Prince of the colors

di Hutcher92
(/viewuser.php?uid=510044)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bianco e il nero. ***
Capitolo 2: *** Niall e un quadernino rosa ***
Capitolo 3: *** Paperella?! ***



Capitolo 1
*** Il bianco e il nero. ***


Salve :) Sono Hutcher92.
Questa è una delle mie poche FF sui One Direction, ma è quella che ritengo la più romantica.
Spero che vi piaccia e se avete un suggerimento o una critica (accetto tutto in maniera limitata) la potete recensire e dirmi cosa vi piace o non vi piace.
Grazie per l'attensione e Buona Lettura



Dolore.
Riesco a sentire solo questo.
Un dolore così forte da mandarmi fitte lancinanti per tutto il corpo.
Non ricordo cosa me lo ha procurato.
Sento delle voci intorno a me, ma vedo tutto nero.
La testa mi gira.
Sento qualcuno che mi solleva.
Un altro dolore meno acuto.
Un ago mi trafigge le vene del braccio destro e sento un nuovo liquido che scorre dentro di esso.
Un liquido che mi calma, la testa smette di girarmi e ogni dolore passa mentre perdo lentamente conoscenza.
 
Sollevo leggermente le palpebre.
All’inizio vedo tutto ombrato ma a poco a poco riesco a mettere a fuoco il posto dove mi trovo.
La testa mi fa male e anche la gola brucia molto.
Sono distesa su un letto, coperta da lenzuola bianche.
Avanti a me c’e un armadietto di colore azzurro e bianco, le stesse tonalità delle pareti.
Giro leggermente la testa a sinistra. Al posto delle pareti azzurre c’e una finestra gigante , che dà sulla città.
Alla mia destra c’e un letto uguale al mio, vuoto.
Ho già visto un posto come questo, ma non mi ricordo.
Una sensazione di nausea sale dalla bocca dello stomaco e mi arriva in gola.
Io non ricordo.
La mia testa comincia a formulare delle domande.
Come mi chiamo?
Quanti anni ho?
Perché sono qui?
Comincio a tremare tutta, non riesco a rispondere a nessuna di queste domande.
Faccio respiri profondi e cerco di interrogarmi sulla domanda che credo sia la più facile.
Come mi chiamo?....Io mi chiamo….Mi chiamo….
Niente.
Nella mia testa rimbomba quella domanda.
Ma non ho la risposta.
Devo pur chiamarmi in qualche modo.
All’improvviso mi rendo conto di non sapere niente di me. Non so come mi chiamo, né quanti anni ho, non ricordo il viso dei miei genitori e la cosa peggiore è che non ricordo nemmeno il mio, di viso.
Ho un ago infilato in un braccio che prosegue in un tubo che finisce attaccato ad una flebo. Il liquido della flebo che finisce nel mio braccio brucia, vorrei strapparmi l’ago, ma non lo faccio. Probabilmente mi avrebbe fatto ancora più male.
La mia mente comincia a ragionare.
Camera a due letti, flebo, lenzuola bianche, mal di testa.
Sono in un ospedale.
Ecco, è questa la parola che mi ronzava nella testa.
Cosa mi è successo?
Comincia a salirmi la paura, voglio esaminare il mio corpo visto che non ricordo nemmeno come sono fatta.
Con il braccio sano, tolgo le lenzuola dal letto in modo da scoprirmi le gambe.
Passo un po’ di tempo ad osservarle.
Ho i piedi piccoli, le gambe sono cicciotelle e scure, alla caviglia destra c’è un braccialetto colorato.
Il mio sguardo si sposta sul mio torace, nascosto da un camice bianco.
Mi tocco la pancia.
Lentamente la mia mano comincia a salire e comincio a toccarmi il viso.
Con la coda dell’occhio vedo i miei capelli sciolti sulle spalle. Li tocco, sono abbastanza lunghi e di color marrone.
Voglio alzarmi. Voglio andare nel bagno che vedo attraverso la porta aperta alla mia destra e vedere il mio viso.
Voglio vederlo più di ogni altra cosa.
Sto quasi per alzarmi quando sento una voce.
-Ti sei svegliata, finalmente-
Un uomo con un lungo camice bianco mi si avvicina.
Deve avere una cinquantina di anni, è molto alto con i capelli grigi e lo sguardo triste.
-Dormivi da molte ore-
“E’ un medico” dice una vocina nella mia testa.
Apro la bocca per fargli una quindicina di domande ma dalla mia bocca non esce suono.
Cerco di sforzarmi a parlare ma la gola mi brucia ancora peggio di prima e mi escono le lacrime.
-Calma, non ti sforzare- mi dice l’uomo –Ti dirò tutto-.
Prende una sedia che prima non avevo visto e si siede.
Prende un respiro profondo.
-Sei in un ospedale come hai già capito-
Io annuisco.
-Ti abbiamo portato qui ieri sera, una donna ci ha chiamato per avvisarci di un incidente appena fuori città, lei stava passando con l’auto e ti ha vista stesa a terra, non avevi niente con te nemmeno un telefono. Lei ha chiamato l’ambulanza e siamo venuti a prenderti-
Fa una pausa per permettermi di capire.
Ho avuto un incidente.
Una donna mi ha salvato.
Ecco perché sono qui.
Avrei altre mille domande da fargli, lui lo capisce e continua a raccontare.
-Eri in fin di vita, l’incidente ti ha procurato danni alla parte frontale del cervello e alle corde vocali-
Ecco spiegato il mal di testa e il fatto che non riesco a parlare.
-Vedi piccola, devi sapere che qui- mi tocca la fronte con l’indice –E’ dove risiedono i nostri ricordi, le nostre emozioni e quando si ha una grave botta questi ricordi svaniscono. E’ come la pellicola di un film, se si rompe anche di un poco, tutto il film è perduto-
“E’ questo che mi è successo? Ho perso la memoria?” penso.
Lui fa eco ai miei pensieri.
-Hai avuto una perdita della memoria, fortunatamente a breve termine, ecco perché non ricordi il tuo nome né sai chi sono i tuoi genitori-
-“I miei genitori”-
-Stiamo facendo tutto il possibile per rintracciarli, ma è complicato non sapendo come si chiamano-
Stringo in un pugno la mano e faccio respiri profondi.
Mi sento come se mi avessero rubato la vita.
Lui mi sorride.
-C’è un ottima notizia però- mi dice –Potrai riprendere a parlare fra poco e in più conosciamo anche il tuo nome-
“Il mio nome…e come hanno fatto?!” penso sbalordita.
Lui mi indica il braccio in cui è infilato l’ago.
Vedo una striscia di plastica arancione che prima non avevo notato.
-Guarda-
La gira attorno al mio polso fino a trovare una scritta incisa nella plastica.
-C’è scritto May..è il tuo nome-
-“Potrebbe essere anche una marca”- penso.
Lui sorride.
-So che ti chiami così. Anche mia figlia ne ha uno uguale, azzurro però-
Guardo il braccialetto e lo accarezzo con il braccio sano.
Il mio nome. Ho finalmente scoperto come mi chiamo.
May.
Sfortunatamente non mi dice niente. Speravo che sapendo almeno il mio nome avrei ricordato qualcosa della mia vita passata.
Invece niente.
Nada.
Zero.
Vorrei chiedergli qualcosa, ma lui si alza e fa per andarsene.
Io lo blocco per un braccio e lui intuisce che voglio sapere un'altra cosa.
Prende un foglio di carta e mi dice di scrivere.
Il mio braccio destro non si può muovere ma stranamente la mano sinistra afferra subito la penna e comincio a scrivere velocemente.
Sono mancina.
Scrivo e ridò il foglio al dottore.
Lui annuisce ed esce e torna poco dopo con uno specchietto abbastanza grande.
 Lui me lo dà e poi esce dalla stanza.
Faccio un respiro profondo e porto lo specchio ad altezza viso.
Il primo pensiero quando mi vedo è “Questa sono davvero io?”
Ho gli occhi marroni, leggermente tirati alle punte.
Un naso all’insù.
Una bocca carnosa.
Un neo sulla guancia destra.
Non sono un tripudio di bellezza ma mi piaccio.
Cerco di impormi l’immagine del mio viso in testa e solo quando me lo ricordo ad occhi chiusi poso lo specchietto ma prima di farlo noto qualcosa sul mio collo.
Una cicatrice orribile che parte da sotto al mento e procede a forma di curva, lunga circa cinque centimetri.
E’ spaventosa.
Poso di scatto lo specchietto sul mobile e faccio respiri profondi.
Mi calmo e ricapitolo mentalmente tutto quello che il medico mi ha detto.
-“Mi chiamo May…non so quanti anni ho… non conosco i miei genitori…ho avuto un incidente…ho perso la memoria…anche la voce…sono abbastanza carina e ho una brutta cicatrice sul collo”
Beh, è sempre più di quello che sapevo venti minuti fa.
-“Cosa farò ora?”- penso.
-“Aspetti”- mi dice la vocina nella mia testa.
Vorrei parlare, sentire la mia voce, invece chiudo gli occhi e mi addormento di nuovo, sperando di sognare qualcosa della mia vita precedente.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Niall e un quadernino rosa ***


Salve, sono Hucher92, grazie per aver letto il primo capitolo della mia FF, spero che vi sia piaciuto anche perchè il meglio (e con meglio intendo Niall) verrà in questo capitolo.
Grazie e buona lettura



Un rumore improvviso mi fa svegliare di scatto.

Cosa è stato?.
Continuo a guardare in direzione della porta,ma non vedo niente perciò mi tranquillizzo.
Sento un formicolio al braccio destro e quando lo guardo vedo che l’ago con la flebo non ci sono più. Al posto dell’ago un cerotto.
Quanto ho dormito? Nella stanza non c’è un orologio perciò mi giro e guardo fuori dalla finestra.
Devono essere le sette passate perché il cielo è ancora tinto di arancio.
Comincio a giocherellare con le punte dei miei capelli finchè non arriva una donna con un vassoio.
-Ben svegliata!- dice appena entra.
Vorrei ricambiarle il saluto, ma mi limito a sorridere.
Posa il vassoio contenente delle vaschette di cibo sul mio comodino.
-Allora, ti senti meglio?-
Annuisco ancora.
-Qui c’è la cena, ce la fai a mangiare da sola?-
Vedendomi annuire la donna sorride.
-Dopo verrò a metterti di nuovo l’ago per il lavaggio, va bene?-
Faccio segno di no. Il braccio ha appena smesso di bruciare, perché dovrei rimettermi l’ago?.
Lei ride.
-Se non lo faccio non uscirai più da qui dentro-
Gira i tacchi e se ne va, lasciandomi sola con il mangiare.
Non mi prendo nemmeno la briga di guardare il “menù”…la gola brucia ancora e rifiuto il cibo all’istante.
Nonostante non debba parlare faccio qualche tentativo.
Riesco a emettere gridolini strozzati senza che gli occhi si riempiano di lacrime. Già un miglioramento.
E’ una noia mortale stare qui.
Quando l’infermiera è di ritorno mi rimprovera di non aver mangiato e tenta di convincermi ma sono irremovibile, perciò si limita a rimettermi l’ago nel braccio e ad andarsene.
Il dolore ricomincia più forte di prima.
Vorrei non pensarci ma non ho distrazioni qui.
E se mi alzassi? L’asta con la flebo è mobile, potrei spostarmi trascinandomela appresso, ma non credo che l’infermiera sarà d’accordo.
Non posso muovermi. Né parlare.
Mi ritrovo a fissare il soffitto fino a che non si fa notte.
Vedo l’infermiera che mi ha portato da mangiare che mette la giacca e se ne va.
Il dottore passa di nuovo a salutarmi prima di andarsene e mi dice anche il suo nome: dottor Richard Bennett.
Piano piano il brusio si placa, le persone cominciano a dormire e mi sento ancora più sola.
Le luci del corridoio sono accese e non riesco nemmeno a dormire, ho già dormito troppo.
Dopo mezz’ora non riesco più a stare sdraiata, mi tolgo le coperte dal corpo e scendo dal letto, cercando di non piegare il braccio destro ancora con l’ago.
L’asta con la flebo ha delle piccole rotelle alla base, quindi posso muoverla.
Non so se le mie gambe funzionano bene, ne metto prima una a terra e poi metto la seconda, tenendomi sempre alla sbarra del letto.
Faccio qualche passetto.
Le gambe funzionano bene.
Mi sento felice e vorrei correre e saltare, invece cammino lentamente con la flebo appresso.
Mi affaccio alla porta della mia stanza.
Due lunghi corridoi, uno a destra e uno a sinistra.
Alla mia destra ci sono altre sei stanze come la mia, con le porte chiuse.
Nessuna infermiera o dottore in vista, ma li sento parlare e ridere dietro una porta.
Il corridoio finisce con una porta antincendio. Inutile andare per lì.
Alla mia sinistra  invece c’è un corridoio con tre stanze come la mia e qualcosa che non riesco a vedere.
Esco con i piedi scalzi e il camice dell’ospedale trascinandomi la scomodissima asta.
Arrivo ad una sottospecie di incrocio.
Se vado avanti finisco in un altro reparto diverso dal mio, se mi giro verso sinistra ci sono due ascensori e alla mia destra c’e una piccola sala d’attesa con delle poltroncine e due distributori.
Avanzo lentamente mettendo il piede sulla calda moquette blu scuro.
Porto l’asta vicino ad una finestrina e guardo fuori.
In cielo splende una mezzaluna gialla, circondata da tre o quattro stelle.
Un aereo attraversa il cielo lentamente e io comincio a fissarlo.
Sento un rumore alle mie spalle.
Mi giro di scatto.
C’è qualcuno che mi guarda nella penombra.
Strizzo gli occhi per vedere meglio.
E’ un ragazzo.
Arrossisco e immagino la scena ai suoi occhi: una ragazzina con le ginocchia su una sedia che si sporge per vedere un aeroplano con una flebo attaccata al braccio.
Mi viene da ridere ma mi trattengo e mi metto seduta composta.
Lui mi guarda per un po’. Sembra voler ridere anche lui.
-Ciao- dice avvicinandosi di qualche passo.
Io sorrido e lo saluto con la mano.
Lui mi guarda…forse si aspettava un saluto vocale.
-Posso sedermi accanto a te?-
Io annuisco e lui si avvicina. Ora che è piu vicino riesco a vederlo, illuminato dai raggi della luna.
Deve avere circa diciassette anni, è molto magro, lo si vede anche da sotto al camice più piccolo del mio che porta. Ha i capelli biondi arruffati e gli occhi azzurri.
Mi tende la mano e mi sorride.
-Piacere, Niall Horan-
Gli tendo anche io la mano sorridendo ma non gli dico il mio nome.
Non posso.
Lui aspetta una risposta.
-Tu come ti chiami?- mi domanda ancora.
Non voglio mostrargli la cicatrice. Se fa schifo a me fa schifo anche a lui.
Sto pensando di toccarmi il collo e fare segno di no con la mano, quando lui dice.
-Ok, non vuoi parlare con me, peccato …ci vediamo-
Fa per alzarsi.
Il mio cervello dà uno stimolo alle mie corde vocali e mi esce uno stridulo:
-Aspetta!-
Lui si gira e mi guarda stupito, anche se la più stupita sono io.
Ho parlato.
La mia prima parola anche se un po’ rauca.
Sorrido dalla felicità mentre Niall mi guarda.
Si siede di nuovo vicino a me.
-Allora non riesci a parlare bene?-
Io annuisco.
-Riesci a dire il tuo nome o te lo faccio scrivere?- mi chiede lui.
Prendo un respiro profondo e scandisco una lettera alla volta.
-M…a….y-
-May?- mi chiede lui.
“Evviva!Che bello, l’ho pronunciato bene” penso.
-E il tuo cognome?-
Abbasso lo sguardo.
-Non riesci a pronunciarlo?- mi chiede preoccupato.
Io nego con la testa e lui si alza.
-Aspettami qui-
Torna poco dopo con un quaderno rosa con una penna e me lo porge.
-Scrivi se vuoi-
Apro il quaderno e comincio a scrivere.
-Anche io sono mancino- dice sorridendo.
Gli sorrido di rimando.
Finisco di scrivere dopo qualche minuti e gli porgo il quaderno.
 
“Ciao Niall, sono contenta di averti conosciuto. Mi chiamo May, non conosco né il mio cognome né quanti anni ho né il nome dei miei genitori.
Mi sono svegliata oggi e non ricordavo niente di me. Il dottore mi ha detto che una donna mi ha trovato a terra in una strada di periferia, in fin di vita.
Ho avuto lesioni alle corde vocali e breve perdita di memoria, non ricordavo nemmeno il mio viso fino a qualche ora fa.
Mi dispiace non poter conversare con te senza scrivere, ma sono certa che presto potrò farlo”
 
Quando finisce di leggere mi guarda.
-Non immaginavo che avessi una storia così triste May- dice.
Mi prende per mano.
-Mi dispiace tanto-
Quando mi prende la mano sento un brivido che parte da essa. Una sensazione nuova diversa da quelle che ho avuto oggi. Una sensazione così bella che mi sembra di volare sulle nuvole.
Mi lascia la mano e si asciuga gli occhi.
Stava piangendo.
E’ molto dolce.
Riprendo il quaderno e scrivo due parole.
 
“E tu?”
 
Lui mi guarda e sorride.
-“Non sono malato, non ho niente, mi tengono qui solo perché gli dispiacerebbe non vedermi più. Sai gli infermieri si sono affezionati a me”-
E’ una risposta molto strana, ma non faccio domande per non sembrare stupida, perciò annuisco.
Lui sembra contento di questa silenziosa risposta.
Ci guardiamo negli occhi per un po’, ma poi lui sposta lo sguardo sul mio collo e capisco che ha notato la cicatrice.
Arrossisco e abbasso il collo.
-Non nasconderla, è solo una cicatrice- mi dice in un tono scherzoso.
Quando però vede che non alzo la testa, si gira di spalle e si alza il camice mostrandomi la sua schiena.
Una cicatrice lunga quasi dieci centimetri, che percorre tutta la colonna vertebrale.
-Sono nato con la colonna storta e a tre mesi mi hanno dovuto operare. Ora sto bene, ma la cicatrice è rimasta- mi spiega.
Si abbassa il camice e guarda la flebo con l’ago.
-“Ti brucia vero?Non preoccuparti, fra poco passa…passa sempre”-
Dà uno sguardo all’orologio.
-Meglio che vada, il mio compagno di stanza si preoccuperà, rimane sveglio tutta la notte, chissà come fa- dice ridendo.
Si alza e mi alzo anche io.
-E’ stato bello conoscerti, domani vengo a cercarti, d’accordo?-
Sorrido e annuisco e gli ridò il quaderno.
-Tienilo tu…ti servirà-
Mi bacia le guance e se ne và.
Prima di uscire dalla sala d’attesa si gira e mi dice:
-Sono contento che l’incidente non ti abbia rovinato il viso…sei molto carina-
Si gira ma io riesco a vedere il rossore che ha sulle guance e se ne và
Torno anche io in stanza.
La sensazione che avevo prima, quella che mi fa sentire come su una nuvola, è ancora qui, insieme a un dolore di stomaco che stranamente non fa male ma è piacevole.
Ripongo il quaderno nel cassetto della mia stanza e mi rimetto a letto.
Non vedo l’ora che venga domani.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Paperella?! ***


Ciao a tutti :)
Scusate se ci ho messo tanto a pubblicare il nuovo capitolo ma penso che parlando di compiti per le vacanze siamo tutti sulla stessa barca e potete capirmi.
Grazie per le recensioni che state dando a questa FF, spero che anche questo nuovo capitolo vi piaccia.


Quando mi sveglio, sento una strana sensazione di felicità ma svanisce quando mi rendo conto che sono ancora in ospedale.
Mi hanno finalmente tolto l’ago e non sento più dolore.
Visto che le mie gambe funzionano scendo dal letto e vado in bagno.
Dopo essermi lavata mi guardo allo specchio e ricordo la frase che mi ha detto ieri Niall:
-“-Sono contento che l’incidente non ti abbia rovinato il viso…sei molto carina”-
Sorrido al pensiero di vederlo di nuovo.
Con la mano mi tocco la cicatrice…posso parlare ora?.
Riesco a dire “ciao” e “May”…il si mi esce ancora un po’ stridulo.
Quando esco dal bagno, mi hanno lasciato la colazione sul comodino.
Latte in un bicchiere, un pacchetto di fette biscottate e due confezioni piccole di marmellata di fragole.
Non ho fame, né mi sento debole, perciò non mangio.
Ritorno in bagno, mi pettino e mi lavo i denti.
Esco fuori dalla mia stanza e percorro il lato del corridoio alla mia destra che ieri non ho visto, quello con le altre stanze.
Le stanze sono uguali alle mie ma tutti hanno un compagno, nessuno dei letti è vuoto.
Mi fermo alla porta dell’ultima stanza.
Dentro c’e una bambina. Deve avere circa nove anni.
Ha la testa fasciata.
Mi sorride e mi fa ciao con la mano.
Io ricambio.
E’ brutto vedere dei bambini in ospedale, dovrebbero essere fuori a giocare e non costretti a letto.
Accanto a lei c’e una donna, probabilmente la madre, che mi guarda con occhi stanchi.
Torno indietro con gli occhi pieni di lacrime.
Anche io voglio la mia mamma.
Vado a sbattere contro qualcuno.
Quando alzo la testa per scusarmi vedo che sta ridendo.
Niall.
-Ti ho trovata finalmente-
-Ciao- gli dico.
-Ah, la magia della medicina…sei migliorata tantissimo a parlare- mi dice.
Gli sorrido e lo prendo per una manica.
-Vieni-
Lo porto nella mia stanza, lui osserva il letto vuoto.
-Ti senti sola qui?-
Io annuisco.
-Dovresti avere il mio compagno di stanza…è un chiacchierone tremendo, quando vengono i miei parenti a trovarmi loro parlano più con lui che con me, tante sono le domande che gli fa-
Apro il cassetto del comodino e prendo il quaderno rosa.
Scrivo qualcosa sopra e glielo porgo.
Lui lo legge e mi guarda.
-Vuoi sapere come è mia mamma?-
Io annuisco e mi guardo le mani.
-Perché?-
Sento un groppo alla gola, e i miei occhi si appannano.
Inizio a piangere e singhiozzare.
-Non…ricordo…la mia mamma-
Niall si siede vicino a me e mi abbraccia e aspetta in silenzio finche i singhiozzi non sono finiti.
Quando le lacrime si fermano e i singhiozzi vengono sostituiti da un leggero tremolio del labbro lui mi guarda.
-Ritroverai tua madre piccola, te lo prometto…non resterai qui per sempre-
Mi dice qualcos’altro ma non lo ascolto…mi perdo in quegli occhi dal colore irreale.
Sembra che qualcuno abbia preso un pezzo di cielo e una goccia  di mare e li abbia messi insieme.
Sono così belli.
Io gli prendo una mano.
-Grazie-
Vorrei fermare il tempo e rimanere così per sempre. Mano a mano con lui, mentre il suo braccio mi circonda le spalle e i suoi occhi che mi guardano, ma poi lui si stacca.
Si arruffa i capelli e mi guarda.
-Com’è non ricordare May?-
Io sospiro.
-Brutto…senti un…vuoto dento…-
-Anche io vorrei non ricordare la mia vita passata- dice lui.
Il mio sguardo interrogativo lo induce a parlare.
-Non ho avuto una bella infanzia-
Sto per fargli un'altra domanda ma mi fermo. Non sarebbe educato. Lui lo comprende e inizia a raccontarmi una cosa.
-Sono sempre stato un bambino malato…sono nato prematuro e quindi ero leggermente deforme, ecco perché a tre mesi mi sono operato alla schiena. Probabilmente a mia madre non piacevo perciò mi ha dato in adozione-
Sospira e va avanti.
-La donna che mi ha preso mi ha cresciuto come una vera mamma, è stata sempre buona con me e mi ha pagato tutte le cure necessarie, io le voglio bene come se fosse la mia vera madre, mentre della mia vera mamma non so più niente…ecco perché tu sei fortunata ad aver dimenticato…potresti avere una storia come la mia e non saperlo, in quel caso è meglio che tu sia qui-
Smette di parlare.
Se solo potessi farlo io…gli vorrei dire così tanto.
Con la coda dell’occhio mi guarda mentre scrivo sul quaderno.
Glielo porgo.
 
“Non pensare alla donna che ti ha abbandonato, pensa alla donna che ti ha preso con te e riversa su di lei il triplo del tuo amore.
Nella vita si deve pensare solo alle cose belle…è troppo breve per pensare alla tristezza.
Quando sei triste prova a pensare a chi sta peggio di te.
Io faccio questo da quando mi sono svegliata.
Se per te è complicato, possiamo farlo insieme”
 
Lui mi sorride.
-Tu non sei una persona normale- mi dice.
Non so se prenderla come un offesa o come complimento.
-Secondo me sei una principessa o roba del genere che è stata mandata sulla Terra per portare la pace nel mondo…sei troppo buona-
Io rido pensando a quella strana fantasia. Lui è serio.
-Ti prego dimmi che lo pensi anche tu- dice.
Voglio compiacerlo…perciò dimentico la mia pronuncia sbagliata del si e faccio per dirlo.
Non avrei mai voluto farlo.
Dalla bocca mi esce una parola strana, non so nemmeno con cosa paragonarla.
Niall mi guarda serio per qualche secondo, poi scoppia a ridere.
Riderei anche io ma sono offesa.
-Sembrava il fischietto di una paperella di gomma-
Quello stupido continua a ridere, ma quando vede che io non rido si mette seduto di nuovo e smette di farlo.
-Non…prendermi…in giro-
-Hai ragione paperella, scusa-
Paperella?!
-Mi perdoni?- mi chiede.
Aspetta la risposta e io quasi ricasco nel tranello.
Voleva farmi dire di nuovo “si”.
Gli do uno schiaffo sulla spalla e gli dico:
-Okay-
Mi abbraccia e ride.
Passiamo il resto del tempo a parlottare fra noi.
Quello che parla di più e lui ovviamente.
Mi racconta di un libro che sta leggendo, narrandomi la trama, davvero avvincente.
E’ quasi alla fine del racconto quando arriva l’infermiera a portarmi il pranzo.
Caspita è già l’una!
Prima di andarsene, la donna mi dice:
-Vedi di mangiare stavolta!-
-Perché, di solito non mangia?-
-E’ da quando è arrivata che non mangia, mi chiedo come faccia a non avere fame-
Posa il vassoio ed esce.
Non lo guardo nemmeno.
Come sempre.
-May…non puoi farti morire di fame-
-Non…ho fame-
-Forse no, ma il tuo corpo ne soffre…se non mangi starai ancora più male-
Giro la testa dall’altra parte.
Non deve impormi di mangiare.
-Guarda che se non mangi ti imbocco io con la forza-
Mi giro e lo guardo.
Non scherza.
-Hai due opzioni…o ti imbocco io con la forza o prendo il mio cibo e vengo qui a mangiare con te-
Mi vergognerei a farmi imboccare da Niall, perciò alzo l’indice e il medio in modo da formare il numero due con la mano.
Lui capisce che preferisco la seconda opzione e si alza e sorride vittorioso.
Esce dalla stanza e io guardo il cibo.
Tre vaschette.
Una con della pasta con il sugo, un’altra con una fettina di carne, un’altra con dei piselli.
Un panino avvolto nella plastica.
Niente di più.
Oh come vorrei non mangiare.
Mi tocco la pancia e quando la mia mano si sposta riesco a sentire le costole.
Ritiro la mano schifata.
Forse Niall ha ragione.
Entra con un sorriso sulle labbra ed un vassoio uguale al mio e si siede sul letto di fronte.
-E’ più buono di quanto sembri-
Annuisco e apro la prima vaschetta con la pasta.
Faccio uno sforzo per metterne una forchettata in bocca e masticarla.
Il sapore non è male e in men che non si dica lo stomaco mi si riapre e comincio a mangiare.
All’improvviso entra una donna nella stanza.
Ha i capelli arruffati e le guance rosse come dopo una corsa.
Appena vedo questa signora sconosciuta mi viene un colpo… e se fosse la mia mamma? Non ho nemmeno il tempo di sorridere che la donna si rivolge a Niall.
-Perché non eri in camera?-
-Scusa mamma, mi annoiavo quindi sono venuto da May-
La signora mi guarda.
-Tua nonna vuole salutarti, forza andiamo in camera tua.-
Lui scende dal letto e si avvia verso la porta.
-Ci vediamo dopo May-
Io lo saluto con la mano e sia lui sia sua madre escono dalla stanza.
Mi sono spaventata quando ho visto la donna entrare nella stanza. Come avrei reagito se fosse stata la mia mamma?
Immagino la scena: lei che mi guarda con le lacrime agli occhi e io che sorrido, scendo dal letto e ci stringiamo in un abbraccio.
Mi prenderebbe e mi porterebbe via da qui.
Niall non torna perciò per ingannare il tempo prendo finisco di mangiare e poi prendo il quaderno rosa che mi ha dato lui e mi metto a scrivere.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2329065