della compagnia salissero sul palco a salutare e ringraziare il pubblico prendendosi la loro meritata dose di applausi.
La ragazza chiese allo sguattero di fare in modo di non essere disturbata, disse che voleva restare da sola per un po' e che più tardi sarebbe uscita a salutare i signori del pubblico che già si stavano dirigendo numerosi verso il suo camerino. Si chiuse all'interno e si lasciò cadere su una poltrona.

“Angel of Music giude and guardian,
grant to me your glory,
Angle of Music hide no longer,
came to me strange Angel...”

Ripeté quelle parole in un sussurro, come se lui potesse ascoltarla direttamente dal fondo della sua anima. Il camerino era semibuio: poggiato accanto alla specchiera c'era solo un lume che proiettava davanti a sé un cono di luce giallastra, lasciando in ombra la parte restante della stanza.
Qualcuno aveva già provveduto a farle arrivare dei fiori, sicuramente era stata madame Giry, forse Diane, perché su un piccolo tavolino erano posati due mazzi di fiori colorati. La ragazza ne sollevò uno e lo avvicinò al volto per aspirarne il profumo, chiuse gli occhi e si lasciò andare a ricordi lontani, a lei da sola, una “bimba smarrita” nel buio della cappella del teatro.
Quando Christine riaprì gli occhi notò che sotto ai fiori c'era qualcosa che non aveva notato prima, allungo la mano tremante a raccogliere quell'oggetto così familiare. Sul tavolino, nascosta sotto i mazzi di fiori c'era una rosa rossa, sullo lungo stelo era legato un fiocco di raso nero.
“Sto sognando...” si disse imponendo a se stessa di calmarsi.
Lui non poteva essere lì, era sparito per mesi, come poteva essere lì? Come poteva sapere che lei sarebbe stata in quel teatro quella sera e che avrebbe cantato? Come era arrivato nel suo camerino senza farsi vedere?
Una voce nel buio riempì l'aria, come se provenisse dall'aria stessa, da ogni angolo della stanza, e come se le stesse leggendo nel pensiero la voce cominciò a rispondere ai suoi dubbi.
“Wandering child, so lost, so helpless... sono io Christine. Non chiederti come abbia fatto ad entrare, mi chiamavate il Signore delle botole un tempo, ricordi? Sono qui...”.
Una figura emerse dall'ombra raggiungendo il cono di luce davanti allo specchio, la ragazza si rese conto che era troppo reale per essere un sogno.
“Angelo...” sussurrò
“Erik” la corresse lui,
la ragazza restò a fissarlo, come se non fosse capace nemmeno di respirare, mille pensieri ed emozioni si accalcarono violentemente nella sua mente rendendola incapace di reagire, poi quando tornò abbastanza lucida da prendere atto di cosa stesse accadendo si ritrasse con un moto di paura.
Davanti a quella reazione Erik abbassò lo sguardo,
“Possibile che hai ancora timore di me? Dopo che ho sacrificato la mia felicità per la tua, pensi ancora che potrei farti del male?” disse tranquillo, per poi sollevare lo sguardo su di lei e accennare un sorriso colmo di amarezza
“Sei davvero un fantasma, tu... tu... io ti credevo morto” farfugliò Christine confusa, continuando ad arretrare
“Puoi urlare se vuoi, non ho intenzione di impedirtelo, ma ti ho sentita prima, stavi chiamando me”
“Perché sei tornato, hai detto che mi avresti lasciata andare – mormorò la giovane con la voce che diventava sempre più tremula e incerta ad ogni sillaba che pronunciava – hai detto che sarei stata libera”
“Non lo sei, Christine? Non lo sono neanche io” rispose Erik,
la fanciulla era ormai con le spalle al muro. In un istante si erano avverate tutte le sue preghiere e tutti i suoi peggiori incubi. Lo sguardo di quell'uomo di nuovo su di sé le gelò il sangue facendola scoppiare in lacrime.
“Ho pregato per te... - disse tra i singhiozzi – per saperti vivo, perché la mia felicità al prezzo della tua mi sembrava un peso troppo grande da portare. Ma tu hai continuato a spiarmi nell'ombra, eri lì e hai continuato a nasconderti, eri lì mentre io ero sola”
Erik strinse i pugni imponendosi di resistere all'impulso di abbracciarla
“Si mi sono nascosto, ma non nel modo che credi tu, ed è stato solo un caso che io abbia saputo del tuo spettacolo stasera. Non posso lasciarti in pace se tu non lasci in pace me Christine, ho trovato la mia strada, credimi, ho trovato il mio posto nel mondo, ma non posso continuare a camminare con il viso voltato all'indietro”
“Cosa vuoi da me?”
“Dirti addio Christine. Dopotutto non ce lo siamo mai detto”
“Sto per sposare Raoul, lo amo, dovrebbe esserti bastato” sibilò la giovane come se quelle parole potessero fargli del male e allontanarlo, come se si fosse dimenticata di cosa avrebbe voluto dire al suo Angelo quando pregava Dio di farglielo rincontrare
“Lo so” disse lui semplicemente,
finalmente la ragazza si costrinse a guardarlo. Non era più l'uomo che aveva conosciuto, indossava una camicia beige e dei pantaloni di panno marrone, abiti molto più semplici di quelli con cui era abituata a vederlo, portava ancora la mezza maschera bianca che copriva una deformità che lei aveva ritenuto molto meno mostruosa di quanto probabilmente doveva essere sembrata al resto del mondo, a lui stesso. Ma i suoi occhi erano diversi, non c'era più quella scintilla di ferocia che l'aveva colpita e spaventata. Lo trovò persino dimagrito, come se la sua figura avesse perso quell'aurea di forza che lo caratterizzava quando con due righe scritte in una lettera riusciva a soggiogare un intero teatro e quando con la sola voce aveva soggiogato la sua anima di bambina plasmandola a suo piacimento. E quell'ammissione fatta con tanta naturalezza “lo so”, gettata lì con lo sguardo fermo ma senza dolore le rese palese una verità che per un attimo le sembrò inconcepibile: lui non la amava più. Inconcepibile dopo tutta la pazzia con cui quell'uomo aveva guastato i suoi sogni in nome di quell'amore. Ma forse guarire da quell'ossessione per lei era stato il primo passo che lo aveva condotto alla salvezza.
Anche il suo sguardo era profondamente mutato: anche se sempre magnetico e penetrante, ora era caldo come quello di un uomo appassionato.
Christine si decise a fare un passo avanti, staccandosi dal muro al quale la sua paura sembrava averla incollata, accennò un sorriso benevolo colmo di tenerezza,
“Cosa ti è accaduto dopo quella notte?” domandò
Erik sospirò
“La sera dell'incendio sono scappato a cavallo, non so dirti per quanti giorni ho continuato a correre. Poi ho incontrato una famiglia che possiede un circo, ora suono per loro, è stato un caso che il circo sia finito a Parigi e l'altra sera ho visto per strada una locandina dello spettacolo. Sono venuto qui per ascoltarti e sono lieto di vedere che ami ancora il canto”
“Sei felice?”
“No. Non credo che lo sarò mai, ma va bene quello che ho, è molto più di quanto avrei potuto sperare vivendo relegato nei sotterranei dell'Opera. A volte un uomo deve imparare ad accontentarsi. E tu Christine, sei felice?”
“Non ancora”
a quella risposta un lampo d'ira attraversò lo sguardo di Erik
“Il tuo promesso sposo non è capace di onorarti come meriti?” domandò contrariato, non l'aveva ceduta a lui per ritrovarla scontenta,
“No, lui non c'entra, semplicemente ho capito che... ho capito cosa vuol dire essere considerati diversi. Raoul mi ama e mi rispetta, ma nel mio mondo non c'è solo lui”
“Capisco. Lui dov'è adesso?”
“E' fuori città per delle commissioni”
Erik si concesse un accenno di sorriso divertito
“Certo, altrimenti tu non saresti salita su quel palco stasera, o forse a quest'ora io avrei la lama della sua spada conficcata nel cuore”
“Non essere così sprezzante... lui non è...”
“Cosa? Un assassino? A differenza di me, intendi?” domandò l'uomo in tono di sfida, Christine non rispose, si limitò a lanciargli uno sguardo severo
“Si, è esattamente quello a cui stai pensando, ma vorrei ricordarti che il visconte mi stava per infilzare con la sua spada quella mattina al cimitero”
“Perché tu volevi uccidere lui, forse” lo rimbeccò Christine
“No, perché temeva che potessi fare del male a te. Com'è ovvio non ha mai avuto una grande arguzia”
“Stavi per impiccarlo, direi che siete pari. Ad ogni modo non pensavo fossi venuto qui per offendere il mio fidanzato!”
“Si hai ragione” tagliò corto Erik,
Christine cercò il suo sguardo, quello sguardo che in passato non era mai stata capace di sostenere, e quando i loro occhi si incontrarono non riuscì a trattenersi dall'andargli incontro e abbracciarlo. Lo strinse poggiando la testa sul suo petto
“Erik... mi sei mancato! Ho avuto paura che non avrei mai avuto la possibilità di dirti ciò che dovevo dire- esordì la giovane tremando mentre Erik ricambiava l'abbraccio stringendola con la delicatezza che si riserva agli oggetti preziosi- quella sera, tu... hai detto che mi amavi e io non ho saputo fare altro che fuggire via e lasciarti da solo... perdonami!”
“Hai fatto la tua scelta Christine, non avere rimpianti. Io ne ho solo uno, quello di essermi comportato come un pazzo”
“Non avrei dovuto illuderti, non avrei dovuto tradirti...”
“Cercavi la tua felicità e io volevo negartela, senza rendermene conto, tu hai soli reagito- concluse l'uomo, prendendo tra le mani il volto di Christine e costringendola ad alzare lo sguardo- perdoniamoci a vicenda, piccola mia, abbiamo tutti e due la nostra vita da vivere ora”
la ragazza annuì con un cenno del capo, poi restarono in silenzio per lunghi minuti, fino a quando lei non trovò la forza per parlare,
“Cosa farai adesso?” chiese
“Immagino che tornerò al mio circo e continuerò a scorrazzare su e già per la Francia suonando il violino, non è così male- rispose Erik, regalandole il primo ed unico sorriso sereno che lei gli avesse mai visto in viso- ho incontrato diverse persone che mi hanno insegnato a... a vivere, forse senza neanche saperlo”,
l'uomo abbassò per un secondo lo sguardo, nella sua mente si fece largo l'immagine di Diane.
Anche lei era tra le persone che gli avevano insegnato tanto e forse lei era stata l'unica che lo aveva fatto con una certa consapevolezza.
Christine gli accarezzò la guancia scoperta, lui posò la mano su quella di lei, la ragazza stava per aggiungere qualcosa quando un vociare rumoroso chiamò il suo nome da fuori la porta facendola sobbalzare,
“E' il pubblico... come farai ad uscire adesso?” domandò spaventata
“Non sai che i fantasmi passano attraverso i muri?” rispose Erik indicando la finestra
Christine sorrise e gli strinse la mano tra le sue
“Addio, Erik” disse calcando con decisione e tenerezza ogni lettera di quel nome
“Addio Christine, e se mai ci dovessimo rincontrare fai in modo che io ti ritrovi felice” ciò detto si chinò per lasciarle un galante baciamano e si voltò lasciandosi inghiottire dall'ombra.
Un secondo dopo la ragazza sentì il cigolio della finestra che veniva aperta mentre un leggero sbuffo di vento fece tremare la fiamma del lume.
Se n'era andato.
Christine ebbe bisogno di poggiarsi contro lo stipite della porta prima di aprire, ebbe bisogno di un'ultima manciata di secondi per lasciare che il battito tornasse regolare e per assicurarsi che lo sguardo di Erik, dell'uomo che aveva avuto la meglio sul Fantasma, si imprimesse a fondo nella sua memoria, ne avrebbe avuto bisogno nei momenti duri che ancora doveva affrontare. Il suo maestro le aveva lasciato una grande lezione quella sera: tutti possono cambiare e trovare la propria strada.
Appena la ragazza si sentì meglio aprì la porta del camerino, pronta a ricevere il suo pubblico, composto per di più da quei nobili che fuori da quel teatro avrebbero continuato a considerarla una poco di buono.

*

Erik si mosse nell'ombra lungo il muro della fiancata del teatro. La sua mente cercava di rielaborare le emozioni appena provate e il senso di libertà che sentiva nel cuore.
“Adesso è tutto finito” si disse, e pensò che avrebbe potuto correre al circo sperando che non fosse troppo tardi, che Vivianne non fosse già andata via.
Non se la sarebbe sentita di andarla a cercare in casa sua, non poteva recarsi in casa dei De Valois per salutare la bambina, bussare a quella porta avrebbe significato rivedere Diane e un solo addio era stato sufficiente per quella sera.
Si voltò un'ultima volta a guardare la finestra del camerino di Christine, si augurò ogni meglio per quella fanciulla e sollevò lo sguardo al cielo, un cielo limpido e stellato, talmente terso che di sicuro ora Dio poteva vederlo bene da lassù.
Appena uscì dal grande cono d'ombra che la costruzione del teatro proiettava sul piazzale di sampietrini Erik sentì un insieme di suoni metallici di armi che venivano caricate pronte allo sparo...

Clik...

Quando alzò lo sguardo davanti a sé vide decine di gendarmi avvolti nelle loro mantelle scure, alcuni erano a cavallo, tutti tenevano una baionetta puntata nella sua direzione. Un uomo alto e robusto, con il volto burbero e gli occhi scuri dallo sguardo severo gli puntò contro la spada,
“Sei in arresto, mostro” tuonò con disprezzo,
Erik rimase immobile per un secondo, poi si guardò attorno, passando in rassegna con lo sguardo uno ad uno i gendarmi che lo minacciavano con i fucili, per un attimo ebbe la sensazione che le loro mani tremassero. Ricordò della sera del Don Juan, quando lui cantava e la polizia circondava il palco, pronta a sparare ma troppo incanta dalla sua voce per premere il grilletto.
Non poteva scappare, sentirsi con le spalle al muro era una sensazione che non gli piaceva, ma si rese conto che non voleva scappare. Alzò lo sguardo verso l'alto: Dio lo stava guardando, oh si, lo vedeva fin troppo bene al di là di quel cielo limpido, quello era il modo che sia Lui che gli uomini conoscevano per fare giustizia.
“E sia...” mormorò tra sé e sé, senza però dare ai gendarmi la soddisfazione del benché minimo cenno di resa, rimase semplicemente immobile, in attesa che tra di loro il più coraggioso si avvicinasse per legargli le mani e portarlo via, semplicemente chiedendosi chi fosse stato a denunciarlo. Diane era da escludere, ma chi altri conosceva il suo segreto?
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(Me si fa un'endovena di camomilla, dopo di che posta il capitolo e incrocia le dita)
Scherzi a parte, questo era il capitolo che so che molti aspettavano: l'incontro fatidico tra Erik e la sua vecchia fiamma... so che c'erano un sacco di aspettative riguardo questo momento della storia, so che molti probabilmente si aspettavano qualcosa di diverso... ma spero che non sia stato troppo deludente (in ogni caso anche le critiche sono ben accette... i pomodori no però perchè poi le macchie dai vestiti non vanno più via XD)

e per la fine del capitolo... Mantenete la calma, signore!
Lo so, lo so... è stata pura bastardaggine la mia... e Monipotty si chiede se Erik riuscirà a vivere in pace prima o poi (bha chissà... forse che si, forse che no). E so anche che è da pazzi sadici creare un personaggio, fare di tutto per renderlo simpatico e poi PUF fargli fare il piccolo Giuda... ma mi ero resa conto che queta fanfiction era esageratamente "buonista" e qualcuno che facesse il cattivo in qualche modo serviva... vi chiederete perchè proprio Alain, bhe perchè così ho ottenuto un colpo di scena almeno... e ce n'è un altro piuttosto grosso prima della fine. Nel frattempo io vado ad esultare per aver strappato a Bloodred_rose un pò di approvazione per la Marchesa... la "love-story" tutta in rosa tra Erik e Diane era scontata, lo so, ma mica posso rendergli la vita così facile...
Grazie per le letture, le recensioni, gli incoraggiamenti e grazie di cuore a Ilaria che si sta districando tra impegni vari per betare questo delirio.
Al prossimo capitolo.

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Capitolo 26
*** Capitolo venticinquesimo ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO

Diane si svegliò con la sensazione di spossatezza di una persona per cui il sonno della notte appena trascorsa non era stato affatto riposante. Era rientrata piuttosto tardi la sera prima perché aveva atteso che il camerino di Christine si sfollasse, per poterla salutare con calma, come si conviene a un'amica, anche se, in tutta coscienza, sapeva di non essersi comportata come tale nei riguardi della ragazza. Aveva trovato Christine stranamente emozionata, negli occhi aveva una luce strana, il suo sorriso era più sereno, e la marchesa si era chiesta se quello strano cambiamento repentino fosse da imputare unicamente al canto e alla sensazione di trionfo che certamente doveva procurarle l'approvazione del pubblico. Tuttavia Diane non aveva voluto indagare su cosa avesse scosso l'animo di Christine, quella sera aveva così poca voglia di parlare che dopo essersi complimentata con la ragazza si era congedata ed era tornata a casa.
La marchesa si alzò dal letto massaggiandosi le tempie, si infilò la vestaglia ed uscì dalla sua camera diretta in sala da pranzo dove le sarebbe stata servita la colazione. Stranamente notò che Colette non era arrivata a svegliarla, né tanto meno l'anziana domestica la stava attendendo in sala per chiederle disposizioni su cosa cucinare e su quali urgenze domestiche dovevano essere sbrigate quel giorno.
Diane non aveva voglia di suonare la campanella per chiamare il maggiordomo o qualche cameriera, si sedette nella stanza vuota poggiando i gomiti sul piano del tavolo e reggendo il mento sul palmo di una mano, lasciò che i pensieri che l'avevano turbata in quei giorni tornassero a tormentarla arrendendosi all'ondata di amarezza che stava divenendo quasi familiare. Avvertiva nella sua anima lo stesso strano dolore di quando rientrava in casa nelle giornate di inverno e tendeva le mani gelate verso il fuoco del camino, quel fastidio pungente del calore improvviso contro la pelle fredda.
Sentì dei passi concitati venire verso di lei, poco dopo Colette e Martine, la bambinaia, entrarono nella sala. Avevano entrambe gli occhi gonfi e arrossati e il viso stanco, i capelli grigi di Colette erano raccolti in uno chignon che pendeva mollemente sulla nuca ma sembravano spettinati e in disordine, senza la cuffia bianca di cotone che lei usava portare quando era in casa.
“Madame, scusate... non ho fatto preparare la vostra colazione ma...” esordì Colette mortificata
la marchesa guardò la cameriera e la governante ed ebbe un sussulto
“E' successo qualcosa a Vivianne?!” domandò turbata
“No madame...” mormorò Colette
“Cioè si...” le fece eco Martine
Diane strinse le dita attorno ai braccioli della sedia poi scattò in piedi
“Cosa è successo? Mia figlia sta male?!..”
“No madame, è che, vedete ieri sera non vi ho sentita rientrare e quando mi sono accorta che eravate tornata stavate già dormendo e non vi ho voluta svegliare...”
“Colette! Se c'era qualche problema con mia figlia dovevi assolutamente chiamarmi!- l'aggredì la marchesa con voce furiosa- e adesso spiegatemi immediatamente cosa succede!”
“Niente madame- disse Martine intimorita dal tono usato dalla sua padrona:non l'aveva mai vista tanto arrabbiata, non era mai stata brusca, autoritaria o scortese con qualcuno dei suoi attendenti- è che ieri al circo, quell'uomo, il violinista, il suo maestro di musica... non c'era e lei c'è rimasta molto male”
Colette scrutò attentamente l'espressione della marchesa immaginando che la notizia l'avrebbe quanto meno sorpresa, se non addirittura turbata, difatti sul volto della donna si dipinse una strana ansia,
“Cosa vuol dire che non c'era?...”
“Non ha suonato, e dopo lo spettacolo non era nella sua tenda... Vivianne mi ha detto di cercare il ragazzo che fa il pagliaccio e chiedere a lui, ma il giovane si era allontanato dagli alloggi subito dopo lo spettacolo, e quando ho chiesto ad altra gente del circo dove fosse il violinista tutti mi hanno risposto che non era rientrato per lo spettacolo e non sapevano dove fosse”
Diane posò il palmo della mano sul tavolo, come per reggersi, in effetti era strano che Erik non ci fosse, e al di là di quanto Vivianne potesse esserci rimasta male per non averlo potuto salutare, la cosa la preoccupava: sapeva che Erik non sarebbe mai mancato a un appuntamento per salutare Vivianne, era certo che quell'uomo volesse bene a sua figlia... come ne voleva a lei.
“La bambina ha pianto tutta la notte, diceva che era successo qualcosa al suo Angelo e che dovevamo andarlo a cercare perché lui non sarebbe andato via senza salutarla se non gli fosse accaduto qualcosa di male” spiegò Colette,
la marchesa avvertì dentro di sé una strana sensazione di angoscia, una stilettata gelida di paura che le strinse il cuore, facendole dimenticare gli struggenti pensieri romantici che avevano guastato il suo umore in quei giorni. Vivianne era solo una bambina eppure aveva avuto la sua stessa sensazione: qualunque fosse il motivo per cui Erik non era stato presente la sera prima di sicuro doveva trattarsi di un motivo spiacevole.

... gli è accaduto qualcosa...

La donna si diresse a rapidi passi verso il piano superiore, ignorando le due domestiche che erano rimaste in piedi davanti a lei e che scrutavano apprensive le sue espressioni. Entrò in camera di sua figlia e trovò la bambina stesa sul letto, addormentata con le manine che stringevano nervosamente i lembi della federa del guanciale, il viso contratto in un'espressione per niente serena. Probabilmente Vivianne si era addormenta solo perché sfinita dal pianto.
Diane si portò una mano alla bocca nel tentativo di soffocare un singhiozzo che avrebbe potuto svegliare la piccola, con gesti delicati coprì la bambina con un lenzuolo e rimase a guardarla nella penombra della stanza mentre le lacrime le rigavano silenziosamente il viso.
Dopo diversi minuti, quando le lacrime si furono arrestate, la marchesa uscì in silenzio dalla camera di sua figlia e chiuse cautamente la porta. In fondo al corridoio trovò Colette che l'aspettava, lo sguardo della domestica era basso, come se non avesse il coraggio di guardare in viso la sua padrona.
Diane si fermò davanti a lei ed aprì la bocca in procinto di dare un ordine
“Si, madame...” disse la domestica, ancora prima che lei potesse dire qualcosa
“Si cosa?”
“Si, vi faccio preparare subito la carrozza”,
la marchesa fissò l'anziana cameriera con un'espressione indefinibile, poi sospirò. Era ovvio che Colette avesse compreso ogni cosa, che sapesse esattamente cosa lei aveva intenzione di fare, dove aveva intenzione di andare e soprattutto perché,
“Molto bene” mormorò con voce inespressiva,
non ci fu bisogno di aggiungere nient'altro, la marchesa andò in camera sua a prepararsi mentre Colette andava ad avvisare il cocchiere.

*

Penombra e pareti di pietra. Silenzio e odore di umidità, e qualcosa di molto più pesante e invalicabile delle grate di ferro che lo teneva relegato lì. Quel qualcosa che gli uomini chiamavano destino. Un'entità senza forma, senza volto, una dose di veleno inodore e insapore che si mischia alla vita di ogni uomo, che disegna le linee delle mani o i profili delle figure dei tarocchi letti da qualche zingara all'angolo di una strada, come se lo si potesse guardare in faccia per un momento, come se conoscendolo lo si potesse sconfiggere. Perché il destino per lui era sempre stato un nemico, un avversario sleale che gli aveva disegnato un futuro orribile e lo aveva marchiato sulla sua stessa pelle a prova della sua invincibilità e ineluttabilità.
Erik era stato gettato in quella cella la sera prima, nella più profonda segreta del Palazzo di Giustizia, nessuno aveva osato rivolgergli la parola come se temessero che persino nella sua voce fosse contenuto chissà quale mostruoso potere. Contrariamente alle sue aspettative, non gli avevano riservato bastonate, sputi, insulti... no, gli avevano fatto di peggio.
C'era una piccola folla di gendarmi radunata nell'ingresso dell'edificio quando lui era arrivato in manette, era stato accolto da un silenzio gelido e da sguardi colmi di disprezzo e curiosità. Ebbene, davanti agli occhi di qualche decina di gendarmi, il capitano della pattuglia che lo aveva arrestato gli aveva tolto la maschera costringendolo a mostrare il suo viso deforme mentre veniva condotto in cella, rivelando l'uomo disgraziato che si era celato dietro alla leggenda del Fantasma dell'Opera.
Probabilmente quell'ufficiale pensava che smontare la sua leggenda mostrandone il lato umano e vulnerabile, mostrando una creatura che come chiunque altro poteva scontare i suoi crimini salendo su un patibolo, sarebbe stato per lui la sconfitta più grande, e per gli uomini che l'avevano catturato la più soddisfacente conquista. Ma non era così, non per le ragioni in cui credeva il capitano, almeno.
La cella, situata in fondo a un corridoio era uno stanzino quadrato chiuso sul davanti da una possente grata di ferro arrugginito, le pareti di pietra scura erano prive di finestre e l'unica illuminazione era una lampada ad olio agganciata ad un pilastro che sporgeva a metà della lunghezza del corridoio.
Erik immaginava che quella segreta senza aperture fosse situata molto al di sotto del livello della strada e a giudicare dalle pareti e dal modo in cui i grossi mattoni di pietra erano incassati l'uno sull'altro doveva trattarsi del punto in cui erano state erette le fondamenta di qualche vecchio edificio su cui era stato poi costruito l'attuale Palazzo di Giustizia.
I suoi carcerieri non gli avevano nemmeno detto cosa ne sarebbe stato di lui. Non che l'uomo avesse molti dubbi sul suo futuro, sapeva che sarebbe stato condannato a morte probabilmente senza nemmeno essere processato, ma non gli era stato ancora detto quando.
Ad ogni modo non gli importava. Si sentiva sereno per se stesso, aveva conosciuto tanto dolore e forse ne aveva provocato altrettanto. Aveva conosciuto anche il potere e l'arte, e soprattutto l'amore. E negli ultimi giorni aveva conosciuto anche la pace. E forse era giusto che fosse tutto finito, che si fosse tutto concluso in quel modo, che la gente che reclamava la sua testa avesse giustizia. Però si chiedeva cosa avrebbero pensato Christine e Madame Giry dopo aver appreso la notizia, perché di certo i giornali non avrebbero tardato a raccontare della cattura del Fantasma dell'Opera, e Diane...

Ah, Diane...

Erik sospirò pensando alla marchesa e al ricordo del fatto che l'arresto gli aveva impedito di salutare Vivianne.
E poi si rese conto che c'era un'altra cosa che lo turbava. Una cosa che aveva sempre ritenuto poco importante, abituato com'era a vivere nel buio dei sotterranei dell'Opera, qualcosa che aveva cominciato ad apprezzare solo negli ultimi mesi, nella sua vita da nomade insieme alla gente del circo: la mancanza del sole e il mutare della sua luce che scandisce i diversi momenti della giornata, come se quella stessa luce desse forma al tempo che passa.
Erik si sedette sulla branda, l'unico arredo che c'era nella piccola cella, un tavolaccio di legno su cui era posato un vecchio materasso e delle coperte sudice.
C'era un'altra cosa a cui non aveva pensato. Era sempre stato abituato a considerarsi solo, a ritenere la musica l'unico elemento che riempiva la sua esistenza, adesso però si domandava che cosa avrebbe penato di lui la gente del circo, nel momento in cui non l'avessero visto tornare, nel momento in cui lo avessero aspettato invano e avessero appreso la verità.
Erik incrociò le braccia sul petto ed emise un altro sospiro, un sospiro colmo di pena, non per se stesso, ma per le poche persone che fuori da quella cella avevano imparato ad amarlo.
“Almeno nessuno di loro farà in tempo a vedermi senza la maschera” pensò.
Chiuse gli occhi, nel tentativo di riuscire a rilassarsi e magari a dormire, ma un pensiero arrivò a scuoterlo quasi con violenza, come se fosse qualcosa di materiale che urtava contro la sua mente: non sapeva ancora come avevano fatto i gendarmi a trovarlo, qualcuno lo aveva denunciato, ma chi?

*

Maurice raccomandò a un paio di uomini di stare più attenti con le casse che stavano trasportando e sgridò un paio di ragazzini che stavano giocando con la scimmietta Lalla invece di dare una mano a preparare la partenza.
L'uomo era piuttosto nervoso. Il suo circo aveva dato asilo a tanta gente in fuga, aveva accolto nella sua famiglia tanti sconosciuti senza mai chiedere chi fossero e da dove venissero, anche se era palese che si trattasse di gente in fuga non aveva mai chiesto loro da cosa stessero scappando e perché. Era inevitabile che questo tipo di condotta lo esponesse alle delusioni, se non addirittura a dei rischi. Molta gente andava via dal circo quando trovava di meglio di fare o quando era abbastanza lontana dal luogo da cui era fuggita, ma ora era diverso: Maurice sapeva che era accaduto qualcosa e lui, che amava tenere tutta la sua grande famiglia sotto controllo, non sapeva nemmeno cosa. Non conosceva i motivi della sparizione improvvisa di Erik né dello strano cambiamento che si era verificato in suo figlio. Aveva pensato che i due avessero litigato, ma se così fosse stato lo avrebbe saputo di certo, lui conosceva tutto e tutti nel suo circo, non c'era nulla che gli sfuggisse, ma questa volta gli era davvero sfuggito qualcosa. Girava la Francia da anni, aveva incontrato molta gente, aveva avuto a che fare con tante persone diverse e aveva imparato a riconoscere gli uomini a sapere cosa aspettarsi da loro. Di Erik aveva compreso ben poco, era certo che fosse un uomo che aveva sofferto molto e che per qualche ragione sconosciuta era talmente abituato alla solitudine da non riuscire a sentirsi a proprio agio in mezzo agli altri, anche quando chi gli stava attorno si mostrava amichevole e affettuoso. Ma era certo che lui sarebbe rimasto volentieri con il circo, e ora invece se n'era andato, sparito senza una parola. Visto il suo talento era probabile che qualcuno che l'aveva sentito suonare gli avesse proposto un ingaggio migliore, ma anche in quel caso Erik non sarebbe andato via in silenzio, il fatto che lui fosse così poco avvezzo a mostrare i propri sentimenti non voleva certo dire che non aveva cuore, che non provava nulla, e di certo gli avrebbe mostrato la sua riconoscenza per averlo accolto.
La sera prima Maurice aveva chiesto a suo figlio dove fosse Erik, mancava poco allo spettacolo e lui non era ancora rientrato, Alain aveva risposto che era inutile aspettarlo tanto non sarebbe tornato. Ora il circo era prossimo a partire e l'uomo non sopportava l'idea di andarsene senza sapere cosa ne fosse stato del suo violinista, ma Alain era sembrato molto sicuro di sé, e anche se era ovvio che ci fossero cose che non aveva detto.
Maurice si era rassegnato a partire senza Erik e la cosa aveva turbato anche gli altri della compagnia, ciò nonostante la carovana stava completando gli ultimi preparativi per il viaggio e poi avrebbe lasciato Parigi. La strada che avrebbero continuato a percorrere in futuro probabilmente avrebbe cancellato il ricordo di quello straordinario musicista, come aveva cancellato il ricordo di altre persone che il circo si era lasciato alle spalle.

Alain stava sistemando la sua sacca da viaggio sul fondo di un carro quando si sentì chiamare da una voce familiare. Il ragazzo si mordicchiò il labbro con un'espressione quasi intimorita e con un balzo agile scese dal carro per trovarsi davanti la marchesa de Valois che lo osservava con malcelata apprensione.
“Madame, cosa ci fate qui?- esclamò il ragazzo cercando di apparire disinvolto- ci avete trovati per un colpo di fortuna, ancora qualche ora e saremmo partiti”
la donna guardò il giovane negli occhi,
“Alain, devo chiederti una cosa... Vivianne ha pianto tutta la notte, ieri è venuta al vostro ultimo spettacolo e Erik non c'era, c'è rimasta malissimo per non essere riuscito a salutarlo, e non è nemmeno riuscita a parlare con te. La governante ha cercato di calmarla ma lei ha insistito che era preoccupata per lui, sapresti dirmi dov'è?”
“Madame, io... io non credo che... insomma, penso che...” Alain farfugliò una frase che non riuscì a terminare, poi Diane notò un velo di tristezza inumidirgli gli occhi,
“Cosa stai cercando di dirmi?” sibilò con la voce che le tremava per la tensione
il ragazzo si guardò intorno poi posò una mano attorno al braccio della marchesa e la trascinò via dal piazzale e dal viavai di gente che preparava i bagagli e i vagoni.
“Madame, io non sono come dirvelo” esordì il giovane che appariva sempre più nervoso,
“Gli è accaduto qualcosa?!” chiese la marchesa stringendo le dita attorno a un lembo del vestito
Alain deglutì
“Gli volete molto bene, non è così?” domandò timidamente
Diane arrossì così tanto che avvertì una vampata di calore quasi insopportabile sulle guance, poi annuì con un cenno del capo. Si, gli voleva molto bene, un bene che non aveva mai provato per nessuno, un affetto forte e strano.
“E allora è meglio che non sappiate...”,
con uno scatto la donna afferrò la spalla del ragazzo e strinse violentemente
“Decido io cosa è meglio per me! Io voglio sapere dov'è Erik e cosa gli è accaduto!”,
in un attimo la tristezza che velava gli occhi di Alain divenne una patina lucida che scivolò in una lacrima salata lungo la guancia del giovane
“Oh madame, ho dovuto farlo...- disse scoppiando a piangere- non avrei mai voluto, ma anche se gli avessi parlato come potevo fidarmi di lui dopo che mi aveva nascosto... gli volevo così bene...”
“Cosa ti ha nascosto?... cosa hai fatto?”
“L'ho denunciato alla gendarmeria! Probabilmente è in prigione adesso... per questo tutti lo credono sparito”
Diane si portò una mano al petto e indietreggiò chinando il capo

...in prigione ... Erik!

“Perché?!” urlò sgranando gli occhi
“Madame... voi non dovevate saperlo... lui... lui è stato un assassino...” disse Alain chiudendo gli occhi come se avesse paura di vedere la reazione della marchesa
la donna si raddrizzò mentre il petto le si sollevava rapidamente a causa del respiro che si faceva affannoso per l'agitazione, scosse il capo sbattendo più volte le palpebre come se faticasse a rendersi conto di cosa significava ciò che aveva appena appreso. Il tentativo di Alain di nasconderle la verità era stato del tutto inutile, lei lo sapeva chi era Erik, eppure aveva conosciuto la sua storia dalla fanciulla che era stata motivo della sua rovina, aveva conosciuto un uomo reso vulnerabile dalla solitudine che aveva rischiato di soccombere per un amore non corrisposto, ma soprattutto aveva incontrato un uomo che aveva lottato contro se stesso per sopravvivere e per trovare un posto nel mondo. E quell'uomo ci era riuscito... cosa ne sapeva quel ragazzo? Come aveva potuto ergersi a giudice e condannare Erik a morte, consegnandolo nelle mani dei gendarmi?
Diane cercò di mantenere la calma, se fosse stata lucida si sarebbe resa conto che se Alain non aveva il diritto di giudicare, lei non aveva alcun diritto di assolvere. Erik non era più l'essere terribile e spietato che si nascondeva dietro la maschera del Fantasma dell'Opera, ma la legge prevedeva la pena più severa per gli assassini, e Erik aveva tolto la vita a due uomini e messo in pericolo decine e decine di persone scatenando l'incendio che aveva distrutto il più importante teatro di Parigi.
La donna si sentiva confusa, incapace di rispondere ad Alain che ora la fissava singhiozzando.
“Conosco la sua storia...- ammise poi, senza riuscire a fare a meno di fissare il ragazzo con un certa freddezza mentre lui assumeva un'aria sconvolta- conosco bene tutta la storia, forse se l'avessi conosciuta bene anche tu avresti agito diversamente”
“Io stesso ancora non so se ho fatto bene a denunciarlo” rispose lui incapace di reggere o sguardo di Diane
“Quello che è certo è che hai sbagliato a non dargli la possibilità di spiegare”
“Mi sono sentito tradito, sfiduciato... credevo che se gli avessi parlato mi avrebbe mentito...”
Diane deglutì cercando di trattenere il pianto
“Spero che tu sappia che hai condannato Erik a morte con la tua decisione, probabilmente verrà giustiziato senza neanche avere la possibilità di difendersi e spiegare le sue ragioni davanti a un giudice... hai scelto di portare un grosso peso sulla coscienza, ma è una tua scelta. Addio Alain”.
Ciò detto la marchesa si voltò e senza aggiungere altro si avviò verso la sua carrozza. Una volta salita sulla vettura si lasciò cadere sul sedile dove si abbandonò a un pianto disperato.
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Ed eccoci qui, io e le mie idee strappacuore...
Grazie a tutto il seguito e a Bloodred_rose per la recensione (Diane, innamorata?... di Louis?... uhmm... In compenso, ora sai cosa è successo al nostro Fantasma, ebbene si, se lo merita. Sono contenta che il "carramba che sorpresa... Christine, per te Erik è quiiiiiii!" ti sia piaciuto, lo so che probabilmente immaginavate qualcosa di più catastrofico, ma siccome nel frattempo Erik è molto cambiato, avviandosi verso una sorta di "fase zen" mi sembrava più giusto un incontro "calmo").
Mancano ormai pochissimi capitoli alla conclusione. Ma prima della fine c'è un ultimo colpo di scena.
Restate in onda.

I remain, gentleman, your obedient servant.

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Capitolo 27
*** Capitolo ventiseiesimo ***


L'autrice spiantata si scusa per l'abominevole ritardo, e ringrazia di cuore per le letture e le recensioni.
I remain, gentleman, your obedient servant.

CAPITOLO VENTISEIESIMO

Colette scostò una tenda di velluto e spiò il cielo limpido oltre i vetri della grande porta-finestra in fondo al corridoio. Il giardino della tenuta dei De Valois era un mare d'erba piatto, illuminato da un sole primaverile che lasciava sulla pelle la promessa di un'estate ormai prossima.
L'anziana donna si trovò a sospirare pensando quanto il mondo fuori si intonasse così poco all'atmosfera che da diversi giorni regnava in quella casa.
Colette aveva cominciato a prestare servizio come domestica fin da giovanissima, aveva diciassette anni quando sua zia la presentò a una ricca famiglia di Parigi, cominciò a lavorare presso la casa di un banchiere, quando questi cadde in disgrazia e fu costretto a licenziare gran parte della sua servitù Colette aveva trent'anni e i suoi vecchi padroni le avevano lasciato una lettera con delle ottime credenziali che le permisero di essere assunta presso la famiglia De Valois. Ricordava bene il giorno in cui si presentò alla marchesa Madeleine, era il 15 dicembre 1840, quella data sarebbe passata alla storia perché fu il giorno in cui a Parigi vennero celebrati i funerali di Napoleone Bonaparte, a quasi vent'anni dalla morte di quell'uomo che aveva reso la Francia un vero e proprio Impero e le aveva regalato la speranza di un futuro più roseo dopo gli orrori che avevano seguito la Rivoluzione. Quel giorno tuttavia, Colette ignorò il solenne avvenimento e attraversò tutta Parigi a piedi per recarsi dai suoi nuovi padroni. Quando fu ricevuta dalla marchesa, Colette notò subito che madame Madeleine era in uno stato piuttosto avanzato di gravidanza, la donna lesse le credenziali della domestica e si limitò a presentarle il maggiordomo che le avrebbe dato istruzioni sul suo lavoro. Poche settimane dopo la marchesa diede alla luce il suo primogenito, Louis.
Forse fu per l'immensa tenerezza che provò nel vedere venire a mondo quel bambino, ma Colette si disse che mai, per niente al mondo avrebbe lasciato quella casa, e difatti rimase presso la famiglia De Valois per anni, durante i quali vide nascere altri due figli, e poi, dopo molto tempo vide i vecchi marchesi morire e Louis prendere moglie, e a sua volta avere una figlia.
“Questa è casa mia...” sospirò tristemente Colette posando una mano contro il muro in una sorta di carezza simbolica a quel luogo che da sempre era stato per lei la rappresentazione di tutte le sue certezze.

Diane era tornata da poco, aveva dato ordine di non cucinare nulla per lei perché non aveva fame, poi si era recata nella stanza di sua figlia e aveva atteso che Vivianne si svegliasse.
La bambina si stropicciò gli occhi e si mise a sedere poggiandosi con la schiena contro i cuscini accantonati contro la spalliera del letto,
“Mamma...” disse con voce lamentevole tendendo le braccia verso la marchesa che era seduta su una poltrona accanto a lei,
Diane deglutì e prese sua figlia tra le braccia facendola sedere sulle sue ginocchia, le baciò la testa affondando il viso nei capelli castani della piccola.
“Mamma... Erik...” piagnucolò la bambina,
la marchesa trasalì e si impose di trattenere le lacrime, cercando di concentrarsi su qualcosa da dire a sua figlia.
“Lo so piccola mia, Martine mi ha raccontato...” mormorò
“E' andato via senza vedermi, non mi ha salutato... non mi vuole bene... io pensavo che mi voleva bene”
“Oh no, tesoro, non pensare nemmeno per un momento che non ti volesse bene, sono certa che te ne voleva, e tanto”
“Ma allora perché non ha mantenuto la promessa di farsi trovare da me per salutarlo?” chiese Vivianne stringendo i pugni
“Se non c'è stato forse è perché non ha potuto” rispose sua madre accarezzandole il viso
“Allora gli è successo qualcosa di brutto... mamma... mamma, cosa può essere successo al mio Angelo?”
Diane si sentì stringere il cuore e dentro di sé pregò perché la bambina trovasse la sua menzogna convincente
“Assolutamente niente, sono sicurissima che non gli è successo niente, lui è una persona così in gamba, come vuoi che gli sia accaduto qualcosa di male? - concluse la marchesa tentando di sorridere- solo che a volte, piccola mia, ai grandi capita di avere impegni che li portano a non esserci in certi momenti, anche se vorrebbero...”
“Come mio padre?”
“Si, tesoro, come tuo padre”
Diane fece poggiare il capo di sua figlia sul suo petto e la strinse a sé cercando di ricordare quanto quella bambina fosse la sua unica ragione di vita, l'unica cosa che dava un senso alla sua esistenza. Ma da un po' di tempo si era resa conto che il pensiero di Vivianne non era più l'unica sua consolazione. Faceva fatica ad ammetterlo, ma quell'uomo era diventato così importante per lei che pur sapendo che non avrebbero mai potuto stare insieme la sola idea che lui fosse da qualche parte e che ogni tanto le rivolgesse almeno un pensiero, le ridava voglia di vivere e andare avanti. Ma adesso che lui era destinato a una morte certa per mano della giustizia la faceva precipitare verso la più fredda e profonda desolazione.

*

“Proprio una bella giornata!” esclamò madame Giry sorridendo e aprendo la finestra per lasciare che il sole illuminasse la cucina, mentre Meg metteva via le stoviglie della colazione,
“Con questo tempo forse il bucato si asciugherà più in fretta” commentò la ragazza
sua madre annuì e si diresse in camera sua per finire di vestirsi, ma all'improvviso qualcuno bussò alla porta con tre colpi precipitosi e violenti. Meg fece capolino sulla soglia della cucina e guardò sua madre preoccupata,
“Madame! Meg! Apritemi vi prego!” esclamò una voce concitata
“Christine?!” dissero in coro le due donne stupite,
Meg corse verso la porta
“Cosa ci fa una futura viscontessa nella nostra umile casa?” esclamò con aria scherzosa,
madame Giry invece si morse il labbro, conosceva la ragazza, l'aveva cresciuta come una figlia e il suo tono di voce e quei suoi colpi precipitosi alla porta non promettevano nulla di buono.
Meg aprì la porta, ma il sorriso canzonatorio le sparì dalla faccia non appena vide l'espressione della sua amica: Christine sembrava sconvolta.
“Christine, cara, cosa è successo?” domandò corrugando la fronte,
la fanciulla entrò in casa, le due donne videro che teneva tra le mani una copia di un giornale e lo stringeva tra le dita stropicciando la carta,
“E' orribile... è orribile...” sibilò Christine
“Cosa, mia cara? Cosa c'è?” domandò madame Giry preoccupata andando ad abbracciare la ragazza che scoppiò il lacrime,
Meg le tolse con cautela il giornale di mano e lesse la notizia che campeggiava in bella vista al centro della pagina con il titolo in grandi lettere scure:
IL FANTASMA DELL'OPERA E' STATO ARRESTATO!
La ragazza mostrò la pagina a sua madre che era ancora intenta a cercare di far tranquillizzare Christine.
“Mio Dio” disse Eloise facendo il segno della croce
“L'hanno preso, capite?... verrà condannato a morte!” urlò Christine per poi accasciarsi su una sedia,
madame Giry strappò il giornale da mano a sua figlia e lesse in fretta l'articolo
“E' stato arrestato nei pressi del teatro dell'Odeon...” disse la donna posando il giornale sul tavolo
“I giornalisti non si sono risparmiati di sottolineare che quella sera in quel teatro si era esibita Christine- aggiunse Meg- potrebbero far scoppiare uno scandalo”,
Eloise chiuse gli occhi e si portò le mani in grembo torcendosi un lembo della veste da camera che aveva ancora indosso.
E così, dopo tanto tempo era stato sconfitto, era stato catturato e consegnato alla giustizia. E così sarebbe morto... dopo una vita trascorsa a proteggerlo, a nasconderlo, ad aiutarlo, lo avrebbe visto condotto al patibolo, accompagnato dagli insulti e dalle grida della folla. Non era rimasto né il Fantasma né l'uomo, solo un criminale meritevole del disprezzo della gente, alla fine il destino aveva avuto la meglio. Il destino, del resto, vince sempre, perché il destino non ha necessità di essere giusto.
“Erik...” mormorò la donna coprendosi il viso con le mani
“E' tutta colpa mia” aggiunse Christine
“No, Christine! Perché dici questo amica mia?” chiese Meg prendendo le mani della giovane tra le sue,
“L'altra sera lui era lì per me”
“Come?! Vuoi dire che vi siete incontrati, che è venuto a cercarti?”
“Lo sapevo che sarebbe successo” disse madame Giry sospirando
Christine scrutò il volto della donna fisso in un'espressione rattristata che metteva in evidenza le rughe di espressione che in quei mesi si erano fatte più marcate,
“L'altra sera dopo aver cantato... l'ho incontrato nel mio camerino, si era nascosto lì, mi stava aspettando, mi è venuto a cercare”
“Ha detto che non l'avrebbe fatto!” esclamò Meg, ma un attimo dopo si pentì di essersi lasciata scappare quella frase perché Christine la guardò con aria sorpresa mentre sua madre le lanciava un cupo sguardo di rimprovero
“Cosa hai detto?” domandò la ragazza
“Io...” farfugliò Meg abbassando lo sguardo
“E' stato qui, settimane fa” ammise madame Giry conscia del fatto che oramai era inutile cercare di nascondere la verità a Christine
“Non me l'avevate detto” protestò lei
“Credevo che fosse meglio così... lui disse che non aveva intenzione di venirti a cercare in casa De Chagny – spiegò Elois- evidentemente quando ha saputo che eri tornata a cantare non ha saputo resistere alla tentazione di venirti ad ascoltare... dopotutto è stato il tuo maestro”
“Ed è stata la sua rovina... e ora è perduto, a causa mia!”
Christine si stropicciò il viso con le mani e si morse il labbro
“No, bambina mia, qualcuno deve averlo scoperto ed è andato a denunciarlo, probabilmente i gendarmi che l'hanno preso aspettavano solo il momento più adatto per catturarlo” commentò madame Giry scuotendo il capo. Quella donna era sempre stata forte, temprata da una vita passata a destreggiarsi tra segreti da nascondere e affetti da proteggere. Disse a se stessa che anche in quel momento doveva mantenersi forte, per Christine, ma in cuor suo sperava che quella ragazza si calmasse e lasciasse la sua casa, non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto nasconderle la sua angoscia e le lacrime che cercava di nascondere con un'abilità che ormai le sembrava aver perso.
Meg osservò sua madre e la sua amica spostando lentamente lo sguardo preoccupato sull'una e poi sull'altra. Forse qualche settimana prima si sarebbe detta che era meglio così, che quel mostro aveva avuto ciò che si meritava, ma dopo averlo incontrato era stata troppo toccata dalla sua sofferenza ed aveva avuto conferma di ciò che aveva supposto la sera che aveva raggiunto la dimora sotterranea e guardato da vicino il mondo che quell'uomo aveva costruito, un mondo dorato e bellissimo, uno spicchio di sogno che gli facesse dimenticare l'orrore della sua solitudine che rifletteva l'orrore del suo aspetto.
“Mi dispiace tanto...” sospirò la ragazza
“Voglio vederlo!- esclamò Christine prendendo la mano di madame Giry- accompagnatemi alla prigione, vi prego, voglio vederlo, voglio parlargli!”
“No, bambina, servirebbe solo a fare del male a entrambi...”
“No, Christine! Ragiona... se tu andassi a fargli visita in prigione per cercare di vederlo non servirebbe che a fomentare le voci che corrono sul tuo conto, già i giornalisti hanno scritto che lui era lì a teatro per te... ne va della tua reputazione” osservò Meg risoluta,
la sua amica scosse il capo,
“Non mi importa, io andrò comunque, con o senza di voi!”
Eloise accarezzò il volto di Christine
“Mio piccolo angelo, sei diventata davvero una donna- mormorò sorridendo tristemente- un tempo non avrei mai pensato che ti saresti mostrata così sicura e decisa. Tuttavia, Meg ha ragione, e sinceramente non credo che nella posizione in cui si trova gli sia permesso ricevere visite... e ad ogni modo, ora non ho la forza per... ora ho solo voglia di piangere, perdonami”,
ciò detto madame Giry si diresse fuori dalla cucina, le due ragazze sentirono i suoi passi dirigersi verso la camera da letto e la porta della stanza chiudersi pesantemente.

*

Il senso del tempo sembrava aver abbandonato la sua mente, come quando viveva nei sotterranei dell'Opera dove non arrivava il sole a scandire i momenti della giornata. Spesso trascorreva notti intere a scrivere musica, quando era dedito alla composizione del suo Don Juan si sedeva al suo organo e vi rimaneva giornate intere, senza avvertire né la stanchezza né la fame. E solo quando aveva dato sfogo alla sua ispirazione controllava il suo orologio da taschino e si rendeva conto che erano trascorse molte ore, molto più tempo di quanto pensava.
Era passata una settimana dal suo arresto e le giornate erano scandite solo dall'arrivo della sentinella che gli portava i pasti introducendo una brocca d'acqua e una scodella di cibo rancido da uno sportellino in fondo alla grata.
Da lì Erik non poteva nemmeno sentire le grida della folla che in quei giorni si radunava di tanto in tanto fuori al Palazzo di Giustizia e chiedeva a gran voce che venisse mostrato loro il mostro, l'assassino, perché essi potessero gridargli in faccia il loro disprezzo.
Gli era stata portata una Bibbia, qualcuno evidentemente doveva aver pensato che il Figlio del Diavolo, sentendosi prossimo alla fine, avesse voglia di avvicinarsi a Dio. In realtà lui e il Signore non erano del tutto estranei. Erik non era mai stato devoto, come avrebbe potuto esserlo vista la crudeltà che Dio gli aveva dimostrato? Eppure aveva fede nell'esistenza di un Padre a cui persino lui si era rivolto nei momenti di rabbia e sconforto, sia pure semplicemente per bestemmiare, offendere quel Creatore che aveva messo al mondo un figlio così sventurato.
Negli anni trascorsi in solitudine, nei sotterranei, aveva letto ogni genere di libro, anche molti saggi e trattati, sviluppando una vasta cultura su diversi argomenti eppure non aveva mai letto le Sacre Scritture, in quell'ultima settimana invece si era dedicato a leggere la Bibbia con una certa attenzione, dal momento che non aveva altro da fare se non leggere quella che definivano la Parola di Dio e riempire le pareti della cella con disegni che realizzava incidendo la pietra con la punta di un vecchio chiodo o con un carboncino che aveva trovato sotto al letto.
Del resto, era certo che non gli rimaneva più molto tempo da trascorrere in prigione, presto la giustizia avrebbe fatto il suo corso.

Erik era in piedi, con le spalle rivolte alla grata, fissò con aria assorta il bordo di legno del tavolino tarlato che era poggiato contro la parete, allungò le mani e posò le punte delle dita sul legno ruvido e consunto e prese a muoverle come se stesse suonando un pianoforte, nella sua mente poteva sentire la musica, le note comparivano dal nulla nella sua mente come se stesse suonando davvero. Non volle interrompere quella piacevole illusione nemmeno quando avvertì dei passi lungo il corridoio e si disse che era troppo presto perché gli venisse portata la cena.
Sentì i passi fermarsi davanti alla sua cella, poi allontanarsi nuovamente e avvertì che qualcuno era andato via, mentre qualcun'altro era rimasto davanti alla grata, a guardarlo nell'attesa che si voltasse. Ancora prima che si decidesse a vedere di chi si trattasse, sentì una voce chiamare il suo nome.
“Erik”,
l'uomo trasalì e affondò le unghie nel legno lasciando solchi profondi sulla superficie del tavolo,
si voltò lentamente di lato girando la testa verso sinistra in modo che la persona che era alle sue spalle potesse vedere solo il lato sano del suo volto disastrato.
“Diane...” mormorò stupito,
la marchesa si avvicinò stringendo le mani attorno alle sbarre lasciando che il ferro arrugginito le macchiasse i merletti delle maniche che spuntavano dalla leggera marsina di cotone.
“Diane, cosa ci fai qui? Non è consentito far visita a un prigioniero come me...”
“Il nome di mio marito e il mio titolo dovranno pur valere qualcosa”
“Ah, certo, capisco...”
i due restarono per un attimo in silenzio,
“Erik, in nome di Dio, guardami!” esclamò ad un certo punto la marchesa con voce esasperata
lui sospirò
“Poterti vedere sarebbe un gran sollievo, credimi, ma è meglio che tu non veda me”
Diane ristette e si rese conto che evidentemente quando era stato condotto in cella gli era stata portata via la maschera, era per questo che lui non voleva che lo vedesse,
“Non essere sciocco, ti prego... credi che sia importante?” disse superato il primo momento di perplessità
“Credo solo che la mia faccia sia il motivo per cui la mia vita è stata quello che è stata, e il motivo per cui ora sono qui, giudica tu se è abbastanza importante”
la marchesa si aggrappò con uno scatto violento alle grate, le dita strinsero le sbarre di ferro così forte che le sue nocche sbiancarono, Erik sentì un gemito soffocato e il cuore gli si strinse in una morsa di gelo: alla fine era riuscito, involontariamente, a provocare dolore anche a quella donna. La sua morte sarebbe stato di certo un bene per tutti, almeno non avrebbe più arrecato danni a nessuno.
“Erik, è una settimana che cerco di ottenere il permesso per farti visita- disse Diane con voce tremula- ti hanno condannato a morte, so che non hai assistito al processo...”
“Non hanno ritenuto fosse necessario, sai, sembra che abbiano una terribile paura di me, anche ora che sono dietro le sbarre! Ad ogni modo, non vedo cosa avrei dovuto aspettarmi dal momento che ho confessato la mia colpevolezza”
Diane scosse il capo
“Credevo di essermi guadagnata il diritto di guardarti negli occhi un'ultima volta, pensi forse che mostrarti così freddo nei miei riguardi mi sollevi dal dolore che sto provando per te?”

Stranger than you dreamt it
can you even dare to look or bear to think of me?...

“Diane, non posso sopportarlo. Lasciami morire sapendo che tu non hai conosciuto nessuna delle mie mostruosità, né quella del volto né quella dell'animo”
“Forse per un uomo sarebbe meglio morire pensando che alla fine c'è stato qualcuno per cui le sue mostruosità non hanno contato nulla!”
ciò detto la marchesa scoppiò in lacrime poggiando la fronte contro le grate.
Erik sentì il cuore frantumarsi ad ogni singhiozzo della donna che piangeva violentemente alle sue spalle e sentì che avrebbe voluto abbattere le pareti di quella cella solo per poterla abbracciare e confortarla, per dirle che non gli importava morire, semplicemente le dispiaceva lasciarla e averle causato tanta pena.
L'uomo si voltò lentamente verso Diane, lei si asciugò le lacrime con il dorso della mano e osservò il viso del suo interlocutore.
La guancia sinistra era coperta da un velo scuro di barba, mentre sulla guancia destra la barba era cresciuta chiazze irregolari che sottolineavano ancora di più i tratti distorti di quel volto.
La parte destra del volto di Erik, dalla tempia alla guancia, era arrossata, la pelle raggrinzita e cadente sformava i lineamenti rendendoli distorti, rendendo indefinito e irregolare il tratto dello zigomo e il profilo del naso, come se la sua carne fosse stata devastata da una profonda ustione. Come una nota stonata in una melodia perfetta e bellissima.
Fu alla vista di quel viso devastato che Diane comprese tutto ciò che aveva fatto fatica a capire nelle settimane precedenti. Capì quanto amasse quell'uomo, perché se non ne fosse stata innamorata probabilmente la vista della sua deformità l'avrebbe turbata al punto da costringerla a coprirsi gli occhi e invece alla luce dei sentimenti che provava non c'era niente in quel volto che potesse in qualche modo compromettere il suo amore, e comprese anche quanto dolorosa doveva essere stata la sua esistenza, quanto fosse stato facile per lui cedere alla pazzia e allo sconforto. Ma si trattava di comprensione, non di pietà. Non avrebbe mai potuto compatirlo.
La marchesa allungò il braccio oltre le sbarre e accarezzò delicatamente la guancia destra di Erik, quasi come per convincersi che non ci fosse nulla di davvero repellente nel suo aspetto, lui chiuse gli occhi a quel tocco gentile e posò una mano su quella della donna.
“Come puoi credere che questo cambi qualcosa... io ti amo” disse guardandolo negli occhi e godendosi per un attimo la sua espressione stupita, quasi sconvolta.

... io ti amo

Erik rimase senza fiato. Non avrebbe mai creduto che prima o poi qualcuno gli avrebbe detto di amarlo, e non si era voluto concedere l'illusione di pensare che se anche quel qualcuno fosse arrivato prima o poi, sarebbe stata proprio lei!
Si ritrovò a stringere la mano della donna nella sua, accarezzandone il dorso con movimenti circolari del pollice.
“Diane... io...” mormorò
“Lo so, non dire niente- lo interruppe lei- so tutto... so di lei”
“Di lei?”
Diane abbassò lo sguardo, era giusto che lui sapesse, ormai non c'era più niente che valesse la pena nascondere, probabilmente quella sarebbe stata l'ultima volta che si vedevano ed era meglio dirsi ogni cosa,
“Sai, quando ho scoperto chi tu fossi in realtà, bhe... non ho fatto tutto da sola- esordì la marchesa- è sciocco, ma mi era venuto uno strano sospetto a causa di un sogno, poi ho conosciuto lei, Christine...”
a udire quel nome Erik corrugò la fronte e rimase per un attimo senza respiro, poi guardò Diane come a chiederle di continuare,
“Non so perché, ma lei mi ha preso subito in simpatia, si è fidata di me e mi ha raccontato ogni cosa... è stato solo dopo aver conosciuto tutta la storia che ho capito che i miei sospetti su di te erano fondati... ma per quanto lei mi fosse sembrata addolorata per come si era conclusa la vicenda, non le ho voluto dire che ero certa che tu fossi vivo, che sapevo dove trovarti... né ho voluto dire a te che lei avrebbe voluto rivederti almeno una volta. Mi dicevo che lo stavo facendo per risparmiare inutili sofferenze o rischi a entrambi, ma alla fine so che se ho taciuto l'ho fatto solo per gelosia... perdonami”.
Erik si trovò a fissare Diane incredulo mentre lei ritraeva la mano incapace di sostenere il suo sguardo. Dunque lei sapeva molto di più di quanto lui credeva...
“Diane, è vero ho amato Christine alla follia, ho sofferto per lei e so che il mio cuore non potrà mai dimenticarla, ma ho compreso che quando l'amore diventa alienazione, ossessione non è più degno di essere considerato tale, ho capito che non ho amato Christine, ma un'immagine di lei che non esisteva, e quando vivevo da solo nei sotterranei dell'Opera mi sarei aggrappato ad ogni speranza pur di non cedere al dolore... è stato quando non ho più avuto bisogno di illudermi che ho visto le cose per come sono in realtà, e ho conosciuto te, e con te ho capito qual'è la vera natura dell'amore”
Erik pronunciò quelle parole tutte di un fiato, e solo quando ebbe finito si rese conto che Diane era nuovamente in lacrime. L'uomo si avvicinò il più possibile e fece passare il braccio tra le sbarre, raggiunse il viso della donna e le asciugò le lacrime con una mano, poi le prese il mento tra l'indice e il pollice e avvicinò il volto di lei alla grata.
Con la fronte che urtava contro il freddo gelido delle sbarre e le mani che si stringevano, Erik e Diane si scambiarono un lungo bacio, pieno di tutta la tenerezza che a entrambi, per motivi diversi, era sempre stata negata.
Si ritrassero solo quando i loro polmoni reclamarono aria, Erik abbozzò un sorriso malinconico,
“Non essere triste- disse- sai che non avremmo potuto stare insieme comunque...”
“Lo so, ma io non riesco a sopportare l'idea che tu...”
“Sssh, fai finta che io sia partito, e sappi che io sono felice, anche se morirò proprio dopo aver trovato finalmente qualcosa per cui vivere”
Diane non riuscì a soffocare un singhiozzo, e lui pensò che fosse il caso di stemperare l'atmosfera che stava diventando troppo densa, quasi irrespirabile.
“Sai, c'è una cosa che non capisco... come è possibile che mi abbiano trovato, ho un sospetto ma mi sembra assurdo” disse
“Erik... lo vuoi proprio sapere?”
“E' stato Alain, vero?”
Diane deglutì
“Si, ma come lo sai?”
“Era sfuggente negli ultimi tempi, come se ce l'avesse con me. Non so come abbia fatto a scoprire tutto, ma in questa settimana ci ho riflettuto e ho capito che solo di lui poteva trattarsi. Comunque non ce l'ho con quel ragazzo, ha fatto quello che ha ritenuto giusto”
“Credo che si porterà un bel rimorso sulla coscienza”
“Può darsi... io, per quel che mi riguarda, sono in pace” concluse Erik
“Non lo dici solo per farmi sentire meglio?” domandò Diane scrutando ansiosa il viso dell'uomo
“No, te lo giuro”
la donna annuì e abbassò il capo
“Meglio che vai ora, o potrei scappare da qui solo per abbracciarti...”
“Erik, se puoi perché non lo fai?”
“Cosa? Scappare? No, Diane, non voglio più vivere nascondendomi come ho sempre vissuto fino a qualche mese fa...”
“Non lo faresti nemmeno per me?”
“Vuoi davvero che io torni a nascondermi, e comunque sarei condannato a starti lontano, no Diane, non puoi volere questo!” esclamò lui
“Vorrei solo che tu vivessi” rispose la donna
“Sappi allora che qualsiasi cosa accada non potrò mai sentirmi più vivo di come lo sono stato quei dieci giorni a casa tua”.
Diane sospirò, si scambiarono un ultimo bacio, si mormorarono sulle labbra un ultimo addio, poi lei sparì inghiottita dalla penombra del corridoio.

there will never be a day,
when I won't think of you...

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Capitolo 28
*** Capitolo ventisettesimo ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO

Le parole le sfuggivano dalla mente come se i suoi pensieri fossero fatti di vento, invisibili, inafferrabili ma dotati di una forza sconvolgente. Una forza che avrebbe potuto distruggere, annientare.
Christine era in piedi davanti alla finestra dello studio di Raoul. Lui era appena tornato, lo aveva visto arrivare, scendere dalla carrozza e dirigersi in casa a rapidi passi, sorrideva, sembrava contento, evidentemente era felice di essere di nuovo a Parigi e ancora più felice di poterla riabbracciare. Di sicuro lei gli era mancata.
Anche lui le era mancato molto, più di quanto avrebbe potuto raccontare a parole, ma ora la nostalgia che aveva provato per il suo fidanzato si perdeva nei meandri della sua anima, sopraffatta da un altro dolore, da altri pensieri amari.
Ascoltò i passi di Raoul salire le scale e percorrere il corridoio, poi la porta dello studio si aprì di colpo,
“Christine!” esclamò lui sulla soglia con un sorriso contento,
la ragazza si voltò a guardarlo e gli corse incontro, lo abbracciò, ma invece di sollevare il viso verso di lui per ricevere un bacio nascose il volto sul petto del giovane e cercò di trattenere le lacrime,
“Oh Raoul...” sospirò affranta.
Il visconte percepì subito una nota di sofferenza nella voce della sua fidanzata, le accarezzò le spalle, poi le prese il mento tra l'indice e il pollice e la costrinse ad alzare la testa,
“So che non dovevo partire e lasciarti qui da sola, mia piccola Christine- disse guardandola con tenerezza- ti sarai sentita sola e immagino che nessuno in questa casa abbia fatto molto per alleviare la tua malinconia”
Christine si morse il labbro, la sua premura, la dolcezza dell'amore che Raoul provava per lei le rendeva ancora più difficile raccontargli ciò che era successo,
“Ma dimmi, non ti hanno forse trattata con la premura che meriti e come io avevo raccomandato di fare?” insistette il ragazzo,
“No, no Raoul... ma...”
“Ma cosa? Cosa c'è?”
“Raoul... io... non so come dirtelo... lui”

...lui

il visconte non ebbe bisogno di sapere altro per capire a chi si stesse riferendo Christine. Lui, il Fantasma dell'Opera, quell'uomo che già una volta aveva minacciato di distruggere la loro felicità... che altro era accaduto? Cosa altro aveva fatto? Non era sprofondato nell'inferno in cui tutti lo credevano relegato?
“Lui. Dunque è vivo!- esclamò il giovane con freddezza- ha osato venire a cercarti fin qui? Ha osato provare di nuovo a farti del male? Dimmi dov'è, dimmelo e farò quello che che mi hai impedito di fare quella mattina al cimitero... avrei dovuto strappargli il cuore dal petto!”
“Smettila Raoul, smettila! Basta!” gridò Christine staccandosi da lui, chiuse gli occhi e si coprì le orecchie con le mani, come se non volesse né vedere né sentire l'odio che aveva alterato i lineamenti e la voce del visconte,
“Non è come credi” aggiunse la ragazza con fermezza, sollevando lo sguardo verso il suo fidanzato e fissandolo con durezza,
lui scosse la testa e sospirò
“Credevo che al mio ritorno ti avrei trovata felice di rivedermi, trepidante per l'idea di essere di nuovo con me, ormai prossima a diventare mia moglie, e invece ora mi guardi come se fossi un criminale. Quell'essere è di nuovo riuscito a rovinare ogni cosa, ma immagino che tu non mi dirai dove posso trovarlo, ancora una volta tenterai di proteggerlo” concluse
“Dunque è questo che pensi di me? Credi che non ti ami abbastanza per dimostrarti lealtà! Credi che distruggerei la felicità che sto faticosamente cercando di costruire insieme a te per un altro uomo, chiunque esso sia... no Raoul, ancora una volta hai capito male”,
il visconte deglutì e avvertì una vampata di collera e imbarazzo colorargli le guance, chiuse gli occhi per un secondo ma nella sua mente comparì l'immagine che in tutti quei mesi aveva continuato a turbare i suoi sogni: Christine avvinghiata a quel mostro, abbandonata al tocco sfrontato di quell'assassino durante il loro duetto nel “Don Juan”. Quando lui l'aveva portata via durante la rappresentazione, Raoul era corso a cercarla, non perché temesse che il Fantasma le avrebbe fatto del male, ormai era certo che l'amore che quel mostro provava per Christine fosse pieno di una devozione che gli avrebbe impedito di torcerle anche un solo capello, ma temeva che lei avrebbe potuto cedere e scegliere di amare quell'uomo detestabile. Riaprì gli occhi di scatto e fissò la sua fidanzata, ancora una volta la situazione stava precipitando, ma lui non voleva rischiare di nuovo di perdere la donna che amava,
“Cosa vuoi dire?” domandò con voce inespressiva
Christine prese un profondo respiro e cercò di calmarsi, si asciugò le lacrime con le dita e tentò di trovare le parole adatte a raccontargli ogni cosa,
“La settimana scorsa io mi sono esibita a teatro- disse, prendendo coraggio- al Teatro dell'Odeon, dove lavora Meg, la loro primadonna si era assentata e la sostituta aveva degli impegni improrogabili, così Meg mi aveva chiesto se per una sera, una sera soltanto, non potessi tornare a cantare”
Raoul si limitò ad annuire, anche se dentro di sé avvertì una stretta al cuore, sapeva che l'amore di Christine per il canto era una passione troppo forte da reprimere, la cosa non lo stupì più di tanto e quasi si dispiacque di non essere stato presente per applaudirla, anche se razionalmente sapeva che quel gesto era stata una pessima mossa da parte della sua fidanzata dal momento che già aveva abbastanza difficoltà a farsi accettare nell'alta società.
“Lui era lì, Raoul, non so come abbia fatto ma sapeva che io avrei cantato ed è venuto a vedermi, si è fatto trovare nel mio camerino... abbiamo parlato- continuò Christine, poi decise di proseguire malgrado avesse visto lo sguardo di Raoul rabbuiarsi- abbiamo solo parlato. Lui, sai, non è più l'uomo di un tempo, era lì solo per dirmi addio, mi ha detto che se non avessimo concluso il discorso che avevamo lasciato in sospeso la sera dell'incendio non avrebbe mai trovato pace, mi ha detto anche che non mi ama più”
“E la cosa ti ha ferita, Christine?” chiese Raoul, per poi pentirsi quasi subito di quella domanda del tutto fuori luogo
“Non essere sciocco! È stata una dichiarazione che mi ha sorpresa, ma non mi ha fatto del male saperlo, anzi ho pensato che ormai lui fosse più in pace di quanto lo ero io, mi sono sentita serena, sollevata. Ci siamo perdonati a vicenda, ci siamo detti addio e io ho pensato che fosse tutto finito...”
“Ma non è così” indovinò il visconte
Chrstine abbassò lo sguardo
“Lo sarebbe stato. Probabilmente nessuno avrebbe saputo nulla di questa storia... ah, Raoul, tu non sai come mi sono sentita in pace dopo che lui era andato via! Tutti i miei rimorsi erano stati cancellati, era come se lui mi avesse reso una parte di anima che avevo perduto, ma l'indomani ho letto la notizia un giornale e...”
“Quale notizia?”
“Era stato arrestato, proprio fuori al teatro, dopo essersi congedato da me” concluse la giovane con voce tremula,
Raoul sgranò gli occhi e si coprì la bocca con una mano in un gesto di stupore,
“Mi stai dicendo che ora è in prigione?” sibilò con un filo di voce
“Si”.
Il visconte ispirò profondamente, restò per qualche secondo in silenzio ad elaborare tutto quello che aveva appena appreso e a cercare le parole più adatte per commentare ciò che gli aveva detto Christine,
“Ormai non hai più ragione di essere tormentata” concluse guardando negli occhi la sua fidanzata alla ricerca di un cenno di approvazione,
“Lo dici come se volessi convincere più te stesso...” commentò lei
“Quell'uomo è venuto da te, vi siete parlati, vi siete perdonati a vicenda, ammesso che tu avessi qualcosa da farti perdonare, vi siete detti addio. Quanto è successo dopo il vostro congedo non ti deve più riguardare, lui era già fuori dalla tua vita in quel momento”
“Mi stai dicendo che non dovrei essere in pena per lui, che non dovrebbe importarmi se la settimana prossima verrà condotto al patibolo?!”
“Sto dicendo che sarebbe giusto risparmiarsi inutili sofferenze. Sei stata fin troppo generosa a preoccuparti di lui in tutto questo tempo, a sentirti in colpa, ora basta, ciò che è successo non deve più pesare sulla tua anima, non è giusto nei nostri confronti Christine, il nostro matrimonio non deve essere funestato anche da questo evento. Quell'uomo sarà giustiziato perché ha commesso dei crimini, è la legge, e né i suoi crimini né la sentenza di morte per un assassino sono colpa tua o di qualcun'altro. Lui ha delle colpe, ed è giusto che paghi”
Christine strinse i pugni, fremeva di rabbia davanti al cinismo di Raoul
“Lo chiami assassino, criminale, lo hai chiamato mostro, eppure lui è stato capace di perdonare, di andare avanti, di gettarsi il passato alle spalle e rifarsi una vita, tu... tu invece sei rimasto legato al tuo desiderio di vendetta, pensi che saperlo morto ti ripagherà di ciò che hai subito, e forse è vero, ma come puoi considerarti un vero uomo se non sei capace di andare oltre una visione così meschina delle cose?!”
“Non si tratta della mia vendetta, Christine!- tuonò Raoul ferito da tanta rabbia- si tratta della giustizia degli uomini, e anche di quella di Dio!”
la ragazza scosse il capo
“Sono certa che Dio non guarda a ciò che un uomo fa, ma ai motivi per cui lo fa. E credo che i motivi che hanno spinto Erik a comportarsi come un pazzo, come un mostro, siano stati più validi dei motivi che adesso spingono te a mostrare tutto questo cinismo!”
“Pensi dunque che io sia senza cuore? Che non sia abbastanza uomo da valutare le cose in modo giusto? Cosa ti aspettavi da me? Cosa volevi che facessi per te più di quanto ho fatto?!” esclamò Raoul al colmo dell'esasperazione
“Volevo che comprendessi... ma forse Erik aveva ragione: non hai mai avuto una grande arguzia”
“Ah, dunque è di questo che avete parlato? Di quanto io sia stupido!”
“Non credevo che lo fossi, ma visto che parli come tale...”
“Non voglio ascoltare una parola di più!” concluse Raoul indignato
“No, non temere, non ascolterai altro da oggi in poi, me ne vado!” ripose Christine furiosa uscendo dalla stanza, Raoul la sentì chiamare una cameriera e chiederle di aiutarla a preparare la valigia, poi la sentì dirigersi verso la sua camera e chiudere violentemente la porta.
Il giovane si lasciò cadere su una poltrona e si prese la testa tra le mani,
“L'ho persa di nuovo...” mormorò afflitto.

*

Erik osservò con aria disinteressata il fagotto che la guardia aveva depositato sul pavimento della sua cella, non gli era stato detto chi glielo aveva mandato, pensò che avrebbe anche potuto essere uno scherzo di cattivo gusto da parte dei secondini, ma durante la sua prigionia non erano stati particolarmente crudeli con lui, lo avevano trattato con il più totale distacco, nessuno gli rivolgeva la parola, nessuno si avvicinava alla sua cella se non era necessario.
L'uomo si ritrovò a ridacchiare tra sé e sé pensando che evidentemente non aveva perso la presunzione che lo aveva caratterizzato quando, nascosto nell'ombra, dirigeva quello che aveva sempre chiamato il suo teatro,
“Non sono più nessuno adesso, se non un assassino da giustiziare, perché mai dovrebbero curarsi di me?” si disse alzandosi e prendendo il fagotto di tela che era rimasto poggiato sul pavimento di pietra.
Riconobbe subito un aroma familiare, un odore che lo riportò indietro ai primi momenti belli della sua infanzia, a quei momenti in cui era ancora troppo giovane per rendersi conto di quanto triste sarebbe stata la sua esitenza. Posò il fagotto sul tavolino, sciolse il nodo di stoffa e sospirò quasi contento di aver indovinato cosa era avvolto nel fazzoletto.
“Eloise, ti occupi ancora di me” mormorò quasi divertito notando che il dolce che gli era stato mandato era ancora tiepido.
Non era niente di particolare, un pane dolce speziato con la cannella e coperto di granelli di zucchero, ma per un bambino che non aveva mai assaggiato una leccornia era qualcosa di davvero squisito.
Erik staccò un pezzo del dolce e lo mangiò lentamente, gli diede un senso di calore allo stomaco come se fosse stato appena sfornato.

Aveva undici anni quando Eloise lo aveva portato via dal circo degli zingari e lo aveva nascosto nel teatro, era rimasto lunghi giorni nella vecchia cappella in cui nessuno entrava da tempo visto che quella parte dell'edificio era stata dichiarata inagibile dopo i lavori di restauro dell'Opera Populaire. Di notte, quando nessuno poteva sentirlo, vagava su e giù per le quinte, nei camerini e nei vari livelli del sottopalco. Non gli ci volle molto per scoprire le gallerie nascoste che conducevano ai sotterranei.
Ogni pomeriggio e ogni sera Eloise lo andava a trovare, gli portava da mangiare e gli raccontava cosa aveva fatto durante il giorno, per tenergli compagnia. Lei era solo una ragazzina e non poteva immaginare le conseguenze che avrebbe avuto quella che le sembrava una doverosa opera di carità. In uno di quegli incontri Erik le raccontò dei passaggi segreti che aveva scoperto, lei lo guardò perplessa e gli disse che quelle gallerie erano state costruite per trasportare i nobili fatti prigionieri durante la Rivoluzione in modo che chi gli era rimasto fedele non potesse trovarli e tentare di liberarli. Gli raccontò anche che il teatro era stato ricostruito e ristrutturato qualche decennio prima e durante i lavori quei cunicoli erano stati chiusi, nascosti per paura che qualcuno potesse smarrirsi, o peggio, usarli per raggiungere ogni punto del teatro e del collegio adiacente senza essere visto. Erano nate tante leggende macabre, leggende di fantasmi dei prigionieri torturati che ancora vagavano per quei corridoi bui, e con il passare del tempo l'esistenza di quei sotterranei era stata quasi dimenticata. Erik era rimasto affascinato dal racconto della sua nuova amica, e più di tutto lo aveva colpito il suo commento riguardo al fatto che quelle gallerie avrebbero permesso a chi le conosceva di aggirarsi indisturbato per l'edificio. Una sera decise di addentrasi più a fondo nei cunicoli, non era spaventato dal buio o dalle storie di fantasmi che si raccontavano, pensava che non sarebbe potuto accedere nulla di peggio di quanto già aveva subito, fu così che trovò la via d'accesso per raggiungere il collegio del teatro dove risiedevano le fanciulle che studiavano danza o canto, fu quel passaggio che negli anni a venire gli avrebbe permesso di raggiungere Christine nella sua stanza e cantare per lei mentre dormiva. Quella sera si intrufolò nelle cucine, fu subito attratto da un buon profumo e scoprì che proveniva da alcuni dolci lasciati a raffreddare sul tavolo, i dolci che la cuoca preparava per il pranzo domenicale delle allieve. Incuriosito assaggiò una delle torte, non aveva mai mangiato niente di simile, non riuscì a riconoscere nemmeno il sapore della cannella che non aveva mai sentito prima. Decise di portarne via un grosso pezzo e quello fu solo l'inizio delle tante piccole marachelle che combinava più per divertirsi e per passare il tempo che per arrecare veri e proprio danni. Ma furono quei piccoli furti, gli oggetti nascosti, i piatti rotti, la farina rovesciata sul pavimento in strani disegni che non potevano ritenersi accidentali, a far nascere la leggenda del Fantasma dell'Opera. Da ragazzino Erik non avrebbe mai immaginato che quelli che gli sembravano dei giochi innocenti gli avrebbero spianato la strada per ciò che avrebbe fatto molti anni dopo.

Erik finì di mangiare il dolce chiedendosi ancora una volta quanta pena stavano provando in quei giorni le poche persone che in qualche modo gli avevano voluto bene e si convinse ancora di più che la sua morte sarebbe stata un sollievo per tutti.

*

Madame Giry era tornata a casa dopo l'ennesima visita al carcere in cui aveva cercato inutilmente di ottenere il permesso di vedere Erik. Quel giorno gli aveva portato un dolce, quello che era sempre stato il suo dolce preferito, era un modo per fargli sapere che nemmeno in quel frangente lei lo avrebbe abbandonato, e in cuor suo la donna era certa che lui avrebbe compreso il significato e il valore di quel gesto. Ma l'avvenimento degno di nota di quella giornata si rivelò un altro: quando tornò a casa Eloise trovò Christine ad attenderla sulla porta, con in mano una grossa valigia. La ragazza le raccontò che aveva rotto il suo fidanzamento con Raoul e le spiegò del loro litigio e della violenta discussione che avevano avuto. Non che Eloise si fosse mai aspettata che il visconte De Chagny avrebbe mosso un solo dito o speso una sola parola a favore di Erik, ma ritenne comunque che il comportamento di Christine era stato eccessivo, tuttavia pensò di non peggiorare la situazione e disse alla ragazza che sarebbe potuta rimanere in casa sua per tutto il tempo che le serviva. Non le parve quello il momento di far notare a Christine quanto fosse stata poco comprensiva nei confronti dell'atteggiamento del suo fidanzato.
Madame Giry si limitò a pregare, chiedendo a Dio di fare in modo che Christine tornasse sui suoi passi e che tutta quella terribile vicenda smettesse di tormentare le loro vite. La donna non poteva immaginare quanto i piani del Signore a volte potessero superare ogni tipo di aspettativa, nel bene e nel male.
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L'autrice spianta annuncia che mancano altri quattro capitoli alla conclusione.
Mi scuso con il ritardo, ma prometto che il prossimo capitolo, che è già pronto e sistemato con l'aiuto della mia insostituibile betareader, arriverà non più tardi di una settimana.

Moonipotty, non mi ti sciogliere in lacrime please XD mancano ancora quattro capitoli, può succedere di tutto in quattro capitoli... eheheh... "quell'altra" a casa sua proprio non ci è voluta rimanere, in tutti i sensi... e vabbè... ^^
Ethis, grazie dei complimenti e degli auguri. Le feste sono passate, ma ti auguro lo stesso un buon anno per questo 2009 appena cominciato ^^

I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 29
*** Capitolo ventottesimo ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO

Colette osservò con aria severa alcune cameriere che stavano lavando il pavimento del salone.
“Quando ho detto che dovete fare in fretta non intendevo che dovete pulire come se questa fosse una stalla e non una casa!” gracchiò l'anziana domestica facendo sussultare le sue giovani sottoposte.
Per lunghi giorni la marchesa era rimasta in uno stato di apatia, non aveva nemmeno letto le lettere che suo marito le aveva spedito, ma quando finalmente si era resa conto che era il caso di scrivergli e aveva aperto le missive ricevute, aveva scoperto con sorpresa che Louis stava tornando a casa. Non era specificato il motivo di questo rientro così improvviso, ma ormai mancava poco perché lui fosse di ritorno e la servitù, in quei pochi giorni, si era data un gran da fare per preparare tutto al meglio per il ritorno del padrone.
Era tutto molto strano, solitamente Colette si preparava al ritorno del marchese come se fosse in arrivo una festa, e invece stavolta era piuttosto preoccupata. Troppe cose non stavano andando come dovevano, e non era mai accaduto che il marchese tornasse a casa in un tempo così rapido e con così poco preavviso.
Louis arrivò un mercoledì pomeriggio. Come di consueto trovò sua moglie sulla porta e tutta la servitù schierata ordinatamente nell'ingresso della villa. Colette dovette soffocare un gemito angosciato quando lo vide scendere dalla carrozza, ormai era certa che ci fosse qualcosa che non andava, come se il destino si fosse accanito su quella famiglia. Il marchese aveva l'aria stanca di chi non dormiva da diverso tempo e i suoi occhi, gonfi e cerchiati da occhiaie livide, erano terribilmente tristi. La domestica pensò che il mondo stava decisamente impazzendo. In quegli stessi giorni in città serpeggiava un forte malcontento: alcuni mesi prima le truppe degli invasori prussiani avevano sfilato trionfanti per le strade di Parigi, il popolo era attonito, malgrado l'assedio della capitale francese durasse già da molte settimane e minacciasse di mettere in ginocchio il paese. Adesso girava voce che un nutrito gruppo armato, una milizia cittadina, nota come la Guardia Nazionale si era procurata dei cannoni e minacciava di destituire il Governo. Forse era per questo che il marchese De Valois era tornato, le allarmanti notizie riguardo ai fatti che accadevano nella sua città gli avevano fatto sentire l'urgenza di essere a casa.
L'aspetto spossato e lo sguardo triste di Louis non sfuggirono nemmeno a Diane che si limitò a mormorargli un rapido benvenuto e lo scortò preoccupata verso la sua stanza.
“Perdonatemi mia cara, ma ho bisogno di riposare” disse l'uomo con voce incerta, sua moglie lo scrutò con un occhiata indagatrice,
“Si, lo vedo” commentò seria
lui annuì e fece per sparire oltre la porta, ma poi si fermò sull'uscio con lo sguardo basso, deglutì come se le parole gli si fossero fermate in gola,
“Diane, io... bisogna che vi parli, appena mi sarò rinfrancato dal viaggio” concluse,
la marchesa lo osservò con apprensione,
“Certo, Louis. Riposate ora” disse prima di allontanarsi.

Il marchese fu svegliato per la cena, salutò sua figlia, poi lui e la sua famiglia si sedettero intorno al tavolo e consumarono il pasto in silenzio.
Diane tormentò a lungo la sua porzione di verdure con la forchetta ma non mangiò quasi niente. Quell'atmosfera le sembrava quasi surreale, trasportava la sua mente lontano dalla realtà, in una sorta di bolla dove tutto sembrava distante e ovattato. Era come se il gelo che regnava in casa sua riuscisse a cauterizare il suo dolore. Si rese conto che non aveva versato una sola lacrima da quando aveva detto addio ad Erik in prigione, aveva lasciato che il l'angoscia scorresse lentamente nelle sue vene, spegnendole lo sguardo e togliendole la voglia di fare ogni cosa, ma non aveva lasciato trapelare in nessun modo la sua disperazione. Non ancora almeno.
“Vivianne, da' la buona notte a tuo padre, è ora di andare a letto” disse la marchesa a sua figlia, appena la bambina ebbe mangiato l'ultimo pezzo della sua mela.
La piccola salutò Louis e si avviò verso la sua stanza accompagnata da Martine. L'uomo la seguì con lo sguardo poi si rivolse a sua moglie,
“Vorrei che mi raggiungeste nel mio studio, dopo che avrete messo a letto nostra figlia” le disse uscendo anche lui dalla sala da pranzo.

“Mamma, perché sei triste?” domandò Vivianne, quando sua madre si sedette sul bordo del letto accanto a lei,
“Pensavo che è molto tempo che non vedo il mare” mentì la donna accennando un sorriso poco convinto
“Un giorno mi porti a Marsiglia dove sei nata tu?”
“Un giorno, certo. Ora dormi tesoro mio”.
Diane salutò sua figlia con un bacio sulla fronte, poi uscì dalla stanza e si diresse verso lo studio di suo marito, dall'altro lato del corridoio. Bussò delicatamente alla porta e fece capolino oltre l'uscio,
“Volevate parlarmi Louis?” disse entrando nello studio
“Entrate, chiudete la porta per favore” rispose lui facendole cenno di avvicinarsi.
Il marchese era in piedi davanti alla libreria, il suo sguardo era ancora cupo e triste,
“Vi ascolto” disse sua moglie scuotendolo dai suoi pensieri,
l'uomo si voltò lentamente verso Diane e sospirò,
“Voi siete una persona assai migliore di me” commentò laconico
“Non vi capisco”
“Ah, Diane è così difficile”
“Ammettere che siete infelice?” indovinò lei guardandolo negli occhi
“E' la stessa sensazione che provate voi?” chiese Louis con una nota di apprensione nella voce,
Diane non rispose, abbassò il viso e si concentrò a seguire con lo sguardo le linee contorte degli arabeschi dorati disegnati sul tappeto di porpora che copriva il parquet dello studio. Suo marito interpretò quel silenzio come una risposta affermativa,
“Credetemi Diane, io ho sempre nutrito per voi una stima infinita e un affetto inesprimibile, siete la donna che ho scelto di sposare e la madre di mia figlia... ah, vi giuro che amo la nostra Vivianne più di quanto sia mai stato in grado di dimostrare” aggiunse l'uomo
“Non me lo avevate mai detto”
“Mi sono sempre sentito in colpa nei suoi riguardi, ho sempre dato molta più importanza alla mia carriera, ma non l'ho fatto per ambizione o per egoismo, volevo solo dimostrare che il prestigio della mia famiglia non era legato unicamente al nostro nome e al nostro titolo. Ma intanto ho privato Vivianne di un padre e voi di una vera famiglia. Ogni volta che tornavo mi promettevo di stare più vicino a mia figlia, di passare più tempo con lei e con voi, ma più settimane trascorrevo lontano da casa e più ad ogni ritorno mi sembrava tutto più difficile, lei cresceva, come pure la vostra intesa, vi trovavo ogni volta più unite, come se vi foste aggrappate l'una all'altra per non avvertire il peso di un padre e di un marito assente. Mi dispiace Diane, voi non meritavate questo”,
la marchesa accennò un sorriso triste, non aveva mai giudicato Louis un uomo insensibile, e aveva sempre saputo che la sua difficoltà ad esternare certi sentimenti derivava esclusivamente dalla sua natura introversa, ma non era affatto un uomo senza cuore,
“Non mi stupisce ciò che dite, non ho mai messo in dubbio la vostra affezione per me e per nostra figlia. Sono contenta che abbiate deciso di aprirvi con me...” disse lei
“Sono tornato dalla Spagna perché c'è qualcosa a cui devo porre ammenda- la interruppe bruscamente Louis- e un modo per cominciare a riparare è sicuramente dirvi la verità... io mi sono innamorato di una donna”
la marchesa trattenne il respiro per un attimo e pensò che suo marito doveva essere davvero disperato se le stava parlando a cuore aperto, di una faccenda così importante e delicata
“Clara” sussurrò lei
“Come fate a conoscere quel nome? Sapevate?...”
Diane sospirò e gli concesse un sorriso indulgente velato di malinconia
“Avreste dovuto essere più accorto a non lasciare le sue lettere nel cassetto della vostra scrivania”
“Non pensavo avreste avuto motivo di guardare nel mio cassetto”
“Non mi sono mai permessa di frugare tra le vostre cose, ma mi serviva della carta e pensavo di trovarla lì- spiegò la marchesa- dunque è per questo che siete tornato così improvvisamente dalla Spagna? Per parlarmi di un'altra donna?”
“Sono tornato per cercare una soluzione” replicò Louis
“Anche io vi stimo e vi voglio bene, e in tutta onestà devo ammettere che questa scoperta mi ha stupito, ma non ne sono rimasta ferita, il nostro matrimonio è sempre stato pieno di rispetto reciproco ma non c'è mai stato un vero sentimento tra di noi, e comunque, vi capisco”
“Mi capite?!”
Diane si morse il labbro
“Non vi ho mai tradito concedendomi a un altro uomo, spero che vogliate credermi, ma anche io ho incontrato qualcuno di cui mi sono innamorata, anche se lui ormai è... lontano” pensò che non fosse il caso di raccontare altri dettagli, anche perché non voleva rischiare di scoppiare in lacrime, voleva restare calma e continuare ad affrontare quella discussione,
Luois chiuse gli occhi e inspirò profondamente,
“Ma voi, piuttosto, perché siete tornato così repentinamente dalla Spagna, che soluzione sperate di trovare qui?” aggiunse lei, voleva continuare a parlare per impedirsi di pensare a Erik,
“E' assurdo...” sussurrò lui scuotendo il capo
“Volevate un consiglio da me?- aggiunse lei perplessa- Questo si che sarebbe indelicato”
“Ah no Diane, volevo solo che sapeste la verità. Speravo che se foste stata a conoscenza del motivo della mia infelicità l'avreste sopportata più facilmente”
“Dunque, non avete intenzione di fare niente?”
“E cosa dovrei fare secondo voi? Domani spedirò una lettera con le mie dimissioni all'ambasciata spagnola, è meglio che io non torni più là”
“E lei?” chiese la marchesa,
Louis sorrise con amarezza
“Ah, non dovreste nemmeno chiedermelo. Ad ogni modo, cosa altro potrei fare?... potrei lasciarvi, sono un marchese di Francia, una persona ricca e influente, mi basterebbero poche settimane per ottenere l'annullamento del nostro matrimonio dalla Sacra Rota, poi tornerei in Spagna e mi rifarei una vita. Non credete che non ci abbia pensato, ma non sono un vigliacco Diane, e tengo troppo a voi e a nostra figlia per esporvi allo scandalo”,
in un altro momento Diane avrebbe pensato, non senza una punta di ironia, che era costantemente esposta allo scandalo visto la sua condotta poco conforme a ciò che ci si aspettava da una donna del suo rango, tuttavia non era in vena di sarcasmo e in effetti pensò che per l'alta società parigina una marchesa abbandonata dal proprio consorte doveva essere una diceria ben più appetitosa che il suo comportamento stravagante.
“Sarei esposta allo scandalo solo se continuassi a vivere qui, tra chi mi conosce come vostra moglie” disse corrugando la fronte
“Oh no, non penserete... no, non potrei mai permetterlo! E poi, sciogliere un matrimonio, un giuramento fatto dinnanzi a Dio, sarebbe una bestemmia” replicò Louis scuotendo energicamente il capo
“Si, abbiamo giurato davanti a Nostro Signore, ma i voti nuziali sono di amore e fedeltà, e direi che siamo entrambi venuti meno al nostro giuramento e abbiamo mentito abbastanza sia a Dio che a noi stessi”
il marchese abbassò lo sguardo, non poteva darle torto ma era sempre stato un uomo tradizionalista, saldamente legato alle sue certezze, e il suo matrimonio, in tutti quegli anni, era diventato una certezza così forte al punto che nemmeno l'amore per un'altra donna sembrava bastasse a convincerlo a rinunciarvi. Eppure la verità che Diane gli aveva appena messo sotto gli occhi era lampante, così inevitabile da sembrare quasi una condanna.
“Dunque, rinuncereste al nostro matrimonio?” domandò
“Non c'è motivo di essere infelici in due, quando almeno voi avete la possibilità di rimediare” rispose lei
“Non avete intenzione di raggiungere l'uomo di cui mi dicevate prima?”
“No, temo sia impossibile, e non è per lui che mi trovate così risoluta riguardo a ciò che penso del nostro matrimonio, credetemi, non sto cercando di liberarmi di voi, siete il padre di mia figlia, anche io vi sono affezionata”
“Vi credo. Tra noi due siete voi quella più schietta e sincera”
Diane accennò un sorriso
“Ma cosa fareste poi? Dove andrete?... e Vivianne?” domandò ancora Louis
“Ho ancora la casa dei miei genitori a Marsiglia e godo di una rendita sui guadagni della vecchia attività di mio padre...”
“Non lascerei mai che il denaro sia un problema per voi. Ma nostra figlia?”
“Non vi impedirei mai di vederla, o di scriverle, o di ricevere sue notizie, tra qualche anno sarà anche abbastanza grande da venirvi a farvi visita, con la sua governante e con uno chaperon magari”
il marchese sospirò
“Mi sembra tutto così assurdo...” commentò
“E invece a me sembra la soluzione migliore, anche se capisco che è un cambiamento piuttosto inaspettato- rispose sua moglie- si dice che la notte porta consiglio, dormiteci su e domani mi direte cosa avete deciso”.

*

E' oggi o domani?...
Quanto manca ancora?...

Erik aveva definitivamente perso la cognizione del tempo. Non riusciva a ricordare se l'ultima settimana era passata, se la sua esecuzione era prevista per quel giorno o per il giorno dopo.
Pensò che i condannati avevano un lusso che il resto degli uomini non aveva: la consapevolezza di sapere quando e come sarebbero morti. E anche la consapevolezza del perché che rendeva stranamente l'idea della morte meno terrificante. Morire in una piazza davanti alla folla che attende di veder cadere la lama della ghigliottina sul tuo collo non doveva essere più terribile del morire da soli.
Ecco un altro vantaggio dei condannati: la consapevolezza che la morte sarebbe stata rapida e indolore. La ghigliottina era uno strumento geniale sotto questo punto di vista, più precisa e infallibile di quanto lo sarebbe stato qualsiasi boia armato di ascia, meno brutale e più rapida del cappio. Si diceva che fosse stato proprio Luigi XVI a introdurre la ghigliottina in Francia, definendola uno strumento di morte più adatto a un paese civile, di certo lo sventurato sovrano non poteva immaginare che avrebbe verificato personalmente l'efficienza di quel tremendo congegno.

Ecco, ci siamo...

“Ecco, ci siamo” pensò Erik sentendo dei passi concitati avvicinarsi alla sua cella.
Il rumore dei passi fu coperto dalla voce del secondino,
“Fate in fretta monsieur, se scoprono che vi ho fatto passare potrei avere dei guai”.
Erik si grattò il mento coperto dalla barba, aveva pensato di conservare la richiesta di radersi come suo ultimo desiderio prima di essere condotto al patibolo, era certo che nemmeno al Figlio del Diavolo sarebbe stato negato l'ultimo desiderio. Intanto, dalle parole della guardia aveva capito che non stavano venendo a prenderlo per giustiziarlo, piuttosto c'era qualcuno che stava venendo a fargli visita. Si domandò chi fosse e quando l'inatteso visitatore comparve davanti alla sua cella Erik si limitò a osservarlo sbattendo le palpebre,
“Non so se sia più giusto considerarla davvero una sorpresa o ritenermi uno stupido per non aver pensato che c'era da aspettarselo” commentò con una vena di sarcasmo nella voce
“Non ricordo tu avessi problemi a cavartela con le sorprese” rispose l'altro uomo con freddezza,
sul volto di Erik si dipinse un ghigno beffardo,
“Bhe visto che una volta volevi uccidermi e non sei stato abbastanza in gamba da riuscirci, immagino che vedermi dietro le sbarre ti sia di qualche conforto, caro il mio visconte”
“Io non volevo ucciderti! Io non ho mai voluto uccidere nessuno!” esclamò Raoul, era lì da una manciata di secondi e l'agitazione già stava avendo la meglio su di lui, al contrario del suo interlocutore che sembrava impassibile,
“Ah, si, scusa, dimenticavo che tra me e te il mostro non sei tu”.
Un silenzio pesante invase la prigione, mischiandosi all'umidità e al buio, disegnando nella penombra strani profili di fantasmi di un passato che ai due uomini sembrava quanto mai lontano, un passato che, alla luce degli ultimi avvenimenti, avrebbe potuto ritenersi persino dimenticato se il visconte non si fosse recato a far visita all'unico uomo che aveva mai definito suo nemico.
“Dunque- riprese Erik continuando a non dare il minimo cenno di nervosismo- sei venuto a osservare che faccia ha un nemico sconfitto? Non ne avevi avuto abbastanza della mia faccia e della mia sconfitta quella sera?”,
la calma di quell'uomo era densa di un gelo che colpiva Raoul come una frusta, in quel momento il giovane si rese conto che non aveva nessun motivo di essere lì, non sapeva di preciso perché si era recato in prigione.
“A quanto pare nessuno di noi due ha vinto” ammise il visconte scuotendo il capo tristemente
“Dici? Io invece penso che la differenza tra quelli come me e quelli come te è voi abbiate sempre vinto, in partenza...”
“Mi accusi ancora di averti portato via Christine?”
“Oh no, col senno di poi ho capito che non sei stato tu a portarmela via, lei non mi era mai appartenuta, non come io avrei voluto almeno. Ma non credo tu possa capire il senso di una sola delle lacrime che versai la notte che vi ho lasciati andare”,
Raoul dovette ammettere tra sé e sé che era vero. Aveva conosciuto unicamente quello che tutti consideravano un mostro, ma in quei giorni in cui la perdita di Christine lo aveva sommerso di dolore, si era reso conto che se lei si era data tanta pena per colui che era stato il Fantasma dell'Opera, doveva esserci qualcos'altro in quell'uomo, qualcosa per cui non era meritevole del male che aveva ricevuto. Avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva, ma il rancore che nonostante tutto continuava a provare non gli permise di esprimere il suo rammarico, anche se Erik dovette notare nel suo sguardo un palese senso di malinconia.
“Sarebbe il caso che tu andassi, visconte, la guardia ti ha detto che non potevi trattenerti molto” concluse Erik in tono inespressivo,
Raoul scrollò le spalle e poggiò una mano sulle grate della cella, osservò le sbarre e la porta di ferro con aria pensierosa,
“C'è una cosa che non capisco...” disse
“Si, è sempre stato il tuo maggior talento a quanto pare” borbottò sarcastico il suo interlocutore
il visconte ignorò quel commento e proseguì,
“Sei scomparso davanti a un teatro intero, mentre eri tenuto sotto il tiro da decine e decine di gendarmi armati, come è possibile che una semplice grata di ferro ti trattenga qui?”
“Non sei stato l'unico a farmi questa domanda- confessò Erik mentre la sua mente tornava ancora una volta a Diane, com'era accaduto spesso in quei giorni- e devo darti la stessa risposta che ho già dato a qualcun altro: pensi davvero che mi interessi continuare a vivere nascondendomi? Credi che un evaso abbia vita facile? Non ha più senso, non è quello che voglio”
“Già, immagino che non hai molti motivi per vivere”
“Ti sbagli, proprio perché ne ho non sono più disposto a rinunciare alla mia libertà, dal momento che non posso vivere come un uomo tanto vale che muoia, almeno questa città avrà la mia testa, parecchie persone ne saranno contente, non credi?”
“Conosco qualcuno che soffrirebbe molto per la tua morte” disse Raoul in tono risentito
“Parli di Christine? Io e lei abbiamo già chiuso i conti, tocca a te ora non darle più motivo di soffrire... e visto che eri pronto a morire per salvarla posso augurarmi che sarai in grado di farla felice” rispose Erik, pronunciò quelle parole senza alcun tipo di risentimento, ma il suo interlocutore ne sembrò toccato,
“Non è così, forse ti farà piacere sapere che se n'è andata...”.
Erik avvertì una stretta al petto, l'idea che almeno Christine fosse felice accanto all'uomo che aveva scelto era stato un pensiero molto consolante per lui durante i giorni di prigionia, le voleva bene, gliene avrebbe sempre voluto. E ora quel maledetto ragazzino gli stava dicendo che lei se n'era andata! Ma che razza di incapace doveva essere per lasciarsi scappare un angelo come Christine?
Si avvicinò alle grate e scrutò attentamente il volto di Raoul,
“E dal modo in cui lo dici sembra che tu voglia incolpare me anche di questo” concluse
“Abbiamo avuto una forte discussione a causa tua, è per questo che mi ha lasciato, sarai soddisfatto”
“Soddisfatto di sapere che l'uomo che lei ha scelto al mio posto non è stato capace di renderla felice! Se tu questa la chiami soddisfazione...”
“Vedo che non hai perso il tuo cinico sarcasmo, mi compiaccio!” borbottò Raoul irritato
“Cosa vuol dire che avete discusso a causa mia?!”
“Non le è piaciuta la mia reazione alla notizia che tu eri stato arrestato e condannato a morte”
“Volevi organizzare una festa?”
“Smettila, in nome di Dio!...”
Erik incrociò le braccia sul petto,
“Tornerà da te, ne sono sicuro. Lasciale solo il tempo di affrontare il suo dolore. Ora credo sia il caso che tu vada, non abbiamo altro da dirci”
Raoul restò a guardare l'uomo oltre le sbarre, nella sua mente si accavallavano tanti pensieri e tanti ricordi. Si chiese quale fosse la cosa più giusta da fare, si chiese se Christine non avesse avuto ragione quando gli aveva detto che un vero uomo trova la forza di superare il passato. Osservò le squallide pareti di pietra, il muro dietro al tavolo era coperto di incisioni, disegni di cavalli rampanti, di guerrieri con le loro armature, di strani paesaggi simili a quelli dipinti sui fondali che si usavano a teatro per fare da scenografia. Al centro della parete campeggiava il ritratto incompleto di una donna.
Raoul rimase a fissare per lunghi secondi i disegni, poi si scosse,
“Guardia!” chiamò con voce imperiosa,
il secondino lo raggiunse quasi di corsa
“Seguitemi, vi accompagno fuori, monsieur” gli disse in tono servile,
“No, voglio parlare con un ufficiale” aggiunse il visconte
“Come? Ma perché monsieur?”
“Per avvisarlo che avete catturato l'uomo sbagliato”.
A quelle parole Erik ebbe un sussulto, guardò Raoul oltre le grate spalancando gli occhi per lo stupore. Che diavolo aveva in mente quel ragazzino?
La guardia deglutì con aria imbarazzata, non sapeva se era peggio contraddire un visconte, figlio di un'importante e nota famiglia dell'aristocrazia parigina, o mandare a chiamare il proprio superiore per fargli liberare quello che credevano essere uno dei criminali più ricercati della città.
“Ma, monsieur... non può essere...- farfugliò la guardia imbarazzata- quell'uomo ha confessato!”
Raoul rispose con uno sguardo severo,
“Non mi interessa! Io ho conosciuto il Fantasma dell'Opera, tutta Parigi è a conoscenza del fatto che quella notte sono stato suo prigioniero e io vi sto dicendo che quest'uomo non è l'assassino che state cercando!” concluse, lanciando un rapido sguardo ad Erik come a pregarlo di non reagire e di non dire niente, di non smentirlo,
“Ma, monsieur... abbiamo una confessione- ripeté ancora il secondino- e poi... il suo volto, la maschera...”
“E' la mia parola, quella di un visconte della famiglia De Chagny, contro la parola di un uomo del tutto sconosciuto!- tuonò Raoul in tono deciso e autoritario- in quanto al viso, ci sono molte malattie che possono lasciare segni simili sulla pelle di una persona, e se devo dire la verità, per quel che ricordo io, la piaga sul viso del Fantasma dell'Opera era molto più estesa, vuoi forse contraddirmi?”.
Erik, nel frattempo, osservava la scena dall'interno della sua cella, rimase quasi sconvolto dal tono deciso, persino prepotente, che stava usando Raoul, non lo avrebbe mai creduto capace di tanta autorevolezza, senza contare che quella sua messa in scena poteva considerarsi un vero e proprio colpo di genio: la parola di un visconte contro quella di un uomo che non era nessuno, c'erano ottime probabilità che, malgrado tutto, il capo della polizia credesse a Raoul, e questo non voleva dire che lo avrebbero rilasciato e che lui sarebbe stato assolto da ogni accusa, anche davanti alla legge non sarebbe stato più il Fantasma dell'Opera.
No, non poteva accettarlo! Non poteva accettare l'aiuto di Raoul De Chagny, tanto più che questo aiuto prevedeva l'utilizzo di una menzogna o peggio, il fatto che lui apparisse agli occhi di chi lo aveva catturato come una specie di pazzo che per chissà quale motivo si era spacciato per un pericoloso criminale.
Il secondino si allontanò velocemente, diretto verso l'ufficio del Capitano della gendarmeria, il prigioniero e Raoul rimasero di nuovo soli.
“Si può sapere che stai facendo?!” ringhiò Erik
“Ti sto salvando, mi sembra”
“Non ti ho chiesto niente, smettila immediatamente con questa farsa, sciocco!”
“Infatti non lo sto facendo per te...” ammise Raoul
“Ah, già, tu ora vuoi farmi liberare così potrai andare da Christine e sperare che lei rimanga colpita dalla tua buona azione e torni da te”
“Si, direi che l'idea è questa, ma lo faccio anche perché il Fantasma ci ha già tormentati quando era in vita, non voglio che continui a tormentarci anche dopo morto. Se tu muori non ci libereremo mai di te, ci sarà sempre il rimpianto, il rimorso e non voglio che sia così, ne ho avuto abbastanza”
“Sei davvero patetico” commentò Erik
“Può darsi, ma non meno patetico di un uomo che una volta ha minacciato di uccidermi per costringere una donna ad amarlo”
“Sei diventato sagace da un momento all'altro? Non riuscirai mai a convincere il Capitano che io non sono l'uomo che ho detto di essere, tra l'altro non credo che lui sia propenso a lasciarsi convincere, anche se c'è di mezzo un visconte. Pensaci: perché dovrebbe lasciarmi andare e perdere la faccia dichiarando che ha commesso un errore così grossolano?” protestò Erik
“Evidentemente non sai quanto un cognome importante può essere persuasivo- rispose il ragazzo dandogli le spalle- ora, se permetti, vado a garantire la tua e la mia libertà”.
Raoul si allontanò senza aggiungere altro, in realtà sapeva che Erik non aveva tutti i torti, che non sarebbe stato così facile convincere le autorità a rilasciare un uomo che, per sua stessa ammissione, era stato un feroce assassino e uno spietato ricattatore. Andava anche contro i suoi principi mentire in maniera così spudorata per far rilasciare qualcuno che era colpevole, ma se il Fantasma dell'Opera aveva messo a ferro e fuoco il suo teatro e tutto il suo mondo per cercare di riprendersi Christine, allora lui, per una volta, avrebbe potuto cedere e tentare di aiutare il suo nemico senza pensare troppo a cosa era giusto e a cosa non lo era.
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Note: In questo capitolo ho fatto riferimento a un fatto storico molto importate per l'epoca, l'ascesa della Comune, che in reatltà avvenne nel marzo del 1871. Nella storia siamo quasi nell'estate dello stesso anno, chiedo scusa per l'incongruenza, per aver fatto slittare di qualche mese un evento storico.
Sono conscia anche dell'averla fatta troppo facile riguardo alla fine del matrimonio tra Diane e Louis, ma in realtà ho ragionato pensando che i coniugi De Valois fossero entrambi abbastanza stanchi della situazione per perdersi in "inezie morali", anche se all'epoca probabilemte l'annullamento di un matrimonio era qualcosa di ben più complicato e non lo si decideva con una semplice discussione.

Grazie per le letture e le recensioni.
Ethis, per scoprire che fine farà Erik c'è da aspettare ancora un paio di capitoli (perdono, è sadismo da pseudo scrittrice XD) Vi lascio a meditare sull'interrogativo "riuscirà il visconte con le sue scarse capacità intellettive a far scarcerare Erik?" . Per la storia, stampala pure se vuoi, io non ho problemi, anzi mi fa piacere che tu voglia conservarla  ^^
Monipotty, non sei sadica, anche io mi sono divertita un sacco a far litigare quei due! La marchesa si scusa per l'assenza, ma come vedi, non posso tenerla lontana dalla mie pagine per più di un capitolo XD

Al prossimo capitolo, entro una settimana ^^

I remain, gentleman, your obedient servant

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Capitolo 30
*** Capitolo ventinovesimo ***


CAPITOLO VENTINOVESIMO

Meg stava girando energicamente la minestra nella pentola sul fuoco mentre Christine preparava la tavola e madame Giry finiva di cucire un bottone su un vestito. Se non fosse stato per la tristezza che si era riversata come una cappa opprimente su quelle splendide giornate di primavera, quella situazione avrebbe potuto sembrare simile ai vecchi tempi in cui le tre donne vivevano insieme nel collegio del teatro.
Qualcuno bussò alla porta proprio mentre Meg stava per mettere la minestra nei piatti,
“Vado io” rispose sua madre dirigendosi verso il corridoio per poi tornare in cucina con in mano alcune lettere,
“Sono per te Christine- spiegò- le ha portate un domestico di casa De Chagny, evidentemente Raoul sapeva che ti avrebbe trovata qui”
“Un gesto molto carino e premuroso da parte sua farti portare la posta fin qui” azzardò Meg con un tono che avrebbe voluto far sembrare quel suo commento del tutto innocente e disinteressato,
la sua amica scosse il capo nella sua direzione,
“Le leggerò dopo, ora è pronto il pranzo” disse,
“Bhe, magari c'è qualcosa di importante, non vuoi almeno vedere chi te le ha mandate?” osservò madame Giry
la ragazza annuì e guardò le lettere, erano tre, ognuna chiusa in una busta di dimensione diversa, di sicuro non avevano lo stesso mittente. Aprì la prima lettera e lesse rapidamente le poche righe che erano scritte su un biglietto di carta gialla,
“Qui ci sono solo i ringraziamenti del direttore del teatro dell'Odeon...” disse chiudendo gli occhi per un momento, cercando di non collegare il ricordo di quella serata con il terribile evento che gliela aveva resa indimenticabile. Se non fosse stato per l'arresto di Erik quella sera sarebbe stata una delle più belle della sua vita, dopo quella del suo debutto all'Opera e quella in cui... quella in cui Raoul le si era dichiarato.
“E questo è un messaggio di Raoul” aggiunse lasciando cadere la seconda busta sul ripiano del mobile senza nemmeno aprirla, pensando che il ricordo del visconte la perseguitava in ogni momento, e malgrado tutto non aveva smesso di amarlo, anzi, proprio il fatto che fosse furiosa con lui era la dimostrazione che teneva a quel ragazzo più di ogni altra cosa.
Madame Giry sorrise con aria sarcastica,
“Arriverà presto il giorno in cui avrai di nuovo voglia di leggere le sue lettere” commentò
“Può darsi, ma per ora sono ancora troppo arrabbiata con lui, e non è per lui che devo essere in pena” rispose la giovane,
Meg e sua madre decisero di non aggiungere altro, avevano già discusso con lei a proposito di quella faccenda, e comunque erano entrambe consapevoli del fatto che Christine amava ancora molto Raoul e che prima o poi sarebbe riuscita a perdonarlo, ma quello non era il momento più adatto per rivangare la discussione.
“E questa è una lettera di Diane!” esclamò la ragazza accennando un sorriso, il primo che le vedevano fare in quei tre giorni che aveva trascorso in casa loro,
“Ah, la marchesa De Valois, l'abbiamo conosciuta quella sera...- Meg si interruppe un attimo, poi pensò che ormai era il caso di completare la frase- quella sera, a teatro”.
Christine aprì la lettera, vide che il foglio era pieno su tutte e due le facciate, scritto con una calligrafia fitta e leggermente disordinata, come se quella lettera fosse stata scritta in fretta, di getto. Rigirò la missiva tra le mani con aria perplessa. Cosa mai aveva da dirle Diane per scriverle una lettera così lunga? Perché se doveva parlarle di cose complicate non aveva chiesto di vederla?
“Avanti, leggila” la incoraggiò Meg
Christine spiegò il foglio e cominciò a leggere.

Mia cara Christine,
So che non è molto corretto da parte mia scriverti queste cose per lettera, invece di parlartene di persona, ma spero che vorrai essere comprensiva riguardo le mie ragioni e il mio stato d'animo.
Tu hai riposto la massima fiducia in me, mi hai concesso la tua amicizia, e io ora sento il bisogno di essere altrettanto sincera e leale nei tuoi confronti, poiché in passato non lo sono stata del tutto. Non credere che le mie dimostrazioni di affetto siano state false, ma c'erano delle cose che meritavi di sapere e che io sono stata così sciocca e infantile da non volerti raccontare. Ora non riesco più a trattenermi dal dirtele, ma sono troppo scossa e non riuscirei ad affrontare un discorso su questi argomenti avendoti di fronte.
In uno dei nostri primi incontri mi raccontasti del tuo passato all'Opera Populaire e del tuo coinvolgimento nella vicenda del Fantasma. Ebbene, io ascoltai il tuo racconto con molto interesse, non solo perché la storia era tragica quanto avvincente, ma anche perché avevo bisogno di conoscere la verità.
La sera dell'incendio del teatro mia figlia si perse e fu tratta in salvo da un uomo che sparì subito dopo averla messa al riparo. Rincontrammo quest'uomo molto tempo dopo in un circo e dopo aver notato una serie di strani particolari cominciai a sospettare che si trattasse proprio del Fantasma dell'Opera, fuggito dal teatro e non morto, come molti volevano credere. Il tuo racconto alimentò i miei sospetti ma allo stesso tempo mi  fece comprendere quale era la vera natura di quella persona che tutti avevano sempre giudicato un mostro e un efferato assassino. Quando scoprì che i miei sospetti erano fondati, non riuscì ad allontanare quell'uomo (che nel frattempo era tornato a Parigi con il suo circo), in parte perché gli ero grata per aver salvato mia figlia, in parte perché la storia che mi avevi raccontato mi aveva convinta che c'era del buono in lui e che i suoi crimini erano stati indotti dalla sua triste condizione e non da una natura malvagia.
Inizialmente ne ero quasi incuriosita, malgrado tutto, e malgrado si fosse sempre rivelato una persona scontrosa nei miei riguardi, ma poi...
Christine, mi risulta così difficile scriverlo, anche se sono sola davanti a un foglio di carta che non può avere alcuna reazione, ma il solo pensiero che tu leggerai questa lettera mi paralizza...
Mi innamorai di lui. E troppo tardi compresi di essere ricambiata. Mi ha confessato di ricambiare i miei sentimenti solo due settimane fa quando già era stato arrestato, durante una visita che sono difficilmente riuscita ad ottenere di fargli. Ed è inutile tentare di spiegarti quanto il mio cuore sia straziato dal dolore nel saperlo imprigionato e condannato a morte...
Questa è la verità. Io sapevo che lui era vivo, mentre tu ti disperavi chiedendoti che fine avesse fatto. Ti ho tenuto nascosta ogni cosa per un motivo futile come la gelosia infondata (come fino alla fine ho tenuto nascosto a lui il fatto che ti avevo conosciuta). Ma tu eri stata il suo primo grande amore e temevo che se foste riusciti a incontrarvi lui non sarebbe più stato capace di dimenticarti. Non avevo mai conosciuto l'amore prima d'ora, e nel profondo del mio cuore volevo solo proteggere il più a lungo possibile il sogno che mi aveva resa di nuovo viva. Perdonami se l'ho fatto a tuo discapito, commettendo una terribile mancanza nei tuoi riguardi.
Posso solo sperare che tu comprenda, dal momento che anche tu conosci l'amore e sei stata disposta a difenderlo, anche se in maniera più nobile di quanto lo abbia fatto io.
Con affetto, Diane.

“Diane... oh, Diane... Erik...” sussurrò Christine fissando la lettera che aveva appena finito di leggere con un'espressione indecifrabile,
Meg e sua madre si guardarono quasi spaventate,
“Cosa dice questa lettera, mia cara?” domandò la donna posando una mano sulla spalla della giovane,
per tutta risposta Christine le porse il foglio e si lasciò cadere su una sedia.

*

Un giorno...
… una settimana...
… e ancora un giorno... e poi un altro ancora...

Erik non sapeva se essere contento o se maledire ancora una volta Raoul De Chagny per essere riuscito a garantirgli altri dieci giorni di vita in prigione.
Non sapeva come era andato l'incontro tra il visconte e il Capitano della gendarmeria, ma il fatto che la sua esecuzione fosse stata rimandata era sicuramente un segnale. Se era da considerarsi un segnale positivo o negativo, era presto per dirlo.
Intanto i giorni avevano cominciato a trascorrere ancora più lentamente ed Erik aveva cominciato a chiedersi cosa avrebbe fatto se fosse uscito vivo da quella cella. Il suo cuore gli suggeriva che la risposta a quella domanda era una sola: correre a riabbracciare Diane. Ma ogni volta che pensava a quella opportunità la sua parte razionale gli ricordava che era una pessima idea. Sarebbe stato quasi crudele rivederla solo per dirle che malgrado fosse vivo avrebbe dovuto dimenticarlo comunque. Ogni volta giungeva alla conclusione che non gli sarebbe restato altro da fare che lasciare Parigi e cercare lavoro in un posto molto lontano da lì. Ormai non aveva più paura del mondo, non dopo che aveva girato mezza Francia insieme al circo, che aveva camminato per Parigi alla luce del sole per dieci giorni, quando raggiungeva la residenza dei De Valois per dare lezioni di musica a Vivianne, e soprattutto non dopo che aveva incontrato una donna che lo aveva amato per quello che era.
Si rese conto che non aveva voglia di pensare alla sua morte. Aveva accettato serenamente le conseguenze delle sue azioni, aveva pensato, in un impeto di disperazione, che la sua fine sarebbe stato un sollievo per molti, ma in realtà non avrebbe mai voluto che andasse a finire così, non voleva morire. E in quei dieci giorni, nel suo cuore aveva davvero sperato che il visconte riuscisse a tirarlo fuori di lì, anche se l'idea che fosse Raoul De Chagny a salvargli il collo continuava a sembrargli ridicola. Tra l'altro, immaginare la scena del giovane visconte impegnato a inventare chissà quale storia per convincere il Capitano a rilasciarlo era diventato il suo passatempo più divertente di quelle giornate buie.
Non fece in tempo a immaginare un altro improbabile dialogo tra Raoul e il Capitano che si vide comparire il giovane davanti alla cella. Non era più tornato a fargli visita dalla prima volta e non fu difficile indovinare che, se era lì, aveva certamente delle notizie.
Erik gli si avvicinò cercando di non dargli la soddisfazione di mostrarsi impaziente, si limitò a fissarlo impassibile in attesa che lui parlasse.
“Dunque- esordì Raoul in tono inespressivo- avevi ragione, il Capitano si è mostrato irremovibile”,
il prigioniero si limitò ad annuire, significava che il visconte non era riuscito a convincere i gendarmi che lui non fosse l'uomo che stavano cercando. Il cuore di Erik era così abituato alle delusioni che lui cercò di convincere se stesso che quella non era particolarmente grave. Cosa mai poteva aspettarsi? Aveva previsto che sarebbe andata così. Avrebbe voluto far notare a Raoul che era stata una pessima mossa farlo marcire in galera altri dieci giorni inutilmente, ma preferì non dire niente.
“Vuoi restare a fissarmi ancora a lungo o vuoi deciderti ad andartene?” borbottò Erik incrociando le braccia sul petto
“Volevo che tu sapessi come è andata” disse il giovane
“Non c'è bisogno che lo sappia”
“Si è mostrato irremovibile... ma io sono stato convincente”,
Erik sollevò le sopracciglia
“Come, prego?” chiese
“Sono stato convincente, sarai scarcerato” precisò il visconte, il suo interlocutore ebbe bisogno di qualche attimo per mettere a fuoco il significato quelle parole poi trattenne a stento un ghigno,
“Mi stai dicendo che hai un talento recitativo nascosto?” esclamò
“Così pare”.
I sue uomini restarono a guardarsi in silenzio per una manciata di secondi.
Erik non poteva crederci, alla fine quel ragazzo ce l'aveva fatta. Era certo che il motivo principale per cui Raoul si fosse impegnato così tanto ad ottenere la sua scarcerazione non era un improvviso scoppio di affetto nei suoi riguardi, continuava a pensare che lo aveva fatto solo per fare colpo su Christine, per togliersi un peso dalla coscienza, ma qualunque motivo ci fosse dietro al suo gesto era il risultato la cosa più importante.
Erik avvertì un dolore ad altezza del petto come se il cuore si fosse contratto all'inverosimile per poi dilatarsi fino quasi a scoppiare. Pensò che disabituarsi alle delusioni era piuttosto strano.
“Voglio che tu sappia anche un'altra cosa- disse all'improvviso Raoul rompendo il silenzio- Christine è tornata da me, ha detto che si è convinta dopo aver letto una lettera inviatale da un'amica, ma visto quello che ci siamo detti l'ultima volta ho supposto che ti avrebbe fatto piacere saperlo”
“Non avevo dubbi, lei ti ama e tu sei un uomo fortunato”
“Lo so”
Erik stava per aggiungere qualcosa, ma fu interrotto dall'arrivo del secondino che venne ad aprirgli la cella e a riconsegnargli la sua giacca e la maschera, per poi sparire dopo un ossequioso saluto al visconte.
Erik osservò la giacca di cotone e la maschera, era rimasto chiuso in quella prigione per più di tre settimane e per un attimo pensò che uscire sarebbe stato più difficile del previsto,
“Non ho mai avuto molte occasioni di ringraziare qualcuno, e mai avrei creduto che una simile rarità si sarebbe verificata con te” disse guardando Raoul negli occhi,
il ragazzo rimase colpito dall'intensità dello sguardo dell'uomo che rifletteva un furore inesprimibile, una voglia di vivere quasi bruciante. Era questo forse che lo aveva conservato in vita durante i suoi anni più bui, e in quel momento il visconte fu convinto di aver fatto la cosa giusta,
“Nemmeno io avrei mai creduto che avrei fatto scarcerare un uomo, soprattutto considerando che quell'uomo sei tu” rispose
“Come hai fatto?”
“A convincere il Capitano che eri innocente?”
“A diventare di colpo così intelligente”
“Ti piace proprio avere sempre l'ultima parola” borbottò il ragazzo
“Una volta era il mio passatempo preferito” rispose l'uomo
“C'è qualcos'altro che posso fare per te?” chiese Raoul in tono mellifluo, quasi irritato
“Si, salutare Christine da parte mie e farle i miei migliori auguri per il matrimonio. Ah... e farmi portare un rasoio e un pezzo di sapone”
“Come vuoi. Addio... Erik”.
Il visconte pronunciò quel nome quasi a fatica, non lo aveva mai usato, neanche quando aveva parlato di lui con Christine, quasi come se fino a quel momento non lo avesse mai considerato una persona.
“Addio Raoul” concluse Erik seguendolo con lo sguardo mentre su allontanava lungo il corridoio di pietra.  

*

Le strade di Parigi non erano mai troppo affollate a quell'ora del pomeriggio. Erik si sentì fortunato: non voleva che qualcuno lo vedesse uscire dal Palazzo di Giustizia, la sua maschera avrebbe dato sicuramente nell'occhio e lui non voleva che la gente cominciasse a domandarsi come mai stava uscendo di prigione invece di essere condotto al patibolo.
Aveva pensato a lungo a cosa avrebbe fatto se fosse riuscito a tornare in libertà, ma in quel momento si rese conto che non aveva molte possibilità di scelta, camminò per qualche metro osservando gli incroci delle strade nel tentativo di orientarsi e all'improvviso si ricordò che in città c'era un solo posto che conosceva, oltre la casa di Diane.
Fece sprofondare le mani nelle tasche e si incamminò lentamente lungo il labirinto di strade del centro parigino, raggiungendo quella che sembrava essere la zona più ricca della città, con i suoi ampi boulevard e gli sfarzosi caffè agli angoli delle vie.
Alcune di quelle strade confluivano in un ampio piazzale decorato con una fontana circolare. Il teatro era ancora lì, come un bellissimo gigante assopito e privo di anima. Erik percorse con lo sguardo la linea dell'edificio, guardò le statue di bronzo che decoravano il cornicione del tetto, quelle statue a cui da bambino aveva dato un nome, quelle mura che lo avevano nascosto regalandogli la piacevole sensazione di essere al sicuro, di possedere qualcosa di prezioso e di totalmente suo. Chiuse gli occhi per qualche secondo quando si accorse che i segni dell'incendio erano ben visibili anche dall'esterno.
Si infilò furtivamente in Rue Scribe dove sapeva esserci una via d'accesso che portava direttamente ai sotterranei, era il passaggio che usava per tornare nel teatro dopo le sue rare uscite nel cuore della notte. Una volta entrato decise che voleva vedere cosa ne era rimasto dell'Opera Populaire, se l'incendio aveva risparmiato qualcosa della sfarzosa bellezza di quel luogo.
I marmi e gli stucchi del foyer erano coperti di fuliggine ma sembravano intatti, non c'erano segni di bruciature, evidentemente l'incendio era stato placato prima che raggiungesse quella parte dell'edificio, ciò che invece appariva spaventoso, quasi spettrale, era l'interno del teatro: non c'era più traccia della porpora dei velluti e del dorato delle decorazioni, era tutto annerito e consumato dal fuoco a testimoniare la furia con cui il Fantasma dell'Opera si era rivoltato contro il mondo, il suo stesso piccolo mondo dei balocchi. Nella platea non c'erano più le poltrone, rimanevano solo strisce di legno carbonizzate, le assi del palco erano spezzate e cadute verso il basso, l'incendio aveva distrutto anche il fondale di scena, arrivando fino alle impalcature dove lavoravano i macchinisti e da lì si era esteso fino alle logge laterali. Il lampadario crollato era riverso all'interno della buca dell'orchestra, coperto di polvere.
Erik si poggiò con le spalle al muro sporcandosi la giacca e le mani di cenere,
“Il mio teatro...” sussurrò scuotendo il capo.
Gli ci volle qualche minuto per decidere di andare via, aveva visto ciò che voleva vedere... anzi, no, non aveva visto ancora tutto: pensò che doveva ancora visitare la sua casa, la Dimora sul Lago.
Scese nei sotterranei notando quanto quei cunicoli e quelle scale di pietra gli fossero familiari, malgrado il buio pesto riusciva a muoversi con disinvoltura, ricordava ancora dove le mattonelle erano rotte e c'era pericolo di inciampare, o quale gradino fosse più scivoloso di un altro.
Quando raggiunse la sponda del lago sotterraneo accese con un fiammifero che aveva in tasca una lampada ad olio che aveva trovato ancora intatta dietro le quinte. Nella grotta non c'era più niente che gli ricordasse l'unico luogo in cui si era mai davvero sentito a casa. Gran parte delle sue cose erano sparite, e quelle rimaste erano state distrutte. Il bellissimo letto a forma di cigno, che lui stesso aveva intagliato nell'ebano, era stato ribaltato e rotto a colpi d'ascia, il materasso squarciato era stato buttato sul pavimento di pietra, del suo organo non rimaneva altro che un mucchio di frammenti di legno e meccanismi metallici. A terra c'erano ancora i fogli dei suoi disegni strappati e calpestati, i suoi libri erano stati gettati nel lago, qualche pagina galleggiava ancora sulla superficie dell'acqua.
Erik corrugò la fronte,
“Quanto devono avermi odiato, quanto sono riuscito a farmi detestare” si disse rimanendo impietrito davanti a quel penoso spettacolo.
Vide l'angolo di una custodia di pelle spuntare da un mucchio di tende strappate e gettate a terra, si chinò a raccoglierla e si concesse un sorriso quando scoprì che si trattava della partitura del suo “Don Juan”.
Aveva sempre pensato che la musica fosse l'unica cosa davvero buona che lo caratterizzava, e il fatto che quegli spartiti fossero l'unica cosa rimasta intatta del suo vecchio mondo era quasi una conferma.

Basta stare qui, non è più il tuo posto, non è più la tua vita...

“Basta così...” mormorò Erik prendendo la partitura della sua opera e avviandosi di nuovo verso la superficie.  
Quando uscì dal teatro dallo stesso ingresso nascosto da cui era entrato ebbe la sensazione di essersi congedato definitivamente da un vecchio amico, o più semplicemente credette di aver detto addio a una parte di se stesso che era giusto che rimanesse sepolta in quei sotterranei insieme al suo passato e alle macerie che ne rimanevano.
Lasciatosi alle spalle il teatro, Erik si diresse verso la casa di madame Giry, del resto lei era l'unica persona che gli fosse rimasta. Era ancora dell'idea che sarebbe stato troppo penoso rivedere Diane e che era del tutto insensato rincontrare Christine, dopotutto si erano già detti addio.

La donna non sembrò nemmeno troppo stupita quando vide il suo vecchio amico comparire sulla porta, gli rivolse un sorriso colmo di sollievo e lo fece entrare,
“Ti aspettavo, sai. Raoul mi ha informato che eri stato rilasciato” gli disse
“Si, presto lo saprà tutta Parigi e temo che non saranno contenti” rispose lui con un'alzata di spalle,
Eloise notò le mani e i vestiti sporchi di cenere e la custodia di pelle che l'uomo teneva sotto al braccio,
“Sei stato all'Opera” indovinò guardandolo negli occhi
lui scrollò le spalle
“A quanto pare sembra che ultimamente la mia sola occupazione sia quella di dire addio a qualcuno o a qualcosa”.
Madame Giry si soffermò a guardarlo, era dimesso ma non sembrava particolarmente spossato,
“Erik...” mormorò commossa e si concesse di abbracciarlo, come non aveva mai fatto. In passato non aveva mai osato stabilire un contatto così intimo. Malgrado il grande affetto che provava per lui aveva sempre avuto paura delle sue reazioni, del suo carattere scontroso, ma in quel momento non riuscì a trattenersi e lo strinse a sé, ora che lui era vivo e soprattutto ora che era libero.
Inizialmente l'uomo rimase perplesso da quel gesto, gli ci volle qualche secondo per ricambiare goffamente la stretta della sua vecchia amica. Quando si staccarono Eloise si affrettò ad asciugare una lacrima che minacciava di capitolare oltre le ciglia,
“Vieni, vieni a sederti- gli disse dirigendosi verso la cucina- ti preparo qualcosa da mangiare”
“Non ho fame” rispose Erik sistemandosi su una sedia
“Si che ne hai, sei solo troppo scosso per accorgertene!”.
Lui roteò gli occhi chiedendosi se fosse insito nella natura di ogni donna quell'eccesso di premure materne o se fosse Eloise ad essere particolarmente incline a prendersi cura degli altri.
“Immagino che il visconte ti abbia raccontato delle ultime vicissitudini tra lui e Christine” disse all'improvviso madame Giry
“Si”
“Ti ha detto perché lei ha deciso di tornare sui suoi passi?”
l'uomo scosse il capo
“Immagino che sia rimasta colpita dal fatto che il visconte si sia prodigato per salvarmi il collo, ah poi lui mi ha detto qualcosa a proposito di una lettera che ha ricevuto Christine, ma è stato vago”
Eloise sospirò
“Una lettera di Diane De Valois, per la precisione”
Erik capì che la donna non aveva tirato in ballo quel nome per puro caso e per un attimo ebbe un sussulto,
“E così Diane le ha detto tutto” disse cercando di tenere a bada le emozioni che gli suscitava anche il solo parlare di lei
“Si, e quella storia ha aiutato Christine a rivalutare il senso dell'amore. Ho conosciuto la marchesa, sai, una persona brillante, e direi anche una bella donna...”
“Eloise, perché mi stai parlando di lei?”
“Oh Cielo! Dovresti essere tu a parlarmi di lei! Erik, hai... tu... insomma, sei innamorato di una donna che ti ama!”
“Chi l'avrebbe mai detto” borbottò l'uomo con amaro sarcasmo
madame Giry scosse il capo
“C'è una donna che ti ama, che è in pena per te e tu sei qui in casa mia invece che da lei” protestò
“Mi permetti di ricordarti che quella donna è sposata, o ti era sfuggito questo particolare?”
“Lo so, ma...”
“Niente ma! È meglio che mi creda morto, sarà più facile per lei farsene una ragione”
“Crederti morto?! Ma quanto tempo pensi che ci metteranno i giornali a far circolare la notizia che sei stato rilasciato? Se lo venisse a sapere da qualcun altro e non da te potrebbe non perdonartelo”
Erik sbuffò spazientito, non voleva che Eloise gli offrisse dei motivi per correre da Diane, già gli era abbastanza difficile resistere alla tentazione di andare da lei in quel preciso istante,
“E cosa dovrei fare? Andare lì e dirle: sono vivo: ora invece di piangermi puoi rimpiangermi” esclamò irritato
“Non essere sciocco! Puoi andare lì e dirle che vivrai pensando a lei, e che non ha nessun motivo di piangere la tua scomparsa” ribatté la donna corrugando la fronte
“Già, molto sensato! Vedi, qualunque cosa faccio finisco per fare del male, anche quando non voglio...”
Eloise batté le mani sul tavolo in un gesto stizzito
“Smettila, in nome di Dio, di piangerti addosso! Smettila di lamentarti di quello che sei o di quello che avresti potuto essere! Sei un uomo, hai trovato una donna che ti ama, persino colui che un tempo era il tuo peggior nemico ti ha salvato la vita perché ha capito che c'è del buono in te, perché tu non riesci a trovarlo?! E comunque sei libero di continuare a fuggire dal mondo quanto vuoi, ma ogni cosa ormai dimostra che non sei più il bambino spaventato che ha bisogno di nascondersi, abbi la dignità di prendere in mano la tua vita, maledizione!”
la donna pronunciò queste parole ad alta voce, senza interrompersi, al punto che quando ebbe finito si ritrovò con il fiato corto e il viso arrossato, Erik la osservò sgranando gli occhi,
“Madame, non avevi mai osato alzare la voce con me, sono decisamente un uomo finito” commentò  in tono canzonatorio
“Ah, il tuo raro ma pungente senso dell'umorismo, a parte la musica credo sia sempre stato uno dei tuoi migliori talenti”
Erik dondolò il capo e restò qualche momento in silenzio, poi si scosse
“Bene, dammi un po' d'acqua Eloise, voglio sciacquarmi le mani- disse- anche se le mani sono l'ultimo dei miei problemi, direi che mi occorrerebbero dei vestiti puliti”
“A questo possiamo rimediare” rispose la donna facendogli cenno di seguirlo.
Eloise condusse Erik in camera da letto, si chinò ed estrasse un baule di cuoio borchiato da sotto al materasso, lo posò faticosamente sul comò e gli disse di aprirlo. Lui sollevò il coperchio del baule con aria incuriosita e non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto quando vide cosa c'era all'interno,
“Sono le uniche cose che sono riuscita a salvare” spiegò madame Giry,
dentro c'erano dei vestiti, alcuni quaderni e un sacchetto di stoffa con del denaro.
Erik fece scorrere le dita lungo l'orlo di una delle sue candide camice di batista, aveva sempre avuto gusto per le cose belle e di qualità, grazie al compenso mensile accordatogli dal vecchio direttore del teatro era riuscito a garantirsi una certa agiatezza e a poter soddisfare ogni tipo di capriccio riguardo l'abbigliamento e agli oggetti costosi.
“Cerca di darti una ripulita altrimenti sporcherai i vestiti” gli fece notare Eloise, poi si offrì di preparargli un bagno caldo, lo avrebbe aiutato a distendersi e a togliersi di dosso tutto quello sporco.
Un'ora dopo Erik fu pronto, si osservò nello specchio approvando la sua immagine che con quei vestiti e con le giuste cure era tornata molto più simile a quella dell'uomo che era stato in passato. Salutò Eloise dicendole di aspettarlo, che sarebbe tornato e avrebbero discusso insieme di cosa avrebbe dovuto fare in futuro.
Ancora una volta Erik si accorse che camminare tra la gente gli pesava meno di quanto credesse, sopportava con tranquilla rassegnazione le occhiate curiose o perplesse che i passanti rivolgevano al suo volto mascherato, e quando vide comparire infondo alla strada la casa di Diane si concesse un sorriso rilassato e affrettò il passo. Si rese conto che non sapeva cosa dirle, ma con quella visita avrebbe potuto regalare a entrambi un'altra manciata di momenti felici, e chissà, forse avrebbe rivisto Vivianne, avrebbe potuto salutarla.
Erik bussò alla porta pensando unicamente al momento in cui avrebbe rivisto Diane e non al momento in cui l'avrebbe lasciata di nuovo. Dopo una manciata di secondi un maggiordomo dall'aria austera gli aprì la porta. Il domestico scrutò lo strano visitatore con un'occhiata arcigna, che fece quasi rimpiangere a Erik gli sguardi severi ma riservati di Colette,
“Cosa posso fare per voi, monsieur?” domandò il maggiordomo accompagnando quelle parole gentili con un tono quasi infastidito
“Potete dire alla marchesa che vorrei vederla, sono il maestro di musica di sua figlia” rispose Erik tranquillo
il domestico arricciò appena le labbra
“Temo che sia impossibile” concluse
“Come?!” esclamò il suo interlocutore in una specie di ringhio
“Madame non è qui”
“Sapete dirmi a che ora rientra?”
“Intendevo dire- puntualizzò il maggiordomo- che madame non è più in città”
“Come sarebbe a dire?”
“E' partita quattro giorni fa per Marsiglia, credo che si tratterrà a lungo”
il domestico si congedò con un vago cenno del capo e rientrò chiudendo la porta, lasciando Erik incredulo sulla soglia.
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Lieta di essere riuscita a sconvolgervi XD
Nemmeno io pensavo che ci fosse un modo per riabilitare il carciof... ehm, il Visconte.

Grazie per le letture e per le recensioni.
In quanto alla conclusione, mancano ancora due capitoli e l'epilogo.
Ci leggiamo tra una settimana ^^

I remain, gentleman, your obedient servant.

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Capitolo 31
*** Capitolo trentesimo ***


CAPITOLO TRENTESIMO

Vivianne osservava il paesaggio con il viso premuto contro il finestrino, gli alberi sparivano davanti ai suoi occhi a una velocità che trovava quasi spaventosa. Era abituata a viaggiare in carrozza, ma sua madre aveva ritenuto che non sarebbe stata una buona idea percorrere con i cavalli i quasi ottocento chilometri che separavano Marsiglia da Parigi, ci sarebbe voluta una settimana, se non di più, così aveva optato per il treno. Aveva messo in valigia lo stretto necessario, il resto della sua roba gli sarebbe stato spedito direttamente nella sua nuova casa.
Vivianne era sembrata entusiasta dell'idea di cambiare casa, evidentemente era troppo piccola per capire che quel trasferimento era dovuto a importanti scelte dei suoi genitori, a dei drastici cambiamenti nella vita di entrambi.
Con enorme stupore della marchesa, Colette aveva deciso di andare con loro, le aveva detto che quella casa sarebbe stata vuota senza lei e la bambina, ma Diane aveva il sospetto che per l'anziana domestica lasciare Parigi fosse stato più difficile di quanto aveva dato a vedere. Anche Martine, la bambinaia che si era sempre occupata di Vivianne, aveva deciso di seguire la sua padrona, aveva detto che non voleva rischiare di rimanere senza lavoro e che non riusciva a immaginare di dover essere al servizio di qualcuno diverso da Diane. L'affetto delle due domestiche era stato per la donna un vero sollievo, pensò che con loro si sarebbe sentita meno sola che in mezzo a cameriere e inservienti del tutto estranei.
Non era stato difficile partire e lasciare Louis, era abituata a vivere senza di lui e abbandonare il posto in cui aveva trascorso gli ultimi otto anni non era da considerarsi un dramma, dal momento che Parigi le era sempre sembrata estranea. Ciò che la spiazzava e le faceva veramente male era la sensazione che si stesse lasciando alle spalle i pochi ricordi di quel sogno che l'aveva resa di nuovo viva, come aveva scritto nella lettera a Christine. Era risoluta nel suo non voler dimenticare, nel  non lasciare che fosse il tempo a curare il suo dolore e a rimettere insieme i pezzi di un cuore che a volte le sembrava quasi non battesse più. Sapeva che prima o poi gli eventi avrebbero posto la giusta distanza tra lei e quell'amore che era durato appena il tempo di un bacio, ma dentro la sua anima niente sarebbe mai stato come prima. In fondo è questo che fa l'amore, stravolge irreversibilmente, senza possibilità di porre rimedio.
Il treno arrivò in stazione a sera inoltrata. Vivianne si era addormentata cullata dal dondolio del vagone, sua madre aveva dovuto portarla in braccio fuori alla stazione, mentre due facchini trasportavano i bagagli.
Una carrozza condusse le tre donne e la bambina verso il porto, le lasciò davanti a una pittoresca casa in mattoni preceduta da un patio e da un piccolo giardino. L'odore del mare era piacevole, come pure il suono cadenzato delle onde che si infrangevano sulla banchina. L'edificio a due piani confinava con un'altra costruzione più bassa e squadrata con un portone di legno scuro sormontato da un'insegna sulla quale era raffigurata una nave con accanto la scritta: Mercier Spedizioni.
“E' la sede della compagnia di mio padre- spiegò Diane- quando i miei genitori morirono fu data in gestione ma appartiene ancora alla mia famiglia, credo che ci toccherà svegliare il custode se non vogliamo restare qui fuori tutta la notte”, la donna lasciò Vivianne, ancora addormentata, tra le braccia di Martine e diede un energico strattone alla corda della campanella che era fuori al portone della sede della compagnia di spedizioni.
Si sentì un brontolio rauco provenire da dietro la porta, poco dopo le venne ad aprire un uomo di mezza età che teneva tra le mani una bugia con una candela quasi del tutto consumata. L'uomo si aggiustò sul naso un paio di occhiali dalle lenti tonde e osservò la donna che era davanti a lui,
“Madre del cielo, mademoiselle Diane!” esclamò stupito,
lei sorrise
“E' un piacere rivedervi Robert” disse
“Oh ma cosa ci fate qui mademoiselle... ah, che sbadato, dovrei dire madame... non avevate avvisato nessuno del vostro ritorno”
“Lo so, è stato un capriccio improvviso- tagliò corto la donna- ma ora siamo molto stanche, veniamo da un lungo viaggio e vorremmo riposare, potreste darmi darmi le chiavi di casa?”
“Certo, certo madame! Non immaginate che bella sorpresa”
Robert conosceva la famiglia di Diane da molto tempo, aveva sempre lavorato per suo padre ed era rimasto a fare da custode alla casa vuota. Si coprì con una giacca e frugò in un cassetto dal quale estrasse un mazzo di chiavi, poi si diresse verso il cancello della casa,
“Queste sono Martine e Colette, le mie domestiche” spiegò Diane
“E questa bambina meravigliosa immagino sia vostra figlia” concluse Robert osservando la piccola che era rimasta addormentata tra le braccia della sua governante tanto il viaggio l'aveva spossata,
“Si, Vivianne”.
L'uomo aprì la casa e si occupò di portare dentro i bagagli delle donne, poi sollevò alcuni teli che coprivano i mobili dell'ingresso sollevando degli sbuffi di polvere,
“La casa è esattamente come quando ve ne siete andata, madame- spiegò- vostra madre, Dio la abbia in gloria, non è mai stata amante dei cambiamenti, e da quando il Signore l'ha chiamata a Sé nessuno ha più toccato niente qui dentro”,
Diane osservò la casa nella penombra, mentre Robert accendeva qualche candela. Si accorse che i ricordi che quelle stanze le suscitavano erano meno vividi e precisi di quanto pensasse, era come se la giovinezza che aveva vissuto in quella casa fosse stata un'altra vita. Si poggiò con la mano contro il muro cercando di tenere testa alle emozioni,
“Domani, se volete, farò venire qualcuno ad aiutare le vostre domestiche a dare una ripulita alla casa” aggiunse Robert, dopo aver mostrato a Colette la cucina e le camere della servitù,
“Molto bene, è bello essere a casa- mormorò Diane in tono riconoscente- ma ora vorremmo riposare, ci vediamo domani Robert”
“Si madame. Ah, avete intenzione di fermarvi a lungo?” domandò lui
“Si, credo proprio di si” rispose la donna distrattamente.
La casa era meno spaziosa della villa di Louis ed era molto diversa, anche se era ugualmente una dimora elegante e decorosa. Al pianterreno c'era un piccolo salotto dalle pareti coperte con una carta da parati color verde acqua, sulla destra c'era la porta della camera da pranzo che era direttamente collegata con la cucina, sulla sinistra c'era una scala di legno scuro che portava al piano superiore, e nel sottoscala c'era una porta che introduceva nelle stanze riservate ai domestici. Il secondo piano era diviso tra le camere da letto e una piccola libreria. Il retro della casa affacciava su una piccola mulattiera che costeggiava la banchina del porto, su quel lato dell'edificio i mattoni erano coperti da una patina bianca di salsedine.
Quando il custode se ne fu andato Colette salì al secondo piano, cercò le lenzuola e preparò la stanza più grande per la sua padrona e una delle due camere più piccole per la bambina, pensando che non vedeva l'ora di rendere quella casa di nuovo pulita e confortevole. Sapeva bene che una casa è solo un'idea e non un luogo, non si tratta di mura o di mobili, ma di sensazioni familiari e sicurezze, senso di protezione e di appartenenza. Lei aveva provato tutto ciò nei lunghi anni in cui aveva prestato servizio in casa dei De Valois, e adesso doveva ricominciare da capo a costruire la propria casa in un luogo diverso. Non sarebbe stato facile, ma non se l'era sentita di abbandonare la marchesa e la bambina, era giunta ad un età in cui aveva bisogno di credere che ci fosse qualcuno che non potesse fare a meno di lei e siccome non si era mai costruita una famiglia Diane e sua figlia erano i suoi unici affetti.
Dopo aver messo la bambina a letto Diane si chiuse nella sua stanza. Dormire nel letto dei suoi genitori le sembrava così strano. Aveva quasi odiato suo padre quando l'aveva costretta a sposare Louis, con il tempo poi aveva capito che lo aveva fatto per il suo bene, per garantirle quello che a lui sembrava un futuro splendido, anche se non sempre le scelte dei genitori possono rivelarsi quelle giuste. Ripensando a suo padre la donna si chiese quali conseguenze avrebbe avuto su Vivianne la sua scelta di andarsene, quando si stese sul letto e sentì sotto la schiena il materasso più morbido di quello su cui si era abituata a dormire si sentì persa, Parigi non era mai stata casa sua, ma quel posto ormai non lo era più. Si sentì vuota, senza scopo, e nuovamente sola.
Diane si girò su un fianco stringendo tra le dita un angolo del guanciale, scoppiò a piangere violentemente, per la prima volta dopo tutto quello che le era accaduto, si addormentò stanca con le tempie doloranti e il volto ancora umido di lacrime.

*

Erik fissava il vuoto con i gomiti poggiati sul tavolo, la camicia gli aderiva al petto sudato, era tornato indietro correndo, cercando di mettere in ordine i pensieri, continuando a ripetersi che forse era destino che lui e Diane non si rincontrassero.
“Marsiglia...” mormorò come se stesse cercando di convincersene.
“Marsiglia- ripeté madame Giry- ma perché?”
“E' la città dove è nata, ma non capisco perché sia partita, proprio adesso per giunta”
“Pensavi sarebbe rimasta ad aspettare la tua esecuzione, volevi che venisse a guardare?” borbottò Eloise in tono di sfida
Erik fece una smorfia di disgusto
“Certo che no, ma mi sembra così strano che abbia lasciato Parigi, affrontato un viaggio così lungo con una bambina. E se è andata così lontano temo che ci rimarrà per molto tempo...”
“Potresti raggiungerla” suggerì madame Giry,
l'uomo sollevò il capo verso di lei e sgranò gli occhi come se la sua interlocutrice avesse avanzato una proposta impensabile da realizzarsi,
“Cosa?”
“Hai capito benissimo. Conosci la chimica, l'alchimia, la fisica e ti stupisci del fatto che si possa viaggiare?”
“Eloise, Marsiglia è molto lontana”
“Ma Diane, che è una donna, ci è andata con una figlia piccola per giunta, non vedo perché non potresti andarci tu... ah, no, non dirmelo, quelli come te non prendono treni, quelli come te se ne stanno rintanati a guardare la propria vita che passa, rimuginando su quanto il mondo è stato crudele con loro!”
“Non ti ricordavo così indisponente, soprattutto nei miei riguardi” protestò Erik
“Sto solo cercando di non commettere lo stesso errore un'altra volta- rispose Eloise con un sospiro- non è stato saggio da parte mia incoraggiarti a rimanere nascosto in quel teatro”
“Non avevo scelta”
“E invece si! So cosa hai passato quando eri solo un bambino ma poi sei diventato un uomo e sarebbe stato meglio, da parte mia, aiutarti ad affrontare le tue paure invece di permetterti di creartene di nuove. In questi mesi non hai vissuto nascosto, in isolamento, e non mi pare che tu non te la sia cavata”
“Non è certo colpa tua se non volli più mettere piede fuori dal teatro- commentò l'uomo- eravamo entrambi così giovani allora”
Eloise scosse il capo, si sedette accanto a lui e gli posò le mani sulle proprie,
“Sai anche tu che c'è stata una guerra di recente- disse- la città è piena di uomini che sono rimasti invalidi, che portano addosso i segni delle battaglie, ma continuano a vivere in mezzo alla gente, non vedo perché non possa farlo anche tu”
Erik si lasciò scappare un sorriso malinconico,
“A Marsiglia c'è il mare- mormorò- non ho mai visto il mare...”.

*

Sentiva le gambe pesanti, aveva camminato tanto. Le pareti di quel corridoio di pietra erano umide e viscide, ma in lontananza vedeva una luce tremula, come se da qualche parte alla fine di quel cunicolo ci fossero delle candele accese, e la voce dal buio cantava soave e invitante come una tentazione...

“You have come here
in pursuit of you deepest urge
in pursuit of that wish,
which till now has been silent, silent...”

Il suono della voce era carezzevole, caldo, e infondeva forza al suo cuore stanco. E quelle parole, erano così vere!
La donna si fece coraggio e continuò a camminare verso la luce, e più si avvicinava e più avvertiva un calore confortante che la spingeva a proseguire, a scappare via da quell'incubo. Conosceva quel posto, lo aveva sognato altre volte...
E la voce continuava a cantare suadente...

“I have brought you, that our passions
may fuse and marge,
in your mind you've already succumbed to me,
dropped all defenses
completely succumbed to me...”   

Raggiunse esausta una grotta sulla sponda di un lago sotterraneo, l'entrata era sbarrata da una pesante grata di ferro. Cercò di guardare dentro, la luce delle candele e il calore venivano da lì. E lui era seduto a davanti a un organo sistemato su un rialzo della roccia, indossava un frak nero, abiti eleganti, calzoni di velluto scuro. Sembrava completamente assorto dal canto e dalla musica e non si era accorto di lei, ma era così bello.
“Erik!” lo chiamò con quanto fiato aveva in gola, l'eco ripeté quel nome all'infinito, poi lui si alzò e si voltò a guardarla, le sorrise raggiante e continuò a cantare.

“now you are here with me:
no second thoughts
you've decided, decided”

La grata si sollevò da sola con un sordo cigolio, l'uomo rimase ad attenderla senza smettere di sorridere, con gli occhi illuminati da una serenità che lei non gli aveva mai letto in quel suo sguardo tormentato. La donna si gettò nel lago e camminò faticosamente verso di lui, ad ogni passo si sentiva più stanca, la veste si appesantiva con l'acqua e il lago diventava sempre più profondo e freddo.
Raggiunse con uno sforzo enorme l'altra riva, dove lui le tese una mano per aiutarla a uscire dall'acqua,
“Erik...” mormorò lei, mentre l'uomo la sollevava tra le braccia e le accarezzava il viso
“Sei esausta” commentò posandola delicatamente su un letto a forma di ciglio celato da una tenda di organza,
“Ora va meglio, ora che ti ho trovato...”.
Aggrappandosi alla sua camicia lo attirò verso di sé facendolo cadere sul materasso accanto a lei e cominciò a baciarlo. Lui la stringeva tra le braccia con la cura e la delicatezza che si riserva a un oggetto prezioso, armeggiava con i lacci del vestito che in pochi minuti finì gettato sul pavimento di pietra.
“Erik, ti prego, amami...” sospirò lei godendosi la carezza delle lenzuola di broccato sulla pelle delicata.
L'uomo la baciò con più passione mentre con le mani percorreva senza pudore ogni centimetro del suo corpo. Un attimo prima di arrendersi a quelle carezze la donna gli sfilò la camicia e gli cosparse il petto di baci, sentendo il suo cuore battere sotto i palmi delle mani e tastando i muscoli levigati e la pelle che stava diventando incandescente. Era così bello, come la sua voce... un inevitabile invito al peccato.
Lui le accarezzò l'interno delle cosce, risalendo con la mano sempre più su, rendendo quelle carezze sempre più audaci, fino a raggiungere la sua femminilità che sfiorò leggermente provocandole uno spasmo incontrollabile...
“Erik!...”

“Erik!...”
Diane si svegliò con un sobbalzo, urlando quel nome con disperazione e non per il piacere, come aveva fatto in sogno. Era completamente avvolta dalle lenzuola che le si attaccavano fastidiosamente al corpo sudato, tra le mani stringeva un cuscino stropicciato. Le ci volle qualche secondo perché il respiro le tornasse regolare, stava ancora ansimando quando si mise a sedere per versarsi dell'acqua dalla caraffa che era sul comodino. Bevve avidamente e si versò alcune gocce di acqua fresca sul collo per cercare di calmarsi e di alleviare quel calore insopportabile che sentiva.
Ormai sognava Erik ogni notte, erano sempre sogni strani e sconclusionati che si perdevano nell'oblio del sonno. Ma quella notte era stato diverso, quel sogno sembrava così reale, quei baci, quelle carezze, il calore della sua pelle. Come se...
“Come se fosse vivo...” mormorò Diane, per poi rannicchiarsi contro la spalliera del letto con le  le braccia che stringevano le gambe piegate e abbandonarsi a un pianto sommesso fino a farsi vincere dal sonno. Quello era diventato l'unico modo in cui riusciva ad addormentarsi da quando aveva lasciato Parigi.
Era trascorsa una settimana da quando era tornata a Marsiglia. Aveva passato quei giorni a cercare di rimettere in sesto la casa, aiutata da Colette aveva assunto nuovi domestici, un inserviente che si occupasse delle faccende più importanti, un cuoco e una cameriera che aiutasse la sua vecchia domestica nelle pulizie e nella gestione della casa.
La donna era stata di pessimo umore in quella settimana che le era parsa durare un'eternità. Aveva sperato che la notizia del suo ritorno in città non si spargesse troppo rapidamente, non voleva ricevere visite di parenti e vecchi amici di famiglia che sicuramente l'avrebbero riempita di domande. Pensò che forse un giorno sarebbe potuta arrivare persino a rimpiangere la sua vita piena di impegni mondani ai quali, come moglie di un marchese, non poteva sottrarsi, ma in quel momento voleva solo essere lasciata in pace.

“Perdonate se mi permetto, madame- disse Colette mentre le serviva la colazione- ma siamo qui da una settimana e non avete ancora scritto a vostro marito”
“Si, hai ragione, lo farò domani, oggi devo trovare un maestro per Vivianne, ma pensavo che dopo l'estate potrei mandarla ad una scuola pubblica” rispose la donna con aria assorta,
la domestica non capiva perché mai la figlia di un nobile dovesse frequentare una scuola pubblica, ma non c'era da stupirsi se una persona come Diane lo trovasse assolutamente normale,
“Se credete che sia una buona idea, madame...”
“Lo è di sicuro! Voglio che mia figlia cresca insieme agli altri bambini e non chiusa in questa casa. Anche se suo padre potrebbe perdere dieci anni di vita, se lo sapesse”,
Colette sospirò e trattenne a stento un mugolio di tristezza, Diane la guardò di sottecchi, sapeva che la domestica non avrebbe mai compreso le sue ragioni e che una donna anziana probabilmente non possedeva l'elasticità mentale per comprendere la natura di quella situazione,
“Colette, voglio che tu sappia che se ci fossero dei ripensamenti riguardo al fatto di vivere qui, non mi arrabbierò se vorrai andartene” le disse con dolcezza
“Madame, non oserei mai contestare le vostre scelte, o quelle di vostro marito”
“Ah, ti prego, per una volta metti da parte le formalità e sii sincera, qui non siamo a Parigi!”
“Madame, alla mia età è difficile accettare dei cambiamenti tanto grandi, e non mi riferisco al vivere in un'altra città...”
Diane osservò la zolletta di zucchero affondare nel caffè e girò distrattamente la bevanda con il cucchiaino,
“Hai ragione, l'amore è un pessimo affare!...” concluse
“L'amore è stata un'invenzione madame, per regalare felicità a chi poteva permetterselo o per dare un motivo all'infelicità di tutti gli altri”
“E quando l'infelicità ha un motivo dovrebbe essere molto più sopportabile secondo te?”
la domestica sospirò
“Quando si ha un motivo per essere infelici se ne devono cercare altri per non esserlo. La felicità non ha mai un solo volto, nemmeno quando si tratta di un volto luminoso e accecante come quello dell'amore” commentò cominciando a sgombrare il tavolo dalle stoviglie.

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Capitolo 32
*** Capitolo trentunesimo ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO

L'odore del mare saliva ruvido dalle narici, seccando la gola e solleticando gli occhi. Erik non lo aveva mai sentito prima di quel momento e aveva sempre immaginato il mare come un deserto ostile di acqua salata e violenti cavalloni di spuma, ma osservando con aria incuriosita lo scorcio del porto di Marsiglia comprese che il mare è come un dono, la natura nella sua forma più vitale e generosa che offre agli uomini risorse indispensabili.

Non ho mai visto il mare

Erik ripeteva quel pensiero all'infinito nella sua testa mentre osservava pigramente quel paesaggio nuovo.
Non era stato facile convincersi a fare quello che aveva fatto: salire su un treno e partire per una città che non aveva mai visto, a cercare qualcuno che non sapeva nemmeno come avrebbe fatto a trovare.
Vide la gente accalcarsi sulla banchina mentre un mercantile si avvicinava al molo e si preparava alla manovra di attracco, sulla nave c'erano dei marinai aggrappati alle sartie che guardavano verso la terraferma sporgendosi con il busto come per tendersi verso la gioia del ritorno, come se potessero afferrarla in qualche modo in una sorta di abbraccio. Erik sospirò, cercò di immaginare le sensazioni di quegli uomini che erano stati lontani da casa per molto tempo, forse non erano tanto diverse dalle sue, anche lui stava ritornando verso una gioia che aveva solo sfiorato e che per troppo tempo gli era stata negata.
Non gli importata più chiedersi quanto tempo sarebbe durata, non lo spaventava più sapere che prima o poi lui e Diane avrebbero dovuto separarsi di nuovo, perché lei aveva i suoi obblighi e la sua casa verso cui tornare, voleva solo riabbracciarla da uomo libero, voleva guardarla negli occhi e mostrarle che non c'erano più ombre nel suo sguardo. Il dolore della separazione non era un buon motivo per negare a sé stesso un attimo di quella felicità.

Ah, Diane...

Più si avvicinava al porto e alla gente che si era radunata sul molo e più pensava che sarebbe stata una vera impresa riuscire a trovarla.
Erik continuò a camminare mischiandosi alla folla dove tutti erano troppo impegnati a osservare la piccola nave avvicinarsi cautamente alla banchina per notare il suo viso coperto dalla maschera. E in quel momento si sentì davvero un uomo come gli altri, proprio come aveva detto Eloise, proprio come Diane aveva cercato di dimostrargli.
Pensò di trovare qualcuno a cui chiedere informazioni sulla marchesa De Valois, ma forse Diane non era conosciuta con quel nome nella sua città d'origine, e lui non aveva la più pallida idea di quale fosse il suo nome da nubile. Lei gli aveva raccontato brevemente di Marsiglia in uno dei loro rapidi scambi di battute, quando lui aveva frequentato casa sua per dare lezioni di musica a Vivianne. Erik si ritrovò a sorridere pensando ai loro battibecchi ma si intristì subito dopo, riflettendo su quanto tempo aveva sprecato a cercare di tenerla a distanza quando dentro di sé già sentiva che avrebbe solo voluto fermarsi almeno un giorno al suo fianco.
La giornata era limpida e assolata, il cielo terso permetteva di scorgere in lontananza la piccola isola sulla quale era arroccato lo Chateau d'If, la prigione in cui Dumas aveva ambientato alcune delle pagine più tremende della storia del Conte di Montecristo. Lui conosceva quel romanzo, ma quando lo aveva letto da ragazzo lo aveva trovato quasi ridicolo: la vicenda di un uomo tanto sventurato, tradito dai suoi amici, che riceve in dono dalla sorte i mezzi per vendicarsi e una volta compiuta la sua vendetta trova l'amore di una fanciulla per continuare a dare uno scopo alla propria esistenza, gli era sempre sembrata un'idea assurda perché sapeva che il destino non è così generoso e che la vita troppo spesso si basa più sui fallimenti che sulle vittorie. Eppure anche lui ormai era lì, a un passo dal suo tesoro, anche se era convinto che la sua storia non era adatta a diventare un romanzo, spesso gli sembrava solo un terribile incubo...
Erik scosse la testa e allontanò quei pensieri filosofici e romantici, non ci sarebbe stato nessun tesoro se non avesse trovato un modo per rintracciare Diane!
Continuò a camminare senza meta sperando che gli venisse presto qualche buona idea che fosse migliore del progetto di bussare ad ogni porta della città. Raggiunse un mercato brulicante di massaie e domestici intenti a fare la spesa, i mercanti urlavano per attirare i compratori e la gente si accalcava davanti ai banchi per poi allontanarsi con i panieri pieni. Pensò che Marsiglia, come probabilmente ogni città di mare, fosse incredibilmente vivace, forse anche troppo per lui che non era abituato a tutta quella confusione.
Nel trambusto Erik avvertì alle sue spalle il rumore di un paniere che veniva rovesciato seguito da un'esclamazione di stupore,
“Oh mio Dio!”,
l'uomo si voltò perplesso e quando vide chi era alle sue spalle pensò che a volte la fortuna fa  dei dono inattesi.
“Voi, madame...” mormorò con una smorfia che avrebbe voluto essere un sorriso, era contento di trovarsi faccia a faccia con la vecchia domestica di Diane, non si aspettava di trovare anche lei lì, e soprattutto di riuscire a incontrarla in mezzo a quella calca,
“Ma cosa ci fate qui? Voi dovreste essere...”
“Morto, lo so”,
l'uomo si chinò a raccogliere il paniere che Colette aveva lasciato cadere e glielo restituì. Dal canto suo l'anziana donna non sapeva proprio cosa pensare, possibile che lui fosse venuto a Marsiglia a cercare la sua padrona? E come aveva fatto a sapere che lei era lì? Ma soprattutto perché mai avrebbe dovuto essere morto?
Dall'espressione metà sconvolta e metà contrariata di Colette, Erik comprese che lei non aveva minimamente idea di quello che gli era capitato dall'ultima volta che che lo aveva visto in casa dei De Valois, e pensò che forse era meglio così. Allo stesso tempo non fu sorpreso di notare che la donna non sembrava troppo contenta di vederlo, di certo lei pensava che sarebbe potuto nascere uno scandalo se un uomo sconosciuto fosse piombato in casa di una donna sposata mentre lei era lontana dal marito, ma ormai era tardi per pensare anche a quel tipo di conseguenze.
“E' una fortuna avervi incontrato, stavo giusto cercando la casa dove alloggia la vostra padrona” disse l'uomo in tono pacato
“E' quello che temevo... cioè, volevo dire, che è quello che immaginavo” farfugliò Colette rimanendo impalata in mezzo alla piazza del mercato
“Speravo che voi poteste aiutarmi” aggiunse lui dopo alcuni secondi di silenzio in cui la donna non sembrava volersi dare una mossa,
Colette annuì e gli fece cenno di seguirlo, poi si voltò di scatto e si avviò rapidamente verso casa. La palazzina in cui si era trasferita Diane non era molto distante dal mercato, la domestica camminava a passo rapido come se volesse prolungare il meno possibile quella situazione che trovava assolutamente assurda e imbarazzante. Avrebbe voluto fare mille raccomandazioni a quell'uomo e magari anche convincerlo ad andare via senza vedere la sua padrona, ma quello strano musicista le aveva sempre messo soggezione e non si sentiva in grado di affrontare una conversazione con lui.
“Siamo arrivate da una settimana- disse Colette continuando a camminare senza voltarsi- mi state ascoltando? In questi giorni madame sembra aver ritrovato un po' di serenità, ma è stata di cattivo umore nelle settimane passate...”
“Capisco” asserì Erik mentre il cuore gli si stringeva al pensiero delle pene che doveva aver sofferto Diane credendolo morto
“Se proprio non potete fare a meno di vederla, mi raccomando, siate cauto con lei” concluse la domestica, l'uomo le posò una mano sulla spalla e la costrinse a voltarsi verso di lui,
“Non farei mai niente che possa nuocere alla vostra padrona!” esclamò risentito
lei lo guardò da capo a piedi con aria indignata
“Lo avete già fatto, mi pare” rispose sottraendosi a quella stretta e continuando a camminare,
Erik non trovò nulla da rispondere, quella donna non aveva tutti i torti e pensò che forse avrebbe davvero fatto meglio a non essere lì, ma ormai era tardi per tornare indietro.
In pochi minuti raggiunsero la casa di Diane, Colette aprì la porta e fece cenno a Erik di posare in terra il suo bagaglio,
“Vado a chiamare madame, voi aspettate qui” gli disse dirigendosi al piano di sopra.
La domestica trovò Diane nella sua stanza, seduta davanti alla finestra e intenta a scrivere una lettera a Loius in cui lo informava che tutto si era sistemato e che lei e Vivianne stavano bene,
“Madame, avete una visita” disse Colette sentendosi mancare al solo pensiero della reazione che avrebbe avuto la giovane donna quando avrebbe appreso chi era venuto a trovarla,
“Oh no- sbuffò lei- sarà qualche vecchio amico di famiglia che ha saputo del mio ritorno in città. Ora cominceranno a farmi un sacco di domande su come mai mi trovo qui. Colette, ti prego, di' che sono indisposta, trova una scusa, ma non voglio vedere nessuno”
“Ehm... perdonate se insisto madame, ma credo che... credo che sia importante, decisamente importante”
“Oddio, e chi è arrivato?”
La domestica boccheggiò incapace di aggiungere altro. Diane, vedendola in difficoltà, decise di lasciar perdere e andare a vedere chi fosse il suo visitatore, quando uscì dalla stanza la cameriera le corse dietro pronta a cercare di arginare ogni sua possibile reazione,
“Dunque, si può sapere chi è questo ospite importante?” domandò la donna scendendo le scale
“E' meglio che lo vediate da voi, madame...”.
La donna scese le scale e guardò verso l'ingresso, atteggiandosi in uno dei suoi migliori sorrisi. Era così abituata a fingere cortesia quando frequentava l'alta società di Parigi che non sarebbe stato difficile farlo anche in quell'occasione.
“Diane...” Erik non riuscì a fare altro che mormorare il suo nome quando la vice comparire in fondo alle scale. Era anche più bella di quanto ricordasse, con abiti più semplici di quelli con cui era solito vederla e con i capelli non acconciati in una di quelle austere pettinature ma semplicemente legati a coda da un nastro di raso blu.
Fu quella voce a darle la conferma che non si trattava di un sogno, se Diane si fosse affidata esclusivamente ai suoi occhi avrebbe potuto pensare che l'uomo che era in piedi in mezzo all'ingresso non fosse lui. Si aggrappò al corrimano della scala per sorreggersi quando sentì le gambe cedere. Era proprio vero? Lui era vivo ed era lì...
“Vi avevo detto di essere cauto, in nome di Dio!” sussurrò Colette coprendosi il viso con le mani,
Erik fu rapido a raggiungere Diane e a sorreggerla prendendola delicatamente tra le braccia, lei si aggrappò alle ampie maniche della sua camicia e lo guardò a bocca aperta,
“Tu...” sussurrò, mentre il cuore in gola le impediva di aggiungere qualsiasi altra parola,
l'uomo le accarezzò il viso scostandole una ciocca di capelli dalla guancia,
“Una volta mi dicesti che sono una persona a cui piace stupire” le disse divertito ma con la voce che gli tremava,
lei si lasciò scappare una risata acuta che si confuse tra i singhiozzi che la stavano scuotendo,
“Si... stupire... è riduttivo...” farfugliò nascondendo la testa nel suo petto.
Colette aveva assistito alla scena stringendosi il petto con la mano, avrebbe voluto cacciare via quell'uomo a bastonate per il trambusto che aveva creato, ma cercò di immaginare la felicità che stava provando la sua padrona e fu contenta per lei.
“Come hai fatto a...” domandò Diane quando si fu calmata abbastanza da permettere ai suoi pensieri di scorrere e lineari e riuscire ad articolare una frase di senso compiuto,
“Ah, la fortuna aveva in serbo un regalo inaspettato per me- rispose Erik- ma dopo ti racconterò tutto, tu piuttosto, se fossi rimasta a Parigi avresti saputo che ero stato rilasciato, cosa ci fai qui? Stai bene?”
“Oh si, adesso si. Anche io ho delle cose da raccontarti...”
“Erik! Erik! Sei proprio tu!” una voce arrivò squillante da cima alle scale, Vivianne prese a scendere i gradini correndo come una furia,
“Piccola, che bello vederti!” esclamò Erik mentre lui e Diane si staccavano con aria imbarazzata, come se solo in quel momento si fossero accorti di non essere soli,
la bambina saltò dall'ultimo scalino direttamente tra le braccia dell'uomo che la sollevò e la strinse a sé con tenerezza,
“Che bello, sei tornato per salutarmi, pensavo che ti eri dimenticato di me”
“E come avrei potuto? Scusa per non essermi fatto trovare quella sera, come ti avevo promesso”
“Ma ora stai bene? Io pensavo che era successo qualcosa di brutto... ma la mia mamma aveva detto che sei una persona troppo in gamba e a te non succedono cose brutte”
Erik e Diane si lanciarono uno sguardo complice e lui pensò che fare il genitore doveva essere davvero complicato, persino doloroso a volte.
“Vivianne, adesso lascia stare Erik, ha fatto un lungo viaggio e deve riposare” disse la donna,
la piccola strinse ancora di più le braccine attorno al collo dell'uomo e fece una smorfia contrariata,
“Ma adesso che è tornato voglio che sta un po' con me” protestò
“Chissà, potrebbe avere molto tempo per restare con noi” rispose Diane lanciando verso Erik uno sguardo eloquente che lui non capì, non poteva sapere che presto lei sarebbe stata una donna libera.
L'uomo si sedette sul divano dell'ingresso continuando a tenere Vivianne sulle ginocchia, Diane si sistemò accanto a lui e lo osservò per qualche secondo. Era la cosa più meravigliosa che avesse mai visto, le due persone che amava di più erano erano con lei, e forse quella scena era solo l'inizio di un futuro molto simile a quello che aveva sempre sognato.
La donna era ancora troppo sconvolta per pensare lucidamente, si sentiva come se non riuscisse più a controllare le sue emozioni che esplodevano spinte da una gioia indefinibile e le davano la sensazione che il cuore stesse per uscirle dal petto e che l'aria non facesse in tempo a raggiungere i polmoni. Voleva assolutamente sapere come era accaduto quella specie di miracolo e voleva che Erik sapesse che, se solo avesse voluto, avrebbero potuto stare insieme.
“Vivianne, tesoro mio, so che sei contenta, ma ora io e Erik abbiamo bisogno di parlare da soli, avrai tutto il tempo di stare con lui più tardi” disse Diane,
l'uomo accarezzò la testolina della piccola
“Per piacere, lasciami parlare un attimo con la tua mamma, dopo starò con te per tutto il tempo che vorrai” la rassicurò,
Vivianne annuì con aria imbronciata e tornò nella sua stanza, nel frattempo Colette si avvicinò alla sua padrona in attesa che lei desse qualche disposizione per la cena,
“Temo... cioè... spero che monsieur si fermi con noi  a cena” disse serafica
“Naturalmente, vai ad avvisare il cuoco, poi lasciaci soli” rispose Diane con un sorriso raggiante.
“So che può essere compromettente per te il fatto che io sia qui- esordì Erik appena la cameriera se ne fu andata- ma io non potevo non rivederti”
“Non importa, non sai quanto io sia felice di saperti sano e salvo”
“Si... ma non voglio che tu abbia dei guai a causa mia, io... insomma, lo so che dovrò andarmene prima o poi”
“Puoi stare certo che non ne avrò- concluse la donna con un sorriso sarcastico- non più di quanti potrei averne se tornassi a Parigi, e tu... non sei costretto ad andare”
“Cosa vuoi dire? Non tornerai a Parigi?...” domandò Erik perplesso
“No, non ne ho motivo. Tra qualche settimana non sarò più una donna sposata. Louis e io abbiamo deciso di far annullare il nostro matrimonio”
“Oh Diane, è una decisione che si attua solo per cose estremamente gravi...”
“No, non sempre. Quando qualcuno è molto ricco e molto influente può ottenere l'annullamento del matrimonio anche solo per un capriccio, succede molto più spesso di quanto si pensi. Ma qui non si tratta di una cosa futile: mio marito ama un'altra donna, e io sono stata contenta di rinunciare alla nostra unione per dargli la possibilità di essere felice... certo, se avessi saputo che tu...”
Diane si interruppe, il fatto che Erik fosse lì non significava necessariamente che lui avesse intenzione di restare, e non voleva dargli a intendere che lei considerava scontato il fatto che l'avesse cercata per quel motivo.
“Ma dimmi, come è possibile che tu sia qui? Se si scarta l'ipotesi che io sia impazzita, naturalmente” disse la donna, cercando di cambiare argomento e portare la discussione su un'altra questione che le stava a cuore
“Ah, non ci crederai... è stato merito di Raoul De Chagny” rispose Erik divertendosi a veder comparire il più profondo stupore sul volto di Diane prima di raccontarle quanto gli era accaduto.
Quando terminarono di parlare Colette annunciò che era pronta la cena. Martine accompagnò Vivianne a tavola e si ritirò insieme al cuoco nelle stanze della servitù.
Vivianne, sua madre e il loro ospite consumarono la cena in silenzio, quando ebbero finito di mangiare l'uomo si sedette accanto alla bambina e le raccontò molti aneddoti curiosi e divertenti che aveva appreso quando viveva a teatro. Restarono a parlare fino a sera inoltrata, imparando tutti e tre qualcosa in più sul vasti significato della parola “famiglia”, poi Diane decise che era ora che sua figlia andasse a dormire e l'accompagnò di sopra.
“Mamma, Erik resterà con noi per sempre?” domandò Vivianne mentre si infilava sotto le coperte,
sua madre sospirò
“Ho paura a sperarlo, piccola mia” rispose abbassando lo sguardo, poi le baciò la fronte e le diede la buona notte.
Dopo aver messo a letto sua figlia, Diane tornò da Erik che nel frattempo era stato raggiunto da Colette che, con la scusa della tavola da sparecchiare, aveva pensato bene di mettere in chiaro come lui avrebbe passato la notte.
Diane posò la mano su quella di Erik
“E' ora che tu riposi, devi essere molto stanco” disse
“Madame- si intromise Colette con un leggero colpo di tosse- vado a preparare la camera degli ospiti per monsieur”, poi l'anziana domestica lanciò verso l'uomo uno sguardo severo, per chiarire che non avrebbe dovuto nemmeno pensare di dividere la camera da letto con la sua padrona,
Diane annuì con un leggero rossore, intuendo le preoccupazioni della cameriera,
“Molto bene, dunque Erik spero che la camera sarà di tuo gradimento, ti auguro buona notte”
“Certo. Buona notte anche a te- concluse l'uomo cercando di stemperare l'imbarazzo- grazie Colette, siete premurosa e lungimirante come vi ricordavo”
“Il benessere di questa famiglia e dei suoi ospiti è sempre la mia prima preoccupazione, monsieur” rispose la domestica in tono mellifluo, poi si congedò con un cenno del capo e salì al piano superiore a preparare la camera con un ghigno soddisfatto sulle labbra.

*

Erik non riusciva a dormire, e non riusciva nemmeno a pensare. A cosa avrebbe dovuto pensare poi?... Sembrava avere tutto a portata di mano, il giorno dopo sarebbe potuto uscire da quella casa e andare a cercare un lavoro, ormai non aveva più paura del mondo. Sapeva che avrebbe sempre dovuto fare i conti con le occhiate di perplessità lanciate verso la sua maschera, ma dopotutto nessuno avrebbe più potuto fargli del male, e portare una maschera che copriva parte del viso non sarebbe stato poi tanto diverso dal portare una benda su un occhio ferito, come aveva visto fare ad alcuni marinai.
Si alzò dal letto e aprì la finestra, inspirò grandi boccate di aria salmastra, nel silenzio poteva sentire ancora il rumore del mare, lo trovò un suono piuttosto rilassante e pensò che avrebbe potuto tornare a letto e tentare di nuovo ad addormentarsi.
Non finì di formulare questo pensiero che il silenzio fu rotto dal rumore di qualcosa di vetro, o forse di ceramica, che cadeva. C'era qualcun'altro che era rimasto sveglio, che come lui non riusciva a dormire.
Erik aprì la porta della sua stanza e fece capolino nel corridoio, si rese conto che il rumore era venuto da una camera a pochi metri dalla sua. Pensò di accertarsi che tutto fosse a posto, che se c'era qualche vetro rotto non fosse in camera di Vivianne, ma dopo aver fatto pochi passi riconobbe la voce inconfondibile di Diane che borbottava,
“Ah, cielo! Mia madre, Dio l'abbia in gloria, mi starà maledicendo dall'aldilà per aver rotto una delle sue preziosissime porcellane!”
Erik scosse il capo e ridacchiò, quella donna era incredibile!
Bussò piano alla sua camera
“Diane, tutto bene?” domandò,
la donna aprì la porta e accese una lampada ad olio
“Ah, scusa ti ho svegliato? Ho rovesciato la caraffa con l'acqua che era sul comodino- disse mostrando dei cocci che aveva in mano- mi dispiace...”
“No, ero già sveglio” rispose lui,
la donna si sporse nel corridoio e ascoltò con orecchio attento che nessuno si fosse accorto del trambusto che aveva appena provocato,
“Meno male, Vivianne non ha sentito, e immagino nemmeno le cameriere di sotto”
Diane raccolse un altro paio di pezzi di porcellana che erano sul pavimento, mentre Erik era fermo a guardarla dall'uscio della porta. Se ci fosse stata appena un po' di luce in più si sarebbe accorto che il volto della donna stava praticamente andando a fuoco.
Lei, dal canto suo, non sapeva cosa fare. Avrebbe dovuto congedarlo augurandogli la buona notte, ma la sola idea che lui se ne andasse da quella stanza la innervosiva, come, d'altra parte, l'idea di passare la notte con lui.  Accantonò i cocci sul comodino e cercò qualcosa da dire, qualsiasi cosa che non la facesse sembrare una ragazzina sciocca, ma Erik fu più rapido di lei, entrò nella stanza e corse ad abbracciarla, la sollevò prendendola per i fianchi mentre avvicinava il volto al suo per baciarla con un trasporto di cui Diane quasi non avrebbe creduto capace un essere umano.
L'uomo la sentì sussultare tra le sue braccia mentre rispondeva al bacio, si staccò lentamente da lei e la osservò con gli occhi ardenti, poi si concesse un sorriso beffardo,
“Colette potrebbe rimanere molto delusa se scoprisse che tutte le sue precauzioni e i suoi velati ammonimenti si sono rivelati inutili” disse con malizia allungando il braccio per chiudere la porta a chiave.
Diane sentì lo scatto metallico della serratura quasi rimbombare nella sua testa. Aveva sognato quel momento, desiderandolo con ogni fibra del suo essere, ma ora si sentiva smarrita e insicura. Cercò di non pensare a cosa sarebbe accaduto l'indomani e di concentrarsi solo su quegli istanti, sulla sensazione inebriante del sangue che scorreva incandescente e le scioglieva il cuore come se fosse stato di cera. Non ebbe il tempo di bearsi di quelle sensazioni nuove e sconosciute perché Erik tornò nuovamente a catturarle le labbra con le proprie, imprimendovi baci esigenti e impazienti, accarezzandole le braccia che la sottile veste da camera lasciava scoperte.
Le dita di Diane arrivarono a insinuarsi sotto la camicia e presero a percorrere il petto dell'uomo con carezze gentili e timide. Lui emise un sordo mugolio di approvazione per quel dolce contatto che però desiderava approfondire.
Non c'era tempo per la tenerezza e per la calma, non in quel momento, avevano troppa fame l'uno dell'altra.
“Erik!” esclamò lei in un attimo di lucidità, passandogli una mano tra i capelli e costringendolo ad alzare il viso per guardarla negli occhi,
“Cosa c'è?” chiese lui con la voce roca che tradiva una palese impazienza
“Toglila...” sussurrò Diane posando la mano sul bordo della maschera, l'uomo si lasciò sfuggire un sospiro e posò le dita sulle sue come a trattenerle,
“Ti amo, non farebbe alcuna differenza” mormorò lei guardandolo negli occhi,  Erik abbassò la mano con arrendevolezza e lasciò che Diane gli togliesse la maschera. Strinse i denti digrignandoli come se avesse sentito dolore, chiuse gli occhi quasi spaventato dal poter leggere l'orrore nello sguardo della donna che amava, preferendo un attimo di buio piuttosto che la vista di se stesso riflesso negli occhi lucidi di lei,
“Ti voglio” disse la donna in un soffio, accarezzandogli la guancia martoriata.

Ti voglio...

Quella voce e quel tocco strapparono Erik al suo incubo e lo riportarono alla realtà di quella stanza in cui l'amore avrebbe potuto spazzare via ogni ricordo doloroso e ogni dubbio opprimente se solo lui avesse voluto.
Poi non ebbero bisogno di dirsi nulla, ogni parola sarebbe stata superflua.

Il mattino dopo Diane si svegliò per prima, Erik doveva essere davvero molto stanco, tra il viaggio e la notte intensa che avevano trascorso. Lei poggiò i gomiti sul cuscino e lo osservò dormire per alcuni minuti, aveva le labbra atteggiate in un broncio burbero, il viso piegato verso destra con la guancia piagata nascosta in parte dal cuscino.
“Quanto vorrei che restassi con me...” mormorò la donna come se stesse pensando ad alta voce,
il broncio di Erik lasciò il posto ad un sorriso quasi infantile e le palpebre si sollevarono regalando alla donna un meraviglioso lampo di azzurro,
Taht's all I ask of you” le rispose lui con la voce ancora ovattata dal sonno.

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Benissimo... ora potete mettere via le fiale di insulina e tirare un sospiro di sollievo in attesa dell'ultimo capitolo che arriverà a breve, promesso!
Grazie a Monipotty e Rayne per le recensioni.
Alla prossima con l'epilogo.
 I remain, gentleman, your obedient servant.

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Capitolo 33
*** Epilogo ***


EPILOGO

 Parigi 1919

La carrozza cammina lentamente lungo il boulevard, mi lascio cullare dal dondolio della vettura e dal leggero tepore che mi tiene al riparo dal vento freddo che soffia fuori, spazzando Parigi e costringendo le signore a stringersi nei loro cappotti. Osservo un uomo rincorrere il cilindro che una folata troppo forte gli ha fatto scivolare via dalla testa e che ora glielo sta facendo rotolare lungo il marciapiede insieme a una manciata di foglie secche. Sembra che non sia successo niente, è passato solo un anno e la Grande Guerra sembra soltanto un brutto ricordo.
Starnutisco violentemente, non sono più abituata al clima di Parigi. Frugo nella borsa alla ricerca del mio fazzoletto. Nell'angolo ci sono ricamate le mie iniziali: V. d. V.
Le cucì Colette, la vecchia domestica della nostra famiglia, su tutti i fazzoletti e i teli da bagno del corredo nuziale che mi regalò mia madre quando compì dieci anni.
Ah la mia buona Colette! Diceva sempre che io e mio fratello saremmo stati la sua morte, ma è vissuta a lungo e si è sempre mantenuta in salute. Me la ricordo ancora, quando ci rincorreva per il porto di Marsiglia con una velocità sorprendente per una donna della sua età.
La carrozza si ferma bruscamente in mezzo al traffico, in rue de la Roquette c'è una lunga fila di automobili e altre carrozze. La violenta frenata mi fa cadere la borsa di mano, parte del contenuto si rovescia sotto al sedile. Tra gli oggetti che sono caduti c'è un volume rilegato in carta marrone con i titoli stampati a caratteri dorati.
“la Fantome de l'Operà – Gaston Leroux”
So che è stato dato alle stampe già da qualche anno. L'ho acquistato in una piccola libreria quando sono arrivata a Parigi, quattro giorni fa, l'ho letto in una sola giornata, perché non avevo nient'altro da fare e perché stavo morendo dalla curiosità di sapere cosa avevano raccontato di... lui.
L'autore ha descritto la vicenda come una sorta di inchiesta giornalistica, persino con una sottile vena di sarcasmo che, devo ammetterlo, in alcune pagine mi ha fatto sorridere. Quel libro non è riuscito a farmi arrabbiare, ho preferito ritenerlo una bella favola dalla morale amara piuttosto che il resoconto veritiero di una storia che già ancora prima che fosse finita era divenuta una leggenda, e ho il sospetto che quel romanzo non rimarrà l'unico tentativo di raccontarla. Posso solo sperare che la gente non creda che ciò che ha narrato Leroux sia la verità su come si svolsero i fatti.

Erik è morto.

È con queste parole che si conclude il libro. Il romanzo non sarà fedele alla verità dei fatti, ma quella frase mi ha strappato ancora una lacrima, e nessun lettore, nemmeno il più sensibile potrà arrivare in fondo a quel libro, leggere quelle parole e piangere come ho pianto io. Provare quello che provo io.
Erik è morto, ma non per il dolore di aver perso la fanciulla che amava. Erik non è morto d'amore, posso affermare con certezza che egli è vissuto d'amore. Sono convinta che sia stato felice. Se lo fosse stato anche solo dieci volte meno di quanto lo sono stata io a vivergli accanto avrebbe potuto essere l'uomo più contento del mondo.
Ah, parlo ancora come una bambina!
Lui e mia madre si sposarono alcuni mesi dopo che ci raggiunse a Marsiglia, non appena il matrimonio tra lei e mio padre fu dichiarato nullo dalla Sacra Rota. Anche mio padre si risposò, e credo che anche lui sia stato felice, anche se non è mai diventato bravo ad esternare i propri sentimenti, ma è stato in grado di trasmettermi tutto il suo amore, anche se passavo molto più tempo in Francia con mia madre e con Erik che in Spagna con lui, in casa della sua nuova moglie. Io e quella donna non andavamo d'accordo, lei era troppo perbenista per me che ero cresciuta come degna figlia di Diane, insofferente e poco disposta a conformarmi alle regole quando queste non mi andavano a genio.
Pochi mesi dopo il matrimonio mia madre mi disse che avrei avuto il fratellino che avevo sempre desiderato. Fabrice nacque a dicembre, e posso dire, senza timore di esagerare, che sia stato il miglior regalo di Natale che avessi mai ricevuto, anche se all'inizio ero molto gelosa di lui, gelosa perché lui era il più piccolo e perché nella mia mente di bambina temevo che Erik potesse volere più bene a lui, che era suo figlio naturale, che a me. Ma Erik non ha mai tradito l'immenso affetto che gli avevo sempre riservato. Ricordo che una sera avevo messo il muso per non so quale ragione, mi portò nella loro camera da letto e mi fece dormire in mezzo a lui e a mia madre, mi disse che sarebbe sempre stato il mio Angelo. Era un uomo speciale, con la sua dolcezza maldestra e con la sua strana, perenne e inspiegabile insicurezza, come se ogni giorno dovesse convincere se stesso che quello che stava vivendo gli apparteneva, che in qualche modo se lo era guadagnato. Trovò lavoro presso il teatro della città, in breve tempo ne assunse la direzione. Io e la mia famiglia abbiamo vissuto una vita decisamente agiata, anche se mia madre non era più la moglie di un marchese.
Erik trovò il suo posto nel mondo, malgrado quella maschera da cui non è mai riuscito a separarsi, la toglieva solo quando andava a dormire, o quando in casa non c'era nessun'altro a parte me, mio fratello e mia madre. Ai miei occhi quello era il viso del mio Angelo, agli occhi di Fabrice era il volto di suo padre e agli occhi di mia madre era il volto dell'uomo che amava, non avrebbe mai potuto farci paura o farci provare il minino ribrezzo.  
Mi trasmise la sua passione per la musica, mi iscrissi al conservatorio e tutt'oggi insegno pianoforte in una scuola di Marsiglia.
Direi che Erik è stato il mio primo amore. Rido a questo pensiero, ma in un certo senso lo è stato sul serio, anche se il mio vero amore è stato l'uomo che ho sposato e con cui divido la mia vita.

Non tornavo a Parigi da anni, non ho mai visto quello straordinario monumento di quel famoso ingegnere... la Tour Eiffel, si chiama come il suo costruttore. Se non ricordo male è stata ultimata giusto trent'anni fa. Ma avrò tempo di visitarla, di riscoprire la città in cui sono nata, oggi ho una cosa molto importante da fare, esaudire l'ultimo desiderio dell'uomo che è stato come un padre per me e che ha regalato a mia madre la felicità che meritava.
Erik e mia madre hanno aspettato che io e Fabrice diventassimo adulti per raccontarci la verità, per dirci chi era stato lui prima di incontrare me e la donna che avrebbe sposato. Non posso negare che io e mio fratello rimanemmo turbati, ma poi capimmo che il Fantasma dell'Opera era morto tempo prima come credevano i parigini, che l'uomo che ci aveva allevati non era altro che un geniale artista dell'animo sensibile e passionale, un uomo che per ciò che era diventato, non avrebbe mai potuto essere un assassino o un mostro.
Mia madre mi ricordò che avevo conosciuto Christine Daae, la giovane che era stata protagonista della vicenda che aveva portato alla distruzione dell'Opera Populaire, e confesso che all'inizio rimasi ferita quando Erik, da vecchio, mi disse che quando non ci sarebbe stato più avrei dovuto esaudire un suo desiderio. Ancora adesso non capisco le ragioni della sua richiesta, anche se sono tornata appositamente a Parigi per esaudirla.
Era importante che lo facessi io e non suo figlio, mi disse, perché io era stata per lui il primo spiraglio di speranza quando ancora era conosciuto come il Fantasma dell'Opera.

“Siamo arrivati madame” mi dice il cocchiere aprendo lo sportello e aiutandomi a scendere,
“Potete aspettarmi qui monsiuer, non ci metterò molto” concludo dirigendomi verso i cancelli del cimitero, con in mano una rosa rossa, sullo stelo ho legato con un fiocco di raso nero un anello di brillanti, come aveva detto lui. L'anello che aveva conservato per tutti quegli anni, disse che non avrebbe mai potuto darlo a mia madre, disse che lei meritava di meglio che una reliquia di un passato doloroso.
È stato questo il suo desiderio: dovevo portare quel fiore e quell'anello sulla tomba di Christine Daae. Non ho mai capito che senso avesse, non mi ha fatto nemmeno piacere sapere che lui aveva conservato quell'anello in tutti quegli anni, perché mai doveva ricordarsi di Christine se aveva mia madre che lo amava così perdutamente?
Sbuffo e mi inoltro tra i sentieri di ghiaia costeggiati da lapidi e da statue di angeli e madonne.
Il freddo mi penetra nelle ossa, siamo solo in autunno, ma Parigi non è Marsiglia, il suo clima è meno mite, e io sono pur sempre una donna di mezza età con i miei acciacchi.
Erik mi aveva dato indicazioni molto precise, aveva una memoria sorprendente a quanto sembra. Mi aveva detto che in fondo, sulla destra avrei trovato un grosso mausoleo, la tomba di Gustave Daae, di certo sua figlia era sepolta lì vicino.
Non si era sbagliato, la tomba di Christine è sormontata da una grossa lapide, semplice, quasi austera.
“Viscontessa De Changy. Moglie e madre amata” leggo sotto la foto, l'immagine è quella di una donna anziana dallo sguardo sereno. Posso dedurre che anche lei è stata felice.
Rimango a osservare la lapide e quasi senza che me ne renda conto comincio a piangere, in silenzio senza singhiozzi. Stringo la rosa graffiandomi i polpastrelli con le spine.
I pensieri cominciano a riversarsi vorticosi, quasi violenti nella mia testa. Rivedo tutta la mia vita scorrermi davanti, rivedo Erik e mia madre nelle loro passeggiate mano nella mano lungo la banchina del porto, quando li prendevo in giro e gli dicevo che “ve ne state sempre appiccicati, che noia!” e mio fratello che rideva. Rivedo mia madre vestita di tutto punto per andare a una prima del teatro, nervosa ed agitata per la riuscita dello spettacolo, come se i successi di suo marito fossero anche i suoi. Rivedo Erik seduto nella depandance della nostra casa a costruire un carillon, a insegnare a me a suonare e a mio fratello a dipingere... e oltre le lacrime che appannano gli occhi vedo la foto di Christine Daae e di colpo capisco perché lui ha voluto che qualcuno le portasse un fiore e quell'anello. È stata lei, Christine, a decretare la morte del Fantasma dell'Opera e permettere all'uomo che si nascondeva dietro a quella maschera di riprendersi in mano la sua vita. Forse lui aveva smesso di amarla ancora prima di innamorarsi di mia madre, ma non avrebbe mai potuto smettere di esserle grato.
“Grazie...” mormoro con voce rotta, bacio la punta dell'indice e lo poso sulla foto, lascio la rosa accanto alla lapide poi mi allontano.
Quando sono già a diversi metri di distanza sento lo scricchiolio della ghiaia alle mie spalle, nascosta dietro una statua osservo una suora spingere una sedia a ruote verso la tomba di Christine, sulla sedia c'è un uomo molto anziano, accanto a lui un attendente regge un grosso carillon sormontato da un pupazzo, giunti davanti alla tomba il vecchio prende il carillon e lo posa sulla lapide, solleva lo sguardo umido verso la foto e deglutisce, poi nota la rosa, per un attimo sussulta, poi accenna un mezzo sorriso e annuisce guardando verso l'alto.
Non ci sono dubbi, quello è sicuramente il visconte Raoul De Chagny. Vorrei avvicinarmi, ma poi mi rendo conto di non avere nulla da dire, e comunque la sua espressione è quella di qualcuno che ha già capito ogni cosa.
Il destino riscuote sempre il suo tributo, e a volte è persino un tributo troppo alto. Mi viene da pensare a questo osservando il visconte che si allontana sulla sua sedia a ruote e ricordandomi che il tempo si è già portato via Erik e i miei genitori.
Il destino può distruggere la vita di un uomo facendolo nascere con un volto imperfetto, può togliere la voglia di vivere a causa di grande amore non ricambiato, o può spezzare il cuore di un marito facendolo impietosamente sopravvivere alla sua amata moglie... ma una volta avevo sentito Colette affermare che la felicità non ha un solo volto, e se è vero che ci sono tante possibilità diverse di essere felici allora il destino, che sceglie comunque una strada sola, è sempre in svantaggio.

THE END

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Ringrazio di cuore tutti quelli che mi hanno seguito in questi lunghi mesi.
Un ringraziamento particolare a Ilaria, la mia betareader, che districandosi tra impegni vari è riuscita a darmi una mano e a insegnarmi tante cose.
Al prossimo delirio (perchè il Fantasma dell'Opera è sempre qui nella mia mente e non se ne vuole proprio andare).
I remain, gentleman, your obedient servant.
L.B.

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