His skin was like a painter's canvas and his smile a flash.

di animapurpurea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Catapulted into chaos. ***
Capitolo 2: *** Prologue ***
Capitolo 3: *** Athelophobia. ***
Capitolo 4: *** Just a flower to die. ***
Capitolo 5: *** Maybe seen before. ***
Capitolo 6: *** Confused like a ride on a mad carousel. ***
Capitolo 7: *** Underwater... After this wave I'll be fine again? ***
Capitolo 8: *** Your lips are like fire on my skin. ***



Capitolo 1
*** Catapulted into chaos. ***


Chapter 1.

Caldo. Tanto caldo, un caldo afoso e costante, umido, alle volte insopportabile.
Verde: spazi immensi coperti da una lussureggiante vegetazione e da distese di mare, il Mare delle Andamane.
Strade affollate da migliaia di motorini, tuk-tuk, semplici auto e bancarelle. Si sente l’aroma pungente del peperoncino usato in quantità, riso, pesce, pollo, insetti, frutti e ortaggi sconosciuti. Profumo di cibo e fetore della fogna che si alternano, che si mescolano in un odore che è sempre presente, tanto da non farci più caso.
Strade piene di bar e discoteche che di notte vengono animate dai più strani soggetti.
Agglomerati di abitazioni, alberghi lussuosi, residence, centri massaggi, negozi, farmacie, artisti.
Bambini con strisce di borotalco sul viso che giocano per strada indossando la divisa scolastica, consistente in una camicetta bianca e calzoncini o gonne blu.

Schiamazzi. Luci. Clacson. Rumore del mare. Sole. Cibo. Palazzi. Prostitute. Trans. Coppie. Famiglie. ขอบคุณ. สวัสดี. ลาก่อน. Una sequenza continua, incessante.
Costruzioni su costruzioni, i thailandesi non si fermano, creano dal nulla gli edifici, e pian piano anche la natura sta cedendo il posto all’urbanizzazione.

Ecco la Thailandia.

Ariadne e Nermin si erano trasferite lì per continuare gli studi, erano ricercatrici , frequentavano entrambe la facoltà di giornalismo e questo progetto, della durata di un anno, era stato loro assegnato proprio per prepararle al lavoro e per osservare e studiare gli effetti che lo tsunami aveva causato sull’ambiente e sulla psicologia degli abitanti.
Barriere coralline distrutte, pesci morti, aree devastate, orfani, persone scomparse o ancora disperse; il terrore e l’angoscia negli occhi di una madre che ha perso i propri figli, la paura che possa arrivare una nuova onda e portare via tutto, ancora una vita.
Ciò nonostante le persone si erano in qualche modo riprese, realizzando nuovi edifici, zone di sicurezza collocate in alto sulle colline. La vita proseguiva, ma la paura restava, un trauma.
Era una ferita che si rimarginava, ma che veniva riaperta allo scadere di ogni 26 dicembre con lo Tsunami Day: una miriade di lanterne di carta fatte volare nel cielo scuro della notte, una per ogni vittima.



Ariadne aveva sempre amato quel luogo, la sua cultura, il paesaggio, le persone, la lingua locale, che ormai parlava perfettamente. Era come una seconda casa, ci andava quasi tutti gli anni per Natale con la sua famiglia, sin da quando era molto piccola, quindi non era una sorpresa andare a studiare lì, anzi era molto ironico e abbastanza scontato: un ritorno a casa insomma.
Lei e i suoi genitori erano alcuni dei pochi sopravvissuti dello tsunami, ma ormai aveva quasi vent’anni e i ricordi diventavano sempre più sfocati, eccezion fatta per lo sguardo sconvolto di sua madre dopo che aveva visto quell’immensa onda che si preparava a travolgerli in pieno…
”L’acqua è una forza distruttrice” questa era la frase che si ripeteva costantemente nella testa di Ariadne, come un tamburo.

Per Nermin invece era la prima volta in quel posto ed era abbastanza sconcertata, dato che tutto era diverso, anche la stessa concezione di vita. Ciò la spaesava, ma poteva contare sulla sua compagna di viaggio.
Si erano conosciute per caso, un giorno nella biblioteca della Oxford University. Entrambe si stavano concedendo un attimo di relax leggendo, tra l’altro, lo stesso libro: Sherlock Holmes.
Inizialmente non si sopportavano molto, a pelle proprio, ma in seguito avevano scoperto di condividere lo stesso amore per la lettura, la scrittura e la musica: Ariadne suonava la chitarra, mentre Nermin il pianoforte.
Furono quindi molti i pomeriggi e le serate passate in compagnia delle pagine, delle note. Così, pian piano cresceva la loro amicizia e si intensificava. Si capivano perfettamente. Due sorelle.

Era un pomeriggio come un altro nell’alloggio che avevano in comune: pioveva incessantemente, il grigio.
Nermin stava suonando qualche nota di Valery Viktorovich di Zhelobinsky, quando Ariadne tirò in ballo, per l’ennesima volta, il discorso del viaggio...
“Dai Nerms, vieni in Thailandia con me, sarà fantastico!” le disse raggiante la mora, incitandola a fare quell’esperienza guardandola speranzosa dagli occhi eterocromi.
“Non lo so Ariadne, non lo so. Non sono molto convinta di farcela, ne sono un po’ intimorita.” le rispose la bionda con aria rassegnata.
“Tanto dovrai venire per forza, perché il rettore del progetto ha accettato la mia proposta, quel posto è nostro. Andremo a stare nell’isola di Phuket e pensa che ci hanno riservato anche un casa, un casa con pianoforte…” continuò Ariadne con aria risoluta sorridendo sotto i baffi e puntando bene sul pavimento i piedi
“Ok, va bene, mi hai convinto” rispose secca Nermin guardando di sottecchi l’esile e slanciata figura dai lunghi capelli corvini ondulati che le stava di fronte con aria di sfida. Poi scoppiò in una fragorosa risata, era buffa quella scena. “Sei tremenda Aris” aggiunse mentre si raccoglieva i lisci ed interminabili capelli biondo grano, dalle sfumature violastre sul fondo, in uno chignon perfetto; così metteva in risalto il suo volto candido e scopriva i due meravigliosi occhi di tonalità verde chiaro dalle nuance giallognole, i quali rimandavano alle foglie di un albero, che scosse dal vento, creavano un gioco di luce col sole.

Così si ritrovarono insieme sull’aereo diretto per Bangkok, molti erano i pensieri e le stesse ansie che angosciavano le due giovani, ma ormai avevano deciso e non potevano tirarsi indietro, avrebbero dovuto affrontare tutto ciò che quell’esperienza aveva in serbo per loro.

Furono così, inconsapevolmente, catapultate nel caos.

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Corner of souls
Sciaaaalve pippol, yo.
Come avete visto, sto aggiornando molto in fretta perché voglio fare proseguire la storia e a arrivare allo sviluppo vero e proprio(?) lol
Btw in questa ennesima merdina vi ho introdotto le cause e i due personaggi principali, diciamo lol Non è tanto lunga, ma credo che vada bene così perché almeno ho in gran parte spiegato i motivi principali(?)
Inoltre volevo dirvi che le due scritte in thailandese: ขอบคุณ. สวัสดี. ลาก่อน. si leggono rispettivamente K̄hxbkhuṇ, S̄wạs̄dee e Lā k̀xn e significano “Grazie”, “Salve” o “Benvenuto” e “Arrivederci”; lì vengono ripetute sempre, a tutti i turisti uu
Dal secondo capitolo si inizierà con l’ambientazione precisa e gli altri personaggi, quindi non abbandonatemi pleaaaase *si inginocchia* Ringrazio tutte le anime silenziose che hanno semplicemente letto il prologo della storia e la OS su Zayn e coloro che hanno recensito, aggiunto alle storie seguite e preferite <3
Vi prego però, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, twittah (account harrymeal uu) o come vi pare perché per me è importante. Accetto critiche, consigli. Si può sempre migliorare uu
Vi lascio i link della OS e dall’altra ff su i one direction che scrivo con una mia amica e poi mi dileguo per la vostra felicità uu
She belonged to him as he to her, they together were sparks, they were united by a bond as strong as the sea.
We’re gonna build another world together
Ho concluso,
al prossimo capitolo,
Sawadee,
Al.

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Capitolo 2
*** Prologue ***


His skin was like a painter's canvas and his smile a flash.

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a bohemrhapsody che mi sopporta, che mi ascolta sempre e con cui condivido l’amore per la musica e la scrittura.


Falling to pieces

Correva, non si fermava, era come in preda a un raptus. Incosciente. I suoi piedi la guidavano, si muovevano svelti diretti verso chissà dove. La pioggia non si fermava, scrosciava sull’asfalto bagnato e la impregnava completamente. I lunghi capelli corvini le ricadevano scomposti sul pallido viso, vivacizzato dalle lentiggini, in una serie di riccioli informi. Tremava. Sentiva l’umidità invaderle le ossa.
Percorreva la strada illuminata dai numerosi fari delle autovetture.
I grandi occhi eterocromi non guardavano la carreggiata, erano persi; uno sguardo incerto e completamente assente, ma che mirava lontano. La pupilla sinistra navigava nel verde di una foresta, mentre l’altra in una distesa di mare cristallino.
Nella mente di Ariadne un traffico caotico di pensieri ed immagini disconnesse aveva ormai preso forma e iniziato il tormento. Era tutto così ovattato intorno a lei, si sentiva in una bolla, al riparo da tutto; in sottofondo si sentivano clacson, schiamazzi vari e la pioggia, acqua che non si fermava, ma che continuava a cadere senza concedere un attimo di pace.
Era bloccata in un interminabile instante nel tentativo di rivivere quei momenti, di riprovare quelle stesse emozioni che le avevano fatto passare delle notti insonni.
Come se avesse premuto un tasto di riavvolgimento e in seguito bloccato il nastro, come se tutto fosse sospeso, immobile nel tempo: parole, pensieri, anime.
Nella sua testa un serpente di stralci di ricordi era venuto a galla dall’oscurità della memoria, si muoveva secondo un ritmo irregolare: frammenti di attimi passati, sorrisi, gesti, persone che le si presentavano agli occhi dopo tanto tempo.
Rivedeva in sé una sequenza di momenti frammentati. Rivedeva parte della sua vita dopo che si era trasferita in Asia per continuare gli studi. Rivedeva lui, la sua voce, i suoi baci, i suoi respiri, le notti passate a parlare. Rivedeva la musica, i colori.
Rivedeva le loro mani intrecciate nella vernice.

Stava cadendo a pezzi, la sua mente la stava divorando, la memoria la stava stravolgendo.
Voleva correre, poter tornare indietro, ma non ci riusciva.
Ariadne sembrava un automa. Indifferente. Sguardo vago e spento. Forse un cuore che aveva smesso di battere.
Ad un tratto, mentre combatteva contro se stessa, venne folgorata, come il lampo scatenato da un sorriso che è in grado di illuminare il mondo.
Una fitta lancinante la travolse in pieno addome, ma non capiva se quello che stava provando fosse dolore. Forse non provava semplicemente più nulla.
Si inumidì le labbra un ultima volta, come per assaporare l’essenza di colui a cui erano appartenute.
Si sentì improvvisamente leggera. Poi tutto si fece buio.

Corner of souls
Eccomi qua a sfracassarvi le ovaie con una nuova storia, una fanfiction questa volta lol
Ho detto che sarei tornata presto e quindi..TATATATAAAAAN!
Innanzitutto ringrazio di cuore coloro i quali hanno recensito la mia OS su Zayn She belonged to him as he to her, they together were sparks, they were united by a bond as strong as the sea.
Essenzialmente questo prologo non spiega una minchia, secondo me fa confondere e basta, ma mi serviva per aprire le danze(?) ahahah occhei ,no
A me non ispira molto, ma spero comunque che la storia, in seguito, inizierà a piacervi e di riuscire a renderla particolare. *incrocia le dita*
Ariadne è l’invidia, per me è bellissima sdfghjkl e penso che già avete capito a chi si riferisce il titolo e ad ogni modo ci saranno tutti, non preoccupatevi uu
Se, in ogni caso, vi è piaciuta questa cagatina fatemelo sapere tramite una recensione o su twittah (mi chiamo harrymeal anche lì uu)
Per il resto spero di tornare a pubblicare il prima possibile e che diventiate in molti a seguirla c:
Btw ho già un fanfiction sui one direction insieme ad una mia amica da continuare uu
Passate anche da qui pelfavvole (?) We're gonna build another world together
La tortura è finita!
Sawadee,
Al.

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Capitolo 3
*** Athelophobia. ***


Chapter 2.

Diede un’ultima pennellata, distese il colore ed ecco che anche l’ennesimo quadro era completato.
Fece qualche passo indietro e osservò da lontano quel capolavoro: un immenso volto di tigre misto a quello di un uomo, realizzato alla perfezione.
Si passò una mano sporca di vernice tra i capelli scuri rivolti verso l’alto e l’altra sul mento con fare pensieroso, non lo convinceva, come al solito.
Secondo lui le pennellate erano indecise, come una mano tremante, i lineamenti informi e i colori smorti.
Per lui non andava mai bene, lui non era mai abbastanza bravo, né con le parole né con la pittura. Secondo lui era sbagliato.

Non era mai abbastanza.

Era nutrito dall’insoddisfazione causata dalla sue stesse opere anche se aveva sempre amato disegnare, sin da piccolo quando passava ore e ore nella bottega del padre imparando il mestiere da lui.
Dal carattere ambiguo e riservato, Zayn non capiva il grande potere che aveva; nelle sue mani risiedeva la magia: i colori prendevano vita creando meravigliose linee che andavano poi a comporre qualche specie di enigma sulla tela. Indecifrabile. Perfetto. Tratti precisi, senza sbavature.
L’immagine che gli si veniva a formare nella testa non gli dava pace fino a quando non prendeva le dovute sembianze su foglio, tela o ceramica che fosse.
Provava quell’orribile sensazione causata da un vuoto incolmabile ed è per questo motivo che sfogava la sua rabbia nell’arte.
Prova di ciò era il suo laboratorio, inaccessibile a qualsiasi altro essere umano, tappezzato di schizzi, quadri, sculture di ogni genere che rendevano impossibile la vista delle pareti scure e del pavimento. Quest’ultimo era completamente ricoperto da tracce di colore, sembrava anch’esso un quadro: una tela che rispecchiava la confusione di pensieri che gli attraversava la mente.
Cicche di numerose sigarette Wiston Blue erano seminate su ripiani, cavalletti e barattoli di vernice, perfino una bottiglia di whiskey semivuota giaceva per terra accanto a numerosi pennelli e a un grande ventilatore sempre acceso.
Le uniche fonti di luce erano delle candele, ormai consumate, sparse qua e là, un piccolo lampadario appeso al soffitto e una finestra, sempre aperta, che dava sulla strada.
La porta, la quale permetteva l’unico passaggio verso l’esterno, era in legno battuto, caratterizzata da piccoli intarsi dorati e da una frase di Van Gogh che sembrava pian piano dissolversi, come un colore che viene sfumato; essa citava: ”I dream my paintings, then I paint my dreams” peccato che, nella maggior parte delle volte, quelli che Zayn dipingeva erano gli incubi che lo tenevano sveglio la notte.
Fuori invece, tutti i dipinti in eccesso erano accatastati vicino alle numerose statue di Buddha, alla sua moto o ancora appoggiati alle pareti della struttura.
Si era creata una vera e propria galleria d’arte che generava curiosità e mistero nei passanti, i quali non sapevano a chi attribuire tali opere.
Egli però rifiutava di mostrarsi, era bloccato, non ce la faceva, non voleva. Era già molto conosciuto, ma non lo sopportava.
Basti pensare che, per non essere visto, arrivava in laboratorio sempre secondo orari assurdi.
Molte volte i suoi amici avevano tentato invano di convincerlo, ma egli non demordeva e non abbandonava il suo ideale. Preferiva restare nell’anonimato e continuare a dipingere su tela gli scorci della giungla che era la sua mente.
Zayn aveva plasmato il suo mondo intorno all’arte e ormai trascorreva la maggior parte del tempo in quel luogo. Era casa sua e al suo interno si respirava tutta la sua immaginazione, la sua bizzarria, la sua passione, la sua esperta capacità.

L’aria sapeva di colore e fatica.

Egli stesso era una tela per via dei numerosi tatuaggi che ricoprivano la pelle ambrata.
Forse erano uno scudo, o forse erano la prova concreta della sua stessa arte.

Zayn continuava a camminare per la stanza, snervato, in cerca di qualcosa che scatenasse in lui l’ispirazione.
Si mordicchiava un labbro. Si grattava la nuca. Si fermava un attimo. Rifletteva. Tamburellava in maniera spossante un piede sul pavimento e poi riprendeva. Era insoddisfatto, infastidito, stufo anche di se stesso.
Decise quindi di accendersi una sigaretta per poterci pensare su; gustò ogni tiro che prendeva, dal sapore del filtro a quello del tabacco esalato che gli invadeva il corpo e gli inebriava le narici.
Pian piano essa si consumava, lui si divertiva facendo dei cerchi di fumo con la bocca e allo stesso tempo provava a rilassarsi senza arrecar danno.
Arrivato all’ultimo tiro, avvolto in una nuvola di vapore grigio, con ancora l’esalazione nei polmoni, una figura si abbozzò nella sua testa, a lui stava darle vita.
Spense ciò che rimaneva del rocchetto e corse al cavalletto scaraventando a terra tutto ciò che in quel momento gli era inutile.
Come in preda a un raptus, iniziò a dipingere con foga e velocità ciò che la mente gli dettava.
Zayn era assente, lo sguardo indecifrabile, nel quale due brillanti pupille parevano annegare in una distesa scura come il cioccolato. Solo le sue mani si muovevano con rapidi gesti gettando strisce di colore. Erano delicate come il calare del vento al tramonto e abili, non si arrestavano. Appartenevano alla tela.

Sulla baia di Phuket, a Patong, già era calata la notte, ma lui continuava: univa a fluidi e spessi tratti linee più sottili e delicate per rendere il tutto più armonico ed equilibrato, leggero.
Il ragazzo si fermò un momento, bevve un goccio di whiskey, si asciugò le labbra passandoci velocemente un braccio sopra e poi subito si rimise a lavoro.
Ciò che si stava creando davanti ai suoi occhi aveva le parvenze di un volto femminile candido e fresco.
Il lavoro venne ultimato poco dopo e Zayn, osservandolo accuratamente, capì per la prima volta cosa fosse la soddisfazione: le leggere pennellate, di vari colori, erano andate a plasmare il viso di una ragazza dalla pelle sottile, quasi di porcellana, come se si potessero intravedere le vene sottostanti, che in parte era coperto da una fluente chioma scura scompigliata dal vento; la mano sinistra invece, posta su una guancia, era colta nell’azione di bloccare i capelli.
Le labbra erano rosee e morbide, schiuse leggermente in modo tale da far intravedere a malapena i denti bianchi; un occhio era nascosto come per simboleggiare una particolare fattezza, mentre l’altro aveva il colore di uno smeraldo e una piccola goccia di sangue che scorreva dritta sporcando la purezza in sé dei lineamenti.
La giovane aveva un’espressione recondita, spaesata, tormentata, come se si cogliesse un accenno di sgomento nel suo sguardo.
Era un dipinto sfuggente, incantatore, di perdizione.
Era l’essenza di una bellezza scomposta che veniva, in qualche modo, oltraggiata e che non sarebbe stata più in grado di tornare come prima.

Zayn era speciale, aveva una tecnica affinata e un talento talmente prorompente da non poter essere trattenuto neanche dalle apparenti barriere dei quadri o dai bordi di un foglio o tantomeno dai margini dei colori. Esso sfociava al di fuori di una semplice tela o di un pennello, era un’esplosione di colori, emozioni e pensieri che ti colpiva dentro, che aveva una forza di attrazione tale da scatenare scintille e da lasciarti un ricordo indelebile.
Ma a questo talento mancava qualcosa, un qualcosa che lo completasse, un qualcosa di totalmente opposto che lo spingesse a realizzare ciò che mai avrebbe pensato di poter essere in grado di compiere.

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Corner of souls
Hola racazzi(?) lol
Ecco a voi il capitolo su Zayn, anche lui uno dei personaggi principali uu
In questo capitolo mi sono impegnata davvero tanto perché avevo un sacco di idee nella testa che volevo esporre, però non ne sono molto soddisfatta cwc
Poi volevo dirvi che l'immagine che ho postato è quella più simile al dipinto fatto da Zayn, quindi abbiate pietà(?) lol
Btw ditemi comunque cosa ne pensate. VI SCONGIURO, RECENSITE!
Io muoio di solitudine e penso che la storia faccia cagare (?) ewe
Prometto di non annoiarvi ulteriormente, infatti vi lascio i soliti due link delle storie che vi consiglio e poi evaporo uu
She belonged to him as he to her, they together were sparks, they were united by a bond as strong as the sea.
We’re gonna build another world together

Al prossimo capitolo,
Sawadee,
Al.

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Capitolo 4
*** Just a flower to die. ***


Chapter 3.

Ariadne e Nermin arrivarono al Phuket International Airport verso le nove di mattina dopo aver trascorso quasi sedici ore di viaggio in aereo, tra cui una passata a correre per Bangkok nella disperata ricerca del gate del TG207 diretto all’isola thailandese.
Erano sfinite. Volevano solamente vedere la loro nuova casa e rilassarsi, ma dovevano ancora ritirare le loro valigie al cosiddetto “Baggage Claim”.

La bionda aveva oscurato la curiosità, che prima di partire l’aveva animata tempestando l’amica di domande riguardo a quel nuovo luogo, e ceduto il posto alla stanchezza, tanto da desiderare una tazza fumante di caffè per riprendersi un pò e lei odiava tale bevanda.
Così, per distrarsi, iniziò prima a osservare le Dr.Martens nere lucide che aveva ai piedi, poi i lunghi fili dorati dalle estremità violacee che le ricadevano fin sotto il seno e finì, in seguito, a trastullarsi con il cerchietto in oro del "Nostril" che aveva al naso, girandolo verso l’interno e verso l’esterno.
La mora invece era tranquilla, assonnata e sicura che in breve tempo si sarebbe addormentata sul carello nell’attesa che arrivassero i bagagli sul nastro. Intanto, per evitare di assopirsi, giocherellava con il suo dilatatore nero di tre millimetri togliendolo e rimettendolo nel lobo sinistro; facendolo rotolare sulle mani per poi fermarsi ad analizzare la stravagante calligrafia, impressa sul lato sinistro della sua mano mancina, che contrassegnava un tatuaggio costituito da una scritta “Madhouse” seguita da un piccolo triangolo sottostante.

Non erano molte le persone che aspettavano, dato che non era il periodo dell’alta stagione, ma si poteva comunque notare dalla pelle diafana, dalle occhiaie scure e dall’aria stravolta che fossero dei “nuovi arrivati”.

I bagagli arrivarono e le ragazze poterono finalmente dirigersi verso l’uscita. Ariadne aveva detto a Nermin che la sensazione che si provava dopo aver attraversato quella porta era fantastica. E non si sbagliava perché la bionda, dopo essere stata accecata dalla luce del sole, fu investita da una folata d’aria rovente e non poté fare a meno di sorridere.
Era una bellissima soddisfazione rifugiarsi al caldo scappando dalle piovose e grigie giornate inglesi. La presenza dell’imminente stagione delle piogge non aveva importanza, era settembre e c’erano oltre trenta gradi e una leggera brezza marina che rendeva il tutto più piacevole, cosa si poteva voler di più?

All’esterno dell’aeroporto c’era una moltitudine di taxi, persone che sventolavano cartelli con scritti i nomi dei vari turisti che dovevano ricevere, pullman, auto di privati, valigie, carrelli e un vociare continuo e un rumore di motori costante che si univano all’insieme creando un ambiente davvero caotico.

Ad accoglierle c’era una vecchia amica di Ariadne, Merope: una ragazza di diciannove anni da una incontenibile vivacità e da una parlantina irrefrenabile, ci si doveva impegnare per capire i suoi discorsi.
Lei era figlia di un noto fornitore di generi alimentari occidentale che aveva trovato l’amore con una donna del posto; ciò era testimoniato dalla sua pelle ambrata, dai capelli scuri che le ricadevano corti sulle spalle in una cascata di boccoli, dalla corporatura minuta e snella, dalle mani sottili e svelte, dai grandi occhi color nocciola, contrassegnati da folte ciglia, da un radioso sorriso e da un esuberante volto caratterizzato da un septum nel naso.
La ragazza era nata e vissuta in Thailandia, aveva terminato la scuola e da poco frequentava la facoltà di medicina a Bangkok.
Lei e la mora si erano conosciute all’età di quattro anni, un giorno per caso sulla spiaggia di Surin.
Tutto iniziò quando la bambina dai riccioli con riflessi bluastri le disse che trovava strani e particolari i suoi occhi così diversi l’uno dall’altro. Ariadne a quell’affermzione aveva riso e risposto dicendo che lei invece trovava buffa l’espressione che le si dipingeva sul viso quando la fissava.
Non era colpa sua se per una curiosità genetica i suoi occhi attiravano la persone come calamite.
Ciò che è strano o diverso incuriosisce” le diceva la madre schioccandole un bacio sulla fronte per rassicurarla, dato che da bambina, alle volte, si sentiva astrusa. Ma crescendo, Ariadne aveva imparato a fare della sua diversità un’arma.

Lei e Merope strinsero amicizia anche grazie ad una passione che avevano in comune, quella per l’acqua: passavano le giornate a chiacchierare e a ridere stando in ammollo nel mare anche se nessuna delle due era in grado di comprendere la lingua parlata dall’altra. Fu anche così che Ariadne imparò il thailandese.
Da allora diventarono sempre più unite e il loro rapporto si intensificava di anno in anno quando si rivedevano durante il periodo di Natale.

Era un rapporto speciale il loro, basato sulla distanza e sull’attesa di rivedersi.

Appena la vide, la ragazza dagli occhi eterocromi corse ad abbracciarla, le mancava ed era felice di averla vicina in quella nuova esperienza.
“Oddio Ariadne, come stai? Come sei cambiata! Mi sei mancata, sai?” le disse raggiante mentre la stritolava in un abbraccio.
“Mammia mia Merope, tu non cambi mai invece, sei sempre la stessa! Lasciami respirare però.” affermò la mora ridendo e liberandosi dalla stretta. “Sono stanca, ma sto bene. E sì, mi sei mancata anche tu.”
“Sempre molto loquace mi dicono” la punzecchiò l’amica.
“Abbi pietà, voglio solamente dormire” si difese facendo spallucce. “Comunque devo ancora presentarti quell’altra asociale della mia amica qui presente” aggiunse incalzando la bionda ad interagire.
“Guarda che l’asociale del gruppo sei tu” rispose secca la ragazza dagli occhi verdi con un sorriso maligno.“Io sono Nermin” si presentò a Merope porgendole la mano in segno di amicizia.
“Lascia stare le strette di mano e abbracciami, ora fai parte della famiglia” rispose calorosa la mora facendo un passo verso di lei.
La bionda ricambiò il gesto sorridendo; era sorpresa da tutta quell’ospitalità, ma non si trovava a disagio, le piaceva conoscere nuova gente senza troppi indugi. Merope era diretta, ciarliera, le stava già simpatica.

“Ma tu non dovresti essere a studiare a Bangkok?” le chiese Ariadne con aria sorpresa.
“Giusto non te l’ho detto!” rispose la mora buttandosi una mano sulla fronte per sottolineare la sua sbadataggine. “Sono stata inclusa nel vostro stesso programma insieme al mio ragazzo, solo che lui sarà nella vostra sezione, mentre io in quella medica”.
“Stai scherzando? Sarà fantastico” esclamò entusiasta a quella notizia. “Ehm, un momento… Hai un ragazzo? Quante cose mi hai nascosto?” aggiunse con un pizzico di malizia nella voce.
“Non fare la stupida” disse ridendo Merope. “Si chiama Liam Payne e lo conoscerete tra poco, dato che è in macchina ad aspettarci. Parleremo meglio a casa, va bene?”
Detto questo, non attese risposta che iniziò a trascinare una parte dei bagagli verso il parcheggio.
Nermin e Ariadne risero, ci sarebbe stato davvero da divertirsi.

Dopo aver faticato sotto il sole per far entrare tutte le valigie nel bagagliaio, il ragazzo dagli occhi marroni si aprì in un meraviglioso sorriso pronto per accoglierle.
Le due erano disarmate dalla sua bellezza: di alta statura, dal fisico abbastanza atletico, dai corti capelli mossi, color castano chiaro, che adornavano il capo con un vortice di onde, dal viso fresco e candido, dai lineamenti delicati, da un tatuaggio a cinque frecce che gli percorreva un braccio secondo un’unica direzione, dal carattere estremamente dolce contraddistinto da un animo gentile e pacato .
Semplicemente bellissimo.

Le giovani si presentarono e in seguito salirono in macchina dirette verso la loro nuova residenza.
Durante il tragitto, Nermin contemplava in silenzio il meraviglioso paesaggio costituito da: una fitta e lussureggiante vegetazione apparentemente incontaminata, immense piantagioni di ananas, valli con bufali al pascolo, sezioni di alberi da cui, tramite un filtro, si ricavava il materiale necessario per fabbricare la gomma, piccole case di contadini, cielo azzurro, mare cristallino e sole.
L'eden detto in altri termini.
Era arrivata da poco, ma già amava quel posto, le comunicava una stramba sensazione di pace e di tranquillità che la liberava dai pensieri e dalle preoccupazioni. Si sentiva soavemente inconsistente.

Ariadne invece si sentiva a casa: i lunghi capelli mossi le svolazzavano liberi sul viso e con una mano fuori dal finestrino faceva scorrere il vento caldo sulle dita e sul palmo; esso si incuneava tra i fili di alcuni suoi braccialetti colorati e lei cercava di catturarlo, ma non ci riusciva, era incomprimibile.
Provava una gradevole sensazione di vuoto; un vuoto non incolmabile, bensì già colmato dalla leggerezza d’animo e di mente che provava ogni volta che vi faceva ritorno.

Dopo circa sessanta minuti tra la foresta piombarono nella confusione di Patong, nella parte sud occidentale dell’isola. Traffico. Edifici. Banche. Alberghi. Spiagge. Discoteche. Ristoranti. Bancarelle. Negozi.
La bionda non se lo aspettava, si voltò verso la mora come in cerca di spiegazioni e lei, comprendendo la sua espressione esterrefatta, sorrise e annuì in cenno di assenso.

Per gran parte del viaggio parlarono con Merope e con Liam, il quale si rivelò davvero simpatico e socievole.
Il modo in cui guardava la sua compagna era indescrivibile, emanava affetto e sicurezza, lui sapeva che lei gli apparteneva.
Le due ragazze videro l’alchimia tra i due e non poterono evitare di increspare le labbra in sorriso dall’aria sognante.

Dopo aver parlato al lungo del progetto che avrebbero affrontato tra non molti giorni, Nermin e Ariadne scoprirono che era stato loro riservato uno dei numerosi appartamenti situati al quinto piano di una un complesso abitativo destinato agli studenti del corso.
“Vivrete tutti insieme in una grande palazzina a quindici minuti a piedi al centro di Patong” disse Liam incoraggiante.
“Poi ci saranno un sacco di ragazzi provenienti da molte zone diverse del mondo” aggiunse Merope.
“Saremo diciotto per sezione, poi con me ci sarà anche il mio amico Niall, quindi non c’è da preoccuparsi”
“Se lo dici tu, Liam..” disse Ariadne vaga per poi sogghignare.
“Quanto è affidabile il tuo ragazzo, Merope?” aggiunse Nermin reggendo il gioco all’amica.
“Abbastanza da non farvi finire in una topaia, dato che è suo padre il maggior promotore del progetto e che ha a cuore le condizioni in cui andranno a vivere i partecipanti” rispose orgogliosa la ragazza dalla pelle ambrata. “Potete stare tranquille”
“Ecco perchè il tuo viso mi è familiare!" disse Nermin sopresa. "Anche tu studi presso la nostra università"
"Esatto. Anche il mio amico irlandese, Niall" rispose il ragazzo.
"Merope se ne è sicuramente di menticata, vero?" affermò Ariadne lanciando un'occhiataccia all'amica, la quale annuì sbuffando.
"Ah Liam, sappi che se mi faccio male è colpa tua” aggiunse ironica la mora con le lentiggini.
Tutti e quattro risero.

Arrivarono a destinazione dopo circa un’ora e mezza a causa del traffico.
Dopo aver oltrepassato un grande cancello di metallo compreso tra delle mura in pietra, e dopo aver parcheggiato e scaricato i bagagli, Nermin e Ariadne si trovarono davanti ad un enorme edificio in stile orientale, con grandi porte intarsiate e decorate da momenti tratti da storie locali.
Essa era circondata da un vasto giardino con tanto di lago con carpe comprendente uno spazio chiuso in muratura destinato alla lavanderia e un tavolo con panche in legno e ombrelloni di paglia per poter mangiare all’esterno.
L’interno invece era costituto da un grande soggiorno in parquet chiaro con poltrone e divani bianchi, grandi tappeti dai ricami sfarzosi, lampadari, televisione, computer e zona Wi-Fi; nel mezzo della stanza correvano delle lunghe scale di legno e accanto a quest’ultime, posti dietro una parete separatoria, c’erano l’ascensore e un bagno di servizio.
Alcune pareti erano ornate da alcune scene tratte dalle storie “Jataka”, le quali raccontavano le precedenti vite di Buddha, mentre un’altra era interamente ricoperta da assi di legno scuro ed era fregiata da una grande scritta dorata che citava in thailandese: “ผมไม่เชื่อว่าผีใน แต่ฉันเกรงว่า” ovvero “Non credo negli spiriti, ma ne ho paura”, essa era molto comune nel luogo.
Sul lato sinistro si apriva un porta in legno che dava sbocco su una grande cucina super accessoriata e fornita di cibo in quantità industriali, mentre sulla destra se ne apriva un’altra sul giardino.
Sul tetto c’era un vasto terrazzo attrezzato con sdraio, ombrelloni, panche e anche un insieme di massi leggermente rettangolari disposti secondo una figura geometrica ovale, utili per un eventuale falò.
Quella struttura era il paradiso.

Le due giovani non riuscivano a crederci, erano a bocca aperta, altamente stupite: Ariadne cercava invano di balbettare un ringraziamento, mentre Nermin bofonchiò un “Grazie papà di Liam” abbassando leggermente il capo intimidita.
Il ragazzo, dopo aver preso le chiavi della loro stanza, fece strada e le accompagnò, seguito da Merope, dicendo loro che gli altri coinquilini sarebbero arrivati presto, che avrebbero dovuto cucinare loro per sé, che l’impresa di pulizie sarebbe venuta tre volte a settimana e che non avrebbero avuto limite di orario per stare fuori: avrebbero dovuto badare a se stessi.
Le due ringraziarono e si rasserenarono del fatto che a entrambe piacesse cucinare e che, per il resto, non ci sarebbero stati problemi.
Presero l’ascensore, arrivarono al quinto piano e dopo aver attraversato un lungo corridoio ricco di quadri thailandesi e percorso da un lungo tappeto, arrivarono alla stanza numero 509.
Liam, dopo aver accostato vicino al muro il carrello carico di valigie, si avvicinò alla porta, passò una chiave magnetica sulla serratura e questa scattò con un suono netto.
L’interno profumava di pulito, tranquillità e leggerezza ed era anch’esso meraviglioso come il resto della struttura: il vasto ambiente dai colori tenui era reso luminoso da un’immensa finestra con veranda, arricchita da tende, dalla quale si vedeva un bellissimo scorcio della baia di Patong; due grandi letti a baldacchino dalle lenzuola e dai cuscini candidi e soffici erano collocati orizzontalmente ai due lati opposti della stanza insieme ai comodini; l’entrata per il grande bagno con vasca era segnata da una porta posta vicino l’ingresso e una grande cabina armadio si estendeva lungo il lato sinistro della camera.
Lo spazio restante era occupato da un tavolo con delle sedie e da un grande specchio.
Il pavimento era uguale a quello del soggiorno e alle pareti bianche ne era alternata una, sempre in legno scuro, con anche qui rappresentate sulla superficie scene di storie locali, come, in tal caso, quelle che riguardano le avventure di un eroe in una terra immaginaria, ovvero “Chak chak wong wong”.

Ariadne quei racconti li conosceva tutti grazie a Merope, la quale usava sempre narrarglieli perché adorava il modo in cui lei si immedesimava nei personaggi e nelle azioni che le delineava. Lo stesso faceva lei con la bambina dagli occhi da cerbiatto raccontandole le fiabe e la favole che conosceva. Era bello perché poi le fondevano insieme creando, a loro volta, altre magiche e stravaganti storie.

Le ragazze erano sbigottite e Liam e la sua ragazza, cogliendo le loro espressioni, iniziarono a sghignazzare tanto erano buffe.
“Non ti aspetterai mica il nostro inchino, vero Payne?” domandò Nermin con una leggera punta di acidità nella voce.
“No, per carità, ma un giorno mi farete assaggiare qualche vostra prelibatezza in cambio” disse ridendo sotto i baffi.
“Se muori avvelenato, noi siamo esentate da qualsiasi colpa” disse Ariadne alzando le mani.
“Tua decisione, tua resposabilità” aggiunse Nermin beffarda giocherellando tranquilla con i suoi lunghi e fluenti capelli color grano dalle punte violastre.
“Correrò il rischio” rispose il ragazzo sorridendo sghembo.
Intanto Merope si godeva divertita la scena, erano proprio ridicoli quei tre che si provocavano.

Alla fine la coppia se ne andò salutando le due e dicendo loro che si sarebbero visti fra non molto e che per qualsiasi cosa li avrebbero potuti avvertire; furono tanto disponibili e ciò colpì Nermin e Ariadne, le quali ringraziarono infinitamente e si congedarono abbracciandoli.

Avevano tutta la palazzina per loro, erano da sole, quindi ne approfittarono per sistemarsi, farsi una doccia e riposarsi.
Tutto era così bello, in perfetto equilibrio.
Una calma apparente che rendeva l’insieme più ovattato e lieve, impalpabile.

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Un sibilo, un bagliore, un urlo e delle mani ossute; mani, le cui vene diventavano ramificazioni, dalle quali poi nasceva un bocciolo bianco e candido. Ed infine il buio che pian piano circondava quel fiore d’Agave appena sbocciato e che in seguito lo inghiottiva dissolvendosi.

Ecco l’incubo che da più notti tormentava Nermin.
Si svegliava sempre di soprassalto, pallida in volto, con gli occhi sbarrati e le mani avvolte intorno al collo, come se si fosse appena liberata da una presa.
Non ne comprendeva il senso, in quel momento, della sua vita non poteva lamentarsi, ma era spaventata e ciò preoccupava Ariadne; non le piaceva vedere l’amica in quelle condizioni, infatti la bionda ci stava a male a tal punto che neanche la musica era in grado di tranquillizzarla.
Le due passavano molto tempo a discuterne per cercare di capirci qualcosa, ma ciò che più preoccupava Nermin era la presenza improvvisa di quel fiore d’Agave, poiché, tale pianta grassa dopo quell’unica fioritura moriva.
La mora era cinica, ma la bionda era molto sensibile, ne era terrorizzata.
“Come diavolo è possibile?” urlava sconvolta Nermin con le mani tra i capelli. “ Come può lo sbocciare di un unico fiore essere collegato alla morte di una persona?” continuava facendo avanti e indietro per il salotto della loro nuova abitazione.
“Nerms, non ne ho idea! Io sono scettica a riguardo e tu sai benissimo che da queste cose non mi faccio influenzare facilmente” le rispose la ragazza dagli occhi eterocromi mentre si portava alle labbra un bicchiere di succo di Lici. “Non ci rimuginare sopra e vedrai che passerà” aggiunse con aria incoraggiante.
“La tua positività in questo momento mi è indifferente e mi irrita alquanto perché c’è in ballo una vita, anche la mia o la tua, e non posso altamente fregarmene!” le sbraitò contro la bionda. “Potrebbe anche trattarsi di una profezia locale, o robe simili, dato che il sogno è apparso nella mia testa da quando siamo arrivate.”

A quel punto Ariadne capì che in quel modo non si poteva andare avanti, non poteva alterarsi o la situazione sarebbe degenerata; la ragazza dagli occhi occhi verdi era in preda ai nervi, troppo suscettibile, fragile e superstiziosa, quindi decise di assecondarla e di trovare un modo per farla rabbonire: la pacatezza e la verità.
“Io voglio aiutarti e ti chiedo scusa, se sono stata la solita stronza apatica, ma credo comunque che la tua ipotesi sia infondata. Tu però devi provare a respirare e a calmarti perché non stai morendo e non morirai.” le disse con tutta la calma che potesse avere.
Non lo permetterei mai” affermò mentre si alzava per abbracciarla.
“Grazie Aris” le rispose sottovoce Nermin facendo sprofondare il viso nell’incavo del suo collo.

Un sogno oscuro che raffigurava la morte, ma di chi?

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Corner of souls
Cari miei, I’m baaaaaack! Ammettete che vi sono mancata susu (?) ahahah, no
Questo capitolo è stato un parto, so che è lungo, ma non mi andava di separare gli “episodi” in un altro, quindi se vi fa cagare vi compatisco(?) uu
Btw credo che qualche anima pia che abbia voglia di leggere ci sia e, di conseguenza, fatemelo sapere con una recensione pleeeaaasee ewe
Un grazie a chi mi sta seguendo, a chi recensisce, a chi mi ha tra gli autori preferiti e a chi semplicemente legge <3
Siamo a 286 per la os She belonged to him as he to her, they together were sparks, they were united by a bond as strong as the sea. bdhfgdhfbvs
Passereste anche da qui per favore? (rassegnatevi perché lo scriverò sempre uu)
We’re gonna build another world together
My mother told me I had a chameleon soul. No moral compass pointing due north, no fixed personality.

Spero di pubblicare il quarto il prima possibile,
Sawadee,
Al.

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Capitolo 5
*** Maybe seen before. ***


Chapter 4.

Un piccolo raggio di sole, infiltratosi tra il tessuto leggero delle tende, si mise a giocare sul suo viso collegando i puntini costituiti dalla sue lentiggini.
Si svegliò alla luce fioca dell’alba, colpa del fuso orario. Sentiva delle note in lontananza, forse anche delle voci.
Si tirò su stiracchiandosi e massaggiandosi il capo, lasciò che uno spiffero di brezza marina, proveniente dalla veranda, le penetrasse nella schiena facendola sentire viva.
Si passò una mano sugli occhi per disnebbiare la vista, dopodiché si guardò intorno notando immediatamente il letto vuoto di fronte al suo; vi giacevano solo le lenzuola scomposte e l’impronta di un corpo che vi si era dovuto coricare sopra la notte prima, come l’orma lasciata da un piede nella sabbia asciutta.
Ariadne si alzò dal letto di scatto e si diresse subito in bagno per controllare le occhiaie; fortunatamente erano poco accennate, ma le detestava comunque, dato già il suo pallore naturale.
Optò quindi per una doccia e di lasciar cullare, per un momento, il suo corpo dallo scorrere dell’acqua, come per purificarlo dalle anime della notte.
Si asciugò, indossò dei pantaloncini di tuta e una larga maglietta e si avviò verso il corridoio raccogliendo gli ondulati capelli corvini in uno chignon disordinato usando il suo lungo dread-lock, che aveva ormai da circa sei anni, come elastico; in questo modo veniva scoperto il collo ornato da un Nape: due palline di metallo lucido che riflettevano tutto quello che accadeva alle spalle e che, di conseguenza, si ignorava. Alla sua mente contorta piaceva considerarle come due occhi dallo sguardo indagatore e minuzioso che fissavano ciò che era oscuro all’animo umano, poiché occultato e dato per scontato per la sua semplicità. Gli occhi della verità.

Più avanzava verso il soggiorno più riconosceva le note di Bohemian Rhapsody dei Queen in sottofondo– la canzone sua e di Nermin-, più le sue narici erano inebriate dal profumo delle frittelle appena preparate e più non riusciva a distinguere le voci accavallate a quelle di Liam e Merope.
Saranno i nuovi coinquilini?

Scese l’ultimo scalino e si sentì improvvisamente tutti gli occhi puntati addosso. Quanti saranno stati, sedici?
Erano presenti ben cinque volti nuovi, i quali la stavano fissando con aria incuriosita. Ariadne si sentì fortemente in imbarazzo, quasi d’intralcio, odiava stare al centro dell’attenzione.
Potevo scendere dalla finestra a questo punto, pensò scocciata.

Erano due ragazze e tre maschi.
Un ragazzo dagli occhi cerulei, dai capelli biondi, ma con qualche traccia di ricrescita più scura, modellati in una cresta rivolta verso l’alto, di alta statura, dalla mascella ben evidente, dal naso lievemente schiacciato, dal fisico leggermente atletico, ma un tantino gracile, era seduto nella poltrona accanto a quella di Liam e sorrideva dolcemente scoprendo i denti bianchi sovrastati dall’apparecchio. Sembrava un angelo e la sua risata era meravigliosa, ti contagiava.
Lui era il famoso Niall, l’irlandese.

Alla sua sinistra, sul divano candido, c’era un altro ragazzo; aveva due smeraldi al posto degli occhi in cui potersi perdere, un fisico pressoché ginnico, dei capelli castani leggermente lunghi che gli avvolgevano il capo in un’intricata rete di ricci scompigliati che gli attribuivano l’apparenza di essersi appena alzato dal letto. Aveva il vezzo di passarsi costantemente una mano tra la folta chioma e quando increspava le labbra in un sorriso a dir poco meraviglioso provocava, a sua volta, le due buffe fossette agli angoli della bocca che gli conferivano un’aria infantile.
Sulle gambe di quest’ultimo sedeva quella che doveva essere la sua compagna: di media statura, magra, ma tonica, con dei capelli lunghi fino alla vita che le ricadevano lisci e biondissimi dietro le spalle, con due squarci di cielo al posto degli occhi e caratterizzata da una ingenua timidezza e da un portamento molto delicato ed elegante; molto tedesca.
I due si presentarono mano nella mano come Harry e Cloe.

Sul tappeto che rivestiva gran parte del pavimento delle stanza, attorniata da numerose valigie, occupava un posto ristretto un’altra coppia, quella di Edith e Louis.
Il giovane presentava un paio di vivaci occhi celesti, dei corti capelli castani sparati in aria, un fisico piuttosto erculeo, una voce dolce e squillante, un’inconfondibile maglietta bianca a righe blu e un sorriso in grado di illuminare il mondo. Era un ragazzo solare, divertente e capace di colorarti la giornata con ogni idiozia che era in grado di combinare; non aveva voglia di crescere ed era questo che lo distingueva.
Lei invece era caratterizzata da un particolare fascino composto da: pelle chiara, efelidi che le ornavano il volto con una miriade di disordinati puntini, occhi color verde primavera, corti e limi capelli rossi e una figura slanciata. La sua pelle era in gran parte contrassegnata da una malattia nota come vitiligine e, per mascherare alcune delle macchie provocate da essa, esibiva sulle mani dei tatuaggi indiani all’henné che le avvolgevano le dita, i palmi e le braccia, estendendosi fino ai gomiti, come seta con delicati motivi floreali.
Ariadne si soffermò al lungo sui tatuaggi della rossa: il suo campo visivo si perdeva nel cercare di capire quale linea si ricollegasse a quale arabesco, o se tantomeno ci fosse un inizio o una fine di quel disegno così astruso. Ne era incantata, li trovava così raffinati.

Tutti i nuovi arrivati la salutarono con gioia, anche se sfiniti dal lungo viaggio, ma la giovane si limitò a biascicare un semplice “Ciao” con la voce ancora impastata dal sonno. Merope la rimproverò con lo sguardo, ma lei era troppo frastornata per poter interagire ed è per questo che, non appena la conversazione riprese escludendola, si fiondò in cucina a prepararsi un piatto di frittelle ai mirtilli e una tazza di caffelatte.
Tornò in salotto con il suo delizioso pasto tra le mani e si sedette sul tappeto accanto a Louis, quel ragazzo le sembrava molto estroverso. Infatti dopo un po’ di tempo, che lo aveva scoperto nel fissarla mentre mangiava, gli disse addentando una frittella: “Se ne vuoi una, basta chiedere. Non c’è bisogno di sbavare sul pavimento.”
L’espressione di lui, a quell’affermazione, pareva sia confusa che divertita, ma la mora sapeva che ne stava morendo dalla voglia e, di conseguenza, continuava a mangiargli in faccia.
Le lanciò una smorfia acida e lei iniziò a sorseggiare tranquillamente la bevanda ancora fumante.
“Tieni, ma lasciamene qualcuna” proferì alla fine porgendogli il piatto.
“Grazie, ma a cosa è dovuta questa improvvisa gentilezza verso uno sconosciuto?” le chiese il ragazzo dalla maglietta a righe sorridendo sghembo.
“Per prima cosa, non voglio sembrare o tantomeno sentirmi un’ingorda e poi mi sembri simpatico.”
“Mmm…Non sono sicuro di poter dire lo stesso” disse beffardo.
“Ritiro tutto allora, ridammi le frittelle!” rispose guardandolo di sottecchi.
“No, sono troppo buone! Chi le ha preparate?”
“Ringrazia la mia amica Nermin. Comunque, io sono Ariadne” aggiunse rivolgendogli uno sguardo perfido.

“Grazie per averci reso partecipi della vostra attiva chiacchierata” li riprese ridendo il riccio.
“Vorresti partecipare ad un discorso incentrato su queste frittelle?” gli rispose la ragazza dagli occhi eterocromi con aria risoluta.
“Io sì, volentieri” aggiunse il ragazzo biondo con aria interessata.
“Niall, tu sei un mangione, non fai testo!” lo biasimò Liam ridendo.
“Heeey, le mie frittelle sono buonissime! Provare per credere” esclamò Nermin catturando su di sé l’attenzione dell’irlandese, il quale scoppiò in un’ incantevole risata, la quale rimbombò come un’eco nella testa della bionda.
“Io confermo” disse Louis raggiante.
“Sicuramente sono molto più interessanti di tutta questa conversazione incentrata sul corso che andremo a fare” si intromise Edith appoggiando la testa sulla spalla del suo compagno.
“Guardate che le frittelle sono il cibo del futuro, hanno un’importanza internazionale” aggiunse ironica la ragazza dai capelli chiari come il sole.
“Ariadne, sappi che è colpa tua se si sono fatti distrarre dal cibo. Sei sempre la solita” la provocò la ragazza dagli occhi da cerbiatto.
“Non è mica un campo militare questo. Inoltre ha ragione Cloe, le frittelle sono il futuro, un giorno conquisteranno il mondo!” le rispose a tono la ragazza dagli occhi eterocromi.
La stanza fu invasa dalle loro fragorose risa.

Dopo aver continuato a parlare a lungo sul corso e sulle eventuali possibilità di svago e dopo aver scortato gli altri nelle loro rispettive stanze, Merope se ne andò lasciando il proprio compagno ad intrattenersi con i suoi amici, ma prima diede anche appuntamento alla ragazza da lunghi capelli corvini presso il loro solito Starbucks per fare una chiacchierata.

Mentre scendeva le scale avviandosi verso la porta, Ariadne sentì delle voci provenire dalla cucina.
“Io voglio vedere Malik” disse Niall speranzoso.
“Anch’io” si unirono in coro gli altri tre ragazzi.
“Certo, ma andate voi a scollarlo da quella specie di sgabuzzino” rispose Liam con aria rassegnata.
“Lo butto fuori a calci in culo piuttosto. Si decidesse.” affermò Harry parlando tra i denti.
“Molto amorevole devo dire. A quel punto ci riserverà la migliore accoglienza del pianeta con un bellissimo ‘vaffanculo’ ” aggiunse Louis sogghignando.
“Correremo il rischio allora” dichiarò il riccio ammiccando.

Chi era questo Malik?

Non disse nulla, ma questa domanda riecheggiava nella sua testa e l’accompagnò anche per tutto il tragitto verso il centro di Patong.
Faceva molto caldo, era umido e nuvoloso, ma non ci si poteva lagnare.
Percorse una semplice strada e si ritrovò immersa nella confusione pomeridiana della città. Motorini, taxi, auto e turisti che tornavano in albergo dopo una lunga giornata di mare.
La giovane si perse nell’osservare il paesaggio completamente diverso da quello che aveva visto l’ultima volta: nuovi edifici sorgevano sulla baia dominando il panorama e velando il bellissimo tramonto all’orizzonte, la strada era diventata a senso unico e anche lo stesso Starbucks, un tempo desolato, pullulava di gente ed era avvolto in una menaide di nuove costruzioni e traffico.
Mentre attraversava sulle strisce pedonali, la mora si accorse anche di una specie di nuova galleria d’arte all’angolo della strada. Le erano sempre piaciute perché tramite queste emergeva il carattere dell’artista in tutti i suoi dipinti e in Thailandia aveva sempre trovato dei quadri meravigliosi, ma questa l’aveva attirata per il disordine che regnava incontrastato e per la bellezza impressionante dei quadri accatastati l’uno sull’altro.
Decise di andare a curiosare, dato che era certa del fatto che Merope sarebbe arrivata in ritardo, come suo solito.
Si avvicinò con passo felpato e con la paura di essere vista, quel posto le comunicava un qualcosa di estremamente riservato ed arcano.
Nell’aria si respirava l’odore della vernice, dei colori.

Solo un artista poteva trascorrerci le giornate.

Osservò le grandi e numerose statue di Buddha, la grande moto nera appoggiata al muro, la frase di Van Gogh incisa sulla porta e le innumerevoli tele impilate.
Ariadne si soffermò a lungo su una che sembrava essere stata scartata, visto il modo in cui era stata gettata sul suolo; essa ritraeva il busto di un uomo con il viso metà umano e metà felino, quello di una tigre precisamente, realizzato con la massima cura e precisione.

Un talento formidabile.

Lei non sarebbe riuscita neanche a tenere un pennello in mano senza imbrattarsi o combinare disastri, infatti prediligeva le matite per disegnare. Ciò che l’aveva turbata era proprio il fatto che tale capolavoro era stato rifiutato come se non avesse avuto il benché minimo valore. Pazzesco.

Chi mai oserebbe farlo? L’arte non va dispersa.

La giovane era fortemente stupita, non se ne capacitava.

Che soggettività singolare.

Era tentata dall’entrare dentro per chiedere spiegazioni, ma sentì un tonfo sordo e dei passi trascinati provenienti dall’interno, sicché decise di allontanarsi in fretta.

Arrivata davanti allo Starbucks, entrò e prese da bere un succo di mela nell’attesa dell’amica.
Si sedette fuori e iniziò a sorseggiare la fresca bevanda, la quale la faceva riprendere un minimo dal caldo incessante. La temperatura era talmente elevata che si poteva vedere l’aria febbricitante, rovente come una piastra accesa, sul manto stradale.
Ci si potrebbero cuocere delle uova al tegamino, pensò Ariadne con la fronte ormai imperlata di sudore.
Non era tranquilla però, si sentiva osservata, come se qualcuno la stesse scrutando.
Si guardò intorno spaesata, ma non notò nulla di strano, solo Merope in lontananza.
Si sentì improvvisamente sollevata nel vederla e spontaneamente increspò le carnose labbra in un sorriso.
Appena arrivò al tavolo, la ragazza dalla pelle ambrata la salutò calorosamente abbracciandola; poi prese posto sulla sedia di fronte all’amica, ordinò un Frappuccino al cioccolato e prese parola con la sua solita parlantina continua.
“Io e te dobbiamo parlare di un po’ di cose, non trovi?” chiese sorseggiando la propria bevanda.
“Già, è da quando sei venuta in Inghilterra che non ci vediamo. Quindi puoi iniziare il tuo interrogatorio, io non oppongo resistenza” ammise la ragazza dagli occhi eterocromi alzando le mani in segno di arresa.
“Bene” disse ridendo la ragazza dagli occhi da cerbiatto. “Allora dimmi, Kilian che fine ha fatto?” continuò curiosa.
“Beh, è andato, non provavo più niente per lui. Non mi ero mai fidata più di tanto, era una specie di passatempo, mettiamola così.”
“Wow.." rimase interdetta. "Glielo hai detto?”
“Certo, lui mi ha dato della stronza egoista apatica, ma sono dettagli. Era solo un coglione, bello, ma coglione” rispose la mora sorridendo beffarda.
“Quindi storia finita.”
“Esatto. Tu piuttosto.. Liam?” domandò maliziosa Ariadne.
“Ehm..”
“Non cambiare discorso e rispondi” la incalzò l’amica.
“Scusa, ma questo non era il mio interrogatorio?” domandò sarcastica. “Comunque, Liam è fantastico, con lui sto benissimo e devo ringraziare te perché l’ho conosciuto quando sono venuta a trovarti”
“Stai scherzando? Questa storia va avanti da molto tempo e io non ne sapevo niente? Brave, continuate a tenermi all’oscuro di tutto” esclamò sbuffando la ragazza con le lentiggini.
“Sai perché non ti diciamo queste cose? Perché sei insensibile e, di conseguenza, non sapresti riconoscere un sentimento dall’altro e a sentire una cosa simile scoppieresti di sicuro a ridere” le rispose a tono l’amica sempre sorridendo, ma guardandola sprezzante, come se fosse un caso irrecuperabile.
“Allora farò un corso e se troverò un ragazzo non ne parlerò con nessuna di voi” ammise incrociando le braccia. “Aspetta che mi immedesimo nell’amica psicologa…Ci sono, cosa provi per Liam?” aggiunse sfoderando un sorriso falso e un' espressione enigmatica.
“Ok, sto al gioco stupida. Beh, è difficile da spiegare, ma so che mi piace davvero”
“La psicologa si scioglie e io dico che se mai ti farà soffrire, beh non la passerà liscia” parlò tra i denti continuando a bere con avidità il succo.
“Va bene, il nostro solito patto insomma”
“Appunto, anche se, per me, il ragazzo è simpatico ed estremamente dolce, la cosa vale lo stesso” ammise scuotendo il capo.
“Accetto le condizioni allora.”
“Brava” sorrise compiaciuta.

Parlarono a lungo del più e del meno, scuola, famiglia e così via, poi Ariadne esordì dicendo: “Cambiando discorso, ho pensato di portare Nermin a Bangla Road domani sera, ci stai?”
“Certamente, adoro quella ragazza! Poi possiamo anche invitare Cloe ed Edith, non mi sembrano cattive” disse Merope raggiante. “Ariadne? Mi senti quando parlo? E’ da quando sono arrivata che ti vedo guardare in giro con aria irrequieta. Si può sapere che succede?” domandò turbata.
Gli occhi eterocromi della ragazza erano angosciati, si sentivano costantemente scrutati da qualcuno in lontananza, ma da chi?
Dopo un attimo di imbarazzante silenzio la ragazza si riprese: “Merope, non lo so. E’ da quando sono arrivata che mi sento osservata, questa sensazione è irritante”
“Non essere paranoica e credimi, non c’è da preoccuparsi” le disse l’amica con aria incoraggiante. “Senti, per domani sera, ci aggiorniamo via telefono. Ora devo scappare, tu intanto torna a casa e rilassati” continuò alzandosi dalla sedia.
“Va bene. Ci sentiamo” rispose l’altra con tono neutro abbassando lo sguardo, iniziando così a studiare le proprie mani dalle dita affusolate.
Si congedarono con un bacio sulla guancia. La ragazza dagli occhi da cerbiatto se ne andò mentre Ariadne rimase ancora un po’ lì seduta a riflettere.
Quell’astrusa sensazione di disagio non passava, era sempre lì, intrisa sulla sua pelle.
Non capiva, odiava essere esaminata come se fosse una cavia da laboratorio.
Iniziò a formulare ipotesi, tra cui la peggiore era quella di essere vittima di stalking, di nuovo, dato che l’ultima volta era accaduto sempre nelle stesse circostanze ed era finita con il suo stalker, Jay, che le puntava una pistola alla testa perchè lei non ricambiava il suo amore.
Ossessione la definivo io.
Aveva tentato a lungo di rimuovere quel periodo buio della sua vita, nel quale aveva anche incominciato a drogarsi per riassaporare la propria indipendenza, dalla propria mente e di riporlo nei meandri oscuri della memoria, ma ogni volta che questo riaffiorava nelle sue reminiscenze, la feriva e, di conseguenza, dimenticare diventava difficile.
Sembrava banale questa sua fobia dell’essere osservata, ma lei ne era traumatizzata, nonostante fosse trascorso un pò di tempo, e non avrebbe mai rinunciato all’essere una donna libera di scegliere, agire e pensare per sottostare agli ordini di uno sconosciuto assillato dalla sua figura.

Decise quindi di alzarsi, non ne poteva più, aveva bisogno di parlare con Nermin.
Mentre percorreva la stessa strada fatta all’andata, continuava a sentire sempre un paio di occhi fissi su di lei e alla fine capì da dove provenisse la fonte: la galleria d’arte dismessa.

Ma che diavolo..?

Si fermò di scatto per cercare di capire chi la stesse guardando da tale struttura, ma fu troppo tardi perché non appena si fu girata verso la finestra aperta sulla strada, vide solo una tigre di spalle, circondata da spirali e ghirigori neri, inscritti su una pelle olivastra, che si muoveva insieme alla spina dorsale ad ogni passo che quella strana figura stava compiendo verso l’interno buio della stanza.

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Zayn l’aveva notata non appena imboccata la via che passava per il suo laboratorio. Come era bella, di una bellezza particolare, sconvolgente; gli occhi eterocromi, le lentiggini, il lungo dread-lock e quella scura cascata di capelli ondulati che le incorniciavano l’ovale perfetto del candido volto caratterizzato da un’espressione enigmatica, dinamica e un po’ sfrontata non passavano inosservati al suo sguardo.
L’aveva sentita mentre sfiorava con le esili mani i suoi dipinti all’esterno, ma l’aveva fatta scappare lui provocando tutto quel frastuono.

Dannato barattolo di vernice, dannato me, si maledisse scompigliandosi i capelli corvini.

Poi d’un tratto, mentre ripercorreva agitato la stanza, misurando con i passi la superficie ed incolpandosi della sua inettitudine nell’intercorrere rapporti umani, si rese conto che quella ragazza aveva un qualcosa di familiare, l’aveva già vista, forse sotto un’altra forma, un ritratto magari.
Così si precipitò a un cavalletto coperto da un telo bianco vicino alla finestra, lo scaraventò sul pavimento e alla vista di quel quadro rimase impietrito: il soggetto rappresentato somigliava in maniera estremamente inverosimile a lei.

Come è potuto succedere? Malik, da quando in qua hai le facoltà di chiromante?

Forse l’aveva vista arrivare?


Corner of souls

BUON NATALE A TUTTI VOI!
Ammettete che mi vi ho fatto un bellissimo regalo aggiornando oggi lol amomi(?)
Questo capitolo fa veramente cagare perché non avevo molta ispirazione, ma c’ho provato ugualmente quindi perdonatemi e criticatemi lo stesso, ne sono consapevole uu in compenso ho aggiunto anche alcuni pensieri dei personaggi e delle ellissi volontarie per lasciarvi fantasticare un pò, tanto tutto verrà spiegato in seguito.
Pooooi volevo dirvi che Bangla Road è una strada di Patong piena di discoteche e bar quindi ogni sera lì si fa party hard uu
Devo ammettere una cosa: io ho un sacco di idee per i prossimi capitoli e per la fine della storia, ma sono nel pallone in questo momento ed è per questo che scrivo da schifo ewe
PERDONATEMI e recensite per favore(?) *si inginocchia*
Btw ora vi lascio le foto dei personaggi, ma comunque immaginateli secondo la vostra fantasia c:

Ariadne
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Nermin
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Merope
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Cloe
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Edith
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Sì, non ci sono i piercing, ma non ce l’ho fatta cwc
A voi le conclusioni uu
Aspettatevi presto una mia nuova one shot uu (?)
Al prossimo capitolo,
Sawadee,
Al.

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Capitolo 6
*** Confused like a ride on a mad carousel. ***


Chapter 5.

Un altro giro!” aveva urlato nella confusione per farsi sentire dal barista della Tiger Discoteque; un’enorme organismo nell’centro di Bangla Road, aperto da trent’anni, caratterizzato da una struttura ambientata nella giungla con tigri giganti che spuntavano da ogni dove in mezzo agli arbusti.
Il ragazzo dall’altra parte del bancone aveva esitato, visti i numerosi bicchieri sparsi sul ripiano e le condizioni della ragazza: non si reggeva in piedi, la camicetta bianca, indossata nei pantaloncini di tessuto jersey a vita alta, era tutta stropicciata e la pura bellezza del suo candido volto iniziava ad essere oscurata da alcune linee di mascara colato dai grandi occhi verdi.
Alla fine decise di concederle quella sorta di pozione inebriante, soprattutto perché infastidito dallo sguardo omicida della giovane. Uno sguardo tagliente: quello di chi non vuole altro.

Nermin rideva mentre buttava giù l’ennesimo bicchiere colmo di alcool.
Da lì in poi, tutto iniziò a girare vorticosamente intorno a lei; si sentiva una trottola.
Un turbinio di colorate luci al neon e fari la circondavano come una galassia di puntini intorno alla sua mente offuscata; le note della musica elettronica e fortemente ritmata le rimbombavano nelle orecchie. Non stava bene, ma si sentiva euforica: si muoveva traballando, faceva delle giravolte e i capelli altalenavano nell’aria.

Dove sono Ariadne e le altre?
Ecco l’unico concetto razionale che riuscì a formulare mentre, incespicando a passi incerti tra le sue Dr. Martens, si dirigeva verso l’uscita.
Si lasciò cadere sul marciapiede guardandosi intorno spaesata. Si buttò la testa tra le mani affondando le dita nei lunghi capelli biondi che le ricadevano scomposti sulle gambe.
Ebbe l’impressione di essere su una giostra impazzita.
Divertente” avrebbe pensato da sobria, ma in quel momento era desiderosa solamente di poter scendere e di correre in un bagno a vomitare anche l’anima.

Sollevò il capo e i suoi occhi ne incrociarono un paio cerulei.
Uno spirito celeste?” pensò sconcertata, poi la vista le si velò di nero.

Si svegliò nel suo letto. Il sole era già alto all’orizzonte e i raggi invadevano la stanza con una calda luce soffusa.
Nermin era sconvolta.
Come diamine ci sono arrivata fin qui? Meditò con gli occhi ancora serrati e un mal di testa spaventoso.
Stringeva le mani nelle lenzuola e pian piano tentava di venir fuori da un calo di pressione che la faceva tremare.
Le palpebre si schiusero e il suo campo visivo, in preda ad un’oscillazione, individuò un’altra figura appoggiata ad una delle sedie intorno al tavolo. Scorse dei capelli biondi e capì subito di chi fossero.
Improvvisamente iniziò ad agitarsi. Non essere stupida Nermin, tu non ti comporti mai cosi. Calmati per l’amor di Dio.

Niall aveva il volto segnato dalla stanchezza e l’aria di uno che aveva passato una notte in bianco.
L’aveva trovata in preda alla sbornia sul quel marciapiede, l’aveva portata a casa e aveva passato l’intera nottata a fissarla e a tenerla d’occhio mentre dormiva.
Come è bella, aveva pensato osservando la sua fisionomia: i lunghi e lisci capelli biondi dalle estremità violacee, il dolce ovale del viso, le labbra carnose, la pelle candida, il piercing al naso, il volto di lupo tatuato tra le scapole, la corporatura esile e slanciata.

Notò i suoi occhi verdi dalle sfumature zafferano emergere dalla nuvola bianca del baldacchino.
“Buongiorno Nermin” le disse sorridendo.
Lei mormorò un semplice “Ciao” imbarazzato per poi sprofondare nuovamente nelle lenzuola.
Scoppiò a ridere.
Quell’armonico suono conquistò la stanza.
La ragazza prese coraggio, odiava essere derisa, anche se la risata di lui era tutt’altro che canzonatoria.
“Allora ieri sera sei stato tu a portarmi qui” gli disse col capo chino. “Perché l’hai fatto?” alzò la testa, il suo tono era lievemente scontroso.

Testa di cazzo, metti da parte l’orgoglio. E’ stato fin troppo gentile, se non era per lui, chissà dove saresti adesso. Si maledisse. Nelle mani di un lurido magnaccia molto probabilmente. Scosse la testa per cacciare via quell’orribile pensiero.

“Beh, eri conciata piuttosto male. Ti ho preso al volo poco prima che sbattessi la testa sul suolo”
“Sono svenuta?” sgranò gli occhi. “Ma come cazzo è successo? Io non ricordo niente!” sbraitò visibilmente scossa.
“La chiamano sbronza” sorrise. “Dopo che ti ho tirato su, hai vomitato un paio di volte, anche durante il ritorno”

Che figura di merda.

“Perdonami. Sono un disastro” mormorò imbarazzata e paonazza in viso. “Ma le altre che fine hanno fatto?”
“Beh..” si mise una mano dietro la nuca. “Anche Ariadne e Merope non stavano proprio benissimo, e Cloe ed Edith non erano da meno. Le hanno recuperate Liam, Harry e Louis sulla spiaggia, mentre ti cercavano” continuò ridendo. “Diciamo che ieri sera vi siete date proprio alla pazza gioia.”
“Immagino” aggiunse la ragazza annuendo.

Non ricordo una minchia, ma okay.

“Ma ora dove sono?” chiese con aria leggermente preoccupata.
Niall la rassicurò: “Stanno dormendo nelle loro stanze, tranne Ariadne che è stravaccata sul divano”
“Sempre la solita” aggiunse la bionda lasciandosi andare ad un’espressione divertita.
“Un momento..” rifletté. “Ma voi perché eravate lì?” domandò curiosa.
“Stavamo facendo una rimpatriata tutti insieme, anche con Malik”
“Malik?”

Che razza di nome è?

“Si, tu e la tua amica non lo avete ancora conosciuto”
“Comunque non so come ringraziarti” riprese la bionda perdendosi nei suoi occhi azzurri per un istante che parve infinito.
“Non devi” le rispose avvampando in viso; abbassò lo sguardo ritrovandosi a fissare due raggi di sole che si rincorrevano come magneti luminosi tra le tende di lino.
La giovane lo trovava così dolce ed impacciato, nessuno si era mai comportato così nei suoi confronti. Era speciale.
Dio come è bello…Frena Nermin! Che cosa pensi?!

Il biondo si alzò, fece per andarsene, ma arrivato alla porta fu destato dalle parole della ragazza dagli occhi verdi: “Niall, grazie, davvero. Senza il tuo aiuto, non ho idea di dove mi sarei potuta trovare in questo momento.” Il suo tono era riconoscente.
“Non ti preoccupare, ora va tutto bene. Per ricompensa, uno di questi giorni , mi preparerai le tue famose frittelle. Hai un anno a disposizione, ci stai?” domandò scherzoso.
“Non perdi ma un’occasione per mangiare, vero?” chiese in tono scherzoso. “Accetto la proposta. A più tardi allora”

L’ho davvero fatto? Che cazzo mi prende?

“Esatto. Ora riposati però. A dopo Nermin” il suo viso fu incorniciato da un meraviglioso sorriso.
Si chiuse la porta alle spalle mentre lei rimase lì, crollata nel materasso, a pensare, nonostante il dolorante cerchio alla testa.
Chissà di cosa profuma? Forse ha un odore buono e fresco come la primavera.

L’aveva incantata e con il suo semplice gesto era diventato un enigma da svelare nella mente di lei.


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Dopo quell’ubriacatura vergognosa aveva messo piede fuori casa solo per andare a fare la spesa e con Nermin al mare, dato che all’inizio del corso mancavano circa cinque giorni.
E, tanto per cambiare, ogni volta che attraversava la strada della galleria d’arte provava sempre quell’insopportabile sensazione.

"Non ce la faccio più" aveva sbuffato irritata; era tanta voglia di sfondare la porta e di spaccare il muso all’essere che vi si celava dietro.

Questi sacchetti pesano un quintale! Dannato Niall e la spesa. Che la andasse a fare lui la prossima volta, imprecava mentalmente cercando di trasportare le numerose buste del supermercato.
Aveva comprato moltissimi prodotti utilizzando il bonus concesso dal signor Payne, ma non credeva di arrivare a tal punto.

Ma dobbiamo sfamare un esercito?

Il tuk-tuk che aveva preso dal Jungceylon l’aveva portata fino al Baan Kalim a causa del traffico; da lì in poi aveva proseguito a piedi trascinandosi in mezzo alla strada attraverso il caldo afoso.

Ma che due coglioni. A quel tizio pesava il culo portarmi a casa? Questa strada è deserta minchia, e di conseguenza io morirò qui in preda ai sacchetti!
Pensava alterata dalla situazione mentre percorreva una via secondaria, quella del laboratorio per giunta.
Ci manca solo che qualcosa mi cada a terra e allora si che rimango qui, da sola e senza uno straccio di aiuto.

Ariadne aveva sempre avuto una “dote”, se così si poteva definire, ovvero il karma che le tornava indietro come uno schiaffo in piena faccia: ciò che non si augurava, di solito, accadeva.
Fu così anche in quel momento.
Una busta piena di fusti di latte si ruppe per il troppo peso in eccesso rovesciandosi sul terreno e lei, facendo affidamento sulla sua goffaggine, per raccogliere il contenuto, fece cadere il sacchetto della frutta e, di conseguenza, mele, mango, papaya e ananas iniziarono a rotolare giù per la strada lievemente in discesa.
La ragazza dagli occhi eterocromi era furente, avrebbe ucciso qualcuno se ne avesse avuto l’occasione. Si guardò intorno per vedere se ci fosse qualche anima e alla fine ruppe il soffocante silenzio urlando un fragoroso “Vaffanculo”, il quale si ripercosse nell’eco degli alberi e della strada deserta.

Mentre tentava di mettere in ordine ciò che rimaneva della spesa, un’ombra fece capolino su di lei oscurandola.
Troppo concentrata a condannarsi per la sua inettitudine, credette che fosse una nuvola di passaggio, ma quando sentì uno strano, familiare, tintinnio, emerse dai suoi pensieri e alzò la testa.
Si trovò davanti due grandi occhi da cerbiatto, nei quali due luminose pupille navigavano in una distesa color cioccolato dalle gradazioni verdastre che cambiavano in base al tempo.
Dei folti capelli corvini, leggermente scompigliati, modellati in una lieve onda sinuosa rivolta verso l’alto, gli adornavano il capo. Il viso era incorniciato da una mascella possente ed illuminato da un meraviglioso sorriso, in quel momento, increspato sulle labbra sottili.
Sulla pelle ambrata risaltavano numerosi tatuaggi e la sua figura era slanciata e piuttosto erculea.
Bellissimo” c’era da pensare, non una parola di più e non una di meno.
La ragazza dalle lentiggini si abbandonò, forse per qualche secondo di troppo, nell’osservarlo attentamente; come se le sue iridi volessero immagazzinare indelebilmente le immagini di cotanta bellezza.
Lui se ne accorse e sorrise ancor di più.

Brava Ariadne, sei una emerita cogliona. Incontri un ragazzo del genere e tu che fai? L’imbecille, mi pare ovvio. Sei anche madida di sudore per colpa di questo caldo del cazzo e immersa in una strage di cibo… Peggio di così

Cercò di riprendersi dalle sue snervanti riflessioni e da quella visione celestiale provando a focalizzare lo sguardo su ciò che l’individuo di fronte a lei teneva in mano.

Lo riconobbe subito.
Quel lungo ciondolo in cuoio, con al centro una targhetta in avorio contrassegnata da un’incisione più scura che riportava una frase fortunata in thailandese, era inconfondibile.
L’aveva ricevuta sia lei che Merope da un monaco buddista al termine di un viaggio spirituale che avevano deciso di intraprendere l’anno in cui aveva iniziato la sua progressiva conversione al buddismo, anche se non era mai stata cattolica per scelta dei genitori, i quali ritenevano giusto far decidere autonomamente alla figlia la propria fede.
Da quel giorno lo aveva portato sempre con sé; era un simbolo ed era importante, non per superstizione, ma per amicizia e spiritualità.

Ma come ha fatto a finire tra le sue mani? Rifletté sgranando gli occhi per lo stupore.
Deve essere caduto dalla borsa aperta. Si buttò una mano sulla fronte crucciata.

Il ragazzo notò la sua espressione sconcertata ed esordì dicendo: “L’ho trovato mentre attraversavo la strada e ho pensato che fosse tuo, dato che non c’era nessun’altro in giro. Poi diciamocelo, questo ciondolo buddista non passa inosservato”
Sorrise di nuovo ammiccando.

Ora mi sciolgo. Ti prego smettila o non mi alzo più, parlò mentalmente cercando di inquadrare qualcosa che non fosse lui.
Un momento.. Cosa? In pochissimi sanno di quel monile.

Per la seconda volta non le diede tempo di rispondere che, colto il suo sguardo meravigliato, affermò: “Ce l’ho anch’io”
Mostrò con un rapido gesto della mano destra il pendaglio, in pietra scura con incisa una frase bianca, appeso al collo.

Che fai? Mi leggi nel pensiero?

Ariadne era confusa.
Lo fece avvicinare, prese tra le mani la medaglietta e iniziò a far scorrere le dita affusolate sulla scrittura in rilievo per constatarne l'autenticità. Era vera solo se incomprensibile.
I loro volti erano vicini. Sentivano l’uno il profumo e il respiro dell’altra. I loro occhi si rincorrevano come calamite.

“Okay, è veritiera. Grazie per avermi riportato il mio” dichiarò grata la giovane distogliendo lo sguardo.
“Di nulla. Vuoi una mano con le buste?” chiese gentilmente.
“Si vede che sono in difficoltà eh? Non rispondere e aiutami per favore”
“Certamente” rise.

La sua risata, cristo. Un’armonia singolare che le risuonava nella mente.

L' inesplicabile ragazzo si caricò in spalla la maggior parte dei sacchetti rimasti e insieme si avviarono verso casa iniziando a parlare.

Ariadne aveva capito che era lui l’artefice di quei quadri, di quel dipinto e di quella sensazione, la quale non era più ostile, bensì insolita e soddisfacente.
Era così dannatamente bello e peculiare che ne era troppo intrigata per lanciarlo andare così.
Però non voleva tartassarlo di domande: aveva intenzione di conoscerlo a fondo, pian piano.

Zayn si sentiva strano; era la prima volta che usciva dal suo laboratorio a quell’ora. L’aveva fatto solo per lei.
Non riusciva a capire, ma era fortemente attratto, indubbiamente.
L’aveva vista da vicino ed era meravigliosa. L’aveva vista abbozzare un sorriso.
La trovava cosi singolare, in tutto.
La sua psiche doveva essere un mondo totalmente inesplorato e lui non si sarebbe fermato.

Arrivarono davanti alle mura che circondavano il grande complesso abitativo dopo circa quindici minuti.
“E’ qui, giusto?” chiese il ragazzo, al quale parve di aver già visto tale struttura.
“Esatto” rispose lei. “Dovrei ringraziare questo mio sconosciuto accompagnatore, non trovi?” domandò schietta.
“Mi sembra giusto. Comunque io sono Zayn”

Zayn. Finalmente so il tuo nome.

“Ariadne” aggiunse schiudendo le carnose labbra in un sorriso. “Beh Zayn, grazie mille. Come posso ricambiare?”
“Io voglio rivederti” dichiarò in tono neutro sottolineando particolarmente il tempo verbale.

Ti piace azzardare eh? Anche a me.

“Neanche il condizionale. E’ forse un ordine?” domandò ironica.
Le piaceva sottolineare la propria indipendenza tenendolo sulle spine.
“Credo proprio di sì” disse sorridendo sghembo.
Il ragazzo dagli occhi da cerbiatto si passò sfacciatamente una mano tra i capelli.

Ammetti pure che mi vuoi morta, pensò in preda alle conseguenze di quel gesto.

“Guarda che lo stesso avrei preteso io”
Le parole di Ariadne restarono tra loro due, sospese nell’aria.

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Corner of souls.

Felice anno nuovo e possa la fortuna essere sempre in vostro favore.
Salve bella gente, yo (?) e sì, amo The Hunger Games uu
Ed ecco a voi le due coppie fhjghf Io le adoro, cioè amole(?)
Alura, che ne pensate?
Sinceramente, posso dire che questo scritto mi piaciucchia, però voi dovete dirmelo con le recensioni uu
Dimenticavo, il Jungceylon è un enorme centro commerciale di Patong e Baan Kalim è una zona del vasto lungomare c:
Nel prossimo ci saranno cose mooolto interessanti(?) lol
Pooooi passereste anche da queste due mie os per favore? Sono una su Bieber e una su Zayn
She belonged to him as he to her, they together were sparks, they were united by a bond as strong as the sea.
Maybe you’re the therapy for my illness: you’ll be the rhythm and I’ll be the beat.

Non mi abbandonate(?)
Al prossimo capitolo
Sawadee
Al.

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Capitolo 7
*** Underwater... After this wave I'll be fine again? ***


Chapter 6.

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“Buongiorno ragazzi” esordì cordiale l’uomo sulla cinquantina dagli occhi grigi, dalla folta capigliatura sale e pepe e dalla massiccia corporatura.
“Io sono il professore Alec Foster e seguirò i ragazzi del corso di giornalismo. L’altra mia collega qui presente è la professoressa Aileen Mason e si occuperà invece della sezione che riguarda la medicina” aggiunse indicando la donna alla propria sinistra di mezz’età con profondi occhi color miele, lisci capelli castani raccolti in una lunga treccia, fisico asciutto e minuto e con un espressione allegra dipinta sul volto marcato dalle rughe.
“Bene, il professore mi ha già presentato, quindi passiamo ai fatti. Sapete già cosa andremo a fare, di conseguenza, non perdiamo tempo e mettiamoci all’opera. E ricordate che l’impatto di questa catastrofe è stato enorme e sconvolgente, ed è proprio questo che vogliamo far emergere dal nostro progetto” prese voce con tono raggiante.

I suoi occhi eterocromi si guardavano intorno disorientati, mentre quelle parole riecheggiavano nell’enorme spazio dell’auditorium dell’International School di Phuket Town. Avvolto nel bianco, con pavimentazione in gres porcellanato, candide pareti decorate da numerosi quadri della tradizione thailandese, sedie in legno, un proiettore appeso al soffitto, un piccolo palco con cattedra e schermo gigante alle spalle, era in quel momento affollato da circa trentasei teste.
Gli altri ragazzi erano arrivati e ormai la palazzina a Patong spopolava per il rumore e le persone.
E ora si ritrovavano tutti lì, in preda all’agitazione di affrontare quella nuova esperienza.
“Speriamo bene” bisbigliò la ragazza a Nermin.
“Davvero. Ma siamo qui per questo, no?” le chiese sicura la bionda in un soffio di voce.
“Giusto”
Annuì piano.

“Allora iniziamo subito con la divisione nei due gruppi predestinati e poi verremo trasportati nel luogo preciso in cui opereremo”
“Gruppo medicina” disse la signora Mason estraendo un foglio dalla tasca sinistra del camice; iniziò a leggere una serie di nomi e tra questi c’erano anche quelli di Merope Khan, Cleo Gray, Harry Styles e Louis Tomlinson.
“Bene, ora che siete stati tutti chiamati, possiamo andare verso l’uscita, dove un pullman ci attende. A dopo Foster” salutò con un semplice gesto della mano e si avviò verso la porta seguita dai giovani.
“Ehm, Ehm..” il professore si schiarì la voce per interrompere quel brusio sommesso. “Veniamo a noi, il gruppo giornalismo..” disse portando gli spessi occhiali in direzione di un altro bigliettino spiegazzato.
A quel punto, anche Ariadne Shaw, Nermin Smith, Edith Morgan, Liam Payne e Niall Horan vennero nominati.
Si diressero così verso la scura vettura in attesa all’esterno e partirono verso le coste dell’isola maggiormente colpite dallo tsunami del dicembre 2004.

“Non mangiare anche lei, con gli occhi si intende” disse il ragazzo dagli occhi scuri rimbeccando scherzosamente il biondo.
“Io? Cosa?” Niall emerse dai suoi pensieri ridendo. “Ahh…” capì immediatamente a chi si stesse riferendo. Negò.
“Non fare il finto tonto che hai capito benissimo. Sto parlando di Nermin. La guardi in continuazione e con me ne parli sempre. Si vede lontano un miglio che ti piace”
“Pff.. Non è vero!” si smentì non appena avvampò in viso.
“Allora perché stai arrossendo eh? Ci conosciamo da una vita, puoi dirmi tutto diamine” gli disse guardandolo di sottecchi.
“Sì Liam, è solo che con lei non so come fare, è così diversa. Capisci?”
“Okay, ma vuoi rimanere qui con le mani in mano? Ti prego, datti una mossa”
“Ci provo, va bene? Anche se non so se ricambia o meno, ci provo”
“Bravo irlandese” lo incoraggiò.
Risero richiamando l’attenzione della bionda poco distante da loro, la quale si girò osservandoli interrogativa.

Riconoscerei quella fragorosa risata tra mille, pensò portandosi una ciocca aurea dietro l’orecchio destro.

“Hey Nerms, smettila di perderti negli occhi azzurri del bel biondo e muovi quelle lunghe gambe che ti ritrovi verso il sedile” la incitò la ragazza dai mossi capelli corvini scuotendola.
“Aris, ma cosa stai dicendo?” ribatté con voce stridula.
“Spero che tu stia scherzando” le rispose acida. “Puoi nasconderlo a tutti tranne a me, sappilo” aggiunse con aria decisa.
“Intendi Niall? E’ carino, tutto qui”
Incrociò le braccia.

No, non lo è, è bellissimo okay?

“Solo carino?” sgranò gli occhi incredula. “Non prendermi in giro, mi hai ammorbato con la storia della discoteca!”
“Va bene, hai ragione, mi attrae” confermò increspando le carnose labbra in un sorriso.
“Oh brava, era questo che volevo sentirmi dire! Ora andiamo” asserì radiosa prendendola, a passo svelto sottobraccio e trascinandola verso gli ultimi due posti liberi rimasti.

Dopo un viaggio di circa venticinque minuti si ritrovarono a Nai Harn Beach, un’area poco distante dalla zona di Karon.
Essa era una spiaggia meravigliosa, lunghissima, affollata dai turisti, compresa tra due scogliere e con una laguna di acqua dolce con sbocco sul mare cristallino.
Ariadne ogni volta che andava lì ripensava alla fortuna che lei e la sua famiglia avevano avuto quel dannato ventisei dicembre, quando avevano deciso, all’ultimo minuto, di andare a Surin, evitando quindi la tragedia.
Se non avessimo cambiato idea, a quest’ora saremmo morti, pensò con gli occhi che le bruciavano.
Era forte. Non avrebbe ceduto all’ondata di quei ricordi devastanti.

Occhi sbarrati, bocca serrata e polmoni che cercavano di respirare l’ultimo briciolo di ossigeno concesso.
Tutto era così terribilmente silenzioso ed ovattato intorno a lei; sentiva solo il battito frenetico del suo cuore e il rumore delle piccole bolle d’aria fuoriuscenti dalle narici.
I lunghi capelli fluttuavo, sotto di lei c’erano le macerie di una barriera corallina quasi completamente distrutta, mentre al di sopra si poteva intravedere un raggio di sole, che in quel momento era soltato d’ostacolo.
Ogni speranza, ogni certezza stava svanendo insieme all’effetto catastrofico del flutto, il quale si era infranto sulla riva con una scarica di dolore.
L’aria iniziava a mancarle sempre di più.
L’onda mi ha travolta, mi ha trascinato negli abissi. Non rivedrò mai più i miei genitori. Sto morendo, pensò terrorizzata la bambina dagli occhi eterocromi priva della consapevolezza della morte.
Avrebbe voluto piangere, ma era sott’acqua e non riusciva a tornare in superficie.
Improvvisamente sentì la forza devastante dell’acqua invaderle la cassa toracica. Stava affogando e in quel momento l’unica cosa che l’accompagnava nell’oscurità era quel singolo fascio luminoso che si infiltrava giocosamente tra i fori degli ultimi coralli rimasti.


Emerse dalla sua memoria e respirò profondamente continuando a muoversi con passo sinuoso tra le radici degli alberi di banano che emergevano dal terreno.

“Vi chiederete il motivo della nostra presenza qui. Ve lo spiego io. Ragazzi miei questa è una delle spiagge che è stata quasi completamente rasa al suolo dallo tsunami. Qui i morti sono stati parecchi e i lavori di ricostruzione hanno ricoperto pressoché l’intera superficie” disse il professor Foster indicando con le braccia il paesaggio circostante.
“Può sembrarvi una domanda strana o anche stupida, ma ho bisogno di sapere se qualcuno era qui, in Thailandia, quel giorno. Mi serve per capire da che punto dobbiamo iniziare. Quindi, qualcuno di voi c’era?”
Nermin diede una gomitata all’amica, la quale però rifiutava categoricamente di mostrarsi, solo che la bionda l’aveva colpita in piena pancia facendola gemere.
“Che succede là in fondo?” chiese l’uomo alzando un sopracciglio.
“Niente, mi scusi” replicò Ariadne tossendo.
“Signorina Shaw, ha qualcosa da dire?”
“No” rispose abbassando il capo.
A quell’affermazione ricevette un’occhiata di fuoco da parte della bionda.
Sbuffò scocciata, non voleva passare per vittima.
“Non c’è nessuno allora? Bene. Tornando a noi, il vostro compito è quello di raccogliere informazioni intervistando i vari individui presenti in questa zona, siano essi del luogo o meno. Chiedete cosa è successo, se sono tornati in vacanza dopo l’accaduto e cosa è cambiato rispetto a prima. Dovete raccontare accuratamente i fatti ed esprimere le diverse e contrastanti emozioni. Il lavoro può essere svolto in coppia e deve essere consegnato entro stasera con una stesura di almeno otto pagine. Prima della pausa pranzo avete quattro ore per orientarvi e fare le dovute domande, poi torneremo all’International School dove potrete iniziare a scrivere. Capito tutto?”
Silenzio.
“Beh, chi tace acconsente. Buon lavoro ragazzi” salutò con un cenno del capo per poi dirigersi verso il lago situato nelle vicinanze.
Tutti annuirono e iniziarono a mettersi all’opera, chi da solo o in coppia.
Liam era con Edith, la mora per conto suo, mentre la ragazza dagli occhi verdi dalle nuance giallognole era indecisa.
Il ragazzo dai profondi occhi cerulei le si avvicinò intimidito.
“Ciao Nermin”
Sorrise.
“Salve a te, Niall. Dimmi tutto”

Non ci ripensare, prendi in mano la situazione e chiediglielo cazzo!

“Ti andrebbe di lavorare insieme?” domandò portandosi timidamente una mano dietro la nuca; sentiva il sangue ribollirgli nelle guance.
“Certamente, non sapevo proprio che fare” rispose riconoscente.
“Allora cominciamo”
“Andiamo”

Le quattro ore passarono in fretta, intervistarono molta gente e alla fine avevano tutto il materiale necessario per l’articolo. Non restava altro che scrivere.
Tornarono a Phuket e subito iniziarono la stesura.
Misero insieme tutti gli elementi organizzandoli con linguaggio appropriato ed immagini accurate.
Dallo scritto emergevano il dolore, l’ansia e tutta la sfera emotiva che ruotava intorno alla paura.
Lo tsunami ha portato a tutto questo? Ecco perché Ariadne non riesce a parlarne facilmente, pensò la bionda sentendosi una stupida per ciò che aveva fatto. Stava pian piano entrando in quell’ottica del terrore e ciò la sconvolgeva.
Non ci si abitua mai a tale idea anche se si cerca di dimenticare.

“Sai Horan, è bello lavorare con te” gli disse a lavoro ultimato.
“Posso dire lo stesso. E’ davvero venuto bene” rispose radioso i viso.
“Infatti siamo stati bravi”
Sorrise.
“Torniamo a casa insieme?”
“Sì, anche perché non mi so ancora orientare bene” ammise ridacchiando.
Il giovane si alzò dalla sedia ed improvvisamente l’abbracciò. Nermin ricambiò il gesto e si sentì avvolta da un calore umano incredibilmente piacevole; tra le sue braccia si sentiva bene, al sicuro, come se il suo castello di esitazioni fosse crollato.
Come se il posto tra quelle braccia forti fosse solo adatto a lei.

Dio, se mi piaci Niall, ma non so quanto tempo ci impiegherò per fartelo capire.

……………………………………………………………………………………………………………………………………………………….

Ormai il corso era iniziato da quasi tre settimane e tutto procedeva per il meglio.
Viaggiavano da una popolazione all’altra raccogliendo le notizie necessarie, il gruppo si era consolidato ed erano quasi tutti amici, ad eccezione per gli asociali di turno.
Nel frattempo Zayn ed Ariadne si erano incontrati un paio di volte; avevano passato molti pomeriggi seduti sulle scale del suo laboratorio a parlare. Ora si conoscevano.
Erano stati due libri aperti, l’uno agli occhi dell’altra.

“Quindi tu sei qui per un corso universitario della durata di un anno”
“Esatto, mentre tu passi ore chiuso qua dentro a dipingere, senza aver ancora allestito una galleria”
Lui scosse la testa in assenso.
“Allora sappi che quei tempi sono finiti” disse schiudendo le labbra in un sorriso.

Non aspettavo altro.

“Non ti dà mai fastidio questo odore costante di pittura?” gli chiese con la visuale rivolta verso l’ultimo raggio di sole che si nascondeva dietro i grattacieli di Patong.
“No, lo adoro. Mi riesco ad esprimere solo con la vernice. E’ come se prendesse vita nelle mie mani, solo che io non sono quasi mai soddisfatto del risultato” rispose con espressione delusa.
“Sei un idiota. Lasciatelo dire” lo rimbeccò dandogli un buffetto su una spalla. “Te lo giuro, i tuoi quadri sono meravigliosi e capisco il tuo sconforto perché anche io faccio così con i miei scritti. Passo giornate intere a deridermi perché non me ne va mai bene una. Però tu riesci ad esprimerti anche a parole, fidati”
“Solo con te però” ammise incatenandola con lo sguardo.

Ce l’hai per vizio eh? Sto parlando proprio dei tuoi attentati alla mia salute, se è questo che ti stai chiedendo.
Ti avrei già baciato, ma non voglio fare passi falsi o affrettati. Sei libero di pensare che io sia all’antica, se vuoi.


Ariadne era blandita, non se lo aspettava.
Per quanto si sforzasse di reggere quel contatto visivo sentiva il rossore pronto a colpirle le gote mostrando il suo imbarazzo, quindi abbassò il capo mettendosi a giocare con i lunghi capelli.
Sentì i suoi occhi, quel giorno scuri, fissi su di lei e l’impercettibile suono del suo lieve sogghigno.
Si tirò su facendo comparire un inibito sorriso sul viso.

Eviti il discorso? Non riuscirò mai ad entrarti nella testa, sei così complicata. Non mi arrendo però, sappilo.

“Ti andrebbe di uscire uno di questi giorni?”
Prese l’iniziativa.
“Nel senso.. E’ da quasi tre settimane che ci vediamo qui, facciamo parte dell’ambiente. Poi Patong è bella e un giro si può sempre fare” disse sghemba.
“Uscire eh? Ci sto, però organizzo tutto io. Domani, qui, al solito orario”
“Ma mi parli sempre tramite ordini?”
Rise.
“Non ammetto obiezioni”
“Okay, okay. Ora vado. A domani Zayn”
Lo abbracciò più del dovuto, poi lui la fermò per un polso, l’attirò a sé e le schioccò un bacio sulla guancia assaporando per la prima volta la sua dolce e candida pelle.

“Dove stai andando eh?” domandò Harry dalla cucina fermandola prima che aprisse la porta.
“I cazzi tuoi?” chiese astiosa.
“Oh, si tratta di un ragazzo! In effetti stai uscendo tutti i giorni” rispose con sguardo malizioso.
“E io ribadisco il concetto.. I cazzi tuoi?” disse sarcastica.
“Dimmi chi è, daaai”
“Ma non ci penso neanche! Nemmeno Nermin lo sa”
“Tu non me la racconti giusta” aggiunse guardandola di sottecchi.
“Hey Styles, tu pensa a scoparti la bella bionda che io mi faccio i fatti miei. Senza offesa per Cloe eh?” disse beffarda chiudendosi la porta alle spalle senza aspettare la risposta, la quale, molto probabilmente consisteva in un ‘vaffanculo Shaw’ seguito da una risata.
Con il riccio aveva instaurato questo rapporto giocoso e canzonatorio: si prendevano in giro e si comportavano come bambini, ma alla fine stavano iniziando a volersi bene.

Uscì di casa maledicendosi per aver indossato le Dr. Martens bordeaux , ma nel caos della valigia non aveva trovato nient’altro e di conseguenza le aveva semplicemente abbinate con un paio di shorts di jeans, una maglietta bianca con le maniche corte coperte da borchie dorate all’altezza delle spalle e una serie di anelli alle dita della mano sinistra.
Faceva troppo caldo, anche per respirare; infatti non si era neanche truccata, e aveva lasciato la folta chioma ribelle sciolta dietro le spalle portando con sé un semplice elastico nero.
Era in ritardo.
Prese l’iPod dalla borsa in pelle a tracolla e controllò l’orario.
Merda. Le 16.50, tra dieci minuti devo essere lì.

Iniziò a correre per la discesa spostandosi con una mano i capelli dal viso.
Arrivò in tempo, lo vide appoggiato allo stipite della porta di legno intento a guardarsi intorno; appena fu entrata nel suo campo visivo schiuse le labbra sottili in un radioso sorriso.
Indossava un paio di pantaloni grigi a cavallo basso, una t-shirt bianca con al collo il famoso ciondolo in evidenza, una leggera giacca di jeans e delle Nike blazer grigie a piedi.

Calma Ariadne. E’ bellissimo, come sempre, ma ricordati di respirare e di non rovinare tutto.

“Ciao” lo salutò con un cenno della mano sostenendosi su un piede solo.
“Salve a te” le andò incontro abbracciandola. Adorava quel contatto fisico con lei.

Dio, come amo i tuoi abbracci, pensò avvolta nella sua dolce morsa.

“Ti avviso che dobbiamo camminare” le disse staccandosi.
“Ehm.. Va bene?”
Rise.
“Ho parcheggiato la moto vicino Bangla perché stamattina c’era un traffico allucinante. Quindi arriviamo lì e poi partiamo”
La ragazza annuì incamminandosi al suo fianco.

Arrivarono nella via delle discoteche dopo una ventina di minuti. Quello che vi trovarono fu sorprendente: avevano già bloccato la strada al traffico con le transenne, ma ciò che in realtà colpiva era la moltitudine di persone disposte in varie file e le casse audio sparse sui marciapiedi.
“Un flashmob” mormorò Ariadne verso Zayn.
“Un che? Ah.. Non avevo sentito”
“Conviene sbrigarci o rimaniamo intrappolati qua dentro”
Gli prese la mano e iniziò a trascinarlo tra la folla in delirio, la quale aveva iniziato a ballare sulle note di una canzone molto ritmata.

Sembrava che le loro mani fossero fatte per essere unite.

“Non mi lascio condurre” le sibilò in un orecchio cingendole i fianchi.

Dopo vari spintoni e passi incerti si ritrovarono all’estremità opposta della strada davanti ad un’enorme moto nera.
“Andiamo?” le domandò sventolandole in faccia un mazzo di chiavi.
“Con quell’affare?”
“Sì, non avrai mica paura?”
“No, ti pare? Pff…” disse ironica. “Ho subito in piccolo trauma , tutto qui”
“Sarebbe?”
“Da bambina sono caduta da un golf kart e mi sono quasi spaccata la testa. Da lì in poi ho sempre avuto il timore dei veicoli, diciamo, senza portiere”
“Sul serio? Come si fa a cadere da un golf kart?” chiese soffocando un sogghigno.
“Ridi, ridi. Beh, quando si è in sei, mentre i posti previsti sono quattro è piuttosto inevitabile che qualcuno si faccia male”
“In effetti”
“Si, non sono molto sana di mente insomma”

Ed è proprio questo ciò che mi piace di te. Sei così dannatamente singolare.

Ridacchiarono.
“Dai, sali. Vado piano” le assicurò.
“Okay, ma sappi che se ti ritrovi qualche costola rotta non è colpa mia. A me la velocità piace e poi non ho detto di non voler correre il rischio”
Sorrise, le porse il casco e montarono in sella.
“Ti avvinghi proprio come un koala” le disse ammiccando.
“Non farti strane idee e pensa a guidare”

Sento il tuo profumo inebriarmi le narici, meditò con il capo appoggiato sulla schiena di lui.

Dopo essere usciti dal caotico traffico di Patong, percorsero per dieci minuti la strada in salita di Chao Fa Road East tra le verdi colline Nakkerd.
Ariadne si guardava intorno cercando di capire dove fossero diretti, ma quando, alla fine, scorse la cima dell’altura non ebbe più dubbi.

Il Big Buddha.

Esso era uno dei monumenti più importanti e venerati dell’isola, situato sulla cima delle colline comprese tra Chalong e Kata.
Il sito offriva una vista meravigliosa che dominava il paesaggio sottostante.
Si elevava per quasi 45 metri, era facilmente visibile da lontano e con l’intero corpo stratificato in marmo bianco dei birmani che brillava al sole rendendolo un simbolo naturale di speranza.
Su ogni candido laterizio che componeva il suo volto c’era un desiderio scritto da qualcuno nell’auspicio che si avverasse al più presto.
Molte persone vi giungevano per fare fotografie, donare soldi per la manutenzione e scrivere messaggi.

Nell'eventualità di un nuovo tsunami ci si deve rifugiare sulla collina ai suoi piedi.

“Arrivati” disse raggiante Zayn dopo aver spento il motore slacciandole il casco.
Stranamente il grande spazio era desolato, a eccezione di alcuni funzionari e qualche monaco buddista a pregare in lontananza.
“Tieni” le porse una bottiglia di Jasmine Ice Tea ancora gelata, il suo preferito.
“Grazie” rispose sorpresa.
La prese per mano conducendola verso una piccola scalinata al di sotto del Buddha.
“Ci sei mai stata prima?” le domandò curioso.
“Qualche volta sì. Di solito faccio qua le fotografie quando voglio stare da sola. Tu?”
“Vengo qui a pensare alle volte. Trovo uno punto vuoto e mi fermo per un attimo”
“Io adoro questo posto” disse la ragazza dalle lentiggini con le pupille perse nel panorama: il tramonto era vicino; l’ultimo fascio di luce si affrettava ad illuminare, per l’ultima volta della giornata, la superficie lattea dell’enorme statua, la quale dominava con la sua pacata saggezza e spiritualità l’intera baia sottostante immersa nel verde e nell’azzurro. Il cielo era un quadro di sfumature che correvano dall’arancione al rosa e al porpora; il sole iniziava pian piano a lambire l’invisibile linea d’orizzonte del mare per poi svanire, lasciando che il suo vuoto di luce venisse colmato dalla luna e dalle stelle.
“Venivo qui anche per rifugiarmi” aggiunse alzandosi e dirigendosi verso il monumento.
“In che senso?”
La seguì.
“Sentivo come se il Buddha mi proteggesse e mi ascoltasse. E’ il simbolo della speranza, anche se io non so più se crederci o meno”
Sfiorò con le dita affusolate la superficie rivestita di scritte. “Sai che è anche questo il posto in cui rifugiarsi in caso di un altro tsunami?”
“Sì, ti va di parlarne?” un’espressione lievemente preoccupata gli si dipinse sul viso marcato dalle mascelle possenti. Glielo aveva accennato precedentemente, ma non si era mai dilungata più di tanto.

Evidentemente sente un peso enorme.

“Certo. Stranamente con te mi riesce facile”

Non so perché mi fai questo effetto.

Sorrise impercettibilmente.
Annegò quindi nei ricordi raccontandogli la storia: la fortuna che la sua famiglia aveva avuto, l’onda che l’aveva portata via e come l’aveva salvata un pescatore.
Il giovane non sapeva come rispondere a quella confessione.
“Solo che non sono ancora convinta di averla superata totalmente. So che sono stata risparmiata dalla morte per un motivo a me ignoto. Sai quante persone innocenti sono decedute o ancora disperse? Perché io?” terminò leggermente scossa ed affranta.
“Tu non hai colpa” la rinfrancò avvicinandosi.

Il tuo essere anche se forte, nasconde un’ambigua fragilità.
Per me sei come una calamita.


“Grazie” sibilò in un soffio di voce sprofondando con il viso diafano nell’incavo del suo collo.
Rimasero per un tempo indefinito seduti ai piedi della mastodontica statua a contemplare la bellezza del crepuscolo e il suono del silenzio.

La riaccompagnò a casa verso sera.
Una volta arrivati all’iniziò del vialetto il ragazzo si fermò; scesero dalla vettura e Ariadne si parò davanti al giovane dalla pelle ambrata per ringraziarlo.
“Sono stata davvero bene”
“Anche io”
Si morse un labbro.

Ti prego no, non farlo o mi butto su di te.
Sei bello, forse troppo per me.


“Sai che voglio di più vero?”
Ammiccò.
“Quanto sarai sfacciato?”
Iniziò a ridere passandogli una mano tra i folti capelli corvini scompigliati dal vento. Lui si accodò a lei seguendo quell’armonica melodia.
Le risate cessarono per un istante ed iniziarono a guardarsi acutamente negli occhi.
Le pupille di lei correvano lungo tutti i lineamenti del suo viso: dalle folte ciglia alla punta del naso, dalle guance alle labbra.
Lui si smarrì nelle fattezze di lei come se avesse perso il conto delle innumerevoli lentiggini che le ornavano il volto. Si soffermò sulle iridi eterocrome, come per riuscire a cogliere ogni sua emozione, e sulla bocca carnosa.
Unì una mano con la sua.
Improvvisamente i loro volti iniziarono ad avvicinarsi pericolosamente finché le distanze non furono azzerate completamente e le loro labbra si sfiorarono per la prima volta.

Combaciavano perfettamente.

Zayn la strinse a sé circondandola, mentre lei si portò avanti allacciando le braccia al collo di lui e intrecciando le sottili dita tra la chioma scura.
Gli occhi erano tornati al loro magnetico contatto visivo.
Quel bacio sarebbe diventato più intenso, come imprigionato nel momento, se non fosse stato per un tonfo sordo proveniente dall’interno della casa.
Ariadne pian piano si staccò mordendogli il labbro inferiore.
“Beh, questa è la continuazione di ieri” gli disse con un pizzico di scaltrezza nella voce passandosi indice e medio sulle labbra. “Non c’è fretta”

Se scopro che è stato Harry a combinare questo casino, lo castro.
Complimenti all’autocontrollo di sto cazzo,
pensò scocciata.

“Ti tengo sulle spine, non sarà facile”
“E chi vuole che lo sia? Non ci sarebbe gusto” le disse beffardo.
“Contento ora?” dichiarò sorridente mentre si allontanava da lui.
Zayn non disse nulla.

Sappiamo entrambi cosa vogliamo.

Corner of souls.

Odiatemi pure, siete liberi di farlo ewe
Questo capitolo mi fa davvero pena, ma sono dettagli perché tanto le decisione spetta a voi, quindi RECENSITE (?) lol
Io sono team ‘Zariadne’ voi? Ahahah
Nel prossimo ci saranno tante novità uu
Grazie a chi legge e recensisce.
Spero di aggiornare il prima possibile anche se con la scuola sarà più difficile e la mancanza di tempo si farà sentire. Perdonatemi in anticipo, avviserò quando pubblicherò (?)
Sawadee
Al.

Ps. non badate agli errori di battitura perchè non ho avuto tempo di ricontrollare.
Btw ecco a voi un’immagine del Big Buddha c:
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Capitolo 8
*** Your lips are like fire on my skin. ***


Chapter 7.

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Nonostante quel mezzo bacio, non erano andati molto oltre, ma continuavano a passare del tempo insieme, quando era possibile, e lui non perdeva occasione per farle perdere la ragione.
Erano quasi passati due mesi, e questi ultimi erano stati parecchio intensi. Infatti i due gruppi del corso avevano iniziato a spostarsi da una parte all’altra della Thailandia stando via anche per diversi giorni per dare forma a questo importante progetto. Di conseguenza, Ariadne non aveva visto Zayn per molto tempo.
“Stasera ti porto a conoscere i miei amici” le aveva detto il ragazzo in quel tardo pomeriggio assolato prima che si congedassero.
“I tuoi amici?” aveva ribattuto lei scettica.
“Esatto. E’ venerdì sera, non penserai mica di restare chiusa in casa a studiare?” la provocò lui.
“Pff..No. E’ solo che.. Lascia stare. Dove andiamo?”
“A una specie di ritrovo in una casa 'abbandonata'.
“Mi prendi in giro? Io inizio seriamente a pensare che tu faccia parte di qualche strana setta.”
Lui rise e quel suono conquistò la stanza. Erano soli nella palazzina abitata dagli studenti.
“No, nulla del genere. E’ un festino o come piace chiamarlo a voi occidentali. Ci sarà da divertirsi” rispose in tono malizioso.
“Okay, okay” acconsentì Ariadne sbuffando.
“Ti passo a prendere io verso mezzanotte.”
“Allora a più tardi mio signore” concluse lei facendo ironicamente un inchino.
“Non fare la stupida.”
Le si avvicinò per schioccarle un bacio a fior di labbra, ma lei girò il capo facendolo scontrare con la sua guancia pallida.
Ariadne, si può sapere che cazzo fai?
Lui fece spallucce e sogghignando si girò e si avviò verso l’ingresso; istintivamente Ariadne gli corse dietro, lo fermò e lo baciò. E con un bacio serio questa volta.
Zayn le cinse i fianchi e la bloccò con le spalle contro la porta, le distanze tra i due si azzerarono totalmente plasmando un bacio passionale che li fece avvinghiare l’uno all’altra in una morsa così tremendamente piacevole da mozzare il fiato. Con le lunghe dita sottili, Ariadne iniziò a giocare con la chioma corvina di lui e questo gesto sembrò farlo impazzire: la circondò completamente con le braccia attirandola ancor di più a sé. La sua bocca fremeva su quella di lei. Sembrava famelico, la voleva unicamente sua.
Il loro bacio esplose così in una scintilla di carezze, lingue che si rincorrevano, respiri e morsi.
La labbra di Zayn erano morbide sopra quelle di lei. Lui sapeva di pittura, di acqua di colonia, di menta e di notte. Un qualcosa di fresco e di nascosto, come una folata d’aria piacevolmente fredda che ti investe in pieno dando sollievo al tuo corpo e alla tua mente, in quanto liberati dal caldo afoso. Però non sai da dove né sia partita e né se sia giunta fino a te per restare. Questo era stato lui per lei e anche per il ragazzo non era molto diverso; Ariadne era stata un totale cambiamento nella sua vita, l’aveva spinto ad essere diverso, ad essere vero.

La ragazza pian piano si staccò pizzicando dolcemente con i denti il labbro inferiore di Zayn. “Felice adesso? Non c’è bisogno di mettere il broncio, se vuoi un bacio.”
Sono ben disposta a dartene altri mille.
Lui la guardò con un’espressione che dall’essere torva diventò curiosa finendo con una scrollata di spalle.
“Quello non era un broncio, però credo che dovrò iniziare ad atteggiarmi a mo’ di ragazzo bello e tenebroso più spesso.”
“Non fare l’idiota” disse lei ridendo e spingendolo oltre l’uscio. Ci vediamo stasera” disse sfiorandogli le labbra un’ultima volta.

A lungo era rimasta ferma davanti all’immane caos del suo armadio nell’indecisione più totale. Aveva ribellato mezzo mondo per capire cosa mettersi e alla fine, grazie a Nermin che le aveva imprecato contro, aveva optato per un paio di jeans chiari a vita alta con dei lievi risvolti in basso che lasciavano intravedere le ceree caviglie sottili, delle creepers nere e una camicetta bianca vintage senza maniche con al collo il suo immancabile ciondolo buddista. Con il suo lungo dread-lock, aveva raccolto i lunghi riccioli corvini in uno chignon disordinato e si era truccata con del mascara che faceva sembrare le sue ciglia ancor più scure, lunghe e fitte in modo tale da far risaltare quel mosaico cromatico che erano i suoi occhi. Ed infine aveva dipinto le labbra di bordeaux con un rossetto.

Nermin la guardava divertita seduta sul baldacchino con le lunghe gambe incrociate in una posizione degna di una contorsionista.
“Per chi ti sei addobbata?”
“Per ‘sto grandissimo cazzo!” rispose Ariadne sorridendole beffarda dallo specchio mentre si ornava i lobi delle orecchie con due grandi perle. Erano un regalo di sua madre e non c’era stata occasione in cui non le avesse indossate.
“Bonjour finesse.”
“Simpatica sei. Ad ogni modo per nessuno. Stasera esco con Merope, andiamo in giro per locali. E non si sa mai, magari incontro qualcuno di interessante…”

“Ma fammi il piacere. Riesci a mentire a tutti, tranne che a me. Allora dimmi come si chiama questo qualcuno” ribatté la bionda con un sorriso scaltro sul bel volto.
“Ok, hai vinto. Ma non ti dirò nulla per principio.”
La bionda sbuffò.
“Se poi ti ferirà, sentiti in colpa perché non me ne hai voluto parlare e, di conseguenza, io non potrò picchiare nessuno.”
Ariadne rise. “Dopo Kilian, penso di riuscire a cavarmela anche da sola. A proposito di questioni di cuore.. Tu e lo scaricatore di porto irlandese eh?”
Le guance di Nermin si colorarono di un rosso intenso. “Intendi Niall?”
“Ehm…Sì?! Sai, quando le persone mangiano così tanto e non ingrassano e per di più ti rubano la colazione ogni santa mattina è un po’ inevitabile chiamarle così.”
La bionda esplose in una fragorosa risata. “Beh, è bello, è dolce e mi ha anche riportato a casa dopo quella sera da tasso alcolico piuttosto elevato. Mi piace senza ombra di dubbio, ma tu mi conosci meglio di chiunque altro e sai, dunque, quanto io abbia difficoltà nel mostrare ciò che provo. Lui non si merita questo.”
“E questo cosa vorrebbe dire? Mollare? No, mia cara. Non ci siamo capite proprio per nulla. Ora tu alzi quel tuo culo, esci da questa stanza, lo trovi e gli chiedi di uscire. Chiaro?” sbraitò la mora puntando i piedi sul pavimento.
“A dir la verità, mi ha praticamente imposto di uscire con lui oggi. Quindi non c’è motivo di sgolarsi così, mia cara Aris.”
Allora non è l’unico a parlare sotto forma di ordini.
“Ah, bene. Sei pronta Nerms? Non è per dire, ma è quasi mezzanotte e qui dentro ci siamo praticamente solo io e te. Se poi lui ti vuole portare a vedere l’alba su qualche montagna sperduta, tanto meglio.”
L’altra ragazza stava per ribattere, ma in quel momento il telefono di Ariadne squillò vibrando sul comodino accanto al letto. Le due si guardarono negli occhi e poi si scatenò una sorta di gara a chi riusciva a prenderlo per prima. La bionda batté l’altra per poco colpendola in pieno stomaco con un cuscino. La mora cadde senza fiato sul letto mentre Nermin si portò l’oggetto elettronico ad un orecchio ghignando trionfante.
“Pronto?”
“Sono Zayn, c’è Ariadne?” gracchiava una metallica voce maschile dall’altra parte.
“Al momento la tua ragazza sta cercando di riprendere fiato dopo una cuscinata, dato che si ostina a nascondere la verità alla sua migliore amica. Quindi io faccio da segretaria, dimmi pure.”
“Brutta puttana, ridammi quel cazzo di telefono!” urlò Ariadne tirandosi su e aggiustandosi la camicetta che era fuoriuscita dai pantaloni.
Per tutta risposta ricevette dalla bionda una bella linguaccia e a quel punto lei le alzò contro un dito medio con aria risoluta.
Il ragazzo rise dall’altro capo dell’ apparecchio telefonico. “Ehm…Va bene. Dato che state avendo uno scontro pressoché impegnativo, puoi dirle che sono qui sotto che l’aspetto?”
“Stai con un camionista, lo sai questo vero? Comunque, sarà fatto. Ciao Zayn e mi raccomando riportamela a casa viva e vegeta o ti torcio tutti i capelli e ti appendo pure ad un palo della luce. Così ti illuminerai d’immenso.”
Nermin riattaccò e lanciò il telefono alla mora che la stava guardando con occhi furenti.
“Vaffanculo Smith” sibilò Ariadne tra i denti.
“Un giorno mi ringrazierai” fece spallucce la bionda “Voi giovani di oggi, siete così complicati.”
“Fottiti.”
“Beh, ora vai, fiorellino mio.
“Chiamami di nuovo così e vedi che ti combino” le lanciò dei vestiti “Ora preparati e raggiungi Niall, però cerca di non farti mangiare.”
Detto questo Ariadne si avviò vero la porta beccandosi a sua volta un dito medio alzato e una smorfia malevola. Schioccò un sarcastico bacio volante a Nermin e uscì. Si volevano bene in uno strano modo tutto loro.

Nel vialetto che conduceva alla palazzina, appoggiato ad una colonna, c’era Zayn in tutta la sua bellezza notturna: era un progressione di nero con indosso una sorta di canotta scura, piuttosto larga, con dei lievi disegni bianchi che spiccavano sul tessuto, dalla quale emergevano a tratti gli innumerevoli tatuaggi che gli decoravano la pelle ambrata, dei jeans stretti che mettevano in evidenza le sue lunghe gambe magre con ai piedi un paio di anfibi. Tutto questo nero faceva brillare nella notte i suoi occhi marroni-verdastri insieme alla ciocca bionda che gli ornava quel ciuffo di capelli rivolto verso l’alto che poi lasciava il posto ai folti capelli corvini.
Il cuore di Ariadne iniziò velocemente ad aumentare i battiti, i quali rimbombavano sonoramente all’interno della cassa toracica.
Dio mio, quanto sei bello. Non puoi minacciare la mia salute fisica in questo modo, lo sai vero? Lasciami almeno questa, dato che quella mentale l’hai già mandata a puttane la prima volta che ti ho visto.

“Ciao” il ragazzo la raggiunse e le fece scivolare un leggero bacio sulle labbra. “Non voglio rovinarti il rossetto.”
Oh, di me puoi fare quello che vuoi. Tanto sono tua oramai.
“Tranquillo, per la fine della serata sarà già bel che andato”
Zayn si morse il labbro inferiore.
Se vuoi, possiamo incominciare anche adesso.” Cristo Ariadne, sembri assatanata! E ringrazia che lui non sia in grado di leggerti nel pensiero, sempre che non abbia già imparato ad entrarti nella testa.
“Allora, se questi sono i presupposti, questa conclusione sarà molto interessante, ma saresti bellissima comunque.”
A quella frase la ragazza si sentì invadere le guance dal rossore dell’imbarazzo e pregò che quest’ultimo non prendesse le forme di due fanali, data la sua pelle diafana; per fortuna c’era il buio intorno a loro, eccezion fatta per i lampioni lungo il muretto in pietra lì vicino.
“Bene. Dato che sei praticamente muta, iniziamo ad andare o io non avrò il mio ambito dessert stasera” riprese lui ridacchiando.
Detto questo Ariadne scattò: gli si avvicinò e gli arruffò i capelli. Sapeva benissimo che quello era un gesto che lo irritava. “Ti stanno meglio così, babe” aggiunse marcando con acidità l'ultima parola.
Lui rimase impassibile limitandosi a scrutarla divertito da dietro i suoi occhi da cerbiatto.
“Se lo dici tu.”
“Oh, ma vaffanculo” disse la mora allacciandogli le braccia al collo e spingendo il proprio corpo contro quello di lui. “Davvero, ti stanno meglio così. O almeno io li preferisco così. Come quando sei immerso nel dipingere qualcosa e non ti importa di quello che succede intorno a te o dell’ aspetto che tu possa avere. Quando inizi a gettare per terra tutto quelloche ti capita davanti nel momento in cui non sei soddisfatto del tuo lavoro, quando ti passi svogliatamente una mano tra i capelli tirandone le punte o fumi avidamente una sigaretta perché sei indeciso o pensieroso, e perfino quando ti addormenti con una mano appoggiata sul cavalletto, sei bello lo stesso.”
Zayn era stupito. “Sei la prima che mi dice questo” affermò con voce rauca.
Dio, quanto mi piaci. Mi fai perdere il controllo, pensò il ragazzo.
“Questo perché mi piaci e perché passo il mio tempo ad osservarti quando sono da te, nel laboratorio, e tu stai dando forma a qualcosa su una tela. Non c’è una tua azione che io non conosca.”
Ma queste rivelazioni così spontanee? Ma ti sei fumata il cervello? Hai perso la testa, definitivamente e soprattutto per lui.
Lui mostrò un meraviglioso sorriso e poi aggiunse beffardo senza allentare la presa delle mani intorno alla vita della ragazza: “Se allora conosci tutte le mie mosse, secondo te cosa sto per fare adesso?”
“Suppongo che tu mi stia per baciare. E se non vuoi, sappi che anche io ho tale iniziativa, tranquillo.”
Si lasciarono così trasportare in un bacio dolce e senza tempo, diverso da quello ardente e voglioso che c’era stato nel pomeriggio. Le loro labbra si muovevano secondo un ritmo lento e regolare e Ariadne sentiva il cuore di lui battere freneticamente sotto il suo.
“Allora sei proprio un genio” disse Zayn staccandosi e avviandosi verso la moto. “Inoltre, se lo davi per scontato, mi piaci anche tu. Forse anche troppo” decretò con una sonora risata mentre si dirigeva verso la moto lasciandosi una Ariadne sconvolta dietro le spalle.
Cerca di non perdere l’equilibrio. Inspira. Espira. Inspira. Espira.
OOOOKAY, questo non l’avevamo previsto.
Ma ti rendi conto del fatto che lui ti abbia appena detto una cosa simile?!
Terra chiama Ariadne!
Cristo, che qualcuno fermi queste dannate farfalle.



Dopo circa venti minuti di viaggio, tra stradine tortuose, alberi di banano e traffico giunsero in quella famosa “casa abbandonata”.
Era praticamente un edificio a due piani totalmente bianco, ad eccezione per la copertura in mattonelle marroni e rosse scuro che plasmavano il tradizionale tetto orientale rivolto verso l’alto, con finestre e porte di vetro azzurro che si aprivano su un enorme solarium, con tanto di amache e poltrone e divani sparsi qua e là, che dava una vista meravigliosa sulla baia di Patong. Era un trionfo di luci. Inoltre all’interno del perimetro tracciato dagli alti muri in pietra grigia c’era un vasto giardino con l’erba tagliata all’inglese e una grande piscina di forma circolare rivestita da piastrelle nere, che la facevano sembrare un pozzo senza fondo, con intorno sedie sdraio, lettini e ombrelloni di fattura moderna.
“Ehm…Questa mi sembra tutto, tranne che una casa abbandonata” affermò Ariadne mentre iniziavano a salire lungo i numerosi gradini che portavano all’ingresso.
“Ecco, ho enfatizzato un po’. Nel senso che questa era la vecchia casa di mio padre che ora ha ceduto a me, dal momento che è tornato a Londra da mia madre. La usiamo spesso per fare feste simili. Volevo fare il vago, dato che sembra che io viva rintanato nel mio laboratorio.”
Sorrise.
“Alla faccia dell’umile dimora!”
“Allora benvenuta a casa Malik!”
Un momento, io quel cognome l’ho già sentito. Ma dove e quando?
Zayn intrecciò la sua mano con quella della ragazza e insieme si avviarono verso la massiccia porta di legno scuro, la quale era spalancata facendo fuoriuscire le note di una melodia molto cadenzata e il bagliore delle luci provenienti da dentro l’alloggio.
Piombarono nel bel mezzo dei festeggiamenti: la luminosità era praticamente assente e data da piccole lampadine bianche, le quali giacevano agli angoli della stanza e correvano lungo le pareti creando strani intrecci. Era quasi impossibile capire quali fossero le altre stanze sulle quali si affacciava quello che sembrava un salotto. C’era anche una lunga scala a chiocciola di vetro che portava al secondo piano e un’ampia vetrata che dava sul terrazzo. L’ambiente non smentiva l’aspetto esterno dell’abitazione, dato che era anch’essa totalmente bianca, anche per quanto riguardava il pavimento di legno, ma cosparsa di colorati quadri stravaganti, mobili e tappeti neri. Tutto era giocato sul contrasto.
C’era un numero indefinito di persone che si dimenavano secondo il ritmo della musica. Era come entrare in una bolla di fumo di tabacco e marijuana. Questi erano gli odori, che mescolati insieme a quelli dell’alcool e della brezza notturna, investirono i due giovani non appena ebbero messo piede all’interno.
“Ecco spiegato il motivo della presenza dei tuoi quadri appesi al muro e l’idea del chiaroscuro per l’arredamento. Sei un tipo eclettico, sai?”
“Non ti piace?”
“No, è solo che...boh, di certo non me l’ero immaginata così. E’ bella e strana e in effetti ti rispecchia parecchio.”
“Grazie allora. Vieni, adesso ti presento gli altri.”
Dopo essersi fermati svariate volte ai cori concitati del tipo “Hey Malik!”, Ariadne aveva riconosciuto e, di conseguenza, salutato diversi ragazzi che seguivano il corso di giornalismo e di medicina sullo tsunami. Ciò la lasciò un po’ spaesata, ma lo shock finale si presentò sotto le fattezze di una folta chioma riccia castana, di un paio d’occhi verdissimi e di un sorriso smagliante accompagnato da due fossette agli angoli della bocca carnosa. Harry.
Che cazzo ci fa Harry qui?
Ora ricordo, quel Malik di cui stavano parlando era Zayn. Mio Dio, tutta la banda: Harry, Liam, Niall e Louis sono i suoi migliori amici. Che bisogno c’era di tenermi all’oscuro di tutto?
Un Harry non proprio sobrio, dato il rossore della sclera che metteva in rilievo il verde chiaro dell’iride, dal sorridere passò al pieno sbigottimento e Ariadne non poté negare con certezza che la sua faccia non avesse assunto la medesima espressione.
Zayn però non sembrò averci fatto caso e disse raggiante: “Hey Harry! Questa è Ariadne”.
“Shaw” il riccio tese la mano.
“Styles” rispose seria alla stretta sforzandosi di non scoppiare a ridere.
“Un momento, voi due vi conoscete?” esordì il moro sgranando gli occhi.
“Ehm…sì e non conosce solo me.”
“Confermo. Sai Zayn, il corso che sto frequentando lo faccio con tutti loro, solo che c’è chi è nella sezione medica e chi in quella giornalistica. E lo scassapalle qui presente ha la camera davanti alla mia e da circa un mese e mezzo a questa parte è diventato praticamente il mio migliore amico ” decretò la ragazza sorridendo ad Harry, il quale si stava godendo la scena con un adorabile ghigno dipinto sul viso florido.
“Al quale però non racconti nulla del tuo nuovo moroso perché, a quanto vedo, Malik, tu l’hai già conosciuta la Shaw e forse anche più del dovuto” ribatté a tono il riccio lanciando un rapido sguardo alle dita intrecciate dei due.
“No, sai faceva la barbona qua fuori e le ho chiesto gentilmente se voleva entrare. Ma ti pare?!” commentò sarcastico Zayn.
“A questo punto, dato che non voglio essere pestato a sangue, torno in terrazza che c’è Jordan che sta rollando una canna gigantesca e non me la voglio perdere. Se poi vi va di unirvi a noi, siete i benvenuti.”
“Ah, Ariadne, è giusto che tu sappia che Nermin si è imboscata con Horan da qualche parte circa un’ora e mezzo fa. E a proposito, Zayn, se fossi in te non controllerei in camera tua, sempre che tu non l’abbia già prenotata per stasera” aggiunse malizioso per poi sfilarsi da una tasca dei jeans un preservativo avvolto in una bustina viola e lanciarlo al moro, il quale lo prese al volo per poi depositarlo con nonchalance in una ciotola già zeppa di profilattici appoggiata su un tavolino lì vicino.
Viva le precauzioni! A questa festa non ci si fa mancare nulla eh?
“Ma quello è tipo il cimelio che conservi ogni volta dopo esserti sbattuto Cleo?” domandò acida la mora.
Harry non rispose, bensì si limitò a farle un occhiolino per poi girarsi e tornare verso il solarium.
“Quando è fatto, è incontenibile” aggiunse Zayn ridendo “Ma questo non spiega il motico per cui tu non mi abbia detto niente di tutto ciò.”
“Alle donne è sempre concesso mantenere una sorta di alone di mistero” disse per tuta risposta con fare risoluto “e poi la colpa, se così vogliamo definirla, è duplice. Cinquanta e cinquanta, dato che, mio caro Malik, i membri dell’allegra combriccola formata da Horan, Styles, Tomlinson e Payne è quella dei tuoi migliori amici e tu me ne hai mai parlato.”
“Scusa tanto se ti volevo tutta per me” si discolpò come un bambino.
“E non fare gli occhioni da cucciolo, che non cedo.”
O forse sì, se non lo fanno prima le mie ginocchia.
“Ne sei davvero così sicura?” domandò con voce tagliente indagandola con lo sguardo per poi cingerla con le braccia ed iniziarle a tracciare una sensuale scia di baci lungo il collo candido.
Ad Ariadne parve di essere come creta tra le sue mani, avrebbe potuto farle ciò che voleva e lei non avrebbe mosso un dito per fermarlo. Si sentì sussultare quando le labbra calde di lui le toccarono la pelle fresca, era un contatto terribilmente gradevole, ma non poteva dargliela vinta in quel modo. Non perché le importasse della gente intorno a lei, ma perché non voleva fargli sembrare le cose troppo facili per quel che sembrava possibile secondo la sua determinazione, resa precaria proprio da lui.
Nel mentre Zayn era risalito dall’incavo del collo fino alla guancia per poi scendere ulteriormente verso la bocca. A quel punto la ragazza accantonò in un angolo quel senso di piacere, si aggrappò al collo di lui e si allungò con le proprie labbra fino a quelle di lui per poi sfiorarle e morderle.
“Assolutamente sì.”
Zayn era un misto di divertimento e stupore. I suoi occhi color cioccolato la guardavano bramosi.
“E non mi guardare così perché, per quanto io ti voglia rendere difficile avermi, spesso tu sei più forte della mia volontà di non cedere. Mi rendi così debole che non riesco ad oppormi. Capisci il mio problema? E poi non mi vuoi rovinare il rossetto, giusto? Anche se è quello a lunga durata non importa, perché ora vado a fumarmi una canna e poi ne riparliamo”.
L’idea di avere nuovamente a che fare con le droghe non l’allettava, forse perché associava il tutto ad un periodo burrascoso della sua vita, ma ne era fortemente attratta.
Nel terrazzo si era formato un cerchio dove vi erano seduti praticamente tutti: Louis, Edith. Liam, Cleo, Harry e anche Merope, la quale le corse in contro stringendola tra le braccia, non appena l’ebbe vista. Ariadne ricordava che quando la sua amica fumava, la parlantina diventava più irrefrenabile del solito con costanti e bizzarre domande sul luogo in cui ci si trovava al momento. Le risate erano garantite.
E dopo aver salutato il gruppo, si sedette sul ciottolato ritrovandosi improvvisamente accanto uno Zayn sorridente. La cosa strana era che lui li conosceva già, ma loro due non si erano incontrati come era successo con gli altri. Merope lo aveva incontrato addirittura prima dell’inizio del corso, appena Liam era andato in Thailandia con suo padre l’anno precedente.
Che roba assurda.
“Quindi tu e una delle mie migliori amiche vi siete già conosciuti eh?” esordì la mora radiosa in viso. “Ariadne cara, perché non me l’hai detto?”
“Beh, perché ero convinta che nessuno sapesse della sua esistenza. Strane coincidenze insomma” rispose l’altra facendo spallucce.
“Quando sarò pienamente cosciente mi racconterai tutto. E quanto a te, signorino…uomo avvisato, mezzo salvato.”
I due in questione scoppiarono a ridere e Merope si accasciò per terra per poi iniziare a blaterare frasi, all’apparenza senza senso, in un thailandese che neanche l’amica conosceva.
In seguito, Ariadne notò la “canna gigante” a cui Harry aveva accennato prima. Facevano a turni per fumare. Era davvero enorme e lei non riusciva a distinguere quante cartine lunghe avessero usato per darle forma.
Quella cosa è un lenzuolo!
Tutto sommato voleva farsene una da sola, come a vecchi tempi. Quindi urlò a Louis di passarle l’occorrente e si mise all’opera: modellò il filtro, preparò la mista di tabacco e erba e poi iniziò a rollare il tutto unendo due cartine.
Voglio andare in botta pesantemente.
E proprio quando stava per chiuderla con la saliva, Zayn le si avvicinò dicendo: “Ce la fai?”
“Tu non sai tutto di me” rispose la mora chiudendo la canna perfettamente. “E ora passami l’accendino per favore.”
“E questo cosa significa? Hai un passato da drogata per caso?”
“Ci sono cose che scoprirai solo in seguito. E poi anche io non so tutto di te o sbaglio?” lo sollecitò Ariadne accendendo quell’involucro che prometteva tranquillità.
“Giusto. Però poi mi lasci fare qualche tiro?”
“Ehm…no?! L’ho fatta io e la fumo io, punto. Se ne vuoi una, ha delle belle manine d’artista per fartela benissimo da solo.”
Detto questo si estraniò da tutto ciò che la circondava e si concentrò sull’aspirare dedicandosi anche al suo viaggio mentale in cui tutto ciò che le arrecava angoscia spariva nel nulla come in una candida nuvola. Dimenticò Kilian, tutto ciò che più odiava e perfino la sua stessa storia da sopravvissuta allo tsunami che non le dava pace durante la quotidianità.
Lasciò che quell’odore inconfondibile le si insidiasse nella testa offuscandole la mente e la facesse vivere in un sogno dove l’umanità era bella, colorata, priva di dolore. Tutto era ovattato intorno a lei. Riuscì addirittura a smettere di pensare.
Si sentiva leggera, quasi fluttuante. Non sentiva più il suo corpo e infatti alzarsi fu un’impresa, dato che le gambe era come non averle. Quando fu in piedi iniziò a barcollare; sarebbe quasi caduta, se non fosse stato per Louis che la prese al volo.
Poi perse il controllo e iniziò fumare, ad aspirare ininterrottamente. Sembrava una ciminiera mentre tutto quel fumo le attraversava i polmoni per poi risalire dalle narici da cui era a sua volta entrato precedentemente.
La realtà divenne ancora più smorzata e confusa ai suoi occhi. Non capiva più niente. Si sentiva gli occhi gonfi e pesanti e aveva una voglia matta di ridere. Aveva perso la cognizione del tempo e non riusciva a comprendere se i minuti che stavano scorrendo ininterrottamente fossero ore o giorni.
Ad un certo punto si ritrovò per terra, sdraiata sulla schiena, a guardare le stelle insieme a Louis. Sghignazzavano per qualsiasi cosa, quasi non riuscivano più a respirare. Ebbero pure una conversazione stravagante sulla somiglianza tra stelle e persone. Erano talmente rincoglioniti che ne trovarono due a cui assegnarono i loro nomi.
Poi arrivò il momento peggiore: la necessità di bere assolutamente qualcosa e la fame chimica.
Ariadne aveva la bocca totalmente impastata e quel minimo di saliva che le era rimasto era bianco come la schiuma del mare, tanto era alto il livello di THC nelle sue membra. Si fece forza e si spinse a tentoni oltre il salotto cercando la cucina. Il ritmo rapido della musica le scorreva nelle vene e tutti i suoi sensi erano amplificati. Si sentiva un tutt’uno con l’intero universo, immersa in un bellissimo trip che voleva fare da sola.
Alla fine trovò la zona culinaria della casa: si aggrappò a una bottiglia d’acqua gelata e cominciò a mangiare tutto quello che le capitava sotto gli occhi. Dopo aver concluso la sua abbuffata ingerendo le peggiori pietanze esistenti, si sentì meglio. Poi notò in piedi, davanti allo stipite della porta una figura alta e snella con dei lunghi capelli biondo grano dalle sfumature violacee sul fondo, inconfondibili. Nermin la stava fissando sogghignando divertita.
“Dio mio, Aris. Ma quanto hai fumato?” domandò la ragazza avvicinandosi all’amica per scostarle gentilmente dalla fronte un ricciolo bruno che era sfuggito allo chignon.
“Tanto, troppo. Ho perso il conto delle canne dopo che avevo in mano la quarta” confessò la mora ridendo.
“Alla faccia, ti sei data proprio alla pazza gioia!”
Nermin si unì alla risata.
“Ma sei venuta qui con Zayn?” aggiunse in seguito.
“Sì. Ma tu lo conosci?”
“E già, però sotto il nome di Malik. Potevi dirmelo prima che stavi con un ragazzo così bello. Cristo, l’hai guardato bene?”
“Se l’ho guardato bene? Scherzi?! Ma se lo contemplo da quando l’ho visto per la prima volta!”
Infatti era come sei i suoi occhi avessero un insaziabile desiderio di bere e che quest’ultimo venisse placato solo quando il suo sguardo veniva colmato da tutta la bellezza di quel ragazzo, in ogni suo minimo particolare.
“Invece te con Horan? Non è che per via della fame chimica hai rischiato di essere vittima di un assalto cannibale, vero?”
“Ma non dire stronzate! Mi ha portato a fare un giro ed è stato bellissimo. Poi ti racconto” rispose felice la bionda.
“Grandioso Nerms. Sono felicissima per te" disse radiosa. "Senti, ma hai visto gli altri? Io li ho persi completamente di vista. Avevo troppa fame e troppa sete per pensare anche a loro.”
“Sono talmente in botta che se qualcuno domani mattina si sveglia con la testa incastrata in un cespuglio è già tanto.”
Ariadne ridacchiò.
“Te come stai piuttosto?”
“Io? Da Dio. Mai stata meglio. Mi sembra di vivere in preda al delirio, è fantastico. Infatti parleremo domani di tutto quello che è accaduto stasera perchè ora non sono nelle condizioni più adatte. Ma sai che io Tomlinson abbiamo dato i nostri nomi a due stelle? Dio, dovresti vedere come cazzo ci somigliano.”
“Cosa?!” sbottò stridula Nermin “Siete proprio fumati.”
“Davvero” aggiunse la mora “Io ora vado a cercare Zayn. Ci vediamo domani Nerms”
Detto ciò si congedò e si buttò nel caos del soggiorno alla ricerca del moro. Non lo trovava da nessuna parte. Poi qualcuno le cinse i fianchi sussurrandole suadente all’orecchio: “Ma si può sapere dove ti eri cacciata?”
Zayn la guardò increspando le labbra in un sorriso luminoso.
“Ora vieni. Sono quasi le cinque del mattino, è ora di andare a dormire.”
Le schioccò un bacio sulla testa con fare affettuoso e poi la trascinò su per la scala a chiocciola. Percorsero un lungo corridoio dalle pareti bianche, arricchite da numerosi quadri, per poi entrare in quella che sembrava una camera da letto. Ariadne non si guardò neanche intorno, si fiondò sul letto e, non appena sfiorò il materasso morbido, crollò lasciandosi cullare dalle braccia di Morfeo attraverso i sogni più stralunati.


Corner of souls.
CHIEDO UMILMENTE VENIA!
Sono una merda perché non aggiorno da 368 giorni. Non ci sono scuse per discolparmi, quindi siete liberi di insultarmi e di farmi sapere cosa pensate di questo scempio tramite una recensione.
Ho lavorato tre giorni su questo dannato capitolo e ancora non ne sono pienamente soddisfatta. Ad ogni modo le cose si stanno facendo più interessanti e “focose”, non trovate? Ahahah
Chiedo ancora perdono.
Proverò ad aggiornare presto e in caso contrario potete anche uccidermi a sassate.
Sawasdee
Al.

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