E' tutto reale?

di pioggiadisangue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cazzo. ***
Capitolo 2: *** Una svolta. ***
Capitolo 3: *** Principessa. ***



Capitolo 1
*** Cazzo. ***


Driin, driin.
Eccola, la sveglia. La mia amata sveglia delle 5.30. Ecco che inizia un altro giorno di merda sussurro. Mi alzo con la voglia di andare a scuola pari al -0,8. Ho anche la verifica di Italiano. Merda, sono fottuta. Tanto so che quella stronza non ci darà mai un tema da svolgere, sarà sicuramente la verifica sul suo amato Alighieri. Lo odio. Perché? Perché lui ha trovato il paradiso, cosa che io non riuscirò mai a trovare. Secondo me non arriverò mai nemmeno al purgatorio, starò nel mio amato Inferno fino alla mia morte. E anche dopo. Mi alzo, prendo i vestiti, le sigarette e vado in bagno. Per le 6.30 devo essere pronta. Mi preparo e fumo la mia sigaretta con tranquillità, sono solo le 6.00. “Sei pronta?” urla mia madre dalla cucina. “Si mamma, arrivo”. Do un’occhiata al mio braccio, che mi opprime sempre, prendo lo zaino e vado da mamma.  “Oggi sei puntuale, vuoi fare così tanto la verifica di Italiano?” dice mia madre scherzosamente. Io le faccio una smorfia e esco di casa. Mi accompagna alla fermata degli autobus e va via. “Buona verifica, tesoro” mi dice mamma. “Grazie mà, ciao” le rispondo. Salgo sull’autobus e mi siedo, con il mio libro in mano. Ecco che arrivano i più simpatici della scuola. “Buongiorno troia, come va?” mi dice una tipa. Quanto la odio. La mando a fanculo e torno sul mio libro. Alle 8.00 arriviamo a scuola. Entro e prendo posto nel mio banco, ultima fila, con la mia compagna che sinceramente non mi piace, ma è il quarto anno che la ho vicina e ormai la sopporto. “Buongiorno ragazzi!” dice la prof.ssa. Eccola, in tutto il suo splendore. Forse la odio anche perché ha mezzo secolo e ha un fisico migliore del mio. “Allora, come sapete oggi c’è la verifica di Italiano. Sicuramente confidavate nel mio amato Dante, ma ho voluto farvi una sorpresa. Oggi facciamo un tema!” Un tema? Ho sentito bene? Ha detto proprio un tema? E’ la prima volta in quattro anni di liceo che facciamo un tema.  Forse anche grazie a questo oggi sarà una giornata diversa. “Buongiorno professoressa! Scusi il ritardo ma ho perso l’autobus!” Eccolo, è bellissimo. Arriva sempre in ritardo con gli occhi gonfi come un pallone e rossi. Ogni volta penso tra me e me si certo, l’autobus o una canna? provo sempre a dirglielo per farci una risata, ma non ne ho il coraggio. “Ben arrivato! Ora siediti, vuoi sapere la notizia? Oggi faremo un tema. La trama? Inventatela voi. Vi lascio liberi. Ah, ragazzi, oggi abbiamo quattro ore insieme, quindi scrivete con tranquillità.” Dice la professoressa. Ma è un sogno? Quattro ore per scrivere un tema a piacere. Oggi sarà diverso, lo sento. Prendo carta e penna e inizio a pensare su cosa posso scrivere. L’adolescenza? No, troppo scontato. L’amore? No, lo fanno tutti. Voglio essere originale. E se scrivessi la storia di una ragazza? Che poi quella ragazza sarei io, ma nessuno lo saprà. Si, deciso, scriverò la mia storia ma il mio nome sarà Andrea. Dio se amo quel nome. Mi metto a lavoro. Quattro ore sembrano tante, ma sono come un secondo. Perlomeno, per me che amo scrivere si! Iniziamo!
Agli occhi di tutti è una ragazza come tante, una studentessa che a scuola va discretamente, che odia tutti. Un’adolescente. Ma non è così. È una ragazza strana, contorta e difficile da capire. È come un libro. Se ti fermi alla copertina lo scarti, ma se leggi la sua trama intrigante ti senti come coinvolto e decidi di leggerlo. Lo leggi fino infondo, ma non trovi senso nel racconto. Se ti importa capire lo rileggi e impari a leggere tra le righe, sopra, sotto, non importa. Devi solo capire. Devi interpretare le emozioni che l’autrice ti descrive. Se riesci a percepire l’emozione un bacio mancato, un abbraccio voluto e mai dato, lo sfiorare della pelle contro il maglione di lana fastidioso e irritante, devi leggere il seguito del libro. Devi essere catturato dalle emozioni descritte con delle semplici parole. Che poi tanto semplici non sono. Non dico che non sono semplici perché sono paroloni usati nei film gialli, dico che non sono semplici solo per il fatto che bisogna immedesimarsi nel personaggio. Pensare alle nostre emozioni che potremmo provare vivendo quelle esperienze. Se l’autrice ti ispira tutto ciò continua a leggere. Leggi tutto, e non bloccarti solo perché la copertina è un semplice foglio in bianco, continua perché ti senti bene, ti senti libero, ti senti come se riuscissi a scappare da tutto e da tutti solo leggendo quell’ammasso di lettere messe tutte insieme. Una ragazza è così. Una ragazza è un libro, e Andrea, oh, lei era un libro fantastico, ma con una brutta copertina. Una ragazza giudicata per l’aspetto esteriore, per la copertina, non per le sue parole. Per il suo insieme. Perché se di un libro ti piace il testo va a finire che ti innamori anche della copertina. Come si può raccontare la storia contorta di una ragazza diciassettenne in sole quattro ore? Si può, se si vuole. Aveva gli occhi pieni di dolore ma allo stesso tempo pieni di speranza. Anche quando le straboccavano gli occhi di lacrime lei continuava a dire che stava bene, con quel sorriso. Un sorriso falso. Talmente falso che non sembrava nemmeno un sorriso. Sembrava il sibilare delle foglie che cadono dall’albero, quelle secche, che ormai tutti odiano vedere sull’albero, ma che gli piace schiacciare. Calpestare. Distruggere solo per il piacere del rumore. Andrea non era solo un libro, era anche una foglia. Una foglia così fragile che non si doveva nemmeno schiacciare per rompere. Come toccava terra andava in mille pezzi. Una ragazza distrutta dalle critiche. Una ragazza che si rifugiava in un posto dove le anime si aiutavano tra di loro. Un posto chiamato “Tumblr”. Andrea aspettava solo di essere salvata, perché da sola non ci riusciva.
Driin.
Cosa è? La campanella? Non possono essere passate quattro ore, no. Non posso aver scritto solo questo in quattro ore. Consegno comunque il compito alla prof e esco. Oggi si usciva due ore prima da scuola. Cosa faccio mentre aspetto l’autobus? Oh si, vado in spiaggia! Amo il rumore del mare che sbatte sugli scogli, amo guardarlo mentre con tutta la sua forza cerca di vincere contro il vento, ma non ce la fa. Vado li e mi metto sulla sabbia. Mi siedo e leggo il mio libro. In venti minuti lo finisco. Ancora sconvolta dalla fine prendo l’iPod per ascoltare la musica. Ascolto una  canzone e la batteria è a terra. Me ne faccio una ragione e guardo il mare, così possente ma allo stesso tempo fragile. Ero persa nel suo rumore quando sento arrivare qualcuno dietro di me. È lui, oddio. Ma perché viene qui? Pensavo ci venissi solo io. Si avvicina e si siede vicino a me. “Ehi” mi dice. Io arrossisco e rispondo, timidissima “Ciao”.  “Come stai?" mi chiede. “Bene, tu?” “Non mentire” “Non sto mentendo, va tutto alla grande” gli dico mentre faccio scappare un sorriso. “Senti non ce la faccio più a vederti piangere durante la lezione, a vedere i tuoi occhi in questo modo, a sentire i tuoi sto bene che sono più falsi delle tette della preside, okay? Sembra che non mi importi invece mi importa. Ho sbirciato il tuo tema mentre scrivevi. Perché non scrivi mai? Amo come scrivi, amo quel che pensi e amo il fatto che tu creda che io sia tanto stupido da credere al fatto che tu stai bene. I tuoi occhi sono così, come il mare adesso, in tempesta.” Mi dice. Sono rimasta a bocca aperta. Non pensavo che io interessassi a qualcuno. Non pensavo che qualcuno sapesse che sono distrutta. “Come sai tutto questo?” gli chiesi. “Lo so e basta, e sono qui per aiutarti, o meglio, per leggere il tuo libro, perché la trama mi intriga tantissimo e mi sto innamorando della copertina” mi dice. Non riesco a trattenere le lacrime. “Non piangere, non sei più sola. Posso vedere una cosa?” “Cosa?” gli chiedo. “Il tuo braccio” “No, non puoi” nonostante la mia decisione mi tira su la manica. Io non riesco a non dirgli “Sei contento ora?”. Era ora di andare a prendere l’autobus, quindi vado alla fermata, e lui mi segue. Salgo sull’autobus e mi metto nel mio posto, piangendo. Lui si siede vicino a me e mi abbraccia, nonostante io fossi girata. “Ti salverò io” mi sussurra all’orecchio. Io penso è tutto reale? e mi addormento.
Sento urlare mia madre, “muoviti, sei in ritardo!” in ritardo? Mi guardo intorno ed ero nel mio letto, com’è possibile? Era tutto un sogno. Ma mi sembra vero. Forse è stato condizionato dalla fine del mio libro. Infatti se ci penso è la stessa fine. Lui che la stringe a sé e gli sussurra che la salverà. Fanculo, un altro sogno. Devo rassegnarmi del fatto che non mi salverà nessuno. Devo farmene una ragione. Mi alzo e mi preparo in fretta, non ho nemmeno il tempo di fumare. Mamma mi porta alla fermata e aspetto l’autobus. Mentre aspetto accendo una sigaretta. L’avevo quasi finita quando mi sento chiamare da dietro. Mi giro ed era lui, Andrea. Quanto è bello. Ma non è che sto sognando di nuovo? Mi do un pizzicotto e no, non sto sognando. “Hai un accendino?” mi chiede. “Si, tieni” gli dico mentre prendo l’accendino da tasca. È perfetto anche quando si accende la sigaretta. “Grazie!” mi dice mentre mi tocca la spalla. Come se fossi un suo amico. Mi si è scaldato il cuore, per una semplice pacca sulla spalla. “Perché non vieni con noi? L’autobus è in ritardo, aspetta di là con noi” mi dice, con un sorriso sotto i baffi. “Okay, perché no” dico io, cercando di fare la voce sicura. Nonostante il mio tentativo essa si è rivelata comunque un po’ tremolante. Almeno ci ho provato, se non ci avessi nemmeno provato avrei fatto una figura orribile. Vado di là e mi appoggio al palo. Lui non si siede sulla panchina, ma aspetta vicino a me. Avevo il cuore che batteva fortissimo, me lo sentivo uscire fuori dal petto. “Buongiorno troietta!” mi dice quella stronza di Greta. “Oh ma che cazzo vuoi” dico io. In quel preciso momento arriva l’autobus e io faccio un’uscita drammatica, cercando di fare la forte e di trattenere le lacrime salgo sull’autobus e mi metto al mio solito posto. Non ho il libro, e l’iPod l’ho dimenticato a casa. Quindi, mi metto a guardare la pioggia che scende sul finestrino. Qualcuno si siede vicino a me. Guardo ed era lui. Sto sognando? Di nuovo? No, non è un sogno. “Ehi che ci fai qui? Nessuno vuole mai sedersi vicino a me” gli dico. “Beh io non sono nessuno, Viola, perché non mi dici perché ti trattano così?” ha detto Viola? Come fa a sapere il mio nome? In classe tutti mi chiamano per cognome, pensavo che nessuno in quella classe sapesse il mio nome, oltre i professori. “Non so, gli diverte vedermi così” gli dico. “Così come?” “Tris-.. dispiaciuta! Gli piace vedermi dispiaciuta, ma non mi importa cosa mi dicono loro” gli dico mentre sorrido. Stavo per dirgli triste. Cazzo no, non devo. “Lo so che stai male, che sei triste, non dispiaciuta, ah e non sfoggiare quel sorriso mozzafiato, perché io lo so che non sei felice” mi dice. Somiglia tanto al mio sogno. Tanto vale continuare la conversazione. “Come lo sai?” “Lo vedo dai tuoi occhi, il tuo sguardo è spento, non ci vedo nulla in quegli occhi, solo un grande vuoto incolmabile, o almeno quasi. So in che situazione ti trovi..” mi dice con le lacrime agli occhi. “Ehi tutto bene? Come fai a saperlo?” “Mia sorella si è suicidata tre anni fa per questo fatto, era vuota e sentiva che non aveva nulla da perdere. Le ho parlato così tante volte che tu nemmeno immagini, ma non sono riuscito a salvarla. Ora quando vedo qualcuno nella sua vecchia situazione, tipo te, non riesco a non aiutarlo. E so che tu lo meriti il mio aiuto. Ti salverò, se me lo lascerai fare. Ricordati che qualcuno riesce a salvarti solo se tu lo vuoi. Mia sorella non voleva essere salvata, voleva semplicemente mettere fine a tutto. E lo ha fatto. Sono sicuro che ora lassù sta meglio che qui dove ci troviamo noi. Perché alla fine il mondo è un inferno. Uno schifo, lo pensi anche tu?”. Non avevo parole. Non pensavo che fosse così, un ragazzo che sa come va il mondo. “Mi dispiace tanto, ma sono sicura che ora lei lassù sta meglio, ti guarda ogni giorno e ti vede come un eroe. Perché infondo, come hai già detto tu, se lei non voleva essere salvata non vuol dire che tu non ci abbia provato sino alla fine.” Gli dico. E boom, siamo già arrivati. Un’ora di autobus parlando con lui è passata in un secondo. “Viola siamo arrivati, scendi insieme a me e facciamo vedere a quelle facce di merda che non sei sola e che non sei più fragile” “ehi, è troppo presto per dirlo” “ma che dici?” “ci vorrà tempo per far sì che io non sia più fragile” “lo so, ma insieme ci riusciremo”. Mi guarda con quei suoi occhi grandi e azzurri come il cielo. Non riesco a fare ameno di sorridere. Un sorriso vero. Entriamo a scuola insieme, io imbarazzata al massimo e lui sicuro di sé. Amo questo fatto.
Entriamo in classe e la tipa che ho vicino non c’è. Quindi ero nel banco da sola, da chi copio?
“Buongiorno ragazzi!”. Ecco la professoressa, aspetto il compito su Dante. “Andrea vai al posto di Lucia”. Ho Andrea vicino? Cerco di contenermi e faccio un piccolo sorriso, quasi come una smorfia. “Che c’è non sei felice di avermi vicino?” mi chiede, scherzosamente e io rido. Si avvicina al mio orecchio e mi sussurra “è destino”. A quella frase mi vengono i brividi.
“Ragazzi a me, rimandiamo la verifica visto che siamo in 10, fate attività di gruppo per due ore, la terza ve la lascio libera e poi uscite, fate il riassunto di pagina 135-136-137-138, a lavoro!”
Figo, non facciamo nulla per tre ore. “Iniziamo questo riassunto, Viola cara?” mi chiede ridendo. “Si certo, subito!”. Non abbiamo fatto nulla per tutte e tre le ore. “Andiamo al mare adesso?” gli chiedo. Lui mi sorride e annuisce. 

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Capitolo 2
*** Una svolta. ***


Eravamo in spiaggia. Ci sediamo e non parliamo per circa 5 minuti. Ero persa nel rumore del mare, dio se amo quel rumore. Vedevo con la coda dell’occhio che mi guardava e sorrideva. “Ehi perché mi fissi e sorridi?” “Perché anche a mia sorella piaceva venire qui, me la ricordi tanto, anche lei si perdeva così nel rumore del mare” “è così bello e possente, poi combatte per vincere la forza del vento, ma non ce la fa, e sbatte contro gli scogli. Mi ci rispecchio un po’ nel mare”. Mi giro per guardarlo e aveva un sorriso enorme, ma gli occhi pieni di lacrime. “Che hai?” “Anche mia sorella la pensava esattamente come te. Lei si definiva come il mare in tempesta, come un lib-“ “Un libro con una brutta copertina, con la trama intrigante e un contenuto mozzafiato” “Esatto, come lo sai?” “Lo so” gli dico sorridendo. Ricambia il sorriso e si avvicina. Mi abbraccia. “tutto questo in una sola mattina iniziata male” sussurro. “Come si chiamava tua sorella?” “Angela, è un angelo a tutti gli effetti”. Mi viene un flash. “Sai per caso se tua sorella aveva Tumblr?” “Si, perché?” “Oddio, era una mia amica-Tumblr. Ci ho sofferto un casino. Mi diceva che era di qui ma che viveva in Svizzera.” “Anche a me lo diceva ogni tanto, era convinta di vivere in Svizzera, si era creata un mondo tutto suo, lo psichiatra ha detto che era normale” “Amavo il suo blog, tra qualche giorno sono tre anni giusti che non posta più nulla, che se n’è andata, giusto?” “Si, la conoscevi bene?” “Si, abbastanza, il fatto che eravamo amiche-Tumblr dovrebbe dirti tutto. Ho provato ad aiutarla, ma non ce l’ho fatta, ho pianto per una settimana quando ho saputo del suo suicidio.” Lui non riesce nemmeno a parlare, allora lo abbraccio forte e basta. Desideravo quell’abbraccio da un anno, desideravo tutto questo da troppo tempo. E ora lo ho. Ma sicuramente svanirà tutto in poco tempo. “Mi prometti che non svanirà tutto nel giro di poco tempo?” gli chiedo. “Certo che si, promesso”. “Ora che ci penso mia sorella mi parlava di una certa Viola, ma non ho mai pensato minimamente al fatto che fossi tu, davvero, mai. Mi diceva sempre che doveva prestarti un libro, non ricordo il titolo” “Le vergini suicide..?” “Si!” mi scappa una risata insieme alla lacrima. Mi manca, mi manca troppo. Era la migliore amica che non ho mai avuto. “Viola, che succede ai tuoi occhi? Sono cambiati.” “Che hanno di diverso?” “Non sembrano più vuoti.” Sorrido e guardo il telefono. “Cazzo dobbiamo muoverci o perdiamo l’autobus!” allora ci mettiamo a correre. Mentre correvamo mi prende la mano, forse perché pioveva, non lo so,ma avevo il cuore fuori dal petto, letteralmente, stavo morendo di felicità. Non ero così felice da quando papà è morto. Ovvero 9 anni fa. Arriviamo alla fermata e c’era l’autobus. “Viola aspetta un secondo!” mi dice mentre mi gira verso di lui. Mi giro e mi bacia. Il paradiso. Ho visto il paradiso durante quel bacio. Non il mio inferno, il paradiso. Come Dante. Non potevo crederci. Ci stacchiamo e saliamo correndo sull’autobus. Un bacio, il suo bacio, sotto la pioggia. È un sogno, aiuto. Stavo andando al mio posto e c’era Greta e il suo gruppetto che mi fissavano, allora le dico “Ehi come va puttana?”. Le faccio un ghigno e vado al mio posto, insieme ad Andrea. Tutti ci fissano, ma non mi da fastidio, anzi, mi piace vedere gli altri che mi fissano e rosicano. È bello vederli stupiti del fatto che anche io abbia una vita. O meglio, che mi stia costruendo una vita. Sì certo, a diciassette anni, ma meglio tardi che mai. Sono felice. Basta che questa felicità non duri troppo poco. Voglio viverla, perché sono una vita che non vivo ma sopravvivo. Ci addormentiamo entrambi e arrivati a casa ci svegliamo. Scendiamo e c’erano le nostre madri che parlavano. “Mà.. che ci fai qui? Sarei tornata a piedi come sempre” le dico. “C’è Giulia a pranzo e siamo venute entrambe a prendervi.” “Giulia è la mamma di Andrea?” “Si tesoro” mi dice mentre lei e Giulia ridono. “E Alessia è la mamma di Viola?” “Si Andrè, ora andiamo?” ci guardiamo tutti e ridiamo. Entriamo in macchina e mamma fa una delle sue uscite imbarazzanti: “Cosa ci facevate insieme? Giù i nostri figli stanno insieme e non ne sapevamo nulla!” dice mentre ride insieme a Giulia, invece io e Andrea eravamo due peperoni. Ragiono un secondo e penso che devo mangiare davanti a lui. Sono un maiale quando mangio. Non esco mai di casa, né per una pizza, visto che non ho amici, né per andare al ristorante con mamma. Mangio sempre a casa, e non pensavo che questo momento sarebbe mai arrivato, non pensavo che un giorno qualcuno della mia classe o comunque conoscente sarebbe venuto a pranzo da me. Sono nel panico. Mi vedrà mangiare e cambierà idea su di me, ne sono sicura. Arrivo a casa e dico a mamma che non mangio. Vado in camera mia, mi infilo nel letto e attacco la musica a palla mentre sto su Tumblr. Qualcuno bussa ed entra senza permesso. Chi poteva essere? Andrea! “Che ci fai qui?” gli domando. “No, perché tu non sei a tavola a mangiare ma nel letto con pc e la musica a palla?” “Sono diretta, quando mangio sono un porco e non voglio che tu cambi idea su di me, perciò non mangio” gli dico ridendo sotto i baffi. “Ma ti prego, vieni a mangiare, dai che c’è il pollo, facciamo la gara a chi mangia peggio!” mi dice sorridendo. Mi convince e vado. “3, 2, 1, via!!” urlo io. Iniziamo a mangiare e mamma e Giulia ci guardano sconvolte. Iniziano a ridere. Mamma ha capito cosa stiamo facendo e dice “Viola è in vantaggio!” Finito quello che c’era nel piatto è risultato che io mangio peggio di lui. Stavo morendo dal ridere. Ero felice, non ci credo. “Sei tutta sporca in faccia!” mi dice Andrea ridendo. “Tu ne hai anche sul naso!” gli dico ridendo. “Viola, Andrea, andate di sopra e mettete in ordine la stanza” dice mamma. Sembra che sia più felice lei, del fatto che vicino a me ci sia Andrea, di me. E forse è così, perché io non ci credo ancora. Andiamo in camera mia e inizia a toccare tutto. Lo lascio fare fino a quando non inizia a toccare lo scaffale dei cd e dei libri. “Ehiehi bello, tocca tutto ma non loro!” gli dico. “Altrimenti?!” mi dice spingendomi sul letto sorridendo. “Ti mangio!” gli dico. “Vinco io tanto” “Ti ricordo che alla gara ho vinto io!” “Io sono cannibale, mangio meglio le persone degli animali” “Detto così è inquietante!!” “E tu sei la mia prima vittima!” urla ridendo, si mette sopra di me e inizia a mordermi le labbra e le guance. Ridiamo a crepapelle e poi si ferma e mi guarda negli occhi. Sorride e mi bacia. Erano già le 17.00 ormai. Era sabato sera. “Che ne dici di mangiare una pizza fuori stasera?” “Ehi ma hai visto come mangio? No, non sono allenata!” “è un appuntamento, dai piccola.” Mi ha chiamata piccola. No. Non è possibile. “Ti odio, non resisto se mi chiami piccola!” dico sfoggiando un sorriso a 32 denti. “è un sì?” “Ovvio che si!” gli dico. Lui mi bacia e io poi lo abbraccio. “Passo alle 19.30 a prenderti, metti un vestito sbarazzino, da discoteca!” “Perché?” “Tu fallo” “va bene, a dopo” “a dopo” ci salutiamo con un bacio e va. Sembra tutto un sogno, invece è la verità. Viene mamma in camera e mi dice “Non voglio vederti a casa prima delle 9.00 del mattino domani!!” abbracciandomi. Io sorrido e annuisco quasi con le lacrime agli occhi. Devo prepararmi. Tanto per iniziare faccio una doccia. Poi scelgo il vestito. Ma cazzo, non ne ho!! Allora mamma me ne porta uno suo. È bellissimo, è il mio preferito. È nero, non troppo aderente ma bellissimo, e per la discoteca è perfetto. Metto le creepers, non metto tacchi, non ho voglia di stare scomoda tutta la sera. Mi trucco e sono pronta. Sono le 19.00. Trenta minuti e arriva. Sto un po’ su Tumblr. Alle 19.30 puntuali arriva. “Sto uscendo ciao mà!!” urlo in casa. Andiamo in macchina e mi porta prima al mare. Arrivati in spiaggia tira fuori una busta e dice “Questo è per te”. Un regalo? Sorrido e apro. È il libro, “Le vergini suicide”. “Non dovevi” “Lo voleva Angela, e io la accontento” “Grazie mille” dico abbracciandolo.

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Capitolo 3
*** Principessa. ***


“Andiamo a mangiare adesso? Ho una certa fame” dice lui. “Si in effetti pure io, prima mi sono esercitata a mangiare un panino normalmente” gli dico ridendo. Che bello ridere insieme a lui, mi da sollievo. Mi fa sentire bene, come se nel mondo esistessero solo due cose, o meglio, due persone. Noi due. Mi fa sentire come se io fossi padrona del mondo. Mi fa sentire forte, ecco la parola adatta. Forte! Entriamo in macchina e odoro le pagine del libro. Prima di iniziarlo lo faccio sempre, è così buono il suo profumo. “Ehi siamo quasi arrivati, non mangiare il libro” mi dice ridendo. “Non lo sto mangiando, stupido! Lo sto odorando, è troppo buono il profumo delle pagine.” Gli rispondo. Lui mi guarda, sorride e si mette a guidare. Lo inizio adesso oppure aspetto a tornare a casa? Lo lascio in macchina? Ho paura di perderlo. Penso tra me e me. Lo inizio a casa e lo lascio in macchina, al riparo da qualsiasi cosa! Non vorrei mai rovinare il libro. Lo lascio nascosto sotto il sedile, nella busta e scendo per entrare in pizzeria. Ci sediamo e guardo il menù per circa dieci minuti, poi alla fine scelgo la margherita. Non so nemmeno perché lo guardo se poi prendo sempre la stessa cosa. “Salve ragazzi! Avete scelto?” ci chiede la cameriera. “Si, io prendo una margherita” “Mentre io una diavola extrapiccante” “E da bere?” “Mi scusi, prendo anche io una diavola extrapiccante!” dico guardandolo con sguardo di sfida. “Perfetto! Da bere cosa vi porto?” “Due aranciate” “Va bene ragazzi” dice la cameriera e se ne va. “Tutto okay?” mi chiede Andrea. “Si, con te sto benissimo” “Devi smetterla” “Di  fare cosa? Sto realmente bene!” “Si, ma cosa hai sul polso? Sotto quel polsino c’è qualcosa” “No!” “So riconoscere la verità da una bugia, quindi dopo mi fai vedere e mi prometti che almeno ci provi a smettere, okay?” “Va bene…” gli dico come sorpresa, non credo che mai nessuno abbia pensato minimamente all’autolesionismo. Ma forse lui ci pensa per Angela. “Ho troppa fame, potrei divorarti!” mi dice. “E perché non lo fai? Ovviamente dopo, ora siamo in pizzeria” gli dico ridendo. “Sei così bella” mi dice fissandomi. Io mi guardo dietro e dico “Parli con me?” “Si, proprio con te. Sei bellissima.” Non me lo aveva mai detto nessuno. E poi sentirmelo dire da lui, da quel ragazzo che sogno ogni notte è bellissimo. “Ti salverò io, promesso” “Ma tutta questa dolcezza? La fame ti ha dato alla testa?” “No, lo penso davvero”. Dice questo e mi prende la mano. Mi stavo sciogliendo. “Scusate ragazzi, ecco le pizze!” “Grazie mille.” Appena vede le pizze inizia a gioire come un bambino. “Bene ora facciamo la gara, chi la finisce prima! Ti straccerò di nuovo” gli dico. Lui sorride e annuisce. “Tre, due, uno, via!”
Solo la prima fetta di pizza mi ha mandato a fuoco la bocca, mentre lui mangiava come se fosse una semplice margherita. Alla fine vince lui, io non la finisco nemmeno, avevo la bocca in fiamme. Paghiamo e andiamo via. “Sono solo le nove, che facciamo?” “Non preoccuparti piccola.” Lo ha rifatto. Mi ha chiamata piccola. Di nuovo. Lo odio. Mi sciolgo ogni volta che mi chiama così. Saliamo in macchina e mi dice “Ora chiudi gli occhi principessa, ti porto al tuo castello.” Okay mi stavo letteralmente sciogliendo. È troppo dolce questo ragazzo. E io? Io no. Io lo merito? No. “No, non ti merito” gli dico. “Ma cosa dici? Meriti questo e altro. Inizia ad accettarti, perché sei bellissima sia fuori che dentro e hai un ragazzo che te lo farà capire. Ora chiudi gli occhi e non guardare dove andiamo, puoi sapere solo che stiamo andando al tuo castello.” “Va bene, mi fido.”
Chiudo gli occhi e lascio che sia lui a guidarmi. Lascio che lui mi porti dove vuole. Lascio che decida lui il mio destino. Metto la mia vita in mano alla sua. Mi sto fidando. Non  mi fidavo di qualcuno da una vita, e devo dire che è bellissimo. Mi ero dimenticata quanto fosse liberatorio mettere la propria vita in mano a un’altra persona e avere la vita dell’altro nelle nostre mani. Credo sia la più grande dimostrazione di fiducia. Innamorarsi, cedere la propria vita all’altro senza paura che lui la manipoli. E di lui, beh di lui mi fido. È venuto da me da solo, di sua spontanea volontà, ha deciso di salvarmi senza che io gli dicessi nulla. Forse ha sentito la richiesta d’aiuto in quei piccoli sorrisi che sfoggio  in classe, in alcuni sguardi che gli lancio. Non so, fatto sta che si è accorto di me. Non lo avrei mai detto che sarebbe stato proprio lui. Mai. “Principessa siamo arrivati”

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