Supernatural

di Flareon24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuoco, fiamme e carbonara ***
Capitolo 2: *** Fuoco, fiamme e carbonara- 2° parte ***
Capitolo 3: *** AAA cercasi normalità scomparsa 1°parte ***
Capitolo 4: *** AAA cercasi normalità scomparsa - 2° parte ***
Capitolo 5: *** AAA cercasi normalità scomparsa - 3°p ***
Capitolo 6: *** Un'allegra famigliola soprannaturale- p1 ***
Capitolo 7: *** Un'allegra famigliola soprannaturale - p 2° ***
Capitolo 8: *** Un'allegra famigliola soprannaturale 3°p ***



Capitolo 1
*** Fuoco, fiamme e carbonara ***


Scrittura: pensieri, sogni o ricordi non espressi a voce
Scrittura: regolare pezzo di racconto
ATTENZIONE: la storia è puramente inventata da me. Qualsiasi riferimento a testi già esistenti, serie televisive e affini è pura coincidenza.

Fuoco, fiamme e carbonara- 1° parte

Correndo a perdifiato mi sto dirigendo verso un villaggio avvolto nelle ombre notturne. L’erba alta mi arriva fino al fianco e intralcia il mio cammino avvolgendomi le caviglie in una fastidiosa presa. E’una notte senza luna né stelle, niente illumina il mio cammino. L’unica sbiadita luce proviene proprio dal villaggio verso il quale sono diretta. Le poche torce appese alle pareti scrostate brillano smorte ai loro posti mentre le tenebre ne soffocano il bagliore. Il ritmico rumore del mio affannato respiro riempie l’inquietante silenzio che mi avvolge. Sto correndo da chissà quanto in quell’immensa prateria rigogliosa, ma non so perché. Nel cuore si agita un senso di inquietudine e paura che non mi piace per niente. Sono quasi arrivata a quel piccolo gruppo di case. Ce l’ho quasi fatta. Improvvisamente qualcosa mi taglia veloce la strada sfrecciando a corsa. Non faccio in tempo a vederlo sparire alla mia sinistra perché una parete di fuoco e fiamme si innalza davanti ai miei occhi. Mi fermo bruscamente, parandomi il viso dall’intenso calore con le braccia e mi volto per tornare indietro. Di nuovo qualcosa mi passa davanti da destra verso sinistra e incendia l’erba davanti a me. Non posso andare da nessuna parte. Il caldo in quel cerchio di fuoco si fa asfissiante, da volersi strappare i vestiti di dosso. Qualcuno ride oltre il muro di fiamme mentre l’aria comincia a mancare. Improvvisamente una figura enorme balza attraverso l’incendio. La scena è vista a rallentatore ma le rosse lingue di fuoco non mi permettono di distinguere bene cosa sia quella creatura dai tratti felini che sta per arrivarmi addosso.
 
Spalancai gli occhi inspirando una grande quantità d’aria dalla bocca. La ributtai subito fuori espirando pesantemente mentre il sudore mi impregna i vestiti e la fronte. Ansimando mi portai una mano sul viso marmato e mi stropicciai l’occhio sinistro.
Quando il respirò fu tornato più o meno regolare, premetti il bottone della sveglia che proiettò subito l’ora sul soffitto. Le 3:08. Scossi la testa e scesi dal letto diretta in bagno. Accesi la luce e subito mi portai la mano sul viso per coprire gli occhi ancora coccolati dal buio. Sbuffai infastidita e mi buttai sulla cannella del lavandino.
Era da poco iniziato Giugno e faceva un caldo terribile. L’aria era stantia, satura di sudore e appiccicosa.
Quando mi rialzai dalla cannella osservai il mio viso allo specchio. I capelli castani chiari erano fissati sulla testa in una malferma crocchia abbozzata. Il volto imperlato di sudore era pallido e freddo nonostante il caldo impietoso che mi soffocava. Gli occhi marroni, di un verde appena accennato, erano cerchiati di una leggera tonalità di viola. Troppo poco sonno, troppa fatica durante il giorno, troppa fottutissima calura! Mi passai le mani bagnate sul volto trovando un effimero sollievo che durò poco più di 10 secondi. Sbuffai nuovamente, spensi la luce e me ne tornai a letto con le coperte esiliate in fondo al materasso. Mi misi a pancia in su a fissare un vecchio poster che ciondolava dal armadio ponte sopra il mio letto. Tanto sapevo già che lo avrei fissato per tutto il resto della nottata senza più riuscire a chiudere occhio. Il tempo non passa mai quando non si riesce a dormire e io lo trascorsi a tamburellare le dita dove mi capitava e a rigirami come un’ossessa sul materasso che si scaldava troppo velocemente. Finalmente mio padre venne a svegliare mio fratello Davide. Per quanto mi riguardava l’avevo battuto sul tempo. Mi alzai stancamente dal letto e da lì cominciò la mia giornata. Tutto scorreva lento intorno a me, la mia percezione della realtà era sfocata dal sonno e dalla confusione da esso provocata nella mia testa. Ciò che mi circondava mi era totalmente indifferente. Mi sentivo uno zombi con le gambe troppo pesanti per essere sollevate ed il cervello troppo putrefatto per poter essere utilizzato. Forse stavo anche sbavando ma, in ogni caso, non me ne sarei accorta.
Dopo un lasso di tempo che mi parve una mezza eternità, mi ritrovai a trascinarmi per le strade fiorentine accanto a Cecilia, diretta verso scuola. Stava parlando di qualcosa, ma in quel momento mi sfuggiva cosa. Quand’è che aveva cominciato a parlare? E quand’è che ero scesa dalla sita?
-Capisci? Una poi una cosa dovrebbe fare? Arrabbiarsi non serve a nulla, se glielo dico ci mettiamo a litigare! Ma io che devo fare?! Senza contare che…Gea? Ma…mi stai ascoltando?-
Mi voltai a guardarla con aria confusa.
-Scusa Sesì, hai detto qualcosa?-  Cercai di ricordare se avessi effettivamente lasciato mio fratello a scuola o da qualche altra parte. Ha 12 anni, per Diana! Saprà trovarsela da solo la scuola!
Lei mugolò esasperata lasciando cadere le spalle e reclinando la tesa all’indietro. I vaporosi capelli rosa ravanello pallido le arrivarono fino a metà della schiena, malamente fermati dalla bandana verde adibita a passata.
-Niente di che, ti ho solo fatto un intero discorso sui problemi fra me e Tommaso. Tutti particolari trascurabilissimi- rispose sarcastica.
-Scusa, non ho dormito molto stanotte- mi scusai stropicciandomi gli occhi. Non era una cosa nuova ultimamente.
-Di nuovo gli incubi?-
-Sai che novità…- sbottai.
-Che hai sognato stavolta?-
-Bah, cose senza senso. Come sempre del resto. Stavo correndo in un prato, di notte. Ero diretta verso un villaggio quando ad un certo punto…indovina che succede-
-Prende fuoco ogni cosa-
-Già-
-Senti Gea, non è una cosa normale!-
-Cosa, che tu sappia a menadito come finiscono i miei sogni? In effetti è un po’ strano- risposi ironica lasciando andare la tesa all’indietro e chiudendo gli occhi.
-No! Che tutte le notti tu sogni il fuoco-
Tornai a guardare il marciapiede ancora abbastanza sgombro dai passanti.
-Solo recentemente. E non tutte le notti-
-Stanno aumentando da quando sono cominciati. Prima ne avevi uno a settimana. Poi 2…adesso 3! E hai fatto già più di 7 sogni dove qualcosa prende fuoco, scoppiano incendi e cose del genere!-
-Che fai, li conti anche?-
-Certo! E dovresti farlo anche tu! Te lo dico io, questo è un segno!-
Alzai gli occhi al cielo.
-Oh, ti prego Sesì! Ora non ricominciare!-
La nonna di Cecilia faceva di lavoro la cartomante, percui lei era molto suscettibile per quanto riguardava i tarocchi, i segni, le congiunzioni astrali e tutte queste, passatemi il termine, “stronzate” qui. Scurrile ma vero. Ora lei si era impuntata sul fatto che questi sogni erano una segno di ammonizione contro un pericolo imminente. Per me erano semplici incubi, tutto qui. Se poi in tutti quanti era sempre presente il fuoco, per me era semplice coincidenza.
-Ma potrebbe essere uno spirito, un tuo antico parente defunto che cerca di darti un segno su un demone oscuro-
-Si, come quello nel mio armadio quando avevo sette anni-
-Esatto!-
-Sesì, era una felpa! Mi hai fatto fare 4 volte il lavaggio con acqua santa improvvisata a tutto l’armadio!-
- Gea!- Mi si piantò davanti prendendomi le spalle fissandomi con sguardo grave.
-Io non voglio che ti accada nulla di male. Sei la mia migliore amica!- Sorrisi nonostante la stanchezza e il mal di testa. Le misi le mani sulle braccia e avvicinai il mio viso al suo pieno di piercing.
-Cecilia, non mi accadrà assolutamente niente. Sono solo incubi, chiaro?- Le detti alcune pacche sulla spalla, mi liberai dalla sua presa e ripresi a camminare. La ragazza, altissima e vestita in modo improbabile, mi raggiunse a corsa.
-Almeno fatti leggere i tarocchi da mia nonna!-
-Cecilia!- strepitai.
Il discorso andò avanti per un po’. Più che discorso, in effetti, era un monologo visto che Cecilia andava avanti a domande alle quali si dava da sola la risposta. Arrivammo a scuola poco prima che la campanella mi suonasse fastidiosa nell’orecchio e cominciasse a prendere a botte il mio cervello. Io e Cecilia ci separammo per dirigerci nelle nostre rispettive classi, la 5B e la 5L. Piagnucolai rassegnata al fatto che ormai oggi sarebbe stata un giornata tutta così. A partire dalla lezione di inglese con quella cornacchia della Salvemini per poi finire con la Brulli di storia dai leggendari toni altisonanti e sgraziati. In classe si boccheggiava dal caldo. Le cinque finestre spalancate non facevano entrare il benché minimo alito di vento.
All’uscita da scuola fui travolta dalla fiumara di persone che mi spintonarono come un branco di gnu. Con il sole bestiale delle 13 che mi picchiava sulla testa, mi buttai in modo sgraziato sotto l’albero vicino alla pensilina dell’autobus. La panca all’ombra della grande struttura in ferro ero già piena zipilla, così mi accontentai del povero albero di turno.
-Geaaaaaa!- Mi voltai accigliandomi  mentre mi scioglievo la coda che era collassata sino alla spalla. Cecilia stava correndo verso di me con i pantacollant leopardati aderentissimi alle sue gambe impietosamente secche. L’anellino al naso sbrilluccicava festoso riflettendo la luce solare. La minigonna verde acceso, che non c’entrava nulla con le macchie dei pantacollant, saliva sempre di più verso la camicetta bianca. Mi domandai come facesse a stare con il gilet di jeans, anche se era sganciato. Le mille collane argentate e maxi lunghe le arrivavano fin sotto al petto, accecandomi con il loro luccichìo.
-Cecilia, ma non uscivi alle 14?- domandai raccogliendo i capelli sulla nuca il più possibile lontani dal collo. La ragazza mi raggiunse e si mise seduta vicino a me con la mia altrettanta grazia.
-Già, ma il professore di fisica si è rifiutato di fare lezione con quel caldo e ci ha dato il permesso di uscire in segno di protesta. E’ più lavativo di noi quell’uomo. Non mi sorprenderebbe vederlo fuori da scuola con un megafono in mano a strepitare “Occupiamola, occupiamola”-
-Ma se classe vostra è all’ombra?-
-Lo so. Ma non credo che nessuno avesse intenzione di farglielo notare. E poi stava sudando come una grondaia, ci avrebbe annegato col suo stesso sudore-
-Che schifo- obiettai con una smorfia di disgusto. L’idea dei ragazzi che annegavano nel sudore mentre Cecilia utilizzava il banco come zattera mi fece fare una capriola allo stomaco.
-E poi le grondaie non sudano- continuai.
-Dai, sai cosa intendevo!- Si misi a cercare qualcosa nello zaino tirando fuori libri, quaderni, cellulare e qualche assorbente che prontamente nascosi con il piede. Riemerse dalla sua ricerca con una sigaretta in bocca ed un accendino in mano. L’accese e rimise tutto apposto mentre le legavo i capelli. Non la potevo vedere con quella chioma tinta che le copriva metà della schiena. Due miei compagni di classe mi passarono davanti e mi salutarono. Ricambiai il saluto e tornai a sedermi aspettando la Sita.
-Gea…- mormorò Cecilia senza tono.
-Si?- Mi voltai a guardarla. Poi vidi che guardava avanti, lo sguardo assente perso nel vuoto attraverso gli edifici.
-Gea…- ripetè.
-Sesì?- domandai alzando un sopracciglio. Ci fu un momento di silenzio, poi si voltò di scatto a guardarmi.
-Ti sei mai chiesta perché ti chiami così?-
Sobbalzai andando un po’ indietro e portandomi una mano al petto.
-No. Perché, tu ti sei mai chiesta come mai ti hanno chiamato Cecilia?- Mi rimisi dritta distendendo  le gambe soffocate dai jeans.
-Qualche volta. Ma il tuo è un nome…particolare. Gea. Vuol dire terra.-
-Si, lo so. L’ho studiato anche io il greco antico. A mia mamma piaceva e me l’ha dato- risposi facendo spallucce.
-Scusami, non volevo rammentare tua madre-
-Fa niente Sesì-
Era proprio mia madre che mi aveva dato questo nome. Lei si chiamava Cora, che voleva dire sempre terra in greco antico. Sparì quando rimase in cinta. Ricomparve nove mesi dopo, mi dette alla luce e poi sparì nuovamente. Mio padre non sapeva dove fosse andata per tutto quel tempo, ne dove fosse tornata quando sparì la seconda volta. Io non l’ho mai vista, nemmeno in foto. Non era ritratta in nessuna delle cornici a casa. Anche il suo ricordo era sfumato nella memoria di papà. Non ricordava poi così bene cosa fosse accaduto, come se la sua mente avesse lavato via quel periodo e ne fosse rimasto solo un cupo residuo sbiadito. Mio fratello Davide era figlio di una ex di papà. Un “errore” come lo aveva definito quella sgradevole donna. Era successo per caso, 6 anni dopo la mia nascita. Mio padre si era ubriacato e…è successo quel che è successo. Non sono arrabbiata con lui, mi fa quasi pena. È rimasto solo con due figli. In effetti c’è rimasto un po’ di sasso quando questa Lucia è piombata una mattina in casa nostra con un bambino di pochi mesi fra le braccia ed ha preteso che se lo tenesse lui. “Questo è colpa tua!Tu lo hai fatto, tu te lo tieni!” Ovvia! Girò il culo e se ne andò. Mio padre, nonostante tutto, decise di tenerlo. Ed ora eccoci qua, un’allegra famigliola di tre persone; un uomo senza moglie con i suoi due figli senza madre. Evviva la famiglia! Credo che avrei odiato mia madre se solo papà non ne avesse parlato sempre così bene. Diceva che non se ne sarebbe mai andata senza un motivo più che logico e plausibile. Raccontava anche che era una donna di una dolcezza indescrivibile, bella, solare, affettuosa. “Me la ricordi tanto. Hai i suoi stessi lineamenti. Gli stessi occhi, un po’ più scuri” mi diceva qualche volta. Era felicissima di avere una figlia, diceva che così il suoi doni più preziosi sarebbero stati uniti in una cosa sola. Uno di questi doni ero io, ma nessuno sapeva quale fosse quest’altro dono di cui parlava.
 
Tossicchiai e sventolai via una nuvoletta di fumo che si insinuò nelle miei narici interrompendo il flusso di ricordi
-Ma devi proprio fumare?- domandai infastidita.
Non sopportavo il fumo, mi toglieva l’aria. In generale non ho mai sopportato niente che bruciasse, come il fuoco, fiammiferi, fornelli…o sigarette, appunto. Adoravo stare al sole, mi abbronzavo subito. Ma non sopportavo quando quello schifo grigio aleggiava nei dintorni.
-Sto cercando di smettere, ma tutte le volte le sento che mi chiamano “Ceciliaaaaa….Ceciliaaaaa” - Sorrisi e scossi la testa. Per un momento dimenticai la mia stanchezza.
-Sei proprio di fuori Sesì- Continuai a ridere alle stupide battute della mia amica. Ormai era partita e non l’avrebbe più fermata nessuno. Dopo 10 minuti circa arrivò la Sita e io mi alzai spolverandomi i pantaloni. Salutai quella svitata di Cecilia e salii su quel piccolo paradiso viaggiante. Il contrasto fra i 40 gradi esterni ed i 20 interni mi strappò un soffuso gemito di piacere. Mi buttai a peso morto su uno dei posti nella parte più in fondo, spaparanzandomi a mio piacimento. La Sita era vuota per il momento e mi rilassai sullo schienale. Presi le cuffie e le collegai al cellulare, immergendomi nella musica. Pochi minuti dopo chiusi gli occhi e mi addormentai.

Tutto è buio davanti a me. Una distesa completamente nera come il petrolio mi circonda, ma non nasconde niente dietro di sé se non altro buio. Improvvisamente una scintilla nel mezzo del nulla si accende e subito scatena un incendio che brucia e divampa ovunque.

Aprii gli occhi con il cuore a mille. Sospirai tirandomi su con il collo dolorante mentre l’asfalto correva veloce sotto il mio sguardo assonnato. Controllai l’ora sul telefono e mi accorsi che avevamo viaggiato già per una decina buona di minuti. Mi rimisi dritta stirandomi e sobbalzai ritrovandomi mio fratello accanto.
-Davide!- esclamai togliendomi gli auricolari.
-Ciao Gea- rispose assorto nella sua contemplazione delle applicazioni del cellulare.
-Che fai?- domandai allungando il collo sullo schermo. Una macchinina rossa che sfrecciava a trecento in una strada tutta curve mi chiarì subito la situazione.
-Gioco-
Roteai gli occhi e mi rinfilai le cuffie nelle orecchie alzando il volume al massimo. Battendo testate al finestrino ad ogni buca, dosso rallentatore e bozzo sull’asfalto, mi ritrovai a fissare i campi erbosi spettinati dal vento, lontani ormai diversi chilometri da Firenze . Improvvisamente passammo davanti ad un posto un po’ particolare. Era un prato d’erba sgombro da qualsiasi albero, arbusto o cespuglio. Eccetto uno. Era la centro del prato, solitario e verdeggiante. Ma ciò che veramente mi aveva sempre incuriosito di quel giovane albero era la forma. Sicuramente frutto di una prospettiva sfocata ed ingannevole, l’albero appariva a forma di cervo. Accucciato, come in attesa di qualcosa, di qualcuno. Il lungo collo sorreggeva una testa agghindata la lunghe corna costituite da rami. L’effetto era reso meglio d’inverno, dove i rami sembravano vere e proprie protuberanze cornee, ma d’estate lo spettacolo era assai più appariscente. Lo fissai come facevo sempre quando gli passavo davanti. Forse lo avevo fatto anche stamattina nella confusione generale del mio cervello. Dopo pochi minuti chiusi nuovamente gli occhi e mi riaddormentai appoggiata al finestrino tremolante. Fui svegliata da qualcuno che mi stava scuotendo dal braccio sinistro. Aprii gli occhi di scatto e riconobbi il grande prato sulla collina dov’era abbarbicata casa mia. Guardai Davide che si stava mettendo la cartella sulle spalle e mi fissava con quei grandi occhi castani leggermente coperti dal ciuffo corvino dei suoi capelli.
-Vai a fermare il guidatore-
Davide annuì e si diresse a lunghi passi verso l’uscita con andamento traballante a causa delle tante curve. Io mi stirai più che potei, poi mi alzai di scatto e raggiunsi Davide pochi secondi prima che la Sita si fermasse. Salutammo il conducente e ci incamminammo sotto il sole cocente verso casa.

Salve a tutti! Spero che vi sia piaciuto il testo, anche se sono consapevole del fatto che è lento. Lo sarà ancora per un po', ma la fase d'inizio non poteva essere troppo ricca di avvenimenti. I nomi non saranno dei più fantasiosi, ma ero a corti di idee migliori XD
Spero che a qualcuno possa piacere. Vi prego, recensite! Grazie a tutti
Flareon24

  

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Capitolo 2
*** Fuoco, fiamme e carbonara- 2° parte ***


-Geaaaaaa!- mi chiamò mio padre dal piano di sotto.
-Si?- domandai alzando la testa dal libro di filosofia.
-Vieni, si cena-
-Si, arrivo subito-
Chiusi con un tonfo quel tomo dalle infinite pagine e mi strinsi gli occhi che frizzavano con le dita. Scesi le scale sbadigliando ed andai in cucina
-Studiavi?-
-Già. Aristotele era proprio simpatico, peccato che sia morto qualche secolo fa- commentai sarcastica.
-Dovrò studiare anche io quella roba?- domandò Davide quasi impaurito.
-Non so, dipende da che scuola sceglierai-
-Una qualsiasi, basta che non si studi quella roba che ti sentivo ripetere prima-
-Sei solo in seconda media, hai tutto il tempo per decidere-
Il piatto di pasta alla carbonara che papà portò a tavola fece cessare la mia osservazione, soffocata dal borbottio del mio stomaco. Dopo aver mangiato una porzione di pasta che sarebbe bastata a sfamare un esercito di troiani, mi buttai soddisfatta sullo schienale della sedia.
-Buona papà- commentò soddisfatto Davide mentre tamburellava con la mano sulla pancia.
-Ci farai diventare dei botoli- osservai reclinando la testa all’indietro per seguirlo con lo sguardo.
 
Davide si godette una mezz’ora di televisione mentre io e papà sparecchiavamo.
-Sei preoccupata?-
-Per cosa?-
-L’esame di maturità. È vicino-
-Oh…già…quello. Mi era passato di mente- scherzai.
-Dai, vedrai che andrai benissimo- disse abbracciandomi.
Lo strinsi con i gomiti, non potendo avvicinare le mani piene di posate sporchissime alla sua camicia pulita.
Verso le 21 portai Davide, quasi di peso, fino in camera sua per mandarlo a dormire.
-Ma non ho sonno Geaaaaa. Dai, solo 5 minutiiii!- mi supplicò mentre lo trascinavo per un polso lungo il corridoio del piano di sopra.
-Smettila di impuntarti e di fare il mulo bizzoso. Avevamo pattuito televisione fino alle 21 ed entro le 21:10 a letto!-
Lo tirai più forte con enorme sforzo mentre il tappeto diventata tutto una grinza.
-Ti pregooooo!Non ho sonno!-
-Ti verrà!-
Quando finalmente riuscii a portarlo in camera mi ci vollero altri 10 minuti buoni per convincerlo a mettersi il pigiama, lavarsi i denti e infilarsi a letto.
-Ecco, ora sono le 21:16. Sei in ritardo di 6 minuti- gli dissi mettendomi seduta sul suo letto.
-Mi sarei cambiato più in fretta senza te in camera- brontolò incrociando le braccia e facendomi la linguaccia.
-Ma ti vergogni di tua sorella? Sei proprio un maschio-
-E se venissi io in camera tua mentre ti cambi? Saresti contenta?-
-E’ diverso- obiettai sorridendo.
-In cosa?-
-Te lo spiego quando sarai più grande-
Gli detti un bacio sulla fronte e mi alzai, dirigendomi verso la porta.
-Perché non me lo spieghi ora?-
-Notte!- esclamai per scansare la domanda. Uscii fuori e presi la maniglia per chiudere.
-Dai, dimmelo!-
-No!- Gli feci la linguaccia con una smorfia e spensi la luce.
-Buonanotte marmocchio-
-Notte brutta racchia-
Chiusi la porta sorridendo e mi diressi in camera mia, che era praticamente di fronte. Riaggiustai un po’ il tappeto con la punta dei piedi ed entrai nella mia stanza. Il solito disordine rivestiva ogni angolo della camera. Sbuffai appoggiandomi sulla porta chiudendola. Avrei rimesso apposto il giorno dopo, in quel momento ero veramente troppo stanca. Scansai giusto la roba che era sul letto e la trasferii sulla scrivania. Spalancai le finestre per il gran caldo che già mi si era appiccicato addosso. Sfortunatamente la stanza era grande e ci metteva sempre un sacco ad arieggiarsi come si deve. Mi spogliai, togliendomi con estremo piacere i vestiti di dosso. Fu come togliersi una specie di seconda pelle, troppo aderente ed asfissiante. Abbandonai gli abiti in fondo al letto dove presto sarebbero stati raggiunti dalle coperte. Mi grattai il tatuaggio tribale che avevo dietro alla base del collo, già sudato fradicio. Odiavo tutto quel caldo! Mi misi addosso solo una maglietta leggera terribilmente trasparente e le mutande. Mi buttai a peso morto sul letto e spensi la luce, godendomi le ombre proiettate dalla luce dei lampioni che filtrava dalle persiane chiuse. Non un alito di vento spostava l’aria pesante in camera, così mi avrebbero ucciso! Non riuscii a prendere sonno quella notte, avrei preferito quegli stupidi incubi infiammabili piuttosto che rimanere sveglia per tutte quelle ore. Sbuffai rigirandomi per tutto il tempo a contare pecore che saltavano, pigne che cadevano e paperelle che attraversavano la strada. Finii poi con l’impazzire e cominciare a canticchiare canzoni a random. Mentre cantavo “mamma mia” mi venne da pensare a mia mamma. A quante cose mi ero persa e avrei continuato a perdere. L’adolescenza, il primo fidanzato, il matrimonio. Le lamentele per quanto fossero stronzi i ragazzi, dura la scuola, cose così.
-Perché sei andata via?- Incredibile a dirsi, 20 minuti dopo mi addormentai.
 
Salve a tutti!! Allora, come prima cosa mi scuso. Come avrete certo notato, questo non è certo un capitolo degno di questo nome. La verità è che ho misurato male la lunghezza del primo e mi sono venuti due capitolo: uno che non finisce più e uno minuscolo.  Il primo era troppo lungo per essere messo per intero- Questa è l’ultima parte del primo capitolo, dopodiché inizierà la prima parte del secondo. Questa volta vedrò di misurare meglio, scusate ancora! E poi ci tengo tantissimo a ringraziare le seguenti persone: WingsFly, Rachel Wrote, Emy96, Hellen96 e AxXx. Vi ringrazio infinitamente per le vostre recensioni, mi hanno molto incoraggiata! Grazie davvero di cuore!
 

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Capitolo 3
*** AAA cercasi normalità scomparsa 1°parte ***


...Ti sto aspettando...
 
La voce baritonale ma giovanile mi rimbombò in testa come l’eco in una grotta. Mugolai girandomi stancamente a pancia in su come una foca arenata, quello doveva essere il paragone più adatto. Un bagliore improvviso mi fece strizzare gli occhi, tingendo tutta la mia visuale di rosa. Qualcuno aveva acceso la luce di camera.
-Qualcuno la spengaaaaa…- mi lamentai girandomi nuovamente a pancia in giù. Sprofondai la faccia nel cuscino mettendomi le mani sulla testa.
-Gea, piccola, è ora di alzarsi-
-Mmmmmm- fu la mia risposta definitiva. Allungai il braccio destro sulla parete vicina al letto, cercando disperatamente l’interruttore della luce. Mossi il braccio a tentoni tirando giù la sveglia, che fra parentesi era già rotta e piena di scotch, alla quale andò subito a fare compagnia il libro “Il ritratto di Dorian Grey” e la pianta grassa.
-Aia!- esclamai alzando la testa di scatto e portandomi la mano davanti al viso.
-…mi sono bucata- borbottai in tono infantile.
-Se ti fossi alzata quando te l’ho detto io tutto questo non sarebbe successo-
Mugolai nuovamente e lasciai andare la faccia sul cuscino.
-Ti aspetto giù fra massimo 10 minuti per la colazione. Se non scendi ti spedisco Davide in camera-.
-Oh, per carità!- esclamai con la voce soffocata dal cuscino. Sentii la porta chiudersi ed i pesanti passi di papà che scendevano le scale. Fui tentata di spengere la luce e rimettermi a dormire come se niente fosse, ma poi padre avrebbe mandato il marmocchio in camera e questo lo volevo in tutti i modo evitare.
Avrebbe fatto come sempre, come tutte le volte che veniva incaricato da papà di tirarmi giù dal letto. Si sarebbe messo a sedere sulla mia schiena ed avrebbe cominciato a saltare a ritmo di  “Sveglia, sveglia. Geaaaaaa, svegliaaaaaa!”. Lo avrebbe fatto volentieri anche solo per avere la sua vendetta su di me, per averlo spedito a letto senza ritegno.
 Con uno sforzo che superava di gran lunga le mie capacita di quel momento, mi tirai su dal letto. Anche perché stavo soffocando con la faccia nel cuscino. Raccattai il cactus, la sveglia ed il libro, riponendo tutto a casaccio sul comodino. Presi i vestiti in fondo al letto e me li infilai con gli occhi praticamente chiusi. Mi svegliai del tutto solo quando l’odioso spigolo del fottutissimo letto tagliò la strada al mio sfigatissimo mignolo del piede destro. Saltai due o tre volte sul piede sano a mò di cartone animato Looney Toones tirando giù le peggio maledizioni e benedizioni. Le sputai fuori in modo talmente rapido e consecutivo che l'unica cosa che si capì fu solo  il “Ti odio!”che dissi alla fine.
Con l’umore nero già di prima mattina, mi infilai le scarpe e scesi in cucina con una nuvola nera che lanciava saette e fulmini ovunque.
-Ah, finalmente sei scesa!- esclamò mio padre. Mi buttai a sedere sulla sedia di cucina e mi stropicciai il viso.
-Gea…- mi chiamò Davide.
-Cosa…c’è?!- risposi spazientita.
-Hai la maglietta al contrario-
Mi guardai addosso e constatai che, effettivamente, avevo l’etichetta che mi svolazzava appena sotto il mento. Alzai gli occhi al cielo e feci per sfilarmela quando mio padre mi prese il braccio e mi fermò.
-No no no no no no. Gea, non qui!- osservò lanciando uno sguardo fugace a mio fratello.
-Giusto…- Mi alzai e andai in salotto a rigirarmi la maglietta.
Venti minuti dopo ero alla fermata della Sita con mio fratello ad aspettare che l’autista si ricordasse di partire. Faceva già abbastanza caldo pur essendo solo le 6:50 di mattina. Il cielo era limpido, nessuna nuvola ne macchiava la purezza. I colori andavano dal rosso, al rosa, al celeste chiaro. Una brezzolina leggera smuoveva le foglie che frusciavano quiete. La strada era sgombra da camionisti perversi che suonavano in malo modo il clacson e che, puntualmente, ero costretta a mandare a quel paese. Tutto era semplicemente perfetto. E allora perché ero così dannatamente nervosa?! Davide, percependo l’aura nera che mi circondava, aveva già preso la dovuta distanza da me. Arrivò finalmente la Sita, per una volta in orario. Salimmo e io non salutai nemmeno il conducente, probabilmente avrei rischiato di sputargli in un occhio. Ci sistemammo comodamente in fondo, dove c’era sempre poca gente e si poteva stare tranquilli e comodi senza invadere lo spazio vitale altrui. Appoggiata al finestrino, mi misi le cuffie alle orecchie per estraniarmi dall’uggioso mondo esterno. Mio fratello, seduto accanto a me, si mise a ripassare geografia.
Durante il viaggio la musica e la tranquillità fecero il loro piccolo miracolo e i miei nervi tornarono distesi come prima.
-Ti serve una mano Davide?- domandai sfilandomi le cuffie.
-No Gea, grazie. L’Africa non è poi così difficile. Secondo te se dicessi alla prof che mia sorella si chiama Terra mi aumenterebbe il voto?-
-No, non credo- risposi con una smorfia di disappunto. Lui fece spallucce e tornò a ripassare. Mentre mi rimettevo le cuffie, scorsi dal finestrino l’alberello solo soletto nel campo. Ne studiai la forma attraverso il mio riflesso sul vetro, rimanendone incantata come se fosse la prima volta che lo vedevo. Era sempre così a dire il vero. Mentre ne contemplavo le singolari sembianze, mi ritrovai scaraventata addosso a Davide, il quale cadde a terra fra i due sedili. Sentii il mezzo di trasporto che slittava sulle ruote senza riuscire a fermarsi, disubbidendo ai comandi dell’autista. Le ruote fischiarono cercando di rimettere in equilibrio il pesante mezzo, senza successo. Improvvisamente sentii uno stonfo proprio dietro di noi e capii che la parte posteriore si era andata a schiantare contro il muro di destra. Sennonchè riuscimmo finalmente a fermarci. Mi tolsi repentinamente le cuffie e mi alzai per dare una mano a Davide.
-Stai bene?- domandai preoccupata. Lo presi per le braccia e lo tirai su di peso.
-Si, tutto ok. Ma che è successo?- Si spolverò la maglietta mentre e si guardava attorno. Percorsi rapidamente il corridoio e constatati con sollievo che stavano tutti quanti bene. Le persone, superato il momentaneo shock, cominciarono ad alzarsi per capire cosa fosse accaduto. Sentii il motore che, nonostante le ripetute imprecazioni ed incitazioni del guidatore, non ne voleva sapere di accendersi. La chiave girava ma il motore non partiva. Nel brusio generale la voce del conducente richiamò il silenzio.
-Signori, scusatemi! Abbiamo sbandato, non possiamo muoverci al momento. Vi prego di scendere dal mezzo e di attendere qualche minuto in attesa di istruzioni-
Tornai al mio posto e presi lo zaino.
-Andiamo Davide, dobbiamo scendere-
-Come mai? Abbiamo investito qualcuno?-
-No, l’autista ha perso il controllo. Niente di grave. Ora scendiamo ed avvisiamo papà, così chiama a scuola ed avverte-
Scendemmo dal mezzo dalla porta principale. Una volta fuori mi resi conto che la Sita aveva sbandato in modo talmente assurdo da finire con l’occupare tutte e due le corsie.
Due lunghe file di macchine vennero a crearsi da lì a pochi minuti. Chiamai mio padre e lo avvertii dell’accaduto.
-Ma voi state bene, vero?-
-Si papà, te l’ho già detto 2 volte. Nessuno si è fatto male-
-Va bene, l’importante è quello. Ok, avvertirò le scuole. Voi intanto mettevi da una parte e non vi muovete. Mi raccomando-
-Si papà, tranquillo. Ci sentiamo dopo-
-Va bene, ciao-
Riattaccai sbuffando e mi diressi verso Davide che stava ancora osservando l’enorme mezzo blu che intralciava la strada.
-Vieni, mettiamoci da una parte. Qui diamo solo fastidio-
Mentre il guidatore sistemava i triangoli arancioni di segnalazione, io e tutte le altre persone ci dirigemmo verso il ciglio della strada. Mi guardai attorno. Chi telefonava, chi imprecava, chi cercava di capire cosa fosse successo.
-Ma come diamine sarà successo?- domandò Davide. In effetti era abbastanza strano che un mezzo con così tante ruote sbandasse così, senza un motivo. Il conducente non aveva cercato di scansare qualcuno o qualcosa nel mezzo della strada. Possibile che avesse fatto una manovra così repentina per nulla? Scossi la testa stringendo gli occhi fra le dita e mi appoggiai al guard rail. Udii di striscio il guidatore che parlava al telefono con qualcuno.
-Mi è scappato di mano il volante. Così, da solo. È come se avesse sterzato di testa sua. Ti giuro! Io non, ho toccato niente! Ascolta…-
Purtroppo si allontanò e non riuscii a sentire il continuo di quell’ambigua telefonata, ma quel poco che avevo udito era bastato a disorientarmi più di prima.
Aspettammo 10 minuti senza che nessuno venisse a darci una mano. Il conducente doveva ormai tenere alla larga la gente con il bastone e la frusta per evitare di essere scannato vivo. Intanto il sole si era alzato ed il caldo aumentava. Le macchine avevano continuavano a fare inversione a U per cercare un’altra strada percorribile.
Mentre Davide continuava a ripassare seduto per terra, mi voltai indietro, distratta dal rumore di un uccellino. Notai solo allora che eravamo vicini proprio al curioso albero nel campo. Avrei sempre voluto poterlo osservare da vicino e sfatare così quel mito che mi ero creata dell’albero-cervo. Mi piegai sulle ginocchia fino ad arrivare all’altezza del viso di mio fratello.
-Davide, torno subito. Tu non ti muovere da qui, intesi?- Il ragazzo annuì distrattamente senza staccare gli occhi dalle pagine sfondate dall’evidenziatore. Mi rialzai e scavalcai il guard rail, piombando in mezzo all’erba secca. Mi avviai a passo deciso verso il centro del campo, pestando a grandi passi l’erba alta fino al mio ginocchio. Più mi avvicinavo all’albero e più una strana sensazione mi assaliva da dentro. Non sapevo spiegarmela, era come di trepidazione. Una grande soddisfazione dopo un’estenuante attesa. Arrivai finalmente a destinazione, attraversando quell’immenso mare giallastro. Guardai bene il fusticello altro si e no un paio di metri e mezzo.
-Non è affatto la prospettiva…- osservai a bocca aperta. L’albero aveva seriamente la forma di un giovane cervo dalle rigogliose corna verde acceso. Era forse una delle cose più belle e maestose che avessi mai visto. Sotto l’ombra cangiante della grande chioma, osservai ogni lineamento, ogni più piccolo dettaglio di quella meraviglia della natura. Osservai il muso dell’animale, il sinuoso collo, l’elegante e regale portamento, il corpo munito anche del più piccolo dettaglio. Quasi si intravedevano i forti e slanciati muscoli sotto la scorza di duro legno.
-Ma come ha fatto a venire fuori una cosa del genere?- Puntai i miei occhi in quelli che, teoricamente, sarebbero dovuti essere quelli del cervo. Sembravano pieni, animati, vivi nel rispecchiare l’anima di quella creatura. Scuri come la pece, intensi e profondi. Ad un certo punto mi sembrò quasi che sbattesse le palpebre. Le sbattei anche io ripetutamente.
-Oioioio…il caldo gioca brutti scherzi- Mi stropicciai gli occhi e tornai a fissare il muso del cervo. Sobbalzai quando notai che era girato in modo diverso. Se prima era leggermente rivolto verso la mia sinistra, ora guardava dritto davanti a se. Scossi la testa avvicinandomi di qualche passo. Improvvisamente ecco che la testa del cervo si muove scricchiolando. Trasalii ed indietreggiai mentre l’animale mi guardava incuriosito con i suoi grandi occhi neri.
-Oh mio Dio…-
Caddi a sedere, indietreggiando con le mani. Mi volati rapidamente per vedere se qualcun’altro stava assistendo a quell’assurdo spettacolo, ma nessuno sembrava accorgesi di nulla.
-Cristo, un albero si muove e nessuno lo nota?!- esclamai in tono bizzoso ed isterico. Guardai l’animale che stava allungando il collo in avanti, avvicinandosi sempre di più a me.
-Oddio, cosa vuoi? Vattene, vattene!- Continuai ad indietreggiare, ma alla fine mi raggiunse. Trattenni il fiato attendendo un suo gesto, che qualcosa accadesse. Mi arrivò a pochi centimetri, poi si fermò. Si mosse nuovamente, io chiusi gli occhi e lui mi appoggiò delicatamente il muso sulla fronte. Era…stranamente caldo. Sentii come qualcosa che mi fluiva in testa, poi scendeva fino al petto, poi la pancia. Una specie di energia mai provata, sconosciuta del tutto al mio corpo. Aspettai un paio di secondi, poi riaprii piano piano gli occhi. Stavo fissando il cielo azzurro, spoglio e pulito. L’erba giallastra si muoveva appena, smossa da un fresco alito di vento. Starnutii e mi tirai su con i gomiti. Davanti a me c’era solo un albero secco e mingherlino con una grande e folta chioma verdeggiante. Niente cervo, niente occhi, niente calore. O meglio, il calore c’era. Era quello asfissiante del sole di Giugno che persisteva nell’ardere impietoso la mia pelle.
-Mm…sono distesa in un prato. Che ci faccio?-  Mi misi seduta e mi guardai intorno cercando di fare un resoconto di quello che era successo.
-Sono venuta qui per vedere quest’albero- dissi fra me e me indicando l’alberello con l’indice. Poi mi voltai e vidi la Sita ancora bloccata di traverso sulla strada asfaltata.
-Eeeee…quella si è schiantata prima, si- continuai roteando il polso ed indicando il mezzo con il dito.
-Ok, rialziamoci con molta calma e disinvoltura e…-
Mi alzai dal grande prato e mi spolverai i pantaloni e la maglietta. Alzai la testa dai miei indumenti impolverati e guardai verso la folla di gente che, non avendo niente di meglio da fare a picco sotto il sole, si era messa a guardarmi come se fossi appena spuntata dal sottosuolo.
-…ovviamente fai girare tutti quanti- Mi morsi le labbra fissando il terreno e m’incamminai più che imbarazzata verso il mio pubblico. Fissandomi le scarpe ripensai a ciò che avevo creduto di vedere. Lo avevo chiaramente immaginato, perché un albero non può prendere ed iniziare a muoversi come se niente fosse. Oppure no? Rialzai la testa e sorrisi con molta nonchalance alle persone che mi stavano fissando.
-Salve. Caldo, eh?- Vidi che Davide mi stava fissando fra le persone, appoggiato al guard rail. Con il viso perplesso mi mimò con le labbra un confuso “Ma che combini?!” Gli lanciai un muto“Niente” sventolando la mano in senso vago mentre scavalcavo. Tossicchiai e presi il telefono facendo finta di mandare un messaggio.
Mezz’ora dopo arrivò un camion giallo con delle luci lampeggianti arancioni sul tetto. Un sospiro di sollievo si sollevò da tutto l’allegro gruppo di “naufraghi” della strada.
-Meccanico?- domandò Davide.
-Già…- risposi distratta fissando l’asfalto. Due mani schioccarono proprio davanti al mio viso. Trasalii e mi voltai verso Davide che mi guardava con un ciglio alzato.
-Si può sapere che ti prende?-
-Niente, pensavo. Dai, alziamoci di qui- Mi tirai su spolverandomi le mani e guardai il carrattrezzi che si avvicinava lampeggiando. Mi asciugai il sudore con il braccio, spostandomi insieme a tutti gli altri più lontano possibile dalla zona della manovra. Alcune macchine erano venute per portare via la più parte delle persone, perciò eravamo rimasti solo un pugnello di gente. Il camion giallo si fermò vicino alla Sita e ne scesero 2 uomini con una divisa blu piena di chiazza nere e lucide. Si diressero verso il guidatore e si misero a parlare, gesticolando come suocere. Inutile cercare di capirci qualcosa, a meno che il labiale ed un’approfondita conoscenza della meccanica non rientrino nelle competenze di chi ascoltava. Mentre il guidatore cercava di spiegare a gesti che piega avesse preso il volante, uno dei due meccanici aprì il grande sportello sul retro della Sita. Non ne uscì né una nuvola di fumo né un rumore. L’urto con il muro aveva danneggiato solo il fanale posteriore, niente di più. L’uomo tornò dal suo collega, facendo spallucce ed affermando che il motore non era danneggiato. I tre si guardarono, poi salirono sul mezzo e provarono a mettere in moto. Signore e signori, udite, udire! Si accese. Non fece nemmeno un capriccio, il motore si avviò come se niente fosse successo. La folla di gente cominciò a mormorare mentre il conducente si voltava esterrefatto verso i due uomini in divisa. I meccanici si guardarono e scesero sbuffando, avviandosi scocciati verso il camioncino giallo acceso. Il conducente scese veloce e corse dietro ai due, probabilmente per cercare di convincerli che non era un idiota che non sapeva nemmeno mettere in moto. I due non l’ascoltarono nemmeno, risalirono sul camion e, con una sconsigliabile inversione a U, se ne tornarono da dove erano venuti.
-…cos’è successo?-  domandò Davide per l’ennesima volta un po’ confuso.
-Non ne ho idea-
Il guidatore tornò sulla Sita scuotendo il capo e parlando fra se e se mentre noi tutti aspettavamo di avere istruzioni.
-Signori, si riparte- disse in fine. Salimmo tutti nuovamente sul mezzo di trasporto e ci mettemmo seduti mentre il conducente faceva manovra. Non fu una cosa semplice uscire da quella situazione, ma ce la fece con una moderata dose di imprecazioni.
 
Saaaalve a tutti. Ancora mortificata per il capitolo precedente, ho caricato questo. E’ la prima parte del secondo capitolo, purtroppo uno fra i più lunghi. Non ho potuto spezzarlo in altri modi, ho voluto cercare di fare due parti abbastanza eque. Ditemi voi se è troppo lungo, noioso, monotono ecc...lo sapete che voi recensori siete i miei lumini, mi fate strada XD
Ringrazio ancora di cuore tutti quelli che hanno recensito, anche se non sto qui a scrivere tutti i nomi vi assicuro che mi ricordo di tutti voi! Bene, altro da dire? No, non direi. Buona lettura!

 

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Capitolo 4
*** AAA cercasi normalità scomparsa - 2° parte ***


Contrariamente a quanto pensavo, non successe più alcun tipo di contrattempo lungo il viaggio. Quel giorno avrei voluto disperatamente parlare con Cecilia di quanto era accaduto, tutta la storia del cervo e quant’altro. Purtroppo quel giorno la mia amica dai capelli rosati non c’era e non ci fu nemmeno verso di contattarla. Non rispondeva al cellulare, ai messaggi, su WhatsApp…niente. Sparita. Iniziai a preoccuparmi seriamente per lei, ma non potevo in alcun modo informarmi su come stesse.
Arrivai a scuola alle 9:17 e, teoricamente, non sarei potuta entrare, ma fortunatamente la chiamata di mio padre aveva informato il professore di fisica. Entrai in classe un po’stravolta, spiegando in poche parole cosa fosse successo, saltando ovviamente la scorrazzata del cervo di legno. Lorenzo, che era alla lavagna a tentare di finire un esercizio, mi guardò in cagnesco. Avrebbe dovuto chiamare me quel giorno per l’interrogazione, ma a causa di problemi tecnici non ero potuta essere presente all’appello dei condannati.
La giornata passò tranquilla. Non piacevole, ma tranquilla. Mi ero quasi convinta che sarebbe dovuto accadere qualcosa di spettacolare ed inaspettato. Una di quelle cose che ti cambiano la vita per sempre. E invece non successe assolutamente nulla. Probabilmente mi ero lasciata trasportare un po’ troppo da tutta quella situazione.
Alla fine delle lezioni, mentre mi dirigevo verso la fermata, mandai l’ennesimo messaggio a Cecilia.
-Crederà che sia in punto di morte quando vedrà tutte queste chiamate perse-
Ovviamente non mi rispose. Maledissi il sole che quel giorno mi sembrava più soffocante del solito. A dire il vero mi sentivo soffocare da qualsiasi cosa. Il sole, l’aria, la mia stessa classe. Mi era entrata l’emicrania, fastidiosa compagna degli ultimi mesi. Appoggiata al solito albero, credevo di dover morire lì. La gola mi bruciava dalla gran sete che avevo e mi sentivo gli arti stranamente molli e flosci. Un po’ come le braccia rugose dalla zia Rita. Una smorfia di disgusto si dipinse sul mio volto a pensare a tutta quella pelle cadente e sudata sotto il sole.
Appoggiai la testa al tronco dell’albero e chiusi gli occhi. Dopo poco arrivò la Sita che mi avrebbe riportato finalmente a casa. Salii e mi buttai all’ombra, sotto la bocchetta dell’aria.
-Mi potrà anche prendere un accidente, chi se ne importa!-
Mi godetti il freddo getto d’aria che sicuramente mi stava congelando il sudore addosso. Mi misi le cuffie e chiusi gli occhi, appoggiando la testa al finestrino.
Corro, corro e corro. Sempre dritto, verso il vuoto, il nulla. “Morte” è la parola che mi risuona in testa. Improvvisamente una strana figura mi viene incontro. È enorme, smisuratamente alta. È un leone. Spicca un balzo, mi sta per saltare addosso…
 Una vibrazione molesta mi infastidì la coscia sinistra, svegliandomi dal mio tormentato sonno.
-Basta…- mugolai stropicciandomi gli occhi.
Mi tirai su lentamente scricchiolando. Detti un pizzicotto a Davide che se ne stava seduto tranquillo a fare i suoi giochini al telefono accanto a me. Si allontanò senza staccare gli occhi dal display e rifilandomi un leggera pedata sullo stinco.
-Aia, scemo-
Presi il telefono che era finito proprio in fondo alla tasca. Mi dovetti sdraiare per recuperarlo e per poco non scivolai sotto il sedile davanti al mio. Recuperai il malefico oggetto che intanto aveva cominciato a squillare allegro. Illuminai lo schermo ed il nome di Cecilia comparve intermittente.
-Cecilia!- risposi quasi urlando.
-Hey Gea!-
-Ma non mi dire, sei viva?- domandai sarcastica guardando fuori ed abbassando il tono di voce.
-Scusa, ero ad una seduta –
Alzai un sopracciglio scettica.
-Seduta psichiatrica spero-
-No, spiritica. E mi è stata di grande aiuto-
Roteai gli occhi accomodandomi meglio sul sedile.
-Ma non mi dire…ma davvero i tuoi ti fanno saltare scuola per queste cose? Io non posso rimanere a case nemmeno quando ho la febbre!-
-Certo, sono cose molto importanti! Abbiamo parlato di tante cose. Mia zia Carolina, mio nonno Giovanni ed il mio gatto Tutla-
-…ma Tutla non è morta 2 anni fa?-
-Già, anche i parenti citati prima! Abbiamo parlato con loro. Stanno tutti bene, tranne Tutla che era un po’ contrariata del fatto che l’abbiamo sotterrata in giardino e mio padre l’ha infilzata con la pala…povera. Abbiamo parlato anche di te-
Mi accigliai rimettendomi composta.
-Sesì, non avrai mica parlato loro dei miei sogni?- domandai minacciosa abbassando ulteriormente la voce.
-Ho dovuto farlo Gea! La cosa cominciava a farsi preoccupante-
Sbuffai lasciandomi andare sullo schienale. Alzai gli occhi battendo ripetutamente la testa sul sedile.
-Sei arrabbiata?-
-No Sesì. Però potevi anche tenertelo per te!-
-Scusa, mi dispiace. Vabè, ormai che ci siamo ti dico cos’hanno detto, ti va?-
-Spara. Tanto ormai più ridicoli di così…-
-Hanno visto una cosa al quanto curiosa…Per me non aveva significato, ma forse a te dice qualcosa-
-Se ti decidi a dirmela magari te lo so dire!- esclami al massimo del nervosismo. Basta, non ne potevo ufficialmente più di tutto questo.
-Giusto, giusto. Senti qui. Allora, mia nonna ha avuto una visione. C’eri tu che camminavi in un bosco, sola soletta. Avevi indosso una veste candida, come quelle dell’antica greca-
-Una tunica?-
-Si, roba del genere. Comunque, stavi camminando in questo bosco quando, ad un certo punto, ti ritrovi davanti ad una cosa particolarissima!-
Attesi in silenzio la risposta che sembrava essersi incastrata nel ricevitore del cellulare.
-…allora Sesì?!- la spronai.
-Sai cos’era?-
-No, come faccio a saperlo? Te e le tue pause d’effetto...- esclamai esasperata.
-Un cervo!-
Mi bloccai sgranando gli occhi.
-U…un cervo. Sei…sei proprio sicura che fosse un cervo?- Un improvviso attacco di panico mi prese alla sprovvista.
-In che senso Gea?-
-Non so, magari era un daino…un capriolo…una renna, un’alce…-
-No, se permetti so distinguere una renna da un cervo. Con delle maestosissime corna! Era enorme, un cervo alto forse 3 metri. E tu gli accarezzavi il muso. Poi, improvvisamente, arriva un altro animale…-
Il mio respirò aumentò, divenendo quasi affannato.
-Era un…-
-Leone- conclusi io.
-Esatto…come lo sapevi?-
Rimasi qualche istante bloccata dallo spiazzo.
-Geaaa! Ci sei?- La voce meccanica di Cecilia mi arrivava all’orecchio preoccupata. Mi stropicciai il viso con una mano e chiusi gli occhi per cercare di recuperare la calma.
-Gea!Stai bene?-
-E’ tutta una coincidenza, è tutta una coincidenza, è tutta una coincidenza…- mormorai con voce poco convinta.
-Gea?-
Mi voltai di scatto verso Davide che mi guardava accigliato.
-Stai bene?- Lo guardai un paio di secondi come se fosse un alieno appena sceso sulla terra, poi scossi la testa.
-Si…tutto ok-
-Va bene…se lo dici tu. Sbrigati a rispondere prima che quella stramba di Cecilia dia di matto-
-Cecilia?...Oh mio Dio!-
La mia amica aveva cominciato il conto dei fatidici “3 secondi”. Quando improvvisamente smettevo di parlare la telefono o non le rispondevo, lei contava fino a 3, dopodiché chiamava il 118. Lo fece una volta. Fu imbarazzante dover rispedire all’ospedale cinque persone corse a 120 all’ora fino a casa tua per soccorrerti solo perché era caduta la linea.
-..2 e…-
Veloce come un razzo mi ripresi da quel momento di momentanea confusione emotiva.
-Sesì, niente panico!Ci sono-
-Ah, finalmente! Lo sai cosa sarebbe successo se fossi arrivata a 3?-
-Si, non me lo ricordare-
Mi ero improvvisamente ripresa dall’iniziale attacco di panico. Non credevo a quella roba, sul serio. Ma le coincidenze riscontrate fra i miei sogni e la visione della nonna di Cecilia mi avevano rivoltato un po’ lo stomaco.
-Senti Sesì, cos’altro succedeva nel sogno di tua nonna?-
-Come?...ah si!Il sogno. Dunque, questo leone ti saltava addosso e, mentre stava per prenderti, tutto si blocca per aria. Al posto del leone c’è un ragazzo dal volto sfocato. Dovevi conoscerlo perché lo stavi fissando in cagnesco, come se tu volessi incenerirlo con lo sguardo. Insomma, tu e questo ragazzo vi prendete per mano…-
-Come sarebbe a dire per mano?! Ma non lo stavo guardando male?-
-Aspetta Gea. Non vi prendete per mano come due fidanzatini. Vi prendete per mano come se stesse per giocare a braccio di ferro-
-Ah…continua-
-Cominciate a spingere le mani in direzioni diverse, ripeto proprio come braccio di ferro. Per un certo tempo siete testa a testa, non sta vincendo nessuno. Poi, improvvisamente, il braccio del ragazzo si ricopre di fiamme, il tuo invece di piccole piante rampicanti. Però sono pochissime rispetto al fuoco che ricopre il suo braccio. Il tuo braccio si abbassa sempre di più fino a che…vince lui. Qui reggiti che la cosa è poco piacevole. Tutto sparisce in un’immensa luce bianca e accecante e uno schizzo di sangue imbratta tutta la visuale. E’ il tuo sangue, Gea-
Con lo sguardo perso nel vuoto, fissavo qualcosa di indefinito fuori dal finestrino.
-G, come ho già detto, la cosa non mi piace. Per niente! Tutta questa visione a me non dice nulla. Non so cosa possa essere quel leone, quel ragazzo, quel cervo o perché alla fine tu muoia. Ma credo che tu possa conoscere la risposta. E ti pregherei infinitamente di pensarci un po’ su-
Rimasi pochi secondi in silenzio mordendomi le labbra.
-Queste…visioni sono delle specie di…predizioni del futuro? Cioè, come funzionano?-
-Di solito si, sono visioni dell’imminente futuro. Cose che accadranno in un arco di tempo non superiore all’anno. Ma non è detto che le cose vadano in quel modo! Rappresentano…il corso degli eventi nelle condizioni attuali. Ma se riesci a cambiare il fattore chiave scatenante dell’evento, allora tutto può cambiare in mille e più risvolti. Questione anche di pochi secondi. Però le visioni vanno interpretate, tutto ha un significato-
-Capito. Senti Sesì, ora devo andare. Ne parliamo meglio domani a scuola, ok?-
-Va bene. A domani. Se ti viene in mente qualcosa, chiamami-
-Promesso. Ciao Sesì-
-Ciao ciao G-
Chiusi la chiamata con un nodo alla gola. Guardai fuori appoggiando la testa al finestrino che mi faceva vibrare il cervello. Sbuffai ancora appannando il vetro.
 
Hello! Ho aspettato di più a postare questo capitolo per motivi che non sto qui ad elencarvi. Comunque sia, ho deciso di dividere il capitolo in 3 parti anziché 2 per ovvi motivi di lunghezza del testo. Ancora non è successo nulla di eclatante, ma vi prego di avere solo un’altra po’ di pazienza. Grazie a tutti quelli che continuano a seguirmi, è merito vostro se tutte le volte mi convinco ad andare avanti!! Vi ringrazio tantissimo!
 
 

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Capitolo 5
*** AAA cercasi normalità scomparsa - 3°p ***


Quando arrivai a casa non toccai cibo, bevvi solo 7 bicchieri colmi a raso d’acqua. Non credo nemmeno che facesse bene alla salute tutta insieme a quel modo, fattostà che dopo mi sentii subito meglio. Tornai in forze dopo pochi minuti e braccia e gambe tornarono quelle di prima invece di essere flosce come verza bollita. Mi rintanai in camera, combattendo a stento contro l’immane stanchezza che pesava impietosa sulle miei palpebre. Aprii le persiane per avere più luce possibile e mi misi seduta in terrazza con le gambe scoperte alla luce diretta del sole. I suoi caldi raggi mi fecero ritrovare ancora un po’ di forza, così mi misi a studiare prima che quell’effetto inaspettato passasse. Il sole andava via via allontanandosi sempre più, finchè non mi ritrovai leggermente infreddolita all’ombra. Guardai l’orologio da polso, constatando stancamente che erano già le 19:14. Mi rialzai spolverandomi i pantaloni e, dopo aver rimesso tutto a posto, scesi per preparare la cena. Papà sarebbe tornato fra circa mezz’ora.
Quella sera non cenai, tenni compagnia a papà e a Davide senza toccare cibo. Il solo odore mi dava la nausea...
Quando tentai di prendere un piatto per sparecchiare, mio padre mi fermò e spedì a letto.
-Stasera ci penso io alla cucina e a mandare a dormire tuo fratello, non preoccuparti- mi disse facendomi l’occhiolino. Sorrisi stancamente e non ebbi la forza di rifiutare una così allettante offerta. Così, alle 20:30, mi ero già infilata a letto spengendo la luce. Mi ero fatta un sacco di buoni propositi, come ragionare sulla visione della nonna di Cecilia, ma il sonno mandò tutto a farsi benedire e spense il mio povero cervello annebbiato.
Sto camminando tranquillamente in un campo d’erba verde smeraldo. I grilli spandono il loro richiamo in tutta quell’apparente infinita prateria deserta. Le stelle, più numerose del solito,illuminano alla bell’e meglio il mio cammino. La grande luna pallida sorride a falce nel cielo notturno. Si respira un’aria pulita e sana. Niente fuoco, niente fiamme, niente distruzione. Finalmente. Mentre sono immersa in quel piccolo angolo di sereno paradiso,delle urla mi giungono soffocate alle orecchie. Mi giro da tutte le parti, ma non vedo niente. Nessuno che cerchi aiuto. Eppure le urla sono vive tutte intorno a me. Bambini, donne, uomini. Tutti accomunati da una sofferenza lancinante. Devo fare qualcosa!Non posso ascoltare quello strazio senza fare niente. Perché io posso aiutarli! Comincio a correre verso il nulla davanti a me. Improvvisamente intravedo una figura femminile in lontananza. È una donna, ne sono certa. È una figura senza lineamenti, una specie di manichino nero senza volto né espressione. Allunga le braccia verso di me, come per accogliermi in un abbraccio. La mia espressione si fa più seria e aumento la velocità, allungando di tanto le falcate delle mie gambe. Arrivo ad un paio di metri dalla donna che ha i capelli mossi legati dietro la testa da due ciuffi. All’ultimo, spicco in balzo e attraverso la figura come se fosse una specie di portale. Mi ritrovo nel più classico dei miei scenari. Tutta la prateria è lambita da alte fiamme rosse, inavvicinabili a causa del loro elevato calore. Ovunque le persone scappano dove posso, alcuni completamente in fiamme finiscono la loro esistenza urlando disperate. Andando a sbattere contro altre persone, diffondono il fuoco. Mi porto il braccio sinistro a coprire la bocca e ilnaso per non respirare quel dannato fumo. La puzza di carne carbonizzata mi fa bruciare gli occhi che lacrimano. Perchè tutta quella morte e distruzione?Non potevo permettere una cosa del genere.
-Ora bastaaaaaaaa!- L’urlo mi esce quasi involontariamente dalla bocca, grattandomi acido la gola. La mia rabbia è tutta incanalata in quell’unico urlo disperato ed iroso. Qualcosa alle mie mi scavalca, saltando oltre di me. È qualcosa di grande. Molto grande, possente, antico. Qualcosa che solamente io posso controllare. Come sempre la scena rallenta fino a fermarsi, prima che quella creatura possa mostrarsi ai miei occhi.
 
Spalancai gli occhi trasalendo, sentendo l’equilibrio mancarmi. Dimenai le braccia a casaccio per cercare di rimanere in piedi. Ce la feci per un pelo e tirai un sospiro di sollievo.
L’erba secca mi solleticava pedante i piedi e le gambe.
-Erba?! Che…dove sono?-
Incredula mi guardai intorno. Ero nel prato dove l’alberello aveva preso vita magicamente nella mia testa quello stesso giorno. Una brezza fredda mi accarezzò con la sua fredda mano gentile la spalla sinistra per poi scivolare lenta fino alla destra. Mi strinsi fra le spalle mentre il buio copriva i dintorni. Lontano, una macchina solitaria percorreva lenta la strada deserta.
-Come ci sono finita qui?Sto sognando?-
-Gea-  La giovane voce baritonale che avevo sentito quella mattina ritornò a rimbombarmi in testa. Mi voltai di scatto indietro e vidi un enorme cervo che incombeva con la sua elegante figura su di me.
Indietreggiai spaventata.
-Sei l’albero che ha improvvisamente preso vita stamattina. Tu sei solo frutto della mia immaginazione. Questo deve essere un sogno. Ora prende fuoco qualcosa e mi sveglio. Questione di tempo-
-E’ tempo di andare, Gea-
-Andare? Andare dove? Io non vengo proprio da nessuna parte!-
-Devi venire. Hai un importante compito che ti aspetta-
-Si, hai ragione. Ed è quello di filosofia domani l’altro, quindi se non ti dispiace, fai accendere questo benedetto incendio così mi sveglio- Non capirò mai come facessi a uscirmene con quelle esclamazioni pure in occasioni del genere.
-Non è un sogno Gea e so che te ne rendi conto pure tu-
Bum. Colpita e affondata. Aveva ragione... cos'era quella sensazione? Quella triste consapevolezza? Forse il peso di un dovere.
-So che sei confusa, ma il tuo destino è questo, lo sai benissimo-
-Destino? Io nemmeno ci credo al destino- esclamai ridendo irritata -E poi...io…non…non so proprio niente! Chi sei tu? Da dove spunti? Cosa vuoi da me? Perché prende sempre fuoco qualcosa? Perché devo morire? Dove dobbiamo andare? Cosa succede qui? Non ci capisco più nulla!Non so niente!-
-Adesso non ho tempo si spiegarti, solo dopo potrai avere risposte alle tue domande. Il destino non è scritto su pietra, può sempre mutare ed essere cambiato-
-Allora fallo mutare! Fai tornare mia madre, caccia via questi maledetti incubi!- Le voci addolorate e sofferenti tornarono lente e sinuose nella mia testa.
-E per Dio, falli smettere! Falli smettere di urlare così!- urlai disperata chiudendo gli occhi e tappandomi le orecchie con le mani. Le gambe mi si piegarono come sotto il peso della mia disperazione.
-Solo tu puoi porre fine a quest’agonia, Gea- mi rispose tranquillo e pacifico.
Lo guardai con le orecchie chiuse. Le parole si trasmettevano direttamente dalla sua mente alla mia, senza bisogno di parlare.
I suoi occhi neri e profondi come l’universo. Mi sembrava di sprofondarci dentro, di annegarci. Sembravano così antichi, familiari…
-Davvero posso?- Mi lasciai ammaliare un momento da quella sicurezza che non mi apparteneva. Ero così confusa che avrei fatto qualsiasi cosa, se qualcuno mi avesse detto che era la "cosa giusta".
-Certo che puoi. Vieni con me e compi la tua missione. Io sarò sempre con te, non devi temere niente. Io ti proteggerò.-  
Mi fissai i piedi nudi, ancora incerta nel capire se quello era un sogno o no. Ma doveva esserlo per forza. Lasciai cadere le braccia giù per i fianchi.
-No. Non posso assolutamente. Mi dispiace, ma devi sparire dalla mia vita. Che tu sia reale o meno…sparisci- Stavo per incamminarmi verso la strada per tornare a casa, non so nemmeno come, quando la sua voce mi fermò
-Mi dispiace Gea, ma ora che mi hai trovato non posso propèrio lasciarti andare-
Alzai la testa e vidi il grande cervo spiccare un balzo con il muso basso rivolto verso di me.
-Aspetta!-
 Il suo naso mi raggiunse, posandosi delicato sulla mia fronte come se rallentasse in aria. Tutto cominciò a girare e vorticare pesantemente intorno a me. I miei pensieri si persero in quella gigantesca trottola e la vista divenne buia.
Quando riaprii gli occhi, non so quanto tempo dopo, una strana vista mi accolse. Un cielo dalla innumerevoli sfumature di rosa si stagliava alto, solcato da qualche nuvola bianca-rosata. Con il respiro pesante richiamai a me le braccia, distese come una croce su un prato verde brillante. Mi girai a pancia in giù e mi rialzai lentamente, scrutando i dintorni. Ero in un grande prato mosso da un vento fresco. In lontananza c’era un bosco di conifere, montagne innevate e un fiume che spandeva il suo tranquillo suono in tutta quella splendida pianura.
-Ah, finalmente!- Una voce femminile mi prese alla sprovvista. Mi voltai ritrovandomi davanti una ragazza su per giù della mia età. Era poco più alta di me, capelli di un colore blu scuro mossi come le onde del mare e occhi che raccoglievano tutte le più belle sfumature dal celeste al blu intenso. Indossava pantaloni di tessuto verde spento con sopra una maglietta più larga dello stesso colore. La manica sinistra era calata fin sotto la spalla, lasciando intravedere sotto una canottiera rosa pallido. La maglietta più larga finiva all’incirca a metà del ventre, lasciando il resto scoperto. Stivali molto alti, neri, legati da decine di piccoli fili. Feci qualche passo indietro.
-E tu chi sei?- domandai fissando quegli occhi innaturali.
-Ah, bel modo di salutare tua sorella-
-…chi?!?-

Ta-daaaaaa!!! Eccolo, questa era la terza e ultima parte del sewcondo capitolo!....o almeno penso sia il secondo. Ho perso il conto. Bah, comunque sia, in questo "sottocapitolo" si comincia ad intravedere un po' di azione (spero...) Spero che l'insieme, ottenuto fin'ora, non risulti troppo noioso, se lo è chiedo scusa. Ho aspettato a postare il capitolo perchè volevo lasciarvi riposare, i capitoli sono abbastanza massicci e non volevo vi risultassero troppo pesanti. Mi auguro di avervi incuriosito, così da avervi spinto a voler leggere il capitolo dopo. Ecco, detto tutto. Ffatemi sapere che ve ne sembra, alla prossima!

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Capitolo 6
*** Un'allegra famigliola soprannaturale- p1 ***


La ragazza dai capelli blu mi squadrò dalla testa ai piedi, il che mi fece ricordare che addosso avevo solo maglietta e mutande. Mi coprii come meglio potei, mordendomi le labbra. Lo facevo sempre quando ero nervosa.
-Ma sulla terra andate tutti quanti in giro vestiti così? Non sembra molto rispettoso dell’intimità personale soggettiva- constatò portandosi una mano sul fianco. Alzai un sopracciglio per cercare di capire cosa avesse appena detto in quell’assurdo garbuglio di parole.
-Oh…ecco, no. A dire il vero sono io che…-
-Sei una scostumata?- mi interruppe guardandomi interrogativa.
-Cosa?No…no, assolutamente. Solo che a casa mia è notte fonda e io…dormo…così…credo-
La guardai per vedere la sua reazione, che si limitò ad una rapida alzata di spalle. Ma perché stavo dando spiegazioni a questa tipa? Infondo era solo parte di un sogno, no?
-Ok, comunque io sono Aqua- si presentò.
-Piacere- risposi poco convinta. Stavo per presentarmi, poi scossi la testa. Mi ero talmente concentrata sull’imbarazzo del momento da essermi quasi del tutto scordata che quello era tutto un sogno. Un sogno molto particolare. Mi guardai nuovamente intorno. Notai altri boschi raccolti a gruppi, distante gli uni dagli altri. Un altro era proprio dietro di me. Oltre la pianura, all’orizzonte, non si vedeva quasi la linea di stacco fra terra e cielo. Uno stormo di uccelli neri spiccò il volo, solcando in cielo roseo e riempiendo il circondario di gracchi.
-Ok, ascolta: io non ho idea di dove sono né di come sono arrivata. E’ arrivato un cervo grosso come un armadio, mi ha tirato una testata ed eccomi qui! L’unica cosa che so è che questo è tutto quanto un sogno. Tu sei frutto della mia mente malata, come tutto ciò che mi circonda-
Lei mi incrociò le braccia al petto guardandomi con aria severa. Poi le guance le si gonfiarono d’aria e scoppiò in una fragorosa risata. Si piegò in due, ridendo come una matta e reggendosi la pancia con le braccia ancora incrociate.
Distolsi lo sguardo imbarazzata e lievemente spazientita da quella sua improvvisa reazione.
Quando ebbe finito di ridere, circa mezzo minuto dopo, si rimise composta mugolando divertita con le lacrime agli occhi, tornando a fissarmi con un risolino snervante sulle labbra.
-Posso sapere cos’è che ti fa tanto ridere?- sbottai irritata.
-Quello che hai appena detto mi ha fatto ridere-
-Il sogno? E come altro me lo spieghi?! Non mi vorrai mica dire che un albero ha cominciato a camminare per conto suo e che mi abbia seriamente portata qui?-
Il sorrisino le sparì dal viso, sostituito da uno sguardo severo che mi spaventò un po’. Quasi quasi preferivo il risolino snervante. Con le braccia conserte si avvicinò lentamente a me, fino ad arrivare a poco più di mezzo metro da me. Un bagliore furbo le passò negl’occhi, allungò una mano e mi tirò un forte pizzicotto sul braccio.
-Aia!- esclamai saltando indietro di qualche passo. Scossi il braccio che mi aveva appena pizzicato e guardai la grande macchia rossa che si stava formando sulla pelle.
-Ma perché l’hai fatto?!- esclamai irritata.
-Male?-
-Che domande fai?! Certo che mi hai fatto male!-
-Allora ora ci credi che questo non è un sogno?- sorrise con aria saccente.
Mi massaggiai imbronciata la pelle del braccio che iniziava a dolermi. Fissai l’erba scompigliata dal vento fresco e rabbrividii infreddolita. Non volevo ammettere una cosa così dannatamente illogica!
-Gea? Ci sei ancora?-
Alzai la testa e la guardai stranita
-Come sai il mio nome?-
-So tante cose di te, sorellina- Si portò le mani sui fianchi con aria di superiorità.
-“Sorellina”?Come puoi tu essere mia sorella? Mia madre è scomparsa anni fa...- risposi tetra. Potevo scherzare su tutto, tollerare tutto. Ma mia madre non la doveva toccare nessuno. Nessuno! Lei sbuffò abbassando la testa, fissandosi la punta delle scarpe come se avesse rievocato un ricordo doloroso, ma non per lei, per me. Scosse la testa e proseguì da dove si era interrotta.
-Non “sorelle” in quel senso. Di tua madre avremo occasione di parlare più in là-
Sgranai gli occhi incredula.
-Tu sai qualcosa di mia madre?!-
-Gea, non posso parlarne con te. Non è né il luogo né il momento adatto. Ho sbagliato io a menzionarla -
-No, no. Possiamo eccome!-
-Gea, no! Non posso proprio!-
-Ma…io ho bisogno di sapere dov’è mia madre! Devo sapere perché ci ha abbandonato-
-Tua madre non vi ha affatto abbandonato. Non credere che la lei abbia fatto quel che ha fatto perché le andava!- Sbuffò stringendosi gli occhi fra le dita.
-Ok, ho detto anche troppo-
-Allora sai davvero qualcosa di lei. Parlamene, ti prego! Che tu sia un sogno o no, ti scongiuro!-
-No. Non insistere. Tu, piuttosto, devi venire con me- Aveva perso quell’ilarità che aveva manifestato fino a pochi minuti prima, al mio arrivo. Abbassai lo sguardo rassegnata. Avevo come la sensazione che, pur continuando a fare domande, non avrei più ricevuto risposta.
-Io non voglio andare da nessuna parte- mormorai sedendomi. Mi strinsi le ginocchia al petto e appoggiai il mento sulle braccia, tirando fuori la mia parte bambina.
-Gea, devi venire! Ti prego! Non sai da quanto tempo aspettiamo questo giorno. Devi darci un mano!-
-Mi dispiace, io non posso aiutare proprio nessuno. Non so aiutare nemmeno me stessa. Voglio solo svegliarmi e tornarmene a casa, tutto qui-
-Ancora con questa storia del sogno?! Oddio, ma quanto sei testarda!-
Feci spallucce e tornai a poggiare il mento sul braccio. Aqua stette in silenzio pochi secondi, poi tornò all’attacco.
-Ok, Arìa mi ucciderà per questo, ma devo farlo-
La guardai con sospetto
-Chi è Arìa?E cos’è che devi fare?-
-Fa silenzio e sta’a guardare- Si voltò verso qualcosa alle sue spalle, in direzione del bosco attraversato dal fiume. Mise due dita in bocca e fischiò forte, riuscendo quasi a sfondarmi i timpani. Strizzai gli occhi massaggiandomi le orecchie. Mi voltai nuovamente nella stessa direzione della ragazza e vidi qualcosa nel fiume cominciare a muoversi. Da lontano non riuscivo a vedere bene, però mi parve di vedere una massa informe d’acqua emergere dal corso del fiume. Strizzai gli occhi cercando di mettere bene a fuoco quella figura che andava lentamente formandosi. Avrei giurato, a prima vista, che quello che stavo guardando fosse un delfino.
In un altro frangente mi sarei tirata qualche schiaffetto, ripetendomi di non essere sciocca e di guardare meglio.
La figura produsse uno strano verso, ulteriore conferma che quello aveva qualcosa a che fare con gli odontoceti. Dette un veloce colpo con quella che mi parve essere la coda e si avvicinò rapidamente a noi. La strana creatura ci raggiunse e si mise a volteggiare attorno alla ragazza. Spalancai la bocca sbalordita. Quello era veramente un delfino. Un delfino enorme lungo almeno due metri e mezzo, fatto completamente d’acqua. Girava festoso in aria, come se fosse stato immerso nell’oceano. In controluce si potevano distinguere distintamente i suoi lineamenti, che ne accentuavano la forma elegante e sinuosa.
-Wow…- mormorai -E’ bellissimo-
-Meraviglioso, vero?-
-Assolutamente- confermai ammirata senza mai staccare gli occhi dalla creatura -Che...che cos’è?-
-La domanda non è“che cos’è”. La domanda è “chi è?”- mi corresse accarezzando affettuosa la creatura sopra la testa.
Capii solo in parte la correzione, ma decisi di lasciar perdere. Mi alzai in piedi ed osservai il volto della ragazza distorto dal corpo acquoso del delfino. Alcuni ciuffi piuttosto lunghi le coprivano il viso anche se la più parte di quelli laterali erano fissati dietro la nuca con una flebile presa. Mi chiesi infatti come facesse a vederci bene.
-Chi è?- domandai riformulando la domanda.
-Lui è Enydros-
Corrugai la fronte pensierosa riconoscendo il suono del nome -E’ greco antico o sbaglio?-
-Si. Letteralmente vuol dire “Pieno d’acqua”- sorrise lei continuando ad accarezzare lo strano essere.
-Un nome azzeccato...- constatai riflettendo sulla natura di quello strano essere.
-Ma cos’è? Una specie di animale domestico?-
-Lui non è un comune animale. Lui è me-
-Come sarebbe a dire?- domandai reclinando indietro le spalle. La ragazza mi sorrise con fare quasi affettuoso.
-Ah Gea. Ci sono talmente tante cose che devi sapere. Se non ti porto subito da Arìa saremo nei guai fra non molto-
-A quanto pare sono tante le cose che devo capire. E chi è questa Arìa di cui parli tanto?-
-Nostra sorella, nonché mentore e tutrice-
Ridacchiai -Un’altra sorella, fantastico. Dio mio, che sogno bizzarro- osservai.
Vedendo lo sguardo truce di Aqua decisi di non pronunciare più quella parola. Per alcuni minuti rimanemmo in silenzio, poi ricominciò a parlare come se niente fosse successo.
-Il tuo dov’è?-
-Il mio cosa?-
-Il tuo spirito-
-Spirito? Quale spirito?-
-Il tuo spirito animale. L’elemento della terra- Alzai un sopracciglio con fare scettico.
-Non ho idea di che cosa tu stia parlando-
Sospirò esasperata alzando gli occhi al cielo.
-Non mi hai appena detto di essere stata portata qui da un cervo di legno?-
-Si...almeno credo. Ha preso vita davanti ai miei occhi, dal nulla!-
-Si, era venuto a prenderti. Ma ci hai messo un po’ a trovarlo!-
-Quel...coso sarebbe il mio spirito?-
-Gea!- esclamò improvvisamente aggressiva.
-Cosa?- domandai presa alla sprovvista.
-Non mancare di rispetto al tuo spirito!-
-Scusami...-
Mi dette le spalle, fissando un punto indefinito verso le montagne -Non mi dovrei arrabbiare. Devo ricordarmi che ho a che fare con una novellina che deve ancora imparare tutto-
-Ah, grazie tante-
Posò nuovamente lo sguardo su di me, scansando dolcemente con la mano Enydros. Aveva uno sguardo profondo, improvvisamente fiducioso. Si avvicinò un po’ a me mentre lo spirito acquatico le stava dietro guardandomi incuriosito.
-Perché non provi a chiamarlo?- mormorò.
-Io?-
-No, io! E certo che devi chiamarlo te! Perché credi che sarebbe il “tuo” spirito se ubbidisse ad altri?-
-Non lo so. L’ho trattato un po’ male. Se è davvero lui, allora non sono stata molto cortese nei suoi confronti- Sto davvero credendo alle parole di questa ragazza?!  
-Dai, prova a chiamarlo-
Stavo per fare una stupidaggine, già me lo sentivo...

Prima parte del nuovo capitolo. Questo è particolarmente lungo, perciò dovrò dividerlo in 3 parti per alleggerirvelo il più possibile. Il punto in ciu l'ho rotto è orrendo, me ne rendo conto. Ma purtroppo era il primo utile che ho trovato, scusate. Spero vi piaccia!! E mi scuso per gli errori grammaticali e sintattici, ma non ho avuto molto tempo di rileggerlo.

 

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Capitolo 7
*** Un'allegra famigliola soprannaturale - p 2° ***


Sbuffai, ma volli provare ad accontentarla. In fondo aveva molta pazienza con me per essere un ologramma della mia mente insonnolita. Alzai le braccia e le lasciai ricadere.
-Va bene. Chiamiamo questo spirito-
-Si!- esclamò felice di se stessa alzando il pugno davanti al viso.
-Voltati dietro di te, dove c’è quel bosco- disse girandomi dalla parte da lei indicata.
-Perché un bosco?-
-Zitta e fidati- mi rimproverò -Allora, la cosa è molto semplice. Basta che tu lo chiami telepaticamente-
-Ah, certo. Ma io non ho mai usato la telepatia, quindi non ho idea di come si faccia- osservai voltandomi leggermente verso di lei.
-Non è vero, lui ha sicuramente utilizzato la telepatia per parlare con te. E poi basta pensare, ci riescono tutti. Lui ti sentirà. Forza, datti da fare!- mi spronò dandomi pesanti spinte sulle spalle.
Guardai sbuffando l’ombra fitta delle grandi chiome verdeggianti.
-Come si chiama?- domandai.
-Ah, se non lo sai te! Ma non ha importanza per il momento-.
Presi un grande respiro e mi concentrai sulla figura del grande cervo.
Hey...ciao. Hem...scusami se prima ti ho trattato male...sono desolata e mi piacerebbe tanto che...mmmmmm....tu mi raggiungessi qui. Per favore” Fissai per circa un minuto i margini del bosco, ma non ne uscì niente sennon due scoiattoli iracondi. Afflosciai un po’ le spalle e sospirai leggermente delusa. Sapevo che era tutta una stupidaggine e che non avrebbe funzionato, perciò, chissà perché me la stavo prendendo così tanto. Proprio mentre mi accingevo a rimproverarmi per aver fatto una cosa tanto stupida, la giovane richiamò la mia attenzione.
-Hey piccola. Guarda un po’ davanti a te prima di ripensarci!- mormorò da dietro la mia spalla sinistra. Seguii la punta del suo indice con lo sguardo, fissando dritto davanti a me. Alzai lo sguardo e vidi il grande animale sbucare dal groviglio di alberi. Sorrisi incerta e incredula.
-E’ venuto sul serio? Mi ha ascoltata?-  La buona riuscita di quello strano esperimentano mi dette un inaspettato senso di gratificazione.
-Certo. Non c’è certo bisogno di allenarsi per parlare con il proprio spirito. Lui ti sentirà ovunque tu sia. E ovunque tu sia ti troverà, sempre e comunque-
Il grande cervo si avvicinò a noi con passo sicuro e quasi solenne. Non sentivo più la sua voce rimbombarmi in testa, ora regnava solo il silenzio e la confusione che quella nuova esperienza mi aveva provocato. Non l’avrei mai creduto possibile.
L’animale percorse quel centinaio di metri che ci separavano e si fermò davanti a me, fissandomi intensamente. Le sue orecchie si giravano in tutte le direzioni, in cerca di un rumore qualsiasi. Il naso si muoveva per carpire ogni odore, gli occhi sempre fissi su di me. La grande fronda sulla sua testa frusciava al vento lieve, producendo un rumore piacevole e tranquillo. Non avevo notato quanto fosse bello ed impressionante da vedere. Mi sentivo così piccola davanti a lui...
Allungai una mano per accarezzarlo e lui abbassò il muso per farsi toccare. Mi annusò, come se sospettasse che non fossi io, poi si lasciò andare permettendomi di toccarlo. Lo accarezzai sorridendo, mentre il ruvido impasto di pietra e legno mi scorreva sul palmo della mano. L’animale avvicinò delicatamente la sua testa e me, appoggiandola affettuoso sul  mio petto.
-E’ incredibile- affermai.
-Vero?Trovo fantastico anche io il rapporto fra spirito ed elemento-
-Quale elemento?- domandai girando la testa di lato.
-Te lo spiegheremo al castello-
-Oh, figo. C’è anche un castello di mezzo?-
-E non solo uno- rispose sorridendo.
Sospirai tornando seria. Stavo davvero per seguire una ragazza dai capelli blu, perennemente seguita da un delfino d’acqua, fino ad un castello dove mi avrebbero spiegato perché ero legata ad un cervo di legno?
Il cervo mi puntò uno dei suoi grandi occhi addosso, guardandomi di lato. Annuii. Seppi qual’era la risposta giusta.
-Allora andiamoci subito. A quanto ho capito hanno già rovesciato la clessidra-
Mi voltai verso la ragazza mentre un largo sorriso, quasi incredulo, le compariva sul viso.
-Lo sapevo che lui ti avrebbe convinta!- esclamò entusiasta.
-Allora, come ci arriviamo a questo castello?-
-Beh, è piuttosto lontano. Ci vorranno un paio di ore di viaggio-
-Che cosa?!-
-Tranquilla, viaggeremo sugli spiriti. Strappiamo un passaggio!- disse facendomi l’occhiolino. Enydros nuotò veloce fino a lei a circa, 50 cm di altezza. Aqua fece un piccolo salto e gli montò in groppa con facilità, come se lo facesse da una vita. Il che era molto probabile.
-Su, sali. Il tempo stringe- mi incitò.
Fissai il grande animale di legno che si era intanto messo di fianco. Storsi la bocca insicura, poco convinta di quella cavalcata improvvisata.
-Non sono tanto sicura di sapere cavalcare un cervo. Non so nemmeno se si dice “cavalcare” nel caso di un cervo-
-Oddio, come sei polemica! Sali punto e basta!-
Il grande cervo mi fece l’immenso favore di mettersi accucciato, in modo tale da poter riuscire a salire senza rischiare di rompermi una gamba. Montai in groppa al grande animale, arrampicandomi sulle piante che lo ricoprivano.
Dopodichè l’animale si alzò, rischiando di disarcionarmi. Strinsi più forte le gambe sul suo corpo per evitare di cadere e mi accorsi che la sua schiena era calda e morbida, cosa al alquanto strabiliante visto che era tutta in legno e roccia.
-Ma che fai Gea? Cadi e nemmeno siamo partiti?- ridacchiò la ragazza
-Hey, è la mia prima volta che cavalco un cervo. Mica lo faccio tutti i giorni!-
Lei scosse la testa sorridendo e si voltò in direzione delle montagne nevose che si stagliavano al dilà del fiume.
-Seguimi- disse partendo veloce in groppa a Enydros, lasciando me e il cervo indietro.
-Beh...che dire? Partiamo?- Il cervo bramì e partì di slancio dietro a Aqua. Urlai e rischiai di cadere per la seconda volta in 30 secondi. Mi ripresi cingendo il suo collo con le mie mani. Raggiungemmo nel giro di pochi secondi Aqua, seguendola mentre attraversava il folto bosco di conifere. Ci misi un po’ a riacquistare l’equilibrio, ma dopo una decina di minuti riuscivo già a non sbilanciarmi. Non essendo troppo occupata a cercare di non cadere, potei approfittarne per guardarmi intorno. Gli alberi non erano diversi dai nostri, forse più alti. C’erano tanti alberi diversi, il sentiero era coperto da un manto di pigne e materiale legnoso vario. C’era molta ombra e cominciava a farmi veramente tanto freddo. Mi strinsi di più sul caldo corpo del mio spirito, stringendo le braccia. Una volta usciti dal bosco tutto uguale ci ritrovammo in un grande spiazzo d’erba. Spoglio completamente di alberi, provvisto di qualche cespuglio. Il fiume continuava la sua perpetua presenza al nostro fianco, rimanendoci sulla destra. Le montagne innevate avevano una curiosa sfumatura azzurrognola, in contrasto con il cielo ormai divenuto rosso acceso all’orizzonte per il tramonto che ci stava davanti.
-Stiamo andando verso est?- gridai a Aqua.
-No, qui il sole sorge a Sud e tramonta a Nord-
Annuii e tornai a guardare il paesaggio. Il cielo andava dal rosso, al rosa, all’azzurro chiaro per finire con una nota bluastra appena accennata.
Un’ora e mezzo più tardi stavamo ancora viaggiando e il sole ormai stava esalando il suo ultimo respiro per quel giorno. Il cielo aveva virato verso un’intensa tonalità di blu, come i capelli di Aqua. Fra pochi minuti sarebbe diventato completamente nero a giudicare dalle ultime sfumature che stava assumendo.
-Quando il sole sarà tramontato del tutto, assisterai ad uno spettacolo che credo ti piacerà molto- mi urlò Aqua accovacciata sul suo spirito.
-Che genere di spettacolo?-
-Lo vedrai-
Incuriosita da quell’informazione, un sorriso divertito mi comparve sul viso.
-Che sogno bizzarro- mormorai. Smisi di sorridere e fissai il dorso legnoso del cervo.
-Sempre che questo sia davvero un sogno...-
Ormai c’erano diversi fattori che mi facevano dubitare della veridicità della mia certezza. A partire dal dolorosissimo pizzicotto di Aqua. Mi persi un po’ nei miei pensieri ora che ne avevo l’occasione. Alcuni animali passarono intorno a noi. Cervi, cinghiali, lepri. Mi sarei aspettata qualche strana bestia a tre teste o che so io. Invece no, tutto normale come sulla terra. Notai però che non c’era nessuna forma umana nei paraggi. Nessuna costruzione, villaggio o segno della presenza di esseri umani. Continuando con le miei constatazioni, quasi non mi accorsi che si stava facendo buio. Diversi minuti dopo calò il sole e dovetti ammettere che lo spettacolo fu veramente meraviglioso. Ogni singola pianta, nuvola, montagna, anche il fiume...tutto si illuminò di colori fosforescenti e vivi. Tutto era ricoperto di macchie oblunghe e dalle forme disparate e creative che illuminavano tutto il paesaggio.
-Che meraviglia...- mormorai.
-Ti piace?- domandò Aqua guardandomi.
-Si, tantissimo!-
Ci avvicinammo ad un basso dosso, salendoci sopra veloci mentre osservavo l’erba colorata frusciare sotto lo spostamento d’aria causato da Enydros. Il cervo spiccò un grande balzo per scendere dal cocuzzolo sul quale eravamo appena saliti che terminava secco con una parete profonda un paio di metri. Sentii mancare per qualche secondo il contatto con il suo corpo e ciò mi fece sorridere ancora di più. Atterrammo pesanti in una pianura ricoperta di piante alte e con grandi foglie triangolari. La vegetazione variava nella forma, nel colore, nella tonalità di fosforescente. Una moltitudine di piccole sfere luminose si sollevò dopo il nostro impatto, circondandoci come un branco di pesci in mare aperto.
-Cos’è?-
-Polline, Gea-
Non ce la feci più, dovevo urlare. Di fatto lo feci. Sciolsi i capelli e urlai di gioia, spalancando le braccia e buttando la testa all’indietro. Lasciai che il vento mi accarezzasse la pelle e risi, felice come non lo ero mai stata. Perché tutta quella felicità? Non ne avevo idea. Mi sentivo...a casa. Vidi Aqua voltarsi verso di me e sorridere per poi lasciarsi andare come me e scoppiare a ridere.
-Gea!- mi urlò all’improvviso.
-Si?-
-Appena arrivi vicina a quella pianta con le foglie rotonde...la vedi?-
Cercai la grande foglia che mi aveva appena descritto la ragazza e la individuai diversi metri più avanti.
-Si, la vedo-
Era un pianta con grandi foglie perfettamente rotonde. Tutto il contorno fosforescente, con qualche chiazza zebrata all’interno.
-Ecco. Quando ci arrivi vicina, battici forte il pugno sopra!-
-Sicura?-
-Certo!-
-Ve bene-
Non sapevo dove volesse arrivare, ma accettai comunque. Quando arrivai al mio bersaglio alzai in alto il pugno e lo battei con tutta la mia forza sulla superficie liscia e regolare della foglie, stranamente resistente come quella di un tamburo. Immediatamente un’ondata circolare di luce fluo più forte partì da quell’unica foglia e si sparse per tutto il prato, come i cerchi nell’acqua quando ci si butta un sasso. Risi forte appoggiandomi al mio spirito. Continuammo a giocare con le luci notturne e a ridere come delle matte. Mi trovavo bene con quella strana ragazza dal nome particolare e dallo spirito forte. Improvvisamente Aqua, che per tutto il viaggio mi aveva sempre preceduto, cominciò a rallentare per poi fermarsi. Rallentammo anche noi, affiancandoli  una volta che si furono fermati. Avvertii una nota di serietà in tutta quella situazione e mi feci attenta.
-Caspita...- mormorai. -Davvero niente male...-
-Benvenuta al castello n° 1-

Nuovoo capitolo, non particolarmente movimentato. Tenevo più a sottolineare il carattere di Aqua che al resto, spero di non avervi annoiato. Purtroppo questo passaggio era inevitabile per poter spiegare bene i capitoli dopo. Spero vi sia piaciuto! Ringrazio infinitamente chiunque continui a seguirmi, in particolar modo chi recensisce! Vi ringrazio di cuore!
Alla prossima!
G.Gea

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Capitolo 8
*** Un'allegra famigliola soprannaturale 3°p ***


Davanti a noi si stagliava un grande castello vecchio stile, come quelli medievali. 4 grandi torri stavano ai vertici della forma quadrata, perdendo la loro vetta nell’oscurità. Svariate fiaccole ne illuminavano la lugubre facciata mentre a alcuni sprazzi luminosi uscivano sia dalle fenditure nel muro che dalle finestre. Alcuni figure scure si muovevano all’interno, passando in su ed in giù. Un grande portone in legno era chiuso ermeticamente ed apparentemente irremovibile. Il castello si ergeva su una grande prominenza sporgente della collina sul quale era stato costruito. Era raggiungibile tramite un sentiero stretto e sterrato che si inerpicava fra la vegetazione nella quale era immersa la costruzione, circondato da quell’incredibile luce colorata.
-E’ enorme. Ma perché sta così in alto?- osservai.
-Vedrai. Dai, avviamoci-
Aqua riparti a passo sostenuto verso la destinazione. Io le andai dietro, ma mi dovetti fermare quando Enydros cominciò a fluttuare lungo il fianco della montagna come se stesse volando.
-Aqua!- urlai. Lei mi guardò dall’alto e mi indicò con un dito l’imboccatura del sentiero. Annuii e alzai il pollice in segno di accordo.
-Andiamo- Incredibilmente il cervo andava esattamente dove volevo. Lo guidavo indirettamente con il pensiero, dicendogli quando partire e quando invece fermarsi, rallentare o accelerare. Lo accarezzai un po’ mentre al passo si avvicinava al sentiero scosceso. Appena arrivammo all’inizio della salita lo feci partire al trotto, alzando un po’ di polvere dietro di noi. La strada era piena di buche e grandi sassi. 2 o 3 volte sentii gli zoccoli scivolare su qualche ciottolo e ci mancò poco che non cadessimo tutti e due nella polvere. Le corna dello spirito si incastravano ogni tanto in qualche fronda più bassa. Dopo 5 minuti circa arrivammo ad uno spiazzo dove una piattaforma di legno faceva da pavimento su un baratro profondo e scuro. Il rumore degli zoccoli sul legno appoggiato nel vuoto mi fece accapponare la pelle. Aqua mi stava spettando a braccia conserte appoggiata con la spalla sinistra alla porta. Enydros faceva varie giravolte per aria, fischiando felice. Fermai il mio spirito e lo feci accucciare. Scavallai con le gambe sul fianco destro e scivolai giù fino a terra. Il legno non si mosse, rassicurandomi del fatto che quella piattaforma reggesse. Mi avvicinai ad Aqua fissando la porta esageratamente alta. La serratura era più o meno all’altezza delle nostre teste. Non c’era la toppa per inserire la chiave, solo disegni con lamine di ferro che decoravano un’ipotetica serratura.
-Bene, sei pronta?-
-Non so per cosa- risposi per poi tornare a guardarla
-A dire il vero non si è mai abbastanza pronti per affrontare Arìa- rispose grattandosi la testa. L’affermazione era uscita mista ad una risata quasi isterica, facendomi capire che questo “dialogo” imminente che avrei dovuto avere con questa Arìa la rendeva nervosa.
-Cos’ha di così spaventoso questa ragazza?-
-Emmm...te ne renderai conto quando ce l’avrai davanti. Vogliamo andare?- domandò con un gesto della mano.
-Suppongo che sia obbligatorio- Aqua mise la mano destra sulla porta, nello spacco dove si congiungevano le due ante di spesso legno. In tutta la fessura una luce azzurra dilagò come acqua sia verso l’alto che verso il basso fino a raggiungerne gli estremi. Qualcosa scattò all’altezza della serratura di ferro arrugginita e la porta si aprì lentamente verso l’interno. Ci comparve davanti un lungo corridoio dove un tappeto rosso aspettava gioiosamente di essere calpestato da noi. Delle torce infuocate correvano lungo entrambi i muri, distanti le une dalle altre a distanza regolare.
-Vieni- mi incitò Aqua. Si avviò nel lungo corridoio seguita a ruota da Enydros, improvvisamente serio e silenzioso. Io ed il mio spirito li seguimmo in silenzio. Studiai l’ambiente silenzioso e spoglio inondato di luci. C’erano alcune porte, tutte quante chiuse e apparentemente vuote. L’ambiente sarebbe potuto essere molto interessante se solo non fosse stato così dannatamente monotono e noioso! Sembrava di camminare in un corridoio copia-incolla. In più, non sapevo il perché, ma quel posto mi metteva addosso una certa soggezione. Come se ogni singolo mattone mi stesse osservando, trovando in me ogni difetto possibile ed immaginabile. Mi sentivo talmente inadeguata rispetto a quel luogo austero che avrei voluto girarmi ed andare via. Arrivammo in fondo al corridoio dove una grande rampa di scale portava ad un piano superiore. L’unica cosa che si sentiva erano i nostri passi, gli zoccoli del cervo e lo scialacquare del corpo del delfino di Aqua. I rumori rimbalzavano sul muro, ritornando a noi amplificati e più potenti.
-Ma non c’è nessuno oltre a noi?-
-Si, ma sono quasi tutti al piano di sopra- Cominciammo a salire la larga scalinata fino a giungere in un altro corridoio come quello al piano di sotto, però più luminoso, allegro e vivace. In fondo al corridoio c’era una porta di legno enorme che doveva dare accesso ad una stanza bella grande e maestosa. Altre porte di grandi dimensioni, anche se meno rispetto all’altra, erano incastrate nella parete sinistra. Da dietro ne uscivano vari rumori, suoni, voci, musica, animate discussioni. Ciò rendeva il tutto molto più umano, in un certo senso. Mi accostai ad una porta dalla quale proveniva un’allegra musica di violini.
-Gea!- mi richiamò Aqua sotto voce. La voce suono molto forte lo stesso. Mi voltai a guardarla.
-Vieni qui, non ficcare il naso!-
-Scusa- bisbigliai. Detti un’ultima occhiata alla porta e tornai a seguirla. C’erano delle grandi vetrate sulla parete destra dalle quali si vedeva tutta la pianura illuminata. Mi soffermai a guardare da una finestra che partiva dal pavimento e finiva a punta fino all’alto soffitto. C’erano ancora tutte quelle piccole sfere luminose che fluttuavano su tutto il prato. Sorrisi e appoggiai le mani al vetro.
-Bello, vero?- mormorai allo spirito che era dietro di me. Mugolò guardando dalla finestre come per acconsentire.
-Gea!- Mi voltai e vidi che la ragazza era già arrivata al grande portale.
-Ma insomma!Vieni qui, svelta!- Corsi verso di lei con il cervo che procedeva al piccolo trotto al mio fianco. La raggiunsi e mi misi accanto a lei. Mi squadro con faccia poco convinta.
-Non mi guardare così! Non mi sono portata il cambio-
-Fai qualcosa per renderti più presentabile. Una qualsiasi-
Presi l’elastico che mi ero messa al polso e mi legai i capelli in una delle mie consuete alte crocchie mal fatte. Alzai le mani all’altezza delle spalle e le voltai con i palmi verso l’alto come cenno conclusivo.
-Più di questo non posso fare-
Lei sbuffò, accidenti quanto sbuffava, e lasciò cadere le spalle.
-Mi raccomando: composta, seria, educata. Arìa non sopporta le persone maleducate. Rispondi solo quando sei interpellata, non fare battute, non sorride-
-Devo pure smettere di respirare?-
-Oddio, che il cielo ci aiuti-
 Mise le mani sulla porta di legno chiaro e la spinse, aprendo tutte e due le ante con gesto teatrale. Entrammo a passo deciso in una stanza molto ampia, con grandi vetrate sulla parete sinistra. Un grande lampadario di cristallo proiettava una luce soffusa in tutta la stanza tramite molte candele. 2 candelabri con 3 candele ciascuno stavano a destra e a sinistra di un alto piedistallo piramidale in cima al quale, una donna sulla quarantina, stava seduta su una specie di trono. I capelli erano tagliati corti come quelli di un uomo, di un colore bianco platino. Era vestita con un completo bianco e stava con le gambe accavallate ed il mento appoggiato sul pugno destro, il braccio inteccherito sul grande bracciolo in legno dorato. Assomigliava in modo sorprendente a Tabata mani di forbice. Mi guardava dall’alto della sua postazione, facendomi sentire piccola come una formica al cospetto di una grossa vespa.
-Sera Arìa- la salutò la ragazza.
-Aqua, finalmente. Pensavo che avremmo fatto in tempo a farci invadere dall’esercito nemico prima che tu riuscissi a portarci il quarto elemento-
-Mi dispiace, l’ho portata appena ho potuto-
-Non ne dubito- disse con aria quasi schifata. Puntò i suoi occhi su di me. Vidi che erano di un azzurro innaturale, quasi bianchi. Alzò un sopracciglio scettica.
-Sarebbe...lei?- domando guardandomi da capo a piedi.
-Già, in carne ed ossa-
-Più carne che ossa mi pare-
Questo è un colpo basso... Stavo per replicare che erano affari miei se ero un po’ più abbondante, ma uno sguardo fulminante di Aqua mi fece cambiare idea. Non credo che avrei avuto il coraggio di farlo in ogni caso visto lo sguardo penetrante di quella donna.
-Fammi parlare con lei- disse alla ragazza.
-Certo- Si voltò a guardarmi e mi mimò un Buona fortuna che mi fece preoccupare ancora di più. Si diresse verso le vetrate e si appoggiò al muro con le braccia conserte.
-Allora- esclamò Arìa attirando la mia attenzione.
-Tu sei Gea, non è vero?- domandò scavallando le gambe.
-Si-
Ingoiai un groppo in gola. La pesantezza del suo sguardo mi trasmetteva l’irrefrenabile impulso di abbassare la testa.
-Bene, è un po’ che ti aspettavamo. Quanti anni hai?-
-18-
-18. Tanti. Perché ci hai messo così tanto a trovare tuo spirito?-
-Hem...non saprei dire. Non ho avuto alcun tipo di...segnale-
Ero convinta di aver sbagliato tutta quanta la frase, tutti quanti i termini.
-Non cominciare frasi con “hem”. Esprimi dubbio, non è bene. Mostrati decisa, forte! Noi stiamo cercando una combattente, non una cameriera!-
-Scusi- Mi presi le mani da dietro la schiena e le strinsi forte.
-Non darmi del lei-
-Scusa-
-Così va meglio-
Si alzò in piedi mostrando tutta la sua altezza. Era molto alta, ma soprattutto molto magra. Era avvolta in un vestito lungo con lo spacco sulla parte davanti, leggermente a destra che mostrava la coscia. Il collo altissimo del vestito arrivava fino alla base del cranio e girava all’indietro arricciandosi. Il tutto rendeva la sua figura un insieme di eleganza e leggiadria mai visto prima. Scese i gradini sulle scarpe candide tacco 12. Aveva un portamento elegante e severo che incuteva soggezione alla sola vista. Di quelli che ti facevano venir voglia di scusarsi per il solo fatto che esisti. Percorse quella decina di metri che ci separavano e mi arrivò davanti. Gli arrivavo più o meno alla spalla e ciò non mi aiutava a sentirmi più a mio agio. La donna mi fissava severa dall’alto, poi fece un fin troppo lento giro di ispezione intorno a me.
-Mi aspettavo che tu fossi...un po’ più alta. Tua madre era almeno 1 metro e 70-
Trattenni il fiato a quelle parole. Strinsi forte le mani, piantandomi le unghie nella carne per farmi tacere.
-Mmmm...bene, vedremo cosa fare per rimetterti al passo con gli allenamenti, anche se non vedo come possa essere possibile- Mi tornò davanti, portando anche lei le mani dietro la schiena.
-Comunque sia, io sono Arìa, tua sorella maggiore. Ti farò da mentore e da tutore, qualcosa in contrario?- domandò alzando un sopracciglio. Pur avendo già 17 cose contrarie al fatto che lei dovesse farmi da insegnante, decisi di restarmene zitta come mi aveva consigliato Aqua. Purtroppo parlare a sproposito era una delle cose che meglio mi riuscivano.
-Perfetto, il tuo silenzio è incoraggiante- aggiunse sarcastica -Seguimi, Ti conduco alla tua camera. Immagino che tu si stanca dopo lo sbalzo di fuso orario-
Annuii, così lei mi sorpassò e si avviò verso l’uscita.
- Athrios- esclamò mentre mi apprestavo a seguirla.
-Come?-
Lei nemmeno si girò, continuò a camminare. Mi voltai verso Aqua per capire cosa dovevo fare, ma mi ritrovai un paio di artigli fumosi a meno di 5 centimetri dalla testa.
Urlai abbassandomi e coprendomi la testa con le braccia.
Un grande spostamento d’aria mi fece barcollare, scuotendomi la maglietta.
Oh mio Dio...e quello che diavolo è?!

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