Nietzche ha sempre ragione

di Wake Me Up Inside
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cos'è La Pazzia? ***
Capitolo 2: *** L'Amour ***
Capitolo 3: *** No Title ***
Capitolo 4: *** You Can't! ***
Capitolo 5: *** Pirandellianamente Parlando ***
Capitolo 6: *** Succo D'Arancia ***
Capitolo 7: *** Hope ***
Capitolo 8: *** Il Vampiro E La Maschera ***
Capitolo 9: *** Converse Rosse ***
Capitolo 10: *** Dans Tes Yeux ***
Capitolo 11: *** La Fenice ***
Capitolo 12: *** I Was Here ***
Capitolo 13: *** Once Upon A Time ***
Capitolo 14: *** Schegge Di Vetro ***
Capitolo 15: *** Regina ***
Capitolo 16: *** Storia Di Un Pagliaccio ***
Capitolo 17: *** La Cultura ***
Capitolo 18: *** Brividi Di Noi ***
Capitolo 19: *** Autunno Del Ricordo ***
Capitolo 20: *** The Clash ***
Capitolo 21: *** Le Ombre ***
Capitolo 22: *** Lei ***
Capitolo 23: *** Polvere e Formiche ***



Capitolo 1
*** Cos'è La Pazzia? ***


 C’è sempre un grano di pazzia nell’amore,
cosi come c’è sempre un grano di logica nella follia.
F.W. Nietsche
 

 

Sono le sei ed è già buio pesto, sono depressa e sto leggendo un libro depresso.
Forse dovrei fare qualcos’altro.
Non mi fa bene rileggere questo libro. Mi aggiro per la casa buia silenziosa come un fantasma, correndo ad accendere la luce per scacciare gli spettri di tutti quelli che sono morti nell’indifferenza della gente, gente che cambia canale quando ne parlano al tg.
Le loro anime mi circondano e si chiudono piano su di me soffocandomi, succhiandomi via la vita per trasformarmi in una di loro, come Dissennatori. Per poi dissolversi quando accendo la luce.
Dio, sono pazza.
Sono pazza, gli scatti di umore e i buchi di memoria e la furia omicida ne sono la prova.
E la cosa che mi dà sui nervi è che a me piace essere pazza. Tutti i più grandi geni avevano almeno un briciolo di follia e poi i pazzi vedono cose che gli altri non vedono. Vedono oltre.
E se non fossero allucinazioni, ma semplicemente un vedere dietro le apparenze? Se la pazzia fosse qualcosa di più alto, qualcosa che ti avvicina alla verità?
È per questo che mi piace essere pazza.
E poi, perché no, per essere commiserata. Perché non devo sentirmi in colpa per ciò che faccio, non è colpa mia, è che sono pazza.
Mi odio quando faccio così.
 

 

“Io sonopazza da legare.”
Mi guarda socchiudendo gli occhi.
“Secondo me a te piace essere malata.”
“Dici?”
“Non sopporti di essere normale.”
J. Downham, Voglio vivere prima di morire



 

C’è qualcosa di inquietante stanotte.
Io sto male, mi gira tutto e ho voglia di violenza. Io, la pacifista rompicoglioni della situazione.
Mi fa male la testa come se centinaia di voci mi gridassero dentro, come se mi percuotessero e mi squartassero dall’interno.
C’è qualcosa nell’aria.
La casa è troppo piccola, non ho posti in cui nascondermi. Come se qualcuno dovesse venire a prendermi, come negli incubi di quando ero piccola.
Come se non dovessi vedere l’alba di domani.
Un altro tuono fa vibrare l’aria così densa e io tremo. Non ho mai avuto paura dei temporali, guarda tu se devo iniziare adesso.
Vorrei solo tornare bambina e rannicchiarmi nel letto di mia madre.
Vorrei solo essere fra le sue braccia; perché quando sono con lui, il mondo diventa un posto sicuro, migliore.
Vorrei essere ovunque. Ovunque, ma non qui.
Vorrei essere altrove, da nessuna parte.
Vorrei semplicemente non essere.
 

Ciao bella gente!
Spero solo che legga qualcuno... 
in effetti questa raccolta non ha affatto senso,
quindi non vedo perchè dovrebbe interessare
a qualcuno.
voglio solo comunicare al mondo che, come dire...
IO NON STO BENE u.u
(direte voi: e al popolo di milazzo...?)
fatemi sapere cosa ne pensate, please.
e se non vi piace il primo capitolo, per favore,
aspettatene almeno un altro prima di dire che non vi piace.
diciamo che ne ho di migliori.
almeno credo.
va bene, basta, vi sto intrecciando il cervello
con tutti questi commenti.
alla prossima!
 

 

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Capitolo 2
*** L'Amour ***


Quando l´amore non è follia, non è amore.
Pedro Calderon de la Barca

 
L’amore è un’illusione
Non è nient’altro che
Un bellissimo niente
L’amore non esiste lo dice anche la
Scienza
E noi stupide a rincorrerlo a cercarlo
Cacciatrici di un’inafferrabile bugia
Ma non senti il mio cuore come batte?
Ascolta.
Definiresti questo un colossale niente?


Holaaaa!!!
mamma mia che razza di vacanze...
per fortuna ci siete voi due anime
a tirarmi su di morale!
eccomi con il seondo capitolo di questa
pazza raccolta di nonsense pazzi,
alla faccia di chi dice che scrivo cose
sensate!
e vi avverto, preparatevi perchè i prossimi
capitoli saranno anche peggio!
il mio cervello sta peggiorando u.u
alla prossima,
buon anno a tutti!!

 

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Capitolo 3
*** No Title ***


La saggezza non può essere trasmessa. La saggezza che un saggio tenta di trasmettere suona sempre simile alla follia.
Hermann Hesse

Piangi.
Piangono i tuoi occhi di carta
Ritratti da mano impietosa infinite volte
Immortalati in un attimo di debolezza
In un secondo di vecchiaia nella giovinezza
Sopraffatto dal peso dei ricordi.
Ridi.
Ridi e ti sento da qui, sei a un passo dal cielo
Io a un soffio dall’inferno
Nella vita raccogli ciò che semini, è inevitabile
Giustissimo
Letale.
Grida.
Grida il mio nome invano
Nell’abisso dell’eterno
Soffocato dalla mano del destino.
 
Ok gente: io sto male!
Come se non l’aveste capito u.u
Continuo a dire: e al popolo di milazzo...?
Ma vabbè, finchè c’è ancora qualcuno che
legge i miei  scleri...
sentite, quello che scrivo non ha senso!
Ma dai?!
Oddio che cazzo sto scrivendo??
*prende a testate l'armadio*

Aiutatemiiiii!!!!!

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Capitolo 4
*** You Can't! ***


Sono contrario alla violenza perchè se apparentemente fa del bene il bene è solo temporaneo, il male che fa è permanente.
Gandhi
 
Guardo una goccia d’acqua scivolare lungo il mio viso come una lacrima, no aspetta è una lacrima rotola giù come se pesasse tonnellate, ci guardo dentro e ti vedo con i polsi sanguinanti e le forbici in mano e di colpo tutto si fa rosso
 
ASCOLTAMI!
 
Grido e ti scuoto ma tu niente non puoi sentirmi le mie mani ti attraversano la mia voce si perde ed è orribile non poterti toccare o consolare non riuscire a fermarti
 
SMETTILA!
 
Ho una voglia matta di colpirti inizio a prenderti a calci e schiaffi e non mi fermo anche se non mi senti, ti odio per quello che ti stai facendo è così egoista e per aver pensato che sei un fallimento non è vero niente è solo una grandissima bestemmia e invece
 
TU DEVI VIVERE!
 
Devi vivere anche per me e poi non lo sai che i suicidi non ci vanno in paradiso? Ma no sarà l’ennesima cazzata se il paradiso esiste è per gli angeli come te e un angelo resta tale anche se si taglia via le ali
 
TI AMO!
 
Ti amo da morire e tu lo sai e allora perché non posi quelle forbici e vieni qui così ti faccio sentire questa canzone e poi guardiamo la tv come tutte le coppie normali e la smettiamo per un po’ di essere i due sopravvissuti
 
GUARDAMI!
 
Non so se mi hai sentita ma posi le forbici e alzi lo sguardo e i tuoi occhi lucidi e tristi sono un pozzo e mi fanno venir voglia di precipitare dentro di te e scoprire ogni parte di te e perfino di essere te
 
E poi riprendi la lama la affondi nella carne e gridi
 
Sangue ovunque, zampilla dalla ferita e cola giù gocce schizzano sulle mie labbra e io le bevo
 
Cadi a terra gli occhi sbarrati stai scivolando via da me ma non riesco a trattenerti
 
NON PUOI...DEVI VIVERE! HO BISOGNO DI TE!
 
Ma mentre grido disperata un rivolo di sangue esce dalle mie labbra sono un vampiro sto bevendo la tua vita dovrei smettere eppure il tuo sangue è dentro di me tu sei dentro di me ed è una sensazione troppo bella per lasciarla andare
 
E poi sporca di te della vita che ti ho rubato piango sul tuo corpo inerme
 
Ho ucciso ciò che più amavo
 
Sono dannata
 
 
Ciao gente!!
Come al solito la storia ha preso il sopravvento su di me, mi è venuto fuori un horror...non so da dove mi sia uscito!
Lascio a voi i commenti, comunque.
Baci baci
Wake me up inside
 

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Capitolo 5
*** Pirandellianamente Parlando ***


Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità.
Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!
L. Pirandello

 
Io sono ciò che non sono
Se questa società ci costringe ad essere
Diversi da ciò che siamo
Se ci costringe a fingere
Allora ciò che noi non siamo è ciò
Che veramente siamo
Dentro
Se tutto quello che fingiamo di non essere
È come in realtà siamo
Nel profondo
Dobbiamo essere superficiali per poter vivere
Su questo mondo
E allora niente è vero di ciò
Che abbiamo intorno
Tutti portano una maschera
Ogni cosa è finzione
Ma quello che proviamo dentro
È falso anch’esso?
Possiamo simulare un’emozione?
Oppure sotto la maschera c’è qualcosa di
Reale
Un cuore che batte capace di amare
E quindi in un mondo di bugie
È più vera la menzogna
A cosa credere allora, alle parole?
Parole che si perdono nel tempo
Che si sciolgono al sole
Oppure alle emozioni in fondo
Ai tuoi occhi, quelle sono vere?
Io sono ciò che sono
Ciò che cerco di nascondere
Io sono ciò che non sono
O è tutto frutto della mia pazzia?



Ciaaao gente!
come avrete capito, la mia ossessione
è pirandello...
o meglio, la falsità della gente, le bugie,
quel talento per la finzione che è l'ultima conquista
della civiltà moderna...non è una paranoia e basta, cmq.
sono stata presa in giro e la ferita brucia ancora, e da allora
resto sempre sul "chi vive", parto dal presupposto che
la gente menta. non so più fidarmi, questo chi mi consce lo sa
fin troppo bene...
è un comportamento da pazza, lo so u.u
va bene, nell'angolo autrice di questa raccolta sto diventando
sentimentale...se rompo troppo ditelo ok?
avevo promesso che sarei stata breve questa volta, ma è più forte
di me!
a proposito, ho visto che 2 su 3 che hanno recensito l'altro capitolo
non ci hanno capito praticamente nulla. non lo cambierò perchè a me
piace così e quello che dico io è legge (ahahahah viva la democrazia...
no dai scherzo) però se volete spiegazioni chiedete!
bye bye
wake me up inside

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Capitolo 6
*** Succo D'Arancia ***


Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà,
 a tenere viva in noi qualche piccola follia.
Marcel Proust

 
Meraviglioso.
Passava le ore a fissarlo.
Semplicemente stupendo.
Il tempo correva e lei non se ne accorgeva.
Sublime.
Era in estasi.
Si riscosse. Da quanto tempo era lì? Troppo. ma era in contemplazione. E di cosa, poi? Di qualcosa di così poeticamente banale.
Un bicchiere di succo d’arancia.
Un liquido rosso come sangue fresco che le colava lungo le braccia, le imbrattava le dita. Era così sporco, su di lei.
Eppure, pensava fissando il bicchiere colpito da un raggio di sole, lì dentro quel liquido era così immobile, sembrava tanto puro....ma come poteva una stessa cosa cambiare specularmente di significato, a seconda del modo in cui si presentava?
Era possibile, certo. Bastava guardarsi intorno, ormai. Tutto era falso, le menzogne erano le fondamenta del mondo moderno, ma come le bugie prima o poi vengono smentite, così tutta la costruzione sarebbe crollata. Il mondo sarebbe imploso, risucchiando nel suo fulcro il suo stesso caos.
E poi sarebbe stato il nulla.
Il liquido rosso la chiamava, invitante...e nella sua mente non era più il succo di una semplice arancia, ma l’essenza stessa della vita. Il sangue di milioni di uomini che avevano lottato contro quella prigione di vetro che li teneva rinchiusi, una prigione di pregiudizi, d’inerzia.
Avrebbe davvero bevuto il sangue di altri uomini? Avrebbe lasciato uscire il mostro affamato che la divorava dall’interno? In effetti, un po’ di sangue sano non le avrebbe fatto che bene...
Ma no, quel bicchiere conteneva solo lacrime, lacrime rosse. Non avrebbero potuto in alcun modo aiutarla nella battaglia contro il mostro, semmai renderla solo più debole e triste.
Il bicchiere si riempì di gocce scarlatte, ma questa volta non provenivano da un’arancia: era lei stessa a produrle, altri frammenti di sé che l’abbandonavano spietati. Ma sapeva che quella era l’ultima volta.
Il liquido puro e perfetto si mischiò al suo sangue marcio. L’aveva contaminato per sempre, e provava un piacere perverso nel sapere intaccato qualcosa di sano.
Con le ultime forze, prese il bicchiere e mandò giù in un sorso il liquido ormai impuro. Poi si accasciò sul tavolo inerme, il bicchiere cadde a terra.
Il vetro si spezzò e i frammenti schizzarono via, tingendosi di rosso.
Il mostro aveva preso il sopravvento, era riuscito a raggiungere il suo cuore. Era riuscito a morderlo, a fermarlo con le sue mani adunche.
Alla fine, era stato tutto inutile.
Alla fine, aveva vinto lui.
 
 
Ciao gente!
aggiorno in continuazione,
fra tutte e 3 le storie...spero faccia piacere!
ok, questo capitolo è la conferma del fatto
che sto male. cioè, puoi scrivere una storia
su un bicchiere di succo d'arancia??
certo che la gente sta proprio male!
so che non c'entrava granchè e che spesso
i protagonisti di questa raccolta muoiono
alla fine del capitolo (ma il tema comune è
la pazzia no? quindi non cercate una logica),
ma avete capito cos'è il "mostro" che costringe
e alla fine uccide la protagonista?
fatemi sapere!
  
 

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Capitolo 7
*** Hope ***


Voglio continuare a essere folle, vivendo la vita nel modo in cui
 la sogno e non come desiderano gli altri.

Paulo Coelho

 
Caos.
Neve bianca e
immota
ma mai ferma
Camminiamo in una bolla  di
sapone
su un tappeto d’ovatta, in un
batuffolo di nuvole
Camminiamo in fila
una fila infinita di camici bianchi
una di automi
di robot
una fila di niente.
Grida nella testa
minuscoli folletti che
percuotono strappano tagliano
feriscono e poi ci uccidono
infinite volte
e noi siamo ancora qui
in fila
scalzi, silenziosi come fantasmi
come esseri che non ricordano più
il loro nome
in questa prigione bianca senza
spazio,
senza tempo,
siamo nulla fra pareti di niente.
Non sappiamo cosa
vogliano da noi
non sappiamo da quanto ci
abbiano imprigionati
non sappiamo dove siamo né
chi siamo
semplicemente, noi non sappiamo.
La nostra identità è perduta
volata via in un soffio di vento,
stiamo solo attenti a non fare
rumore, a non
farli arrabbiare
piangendo in silenzio alle loro
frustate,
dicendo ciò che vogliono
sentirsi dire.
Siamo bianchi. Siamo nulla.
Un grido straziante
un giorno
mi volto e ti vedo
Hope
e la fila si rompe
siamo tutti intorno a te
stretti in un abbraccio
immenso
E tu sei lì, così piccola,
sparisci nella tunica bianca
ma il nulla non divora
il tuo viso
il suo cancro non arriva ancora
al cuore
Tu non sei bianco, Hope
sei rosso.
Il rosso dei tuoi capelli che
combatte il bianco
intorno,
i tuoi occhi
che bruciano vita
Loro ti tengono stretta
provano a calmarti
ma tu non cedi
non dimentichi
Hope
tu vivi.
E allora il bianco si alza
su di te
le sue carezze si abbattono
sul tuo viso
lasciando segni indelebili
la punizione per continuare a
vivere
Il rosso delle gocce sul tuo
viso, Hope
infiniti ruscelli
il rosso che colora il bianco
circondandoti
che bagna i tuoi occhi
vivi
i tuoi capelli di fiamma
Eri così piccola
Hope
Loro sollevano il tuo corpo
minuscolo, per
portarti via
così che continuiamo ad
essere fantasmi
Ma ora il rosso scivola
su di loro
si diffonde
non esiste più bianco né
tiranno
Ma loro ti portano via
il rosso che ci hai regalato
per noi è vita
ma è morte per te
piccola Hope
Il nulla ti porta via
nel suo modo peggiore
divorando anche il corpo
non resta più niente di te.
Sparirai,
Hope,
sparirai e il nulla avrà vinto.
I tuoi occhi stupendi, vivi
stanno per chiudersi
Hope
lo so
Resti con noi un attimo ancora
il rosso brilla su di te
dentro di te
Ci guardi tutti, uno ad uno
nei nostri camici di
niente
infiammandoci di vita
Apri le tue labbra piene
rosse
e sussurri in un soffio
fortissimo:
“Noi non siamo il nulla.
Noi siamo infinito.”
Piccola Hope
mio angelo
mia speranza.
 
 
Holaaa genteee!
Quanto tempo che non aggiorno questa storia...
Aaallora: chi non ci ha capito niente
del nonsense alzi la mano!
È stranissimo, lo so...
Dov’è ambientato, chi sono “loro”?
Fatemi sapere perché, come al solito,
non lo so bene nemmeno io!
Bye bye
Wake me up inside

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Capitolo 8
*** Il Vampiro E La Maschera ***


Tutta la vita umana non è se non una commedia, in cui ognuno recita con una
 maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena
 gli fa lasciare il palcoscenico.

Erasmo Da Rotterdam

 
Gocce di pioggia schizzano le finestre e scivolano giù, piange anche il cielo sulle mie lacrime taglienti; sono di vetro, cadendo feriscono il mio viso con la loro crudeltà tanto spietata quanto banale, perché se se ne parla troppo il dolore diventa proprio così: banale.
 

I’ve been believing
In something so distant
As if I was human
And I’ve been denying
This feeling of hopeless
In me – in me*

 

Ogni attimo della mia vita è una fuga dai fantasmi, quei fantasmi che crudelmente mi inseguono senza darmi tregua, senza lasciarmi dimenticare mai.
Come se fosse possibile, poi. Dimenticare.
Cosa significa dimenticare? Si dimentica ciò che andrebbe ricordato. È ciò di cui non vale la pena, che si ricorda. E ciò che si vuol dimenticare. Lo affoghiamo in un lago d’oblio, ma non è mai abbastanza.
Purtroppo, i fantasmi galleggiano.

 

  All the promises I made
Just to let you down
You believed in me but I’m broken*

    

Fa davvero freddo, quel freddo che penetra nelle ossa e lacera anche l’anima. O forse è la mia anima arida ad avere freddo? È sempre inverno dentro di me.
Guardo la pioggia fuori, mangio un gelato alla crema. E il gelato mi fredda il respiro, ma mai come il tuo ricordo mi ghiaccia il cuore.
Quanto tempo che non ti vedo. Quanto tempo che non ci sei.
Ripenso alla nostra amicizia e alla sua fine, ancora e ancora, anche se so che è inutile; ogni volta vedo la ragione da una parte diversa, e poi le cose si fanno sempre in due, perciò non c’è torto né ragione. Io non sono soltanto una stronza e tu, adorabile maschera, smetti di fare la santa.
Ancora adesso non riesco a capire come ho potuto essere così stupida. Come ho potuto crederti?
E come posso ancora farlo?
Buffo che ti chiamassi angelo, dolce bambola di ghiaccio, visto che sei stata tu a sprofondarmi nell’inferno. Sono stata forse anche presuntuosa a credere di conoscerti: chi mai può capire la natura intima di una sirena? È un essere falso per definizione: attira gli uomini con la sua voce e il suo bell’aspetto e lentamente, dolcemente, li accompagna alla morte.
Ancora una volta mi chiedo come abbia potuto caderci, io che mi ritengo tanto superiore agli uomini. Ma come tu con me eri un burattino, io non ero ancora io.
In fondo, non ci siamo mai conosciute.
E lo stesso il rimpianto si insedia nel mio stomaco e continua la sua lenta, inarrestabile tortura. Avrei potuto trattenerti e non l’ho mai fatto, ho preferito per orgoglio lasciarti scivolare via. Avevo ragione io, o almeno così credevo. Ma in fondo cosa importava?
E quanto può contare nella vita di qualcuno un castello di carte crollato nel più totale silenzio? Nulla. Ma nella mia, anche troppo.
Quanto tempo che sei andata via. E con te, infiniti brandelli della mia anima.
 

I have nothing left
And all I feel is this cruel wanting*

 

È mattina e sto per entrare a scuola, ma la mia testa è così confusa...forse non merito di vedere la luce del giorno.
Ti racconto tutto della sera prima, di quella festa in cui ho incarnato l’etichetta che volevo staccarmi di dosso. Sono solo una puttana.
Vedo il riflesso della mia anima scorrere sul tuo viso mentre parlo, prima divertimento, poi sconcerto, infine orrore; e con te rivivo tutto di nuovo, il disgusto per me stessa è così forte da farmi aggrappare a te in cerca di attenuanti. Ma non ne ho, e tu lo sai.
Non c’è umiliazione più grande che sussurrare i propri peccati a qualcuno; e non c’è errore più colossale che scegliere come confessore un vampiro che si nutre dei fallimenti altrui. Esattamente ciò che sto facendo io.
Sono dilaniata, distrutta, spezzata, mi sono squartata dentro con le mie stesse mani; e in un attimo di vulnerabilità, di follia, mi sollevo la manica, scoprendo la linea rossa che mi attraversa il polso. Così aggravo ancor di più la mia situazione ai tuoi occhi, impietoso giudice.
È una disperata richiesta d’aiuto la mia, ma tu non la raccogli, o forse non vuoi farlo. Mi guardi impassibile e pronunci il tuo tagliente verdetto:
“Non sei più tu. Non ti sei tagliata un cazzo. E non voglio più vederti almeno per un po’.”
E poi ti volti ed entri nella scuola, abbandonandomi, e io sono vuota.
Hai preso tutto di me, vampiro dei miei incubi; ecco perché mi hai gettata via.


As much as I’d like
The past not to exist
It still does
And as much as I’d like
To feel like I belong here
I’m just as scared as you*

 

Non c’è aria qui dentro, la gente mi schiaccia contro il finestrino, i vetri sono appannati e non capisco neanche fra quante fermate devo scendere; mi manca l’aria e mi sembra che i corpi ammassati si chiudano su di me, inghiottendomi.
Per distrarmi, prendo il cellulare e comincio a scorrere le foto; odio la gente che lo fa, ma in qualche modo devo evitare di pensare.
Fra un mio disegno e il vestito che devo ricordarmi di comprare, eccoti di nuovo. Sei ovunque, spunti fuori a tradimento con una coltellata al cuore...ora sì che mi manca l’aria.
Noi due sorridenti alla cena di classe, lo scorso maggio. Sono vestita di nero, e nonostante quello fosse il sorriso più sincero che indossavo da mesi, chiunque potrebbe leggere nella piega asimmetrica delle mie labbra una traccia di quel dolore che cercavo di soffocare ma che a te era fin troppo chiaro, tracce dell’abisso in cui mi hai abbandonata. In ogni angolo del mio viso posso leggere l’inizio della fine.
Il tuo sorriso invece è grande, perfetto; forse troppo perfetto per essere vero. Sei così bella, maschera dorata, con il tuo sorriso di plastica. Ma la bellezza è così effimera, non trovi? È la qualità che più ti si addice.


Run away, run away
One day we won’t feel this pain anymore
Take it all away
Shadows of you
Cause they won’t let me go*

 

Rido. È bello il suono della mia risata, l’avevo quasi dimenticato; ma si spegne subito, non sono abituata ad essere felice. Non so neanche se sia autentica, la mia felicità.
Prendo la lattina e bevo un altro crudele, infinito sorso. Perché mai mi stai dicendo di fermarmi, mio tiranno? Non speri forse che l’alcol mi denudi ancor di più davanti a te, così da cibarti delle mie paure più intime?
Ah già, hai già preso tutto da me. Chissà perché continuo a dimenticarlo.
È triste ubriacarmi in camera mia, in una fredda notte – o forse dovrei dire mattina – di dicembre. Eppure sento che sono nel posto gusto, con la persona giusta. L’ebbrezza che mi domina è il giusto antidoto alle tue parole, le mie risate sono inafferrabili, come la nostra amicizia. Non riesco a distinguere la gioia reale dall’illusione della birra.
Prendo un altro lungo sorso.
L’alcol sa di sbagliato, come il bene che ti voglio.


And now I’m lost in paradise...*
 

Forse sto impazzendo, forse è l’alcol, ma per un attimo ho visto lei al tuo posto.
Ma siete molto diverse, in fondo? Vi ho perdute entrambe, anche se tu sei ancora qui.
Siete false entrambe, anche se recitate copioni diversi.
Mi avete dilaniata entrambe, strappandomi brandelli di anima.
Per un attimo siete la stessa persona. Siete la personificazione delle mie paure.
Il vampiro indossa la maschera, e quella diventa parte di sé. Si fondono in un’unica materia oscura di paura, di morte.
Siete entrambe cose che vorrei perdere, e che allora mi tengo strette.
Perché io sono una di quelli.
Sono una di quelli che dicono di non aver più nulla da perdere, che hanno pagato già tutto il possibile e non hanno più paura di sbagliare. Ma non è vero, ho una paura fottuta di sbagliare, io. Tutti ne abbiamo, è inutile raccontare balle agli altri e soprattutto a noi stessi.
Perché poi puntualmente sbagliamo, e allora davvero perdiamo tutto.


...Alone and lost in paradise*

 

E fa maledettamente male.
 
 
Holaaa!
Scusate per l’infinita lunghezza e tristezza
del capitolo, sono mortificata...
il fatto è che sono a casa con la febbre, e in
momenti del genere mi prende sempre una malinconia assurda!
Questi sono flash delle due persone che mi
hanno ferita di più, perché si sono nascoste dietro ad anni
di bugie. È colpa loro se ho questa fissa per Pirandello e
la sua teoria delle maschere!
Ok, adesso sparisco. Solo la traduzione della canzone, che ovviamente è degli Evanescence:
*Ho creduto
in qualcosa di così distante
anche se ero umana
E ho negato
questo sentimento di disperazione
in me- in me


*Tutte le promesse che ho fatto
solo per deluderti
Tu credevi in me ma io sono rotta


*Non ho più nulla
E tutto ciò io possa sentire è questo crudele mancare


*Per quanto posso piacermi
Il passato non esiste
Lo fa ancora
E per quanto possa piacermi
sentire come appartenga a questo posto
Io sono solo spaventata quanto te


*Corri via! Corri via!
Un giorno non sentiremo più questo dolore.
Porta via tutte
le tue ombre
Perchè non vogliono lasciarmi


*Ed ora sono persa in Paradiso...

*...Sola e persa in Paradiso

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Capitolo 9
*** Converse Rosse ***


Una ragazza cammina sotto la pioggerella fine di aprile.
A un tratto un fuoristrada passa accanto a lei, la schizza d’acqua e fango; il rumore secco del clacson squarcia l’aria, distorcendosi nella sua mente fino a trasformarsi in una risata crudele. Le sue converse rosse sono sporche anch’esse, gocciola fango da capo a piedi, ma il colore acceso è ancora ben visibile nel grigiore della città bagnata; diventano lampi scarlatti mentre pian piano la ragazza aumenta il passo fino a correre. Corre sul marciapiede, sotto la pioggia. Sembra stia scappando.
Ma chi ha detto che sia una fuga, la sua? Sta correndo incontro al suo tiranno.
La città deserta, salvo per le macchine che ogni tanto sfrecciano fra le pozze, farebbe rabbrividire qualsiasi ragazza sola; lei invece non batte ciglio, continuando la sua folle corsa. E se un brivido di tanto in tanto scuote il suo corpo sottile, non è dovuto alla paura, ma soltanto al freddo.
Corre ancora; e le sue converse rosse lasciano all’improvviso il terreno sicuro del marciapiede, la conducono in mezzo alla strada. Passa l’ennesimo fuoristrada, ma le scarpe questa volta non si muovono, sono come inchiodate al terreno: la ragazza cerca di calciarle via ma invano, ormai non riesce più a comandarle...
Buio. E dolore.
Il corpo sottile è disteso scompostamente sull’asfalto, il bel volto e le gambe attraversati da sottili rivoli rossi; le scarpe dello stesso colore, quelle scarpe che le hanno impedito di portarsi in salvo, sono ancora saldamente ancorate ai suoi piedi.
La ragazza socchiude gli occhi; poi si fa forza e riesce a rimettere in piedi le sue membra doloranti: ormai è soltanto un ammasso di carne ed ossa, e pesa sulla sua anima impaziente.
Deve raggiungere il suo tiranno.
Ma non riesce a correre, e non per il dolore, per le ferite. Sono quelle bellissime converse rosse, che pesano come macigni ad ogni passo.
Si alza il vento, mentre la pioggerella sottile continua. E a un tratto quelle scarpe così pesanti si sollevano sempre di più, finchè la ragazza non distingue più la città; il vento la trascina con sé negli angoli più remoti del cielo, oltre le nuvole e più su ancora, e lei si perde in quell’infinito.
Un attimo dopo atterra dolorosamente sull’asfalto.
Non sa dove si trovi. Quella città è perfettamente uguale alla sua, lo sa; eppure la ragazza sente di essere da qualche altra parte, sa che l’intonaco scrostato dei palazzi nasconde qualcos’altro, qualcosa che non c’è nella sua città. È smarrita.
Ma mentre cerca di capire dove si trovi, le sue converse rosse riprendono a correre, trascinando via i suoi piedi stanchi.
E a un tratto, in un angolo buio delle braccia la gremiscono, arrestando le scarpe così ansiose di raggiungere la meta. La ragazza non riesce a vedere il volto dell’uomo – dev’essere per forza un uomo, così rozzo e in un posto così -, capisce soltanto che è molto, molto grosso.
La puzza d’alcol le dà alla testa, mentre la sbatte sull’asfalto crudo.
La sua ristata volgare le provoca un dolore fisico, mentre si slaccia i pantaloni.
Il sangue le pulsa nelle orecchie, mentre sente le sue sporche mani callose muoversi su di lei.
La ragazza preme la testa di lato sull’asfalto per non guardare, serra le palpebre come se bastasse celare alla vista l’uomo rozzo che la costringe a terra con il suo peso per farlo sparire, per renderlo meno reale. Sente le converse rosse divincolarsi per convincere i piedi a sferrare un calcio, ma i piedi non reagiscono: non vogliono intraprendere una lotta inutile, e poi a lei non importa più cosa le stia accadendo, vuole solo che finisca.
Eccolo, sente l’uomo entrare crudelmente dentro di lei con una serie di piccole spinte veloci, piange lacrime di sangue mentre dal punto di contatto fra i due divampa una fiamma che la brucia dall’interno, consumandola nel suo stesso corpo.
E ad ogni spinta dell’uomo, la ragazza muore un po’.
Non sa quanto tempo sia passato, minuti, ore o giorni. Ad un certo punto l’uomo che puzza di alcol si allontana da lei, si riallaccia i pantaloni e scivola via nei vicoli bui, confondendosi con le ombre scure che la ragazza combatte fin da bambina. Le creature di un’oscurità che minaccia di sommergerla.
Il corpo sottile, viola di ferite e lividi, è abbandonato in una pozza di fango e sangue, aperto sul ventre come se fosse stato squartato dall’interno. Le labbra esangui si aprono in un ultimo rantolo, soffiando fuori una ragazza di fumo, una ragazza evanescente con delle bellissime converse rosse ai piedi, ma con il cuore attraversato da un luccicante pugnale d’argento. E senza volto.
Perché l’uomo che puzza di alcol e tutti quelli prima di lui hanno violentato non solo il suo corpo, ma soprattutto la sua fragile anima.
Corre disperatamente, la ragazza senza volto, corre e di colpo le strade di quella città effimera sono un turbinio di visi e mani e piedi, visi che la deridono e mani che cercano di afferrarla e piedi che scalciano sulle sue gambe di fumo. Ma così come lei è soltanto un ologramma, le mani chiudono invano i loro pugni d’aria, mentre le risate rimbalzano nella mente della ragazza producendo infiniti eco, deformandosi fino a divenire qualcosa di mostruoso.
Le converse rosse riprendono a correre senza esitazione lungo una strada che sembrano aver già tracciato infinite volte, la conducono in un parco e la ragazza senza volto, esausta, si stende sull’erba grigia e bagnata, scivolando in un bianco sonno agitato. Ciò che non sa è che mentre dorme, infiniti piedi camminano sopra di lei calpestandola, annientandola sotto si sé, attraversando il suo fragile corpo senza dimensione.
Nuovi lividi, nuove ferite si aprono sulle membra di fumo.
La ragazza cerca di rimettersi in piedi, aiutata dalle scarpe impazienti che scalpitano per raggiungere la meta, zoppicante e ricoperta di ferite, con i vestiti stracciati, il volto completamente piatto, vuoto, ed il pugnale nel cuore.
Riprende, insomma, a correre, le fiamme ardenti di vita che calza ai piedi la conducono lungo un viale alberato con una volta di rami gocciolanti. Eppure ormai anche le gocce d’acqua la evitano, si staccano dalle foglie per poi modificare la loro rotta, precipitando lontane dalla ragazza. Persino la pioggia fugge da lei.
Finchè a un certo punto le gocce si librano tutte insieme nell’aria e poi la inseguono, bombardandola come frecce, taglienti vetri liquidi. La ragazza è costretta a correre più veloce per evitarle, la schiena costellata dalle ferite causate dai colpi subiti, ma ancora una volta le converse sembrano non voler collaborare, pesano come macigni ai piedi della ragazza, costringendola a lasciarsi colpire.
L’acqua inizia allora a scorrere in rivoli sulle spalle e la schiena della ragazza portando via con sé parti di lei, disintegrando un pezzo alla volta l’anima martoriata finchè di lei non resta che una piccola pozza d’acqua; il terreno provvede subito ad inghiottirla ed ecco che non resta più nulla di lei. Cancellata, sparita come se non fosse mai esistita, lei che aveva resistito a tutto.
Si è sciolta sotto l’acqua, la ragazza senza volto.
E intanto, a qualche metro di distanza, un uomo che puzza d’alcol fa dondolare per i lacci delle bellissime converse rosse.
 
 
Hola gente!
Si, questo nonsense non ha senso. Ma dai?!
Non ha né capo né coda, penso anche che lo stupro non c’entri molto
 e non so nemmeno perché l’ho pubblicato, in realtà.
Avevo solo voglia di descrivere cos’hanno fatto alla mia anima.
Piuttosto melodrammatico, non trovate?
Fatemi chiudere qui, prima che mi suicidi in diretta!
Bye bye
Wake Me Up Inside

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Capitolo 10
*** Dans Tes Yeux ***


 Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo

 diverso da quello che esiste per gli altri.

 Arthur Schopenhauer
 
 

Scivoli via ai margini del sogno
Vedo svanire le tue bianche ali
Nei tuoi occhi danzano le fiamme
Ed io con loro
In quegli amati occhi estranei
Che conoscevo
Che non ho mai visto
Ti strappo via la maschera
Spezzo l’indifferenza
È odio profondo
È rabbia senza nome
Che brucia con me
O tu menti?
Nulla è più vero ormai
Nei tuoi sinceri occhi bugiardi
Cerco la verità
Inutilmente
Disperatamente
Lei che vale meno di ogni singola bugia
Mi spengo lentamente
Nei tuoi freddi occhi appassionati
E tu
Che non mi conosci
Che nasci di nuovo
Ma mai più te stessa
Svanisci

 
Hola gente!
È un po’ che non aggiorno...I lettori –che già non erano
questa quantità esorbitante – si sono
dimezzati...oddio, un po’ me l’aspettavo,
insomma, sono scleri totali i miei, perciò non vedo
perché qualcuno dovrebbe leggerli, ma...
oh, insomma, leggete se vi va, insultatemi se avete voglia...
fate un po’ come vi pare, ok? IO STO MALE u.u
-e l’hai capito solo adesso??
No tranquilli, so già di essere pazza...è il tema della raccolta, no?
*angolo autrice nonsense*
Va bene, la finisco con questo strazio!
Bye bye
Wake Me Up Inside

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Capitolo 11
*** La Fenice ***


I pazzi osano dove gli angeli temono d’andare.
Alexander Pope

 
Più passa il tempo e più
perdo
tutto
Sono stanca di sentirmi abbandonata ogni volta che finisco di soffrire per qualcuno
qualcun altro
se ne va
Non sono così stupida da pensare che non mi amino perchè non sono magra e bella ma piuttosto perchè
non sono
buona
Inutile dirmi che non ho bisogno di nessuno la verità è che ho paura di stare da sola con me stessa perchè sono la prova
vivente
dei miei fallimenti
Sono stanca di rileggere lettere in cui la gente dice di volermi bene poco prima di
lasciarmi
penso che un giorno le metterò tutte
in fila e poi farò
un bel
falò
ma con loro brucerebbero pezzi di me e forse non sarebbe
tanto
male
Sono stanca di piangere e poi ho finito le lacrime ma ne ho bisogno è per questo che mi apro i polsi e
piango
sangue
Però ripensandoci è una morte troppo sporca
bruciata viva quella si che sarebbe una bella morte portata via da un
fuoco purificatore
forse solo così potrei generare qualcosa
di buono
convertire in bianco tutto il nero che ho
dentro
e rinascere dalle ceneri come
una bellissima
fenice
 
Bonjour, tout le monde!
Lo so, è deprimente...ma ormai dovreste
averci fatto l’abitudine, no?
Cos’altro dire...non ho voglia di fare commenti, oggi.
Tanto non penso ci sia molto da spiegare...
Alla prossima, e vi prometto che sarò più allegra!
Bye bye
Wake Me Up Inside

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Capitolo 12
*** I Was Here ***


Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni.
(L. Pirandello, Enrico IV)

I was here, sta scritto in grande sulla parete della mia stanza. Sono stato qui.
Sono stato qui, ho camminato su questa terra e visto questa luce e bevuto questa acqua, ho sognato questi sogni e ascoltato questa musica, ho respirato quest’aria, soffiato questa vita, passo dopo passo.
Sono stato su questo mondo, e dopo un attimo non c’ero più.
I miei piedi hanno calpestato erba e terra, le mie parole hanno colpito oggetti, scalfito cuori, le mie mani hanno scoperto il mondo centimetro dopo centimetro sfiorando aria e sentimenti e persone e cose, e ancor di più ne hanno sfiorate i miei occhi, hanno udito l’assurdo e raccontato il dolore e letto anime, occhi dentro occhi sono stati inghiottiti per poi essere sputati fuori con vergogna e disgusto, per un falso pudore e il ribrezzo verso chi sa la verità.
Sono stato qui, dentro questa stanza asettica, sono stato respirato dalla gente, lontano. Ma qualcuno, mi ha forse mai visto qualcuno? Mi hanno mai guardato? Eppure io ero qui. Io sono qui.
Ero qui un’ora fa, ero qui ieri e l’altro ieri e un mese fa sempre fra queste quattro mura, ero qui prima seduto sul pavimento del bagno minuscolo e sporco, ero qui a piangere aria e a  strusciarmi sulle vene il mio dolore conficcandomi nel braccio le unghie perché ormai non mi è rimasto altro, ero qui mentre mi spogliavano di tutte le forbici e le lamette e anche del mio passato, sempre, ancora qui, quando mi lasciavano vestito solo di un camice bianco e di un altrettanto anonimo dolore.
Sono qui su questo mondo da vent’anni, e quasi mi sembra di esserci sempre stato su questa terra, in questo ospedale, fra queste mura; non ho visto altro se non con occhi non miei, occhi presi in prestito, rubati alle vite degli altri. Sono nato qui in questo mondo giovane, in questa stanza eterna.
Sono stato breve, sono stato tutto eppure mi sento niente. Sono stato limitato. Sono stato vivo...per metà. Ora sono eterno. Ora sono vecchio, lento, logoro. Ma sono comunque qui, da qualche parte perso nel vento. Mi sento millenario. Racchiudo in me ogni angolo di storia.
E sono qui ora mentre penso queste poetiche frasi di tutto e di niente, guardando la gente che si lascia vivere, trasportata dalla corrente di milioni di corpi sempre di fretta. E soffro, pensando alla vita che stanno gettando via mentre c’è chi, come me, è ridotto, pur di avere un contatto con il mondo, a vivere attraverso di loro.
I was here. Non importa quando, dove o come, io sono stato qui.
 
Sono stato qui, sono stato partorito da questa terra, da questo ventre materno e al tempo stesso crudele; sono stato qui mentre tutti mi rinnegavano, mentre convertivo secoli in minuti e minuti in secoli, quando la mia anima, l’essenza stessa del mio essere giovane, è andata via, Lisa, portando lontano il mio barlume di ragione. E sono rimasto qui.
Sono stato qui nei miei pensieri, nei miei successi, nei miei ideali; sono stato qui mentre sbagliavo e mi rialzavo, sono stato qui mentre sbagliavo e cadevo, e semplicemente restavo a terra. E Lisa con me.
Lisa àncora di salvezza, Lisa luce dei miei giorni neri, sempre ancora Lisa, la mia realtà  in un mare di menzogne. Lisa che abbracciava il mondo con i suoi occhi troppo pieni.
è sempre stata lei per me e io per lei, solo noi due, quando eravamo insieme, avevamo il mondo in mano. È bastato uno sguardo e subito l’ho scelta, o forse si è scelta, come mio angelo custode. Ho scelto Lisa perché non aveva bisogno di fare la carità solo per sentirsi buona, perché diceva le cose in faccia, perché mi inseguiva per casa, di notte, con la sua vestaglia nera. Lisa perché vedeva filosofia nei pazzi, Lisa perché aveva gli occhi vuoti, oppure troppo pieni. Lisa perché era morta dentro, ma solo un po’.
Lisa perché era l’unica vera, l’unica veramente persa.
È sempre stata qui con me e io qui con lei, e insieme eravamo tutto. eravamo il nulla all’ennesima potenza. E ci sentivamo immensi.
Lisa nel corridoio dritto, eterno vortice bianco, la sua risata deformata che mi rincorreva rimbalzando sulle pareti.
E poi Lisa è volata via come tutti gli angeli. Un attimo prima c’era, un attimo dopo non c’era più. L’hanno ritrovata nella vasca da bagno, la mia Lisa, con gli occhi vuoti rivolti verso qualcosa di grande, di altro, la stanza ricoperta di macchie del suo stesso sangue.
Aveva lasciato il segno nel cuore di tutti, Lisa. E un altro segno ha voluto lasciarlo quel giorno, come ad assicurarsi che nessuno la dimenticasse, se mai fosse stato possibile; l’ha scritto sul suo stesso braccio con un rasoio ed il sangue: tre parole, incise nella pelle.
I was here.
 
E anch’io sono stato qui durante questi terribili avvenimenti, sono stato per giorni in quella stanza con il corpo della mia Lisa, immerso nel suo sangue, come se potesse servire a trattenere con me la sua anima.
L’avevo sempre detto, io, che Lisa era morta dentro.
Eppure ha continuato ad essere qui, nonostante tutto eravamo ancora noi, ancora insieme, mentre la sua risata folle mi addentrava sempre più in quel corridoio asettico, rendendomi impossibile l’uscita.
Siamo stati qui in questa prigione, per una vita intera, e abbiamo vissuto fra la morte e siamo morti fra la vita, sempre invincibili noi due, sempre controcorrente.
Lisa così sottile, evanescente, nel bagno non più dipinto di rosso. Lisa che seguiva con cura tutti i miei movimenti. Lisa che più volte ho provato ad abbracciare, e ogni volta mi ritrovavo a stringere aria.
È sempre stata qui Lisa, non mi avrebbe mai abbandonato. È stata qui mentre riempivo la vasca di acqua calda, è stata qui mentre finalmente mi spogliavo di quel camice di dolore; con le sue gentili mani sfuggenti mi ha aiutato ad adagiarmi nell’acqua.
Mi ha tenuto la mano mentre scrivevo con inchiostro rosso tre parole.
I was here.
 
Affermando di esserci stati ce ne siamo andati entrambi, ricordando a tutti ciò che abbiamo visto, amato, desiderato. E soprattutto, ciò che abbiamo vissuto.
Sono nato fra queste quattro mura bianche che mi hanno dato la morte, sono morto fra queste quattro mura bianche che mi hanno dato la vita. Sono nato negli occhi di Lisa e lì mi sono perso, annegato nei meandri della sua mente, nei lampi di follia della mia.
Quel giorno la sua voce sussurrava nella mia testa che così saremmo stati sempre, davvero insieme. E io ora sono qui, guardo il mondo girare, vivo negli occhi degli altri, perso in un soffio di vento.
Scusate, qualcuno ha visto la mia Lisa? Non riesco a trovarla...
 
Eppure, Lisa è stata qui.
 


Bonjour, tout le monde! O forse dovrei dire bonne nuit?
Che stanchezza oggi...allora. Era nato come capitolo di
Running to stand still, ma mi piaceva così tanto che ho deciso
di pubblicarlo a parte...che ne pensate? Che dovrei smetterla di
scrivere di manicomi? Si, forse.
Però avete visto? Per una volta, un nonsense dal punto di vista
di un uomo! Anche se pensa come una donna, però...che posso farci,
io sono femminista, non posso certo abbassarmi al loro livello!
Comunque, questo capitolo (o meglio la sua rielaborazione e Lisa) è
stato  ispirato da Ragazza interrotte...l’ho visto ieri sera e sono rimasta
senza parole.
Ok, penso sia tutto. alla prossima, gente!
Bye bye
Wake Me Up Inside

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Capitolo 13
*** Once Upon A Time ***


Se non ti ricordi la più piccola follia a cui ti ha condotto
l´amore, non hai amato.
William Shakespeare

 
C’era una volta un principe, ma questa non è una fiaba.
C’era una volta un principe dagli occhi di stelle ch indagava il mondo piano, cercando di non esserne inghiottito, in punta di piedi; e all’improvviso saltava facendo tremare le viscere eterne della terra, per poi tornare a non fare rumore.
C’era una volta una bellissima principessa straniera di un fascino ruvido, indigeno; e la principessa conobbe il principe e se ne innamorò; cavalcavano per i prati e guardavano tramonti e la strega li seguiva di nascosto perché sì
c’era una volta anche una strega nera con la bocca piena di anima, nel cuore parole vive e specchi celati negli occhi che un giorno vide il principe e il suo strano modo di indagare il mondo le entrò dentro così lei lo fece proprio
Il principe coglieva rose e parlava d’amore, ma parlandone capiva che qualcosa non era a posto, qualcosa
mancava
sempre
La principessa non capiva quei suoi salti rumorosi, preferiva di gran lunga i passi in punta di piedi e lui non sapeva come spiegarle che invece quel rumore era lui e per quello doveva amarlo
Lei non capiva
E poi un giorno lo portò nel suo castello e lui vide la sua collezione di maschere e allora capì
Maschere bellissime di ogni colore e foggia e lui comprese
comprese
comprese
comprese che era quella bellezza che non voleva possedere
comprese che la perfezione non era vita e la vita non era perfezione e lui era la vita che cercava
Andò dalla strega e la scelse, scelse l’anima sulle sue labbra e le parole sul suo cuore e lei lo liberò dei passi in punta di piedi, lasciandogli solo quei salti così rumorosi
imperfetti
vivi
E gli specchi negli occhi della strega smisero di essere celati
La gente la ripudiò perché odiava vedersi riflessa
La gente la lapidò perché professava la falsità
La gente la incarcerò perché era corpo e la strega era anima
C’era una volta anche il dolore in quegli specchi
Ma perfino in quella cella buia e stretta venne il principe
il principe con la notte negli occhi, le fiamme sul capo e la terra nel petto raccolse le sue lacrime di vetro e la portò via
Saltarono insieme e la terra gridava dietro di loro
Solo macerie, il mondo stava collassando e la colpa era solo loro ed era bellissimo
La principessa indossò una delle sue maschere e lanciò una maledizione, ma le parole caddero dalle sue labbra e si
infransero
al suolo
Spogliati mondo di ogni menzogna, così che noi possiamo vestirti di vita, diceva il principe nel suo inno
Lui e la strega scapparono lontano
Ma nel frattempo qualcuno ricostruì la falsità o forse questa si fece da sé, Menzogna era la regina in quel caos
Tutto come prima
La strega continuò a vivere negli occhi stellati del principe, perché in se stessa era morta da tempo
E ogni tanto partiva per i suoi viaggi sotto la terra e sopra al cielo nelle anime della gente, bruciava con loro, in loro
schivandone le parole
Ne raccoglieva i segreti chiusi in una scatola e li custodiva dentro di sé, ma la scatola non l’apriva mai
È nel mistero l’imperfezione del mondo, e la sua imperfezione è la sue bellezza
E quando tornava da quei viaggi, la strega era stanca
infinitamente, mortalmente stanca
Si rifugiava negli sterminati cieli negli occhi del principe, ma persino lì si sentiva sola; pensava che in tanti anni aveva ricevuto solo anime e parole ed entrambe non sono che soffi di vita
brandelli di vento
Provava ad afferrarle e le sue dita si chiudevano sul nulla e le sue mani erano ancora
irrimediabilmente
scandalosamente vuote
Allora si chinava a piangerci sopra e i miei palmi
insanguinati
si bagnavano delle sue
lacrime
 
 
Hi guys! At last, here I am...
Scusate, avevo voglia di inglese!
Sono sparita per un po’- forse neanche troppo,
non mi ricordo nemmeno-, ma ora eccomi qui con
questa pseudo-favola che, lo ammetto, non c’entra molto
con la raccolta. Anzi, se trovate che sia del tutto fuori posto
ditelo e la pubblico come OS...però commentate!!
Va bene, penso sia tutto. o in ogni caso, ho troppo sonno
e non mi va di pensare.
Bye bye
Wake Me Up Inside

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Capitolo 14
*** Schegge Di Vetro ***


Brucio fredda fra le fiamme.
 
Sono stanca di vedere tutto ciò che amo scivolarmi fra le dita.

<< L'amicizia è come la liquerizia: si piega ma non si spezza. >>

Tu sei niente.
 
Prima o poi perderò anche me stessa. Prima o poi dimenticherò chi sono.
 
Voglio andare a casa.
 
I Tedeschi legano gli ebrei a coppie, schiena a schiena, li spingono sulle sponde di un fiume e poi sparano ad uno dei due che, cadendo, trascina a fondo anche l'altro. Due giovani innamorati si scambiano un ultimo, disperato bacio. Lui fa promettere a lei che scioglierà la corda, che si salverà.
E poi si sporge a prendere la pallottola.
 
Che bello il tuo cuore che batte in ogni angolo del mio corpo, facendomi vibrare l'anima.

<< Tu ci consumi. >>

Minuti, ore, giorni.
Secoli.
Sola
in una stanza fredda.
Vuota.
 
Una stella per i tuoi occhi.

<< Io desidero e bramo. >>

Sento il suo respiro di morte sulla pelle.
Sento ancora delle mani su di me, mani fantasma. Le mani di un ricordo.
 
Lisa la rincorre nei sotterranei del manicomio. La luce alle spalle, con un lungo camice bianco, gli occhi scavati e una siringa in mano. E grida, grida che ha sempre fatto la parte della "strega" perchè gli altri potessero sentirsi buoni. Eppure ora lo sembra davvero, un demone.
Un demone che regge fra le mani la sua follia.
 
Malgrado tutto, ho ancora paura di accendere la luce.

<< Nel mio principio è la mia fine. >>

Chiara è verità, poesia, assoluto. Chiara sa darmi tutto ciò di cui ho bisogno.

<< Io non so fare male alle persone. >>

Chiara è vita.

<< Chiara ha gambe e ali. >>

Prima o poi ci sarà un posto per me, in un lontano angolo d'inferno.

<< Io sono innamorata dell'idea dell'amore. >>

Io ho una sorta di piacere sadico nell'essere guardata con disprezzo.
 
Dicono che sono forte. Ma non è vero, è soltanto l'ennesima maschera.
Io sono fragile.
 
Forse sono persa anch'io. Forse sono morta anch'io.

<< Parlaci farfalla. >>
 
 
 

Marhaban, gente!
Si, lo so, questo è peggio degli altri.
È un insieme di frasi slegate partorite dalla
Mia mente malata, mi andava u.u
Le frasi in corsivo sono citazioni di vari scrittori,
miste a frasi delle mie amiche...
quanto fa più schifo degli altri da 1 a 10?
Votate!!
Ciao, gente
Wake Me Up I
nside

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Capitolo 15
*** Regina ***


La ragione è la follia del più forte. La ragione del meno forte è follia.
Eugène Ionesco
 

Piovono schegge dorate
si posano su di me come se
sapessero perfettamente
dove andare
Sono forse frammenti
della tua luce?
è forse la tua aureola che
cadendo
si è spezzata?
Quella tua stessa aureola che
nel sole di maggio
brillava
Quella tua stessa aureola che
sulle tue labbra
bruciava
Regina della menzogna
Regina dei miei fallimenti
fiamme rosse ne lambivano la bellezza
regina
la tua corruzione
regina
regina dell'inferno
mia Proserpina, mia perdizione
sulle spalle un mantello di
luce
il peso del buio nel cuore
Regina dell'apparenza
regina
Prendi la mia mano
lascia che ti trascini
giù
cadi, ferisciti e grida
o conducimi tu stessa nel tuo regno
creatura di buio
mostrami fiamme eterne
e rocce irte e sentieri tortuosi
mostrami selve intricate
deserti immensi
mostrami tutto ciò su cui tu regni
incontrastata padrona
Non guardarmi in quel modo
togli dal tuo volto il velo di
candore
il contatto con la tua pelle
lo brucia già
rosse fiamme taglienti
Gridi, gridiamo insieme
anche il velo in un alto lamento
d'innocenza violata
di malizia malcelata
Ma tu non sei vittima
sei colpevole
non preda
ma predatore
non schiava ma
regina
regina delle apparenze
ancora una volta
delle menzogne
Smetti di piangere le tue
lacrime di carta
togliti la maschera dal viso
il sipario si è già
chiuso
Non essere santa
voglio uccidere la predatrice
non la preda
Alzati in piedi e cadi
cadi con me
più giù e ancora e
ancora
come farai in eterno
o portami nell'abisso sulle tue
grandi
ali
ali di fiamme, ali di
sangue
Regina, sii demone
così che io possa essere
l'eroe
Salvare il mondo
per una volta
e nessuno dirà più che non
m'importa
Ma regina della mia mente e del mio
cuore
regina del mio vivere e del mio
morire
non guardarmi
mai
Non guardarmi soffrire
sotto il peso della tua
corona
non guardarmi
non ingannarmi
Io sarò implacabile
sarò letale
sarò il tuo giustiziere
Ti ferirò
ma tu non cadrai
Non cedere ancora
regina
non essere così bramosa di
spiegare le tue ali
di morte
lascia che io ti ferisca di nuovo
e ancora
un colpo per ogni lacrima
rubata ad occhi allora
vergini
E se invece vuoi difenderti non
piangere
non essere santa
mostra la corona, regina
non l'aureola di
carta
Sii demone
e combatti
prendi il mio fucile e
spara
dritto al cuore
E mentre cadrò a terra inerme tu
finalmente
mi guarderai ancora
e sarò viva appena prima di essere
morta
regina del mio sangue e del mio
spirito
sarò vissuta con onore e con onore
me ne sarò
andata
specchiandomi negli occhi  liquidi
di notte
della mia regina
della mia assassina
tre volte
venti
centomila
assassina infinite volte
e infinite volte assassinata
ma sempre rinata
Guardami negli occhi ormai ciechi
per una volta, una soltanto
l'ultima
mentre la vita scivola via in un
soffio e il sangue sgorga a fiotti
macchiando le tue
mani
Regina della mia anima
regina della mia morte
Ti aspetterò nel tuo regno
regina
e lì sarà il verdetto
il duello fra due brandelli
d'inferno
 
Ma fino ad allora non sarà la fine
 
Mai
 
 
 
Allora, ben due recensioni nell’ultimo mese, wow!
Gente, sul serio, se faccio schifo siete pregati di dirmelo...
Almeno mi evito le figuracce!
Anyway, se a qualcuno interessano ancora i miei deliri...
Questa è una rielaborazione di una poesia che avevo scritto
 tempo fa...lo so, è infinitamente lunga e pesante,
ma a parte questo ? un commentino??
Ok, per questa volta vi risparmio la supplica greca.
Bye bye
Wake Me Up Inside

 

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Capitolo 16
*** Storia Di Un Pagliaccio ***


La follia è solo una maggiore acutezza dei sensi.
Alda Merini

 
C’era una strana eccitazione nell’aria, un’eccitazione agrodolce.
Ogni volta che il circo arrivava in città era una festa; i bambini correvano ridendo per le strade, il sole brillava alto nel cielo e il grano cresceva nei campi aridi. Il circo portava tutto ciò di cui la gente sentiva la mancanza.
I padri correvano subito a comprare i biglietti per i loro bambini e il capannone non era mai vuoto; c’era sempre un’aura magica che lo avvolgeva, il tempo si fermava lì sotto.
Risate echeggiavano fra le macerie.
Ed entrando nel tendone si potevano affondare le dita nell’attesa del pubblico, osservare gli spettatori trattenere il fiato pregustando l’esibizione del clown dai calzoni a righe. E all’improvviso questo compariva, con i suoi occhi grandi e la parrucca arancione, faceva le sue buffe magia, bevendo con lo sguardo le risate dei giovani spettatori. Poi faceva loro un gran sorriso ed usciva correndo dal tendone, e la gioia scendeva sulla città distrutta.
Il clown dai calzoni a righe si ritirava allora nel suo minuscolo camerino, si toglieva la parrucca e si lavava il viso dipinto, spezzando dentro di sé la magia che restava nel pubblico; e l’acqua portava con sé anche il grande sorriso rosso. Poiché quello più di tutto era dipinto.
Poi si osservava allo specchio per un minuto eterno, prima di annegare nella vodka la sua stessa immagine, mentre la solita implacabile domanda gli martellava le tempie. Perché nessuno si chiedeva mai cosa ci fosse dietro quel sorriso dipinto? Gli sarebbe bastato questo, una domanda.
E il giorno dopo il clown dai calzoni a righe tornava nel tendone, intratteneva un pubblico sempre nuovo...o forse no? Forse era lo stesso pubblico da un mese, un anno, un secolo. Non aveva più importanza per lui dove si trovasse o che anno fosse: tutti i giorni, tutti gli anni erano uguali. Viveva da vent’anni la stessa giornata.
Questa consapevolezza schiacciava il clown giorno dopo giorno, finchè una sera scoppiò a piangere davanti ai suoi ridenti spettatori; le lacrime d’alcol e di sale sciolsero il trucco, cancellando l’enorme sorriso dal suo volto. Al suo posto, labbra sottili piegate verso il basso, liquidi occhi tristi.
Piangeva, il clown dai calzoni a righe, senza preoccuparsi di nasconderlo.
In mezzo al pubblico glaciale, un bambino si alzò in piedi.
-Perché piangi, strano pagliaccio?
Ma il clown non lo sentì, o forse non volle sentirlo, continuò a piangere sogni infranti e le sue lacrime scolorirono poco a poco la città. Allora si voltò e scappò via nel bel mezzo del suo numero, rinchiuse in una valigia la parrucca arancione e i famosi calzoni insieme ai desideri della gente che aveva illuso; poi se ne andò, e nessuno seppe più nulla di lui.
In città non ci furono più bambini a correre per le strade; per anni non si vide un raggio di sole, non cresceva grano nei campi sterili.
E intanto un uomo bizzarro vagava senza meta, un uomo dal sorriso enorme, rosso, con una valigia in una mano e una bottiglia di vodka nell’altra.
 
 
Marhaban!
Lo so, è un po’ che non pubblico...e vi prometto che il prossimo capitolo non finirà male come tutti gli altri, anche se non so ancora di cosa parlerà...farò in modo di metterci un lieto fine. D’altronde che ci volete fare, con questo clima depresso che c’è in giro non viene proprio voglia di scrivere cose allegre!
Va bene, detto questo io tolgo il disturbo. Alla prossima!
Bye bye
Wake Me Up Inside

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Capitolo 17
*** La Cultura ***


Solo quelli che sono così folli da pensare
 di cambiare il mondo lo cambiano davvero.
Albert Einstein

 
La testa su un libro di Hugo
Al riparo di un lurido ponte, coperto
Con un curriculum infinito
Dormiva nell’ombra
Un vecchio
Lo svegliai e gli chiesi chi fosse
“Ho 25 anni” disse, “due lauree...
E questa è casa mia”
 

Holaaa gente! Chiedo scusa per l’inattività ma ero all’estero...E chiedo scusa anche per la tristezza, come al solito non ho rispettato la promessa sul lieto fine. A mia discolpa, posso dire che questa piccola poesia la fine non ce l’ha proprio!
Cos’altro...non trovo nulla da aggiungere, il nonsense parla da sé. Commentate voi, se trovate qualcosa da dire sul clima di depressione e sfiducia degli ultimi anni!
Bye bye
Wake Me Up Inside

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Capitolo 18
*** Brividi Di Noi ***


Talvolta la follia stessa è la maschera
 per un sapere infelice troppo certo.
Friedrich Nietzsche

 
  Improvvisamente, mi perdo.
  Sono sola, sono nulla al cospetto dell’eternità di quei cieli stellati, mantelli di notte punteggiati di sogni: e come potrei non perdermi? Come potrei non tuffarmi nel buio cercando disperatamente di afferrare il desiderio che si cela dietro ad ogni stella, annegare nell’oscurità che separa una luce dall’altra?
  Fluttuo inesorabile verso il fondo di quei due pozzi travestiti da oceani, in balia di tumultuose quiete passioni; eppure, non arrivo mai al capolinea. Tendo la mano, ma non riesco a toccare il fondo brullo, sassoso. Rimango lì, a fluttuare il quel buio nulla ovattato, contemplo i carboni che bruciano rossi fra i ciottoli, così vicini e così inafferrabili.
  E’ rossa, la fiamma; ma un rosso di passione, non di sangue. Un rosso che ho sempre amato.
  Poi, improvvisamente, riemergo. Ma lo stesso non riesco a distogliere lo sguardo, ipnotizzata dai lampi di fiamme e di stelle che sono l’infinita e infinitesima essenza di ciò che più adoro.
  Millenari sospiri mi fissano a loro volta dal dolce abisso dei tuoi occhi.
 
  Le mani che mi corrono lungo il corpo non sono le tue, lo so. La mia pelle nuda rabbrividisce al contatto con quelle dita, mentre ricordo le tue infiammarmi la pelle.
  Non tornerai. Mai. Da me.
  Cerco di convincermene, e poi apro gli occhi e ci sei tu, è tuo il viso così vicino al mio, tue le labbra che bacio e mordo disperatamente.
  Va' via, sei solo un'illusione. Smettila di torturarmi con i tuoi occhi di buio.
  Ma i carboni ardenti in fondo ai tuoi occhi continuano a bruciare, e ogni scintilla che schizza via raggiunge il mio cuore, infiammandolo di nuove menzogne. E quel che è peggio, io mi lascio illudere senza opporre resistenza
  Ad un certo punto è troppo, e prendo un secondo, terzo o forse millesimo bicchiere di birra; bevo finchè non ti vedo annaspare nel liquido dorato e poi ancora, ti annego pian piano; continuo a bere, e ad ogni sorso vedo i tuoi lineamenti svanire un po', quelli del ragazzo che ho davanti salire in superficie.
  Lo nego a me stessa, ma ogni volta che il tuo volto sbiadisce, io muoio un po'.
  Eppure continuo a bere, e mi fermo solo quando ti vedo adagiato sul fondo di vetro del bicchiere, privo di sensi ed immerso per metà nel liquido dorato. Ma ormai ho bevuto tanto, così tanto che lo strato di birra attutisce il peso di quella pietra che all'improvviso è piombata dentro di me, minacciando di annullarmi.
  Così tanto che quasi non mi accorgo che il ragazzo mi ha sfilato il vestito finchè non sento i brividi sulla pelle. Lascio che mi sbatta a terra, anche se il pavimento mi gela fin nelle ossa; ma è altro, il freddo che mi pervade e che devo temere. E come vorrei che fossero le tue mani a muoversi lente su di me, le tue mani calde sotto le quali ho preso forma, sono diventata viva, che mi facevano sentire al sicuro...le stesse che mi hanno spezzata.
  Sento il suo peso sopra di me, la sua pelle bollente premere sulla mia, ghiacciandomi all'istante ovunque mi tocchi mentre mi promette che presto mi scalderà; ma sono diversi, i brividi che provo. Vengono da dentro.
  Ti prego, non lasciarmi. Ho così freddo senza di te...
 
 
Sono tornata, finalmente. Non ho molto da aggiungere, a dir la verità.
Alla prossima,
Wake Me Up Inside

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Capitolo 19
*** Autunno Del Ricordo ***


I matti sono punti di domanda senza frase
migliaia di astronavi che non tornano alla base
sono come pupazzi stesi ad asciugare al sole
i matti sono apostoli di un dio che non li vuole.
Simone Cristicchi
 
Migliaia di autunni infiniti inverni
le foglie cadute son tutti i ricordi
che hai perso
giacciono sulla strada
infinitesime parti di te
che non ritroverai
non ti ritroverai
persa in ciò che hai vissuto
amato
e dimenticato
E ti condanni non ti riconosci
hai perso lungo la strada
frammenti di vita
E come l’albero in autunno tu sei
nuda
indifesa in un mondo troppo sadico
anima candida
bambina troppo vecchia e vecchia
troppo giovane
Che cosa sei allora?
Chi sei?
Non certo quella che ricordo
e che hai dimenticato
e come potresti del resto?
Impari a vivere
di nuovo
figlia mia madre
chi sei?
E se un giorno camminando troverò
una vita
accartocciata
gettata ai lati della strada
io la raccoglierò
e la terrò al sicuro
ma tu non la riavrai
perché sono stanca di vederti piangere
ricordando
ciò che hai perso, perdendo
ciò che hai ricordato
Migliaia di autunni infiniti inverni
e tu
tu non ridi più
ma stasera di prenderò le mani
ti insegnerò a
farlo

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Capitolo 20
*** The Clash ***


Le idee migliori non vengono dalla ragione,
ma da una lucida, visionaria follia.

Erasmo da Rotterdam
 
Angelo.  La tua bellezza candida risplende la luce degli astri, schiaffeggia il mio viso rendendomi cieca; e anche all’ombra delle mie ciglia i tuoi occhi svelano stelle infinite, abissi lontani.
Quegli occhi che non posso più dimenticare.
Annientata dall’innocenza del tuo volto, tendo finalmente il braccio sottile, martoriato, verso la tua evanescente illusione. Tu sorridi...sorridi sangue. In un eterno apocalittico istante le tue labbra si fanno affilate, si fanno lame, mentre contemplo il luccichio di perdizione in fondo al tuo sguardo; e le tue candide ali di luce s’incendiano sotto i miei occhi sgomenti, si consumano lentamente. I bagliori danzanti si riflettono sul tuo viso, il fuoco della pazzia.
Improvvisamente mi riscuoto. Scivolo sul terreno ghiacciato, gelido teatro del tuo rogo mistico, e in un attimo sono di fronte a te: chini appena la testa, ancora sulla schiena lo scheletro delle ali piumate, e i tuoi occhi sprofondano nei miei. Dedico un fuggevole bentornata alla sensazione del tuo respiro fra le mie labbra, siamo tanto vicini che le nostre emozioni celate scivolano l’una nell’altra, le perdiamo di vista per un attimo e sono già così intrecciate. E’ impossibile ormai recuperarle, senza portare con sé frammenti dell’altro.
Ancora i tuoi occhi nei miei, il tuo respiro fra le mie labbra...il tuo fucile sul mio petto. Nel sentire la canna premere sulla pelle, una lacrima si libra prepotente dalle mie ciglia; in quella minuscola goccia di dolore ti chiedo da quanto tempo ormai imbracci le armi del nemico. Sembri raccogliere la domanda, abbassi lo sguardo, non rispondi.
Devo assolutamente recuperare il contatto.
Così faccio ancora un passo, e sono sempre più vicina. Il tuo sapore mi invade di nuovo la mente, mio angelico carceriere, in quella sensazione familiare che credevo di avere ormai perduto. Le tue labbra sulle mie, così vere, così vive, mi divorano violente in questo nostro singolare duello, sprofondo in una spirale di oscuro piacere, guidata dal tuo splendido sapore di sbagliato.
Bruscamente mi allontano, emergendo con violenza da quel vortice; le sue tracce ancora mi annebbiano la mente, ti vedo, ansante, sconvolto. Siamo improvvisamente lontani miglia e miglia, i nostri sguardi serrati in un abbraccio mortale.
La tua maschera di statua è a terra, in mille infinitesimi frammenti; non ti preoccupi neanche di raccoglierli.
Credevi di odiarmi, non è vero? La mia risata echeggia vuota e crudele fra le pareti di ghiaccio, frammenti scivolano giù.
Dovresti saperlo, bellissima scheggia d’inferno: tutto questo non finisce, non finisce mai.
O almeno, non finchè non lo dico io.

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Capitolo 21
*** Le Ombre ***


Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo
diverso da quello che esiste per gli altri.

Arthur Schopenhauer
 
Vi è mai capitato, girando l’angolo di un corridoio semibuio, di cogliere un’ombra staccarsi dalle altre per scivolare viscida dietro di voi? O di avvertire qualcosa di inconsistente muoversi alle vostre spalle? Avete mai sentito il sussurro di passi eterei fare eco al vostro? No? Beh, io sì. Da quando sono nata.
Ricordo una sera, nella mia enorme casa deserta; ero sola, sdraiata sul divano, aspettando che la mamma tornasse. Non avevo più di sei anni. A un tratto, dall’angolo della stanza, le ombre si erano fatte sempre più imponenti: alla fine si erano suddivise in figure inafferrabili di notte, e avevano preso a scivolare lente e inesorabili sul pavimento, avvicinandosi. E mentre io mi rannicchiavo su me stessa tremando come una foglia, il brusio mi era giunto alle orecchie. All’inizio era così fioco che avevo fatto fatica a distinguere le parole, ma poi si era levato pian piano, aumentando di volume.
Migliaia di voci sovrapposte le une alle altre, bambini, vecchi, uomini e donne di qualche lontano altrove.
Ti va di giocare con me?
Uccidere...Fare a pezzi...Sangue...
Non lasciatemi solo...
Angelica, non andartene! Resta con me, hai capito?
Va tutto bene, sono qui adesso...
Non riesco...a respirare...
Dov’è la mia mamma?
In poco tempo si erano fatte grida assordanti, tanto da costringermi a premere le mani sulle orecchie: eppure, le voci mi giungevano ancora forti e nitide, quasi mi urlassero dentro. Così avevo iniziato a cantare forte una di quelle stupide canzoncine per bambini, tentando disperatamente di coprire quelle voci che mi facevano venire i brividi; e intanto le ombre erano così vicine da costringermi a sollevare i piedi da terra, per paura che potessero artigliarmi le caviglie.
Poi era tornata la mamma con la spesa, e al suono della sua voce grida e ombre erano svanite in uno sbuffo di fumo. Ma erano ancora lì, lo sapevo bene. Erano nascoste da qualche parte, aspettando soltanto che restassi di nuovo sola.
Da allora, quelle erano diventate le Ombre; mi seguivano ovunque, scivolavano viscide dietro di me quando credevano non le vedessi. E io le odiavo. Iniziavo a pensare che avrei preferito un faccia a faccia piuttosto che quell’angosciosa attesa.
Così, un giorno l’avevo detto alla mamma: lei mi aveva fatto parlare con parecchie persone che facevano strani discorsi ed esaminavano con interesse i miei disegni, e alla fine uno di loro mi aveva dato una boccetta di caramelle magiche. Quelle minuscole pillole riuscivano a scacciare le Ombre, almeno per un po’; ma poco dopo ricomparivano, e io dovevo prendere un’altra caramella. Avevo passato qualche giorno a letto, non saprei dire quanti, a dormire ore e ore lunghissimi sonni senza sogni, e quando mi svegliavo ero così terribilmente disorientata, da non ricordarmi più neanche il mio nome.
E poi avevo trovato la boccetta di pillole nel cestino. La mamma diceva che non mi facevano affatto bene, e io crescendole avevo dovuto darle ragione. Dovevo imparare a convivere con i miei demoni, perché le Ombre questo erano: creature della notte, evanescenti spettri delle mie ansie, della mia solitudine. Perciò odiavano la luce, le risate, la gente; mi inseguivano sempre nelle ore buie, lungo il corridoio di casa, sotto gli occhi vigili del Gatto Nero sulla porta della mia stanza.
Queste erano le regole del gioco: e riuscendo a prevedere la loro comparsa, non avevo più così paura.
Ma poi era successo qualcosa di strano. Ero ormai abbastanza grande, troppo per temere ancora quei mostri che popolano l’infanzia di ognuno di noi; così avevo smesso di parlare delle Ombre, ed i loro assalti erano sempre più rari. Ero seduta al mio banco, le spalle alla finestra, il viso rivolto verso la cattedra, e a un tratto avevo visto qualcosa scivolare dietro di me. Mi ero voltata, ma non c’era nessuno, così avevo deciso di fare finta di niente. Ma poi era successo di nuovo, e ancora, e avevo capito.
Le Ombre erano tornate.
Lì, sotto gli occhi ciechi di venticinque testimoni ignari, in quella stanza inondata dal sole. E mentre la mia pelle bollente si copriva di brividi, per tutta la mattina le Ombre avevano continuato a muoversi alle mie spalle; anziché seguirmi, quelle sentinelle infernali mi sorvegliavano.
Dopo ore e ore di quello spettrale viavai, avevo sentito qualcosa di freddo strisciare sulle mie spalle fino a chiudersi intorno al mio collo. Troppo stupita per fare qualunque cosa, avevo avvertito con glaciale orrore quelle mani artigliarmi la gola, stringere fino a farmi soffiar via tutta l’aria che avevo in corpo. Poi l’Ombra era svanita, lasciandomi lì sul banco, inerte.
La mia amica si era voltata, aveva preso a darmi delle gomitate per svegliarmi; ma quando si era avvicinata aveva visto spalancati i miei occhi di cielo, un cielo nebbioso, pallido, cielo di nulla. E il suo grido aveva squarciato l’aria.
Avrei voluto dirle di scappare, gridare a tutti loro di andarsene: ma come avrei potuto? Le mie labbra erano spalancate in un enorme sospiro, un sospiro spezzato che sarebbe per sempre rimasto incompiuto.
 

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Capitolo 22
*** Lei ***


I pazzi aprono le vie che poi percorrono i savi.
Carlo Dossi
 
Apro gli occhi nel buio, il respiro pesante; gocce di paura mi scivolano giù lungo la schiena, scruto l’oscurità intorno a me. Lei è qui fra queste ombre, lo so, lei è ovunque...eppure non riesco a vederla.
E’ stato solo un sogno, cerco di convincermi, calo le palpebre come un velo sulle mie ansie. Un respiro, due respiri, e lei è qui. Si affaccia oltre le barriere della mia mente, passa le mani piccole su di esse, cercando un punto debole: e io sono qui rinchiuso in questa fortezza, pregando un dio in cui non credo perché non trovi la falla, perché mi lasci in pace. Ma è inutile, e io lo so.
Ecco, ora le sue dita sottili si fermano, scivolano nella fessura...sento il metallo cedere, la spaccatura assecondare la sua pressione. Non reggerà a lungo.
Riapro gli occhi, ma lei è ancora lì, in agguato dietro le mie palpebre. Da mesi ormai la porto dentro; percuote la mia mente, mi urla nelle orecchie. Grida che non posso fuggire per sempre.
E io sento il ghiaccio nei miei occhi sciogliersi, mi soffoca quest’armatura che mi costringo a indossare. Ma lei non mi abbandona, ancora quel grido straziante, denso, umano, ancora i suoi pugni, evocano un lontano assolato altrove che non riesco a dimenticare.
Una lacrima sfugge oltre lo strato di metallo, la spazzo via rabbioso con la mano. Possibile che non capisca? Che non si accorga di quanto mi faccia male fingere di non sentirla, delle ferite sanguinanti, vive, che apre ogni suo pugno? E’ così difficile, e così stretta questa veste di ferro; ma lo stesso non accenno a toglierla. Non voglio più lasciarla entrare.
I colpi terminano all’improvviso: sbircio furtivo oltre la barriera, e la vedo. Lì, rannicchiata a terra e improvvisamente piccola, così diversa dal monumentale ricordo che ho di lei. Il suo sussurro spezzato mi raggiunge, Perché?, si infrange in mille dolorose eco fra le mie costole, facendole vibrare di dannatissime emozioni.
Perché?, mormoro anch’io, e quasi non ricordo più la risposta. Perché non voglio più sentire, già. Non voglio più essere. Ho chiesto un cuore di ferro, ne ho venduto uno di carne e sangue.
Sono semplicemente stanco di soffrire.

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Capitolo 23
*** Polvere e Formiche ***


Occorre avere un po’ di caos in sé per partorire una stella danzante.
Friedrich Nietzsche
 
  Due figure in piedi, ai margini del giorno. Davanti a loro, il sole ardeva fra le nuvole, in un’immensa distesa di azzurro sanguigno; e ai loro piedi...
  C’era l’inferno, ai piedi del colle.
  Urla salivano dalla valle, urla agghiaccianti, inumane, i volti della gente erano mutati in grottesche maschere d’orrore. Dei palazzi non restavano che brandelli, cadaveri mutilati di calce e mattoni; terribilmente impersonali, diversi eppure identici nella loro gelida immobilità, una distesa di anonime lapidi alla memoria di epoche arcane e nuove, già dimenticate. Le macchine erano fuse fra loro in un unico essere di lamiere che si ergeva contro il cielo, monumento, questo, a chiunque avesse esalato sull’asfalto il suo ultimo respiro; e le strade non erano che il letto di un fiume, un fiume di sangue e petrolio dal sapore di morte, di mai. Restavano così orribilmente visibili, il rosso e il nero, e si abbracciavano, si intrecciavano armoniosi, senza mai mescolarsi, perché non si dimenticasse la natura di quell’oscura materia.
  E poi c’erano i demoni. Sciami di disgustose piccole nere formiche che continuavano ad essere partorite dal fiume di petrolio, si arrampicavano sulle persone e le cose e le case, divorando tutto con i loro piccoli passi famelici.
  Le urla si fecero più alte, più animali.
  E poi si spensero.
  In un attimo, tutto era scomparso: la gente, i cadaveri di mattoni, la torre di lamiera. Al loro posto c’era solo polvere, una quantità di polvere incredibile che rivestiva tutta la valle. Polvere e formiche.
  Si levò un verso strozzato, come di cervo ferito, che parve scaturire direttamente dal cielo; le formiche si ritirarono come fosse giunta la bassa marea. Tutto tacque.
  E le due figure erano ancora lì, sulla sommità del colle; con gli occhi fissi sul cerchio di sole ardente, il loro sguardo non era mai inciampato nell’apocalisse ai loro piedi. Eppure sapevano.
  -E’ questo il modo in cui finisce il mondo...- disse a un tratto lui, lo sguardo perso in un remoto altrove mille miglia lontano.
  -...Non già con uno schianto ma con un lamento.*- rispose lei, dallo stesso remoto altrove in cui lui si trovava.
  Rimasero in silenzio, ad ascoltare. Il loro respiro. Il suono degli orologi che si scioglievano lentamente alle loro spalle.
  -Niente è eterno.- sussurrò poi lui.
  -Tutto è presente.- ribattè lei.
  Silenzio. Respiri. Orologi.
  -Ma ti svelo un segreto...- riprese lui, misterioso. Lentamente si voltò, le prese le mani.
  Incuranti del sole, della polvere, degli orologi, si guardarono davvero, si videro davvero, forse per la prima volta.
  Lui riprese:-...I tuoi occhi lo sono.
  -Eterni.- sussurrò lei.
  -Presenti.- rispose lui.
 
 
Wake Me Up Inside is back!
Dopo questi tre mesi di silenzio, torno con un nonsense che dimostri pienamente quanto il mio stato mentale sia peggiorato....è ispirato al mio quadro preferito, e al fatto che ho finalmente incontrato qualcuno quasi più pazzo di me, e quando siamo insieme...beh, avete letto cosa esce fuori!
Che altro...Ah, sì: questa è l’ultima OS della raccolta, semmai a qualcuno interessasse. Penso sparirò per un po’ perché sono costantemente sui libri e non ho più tempo di fare nulla, e poi in questo periodo sono piuttosto volubile e non riesco a lavorare allo stesso progetto per più di due settimane.
Well, la finisco, o mi verrà fuori uno dei miei soliti angoli autrice chilometrici. Grazie a tutti per aver letto e/o recensito fino a qui!
Bye bye
Wake Me Up Inside
 

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