Θάλασσα di _Lakshmi_ (/viewuser.php?uid=69307)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tempesta ***
Capitolo 2: *** Bassa marea ***
Capitolo 3: *** Onda ***
Capitolo 4: *** Alta marea ***
Capitolo 5: *** Tranquillità ***
Capitolo 6: *** Tsunami ***
Capitolo 7: *** Ghiaccio ***
Capitolo 8: *** Abisso ***
Capitolo 9: *** Fondo del Mare ***
Capitolo 1 *** Tempesta ***
Thàlassa
Θάλασσα
Primo
Capitolo:
Θύελλα
Il
sangue iniziò a scorrere copioso, riversandosi sul terreno, il quale ben presto
si lordò di cremisi. Più di trecento uomini disarmati e privi di corazza
vennero trapassati da una miriade di frecce, i loro crani fracassati da
acuminate mazze, i loro corpi smembrati dai carri da guerra.
Il
cielo limpido era coperto da una spessa coltre di fumo proveniente da un vasto
incendio, che stava soffocando il campo dove avveniva la strage.
Davanti
a quello sterminio, su alte mura, si trovavano tre figure: una giovane donna di
all’incirca vent’anni, svestita e colma di gravi ferite, e due uomini più
anziani.
Uno
di questi aveva un ampio sorriso e rideva sguaiatamente, mentre calciava la
fanciulla in pieno stomaco e la chiamava in diversi modi volgari o denigrava
l’onore dei soldati che stavano venendo massacrati. L’altro invece era più
serio e osservava la scena con rammarico, senza però proferire parola.
<<
Hai visto Thàlassa? Visto com’è potente la tua falange? Visto?>> rise il
primo, costringendola ad alzare il capo, prendendola per i lunghi capelli
castani << Tu non farai la stessa fine. Sarebbe un onore per te fare una
simile fine. Sarai esiliata da questa terra, da tutte le terre sotto il mio
controllo, morendo divorata dal più stupido dei Giganti>>
Lei,
con gli occhi azzurro ghiaccio ardenti di ira e di vendetta, gli sputò in pieno
viso, ma fu di nuovo quietata da un potente pugno nel ventre.
<<
Puttana. Nient’altro che una sporca e sudicia puttana>> ringhiò lui, mentre
la giovane fece un ringhio cupo, come una bestia che medita una rivalsa.
Wall Rose,
settembre, anno 851.
Sempre più spesso
si era domandata se quella che stava vivendo si potesse definire realmente vita.
Le pareva d’esser diventata un semplice ninnolo da esporre, di cui vantarsi.
Il mercante che
l’aveva raccolta allo stremo delle forze le aveva donato un’immagine, una fama
indescrivibile. Infatti sempre più gente accorreva per vedere lo spettacolo
della Stupenda donna del mare.
Lei non si giudicava
bella, perché il bello non era utile in una guerra. Per questo, nel sentirsi
chiamare addirittura Dea (perché
alcuni la credevano la reincarnazione umana di una delle tre mura), provava un
certo astio. Non era stata forgiata per esistere in quel modo, senz’armi, con
una pesante catena al collo e ai piedi, vestita nient’altro che con leggeri
veli quasi trasparenti.
Lei era nata nel
sangue e pretendeva di morire nel sangue.
Quel giorno, come
le aveva preannunciato il suo padrone,
era piuttosto significativo. Infatti ad assistere all’esibizione di strada
della fanciulla sarebbero stati presenti persino membri importanti della
milizia, poiché incuriositi dalla ragazza che era riuscita a sopravvivere mesi
al di fuori delle mura.
La sua pelle leggermente
ambrata luccicava e odorava di fiori, grazie agli olii profumati che il
mercante le aveva ordinato di usare, donando così all’intera figura un’aria
ancora più magnifica. I capelli color nocciola mossi, acconciati in una
semplice pettinatura, emanavano anch’essi una deliziosa fragranza floreale e
facevano risaltare le iridi da fiera di un azzurro talmente chiaro e penetrante
da sembrar quasi irreale.
Sulle palpebre,
per evidenziare i grandi occhi, aveva un
marcato trucco blu scuro, mentre le sottili labbra, grazie ad un cosmetico
color notte, parevano più voluminose.
Osservò la folla
che l’incitava a danzare, osservò le persone definite importanti, che si
distinguevano dal popolo soltanto perché avevano abiti più sfarzosi. Osservò i
cavalli, grazie ai quali alcuni nobili e soldati dei ranghi più elevati erano
arrivati. Fissò i quadrupedi, prima di abbozzare un leggero sorriso quasi
impercettibile.
A ritmo di musica,
perlopiù percussioni, iniziò a muoversi nella circonferenza che le era stata
concessa in un modo talmente sciolto, talmente fluido da sembrar un’anima
separata dal corpo. Eseguiva eleganti salti, volteggi perfetti, passi
aggraziati, come se lei e la divinità fossero una cosa unica.
Era talmente
inumana che nessuno non poté staccare gli occhi da quell’oggetto, tutti erano
rapiti dalla sua bellezza che sempre in più giudicavano divina. Era un tutt’uno
con il vento, tanto che sembrava addirittura che questo soffiasse per lei. Era
un tutt’uno con la terra, su cui danzava in un modo armonioso. Era un tutt’uno
con il fuoco, perché quello lei era: il fuoco.
Bello,
ipnotico, devastante.
<< Lei>>
disse il commerciante al capo della Polizia
Militare, Neil Doak, indicando la
danzatrice << è la donna perfetta: non comprende la nostra lingua, non sa
combattere ed è anche molto bella>>
<< Non c’è
niente di più perfetto>> commentò il miliziano, visibilmente colpito
dalla ragazza.
<< Se volete
è in vendita. È solo una modica cifra, niente a confronto dei servizi futuri
che può sottostare>>
A quel punto un
uomo che non spiccava sicuramente per l’altezza si intromise nel discorso,
osservando con sguardo atono, ma al contempo frigido, il negoziante.
<< Come è
potuta sopravvivere una puttana fuori dalle mura?>> aveva utilizzato
un’intensità di voce molto più vicina ad un’affermazione che ad una domanda.
<< La
bellezza è anche nel mistero, Caporale Maggiore Levi>>
<< Lei è
tutto, fuorché bella>> gli rispose Levi, dopo aver notato una leggera
scintilla di odio nello sguardo celeste della fanciulla non appena le aveva affibbiato
il simpatico soprannome.
La musica rallentò
e la ragazza si fermò davanti ad un soldato e, prendendolo per la giacca,
avvicinò il proprio viso al suo, per poi allontanarsi un poco. Sostenne un
suadente gioco di corteggiamento, che finì quando il membro della Polizia
Militare, riconoscibile dallo stemma sulla giubba, tentò di sua iniziativa di
avvicinarsi e di strapparle un bacio.
A quel punto
accadde un fatto che atterrì gran parte dei presenti: infatti, con una potente
ginocchiata, la ballerina colpì in pieno stomaco il militare, strappandogli poi
il fucile dalla schiena e sparando un colpo per creare confusione.
Così, mentre i soldati
erano impegnati a placare la folla, lei era riuscita a rubare un cavallo e a
spronarlo verso l’uscita di quella gabbia di mura. Ma seppur lo stallone
corvino fosse veloce, presto si ritrovò alle calcagna parte del corpo della
milizia, tra cui anche alcuni membri della Legione Esplorativa.
Tutti i concetti
basati sulla sua poca intelligenza svanirono non appena i soldati dotati di
Equipaggiamento per la manovra tridimensionale notarono con orrore che i
proiettili, sparati da fucili abbastanza potenti, non riuscivano nemmeno a
scalfire la pelle della ragazza, divenuta resistente come il metallo.
Solo i Giganti
avevano simili capacità e tra l’altro unicamente quelli anomali dotati di
intelletto. Eppure lei non aveva l’aspetto di uno di quegli abomini, anche perché
a stento superava il metro e sessanta di altezza.
Levi riuscì a
raggiungerla, ma lei, con un elevato salto, arrivò ad aggrapparsi ad un tetto
di una casa e una volta sopra iniziò a correre ad una velocità notevolmente
maggiore rispetto a quella del quadrupede. Possedeva una muscolatura
estremamente potente, anche se all’apparenza non sembrava molto sviluppata.
<< Caporale
maggiore! Mi lascia andare?>> domandò impaziente un ragazzo a cavallo dai
lunghi capelli bianchi e spettinati, con una folta frangia che gli copriva gli
occhi rossi come il sangue.
Legato alla
schiena aveva una bizzarra e pesante arma da fuoco con doppia impugnatura per poterla
manipolarla meglio.
<< Cerca di
non fare troppi danni>> disse Levi, allontanandosi strategicamente dal giovane.
Quest’ultimo
smontò dallo stallone e prendendo la mira dove la leggiadra figura femminile
stava per dirigersi, sparò un singolo colpo. Il contraccolpo però lo fece quasi
cadere per terra, rimanendo in piedi unicamente perché era appoggiato al muro
di una casa.
Il proiettile
saettò veloce verso il proprio obbiettivo e, mentre stava per impattarsi,
esplose in un inferno di lingue di fuoco che inglobò, oltre all’abitazione,
anche la giovane, la quale fu colta di sorpresa. Le fiamme le ustionarono la pelle
e le arsero i vestiti, mentre il fumo che s’introduceva repentino nella sua
gola le impediva quasi di respirare.
Lei allora fuggì
dall’esplosione, prendendo una leggera rincorsa ed eseguendo un altissimo salto
e atterrando al di fuori dell’incendio. Tuttavia una serie di spari riuscirono
a penetrare nella sua carne, ferendola alla gamba sinistra e facendola così
sbilanciare, rotolando giù dal tetto spiovente.
Riuscì ad
afferrare l’anta di una edificio, ma questa si scardinò e lei cadde sulla via
principale, dove ben presto venne circondata dai membri della milizia. Lo
stesso ragazzo albino che aveva provocato l’esplosione, le gettò addosso una
gelida secchiata d’acqua, la quale fu utile per estinguere il fuoco che ormai
le aveva consumato quasi completamente gli abiti.
<< Cosa
intendi fare?>> le chiese Levi, avvicinandosi.
<< Caporale,
ma lei non capisce la nostra lingua!>> esclamò un soldato, ma fu fermato
dalla fanciulla.
<< Hanno
anche detto che sono stupida, incapace di combattere...>> disse in tono
sarcastico lei, mentre si estraeva dalla gamba i proiettili, poi fulminò con lo
sguardo l’uomo alto quasi quanto lei, se non qualche centimetro in meno
<< e anche puttana>>
Levi si chinò per
essere al suo pari, poi la guardò diritta negli occhi.
<< Chi sei?>>
<< Lachesi.
O anche Thàlassa, che è il mio soprannome>> gli rispose << Sono una
modesta danzatrice>>
Si osservarono per
un lungo istante. Lui riuscì ovviamente a cogliere il tono ironico che la
giovane aveva volutamente utilizzato, poiché quel gioco la divertiva
visibilmente. Ormai era ovvio che non poteva essere una comune ballerina, così
come non poteva assolutamente essere
un’umana.
<< E dimmi, Thàlassa,
cosa faresti per la libertà?>>
<< Cosa
farei? Beh... dipende che concetto hai di libertà. Per me la mia libertà è
poter di nuovo combattere, uccidere Giganti, lordarmi del loro sangue per
permettere a qualcuno in futuro di vivere>> fece una leggera pausa, nella
quale le sue labbra s’inarcarono leggermente in un sorriso, ricco però di
rammarico << Io per la libertà altrui donerei anche la vita>>
Nelle sue parole
non esisteva alcuna traccia di menzogna, così come nelle sue iridi, che brillavano
di speranza. Levi rimase piacevolmente colpito da quella determinazione, che
aveva visto poche volte nella sua vita e fece un leggero, quasi impercettibile
cenno con il capo, come per approvare quelle parole.
L’unica cosa che
le disse, fu un leggero sussurro, nel quale la giovane capì chiaramente un Fidati. Gli altri soldati non erano
riusciti a sentire ciò che aveva detto, soltanto l’albino, che stava
giocherellando con una pistola, sembrò comprendere quel bisbiglio, seppur si
trovasse piuttosto distante e in mezzo alla confusione.
Non appena però il
caporale maggiore si allontanò, la ragazza fu presa dalle guardie e trascinata
per la catena che le cingeva il collo. Anche se aveva la forza per ucciderli,
sottostò a quella umiliazione, che durò finché non raggiunse il tribunale.
Come il mare prima
di una violenta tempesta, Thàlassa non si era mossa, rimanendo calma,
impassibile, attendendo unicamente il soffio di vento che avrebbe causato una
burrasca. E lei attendeva solo quel momento, il momento in cui avrebbe
dimostrato uno dei suoi tanti punti cardine.
Fine primo capitolo!
Nome capitolo:
Tempesta
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Capitolo 2 *** Bassa marea ***
Secondo Capitolo
Secondo
Capitolo:
Άμπωτη
Le fiamme
ardevano la grande catasta di legna, creando un maestoso e ipnotico fuoco
soffocatore, caldo, ma al contempo anche fatale. Attorno ad esso, sullo sfondo
di un tramonto che lasciava il sipario alla notte, danzavano delle sacerdotesse
vestite con bellissimi e lunghi abiti candidi.
Soltanto una di
esse indossava l’armatura, una ragazzina di poco più di dieci anni, che si
muoveva con una tale grazia che la corazza in metallo non sembrava affatto
essere un impedimento. Il suo ampio mantello scarlatto si muoveva sinuosamente
con il vento, riuscendo a donare alla minuta figura una certa importanza.
La musica
divenne sempre più incalzante e fu allora che le danzatrici mostrarono tutta la
loro bravura, tutta la loro magnificenza, eseguendo passi armoniosi, sembrando
addirittura inumane per la loro capacità.
E non appena le
percussioni e i fiati si tacquero, anche quei corpi si fermarono, cadendo in
ginocchio e pregando ad alta voce, in una lingua ormai in disuso. La più
giovane però, non si fermò, gettando invece nel rogo la propria lancia in
frassino, il proprio scudo circolare, rinforzato in cuoio con il bordo in
metallo, e anche le proprie spade lucenti.
Dopodiché, un
uomo nelle vesti di Grande Sacerdote, le consegnò nuove armi molto più
efficienti, tra le quali c’erano anche delle potenti balestre e delle
affilatissime spade dalla lama lunga e ben equilibrata.
<< Queste
sono le armi di tuo padre, valoroso combattente caduto, ahimè, in battaglia per
salvare la sua falange. Ora tu, Lachesi, con il tuo coraggio, la tua intelligenza
e la tua bravura, avendo compiuto la maggiore età, avrai il compito di portare
avanti il nome del valoroso comandante morto. Presta giuramento al dio
Pólemos, giura di combattere sempre e comunque,
giura di sfruttare il dono che gli dei ti hanno offerto per proteggere la tua
falange, giura di non abbandonare al destino di nera morte nessun
soldato>>
<< Lo giuro>> disse la giovane, accettando le
effigia del suo defunto padre.
<< D’ora
in avanti la tua vita sarà soltanto per il futuro, per porre fine alla tirannia
dei Giganti. Sarai privata della libertà per le generazioni che verranno. Giura
di conseguire il tuo compito al meglio delle tue possibilità e di sacrificare
la tua stessa vita, come tuo padre precedentemente ha fatto, se il fato mai lo
volesse>>
<< Lo
giuro>>
<< Con i
poteri conferitomi dai Polemarchi, io ti nomino Comandante della terza falange.
Seppur riconosca la tua giovinezza, hai saputo dimostrare la tua spiccata
intelligenza, il tuo coraggio nel difendere il prossimo e la tua forza,
uccidendo addirittura più di settantatré Giganti da sola nell’ultima battaglia
e più di cinquantacinque con il supporto dei tuoi compagni>>
L’uomo prese una
coppa di vino e ne bevve un gran sorso, prima di consegnarla a Lachesi, la
quale fu tenuta a ingerire la bevanda alcolica, diluita con acqua e vari aromi,
quali miele e spezie. Dopo ciò, si elevò uno scroscio di applausi e sul suo
capo venne posata una corona di alloro.
<< D’ora
in avanti, sarai chiamata Thàlassa, perché tu e il mare condividete molti
aspetti del carattere>>
Tribunale,
settembre, 851
Alla domanda di chi lei fosse, Lachesi tentennò per
qualche istante. Osservò la platea, i rappresentanti dei vari ordini sociali
più importanti, l’anziano giudice di nome Dallis
Zacklay che la invitava a parlare; infine chinò
lo sguardo sui propri nudi piedi, prima di socchiudere la bocca e lasciar
scorrere i suoni.
Si sentiva, anzi, era come un’oggetto, poiché i
membri di quella società avevano litigato fino a quel momento
per decidere il suo destino. C’era chi diceva che doveva essere giustiziata,
altri studiata, altri ancora che poteva essere un valente soldato.
Si domandò come potessero pensare a fatti così
importanti se di lei conoscevano unicamente un soprannome datole.
<< Sono Lachesi, comandante dell’ormai defunta
terza falange. Sono stata eletta nel corso della mia breve vita secondo
Polemarco, nonché primo Stratega>>
Quell’affermazione colpì molti, se non tutti, i
presenti. Una ragazza così giovane non poteva avere un simile potere, né una
tale intelligenza. I perfidi iniziarono a pensare addirittura che avesse usato
la sua riconosciuta bellezza per aggiudicarsi titoli così importanti.
<<
Come fate ad avere i poteri da Gigante da umana?>> esclamò un uomo
appartenente alla Guardia Stazionaria.
<<
Sono un Gigas, ovvero un membro di un corpo speciale formato da coloro ai quali,
da feti, è stato fuso il proprio DNA con quello di un Gigante tramite iniezioni>>
la stessa Thàlassa era inorridita e lottava con se stessa per finire il
discorso, stringendo quasi involontariamente i pugni << Siamo in pochi,
poiché molti muoiono a causa di aborto spontaneo, mentre altri non riescono a
superare nemmeno la prima settimana di vita per colpa di gravi deformazioni...>>
continuò con voce atona, posando lo sguardo su un punto non ben precisato del
pavimento piastrellato.
Le
immagini erano ancora fin troppo vive, le grida dei bambini morenti le
risuonavano ancora nei timpani. Seppur fosse abituata al sangue, alle stragi,
alla morte stessa, non riusciva ad accettare quegli esperimenti inumani, dove
soltanto una percentuale insignificante riusciva a sopravvivere. Soprattutto
perché lei stessa faceva parte di quella minuscola percentuale.
<<
E che cos’hanno in più questi Gigas?>>
<<
Quelli che sopravvivono sono appunto uomini con i poteri da Gigante. Hanno una
forza molto più sviluppata, una spiccata velocità, hanno molte resistenze in
più e altre caratteristiche. Ciò non vuol dire essere invincibili, anzi, molti
muoiono proprio perché credono di essere pari agli dei e vengono puntualmente
divorati>>
Il
giudice si tolse gli occhiali, facendo un lungo sospiro.
Si
alzò un brusio di sottofondo che andava ad innalzarsi, fino a tornare di nuovo
ad un’aperta discussione. Lei, in quell’attimo di assoluto silenzio, iniziò a
spostare il suo sguardo azzurro ghiaccio da una parte all’altra della stanza,
come per studiarne le caratteristiche, finché non si soffermò su Levi. Inconsciamente
le rimbombò in testa quella semplice parola che le aveva sussurrato.
Fidati.
Erwin
Smith, comandante della Legione Esplorativa, iniziò a parlare, per esporre la
propria idea, così come aveva fatto in precedenza per un altro soggetto di nome
Eren Jaeger. Tuttavia fu la voce dell’anziano a spiccare, donando un’aria
incerta a tutti i presenti, Lachesi compresa.
<<
Uccidetela, qui, in seduta stante >> ordinò.
<<
Cosa?! Sei pazzo se credi che mi lascerò ammazzare così!>> ringhiò la
ragazza, tentando di avanzare, seppur le sue catene fossero bloccate ad un
pesante pilastro.
Dopo
un attimo di dubbio, alcuni soldati presero la mira con i fucili e spararono.
Gli occhi di Thàlassa, divenuti ardenti come il fuoco, fulminarono per l’ultima
volta il giudice, prima di reagire.
I
proiettili cozzarono contro la sua pelle divenuta resistente come l’acciaio,
mentre già alcuni della milizia erano pronti per arrecarle danni con la spada.
Lei ovviamente non poteva reagire, poiché incatenata ai polsi e alle caviglie,
ma fu allora che accadde l’impensabile: infatti la fanciulla riuscì, con un
estremo sforzo fisico e gemendo per l’acuto dolore, a fondere il metallo delle
manette, portando la propria temperatura corporea a livelli inconcepibili.
La
lega cominciò a gocciolare per terra incandescente e un diffuso vapore avvolse
Lachesi, la quale faceva brevi respiri in seguito al grave sforzo.
Però
non ebbe nemmeno il momento per riprendersi che dovette parare e schivare gli
attacchi delle guardie più coraggiose, che non si erano intimorite a quella
reazione inumana.
Tuttavia
lei non attaccava, o perlomeno, cercava di non ferire gravemente, evitando con
una nota celerità e grazia i colpi. Persino quando si trovò accerchiata in un
angolo, pur di non reagire, spiccò un elevato salto atterrando con leggerezza
sulla ringhiera in legno dalla parte opposta, davanti a Levi.
Per
un istante, le sembrò che ogni rumore si fosse dissolto. Riusciva a sentire il
proprio respiro, accelerato, ma anche quello dell’uomo, più regolare. Si
studiarono come per prevedere l’uno le mosse dell’altra, finché, con un
tempismo quasi perfetto, lei non si protesse il volto per parare un colpo di
spada del caporale maggiore.
Poi
balzò all’indietro, ma presto le sue capacità difensive furono messe a dura
prova, poiché sia gli incessanti colpi dei soldati, sia soprattutto i quasi
impercettibili attacchi di Levi la costrinsero ad indietreggiare sempre più,
finché non si scontrò con la balaustra opposta.
A
quel punto continuò a non reagire, giocando sull’ottimo controllo e resistendo
addirittura per parecchi minuti, ma a causa sia di un pesante contraccolpo sia per
la crescente stanchezza, cadde a terra. In quel frangente la spada dell’uomo
dai capelli corvini riuscì a sfregiarle la guancia.
Essendo
un taglio superficiale, perse solo un’insignificante rivolo di sangue e la
ferita si rimarginò dopo un tempo misero, pari quasi a un battito di ciglia.
Tuttavia ciò bastò per mettere fine al combattimento: infatti i comandanti
della milizia e lo stesso giudice, che si erano astenuti dallo scontro,
placarono il disordine.
<<
Sei un buon soldato, Lachesi>> disse poi Dot Pixis, alto ufficiale, il
quale dopo aver affermato ciò, bevve un lungo sorso dalla borraccia che portava
sempre con sé.
La
ragazza si alzò in piedi, con un viso un po’ più rubicondo e alquanto cupo.
<<
Come ho detto, non mi lascio ammazzare così>> ringhiò lei, incrociando le
braccia al petto, celando così quella parte del corpo semiscoperta << E
tra l’altro, detto sinceramente, mi fa schifo la superficialità con cui mi
avete mandato contro i vostri soldati. Avrei potuto ferirli gravemente o
persino ucciderli>>
<<
Ma non l’avete fatto, né prima quando avete tentato la fuga da Wall Rose, né
ora>> intervenne Erwin.
<<
Vero, non l’ho fatto. Trovo insensato uccidersi a vicenda in un periodo così
cupo. Ciò non toglie però che posso reagire quando e come voglio, anche se vuol
dire andare contro a quel che penso, se è necessario>>
Il
giudice, dopo aver ascoltato la breve discussione e aver osservato la ragazza
combattere, non aveva alcun dubbio a che reparto della milizia affidarla, anche
se qualche membro della Polizia Militare, soprattutto un soggetto in
particolare, premeva ancora per convincerlo a lasciarla a loro.
Ma
Dallis Zacklay sapeva
che rinchiudere Lachesi all’interno di Wall Sina sarebbe stata una scelta
deleteria, poiché lei non avrebbe mai accettato di vivere nella più totale
tranquillità e avrebbe provocato certamente gravi problemi. Tuttavia non era
certo che fosse un soldato facile da addestrare, perché possedeva un forte
animo bellico arduo da sottomettere.
<< Ho preso
la mia decisione>> con questa frase riuscì a zittire tutti.
Al quartier
generale in disuso della Legione Esplorativa, settembre, 851
Al quartier
generale in disuso della Legione Esplorativa, il soldato albino, colui che a
Wall Rose era riuscito a ferire Thàlassa, si calcò sul capo il cappuccio, prima
di colpire con un’apparente comune pistola dei bersagli mobili, quali uno
stormo di piccoli volatili. Dopo pochi secondi dall’aver ricevuto il colpo
fatale, gli uccelli esplosero in un gran fragore e per un istante ci fu una
danza di piume infuocate che illuminò il viso cadaverico del ragazzo. Una di
queste gli sfiorò anche la mano, ma stranamente non lo scottò.
<< Che stai
facendo?>> domandò una voce alle sue spalle, facendolo sobbalzare
visibilmente.
Una fanciulla con
dei lisci capelli corvini a caschetto, con qualche ciuffo di frangia che
lasciava scoperti gli occhi scuri, si trovava alle sue spalle, con
un’espressione assai cupa, quasi inquietante dipinta sul volto. Era più bassa
di lui di almeno una spanna abbondante, ma possedeva una muscolatura meglio
sviluppata e avrebbe avuto sicuramente la meglio in uno scontro corpo a corpo.
Per questo l’albino,
seppur in modo molto scaltro, tentava di allontanarsi da quella furia, onde
evitare di venir travolto dalla sua ira. Aveva avuto modo di conoscerla e di
saggiare anche la sua collera.
<< Oh, ciao
Ackerman>> le rispose il giovane, facendo un inquietante sorriso dopo
essersi sistemato la folta frangia sopra alle iridi cremisi, alzata in
precedenza con delle forcine << Non trovi divertente come la vita di
creature così complesse si possa spegnere così facilmente?>>
<< Dov’è
Eren?>> gli chiese con un’occhiata inquisitoria.
<< Aspetta,
perché me lo chiedi?>>
<< Conosco i
tuoi precedenti, Wilde>>
Il sorriso del
ragazzo si allargò ancor di più, mentre nella sua mente riaffioravano dei vividi
ricordi alquanto esilaranti, tanto che gli scappò addirittura un riso soffocato
da finti colpi di tosse.
<< Suvvia
Ackerman, non è da tutti avere l’Abominevole uomo della foresta come compagno di
squadra! Se insegnassi al tuo ragazzo a non andare in giro alle tre di notte
come uno zombie, queste cose non accadrebbero>> detto ciò non riuscì più
a trattenersi e iniziò a ridere sguaiatamente, mentre il viso della compagna si
tingeva di un rosso sempre più acceso.
<< Eren è la
mia famiglia! Non è assolutamente il mio ragazzo>> lei era avvampata,
tanto che per nascondere il proprio rossore si era portata la sciarpa
scarlatta, ricordo d’infanzia, fin sopra la bocca.
<<
Davvero?>> la punzecchiò lui, balzandole alle spalle, approfittando di
quella temporanea presa di potere, che non durò molto, infatti bastò uno
sguardo omicida della fanciulla per riequilibrare le forze << Comunque
non so dov’è. Probabilmente è con gli altri ad aspettare l’arrivo della nuova
ragazza-Gigante. Oppure è ancora...>> fece morire così la frase,
mantenendo però il suo immancabile sorriso.
<< Dove?>>
lo intimò lei, avvicinandosi.
Lui per risposta
indietreggiò, finché non si scontrò con il tronco di un albero. Allora fu
completamente nelle sgrinfie della giovane donna, iniziando addirittura a
temere per la propria incolumità visto che esisteva soltanto un esiguo spazio tra
il proprio corpo e il suo.
<< Niente,
durante l’allenamento potrebbe essersi slogato un polso, quindi Elizabeth
potrebbe averlo medicato. Ma a quest’ora dovrebbero aver finito...>>
<< Eren sta
bene? Che gli hai fatto?>>
<< Io nulla.
Ho soltanto visto Elizabeth accorrere con del ghiaccio e...>> non riuscì
nemmeno a finire la frase che Ackerman era già diretta verso il possibile luogo
dove poteva trovarsi Elizabeth, abbandonando Wilde, la cui espressione allegra
si spense diventando d’un tratto seria, forse un po’ malinconica.
Dopo un lungo
sospiro, in cui era rimasto a contemplare il sole alto nella volta celeste, si
allontanò anche lui.
<<
Ragazza-Gigante>> mormorò tra sé e sé << Benvenuta in una gabbia di
matti>>
Fine secondo
capitolo!
Titolo capitolo:
Bassa Marea.
Angolo
dell’autrice:
Questo è stato in assoluto il capitolo più difficile.
Perché quando ho in mente una storia, l'inzio è sempre
una trave nelle ginocchia. Ma spero di rifarmi con i prossimi capitoli!
Allora, visto che volevo parlare di Thàlassa... parliamo di
Lachesi.
Ho scelto il nome
Lachesi perché nella mitologia greca e latina, Lachesi era una delle tre parche
ed era colei che rappresentava il destino. Perché quindi l’ho scelto? Beh, sinceramente
lo trovo adatto per lei, soprattutto perché, oltre ad essere l’unica cosa ad
esserle rimasta, è anche una parte del suo carattere.
Mentre Thàlassa...
beh, come poteva mancare il mio odiatissimo greco? Thálassa propriamente vuol dire mare. Il mare per i soldati greci
era una speranza e ho voluto usare questo parallelismo nella mia fanfiction
perché infatti Lachesi per la sua falange era un simbolo, una luce da seguire
seppur la sua giovane età. E come il mare, anche lei è calma, ma al contempo
può diventare anche impetuosa, quasi indomabile.
Ed ecco qui una
breve scheda:
Nome: Lachesi
Cognome: ???
Soprannome:
Thàlassa
Età: 17 anni
Altezza: 163 cm
Peso: 56 kg
Colore capelli:
Castano scuro
Colore occhi:
azzurro ghiaccio
Cibo preferito: purché
sia eccessivamente dolce, con abbondante cioccolato e panna. In alternativa le
piacciono anche i piatti eccessivamente piccanti.
Ama: l’acqua, i
dolci, il proprio disordine, combattere e le proprie armi.
Odia: chiunque le
porti via la libertà che i suoi compagni caduti le hanno concesso e i ricordi.
Mal sopporta:
Levi.
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Capitolo 3 *** Onda ***
Terzo Capitolo
Terzo
Capitolo:
Κύμα
Una bambina dai
cortissimi capelli castani di all’incirca sei anni afferrò una pesante spada e
tentò di sollevarla, ma sprecò unicamente energie. Gli occhi azzurro ghiaccio
diventarono sempre più lucidi, finché delle calde lacrime non iniziarono a
scendere copiose lungo le guance.
Erano lacrime di
rabbia, perché, essendo una donna, come le ripetevano i soldati più anziani,
non sarebbe mai stata forte e non avrebbe mai potuto conseguire quella sfida
incentrata prettamente sulla forza fisica. Non riusciva a comprenderne il
motivo per il quale lei non potesse essere alla pari rispetto agli altri ragazzi,
ma voleva dimostrare a loro di essere ugualmente temibile.
Ritentò di nuovo
e questa volta riuscì, seppur la distanza che separava la lama dalla terra
battuta fosse minima. Con il viso color rubino per la fatica continuò a sforzare
i propri muscoli finché, per un breve istante, con fatica inumana, fu capace a
tenerla al di sopra del proprio capo prima di ruzzolare sul suolo.
Rischiò ferirsi,
ma un uomo con una mossa fulminea intervenne, afferrando la bambina e
stringendola a sé. Aveva una mossa chioma castana, lunga fino alle spalle e
delle penetranti iridi verde smeraldo in un viso dai lineamenti non troppo
severi, su cui era dipinta un’espressione preoccupata.
<< Papà!
Hai visto? Sono riuscita a sollevare la tua spada in oricalco!>> sorrise
la piccola, mentre lasciava cadere l’arma e abbracciava felice la corazza del
genitore << Sono uguale ai maschi! E presto diventerò uguale a
te!>>
<<
Lachesi...>> sospirò il padre, accarezzandole il capo << Perché mai
vorresti somigliare agli altri bambini?>>
<< Beh...
perché...>>
<< Tu hai
ereditato la bellezza di tua madre, così come molte altre caratteristiche, ad
esempio la testardaggine. Anche se intraprenderai la vita militare, non devi
soffocare queste tue virtù>> le passò una mano callosa sul viso,
sorridendo dolcemente << Certo, hai un grande potere dentro di te, ma ti
prego, non trasformarti mai in un mostro>>
<< Di che
potere parli?>> domandò curiosa Lachesi.
L’uomo si
schiarì la voce, poi si alzò, tenendo in braccio la figlia.
<< Fatti
crescere i capelli, perché altrimenti sembrerai uguale ai tuoi
fratellastri>>
<<
Papà!>> disse lei imbronciata << Non cambiare discorso!>>
<<
Ricordati sempre che le donne, purtroppo, sono sempre più intelligenti degli
uomini. E in un modo o nell’altro, riusciranno sempre a fregarli>>
<< Quando
diventerò un comandante assieme a te, me lo dirai?>>
L’uomo
non le rispose, limitandosi a baciarle la fronte.
La
bambina non comprese il motivo di quel silenzio, perché era certa che quando
sarebbe diventata grande, avrebbe comandato una falange assieme a suo padre.
Era certa, perché quella era una promessa che lui le aveva fatto ancora anni
prima.
Luogo
sconosciuto, ottobre, anno 851
L’aria era
pesante, pregna di fumo, di alcool e di varie essenze. Un odore talmente
irrespirabile che il comandante, riconoscibile dall’armatura cesellata e
dall’ampio mantello scarlatto, fu costretto a tossire più volte ancor prima di
entrare.
Reazione che si acquietò
quando, tra la leggera foschia e l’oscura penombra, riuscì a scorgere due
figure su un ampio divano che occupava una parte della parete alla sua sinistra:
una maschile, seduta, dal fisico ben sviluppato seppur ormai di mezza età e una
femminile, posta sulle ginocchia del primo, svestita, la quale si divertiva a
giocherellare con la lunga chioma bionda dell’uomo.
Il soldato si
fermò davanti alla coppia, cercando di distogliere lo sguardo dalle curve della
donna, concentrando l’attenzione sugli occhi azzurro elettrico dell’individuo,
attendendo pazientemente un ordine, mentre i due si scambiavano diverse
effusioni amorose.
<< Agápe, sei qui forse perché vuoi unirti a
noi?>> rise l’uomo.
<< No, mio Türannos. Sono qui perché voi mi avete
convocato>>
<< Oh, già,
che sbadato>> finse, passandosi un dito sulle labbra sottili << Ti
ho convocato perché non mi ricordo più il nome della mia defunta
moglie...>>
A
quell’affermazione, il milite ebbe una lieve reazione colta subito dal suo
interlocutore che lo incitò a rispondere con un gesto svogliato della mano.
<< Lachesi,
signore?>>
<< Esatto!
Lachesi. Perché tu, come ti avevo ordinato, l’hai uccisa non appena è entrata
nella foresta, vero, mio fidato amico?>>
<< Certo, Pólemos>>
Pólemos
iniziò a ridere sguaiatamente, mostrando addirittura i suoi affilati denti
lucenti, più simili a fauci di un predatore che di un essere umano. In un
secondo momento si ricompose, bevendo un lungo sorso di vino.
<<
Ho voglia di vedere l’occidente, sai Agápe? Voglio vedere con i miei stessi occhi
quella terra. Per questo partirò a breve e porterò con me la mia nuova,
bellissima Thàlassa>>
La donna fece un
risolino di assenso, baciandogli poi la fronte.
<< Per
l’occidente, signore?>> domandò incredulo il comandante.
<< Finché
starò via lascerò a te il comando. Non voglio incontrare nessuna sorpresa>>
<< Non ne
incontrerete>> rispose Agápe, dopo
un minuto di silenzio, facendo poi un inchino meccanico e storcendo lievemente
la bocca in un’impercettibile espressione sprezzante.
Il Türannos congedò il suo sottoposto,
facendo un aperto ghigno mentre accarezzava il volto stupendo, pulito, privo di
ogni imperfezione della giovane ragazza al suo fianco.
Foresta
non molto lontana dal quartier generale in disuso della Legione Esplorativa, ottobre,
851.
Il vento mosse la
lunga chioma castana legata in una treccia di Lachesi, un vento fresco, tuttavia
carico di tempesta. Thàlassa si spostava da un ramo all’altro, usando l’equipaggiamento
per la manovra tridimensionale; non padroneggiando ancora quella tecnica, aveva
rischiato spesso di scivolare o schiantarsi contro i tronchi degli alberi, ma
grazie alla propria mente fredda era riuscita a mettere in atto quei pochi
insegnamenti che Levi le aveva concesso prima di metterla alla prova.
Era sempre stata
abile nell’imparare e tener a mente lezioni di vita, che poi metteva in
pratica nel momento del bisogno. Come le avevano insegnato durante
l’addestramento nella sua infanzia, non si apprendeva nulla se poi non serviva al
presente o ad un imminente futuro; persino la danza, che lei eseguiva in modo
sciolto, divino, fungeva a ingraziarsi
il favore degli Dei prima di battaglie o durante cerimonie importanti.
Anche in
quell’occasione aveva dovuto apprendere qualcosa per pura necessità, per poter
uccidere i Giganti e per avere una speranza in più per sopravvivere. O forse
no.
Lachesi si fermò
un attimo su un ramo, a riflettere riguardo quella bizzarra e insolita
sensazione. A lei non serviva quell’attrezzatura, era ugualmente capace di
sterminare gli abomini anche grazie alle proprie capacità fisiche e alle
dottrine passate. Perché quindi stava facendo ciò?
Per divertimento?
Perché temeva le ire di un nano di centosessanta centimetri?
No, niente di
tutto ciò. Bensì per la libertà che riusciva ad assaporare danzando così scioltamente
in aria. Per la prima volta era libera, non aveva catene al collo o anelli alle
dita e non doveva sottostare ad ordini di superiori. O perlomeno, non
totalmente.
<< Ohi,
muoviti scansafatiche>> la rimproverò il Caporale Maggiore,
raggiungendola << Hai ancora molto da imparare, soprattutto sul controllo
del gas>>
<< Scusi se
mia madre non mi ha partorito con l’attrezzatura>> brontolò Thàlassa,
seppur fosse consapevole dei propri errori.
<< Dirigiti
ai cavalli, bisogna tornare al quartier generale>> Levi la guardò mentre
si preparava a ripartire e quando fu pronta, la fermò per un momento, con sguardo
cupo << Ricordati di portarmi rispetto, Thàlassa. Sei nella mia squadra
ora>>
<< Ne sono
cosciente, Caporale. In ogni caso lo terrò a mente>>
Un rombo di un
tuono echeggiò gorgheggiante, segno di un imminente temporale. Lachesi guardò
il cielo notando l’addensarsi delle nubi, mentre le prime gocce iniziavano a
cadere al suolo.
Non era stato un
giorno adatto per l’allenamento speciale fin dal principio: lei aveva storto il
naso quando le era stato comunicato che, dovendo imparare il prima possibile
l’uso della manovra tridimensionale, era costretta ad addestrarsi con il
Caporale Maggiore il quale non era famoso per la sua bontà, soprattutto quando
bisognava rimproverare qualcuno.
Di fatto i primi
tentativi dell’ex generale con quella nuova attrezzatura erano stati un
completo disastro e lui non aveva certo risparmiato gli insulti, provocando non poco il suo animo
battagliero. Così lei aveva provato e riprovato per l’intera giornata,
ottenendo, oltre ad una serie di lividi su tutto il corpo, netti miglioramenti.
Principalmente per dimostrargli che i suoi pesanti richiami erano totalmente
infondati, ma anche per soddisfazione personale.
Arrivarono ai
cavalli quando ormai la pioggia era diventata pungente e fitta, ricca di fulmini
che di tanto in tanto illuminavano la volta grigiastra.
Thàlassa si
domandò se il tempo fosse stato contro di lei, visto che normalmente un
temporale così violento non sarebbe dovuto scoppiare in un modo così
improvviso. Forse le divinità che tanto rispettava avevano voluto giocare con
la sua vita, rendendola ancora più invivibile di quel che già era.
Sciogliendo le
briglie del proprio cavallo nero con grandi macchie bianche, una delle quali
sull’occhio sinistro, montò in sella, attendendo il proprio superiore.
<< Muoviamoci>>
esortò l’uomo.
Lei spronò il
quadrupede e per un tratto di strada questo, seppur terribilmente irrequieto,
sottostò ai suoi comandi.
L’acqua si fece
sempre più pesante, tanto che tenere o abbassare il cappuccio risultò totalmente
inutile, superfluo come la vista; persino i destrieri facevano fatica ad
avanzare, poiché il terreno era diventato fangoso e quasi impraticabile. Ma fu
un violento tuono a far saltare i nervi saldi del purosangue pezzato, facendolo
imbizzarrire e galoppare in una folle corsa verso la foresta.
Invano, Lachesi
tentò di frenarlo ma lui continuava imperterrito, finché non s’imbatté in un
incendio. Allora virò bruscamente facendo quasi cadere la giovane che rimase
impigliata con il piede in una staffa.
L’animale la
trascinò per un lungo tragitto, finché i cavi dell’equipaggiamento
tridimensionale impiantandosi in una corteccia di un albero, non lo obbligarono
ad arrestarsi. Tale operazione però causò una dislocazione delle articolazioni
a Thàlassa, la quale non poté più alzarsi finché la sua costituzione non le
avrebbe risanato la terribile e dolorosa ferita.
Levi riuscì a
raggiungerla e le si fermò davanti. La ragazza si teneva l’arto ferito,
tentando però di mascherare il più possibile le note di dolore che le segnavano
il volto.
<< Ohi,
riesci ad alzarti?>> domandò lui.
<< Dammi un
minuto>> gli rispose, mentre cercava un appiglio per risollevarsi
<< Dobbiamo fare presto a tornare, altrimenti l’incendio ci
raggiungerà>> continuò, cercando di spostare la discussione sul nemico
più imminente.
<< Senza il
tuo cavallo?>>
<< Posso
benissimo correre>> ribatté lei, reggendosi saldamente in piedi, seppur
la ferita le dolesse.
<< In quelle
condizioni? La ferita rischierebbe soltanto di aggravarsi inutilmente>>
<< Posso...>>
fece morire in gola la frase, espiando un sospiro di resa.
Levi, smontando
dal proprio destriero, iniziò a camminare stringendo ben salde le briglie.
<< Cerchiamo
un riparo>> ordinò, facendo cenno di seguirlo.
Casa
abbandonata poco distante dal Quartier generale in disuso della Legione
Esplorativa, ottobre, 851
Il sangue gocciolò
copioso dai guanti, imbrattando un grembiule già sporco di cremisi. La lama
lucente di un coltello penetrò nella carne del cadavere, incidendogli il petto
all’altezza del cuore.
Il buio della
notte imperava sovrano in quell’oscura e angusta stanza, colma di fogli scritti
ogni dove, persino attaccati al soffitto o ai lunghi fili da bucato che
passavano da una parete all’altra. Soltanto un piccolo lume di una candela
rischiarava un poco l’ambiente, delineando le uniche due figure presenti: una
camminava avanti e indietro, trafficando ora con affilati attrezzi, ora con
matite e gomme da cancellare; l’altra era un morto senza nome, disteso su un
tavolo coperto da un telo bianco.
Delle dita
affusolate estrassero il muscolo un tempo pulsante e iniziarono a premerlo con
estrema cautela, appuntando poi le osservazioni su un blocco da disegno, su cui
c’era raffigurata una riproduzione fedele della parte anatomica.
Gli occhi
castano-dorati cerchiati da pesanti occhiaie rimasero ad osservare ogni
millimetro del cuore, rimanendo affascinati da quella perfezione. Parole come Fantastico o Straordinario per qualche minuto riempirono il silenzio opprimente.
Quando però la
figura era in procinto di poggiarlo sul bancone per dirigersi a prendere una
penna stilografica, si bloccò, smettendo quasi di respirare. Con una mossa
fulminea afferrò la mannaia sanguinante, stringendo saldamente il manico e
rimanendo completamente immobile.
Soltanto quando
sentì un flebile rumore si voltò di scatto e corse verso la causa, con il coltello
alzato sopra al capo, fermandosi bruscamente a pochi centimetri dal viso
dell’intruso.
<<
Eren?>> domandò con voce incredula.
<< E
Oscar>> disse Wilde, sbucandogli alla schiena, mentre il quasi colpito
ebbe un mancamento << Ma che bel posticino... Elizabeth, non dovevi
essere in ospedale?>>
La ragazza poggiò
la mannaia e si tolse il grembiule, sospirando. Sui lunghi capelli corvini,
liscissimi, danzava il riflesso dell’unico lume acceso, la cui luce riusciva a
schiarire ancora di più la sua carnagione cadaverica. Gli occhi affusolati, a
mandorla, sapevano donare un’inquietudine insolita, causata principalmente del
colore singolare e intenso delle iridi. Non era molto alta, raggiungeva a
stento il metro e cinquantacinque, però aveva un fisico asciutto, a prima vista
inadatto al combattimento.
Se non fosse per
lo stemma riportato sulla giacca, nessuno avrebbe mai detto che fosse un membro
attivo del corpo di ricognizione, uno dei migliori tra l’altro, grazie alla sua
spiccatissima intelligenza e velocità. Ovviamente l’opinione pubblica era
totalmente contraria riguardo il mandare in prima linea un medico così
importante, ma era proprio Elizabeth Newton stessa a non voler rimanere
rinchiusa tra le mura di un ospedale, preferendo aiutare sul campo, uccidendo
Giganti e salvando parecchie vite di soldati.
<< Seppur
sono riconosciuta come uno dei maggiori dottori, rimango pur sempre un soldato
della Legione e tale voglio rimanere. Però la mia amica mi ha offerto questo
cadavere per studiarne la morte e... beh... dopo approfonditi studi sono
riuscita a comprendere che è morto per una malattia virale che si è espansa
fino a raggiungere i polmoni. Incredibile come si possa ancora morire per un
raffreddore, vero?>>
<< La tua
amica?>> domandò confuso Eren, dopo essersi ripreso dallo spavento
<< Come ha fatto a procurarsi un cadavere?>>
<< Fa la
becchina, è normale>> commentò Oscar, raccogliendo un paio di appunti da
terra << L’ho conosciuta, tipa un po’ eccentrica, ma piacevole>>
La giovane fulminò
con lo sguardo l’albino, prima di avanzare verso di lui, togliendosi i guanti
pregni di sangue.
<< Voi e il
vostro maschilismo>> ringhiò, visibilmente incupita << Credete che
noi donne siamo solo degli oggetti, non è così? Vero? Certo, tu ora ti vanti
per aver privato una ragazza della propria verginità, ma giuro che se oserai
mettere le tue luride mani sul corpo di quella povera fanciulla Lachesi, io ti
spezzo in due, ti ricompongo, e ti spezzo in quattro. È ancora minorenne e come
tale mi assumo la responsabilità di tenerle lontano ogni cane morto di
fame>>
<< In tal
proposito sei stata assoldata nella missione speciale>>
La dottoressa
guardò i due, aggrottando poi le sopracciglia non riuscendo a capire cosa
intendessero.
<< Missione
speciale?>>
<< Levi e
Lachesi non sono ancora tornati, però è tornato uno dei loro cavalli con
pesanti ferite>> spiegò Eren, prima di ricevere un’occhiata cupa, molto
cupa.
<< L’avete
lasciata sola con Levi? L’avete lasciata sola con un nano acido, cupo e
pervertito?! Ma si può sapere che avete al posto del cervello? Non abbiamo un
minuto da perdere! Come membro della nostra squadra, dobbiamo
proteggerla!>>
Detto questo,
senza nemmeno ascoltare le spiegazioni dei suoi compagni di squadra, li
trascinò fuori dalla cantina della casa diroccata. Il che Eren ringraziò,
perché la vista del cadavere smembrato era alquanto raccapricciante.
Con estrema
facilità la donna sistemò le cinghie del proprio dispositivo per la manovra
tridimensionale, che non abbandonava mai, persino nell’ospedale all’interno di
Wall Sina, poi procedette a grandi passi nel pantano, esortando malamente gli
altri due con fare da generale intransigente.
Foresta,
ottobre, 851
Lachesi,
rannicchiata a ridosso di quel che rimaneva di un muro, una volta appartenente
forse ad una abitazione, osservava ora Levi, ora la propria divisa fradicia e
pesante. Si domandava cosa gli passasse per la mente, perché aveva insistito a
fare il primo turno di guardia, permettendole di riposarsi.
Aveva anche
provato a domandarglielo, ma le parole le erano morte in gola, come se in cuor
suo volesse mantenere quel sacro silenzio che si era venuto a creare tra i due.
Un silenzio colmo di pensieri, riflessioni e ricordi.
Infatti Thàlassa
aveva già vissuto una simile pioggia, durante una terribile battaglia navale
che però aveva portato, oltre alla rovina gran parte della loro flotta, anche
ad una gloriosa vittoria. Ed era stata proprio lei a guidare le navi, a creare
una strategia tale da sfondare le linee nemiche contenendo il più possibile le perdite.
I lutti erano
stati lo stesso ingenti, poiché non abituati a combattere con le navi, ma mai
quanti avrebbero potuto essere se avessero seguito gli ordini dei Polemarchi.
Quella era stata la sua prima vittoria importante, poiché era riuscita a sbaragliare
i popoli provenienti dalla parte di mare ignoto, se non per qualche tratta
commerciale. La città natia della giovane era famosa per il commercio, oltre
che per la guerra, infatti tramite scambi riuscivano a procurarsi i ghepardi
corazzati per la parte dell’esercito chiamata peltasti, cavalieri armati alla
leggera che dovevano attirare a verso di sé l’attenzione dei Giganti sfuggiti
ai dardi esplosivi, in modo tale da permettere agli Assassini e agli Equites di
intervenire.
<<
Caporale>> disse lei, sedendosi vicino << Posso farlo io il turno
di guardia ora>>
In un primo
momento, lui la ignorò completamente, come se quella domanda fosse stata soltanto
un fastidioso rumore. Poi però, notando che la giovane non si spostava, anzi,
rimaneva ferma e gocciolante al suo fianco, iniziò a studiarla con lo sguardo.
<< Thàlassa,
non hai niente di meglio da fare?>> chiese infine, seccato.
<<
No>> gli rispose, strizzando una ciocca dei propri lunghi capelli.
Calò di nuovo il
silenzio, questa volta, con una leggera nota d’imbarazzo, interrotto ogni tanto
da qualche fastidioso starnuto, colpo di tosse o sospiro della fanciulla.
Un attività
interessante che quest’ultima trovò, fu osservare i lunghi
lombrichi che ogni
tanto sbucavano in superficie; quell’impiego l’aveva
talmente entusiasmata che uno di essi, particolarmente rompiscatole a
detta sua, lo aveva chiamato
Rivaille.
Levi, stanco
delle mirabolanti avventure del verme, interruppe quel delirio con una
questione che da tempo si poneva.
<< Come fai
a conoscere la nostra lingua?>>
Lachesi, smise di
passarsi da una mano all’altra Rivaille e indugiò un attimo a riflettere
sull’imminente risposta.
<< Beh,
grazie ai molti che in passato sono giunti nella nostra terra, i quali
parlavano la vostra lingua. Essendo nata in una città di commercianti, oltre
che di guerrieri, fin da piccola mi è stato imposto di imparare, oltre alla
nostra lingua, anche altri idiomi. Uno di questi è il vostro. Chissà, forse un
futuro questo studio sarà fruttuoso per qualche scambio e, o dichiarazione di
guerra>>
<< Non
combattete quindi solo contro i Giganti>>
<< Ogni
tanto siamo costretti a respingere attacchi di popoli, alcuni provenienti al di
là del mare. Mi ricordo ancora della battaglia sul mare che mi ha reso famosa.
Infatti il mio soprannome Thàlassa in parte deriva anche da quella. Ho
introdotto l’uso dei corvi, che sono della specie di passerelle uncinate che si
attaccano alla nave nemica per...>> lei si interruppe, dandogli
un’occhiata << Tu non hai mai visto il mare, vero?>>
<<
No>>
<< Sei
fortunato, almeno non ne puoi sentire la mancanza>>
Levi non comprese
in che modo potesse una persona legarsi ad un elemento naturale. Era come
affezionarsi ad un quadrato di terra per un individuo che proveniva dalla
campagna: totalmente insensato. Guardò il lombrico Rivaille, il quale
continuava a salire e scendere dalle dita affusolate dell’ex comandante,
comprendo poco a poco di aver parlato per la prima volta dopo una settimana con
Lachesi, senza impartirle ordini o criticarla, scoprendo così che dietro a
quell’armatura si trovava una persona.
<<
Sai>> disse la ragazza << Mio padre mi aveva spesso raccontato di
una civiltà che viveva rinchiusa in altissime mura. Io non gli volevo credere,
o più che altro, pensavo che erano soltanto storie inventate. Lui però
insisteva che era realtà, che le aveva viste con i suoi stessi occhi in
gioventù. Quando sono stata scacciata dalla mia patria, ho seguito questo suo
sogno, convinta ormai della mia morte certa>> Lachesi detto ciò, si alzò
facendo un sospiro rassegnato e andò a rannicchiarsi nuovamente nell’angolo.
Tutto si tacque.
Nulla più si mosse.
Fine terzo
capitolo!
Titolo capitolo:
Onda
Angolo
dell’autrice:
Ok, oggi
volevo parlare invece della figura nuova
di Elizabeth Newton. Lo so che per ordine di apparizione, in teoria ci sarebbe
Wilde, ma voglio tenere ancora all’oscuro quel personaggio.
Allora, ho scelto
il cognome Newton in onore ad Isaac Newton, principalmente perché lei... beh,
perché è stata la prima ad ideare il concetto del dispositivo per la manovra
tridimensionale, sfruttando le leggi della fisica. Ho detto troppo a riguardo,
quindi è meglio che mi cucia la bocca!
Nome: Elizabeth
Cognome: Newton
Soprannome:
Dottoressa, Iron Maiden
Anni: ???? (ne
dimostra una trentina, ma nessuno ha mai osato chiederle la sua vera età e chi
l’ha fatto non ha vissuto abbastanza per raccontarlo).
Colore capelli:
Neri
Colore occhi:
Castano dorato/oro intenso
Altezza: 154 cm,
seppur lei si ostini a reputarsi più alta di Levi, visto che i tacchi che non
abbandona mai le donano almeno dieci centimetri in più di altezza.
Cibo preferito: unicamente
cibo salutare
Armi: oltre alle
spade dell’equipaggiamento, le piace squartare i Giganti anche con un paio di
mannaie.
Ama: pensare
liberamente, la scienza, la scienza, la scienza...
Odia con tutto il
cuore: Levi e il maschilismo
Mal sopporta: Levi
e la monarchia
Guarda con odio:
Levi e i suoi colleghi di lavoro (dell’ospedale)
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Capitolo 4 *** Alta marea ***
Quarto Capitolo
Quarto
Capitolo:
Υψηλή παλίρροια
Un
soldato armato solamente con un paio di spade leggere, a cavallo di un possente
ghepardo corazzato, spronò la bestia affinché corresse più veloce, seppur
ferita ad una zampa. Gli erano alle calcagna due Giganti che superavano
entrambi i dieci metri di altezza.
Il
ragazzo si chinò sul corpo dell’animale, come per avere una maggiore
aerodinamicità, mentre la voce di una donna dava l’ordine agli arcieri di
intervenire. Una pioggia di frecce gli venne allora in aiuto, oscurando il sole
e penetrando nei bulbi oculari dei mostri, seguita da una miriade di granate che
maciullò i loro piedi, per permettere in tal modo ad un gruppo di quattro uomini dalle
corazze nere come la notte di intervenire.
Ma
ecco che tre abomini spuntarono dalla boscaglia e, sorprendendo il giovane che
non si aspettava un attacco laterale, gli si gettarono addosso e per poco non
riuscirono a prenderlo.
Fu
in quel momento in cui il fanciullo di appena quattordici anni capì che non
avrebbe più rivisto i propri cari, che non avrebbe più assaporato le labbra
della propria promessa sposa, che sarebbe morto come i suoi amici prima di lui.
Inutilmente
incitò piangendo il felide a correre, la mano di un Gigante era ormai prossima
ad afferrargli il bacino. Non c’era più nemmeno il tempo di una preghiera,
anche perché nessuna delle divinità lo avrebbe assistito in un momento così
cupo.
Al
contrario delle sue aspettative però l’arto non riuscì a raggiungerlo, perché
la creatura fu abbattuta prima da un sol colpo di spada e lo stesso destino di
morte pervenne anche sulle altre due.
Una
ragazza dai lunghissimi capelli castani piroettava in aria con una tale grazia
da sembrar la reincarnazione di una dea dei venti. La sua lucente corazza
brillava alla luce del sole, l’aria di morte muoveva l’impetuoso mantello scarlatto,
mentre lei, posta sulla spalla del cadente nemico, si preparava per lo slancio
che le avrebbe permesso di raggiungere anche il secondo e il terzo abominio.
Come
una trottola, fendette il collo dei mostri e atterrò saldamente sul terreno con
la grazia di un felino, lanciando in seguito ordini alla squadra degli Equites,
i quali si diressero immediatamente in prima linea verso i Giganti stesi a
terra a causa delle ferite alle caviglie.
<<
Grazie, Comandante Thàlassa>> disse lui, avvicinandosi un poco <<
Avete messo a repentaglio la vostra vita per la mia...>>
<<
La mia vita...>> gli rispose il comandante, sistemandosi la gonna borchiata
in pelle, simile a quella che i gladiatori indossavano nelle arene << La
mia vita non è più importante della tua o di qualsiasi altro soldato. Ora vai
dai medici e fatti curare la ferita al braccio. Non vorrai certo morire per
un’infezione, vero?>>
<<
Grazie ancora>> mormorò il ragazzo, mentre guardava il proprio superiore
salire in groppa ad una possente tigre bianca corazzata e dirigersi insieme
agli altri soldati contro i Giganti.
Davanti
al pericolo.
Faccia
a faccia con la morte.
Foresta
non distante dal quartier generale in disuso, ottobre, 851
Levi si svegliò,
meravigliandosi e maledicendosi di essersi addormentato. Si alzò da terra,
ripulendosi schifato i pantaloni dalle foglie e dal fango, poi guardò tutt’attorno.
Una nota calma imperava: riusciva a sentire il cinguettio degli uccelli, lo
scorrere di un piccolo torrente, persino il verso di alcuni animali, ma non la
voce di Lachesi.
Doveva essersi
destata dal sonno prima di lui, visto che non c’era alcuna traccia della
giovane.
Gli occhi del
Caporale Maggiore diventarono talmente cupi da spaventare persino una coppia di
volatili che si erano appollaiati su un ramo poco distante.
Era palese che lo
aveva abbandonato per fuggire chissà dove, seguendo un’idea bislacca di
libertà. E per questo provò un infinito fastidio, forse ancora più intenso di
quel che sentiva quando vedeva dello sporco o del disordine.
Gli aveva causato
rogne fin da subito, soprattutto perché non poteva nemmeno trattarla come aveva
fatto in precedenza con Eren. I loro livelli riguardo la forza fisica quasi si corrispondevano,
quindi anche quando si era trovato infinitamente tentato a farle sputare
sangue, sapeva già che per farla penare, avrebbe dovuto penare lui stesso. Però
doveva riconoscerle l’incredibile disciplina, infatti seppur ogni tanto lo
istigasse, era consapevole riguardo chi comandava e a suo modo gli portava
rispetto. Un rispetto diverso da quello di molti altri soldati, perché il suo
era sentito, anche se si trovava in un luogo completamente estraneo.
Erano quei lati
del carattere talmente in contrasto da risultare incompatibili a innervosirlo.
Levi si era trovato spesso a trattare con casi umani, ma raramente erano
così...
Non sapeva nemmeno
come catalogarla: non era stupida, anzi, era fin troppo intelligente, un
intuito alquanto pericoloso se sposato con anni di tattiche belliche; tuttavia
non era nemmeno casinista, perché sapeva rimanere al proprio posto e al
contempo spingere l’avversario al limite della sopportazione in modo pacifico.
Non era altro che una
croce e per il Caporale il solo fatto di averla persa significava solo un peso in
meno. O forse nemmeno questo, perché essendo una sua responsabilità, Erwin non avrebbe
di certo accettato di buon grado la notizia della fuga.
Mentre ponderava su
quella momentanea libertà, ritrovò Lachesi poco distante, seduta affianco ad un
piccolo fuocherello precario su cui stava cucinando della carne. L’averla
ritrovata però gli causò solo un insolito conforto, come per un padre riunirsi
con i figli dopo un tragico evento.
<< Ohi>>
disse cupamente << Che cazzo pensavi di fare? Ti ho detto di non
allontanarti>>
<<
Buongiorno Caporale, felice di vederla così allegro già di prima
mattina>> brontolò lei, porgendogli uno spiedo su cui c’era la carne
coperta da una strana crosticina dorata << Ho preparato la
colazione>>
<<
Cos’è?>>
<< Un
leprotto insaporito con un po’ di miele e qualche erba speziata che ho
trovato>>
<< Sai
cucinare?>> domandò dubbioso, osservando il cibo come il proprio peggiore
nemico.
<< Certo, dopotutto
sono una donna. Perché questa domanda?>>
<< Sei
l’essere più lontano dal concetto di casalinga che io co...>> pensò a
Hanji Zoe, una caposquadra dal carattere molto particolare, allora non tardò a
correggersi << una degli esseri>>
<< Beh,
sicuramente non sono nata per vivere facendo la massaia, però come ogni ragazza
ho dovuto apprendere i concetti base per essere una moglie decente. Uno di
questi è la cucina>>
Dopo un momento di
sguardi reciproci la bestia cotta e il Caporale Maggiore, questo virò d’un
tratto l’occhiata atona sulla ragazza.
<< Come hai
pulito lo spiedo?>>
<< C’ho
scatarrato sopra, va bene?>> scherzò lei, seppur fosse visibilmente
innervosita << Ma che razza di domande sono? Ho lavato le spade nel fiume
prima di tagliare la carne e di affilare il bastoncino>>
Solo dopo essersi
accertato dell’igiene, Levi si decise a mangiare, anche se non si fidava per
niente della cuoca. Rimase un momento a masticare, degustando ogni sapore, fino
a deglutire.
Non diede la
soddisfazione alla giovane di ricevere un commento positivo, si limitò a masticare
in muto silenzio. L’ex comandante però fu visibilmente felice della riuscita
del piatto, tanto che si concesse di sedersi nuovamente al suo fianco.
E il Caporale
Maggiore, ignorandola, le diede nuovamente il permesso.
Foresta
non distante dal quartier generale in disuso, ottobre, 851
<< Dovete
sapere che in questo modo abbiamo fatto un importante passo avanti, scoprendo
la cura per questa malattia...>> disse Elizabeth, mentre saltava da un
ramo all’altro con una spiccata abilità nell’utilizzo dell’equipaggiamento
speciale.
Eren si domandò
come facessero le persone a parlare per cinque, sei, sette ore interrottamente
sullo stesso argomento. Persino nel sonno, costringendolo così ad ascoltare alcune
teorie scientifiche anche durante le ore notturne dedicate ad un ipotetico
riposo.
Stimava Wilde per
riuscire a mantenere quello sguardo fermo per tutto tempo, seppur fosse
spettato a lui il turno di guardia. Procedeva in un modo così sciolto, fresco e
per niente esasperato dall’eterno discorso della dottoressa che il giovane
iniziò ad ammirarlo proprio per questa sua forza.
<<
Wilde>> mormorò, ma non ricevette alcuna risposta.
Pensò che non avesse
sentito a causa del rumore dei dispositivi per la manovra tridimensionale, così
riprovò più volte, ottenendo però lo stesso risultato. Allora tentò di
avvicinarsi per picchiettargli la spalla, però appena lo toccò, l’albino fece
un guizzo pari ad un pesce di fiume, incespicò e piombò giù dall’albero,
finendo a gambe all’aria. Lanciò una sonora bestemmia, seguita poi da altre
colorate imprecazioni.
<< Porco di
un dannatissimo gigante di merda, chi cazzo è che mi ha svegliato?>>
ringhiò, rialzandosi e ripulendosi i pantaloni.
<< Stavi
dormendo?>> domandò incredulo Eren, non riuscendo a comprendere come
facesse un uomo a compiere movimenti così perfetti da sonnambulo.
<< Ma porco
cane! Ma che cazzo avete tutti da rompere i coglioni? Ma vaffanculo va’,
stronzi di merda! Mai visti spaccacoglioni simili...>>
<< Eren, non
preoccuparti, questa è la fase incazzata. Tra un po’ dovrebbe finire e svegliarsi
completamente>> spiegò la dottoressa << Non è contro di te, in
questo momento è contro il mondo>>
<< Ma quindi
è lui il fantasma che vaga di notte sparando a chi esce dal castello?>>
<< Esatto.
Il problema è che ha una mira infallibile, soprattutto nel centrare i glutei nel
caso di ragazze o organi genitali nel caso di ragazzi. Per questo abbiamo
munito Levi ed Erwin di padella, visto che neppure legarlo al letto sembra dare
alcun risultato. In compenso però ho affinato le mie capacità di castrare gli
uomini, perché devi sapere che si deve essere molto precisi, soprattutto quando
il proiettile si conficca nel...>> seguì una dettagliatissima lezione,
talmente accurata che fece riflettere Eren su quante persone avesse eseguito
tali e ben altre operazioni.
Quest’ultimo provò
anche un po’ di inquietudine quando la donna, cingendogli un braccio intorno
alla spalla in una presa ferrea, gli disse bonariamente che se avesse avuto
bisogno di simili interventi, lei sarebbe stata più che felice di eseguirli.
<< Oh, staresti
così bene da donna. Ti immagini? Una bellissima ragazza con almeno una terza di
reggiseno e capelli lunghi fino alle spalle... dio quanto saresti graziosa! Tutta
da mangiare! Eren, ho deciso: tu da domani diventi donna>>
<< Ma... io
a dir la verità sono felice così...>> mormorò il giovane.
<< Vuoi
mettere la bellezza di essere donne? Cioè, so che un maschilista come te non
può capire, ma... insomma... e poi diciamolo, tra te e una donna la differenza
e minima. Solo una cosa ti separa dalla felicità terrena, ricordalo>>
detto ciò la dottoressa gli toccò alquanto indiscretamente il cavallo del
pantaloni, prima di spronare il gruppo ad aumentare il ritmo di corsa.
Eren prima di
allora non aveva mai avuto l’occasione di vedere realmente la dottoressa, perché
quando lei si trovava con i superiori diventava molto più mite, tanto che si
era guadagnata il soprannome Iron Maiden
proprio per la sua intransigenza e terribile serietà. La vera Elizabeth però era ben diversa, più pazza, più conforme
all’ambiente della Legione Esplorativa, sempre con un sorriso stampato sul
viso.
E il ragazzo
preferiva quest’ultima versione, piuttosto che la prima, seppur certi argomenti
cui lei trattava senza peli sulla lingua riuscissero a metterlo a disagio.
<< Ragazzi,
ricordatevi il nostro motto: più bassi di centosessantun centimetri cattivo,
più alti di centosessantun centimetri buono>>
<<
Elizabeth, ma tu non superi nemmeno il metro e cinquanta>> brontolò
amaramente Wilde.
<< Un metro
e cinquantaquattro centimetri, prego. E poi io indosso i tacchi a spillo che mi
donano dodici centimetri in più. Quindi un metro e sessantasei>>
<< Sarebbe
da darti una medaglia solo perché riesci a combattere, correre e saltare con
quei strumenti di tortura>>
Wilde si girò
bruscamente dopo aver sentito un ramoscello spezzarsi e per un istante notò una
figura nascosta tra la boscaglia, troppo distante per riuscire ad identificarla.
Fece scivolare la
mano sulla pistola appesa alla cinta, ma alla fine desistette al desiderio di
perforare il cranio di quello che li stava pedinando, preferendo proseguire la
marcia.
Foresta
non distante dal quartier generale in disuso, ottobre, 851
Lachesi procedeva
in silenzio a piedi, al fianco di Levi, il quale era a cavallo. Era stata lei a
non voler cavalcare assieme al Caporale Maggiore, principalmente per evitare
inutili litigi.
Sentiva ancora di
tanto in tanto qualche fitta proveniente dalla gamba ferita. Di norma anche il
taglio più profondo si cicatrizzava nel giro di una decina di minuti, mai oltre
i dieci. Figurarsi dopo un giorno.
Decise di non
avvertire il Caporale di questo fatto e di continuare come se niente fosse,
camuffando il dolore con un’espressione più mite mentre raccontava le vicende
di alcune battaglie passate. E anche se erano un po’ romanzate, parvero
attirare l’attenzione dell’uomo, il quale l’ascoltava interessato, seppur
mantenesse comunque la propria aria distaccata.
<< A quel
punto intervenne la squadra degli assassini, che con la spiccata velocità
riuscì ad abbattere gli elefanti nemici. Ti immagini? Enormi animali, grandi
quasi quanto dei Giganti, con lunghe zanne e grandi orecchie! Quando li abbiamo
visti la prima volta eravamo rimasti un po’ spiazzati>>
<< Avete
animali bizzarri...>> commentò il Caporale con voce atona, non riuscendo
ad immaginare l’animale appena citato.
<< E voi
attrezzature infernali>> brontolò lei, sfiorandosi il fondoschiena, il
quale aveva ammortito dolorosamente diverse cadute << Comunque gli
Elefanti non sono nostri, ma di una tribù proveniente dall’estremo oriente, al
di là delle altissime montagne. Sono uomini anche più bassi di te, sai?>>
lo schernì poi, causando un incupimento del viso del suo superiore.
<< Quando
torneremo, ti farò pulire per intero il castello>>
<< Grazie
Caporale, lei è troppo gentile>>
Qualcosa smosse la
boscaglia. Non era il vento, bensì qualcosa di corporeo, poiché entrambi
notarono una figura che si avvicinava a grandi passi.
Lachesi estrasse
due spade e si preparò al combattimento, così come Levi scese dal cavallo e
attese con le armi alla mano. Aspettarono con nervi saldi, con gli occhi fissi
nel buio, dove una sagoma stava per sorgere e attaccarli.
Il rumore si fece
sempre più vicino, i rami spezzati erano sempre più frequenti. Tutti e due
ipotizzarono che si trattasse di una bestia, un predatore inesperto che avrebbe
concluso la propria vita tagliato dalle lame dell’attrezzatura speciale.
Sempre più vicino.
Si riusciva ad udire il respiro accelerato.
Ora si poteva
distinguere un corpo umano, dove spiccava un bagliore dorato piuttosto
animalesco.
Il Caporale
Maggiore non fu abbastanza lesto a frenare l’essere, poiché questo aveva
spiccato un fulmineo balzo verso Thàlassa, stringendola in una morsa degna del
migliore serpente.
<< Lachesi!
Piccola! Pensavamo che fossi stata sverginata!>> singhiozzò Elizabeth, avvinghiando
la ragazza sempre di più << Non ti ha stuprato, vero? Altrimenti lo
abbasso di venti centimetri>>
<<
Buongiorno, Dottoressa>> disse l’uomo con voce cupa, a tratti anche innervosita.
<<
Buongiorno, nano>> ricambiò la donna, lasciando l’ex generale <<
Che le hai fatto.>>
<<
Niente>>
<< Non mi
fido... ti tengo d’occhio>> poi lei ritornò a guardare Lachesi <<
Amore, guarda che faccia deturpata dallo sporco. Racconta a mamma, che cosa ti
ha fatto? Lo sappiamo entrambe che è un nano approfittatore>>
<<
Nulla...>> mormorò disorientata la giovane.
<< Non devi
proteggerlo!>> la scosse allora la scienziata << Fammi vedere se ti
ha procurato ferite>> aggiunse poi, tentando di abbassare i pantaloni di
Thàlassa, ma quest’ultima si oppose e si allontanò con il volto color rubino
acceso.
<< Lo
sapevo! Brutto nano porco, non posso lasciarti due minuti che già me la
deturpi?>>
<<
Buongiorno, boss!>> salutò allegro Wilde, che si era ripreso dal brusco
risveglio, seguito poi da Eren.
Levi non rispose a
nessuno, anzi sospirò seccato, montando in groppa al cavallo.
Grazie a loro
aveva smesso di pensare che esistesse qualcosa di impossibile, che si trattasse
di una battaglia, di un ragionamento o di una situazione di vita quotidiana.
Perché se esistevano persone così estroverse, talmente particolari da poter
causare il suicidio di qualsiasi psichiatra, nulla poteva reputarsi
infattibile.
Era una squadra
completamente differente dalla precedente, caduta durante una terribile
spedizione. Spesso lo stesso Caporale Maggiore si era domandato se sarebbe stato
in grado di guidarli. E più rifletteva, più osservava i loro comportamenti e
più giungeva verso una risposta negativa, non riuscendo a capire il
motivo per cui Erwin avesse insistito a inserire nello stesso gruppo elementi
così differenti e così in disaccordo.
Era solo un totale
suicidio. Era questione di tempo.
Fine Quarto
Capitolo!
Nome capitolo:
Alta Marea.
Angolo
dell’autrice:
Ok, volevo parlare
di questo capitolo prima di presentare il “personaggio del giorno”. Lo so che forse
è stato troppo demenziale, ma volevo creare questo trampolino prima del
doloroso pugno nello stomaco che prima o poi arriverà. Perché arriverà. Molto presto.
Inoltre volevo
anche presentare al meglio la squadra, in un modo anche ironico,
perché
dopotutto non è un gruppo comune e del tutto sano di mente.
Anzi, alquanto problematico, soprattutto per me che devo far
rinconciliare il tutto e cambio idea ogni tre secondi.
Sto facendo una
fatica assurda con gli anni, perché solo adesso ho
trovato un leggero problema, visto che un padre di venticinque anni non
può avere un figlio di venti (e il bello che me ne accorgo dopo
millanta anni =.=). Vabbeh, non sono
mai stata un’amante dei numeri, quindi un simile errore era prevedibile.
Detto ciò, oggi
parliamo di Oscar Wilde.
Il nome è un
chiaro tributo allo scrittore Oscar Wilde (e qua ci starebbe un “ma dai?”).
È un personaggio
per me molto difficile, poiché ammetto di non aver delineato ancora bene il
carattere, anche se la sua storia l’ho ben chiara in testa.
Di lui, per
evitare eventuali spoiler visto che è un personaggio che si scopre poco a poco,
dico soltanto di prestare attenzione al fuoco, che è molto importante. E che è
un falso albino, ovvero non è totalmente privo di melanina, perché... appunto
non è albino. Ha i capelli bianchi e gli occhi rossi a causa di un effetto
delle iniezioni che ha subito da moooolto piccolo.
Nome: Oscar
Cognome: Wilde
Soprannome: Albino
Età: 20 anni
Altezza: 189 cm
Peso: 78 kg
Colore capelli: Bianchi
Occhi: Rossi
Cibo preferito: predilige
la carne, in particolare quella al sangue. Altrimenti mangia volentieri anche i
Mochi che gli prepara Lachesi.
Ama: disegnare, scrivere,
le donne, le proprie armi da fuoco...
Odia: Pólemos e Agápe
Mal
sopporta: dopo il capitolo 5, Erwin e Elizabeth
Prova
interesse per: Mikasa
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Capitolo 5 *** Tranquillità ***
Quinto Capitolo
Quinto
Capitolo:
Ησυχία
Delle
calde lacrime solcarono il viso di una ragazza di all’incirca quindici anni,
sfiorandole le ferite aperte che non tardavano a cicatrizzarsi.
Ancora
dalla strada si sentivano le musiche di festa, i canti lieti che esaltavano il
felice evento del matrimonio tra due figure di così tanto rilievo. Ma in quella
stanza, immersa nell’oscura penombra, dove solo un raggio della gelida luna
riusciva a penetrare e a illuminare il pavimento in marmo bianco, si respirava
tutt’altra aria.
Un’atmosfera
pesante, di chi aveva sofferto per tutto il giorno e stava per soffrire per
tutta la notte.
La
fanciulla, rannicchiata sul letto, tentava di soffocare i propri singhiozzi tra
i morbidi guanciali bianchi, mentre stringeva l’abito che l’aveva accompagnata
in quella giornata tanto lieta per il popolo. Rosso, sontuoso, bellissimo, degno
di chi lo indossava, seppur questa lo detestasse con tutto il cuore.
La
fredda luce volse la sua attenzione sulla ragazza, facendo risaltare in
particolar modo la macchia di sangue che si trovava ai piedi della giovane e
che si stava allargando sempre di più, inzozzando le candide lenzuola.
La
porta della camera si aprì ed entrò un alto e muscoloso uomo di all’incirca
quarant’anni, il quale portava unicamente un telo attorno alla vita.
<<
Eri la ragazza più bella oggi, sai? La più bella di tutta la capitale>>
rise lui, posandole lo sguardo blu elettrico sul corpo << Peccato che tu
abbia voluto ribellarti alla mia autorità...>>
<<
Pólemos... io non sarò mai tua>> sibilò
lei, ormai stanca di piangere.
<< Oltre ai tendini ti dovevo tagliare anche la lingua,
puttana di merda>> disse, avvicinandosi << Sono forse lacrime
quelle? Che ipocrisia, per una che non ha nemmeno pianto al funerale del
padre>>
<< Parli tu di ipocrisia, Pólemos? Tu, il
salvatore?>>
<< Preparati a soffrire>> ringhiò l’uomo, salendo
sul letto, visibilmente spazientito dal sarcasmo della fanciulla << Come
mai prima d’ora>>
Castello
del re, novembre, 851
Mancavano ormai
pochi giorni all’imminente spedizione, la prima di Thàlassa. Non era
elettrizzata al pensiero, era tranquilla, anche perché nella sua breve vita
aveva visto fin troppe battaglie.
Strinse un poco il
proprio abito rosso, prima di lasciare la tensione e fare un lungo sospiro. Mal
sopportava essere al centro dell’attenzione, soprattutto in quel momento dove
si sentiva come una bambola di porcellana esposta in una vetrina. Essere stata
invitata ad un ricevimento nel sfarzoso castello del monarca era un grande
privilegio, dovuto principalmente alla fama immeritata sempre più crescente.
Sempre più spesso si sentiva paragonata ad una delle tre dee, Sina, Rose o
Maria, arrivando addirittura a persone che la osannavano per le vie di Wall
Sina, gettandosi ai suoi piedi. Lei non sopportava essere vista come una figura
celeste, anche perché non aveva fatto nulla per meritarlo.
Era anche ben
vista dagli uomini per la sua bellezza divina,
sparlata invece dalle donne, le quali riuscivano sempre a trovare difetti. Ma
la ragazza non ascoltava né l’una, né l’altra voce, poiché le proprie idee
riguardo il fisico erano rimaste le stesse: prima di essere una femmina, era un
soldato.
Avrebbe voluto
presentarsi direttamente in divisa per quell’evento, per affermare le proprie
convinzioni, ma era stata costretta sia da Erwin che da Elizabeth a vestirsi
elegantemente. Quest’ultima tra l’altro aveva insistito particolarmente a farle
indossare un lungo e bellissimo abito scarlatto, dai tratti orientali, con
un’elegante scollatura sulla schiena e un raffinato ricamo di una tigre che
prendeva spazio sulla parte inferiore sia su quella superiore; aveva inoltre
anche una spaccatura su entrambi i lati che le arrivava fino ad intravedere il
pizzo dell’intimo e un colletto che le copriva interamente il collo.
Un tipo di abito
che suscitò in Lachesi una nostalgia di casa, sia positiva che negativa.
Infatti quel tipo di vestiti spesso li aveva visti in vendita nei grandi
mercati cittadini, dei quali ricordava soprattutto gli accentuati odori di
spezie e di essenze intense, i colori brillanti, il fiume indistinto di persone
che scorreva senza mai fine; tuttavia il rosso le faceva tornare alla memoria
momenti incredibilmente difficili, come il matrimonio forzato o il funerale del
padre.
Newton non le
rivelò come era riuscita a reperirlo, però era stata ben disposta a
regalarglielo, dicendo che era giusto che lo restituisse. L’ex comandante non
comprese, anche perché lei non aveva mai posseduto indumenti così curati, ma lo
accettò ugualmente.
Non appena il
lungo corridoio che conduceva ad una grande sala per i ricevimenti giunse al
termine con un grande portone intarsiato, lei si fermò. Guardò i suoi compagni
in un muto silenzio.
Mikasa fissava con
sguardo critico Eren, il quale, come Sasha, stava attendendo solo il momento
per fiondarsi ad assaggiare i prelibati piatti serviti. Elizabeth e Hanji
invece erano un po’ più indietro e stavano dialogando animatamente –da più di
due ore ormai- riguardo i Giganti. Armin stava tentando di placare il litigio
tra Eren e Jean, fallendo miseramente; nessuno sapeva quale era stata la causa
effettiva di tale disputa, nemmeno i due litiganti a dir la verità.
Levi ed Erwin
erano al suo fianco e la osservavano, l’uno con un’occhiata atona, l’altro con
fiducia.
<<
Lachesi>> disse Hanji, cingendole le spalle in un amichevole abbraccio
<< Falli secchi tutti!>>
<< Quanto
vorrei farlo>> sospirò Lachesi in risposta, abbassando la maniglia.
Appena entrò, sentì
un innaturale silenzio, seguito poi da bisbigli e esclamazioni come “Oh” oppure “Guarda, è lei”. La ragazza non parlò, restò taciturna a testa alta,
mentre seguiva i suoi superiori, sperando nel frattempo solo di scomparire.
Era una stanza
molto affollata, soffocante, dove tutti erano vesti in modo sfarzoso, in
sintonia con il resto.
Si notava subito la
drastica differenza tra i nobili e i membri della Legione Esplorativa: i primi
erano composti, impregnati di un’aria altezzosa irrespirabile, quasi quanto il
tanfo dei loro profumi; i secondi, per la gran parte, erano come animali
portati in un ambiente diverso da quello naturale, quindi completamente
disorientati.
Il monarca si
avvicinò con un’andatura balzellante a causa della stazza, seguito da un paio
di guardie armate. Salutò apertamente Erwin e Levi, diede un cenno ad Eren e
ignorò gli altri, prendendo invece sottobraccio Lachesi e trascinandola in
fondo all’ambiente, dove si trovava un sfarzoso palco su cui c’era il trono.
Durante il tragitto continuava a parlare. Parole che scivolarono su di lei come
l’olio sull’acqua.
<< Guardate!
La rincarnazione della Dea Sina!>> disse l’uomo per attirare l’attenzione
e il silenzio generale << Lei ci salverà dalla piaga dei Giganti!>>
Alla sua
affermazione, seguì uno scroscio di applausi, addirittura di urla. Lachesi
tentò di liberarsi dalla stretta, ma finì solo per aggravare la situazione,
visto che il re fece scivolare furtivamente una mano sul suo fianco e anche più
in basso. A quel punto però lei gli diede un’occhiata talmente glaciale da
farlo desistere nel palpare oltre.
Non poteva
ribellarsi apertamente, perché avrebbe rischiato di compromettere anche tutta
la squadra, però meditava dentro di sé vendetta.
<< Lei è un
segno! Un segno che l’umanità ha ancora speranza! Lei è una dea!>>
Thàlassa alzò lo
sguardo verso il pubblico strepitante quasi schifata. Ma l’affermazione che gli
causò un minimo di reazione, fu la frase Di
nobili origini, lei ci salverà.
<< Ditemi,
quante dee conoscete che sono nate da una prostituta e un comandante morto trucidato?
Quante dee conoscete che hanno sofferto per la morte dei compagni caduti in
battaglia? Quante divinità sono state costrette ad abortire, ad uccidere il
proprio figlio ancora in grembo, per una scelta di un gruppo di anziani? Io non
sono una dea, né voglio esserlo. Io sono stata un comandante, ora sono un
soldato, ma nulla più. Non sono una salvatrice>>
<< Oh,
quanta modestia!>> rise il re, contagiando la risata anche ai borghesi
<< Aprite voi le danze, così da deliziarci con questo bel corpo>>
Lachesi fu tentata
ad urlargli contro ogni pensiero che le correva repentino nella mente, ma
appena posò gli occhi su Erwin si trattenne, chinando il capo in segno di resa.
Avanzò come sotto un arco di spade nemiche, fino a fermarsi nel centro della
stanza, dove le avevano concesso lo spazio per la danza.
Tutti la
osservavano. Tutti si aspettavano qualcosa, chi uno sbaglio, chi uno spettacolo
degno di nota. Tutti la consideravano alla stregua di oggetto.
Fece una riverenza
delicata, in seguito si preparò per compiere il primo passo, ma qualcosa la
bloccò. Elizabeth le teneva saldamente le spalle, per poi lasciargliele
dolcemente.
<< Ed io
dico no>> disse con voce chiara la dottoressa, muovendosi nella
circonferenza << Non me ne frega un tubo se vi reputate migliori perché
avete la trippa che vi tocca terra o così tanti soldi che li usate per pulirvi
il culo. Lei è una persona tanto quanto lo siete voi, grande borghesia, e trattarla come se fosse una scimmia danzante mi
sembra incivile e inumano. Volete mettervi contro di me? Va bene, fate pure,
poi le operazioni in ospedale le farete voi, con la vostra amplissima conoscenza. Volete prendervela con la Legione
Esplorativa? Ma perfetto! Vorrà dire che metterete il vostro regale
fondoschiena sui cavalli e andrete fuori voi>>
<<
Elizabeth, danzerò, lascia stare>> cercò di mitigare Thàlassa,
inutilmente.
<< Ti hanno
paragonata ad un muro! Cioè, io non direi mai Figlio, sei così importante che ti considero un mattone, anche se
quel mattone svolge il suo ruolo alla perfezione, anche se è il miglior mattone
della storia. E sai perché? Perché nel mattone non pulsa un cuore, nel mattone
non c’è un cervello. Tu non sei un muro, né una divinità, anche perché se
realmente esistessero le divinità, non ci troveremo in una situazione così
sbilanciata. E non dico per i Giganti che, per carità, sono una bella trave
anche loro. Io parlo della disparità sociale, che è una piaga ben più
grande>> la donna si fermò a contemplare la platea stupefatta <<
Non voglio creare nessuna lite in questa serata. Voglio soltanto che voi usiate
la vostra materia grigia e capiate che Lachesi, Erwin, il nano, un nobile, un
barbone, un pescivendolo o un fattore sono tutti umani. Certo, alcuni umani un
po’ speciali, ma pur sempre umani. Quindi vi chiedo di non trattare Lachesi né
come una schiava, né come una divinità, ma come una donna. Non vedete che è una
donna? Beh, vi consiglio una visita oculistica>>
Silenzio generale.
La maggior parte
degli sguardi era ora concentrata sul monarca, il quale era visibilmente
irritato dalle parole sfacciate della Dottoressa, tanto che voleva addirittura
risponderle. Ma poi, quando pensò a cosa sarebbe accaduto se avesse ordinato di
giustiziarla, desistette, perché avrebbe rischiato di far uccidere un
importantissimo pilastro della loro società.
Era lei che
svolgeva le più importanti operazioni in ospedale, era lei che istruiva i nuovi
dottori, era lei che riusciva a mantenere la calma tra la popolazione,
prestando servizio gratuito ai bisognosi che non avevano la possibilità di
pagare le cure in ospedale.
Allora pensò di
rivolgere la propria ira contro la Legione Esplorativa, ma anche in quel caso
fu costretto a ragionare. Anche se il numero di morti era ingente, svolgeva un
significativo ruolo, anzi, senza questa branchia della milizia probabilmente i
Giganti sarebbero già da tempo entrati nelle mura.
Tuttavia lui era
il re e non poteva farsi mettere i piedi in testa.
Wall
Sina, novembre, 851
Wilde bevve d’un
sorso una pinta di birra, prima di alzarsi e attaccare la preda designata, da
bravo predatore qual era. Camminava con passò deciso e sorprese una cameriera
alle spalle, facendola sobbalzare leggermente.
Questa tentò di
ribellarsi e a rispondergli in modo sgarbato, ma la voce suadente del soldato
iniziò a persuaderla sempre di più, fino a farla cadere quasi in uno stato di
trance. Si sedettero ad un tavolo appartato, lontano dai ricchi ubriaconi e da
sguardi indiscreti.
Oscar fece un
sorriso malizioso, mentre avvicinava le proprie labbra a quelle della ragazza,
gongolando dentro di sé per il bottino della serata. Ma una vista gli fece
desistere dal suo obbiettivo, seppur l’atmosfera, aiutata dalla musica
orecchiabile, fosse perfetta.
Infatti dentro al
bar irruppero alcuni membri della Legione Esplorativa, come barbari in un
villaggio di contadini, guidati da Elizabeth, la quale la prima cosa che fece
fu quella di infastidire il giovane conquistatore.
La cameriera si
alzò imbarazzata, mentre il bel tavolo di legno diventava un luogo fin troppo
affollato.
Wilde, con l’amaro
in bocca, osservò i suoi compagni con un’occhiata mista a odio e fastidio.
<< Siete
resistiti molto>> brontolò il ragazzo, mentre la dottoressa gli
spettinava i capelli.
<< Abbiamo
avuto una complicazione>> spiegò Erwin, sedendosi davanti a lui, dove
prima c’era la bella fanciulla. Un ennesimo colpo al cuore per l’albino
<< Ti sei perso un grande spettacolo>>
<<
Già...>> sospirò Wilde, guardando ancora la mancata preda che si
allontanava sempre di più.
<< Adoro
questo bar! C’è anche la musica! Come facevi a conoscere un simile
posto?>> domandò Hanji, rimanendo stupita dalla cura del locale, seppur
si trovasse in periferia.
<< Eh,
grazie ad un mio giovane allievo. Quando dovevo recuperarlo, lo trovavo sempre
qui>> le rispose Elizabeth dando un fugace sguardo a Oscar << Se
ordini una decina di bevande alcoliche tra l’altro, ti servono anche del cibo
gratis>>
Sasha, Eren e Jean
a sentir parlare di cibo gratis, attivarono istantaneamente i loro neuroni e,
se la prima iniziò a trangugiare birra solo per le pietanze, gli altri due per
una classica gara alquanto competitiva.
Nella competizione
si aggregarono anche Mikasa, per non allontanarsi troppo dal proprio fratello, Armin,
che però cedette a poco dall’inizio, Connie e lo stesso Oscar, il quale beveva
per dimenticare.
Nessuno sembrava
serbar dispiacere per la serata sfumata al castello del re, solo Lachesi,
seduta un po’ distante dagli altri, pareva avere un’aria malinconica. Dentro di
sé ribolliva di ira, per essersi dovuta trattenere in quel modo davanti alle
umiliazioni ricevute dai nobili. Era un nervoso che sfociava però in tristezza,
poiché il bere su di lei faceva un effetto alternativo.
A nulla servirono le
due pinte che ordinò, se non farle perdere un po’ l’attaccatura che aveva con il
passato e a procurarle un fastidioso formicolio alle mani. Nella sua ingenuità
non si accorse nemmeno che qualcuno stava già tramando per risollevarle il
morale.
O perlomeno, non totalmente,
visto che si accorse quando Erwin, veloce come una saetta, placcò il capo della
Polizia Militare Neil Doak, il quale si stava avvicinando a dove era seduta
l’ex comandante.
Non fece domande.
Non volle far domande. Continuò a bere senza alzare gli occhi dal bicchiere,
per poi deprimersi sempre di più.
<<
Ohi>> disse Levi, osservando la ragazza accasciata sul tavolo <<
Alza il culo e reagisci>> aggiunse.
<< Non è il
momento giusto, lasciami stare>> mormorò lei, con la testa tra le
braccia.
<< Ti ho
detto di alzare il culo. È un ordine>>
<< E perché?
Voi smerdarmi anche tu? Grazie, ma non mi serve>>
<< Vieni a
ballare>>
La ragazza alzò il
capo e osservò con un’occhiata dubbiosa i recipienti vuoti davanti a sé. Doveva
ammettere di non saper reggere l’alcol, però due bicchieri di vino e di birra
riusciva ancora a berli senza perdere del tutto la lucidità.
<<
Eh?>> domandò incredula, passando lo sguardo sul proprio superiore, in
piedi al suo fianco.
<< Non lo
ripeto>>
Al momento desistette
a fare congetture tra il placcaggio del comandante e quella bizzarra e
inaspettata proposta del Caporale Maggiore. Rimase un attimo incerta su cosa
rispondere, poiché il suo cervello non era abituato a simili situazioni.
Fu quasi un automatismo
delle gambe a spingerla ad alzarsi.
Tanto sarebbe
stato solo per una canzone, poi sarebbe tornata al suo angolo buio, solitario e
sconfortante. Avrebbero ballato su motivi celtici e veloci, quindi nemmeno
l’imbarazzo di danzare appiccicati come cozze.
Raggiunsero la
pista, dove sul fondo, posti su un modesto palchetto, si vedevano gli artisti
che suonavano egregiamente, ma anche Hanji a ginocchioni, la quale passava
furtivamente un po’ di spiccioli al violinista e alla cantante, prima di
scomparire tra la folla.
Lachesi e Levi si
fermarono e si osservarono per lungo tempo, decidendo mutamente di mantenere le
distanze.
Ma puntuale come
un orologio svizzero, iniziò una melodia lenta, adatta ad un ballo di coppia.
Non servì nulla guardarsi attorno, notando che erano i soli a rimanere
distanziati l’uno dall’altra. Il dado era
tratto e già qualcuno dagli occhi dorati sogghignava malignamente
nell’ombra, sbattendo poi un piede contro una gamba di un tavolo.
<< Ora che
ci penso, sarebbe meglio che io ritorni al tavolo. Non sono abituata a ballare
su una simile mu...>>
Il Caporale
Maggiore le afferrò il polso con aria cupa.
I neuroni della
ragazza ebbero un collasso, non riuscendo più a gestire la situazione. Era
abituata a elaborare piani, strategie belliche, controstrategie, ma non si era
mai trovata in una situazione così bizzarra.
Non provava nessun
sentimento per quell’uomo che non fosse la fiducia; aveva imparato a parlare
con lui apertamente, forse fin troppo, divertendosi soprattutto a fargli saltare
i nervi. Quindi non riusciva a comprendere perché improvvisamente una parte
dentro di sé voleva fuggire, ritornare nel buio.
Era solo un
innocente ballo.
<< Se vuoi
mi tolgo gli anfibi così da essere alla tua altezza>> lo punzecchiò,
mentre lui le poggiava meccanicamente una mano sul fianco.
<< Vedo che
ti è tornato il buon umore>> brontolò, osservandola cupamente.
<< Nah,
credo che sia il mio lato bastardo che non mi abbandona mai>>
Ci furono diatribe
fin da subito riguardo a chi dovesse dirigere. Più che ballo romantico,
sembrava una scena comica di qualche opera teatrale. Lachesi non accettava di
essere comandata e questo pensiero era in comune accordo anche con Levi.
Dopo però un paio di
mute imprecazioni e diversi Porco
lasciati sospesi, senza sostantivo a cui appoggiarsi, alla fine la ragazza
cedette la propria parte di leadership, seppur a malincuore, visto che era
stanca di travolgere le altre coppie e di doversi scusare.
E da lì accadde
l’impensabile. Un fatto che fece andare di traverso per lo stupore il vino ad
Erwin, il quale stava tentando di trattenere le risate fino ad un attimo prima.
Hanji e Elizabeth invece, sedute allo stesso tavolo, guardarono la scena
incredule, credendo che fosse un’illusione ottica.
Thàlassa e il
Caporale Maggiore, dopo un momento di rigidezza, danzavano quasi armonicamente,
incredibilmente vicini senza insultarsi o punzecchiarsi a vicenda. Avevano
raggiunto una strana sintonia, insolita sia per loro sia per chi li osservava.
<< è colpa
dell’alcol. Non riesco più a vedere lucidamente>> si giustificò la
dottoressa, finendo tuttavia la bottiglia.
<< Sono così
teneri... quasi quanto Sonny e Bean>> esclamò Hanji, asciugandosi gli
occhi.
<< Ti
dobbiamo dei soldi, Hanji>> disse Erwin, bevendo poi una pinta di birra
scura.
Lachesi osservava
i propri anfibi in silenzio, notando sempre nuovi particolari. Inutili o poco
rilevanti, come il fatto che durante il tragitto si erano sporcati un po’ di
fango o che non erano neri, ma di un grigio assai scuro. Qualcosa le impediva
di alzare lo sguardo.
Le sue mani invece
erano poggiate saldamente alle spalle del suo superiore, come se non volessero
più separarsi dalla camicia immacolata, seppur non ne conoscesse la causa.
Quel pensiero la
fece irritare un poco, causando una leggera convulsione delle dita, le quali
però si rilassarono nuovamente subito dopo.
Era una situazione
imbarazzante. Troppo imbarazzante.
Forse era per
quello che non voleva alzare gli occhi, per non vedere il probabile viso
irritato dell’uomo. Ma fu proprio Levi a costringerla a sollevare il capo,
prendendola per la liscia chioma castana.
<< Che
c’è?>> sbottò lei, desiderando solo allontanarsi da lui, ma al contempo
di restare lì per lungo tempo.
<< Ero stufo
di respirare i tuoi capelli>>
<< Almeno li
ho lavati>>
<< Devi
tagliarli. Ti intralceranno soltanto nella prossima spedizione. E non voglio
avere un peso morto a carico>>
<<
No>> rispose seccamente lei, facendo poi una leggera pausa << Non
posso. Oltre al fatto che nella mia cultura le donne con i capelli corti sono
principalmente le prostitute, non voglio mancare alla promessa che ho fatto a
mio padre>>
<<
Promessa?>>
<< Beh... mi
ha detto di farli crescere fino al suo ritorno vittorioso dalla battaglia,
perché io mi ostinavo a tagliarli per assomigliare agli altri bambini. Spero
ancora in un suo ritorno... perché su quella pira... so... che c’era solo un
fantoccio...>> distolse lo sguardo, per non mostrare i propri occhi
lucidi, prossimi al pianto.
Un pianto
infantile, lo riconosceva anche lei. E odiava con tutta se stessa mostrarsi
debole.
Levi le spostò
ancora il viso, questa volta con un po’ più di delicatezza e la osservò diritta
nelle iridi.
<< Non serve
a nulla vivere nel passato. Apri questi cazzo di occhi e vivi>>
stranamente non l’aveva detto con un tono aggressivo, ma con più comprensione.
Lachesi quasi non
si accorse di essersi appoggiata a lui, con il volto contro la sua spalla,
mentre versava quelle lacrime che aveva trattenuto per sette anni. Era colpa
essenzialmente dell’alcol, che le aveva appianato la sua resistenza al dolore dei
ricordi, ma anche della sua incapacità di continuare a reggerli.
<< Scusa...
ti sto riempiendo di moccio la camicia>> disse d’un tratto.
<< Ti farò
pulire il castello appena torneremo>>
<<
Grazie>> mormorò, tra un singhiozzo e un altro << sembrerò
patetica>>
<< Eri più
patetica prima con quella cazzo di espressione da Eren quando è costretto a
pensare>> brontolò, tenendole il capo con una mano.
<<
Madonna... ero veramente messa così male?>> rise lei, distaccandosi un
poco e asciugandosi così parte del viso.
La canzone finì e loro due, dopo un attimo di esitazione, si
allontanarono in muto silenzio.
Lei si sedette al
bancone e si unì agli altri della squadra nella gara del bere, anche se ormai
erano tutti mezzi ubriachi; Levi invece si sedette al tavolo con il comandante,
la dottoressa e la capo squadra, ormai troppo ebbri per domandargli qualsiasi
cosa.
Né Thàlassa, né il
Caporale Maggiore parlarono dell’accaduto in seguito.
E Lachesi, seppur
completamente brilla, eseguì ugualmente l’ordine del suo superiore, iniziando al
ritorno a pulire l’atrio; ma lui, con un colpo ben assestato di scopa, la fece
stramazzare al suolo e, con la pazienza che solo un padre nei confronti di una
figlia poteva avere, la portò sin dove si trovava uno scomodo divanetto e lì
l’adagiò, anche se malamente.
Fine quinto
capitolo!
Nome capitolo:
tranquillità (in greco antico).
Angolo
dell’autrice:
Volevo spendere
due parole riguardo ai vari rapporti che sono e saranno presentati nel corso
dei capitoli.
Allora il primo,
ovvero quello tra Pólemos e Thàlassa: in quella
cultura, non era considerato pedofilia, anche perché Thàlassa era già stata
riconosciuta come adulta. Anche il matrimonio combinato tra un quarantenne e
una quindicenne era visto come una prassi comune, visto che la moglie serviva
essenzialmente per procreare e per mantenere la casa. Nel caso di Lachesi,
essendo un comandante, solo la prima.
Agápe invece è un personaggio un po’ particolare.
Nei prossimi capitoli spero di riuscire a presentarlo meglio, comunque lui non
ha una, non ha due, non ha tre, ma bensì un intero stuolo di amanti (donne e
uomini), di cui fanno parte anche i suoi allievi. Il rapporto pederastico
(quello tra maestri e allievi) appartiene essenzialmente dell’Antica Grecia, da
cui ho tratto ispirazione. Era una sorta di iniziazione al tempo.
Per lui mi sono
ispirata alla canzone di Gakupo: Madness
of Duke Venomania. E qui ho detto fin troppo.
Poi abbiamo il
rapporto tra Lachesi e Levi. Tradotto nella mia lingua: quanto odio
trattenermi.
Allora, premetto
che in ogni FanFiction che ho scritto, i momenti romantici sono stati alquanto
rari e... brevi. E solo dio sa quante volte ho dovuto cancellare e riscrivere
questo capitolo. Tutto perché la mia vena romantica e sdolcinata continuava a
prendere il sopravvento.
Finita questa
premessa, tra loro non c’è nulla. Lui la considera come un
soldato...figlia...creatura vivente... insomma, la considera qualcosa a modo
suo; lei invece come un nano a cui appoggiarsi di tanto in tanto e con cui
poter parlare liberamente.
Niente love story,
nulla, nada. Per ora.
Poi abbiamo
Elizabeth. Delle sue paturnie/inclinazioni amorose però voglio parlarne nei
prossimi capitoli e la stessa cosa vale per Wilde. Lui e la sorella gemella...
ok, ho detto troppo.
Per riassumere
questa è la storia con relazioni più varie, più incasinate, più crudeli e più
tutto, anche perché non si limitano solo a quelle che ho scritto. Ad esempio, ci
sarebbe anche la madre e il padre di Lachesi, o sempre il padre di Lachesi e Pólemos, o Pólemos e New Thàlassa, o New Thàlassa
e Agápe.
Tuttavia
hanno tutte un perché, una ragione e non sono messe lì solo per far scena. O
perlomeno, così la penso io, la scrittrice. Poi accetterò ogni contestazione.
Ho
pubblicato due capitoli nella stessa settimana perché non sono
sicura di esserci nella prossima. Quindi, nulla, auguro un buon Natale
a chi mi segue e anche a chi non mi segue!
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Capitolo 6 *** Tsunami ***
Sesto Capitolo
Sesto
Capitolo:
Tσουνάμι
La
pioggia era grave, appesantiva le corazze dei soldati stremati dalla lunga e disastrosa
battaglia, dove un’intera falange era stata distrutta dalla forza bruta dei barbari.
I pochi superstiti di tale schieramento erano ritornati all’accampamento con
sguardo truce, non volendo parlare con nessuno ed evitando lo sguardo di tutti.
Una
bambina di otto anni, vestita con una leggera corazza di cuoio e armata con
affilate spade di ferro, osservava con i grandi occhi azzurro ghiaccio i
militi, attendendo l’arrivo di uno in particolare. Che però tardava a tornare.
Aspettò a lungo, riparata da un grande e pesante scudo tondeggiante.
Quando
però fu stanca di rimanere seduta sulla terra fangosa, a giocare con i lunghi
lombrichi striscianti, con innocenza infantile si avvicinò ad un soldato per
chiedergli informazioni.
<<
Scusa... dov’è il Comandante?>> domandò, con le grandi iridi piene di
speranza.
Lui
la osservò a lungo, senza rispondere.
<<
Di che falange sei?>> disse d’un tratto.
<<
Dovevo essere con voi, ma mio padre mi ha affidata ad Agápe. È già tornato il comandante?>>
<<
No>> rispose, chinando il capo.
<<
Va bene, allora lo aspetterò qui>> sorrise lei, scostandosi dal viso i
corti capelli castani.
L’uomo
non ebbe cuore per illudere oltre le aspettative di quella bimba, che aveva
riconosciuto come la figlia del comandante, essendo poche le donne che intraprendevano
la carriera militare.
<<
Lachesi, non aspettare oltre, è inutile>>
La
giovane per un attimo sentì le interiora chiudersi in una morsa. Non era
stupida, aveva compreso cosa significavano quelle fredde parole. Non volle
credere che il migliore Stratega e Polemarco di tutti i tempi fosse morto. Non
voleva credere. Non doveva essere vero.
Si
sentì cadere, anche se era ben salda sulla pianta dei piedi. Si sentì soffocare
in se stessa, in un misto di disperazione, nervoso e incredulità.
Con
la collera negli occhi, si gettò in una folle corsa, uscendo dal campo.
Nel
pantano, nel sangue, tra i cadaveri e armi spezzate correva, non curandosi
delle grida del soldato che la intimavano a tornare indietro. Si ferì i piedi,
le gambe, addirittura le braccia, cadendo più volte rovinosamente, ma ogni
volta si rialzava per cercare suo padre.
L’unica
persona che l’avesse mai protetta.
L’unico
pilastro che le era rimasto.
A
pieni polmoni urlava il suo nome, lo chiamava, lo pregava, lo scongiurava.
Finché non lo vide.
Si
avvicinò, con le gambe diventate improvvisamente flaccide. Osservò quel corpo
martoriato, con la giugulare tagliata, con gli arti spezzati, con la colonna
vertebrale in frantumi.
<<
Papà>> mormorò la bambina, sconvolta.
Era
veramente quella la fine di un grande comandante?
<<
Papà...>> singhiozzò, cadendo in ginocchio al suo fianco << Papà...
ti prego... svegliati...>>
Si
rannicchiò accanto a lui, poggiando la testa sulla corazza di metallo, mentre
calde lacrime le solcavano il viso, unendosi alla fredda pioggia.
<<
Papà... io rimarrò qui...>> disse in seguito, avvolgendosi con il
mantello lordo di sangue del genitore << Starò qui finché non aprirai gli
occhi...>>
Fuori
Wall Sina, novembre, 851
Lachesi rimase meravigliata
dal candore che aveva avvolto il paesaggio e che silenziosamente continuava a
scendere dal cielo. Tutto sembrava più calmo, come se non ci fosse stata alcuna
distruzione, nessuna guerra.
Non aveva mai
visto la neve, perché il luogo da cui proveniva era fin troppo caldo per
permettere all’acqua di cristallizzarsi. Quindi assistere ad un simile
spettacolo per la prima volta nella sua vita era qualcosa di unico, in grado di
farla ritornare bambina per qualche tempo.
Raccolse un po’ di
quel biancore, passandoselo velocemente da una mano all’altra. Era fredda,
tanto da farle raggrinzire e arrossare le affusolate dita, ma anche stupenda e
ipnotica.
Come
il fuoco.
Gli altri membri
della squadra non erano così entusiasti, sia per l’aria gelida, sia per l’ora
mattiniera, infatti il sole era sorto da poco tempo, coperto tra l’altro da
spesse nubi grigie. C’erano diverse vie di pensiero su come affrontare la
frigida giornata: Eren ad esempio, seguito da Mikasa, cercava quei radi posti
non ombrosi della foresta; oppure Wilde che, appoggiato alla spalla calda di
Elizabeth dormiva saporitamente, continuando però a camminare. Levi invece non
si curava delle rigide temperature, parlando con Erwin ed Hanji riguardo la
missione come se nulla fosse.
A causa dei
frequenti attacchi di un mostruoso Gigante che viveva in quella foresta,
avevano dovuto rimandare la spedizione. La dottoressa si era opposta fin
all’ultimo, perché secondo lei si doveva proseguire con il piano, ma il
comandante Smith aveva preso la sua decisione, costretto principalmente
dall’alta borghesia che si sentiva minacciata. L’abominio infatti si era
stanziato poco lontano da Wall Sina e, sul giudizio dei pochi testimoni, era
talmente grande e sanguinario da venir reputato una grave minaccia.
Newton era
completamente contraria e dimostrava tale sentimento anche in quel momento,
procedendo cupamente e sbuffando di tanto in tanto. Non aveva rivelato le cause
di tale ostilità, rimanendo in rigoroso silenzio.
<<
Lachesi>> disse Hanji, sorprendendo d’un tratto la soldatessa alle spalle
<< Dovevamo finire il nostro discorso>> il tono che Zoe aveva
utilizzato era un misto tra il comando e la supplica, come se volesse scoprire
con tutta sé stessa nuovi dettagli riguardo la specie di Lachesi e non volesse attendere oltre.
La capo squadra
era sempre felice a parlare con Thàlassa, visto che questa era una miniera
d’oro di informazioni inerenti ai Gigas.
Era diventata ormai un’abitudine che ogni momento libero l’ex comandante lo
dovesse passare a raccontare del proprio passato.
<< Quindi
non sai trasformarti?>>
<< No, o
perlomeno, non saprei. Anche ferendomi non succede nulla, non mi tramuto in
Gigante. È come se ci fosse qualcosa che mi blocca, anche riguardo la
rigenerazione. Ho visto che ultimamente le ferite si rimarginano con più
difficoltà...>>
<< I tuoi flussi
di sangue sono regolari?>>
Lachesi avvampò,
non tanto per l’inopportunità della domanda, ma perché aveva imbarazzanti e
freschi ricordi a riguardo. Un episodio che voleva con tutta se stessa
dimenticare.
Sia per Eren che
la credeva affetta di una misteriosa malattia orientale (non essendogli venuto
in mente che invece si trattava di tutt’altro argomento), sia perché, mancando
un gradino mentre ritornava furibonda alla propria stanza, si era incespicata
con il Caporal Maggiore e gli aveva sporcato accidentalmente i vestiti.
E l’inevitabile
litigio tra i due aveva attirato molti soldati, così tutti furono a conoscenza
dell’inconveniente mensile della ragazza.
<< Sì, sono
più che regolari>> sospirò, per poi fare un leggero sobbalzo vedendo il
viso della donna a pochi centimetri di distanza dal proprio, con i suoi grandi
occhi castani spalancati che la fissavano.
<< Posso
prendere un campione di sangue?>>
<<
Certo...>> disse dubbiosa Thàlassa << Perché?>>
Hanji le prese la
mano e le fece un leggero taglio con una spada, tanto da far fuoriuscire
qualche piccola goccia cremisi.
<< Perché è
tutto qui dentro>>
La ferita si
rimarginò dopo poco tempo, lasciando a Zoe solo il momento per tamponare un
poco di sangue con un fazzoletto, precedentemente preso in prestito a Levi.
Lachesi non
comprese le parole della compagna, ma non indagò oltre, perché la sua
attenzione fu colta da un gruppo poco distante di altri soldati, appartenenti
ad un’altra squadra, che osservavano un piccolo e rudimentale tempio, composto
da pietre di medie dimensioni, in modo tale da formare un semicerchio, e
un’accurata statua femminile, intagliata nel legno, che rappresentava la Dea
Madre.
Era un tipico
ornamento funebre di una religione che la ragazza aveva sentito parlare poche
volte, ovvero quella druidica. Lì sicuramente c’era sepolta qualche persona
cara a chi aveva eretto tale monumento.
Ma i militi non
riuscirono a comprenderne il significato e, ridendo tra loro, calciarono la
figura e i massi, distruggendo così l’opera primitiva. Un gesto che sarebbe
passato inosservato, se l’autore della tomba non si fosse trovato appollaiato
su un alto ramo, nascosto tra le fronde.
Fu un momento, un
attimo di completa e assoluta calma, colmo di risate e battibecchi.
Seguito poi dalla
distruzione.
Un enorme orso, di
oltre quindici metri di grandezza, frantumò gli alberi come se fossero arbusti
e caricò quei militari, schiacciandoli contro i tronchi delle alte piante con
forza brutale. Il pelo fulvo dell’animale s’imbrattò di schizzi di sangue,
mentre gli occhi dorati fissavano i cadaveri con estremo odio, digrignando le
affilate fauci luccicanti.
Emise un profondo
ringhio che fece vibrare le interiora di tutti i presenti, i quali erano
rimasti attoniti, non aspettandosi un simile nemico.
<< Waaaah!
Un Orso Gigante!>> esclamò entusiasta Hanji, rimanendo affascinata dalla
creatura << Si deve assolutamente catturare!>>
<< Se quello
non ha in mente di servirci per pranzo>> commentò Wilde, sistemando la
propria arma da fuoco a doppia impugnatura.
<< Qualsiasi
cosa succeda, stagli alla larga>> lo intimò Elizabeth, prima di spostarsi
e trascinare l’albino con sé per evitare un attacco frontale.
Gli artigli
dell’orso evitarono per poco Eren, il quale fu preso di peso da Levi per poi
essere lasciato su un albero. I congegni per la manovra tridimensionale erano
troppo lenti contro un simile nemico e per poco il ragazzo non ci lasciava la
pelle, nel tentativo di raggiungere un posto più sicuro.
Quel Gigante non
solo aveva una stazza considerevole, ma anche un’agilità impressionante. Un duo
letale, se unito anche ad una forza mostruosa.
Mikasa raggiunse
il fratello, per poi guardare cupamente il Caporal Maggiore, seppur di fatto lo
avesse salvato.
<< Mi
trasformo in Gigante. Con il vostro aiuto riusciremo sicuramente a
sconfiggerlo>>
<< Eren,
stai attento>> disse la ragazza, artigliandogli un braccio.
Il suo superiore
approvò mutamente l’idea, anche perché al momento non c’erano altre soluzioni.
I suoi occhi prima di riconcentrarsi sul nemico, si focalizzarono su Lachesi,
la quale stava studiando con sguardo cupo la situazione, evitando rapidamente
gli eventuali colpi.
E fu in quel
momento che lei reagì in modo sconsiderato.
Una seconda
squadra giunta in quel luogo, attirata dal fumogeno lanciato in precedenza dal
Comandante Erwin, si era scagliata contro il punto debole del Gigante, ovvero
la nuca, quando questo si era alzato su due zampe. Tuttavia, non essendo una
creatura stupida, l’orso per difendersi aveva rizzato il pelo, tramutandolo in
un affilatissimo acciaio. I soldati sarebbero indubbiamente morti infilzati, se
Thàlassa non fosse intervenuta, tranciando i cavi.
Salvò la vita del
gruppo, ma attirò su se stessa le ire del mostro, il quale iniziò ad
inseguirla, tentando di ucciderla in ogni modo. E invece di rimanere nella
foresta, luogo assai vantaggioso per la manovra tridimensionale, mirava ad
uscire, con l’alito del nemico che le soffiava sulla schiena.
<< Che cazzo
sta facendo? Non avremmo nessuna possibilità in pianura!>> esclamò un
milite.
<< Branco di
capre! Lei è una stratega, sicuramente saprà cosa fare! Invece di piangervi
addosso, reagite in qualche modo>> disse Elizabeth, prima di guardarsi
attorno preoccupata, poiché non riusciva più a scorgere Wilde << Eren che
cazzo aspetti a trasformarti?>> sbraitò poi, con un’espressione assai
innervosita.
Lachesi si fermò
non appena furono non molto lontani dalla boscaglia, affaticata per
l’estenuante corsa.
Qui si voltò
repentinamente, schivando gli attacchi dell’animale con estrema agilità,
spiccando poi un elevato salto. Trotterellò in aria con le lame sfoderate per
non essere colpita dagli artigli e, grazie ai cavi, fu in grado di raggiungere
il naso del nemico. Per non cadere, conficcò una spada nella carne e si tenne
ad essa prima di balzare in cima al capo, utilizzando la manovra tridimensionale
ed evitando così una mortale zampata.
La pelliccia si
tramutò in affilati aculei, ma non riuscirono a ferirla, poiché anche il corpo
della giovane per difendersi era divenuto resistente come l’acciaio. Iniziò a
scendere con cautela per ferire il mostro nel suo punto debole, ma l’intervento
di un altro Gigante quasi non la fece cadere.
Eren infatti era
riuscito a colpire l’orso, ma la caduta di quest’ultimo aveva fatto scivolare
la ragazza, la quale ora stava quasi per piombare al suolo, tenendosi a stento
al manto affilato del nemico. Rimase in quella posizione finché l’orso non
ritornò su quattro zampe e dovette lottare per non precipitare a causa dei
continui sballottamenti a destra e a sinistra.
La nuca era ormai
lontana, ma la ragazza non si demoralizzò.
Con cautela
procedette a carponi, stringendo saldamente la pelliccia metallica. Tuttavia
l’animale si rizzò in piedi per sferrare un potente attacco e lei si ritrovò
nuovamente sospesa nel vuoto, aggrappata a lamine in metallo.
Fece un profondo
respiro, continuando la sua lenta e faticosa scalata.
Ma, quando ormai riusciva
a vedere la vicinanza con il proprio obbiettivo, la pelliccia metallica divenne
incandescente a causa di una serie di proiettili sparati da Oscar. Il calore
conduttore le infiammò i muscoli e le fece lasciare involontariamente
l’appiglio, cadendo così rovinosamente al suolo e rischiando in più occasioni
di rimanere schiacciata dal plantigrade, il quale aveva emesso un lungo ringhio
per il dolore.
L’orso atterrò il
Gigante a lui ostile, per poi ferire gravemente Wilde, scagliandolo malamente
con un’unghiata contro gli alberi. Il ragazzo non fu abbastanza lesto a
muoversi, venendo così travolto dalla furia.
<<
Wilde!>> esclamò Lachesi, portandosi poi una mano sulla bocca.
Perché mai aveva
abbandonato la foresta, sparando a terra, indifeso? Solo uno stupido avrebbe
compiuto una simile azione, per nulla eroica. Delle lacrime di rabbia solcarono
le guance della fanciulla, la quale si concentrò sull’avversario con estrema
ira.
Aveva pianificato
tutto affinché non ci fossero ulteriori morti. Ma seppur avesse progettato
tutto nella sua mente, era ugualmente deceduto qualcuno. Inutilmente.
Stupidamente.
Fu allora che si
accorse che, mentre si muoveva per evitare lo scontro titanico tra i due
Giganti, dove era stato colpito l’orso, il metallo del suo pelo si era
ammorbidito, anche se in brevissimo tempo sarebbe tornato come prima.
I cavi allora
riuscirono ad impiantarsi sulla schiena dell’animale, quando questo si era
rizzato in piedi per parare un pugno di Eren, e trascinarono il corpo della
giovane. Tuttavia l’acciaio si solidificò, così l’attrezzatura rimase bloccata
al dorso dell’abominio.
Inutilmente lei si
dimenò e imprecò, venendo continuamente scossa a causa dei movimenti lesti del
plantigrade, nulla riusciva a liberare il congegno per la manovra
tridimensionale.
Allora la giovane
stava per slacciarsi la cinta che reggeva tutto il meccanismo, ma l’intervento
di un terzo Gigante la fece desistere dal suo intento.
Un calcio di fuoco
aveva colpito in pieno lo stomaco dell’animale e l’estremo calore aveva fuso
quasi completamente le difese del nemico. Un Gigante alto almeno una ventina di
metri, simile al Colossale per la struttura corporea, tranne che per la
capigliatura, visto che aveva una spettinata e lunga chioma bianca, con una
frangia che gli copriva gli occhi.
<< Un
Gigante Piromane!>> urlò Hanji, ormai prossima all’orgasmo.
<<
Eren!>> esclamò preoccupata Mikasa, ma venne frenata da Levi <<
Lasciami! Eren è in pericolo!>>
<< Che nessuno
intervenga>> ordinò repentino Erwin, frenando l’intento di alcuni
soldati.
Thàlassa avanzò
con estrema fatica, visto che le fiamme le ustionavano la pelle, priva di ogni
difesa se non i vestiti. Fu costretta pure a sganciare la propria attrezzatura,
inutile visto che si era completamente fusa.
Il fuoco era stato
da sempre il suo punto debole, in più occasioni, in diverse battaglie.
Ma non era mai stato
così ostico.
Si arrampicava sul
bollente dorso dell’Orso, riuscendo infine a raggiungere, ormai stremata, la
nuca.
Più volte rischiò
di cadere, poiché l’animale non era più in grado di parare i colpi e spesso
finiva per ruzzolare al suolo o compiere movimenti bruschi per schivare gli
attacchi. Ma lei non demordeva.
Lachesi raccolse
le ultime energie che aveva in corpo e, aumentando ella stessa la propria
temperatura corporea, fu in grado di bruciare la pelle del nemico, causando
così un profondo strappo, grazie al quale fu in grado di estirpare quello che
comandava il corpo titanico.
Non fu abbastanza
lesta ad afferrare un appoggio e quando il Gigante crollò senza vita, lei
precipitò al suolo, lorda di sangue, di sudore e con il corpo ricoperto di
gravi ustioni. L’unico suo sollievo fu quello di trovare la fresca e un tempo
candida neve, ora sporca di cremisi.
Tentò di
rialzarsi, ma le gambe non riuscivano più a reggere la fatica e la
abbandonarono, facendola cascare a terra. Ma lei imperterrita ritentò, cadendo
nuovamente.
Una mano le venne d’un
tratto in soccorso, afferrandole il polso e aiutandola ad rizzarsi in piedi.
<<
Ohi>> disse Levi << Che cazzo ti è passato per la testa?>>
<<
Nulla...>> mormorò lei, reggendosi all’uomo << Sono stanca>>
<< Puzzi da
fare schifo>>
<< E tu
profumi di pulito>> sussurrò, prima di crollare esausta.
Aveva la fronte
bollente e il respiro accelerato.
Il Caporale
Maggiore sbuffò, togliendosi la giacca e avvolgendo la ragazza con essa, prima
di sollevarla di peso e portarla dove si trovavano gli altri, i quali, dopo
aver estratto Eren e Oscar dai Giganti, si erano concentrati intorno al nemico.
Anche perché era l’unico del quartetto che riusciva a parlare non essendo
spossato.
Ma questo non
proferì parola, solo lunghi sguardi dorati rivolti alla dottoressa, la quale
era intenta a rimproverare sonoramente Wilde, arrivando persino a imbottirlo di
ceffoni, che lascarono duraturi segni rossi sulle guance dell’albino.
Il ragazzo però
non disse nulla, anche perché non ne aveva la forza.
Prigioni
sotterranee, novembre, 851
Elizabeth scese
velocemente le scale, scortata da un paio di guardie alte e nerborute. Era
pensierosa, procedeva con testa china per non mostrare la propria
preoccupazione, alquanto insolita sul suo volto.
Raramente infatti si
angosciava per qualcuno, poiché poche erano le persone a cui si era affezionata
e la spietata donna gliele aveva strappate quasi tutte, lasciandola spesso
sola.
Il rumore dei suoi
vertiginosi tacchi rimbombava nel silenzio della sua mente. Non esisteva nessun
altro suono, nemmeno il pesante passo dei soltati al suo fianco, il quale per
lei era come una muta folata di vento, tanto era concentrata nei suoi pensieri.
Camminava, immersa
nei suoi ricordi più lugubri, stringendo più volte i pugni per il nervoso, ma
che poi rilassava, facendo un sospiro di liberazione.
Quella taciturna
meditazione interiore si quietò non appena raggiunse una prigione, nella quale
riposava un uomo incappucciato, di cui si vedeva soltanto la selvaggia chioma
ramata e la lunga e scompigliata barba del medesimo colore. Indossava una larga
tunica corvina con una semplice e logora corda legata in vita a mo’ di cintura.
Era scalzo, l’unico ornamento oltre la cinta era un ampio mantello decorato con
penne avente il cappuccio.
Lui era
l’Orso-Gigante, ma per gli occhi della dottoressa non era un mostro, bensì
tutt’altro.
<< Sei
arrivata>> disse con voce cupa, come lei se fosse l’ultima persona che
avrebbe voluto vedere.
Elizabeth congedò
le guardie, le quali si allontanarono fino a tornare all’ingresso.
<< Gwydion, mi
dispiace>> mormorò lei, afferrando debolmente una sbarra con la mano
sinistra.
<< Ora ti dispiace?>>
ringhiò lui, incurvando poi le labbra screpolate in un sorriso tutt’altro che
allegro, colmo di astio << Ora ti dispiace? Tu e quei bastardi dei tuoi
colleghi mi avete tramutato in un mostro... per cosa? Per creare delle nuove
razze? Per distruggere l’umanità?>>
Lei non rispose, limitandosi a
guardare il pavimento.
<< Sono ben felice di venire
giustiziato, almeno non dovrò vedere più facce di merda simili>>
<< Mi sono opposta fino
all’ultimo, non volevo...>>
<< Ma per favore. In tutti
questi anni non mi sei mai venuta a cercare ed ora fai la farsa della madre
affranta? Nei tuoi piani non hai nemmeno risparmiato il tuo allievo, quel
ragazzino albino>>
<< Gwydion, ho chiuso con loro
da tempo e Oscar è un Gigante, ma non per causa mia>> esclamò la
dottoressa, alzando lo sguardo aureo << Io ti ho sempre cercato e ti ho
sempre protetto. Forse non sarò stata una madre modello, ma non puoi negare
tutto ciò che ho fatto. Tu sei sempre stato vicino a me, in tutti i
sensi>>
<< Se parli di quella volta
nella foresta, ero lì perché Bodbh voleva vedere>> l’uomo fece un lungo
sospiro rassegnato << Perché non riesci ad odiarmi?>>
<< Perché sei mio figlio>> rispose la donna,
abbozzando un triste sorriso << Perché tu per me sei rimasto sempre quel
bambino troppo curioso che voleva scoprire tutti i segreti di questo mondo.
Anche se mi reputi indegna, io continuerò a proteggerti>>
<< Così rendi soltanto le cose più difficili>>
ringhiò lui, facendo oscillare leggermente le catene che gli cingevano i polsi.
<< Tu non morirai >>
Seguì un muto silenzio.
La dottoressa lasciò lentamente la sbarra, allontanandosi
fino a scomparire dalla vista di Gwydion. Questo guardò le catene, poi il suo
sguardo virò su un corvo nero, il quale era appollaiato vicino alla finestra.
Ci fu uno scambio reciproco di occhiate, poi il volatile volò
via, lontano, confondendosi nel buio della notte senza luna.
Fine sesto capitolo!
Nome capitolo: Tsunami
Angolo dell’autrice:
Capitolo piuttosto difficile. Ho fatto veramente fatica a
trattenere le lacrime all’inizio ed io sono quella che ha
partorito un simile aborto. Ecco perché dovrei smetterla di far
partire canzoni deprimenti. Beh, almeno la mia depressione è
svanita con la seconda parte, dove ho ascoltato diverse canzoni che mi
hanno dato la carica (una per tutte, Hero degli Skillet che, anche dopo
millanta anni che l'ascolto, non mi stanco mai di sentirla. E questo
fatto è molto insolito, visto che io vado molto a periodi XD ).
Sì, mi faccio influenzare troppo dalla musica, lo so.
Però certe volte è l'unico appoggio sicuro che ho... e
poi non riesco a scrivere nel silenzio.
Comunque, parlando di cose più allegre, oggi volevo scrivere
per voi il background del momento al bar! Quindi, che dire? Buona lettura!
Wall
Sina, novembre, 851
Elizabeth guardò
con sguardo malizioso Levi, prima di sedersi affianco a lui, accavallando le
gambe così da mostrare gran parte delle lisce cosce. Lui la osservò con
un’occhiata cupa visto che il suo rapporto con quella donna non era dei
migliori.
<< Che cazzo
vuoi?>> domandò d’un tratto.
<< Invita
Lachesi a ballare>>
<<
No>> ripose lui, bevendo d’un sorso metà pinta di birra per poi poggiarla
davanti a sé.
La dottoressa allargò il ghigno, sottraendo la bevanda
alcolica all’uomo prima che questo potesse di nuovo prenderla.
<< Tipica reazione di Homo senza palle. Ma d’altronde è
normale, di questi tempi sono sempre più le donne a portare i pantaloni. Ed è
giusto così, perché non siamo più nella preistoria dove...>>
<< Dove vuoi arrivare?>>
<< Cosa? Stai dicendo che ho doppi fini? Io? Ma... no!
Io volevo solo tirare su di morale Lachesi, perché non si è ancora ripresa
dagli insulti dei nobili. È un’eccellente soldatessa, ma non riesce a
distaccarsi dal suo passato terribile e questo le causa dolore. Il tuo gesto
avrebbe senza dubbio tirato su il morale, ma pazienza, vorrà dire che chiederò
a Jean se è disposto...>>
<< Jean? Ma che cazzo ti sei fumata, donna?>>
<< Certo! Per voi uomini le donne devono essere tutte
drogate! Ma che grandi testa di cazzo che siete! Da un recente studio è sorto
che sono più gli uomini a drogarsi delle donne!>> vedendo che il suo
piano non stava funzionando, lei allora giocò un argomento che sicuramente
l’avrebbe portata alla vittoria << Riguardo alle droghe, ho preparato un
discorso di all’incirca due ore che devo portare alla prossima conferenza.
Visto che non hai niente da fare...>>
Levi si alzò seccato e si diresse al tavolo di Lachesi.
<< Quanto è dolce il sapore dei soldi>> sogghignò
lei, finendo di bere l’ultimo sorso di birra << La scommessa l’ho
praticamente vinta>> aggiunse poi tra sé e sé.
Erwin la raggiunse con una bottiglia di vino e si sedette in
modo composto.
<< Sei un impeccabile stratega>> disse, versando
il vino in un bicchiere.
<< Ci sono in ballo i miei soldi. Quei due non andranno
mai in sintonia, quindi intascherò la mia parte. Tutto calcolato>>
<< Come facevi a sapere che il capo della Polizia
Militare...>>
<< Conosco gli uomini morti di figa. Ad esempio so che
lei mi ha guardato le cosce almeno cinque volte da quando si è seduto>>
Elizabeth fissò il boccale vuoto, poi sospirò << Maledetto nano
ubriacone, poteva lasciarne un goccio in più>>
<< Se vuoi, ti prendo qualcosa>>
<< Non voglio essere la prima donna a cui si interessa,
Comandante. Però se vuole, prendo volentieri un po’ di vodka, birra e anche un
po’ di vino rosso, ma anche una bottiglia di quello bianco>>
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Capitolo 7 *** Ghiaccio ***
Settimo Capitolo
Settimo Capitolo:
Πάγος
Un
giovane uomo di circa trent’anni camminava su un campo ricoperto di cadaveri,
dove qualche ora prima si era combattuta un’estenuante battaglia. Per la
libertà. Per il dominio.
I
suoi capelli mossi di un castano molto chiaro si muovevano lentamente nella
leggera brezza notturna, pregna di un soffocante tanfo di morte e disfatta. I
suoi occhi blu, profondi e cupi come il mare, scrutavano il paesaggio desolato,
mentre sguinzagliava i soldati a cercare i superstiti.
Camminava
con un’espressione preoccupata, urlando più volte il nome della bambina che il
Comandante della prima falange gli aveva affidato.
L’alba
stava per sorgere e il milite sapeva di per certo che, anche se l’avesse
trovata, sarebbe ormai congelata a causa della gelida pioggia e del sibilante
vento del nord. Sperava che uno di quei banditi che trafugavano i cadaveri
l’avesse presa con sé, perlomeno avrebbe avuto la possibilità di continuare a
vivere, seppur in un modo orribile.
Più
per caso che per un’accurata vista, notò il corpicino rattrappito della
bambina, avvolto da un mantello lercio. In un primo momento desistette
dall’avvicinarsi, non volendo vedere il crudele fato che era spettato a una
ragazzina così giovane; poi però si fece coraggio e, forte nella propria
armatura cesellata, avanzò fino a inginocchiarsi vicino a quella creatura.
Era
già pronto ad intonare un canto funebre, ma desistette quando la fanciulla aprì
stancamente gli occhi azzurri, arrossati per il lungo pianto.
<<
Lachesi>> esclamò stupito l’uomo estremamente felice, tanto che
l’abbracciò, prima di avvolgerla con il proprio mantello scarlatto <<
Lachesi, mi hai fatto preoccupare>> aggiunse, dandole dei caldi baci
sulla fronte gelida.
Lei
non rispose, limitandosi a stringere a sé il tessuto, assaporandone il poco
calore. Era congelata, tanto che il Comandante per scaldarla la cinse in un
abbraccio amorevole, quanto quello di un padre.
<<
Ancora qualche ora e saresti morta>> fece un lungo sospiro, poi continuò
a parlare << Andiamo via, hai bisogno di cure. Ora chiamo i medici della
mia falange e...>>
<<
Agápe, papà non si è ancora
svegliato>> mormorò la bambina, muovendo debolmente le labbra screpolate
per il freddo.
Agápe guardò il cadavere, rimanendo in muto
silenzio carico di amarezza. Il suo vispo sguardo blu si spense un poco, prima
d’infiammarsi di nuovo di nervoso, serrando i pugni con talmente tanta forza da
mostrare le vene sottopelle. E lanciò infine un’occhiata di odio a quel
Comandante che stava dando le direzioni ai soldati, non molto distante da loro,
prima che la bambina lo frenò dall’urlargli contro.
<<
Voglio diventare un soldato>>
L’uomo
la fissò per lungo tempo, non riuscendo a capacitarsi di come volesse ancora
perseguire il proprio sogno anche dopo aver visto la spietatezza della realtà.
All’inizio pensò che fosse solo un momento di pazzia dovuto al terribile trauma,
ma poi, quando vide negli occhi della bambina lo stesso sguardo determinato che
un tempo ardeva il padre, allora capì che non era follia.
<<
Ma non capisci? Rischierai di fare la stessa fine! Ti conosco da quando sei
nata, ero grande amico di tuo padre e sinceramente l’ultimo luogo dove vorrei
vederti è morta su un campo di battaglia!>>
<<
Voglio diventare forte come mio padre. Così quando tornerà, sarà fiero di
me>>
<<
Ti prego, desisti...>>
Poco
distante dal Quartier Generale in disuso, dicembre, 851
Lachesi si
accovacciò vicino ad una rudimentale croce fatta con due bastoncini legati
insieme tra loro impiantati nella neve.
Le ferite si erano
rimarginate, seppur il malanno che le aveva fatto salire la febbre non fosse
guarito completamente; infatti di tanto in tanto starnutiva, passava minuti a
tossire e la sua voce, avendo il naso chiuso, era alquanto comica, poiché
tramutava quasi tutte le consonanti in labiali.
Eppure, anche con
l’influenza, non aveva avuto l’intenzione di rinunciare a quel giorno e di restare
a letto a riposarsi, bensì era uscita, sotto la nevicata, affrontando il freddo
pungente.
Erano passati un
paio di giorni dalla missione e molti membri della Legione Esplorativa si
trovavano all’interno di Sina per partecipare al processo del Gigante-Orso.
Soltanto pochi erano rimasti al Quartier Generale in disuso, tra cui anche
Wilde, che per colpa della trasformazione in titano era caduto in coma; così
per la ragazza fu semplice uscire inosservata, limitandosi a sorridere e affermare
che la dottoressa le aveva ordinato di andare a prendere delle erbe medicinali
per i feriti.
Era piuttosto
brava a mentire, perché era previsto nel suo addestramento per diventare un soldato:
aveva dovuto rubare, fingere, scatenare risse pur di sopravvivere, perché la
vita era il dono più importante che gli Dei avessero concesso agli uomini. Ma
lei aveva sempre messo in discussione il proprio regalo, preferendo sacrificare
la propria esistenza per salvaguardare quella altrui, piuttosto che vivere
pienamente come facevano gli altri Comandanti.
E le divinità
l’avevano punita più volte per questa sua sfacciataggine, facendo continuamente
crollare il suo mondo di carte. Il matrimonio, il dolore, lo sterminio: erano
punizioni del Destino.
Ma ad ogni caduta,
lei si era rialzata ed ora per la quarta volta
si era costruita di nuovo un castello, ma anche quello era destinato a cadere.
Prima o poi.
Si
sedette davanti alla croce, osservandola a lungo in silenzio, non curandosi
della neve che, lentamente, le stava biancheggiando i lunghi capelli castani,
le ginocchia, persino il naso arrossato per il freddo pungente e per il
raffreddore.
Restò
lì a meditare, a riflettere su argomenti più vari e più diversi tra loro,
mentre il suo corpo tremava leggermente, visto che la camicia e i pantaloni della
divisa non erano adatti per le rigide temperature.
<<
Ohi>> disse una voce alle sue spalle d’un tratto, dopo molto tempo, riportandola
alla realtà.
<<
Vattene>> sbottò lei, portandosi le gambe al petto e appoggiando il mento
sulle ginocchia << Non voglio parlare con nessuno>>
<<
Devi riposare>>
Levi
le si avvicinò. Con una brutale pacca le scosse la neve dalla schiena e, con un
secondo scappellotto, anche dal capo. Lachesi non si curò del proprio
superiore, rimanendo per lunghi attimi con il viso chino.
<<
Non voglio parlare, vattene>> ripeté, questa volta con un tono simile ad
una supplica.
<<
Il mio è un ordine, Thàlassa. Non me ne frega nulla se vuoi gelarti il culo qua
fuori, tu devi riposare. Pesi morti in squadra non li voglio avere>>
A
questa affermazione seguì un altro silenzio. Rimasero affiancati per parecchi
minuti senza parlarsi, l’uno in piedi, l’altra seduta, osservando l’opera
rudimentale e commemorativa.
<<
Non dovresti essere a Sina?>>
<<
L’orso è riuscito a fuggire per colpa delle guardie incompetenti>>
rispose l’uomo, poi volse lo sguardo alla ragazza, la quale era rimasta ferma
nella sua posizione iniziale << Perché sei qua fuori?>>
Lei
non replicò inizialmente, limitandosi a fare un sospiro carico di rammarico.
Tuttavia poi, quando si distese sulla neve per guardare la volta ingrigita, sbuffò
e lentamente iniziò a parlare.
<<
Sono due anni>>
<<
Cosa?>> sbottò lui, studiandola con un’occhiata cupa.
<<
Oggi mio figlio avrebbe dovuto compiere due anni. Le divinità l’hanno salvato
da una vita con una madre degenere. Ma ti immagini? Io madre?>> rise, anche
se il Caporale riuscì a notare che aveva i pugni serrati, come se fosse pronta
a picchiare qualcuno.
Lachesi
aveva sempre raccontato le sue battaglie, guerre, scontri; raramente
però aveva avuto il coraggio di riferire di fatti malinconici e quando ciò
accadeva, era solo con lui. Non capiva il motivo per cui riuscisse a essere
così aperta con l’anello mancante tra l’uomo e l’iceberg. Forse il sapere di
ricevere sempre una risposta schietta e sincera riusciva a renderla a suo agio.
Anche
in quel momento attese a cuor sospeso uno sbuffo, una lamentela, anche una
presa in giro da parte del suo superiore. Tuttavia, al contrario delle sue
aspettative, lui non disse nulla, limitandosi a sedersi al suo fianco.
Allora
decise di continuare a parlare, perché ogni parola che le usciva dalla gola era
un peso in meno sull’animo.
<<
Il mio matrimonio con Pólemos era da subito stato una merda, tanto che avevo
perso completamente la forza di volontà di alzarmi dal letto e medicarmi le
eventuali ferite non cicatrizzate, arrivando addirittura sperare di morire per
un’infezione. Volevo combattere e cadere in battaglia, ma le guerre raramente
si svolgevano in inverno e ancor più raramente richiedevano il sostegno delle
falangi primarie. Così vivevo i giorni da perfetto soprammobile, rimanendo ore
a osservare il soffitto. Finché non rimasi incinta. Al contrario delle mie
aspettative però, fui felice, tanto che quella creatura che portavo in grembo
diventò una nuova ragione di vita. Ricominciai a uscire, a parlare con gli
altri Comandanti, a studiare nuove tattiche belliche e a ridere. Ma dopo
quattro mesi, per decisione dei Polemarchi, dovetti abortire, perché temevano
che il figlio di un Gigas potesse
essere troppo potente. Sarebbe dovuto nascere nei primi di dicembre, così aveva
detto la sibilla. Il tre dicembre, lo stesso giorno in cui è morto mio padre.
Le divinità sono state a me sempre ostili, questo è un chiaro esempio>>
Si
portò le mani sul freddo viso, come per impedire alle lacrime di scendere
copiose. Lottò con se stessa, arrivando persino a raggomitolarsi per trattenere
un sussulto, che mascherò con più colpi di tosse.
Non
doveva piangere, non doveva mostrarsi debole un’altra volta davanti a lui. Non
aveva la scusante dell’alcol, anche perché il tè che beveva ogni mattina non
poteva reputarsi alcolico.
Fece
per alzarsi e fuggire, ritornare al quartier generale a testa china come un
comandante dopo una pesante sconfitta, ma qualcosa le prese saldamente il
polso, impedendole di compiere un altro passo.
<<
Piangi>> le ordinò Levi.
<<
Sono stanca di dimostrarmi debole davanti a...>>
<<
Piangi! Sei molto più debole se ti dimostri così ottusa!>>
Il
cuore della giovane ebbe un sussulto, un muto gemito che le fece cedere la
stabilità delle gambe, cadendo a ginocchioni sulla neve. Combatteva con tutta
se stessa per trattenere il pianto, ma era una guerra che non avrebbe mai
potuto vincere, perché era sempre stata impotente davanti alle proprie
emozioni.
Molto
distante dal Quartier Generale in disuso, dicembre, 851
Wilde camminò
scalzo sul gelido manto bianco, non curandosi delle pungenti sensazioni e
continuando a marciare senza un’apparente meta. Gli alberi si fecero sempre più
fitti man mano che progrediva, fino a raggiungere uno spazio circolare in cui
al centro si trovava una lapide scritta con lettere in un alfabeto astruso.
Qui, vicino alla
tomba, fece cadere un mazzo di fiori rosso cremisi e rimase in muto silenzio
per parecchi minuti, mormorando un tenue canto funebre. Quando la melodia finì,
fece per andarsene, accendendo un sigaro che aveva precedentemente trafugato a
Elizabeth, ma per poco non si scontrò con una figura più alta di lui, dai
lunghi e incolti capelli ramati e dall’altrettanto non curata barba, con il
viso coperto da un cappuccio da cui trasparivano soltanto qualche lembo di
pelle chiara e un bagliore dorato.
<< Non mi
sorprende vederti in libertà>> disse l’albino, buttando poi fuori dai
polmoni il fumo speziato.
<< Allora è vero che non ci vedi>>
rise l’uomo, spostando il pensiero commemorativo davanti al piccolo monumento
in pietra.
<< Devo
ringraziare mio padre per la mia quasi totale cecità>> ringhiò Oscar,
chinando poi lo sguardo.
<< Era
l’unico modo per permettere a un figlio bastardo di vivere. La tua
più grande sfiga è quella di essere stato riconosciuto
come
figlio di Pólemos, perché tua madre era una sua concubina>>
<<
Sei molto informato>>
<<
Mi piace impicciarmi delle faccende altrui>>
<<
Tale madre, tale figlio>> fece un lungo sospiro, abbozzando un sorriso,
poi alzò il capo in direzione del druido << Perché sei qui?>>
Gwydion
non parlò, iniziando a girare nel piazzale come un avvoltoio su un cadavere in
via di putrefazione, fermandosi soltanto quando un ramo ghermì un lembo della
sua lunga tunica nera e logora.
<<
Volevo semplicemente concludere il nostro scontro prima di dileguarmi>>
Wilde
estrasse le spade del dispositivo della manovra tridimensionale, attendendo
l’avversario. Quest’ultimo slegò un lungo bastone in legno, decorato finemente,
appeso prima alla schiena, facendo un ampio ghigno. Dopo un attimo di
esitazione in cui i due combattenti si studiarono, lui si lanciò all’attacco,
fendendo l’aria.
Infatti
Oscar aveva anticipato le mosse del nemico e, spiccando un ampio balzo, sparò
un paio di colpi di pistola per poi riafferrare le proprie spade, atterrando
saldamente su un ramo di un albero.
Il
drudo un po’ si stupì della tremenda agilità del ragazzo che non sembrava
curarsi del proprio deficit, ma non abbassò la guardia e respinse facilmente i
proiettili, per poi svanire nell’ombra. Il giovane rimase in silenzio,
immobile, ascoltando attentamente ogni singolo rumore, dal gorgogliare del
ruscello al tenue respiro degli animali.
Quando
Gwydion stava per infilzarlo con una daga, il soldato schivò nuovamente il
colpo, cercando poi di fendere le difese dell’avversario. Le loro armi
cozzarono più e più volte su quel precario ramo, finché l’uomo non riuscì a
spezzare la lama di una delle due spade, sfregiando il viso del combattente.
Oscar
riuscì a ferire la caviglia nemica con un potente calcio, facendo sbilanciare
così il corpo. Ma il rivale non demorse e, compiendo un ampio slancio
all’indietro, colpì in pieno viso il giovane, il quale scivolò giù dalla
pianta.
Riuscì
a riprendersi dalla caduta appena in tempo, evitando così un attacco ostile;
tenne poi lontano il druido con una serie repentina di spari per riprendersi.
Le
armi bianche si sfidarono ancora più volte, non riuscendo mai a prevalere l’una
sull’altra, anche se il metallo delle spade di Wilde non poteva competere a lungo
con quello magistrale della daga di Gwydion.
<<
Chi l’ha forgiata?>> domandò il ragazzo, volteggiando ed evitando un
affondo.
<<
Vuoi veramente saperlo?>> gli chiese lui, avvicinandogli la spada per un
secondo attacco diretto.
<<
Sì>> rispose il giovane, fermando la lama con i palmi delle mani <<
voglio saperlo>>
<<
Vi dirò tutto. A tempo debito>> concluse, dando un calcio in pieno
stomaco ad Oscar.
Quest’ultimo
barcollò, indietreggiando, vomitando saliva. Inaspettatamente la pedata era
stata incredibilmente forte, tanto che per un momento gli aveva mozzato
addirittura il fiato. Disarmato, arretrò sempre più, fino a non avere più vie
di fuga, con il dorso contro il tronco di un albero e il bastone alla gola che
premeva, lasciandogli soltanto la capacità di fare brevi e affannati respiri.
<<
Perché non vuoi usare i tuoi poteri di Gigas?>>
<<
Perché sarebbe come cedere a mio padre. E io non sono così. L’ultima volta mi
sono trasformato per proteggere la squadra, ma non accadrà di nuovo>>
Gwydion
allentò la presa, fino a lasciarlo libero, decretando così la fine dello
scontro. Ma Wilde non voleva ancora arrendersi, così puntò alla fronte
dell’uomo una pistola, poiché, per quanto veloce potesse essere, non avrebbe
mai evitato un colpo così ravvicinato.
E
fu allora che il soldato comprese di aver giocato troppo con il fuoco e di
essersi completamente ustionato.
Sentì
la possente mano del druido afferrargli l’esile braccio. La presa era talmente
ferrea che non ebbe più nemmeno l’energia di premere il grilletto, lasciando
cadere l’arma, mentre una scarica di dolore lo paralizzava e lo costringeva ad
inginocchiarsi.
Tuttavia
la punizione non si limitava a quello.
Infatti
il ragazzo fu sollevato, sempre per lo stesso arto martoriato, e scaraventato
contro le alte piante, le quali si spezzarono come se fossero state semplici
ramoscelli. Sfondò all’incirca sei o sette tronchi, prima di cadere a terra.
Indenne.
Un
uomo sarebbe morto, con la colonna vertebrale spezzata; ma il suo istinto di
sopravvivenza aveva prevalso, usando i poteri da Gigas per salvarsi.
<<
Apri gli occhi, ragazzo>> disse Gwydion prima di andarsene, lasciandolo a
riflettere sul gelido terreno.
Oscar
imprecò apertamente, scaraventando contro un albero la propria attrezzatura per
la manovra tridimensionale.
Gli
faceva profondamente ribrezzo tutto quel mondo che ogni volta gli si presentava
davanti, anche se lui cercava in ogni modo di dimenticarlo. Non aveva mai
compreso il motivo per cui Elizabeth l’avesse salvato, impedendogli di bruciare
in mezzo alle fiamme con la propria madre sventrata, com’era da tradizione per
chi partoriva figli albini.
Essendo
un neonato al tempo non poteva ricordare gli eventi, ma la dottoressa si era
sempre presa il dovere di raccontargli chi era fin dal suo primo allenamento,
non volendogli tenere nascosta la verità, seppur dolorosa.
Wilde
si alzò e osservò il cielo, sentendo il battito d’ali di un corvo. Notò quella
sagoma cupa che volava verso il sole, lontana da lui, lontana da tutta quella distruzione.
Luogo
sconosciuto, dicembre, 851
Pólemos distolse
lo sguardo dalla volta cupa, notturna e si concentrò sulle proprie truppe,
mentre queste compivano una strage in un villaggio che avevano incontrato sulla
strada, saccheggiando, bruciando le case, strappando via le donne e sgozzando
gli uomini e i bambini. I suoi occhi azzurro elettrico erano compiaciuti di
quella distruzione, tanto che quasi non si accorsero di alcuni soldati nemici,
i quali tentavano un’imboscata, non avendo più nulla da perdere.
Il Comandante fece
un ghigno divertito, mostrando le proprie zanne, prima di voltarsi e studiare
il piccolo drappello. Era disarmato, solo, non portava nemmeno la propria
corazza, bensì una lunga tunica candida come se fosse prossimo ad andare a
coricarsi. Quindi sembrava un bersaglio facile.
Niente di più
sbagliato.
<< Tu
morirai!>> urlò una guardia.
<< Mi avete
colto di sorpresa>> recitò lui, fingendo di essere spaventato <<
non voglio morire>>
Ma appena uno del
piccolo gruppo provò a colpirlo, questo si sentì incredibilmente pesante, non
riuscendo più a compiere nemmeno il minimo movimento. Con estremo terrore notò
che impiantato nel petto si trovava un’affilata daga e davanti a sé
l’inquietante sorriso del Türannos, il quale estirpò l’arma come se niente
fosse.
Gli altri, in un
battito di ciglia, caddero tutti all’unisono con la testa troncata in un unico
e armonico movimento del Comandante.
Pólemos leccò il
sangue che gocciolava dalla propria spada, calciando poi divertito i capi mozzati.
La sua velocità e forza era ineguagliabile, nessuno poteva competergli, tanto
meno dei soldati di fortuna.
Stava per
ritornare al campo quando sulla via incontrò un suo sottoposto in armatura, dal
fisico perfetto, eppure terribilmente agitato, tanto che era ben visibile il
sudore che gli scendeva copioso dalle tempie.
<< Mio
Türannos... probabilmente la nostra arma non resisterà al gelo senza
cibo>> balbettò, giungendo dall’accampamento posizionato poco distante.
<< Se le dai
da mangiare, quella si prenderà tutto il braccio>>
<< Ma... mio
signore... è da tre settimane che non tocca cibo>>
Il Comandante
osservò la propria veste lorda di cremisi, facendo un sospiro seccato. Poi
tornò a guardare il soldato, il quale ora stava visibilmente tremando di paura.
E ciò non gli
piacque, perché dovevano avere il terrore di un solo individuo.
<< Va bene,
vorrà dire che si mangerà uno dei cadaveri>>
<<
Ma...>>
L’uomo mozzò il
capo del proprio guerriero, ridendo sguaiatamente, poi afferrò il corpo per la
corazza e lo trascinò giù per la ripida strada. Si fermò soltanto quando
raggiunse una gabbia celata, al cui interno proveniva un rantolo animalesco,
cupo.
A quel punto
sorrise sinistramente, abbandonando nelle sgrinfie della creatura il cadavere,
il quale venne smembrato brutalmente.
Fine settimo
capitolo!
Nome Capitolo:
Ghiaccio
Angolo
dell’autrice:
Ciao a tutti! Innanzitutto
volevo ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito fino ad adesso. È una
grande impresa, devo ammetterlo, quindi... grazie con tutto il cuore! Grazie
per non avermi ancora mandato al manicomio per ciò che scrivo, mi rende felice!
Comunque oggi
volevo ancora parlare di musica. Mi è sempre piaciuto associare le canzoni a
personaggi, perché mi diverte e perché mi viene quasi spontaneo.
Quindi partiamo!
Lachesi: Sulle ali
di mio padre, la Spada Magica; Memories, Within Temptation (sono entrambe
canzoni che boh... mi sembrano azzeccate per un simile personaggio attaccato al
passato);
Elizabeth: Shut me
up, Mindless Self Indulgence (dedicato ai suoi momenti di parlantina);
Oscar: Figlio
della Luna, Mecano (ok, la storia non è propriamente simile, però...); A
Demon's Fate, Within Temptation;
Pólemos: Dangerous Mind, Within Temptation;
Agápe: Diary of Jane; Breaking Benjamin;
Gwydion: Satyros, Faun.
Per ora basta così
XD
Comunque ringrazio
ancora tutti! Grazie mille! Al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 8 *** Abisso ***
Ottavo Capitolo
Ottavo Capitolo:
Άβυσσος
Gli
occhi glaciali di una giovane Comandante scorsero chiaramente tra le file
dell’esercito nemico la figura rilevante dell’Imperatore d’Oriente, lo stesso
che tempo prima aveva tentato di impadronirsi di quei territori, massacrando il
corpo del più grande Stratega e Polemarco.
Un
uomo massiccio, muscoloso, non molto alto, con una lunghissima chioma nera e
liscia che lasciava scoperto il viso severo, non protetto dall’ elmo, dove
spiccavano due minute iridi dorate. Non era lì per combattere, avrebbe lasciato
un simile fardello ai suoi più fidati Generali. Era lì, nelle vesti sontuose
del suo ruolo, per vedere la donna-guerriero diventata così famosa per la
propria impeccabile strategia, tanto che la falange che comandava era stata
soprannominata Athánatos, ovvero Immortale.
Non era ancora giunto lo scontro finale, poiché sapeva che in
quella giornata estiva, dove il sole splendeva alto nel cielo e cuoceva
lentamente i soldati nelle loro armature, lui avrebbe ricevuto una sconfitta
memorabile. Ma non si preoccupava, perché sacrificare una legione non era nulla
in confronto allo spettacolo che stava per assistere.
Un suo ufficiale gli si avvicinò e iniziò a parlare nella lingua
appartenente ai popoli dell’estremo oriente.
<< Mio Xiānshēng, siamo in forte vantaggio numerico. Una
falange contro un’intera legione>>
Una falange non superava mai i cinquecento uomini, perché
doveva essere un gruppo facile da muovere sul campo e efficiente per ogni
cambio di strategia; una legione invece spesso poteva superare persino i
diecimila, anche se in quell’occasione si limitava soltanto a tremila soldati
armati fino ai denti.
<< Lo so>> rispose calmo l’Imperatore,
sfiorandosi con una mano la lunga barba corvina striata di bianco.
<< Perché così tanti uomini?>>
<< Perché altrimenti che divertimento ci
sarebbe?>>
<< Vuole così tanto l’Elláda?>>
<< Mi piacciono i loro vini, mi sembra normale>>
rise lo Xiānshēng, prima di abbandonare completamente l’esercito e compiere il
viaggio di ritorno in patria, scortato da una ventina di cavalieri armati.
Il combattimento si sarebbe svolto in uno stretto passaggio
tra le montagne e da quel punto di vista, la falange del Comandante Thàlassa
avrebbe potuto anche avere la meglio; ma gli arcieri della legione erano i più
esperti e possedevano tecnologie ben più avanzate rispetto a quelle degli
avversari.
Inoltre gli esploratori avevano trovato un altro passaggio,
grazie al quale avrebbero chiuso l’esercito della donna tra due morse.
La caduta della leggenda era ormai prossima.
Quella fanciulla che incitava le proprie truppe in una lingua
tanto incomprensibile quanto musicale sarebbe morta in quella stessa giornata,
con una lunga asta impiantata nel ventre.
Era solo
questione di tempo.
Wall Rose, febbraio, 852
Lachesi
guardò la folla strepitante che osannava la Legione Esplorativa. C’erano molti
uomini, donne, persino bambini ad acclamare la partenza, come se quei soldati
fossero veri e propri eroi, paladini della giustizia che con le loro gesta
avrebbero estinto il pericolo dei Giganti. E forse era così, anche se
l’ex-comandante temeva per una minaccia ben maggiore di alcuni abomini privi di
cervello.
Da
troppo tempo tutto era stato fin troppo calmo, semplice. La sua vita non aveva
incontrato nessun ostacolo, era trascorsa in modo fluido, tra allenamenti e
piccoli momenti di svago, grazie ai quali i rapporti con la squadra si erano rafforzati.
Una
sensazione amara le strinse lo stomaco, mentre i suoi pensieri convergevano su
Pólemos. Da anni quell’uomo voleva espandere il regno fino a occidente e lei
temeva che avesse colto l’occasione per partire con l’esercito. No, lui
sicuramente aveva problemi ben maggiori di carattere burocratico da sistemare.
Dopotutto era un dittatore, il solo a comandare, quindi doveva restare in
patria e affermare il proprio potere.
Come
se non l’avesse già fatto.
Scosse
il capo: forse, dopo tanto tempo, finalmente gli Dei le avevano concesso un po’
di pace; quindi non doveva temere per l’avvenire, ma concentrarsi sul presente.
Fu
allora che, alzando lo sguardo al cielo, notò un corvo nero che volava contro
il sole, volteggiando sopra le loro teste. Chinò lo sguardo irradiato dall’accecante
luce, mordendosi il labbro inferiore.
Seppur
fosse un segno di morte, lei avrebbe fatto di tutto pur di sventarlo, anche
combattere contro quegli enti che lei chiamava Divinità.
Immersa
nei propri pensieri com’era, non si accorse nemmeno che un bianco cavallo le si
era accostato e che a cavalcarlo si trovava Elizabeth, la quale portava un
lunghissimo mantello verde scuro, al contrario degli altri soldati a cui
arrivava massimo a metà schiena.
<<
Lachesi>> la chiamò la dottoressa, tirandole una ciocca.
<<
Mhm?>> mugugnò la ragazza, non riuscendo ancora a mascherare
completamente le proprie preoccupazioni.
<<
Qualsiasi cosa accada là fuori, tu non abbandonare la squadra>> le intimò
Newton, seppur con un tono quasi materno, come se sapesse cosa le passasse per
la mente << Con l’orso hai visto giusto: portandola fuori hai impedito
che compiesse una strage. Ma ricordati che su questa scacchiera tu non sei sola
e che non sei un semplice pedone sacrificabile>>
<<
Ma se non morirò io, qualcun altro cadrà al mio posto>>
<<
Lachesi, segui gli ordini di Levi, qualsiasi cosa accada. Siamo intesi?>>
La
ragazza non rispose, strinse soltanto le briglie del proprio cavallo con maggiore
forza. Sapeva che Elizabeth diceva il giusto, ma non riusciva a frenare il
proprio spirito battagliero.
E
se l’avesse visto? Cosa avrebbe fatto?
Lui,
sul suo enorme lupo corazzato corvino, mentre la guardava ghignante. Sarebbe
realmente riuscita a rimanere nel gruppo, desistendo dall’attaccarlo? La
risposta non poteva essere altro che negativa.
Aveva
sofferto troppo a causa di quell’abominio per restare calma, in silenzio. Giurò
che gli avrebbe tranciato la testa e avrebbe lasciato il cadavere a marcire per
la gioia delle carogne, come lui tempo prima aveva fatto con la sua falange.
Se
ci fosse riuscita.
Infatti
Pólemos era il Comandante più forte e in uno scontro corpo a corpo la potenza
muscolare aveva il suo peso. E poi non era stupido, aveva anni di battaglie
alle spalle ed era stato anche eletto come secondo Stratega, prima dietro al
padre di Lachesi, poi a Lachesi stessa.
La
ragazza fece un sospiro rassegnato, capendo di non avere ancora le capacità di
sconfiggerlo.
A
smuoverla dalle sue preoccupazioni, fu l’ordine di Erwin, chiaro come il rombo
di un tuono, il quale la riportò alla realtà. In pochi attimi, sarebbe uscita
dalle mura e avrebbe marciato verso Wall Maria. Frenò il cuore, fece un lungo
respiro e poi, quando le grate furono alzate, imitando gli altri soldati,
spronò il proprio destriero.
Sentì
l’impetuoso vento invernale muoverle i lunghi capelli castani, sciolti,
accarezzarle il viso, fino a penetrare sotto i vestiti, agghiacciandole il
corpo. Dopo mesi, non si era ancora abituata alle temperature rigide del luogo,
tuttavia mascherò le proprie sensazioni con un’espressione feroce, da fiera
selvatica a digiuno da troppo tempo.
Giurò
a sé stessa che avrebbe combattuto anche fino alla morte, che non avrebbe
ceduto alla paura nemmeno quando la lama di una spada fosse prossima a
decapitarla.
Quando
furono distanti dalle mura, i militi si misero nella formazione prestabilita. Lachesi
si trovava nella squadra di Levi, nell’ala sinistra centrale, assieme a Eren,
Mikasa, Elizabeth e Oscar.
Osservò
il Caporale Maggiore più volte, ripensando a ciò che le aveva detto Newton. Si
doveva fidare di lui, come aveva sempre fatto. Non doveva cadere negli impulsi,
seppur fossero forti, anche più potenti della ragione. Doveva restare al fianco
di quell’uomo.
L’ultimo
punto però non gli era suggerito dalla dottoressa o dalla materia grigia, bensì
da qualcosa di più profondo, di pulsante, che lei aveva soffocato da troppo
tempo con il proprio spirito bellico. E ciò le fece anche più terrore dell’idea
di trovarsi davanti Pólemos e di non riuscire a sconfiggerlo.
Tirò
lievemente le briglie del quadrupede, rallentando impercettibilmente la
corsa
per allontanarsi dal proprio superiore, raggiungendo invece Ackerman.
Sembrava un gesto infantile e forse lo era, ma almeno così la
giovane si sentiva più sicura.
Sulla
strada, in un primo momento, stranamente non trovarono molti Giganti e quei
pochi che avevano incrociato, venivano evitati con grande maestria.
<<
Sono molti meno>> commentò stupita la dottoressa << Peccato, volevo
proprio squartarne qualcuno con le mie mannaie>>
<<
Tu non squarterai proprio nulla, donna>> sbottò il capogruppo <<
Nessuno deve separarsi dalla squadra>>
<<
Nano bastardo>> bofonchiò << Almeno un Gigante di cinque metri me
lo potresti concedere>>
<<
No>>
<<
Ma così diventa una spedizione priva di adrenalina! E un po’ di adrenalina nel
sangue ci vuole>>
<<
Se fosse per me, ti avrei già spedito in bocca ad un Gigante>> brontolò
il Caporale Maggiore, per poi fulminarla con sguardo cupo, virando infine
l’occhiata su Lachesi, la quale osservava un punto indistinto della pianura
<< Ohi, Lachesi>> la chiamò.
La
ragazza scosse il capo, come appena destata da un lungo sogno. O incubo, a
giudicare dagli occhi spalancati.
<<
Che c’è?>>
<<
Resta concentrata>>
<<
Sono concentrata!>> ribatté lei in tono battagliero.
<<
Non mi sembra. C’hai lo sguardo perso da quando siamo partiti. Se vuoi finire
divorata da un Gigante, non mettere a rischio la mia squadra>>
<<
So badare a me stessa e non ho intenzione essere divorata>> disse lei con
tono glaciale, innervosita più con se stessa che verso il Caporale Maggiore.
Questo
abbozzò un impercettibile sorriso nel vedere rifiorire la grinta della
soldatessa, la quale ora aveva uno sguardo più fermo e concentrato. Ogni
preoccupazione si era dileguata da quel corpo ed era tornata la fredda logica
da ex-comandante.
Sul
percorso per la riconquista di Wall Maria iniziarono anche a incontrare alcuni
Giganti. Erano normali abomini, anche se più proseguivano con la marcia,
virando, incurvando la linea retta del tragitto per evitare scontri, più
s’imbattevano in alcuni che definirli anomali era ancora poco.
Erano
veloci e puntavano più che altro a spostare, anzi, a guidare la legione,
piuttosto che uccidere i soldati, evitando egregiamente gli attacchi di chi provava
a colpirli. Senza divorare nessuno.
Lachesi
provò ad avvertire Levi dell’eventuale trappola, di rompere la formazione, ma
le parole le morirono in gola quando il suo superiore le rispose in modo autoritario.
Lui non avrebbe mai disubbidito agli ordini di Erwin o almeno così piacque credere
alla giovane, anche se l’idea che non si fidasse ancora di lei le stringeva il
cuore in una morsa glaciale.
Seguirono attimi interminabili di assoluta calma, dove
nessun suono, oltre all'assordante rumore di zoccoli, distrbava
l'improvviso sonno della pianura.
I Giganti, che fino ad un attimo prima erano impossibili da attaccare,
vennero abbattuti con estrema facilità, così la marcia
continuò senza ostacoli per un tratto abbondante di strada,
allontanandosi sempre di più dalle mura, finché queste
non divennero un lontano ricordo alle loro spalle.
I
militi continuavano imperterriti, pensando di essere diventati ormai
esperti riguardo il nemico. Alcuni addirittura ridevano o scherzavano,
si schernivano a vicenda, nella più totale tranquillità,
anche se si riusciva ancora a percepire la rada tensione.
Un sogghigno.
Un impercettibile gesto di mano.
Ed improvvisamente ogni loro sicurezza svanì.
Un orso abnorme
sfondò di prepotenza l’ala destra, mettendo in fuga i superstiti, i
quali intralciarono gli altri soldati.
L’animale
ruggì, opprimendo gli animi dei presenti, facendo vibrare le loro interiora e congelando
molti dal terrore più puro.
Altri
due Giganti dotati di intelligenza iniziarono a incalzare, a disperdere i
militari sull’ala sinistra. Erano corazzati in tutti i sensi e dotati di una
forza e una velocità inaudita, ben superiore a tutti gli abomini che avevano
incontrato fino a quel momento, persino più resistenti del Colossale e del
Corazzato. E anche di Eren e Oscar.
I
soldati non potevano ritornare dentro Wall Rose, perché ormai i cancelli erano
troppo lontani. Non potevano rifugiarsi nella foresta, perché si trovavano in
aperta pianura e avevano la strada sbarrata dai due mostri. Erano come animali
caduti nella rete di un cacciatore.
Chi
tentava di fuggire, lontano dalle creature abnormi, veniva sgozzato da una bellissima
donna, dai lunghi capelli biondi e mossi, armata con una letale falce e due
fatali stiletti, a cavallo di un cupo destriero a dir poco spettrale, forse a
causa dell’armatura.
<<
Caporale!>> urlò d'un tratto Elizabeth, tenendo a bada il proprio cavallo
imbizzarrito.
<<
Restate uniti>> ringhiò l’uomo.
<<
Bisogna portare in salvo il salvabile>> disse Lachesi, la quale aveva già
un piano nella mente, seppur fosse conscia del pericolo che avrebbe corso.
<<
E come?!>>
<<
La foresta non è lontana. Io insieme ad un altro Gigante potremmo distrarre i
due e lasciare così una via di fuga. L’orso e la donna sono impegnati a
uccidere chi fugge nell’ala destra...>>
<<
No>> rispose secco e impulsivo il Caporal Maggiore.
<<
Perché non ti fidi di me?!>> sbraitò Thàlassa << Se stiamo qui
verremo uccisi o peggio!>>
Lui
non le rispose e ciò scatenò le ire dell’ex-comandante, la quale smontò da
cavallo e partì ugualmente alla carica. Non si curò dei richiami di Levi,
avanzando invece con maggiore velocità e sguainando le spade. Inspirò
profondamente e attirò su di sé l’attenzione dei due mostri con un grido
battagliero. Uno di questi, il più basso, di all’incirca diciannove metri, tentò
di ghermirla, ma lei evitò il colpo, piroettando in aria e atterrando poi sul
suo braccio. Lo percorse per tutta la sua lunghezza, fino a raggiungere metà avambraccio. Con l’ausilio della
manovra tridimensionale, riuscì ad agganciarsi all’altra spalla e con abile
mossa sgozzò l’abominio alla giugulare non protetta dall’armatura in cuoio;
prima che crollasse a terra, la ragazza tentò di finirlo alla nuca, ma il
secondo riuscì ad afferrarla alla vita in una morsa ferrea.
Urlò
di dolore non appena la stretta divenne sempre più opprimente, sentendo i
muscoli in un’unica fitta tremenda.
Levi,
che la vide da lontano, volle intervenire, capendo che lei non avrebbe mai potuto
reggere uno scontro con due Giganti, soprattutto quando stava per
sopraggiungere anche l’Orso, ma fu frenato da Newton.
<<
Se tu muori, questi soldati saranno davvero condannati. Non deve morire il loro
pilastro. Non può morire il suo
pilastro>> la donna abbassò la voce, facendola quasi diventare un
sussurro << Ti prego, non farle questo>>
Lachesi
fu scaraventata a terra con una violenza inaudita dall’abominio, ma quando questo
stava per darle il colpo di grazia che le avrebbe fracassato il capo, lei si
rigirò repentinamente su un fianco, evitando un potente pugno.
Un
sapore metallico le gorgogliò in gola, mentre il cremisi iniziò a fuoriuscirle
copioso sia dalle labbra, sia dalle braccia, le quali erano una posizione
innaturale con l’osso della spalla sinistra sporgente. Si reggeva a malapena in
piedi, essendo appena riuscita a concentrare le proprie capacità di rigenerazione
nelle gambe, seppur il resto del corpo urlava straziante pietà.
Ogni
passo era una tortura, ma doveva correre per non essere presa nuovamente dal
Gigante. Era ben conscia che non sarebbe mai riuscita a reggere per molto altro
tempo, ma sperava che quei minuti preziosi che le rimanevano fossero utili per
portare in salvo il rimanente della Legione Esplorativa. Almeno dentro alla
foresta sarebbero stati aiutati dall’equipaggiamento e avrebbero avuto una chance in più.
Non
appena fu di nuovo in grado di usare il braccio destro, amputò tre dita ad un
nemico, ma l’altro riuscì a schiacciarla al suolo. Lei sopravvisse, tenendo a
stento sollevata la mano avversaria mentre le proprie gambe scricchiolavano
impotenti, prossime al collasso. Gridò di rabbia, mentre sentiva la forza del
nemico quadruplicare, ma con lacrime che le scorrevano lungo il viso, tentava una
stregua difesa.
Era
bloccata, soffocata dal peso e dal pensiero di morire come un fastidioso
insetto. Pregò quindi per l’ultima volta le divinità affinché fosse riuscita a
salvare il salvabile.
Ma
la bianca dea non giunse ancora a prenderla.
Infatti
qualcosa frenò l’attacco dell’abominio. La ragazza riuscì a distinguere un
Gigante a lei familiare, il quale aveva colpito in pieno viso il mostro,
facendolo cadere contro l’altro.
<<
Eren>> mormorò, sentendo una leggerezza improvvisa.
Si
mise a fatica in posizione eretta, evitando appena una zampata dell’Orso e una
stilettata della donna, la quale però le sfregiò il volto. Ma a quel punto
intervenne il Gigante Piromane che ferì l’animale e con una vampata di fuoco
bruciò il mantello scarlatto della guerriera a cavallo.
Lachesi
si lanciò contro le caviglie dell’abominio più alto, riuscendo a causargli un
profondo taglio che lo fece crollare al suolo.
Finché
avrebbe avuto un solo briciolo di forza nel corpo avrebbe combattuto. Anche con
i denti e le unghie, non aveva intenzione di cedere.
Le
spettarono i minuti più lunghi della sua intera esistenza, dove si trovò fin
troppo spesso faccia a faccia con la morte; però riusciva a sfuggirle con la
stessa grazia con cui evitava gli attacchi mortali. Fu in grado anche di
tagliare la nuca del mostro più alto, riuscendo a farlo tacere una volta per
tutte.
Per
lei, riuscire a prevalere in quello scontro, fu come vincere una lunga guerra.
Estrasse
l’uomo che comandava il corpo titanico, pronta a sgozzarlo, ma l’intervento
repentino della donna la frenò e fu costretta così ad abbandonarlo per restare in
equilibrio sul filo tra vita e morte.
Eren
sfondò la mascella dell’altro abominio, fracassandosi però le nocche della mano
sinistra. Il suo braccio destro era ferito gravemente ed emanava un vapore
bollente, così come per il petto di Oscar, su cui si trovavano lunghe unghiate
sanguinanti.
Quest’ultimo
afferrò il collo dell’orso e lo scaraventò a terra, anche se poi l’animale gli
azzannò una gamba, spezzandogliela. Entrambi al suolo, iniziarono a lottare
con tutte le forze, rotolando e distruggendo gran parte della pianura già
martoriata.
Continuarono a resistere, ma il loro tenue barlume di vittoria si spense quando
sopraggiunsero altri soldati, i quali non li uccisero, però li misero in
condizione tale da non poter contrattaccare. Wilde era steso con l’orso che lo
immobilizzava e guerrieri che, grazie a lunghi cavi di un materiale corvino,
gli impedivano di alzare il capo; Jaeger invece era stato ferito da un uomo misterioso
che, con armi dalle lame nere come la notte, gli aveva tagliato le caviglie e
amputato entrambe le braccia. Poi questo afferrò una spada e la scagliò contro
Lachesi, la quale non fu abbastanza lesta per evitare il fendente che le
penetrò in profondità la spalla già ferita.
La
giovane crollò al suolo, lasciandosi un guaito per il dolore.
<<
Chi si rivede>> rise il guerriero, mostrando le fauci <<
Effettivamente, mi mancava una puttana nel mio harem>>
La
ragazza sgranò gli occhi.
Il
cuore le pulsava sin nelle orecchie, dolendole addirittura nel petto. Ebbe
appena la forza per alzare il capo e osservare le iridi azzurro elettrico
dell’avversario, il quale si trovava in piedi davanti a lei.
No.
Doveva
rialzarsi, non poteva dimostrarsi debole davanti a lui.
Tuttavia,
appena tentò di far pressione sulle gambe per reggersi nuovamente in piedi,
Pólemos le affondò la spada, costringendo così Thàlassa a cadere in ginocchio.
<<
Maledetto>> ringhiò a denti stretti, per impedire che un altro urlo
uscisse dalla gola.
<<
è così che saluti tuo marito?>> le domandò, avvicinandole l’altra lama
sul collo, sfiorandoglielo, mentre la teneva ferma per la lunga chioma <<
Sai cosa meriteresti?>>
Non
rispose. Non ne ebbe la forza.
Sentì
il flebile rumore del freddo metallo guizzare in aria, per poi piombare su di
lei e tagliare. Un getto di sangue le macchiò ulteriormente la camicia, ormai
lercia.
<<
Ora sei perfetta>> le sussurrò all’orecchio, rifoderando l’arma estratta
dalla spalla.
Una
cascata di capelli castani si sparpagliò sul terreno, mentre le iridi della
giovane diventarono sempre più lucide, assimilando lentamente ciò che era
successo. Poi delle calde lacrime iniziarono a solcarle il viso contro la
propria volontà, mentre stringeva i pugni per la rabbia che aveva iniziato a
pulsarle nel cuore.
<<
Papà...>> mormorò, afferrando una ciocca con la vista che le si
offuscava.
Mentre
Pólemos le stringeva un cappio intorno al collo, negli occhi cupi della ragazza
brillò una scintilla di odio proveniente dal muscolo palpitante.
<<
Sei la mia prostituta ora. Tuo padre capirà>> rise il Comandante, ma
ricevette un inaspettato pugno nello stomaco. Non gli causò dolore, anche
perché Lachesi era fin troppo affaticata per avere ancora energie; tuttavia
dovette stimare il coraggio o la stupidità di quella giovane, che anche in una
simile situazione combatteva.
Per
un breve istante, aveva rivisto la grinta del Polemarco assassinato sul campo
di battaglia un decennio prima e gli scappò un ringhio cupo. Le alzò il capo
con forza per la breve capigliatura, tipica delle schiave nella loro cultura,
per poi baciarla prepotentemente, arrivando persino a ferirle le labbra con le
proprie fauci.
Infine
la lasciò, spingendola malamente sulla terra battuta.
Appena
lei tentò di rialzarsi, lui le diede un calcio tale da farle rigettare sangue.
<<
Türannos, che ne facciamo di loro? E
dei fuggiaschi?>> chiese un guerriero.
<<
I due Giganti mettili nelle sapienti mani di Ýbris: lui sa zittire e addolcire i
cani rognosi. I fuggiaschi invece lasciali al loro destino, inseguirli sarebbe
solo una perdita di tempo>> detto ciò, diede un veloce sguardo al corpo
di Thàlassa e alle occhiate fameliche che il soldato le lanciava, visto che la
bellezza della giovane si era preservata perfettamente anche con i capelli più
corti, poi aggiunse: << Lei sarà il mio giocattolo per le
prossime notti. Nessuno la toccherà. Nessuno oltre a me>>
<< Certo, mio Türannos>>
rispose con un po’ di amarezza il sottoposto, poiché sperava che mettesse a
disposizione dell’esercito quella donna divina, come aveva fatto in precedenza
con tutte le altre ragazze.
<< Muori>> ringhiò
Lachesi, mentre veniva legata al nero lupo corazzato del Comandante.
Pólemos fece un ghigno divertito,
montando in groppa all’animale per poi spronarlo alla massima velocità,
costringendo Thàlassa a mantenere il passo, seppur non ne avesse la forza.
Nel frattempo Gwydion, richiamando
a sé con un acuto fischio un grosso corvo, si avvicinò ai due ragazzi che
avevano già saggiato la brutalità di quell’esercito, a quanto poteva notare
dalle grandi chiazze cremisi sulle camicie.
Con la propria mano insanguinata,
precedentemente ferita con uno stiletto, passò sui tagli più gravi dei prigionieri.
I due non dissero nulla, poiché erano a un punto dal crollare.
Sfiorò la chiave al collo di Eren
e la osservò incuriosito per qualche attimo. La rigirò tra le dita un paio di
volte, poi la lasciò, rialzandosi.
<< Che...>> biascicò
d’un tratto il ragazzo, alzando debolmente il capo dal suolo.
<< Vi aiuterà a rimarginare
le ferite>> sussurrò il druido, prima di allontanarsi.
Appena fece per montare in sella,
una donna, la stessa che si trovava tempo prima con lui a massacrare la Legione
Esplorativa, gli si accostò.
<< Vedo che ti sei riuscito
a superare la morte della tua compagna>>
<< Cosa?>> domandò
lui, voltandosi per incrociare quello sguardo celeste, malizioso come non mai.
<< Beh, quei due ragazzi
effettivamente sono un bel bocconcino. Se vuoi posso convincere Pólemos
affinché te li lasci. Dopotutto io sono la sua concubina preferita>>
<< Nessuno la può
rimpiazzare, specialmente quei due>> ringhiò Gwydion, salendo sul proprio
cavallo pezzato << E poi hai perso il tuo posto con una donna ben più
intelligente>>
<< Cosa?! Pólemos ha
riguardo di me! Io sono la sua nuova Thàlassa! Ti farò degradare per quel che
hai detto!>>
Lui non le rispose, spronando il
destriero. Non si curò degli urli isterici della donna, stringendo invece una
ferita che aveva iniziato a pulsargli nel petto.
Una ferita che non si sarebbe mai
rimarginata.
Fine ottavo capitolo!
Nome Capitolo: Abisso
Angolo dell’autrice:
Eccoci di nuovo qui! Dopo aver
affrontato Giganti ferocissimi (quali il mio profe di latino e di greco), oggi
volevo scrivere non di musica, non di curiosità, non di pezzi del background.
Bensì una mia demenza unica, dovuta ad una sclerata di un tardo pomeriggio con
una mia amica.
Tutto è nato dalla fatidica
domanda “E se Shingeki fosse un gioco di ruolo?”. La discussione è
proseguita con le cose più dementi, tanto che da qualche parte nella mia
cartella ho scritto anche qualcosa al riguardo, puro for fun, niente che mai
pubblicherò.
Ho giocato diversi anni a un videogioco
online della cara Blizzard (quanti soldi mi hai spillato XD), anche se
ormai l’ho abbandonato completamente,
perché non ho più schei ( ç.ç la mia
povertà), né voglia, né tempo per giocarci.
Però un piccolo tributo volevo ugualmente scriverlo (per alcuni
termini mi sono
fatta aiutare, lo ammetto, perché ho la memoria di un Gigante
comune).
Così... ecco qua, la mia pazzia
inizio interrogazioni! Buona lettura!
Esistevano
warrior, tantissimi warrior, ma nessuno di essi era IL warrior. IL warrior
infatti era un personaggio mistico, l’incontro tra un nano e un comodino Ikea
(per l’ampia espressività), con l’incazzatura tale da essere soprannominato
uomo-bestemmia.
Il nome del
giocatore era Levi. Il nome del personaggio che giocava era Heichō,
semplificato in Levi.
Giocava ovviamente
come Officer in una delle migliori gilde del server, la prima a fare le
first-kill dei boss e a fare achivement ai comuni mortali pressoché impossibili
senza abbondante gear.
In PVP, in ogni
luogo dove passava lui, non cresceva più l’erba.
Anche perché aveva
herbalism.
O perché aveva
dietro al culo Nanaba, il farmer di Gilda.
Asfaltava la gente
persino con le battaglie tra companion, con il suo cazzutissimo drago Rivaille.
Insomma, era perfetto. Nessun warrior Fury era come lui.
E giocava in una
gilda di menomati mentali.
Warrior: Guerriero
(un tipo di personaggio che si può giocare).
Officer: un
personaggio nella gilda normalmente poco sotto il capo, che ha il compito di
aiutare a gestire.
First-kill: prima
uccisione
Achibement: premi
che si conseguono dopo vari obbiettivi.
Gear:
equipaggiamento.
PVP: player vs
player, ovvero luoghi dove i personaggi si possono scannare.
Herbalism:
oddio... la traduzione italiana precisa non saprei (o perlomeno, la prima che
mi viene sarebbe raccoglitore di erba, ma suona abbastanza male). Sarebbe una
professione che permettere di raccogliere le piante per poi usarle per creare
pozioni o pergamene o...
Farmer:
personaggio che passa tutto il tempo a raccogliere materie prime.
Companion:
animaletto domestico che segue un personaggio.
Fury:
specializzazione del Guerriero.
Bon, e qui vi
saluto al prossimo capitolo! Probabilmente con il secondo quadrimestre sarò
meno presente... perché è il secondo quadrimestre, dopotutto. Anzi, se vogliamo
proprio essere fiscali, pentamestre. Quindi nulla, alla prossima! Un bacione a
tutti quelli che mi seguono!
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Capitolo 9 *** Fondo del Mare ***
Nono Capitolo
Nono Capitolo:
Βυθός θάλασσας
Una
bambina dai corti capelli castani impugnò una pesante spada a due mani dalla
lama corvina come la notte. Anche se non aveva la forza necessaria per poterla
usare efficientemente in combattimento, lei non si arrese, preferendo subire
pesanti colpi dal suo istruttore piuttosto che abbandonare l’arma e sceglierne
una alla sua portata.
L’uomo
si scostò una ciocca bionda dal viso e osservò quel gracile corpo con i propri
occhi azzurro elettrico, prima di sferrarle un pesante calcio nello stomaco che
la fece cadere dolorosamente a terra e rigettare sangue.
Ma
anche se sofferente, la giovane non lasciò l’elsa della spada e si rialzò,
usando la lama impiantata nel suolo come sostegno. Ansimava, tossiva cremisi e
sentiva le ferite bruciarle internamente, però rimaneva salda sulla pianta dei
piedi, non volendo per niente al mondo cedere.
Il
caldo sole primaverile l’affaticava ancor di più, come se non fosse già
abbastanza in difficoltà. Sentiva la gola secca, con uno sgradevole sapore
metallico che le provocava unicamente un senso terribile di nausea.
Raccogliendo
le ultime forze che le erano rimaste, corse verso l’avversario, tentando un
affondo, ma questo evitò facilmente il lento colpo e contrattaccò con un pugno,
il quale riuscì a staccarle quattro denti da latte.
<<
Pólemos!>> esclamò allarmato un altro uomo, poco più basso
dell’insegnante e con una muscolatura meno sviluppata, seppur la corazza dorata
e il mantello gli donassero una maggiore importanza << Basta! Ha solo
otto anni! Se continuerai così, la ucciderai!>>
L’interpellato,
che portava soltanto una gonna in cuoio borchiata e dei calzari aperti, si
voltò fulmineo verso l’interlocutore e lo fulminò, anche se poi gli diede
un’occhiata più dolce, quasi divertita per quella presa di potere.
<<
Agápe, non sapevo che riuscissi ad indossare i pantaloni davanti a me>>
lo schernì acidamente, prima di concentrarsi nuovamente sulla bambina, la quale
si era a fatica rizzata in piedi, seppur la stabilità non fosse delle migliori
<< Io sono il suo istruttore, così hanno ordinato i Polemarchi. Quindi
non ti azzardare più a importi con me. Non ne hai il potere, né di giorno, né
tantomeno di notte>>
Agápe
fece un ringhio sordo, prima di avvicinarsi al campo di addestramento e calpestare
la sabbia screziata di cremisi.
<<
I Polemarchi hanno detto di allenarla, non di ucciderla. Quindi se non farai il
tuo lavoro, sarò costretto a denunciarti davanti a loro>>
<<
Ci tieni tanto alla mocciosa, ma molto meno alla tua vita>>
<<
Ho promesso a suo padre che l’avrei protetta a ogni costo. E almeno questa
promessa la voglio mantenere>>
I
due Comandanti erano terribilmente vicini, prossimi allo scontro, ma un tremendo
e fulmineo fendente bloccò ogni possibile combattimento.
La
pesante spada corvina, con un lesto attacco, tranciò di netto il braccio
sinistro di Pólemos e ustionò anche la parte di pelle circostante, causando un
dolore indescrivibile all’uomo. L’elsa mortale era stata condotta dalla
bambina, la quale faceva lunghi respiri.
Il
ferito, in un impulso di ira, fece per afferrarla al collo per spezzarglielo,
ma Agápe fu più veloce a prenderla e portarla lontano.
Seguì
un lungo minuto di silenzio, dove i presenti rimasero a fissarsi l’un l’altro
attendendo una possibile reazione. Che non avvenne.
<< Prendila pure tu in
custodia>> rise infine Pólemos, togliendo la mano dal taglio << Io
le insegnerò quando sarà capace a tenere decentemente una spada in mano>>
Accampamento,
febbraio, 852.
Il cielo era cupo,
la luna e le stelle erano velate da una spessa coltre di nubi che insieme
all’aria ricca di tempesta annunciavano la pioggia. Tutt’intorno
all’accampamento regnava il silenzio più totale, colmato unicamente dalle voci
di soldati ubriachi.
Illuminate dalla
tenue luce delle torce, all’estremità del campo si trovavano diverse guardie
nerborute, più simili per stazza a creature mitologiche che a comuni esseri
umani. Fermi, immobili osservavano il buio con sguardo attento, non lasciandosi
sfuggire nemmeno un rumore.
Al centro invece
era posta una tenda più lussuosa delle altre, più ricca di oggetti e più
confortevole. Al suo interno, vicino a una tavola sepolta da mappe e carte, si
trovava Lachesi, raggomitolata e singhiozzante, con visibili lividi non coperti
dalla corta veste da schiava che indossava.
Stringeva i pugni
con talmente tanta veemenza da mostrare addirittura i tendini sottopelle.
Avrebbe voluto uccidere Pólemos con le proprie mani, ma non era abbastanza
forte. Non lo sarebbe mai stata.
Alzò da terra il
capo, asciugandosi il viso su cui era colato il trucco con cui le serve
l’avevano abbellita. Lunghe linee colate nere, rosse e cobalto le rigavano le
guance, mentre i corti capelli, che le arrivavano all’incirca metà del collo,
erano scompigliati, seppur abbastanza puliti. Ma anche in quelle disastrose
condizioni poteva ancora definirsi un oggetto assai appetibile.
Guardò le mani
sporche di cosmetici dai colori accesi, poi fece un lungo e rassegnato respiro,
interrotto ogni tanto dai gemiti. Perché gli dei le erano così avversi? Perché
non poteva vivere una vita priva di dolore e di disgrazia?
Allora pensò ad
Agápe. Alla sua proposta di diventare una donna di casa, di stare lontano dalla
guerra e dal campo di battaglia. Avrebbe vissuto in un bell’alloggio, consorte
di chissà quale uomo, passando il tempo a tessere e ad ubriacarsi assieme alle
altre mogli per evitare il senso di vuoto che altrimenti l’avrebbe sopraffatta.
Quella però non
era vita o almeno, non per Thàlassa. Ma nemmeno l’opzione che aveva scelto si
poteva definire in tal modo.
Oppure no.
Ripensò all’ultimo
periodo, a quando aveva conosciuto i membri della Legione Esplorativa, in
particolar modo Elizabeth, Eren, Mikasa, Oscar... e Levi. I suoi compagni, il
suo appoggio. Grazie a loro aveva dato un senso alla parola vivere. Aveva
assaporato ogni attimo, ogni risata quando era in loro compagnia.
Si portò le
ginocchia al petto, pensando in che condizioni potessero essere Eren e Oscar in
quel momento, sentendosi così incredibilmente in colpa, come se avesse condotto
lei Pólemos fino a lì, come se avesse architettato lei il piano per instillare
il panico tra i soldati, prima di distruggerli definitivamente.
Era solo un
mostro, uno di quei demoni dello spietato dio della Guerra capaci di portare
solo morte e terrore.
L’avvento di un
grosso corvo la fece sobbalzare. Seguì il volo con lo sguardo, finché l’animale
non si posò sul ciglio di una tinozza vuota, guardandola diritto negli occhi
azzurri con i propri piccoli e corvini.
Poco dopo entrò
Gwydion, il quale richiamò a sé il volatile che, ubbidiente, gli si poggiò su
una spalla. Il druido stringeva tra le mani una bevanda calda, dall’odore
repellente.
<< Tieni,
bevi>> disse, porgendogliela.
<< è
veleno?>> ringhiò lei, accettando comunque il liquido verdastro.
<< No. È una
miscela che permette di non avere brutte sorprese in futuro. Dopotutto sei una
donna e non credo che Pólemos ti abbia scambiato carezze la notte
scorsa>>
Lachesi guardò il
bicchiere, mentre il suo volto s’incupiva sempre di più. Un tempo non avrebbe
mai fatto un simile gesto, perché dopotutto la possibile creatura che avrebbe
potuto trovarsi nel suo grembo aveva diritto di vivere; non doveva essere
infatti per forza uguale al padre. Eppure qualcosa, una voce, un sussurro
interiore le consigliava di pensare, di riflettere.
Non riusciva a
comprendere il proprio vacillamento di opinione e quale potesse essere la
causa. O forse ne era cosciente, ma non voleva ammetterlo.
<< Lachesi,
lo so che per te è difficile, ma vuoi rimanere veramente incinta di un uomo che
detesti?>>
<< Da che
parte stai? Perché mi stai aiutando?>>
<< Io non ho
una parte in cui stare ormai da molto tempo. Comunque il mio aiuto non è per
secondi fini, se era questa la tua preoccupazione>>
Seguì un minuto di
silenzio dove i due si osservarono a lungo.
<< Ad ogni
modo... grazie>> mormorò infine lei, bevendo poi d’un sorso il liquido
terribilmente amaro, facendo una smorfia per il disgusto.
L’uomo lanciò un
quadrato di cioccolato che la ragazza non tardò a prendere al volo. Rimase a
contemplare l’alimento come se fosse un
essere estraneo, proveniente da chissà quale terra. Da troppo tempo non vedeva
una simile prelibatezza, tanto che quasi si era dimenticata persino la forma e
il sapore.
Non si domandò
nemmeno se fosse avvelenato, anzi divorò il dolce con un incredibile
contentezza, soprattutto perché in tal modo riuscì a togliere il terribile
sapore della bevanda. Si gustò ogni molecola di quel cibo, mentre un sorriso le
si allargò ampio sul viso.
<< Vieni, ti
porto a vedere i tuoi compagni>>
<< Davvero?
Ora mi dirai che sei riuscito a convincere Pólemos...>> disse la
fanciulla in tono scettico.
<< No, ora
il Comandante sta bevendo in compagnia, quindi so di per certo che non tornerà
per un po’>>
<< Fammi
indovinare, una formosa schiava?>>
<< No, un incatenato Comandante>> il druido
emise un lungo respiro, facendole segno di seguirlo, poi continuò con voce un
po’ più moderata, quasi un sussurro << Agápe sta per essere
giustiziato>>
Le gambe di
Lachesi vacillarono, facendola barcollare un poco, mentre il suo stomaco si
chiuse in una gelida morsa. Cercò disperatamente della menzogna negli occhi
aurei dell’uomo, ma trovò unicamente una amara, amarissima verità.
Agápe sarebbe
morto a causa sua. La sua falange era morta a causa sua. Suo figlio era morto a
causa sua, perché la reputavano alla stregua di un mostro. Quante persone
dovevano ancora morire ingiustamente?
Doveva esserci lei
sul patibolo, avrebbe dovuto trovarsi lei smembrata al posto dei soldati, ma la
sua ora sembrava non venire mai e al suo posto venivano prese persone care.
No.
Agápe era stato
come un secondo padre per Lachesi. L’aveva accudita, cresciuta e aiutata in
molte situazioni spigolose. Non voleva perderlo per niente al mondo, anche al
costo di finire lei sul patibolo.
Gwydion la fermò,
muovendo lentamente il capo in segno negativo, come se le avesse letto il
pensiero e sapesse le sue intenzioni.
<< Pensa ai
tuoi compagni, se tu morissi...>>
<< Non mi
puoi dire di scegliere la mia vita al posto della mia famiglia!>> esclamò
Thàlassa << Mi sono rotta le palle di vedere gente a me cara morire!
Agápe è l’unico che mi è rimasto, non voglio che faccia la stessa fine!>>
<< E Levi? E
Elizabeth, Eren, Oscar...>>
<< Per loro
sono un cadavere ormai>> mormorò la ragazza, chinando il capo << ed
è meglio così>>
Il druido fece un
lungo respiro, poi gettò a terra una daga dalla lama nera come la pece, allontanandosi.
<< Fai ciò
che devi, stratega. Hai una sola possibilità>> disse prima di scomparire
tra le altre tende assieme al corvo.
Wall
Rose, febbraio, 852
Elizabeth si
guardò allo specchio, facendo un lungo sospiro. Tutto era incredibilmente
vuoto, silenzioso, inutile. Persino quell’immagine riflessa era vuota.
Erano passati un
paio di giorni dalla terribile spedizione ed ora si preparava per andare a
discutere con i membri più importanti, i quali non accettavano un altro
fallimento. Invano la Legione Esplorativa aveva spiegato a loro la situazione,
l’arrivo di questo temibile esercito nemico, poiché nessuno credeva a quelle
parole, giudicandole insensate.
Infatti Lachesi
era un personaggio nato lì a Wall Rose e tutta la storia che le girava attorno
era una messa in scena dei piani più alti. O almeno erano queste le notizie che
si leggevano sui giornali.
Dov’era la dea?
Dov’era la schiava?
Dimenticata con la
sua morte.
Si allacciò il
cinturino in cuoio delle proprie vertiginose scarpe con il tacco, poi uscì
dalla propria stanza a testa alta rivolta il soffitto bianco, immacolato.
Non aveva né la
capacità, né la voglia di affrontare un dibattito con il quale si sarebbe
indubbiamente sciolta la Legione Esplorativa. Perché ormai era chiaro: senza
più l’appoggio né del popolo, né dei nobili, la vita di quell’organo
dell’esercito era destinata a cessare.
Ma non le importava
più di nulla. Infatti aveva riflettuto a lungo sull’idea di abbandonare quel
posto per ritornare a oriente e adempire in tal modo al suo compito che aveva
rimandato da troppo tempo. Quel progetto, seppur l’avesse scartato per molti
anni, sembrava essere l’unica azione sensata da fare.
Senza la propria
squadra, senza Oscar, niente la tratteneva in un luogo così corrotto. E non
voleva rimanerci un solo istante di più.
Tuttavia, qualcosa
la riportò al presente: difatti si scontrò con una figura più bassa di lei, dal
famoso e pessimo carattere, accentuato nell’ultimo periodo.
<< Oh,
buongiorno nano>> la donna forzò un sorriso sprezzante che tuttavia si
spense quasi subito.
<< Guarda
dove cammini, donna>> rispose lui, con meno grinta del solito.
Camminarono l’uno
affianco all’altra per un tempo indeterminato, forse minuti, forse quarti d’ora.
Non si parlarono, né si tirarono frecciatine. Il silenzio regnava sovrano,
poiché entrambi erano immersi nel propri pensieri.
Fu però la stessa
Elizabeth a rompere il ghiaccio, non per volontà sua, ma perché in fondo non
sopportava vedere il Caporale Maggiore in quelle condizioni.
<< Sai,
nano>> iniziò << sono una persona orribile>>
<< Ma non mi
dire>> scherzò lui, amaramente.
<< Ho deciso
di tenere Oscar solo per un mio capriccio e adesso che è andato tutto a
puttane, ho preso la decisione di andarmene>>
<< Mi hai
scambiato per un cazzo di confessionale?>>
<< Bah,
forse. Volevo andarmene senza pesi sul cuore, ecco tutto. Sai, ho amato molto la
madre di Oscar, un amore carnale al limite del distruttivo. E quando lei è
morta ho preso con me suo figlio perché... boh, non so nemmeno il motivo. Se
avessi saputo che perderlo mi avrebbe causato un dolore simile, l’avrei
lasciato morire tra le fiamme>>
<< Non ne
saresti capace>> disse schietto Levi dandole un gelido sguardo, poi
continuò << Altrimenti non avresti nemmeno aiutato mia madre a
partorire>>
<< Oh, già,
mi ricordo ancora la tua faccia incazzosissima di quando sei venuto alla luce.
Ma quella comunque è storia vecchia, sono cambiata>>
<< Nessuno
cambia>>
E dopo quella
fredda frase, uscirono dal quartier generale, raggiungendo la carrozza che li
avrebbe portati al luogo della riunione. Ad aspettarli si trovava Erwin,
vestito di tutto punto, con un’espressione serissima. Lasciò addirittura
interdetta la dottoressa, la quale non riusciva a capire come facesse il
Comandante ad essere così forte, al contrario suo che invece stava per
crollare.
Il trio salì sul
veicolo, dove si trovavano Mikasa e Armin, entrambi cupi e distanti con la
mente, dopo giorni di protesta. Fecero fatica a salutare i propri superiori,
anzi, forse non li salutarono nemmeno da quanto erano sconvolti.
Perdere nuovamente
Eren per la ragazza era significato molto, un dolorosissimo colpo allo stomaco
e alla psiche; era diventata più taciturna del solito e la medesima situazione
valeva anche per l’amico.
Nessuno della
squadra era rimasto impassibile dopo quel disastro. Nemmeno Sasha o Connie,
neppure Jean, il quale si era rigirato spesso tra le dita uno stemma
appartenente forse a un suo amico deceduto.
Il quintetto non
parlò per tutto il viaggio, rimanendo alcuni a fissare un punto indistinto
fuori dal finestrino, altri le proprie scarpe o l’interno della carrozza.
Il rumore delle ruote
e degli zoccoli del cavalli riempiva l’aria, come una continua e ripetitiva
musica con il solo scopo di scandire il tempo che scorreva inesorabile. La
dottoressa, stanca, fece per poggiare il capo contro lo stipite della portiera
e addormentarsi, visto che quasi non aveva chiuso occhio. Ma un improvviso
sobbalzo la fece ridestare e imprecare violentemente.
Qualcosa aveva
fatto imbizzarrire i quadrupedi, i quali scalpitavano fuori dalla carrozza.
Elizabeth scese
subito e vide Hanji con un’espressione entusiasta in viso. Le due donne
rimasero ad osservarsi per lungo tempo, finché la seconda non si avvicinò e,
non riuscendo a trattenere la gioia, esultò.
<< Cos’è
successo?>> domandò la dottoressa, dopo che l’amica la lasciò << E
dove sei stata?>>
<< Dobbiamo
andare assolutamente a Wall Rose>>
<<
Cosa?>>
<< Sono
ancora vivi!>>
<<
Cosa?!>>
<< Sono
arrivati in groppa all’orso gigante!>>
Elizabeth venne
spinta più in là da Levi, il quale balzò giù dal veicolo, seguito da Erwin e
soprattutto Mikasa, la quale, sentendo che Eren potesse essere ancora vivo, le
si era accesa in volto una nuova speranza, una nuova vita.
<< Spiegati
meglio>> sbottò il Caporal Maggiore.
<< Eren e
Oscar sono arrivati da poco in groppa all’Orso Gigante! E sono vivi! L’ho
sentito poco fa da un paio di guardie...>>
<< E
Lachesi?>>
La caposquadra a
quel punto tacque, diventando più seria. Un silenzio che valse più di mille
parole.
Levi s’incupì
visibilmente, seppur avesse mantenuto la sua espressione atona. Qualcosa nel
suo sguardo si era spento.
Erwin allora
intervenne, concentrando l’attenzione su di sé.
<< Dobbiamo
andare a vedere se le nostre reclute stanno bene>>
<< Ma
comandante...>> mormorò Elizabeth, seppur né il suo cervello, né il suo
cuore volessero stare un momento in più in quella gabbia recintata.
<< è un
nostro dovere, Dottoressa>>
Gli altri soldati
rimasero muti per qualche frazione di secondo, poiché tutti condividevano lo
stesso pensiero e l’idea di non incontrare dei nobili ottusi non dispiacque a
nessuno.
Anche se ciò che
stavano per fare forse avrebbe causato il definitivo scioglimento della Legione
Esplorativa.
Luogo
sconosciuto, febbraio, 852
<< E chi ti
dice che saremo dalla tua parte?>> disse una figura, oscurata dalla cupa
ombra degli alberi.
<< E chi ti
dice che Pòlemos risparmierà un Colossale e un Corazzato?>> ribatté
Agápe, abbozzando un sorriso sornione.
Fine nono
capitolo!
Nome Capitolo:
Fondo del mare.
Angolo dell’autrice:
Rieccomi dopo
tanto tempo! No, non sono morta, ho solo avuto un periodo non molto semplice,
quindi non ho potuto pubblicare nulla (per carenza di tempo principalmente). Mi
dispiace se avete dovuto aspettare tanto, anche se posso dire quasi con
certezza che anche per il prossimo capitolo ci vorrà un po’ di pazienza.
Cercherò di fare il possibile per finirlo in un tempo decente, anche se sono io
la prima a dubitare delle mie capacità (anche perché se questo l’avevo già
completato a suo tempo, bastava solo ricontrollarlo, l’altro... beh... non
saprei).
Appena ci saranno
le vacanze e avrò un maggiore respiro tenterò di rimediare, almeno spero!
Grazie ancora per la vostra pazienza!
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