I don't want be saved

di Mary Mary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Malintesi ***
Capitolo 2: *** Cicatrici ***
Capitolo 3: *** Per ben due volte ***



Capitolo 1
*** Malintesi ***


Capitolo uno

L’auto cominciò ad allontanarsi dalla mia casa. Dalla mia vecchia casa.
Sentì una lacrima salata scendere e rigarmi la guancia destra, e mi apprestai subito ad asciugarla con la larga manica della mia felpa color fumo da uomo.
Mi sentivo un involucro, un guscio vuoto con niente al suo interno. Tutto ciò che avevo, una famiglia unita, degli amici stupendi, una vita quasi perfetta, l’avevo perso, in un attimo. Un attimo durato pochi secondi, il tempo di vedere un luminoso camion nella corsia sbagliata, il tempo di sentire il rumore sordo e agghiacciante di vetri rotti, delle grida lontane e nient’altro, il buio più assoluto.
Perché le persone a me più care morirono tutte quel giorno? Perché io ero viva e loro no?
Queste domande mi perseguitavano in tutti i momenti, di giorno, ma soprattutto di notte. In quegli ultimi giorni compresi che di notte i pensieri divenivano più pesanti. 


Diedi un’occhiata alla donna bionda di mezza età che stava guidando l’auto. Grassoccia, bassa e con degli occhiali spessi quanto tappi di bottiglia, era la donna che mi aveva appena adottata, di nome Clare. Le sue dita erano molto curate e apparivano con delle lunghe unghie smaltate di un rosa tenue, e ticchettavano frenetiche sul volante della sua macchina, canticchiando una canzone che sembrava essere ‘Hey Jude’ dei Beatles.
Mamma amava i Beatles, credeva addirittura che tutta la storia del sosia di Paul McCartney fosse vera. Fanatica… pensai, sorridendo tristemente.
Involontariamente un’altra lacrima mi bagnò il viso, seguita da un’altra, poi da un’altra ancora; ero ormai un fiume in piena, ma cercai comunque di non farlo notare dalla donna al volante.
-Ti serve un fazzoletto, cara?- la sentì dire, in tono amorevole.
Evidentemente si era accorta eccome del mio silenzioso pianto. Rifiutai comunque la sua gentile offerta e tornai a guardare fuori, continuando ad asciugarmi le lacrime con la manica della felpa.
Cosa succederà ora?

Dopo circa venti minuti di viaggio in totale silenzio, Clare mi guardò dallo specchietto retrovisore e, sorridendomi, cominciò a parlare.
-Ti troverai bene a casa mia… Mio marito e i miei due figli sono molto affettuosi, credimi…- disse, continuando a tamburellare le dita sul volante nero.
Tirai su con il naso, e, dopo aver raccolto la forza necessaria, cercai di sorriderle.
-… Samuele, mio marito, è già a casa assieme a nostro figlio Joshua… E’ una vera e propria peste ma è un bravo bambino, anche molto maturo, a differenza di suo fratello…-
Non debbi fingere di sorridere, perché lo feci naturalmente, al pensiero di dover vivere da quel momento in poi con dei bambini. Mi erano sempre piaciuti i bambini, soprattutto le piccole pesti.
-Quanti anni hanno?- chiesi, continuando a sorridere leggermente.
-Joshua ha cinque anni appena compiuti, ma dice in giro che ne abbia già quasi sei…- mi rispose ridendo -… mentre il più grande, Logan, ne ha tre in più di te.- continuò.
…Diciannove anni?
…DICIANNOVE ANNI?!

-Ah, capito…- mi limitai a dire, aggrottando però la fronte.
La macchina di Clare, pochi minuti dopo, si fermò dinnanzi una casa molto grande, dai pallidi muri bianchi che non mi trasmettevano altro che freddezza. Il grande giardino verde si estendeva tutto intorno all’abitazione, e ospitava due altalene rosse ed uno scivolo blu, giochi dell’ipotetico figlio di ‘quasi sei anni’ della donna.
Clare parcheggiò l’auto e mi incitò a scendere tranquillamente e di non aver paura.
Ma io non avevo paura.
Ero semplicemente triste, depressa, vuota.
Entrammo in quell’enorme casa, e subito ci venne incontro un uomo intorno alla cinquantina, molto alto e possente, con un maglione leggero beige e dei pantaloni eleganti neri.
-Ciao, te dovresti essere Chelsea, giusto? Io sono Samuele, ma se vuoi chiamarmi Sam per me va benissimo!-  mi disse, porgendomi una mano e sorridendomi un po’ troppo eccessivamente.
-Piacere…- sussurrai, ricambiando la stretta di mano, che si rivelò forte e confortante.
Sembra un buon padre… pensai, con una nota di amarezza.
Sentì improvvisamente due piccole braccia cingermi un fianco, mi girai e vidi un bambino sorridente dagli occhi azzurri e dai capelli neri di circa cinque anni. Joshua.
-Ciao!- esclamò sorridendo Joshua, stringendomi la vita. Mi arrivava all’altezza del seno e sembrava veramente molto dolce e maturo, esattamente come l’aveva descritto precedentemente la madre.
-Ciao…- dissi sottovoce, sorridendo dolcemente e lasciando che mi abbracciasse. Sembrava un piccolo gattino che faceva le fusa.
-Joshua, staccati un po’ da Chelsea…- esclamò ridendo suo padre -…vieni, ti mostro la tua nuova camera!- continuò poi, indicandomi gentilmente la rampa di scale davanti a noi.
Arrivati al piano superiore mi si presentò davanti un lungo corridoio con tante porte, molte delle quali aperte.
Diedi un’occhiata ad una delle stanze e notai un muro tappezzato di poster di gruppi punk e rock. Giunsi facilmente alla conclusione che quella doveva essere la camera del figlio maggiore di Clare; si chiamava Logan, giusto?
Almeno non ascolta merda commerciale… pensai sollevata, inarcando però un sopracciglio.
-La tua camera è questa!- mi disse sorridendo il marito di Clare e aprendo la porta davanti a quella di Logan.
La ‘mia camera’ era molto grande. E io odiavo gli spazi così grandi.
Un letto molto alto, a baldacchino, era posizionato al centro della camera, ed era coperto da una pesante trapunta rossa. Affianco ad esso c’erano due comodini neri, un armadio anch’esso rosso e una scrivania. Una camera molto semplice ma arredata comunque bene.
Posai il mio zaino pieno di catene sul parquet color mogano e rivolsi un sorriso a Samuele, che doveva interpretare come un ‘ora lasciami sola’.
Fortunatamente capì al volo e, sfregandosi le mani imbarazzato, se ne andò e si chiuse la porta alle spalle.
Ero sola. Finalmente.
***
-Cazzone, hai intenzione di fumare solo tu?-
Alzai lo sguardo verso Danny, il mio migliore amico. Lo fulminai con gli occhi e continuai a fumare la canna che avevo tra le dita.
-Dai, cazzo! Lasciamene un po’!- continuò.
-Mi stai seriamente scartavetrando i coglioni. Non la sto finendo, ce n’è ancora metà!- replicai stancamente, riportandomi tra le labbra la bomba.
Lo sentii sbuffare, irritato.
Dopo una manciata di secondi gli porsi la mia terza canna del pomeriggio, guardandolo male. Se avrebbe aspettato il suo turno in silenzio sarebbe stato meglio.
-Comunque…- ricominciò lui -… Li hai fatti i compiti della vecchiaccia per domani?- continuò, mentre aprivo l’ennesima lattina di birra.
…Compiti? Vecchiaccia? Domani?
Notò la mia espressione interrogativa e cominciò a ridere.
-Cazzo, Logan!- disse con le lacrime agli occhi -…Domani è lunedì!-
…Lunedì?
…Quindi oggi era domenica…
DOMENICA?!

-Cazzo, sono un coglione, sono un coglione!- esclamai alzandomi di scatto in piedi, facendo cadere un po’ della birra che avevo in mano.
-Che ti prende ora?-
-E’ domenica! Oggi doveva arrivare Chelsy, Chelly, Chilly, come cazzo si chiamava!- sbottai, passandomi freneticamente una mano tra i miei capelli appena tinti di arancione.
-Chilly? Usi una di quelle cazzate intime per lavarti l’uccello?-
-Ma che cazzo hai capito, idiota!- urlai ridendo e cercando di finire velocemente la Heineken -Oggi doveva arrivare la bambina che mia madre ha adottato… Non mi ricordo neanche come si chiama, però…-
-Sei sempre il solito stronzo- mi rispose sorridendo Danny, finendo la canna e srotolando ciò che rimaneva del filtro.
Accartocciai la lattina di birra appena svuotata e la lanciai contro il muro dietro a Danny, il quale sobbalzò dallo spavento.
-Flash?- mi chiese, dopo avermi mostrato il dito medio della sua mano a causa del mio lancio.
-OK, faccio il flash e torno a casa, però.-
 
Dopo circa una ventina di minuti, varcai la soglia di casa.
-Sono a casa, motherfuckers!- urlai, posando malamente le chiavi di casa sul comodino.
Ero leggermente ubriaco e decisamente fatto, ma sapevo nasconderlo con discrezione, eh.
Sentii una mano ‘appoggiarsi’ dolorosamente dietro il mio collo e esclamai un “ahia” teatrale, voltandomi e trovandomi davanti a mio padre, dall’aria divertita.
-Non credo che tua nonna sia contenta di essere stata appena chiamata ‘puttana’!- sbottò.
Mi misi a ridere e mi incamminai verso la cucina, luogo da cui proveniva il delizioso profumo di lasagne.
Dio, quanto amo le lasagne!
Vidi mia madre intenta a canticchiare qualche canzone degli anni Settanta mentre tagliuzzava qualcosa. Mi avvicinai furtivamente e l’abbracciai da dietro.
Come risposta lei si voltò e mi lanciò un’occhiataccia.
-Sei in ritardo. E il tuo alito puzza di fumo e di birra-
Sbuffai, rubai una mela dalla cesta della frutta e andai in salotto, dove vidi Joshua davanti alla televisione e mio padre davanti all’iPod.
-Gesù, staccatevi un po’ da quella merda!- esclamai, dando un morso alla mela.
Odiavo follemente chi preferiva trascorrere ore ed ore davanti alla tecnologia piuttosto che uscire e stare all’aria aperta. Ero l’unico della famiglia a pensarla così, evidentemente.
Imprecando un’altra dozzina di volte a causa dell’occhiataccia di mio padre, mi buttai sul divano, e finii velocemente la mela.
-Allora? Dov’è lei?-
-E’ in camera sua. Vai a presentarti, senza comportarti da stronzo. E’ ancora molto triste.-
-OK, capo- borbottai, infilando le mani nelle tasche dei miei jeans stretti, stracolmi di catenine.
Una volta, pochi mesi prima, rientrando a casa dopo una serata di baldoria, sentii Joshua, mio fratello minore, urlare con entusiasmo “è arrivato Babbo Natale!” per il tintinnare delle mie catene.
Sogghignai al ricordo. Joshua era così ingenuo, certe volte. Aveva cinque anni, in fondo.
Mi grattai il mento e bussai alla porta della camera, senza ricevere nessun ‘avanti’.
Aggrottai le sopracciglia e bussai più forte. Niente.
Aprì la porta e vidi la camera totalmente buia. Vidi qualcuno sotto le coperte. Stava dormendo.
Mentre richiudevo silenziosamente la porta, notai uno zainetto luccicante ai piedi del letto. Mi avvicinai curioso e notai che era pieno di catene e borchie.
Perché una bambina dovrebbe avere delle catene e delle borchie attaccate allo zaino?
Volsi lo sguardo verso l’esile figura che era coricata in posizione fetale sotto la trapunta e annullai le distanze tra me ed essa. Scostai piano la coperta e sgranai gli occhi.
Porca puttana, altro che bambina!
Davanti ai miei occhi c’era la ragazza più bella che io avessi mai visto, nonostante mi apparisse familiare.
Doveva avere all’incirca la mia età, forse era leggermente più piccola di me. I suoi capelli biondi erano acconciati in tanti dreadlocks, e ricadevano sul cuscino come se fossero dei lunghi tentacoli pieni di perline. Aveva un piercing al naso, il septum, e alcune chiare lentiggini sparse qua e là sul piccolo naso e sulle guance.
Aveva un espressione corrucciata, e sembrava una bambola di porcellana addormentata. Notai il cuscino pieno di lacrime ed ebbi una stretta al cuore.
Deve aver sofferto parecchio.
La coprì di nuovo con la trapunta rossa e uscì silenziosamente dalla stanza, grattandomi il capo. Mamma e papà avrebbero dovuto dirmelo di aver adottato una ragazza e non una bambina.
***
Sentii la porta aprirsi e vidi da sotto la coperta una figura molto alta entrare nella camera ed avvicinarsi silenziosamente al letto.
Non avevo né la forza psicologica né quella fisica di parlare con chiunque, perciò finsi di dormire. Sfortunatamente sentii la coperta scostarsi e sentii una zaffata di erba e birra pungermi le narici. Aggrottai la fronte, ma continuai a fingere di dormire.
Trattenni il respiro, non avevo assolutamente voglia di presentarmi al figlio maggiore della donna.
Dopo pochi attimi che mi parvero lunghissimi minuti la trapunta tornò come prima a coprirmi completamente, e sentii Logan uscire dalla stanza.
Ero costretta a partecipare alla cena, avevo decisamente fame. Sbuffai, sedendomi sul letto.
Sarà una lunga convivenza, questa pensai, alzandomi.

Chelsea
Logan

Angolo Autrice:
Salve a tutti,
che dire? Spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo della mia nuova storia…
Per chi volesse saperlo, la persona che ho scelto come immagine di Chelsea è una ragazza famosa nel web con il nome di ‘LillHurricane’, mentre Logan l'ho immaginato come il modello famoso per i suoi tatuaggi Ash Stymest.
 

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Capitolo 2
*** Cicatrici ***


Capitolo 2

Indossai la felpa da uomo grigia di poche ore prima, ci infilai nelle tasche il mio pacchetto di sigarette Yesmoke rosse, ed aprii di pochissimo la porta, abbastanza per dare una veloce occhiata sul corridoio.
Fortunatamente non c’era nessuno, così decisi di uscire dalla ‘mia camera’. Mi diressi direttamente verso le scale, constatando che tutte le porte che davano sul corridoio erano chiuse. Scesi furtivamente i gradini e raggiunsi la soglia della cucina, da cui proveniva profumo di lasagne appena sfornate.
Feci per aprire la porta quando sentii, al di là di essa, delle risate.

Sono così felici… pensai tristemente, mordendomi il labbro inferiore e corrucciando la fronte.
Ritirai la mano dalla maniglia della porta e mi sedetti sull’ultimo gradino della scala. Sarei morta di fame piuttosto che cenare con una famigliola felice del genere. Mi strinsi nella mia felpa enorme e restai così per alcuni secondi, con la testa appoggiata alle ginocchia, a pensare a ciò che mi era rimasto, a ciò che avevo perso.
Quanto avrei voluto essere maggiorenne…
Sospirai tristemente e andai verso l’atrio, parallelo al salotto. Vidi il portone d’ingresso e decisi di andare in veranda, a fumare una sigaretta. Aprì la porta cercando di non far rumore ed uscì, diretta alla panchina che giaceva all’angolo del porticato.
Mi sedetti e mi portai alle labbra una sigaretta. Odiavo il tabacco, ma in mancanza di erba era l’unica cosa che potessi fumare. Sbuffai e accesi la Yesmoke, sperando che nessuno uscisse.
Reclinai la testa e mi appoggiai sul muro freddo dietro la panchina, guardando il cielo che si stava velocemente tingendo di
blu scuro.

Vorrei tornare indietro nel tempo.
Vorrei non aver mai chiesto alla mia famiglia di accompagnarmi in auto.
Vorrei che nessuno fosse morto.
Era tutta colpa mia.
***
-Joshua, vai a chiamare Chelsea per dirle che è pronta la cena!- disse mia madre a mio fratello minore, scompigliandogli i capelli neri.
-Uffa, non ho voglia! Sto guardando il documentario sulle tigri!- esclamò Joshua, indicando il piccolo e vecchio televisore posto in cucina.
Vidi mia madre lanciargli un’occhiataccia per poi guardare me.
Oh no, non dirmi che me lo sta chiedend…
-Logan, caro, vai tu a chiamarla!-
Cazzo.
-Ma… Non mi sono neanche presentato… E’ meglio che vada te, mamma, perché sei una femmina, e lei anche, e magari è meglio, e…-
-Niente scuse, vai! Ora!- esclamò lei, spingendomi verso la porta.

Sbuffai e salii le scale pestando sonoramente gli anfibi neri, diretto nella nuova camera di Chelsea. Notai che la porta era aperta e misi la testa nello spazio tra lo stipite ed essa, guardando se lei fosse nella stanza; non c’era.
Controllai tutte le stanze e addirittura anche lo sgabuzzino dove teniamo le scope, ma non c’era da nessuna parte. Scesi velocemente le scale e guardai nel piano terra per poi andare in garage.
Ma che cazzo?
Mi recai verso il portone d’ingresso e constatai che mancavano un paio di chiavi.
Quindi dev’essere uscita…

Aprì la porta e il mio sguardo fu rapito da dei profondi occhi azzurri.
Da sveglia era ancor più bella.
Era seduta sulla nostra panchina bianca di legno, con la testa appoggiata al muro e con la sigaretta tra le labbra. Mi continuava a fissare senza dire una parola, e nei suoi occhi color cielo leggevo chiaramente una disarmante malinconia che non avevo mai visto prima d’ora in nessuna persona.
Non riuscì a dire nulla anche io, e mi limitai a sedermi accanto a lei e ad ammirarla con la coda dell’occhio, mentre fingevo di fissare il cielo scuro.

-E’ un nome molto bello il tuo…- le confessai, girandomi verso di lei, e pentendomi subito della mia frase così sciocca.
Di tutta risposta, si voltò e mi guardò. Schiuse leggermente le labbra come per dire qualcosa ma le richiuse subito, facendomi un sorriso triste e volgendo lo sguardo da un’altra parte.
Deglutii.
-Comunque sono Logan, piacere.-
-Il tuo nome è dieci volte migliore del mio.- mi disse, buttando fuori il fumo dal naso e fissando il vuoto.
Sorrisi.
-Comunque, la cena è pronta, Chelsea...- sussurrai, guardando il suo delicato profilo, intento prima a fissare il cielo ormai costellato di luminose stelle, poi me.

Annuì leggermente, posando lo sguardo sul mio torace. Dalla mia canottiera nera affioravano quasi tutti i miei tatuaggi. Si alzò, e spense la sigaretta sul portacenere che giaceva sul tavolino affianco alla panchina, e mi porse il mazzo di chiavi che avevo preso per andare in veranda.  Le sorrisi, ed infilai le chiavi nella serratura, facendo entrare prima lei.

Per Chelsea la cena fu sicuramente un orribile disastro, nonostante il tavolo fosse stato totalmente pieno di pietanze. Mia madre e mio padre non riuscivano a stare zitti per una ventina di secondi, e, non appena aprivano bocca per parlare, sparavano una marea di stronzate completamente assurde.
Lei era visibilmente imbarazzata da tutte quelle attenzioni, e abbassava continuamente lo sguardo verso il suo piatto, sempre pieno. Non aveva toccato cibo, limitandosi a sorridere tristemente ogni qualvolta uno dei miei genitori le facevano un complimento, continuando ininterrottamente a giocherellare con la forchetta e fingendo di mangiare.
Sospirò più di una volta, e per ben quattro volte la sorpresi a fissare il vuoto, impassibile e notai i suoi stupendi occhi azzurri diventati improvvisamente vitrei, vuoti.

Dovevo salvarla.
Non sapevo bene perchè lo dovevo fare.
Sapevo solamente che non volevo vedere una così bella creatura appassire e diventare fredda, proprio come Zac.

Flashback:  Zac's story
-Ragazzi, entriamo e spacchiamo tutto!!- urla euforico Zac, con le pupille grosse quanto monetine da cinquanta centesimi.
-Sì, cazzo!- urlo io, con una bottiglia in mano.
Zac ha in mano una bottiglia di Bacardi, che scuote come fosse un campanello natalizio; Danny ne impugna una di Jack Daniel's, mentre io mi accontento di una 'semplice' Vodka.
Facciamo cin-cin con le nostre bottiglie quasi vuote e le gettiamo per terra, rompendole in mille pezzi e facendo voltare verso di noi mezzo isolato.

Entriamo al NeverMind, uno schifoso locale in periferia, frequentato da tossici, alcolizzati e pedofili. Appena ci lasciano il timbrino verde fosforescente sulla mano, ci dirigiamo direttamente verso la pista, cercando tra la folla di ragazze semi nude e ragazzi ubriachi degli acquirenti per la nostra merce. In fondo siamo in questa merda di posto solo per vendere degli acidi e dell'erba, no?
Mi dirigo direttamente sul divanetto più solitario tra tutti, a pochi metri dal bagno. Guardo con curiosità tutte le persone che ci entrano sane e ci escono sballate da chissà che droga sniffata o ingerita lì dentro. Controllo quanti acidi ho nel portafogli e ricomincio a guardarmi in giro, cercando con lo sguardo i miei amici Danny e Zac.
Giocherello con il grosso anello d'argento che avevo infilato nel dito medio, e intanto appoggio sulla lingua uno degli acidi che avevo portato, il quale si scioglie quasi immediatamente.

Passano circa venti minuti affinché il francobollo faccia effetto, e quando succede sono così frastornato che non riesco più ad alzarmi dal divanetto appena scorgo i miei amici poco distanti da me. Conto fino a dieci e mi alzo, preparandomi psicologicamente a dover passare in mezzo a tutti quei corpi sudati che ballano e che si strusciano a vicenda.
Raggiungo fisicamente i miei amici, mentre la droga che ho assunto prima prende il sopravvento, dilatando le mie pupille e facendomi vedere tutto così strano e colorato.
Mi accorgo solo in quel momento che Danny e Zac stanno flirtando con due ragazze, una alta e mora, l'altra bassa e con dei dreads. La tipa dai capelli scuri è piena di piercings, vestita da sgualdrina, mentre l'altra ha una felpa larga il doppio del suo corpo e due occhi azzurri da far invidia al cielo... Ordino un paio di alcolici...


-Oh cazzo!- esclamai, quasi cadendo dalla sedia, nella mia camera.
Chelsea... Ecco perchè il suo viso mi sembrava familiare!
Guardai l'ora. Le due meno venti. Ormai era troppo tardi per parlarne.
"Ci parlerò domani sul treno o nell'intervallo" pensai.
"Sperando che venga a scuola"...




Angolo autrice:
Dopo un bel po' di assenza rieccomi qua con il secondo capitolo! Ringrazio tantissimo tutte le persone che hanno messo la storia tra le preferite, tra le seguite, eccetera... Grazie mille! :)
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, e spero che continuerete a seguirmi, la storia non finisce di sicuro qui.
Mary.

 

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Capitolo 3
*** Per ben due volte ***


Capitolo 3

--- Flashback ---

-Alza il culo dal letto, stasera si va a ballare!- urla Eleonore, spalancando la porta della mia camera facendomi quasi morire di paura.
-Come diamine sei entrata?! La porta d'ingresso e le finestre sono tutte chiuse!- esclamo io spaventata, alzando un sopracciglio e guardando la mia migliore amica, che intanto ha già aperto le ante del mio armadio.
-Il balcone della camera dei tuoi genitori era aperto. Ora... dove cazzo le tieni le minigonne?- risponde lei, frugando tra i miei maglioni da uomo.
-Non mi piacciono le minigonne, figurati se ne possied... Aspetta, ma siamo al secondo piano, come hai fatto a salire sul balcone?!-
-Hai finito di fare domande? E soprattutto... Com'è possibile che tu non abbia una fottuta gonna?!- mi dice, con le mani tra i suoi lunghi capelli castani.
-Non ho gonne e non ho voglia di andare in discoteca, quindi calmati un po', cazzo!- esclamo io, appoggiando la testa su un mio ginocchio, e guardandola da quella prospettiva.

Eleonore è sempre stata così... bella.
Al contrario di me, troppo bassa, troppo magra, troppo piatta.
Noi due siamo gli esatti opposti. Io chiusa e timida, lei aperta e sempre con la voglia di conoscere più gente.
La guardo mentre scuote teatralmente il capo, di spalle, ancora intenta a cercare una minigonna nonostante abbia appena detto che non ne possieda neanche una.
-Non importa se non vuoi, sei stata chiusa in casa a svampare per tre giorni! Ora ti alzi e andiamo ad ubriacarci assieme in qualche locale!-
-Tanto non mi muoverò di qui.- affermo io, fissandola in cagnesco.
 

-Scusate, volete del fumo?-
Ci voltiamo. Un ragazzo poco più grande di noi ci sorride, con gli occhi rossi. Indossa dei jeans troppo stretti per le sue robuste gambe, e un maglione verde acido.
-Smamma!- esclama scorbuticamente Eleonore, mentre continua a ballare, o meglio... A prendere e essere presa a spallate.
La guardo contrariata, guardando il ragazzo che ci voleva vendere del fumo uscire insoddisfatto dalla pista e tornare dal suo gruppo di amici, al bancone.
-Che c'è?!-
-Dovevi trattarlo per forza così male?-
-Chelsea, il fumo è da sfigati!-
-Non se è buono...- sussurro, dirigendomi verso l'uscita posteriore aperta, dove si intravedono persone che fumano.
Alla fine Eleonore mi aveva convinta ad andare in discoteca.

Respiro l'aria notturna, fresca, e mi guardo intorno. Odio le discoteche, odio i festaioli, odio tutta questa merda. Noto in un angolo una ragazzina tutta sola che non potrebbe avere più di tredici o quattordici anni, pallida in volto. Ha una mano appoggiata sul muro davanti a sé, e vomita l'anima sul pavimento.
"Troppo alcool." penso.
Mi avvicino, e la aiuto, tirandole indietro i capelli per evitare che se li sporchi. Dopo quasi un minuto, la ragazzina finisce finalmente di vomitare.
-Tutto a posto?- le chiedo, gentilmente.
-S-sì... Io... Grazie mille...- balbetta imbarazzata, guardando schifata il suo vomito sul cemento.
Le sorrido e mi volto, notando solo ora che Eleonore mi fissa compiaciuta.
-Ho pensato che fossi uscita per fumare una sigaretta e ti trovo qui ad aiutare una bambinetta? Che animo gentile che hai!- esclama con un sorrisetto divertito.
Alzo gli occhi al cielo e rientro in discoteca affiancata dalla mia amica.

Andiamo verso il bancone e ci sediamo sugli alti sgabelli rossi. Eleonore ordina due Jack Daniel's, uno per lei e l'altro... beh, sempre per lei, dato che io non bevo. Ingurgita con gli occhi chiusi i due alcolici, e mi guarda sorridendo con lo sguardo lucido. Biascica qualcosa che pare un "che bella questa canzone" e chiude gli occhi, ondeggiando il viso a ritmo di musica.
-Ragazze... Pensavano che qui ci fossero solo racchie, ma voi siete davvero carine... Come vi chiamate?- urla una voce maschile, dietro di noi.
Ci giriamo e vediamo due ragazzi molto carini con dei ridicoli sorrisi stampati in faccia.
-Io sono Eleonore e lei è Chelsea!- risponde subito la mia amica ridendo come una fottuta oca.
-Vieni spesso qui?- dice uno dei due ragazzi rivolgendosi ad Eleonore.
Piego la testa di lato e mi appoggio sul bancone con il braccio, guardandoli parlare.
"Che noia." penso inevitabilmente, notando per l'ennesima volta tutta l'attenzione verso la mia amica. Meglio così, in fondo.

Scorgo a qualche metro di distanza dai due sconosciuti un ragazzo dai capelli scuri che si avvicina.
-Hola!- esclama, affiancandosi ai due ragazzi che parlavano con Eleonore.
Noto che è strafatto. Da acido, molto probabilmente. Indossa dei pantaloni larghi neri pieni zeppi di catene, e una semplice t-shirt grigia.
Posa lo sguardo su Eleonore, aggrottando leggermente le sopracciglia. Poi posa lo sguardo su di me. Ci guardiamo per una decina di secondi, mi sento in soggezione; distolgo imbarazzata lo sguardo, abbassando la mia visuale al pavimento piastrellato del locale.
-Cinque vodka!- urla il ragazzo in questione.
Mi volto verso il barista che aveva appena annuito per l'ordine e gli dico "quattro vodka, non cinque.". Ritorno a guardare disinteressata Eleonore e i suoi nuovi tre 'amichetti'. Il ragazzo che aveva precedentemente ordinato mi guarda interrogativo.
-Non bevo.- mi limito a dire.
Lo vedo sorridere teneramente.
-Capisco... Come ti chiami?- mi fa lui, stavolta fissandomi serio.
-Chelsea...-
-Piacere, Logan.-
***
-Chelsea...-
Corrucciai la fronte e mi tirai il piumone fin sopra la testa.
-Chelsea!-  ripeté nuovamente la voce.
Ero in un stato di dormiveglia, ma avevo troppo sonno per aprire gli occhi.
-Chelsea!!-
Mi strofinai involontariamente gli occhi, mentre il caldo piumone mi fu strappato via, facendomi avere brividi a causa del freddo.
-Scusa, ho fatto una cazzata, ora hai freddo!- esclamò la voce.
Mi sentii di nuovo al calduccio. Chiunque fosse stato a parlare ora se n'era andato.
 

Sentii la sveglia del mio telefono suonare inferocita. Aprii lentamente gli occhi e sentii qualcosa muoversi leggermente nel letto, dietro di me. Mi svegliai del tutto.
Ma che cazzo?
Logan era nel mio letto, sotto le mie coperte, abbracciato a me. Sentivo una sua gamba infilata tra le mie; le sue braccia mi avvolgevano il petto e percepivo il suo respiro sulla mia clavicola.
Mi allontanai di una decina di centimetri e mi sedetti, guardando dubbiosa mio 'fratello' dormire.
Gli toccai un braccio con il dito, ma non accennava a svegliarsi.
Lo chiamai un paio di volte a bassa voce, e finalmente si svegliò.
-Buongiorno...-
-Buongiorno?- esclamai, sempre a bassa voce -che ci fai qui?-.
-Non ti ricordi?- mi disse lui, sorridendo.
-Che cosa dovrei ricordare, scusa?- chiedo, corrugando la fronte, in un'espressione dubbiosa.
Logan mi guardò sorpreso e poi scoppiò a ridere. Cominciai a fissarlo malamente, cercando di ricordare. Subito dopo la cena, il giorno prima, ero andata subito a dormire. Non avevo fumato né bevuto. Allora com'era possibile che mi fossi appena svegliata abbracciata a Logan?
Quando il ragazzo finì di ridere, riappoggiò la testa sul cuscino, guardando l'alto soffitto della mia camera.

-Ieri, quando ti ho vista in veranda, ho avuto l'impressione di averti già conosciuta...- iniziò a dire, cambiando argomento e fissando il vuoto.
Mi voltai verso di lui, inarcando un sopracciglio. Anche io avevo trovato qualcosa di familiare in lui, ma non ci avevo dato molto caso.
-...Poi mi sono ricordato di una volta in cui avevo conosciuto una ragazza in un locale, al NeverMind forse. E questa ragazza aveva i dreadlocks, il septum, il tuo viso e i tuoi modi di fare... Eri tu...- continuò poi, con aria pensierosa.
Riflettei per un bel po', constatando che al NeverMind c'ero stata una sola volta in tutta la mia vita.
-Con chi ero?- gli chiesi, curiosa di sapere se la ragazza in questione fossi davvero io.
-Con una tua amica, una mora, piena di piercings...- mi rispose Logan -... Eri tu, ne sono più che certo-.
Una mia amica mora e piena di piercings...
-Sì, ero decisamente io-. gli dissi, sorridendo e annuendo con il capo.
Logan ricambiò il mio sorriso e si alzò dal mio letto, passandosi una mano tra i capelli, senza staccare lo sguardo da me. Tirò fuori dalla tasca posteriore dei suoi jeans un pacchetto da venti sigarette di Camel, e se ne portò una tra le labbra.
"Tra le sue bellissime labbra" pensai inevitabilmente. Mi ricoricai sotto le coperte, dando la schiena a Logan, che intanto si era già acceso la sigaretta. Cominciai a fissare il muro, aspettando solo che lui se ne andasse dalla camera. Mi stava veramente cominciando a piacere un festaiolo come lui?

Sbuffai involontariamente, procurando l'attenzione di Logan su di me.
-Scusa, forse ti dà fastidio che io fumi in camera tua?- mi chiese, premuroso.
-No, continua pure, l'importante è che poi tua madre non si arrabbi per la puzza di fumo...-  risposi, voltandomi leggermente, per poterlo vedere in faccia.
-Nah, non dirà niente, stai tranquilla...- .
Detto questo, fece per andarsene, poi però si girò e mi guardò.
-... e comunque mi hai trovato sotto il letto perchè, mezz'oretta fa, te hai fatto la sonnambula del cazzo, tirandomi sotto le coperte assieme a te, e abbracciandomi come fossi un pupazzo.- mi disse, con un sorrisetto storto.

Non so di certo che espressione assunsi, ma fui sicura al cento per cento che divenni viola dall'imbarazzo. "Mio dio, che stupida che sono!" pensai.
Abbassai lo sguardo dalla vergogna, e percepii uno spostamento d'aria, verso di me. Rialzai lo sguardo e mi ritrovai Logan che mi fissava sorridendo compiaciuto, con la sigaretta in mano.
-Il gatto ti ha mangiato la lingua?- mi chiese, avvicinandosi con un ghigno in faccia.
-Beh, scusa, non era mica mia intenzione trascinarti nel letto. E comunque vaffanculo.- sputai infastidita dalla sua aria "I'm sexy and I know it".
-Non ho detto che non mi è piaciuto dormire con te- mi disse maliziosamente, avvicinandosi di più.
Affondai le mani tra le coperte e strinsi i pugni fino a sbiancare le nocche, mentre continuò ad avanzare verso il letto. Si sedette affianco a me, dandomi le spalle. Fissò con sguardo perso il pavimento davanti a lui, poi posò lo sguardo su di me. Mi sentì vacillare, ma coraggiosamente sostenni lo sguardo; mi guardò le labbra e si avvicinò pericolosamente a me. Socchiusi gli occhi, mentre sentivo le sue fredde dita seguire la linea della mia spina dorsale, sopra il leggero tessuto bianco della mia canottiera; inarcai involontariamente la schiena, a causa del contatto così freddo. Con la stessa mano mi spinse più vicino a lui, abbastanza da sentire il suo fiato sulla mia bocca. Non ci vidi più, mi sporsi ancora quel poco che mancava e appoggiai le labbra alle sue, dolcemente. Logan ricambiò subito, con più foga, e mi strinse a se.

In quel momento mi resi conto di quanto facesse male il vuoto dentro di me, insaziabile com'era; in quel momento mi resi conto di quanto mi avrebbe fatto bene colmarlo.
***
-Questo sarebbe il treno che dovremmo prendere?- sussurrai negativamente sorpresa.
Mi voltai verso Logan, che impugnava ancora il mio ombrello nero con la quale ci stavamo coprendo dalla pioggia incessante.
Mi rivolse un sorriso divertito e annuì, scrollando le spalle.
-Ormai ci ho fatto l'abitudine a questo schifo di trasporti pubblici.- disse semplicemente.
Quello che avevamo davanti era un treno abbastanza vecchio da non avere i bagni, i tavolini, i cestini, i poggia braccia, e altri tremila oggetti e confort.
-Quanto tempo abbiamo prima che parta?- gli chiesi.
Guardò il suo orologio da polso.
-Dieci minuti... Vuoi fumare una sigaretta?- mi rispose, spostando l'ombrello nell'altra mano.
Annuii mentre sfilavo dal mio pacchetto due sigarette, offrendogliene una, che accettò molto volentieri, sorridendo.

Mi sentivo decisamente agitata al suo fianco. Cercai di non farglielo capire, fumando senza dire una parola, con lo sguardo fisso sulla porta aperta del vagone. Nonostante ciò sentivo il suo sguardo fisso sul mio viso.
Mi voltai.
-Hai finito?- esordì.
-Di fare cosa?- mi chiese, alzando un sopracciglio e fingendo di non capire.
-Di fissarmi. Mi dà fastidio, cazzo!- sibilai.
Lo vidi sorridere, esattamente come avevo fatto mesi prima in quel locale da quattro soldi. Un sorriso sghembo, ma allo stesso tempo dolce.
Sussurrai un "vaffanculo" a bassa voce, lanciai il mozzicone nella pozzanghera a sinistra e mi diressi frettolosamente dentro l'anticamera del treno, dalla quale si poteva accedere ai due vagoni ai lati. Guardai con disprezzo Logan, che continuava a sorridermi in quel modo.
Sbuffai, mentre chiudeva l'ombrello ancora con la sigaretta in mano. Lo poggiò disinvolto sulla parete affianco a lui, ed entrò mi si avvicinò.
-Non puoi fumare dentro il treno, Logan.-
-Non puoi mandarmi a fanculo per ben due volte in poche ore, Chelsea. Sono il tuo fratellone in fondo...- mi soffiò sulle labbra.
-Non sei mio fratello, stronz...- ebbi il tempo di dire, prima che, per la seconda volta in una mattina, Logan si fiondasse sulla mia bocca.



Angolo Autrice:
Scusate per il ritardo!!
Alla fine ce l'ho fatta, ho pubblicato la continuazione della storia... Mi dispiace così tanto per l'abominevole ritardo.
Lasciatemi una recensione per capire se vi è piaciuto o non vi è piaciuto questo capitolo, ne sarei veramente felice.
Vi prometto che continuerò al più presto!
Mary.

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