One Way Or Another, I'll Be By Your Side

di Preussen Gloria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Járnsaxa ***
Capitolo 2: *** Balder ***
Capitolo 3: *** Frigga ***
Capitolo 4: *** Seiðr ***



Capitolo 1
*** Prologo: Járnsaxa ***


Prologo:
Jàrnsaxa


Járnsaxa non sapeva chi fosse quando lo vide la prima volta.
Nessuno lo sapeva, perché nessuno lo riconobbe.
Su Jotunheim si parlava di un principe dorato dai lunghi capelli del color del sole e due occhi più blu del cielo d’estate. Járnsaxa non l’aveva mai visto, come non aveva mai visto il sole o il cielo azzurro.
Era un lusso che uno come lui non si poteva permettere nella terra dell’eterno inverno.
Aveva sentito parlare del principe di Asgard solo dai soldati che, nella notte, scendevano in quel luogo che trasudava squallore per sfogare i loro desideri più perversi.
Thor.
Era questo il nome che pronunciavano con rabbia e disprezzo.
Thor.
No, Járnsaxa non l’aveva mai visto ma gli era grato in cuor suo, poiché ogni volta che scendeva dal cielo a sfogare la sua ira, molti suoi clienti perdevano la vita permettendogli un po’ di pace, prima che il suo padrone lo consegnasse a qualcun altro. Járnsaxa era nato alla fine della grande guerra che aveva visto Asgard trionfare e Jotunheim cadere in ginocchio.
Era nato in una famiglia che in quell’inferno aveva perso tutto. Era nato sbagliato.
Era talmente piccolo, quando venne alla luce, che i suoi genitori sperarono che non avrebbe superato la prima notte di gelo. Non fu così facile liberarsi di lui: al terzo giorno furono costretti a pensare ad un’altra soluzione per eliminare quell’ennesima, inutile, bocca da sfamare.
Fosse nato forte, robusto, con dimensioni degne di un vero Jotun, i suoi genitori avrebbero fatto i peggiori sacrifici per permettergli di vivere una vita che fosse degna di essere chiamata tale. Ma nato da scarto non era utile a niente se non ai lavori più disprezzabili.
Lo vendettero che aveva una settimana di vita, almeno così gli raccontarono e, da allora, non vide più la pallida luce dei giorni di Jotunheim, non sentì più il gelido vento dell’inverno sulla pelle. Nessuno in quel lurido posto avrebbe rischiato di dargli anche solo un briciolo di libertà.
Sarebbe stato poco costruttivo.
Da principio, il padrone lo aveva usato come uno schiavetto personale, senza mai essere troppo violento con lui. Appena raggiunta la pubertà, il suo lavoro era divenuto un altro e nessuno dei clienti che lo sceglievano si era mai preoccupato di non fargli troppo male. Non ricordava quanti anni erano passati da quando quell’inferno aveva avuto inizio, sapeva solo che, se quel giovane non fosse giunto in quell’ orrendo luogo quella fatidica notte, probabilmente non si sarebbe permesso di vivere ancora a lungo.
Quella volta, il padrone lo prelevò dalla sua stanza, con inspiegabile gentilezza ed un sorriso mostruoso stampato in faccia. Járnsaxa conosceva il significato di quell’espressione: doveva aver appena fatto i conti con una cospicua fonte di guadagno e lui doveva essere la merce di scambio.
Lo fece lavare e vestire al meglio dai fanciulli più giovani e lo portò con sé, in tutta fretta, in una delle sue stanze personali
“Eccolo qui, giovane signore!”
Járnsaxa non avrebbe voluto alzare gli occhi, ma si stupì di vedere che l’uomo di fronte a lui non era tanto più alto di lui. Non era di Jotunheim, questo avrebbe potuto capirlo anche il più ottuso degli idioti. La pelle rosea ed i corti capelli biondi non erano doni che uno Jotun potesse pretendere di ricevere.
Járnsaxa sapeva che non avrebbe dovuto essere impertinente, gli avevano insegnato che i suoi occhi erano degni di fissare solo il pavimento lercio di quel bordello, ma le iridi di quel giovane erano talmente surreali che non riuscì ad allontanare lo sguardo.
L’uomo lo guardò con un’espressione mista tra imbarazzo e compassione, “quanti anni hai?” Gli domandò e Járnsaxa smise di respirare: nessuno gli aveva mai rivolto una parola, a parte il padrone. Nessuno l’aveva fatto in modo tanto gentile.
“È nato alla fine della grande guerra, giovane signore,” rispose il padrone per lui.
Il ragazzo sorrise appena, “abbiamo più o meno la stessa età.”
Járnsaxa si limitò a fissarlo in silenzio.
“Qual è il tuo nome?” Domandò poi, ma il padrone aveva già perso la pazienza.
“Avrete tutto il tempo di conversare dopo, giovane signore!” Esclamò, “voglio il mio compenso!”
Gli occhi gentili del ragazzo divennero più gelidi dell’eterno inverno di quel regno, “a tempo debito, avrai ciò che ti spetta!”
“Il mio nome è Járnsaxa, signore,” si affrettò a dire lui, prima che il padrone perdesse completamente le staffe e decidesse di cacciare quel giovane tanto gentile. Fu un errore, poiché una delle prime cose che gli avevano insegnato era di non parlare senza permesso.
“Tu, piccolo, ignobile…” Ringhiò il padrone ma il colpo non arrivò mai.
“Non osare toccarlo!” Esclamò il giovane dai capelli biondi con espressione minacciosa, poi liberò un piccolo sacchetto di pelle dalla stretta della sua cintura, “questo è il tuo compenso, lasciaci andare!”
Il padrone perse completamente interesse per entrambi, troppo occupato a toccare con mano le monete d’oro che aveva ricevuto in pagamento. Járnsaxa si sentì afferrare per un polso e, quando alzò di nuovo lo sguardo, gli occhi azzurri del giovane erano tornati a brillare di una luce gentile, “vieni, ti porto via da qui.”
Járnsaxa non osò replicare.

A pochi metri di distanza dall’uscita del buco che Járnsaxa era stato costretto a chiamare casa per tutta la sua vita, il giovane dai capelli biondi si fermò e lasciò andare il polso dello Jotun per meglio avvolgersi il mantello rosso intorno alle spalle. “Sono stato in questo regno molte volte,” raccontò con naturalezza, “ma non mi sono mai abituato al freddo.”
Non si aspettava una risposta e Járnsaxa non gliela diede, troppo occupato riflettere su ciò che era appena accaduto e su quel che stava per accadere a breve. “Non devi aver paura di me,” quasi lo pregò il giovane, “non è assolutamente mia intenzione farti del male ma non posso dirti altro finché non saremo arrivati a destinazione, ho molta fretta.”
Járnsaxa era stato abituato a non porre mai domande ai clienti, mai. Tuttavia, quel giovane non era un suo cliente, era il suo nuovo padrone. Questo avrebbe dovuto modificare le regole in qualche modo?
Alzò gli occhi scarlatti in direzione della distesa di neve che si estendeva al di fuori della grotta sotterranea in cui era cresciuto. Era tra quella neve che era venuto al mondo, era a quella neve che apparteneva, non al buio che c’era alle sue spalle.
Tuttavia, non aveva mai pensato che quella neve, un giorno, potesse appartenergli in alcun modo. Non aveva mai pensato che avrebbe potuto toccarla, sentirla, oltre che ad immaginarla o vederla da lontano.
L’oscurità stava veramente lasciando la sua vita? Aveva paura, aveva una paura folle. Perché non aveva conosciuto altro per tutta la sua esistenza e non poteva immaginare come sarebbe stato finire in un luogo ancor peggiore.
Poteva rischiare? Era sicuro di volerlo fare?
“Va tutto bene?” Il giovane dovette accorgersi dell’esitazione nel suo sguardo e Járnsaxa abbassò gli occhi per impedirgli di veder qualunque cosa avesse potuto arrecargli dispiacere, “hai freddo? Stai tremando.”
Járnsaxa per poco non scoppiò in una risata isterica: quale idiota avrebbe mai potuto chiedere ad uno Jotun se aveva freddo?
“No, mio signore,” rispose cordialmente, “è che… Non ho mai lasciato questo luogo prima d’ora.”
Il giovane lo fissò per un lungo istante con espressione sconvolta e Járnsaxa provò un’infinita vergogna per essersi presentato come un essere tanto patetico da smuovere tanta pietà in uno sconosciuto.
“Ti chiedo di perdonarmi se non ti concedo molto tempo per abituarti all’idea ma…” Il giovane sembrò trovarsi in difficoltà, “ho veramente molta fretta.”
Járnsaxa annuì e lo seguì all’esterno senza indugiare ulteriormente.
L’inferno era alle spalle, l’ignoto era davanti e non sapeva dire cosa gli facesse più paura.

Camminarono a passo spedito.
Fu difficile per Járnsaxa che non aveva mai dovuto spostarsi molto in vita sua ma non osò protestare: preferiva boccheggiare che ricevere una punizione dal suo nuovo padrone. Inoltre, affaticarsi camminando all’aria aperta non era certo paragonabile al rimanere chiusi, ogni giorno, in una stanza ad aspettare che un soldato facesse il suo ingresso per usarlo per i suoi comodi.
L’aria pulita e gelida e di Jotunheim, Járnsaxa chiuse gli occhi e la inspirò a grandi boccate come se non avesse mai respirato in vita sua. Di tanto in tanto, il giovane si voltava a guardarlo e gli domandava se andava tutto bene. Járnsaxa si limitava ad annuire in silenzio e proseguire.
“Non manca molto,” lo rassicurò dopo un paio d’ore, “ho trovato rifugio in una caverna all’inizio della valle.”
Járnsaxa non era cresciuto libero e non aveva idea di come quel giovane riuscisse ad orientarsi in mezzo a tutta quella neve, ma si fidò. Non aveva altra scelta.
Una volta giunti di fronte ad una parete di ghiaccio, il giovane affrettò il passo e Járnsaxa faticò a stargli dietro. Solo allora si rese conto che al sibilo del vento si era aggiunto un altro rumore, più acuto, più forte, più vivo.
Il pianto di un neonato.
Járnsaxa si arrestò sull’uscio di una piccola caverna, troppo bassa per un qualunque Jotun di stazza normale, mentre il ragazzo vi si addentrò a grandi passi. “No, no, no. Va tutto bene, va tutto bene,” mormorò inginocchiandosi sulla neve. Járnsaxa non vide a chi si stava rivolgendo ma non faticò ad immaginare che si trattasse del neonato piangente.
“Sono qui,” continuò il giovane alzandosi di nuovo in piedi e, quando si voltò, Járnsaxa vide che stringeva al petto un fagottino scuro, “va tutto bene, sono qui,” baciò la creatura avvolta nella pesante pelliccia di lupo con dolcezza, prima di rivolgere lo sguardo verso lo Jotun che aveva appena comprato.
“Primo, vorrei che tu sapessi che hai il diritto di parlare liberamente.”
Járnsaxa annuì, sebbene non sapesse bene come interpretare simili parole.
“Penso che tu abbia delle domande da pormi, a questo punto.”
Járnsaxa annuì.
“Chiedi e risponderò a quel che potrò, ma non ti rivelerò ogni cosa, sappilo. Ne va della tua stessa incolumità oltre che la mia e,” guardò il neonato, ora tranquillo, tra le sue braccia, “la sua.”
Járnsaxa annuì di nuovo, “vorrei sapere il vostro nome, mio signore,” domandò esitante.
Il giovane annuì, “mi pare il minimo, a patto che tu ti rivolga a me solo con esso. Non sono il tuo signore e non è mia intenzione trattarti come tale.”
“Mi confondete, signore.”
Il giovane annuì, “il mio nome è Thor, probabilmente hai sentito già parlare di me dagli uomini che ti facevano del male…”
Járnsaxa sbarrò gli occhi scarlatti facendo un passo indietro.
“No, no, no! Ti prego!” Esclamò Thor ed il piccolo tra le sue braccia si lamentò rumorosamente, “giuro su tutto quello che ho, anche se non è più molto, che non è mia intenzione farti del male!”
Járnsaxa tremava, “i miei clienti… I soldati dicevano che Thor, il principe di Asgard, prova piacere nell’uccidere gli Jotun.”
Thor fece una smorfia, “non è del tutto vero. Non più, comunque.”
“Per quale motivo un principe di Asgard dovrebbe nascondersi in una grotta di Jotunheim?” Chiese Járnsaxa impulsivamente. Thor scosse la testa, “mi spiace, a questa domanda non posso rispondere.”
“Allora perché il Dio del Tuono dovrebbe aver bisogno di una prostituta di Jotunheim?”
“Non ho bisogno di una prostituta,” spiegò Thor, “avvicinati, ti prego.”
Járnsaxa lo fissò duramente, poi mosse qualche passo per esaurire la distanza tra loro, ciò nonostante si assicurò di lasciare almeno un metro di sicurezza. Thor lo guardò, poi abbassò lo sguardo sul fagottino tra le sue braccia e, lentamente, ne scostò i lembi per mostrare a Járnsaxa il piccolo tesoro che nascondeva.
Al piccolo Jotun non piacque essere scoperto ed agitò le piccole braccia e gambe contro il petto di Thor trasmettendogli il suo bisogno di calore. Járnsaxa restò a fissarlo incantato: il bambino era minuscolo, probabilmente nato da pochi giorni e la pelle blu marchiata sembrava morbida, come i ciuffetti corvini che gli ricoprivano la testolina. Sorrise senza neanche rendersene conto.
“Ti ho comprato per lui, Járnsaxa,” spiegò Thor.
Lo Jotun lo guardò confuso, “che volete dire?”
Thor ricoprì il corpicino del bambino con cura, “non è mia intenzione dire nulla che possa arrecarti dolore, sappilo,” disse con espressione triste, “ma sono venuto in quel bordello cercando qualcuno che fosse disposto a nutrirlo.”
Járnsaxa sentì il cuore fermarsi, “non so come io possa esservi di aiuto,” tentò, ma non era stato Thor a sceglierlo, era stato il suo padrone ad offrirglielo, dopo aver ascoltato accuratamente ciò che il suo cliente richiedeva.
Thor fissò il bambino per non doverlo guardare negli occhi, “il tuo padrone ha detto che hai perso tuo figlio una settimana fa.”
Járnsaxa sgranò gli occhi, “che cosa volete da me, signore?”
“Chiamami pure Tho…”
“Vi ho chiesto cosa volete da me?” Ripeté Járnsaxa duramente cercando di trattenere le lacrime che gli facevano bruciare gli occhi, “mi avete comprato. Sono una vostra proprietà. Datemi un ordine e lo eseguirò.”
Thor annuì e non temporeggiò oltre, “io vorrei che tu lo allattassi.”
“Dov’è la madre?”
“Non c’è una madre.”
“Perché io? Sono una puttana, ho avuto un…” Trattenne un singhiozzo, “bambino solo per sbaglio!”
Thor sospirò, “ti basti sapere che non posso cercare una nutrice liberamente e qualsiasi sostituzione al latte materno che ho avuto a disposizione nuoce alla sua salute,”
“Non fatico ad immaginarlo,” Járnsaxa fissò il fagottino quasi con astio, “nessuno allatterebbe mai un bambino Jotun e nessuno Jotun allatterebbe mai un piccolo scarto.”
“Lui non è uno scarto!” Sbottò improvvisamente Thor stringendo di più il fagotto contro il petto.
“È molto piccolo,” commentò Járnsaxa quasi gentilmente, “ho visto molti bambini così piccoli nascere in quel posto. Lo ero anche io. Li chiamano scarti quelli come noi, qui. Ci uccidono o ci vendono, di solito.”
Thor rimase a bocca aperta per qualche istante, “mi scuso, non volevo aggredirti, pensavo stessi offendendo il mio bambino.”
Il piccolo alzò i pugnetti verso il viso del giovane e Thor si chinò per baciarli dolcemente, “avete tutti i capelli neri, voi…?” Si rifiutò di dire quella parola. Járnsaxa si prese una ciocca di lunghi capelli corvini tra le dita, “sì, credo di sì. I fanciulli che vivevano con me li avevano ed anche i loro bambini.”
“Capisco…” rispose Thor distrattamente sorridendo il piccolo che teneva tra le braccia, “ripeto, non è assolutamente mia intenzione farti del male. Voglio solo che nutri il mio bambino, nulla di più.”
“Non volete…” Járnsaxa trovò un incredibile imbarazzo nel dirlo e si bloccò.
“No! No! Assolutamente no!” Si affrettò a dire Thor, “non voglio approfittarmi di te in alcun modo. Voglio solo che tu gli dia il tuo latte e, quando sarà svezzato, sarai libero.”
Járnsaxa trattenne il fiato, “libero?”
Thor annuì, “hai la mia parola.”
“Non ci sono altre condizioni?”
“Oh giusto!” Esclamò Thor, “dovresti venire con me in un altro mondo. Si chiama Midgar, è un bel mondo. Ho una vera casa lì, un posto sicuro per lui. Quando il tuo compito sarà finito, ti porterò dove più desideri.”
Járnsaxa annuì: non aveva un gran desiderio di rimanere su Jothunheim comunque, non avvertiva nessun particolare senso di appartenenza a quel posto. Solo i suoi incubi vi sarebbero rimasti legati per sempre.
Il bambino riprese a piangere e Thor lo cullò dolcemente contro di sé per tranquillizzarlo.
“Quando è nato?” Chiese Járnsaxa tornando a fissare il fagottino.
“Cinque giorni fa,” rispose Thor, “non ha mai digerito un pasto da allora.”
Járnsaxa sgranò gli occhi rossi esaurendo immediatamente la poca distanza che era rimasta tra loro, “datemelo,” mormorò allungando le braccia. Thor lo guardò confuso, “accetterai?” Chiese.
“Non ho altra scelta,” ammise Járnsaxa, “ma non voglio vedere un altro bambino morire.”
Thor annuì porgendogli il fagottino con estrema cautela.
“Non è molto tranquillo con gli estranei.”
Járnsaxa annuì guardando il piccino con attenzione. Il piccolo muoveva la testolina a destra e sinistra senza darsi pace, la boccuccia era aperta ma a stento riusciva ad emettere suono. Járnsaxa passò due dita tra le ciocche corvine seguendo poi la linea del piccolo naso e poi quella di uno zigomo. Il piccino aprì gli occhi lentamente e Járnsaxa si sentì morire di fronte alla preghiera di quegli rossi che nulla avevano di mostruoso e che racchiudevano solo bisogno d’amore ed innocenza. Sì, quel bambino era innocente, come il figlio che non aveva mai potuto stringere tra le braccia e come tutti i bambini che aveva visto morire per un odio e un’indifferenza ingiustificati.
“Come si chiama?”
“Loki,” rispose Thor sorridendo dolcemente.
Járnsaxa tornò a guardare il suo nuovo proprietario, “potreste lasciarci soli o, almeno, voltarvi?” Domandò gentilmente, “so che suona stupido, ma è una cosa molto intima. Almeno io la vedo così,” sapeva che a coprire la sua nudità non vi era più di un brandello di stracci intorno alla sua vita. Non vi era più dignità sul suo corpo che dovesse andar protetta, ma almeno quel gesto d’amore, probabilmente l’unico a cui avrebbe mai preso parte, voleva che fosse solo suo.
Thor annuì goffamente allontanandosi fino a raggiungere l’ingresso della caverna e lì rimase con una spalla appoggiata contro la roccia, “è sufficiente?”
“Vi ringrazio,” rispose Járnsaxa sedendosi con cautela sulla neve e tornando a sorridere al bambino tra le sue braccia, “ciao…” Mormorò mentre il piccino lo fissava in silenzio, “ciao, piccolo Loki. Non aver paura.”
Járnsaxa mosse il piccino tra le sue braccia per alcuni istanti senza sapere esattamente quel che stava facendo. Ci mise un po’ a trovare la posizione più consona per guidare la piccola bocca affamata al suo capezzolo.
Per sua fortuna, Loki, a differenza sua, sapeva esattamente che cosa fare.
Járnsaxa sobbalzò quando quelle piccole labbra si attaccarono al suo petto succhiando vivacemente.
“Tutto bene?” Domandò Thor.
“Sì,” Járnsaxa prese un bel respiro profondo per calmare il suo cuore impazzito, “si è attaccato.”
Thor sospirò, mormorando tra sé e sé parole che lo Jotun non sentì. Loki mosse un braccino alla ricerca di qualcosa a cui appigliarsi e Járnsaxa spostò tutto il suo peso su un solo braccio porgendogli l’indice della mano libera. Solo allora, Loki si sentì abbastanza sicuro da alzare gli occhi sul suo viso.
Járnsaxa trattenne il fiato per dei secondi che parvero eterni e, in cuor suo, desiderò che lo fossero, che quel singolo momento di pace e dolcezze non avesse mai fine. Le prime poppate furono violente ed avide e Járnsaxa dovette mordersi il labbro inferiore un paio di volte per trattenere un lieve gemito, ma Thor dovette percepire qualcosa comunque, “ti fa male?”
Lo Jotun sorrise amaramente a se stesso. Magari avessi provato questo dolore per tutta la mia vita.
“Solo un po’,” ammise, “lui è affamato ed io non… Non l’ho mai fatto prima.”
“Mi dispiace…”
“Non dovete.”
Loki rallentò il ritmo molto presto e la sensazione divenne da lievemente dolorosa a completamente piacevole. Járnsaxa sospirò stringendo ancor di più il bambino a sé ed accarezzando con i polpastrelli le piccole dita strette intorno al suo indice. Loki lo guardava serenamente, inconsapevole della bruttura del mondo in cui era venuto alla luce.
“Il vostro bambino è nato qui?”
Thor girò appena il viso in un gesto automatico, “sì.”
“Dovete essere molto disperato o molto sciocco per aver lasciato che vostro figlio nascesse su Jotunheim, principe di Asgard,” commentò con una nota di acidità lo Jotun liberando la mancina dalla stretta del piccolo per potergli accarezzare la testolina lentamente, con movimenti volutamente monotoni.  
“Non è mio figlio.”
Járnsaxa si bloccò di colpo ed alzò lo sguardo in direzione del Dio del Tuono, “pensavo fosse vostro…”
“Sì, lo è,” confermò Thor, “solo che non è mio figlio.”
Járnsaxa non chiese altro, abbassò i suoi occhi su Loki che continuava a poppare lentamente tenuto al caldo dalla sua pelliccia di lupo e rassicurato dalle braccia che lo stringevano amorevolmente.
“Il neonato che tieni in braccio è mio fratello.”
Lo Jotun continuò a fissare il piccino che, lentamente, lasciava che la stanchezza e la tenerezza della sua prima poppata lo guidassero dolcemente nel mondo dei sogni. Era dunque un principe di Asgard quello che stringeva contro il suo petto?
Un piccolo Jotun erede del regno dorato, non ci voleva un genio per capire che quella che Thor nascondeva non doveva essere una bella storia.
“Si è addormentato,” annunciò a bassa voce lo Jotun e Thor si voltò immediatamente avvicinandosi con cautela. Dopo un primo sguardo dubbioso, sorrise, “si è addormentato,” ripeté come se non fosse ovvio.
Járnsaxa ricambiò l’espressione automaticamente, “prendetelo, cercherà voi quando si risveglierà.”
Thor non se lo fece ripetere due volte e prese il piccolo tra le braccia con un amore che Járnsaxa non credeva potesse possedere un uomo di guerra. Loki sbadigliò per poi accoccolarsi contro il petto del giovane principe.
“Piccolo mio,” mormorò posandogli un bacio sulla fronte.
Járnsaxa si limitò ad osservare la scena in silenzio, avrebbe rimandato tutte le sue domande a dopo.
Ora, Loki dormiva sereno tra le braccia del fratello maggiore e Thor non aveva occhi che per quella minuscola e splendida creatura.
Forse e solo forse, l’ignoto non gli faceva più così paura.

***

Varie ed eventuali note di comprensione:
Questa fanfiction è nata tempo fa, quasi in contemporanea a The Sins Of The Fathers (che sperò sarà il mio ultimo aggiornamento del 2012), ma fino ad un paio di settimane fa non sembrava avere un capo ed una coda, solo un’idea volante con scene sparse senza un filone cronologico.
Siccome sembra che i filoni narrativi impossibile siano il mio mestiere questo è il primo tassello in cui ovviamente non si capisce nulla! Non che nel mio caso sia una grande novità, chi ha avuto la sfortuna di sbirciare le altre due storie, ne è perfettamente consapevole.

Parliamo del Cross-Over. Perché mettere il Cross con The Avengers e non postare la fic nella suddetta sezione? Semplice, questa storia ha prettamente basi “alla Thor” ed è quasi completamente concentrata su elementi tipici di questo contesto (esempio: divinità nordiche da me abusivamente rielaborate a formato trama). Il resto dei Vendicatori sarà presente nella trama e alcuni potrebbe essere di una certa importanza in alcuni passaggi (ad esempio il prossimo capitolo), tuttavia risultano secondari rispetto al focus della storia: Thor e il suo Baby-Loki e gli immancabili casini dinastici di Asgard.
Intersex. Onde evitare possibili dubbi, gli Jotun delle mie fanfiction generalmente lo sono.

Járnsaxa, io vorrei tanto presentarvelo, davvero vorrei. Tuttavia, facendolo lancerei subito uno spoiler immenso sul futuro della trama. Per tanto, lascio a voi la decisione. Chiunque voglia saperne di più di questo Jotun (che nel mito è una lei, questo ve lo posso dire), può trovare quanto necessario googlando il nome in grassetto.

Commenti ed opinioni sono sempre molto graditi. Buon Natale in ritardo e alla prossima!

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Capitolo 2
*** Balder ***


I
Balder


[Qualche anno dopo.]

Asgard

A Balder era stato ordinato di restare lontano dalle stanze di sua madre.
“Non avvicinarti a quell’area del palazzo per nessuna ragione al mondo,” aveva detto suo padre con tono quasi minaccioso, “hai capito bene, Balder?”
“Sì, padre…”
Non gli aveva spiegato la ragione. Non gli aveva detto niente, ma Balder sapeva. Tutti lo sapevano.
Poteva vedere la verità negli occhi di Sif, resi più scuri dall’ira mal celata.
Poteva vederlo dell’aria tesa di suo padre, quella di un guerriero pronto all’inevitabile scontro.
Poteva vederla nell’assenza di sua madre che, dalla fine della missione di Midgard, non era più uscita dai suoi appartamenti.
Loki.
Sapeva il suo nome, sapeva tutto di lui, benché non avesse avuto la possibilità di conoscerlo di persona.
Suo padre non voleva che lo vedesse.
Sua madre sembrava non poter far a meno di averlo accanto.
Entrambe le cose lo turbavano profondamente.
Balder conosceva la storia dei suoi fratelli perduti. Sapeva com’erano caduti in tentazione ed avevo perso tutto, ogni cosa, compreso l’amore dei loro genitori. Almeno, questo era quello che al re di Asgard piaceva credere. Perché Balder dubitava che quel moccioso avrebbe potuto godere delle stanze di sua madre come prigione, se questa non l’avesse amato almeno quanto amava lui.
Almeno quanto…
Suo malgrado, Balder si ritrovava spesso davanti la porta chiusa di quegli alloggi. La fissava in silenzio per interi minuti, combattendo con l’irresistibile desiderio di prendere tra le mani quella maniglia ed abbassarla. Che cosa poteva venirne di mal dal dare una sbirciatina?
Perché suo padre temeva tanto un possibile incontro tra lui e Loki?
Non sarebbe successo comunque, prima o poi?
O doveva passare il resto della sua vita a sentir parlare dei suoi fratelli come personaggi di antiche leggende, mentre su di lui non c’erano storie da raccontare?
Sì, Balder era profondamente invidioso della memoria di Thor e Loki, positiva o negativa che fosse. Le loro azioni sarebbero rimaste impresse nella storia di Asgard per sempre, mentre delle sue a stento si mormorava.
Colpa del modo in cui l’aveva cresciuto, forse.
Suo padre si era assicurato che la sua educazione fosse conforme alle leggi in ogni minimo dettagli: comportamenti ribelli non era ammessi ed erano severamente puniti. Balder era cresciuto ben sapendo che non gli sarebbe mai stato concesso di mettere piede fuori dal palazzo senza il preciso consenso da parte del padre. Era schiavo della sua stessa casa, il nuovo erede al trono di Asgard.
Erede, certo. Principe dorato, assolutamente no.
Balder non era Thor, ma nulla gli impediva di provare a superarlo agli occhi del re e dell’intero popolo che, un giorno, avrebbe governato.
Eppure, nonostante avesse il totale rispetto di tutti. Non possedeva l’affetto di nessuno.
Sif e i Tre Guerrieri erano la sua scorta personale: lo proteggevano, sarebbero morti per proteggerlo, ma non erano suoi amici e non lo sarebbero stati mai.
Non aveva amici, il principe Balder, solo una lunga lista di leali alleati e sostenitori.
Da re non avrebbe potuto avere amici comunque, si diceva. Come re, avrebbe dovuto essere sopra chiunque e non sentirsi obbligato a guardare negli occhi nessuno.
Occhi.
Le voci dicevano che quelli di Loki erano verdi…

[Ieri]

Midgard.

Nevicava. Un dettaglio di quel mondo che Jàrnsaxa avrebbe dovuto odiare, invece lo rassicurava.
Bello o brutto, crudele o giusto, Jotunheim era stato il suo mondo e ritrovare qualcosa di familiare in un altro regno, lo rassicurava.
Thor gli aveva dato istruzioni precise: gli aveva detto di non uscire di casa per nessuna ragione, ma che poteva muoversi liberamente tra le mura domestiche. Gli aveva mostrato i vestiti tipici di quel mondo e lo aveva aiutato ad indossarli: Jàrnsaxa non era abituato a tanti strati da indossare, ma aveva accettato di buon grado decidendo che sarebbe stata solo questione di tempo, prima di farci l’abitudine.
“Hai la sua stessa taglia,” aveva mormorato Thor, ma il suo sguardo era stato talmente triste che non aveva avuto il coraggio di chiedere nulla.
Con particolare cura, gli erano state mostrate le cose e gli ambienti di Loki.
Il bambino disponeva di una culla in camera di Thor ed una nel soggiorno.
“Posso tenerlo in braccio?” Aveva chiesto titubante.
Thor gli aveva sorriso, “certo, tutto il tempo che vuoi.”
A Jàrnsaxa piaceva tenere Loki vicino e, se non c’era Thor a stringerlo a sé, passava ore a cullarlo contro il suo petto raggomitolato sul divano più vicino alle finestre. Loki dormiva o mangiava, era ancora troppo piccolo per preoccuparsi di studiare le persone che gli stavano attorno ed era un bambino molto tranquillo, una gioia per chi doveva prendersi cura di lui.
“Hai fame?” Domandò, quando il neonato aprì gli occhi verdi spalancando la boccuccia in cerca di qualcosa da succhiare. Jàrnsaxa baciò una delle guance calde e rosee alzando il bordo della felpa per scoprire il petto. Loki agitò le piccole braccia e gambe con aspettativa e Jàrnsaxa rise guidandolo con dolcezza.
Era strano accudire un bambino Aesir, ma Loki era troppo bello per non essere nutrito ed allevato con tutto l’amore possibile e Jàrnsaxa non riusciva a credere che esistesse qualcuno nell’universo capace di rifiutare quella creatura definendola mostruosa. Sì, lui era stato il primo a spaventarsi, la prima volta che Loki si era trasformato tra le sue braccia ma erano bastate le rassicurazioni di Thor a tornare a fargli vedere quel bambino come la cosa più bella che gli fosse mai capitata.
Loki gli tirò un capezzolo con forza inaspettata e Jàrnsaxa strinse appena gli occhi, “piano, piccolo, non scappo mica, sai?” Sapeva che il bambino avrebbe rallentato il ritmo in poco tempo e si sarebbe addormentato, ormai sazio e soddisfatto, nel suo abbraccio. Un scena troppo dolce per poter potersene stancare.
Jàrnsaxa lo guardava per tutto il tempo e Loki ricambiava lo sguardo con sicurezza, fino a che le piccole palpebre non cominciavano a chiudersi lentamente e la presa sul suo petto svaniva. Thor gli aveva chiesto di tenerlo al caldo, per evitargli continue trasformazioni automatiche che non avrebbero fatto altro che indebolirlo ed innervosirlo e Jàrnsaxa aggiustò la copertina verde intorno al corpicino, poi si alzò e lo depose nella piccola culla accanto al fuoco.
Il faccino di Loki si contorse appena, ma bastarono una serie di carezze tra i folti ciuffetti corvini per farlo riaddormentare pacificamente. Jàrnsaxa s’inginocchiò accanto alla culla per guardarlo dormire, “con te è tutto un po’ meno brutto…”
La porta d’ingresso si aprì con forza e si richiuse con un gran baccano.
Loki scoppiò subito a piangere terrorizzato.
“No, no…” Mormorò chinandosi per poter baciare la piccola fronte, “va tutto bene, è solo tornato tuo fratello.”
Thor comparve nel salotto a tempo di record con un’espressione allarmata sul viso, “l’ho spaventato, vero? Mi è sfuggita la porta e fuori… C’è un vento fortissimo…”
Jàrnsaxa scosse la testa, “non devi preoccuparti così, può capitare…”
“No,” Thor si tolse la giacca gettandola sul divano, “da quando è nato, non faccio altro che fare errori. È terrorizzato del buio, dal silenzio e dal freddo, lo sai?” Thor s’inginocchio sull’altro lato della culla chinandosi per baciare una delle paffute guance bagnate, “ha solo una settimana di vita e già non riesco a farlo sentire al sicuro, io…”
Jàrnsaxa gli appoggiò una mano sull’avambraccio in segno di conforto, “posso parlare liberamente?”
“Certo…”
“Allora calmati,” disse gentilmente, “non è successo nulla di grave, i bambini si spaventano con poco.”
Thor sospirò pesantemente ed annuì. Loki non piangeva più ma si era raggomitolato fin quanto poteva per proteggersi da qualche che non esisteva.
“Parlargli con gentilezza, se hai paura tu, lui non potrà mai sentirsi protetto.”
Thor annuì di nuovo chinandosi sul piccolo appoggiando una delle grandi mani sulla testolina corvina, “Loki?” Chiamò con un amore che, Jàrnsaxa ne era certo, nessun padre avrebbe saputo eguagliare, “va tutto bene, amore. Sono qui, è tutto a posto.”
Loki spalancò gli occhioni verdi con fiducia e Thor gli sorrise in risposta posando le labbra sulla piccola fronte ed accarezzando il pancino del neonato con movimenti circolari. In breve tempo, Loki si stiracchiò, sbadigliò e si riaddormentò, come se nulla di brutto fosse successo.

[Oggi.]

Asgard.

A Balder era stato proibito di entrare nelle stanza di sua madre.
In breve, non gli era permesso vedere, tantomeno conoscere suo fratello Loki.
Ma nessuno gli aveva detto nulla a proposito degli appartamenti che, un tempo, erano appartenuti a Thor e dove il loro secondo ospite era stato condotto e rinchiuso. Un altro privilegio di cui solo un membro della famiglia reale poteva vantare.
Le guardie omaggiarono il suo ingresso con un inchino, Balder non li guardò neanche in faccia.
“Voglio vedere il prigioniero,” ordinò e i due uomini non ebbero da far altro che ubbidire senza esitazione.
La stanza era più grande della sua, più bella della sua, più regale… Più tutto.
Il prigioniero era di fronte a lui seduto in fondo al grande letto.
Capelli neri. Occhi azzurri.
Avevano gli stessi occhi. Si assomigliavano, a dire il vero.
Balder fece una smorfia disgustata.
“Chi sei?” Domandò il prigioniero.
“Non rivolgerti a me con tanta leggerezza,” lo zittì il principe freddamente. L’altro alzò gli occhi al cielo, “avrai la mia età o poco più. Non ti sembra ridicolo atteggiarti tanto da superiore?”
Balder sgranò gli occhi scandalizzato, “porterai rispetto al tuo principe, come è legge!”
Il prigioniero inarcò le sopracciglia scure, poi scoppiò a ridergli in faccia, “porto rispetto solo ai miei genitori, chiunque tu sia e non sei il mio principe.”
Balder strinse i pugni per trattenere la rabbia, “ti chiamano Thorson,” disse freddamente, “è realmente il suo nome?”
L’altro sbuffò passandosi una mano tra i capelli corvini, “vuoi sapere se sono il figlio di Thor? Sì, lo sono,” rispose con arroganza, “il mio nome è Magni, molto piacere principe…”
“Balder…” Rispose l’erede.
“Oh,” Magni annuì, “il sostituto…”
“Come osi?” Esclamò il principe adirato.
“Non è forse vero che sei nato perché Odino era a corto di figli da piazzare su quel suo fottuto trono?”
Balder sorrise maligno, “è il tuo trono che stai offendendo…”
Magni rise, “e tu mi stai dichiarando erede al posto tuo, senza neanche accorgertene.”
Il principe aprì la bocca ma non ne venne fuori nulla.
“Che stai facendo, Balder?” La voce di Odino era cupa e minacciosa e l’erede si morse il labbro inferiore per invitare se stesso a mantenere la calma, “non mi sembra di averti concesso di vedere il nostro ospite.”
Balder si voltò lentamente chinando la testa con rispetto, “padre, io…” Non riuscì a terminare la frase che il prigioniero lo sorpassò senza rispetto.
“Mi auguro che abbiate delle risposte da darmi,” ringhiò il giovane fermandosi ad appena mezzo metro dal sovrano, “la mia pazienza sta per terminare.”
Odino sospirò con aria grave, “chiedi, giovane e proverò ad accontentarti.”
“Dov’è mio padre?” Chiese Magni con urgenza, gli occhi azzurri pieni di preoccupazione e paura, “dov’è mia madre? Dove sono i miei genitori?” Quasi urlò l’ultimo quesito con disperazione. Sebbene l’arroganza nella sua voce fosse tanta, c’era solo una preghiera tra le righe ed era per Odino, per l’unico, odiato, uomo che poteva essere di qualche aiuto alla sua famiglia.
“Mi spiace doverti deludere, nipote,” rispose Odino e sembrò essere sinceramente dispiaciuto.
Balder si morse il labbro inferiore con forza chiudendo gli occhi: non poteva mostrarsi debole davanti a quel tiranno. Non poteva, ne andava della sua dignità e di quella della sua famiglia.
Odino non poteva essere stato un buon padre, senza ombra di dubbio, ma non era completamente senza cuore. Avanzò di un passo, alzando la mano per toccare quel nipote che non aveva avuto l’onore di veder nascere.
Magni scattò all’indietro disgustato, “non osate farlo,” sibilò, “non mi toccato. Non è facendo una carezza a me che rimedierete il crimine commesso contro mio padre.”
Odino non insistette, sarebbe stato inutile ma Balder non si fece sfuggire il sincero dolore che oscurò il suo sguardo per un istante.
“Posso vedere mio fratello?” Magni tentò di domandarlo con cortesia, sebbene volesse urlare la sua rabbia ed il suo rancore a pieni polmoni. Balder inarcò un sopracciglio confuso. Fratello? Quale fratello?
Odino scosse la testa, “non devi preoccuparti dell’incolumità di Loki. È con mia moglie e lei…”
“No, no, no…” Magni sorrise istericamente, “voi non capite. So bene che nessuno ha toccato mio fratello, sarei morto prima di permettere ad uno di quei mostri di sfiorarlo ma questo non è sufficiente!”
Il re fissò il nipote per un lungo minuto di silenzio, “non ti è permesso vedere Loki.”
“Mio fratello ha bisogno di me…”
“Tutto quel che è necessario, è a sua…”
“No!” Urlò Balder con rabbia, “non è di un abito regale o di una stanza lussuosa di cui ha bisogno. Non ha bisogno nemmeno delle cure di una donna che ha accettato di darvi un altro figlio per sfregio nei confronti di mio padre!” Prese un respiro profondo per recuperare un minimo di controllo, “Loki ha degli incubi tremendi ogni notte. Alle volte, si sveglia talmente terrorizzato che riesce ad addormentarsi solo tra le braccia di nostro padre o nostra madre e nessuno dei due è con lui, ora! Vi prego, Odino, se volete rinchiudermi nella cella più buia di Asgard fatelo, ma permettetemi di stare con mio fratello… Vi prego…”

Frigga era sull’orlo delle lacrime.
“Non toccatemi,” singhiozzò il ragazzino di fronte a lei facendo un passo indietro per sicurezza, “non toccatemi. Nessuno può toccarmi, a parte mio fratello ed i mie genitori.”
La regina chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, “stai tremando Loki…”
Il ragazzino si strinse le braccia intorno al corpo piangendo disperatamente, “dov’è mio padre?” Domandò, “dov’è mia madre?”
Frigga si sentì morire a quella domanda, “Loki, io sono…”
“Lo so chi siete,” mormorò il bambino con voce tremante, “i miei genitori non mi hanno mai mentito, signora.”
“Allora sai…”
“Che mi avete abbandonato? Sì lo so,” Loki la fissò con rabbia non riuscendo ad arginare le lacrime, “che vi siete sottomessa al re per concedergli un figlio che avrebbe consolato voi e accontentato lui? So ogni cosa… Jàrnsaxa è il nome della mia vera madre, voi non siete niente per me!”
Frigga si portò una mano al petto per calmare il suo cuore impazzito, “amore mio…”
“No,” Loki scosse la testa, “non sono il vostro amore. Sono l’amore dei miei genitori, non vostro e, di sicuro, non sono mai stato e sarò mai quello del vostro re!”
Il ragazzino appoggiò una spalla contro il muro scivolando lentamente sul pavimento: era esausto.
“Ridatemi almeno Magni, vi prego.”
Frigga pianse con lui, incapace di poter reggere oltre tanto dolore da una creatura che era… O era stata... Sua…
“Ho bisogno del calore di mio fratello, vi prego.”
Prima che l’oscurità torni a riversarsi dentro di me, di nuovo…

***
Varie ed eventuali note:
E rieccoci qua, con un aggiornamento che non vale tutti i meravigliosi commenti ricevuti dal primo capitolo, ma spero che compensi un pochino i (mostruosi) tempi di attesa. 
Che cosa abbiamo qui? Una suddivione temporale che merita una breve spiegazione.

Oggi---> Sono tutti gli eventi che hanno come protagonista questo nostro Kid!Loki e suo fratello Magni

Ieri---> Riprende esattamente da dove il prologo ci aveva lasciato e segue tutti i fatti in ordine cronologico, permettendoci di capire come i ragazzini sopracitati siano finiti dove sono finiti.

Piccole presentazioni di Routine.

Balder: il figlio inutile... No, ok, ho giurato a me stessa di essere oggettiva. Nel mito Balder è l'unico figlio naturale di Frigga e uno dei tanti eredi di Odino, muore a causa di un complotto da parte di Loki (e quando mai!). Nel comic, non ho minimamente capito da chi è stato partorito (con esclusione de "Le fatiche di Loki" che, di fatto, ricalcano la mitologia abbastanza fedelmente) ma è figlio di Odino comunque, è re di Asgard per un periodo e quindi fratello\fratellastro di Thor e Loki.

Magni: Nel mito è uno dei figli di Thor, avuto con la gigantessa Jàrnsaxa. Non mi risulta abbia un ruolo in nessuna versione del comic (a differenza di Modi, l'alro figlio di Thor). 

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Capitolo 3
*** Frigga ***


II

Frigga


Frigga avrebbe voluto farlo fin dal primo giorno, ma non ne aveva avuto il coraggio.
Visto il tipo di prigioniero, avrebbero potuto limitarsi a chiuderlo a chiave in una delle tante camere del palazzo, come avevano fatto con i due ragazzini.
Ma Odino aveva dissentito.
“È uno Jotun,” aveva detto, “non abbiamo ancora imparato a non fidarci degli Jotun?”
Frigga dubitava che quella povera creatura avesse mai avuto tendenze violente in tutta la sua vita, ma una gelosia maligna aveva preso campo nell’animo della regina e, sebbene lei stessa se ne fosse accorta, una parte di lei voleva che quello Jotun fosse trattato da nemico.
Si odiava per questo ma non lo poteva evitare.
“Mia regina,” le guardie s’inchinarono aprendo la porta della cella e lasciandola passare. Quelle quattro mura erano sporche e l’oscurità era più forte della luce delle torce.
Jàrnsaxa era seduto in un angolo e si guardò dall’alzarsi in piedi per omaggiare la donna in alcun modo, “che cosa volete?” Domandò ed il suo tono era tutto fuorché gentile. Frigga non si aspettava altro da una creatura a cui avevano strappato il compagno ed i due figli. Cercò di dirsi che quel compagno era suo figlio, che quei ragazzini erano i principi di Asgard, ma non riuscì comunque a mettere a tacere la sua coscienza.
“Volevo assicurarti che tuo figlio è con mio marito,” disse Frigga freddamente, “non devi temere per la sua incolumità.”
“Ne ho due di figli. Quale?”
“Magni.”
Jàrnsaxa sospirò stancamente, “Magni non mi ha mai dato alcuna preoccupazione, mia regina,” le confidò, sebbene Frigga non volesse sentire più parole del dovuto da lui, “quando venne alla luce, riuscii a fare tutto da solo. Da piccolo non ha mai creato problemi né a me né a suo padre. Se si metteva nei guai, lo faceva solo per una ragione.”
“E quale?” Domandò Frigga, suo malgrado.
“Loki…” Mormorò Jàrnsaxa alzando gli occhi scarlatti su di lei, “ci sono giorni in cui desidero che torni il neonato di pochi giorni che Thor mi ha messo tra le braccia anni fa. Riuscivo a proteggerlo, allora. Lo tenevo sempre con me e non vivevo nel continuo terrore che, non appena mi fossi voltato, potesse succedergli qualcosa di brutto.”
“Mio marito dice che Loki è cresciuto più debole di quanto non ricordasse.”
C’era odio negli occhi di Jàrnsaxa quando la guardò di nuovo, “forse il re non conosce la differenza tra la debolezza e l’amore.”
Frigga strinse i pugni, “non ti permetto di…”
“Non temo nulla da voi, mia signora,” la interruppe lo Jotun, “mi avete portato via Thor. Mi aveva portato via i miei figli ma sono perfettamente consapevole dell’amore che provate per loro, non temo per la loro incolumità. Per tanto, sì, mi permetto… Anche se voleste condannarmi a morte, cosa volete che me ne importi, dopo che mi avete tolto tutto?”
Frigga nemmeno si rese conto di aver abbassato lo sguardo con vergogna.
“Avete mai allattato Loki, mia regina?” Domandò Jàrnsaxa e la donna s’irrigidì.
“No,” ammise Frigga tristemente, “non mi è stato permesso di allattare nemmeno Thor, ho perso il latte che il più grande dei miei figli aveva solo pochi mesi. Quando Odino mi portò Loki, ci affidammo ad una mezzosangue per nutrirlo.”
Jàrnsaxa annuì, “Thor era disperato quando venne da me,” raccontò, “una dignitosa disperazione, quella di un vero principe, credo. Penso che se avesse potuto, si sarebbe preso cura di Loki completamente da solo.”
“Thor è un figlio devoto,” commentò Frigga con aria nostalgica, “ho sempre saputo che non sarebbe stato da meno come genitore.”
Lo Jotun accennò un sorriso, “in principio, guardavo Thor con Loki e non riuscivo a credere che esistesse un uomo così dolce. Vengo da un bordello, penso possiate immaginare a che tipo di esseri ero abituato.”
Frigga rabbrividì e si limitò ad annuire.
“Come ci si può non innamorare di un giovane che adora la sua creatura in quel modo?” Domandò Jàrnsaxa sommessamente, “quando tra noi è cominciato a nascere qualcosa, non ho mai avuto la superbia di essere il primo nel cuore di Thor. Probabilmente, nemmeno lui lo è per me. Lo amo, mia regina. Il mio è un amore che non ha nulla a che fare con la gratitudine, lo giuro. Ma…” Si morse il labbro inferiore, “persi un bambino, poco prima che Thor mi portasse via dall’orrido posto in cui sono cresciuto.”
Frigga chiuse gli occhi e sospirò profondamente: no, non c’era nulla di pericoloso in quella creatura.
“Quel bambino non ha mai pianto,” raccontò lo Jotun con voce sottile, “era freddo, quando l’ho stretto tra le braccia.”
“Non pretendo che tu riviva…”
“È necessario perché voi capiate!” Affermò Jàrnsaxa con rabbia, “Thor mi ha portato via da quello schifo ma è stato Loki… Il mio piccolo, bellissimo Loki a salvarmi. Quando io e Thor siamo divenuti amanti, quando mi ha raccontato la verità su quella stupenda creatura io non… Thor temeva che l’avrei odiato, che ne sarei stato geloso ma… ma… Loki era mio, Loki era il bambino che mi era stato portato via, per me. Morirei per lui, mia regina e Thor sa che sacrificherei anche lui per i nostri figli.”
“Perché mi dici tutto questo?” Domandò Frigga confusa.
“Perché non voglio sentirvi ripetere che mio figlio è un debole,” rispose freddamente Jàrnsaxa, “se lo fosse, non sareste qui sotto per implorare il mio aiuto.”
Il viso di Frigga si contorse in un’espressione orribile.
Se ne andò, senza voltarsi.

[Midgard, ieri.]

L’acqua calda era un miracolo a cui Jàrnsaxa ancora non riusciva a credere. Ad una parte di lui dispiaceva ammetterlo ma, spesso, aspettava che Thor uscisse di casa per poter riempire la grande vasca nel bagno principale e restare lì a coccolare Loki circondato dalla schiuma profumata e dal calore.
Gli piaceva stringere il bambino contro il petto nudo: voleva che Loki imparasse a riconoscere il suo odore e ad accettare la sua presenza anche in momenti al di fuori dell’allattamento. Non sapeva cosa facesse Thor, quando non era con loro ma, alle volte, Jàrnsaxa lo vedeva tornare così affaticato che aveva cominciato ad immaginare che lavorasse in qualche modo.
Non sapeva che tipo di lavoro potesse fare un principe.
Non credeva nemmeno che un principe avesse bisogno di trovarsi un impiego per guadagnarsi da vivere ma, probabilmente, questa era la conferma che ad Asgard non c’era più veramente nessuno di cui Thor si potesse fidare.
Jàrnsaxa passò una mano bagnata sulla piccola testa corvina, attento a non far andare la schiuma negli occhi verdi di Loki che non sembrava affatto spaventato dall’acqua. Se ne stava lì, appoggiato al suo petto con un pugnetto in bocca lasciando che quella mano amorevole lo lavasse lentamente. Jàrnsaxa fece una smorfia, “ti piace farti servire, eh?”
Loki tentò di alzare la testolina per guardarlo, ma era ancora troppo piccolo e Jàrnsaxa lo prese la tra mani tenendolo sospeso di fronte a sé: era così piccolo. A Loki non piacque molto quel cambio di posizione, il contatto pelle contro pelle lo rassicurava di gran lunga di più. Il giovane Jotun appoggiò la schiena contro il bordo della vasca distendendo il piccolo sul suo petto. Loki si mosse quel poco che poteva per cercare di afferrargli il capezzolo con le piccole labbra. Jàrnsaxa rise, “fermo o rischi di scivolare.”
Gli sorresse la testa lasciandolo succhiare quanto voleva, mentre si rilassava cullato dall’acqua calda e dalla presenza del piccolo tesoro tra le sue braccia. Loki lo guardò per tutto il tempo, come faceva sempre.
“Se non sapessi che è impossibile,” mormorò lo Jotun posando un bacio tra quei ciuffetti corvini, “penserei che mi stai scrutando dentro, lo sai?”
Loki rispose con un sbadiglio spontaneo, una breve pausa, prima di riprendere la poppata.

[Asgard, oggi.]

“Il re non approverà, mia regina,” la mise in guardia una delle sue ancelle.
Frigga le lanciò un’occhiata obliqua, “il re lo ha affidato a me per un motivo,” replicò duramente, sebbene, in cuor suo, non riuscisse più a capire quale.
“Sei sua madre,” aveva detto Odino.
No, non lo sono più, pensò e gli fece male ammetterlo a se stessa. Loki camminava qualche metro avanti a lei: gli erano sempre piaciuti i suoi giardini e sperava che una passeggiata all’aria aperta l’avrebbe distratto un po’. Aveva smesso di piangere ed urlare quella mattina, doveva aver capito che nessuno gli avrebbe restituito la sua famiglia così facilmente e Frigga stava cominciando a smettere di tentare di convincerlo che anche lei ed Odino lo erano.
Non sapeva come Thor avesse cresciuto i suoi figli, ma guardando Loki e Magni sospettava che non avesse speso molto tempo a parlare di loro. I ragazzini conoscevano il loro nome, Loki sembrava anche sapere di un passato che non gli apparteneva più, ma non c’era nessuna volontà di conoscerli in loro.
Gli avete strappati dai loro genitori, disse una voce maligna nella sua testa, che cosa pretendi?
Chiuse gli occhi e sospirò profondamente. Quando li riaprì, Loki si era fermato di fronte ad roveto e lo fissava con interesse.
Frigga non seppe prevedere le sue intenzioni, ma, quando il ragazzino allungo una mano, un antico meccanismo materno si riaccese in lei, “attento a non pungerti!” Esclamò.
Loki sobbalzò e si voltò a guardarla: non rispose, non fece alcun cenno. Dopo poco, riprese a fare quello che stava facendo come se non avesse udito la sue parole.
“Loki…” Sospirò Frigga credendo che stesse agendo per il puro gusto di farle un dispetto: un comportamento che, il figlio che aveva cresciuto, spesso adottava con le persone che non gli andavano a genio. Fece per avvicinarsi, quando dal roveto secco spuntò un bocciolo rosso, poi un altro ed un altro ancora… In breve, gli arbusti scuri vennero ricoperti da una moltitudine di rose rosse.
Le ancelle alle sue spalle applaudirono entusiaste complimentandosi ad alta voce per il talento magico del principe. Il suo Loki non si sarebbe mai esposto per compiere una magia simile, si sarebbe vergognato troppo del giudizio che gli uomini di corte gli avrebbero sputato in faccia una volta che si fosse sparsa la voce.
Loki s’inginocchiò e raccolse una delle rose appena nate.
Frigga rimase a guardarlo incantata, mentre stringeva lo stelo tra le dita della mano destra e circondava il bocciolo con quella della sinistra: un sottile strato di ghiaccio ricoprì interamente il fiore.
Nessuno applaudì, quella volta.
Loki si alzò e si avvicinò alla regina lentamente ma con passo deciso, “prendetela,” gli disse porgendogli il bocciolo ghiacciato, “non vi ferirà la pelle, promesso.”
Frigga accettò, sebbene con mano esitante. Quasi sobbalzò, quando si rese conto che la rosa era fredda ma non gelida, come se ad avvolgerla fosse stato cristallo e non ghiaccio.
“È un dono per voi,” spiegò Loki con lo sguardo spostato di lato.
Frigga ne rimase sinceramente sorpresa e sorrise, quasi commossa, “ti ringrazio, tesoro.”
Loki annuì, ancora non la guardava, “mia madre mi ha insegnato ad essere grato con le persone che mi trattano con gentilezza, perché è un dono raro da ricevere a questo mondo.”
La regina si oscurò appena nel sentir nominare lo Jotun rinchiuso nelle loro prigioni, ma si sforzò di continuare a sorridere ed annuì, “Jàrnsaxa ti ha detto una cosa molto bella e molto saggia.”
“Siete compiaciuta?”
“Sì, il tuo regalo mi ha fatto un gran piacere e…”
“Posso vedere mia madre ora, mia regina?” Le parole di Loki erano di un’educazione impeccabile ma il suo tono era più gelido del ghiaccio in cui era racchiuso il fiore tra le sue dita.
“Tesoro,” cominciò Frigga titubante, “il re ha dato a tutti delle indicazioni precise…”
“La parola del re non ha valore per me,” intervenne Loki degnandosi di guardarla negli occhi, “non vi chiedo di accompagnarmi, questo sarebbe disubbidire. Vi chiedo di non fermarmi, sempre ammesso che il vostro re non vi abbia reso responsabile della mia carcerazione.”
Frigga non replicò.
“Ve lo chiedo di nuovo,” Loki si avvicinò ancora di un passo, “posso vedere mia madre?”
Quanta adorazione c’era in quella determinazione? Possibile che non ci fosse nulla del suo Loki in quel ragazzino?
Pensò a Jàrnsaxa, pensò alla dignitosa rabbia con cui l’aveva affrontata. Lo immaginò, nel corso degli anni, con le creature che più aveva amato al mondo. Lo immagino con Loki tra le braccia, premuto contro il petto mentre lo nutriva. S’immaginò le mani forti e calde di Thor tra i suoi capelli corvini. Li immaginò entrambi mentre cullavano Loki in mezzo a loro, dopo una dolcissima notte d’amore. Immagino Loki, il suo Loki, che imparava a riconoscerlo come una madre, che andava da lui mentre muoveva i primi, incerti passetti, che lo cercava con lo sguardo quando cadeva e si metteva a piangere.
Nella sua mente, vide Jàrnsaxa divenire madre di uno dei suoi figli e compagno dell’altro.
Vide Jàrnsaxa portarglieli via.
Oscurata dalla gelosia, Frigga si dimenticò dell’unica, grande verità: era stato il suo stesso marito a privarla di ciò per cui sarebbe morta, pur di non perdere mai.
“No, Loki,” rispose scuotendo la testa, “non puoi.”
Loki premette le labbra con forza, i suoi occhi verdi si tinsero di scarlatto e Frigga dovette lasciar andare di colpo la rosa, come se scottasse. Lo stelo si spezzò in due.
La regina osservò i proprio polpastrelli resi bluastri dalle ustioni.
Quando tornò a guardare Loki, i suoi occhi erano di nuovo verdi.

[Midgard, ieri.]

Jàrnsaxa si sollevò dalla vasca stringendo Loki al petto. Distese il piccolo sull’asciugamano che aveva aperto appositamente sul ripiano vicino al lavandino e il piccolo ne approfittò subito per sgambettare liberamente. Lo Jotun rise afferrando uno dei piccoli piedi e baciandone le dite minuscole, poi depositò un baciò sul pancino ed, infine, spese qualche istante per torturare una delle guance morbide. Loki emise versetti acuti per tutto il tempo e Jàrnsaxa si disse che avrebbe potuto vivere solo di quella dolcezza per tutta la vita.
Sentì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi e si affrettò ad indossare un accappatoio, prima di uscire dal bagno.
“Thor, sei tu?”
L’Aesir salì le scale a due a due comparendo velocemente alla fine del corridoio: un sorriso stanco gli illuminava il viso di una luce gentile ma fievole.
“Avete fatto il bagno?” Domandò.
Jàrnsaxa annuì, “ho pensato che volessi vestirlo tu.”
“Grazie,” mormorò Thor prendendo  il fagotto bianco dalle sue braccia. Lo Jotun non poteva evitarlo, ogni volta che quel giovane uomo incontrava gli occhi del suo bambino, qualcosa gli bloccava il respiro.
“Ciao, piccolino,” mormorò con una voce che esprimeva tutto l’amore del mondo, mentre si accoccolava contro di lui con totale fiducia, “deve mangiare di nuovo?”
“Penso che sarebbe più comodo per te, se lo nutrissi ancora prima di andare a dormire. Lui si addormenterebbe subito e, con un po’ di fortuna, tu potresti riposare fino al mattino.”
Thor lo guardò preoccupato, “quando piange la notte, ti sveglia?”
Jàrnsaxa scrollò le spalle con un sorriso tranquillo, “ha tre settimane di vita, cos’altro si può pretendere da lui? Anche se ci sono state delle volte in cui sarei voluto intervenire, penso avesse semplicemente fame.”
“Non voglio derubarti anche delle tue ore di sonno,” spiegò Thor.
“Mi hai portato con te per prendermi cura di Loki,” gli ricordò lo Jotun, “prendersi cura di un neonato significa, spesso, non dormire e, comunque, io posso riposare durante il giorno, mentre lui dorme. Tu spesso te ne vai al mattino per tornare dopo il tramonto. Qualsiasi sia la tua occupazione, senz’altro è più faticosa della mia.”
Thor guardò Loki con aria colpevole, “ci sono modi particolari per far addormentare i piccoli Jotun?”
Jàrnsaxa inarcò un sopracciglio, “perché me lo chiedi?”
“Loki piange in quel modo solo di notte, forse c’è qualcosa che non faccio nel modo giusto.”
Jàrnsaxa si umettò le labbra riflettendo in silenzio, “è tradizione, su Jotunheim, che i neonati dormano con chi li ha messi al mondo in una sorta di nido.”
“Nido?” Chiese Thor confuso.
“Un enorme groviglio di pellicce. Quasi come un letto, ma immensamente più caldo: lo si fa per impedire che i neonati muoiano per il freddo notturno. Siamo fatti per il nostro mondo ma… I neonati sono creature che vengono da una realtà calda ed accogliente, nulla li prepara all’eterno inverno. Sono completamente indifesi, alla nascita. È anche un modo per permettere ad un neo-genitore di nutrire velocemente il proprio bambino.”
Thor si oscurò appena, “dovrei… Dovrei lasciartelo anche durante la notte?”
Jàrnsaxa sapeva quanto era importante per quel giovane e per Loki essere insieme, almeno fisicamente, durante quelle ore, “non preoccuparti, Thor… “ Disse sorridendo, “svegliami quando piange. Lo alletterò e poi potrai riaverlo tutto per te.”
“A meno che…” Cominciò Thor con tono vago, “forse ho un’idea.”

[Asgard, oggi.]

Magni aveva i capelli neri ma, a parte questo, era il ritratto di Thor in tutto e per tutto.
“Assomigli tantissimo a tuo padre,” commentò la regina con un sorriso orgoglioso.
“Vi ringrazio,” il ragazzino accennò un sorriso educato, “lo prendo come un complimento.”
“Lo è,” Frigga annuì sedendosi sulla panchina di marmo della balconata, “sapevi che questa camera era di Thor.”
“Me l’hanno detto,” Magni annuì, “so che mio fratello è nella camera che gli è appartenuta nel suo ciclo precedente.”
“Ciclo?” Domandò Frigga confusa, “cosa vi ha raccontato Thor?”
“Del fatto che, alla fine dell’esistenza, l’universo ricomincia il suo ciclo da capo, con dettagli diversi ma, essenzialmente, finisce col raccontare le stesse storie.”
La regina annuì.
“Ci spiegò che, per Loki, era come se il suo ciclo si fosse interrotto a metà e fosse ricominciato prima della fine di ogni cosa.”
“Quindi sapete che Loki non è nato dal grembo di tua madre.”
Magni inarcò un sopracciglio, “lo dite come se fosse un dettaglio fondamentale, mia regina.”
Frigga abbassò lo sguardo, “nel suo ciclo precedente, Loki non sapeva la verità sulla sua nascita.”
“Lo so,” Magni annuì, “papà ce lo ha raccontato. È basandosi su quello ed altri errori che ha cercato di crescere me e mio fratello in modo diverso da come è stato cresciuto lui.”
Frigga sentì una fitta al cuore: non era facile per una madre sentirsi dire una cosa del genere.
“Ami tuo fratello, Magni?”
“Perdonatemi, ma è una domanda stupida,” rispose freddamente il ragazzino, “prego, ogni giorno, vostro marito perché mi riporti almeno lui.”
Frigga sorrise, “devi solo avere pazienza. Non è nostra intenzione dividerti da Loki in eterno.”
“E i nostri genitori?”
La regina abbassò gli occhi tristemente.
“Come sospettavo,” sibilò Magni voltandosi a guardare la città dorata, “non dovreste essere con vostro figlio ora, mia regina?”
Frigga colse il crudele invito nascosto in quelle parole e si alzò per andarsene.

[Midgard, ieri.]

Jàrnsaxa aveva dormito con molti guerrieri in vita sua. Non per suo desiderio, certo, ma l’aveva fatto nei modi più osceni che si potesse immaginare.
Ora, aveva uno strato di vestiti a ricoprigli completamente il corpo ed una moltitudine di coperte gettate sopra ed il guerriero al suo fianco non solo era vestito quando lui ma giaceva ad almeno un metro di distanza. Oh, giusto, vi era un neonato tra loro.
Eppure… Eppure, Jàrnsaxa non si era mai sentito così imbarazzato in tutta la sua vita.
Loki dormiva pacificamente raggomitolato accanto a lui e lo Jotun si dilettava ad accarezzarlo e guardarlo, dato che non gli era possibile addormentarsi a sua volta, in quella situazione.
Se non altro, aveva ottenuto che Thor si riposasse a dovere, senza dover rinunciare alla vicinanza di Loki.
Il piccolo aprì gli occhi emettendo qualche versetto che preannunciava lo scoppiare di un pianto.
Jàrnsaxa sollevò l’orlo della maglietta velocemente guidando Loki contro il suo petto: il bambino si acquieto immediatamente, dopo aver mangiato.
Suo malgrado, doveva ammettere che gli piaceva condividere uno spazio simile con quella piccola meraviglia, ma la presenza del fratello maggiore lo mandava completamente in panico.
Sentiva che c’era molta più intimità in quella situazione che non nel letto di un bordello.
Un uomo. Un bambino.
Jàrnsaxa non aveva mai avuto il lusso d’immaginarsi come compagno o come genitore. Con la gravidanza, aveva cominciato a vedersi con un neonato tra le braccia e Loki era il concretizzarsi di quel sogno creduto perduto, per questo lo amava più di quanto la sua posizione gli permettesse.
Ma essere un compagno…
Un uomo. Un bambino. Una famiglia.
Era un’illusione troppo dolce perché potesse lasciarvisi andare, senza avere il cuore pregno di paura.

[Asgard, oggi.]

“Sei triste, madre?” Domandò Balder durante la cena.
Frigga forzò un sorriso, “no, tesoro. Sono solo molto stanca.”
Odino la guardò sospettoso dalla parte opposta del tavolo, ma non disse nulla.
Non si organizzavano più banchetti serali per l’intera corte da molti anni, non aveva più senso senza i loro figli. Loki aveva sempre detestato quelle occasioni: per lui non erano altro che spiacevoli parentesi in cui mettersi appositamente in vetrina per essere alla portata dei commenti velenosi della gente.
Thor, da ragazzino, al contrario, adorava la compagnia e la confusione che poteva venire a creare.
Poi era finito col cercare tra la folla un viso che non avrebbe più scorto in quella sala ed aveva cominciato ad evitare ogni tipo di festeggiamento.
“Sei silenziosa,” insistette Balder.
“Te l’ho già detto caro: sono stanca.”
“Dicono che Loki vi abbia aggredita questo pomeriggio nei giardini…”
Frigga trattenne il fiato sentendo lo sguardo confuso di suo marito su di sé, “che sciocchezza. Mi sono appena ferita i polpastrelli, nulla che il solo tempo non possa curare.”
“Però vi ha fatto del male consapevolmente.”
“Balder, tesoro, finisci la tua cena, per favore,” lo rimproverò bonariamente non volendo parlare di quanto era accaduto, del fatto che era scesa nelle prigioni nella speranza che uno Jotun l’aiutasse a capire come prendersi cura di suo figlio e di come quella situazione la dilaniava intimamente. Non poteva parlarne o sarebbe finita con l’accusare Odino di cose che Balder non avrebbe mai dovuto udire.
“Come sta?” Chiese improvvisamente suo marito.
Frigga sospirò, “come vuoi che stia?” Domandò invelenita, “ha visto troppi pochi inverni per essere strappato dai suoi genitori e da suo fratello.”
Odino annuì, “è strano, non trovi? Loki è più grande, eppure non lo sembra.”
“Magni sembra quasi un giovane uomo, lo so.”
“Quando potrò conoscere Loki?” Intervenne Balder prontamente.
“Non ti è stato permesso di parlare,” lo rimproverò il padre.
“Odino…” Mormorò Frigga.
“Deve imparare a non fare domande fuori luogo!”
“Stavate parlando di Loki ed ho fatto una domanda su Loki!” Si difese prontamente Balder, “perché siete così terrorizzati dall’idea che lo veda? Cosa potrebbe farmi? Trasformarmi in una statua di ghiaccio con un sguardo?”
No, potrebbe farti innamorare. È questo che teme tuo padre, pensò Frigga ma non avrebbe mai avuto l’ardire di dirlo apertamente. Nemmeno suo marito aveva osato ma non le era stato difficile capirlo, quando Odino aveva cominciato a ripeterle più volte che Balder avrebbe dovuto stare lontano da Loki il più possibile.
Il re ancora s’illudeva che il suo erede dorato fosse caduto nelle spire di un serpente dal talento di un illusionista. Loki non aveva fatto nulla per legare Thor a sé, era stato il loro primogenito a rincorrerlo, fino all’inevitabile conseguenza.
“Non vedrai Loki per molto tempo, ragazzo!” Sbottò Odino alzandosi dalla tavola, “accettalo!”
Frigga si alzò a sua volta, seguendo il marito fuori dalla sala da pranzo, “ti devo parlare,” gli disse, non appena la porta si chiuse tenendo fuori Balder da quella situazione. Il re annuì ed aspettò che parlasse.
“Odino, Loki non ce la fa più,”
Il sovrano abbassò lo sguardo, “che cosa suggerisci?”
“Permettiamo ai ragazzi di vedersi,” disse Frigga, “smettiamola di trattarli come prigionieri, insegniamo loro a conoscere ed amare questo mondo.”
“E Balder?”
“Dovrà collaborare.”
“Non è a questo che mi riferivo.”
Frigga sospirò stancamente, “devi smetterla di dare a Loki talenti che non ha. Non è un seduttore, non lo è mai stato e Thor non è mai stato tanto ingenuo da cadere in un tranello del genere, quindi…”
“Non tentare di convincermi del contrario, donna!”
“L’ha cresciuto!” Esclamò Frigga, “ci ha abbandonato! Ha rinunciato a tutto e tutti pur di restare con Loki, sebbene non avesse più nulla da offrirgli, solo da che chiederglieli. Se fosse stato un sortilegio, quello che li teneva legati, pensi che Thor avrebbe fatto quello che ha fatto?”
Odino si rifiutò di rispondere, come aveva sempre rifiutato di vedere verità a lui scomode.
Frigga non lo giudicava, non poteva.
Se lo avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere che lo odiava. Avrebbe dovuto dirgli che, se avevano perso i loro figli non era per colpa di un sortilegio di Loki o della debolezza di Thor ma solo ed unicamente di una sua scelta egoistica.
E questo, per quanto Frigga si sforzasse, non riusciva a dimenticarlo.


***
Varie ed eventuali note:
Chiedo scusa per la gran figura da cafona che ho fatto nel non rispondere alle vostre recensioni ma sto aggiornando in completa latitanza e da un computer non mio, chiedo infinitamente scusa e ringrazio chi, nonostante i miei scivoloni, continua a seguire questa storia.

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Capitolo 4
*** Seiðr ***



III
Seiðr
[Asgard, oggi.]

Di tutti i doni che la regina gli faceva, i libri erano l'unica cosa che Loki toccava.
Erano qualcosa che gli ricordava casa.
I libri erano sempre uguali, sia su Midgard che su Asgard.
Potevano avere diverso colore o dimensione ma, in qualunque mondo andasse, rappresentavano la conoscenza.
E Loki era affamato di conoscenza. 
Sua madre soleva ripetere che era un bisogno con cui era nato. Non era mai stato un bambino capriccioso, particolarmente vivace o disubbidente. Poteva essere dispettoso, alle volte ma, più di ogni altra cosa, era curioso.
Fin da neonato, non riusciva a resistere per molto isolato dagli stimoli.
Il buio ed il silenzio lo terrorizzavano.
Con pazienza, suo padre lo stringeva al petto per farlo sentire protetto dai mostri nei suoi incubi. 
I suoi genitori non lo avevano mai rimproverato, quando, anche da grande, usciva dal suo letto per infilarsi in quello di suo fratello. La notte era la parte peggiore, per lui.
Aveva sempre convissuto con il terrore che non potesse finire più, che potesse inghiottirlo e portarlo via dalle persone che amava. 
Quando lo avevano portato via da casa e lo avevano sbattuto in quella camera grande, vuota e piena di rumori, era stato un trauma per lui. Non aveva importanza che il cielo di Asgard fosse trapunto di stelle ogni notte.
Suo padre non era lì.
Sua madre non era lì.
Suo fratello era a qualche stanza di distanza ma gli sembrava lontano anni luce.
Spesso, Loki si raggomitolava sotto le coperte trapunte d'oro e chiudeva gli occhi. S'immaginava la voce dolce della mamma. Cercava di sentire l'abbraccio caldo del suo papà. Muoveva le dita incosciamente, alla ricerca della mano fredda di Magni.
Se era fortunato, riusciva anche a dormire, fino a che gli incubi non tornavano a fargli visita.
Oppure, era costretto a prendere uno di quei libri voluminosi e a coprire quel silenzio con il rumore di tutte le parole che la sua mente poteva registrare.
I libri lo facevano sentire meno solo.
La presenza della regina, invece, non faceva che ricordargli quanto gli avevano portato via, senza nemmeno spiegargliene il motivo.
"Stai ancora leggendo?"
Il sorriso di Frigga era dolce.
Alle volte, Loki si sentiva in colpa per non poter ricambiare i suoi sentimenti.
"Sono felice che ti piacciano."
"Vi ringrazio..." Mormorò il ragazzino, senza alzare gli occhi dalla pagina del suo libro.
"Avevi tutti questi libri anche su Midgard?"
Ed ecco che ricominciava l'indagine approfondita sulla sua vita, portata avanti con tono casuale.
"Non avevo bisogno di tutti questi libri a casa, per coprire il silenzio nella mia testa."
Frigga si sedette sul letto e lo squadrò con attenzione, "e cosa facevi, a casa, quando non leggevi?"
"Giocavo con mio fratello."
Frigga non si aspettò quella risposta. Loki lo capì dal breve silenzio che seguì, "il vecchio Loki non soleva giocare con mio padre?"
La regina abbassò gli occhi, in difficoltà, "da bambini," rispose, "raggiunta l'età tua e di tuo fratello, si erano allontanati molto."
"Lo so," Loki annuì, "papà me lo ha raccontato."
"Allora perchè me lo hai chiesto?"
"Volevo vedere se mi avreste mentito."
Frigga gli passò una mano tra i capelli, "continui a dormire male."
Loki la guardò, "sui miei documenti mortali c'è scritto che ho quattordici anni... Mi avete portato via da casa, mi avete strappato alle barccia di mia madre e di mio padre e non volete farmi vedere mio fratello. Penso che, secondo le loro leggi, questo si chiami abuso psicologico o qualcosa del genere."
"Il re vorrebbe che ti facessi visitare dalla nostra capo curatrice," gli spiegò Frigga, "per assicurarci che non hai nulla che non va."
Loki la guardò confuso, "cosa dovrei avere che non va?"
"Sei molto magro, tesoro," lei gli accarezzò la guancia, "mangi poco, dormi poco... Ti ammalerai, a breve."
"Non mi sono spiegato abbastanza chiaramente?" Loki chiuse il libro, lo abbandonò sul letto e si alzò in piedi, "ridatemi la mia casa e la mia famiglia... Non avrete nulla di cui preoccuparvi, dopo."
Frigga scosse la testa guardandolo con tristezza, "mi dispiace, amore mio."
"Non sono il vostro amore!" Sbottò il ragazzino di colpo, "se mi amaste, come dite, allora non v'impegnereste così tanto a fare quello che fate!"
"Piccolo ingrato..."
Frigga si alzò in piedi di colpo: non si era accorta della presenza del marito sulla porta.
"Non importa il mondo in cui tu cresca," commentò Odino facendosi avanti, "alla fine, ci remerai sempre contro, non è così?"
Loki lo guardava dritto negli occhi, senza alcun timore, "per decenni ci avete ignorati... Per decenni siamo stati felici!" Esclamò esasperato, "perchè adesso? Perchè ora?"
"Tu lo sai il perchè, Loki," rispose Odino.
"Se lo sapessi, non mi sentirei impazzire!"
"Che cosa è accaduto, prima che arrivassimo?"
"Niente!" Loki scosse la testa, "ridatemi i miei genitori."
"I tuoi genitori sono i primi colpevoli."
"Ridatemi mio fratello," Loki tremava da capo a piedi. La temperatura nella stanza si era notevolmente abbassata.
"Tuo fratello non appartiene a te!" Tuonò il re e il ragazzino indietreggiò impaurito "tuo fratello appartiene al suo popolo e alla sua famiglia e, dato che suo padre ha tradito entrambi, lui non ne è parte!"
Frigga avrebbe voluto obbiettare, avrebbe voluto difendere l'onore del secondo figlio che suo marito le aveva portato via.
Qualcosa attirò la sua attenzione, prima che potesse pronunciar parola.
"Padre..."
Il re si voltò immediatamente verso la porta lasciata aperta.
"Vi ho sentito urlare, pensavo che..." Balder non sapeva come giustificarsi. I suoi occhi vagavano imabarazzati per la stanza appoggiandosi su qualsiasi cosa che non fosse il viso del padre. 
"Tu sei Balder, vero?" 
Sia Odino che Frigga trattenero il fiato nel voltarsi verso Loki.
Il principe di Asgard indugiò prima di guardarlo, come un bambino che si ritrova a fare la cosa più proibita del mondo.
L'espressione di Balder, quando i suoi occhi azzurri incontrarono quelli verdi del ragazzino, fu come una coltellata in mezzo alla schiena, per la coppia reale. 
"È curioso," commentò Loki sarcastico, "siete il fratello di mio padre, eppure avrete poco più della mia età."
Balder non riuscì a rispondere: uno dei due grandi fantasmi che avevano infestato la sua vita era una creatura reale, ora. Innegabile.
Lo schiaffo che gli arrivò in pieno viso lo riportò alla realtà.
"Fuori di qui..." Sibilò Odino, "e guardati bene dal disubbidire ai miei ordini ancora una volta!"
Balder si morse il labbro inferiore per non scoppiare a piangere lì, di fronte ai suoi genitori e al fratello maledetto che non aveva mai conosciuto e che, a conti fatti, non lo era più, realmente.
Uscì dalla stanza con passo svelto.
Loki continuò a guardarlo, fino a che non sparì dalla sua vista.
[Midgard, ieri.]

Jàrnsaxa si svegliò perchè una piccola manina gli sfiorava il viso. 
Aprì gli occhi e sorrise nell'incontrare gli occhi verdi di Loki.
"Buongiorno..." Mormorò accarezzandogli il pancino e posando un bacio sulla guancia morbida. 
L'altro lato del letto era vuoto: Thor doveva essersi alzato molto presto, mentre il bambino ancora dormiva. 
Uno strano calore gli salì alle guance.
Per assurdo, era la prima volta che dormiva con un uomo per un'intera notte e l'aveva fatto completamente vestito.
Nessuno si fermava a dormire nel letto di una puttana ed il suo padrone non permetteva mai alla sua merce di ricevere solo un cliente a giornata. Loki si ficcò un pugnetto in bocca cominciando a succhiarlo con insistenza.
Jàrnsaxa sospirò mettendosi a sedere contro i cuscini e prendendolo tra le braccia.
"Coraggio, giovanotto," mormorò sollevando la t-shirt, "è l'ora della colazione."
Loki non aveva certo bisogno di farsi pregare. Certe volte, lo Jotun si chiedeva se fosse, semplicemente, un bambino particolarmente ghiotto o gli piacessero i dettagli: l'occhiata silenziosa che si scambiavano per tutto il tempo, il contatto fisico, la dolcezza....
"Piccolo..."
Sapeva che non avrebbe dovuto innamorarsi così di una creatura non sua ma non poteva, seriamente, evitarselo. Costringersi ad essere freddo con Loki, sarebbe stato come strangolarsi con le proprie mani. 
L'unica cosa bella della sua vita non era nemmeno sua ma, finchè gli fosse stato concesso del tempo, poteva sempre fare finta e vivere quella vita illusoria ancora un altro giorno.
Loki gli sorrise e Jàrnsaxa sgranò gli occhi: non aveva mai visto un bambino così piccolo sorridere. O, forse, erano i piccoli nati nell'inferno da cui veniva lui che, già consapevoli della loro sfortuna, non avevano un motivo per farlo.
"Che cosa stai progettando, birichino?" Domandò incuriosito, mentre gli occhi di Loki si accendevano di una luce del tutto inedita, "sembri un monello sul punto di farmi un dispetto, sai?"
Sentendo uno strano formicolio alla mano, Jàrnsaxa spostò il peso del bambino tutto su di un braccio aprendo e chiudendo le dita per sgranchirle. Fu allora che il sorriso sul suo viso morì.
Chiuse gli occhi e li riprì su di una mano dalla pelle pallida, priva di segni.
Si guardò il braccio e vide il blu della sua natura Jotun sfumare gradulmente, fino a scomparire. Loki gli scivolò dalle braccia e finì sul materasso, non si fece male ma cominciò a piangere spaventato.
Jàrnsaxa si alzò in piedi, cominciando a strofinarsi il braccio, come per pulire via quel colore troppo chiaro ed estraneo dalla sua pelle. Non funzionò e comincio ad urlare.
Prese a girare su se stesso, come impazzito, fino a quando non sbattè contro lo specchio vicino all'armadio.
Si ritrovò a guardare il proprio riflesso con il cuore in gola.
I capelli neri erano rimasti gli stessi ma tutto il resto era cambiato.
La pelle era pallida, molto più di quella di Thor.
Gli occhi, prima rossi come il sangue, ora erano scuri.
Per la prima volta in vita sua, sentì freddo.
La porta alle sue spalle si aprì di botto e Thor irruppe nella camera col martello stretto nel pugno, "che cosa succede?" Chiese allarmato, poi si bloccò, non appena lo vide.
Jàrnsaxa arrossì e si strinse le braccia intorno al corpo, come se lo avesse sorpreso senza vestiti addosso.
Il pianto di Loki attirò l'attenzione dell'Aesir, che lasciò cadere l'arma a terra e si avvicinò al letto per sollevare il bambino. 
"Shhh..." Mormorò sorridendo, "non è successo nulla, stai tranquillo."
"Mi dispiace!" Esclamò Jàrnsaxa avvicinandosi,"mi dispiace tantissimo, Thor, è solo che..." 
Mentre Loki si accocolava contro il suo petto e si tranquillizzava, il principe di Asgard tornò a guardarlo.
Studiarlo, forse, era il termine più adatto.
"Non so come sia capitato," disse lo Jotun abbassando lo sguardo e aggiustandosi una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio: sarebbe voluto scomparire. "Non so cosa sia successo..."
Thor, a sorpresa, sorrise. Anzi, rise!
Jàrnsaxa non capì.
"Incredibile," commentò l'Aesir guardando il bambino e sollevandolo di fronte a sè, "sei incredibile!"
Lo alzò in aria e Loki emise un versetto acuto ed eccitato.
"Thor..." Chiamò Jàrnsaxa, mentre il suo padrone stringeva il fratellino al petto e ne baciava la testolina con fare orgoglioso.
Il principe lo guardò come se si fosse completamente dimenticato della sua presenza nella stanza.
"Mi dispiace," ripetè lo Jotun, "lo stavo allattando, quando..."
Thor scosse la testa, "non preoccuparti," disse gentilmente, "va tutto bene, so che può essere sconvolgente... Lui è sconvolgente! Io sono sconvolto!"
"Spiacente di minare al tuo entusiasmo," si avvicinò di un passo, "ma io non capisco..."
"Oh..." Thor annuì spostando Loki contro la sua spalla, "tu... Hai mai sentito parlare di Seiðr?"
[Asgard, oggi.]

Loki non si era sentito a disagio, quando la curatrice lo aveva condotto in una piccola stanza dorata, gli aveva porso una tunica e gli aveva detto di togliersi tutti i vestiti ed indossarla.
Si era bloccato quando aveva realizzato che quella manovra era necessaria per meglio mettergli le mani addosso.
"Io sono Eir, mio principe."
Loki non era un principe e, se voleva dire appartenere al mondo di quelle persone, non voleva nemmeno diventarlo.
"Stendetevi," lo invitò, indicando quello che sembrava un lettino ospedaliero di Midgard, solo molto più lussuoso, "collaborate e non ci vorrà molto."
Il sorriso della donna era gentile ma Loki si sentì come se fosse sul punto di torturarlo.
"Avanti, tesoro," Frigga gli fu subito accanto e gli prese la mano, sebbene non l'avesse richiesta, "andrà tutto bene, stai tranquillo."
"Devo farvi delle domande, mio principe."
Loki annuì, fissando l'alto soffitto dorato della stanza.
"Siete stato mai curato con il Seiðr?"
"Sì."
Frigga aggrottò la fronte, "da chi?"
"Mia madre ha studiato l'arte curativa, quando sono nato io."
"Quando Thor l'ha preso con voi, intendi?"
"Non vedo che differenza ci sia."
Eir gli tastò il ventre da sopra la tunica, "quanti anni hai con precisione?"
"Non lo so..." Ammise, "all'inizio festeggiavamo il compleanno mio e di Magni, poi abbiamo smesso."
"Perchè?" Chiese Frigga.
"Era un'idea degli altri Vendicatori," raccontò Loki, "quando sono scomparsi, papà non ha voluto più farlo... Penso lo rendesse triste."
Frigga annuì, "i mortali non sono come noi."
"Lo so," Loki la guardò annoiato, "l'ho imparato."
Una strana luce dorata si sprigionò dalle dita della curatrice.
Loki s'irrigidì.
"È solo il mio Seiðr," lo rassciurò Eir, "dovrebbe essere una sensazione a te nota."
"Sono abituato a quello di mia madre da tutta la vita, lo considerate paragonabile?"
"Loki," lo rimproverò Frigga con fermezza.
Il ragazzino nemmeno la guardò.
"Non ho riscontrato nulla di anomalo, mia regina," disse la curatrice, dopo pochi minuti, ritirando il suo potere.
Loki sospirò e si rilassò.
"Piegate le gambe, mio principe."
Loki alzò la testa, "prego?"
"Non ti verrà fatto alcun male," Frigga gli passò una mano tra i capelli.
Il ragazzino la guardò, "forse, ma dubito che lo facciate a tutti i fanciulli di questo regno."
"Non ai fanciulli," ammise Eir, "ma la tua natura è quella di uno Jotun, dico bene?"
Loki si mise a sedere sottraendosi alle mani della donna, "non toccatemi!"
"C'è qualcosa che dovremmo sapere, Loki?" Domandò Frigga gentilmente, "qualcosa di cui ti vergogni?"
"Sapete bene di cosa si tratta e se quello che v'interessa è scoprire se è tutto al suo posto, bene, lo è!"
Eir sospirò, "va bene... La tua prima luna rossa?"
Loki avvampò, "mai avuta."
Frigga sospirò confortata.
"Nessun rapporto sessuale, quindi?" Continuò la curatrice.
Loki si morse il labbro inferiore, "di che cosa avete paura?" Domandò irritato.
La regina gli accarezzò, di nuovo, i capelli, "prima che ti venissimo a prendere, è successo qualcosa su Midagrd, ricordi?"
Il ragazzino prese a respirare più velocemente, "non è successo niente..."
"Vogliamo solo assicurarci che nulla..."
"Non è successo niente su Midgard!" Urlò ed il lettino sotto di lui venne interamente ricoperto di di ghiaccio.
La regina e la curattice indietreggiarono.
Loki si strinse le ginocchia contro il petto, "voglio tornare a casa."
Frigga si morse il labbro inferiore, "mi dispiace, tesoro ma..."
"Smettetela di ripeterlo, sapete benissimo che non è vero!"
Non voleva piangere.
Non voleva dimostrarsi debole, non davanti a loro.
"Riportatemi nelle mie stanze."
[Midgard, ieri.]
Jàrnsaxa fissò il bambino nella culla come se lo vedesse vper la prima volta.
"Lui..." Non era sicuro di aver capito bene, "lui mi ha fatto così?"
Thor sorrise accarezzando il sottile strato di capelli corvini sulla testolina di Loki, "è il suo talento... Usare il Seiðr, intendo."
"Io non..." Jàrnsaxa incepiscò sulle parole, "io non ne so molto ma... Non dovrebbe essere una cosa che fanno gli adulti, dopo anni di studio, tra l'altro? Su Jotunheim, parlano dei maestri di Seiðr come creature leggendarie."
Loki alzò un pugnetto verso il fratello maggiore e Thor afferrò il piccolo polso, "ma lui è speciale."
"Già..." Lo Jotun annuì, "me ne sto rendendo conto."
"Mi spiace se ti ha spaventato, comunque," aggiunse Thor con urgenza, "probabilmente a te non interessa, ma sei la sua prima magia... Almeno, la prima di cui io sono consapevole."
Jàrnsaxa sorrise, "davvero?"
"Se escludiamo il modo automatico in cui cambia aspetto a seconda della temperatura, sì!"
"Ne sono lusingato..." Mormorò, guardando il bambino occupato a giocare con l'enorme mano dell'Aesir. Abbasò gli occhi sulle sue e provò uno spiacevole senso di estraneità nell'osservarle. "Non c'è un modo per fargliene fare un'altra, vero?"
Thor lo guardò costernato, "io... Possiamo provare! Sta andando per tentativi, magari, se lo tieni in braccio ancora un poco potrebbe..."
"Non era un tentativo," Jàrnsaxa scosse la testa, "sapeva quello che stava facendo."
Thor inarcò un sopracciglio, "ha poche settimane di vita..."
"Lo so, ma..." Lo Jotun non sapeva come spiegarlo, "ha sorriso, prima di farlo. Mi ha avvertito che era sul punto di combinare qualcosa."
L'Aesir scrollò le spalle, "forse, ha voluto darti l'aspetto che ha lui in questo mondo perchè credeva di farti un favore," ci pensò un attimo, "in effetti, non è stata una cattiva idea."
"Che cosa vuoi dire?"
"Puoi uscire, ora."
Jàrnsaxa non ci aveva pensato, "intendi... Posso vedere questo mondo? Posso vedere com'è là fuori?"
Thor sorrise e scrollò le spalle, "ti guarderebbero, comunque, tutti anche ora ma non perchè sei diverso da loro."
Loki cominciò ad annoiarsi e l'Aesir lo sollevò tra le braccia.
"Che motivo avrebbero di guardarmi, se ora sono come tutti gli altri?"
"Forse perchè sei bello," commentò Thor con naturalezza, tanta che nemmeno lo guardò in faccia, mentre lo disse, troppo occupato ad impedire a Loki di ficcargli le piccole dita nel naso.
Jàrnsaxa, invece, gelò: nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere, prima d'ora.
In un bordello, il valore di una puttana era direttamente proporzionale al numero di clienti da cui era richiesta.
Lui non era orgoglioso di dire che era tra i migliori che il suo padrone avesse mai avuto ma nessuno... Nessuno gli aveva mai rivolto un complimento del genere senza che vi fosse un doppio fine.
Thor, invece, l'aveva detto semplicemente perchè lo credeva e non c'era nulla di volgare nel modo in cui aveva espresso quel giudizio.
Bello, Jàrnsaxa non ci si era mai sentito. Nel posto in cui era cresciuto, non c'era nulla che potesse definirsi tale.
Aveva creduto che il suo bambino lo sarebbe stato ancor prima di vederlo, poi non era nemmeno riuscito a stringerlo tra le braccia. E, un giorno, quel principe dorato era disceso nel suo mondo di tenebra e lo aveva portato via.
Quella era stata la prima cosa bella che aveva visto.




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