Malfoy Home

di callistas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Malfoy Home ***
Capitolo 2: *** Come stanno le cose ***
Capitolo 3: *** Harry Potter ***
Capitolo 4: *** Mettiamoci al lavoro! ***
Capitolo 5: *** Promozione ? ***
Capitolo 6: *** Conquiste... ***
Capitolo 7: *** Di minacce e figuracce ***
Capitolo 8: *** L'appuntamento con la Livin Home ***
Capitolo 9: *** La svolta ***
Capitolo 10: *** Il marchio del tradimento ***
Capitolo 11: *** Rimettersi in piedi... ***
Capitolo 12: *** Le prime volte di Draco ***
Capitolo 13: *** San Valentino, la festa di ogni cretino... ***
Capitolo 14: *** ... che crede di essere amato e invece resta fregato ***
Capitolo 15: *** Verità Nascoste 1 ***
Capitolo 16: *** Verità Nascoste 2 ***
Capitolo 17: *** Il ritorno del Figliol Prodigo ***
Capitolo 18: *** Scontro finale ***
Capitolo 19: *** The End ***



Capitolo 1
*** La Malfoy Home ***


01 - La Malfoy Home Per chi ha commentato l’ultimo mio parto, “La Check List”, ancora non finirò mai di ringraziarvi a sufficienza per aver, alla fine, riso delle mie disgrazie.

A chi si appresta, invece, a cliccare su questo primo capitolo di questa nuova storia, do il mio personale benvenuto nel calli-club – non capisco perché solo Lumacorno possa avere un club tutto suo u_u – sperando di poter allietare i vostri venerdì con altre avventure della mia coppia preferita.

La Dramione.

So che avevo detto che avrei pubblicato venerdì scorso ma naturalmente, quando ti fai un programma nella mente, spunta sempre fuori qualcosa che te lo manda “a sgualdrine”.
Domando scusa.


In questa storia troverete una trama, forse, già vista – anzi, molto più che certamente – ma ho voluto dare un’ennesima versione – la mia – alla precitata trama.

Mi troverete, come sempre, in fondo al capitolo, con i miei soliti scherzetti, le mie solite battute e i miei soliti spoiler.




Spero sia cosa gradita.
callistas









Alla Lilly di questa storia
che è esistita davvero,
che con i suoi modi di fare
mi ha permesso di essere
dove mi trovo ora
e la persona che sono ora.

Non esisteranno altri cagnolini all’infuori di te.









I meteorologi lo avevano annunciato ancora a inizio Agosto ma lei, così come l’intera popolazione mondiale, non ci aveva creduto o meglio… non aveva voluto crederci.

Insomma, era assurda solo l’ipotesi!: vivere di trenta gradi fino al trentuno di Agosto, per poi finire a soli tre gradi il primo di Settembre. Insomma… un vero e proprio brusco calo delle temperature!
Nessuno ci voleva credere, perché il sole era così luminoso e caldo: come sarebbe stata possibile una simile parabola discendente del clima?

Incredibile o meno, assurdo o no, vero o falso, la notte tra il trentuno di Agosto e il primo di Settembre, la popolazione di Londra – e quella mondiale – solitamente abituata a dormire in mutande, dovette alzarsi nel cuore della notte per prendere dall’armadio il piumone invernale.




Era il quattro di Settembre, un giorno come tanti.
Si era lavata, vestita, sfamata e poi era partita per dirigersi sul posto di lavoro.

Le piaceva l’azienda per la quale lavorava.
Era una struttura interamente a vetri oscurati tendenti all’argento; gli interni erano arredati da pregiati marmi, fontane dalle quali uscivano delicati fiotti d’acqua, un immenso acquario che ospitava pesci tropicali, rinomati per la loro delicatezza – e costo – e piante così rigogliose da sembrare di trovarsi in una foresta tropicale.
I piani erano serviti da quattro ascensori, uno per ogni punto cardinale, che conducevano ai vari settori dell’azienda.

Era davvero un bel posto.
Chi vi metteva piede la prima volta aveva l’impressione di trovarsi nella casa di qualche riccone, anziché in un’azienda di piani cucina e arredamenti.


La sua postazione era al piano terra, perfettamente allineata alla porta d’ingresso, e semicircolare.
D’estate non c’era male, perché le arrivava una piacevole brezza tiepida che profumava di sole e caldo ma d’inverno… d’inverno le arrivavano dritte in faccia vere e proprie mitragliate di aria ghiacciata. Per quest’unico motivo, aveva chiesto il permesso di comprare una stufetta da mettere sotto la scrivania che le tenesse in caldo le gambe.

Il centralino dava l’impressione di essere il bancone della reception di un hotel.
Le piaceva perché la scrivania era molto spaziosa e il computer di ultima generazione aveva uno schermo molto grande, decisamente fuori standard, rispetto ai modelli in commercio.
Era un computer che il direttore aveva fatto espressamente creare da una ditta americana e che era costato una fortuna. In azienda ne esistevano pochi: uno era quello per il centralino, perché il direttore aveva scelto di non installare una macchina per il fax ma di far arrivare quel tipo di comunicazione direttamente sul pc per ridurre i costi della carta e rispettare maggiormente l’ambiente; un altro di quei “televisori” era nell’ufficio del titolare, e l’ultimo in Sala Foto.




Posò le cuffiette sulla scrivania e controllando che non vi fosse nessuno nei paraggi, si stiracchiò le membra indolenzite, con tanto di gemito soddisfatto.
Erano due ore che se ne stava seduta sulla sedia girevole a rispondere al telefono e a smistare i fax e le E-Mail che le arrivavano.
Adesso urgeva una pausa.

Schiacciò in sequenza un paio di pulsanti che le permisero di deviare le chiamate al telefono di una collega, precedentemente avvisata. In questo modo le chiamate non andavano perse e le ramanzine evitate.
Prese la sua chiavetta e si diresse al distributore automatico delle bevande. Una buona cioccolata calda, in quel momento, era un suo inalienabile diritto.

Era un’ottima dipendente per il lavoro che le era stato assegnato.
Molti ritenevano che stare al centralino fosse un lavoro da poveracci, per chi non era sufficientemente intelligente per altre mansioni. Lei però non la pensava così. In fondo… da chi passavano le chiamate? Chi le smistava? A chi si rivolgevano i rappresentanti delle altre società quando avevano bisogno di un’informazione? Di sicuro non a Babbo Natale ma a lei. Il suo lavoro era molto importante e, sinceramente, compativa chi lo sottovalutava.
Nonostante avesse le competenze per ben altri incarichi, aveva capito che in ogni posto presso il quale aveva iniziato un rapporto di collaborazione – quello era il suo terzo lavoro – aveva sempre iniziato dalla gavetta; un modo del titolare per comprendere il livello di umiltà di un dipendente.

Schiacciò il pulsante della cioccolata e poi poté finalmente scaldarsi: sentire quel liquido semidenso scenderle nella gola e scaldare ogni parte con cui entrava in contatto, era qualcosa di assolutamente indescrivibile.

Si accertò di non essere vista da nessuno, guardando prima a destra e poi a sinistra del corridoio. Tirò fuori il piede dalla scarpa – una decolleté tacco sette – e mosse le dita dei piedi, compresse tra di loro. Trovò un immediato beneficio. Fece lo stesso per l’altro piede e poi… poi dovette tornare al lavoro, dove rimise le sue cuffiette.

“Malfoy Home buongiorno sono Hermione. Posso aiutarla?”









Tic tac – tic tac – tic tac – tic tac

Le lancette della sveglia segnavano silenziosamente i secondi.
Uno, due, tre, sedici… ventidue… quarantaquattro…

Sessanta.

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNNNN

Hermione ci impiegò un po’ per capire che il cicalino che stava suonando era la sveglia e non la campanella della scuola e che si trovava sul suo materasso a casa e non su un materassino gonfiabile ai Caraibi.

Sconcertata e, sì, leggermente delusa, per essere stata sbalzata così all’improvviso alla realtà, la ragazza aprì svogliatamente un occhio, districò dal groviglio di lenzuola un braccio e spense la sveglia, beandosi dell’immediato silenzio che era tornato. Si raggomitolò in posizione fetale, cercando di racimolare dentro di sé più caldo possibile, in vista della solita giornata passata davanti alla solita porta che si apriva solitamente ogni cinque minuti.
Sbadigliò sonoramente, facendo bella mostra di una dentatura sana e curata. Uscì dal letto e infilò le ciabatte che suo padre le aveva regalato l’anno prima per il suo compleanno e le veniva da piangere se pensava che tra non molto avrebbe festeggiato un altro anno passato.
Un altro compleanno.

“Ventotto anni…” – constatò la ragazza. – “… sono prossima alla pensione.” – ironizzò, poiché le mancavano ancora molti, molti, molti, molti, molti anni.
Scacciò infastidita quei pensieri che avevano solo il potere di rovinarle la giornata e si preparò per affrontare al meglio il lavoro. Giusto per abituarsi a quello che le sarebbe toccato in ufficio, Hermione aprì le finestre prendendosi la prima mitragliata del giorno.
“Ma perché fa così freddo d’inverno?” – brontolò, mentre con le braccia incrociate per riscaldarsi si dirigeva in cucina per una buona e sana colazione.
Mancò poco che si schiantasse a terra. Si aggrappò, grazie alla dea bendata, alla sedia e imprecò a bassa voce.
“Lilly! Vuoi farmi fuori?”

Lilly, una deliziosa cuccioletta di Yorkshire, si accucciò a terra, udito il tono minaccioso della padrona che non resistette oltre, e si mise a ridere. A volte sembrava che la capisse veramente.

“Coraggio… vieni qui…” – disse Hermione, accucciandosi.
Lilly, ancora sospettosa, iniziò ad avvicinarsi a passo di leopardo e ciò fece morir dal ridere la ragazza.
“Che scemotta! Dai vieni!”
E quando il tono non più bellicoso della sua padrona divenne un ricordo, la cagnetta zampettò allegramente verso di lei, in attesa della sua razione mattutina di biscotti. Hermione la prese in braccio e le accarezzò il pancino, effusione che non sdegnò affatto. Si diresse alla finestra e l’aprì, permettendo al suo cucciolo di fare quattro passi e respirare aria nuova.

Intanto che il cane faceva i suoi bisogni in giardino, Hermione si preparò la colazione e in attesa che il caffè salisse, tornò in camera e la sistemò. Chiuse la finestra e andò in bagno per una bella doccia per iniziare bene la giornata. Indossò l’accappatoio e andò in cucina, dove il caffè era bello che pronto e aspettava di unirsi con il latte. Mischiò il tutto, lasciando che un intenso aroma di caffè-latte si spandesse per tutta la cucina. Aspettò che si raffreddasse e intanto tornò in camera per vestirsi.
E poi finalmente fu in grado di mettersi a tavola e consumare il suo pasto.
Lilly intanto le stava scavando una fossa sulla gamba, in cerca di attenzioni ma soprattutto…

“Seee, seee, eccoti il biscotto… scavatrice!”
Accontentata come ogni mattina, Lilly prese il suo biscottino e andò a sgranocchiarselo in cuccia.
Quando ebbe finito, Hermione mise tutto nel lavabo e andò a lavarsi i denti e finalmente uscì di casa.
“Ciao Lillina! Fai la brava!” – esclamò Hermione, chiudendosi dietro la porta.




“Malfoy Home buon giorno, sono Hermione. Posso aiutarla? Certo, un secondo solo.” – attimi di attesa. – “Barbara?, ho Peter Sandler che chiede di te, posso passartelo?”
“Sì, certo.”
“Ok.” – un tasto e la chiamata venne smistata.
Erano appena le nove e mezzo di quel mattino e sentiva che niente poteva rovinarle quella giornata di quel bellissimo giorno che era il venerdì. Nemmeno…

Una folata di vento…

Tutto tranne…

… la porta volutamente lasciata aperta…

… lei.

Guardò l’ora sul suo computer e alzò per un momento gli occhi al cielo, maledicendo quelli che lo abitavano per averle dato modo di ricordare quanto lunga potesse essere una giornata di lavoro.
Ma non si scoraggiò.
Indossò il suo miglior sorriso finto e salutò educatamente.

“Buon giorno, signorina Parkinson. Come sta?” – chiese Hermione, cortese più per educazione che per reale interesse nel conoscere la risposta alla sua domanda.
“Meglio di te, sicuramente.” – rispose la maleducata, per poi passare oltre senza degnare di uno sguardo quell’umile plebea.
Hermione mantenne il sorriso finché non la vide sparire all’interno dell’ascensore, avvolta, o meglio, strizzata, nel suo vestito di Armani di almeno tre taglie più piccole del normale.
Quando le porte si chiusero e la sua odiosa faccia da carlino non fu più visibile, Hermione uscì come un toro dalla sua postazione e andò a sbattere chiudere la porta, imprecando contro la maleducazione di certa gente.
“Cazzo chiude le porte con la telecinesi a casa sua, quella?” – soffiò irosa.
Se c’era una cosa che proprio non digeriva, era la maleducazione. Ma lasciò cadere tutto il nervosismo. Ingrossarsi la bile per certa gente non ne valeva proprio la pena.
Si risedette al proprio posto e inspirò varie volte per calmarsi.
“Malfoy Home buon giorno, sono Hermione. Posso aiutarla? Sì, attenda un attimo. Becky?, posso passarti Hilton della Byuliks?”




Mentre camminava sul suo tacco dieci, Pansy pensò che la giornata non poteva iniziare in modo migliore. Quella Grenfer le stava proprio antipatica! Faceva tanto la santarellina, ma lei aveva visto perfettamente il sorriso che rivolgeva al suo fidanzato quando doveva passargli le comunicazioni.
Sembrava dire “prendimi, sono qui per te”! Peccato che non avesse capito che ciò che era di Pansy Parkinson, rimaneva a Pansy Parkinson.

“Amore, ciao!” – squittì la donna, entrando in ufficio senza bussare.
L’uomo si girò e le sorrise furbescamente, ma le intimò il silenzio con la mano. Era al telefono con un socio in affari.
“… sì, sì certamente. Allora ci vediamo. Saluti.” – riagganciò il telefono sulla forcella. – “Buon giorno, principessa…” – salutò lui, alzandosi per baciarla.
“Come va?”
“Al solito.” – alias “le azioni continuano a salire, il mio portafoglio anche e anche una parte di me quando ti vede.”
La donna sorrise.
“Mi fa piacere. Sono contenta per te.” – alias “per me, così almeno potrò continuare a spendere i tuoi soldi.”
“Non ti ho trovata a letto, stamattina. Dov’eri?” – s’informò l’uomo.
“Scusami, ma sono dovuta uscire presto stamattina perché mia sorella voleva vedermi con urgenza.”
“Qualcosa di grave?” – s’informò lui. – “Posso fare qualcosa?”
La donna abbassò lo sguardo, facendosi immediatamente seria.
“Pansy?”
“No, niente…” – disse lei con aria sconsolata.
Allora lui le prese il mento tra le mani e la obbligò a guardarlo in faccia.
“Pansy?” – insistette lui.
Ma lei non lo lasciò fare.
“Amore, ti prego… me la gestisco io questa cosa. Hai altro a cui pensare.”
“Pansy tra poco ci sposeremo. Se non mi fai partecipe dei tuoi problemi, come posso aiutarti?”
Pansy lo guardò e sorrise grata per quelle parole.
“Io… è che non ne voglio approfittare. Tutto qui.” – disse lei con falsa premura.
E se invece di guardarla con la “testa penzolante” l’avesse guardata con quella attaccata sulla testa se ne sarebbe accorto pure lui.
“Tranquilla… è per la boutique?”
“S-sì…”
“Che problemi ci sono?”
“Io… io davvero non lo so!” – esclamò Pansy, frustrata. – “Mia sorella ha fatto tutto, ha portato la documentazione necessaria, ha fornito le credenziali dei nostri genitori e le tue, visto che mi avevi dato il permesso…
A quelle parole, l’uomo si sentì potente. Amava quando le persone chiedevano il suo consenso prima di fare qualsiasi cosa.
“Ma?”
“Ma quello dell’agenzia ha detto che se non gli pagava un extra, non le permetterà di aprire la boutique! E mia sorella ci tiene così tanto…”
“Chiamiamo la polizia e…”
“Draco no!” – esclamò Pansy terrorizzata. – “No! Sai meglio di me come vanno queste cose: se si sparge in giro la voce che mia sorella ha avuto a che fare con la legge, non riuscirà mai far acquisire prestigio al suo negozio.” – lo implorò lei.
“Sì, certo, capisco. Allora, quanto vuole questo tizio?”
“Ecco lo sapevo! Vuoi sempre risolvermeli tu i problemi!” – s’impuntò lei.
“Se posso, ne sarò ben lieto, però…” – disse lui quasi infastidito.
“Co-cosa?”
“Sai che c’è il pegno da pagare…” – e detto in quel modo, c’era un unico significato possibile.
Pansy lo capì immediatamente e non si tirò di certo indietro. Accettò con patriottico sacrificio quel compromesso.
“Chiedimi tutto quello che vuoi…” – soffiò lei, prima di appropriarsi della sua bocca, come per rimarcarne la proprietà.









Calli-corner:

A dire il vero, dovevo fermarmi come Prologo a “Malfoy Home buongiorno sono Hermione. Posso aiutarla?”, ma il mio fin troppo generoso cu…ore mi ha chiesto di non fare la stronza.
Non dal primo capitolo, almeno…

Allora, i personaggi principali sono questi, salvo poi apparirne altri durante lo svolgimento.

Hermione lavora per Malfoy come segretaria d’azienda, Pansy è la fidanzata – stronza-barra-troia-barra-bastarda – di Draco e Draco… beh, si sa che un uomo solitamente ragiona con un’altra testa e Hermione questo lo capirà molto presto.

Al solito… spoiler!

“Mi hanno molto colpito le sue esperienze professionali in ambito amministrativo.”
“Lieta.” – rispose Hermione, pacatamente.
“Sarebbe un vero peccato se non potesse dar loro un’opportunità per venire a galla. Così come sarebbe un vero peccato dover finire a lavorare in magazzino, non trova?”

Ed ecco, un piccolo assaggio di Draco.


Che dire… a venerdì prossimo!

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Capitolo 2
*** Come stanno le cose ***


02 - Come stanno le cose Ragazzi vi chiedo scusa.
L’altra volta Internet, questa che mi sono dimenticata… mi sa che se vado avanti così, dovrò tappezzare casa di post-it per ricordarmi cosa devo fare…

Comunque sia, scusatemi, davvero.


Innanzitutto, vorrei ringraziare le tre ardimentose che hanno commentato il prologo:

justSay,
hermione59,
kasumi_89

Grazie per aver lasciato traccia della vostra lettura.
Naturalmente un ulteriore grazie va anche ai Lettori delle Ombre, ovvero quelli che leggono in silenzio e, spero, apprezzino ugualmente.

Direi che piuttosto che sentirmi – leggermi – blaterare, preferiate leggere il prossimo capitolo.
Vi accontento.

Ci vediamo in fondo,
callistas.









Mancavano cinque minuti a mezzogiorno. Solamente cinque minuti e poi avrebbe potuto andare al bar e ingozzarsi con un bel panino e una coca cola.
La sua mente aveva già proiettato tutto un film nella sua testa, dove lei si dirigeva con sicurezza al bancone del bar con il barista che la salutava come sempre e, alla fine, l’agognata ordinazione.


Tre minuti ancora e tutto quel ben di dio sarebbe finito nel suo stomaco, che assomigliava più a un’isola ecologica dell’umido senza fondo.

Controllò la posta un’ultima volta, un gesto che le costò ben tre secondi!, fondamentali per far trascorrere il tempo più velocemente. Appallottolò un post-it con un messaggio vecchio già recapitato e lo cestinò.

Un minuto…

Con lo sguardo vagò sulla scrivania e nell’atrio per controllare che fosse tutto a posto. Felice di poter uscire a mangiare qual…

DRIN DRIN – DRIN DRIN – DRIN DRIN – DRIN DRIN

Quante parolacce può tirare una ragazza, all’apparenza mite e gentile, in un frangente di due secondi?
Hermione Granger aveva perso il conto a ottocentoventisette.
Si sedette pesantemente sulla sua sedia e, prima di rispondere, cercò di modulare il suo tono di voce, per non risultare aggressiva per quella telefonata dell’ultimo minuto.
Quando poi vide che era l’interno di Pansy avvertì la fame passarle del tutto.

“Pronto?” – chiese con il tono di voce di chi sta parlando con l’ennesimo creditore.
“Grenfer?”

Hermione chiuse gli occhi. Non solo il suo peggior incubo si era presentato alle nove e mezzo di quel mattino, non solo il suo peggior incubo era dotato di una maleducazione fuori da ogni limite, non solo il suo peggior incubo le aveva rivolto la parola, offendendola tra l’altro, ma adesso la chiamava per chissà quale astrusa ragione che capitava, guarda caso, con estrema urgenza all’ora di pranzo!
Dire che era una iena, era dire niente.

“Granger…” – precisò Hermione, conscia che non sarebbe stata ascoltata. – “… mi dica signorina Parkinson.” – disse Hermione, trattenendosi con delle catene invisibili.
“Oh, sì, beh… quello che è…”
Hermione aprì sdegnata la bocca ma ringraziando il cielo non proferì parola.
“Voglio…”
Neanche “vorrei”, pensò Hermione, seccata per quella continua dimostrazione di maleducazione.
“… che mi porti…”
…che mi portassi, ignorante!, pensò la centralinista sempre più stizzita.
“… il catalogo che è sul tavolo all’ingresso. È urgente.”
“Sì, signorina Par…”
Click.
Hermione chiuse gli occhi e iniziò a respirare pesantemente.
Si umettò le labbra così tante volte che era certa di aver consumato il primo strato di pelle. Odiava la maleducazione in qualsiasi sua forma, anche quella dove le persone chiudevano la comunicazione senza lasciar finire l’altro di parlare.
Rimise apposto la cornetta e giunse le mani in preghiera. Quando aprì gli occhi, questi erano decisamente spiritati e chiunque fosse passato in quel momento avrebbe giurato che Hermione Granger fosse posseduta dal diavolo in persona.
“Gliela porto immediatamente signorina Merdinson.” – bofonchiò Hermione.




Mezzogiorno e cinque.
Forse poteva ancora farcela.

Si diresse con passo celere all’ingresso, per quanto i tacchi glielo permettessero, prese il catalogo incriminato – quando vide che era una rivista di quelle che i clienti leggevano in attesa di essere ricevuti, pregò che la Parkinson cadesse dalle scale e si rompesse la testa – e lo portò in ufficio da Pansy. Prese l’ascensore, pregando tutti gli dei che conosceva di fare in modo che non le capitasse altro.

Sorridente come non mai per non aver subito incidenti di percorso vari, Hermione si fiondò a grandi falcate, diversamente dalle sue colleghe che facevano passi piccoli e contenuti, come se stessero per dirigersi all’altare per sposarsi e arrivò davanti all’ufficio della vacca.
Su due gambe…

TOC TOC

“Avanti!” – tuonò una voce seccata.
Evidentemente Hermione doveva averla disturbata sul più bello. Si complimentò con se stessa per l’ottimo tempismo. Una piccola vendetta personale che le migliorò lo stato d’animo.
“Signorina Parkinson, le ho portato il suo…”
Oltre a bloccarsi imbarazzata, rischiando di cadere a terra per la brusca fermata, Hermione aspirò una quantità d’aria tale che somigliò al risucchio dell’aspirapolvere quando viene acceso. Si schiaffò davanti agli occhi la rivista, ma la scena che l’aveva accolta al suo ingresso venne marchiata a fuoco nella sua mente.
In ufficio di Pansy c’era niente popò di meno che il presidente, Draco Malfoy, impegnato in affari con la sua fidanzata.
“Cosa vuoi?” – sbottò Pansy, mentre cercava di darsi un finto contegno.
A Draco non piacevano gli esibizionisti.
Così come non gli piaceva essere beccato in certi atteggiamenti dai dipendenti. Che diavolo ci faceva Hermione nell’ufficio di Pansy?
“Ho portato la rivista che mi aveva chiesto, signorina…” – disse Hermione per evitare di dar a intendere che avesse disturbato apposta.
Vediamo che mi rispondi, stronzetta!, pensò Hermione, gongolante.
Pansy la guardò sdegnata.
“Cos’avrei fatto io, scusa?!?”
In un nano secondo Hermione sgranò gli occhi e sentì le guance accaldarsi, segno che si stavano arrossando.
Ma per la rabbia.
“Mi ha chiamata due minuti fa, chiedendomi la rivista che si…”
“Io non ti ho chiesto niente! Perché avrei dovuto fare una cosa simile?”
Infastidita non solo per essere stata interrotta mentre stava parlando, ma per l’ingiusta magra figura che stava facendo di fronte al suo titolare, Hermione preferì masticarsi la lingua come se fosse un chewing-gum, per evitare di scadere nel triviale.
Diplomaticamente sorrise e, anche se ingiusto, si scusò.
“In tal caso… scusate l’interruzione. Buon appetito.” – disse Hermione, uscendo dalla porta.
Prima di uscire, lasciò la rivista sul tavolino all’ingresso.
“Te ne vai di già? È questo l’attaccamento che hai per il tuo lavoro?” – chiese Pansy, ottenendo una specie di benevolo assenso da parte di Draco.

E Hermione non ci vide più.
Poteva sopportare la sua maleducazione, che la trattasse come una schiava al tempo degli egizi solo perché stava al centralino, che la interrompesse mentre stava parlando o mille altre cose ancora… ma non che la si facesse passare per una che non teneva al proprio lavoro, solo perché non saltava le pause pranzo.
Era pienamente consapevole che ciò che stava per fare avrebbe decretato l’inizio di una serie di vendette – o di un suicidio professionale per la presenza di Draco Malfoy – ma in quel momento la frase di Pansy era stata l’equivalente del drappo rosso per il toro.
Armandosi di tutta la pazienza che il Signore le aveva dato – evidentemente ben poca perché nella distribuzione se ne stava in ultima fila – si girò e diede il ben servito alla signorina Merdinson.
Draco e Pansy sollevarono entrambi un sopracciglio per quell’atteggiamento battagliero assunto dalla portinaia.

“Il mio attaccamento al lavoro va dalle otto del mattino fino alle dodici e dalle quattordici alle diciotto. Durante tale orario mi può chiedere anche il mondo e io provvederò ad accontentarla…”
Pansy la guardò sbigottita.
“… ma senza il giusto apporto di vitamine e proteine non posso fare un granché. Quindi, per evitare di non poter soddisfare le sue richieste…” – alludere allo stato in cui aveva beccato Pansy e il suo datore di lavoro fu istintivo – “… è meglio che vada a mettere qualcosa sotto i denti. Di nuovo, buon appetito.” – disse Hermione, uscendo dalla porta.
Si diresse velocemente verso l’ascensore per non correre il rischio di tornare in quella stanza e metterle le mani addosso. Non era pienamente soddisfatta della sua risposta – infatti, appena messo piede fuori dalla porta le vennero alla mente altre frasi di maggiore effetto –, ma almeno una piccola soddisfazione se l’era presa.
Ovviamente, ora, ne avrebbe pagato le conseguenze.




In ufficio una stralunata Pansy e un decisamente sconcertato Draco stavano riavvolgendo il nastro della memoria per accertarsi di aver sentito bene.
In verità, l’uomo era diviso in due: una parte voleva richiamare Hermione per quella risposta che aveva contenuto una chiara allusione a come si era fatto beccare con Pansy, dall’altra, invece, avrebbe voluto lasciar perdere.
Hermione Granger era forse l’unica impiegata che ancora doveva ricevere un richiamo verbale o scritto. Si era sempre comportata correttamente e non gli aveva mai dato particolari problemi e mai, in due anni, aveva disturbato le persone per delle sciocchezze.
Certo, lui per primo era conscio che Pansy, certe volte, poteva risultare antipatica e che avesse pure lei qualche difetto ma in quel momento Draco non era obiettivo, perché era innamorato di lei e a breve si sarebbero sposati quindi prendere le parti della sua futura moglie fu una scelta istintiva.

“Ma… hai sentito come mi ha parlato?” – si lagnò Pansy con il suo futuro marito.
“Tranquilla… oggi pomeriggio metterò le cose in chiaro.” – disse Draco.

C’era rimasto veramente male per quella risposta.
Quando aveva assunto Hermione Granger, aveva avuto l’impressione che fosse una ragazza a modo e volenterosa. Di certo non una che rispondeva a tono.
Ma Pansy non era soddisfatta. Voleva che Draco la punisse come giusto che fosse per essersi rivolta in quel modo così irrispettoso alla futura compagna di Draco Malfoy.




“Ehi là, vecchietta! Come mai così tardi?”

Il filmino che si era fatta nella testa dove lei entrava raggiante a fare la sua ordinazione finì nel cesso. Si accomodò al bancone del bar e fulminò Ron, il proprietario, con lo sguardo.
“Ohi, ohi… la principessa sul pisello?” – scherzò il rosso, riferendosi a Pansy Parkinson che lui conosceva solo tramite i racconti di Hermione o da qualche articolo di gossip sulle riviste.
Con uno straccio dava un’asciugata al bancone.
La ragazza non si espresse verbalmente. La sua aura parlava già di per sé.
“Se la beccassi in un vicolo cieco, giuro che l’unica persona che uscirebbe sarei io!” – fu la minaccia di Hermione.
“Che boccuccia di rose…” – ironizzò Ron.
“Sta zitto e fammi due panini!” – ringhiò la ragazza, mentre trattava la sua borsetta con la delicatezza di Mike Tyson con l’avversario.
“Come?” – chiese il barista, ormai abituato a quelle esplosioni di rabbia.
“Fai tu!” – tuonò lei, cercando di sbollire la rabbia.

Mezz’ora più tardi, Hermione si stava ingozzando con i panini e Ron la osservava stupito per quanto un corpicino così esile mangiasse come un bue in arretrato di una settimana.
“Calma che ti strozzi…”
Hermione lo guardò e si rese conto di star mangiando come un animale. Iniziò a masticare lentamente e a riprendere la via della mitezza. Ingoiò l’ultimo boccone del primo panino e si pulì la bocca.
“Scusami…” – disse lei mortificata per come l’aveva trattato.
“Tranquilla…” – disse lui, mettendole davanti la bottiglietta d’acqua.
Era abituato a ben peggio…
Hermione la prese e bevve qualche sorso.
“Mi dici adesso cos’è successo in ufficio?”
“Niente, lascia stare…”
Ma Ron non demorse.
“Dai, sputa il rospo.”
E Hermione, evidentemente, non vedeva l’ora di raccontargli tutto.
“Ma niente… a mezzogiorno mi chiama la Stronza e mi chiede una rivista. Io gliela porto, ma era impegnata con il direttore, nonché suo fidanzato secolare. Quando sono entrata, avrei voluto vomitare, visto che mancava poco che li beccassi nudi sul divanetto.”
Ron annuì interessato.
“Quando sono entrata, mi ha quasi sotterrata di parole perché l’avevo disturbata così, ho fatto presente che il giornale me l’aveva chiesto lei e sai che mi ha risposto?” – chiese Hermione con un sorriso sarcastico.
“Cosa?”
“Io? Ma io non ti ho chiesto niente!” – disse Hermione, imitando alla perfezione la voce sdegnata di Pansy.
“Bella stronza.” – commentò Ron.
“Oh beh… per quello che me ne frega.” – disse Hermione, facendo le spallucce. – “Il punto è che adesso come minimo avrà chiesto al suo fidanzatino di intervenire. Sta a vedere che oggi mi chiamerà nel suo ufficio per farmi il pelo!” – disse lei, che sapeva come funzionavano quel genere di cose.
“Ma dai… io non credo che sia così bastardo.” – fece Ron, pensoso. – “Insomma… l’avrà visto pure lui come ti ha trattata, no?”
“Se stuzzicato con le giuste parole, lo saresti anche tu. Comunque domani ti faccio il resoconto, tranquillo.”
“Ok, ma adesso mangia con calma.” – disse il ragazzo con dolcezza.
Era l’unico che aveva il potere di calmare i suoi bollenti spiriti.




Mancava un quarto d’ora alle due e Hermione era in bagno a lavarsi i denti, abitudine alla quale era molto affezionata. Uscì dal bagno e salutò il suo amico.
“Ciao, ci vediamo domani!”
“Devo mettere la pedana per gli invalidi?” – scherzò lui.
“Ha ha…” – rise lei, ironicamente. – “…bravo, scherza… poi ci penso io a te. Ciao ciao!”
“Ciao Hermione!”
La ragazza raggiunse la sua auto, vi salì sopra e tornò al lavoro.




Non era per niente tranquilla e, comunque, come avrebbe potuto esserlo?
Aveva risposto alla fidanzata del capo ed era un torto che non si poteva tollerare.

Erano le quindici e quaranta del pomeriggio e Hermione era arci-mega-stra sicura che se non l’aveva chiamata alle due sarebbe salita da lui a fine giornata, il che la portò a rilassarsi e lavorare come al suo solito.
O a provarci, almeno.
Ricevette poche chiamate quel pomeriggio che le diedero il tempo di sistemare vecchie pratiche in sospeso e registrare con ordine le chiamate ricevute.
Draco su quel punto era molto severo: ogni chiamata in entrata e uscita andava registrata con l’ora, il nome di chi chiamava, il motivo e a chi andava passata. Chiedeva un registro ordinato, motivo per il quale Hermione scriveva di getto le chiamate su un block notes e a fine giornata, o quando aveva un buco libero, le riportava con ordine sul registro. Man mano che le ricopiava, le spuntava e poi cestinava il foglio vecchio. Alzò gli occhi sul computer e sgranò gli occhi quando vide l’ora.

Giuda traditore!, pensò la ragazza con sgomento. Dieci alle sei?!?! A posto sono!
Scrisse le ultime due chiamate e poi mise il registro in un cassetto chiuso a chiave.

DRIN DRIN – DRIN DRIN

Per un soffio non saltò sulla sedia.
Quando vide che era una chiamata esterna si rilassò impercettibilmente.
“Malfoy Home buon giorno, sono Hermione. Posso aiutarla? No, sono spiacente: Samantha ha avuto il pomeriggio libero oggi, ma la troverà sicuramente domani. Certo… buona sera.”
Hermione agganciò la cornetta e di nuovo si rimise a pensare a ciò che era accaduto quel mattino e più ci pensava, più non riusciva a trovare una ragione per la quale il direttore potesse richiamarla.
Era dalla parte della ragione: si era solo difesa da un’accusa falsa. Certo era ben cosciente del fatto che rispondere male alla fidanzata del capo era da ritenersi pari a un suicidio professionale.
Ricevette un’altra chiamata.
Da un interno che avrebbe preferito non vedere mai sul display del proprio telefono.

Interno 100: il direzionale.

“Pronto?”
“Hermione, può venire nel mio ufficio?”
“Sì, subito signor Malfoy.” – Hermione riagganciò la comunicazione e aspettò le diciotto per deviare il telefono alla modalità notte.
Quando i minuti dell’orologio del pc scattarono da “59” a “00”, decretando la fine di quella giornata lavorativa – sperò non del suo lavoro lì – Hermione raccattò le sue cose e si diresse in direzione.




Qualche secondo prima di entrare, Hermione chiuse gli occhi e prese un paio di respiri.
Aveva avuto modo di parlare con il signor Malfoy solo in poche occasioni: la prima, quando aveva fatto il colloquio per capire se poteva fare al caso suo e poi nelle sporadiche occorrenze dove dipendente e titolare si scambiavano qualche parola di pura cortesia, per sapere come si trovava al lavoro o se avesse bisogno di qualcosa di particolare.
In quei momenti, il signor Malfoy si era dimostrato molto cortese, cosa che aveva subito conquistato il rispetto di Hermione. Il titolare era una persona a modo e molti lì dentro ne parlavano solo bene.
Perciò le dispiacque parecchio sapere di essere lì dentro per una ramanzina immeritata.
Bussò ed entrò.

“Si accomodi, prego.” – disse Draco, indicandole una sedia.
“Grazie.” – disse Hermione, sedendosi.
Era nervosa.
“Hermione…” – iniziò lui, mentre la donna già pregustava una bella punizione. – “… ho qui sottomano il suo curriculum.”
Ok. Era confusa.
Che c’entrava il suo curriculum, adesso?
“Dal suo sguardo deduco che non capisca il motivo per il quale ho tirato in ballo il suo percorso di studi.” – la anticipò Draco.
“In effetti…” – disse Hermione.
“Mi hanno molto colpito le sue esperienze professionali in ambito amministrativo.”
“Lieta.” – rispose Hermione, pacatamente.
Poi Draco chiuse la cartelletta che conteneva tutte le informazioni che riguardavano Hermione e la fece cadere sul tavolo, in un modo che fece venire la pelle d’oca a Hermione.
Era stupido pensarlo, soprattutto in un momento critico come quello, ma il gesto di Draco le aveva ricordato uno dei tanti film che guardava alla tv, dove il direttore dell’azienda, dopo aver compiuto quello stesso gesto, annunciava il licenziamento del povero malcapitato.
Sperò di non trovarsi in quella situazione…
“Sarebbe un vero peccato se non potesse dar loro un’opportunità per venire a galla. Così come sarebbe un vero peccato dover finire a lavorare in magazzino, non trova?”
E per Hermione fu tutto chiaro.

Tutto il rispetto che aveva provato per lui sparì nel cestino della carta straccia che Malfoy teneva sotto la scrivania. Dunque era quella la fine che le si prospettava se litigava con la Parkinson? Rischiare che lo studio di una vita e le sue precedenti esperienze lavorative andassero a puttane solo perché una persona non riusciva a risolvere i propri problemi da sola?
Non che avesse mire su Draco Malfoy, ma se fosse stata lei la sua fidanzata e una dipendente avesse palesato insofferenza nei suoi confronti, non avrebbe mai chiesto l’aiuto del proprio ragazzo per sistemare le cose ma le avrebbe affrontate a faccia aperta.

Era anche delusa.
Aveva pensato che il signor Malfoy non fosse una persona simile – certo, la loro conoscenza era limitata a quelle poche volte che si incontravano per strada dove lui le aveva sempre fatto una bella impressione – e che fosse una persona corretta.

Ma uno dei difetti – o pregi, a seconda della prospettiva – di Hermione era che più gli altri la minacciavano, più lei sentiva la necessità di far capire loro che non avevano a che fare con una ragazza che temeva di rompersi le unghie o di finire, come preannunciato, in un magazzino.
Scosse leggermente il capo, frustrata per quella situazione e quando rialzò lo sguardo su Draco, questo rimase alquanto stupito dallo stesso sguardo di sfida che aveva letto nei suoi occhi solo quel mattino.

“Sa signor Malfoy…” – iniziò lei, con uno strano tono di voce.
Che palesemente non piacque per niente al direttore.
“… non è mia abitudine discutere le decisioni di un superiore.”
“Un comportamento davvero ragguardevole.” – notò lui.
“Quindi di certo non obietterei né mi opporrei alla sua decisione di volermi sistemare in magazzino. Il personale è molto cortese…” – disse lei, sfidandolo.
E per Draco fu tutto chiaro.


Era vero.
Le rare volte in cui Hermione era dovuta scendere in magazzino per parlare con Roger, il responsabile, era sempre stata trattata molto bene perché in quell’azienda, così come in molte altre, regnava nei vari settori una sorta di codice d’onore: rispetta e sarai rispettato.
Una specie di undicesimo comandamento…

Per Hermione era un istinto naturale portare rispetto alle persone, ma solo se la cortesia era ricambiata.
Le esperienze amministrative di cui Draco parlava, facevano riferimento alle sue precedenti mansioni, soprattutto nella ditta di trasporti di famiglia, dove aveva imparato fin da piccola che il lavoro di tutti andava rispettato, soprattutto quello dei camionisti che effettuavano le consegne. Era un duro lavoro, il loro, ed era ingiusto e irrispettoso deriderlo, credendo che fosse più leggero, solo perché erano sempre in giro per le consegne.
Dietro il lavoro di un camionista c’è tutto un mondo fatto di stanchezza per i viaggi lunghi che a volte ricoprivano l’intero paese, fatto di lontananza dalla famiglia, di compleanni in ritardo o addirittura persi, ma anche di cameratismo e solidarietà con gli altri colleghi.
Così, le volte in cui scendeva in magazzino, lei vedeva solo i suoi vecchi amici ed era naturale trattarli come tali e far capire loro che almeno lei apprezzava i loro sforzi e la loro tipologia di lavoro.

“Il lavoro potrebbe essere pesante, per una ragazza come lei.” – disse Draco, studiando con più attenzione quella sua collaboratrice.


Quando Draco aveva assunto Hermione, credeva che avrebbe avuto a che fare con la solita impiegata, che faceva il solito orario di ufficio e che se ne andava alla solita ora.
Certo, niente di tutto questo cambiava con Hermione, ma era il modo in cui la ragazza organizzava il lavoro che gli aveva dato da pensare, nei vari momenti in cui poteva permettersi di non pensare agli introiti aziendali.
Si faceva portare un caffè e si metteva a fare una carrellata di tutti i suoi dipendenti, cercando di capire come fare per andare loro incontro ma senza risultare troppo morbido. E ogni tanto pensava anche a Hermione al suo modo di lavorare.

Le aveva dato il tempo necessario per prendere confidenza con il lavoro e con il computer e una volta accaduto, l’aveva ritenuta un buon acquisto.
Quando all’inizio passava ancora dall’ingresso principale, Hermione lo salutava con un sorriso e gli metteva in una cartellina, debitamente in ordine alfabetico, tutti i messaggi arrivati indirizzati a lui, le mail e i fax, rispondendo con efficienza alle sue domande.
In un paio di occasioni si era fatto portare dalla donna stessa il registro delle chiamate, riuscendo finalmente a decifrare la scrittura. Si era fatto spiegare come potesse scrivere così ordinatamente quando il centralino era nell’ora di punta ed era rimasto piacevolmente sorpreso nell’apprendere che prima trascriveva di getto le chiamate su un block-notes per poi riportarle con ordine sul registro.
Quello era stato il suo primo complimento.

E ora doveva invece darle una vera e propria punizione.


“Perché? Come sono io?”
Con una rapida occhiata, Draco la inquadrò.
“Vestiti eleganti ma non volgari, trucco non esageratamente marcato, unghie ben curate… proseguo?”
“No, ha visto bene. Amo vestirmi in modo adeguato alle mie mansioni.” – disse lei con un sorriso e Draco lesse tranquillamente tra le righe: “Se vuoi sbattermi in magazzino, fa pure. Mi adatterò.”
“Mi fa piacere saperlo… quindi non le dispiacerà fare tirocinio in magazzino. Sa… così imparerà a fare le bolle di trasporto e a relazionarsi con quei ritardatari dei nostri fornitori.” – disse lui, con finto moto di solidarietà.
“Affatto. Mi fa piacere poter avere a che fare con i vari settori di un’azienda… imparerò qualcosa di nuovo. Bene, signor Malfoy, se non c’è altro io andrei.”
“Non c’è altro. Ci vediamo lunedì.” – disse Draco, leggermente risentito per non aver fatto presa su quella ragazza. – “Ah, signorina Granger?” – la chiamò, all’ultimo.
“Sì?” – chiese Hermione, girandosi.
“A giocare con il fuoco, si rischia di bruciarsi.” – fu il verdetto finale.
Hermione arricciò le labbra, divertita.
“La ringrazio per la sua sollecitudine, ma non si preoccupi: sopporto il dolore molto bene.” – e, dopo aver lasciato l’ufficio con l’ultima parola, se ne tornò a casa, pronta per dare dimostrazione di quello che sapeva fare una ragazza di campagna.









Una volta arrivata a casa, Hermione prese la sua Lilly e la portò fuori per fare la solita passeggiata serale.
La cagnetta, felice di poter stare con la sua padrona, zampettava allegra vicino a lei, mentre Hermione si tratteneva a stento dal ridere per non fare la figura della schizzoide con le persone che le passavano accanto. La portò in un campo vicino a casa e la lasciò libera di scorrazzare e fare i suoi bisogni.

Un’ora più tardi, le due tornarono a casa per cenare con tranquillità.
“Sai, Lilly?” – disse Hermione, ottenendo una momentanea attenzione da parte del cane, che poi tornò ai suoi croccantini. – “Da lunedì la mamma farà un nuovo lavoro! E quell’emerito cazzone dovrà mordersi la lingua cento volte.” – disse con soddisfazione.
Guardò per un po’ la tv dal suo comodo lettone e poi andò a dormire.









Calli-corner:

Allora, qui non succede niente di così eclatante, ma iniziamo ad avere una visione un po’ globale di come sarà la vita di Hermione all’interno della Malfoy Home.
Mi dispiace se i primi capitoli potranno risultare “paccosi”, ma vi prego di non fermarvi qui e di darmi l’occasione di mostrarvi come sono fatti questi due.

Hermione.
Hermione qui potrebbe sembrare quasi una Mary-Sue del lavoro, ma in realtà è solo una dipendente come potrebbe esserlo chiunque di noi: si applica sul lavoro con dedizione e costanza e non ha problemi, come lei stessa ha detto, a girare per i settori di un’azienda.

Draco.
Draco ha le chiappe sui cuscini imbottiti di bambagia.
Lascio a voi l’immaginazione, a quando dovrà sedersi su un cactus… non posso dire altro, ma so che siete intelligenti e, unendo questo al mio profondo senso di bastardaggine, so che trarrete le giuste conclusioni.


Dunque…
… questa volta non vi lascio lo spoiler. Il prossimo capitolo è di passaggio e non è molto interessante – brava callistas, bella pubblicità che ti fai! – ma mi rifarò dai prossimi.


Un bacione,
callistas.

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Capitolo 3
*** Harry Potter ***


04 - Harry Potter Signore e signori bentornati a un altro episodio di “Malfoy Home”.

Oggi ci sarà l’ingresso di Harry Potter, ma non aspettatevi chissà quali prestazioni. Sarà una questione di lavoro che richiederà poche battute dove Hermione, naturalmente, la metterà nelle chiappe a qualcuno di nostra conoscenza.

Nelle prime righe del capitolo, troveremo un Draco un po’ più interiorizzato. Niente di Freudiano e che so io, ma capiremo un po’ di più il biondo e ciò che comporta per lui essere il presidente della Malfoy Home.


Vi lascio alla lettura con un bacio e un abbraccio immenso.
callistas.









Ignaro di quanto avvenuto in magazzino dopo che se ne era andato, Draco era salito in ufficio per chiudere la cassaforte e andarsene finalmente a casa a riposare.
Non si sarebbe visto con Pansy quella sera, perché impegnata con una sua amica del Country Club. Ne avrebbe approfittato per farsi una sana dormita: quella donna aveva la capacità di lasciarlo senza fiato.
Sorrise maliziosamente nel ripensare a che bomba sexy era riuscito a trovare.
Durante le feste organizzate dai soci dell’azienda, faceva sempre un figurone. Beh, forse era meglio non pensare a Pansy e alla sua carica erotica o non avrebbe di certo dormito.
Chiuse la cassaforte e poi anche la porta dell’ufficio.
Quando arrivò alla fine del corridoio, si ritrovò praticamente in cima alle scale.

Si sentì pervaso da una sensazione inebriante di potere.
Percepiva ciò che suo nonno Abraxas e suo padre avevano creato e che ora tutto quell’impero era passato a lui; percepiva tutto il potere che il suo nome aveva a livello mondiale, la sensazione che un suo cenno o un suo diniego aveva il potere di cambiare le sorti del mercato.
Ma tutto quel potere, però, aveva il suo peso.

Non era mai davvero tranquillo, Draco.
Trascorreva le notti a dormire un paio d’ore e poi si svegliava, preda di preoccupazioni che solo un dirigente d’impresa conosce: gli stipendi dei lavoratori, mantenere giornalmente alto il nome della famiglia, apparire sempre impeccabile, sempre perfetto, sempre sicuro di sé, sempre infallibile.
Era un fardello oneroso e a volte aveva la sensazione si star sbagliando tutto, che se suo padre o suo nonno fossero stati presenti, avrebbero saputo fare le cose un secondo prima e meglio di lui.
In quei momenti, Pansy accanto a lui dormiva beata, cullata dalla certezza che solo il nome di Draco potesse aprirle tutte le porte che desiderava mentre lui doveva sbattere quotidianamente la testa al muro per far sì che tutto questo, che le aspettative di Pansy, della sua famiglia, dei soci d’affari, dei dipendenti, e del mondo stesso venissero sempre soddisfatte.

Erano pensieri molesti, che lo assalivano quando il sonno tardava ad arrivare – mentre Pansy invece se la dormiva della grossa – o se ne andava, lasciandolo sveglio, ancora alle tre di notte.
Aveva trovato un posto per Pansy nella sua azienda per averla sempre vicina, perché nonostante tutti pensassero che le persone come lui, che avevano il suo patrimonio, non fossero in grado di provare amore o sentimenti veri, lui ne provava. Amava quella donna, anche se sentiva di non esserne pienamente coinvolto.

E Draco si rese conto, mentre scendeva quegli antichi scalini, che le volte in cui sentiva di amare Pansy con tutta la sua anima, erano le volte in cui aveva un orgasmo.
Era in quei momenti che Draco poteva prometterle anche la luna.

“Che cretino…” – si disse, sottovoce.
Doveva essere contento di ciò che aveva: era bello – e nessuno poteva contestare questo dato di fatto –, ricco, intelligente e di buona famiglia e a breve si sarebbe sposato con la donna che amava.

E, proprio mentre stava pensando all’amore che provava per Pansy, gli passò davanti Hermione Granger che lo lasciò ammutolito quando la vide sciogliere la crocchia che portava da tutto il giorno e liberare una cascata di ricci che, non lo avrebbe mai detto, le arrivavano fino al sedere.

Era la prima volta che vedeva in una donna dei capelli così lunghi.
I capelli più lunghi che aveva visto nella sua vita erano quelli di sua madre, che ora aveva acconciato in un sobrio carré con tanto di frangetta che la facevano sembrare più giovane di quanto non fosse in realtà.

Hermione aprì la sua macchina e se ne andò.









La Malfoy Home era specializzata nel commercio di arredamenti per la casa.

Era inizialmente partita con la produzione e la lavorazione di piani cucina in granito proveniente dalle varie zone del mondo, ottenendo solo con quel particolare tipo di vendita un buon lancio iniziale sul mercato.
Da lì era proseguita con la vendita di prodotti per trattare il piano cucina senza rovinarlo. Poi aveva ampliato il suo giro di introiti scegliendo di non fermarsi solo piani cucina, ma produrre anche pavimenti in granito o marmo, lavandini in questo materiale, vasche e, solo su richiesta, tavoli da pranzo.
Ancora, aveva allargato i suoi orizzonti commerciando in arredamenti come camere, cucine e salotti, tutti di alta qualità. Qui si era fermata, poiché il mercato era abbastanza saturo di questi prodotti e aveva scelto di mantenere un profilo basso per evitare sprechi di risorse, tempo e denaro.

Ogni giorno arrivavano in magazzino centinaia di lastre, imballate negli appositi container di legno e avvolte nel polistirolo per evitare che si graffiassero. Venivano scaricate, ricontrollate e poi spedite ai destinatari in ben altri imballaggi.

Quel giorno il magazzino stava lavorando a ritmo serrato perché certe consegne prevedevano il carico della merce su navi che per arrivare a destinazione impiegavano a volte anche un mese. Era necessario lavorare velocemente e, possibilmente, senza ammazzarsi.


Quel giorno Roger era arrivato a lavorare con il groppo in gola.
Da quando Hermione lo aveva terrorizzato a morte ragguagliato sui suoi compiti effettivi – aveva pensato tutta la notte alle cifre che Hermione gli aveva sganciato come se fossero noccioline e alla prospettiva che, in caso di incidente, lui potesse finire in prigione – aveva sempre un occhio su quello che faceva e uno sull’intero magazzino. Il non poter seguire tutti con lo sguardo lo stava mettendo in ansia e quando vedeva un movimento sospetto, il cuore gli saltava alla gola.

Hermione se ne era accorta e si era sentita responsabile per lo stato d’animo di Roger così gli andò incontro.
“Va tutto bene?”
L’uomo le sorrise, fingendo un disinteresse che in realtà non provava.
“Sì, perché?”
Hermione sospirò.
Uomini…
“Roger… ti ho detto che la sistemiamo questa cosa.” – lo rassicurò. – “Oggi sono previsti solo due arrivi: lasci il lavoro agli altri e io e te ci mettiamo a dare un’occhiata ai tuoi diritti e doveri.”
“Ah, adesso ho anche dei diritti?” – chiese, fortemente polemico.
Da come gliel’aveva prospettata Hermione, sembrava che il ruolo di Roger comportasse solo doveri.
“Certo che li hai!”
“Allora è un mio diritto andare da chi si occupa di ‘ste robe e spaccargli la faccia!” – esclamò, fintamente felice.
“No.” – disse Hermione. – “Quello è un tuo dovere.” – ironizzò.
Una volta stemperata la tensione, Roger tornò a riavere il controllo su di sé.
“Dai, adesso calmati.” – disse, frizionandogli il braccio. – “Vuoi che andiamo a prendere un caffè?”
“Sì, è meglio. Josh?” – urlò, chiamando il ragazzo.
“Dimmi!”
“Prendo un caffè!”
Josh gli fece il segno dell’ok e tornò al proprio lavoro.

Al distributore delle macchinette del piano terra, di solito, non c’era mai nessuno e nessuno passava mai di lì. Era risaputo che quella macchina era dei magazzinieri e le smorfiosette dei piani alti si rifiutavano di prendere qualcosa da mangiare o da bere da lì perché temevano di sporcarsi le mani.

“Stanotte non ho chiuso occhio…” – sussurrò Roger, massaggiandosi gli occhi.
Hermione sentì la cioccolata perdere immediatamente il suo sapore.
“Ma porca… Roger scusa!” – esclamò desolata.
“Hermione, ti ho già detto che non devi scusarti. Se non fosse stato per te, magari io potrei già essere in prigione.”
Era davvero dispiaciuta per aver abbattuto in quel modo il morale di Roger, ma non aveva potuto agire diversamente: quelle erano pratiche delicate che andavano trattate con i guanti di velluto, così com’era importante evitare di inimicarsi gli ispettori dei controlli perché in quel caso l’azienda avrebbe potuto anche chiudere.
“Allora sai cosa facciamo?” – propose Hermione per tirargli un po’ su il morale. – “Adesso ci mettiamo io e te nel tuo ufficio e col computer guardiamo cosa c’è da fare.”
Roger scosse la testa in un moto di profondo affetto e stima verso Hermione. Era davvero un miracolo vivente e poi lei non era tenuta a interessarsi di quelle cose: poteva fare benissimo il suo lavoro e poi tornarsene a casa.
“Grazie.”
“E di che?”
Sorseggiarono in silenzio la propria bevanda e Hermione ostentò una sicurezza, come se quel lavoro fosse davvero una sciocchezza, che però non aveva. Certo, sapeva perfettamente dove mettere le mani e quali specifiche andare a cercare, ma era la mole del lavoro che la demoralizzava. Era andata via dall’azienda dei suoi per non averci più niente a che fare e ora ci si ritrovava invischiata di nuovo.
La cosa, da un certo punto di vista, la faceva ridere…
Poi però l’occhio le cadde su Roger e ogni dubbio o incertezza sparì solo figurando l’uomo dietro le sbarre. Cestinò la sua cioccolata e si avviò di nuovo verso il magazzino, dove iniziò con l’uomo un lavoro ben più pesante.
“Ma tu come sai tutte queste cose?”
Hermione sollevò lo sguardo su di lui.
“Tutto quello che so, l’ho imparato nella ditta dei miei.” – spiegò. – “Per chi ha una ditta di trasporti come quella dei miei, è tenuto ad essere in regola anche con la carta igienica, altrimenti non ti autorizzano a trasportare niente.” – disse, usando un paragone d’effetto. – “Io e le mie sorelle ci siamo fatte tanti di quei corsi su questa materia che possiamo dire di saperne più degli ispettori.” – ironizzò. – “Quindi adesso ti dai una calmata e vediamo di risolvere ‘sta cosa, ok?”
“Ok.”

Come promesso, Hermione prese in mano anche quella faccenda sotto lo sguardo sbigottito – e pronto al suicidio – di Roger. Solo digitando sul motore di ricerca “sicurezza sul lavoro” erano spuntati fuori tanti siti e altrettanti controlli che, se da solo, lo avrebbero davvero condotto a uccidersi.
Hermione però sapeva dove mettere le mani; aveva stampato dei moduli che poteva fare al caso suo, aveva trascritto dei numeri telefonici degli enti preposti da chiamare in caso di necessità e tanti altri piccoli accorgimenti che ebbero il potere di rischiarare l’animo di Roger. In più, la ragazza faceva delle battute stupide per sollevargli il morale, tanto che arrivò l’ora di pranzo senza che se ne accorgessero.


“Dio che fame… Dio che imbecille!” – esclamò Hermione in sequenza facendo ridere i colleghi.
“Che c’è?” – chiese uno.
“C’è che chi ha gambe non ha testa!” – sbottò. – “Mi sono dimenticata il pranzo in macchina. Ci vediamo dopo.” – disse.
Non aveva voglia di risalire e percorrere tutta quella strada per andare a prendersi il pranzo ma aveva consumato parecchie energie mentali per dare a Roger qualche nozione base del suo ruolo, per non parlare degli occhi che ormai vedevano incrociato per le ore che aveva passato al computer.
Quando entrò nell’immenso salone, respirò immediatamente odore di pulito. Ne prese qualche generosa sorsata e poi si avviò verso l’uscita. Udì delle voci e si girò, sbarrando gli occhi: erano il signor Malfoy e la sua fidanzata.
Per evitare ulteriori guai alla sua persona, Hermione accelerò il passo e uscì dall’azienda. Naturalmente, a differenza di Pansy, chiuse la porta alle proprie spalle e corse in macchina. Tornò indietro che i due stavano uscendo; più per cortesia, aspettò che passassero loro per poi rientrare lei stessa.
“Certo che potevi almeno tenerci la porta aperta.” – sentenziò Pansy, indispettita.
Hermione si girò con gli occhi sgranati per quella stronzata bella e buona.
Draco invece imprecò mentalmente per la tendenza di Pansy nel cercare lo scontro sempre e in ogni occasione.
“Pansy andiamo?”
“No, un attimo. Vorrei chiarire questa cosa con lei.”
Hermione, che aveva un piede già all’ingresso, si bloccò, sbigottita.
Ah!, adesso vuoi chiarire?!?, pensò Hermione oltraggiata, il cui pensiero era andato subito al giorno che aveva decretato la sua discesa verso il magazzino. Ripensò al modo in cui Pansy aveva chiarito la sua posizione: ossia mandando avanti il suo ragazzo per lei.
Lanciò una fugace occhiata al suo titolare, sperando che intervenisse e se la portasse via o che almeno si accorgesse che lei, in quel frangente, non aveva nessuna colpa, ma Draco Malfoy sembrava una statua.
Cagasotto, pensò Hermione più indispettita che mai.
A dire il vero le parve più infastidito da quel contrattempo ma non riusciva a capire se a causa sua, che non aveva tenuto la porta aperta a loro due – il tempo che avrebbero impiegato per scendere le scale a lei sarebbe cresciuta la barba in mezzo alle gambe – o per il fatto che Pansy la stesse esplicitamente molestando.
“Allora? Sto aspettando.”
Hermione non sapeva neanche cosa dire: era letteralmente incastrata. Se le avesse risposto male, a rimetterci sarebbe stata solo lei, se le avesse risposto con cortesia… alla fine ci avrebbe rimesso sempre e solo lei, quindi che fare?
In più aveva un forte mal di testa, per le ore passate al computer a spulciare tutti i siti e per la fame, e non era ben disposta al dialogo.
Certo, con Pansy Merdinson non lo sarebbe mai stata… ma quelli erano dettagli.
“Scusi… aspettando cosa?” – chiese Hermione.
Aveva deciso di risponderle nel modo più educato possibile, ma cercando di farle capire – anche se dubitava fortemente che avesse un neurone per questa facoltà – che non era disposta a chinare il capo solo perché lei era la fidanzata del capo.
Pansy Parkinson esigeva rispetto per se stessa? Ebbene… chi era Hermione Granger per non chiederlo per sé?
“Come cosa?” – squittì l’altra.
“Pansy?” – la richiamò Draco.
Pure lui aveva fame e quella discussione non aveva né capo né coda.
Richiamare Hermione per essersi, in soldoni, difesa sarebbe stato difficile quella volta e comunque… perché avrebbe dovuto punirla?, si chiese Draco in un momento di lucidità. Solo perché Pansy aveva voglia di litigare?

Ecco che quei pensieri molesti tornarono di nuovo all’attacco.
Prima gli venivano solo di notte, quando non riusciva più a dormire, perché preoccupato per le sorti della propria impresa anche se deteneva il monopolio del mercato, e ora pure di giorno.
Sarà la fame, pensò il biondo con un sospiro.

“Ma non ti hanno insegnato l’educazione i tuoi genitori? Dai Draco, andiamocene.” – disse la donna, infastidita.

Hermione era rimasta senza parole con gli occhi sbarrati, venati di rosso, e il fiatone che la rabbia di quella frase le aveva provocato.
Un giorno o l’altro gliele avrebbe fatte rimangiare tutte!
Rimase impalata sull’ingresso, osservando, anche se aveva più lo sguardo perso nel vuoto, le manovre che stava facendo il signor Malfoy con la macchina.

Quando Draco fece una perfetta retromarcia, che in una sola manovra gli permise di uscire dal parcheggio, si girò casualmente verso l’ingresso della propria azienda.
Fu un movimento dettato dall’istinto: voleva vedere se Hermione era ancora lì. Non che sarebbe sceso per confortarla o scusarsi a nome di Pansy, ma… non lo sapeva nemmeno lui. Quando si girò e la vide ancora lì, ebbe un leggero sussulto.
Oh, che era furente, era dire poco e in quel momento non riuscì a non darle ragione. Non conosceva i genitori della donna, così come non conosceva quelli degli altri dipendenti, ma era sicuro che l’avessero educata bene perché mai una volta era stata scorbutica, neanche con chi si sarebbe meritato un ceffone in faccia.
Partì alla volta del ristorante mentre Pansy aveva già abbandonato l’argomento…




“Ti eri persa?” – chiese Roger con il sorriso di chi, finalmente, stava riuscendo a vedere la luce in fondo al tunnel, ma subito dopo si preoccupò quando vide Hermione entrare con lo sguardo basso e tirato e, da quel poco che aveva visto, con gli occhi lucidi. – “Che succede?”


Hermione non piangeva mai.
Poche, se non inesistenti, erano le cose che riuscivano in tale ardua impresa. Una di esse era il fatto che le persone sembravano divertirsi a farle gratuitamente del male. Lei non aveva mai fatto niente di male a Pansy, anzi!, l’aveva sempre salutata cordialmente e le volte che la vedeva le elargiva un sorriso di circostanza. La donna, invece, l’aveva presa subito in antipatia per chissà quale motivo e da quella volta – non ricordava nemmeno quando fosse iniziato il tutto – la prendeva a pesci in faccia, le faceva fare delle figuracce e ora la bistrattava, tirando in ballo i suoi genitori.
Si era resa conto di aver commesso un enorme errore a non risponderle per le rime – e fanculo le punizioni di Malfoy! – perché rimanendosene zitta era come se avesse confermato le accuse di Pansy.


Quindi fu abbastanza sconcertante per Roger, e i presenti, vedere una lacrima solcare il volto teso della ragazza. Era con loro da pochissimi giorni, ma la sua predisposizione al lavoro e la sua cortesia, l’avevano elevata al grado di mascotte.
“Niente.” – rispose abbastanza seccamente.
Aprì il contenitore della pasta che aveva preparato con cura la sera prima e se solo ieri aveva un profumino invitante adesso le causava solo la nausea.
Spostò il contenitore più in là per non averlo davanti. Quando poi si rese conto di aver zittito praticamente tutti gli operai si alzò.
“Scusate, vado in bagno.” – disse, raggiungendoli in poche falcate.

La prima cosa che fece fu quella di entrare nel cubicolo, chiuderlo a chiave e sedersi sul water.
Giunse le mani in preghiera e vi appoggiò la bocca. Che non le era ancora passata, era evidente dalle nocche che, a furia di stringerle, erano sbiancate.
Adesso basta, si disse.
Non gliene avrebbe fatta passare più nemmeno mezza! Era stanca di quelle frecciatine del cazzo!, stanca di essere presa di mira!, stanca che un’antipatia si trasformasse in una guerra!
Cazzo!, anche a lei stava antipatica della gente, lì dentro!, ma mica andava ad attaccar briga!

Uscì dal cubicolo con le idee più chiare – ma sempre e comunque incazzata per quella mancata risposta – e sobbalzò nel trovarsi davanti Roger.
“Vorrei dirti che questo è il bagno delle signore, ma non posso.” – tentò di scherzare la riccia.
Beh, difficile che in magazzino vi fosse un bagno per le donne quando il personale era tutto al maschile…
“Hermione cos’hai?”
“Ma niente…” – disse, minimizzando il tutto con una scrollata di spalle.
Andò al lavabo e sciacquò le mani. Anche se di poco, la fame le era tornata.
“Hermione?”
Roger non avrebbe demorso. Non avrebbe lasciato correre.
Hermione stava facendo tanto per lui, lo stava rendendo più consapevole del proprio ruolo e l’aveva avvisato in tempo sui rischi ai quali andava incontro se non avesse fatto tutte le procedure a regola d’arte. Voleva aiutarla e lo avrebbe fatto!
“Ho incontrato il signor Malfoy… e troia al seguito!” – si sfogò, sentendosi finalmente libera come un uccellino.
Roger sollevò un sopracciglio per il linguaggio.
“Parli della sua fidanzata?”
“Se!” – sbottò lei secca, mentre con un movimento brusco prese una salvietta che quasi spaccò il contenitore.
“Cos’è successo?” – chiese, mezzo divertito dal fatto che potesse trattarsi solamente di orgoglio femminile ammaccato.
“C’è che un giorno o l’altro te la ritrovi sulla pagina dei morti!” – esclamò Hermione, mentre cestinava con rabbia la salvietta.
Roger si fece serio tutto d’un tratto. No. Non era solo orgoglio femminile ammaccato.
“Non è da te parlare in questo modo…” – disse, leggermente turbato da quel lato del carattere di Hermione che non aveva mai avuto modo di sperimentare.
“Beh, parleresti così anche tu se quella… troia!, accusasse i tuoi genitori di non averti insegnato l’educazione!”
L’argomento doveva starle molto a cuore se la faceva reagire così, pensò Roger.
“Dai, dimmi cos’è successo.”
“Una stronzata!” – esclamò ancora allibita per il motivo che aveva scatenato quella reazione a catena. – “Ecco cos’è successo! Ero salita per andare in macchina a prendermi il pranzo quando sento delle voci provenire dal secondo piano! Mi giro e vedo quei due che stanno scendendo la scala neanche fossero in Piazza di Spagna!” – commentò, incazzata a morte. – “Non sembravano essere di fretta così io me ne sono uscita e mi sono chiusa la porta alle spalle. Quando loro arrivano Pansy mi ferma e mi chiede perché non le ho tenuto la porta aperta!”
“Dai, non arrabbiarti per questo…” – cercò di rabbonirla Roger.
“Oh, ma io non sono arrabbiata per questo Roger. Io sono altamente incazzata perché quella mi deve aver scambiato per una portinaia!” – urlò. – “E per non averle tenuto la porta aperta, mi sono sentita dire che i miei genitori non mi hanno insegnato l’educazione!”
“C’è dell’altro sotto, vero?” – chiese Roger, perplesso che fosse tutto lì.

Sì, c’era dell’altro, ma implicava che Hermione raccontasse qualcosa della sua famiglia che non aveva detto ad anima viva e non voleva.

“Il fatto è che quando sono stata messa a lavorare qui in magazzino, è stato unicamente perché quella stronza, invece di venire a chiarire le cose con me, ha preferito mandare avanti quel cagnolino del suo fidanzato. Oggi, invece, voleva fare bella figura con lui e ha attaccato briga per niente, alla fine! E io Roger ne ho le tasche piene!” – confessò Hermione, con un tono di voce sfinito. – “Sono stufa che quando quella si sveglia male io ci debba andare di mezzo. Tutti noi abbiamo dei problemi ma se andassimo a scaricarli sugli altri, che casino ne verrebbe fuori?”
Rogera annuì. Ciò che diceva Hermione era vero e sacrosanto.
Purtroppo c’erano cose che nemmeno Dio sarebbe riuscito a cambiare…
“Dai, adesso torni di la e mangi la pasta, mhm?”
Hermione barcollò fino all’uomo che le mise un braccio attorno alle spalle per darle un po’ di conforto. Quando tornò, gli altri erano già al dolce – a turno portavano delle pastine o delle torte fatte dalle proprie mogli – e le sorrisero, per risollevarle un po’ il morale.
“Da quant’era che non andavi in bagno, Hermione?” – scherzò Josh, facendo ridere tutti.
La riccia lo guardò e gli sorrise divertita.




Il lavoro procedette tranquillo.
Visto il poco giro di camion, Roger aveva dato istruzioni affinché tutti gli operai si mettessero di lena per dare una sistemata al magazzino e dargli una pulita almeno superficiale mentre lui e Hermione continuavano il lavoro di ricerca nell’ufficio di lui.
Roger poneva domande e Hermione rispondeva con precisione, tanto che il responsabile del magazzino pensò davvero che la riccia ne sapesse davvero più di un ispettore del controllo.
Una cosa, però, andava accertata.

“Roger io salgo un attimo da Michelle. Vado a vedere se lei sa chi è che segue la Sicurezza sul Lavoro.”
“Sì, ok.”
“Tu intanto compila quei moduli con i tuoi dati personali. Poi ai dati tecnici degli apparecchi di movimentazione li facciamo insieme.”
Per un attimo Roger la guardò perplesso. Era come trovarsi di fronte alla maestra che dava un compito per tenere occupato l’alunno mentre lei doveva assentarsi un attimo dalla classe.
Comunque, fece i compiti…

Hermione voleva andare in fondo a quella faccenda.
Lei che aveva seguito corsi su corsi e aveva parlato a suo tempo con suo padre, sapeva che i controlli, in cinquant’anni, erano decuplicati, le sanzioni inasprite, le penali aumentate e la burocrazia aumentata a livello esponenziale.
Forse all’inizio dell’attività anche la Malfoy Home non era sottoposta a frequenti controlli – anche se una prima occhiata le aveva dato a intendere che fossero messi abbastanza bene da quel punto di vista – ma oggi riteneva impensabile che non fossero mai usciti ispettori per il controllo. Dopotutto, lavorava lì da due anni e… no. Poteva accadere che un’azienda non venisse mai controllata. A quella di suo padre era accaduto, per esempio.

Forse Miky poteva aiutarla.
Lo sperò vivamente, perché non aveva voglia di girare l’azienda per cercare la persona incaricata di seguire questo tipo di pratica.

Erano le tre e mezza del pomeriggio quando Hermione mise piede nel salone. Udì distintamente le voci di Malfoy e della sua fidanzata e, peggio di un ladro, si imboscò dietro una palma. Stavano usando toni di voce particolarmente concitati e per una frazione di secondo Hermione sorrise soddisfatta. L’attimo successivo si diede della stupida: non era lì per origliare ma per parlare con Miky.

“Ciao Miky.”
“Ciao Hermione. Allora, come va in magazzino?” – chiese la collega.
“Bene, non mi lamento. Ah, Miky volevo chiederti una cosa…”
Quando le voci si alzarono tanto da sovrastare quelle pacate di Hermione e Michelle, la riccia si girò perplessa.
“Ma che sta succedendo?” – chiese, incuriosita.
Miky le sorrise con soddisfazione.
“Il Karma, Hermione. Ecco cosa sta succedendo.” – fu la risposta sibillina di Miky.
Michelle era una ragazza che si era convertita, dall’età di diciotto anni, alla vita new-age, come la chiamava Hermione. Mangiava solo cibi biologici, tanta verdura, beveva molta acqua e in macchina era piena di quei CD, dove una voce soffusa, contornata dal cinguettio degli uccellini o dal rumore di una cascata, invitava l’ascoltatore a rilassarsi e a buttare fuori tutto lo stress.
“Il Karma?” – chiese lei, divertita.
Non era un’esperta, ma sapeva che il Karma agiva un po’ come la Legge del Taglione.
E la cosa le fece un disperato piacere… soprattutto se a pagarne le conseguenze era Pansy Parkinson.
“Sì. Ma scusa, cos’è che volevi chiedermi?”
“Ah sì! Tu sai per caso chi è la persona che segue…”
Di nuovo fu interrotta.
“Mi dispiace signorina Parkinson, ma la visita era prevista per oggi.”
Hermione si girò di scatto, credendo di avere le allucinazioni uditive.
“Scusa…” – disse distrattamente a Miky che non poté chiederle nulla perché il centralino prese a suonare.
Si avvicinò lentamente ai tre, notando come i toni si stessero via via riscaldando. Ma non si scaldarono mai come il suo cuore quando vide che uno dei tre era…
“Harry?!?”
“… e ho ricevuto una… sì?”
L’uomo di nome Harry si girò verso la voce che lo aveva chiamato e rimase dapprima perplesso, poi sbigottito di fronte a…
“Hermione?!?”
Draco Malfoy e Pansy Parkinson si girarono di scatto e sbarrarono gli occhi quando videro Hermione correre incontro a quell’Harry e saltargli letteralmente addosso.
“Oh mio Dio! Ma dove ti eri cacciato?” – esclamò la ricca, una volta rimessa a terra.

Draco era certo di aver visto di tutto nella vita ma che una dipendente conoscesse perfino il Responsabile Nazionale dei Controlli sulla Sicurezza per il Lavoro, beh… quella proprio gli mancava!

“Sono sempre in giro! E tu? Lavori qui adesso?” – chiese il moro.
“Sì!”
“Scusate?” – s’intromise voce di Pansy che smorzò la felicità di Hermione nel rivedere un caro amico di famiglia e che riportò il volto di Harry sull’infastidito andante.
“Sì?” – chiese Harry.
Draco dovette pensare nella frazione di un nanosecondo.
Aveva capito che Hermione aveva il potere di cambiare – in meglio – l’umore dell’ispettore. In parole povere: doveva approfittarne!
“Signorina Granger, staremmo parlando con l’ispettore dei controlli. Torni al suo lavoro, per favore.”

A Draco a volte sembrava strano che Pansy non riuscisse a cogliere le occasioni della vita. Insomma!, Hermione poteva mettere una buona parola con loro e lei per qualche assurda ragione non ne approfittava!

Hermione guardò la Parkinson con diffidenza.
Da un lato aveva ragione, ma dall’altro Harry poteva essere la sua soluzione per Roger.

“Pansy, per favore.” – s’intromise Draco. – “Signor Potter mi scuso a nome della mia collega per l’increscioso episodio. Se fosse così cortese da darci qualche giorno per…”
“Signor Malfoy, mi scusi…” – lo interruppe Harry. – “… qui ho una risposta dalla sua collega, la signorina Parkinson, dove accettava l’incontro. Immagino che lei abbia numerosi impegni perché conosco la fama della sua azienda ma se permette, ne ho pure io. Farò il mio giro di controlli e se ci saranno delle note da verbalizzare gliele farò avere.”

Sentendo che Pansy aveva accettato l’incontro senza dirgli nulla e non curandolo con l’attenzione che esso meritava, i capelli di Draco, da biondi, divennero quasi bianchi.
Sentendo che Pansy era la persona che stava cercando per aiutare Roger, il cuoio capelluto di Hermione, da folto, divenne quasi canuto.

A posto siamo, pensarono i due.

“Ma state tranquilli.” – disse Harry, lasciando perplessi i tre. – “Ora che so che Hermione lavora qui, sono sicuro che non vi saranno intoppi di alcun genere, vero Hermione?”

La ragazza avvertì tre tipi di sguardo su di sé: di mite certezza da parte di Harry, che era sicuro che sotto la direzione di Hermione non avrebbe trovato nulla fuori posto, di fuoco incendiario da parte di Pansy che si stava vedendo surclassata da una schifosa magazziniera e di flebile speranza da parte di Draco che, fin da quando Hermione aveva salutato il signor Potter in quella calorosa maniera, aveva intravisto in lei la sua salvezza.
Lo sguardo di Hermione, invece, era impostato sul Terrorizzato Galoppante.

Aveva volutamente omesso di scrivere nel suo curriculum “Responsabile della Sicurezza per il Lavoro” per evitare rogne e ora ci si ritrovava dentro di nuovo! Passi con Roger che aveva solo bisogno di una mano per rimettersi in pari, ma a Harry, invece, avrebbe voluto tanto strozzarlo.
Insomma, ma non ci vedeva?!? Indossava una tuta da magazziniere!, il che non era propriamente l’abbigliamento di un responsabile.
“La signorina Granger non è responsabile di nulla.” – disse Pansy.
A Draco mancò poco di ruggire per la frustrazione e la rabbia. Pansy stava mandando tutto a puttane!
“Grazie Pansy, ci penso io.” – disse Draco, invitandola con un gesto a inforcare le scale.
“Draco!”
L’occhiata che le rivolse riuscì – finalmente – a zittirla.
“Va bene.” – si girò e se ne andò.
Draco si girò con un sorriso accattivante, che preoccupò non poco Hermione. Non sapeva perché, ma era certa che a fine giornata avrebbe fatto un’altra chiacchierata con il signor Malfoy…
Se avesse saputo che si sarebbe ritrovata a quel punto, si sarebbe scusata immediatamente con Pansy!
“Bene signor Potter. Vedo che lei conosce la signorina Granger.”
Harry sorrise alla ragazza che ricambiò stentatamente.
“Da quando la faceva ancora nel pannolino.” – fu la candida sparata di Harry.
“Harry che ca!…” – si trattenne solo perché c’era lì Draco Malfoy.
“Beh, è vero!”
Hermione pensò che Harry non fosse cambiato più di tanto: da quanto aveva potuto apprendere, era rimasto lo stesso ingenuo ragazzo che aveva iniziato la sua carriera nel mondo delle ispezioni della sicurezza.
“Sì, ok d’accordo.” – disse la ragazza. – “Harry senti… dato che sei qui avrei bisogno del tuo aiuto.”
“Dimmi pure.”
Draco venne messo bellamente in disparte. Non disse niente, anche se un po’ gli seccava, perché Hermione era molto in confidenza con Harry Potter e magari poteva metterci una buona parola.
Non era sicuro di come fossero gli standard di sicurezza in azienda, perché aveva lasciato quell’ingrato compito a Pansy. Iniziò a pensare di non aver fatto un bell’affare.
“Senti, vuoi farti un giro prima e poi scendi in magazzino?”
Fu come se solo allora Harry Potter si fosse accorto dell’abbigliamento di Hermione.
“Ma come sei vestita?”
Hermione alzò gli occhi al cielo.
“Sei sveglio come un orso in letargo.” – disse Hermione, esasperata. – “Lavoro in magazzino adesso.” – disse Hermione, sbrigativa.
Draco iniziò a pensare che spostare Hermione in quel posto non fosse stata una decisione saggia. Aveva solamente agito su richiesta di Pansy perché, in realtà, non aveva voglia di sentire le sue lamentele sul fatto che non avesse punito una lavoratrice per aver risposto male alla fidanzata del capo.
“Perché?”
“Harry, ne possiamo riparlare un’altra volta? Giù mi staranno dando per dispersa.”
“Sì, ok, scusa. Come ai vecchi tempi, eh?”
Hermione si concesse un sorrisetto.
“Mai vecchi quanto te.” – fu la battutina che però non riuscì a compensare quella del pannolino di Harry. – “Quanto pensi di impiegarci?”
“Beh, di solito in mezz’ora me la cavo. Gli uffici non hanno particolari problemi.”
“Ok. Allora tra mezz’ora mi faccio trovare qui così ti accompagno di sotto.”
“Con?” – la interrogò lui.
“Harry…” – piagnucolò lei.
“Con?” – insistette il moro e Hermione si vide costretta a cedere.
“Con l’elmetto di protezione, le scarpe antinfortunistiche, il giubbetto alta visibilità e gli apparecchi otoprotettori. Posso andare professore?”
“Dieci e lode! A dopo.”
Fu così che Hermione e Draco si ritrovarono da soli e prima che l’uomo potesse solamente pensare di dire qualcosa la ragazza, con un finto sorriso, lo salutò.
“Beh, buona giornata!” – esclamò, fuggendo a gambe levate.
“Herm…” – niente da fare.
Hermione era già sparita.

La riccia si catapultò giù per le scale, rischiando di cadere e rompersi l’osso del collo. Arrivò perfino a guardarsi indietro per accertarsi che Draco Malfoy non la stesse seguendo.
Sono paranoica, pensò la ragazza.
Controllò l’ora e si appuntò mentalmente di tornare su verso le quattro per prendere in consegna Harry.




Intanto, nei piani alti…
“Perché diavolo non mi hai detto niente?!?” – esclamò Draco, furioso.
Non permetteva a nessuno di mettersi in mezzo tra lui e la sua azienda. Nemmeno alla sua ragazza!
Pansy riuscì a farsi venire gli occhi lucidi. Di solito funzionava…
Draco però non era dell’umore giusto per farle passare anche questa. Se non fosse stato per Hermione Granger non sarebbero mai riusciti ad ammorbidire Harry Potter! Per il sollievo di quanto appena accaduto a Draco passò per l’anticamera del cervello di mettere Hermione come suo vice direttore!
“Volevo dimostrarti di essere all’altezza delle tue aspettative!” – fu la teatrale risposta di Pansy.
Ma Draco non riusciva davvero a sbollire la rabbia.
“Sapevi perfettamente che incontri di quel genere vanno discussi con me, prima! Devo essere presente a queste visite!”

Fuori, gli altri impiegati, si erano riuniti per sentire il signor Malfoy dirgliene – finalmente – otto a quell’incompetente della Parkinson.
Non sapeva fare niente!, se non interferire e commentare negativamente il lavoro che altri facevano lì dentro ormai da anni.
Miky aveva avuto proprio ragione a parlare di Karma…

“Ma non l’ho mica fatto apposta!”

Fuori si misero a ridere.
La tipica frase di chi non sapeva più come uscirne fuori.

“Fortuna che c’era Hermione che conosceva Harry Potter, altrimenti…”
“Hermione!?! E da quando la chiami per nome?” – esclamò la donna, in piena scenata di gelosia.
“Da quando l’ho assunta Pansy!” – sbottò l’altro inferocito. – “Così come chiamo per nome ogni mio dipendente! Non aggrapparti a queste stronzate, per favore!”

Fuori, gli impiegati, stavano silenziosamente battendo le mani ed esultando per quella stoccata.

Pansy era sbigottita.
Non le aveva mai risposto in quel modo. E tutto per colpa di Hermione Granfer!

“Draco mi dispiace, va bene?” – disse, stizzita per quei rimproveri meritati. – “La prossima volta non accadrà più!”
“Lo spero bene per te. Ora scusa, ma devo scendere con il signor Potter per capire di cos’avesse bisogno Hermione.”

Immediatamente il corridoio si svuotò e Pansy aprì la porta l’attimo successivo.

“Fa come credi!”
Si avviò a passo spedito verso il proprio ufficio, per pensare a come farla pagare a quella stronza di magazziniera!




“Roger, io salgo a prendere Harry.” – disse Hermione, dopo avergli spiegato, con un sorriso smagliante degno della pubblicità del miglior dentifricio sulla piazza, cosa fosse successo.
Soprattutto la parte in cui Draco cacciava Pansy da quell’incontro.
“Sì, ti aspetto.”
Mentre Hermione saliva ai piani alti, Roger sistemò le carte che aveva compilato con l’aiuto della ragazza e le mise in una cartelletta, da far vedere a questo Harry.

Hermione salì gli scalini due a due e quando arrivò nuovamente nel salone capì cosa volesse dirle suo padre quando le diceva che era peggio di uno “scaricatore di porto”.
Le imprecazioni che aveva tirato nel giro di cinque secondi – il tempo di vedere Draco Malfoy intento a parlottare con Harry – furono il suo personale record.
“Ti prego… non dirmi che scende anche lui…” – disse, trovando il coraggio di uscire dal suo nascondiglio.
Cercò di simulare una sicurezza che in realtà non provava e quando Harry la vide, le sorrise.
“Eccoti qua. Allora, vogliamo andare?”
Hermione girò gli occhi su Draco e comprese che sarebbe sceso pure lui.
Io mi licenzio, fu il pensiero di Hermione.


Quando scesero in magazzino Harry trovò una situazione particolarmente disastrata.
Quando Draco vide ciò che stava succedendo, pensò che Harry Potter gli avrebbe fatto chiudere l’azienda.
“Signor Potter, io…”
Ma Hermione lo fermò, anzi. Lasciò che Harry facesse la sua ispezione mentre lei discuteva con Draco.
“Che diavolo è questo macello?” – chiese Draco, conscio che non poteva prendersela con lei per un errore di Pansy.
Infatti, Hermione lo guardò storto.
“Guardi, mi ero chiesta la stessa cosa quando sono arrivata qui.” – fu la frecciatina che lo fece imbufalire ancora di più.
Aveva avuto una brutta discussione con Pansy e non aveva voglia di stare a sentire anche le battutine di Hermione.
“Comunque, lasci che Harry faccia il suo giro.”
“Se continua a farsi i suoi giri mi farà chiudere l’azienda!” – sibilò.
“No, non le farà chiudere l’azienda, stia tranquillo.” – disse, trattandolo alla stregua di un bambino che voleva avere ragione a tutti i costi.
“Senta…” – disse Draco, spazientito. – “… non so chi si creda di essere, ma credo di essere arrivato al limite.” – disse Draco. – “Dovrebbe imparare a stare un po’ di più al suo posto. Certe sparate non le accetto, sono stato chiaro?”
“Ora che ha finito, parlo io.”
Draco era pronto per sputare fiamme.
“Se lei affida incarichi delicati come questi a degli incompetenti, non venga a prendersela con me.”
Fu come se gli avessero dato un pugno nello stomaco. Intimamente, pensava anche lui che Pansy fosse un’incompetente di primo livello, ma non aveva mai espresso quel pensiero a voce alta, per timore di scindere il contratto matrimoniale che aveva con la donna.
Pansy era figlia di Tolomeo Parkinson, titolare delle Parkinson Industries che producevano yatch di lusso.
“Ma come diavolo osi, ragazzina?”
“Non è forse vero?” – lo sfidò.
E al diavolo la sua carriera. Se proprio doveva essere licenziata, se ne sarebbe andata levandosi la soddisfazione di far sapere a quel damerino con che razza di incompetenti lavorava.
“A chi affido gli incarichi, non è di tua competenza! ” – sbottò, dandole del tu.
Hermione non si scompose.
“Allora non se la prenda con me se poi le cose non sono al loro posto, per Dio!” – sbottò. – “Io so solo che Roger non sa niente di quello che comporta il suo ruolo! Abbiamo passato l’intera mattinata e il pomeriggio a cercare su Internet i documenti da presentare all’E.S.L. (Ente per la Sicurezza sul Lavoro) e tutto perché nessuno!…” – disse, riferendosi volutamente a Pansy. – “… si è mai preoccupato di fargli sapere cosa dovesse fare! Se vuole è liberissimo di licenziami, anzi! Le dimissioni gliele do io, così non dovrà sborsare nemmeno un soldo per me, ma me ne andrò solo quando saprò che Roger è tutelato a trecentosessanta gradi! Ora scusi, ma devo andare da Harry!”
Gli voltò le spalle mentre Draco schiumava di rabbia.

Perché le parole di Hermione erano vere.

Odiava quando non poteva avere ragione su qualcosa e questo era quello che succedeva quando non aveva le cose sotto controllo.

“Ehi Harry!”
L’uomo si girò, decisamente sbalestrato.
“Hermione… qui ce n’è abbastanza per farvi chiudere e impedirvi di riaprire! Ma che casino è questo?”
“Se te lo dovessi spiegare, faremmo entrambi la barba. Harry ascolta, era questo l’aiuto di cui avevo bisogno. Purtroppo si sono dimenticati di avvisare Roger, il responsabile del magazzino, dei corsi da fare. Io ho cercato su Internet i moduli per queste cose, ma è tutto un casino. Uno ti dice una cosa, uno un’altra… sai che non sono abituata a chiedere favoritismi e comunque non lo faccio per me.” – specificò. – “Roger è una persona a modo e ti posso garantire che se gli dai una possibilità non ti deluderà.”
“Hermione, è contro il regolamento…”
“Lo so Harry e credimi: l’ultima cosa che voglio è metterti nei pasticci. Non… non è che potresti far passare questa visita per un sopralluogo generale? Poi mi dici cosa c’è da fare e io lo faccio.”
“Hermione…” – esitò Harry, perplesso.
Draco, invece, era sull’orlo di una crisi di nervi.
“… posso darti al massimo due settimane per sistemare la cosa.” – disse Harry, serio. – “Credi di farcela?”
“Tranquillo! Dai, andiamo a vedere cosa c’è da fare.”

Quando Draco Malfoy vide Hermione Granger tornare a braccetto con Harry Potter, pensò che quella ragazza avesse una sorta di potere magico sulle persone.
Che fosse riuscita a convincere l’ispettore a non farlo chiudere per negligenza?


Fu così che passarono il pomeriggio Hermione, Harry, Draco e Roger: tutti stipati nell’ufficio di quest’ultimo, mentre i magazzinieri osservavano perplessi quello strano raduno.
Hermione si era sistemata al computer, Harry era accanto a lei, mentre Roger e Draco erano più in disparte.
Draco non si capacitava delle competenze di Hermione. Non c’era niente di tutto questo nel suo curriculum, perché? Si muoveva a suo agio nell’ambiente delle scartoffie, interagiva con Harry come se stessero parlando del prossimo barbecue da fare e non della salvezza della sua azienda.
Cristo!, se suo padre lo avesse saputo lo avrebbe preso a cinghiate!
Vide Harry fornire a Hermione una serie di indirizzi Internet da tenere nei Preferiti del browser da consultare, poiché i più aggiornati. In questi siti c’erano le norme sempre aggiornate, i certificati da compilare e da spedire per effettuare i vari controlli e una sezione FAQ’s dove andare in caso di qualche dubbio.
La donna diede, insieme a Harry, la priorità ai lavori più urgenti.

Tutti e quattro finirono alle otto di sera.

Uscirono stremati dall’ufficio, ma felici di aver risolto quel problema.
“… allora mi chiami tu per fissare il prossimo appuntamento?” – le chiese Harry.
La riccia guardò Draco di striscio. Beh, dopo il loro alterco, dubitava seriamente che avrebbe lavorato ancora per quell’azienda. Arrossì di botto quando vide il suo capo annuire, dandole così il consenso di organizzare quella faccenda.
Non la licenziava, allora?
“Sì, ti chiamo io. Hai cambiato il cellulare per caso?”
“No, sempre quello.” – le confermò.
“Perfetto.”
“Hermione, più cose riuscirai a fare e meglio sarà per il prossimo controllo.” – fu la velata minaccia che era indirizzata più a Draco che alla ragazza.
“Tranquillo.” – lo rassicurò.
“Bene. In tal caso, arrivederci.”
“Ciao Harry e grazie!” – urlò Hermione.
“Sei in debito!”
La riccia rise. Era contenta che Harry non se la fosse presa per quella richiesta di aiuto.
Rimasero Hermione, Roger e Draco.
“Era di questo che dovevate parlarmi ieri sera?” – chiese Draco, duro.
Roger si sentì in colpa per non aver dato subito retta a Hermione.
“Mi dispiace Draco. E’ colpa mia.” – si accusò Roger. – “Hermione voleva parlartene ieri, ma gliel’ho impedito, perché credevo che le sue fossero solo parole.”
“Oggi abbiamo rischiato grosso.” – disse Draco. – “Un’altra volta e vi ritrovate a piedi con il lavoro. Hermione, quando avrà finito qui, l’aspetto nel mio ufficio.” – disse Draco.
Entrambi aspettarono che se ne andasse prima di crollare a terra.
“Cazzo che giornata…” – fu l’aulico commento di Hermione.
“Beh, almeno sappiamo cosa c’è da fare. Ma dimmi una cosa… Draco ce l’ha con te?”
“Perché? Si vede tanto?” – chiese.
“Oddio… abbastanza.” – scherzò l’uomo. – “Dai, tu vai pure. Finisco io di sistemare qui.”
“Sì, grazie. A domani allora.”
“Ciao Hermione. Grazie di tutto.”


Hermione Granger aveva spedito il suo curriculum alla Malfoy Home perché ne sentiva parlare in continuazione. Sui giornali leggeva di come questo o quell’altro vip avesse rifatto casa con arredamenti esclusivi di quest’azienda e di come persone comuni, persone che non avevano questi grandi redditi – persone come lei, insomma – facessero economia per poter avere qualcosa della Malfoy Home.

Così, un giorno, aveva aperto il suo pc e aveva cercato in rete quest’azienda.
Il sito era stato fatto, evidentemente, da persone esperte nel settore, perché solo a vedere la foto della facciata dell’azienda, veniva voglia di farvi parte, anche come solo addetto delle pulizie.

Aveva spulciato nei vari menu a tendina, documentandosi sulla sua storia e, per come poteva, sui suoi proprietari che, in rete, mettevano ovviamente informazioni di dominio pubblico – di certo, non l’indirizzo di casa.
Con stupore, aveva notato che nel menu dei Contatti, c’era una sezione dedicata ai bandi di concorso e lei era incappata proprio in quello dove si cercava una centralinista e che, se in possesso dei requisiti giusti, avrebbe potuto avere un avanzamento di carriera.

Incuriosita, spedì il proprio curriculum all’indirizzo generale e aspettò ben due settimane prima di essere contattata. A chiamarla, per fissarle un appuntamento con il signor Malfoy, era stata proprio Michelle.

Si era presentata al colloquio con il suo abito migliore e armata delle più sincere intenzioni di poter diventare parte integrante di quel processo così imponente che portava il nome di Malfoy Home.

A scuola aveva subito dimostrato una particolare attitudine con le lingue straniere. Durante l’ultimo anno di scuola, i suoi professori avevano parlato con lei e con i suoi genitori per indirizzarla verso un istituto di stampo linguistico. Le veniva naturale e più le lingue erano complicate, più lei si elettrizzava, mentre vedeva i suoi compagni demoralizzarsi perché non riuscivano a venire a capo di quella o quell’altra regola grammaticale.
Così era uscita che conosceva il tedesco, lo spagnolo, il portoghese, il minimo indispensabile di arabo e un arrangiato russo.

Aveva impressionato positivamente il signor Malfoy che, qualsiasi cosa le chiedesse, trovava sempre una risposta sintetica ma chiara, un requisito che lui giudicava importante.
L’aveva messa a suo agio perché anche Draco, quando suo padre l’aveva portato per la prima volta in azienda per mostrargli ciò che un giorno sarebbe stato suo, era rimasto colpito dalla struttura e dalla freneticità della vita al suo interno. Si era fatto portare un paio di caffè, per rendere più piacevole quel colloquio e, una volta terminato, la liquidò come aveva fatto con gli altri.
Ma con un particolare in più.

“Bene signorina Granger, è stato un piacere conoscerla.”
“Piacere mio signor Malfoy.”
“In caso fosse la persona giusta per noi le faremo sapere.”
“Certo, la ringrazio.”
“Io comunque aspetterei ad accettare altre proposte di lavoro.”

Così aveva detto e, infatti, un paio di giorni dopo – il tempo per i suoi tirapiedi di stilare il contratto di lavoro – Michelle la ricontattò comunicandole che “La Malfoy Home avrebbe piacere di iniziare un rapporto lavorativo con lei.”
Aveva saltato come una cavalletta per mezz’ora…
Firmò il suo contratto di lavoro come inizio centralinista, vergando il foglio con la sua miglior calligrafia.

Erano due anni che si trovava in quella postazione ma non si era mai lamentata.
Se a rispondere si trovava una persona educata e preparata era più facile essere invogliati a richiamare o, addirittura, a passare per fare due chiacchiere con il titolare e lei così si era mantenuta: professionale, simpatica entro i limiti del decoro e disponibile nell’aiutare chi la contattava, a risolvere i loro problemi.

Poi, la svolta.
In peggio.
In qualche modo a lei ancora sconosciuto, era riuscita a inimicarsi la fidanzata del capo, che non si risparmiava dal trattarla come una pezza da piedi in qualsiasi occasione.
Certo, aveva fatto carriera, se così si poteva definire il suo trasferimento in magazzino ma non si lamentava. Non lo faceva quasi mai.


Quella veloce carrellata di ricordi ebbe una fine.
Bussò e prima di entrare prese un enorme respiro.
Nel salire le scale per raggiungere l’ufficio di Draco – non l’aveva mai visto così tante volte come in quei giorni – Hermione si disse che avrebbe portato le proprie convinzioni fino alla fine, anche a costo del posto di lavoro ma si sarebbe scusata per avergli detto di essere un incapace che non sa scegliersi i collaboratori.
Anche se lo pensava sul serio, avrebbe dovuto tenere per sé quel commento.

“Permesso.” – quando entrò, notò con sollievo che la Parkinson non era presente.
“Si sieda.” – disse Draco, brusco.
Hermione, silenziosa, obbedì. Lo vide trafficare con alcuni documenti nella sua cassaforte, chiuderla con gesti secchi e girarsi.
Aspettò il verdetto finale.
“Parliamoci chiaro.” – esordì Draco, che aveva deciso di puntare sulla linea dura. – “Un altro commento come quello sulla mia scelta dei miei collaboratori e la siluro.”
Più chiaro di così.
“Era mia intenzione scusarmi per quello che avevo detto in proposito.” – disse la donna, pacatamente.
Draco sollevò le sopracciglia, in un muto invito ad ampliare le sue scuse.
“Non volevo offenderla in alcun modo ma… anche se so che non è una giustificazione, ero molto arrabbiata in quel momento. Le faccio le mie scuse.”
“Scuse accettate.” – concesse Draco, conscio che la rabbia facesse straparlare.
Capitava anche a lui, di tanto in tanto.
“Altro punto.” – continuò il biondo. – “Prima di prendere iniziative sul consultare Internet in merito alla Sicurezza sul Lavoro, la pregherei di rivolgersi alla signorina Parkinson.”
Draco non seppe come riuscì a trattenersi dal scoppiarle a ridere in faccia. A quelle parole – bestemmie, a detta di Hermione – la ragazza aveva sbarrato gli occhi, probabilmente terrorizzata-barra-indignata per quella proposta-barra-ordine.
“Beh, non si preoccupi.” – disse Hermione, con le guance chiazzate di rosso per quella che lei riteneva essere un’umiliazione bella e buona. – “Non c’è motivo di disturbare la signorina Parkinson. Ora Roger sa cosa deve fare e…”
“Terzo punto.”
Ma questi fanno mai finire la gente di parlare?, si chiese Hermione, indispettita.
“Come conosce il mondo della Sicurezza sul Lavoro e perché sul suo curriculum non c’è scritto niente in merito?”
Inizio a odiare quel cazzo di curriculum!, sbottò Hermione nella propria testa.
Ogni volta che entrava da Malfoy, quello aveva sempre in mano quel dannato pezzo di carta!
“Nel mio precedente lavoro…” – non specificò quale. – “… ero stata nominata rappresentante dei lavoratori.”
“E perché non lo ha scritto?”
“Per evitare di trovarmici ancora dentro.” – rispose con ovvietà.
Draco sospirò.
Per due anni aveva avuto sottomano una donna-camaleonte e non se ne era mai accorto!
“Non le piace il lavoro?”
“Troppa burocrazia.” – tagliò corto Hermione.
“La sua preparazione mi farebbe comodo, però.”
Hermione sbarrò gli occhi per la seconda volta e negò con la testa.
“Oh per favore no!” – lo supplicò.
Stavolta Draco non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito. Riprese il controllo su di sé con un colpo di tosse.
“Mi dia una buona motivazione per non toglierla dal magazzino e affiancarla a Pansy.”
La sola prospettiva le aveva fatto sfrecciare davanti agli occhi la parola “licenziamento in tronco!!!”
“Perché siamo geneticamente incompatibili.” – confessò, conscia che quello non era un buon motivo per dire di no alla richiesta di un datore di lavoro.
“Potreste trovare il modo di andare d’accordo.” – propose Draco.

Non era certamente intenzionato ad affiancare a Pansy, Hermione, non era così idiota.
Voleva solo vedere fin dove la donna si sarebbe spinta per rifiutare un posto che aveva, certo, molte responsabilità ma anche un bello stipendio.

“Lo escludo.” – disse Hermione, convinta.
“Potrei obbligarla.”
“Potrei licenziami.” – disse Hermione, che non sapeva più che pesci pigliare.
Draco la studiò attentamente. Non aveva mai conosciuto una dipendente ostinata come lei.
“Davvero lei rinuncerebbe a un avanzamento di carriera e a un buon stipendio per delle incomprensioni?” – le chiese, quasi divertito.
Se le rispondeva di sì, avrebbe pagato da bere a un intero bar!
Hermione sollevò un sopracciglio scettica.
“Parla come se il magazzino fosse il gabinetto dell’inferno.” – si trattenne dal dire “cesso”.
“Non mi dica che le piace uscire la sera tutta sporca.”
“La casa in cui vivo ha la doccia incorporata, grazie.” – frecciò, stizzita.
“Non lo metto in dubbio ma…”
“Signor Malfoy, mi scusi… si può sapere perché mi ha fatta chiamare?”
Vero.
Stavano divagando.
Peccato: si stava divertendo.
“Giusto. Magari vorrà andare a casa a lavarsi.”
Hermione fece per rispondergli ma all’ultimo si accorse che quella del signor Malfoy era stata una semplice battuta.
“Niente, quello che avevo da dirle gliel’ho già detto.”
Hermione aveva il sedere a mezz’aria quando…
“Ma…”
E te pareva, disse rimettendo le chiappe sulla sedia.
“… per quanto discutibili siano state le sue parole di oggi, è giusto che io la ringrazi.”
Questa me la segno, pensò Hermione.
“Perchè?” – chiese, non riuscendo a trovare il motivo per cui lui dovesse ringraziarla.
“Per aver convinto il signor Potter a non farci chiudere.”
“Infatti, io non l’ho convinto. Ho solo ottenuto che il controllo di oggi non venisse verbalizzato e ho… Roger ha avuto due settimane di proroga per mettersi in pari con le carte e i corsi.”
“Lei tiene molto a Roger, ho visto.”
“So che qui dentro è un’istituzione.” – scherzò Hermione. – “E’ una brava persona e mi dispiacerebbe vederlo nei pasticci.”
“Per colpa di Pansy.” – aggiunse Draco, serio.
“Io non l’ho detto.” – rispose pronta, Hermione.
No, quella volta non avrebbe ceduto.
“Ma l’ha pensato.”
“Forse…” – disse, permettendosi di sorridere divertita e dandogli a intendere che sì, l’aveva davvero pensato. – “Ma è stato lei a dirlo.” – si difese, alzando le mani in segno di finta resa.
“Touché.”
“Posso andare?”
“Sì certo. Buona serata Hermione.”
“A lei signor Malfoy.”









Calli-corner:

Benvenute alla fine.
Come vi ho promesso, Hermione è un peperoncino, che non accetta di essere rimproverata per nulla. Si è sfogata per bene con Draco, rifacendosi un po’ della mala risposta che Pansy le aveva dato quel mattino sull’educazione che i suoi genitori non le avevano insegnato.

Ricorderete che nel predente “calli-corner” ho detto che Draco non delega niente a nessuno.
A nessuno, che non sia Pansy.
Tenete sempre presente, comunque, che di fronte a una “patata” l’uomo perde il lume della ragione e fa ciò che la seconda testa gli suggerisce.

Non ho particolari cose da spiegare, ma naturalmente se voi avete delle domande da farmi, potrete chiedere e io risponderò.

Spoiler!

“Posso parlare apertamente?” – chiese lei, trucidandolo con gli occhi.
“Perché? Fino a oggi cos’hai fatto?” – chiese, pesantemente ironico e riferendosi a tutte le volte che lei, con educata ironia, gli diceva le cose in faccia.
“Ce l’ha ancora con me per come ho risposto alla sua fidanzata?”
Vediamo che mi rispondi, stronzo…
“Sinceramente?”
“Se possibile…” – chiese lei con finta pazienza.
“Ebbene sì.”


Besitos!
callistas

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Capitolo 4
*** Mettiamoci al lavoro! ***


03 - Mettiamoci al lavoro Fosse per me salterei tutti questi capitoli e andrei dritta al sodo ma, si sa, che callistas è un gran bel pezzo di… stronza e MAI!!! farà una cosa simile.
*se la tira.*

Detto ciò, andiamo avanti.

Nel precedente capitolo, Draco ha ragionato con la seconda testa che gli è stata data in dotazione, ma non temete, balde fanciulle: anche Draco tornerà a ragionare con la testa che ha sulle spalle, ma solo mooooooolto più avanti…

Vi aspetto alla fine del capitolo, che ho un paio di cosette da spiegarvi…


Un bacio,
callistas.









“Malfoy Home buon giorno, sono Michelle. Posso aiutarla?” – la momentanea sostituta di Hermione sorrise. – “No, Hermione non è ancora arrivata, posso aiutarla io? Sì, certo, glielo passo subito. Devon?, ti passo Koster, ciao. Oh, Hermione! Buon… giorno…” – la salutò Michelle, sconcertata per l’abbigliamento.

L’unica spiegazione possibile era che avesse le allucinazioni da Lunedì.

“Ciao Miky, buon giorno!”
“Ma… come sei vestita?” – chiese la centralinista che, ancora incredula, si era alzata addirittura in piedi per guardare meglio il suo vestiario.
“Nuove mansioni.” – rispose Hermione con un sorriso tranquillo. – “Da oggi fino a nuovo ordine sarò in magazzino. Anzi scusa, ma devo scappare. Ci vediamo!” – disse Hermione, salutando la collega come se le avesse detto che aveva vinto alla lotteria.
“Cia-ciao…” – disse Miky, sconcertata.
Poi il telefono suonò.
“Malfoy Home…”




Hermione, quel lunedì otto settembre, si presentò al suo nuovo lavoro in una comoda tuta da ginnastica corredata di scarpe, ovviamente, da ginnastica. Per la prima volta si sentì veramente se stessa. Non disdegnava di certo vestirsi in modo elegante, ma lei era come un camaleonte: cambiava in base all’ambiente in cui veniva posta.
E quel giorno, Hermione, era in un ambiente decisamente a lei più congeniale.

Era come tornare a casa.

“Josh?”
“Sì? Posso aiut… Hermione?!”
La ragazza rise divertita dalla faccia di uno dei magazzinieri addetti allo scarico con il quale, quando scendeva in magazzino, scambiava quattro chiacchiere.
“Che… tu… in tuta… oh, ma che hai combinato?” – chiese, riuscendo a fare una frase dal senso completo.
“Per un po’ starò con voi ad aiutarvi. Sai dov’è Roger?” – chiese, allungando il collo in cerca del responsabile del magazzino.
“Sta nella solita baracca.” – rispose Josh, indicando il famoso punto di ritrovo con il pollice.
“Ok grazie.”
“Hermione?”
La ragazza si girò. Era seria.
Il tempo dei giochi era finito.
“Va tutto bene?”
Gli sorrise.
“Tutto bene.” – confermò.
Poi si diresse da Roger.


“Roger?”
Un uomo che aveva ridato un nuovo significato alla frase “armadio a due ante” si girò sulla sedia e sorrise, mezzo divertito, mezzo impacciato verso Hermione.
“Ciao Hermione. Ho sentito la notizia.” – disse, riferendosi al fatto che era stata trasferita in magazzino.
“Visto che salto di qualità?” – chiese la ragazza, facendo ridere l’uomo.
“Dai entra.”
Hermione entrò nell’ufficio e chiuse la porta.

Discussero fittamente, mentre chi era riuscito a farsi scucire da Josh quelle poche informazioni sul perché Hermione fosse in magazzino, e non al centralino, e vestita con una tuta, anziché con quei completini che facevano girare parecchie teste, si ritrovava a fissarla, nella speranza di riuscire a leggere almeno il labiale.
Poi uscirono tutti e due e si diressero dagli altri.




“Ragazzi, lei è Hermione, quella nuova.” – disse Roger con una mano sulla sua spalla, presentandola ai magazzinieri che ancora non la conoscevano.
“Ciao Hermione…” – salutarono gli altri.
“Ciao!”
“Viene dai piani alti e deve imparare questo lavoro. Aiutiamola, ok?”
I commenti di certi furono alquanto scocciati perché oltre al loro lavoro dovevano star dietro ad una ragazzina che non sapeva come funzionava il mondo “vero”.
Hermione li aveva sentiti perfettamente e non aveva commentato, perché era certa che una volta dimostrata tutta la sua buona volontà e abilità nel gestire un magazzino si sarebbe guadagnata anche il loro rispetto.

Una volta che il capo magazziniere rimase da solo con Hermione, le fece sentire tutto il suo sostegno.
“Non abbatterti… è che il lavoro quaggiù è molto duro. Ci sono ritardi frequenti e questo porta ad altri ritardi nel lavoro ed è una cosa che li irrita molto. Tu stammi dietro i primi tempi, ok?”
“Sì, certo…”

Come prima cosa, Roger Smith mostrò alla nuova arrivata il programma per l’emissione delle fatture, dei documenti di trasporto, la contabilizzazione e il carico/scarico delle merci.
Hermione pensò che quel programma dovesse avere il monopolio di qualsiasi magazzino del paese, perché anche a casa suo padre aveva scelto quel software per la gestione della contabilità.
“Non è complicato come hai potuto notare, ma serve tempo per ingranare e imparare a memoria i codici.”
“Ho una buona memoria…” – disse lei, facendo sorridere il capo magazziniere.
“E’ questo lo spirito giusto, ragazza!”
“Amen, fratello!” – scherzò lei, alzando una mano e chiudendo gli occhi come se stesse pregando.
Roger rise di gusto.
“Coraggio, vieni con me. Ora ti mostro come funziona lo scarico…” – ma non fece in tempo a finire la frase che il portatile suonò. – “Pronto? Sì, sono io… COSAAAA?!?!?” – sbraitò lui, facendo ammutolire tutti.
Hermione che era accanto a lui, saltò come un petardo e cacciò un urlo per lo spavento.
Roger poteva essere anche un armadio a due ante ma Hermione non l’aveva mai sentito urlare o arrabbiarsi. Ci rimase davvero male…
Quelli accanto a lei risero di quel suo guizzo di spavento. Ogni tanto anche loro però saltavano spaventati, perché Roger, la maggior parte delle volte, riusciva a risolvere pacificamente i problemi.
Quello al telefono doveva essere sicuramente Frank della HadroSped.
In molti si chiedevano perché il signor Malfoy non si decidesse a cambiarlo una volta per tutte: erano più i ritardi che non le consegne puntuali!

“NON PUOI FARCI QUESTO! NON MI INTERESSA SE HAI UN’UNGHIA INCARNITA! MI SERVE QUELLA ROBA! SONO GIA’… senti…” – disse a bassa voce, cercando di controllarsi. – “… ho bisogno di quella roba. Adesso!”
Hermione lo ascoltò esterrefatta. Non avrebbe mai immaginato che la voce dolce di Roger potesse trasformarsi in un ruggito feroce.
“Ti sei spaventata?” – chiese un ragazzo dell’età di Hermione.
“Come? Oh no, tranquillo…” – disse, tornando a guardare incuriosita il fenomeno “Roger”.
“Io sono Evan, piacere.”
“Hermione.” – rispose la ragazza, stringendogli la mano. – “Ma con chi ce l’ha Roger?” – chiese Hermione infine.
“Frank, un nostro trasportatore.” – spiegò. – “Ci da sempre problemi. Arriva in ritardo con le consegne e ci causa problemi con i piani alti. Noi abbiamo fatto presente questa storia, ma ci hanno liquidato con un “non è esoso.” E ora siamo di nuovo nella merda ops!, scusa…” – disse il ragazzo imbarazzato.
“No, tranquillo…” – disse lei con serietà.
Guardò Roger, infervorato come non mai e decise di aiutarlo.
“Roger, lascia…” – disse Hermione, prendendogli il cordless.
Il capo magazziniere la guardò allibito.
“Hermione, non sai come…”
“Tu sei Frank?”
“Chi è?”
“Il tuo peggior incubo se non ti presenti qua tra mezz’ora.” – sentenziò lei dura.
Tutti si erano fermati e quella parte di magazzino si zittì.
“Senti, ragazzina… ho altro da fare che…”
“Sicuramente ti ritroverai altro da fare una volta che sarai arrivato da noi, perché ti giuro che se non ti presenti qua entro il tempo che ti ho dato, dovrai rimanertene a casa per molto tempo. E non per un’unghia incarnita, mi sono spiegata?”
“Che fai, minacci?” – chiese l’altro, quasi divertito.
“No, dispenso consigli. Frank? Tra mezz’ora. Qui.”
“Mi fa male…”
“Vediamo… che ne direbbe il direttore se sapesse che ogni minuto gli costi £ 1.500,00?”
“Scusa?” – chiese l’autista, credendo di aver capito male.
“Ma che credi? Che il ritardo nelle consegne non comporti costi aggiuntivi?” – lo sbeffeggiò lei.
“Ma…” – Frank aveva iniziato a perdere tutta la sua sicurezza.
Parlava seriamente o lo stava prendendo in giro solo per avere la merce in orario? E se fosse stata solo una presa in giro?, o peggio!… e se fosse stata la verità, cos’avrebbe fatto il suo capo? Lo avrebbe licenziato in tronco!

Chi si era fermato ad ascoltare la conversazione, Roger incluso, non poté non rimanere sorpreso di fronte al caratterino di Hermione. Nessuno aveva mai avuto a che fare con lei; sapevano solo che era una persona simpatica e che trattava loro e il loro lavoro con il rispetto che meritava: vederla trattare con fermezza con quel trasportatore e dare con una precisione quasi studiata il costo di quei ritardi aveva lasciato parecchie bocche aperte.

“Informati…” – continuò Hermione spedita come un panzer. – “Ogni tuo minuto di ritardo costa al direttore la cifra che ti ho detto. Moltiplicala i minuti di ritardo e fammi sapere se sei disposto a rimetterceli. A causa tua i camion ritardano, le navi ritardano, le consegne ritardano… io inizierei a farmi due conti o a cambiare direttamente lavoro. Tra venti minuti qui!”
“Ma… avevi detto mezz’ora!” – disse lui, terrorizzato alla prospettiva di dover mettere di tasca sua tutti quei soldi.
“Va che il tempo passa sai? MUOVI IL CULO!” – e gli chiuse in faccia la comunicazione, rendendo così ancora più veritiere le sue minacce mentre tutto il magazzino la guardava con gli occhi fuori dalle orbite. Riconsegnò il cordless a Roger che lo guardò come se non fosse più il suo. – “Visto? Con le buone maniere si ottiene sempre tutto.” – disse lei con un sorriso. – “Coraggio… tra venti minuti sarà qui e dobbiamo far posto al camion.” – disse Hermione, dirigendosi verso l’ingresso gli scarichi.
“Ma… come fai ad esserne sicura?” – chiese Roger ancora sbalordito.
“Istinto femminile.” – disse lei, con una scrollata di spalle.


Tutto il magazzino si bloccò, allibito, anche chi della conversazione di Hermione non aveva sentito niente: c’era solo la sorpresa comune di vedere arrivare Frank della HadroSped in perfetto orario.
L’autista non solo era arrivato in un quarto d’ora, ma ora vedevano Hermione aprire la saracinesca del camion come se l’avesse sempre fatto e iniziare a tirar fuori le scatole.
“CATENA DI MONTAGGIO!” – urlò Hermione per farsi sentire.
Automaticamente tutti gli addetti allo scarico si misero in fila. Hermione passava una scatola al primo, che poi la passava a quello dietro di lui, che passava la merce all’altro… e così via finché non venne impilata ordinatamente in fondo al magazzino, affinché non intralciasse le normali manovre.
In tanti si chiesero come mai una ragazza esile e minuta come Hermione riuscisse a compiere lavori pesanti come quello.




La risposta arrivò in pausa pranzo.
Il magazzino aveva una sala mensa personale, per evitare che lo sporco che si trascinavano addosso – polvere, l’unto di certe scatole… – potesse sporcare gli altri ambienti.

Hermione pensò immediatamente che quella fosse una forma di razzismo bella e buona.
Insomma… erano esseri umani anche loro!, che si lavavano le mani e si cambiavano i vestiti per mangiare! Ma cosa credevano? Che fossero dei porci, ineducati a stare in mezzo alle altre persone?

“Mio padre ha una ditta di trasporti.” – spiegò la ragazza.
Aveva preso posto tra gli uomini del magazzino e stava tranquillamente mangiando con loro.
Vari “aaahhh” di comprensione si levarono dal lungo tavolo. Adesso tante cose si spiegavano!
“Di che genere?” – chiese uno interessato.
Era uno dei tanti che aveva sbuffato quando Hermione era arrivata lì da loro, ma che si era ricreduto quando aveva visto che la ragazza non si faceva problemi a lavorare.
“Beh, trasporti in generale…” – disse Hermione, con un’alzata di spalle. – “…alimentari, traslochi… un po’ di tutto.” – disse, addentando la sua pasta.

Quando Roger le aveva spiegato come funzionavano le cose, ovvero che i magazzinieri non salivano nella mensa degli amministrativi per non “sporcare”, c’era rimasta parecchio male.
Credeva che il frigo che si trovava nel suo ufficio fosse per le bibite ma quando aveva visto che ne uscivano vari contenitori con dentro quello che sembrava un vero e proprio pranzo, non ci aveva capito più niente. Così i suoi colleghi divisero il loro cibo per quella volta, certi che Hermione non fosse una persona che si approfittava della gentilezza degli altri.
Li aveva ringraziati per mezz’ora.

“Ah… è per questo che sei abituata a sollevare pesi?” – chiese Roger.
Hermione annuì, con un pezzo di panino in bocca.
“Sì. Quand’ero piccola andavo in ufficio dopo la scuola e mi mettevo a giocare su una scrivania, facendo finta di essere la segretaria…”
Tutti si misero a ridere.
“… poi, crescendo, la scuola ha iniziato a organizzare vari stage presso alcune aziende per introdurre gli studenti al mondo del lavoro e io mi sono infilata in quella di mio papà.”
“Sempre come segretaria?” – chiese Evan.
“Per carità, no!” – sbottò lei, come se avesse appena bestemmiato. – “Il lavoro d’ufficio lo odio. Sono più portata a trattare con i fornitori e i ritardatari.” – disse lei, ridendo e contagiando gli altri, che ricordarono perfettamente il modo in cui Hermione fece arrivare Frank addirittura in anticipo. – “Però ho comunque imparato il lavoro amministrativo e le leggi che ci stanno dietro.” – Hermione bevve un goccio di coca e poi si alzò per gettare via il tutto nel cestino.
“Preferisci il lavoro duro a quello d’ufficio?” – chiese un altro ragazzo.
“Diciamo che piuttosto che avere a che fare con delle colleghe schizzinose, preferisco i magazzinieri. I miei non sono persone raffinate, nel senso che sono semplici lavoratori. Si sono fatti il culo una vita intera, lavorando dalla mattina alla sera e non stanno a guardare se quando vai in ufficio hai le scarpe col tacco o le infradito. Per loro è certamente importante il decoro sul posto di lavoro, ma guardano soprattutto che tu sappia farlo bene e con coscienza. Gli atteggiamenti di certe persone che lavorano qui…” – disse, indicando con l’indice i piani alti. – “… non avrebbero vita lunga con i miei. E nemmeno con me.”
“Un tipo alla buona!” – disse un signore, poco distante.
“Sì! Preferisco alla grande lavorare con persone che non si scandalizzano a parlare come mangiano.”
“Sei la prima donna che sento parlare così.” – disse Roger.
Hermione sorrise. Grazie all’educazione che le avevano impartito i suoi genitori, non si faceva problemi con nessun tipo di lavoro. Fin tanto che si trattava di un impiego onesto, la ragazza non avrebbe obiettato su niente, nemmeno se ci fosse stato da lavare i gabinetti.
Sua madre e suo padre le avevano insegnato a impegnarsi sul lavoro, di rendere sempre al massimo e, soprattutto, di essere umile.
Una dote assai rara per chi, invece, ha sempre avuto la pappa pronta.


Era solo la prima giornata, ma sembrava che il lavoro si fosse alleggerito.
Grazie alle sue abilità oratorie (minacce e insulti vari…), Hermione era riuscita a far arrivare in orario, se non addirittura in anticipo, dei ritardatari cronici come Frank. Si vedeva che la ragazza aveva polso e non si faceva mettere i piedi in testa nemmeno da qualcuno che era il doppio di lei.

A fine giornata, tutte le consegne furono fatte e gli scarichi effettuati. Avrebbero dovuto solamente preparare tutti i documenti necessari per accompagnare la merce al luogo di destinazione e poi sarebbe tutto finito.
Tra le classiche virgolette, poiché il giorno successivo sarebbe iniziato tutto d’accapo.

“Ci vediamo domani!” – salutò Hermione, calorosamente.
“Hermione, aspetta!” – la chiamò Roger.
“Dimmi.”
“Senti, a fine giornata il signor Malfoy scende per controllare che tutto sia in ordine…”
Hermione alzò gli occhi al cielo. Non aveva voglia di rivedere la sua faccia da “fighetto con la pappa sempre pronta.”
“… so che magari sarai stanca, ma è la prassi. Vuole essere informato su quello che succede.”
“Beh, mi sembra giusto.” – commentò Hermione, che comunque aveva apprezzato quel lato del carattere del signor Malfoy. – “Quando arriva?”
“Tra dieci minuti. Lo aspetti con me?”
“Non puoi arrangiarti tu?” – chiese piagnucolando.
“Dai, dai… su! Forza e coraggio!”
“E santa pazienza, più che altro…” – disse Hermione, appoggiando il proprio marsupio sul tavolo in attesa del boss.

Intanto che aspettavano, misero a posto tutti di documenti arrivati con la merce che avevano scaricato e li avevano impilati in base al loro arrivo, così il mattino successivo avrebbero potuto iniziare con l’emissione dei D.D.T..

“Buona sera, Roger.” – disse una voce profonda.
Una voce che Hermione aveva da poco imparato a detestare.
“Buona sera Draco.” – salutò Roger in un moto di profonda confidenza.
“Signorina Granger… vedo che è ancora qui.”
Allora non ti serve l’oculista, genio…
“Sì. Roger mi ha chiesto di aspettare il suo arrivo.” – disse la ragazza con un sorriso cordiale.
Draco annuì.
“Roger, com’è andata oggi? Ritardatari?” – chiese, studiando le varie carte che troneggiavano sulla scrivania.
Hermione sentì un brivido freddo correrle giù lungo la schiena. Aveva paura che il signor Malfoy mettesse in disordine quelle carte ma, con un sospiro di sollievo notò che le aveva rimesse dove e come le aveva trovate.
“Nemmeno mezzo!” – esclamò il capo magazziniere orgoglioso di quella giornata.
Draco stava analizzando dei documenti, alzò lo sguardo come se avesse capito male.
“Come?”
“Nessun ritardo, Draco. Ed è tutto merito di Hermione.”
Draco spostò lo sguardo perplesso dal suo capo magazziniere alla ragazza. Come poteva una ragazzina minuta come lei aver fatto tutto questo in una sola giornata di lavoro?
Hermione, invece, aveva sperato che Roger se ne stesse buono e che non la chiamasse in causa. Speranza vana…
“E cosa c’entra la signorina Granger?”
Hermione lo osservò e le mancò poco per scoppiargli a ridere in faccia. La figura di Draco faceva a pugni con tutto il contesto: un damerino impagliato nel suo preziosissimo abito firmato in un magazzino dove l’unto regnava sovrano.
Si trattenne…
“Ha esortato i fornitori ad arrivare.”
“Non vedo cosa vi sia di diverso da quello che fai tu tutti i giorni.” – stabilì Draco.
“Io sbraito e urlo, ma Hermione con calma olimpica li ha fatti arrivare addirittura in orario! È stata fenomenale!”
E Draco notò il tono di confidenza tra i due.
“Vedo che hai già fatto amicizia con la signorina Granger. Ti ho proprio mandato giù un valido supporto, allora.” – disse Draco, guardando la ragazza con aria di sfida.
Che lei contraccambiò.
“E’ un’ottima lavoratrice e non si lamenta mai. Un’utopia!” – esclamò Roger che non aveva captato l’ironia nel tono di voce del suo titolare.
Un sopracciglio inarcato indicò che Draco non si aspettava di certo un risvolto simile. Hermione? Un’instancabile lavoratrice?
“Roger, forse il signor Malfoy ha dell’altro da fare…” – alias “Roger muoviti che io ho altro da fare!”
“Oh, sì, scusa.” – disse, rivolto al titolare. – “Dunque, oggi è arrivato tutto il materiale che avevi ordinato. È tutto laggiù.” – disse Roger, indicando il fondo del magazzino, tappezzato di scatoloni più o meno grossi. – “Domani non sono previsti tanti arrivi, così avremo tutto il tempo per emettere i D.D.T. e far partire la merce.”
Ci fu un attimo di silenzio.
Oh ma che devi fare? Ti spicci? Sono stanca!, pensò Hermione, esasperata.
Puzzava e l’unica cosa che voleva era la doccia di casa sua.
“Sono stupito del risultato. È la prima volta che scendo in magazzino e trovo tutto in ordine.”
Roger gongolò dentro di sé per l’orgoglio.
Hermione gongolò dentro di sé per la soddisfazione.
Non dici nient’altro?, pensò la ragazza, cercando di non sorridere spudoratamente in faccia al damerino.
“Mi fa piacere. Hai altro da dirmi?”
“No, Roger… puoi andare.”
Hermione tirò un sospiro di sollievo. Finalmente la tortura era finita. Andò a prendere il proprio marsupio, ma non aveva recepito bene la frase di Draco.
“Signorina Granger, può rimanere un attimo?”
Tutto l’entusiasmo di Hermione svanì all’istante.
E te pareva…, pensò la ragazza che, prima di girarsi, alzò gli occhi al cielo.
“Mi dica.”
Con la coda dell’occhio vide Roger andarsene e lo invidiò.
Quando Draco udì la porta chiudersi, poté parlare.
“Un ottimo lavoro, davvero. Sono sorpreso.” – ammise.
E lo era davvero.
Non gli capitava tutti i giorni di avere a che fare con una ragazza che si adattava – come d’altronde lei stessa aveva ammesso solo la sera prima – a qualsiasi tipo di lavoro.
“La ringrazio.”
“Si sente stanca?” – disse Draco, stuzzicandola.
“Affatto…” – disse lei, anche se pensava l’esatto opposto. Mai e poi mai gliel’avrebbe data vinta! – “… sono abituata a questo tipo di lavori, io.” – disse, marcando per bene il pronome.
Draco non sapeva bene se infastidirsi per quella continua sfacciataggine o trovarla perfino… divertente.
“Quindi non avrà nulla da obiettare se la destino qui, per il momento.”
Fa quel che vuoi, basta che mi lasci andare a casa. Ho una fame bestia che mangerei anche te!, pensò la riccia.
“Come le ho già detto non è mia abitudine discutere una decisione aziendale. Se lei ritiene che io sia più adatta a questo compito, non obietterò.” – rispose cortesemente Hermione.
“In questo caso si ritenga momentaneamente distaccata qui in magazzino.”
Hermione annuì.
“Va bene.”
“Buona serata, allora.”
“Buona serata a lei, signor Malfoy.”
Hermione lo seguì con lo sguardo, finché non uscì dal magazzino.


Era la prima volta che una dipendente lo sfidava in quel modo. Normalmente avrebbe licenziato in tronco il povero malcapitato, ma a frenarlo era stato il fatto che lei fosse una donna e che avesse fatto seguire alle sue parole dei concreti fatti.
Dopo quanto visto, sospettò che la signorina Granger non si sarebbe lamentata neanche se avesse deciso di metterla a lavare i gabinetti degli autisti.
Interessante… pensò il presidente della Malfoy Home. Si è tagliata le unghie, pensò con un sorrisetto divertito.




Una volta giunta a casa, Hermione tirò un sospiro di sollievo.
Lilly la guardò come per dire “com’è che sei così in ritardo? Io devo fare la pipì!”. Hermione rise di fronte alla faccia “sbigottita” del cane e le fece una carezza veloce.
“Qualcuno deve fare la pipì?” – chiese Hermione retoricamente.
Quando Lilly individuò la parola chiave della frase di Hermione, iniziò a saltare come una cavalletta sulle zampine posteriori. Con non poca difficoltà, Hermione le mise il guinzaglio e la portò fuori.









“Allora? L’hai licenziata?” – fu la prima cosa che Pansy chiese a Draco quando mise piede nel suo appartamento.
“Purtroppo non posso, amore.” – disse Draco, versandosi una generosa quantità di barboun nel bicchiere.
“Ma… perché?” – chiese Pansy, quasi oltraggiata.
“Non c’erano i presupposti adatti per poterlo fare.”

Avrebbe voluto dire “purtroppo”, ma all’ultimo non l’aveva fatto.
Quella ragazza gli aveva dimostrato forza di volontà, una qualità rara da trovare nei suoi collaboratori.

“Perché? Cosa avrebbe dovuto fare?” – chiese, fingendo disinteresse.
“Beh… come minimo avrei dovuto beccarla a rubare documenti, inoltrarli alla concorrenza, rubare dalla cassa…” – elencò.
“E allora cos’hai fatto?”
“L’ho sbattuta in magazzino.”
Per una veloce, fugace frazione di secondo, Draco si chiese per quale motivo avesse usato proprio quel verbo.
Di certo non poteva negare che la signorina Granger fosse una ragazza carina, ma da lì a rovinarsi la reputazione con una dipendente ne passava di acqua sotto i ponti!
Pansy aprì la bocca, mentre un accenno di sorriso le imbrattò il volto.
“Cosa?”
Draco le versò del vino bianco nel calice.
“Ma ho l’impressione che se anche la mettessi a pulire i bagni non si lamenterebbe. Ha forza di volontà, quella ragazza…” – constatò lui, leggermente assorto, mentre il profumo del liquore gli arrivava al cervello.
“Si direbbe quasi che l’ammiri per questo.” – disse lei, notando il tono quasi rispettoso che Draco aveva usato per descrivere quella stronzetta che l’aveva insultata.

Ecco una cosa tipica di Pansy: ingigantire le cose fino all’assurdo.

“Non dirmi che la futura signora Malfoy è gelosa di una magazziniera…” – ironizzò lui.
Pansy voltò di lato la testa con fare stizzito, segno che ci aveva preso alla grande. Com’era solito fare.
“Affatto!” – sentenziò lei.
Draco le voltò il viso con l’indice e la baciò.
“Come potrei mai innamorarmi di una ragazza così rozza e maleducata?”
Pansy sorrise rincuorata e ringraziò Draco con una sana sessione di sesso.









“Ecco… ora premi F1 per la conferma e in automatico esce la stampa del documento.” – disse Roger a Hermione.
“Ah… ’na scemenza!” – esclamò lei, che in mezz’ora aveva imparato a gestire il programma dei documenti di trasporto.
Si differenziava da quello che usava suo padre in pochi e sciocchi comandi. Li aveva imparati quasi subito. Dopotutto, erano anni che non gestiva un programma di contabilità per un magazzino.
“Sei tu che sei brava!”
A Hermione sembrava di sentire suo padre e si commosse.
“Ehi… che ti prende?” – chiese Roger leggermente imbarazzato.
“No, niente… è che mi hai ricordato mio padre… anche lui me lo diceva sempre…”
“Ti manca?”
“Tanto… sono tre mesi che non lo vedo.”
“Figliola… forse una capatina da lui dovresti farla, non credi?”
“Sai che ti dico? Hai proprio ragione!” – esclamò Hermione, come se non ci avesse mai pensato.
Roger sorrise e l’attimo dopo Hermione era già al lavoro con altri documenti.

Man mano che i trasportatori arrivavano, Hermione li faceva accomodare nel suo ufficio e preparava loro i D.D.T. al momento e poi glieli faceva firmare.

Altro punto su cui Draco non transigeva.
Il Documento Di Trasporto doveva essere emesso nel momento in cui il trasportatore arrivava ed essere firmato: così si aveva l’ora esatta della partenza del camion e si poteva fare una stima del tempo impiegato per raggiungere la destinazione prevista, calcolando la rapidità del corriere.
Era un peccato, perché si potevano emettere i documenti senza l’ora e apporla a mano nel momento in cui il trasportatore doveva partire.

Comunque a Hermione questa procedura non pesava, anzi. Era diventata particolarmente veloce con i tasti e i corrieri non dovevano aspettare troppo tempo.

Era appena un giorno che si trovava in magazzino ma la confidenza con la quale trattava i colleghi e la solerzia che impiegava nelle chiamate con i fornitori ritardatari davano l’impressione che Hermione avesse lavorato sempre laggiù, in quell’ambiente.
Si stava ancora ambientando e nei momenti di buco andava in giro per il magazzino, chiedendo informazioni su come funzionasse un settore o sul perché preferivano agire in un modo piuttosto che nell’altro.
Era curiosa come una scimmia.

Un aspetto che il personale del magazzino apprezzava di Hermione era che lei non era la classica ultima arrivata che pretendeva di saperne più degli altri: accettava i consigli e i suggerimenti dei colleghi e a sua volta faceva osservazioni che avevano come unico scopo il miglioramento e l’ottimizzazione del lavoro in magazzino.




“Ciao Hermione, buona serata!”
“Ciao! A domani!” – salutò la ragazza, mentre sistemava le proprie cose nel marsupio.
“Allora…” – disse la voce di Roger. – “… come ti sembra?”
“Oh, a me tutto bene.” – rispose la riccia.
“Non è un lavoro proprio adatto a una donna…” – disse Roger, sperando di non averla offesa.
“Perché? Finché è onesto, mi possono mettere anche a lavare i cessi, per quello che mi riguarda.”
“Mi sa che dopo di te, hanno buttato via lo stampino.” – fu il commento di Roger.
“E meno male!” – esclamò l’altra. – “Non credere che sia così santa, Roger… anche se sembra di no, ho dei difetti pure io.” – scherzò Hermione, conquistando la risata dell’uomo.
Hermione si unì a lui.
“E chissà quali sono questi difetti.” – disse la voce di Draco, entrato di soppiatto proprio in quel momento.
Le risa di Hermione si spensero immediatamente e, senza essere vista, alzò gli occhi al cielo, una cosa che, in quei due giorni, le capitava un po’ troppo spesso.
“Draco! Non ti avevo sentito arrivare.” – disse Roger.
“Buona sera.” – glissò l’uomo.
“Buona sera.” – salutarono i due.
“Oggi com’è andata?” – poi guardò Hermione con un sorriso che lei ricambiò con un sopracciglio sollevato.
E quel tentativo di fraternizzazione cos’era?
“Hermione ha fatto di nuovo qualche miracolo?”
Ah, ecco la presa per il culo, pensò la riccia.
“A parte il fatto che Hermione stessa è un miracolo…” – la elogiò Roger con una serenità tale da far arrossire la ragazza per l’imbarazzo del complimento e lasciando Draco con l’amaro in bocca, perché sembrava che con quella ragazza non riuscisse mai a spuntarla. – “… ma oggi non c’è stato niente di diverso da ieri. Pochi ritardi o comunque giustificati dal fatto che in fondo alla città stanno facendo dei lavori che hanno bloccato un po’ il traffico.” – spiegò Roger, che riportò parola per parola i racconti degli autisti.
“Capisco.” – disse Draco. – “Le consegne?”
“Tutto bene.”
Hermione guardò Roger con un sopracciglio sollevato, per esortarlo a dirgli ciò di cui avevano parlato solo quel pomeriggio. Roger, invece, scosse la testa, approfittando di un momento in cui Draco non lo potesse vedere, per non chiedere spiegazioni di quel loro atteggiamento da cospiratori.
La riccia, invece, poco propensa a lasciar correre una faccenda come quella, iniziò a prendere a gomitate l’uomo che, però, continuò a perseverare nel suo mutismo.
Draco colse un movimento e quando si girò, i due si bloccarono di scatto.
Per un attimo, il titolare pensò di essere tornato alle elementari…
“C’è qualcosa che dovete dirmi?” – indagò.
“No.”
“Sì.”
Dissero contemporaneamente.
Roger guardò Hermione con disapprovazione. Era la prima occhiata “malevola” che le dedicava.
Draco, accortosi di quella strana tensione, continuò a indagare.
“Roger?”
“Ma nulla, Draco…” – minimizzò l’altro.
“Sei sicuro?”
“Certo.”
Hermione, invece, sbuffava come una locomotiva.
“Perché allora Hermione mi sembra un po’ contraria?” – ironizzò.
“Il suo è eccesso di zelo.”
Hermione fece per dire qualcosa ma si zittì quando Roger le mise una mano sulla spalla. Aveva gli occhi lucidi per la frustrazione.
Draco ne rimase perplesso ma non indagò oltre.
“D’accordo. Allora ci vediamo domani, buona serata.”
“A domani Draco.” – salutò Roger per entrambi.
“Seee ciao…” – bofonchiò Hermione.
Quando si girò vide il volto serio di Roger.
“Hai anche il coraggio di guardarmi male?” – chiese la ragazza, semi oltraggiata.
“Hermione, la gestione del magazzino non è una tua competenza.”
La riccia immaginò che Roger avesse paura che lei, in qualche modo, lo surclassasse nei suoi compiti: un desiderio alquanto lontano dai suoi pensieri.
“Ma chi la vuole!” – esclamò la donna. – “Sto solo dicendo che hai sbagliato a non dirgli niente!”
Roger si diresse nel suo ufficetto e Hermione gli andò dietro.
“Le corde sono usurate ormai!”
“Hermione sono anni che dirigo questo magazzino. Se permetti ne so più di te.” – s’inalberò l’uomo.
Hermione, però, che aveva dalla sua una gran testa di c… ariete, non demorse.
“Davvero? Allora sai che se succede qualcosa, dopo Draco Malfoy vai tu nella merda?”
Roger continuò a raccattare le proprie cose, sordo alle parole di Hermione che, vuoi per la stanchezza, vuoi perché non credeva che il collega fosse più testardo di lei, vuoi che aveva una fame e voleva solo andare a casa, iniziò a sbuffare come un treno a vapore.
“Ma non dire cazzate… non è mai successo niente!”
“E ringrazia Dio per questo!” – esclamò con veemenza. – “Se domani salta fuori un controllo fanno chiudere l’azienda!”
Roger si girò, perplesso.
A preoccuparlo era stato il fatto che Hermione avesse parlato di “controllo” e “chiusura aziendale” come se ne sapesse qualcosa.
Uno strano disagio gli serrò la bocca dello stomaco. Hermione, notando il suo turbamento rincarò la dose. Se insisteva in quel modo, non era per ottenere la direzione del magazzino – il solo fatto di dover aspettare Malfoy e parlarci tutte le sere era un ottimo motivo per non volerla – ma perché non voleva che Roger potesse rimetterci.
“Ma sai cos’hai accettato quando ti hanno nominato Responsabile del Magazzino?” – le dispiaceva vedere Roger mortificato, ma lo faceva solo per il suo bene.
Lì dentro era una specie di istituzione perché era entrato a lavorare in quell’azienda da quando Lucius Malfoy aveva assunto la direzione e vederlo rischiare per una disattenzione la faceva inorridire.
“Questo attestato…” – disse, indicando il quadretto appeso al muro. – “… dimostra che se succede qualcosa qui dentro, dopo il titolare, tu sei il diretto responsabile. Ci sono multe che a volte superano pure le 10.000,00 £, per non parlare della responsabilità a livello penale. Puoi finire in prigione! Roger, scusa… ma mi pare che tu stia cadendo dalle nuvole!” – esclamò Hermione, vedendo il pallore del collega.

Il poveretto era sbiancato, tanto da doversi sedere sulla sedia.
Lui… lui non sapeva quelle cose! Da dov’erano spuntate fuori? Perché quando era stato scelto per quel ruolo, nessuno lo aveva informato di quali rischi andava incontro?
E Hermione? Come faceva Hermione a sapere tutte quelle cose?

“Io… io non ne sapevo niente…” – biascicò l’uomo.
Hermione lo guardò con tanto d’occhi.
“Come niente?!? Tu devi saperle per forza!”
Roger si passò la mano sul volto, stravolto.
“Roger…”
“Non lo sapevo, va bene?” – urlò, spaventato da ciò che sarebbe potuto accadere. – “Nessuno mi aveva detto niente quando sono stato assunto!”
Hermione si leccò le labbra.
“Roger… quando quest’azienda è stata aperta, non c’erano tutti i controlli che ci sono oggi.” – spiegò pazientemente la ragazza. – “La tua responsabilità era un ruolo che doveva esserci, così hanno messo te. Ma i tempi sono cambiati; i continui incidenti nelle aziende hanno portato gli enti preposti a fare dei controlli sempre più frequentemente, sempre a sorpresa e a cambiare le leggi che regolamentano la sicurezza sul lavoro. Per quanto mi riguarda, anche secondo me le corde per il sollevamento delle casse sono ancora in buono stato perché so con quanta cura le tenete ma questo agli ispettori non interessa. Le corde, per legge, vanno cambiate ogni tre mesi, quattro proprio per tirarla per le lunghe! Se domani venisse fuori un controllo, credi che l’ispettore di turno si accontenterebbe di un “io non lo sapevo”? Roger, purtroppo la legge non ammette ignoranza.”
“Cosa devo fare?” – chiese l’uomo, abbandonando ogni forma di ostilità.
“Ti devi aggiornare sui controlli periodici da fare, verificare le masse a terra, controllare che i magazzinieri abbiano gli elmetti, le scarpe di protezione e tutto quello che occorre per girare in un luogo dove, oltre agli esseri umani, ci sono anche dei camion.”
Roger impallidì sempre di più. Tutte quelle cose erano da fare? Era certo che se avesse chiesto ai suoi ragazzi di indossare tutte le protezioni, lo avrebbero mandato a quel paese in un secondo!
“Io davvero non capisco…” – disse Hermione, perplessa. – “… ci sono dei corsi appositi da fare, gli aggiornamenti e sono tutte cose che passano o dal centralino o arrivano direttamente ai piani alti.”
“Io non ho mai ricevuto niente!” – si giustificò Roger. – “Nessuno mi ha mai parlato dei corsi di aggiornamento!”
Hermione sospirò.
Per fortuna che era finita in magazzino, almeno poteva aiutare Roger a sistemare quella patata bollente!
“Dai, adesso va a casa e riposati. Domani sera quando vedremo il signor Malfoy gliene parleremo.”
“Io…” – conscio che non poteva fare granché in quel momento, Roger annuì stancamente e sembrò invecchiato improvvisamente di dieci anni. – “… sì, certo.”
Hermione sospirò, sinceramente dispiaciuta per come aveva aggredito Roger – erroneamente ritenendolo un menefreghista in ambito di sicurezza sul lavoro – e per avergli messo sulle spalle una preoccupazione in più.
Già il lavoro di per sé era impegnativo, figurarsi se poi ci si metteva anche la burocrazia!

Era anche per quel motivo che aveva lasciato l’azienda di famiglia.
A lei piaceva stare con i trasportatori e parecchie volte saltava il lavoro d’ufficio per andare a fare le consegne con loro – solo in questo modo aveva imparato a orientarsi per strada e a imparare il codice stradale per quando dovette studiare per prendere la patente – e suo padre la sgridava perché l’amministrazione rimaneva indietro, così come quei fastidiosi controlli da fare sulle apparecchiature presenti in azienda.

“Mi dispiace per prima…” – ammise la ragazza, con gli occhi lucidi.
In un certo senso, era come se avesse aggredito suo padre e che il lampo di umiliazione professionale che aveva scorto negli occhi di Roger lo avesse visto in quelli di suo padre.
“No, no…” – la rassicurò l’uomo, mettendole una mano sulla spalla ma, quella volta, con fare paterno. – “… hai fatto bene, anzi. Se non fosse stato per te, avrei continuato a vivere nell’ignoranza e magari mi sarei ritrovato nei casini.”
Gli fu grata per quelle parole ma di certo non mitigava quel senso di malessere che si era scatenato in lei quando aveva visto un omone come Roger rimpicciolirsi di fronte a lei.
“Dai, va a casa e dormici su. Da domani ti do una mano a sistemare questa cosa, ok?”
“Ti posso adottare?” – chiese Roger, stemperando quella tensione che si era creata tra loro.
Hermione sorrise.
“No grazie. Di papà ne ho uno e tanto mi basta.”









Calli-corner:

Ed eccoci qua.
Iniziamo a intravedere come Draco non riesce a spuntarla con Hermione. La ragazza, provenendo dalla campagna, per così dire, conosce il significato della parola “lavoro” e ne dà dimostrazione al biondino.
I suoi pensieri, sono quelli che farebbe qualsiasi persona che si vede inizialmente discriminata, se mi passate il termine, perché la si è giudicata dalle apparenze.
O, almeno, è quello che pensavo io quando il mio vecchio titolare credeva che mi sarei messa a frignare dopo nemmeno cinque minuti di lavoro. Non vi dico la soddisfazione nel vederlo mangiarsi le unghie dei piedi…

Comunque!
In questo capitolo Hermione, oltre ad essere una lavoratrice fisica, nel senso che non si fa problemi a sollevare scatole più pesanti di lei, sa star dietro anche all’amministrazione e introduce Roger nel pericoloso e labirintico mondo della Sicurezza sul Lavoro.
Di cui, tra l’altro, pure io faccio parte.

È un gran brutto lavoro, più che altro pieno di leggi, leggine, codici e codicilli che nemmeno in tre vite uno potrebbe imparare. A chi viene nominato Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (dicasi R.L.S.) viene fatto seguire un corso paccoso, partendo dai primi anni del novecento fino a oggi ma ve lo posso riassumere in quest’unico punto:

Il Datore di Lavoro è l’unico responsabile.

Ovvero se succede qualcosa va nelle rogne lui.

In questo capitolo, invece, ho ingigantito un po’ la cosa. Come avrete notato, Draco è un maniaco del controllo e tutte le sere scende per vedere come sono andate le consegne e le spedizioni quindi è logico pensare che non delega nessuno per sgravarlo da certi compiti.

Se non ricordo male (oh, ragazzi!, mi avevano bombardato di informazioni, eh?), se un Datore di Lavoro delega un collaboratore a seguire certe pratiche e gli concede di avere la firma anche sui conti correnti, allora anche questo collaboratore può venire perseguito penalmente, e civilmente in alcuni casi, e finire nella cacchina insieme al Datore di Lavoro.

Questo non è il caso di Roger.
Come ho detto, ho voluto ingigantire la cosa, perché grazie alla sua conoscenza sul mondo della sicurezza sul lavoro, Hermione continuerà a inimicarsi Pansy e a dar vita a una serie di cose che la porterà a… sì, e pensate che ve lo dica?!?

E qui concludo.
Non vorrei annoiarvi troppo con tutte queste tecnicità, se la parola esiste…

Vi lascio lo spoiler!

“Mi dispiace signorina Parkinson, ma la visita era prevista per oggi.”
Hermione si girò di scatto, credendo di avere le allucinazioni uditive.
“Scusa…” – disse distrattamente a Miky che non poté chiederle nulla perché il centralino prese a suonare.
Si avvicinò lentamente ai tre, notando come i toni si stessero via via riscaldando. Ma non si scaldarono mai come il suo cuore quando vide che uno dei tre era…
“Harry?!?”
“… e ho ricevuto una… sì?”
L’uomo di nome Harry si girò verso la voce che lo aveva chiamato e rimase dapprima perplesso, poi sbigottito di fronte a…
“Hermione?!?”
Draco Malfoy e Pansy Parkinson si girarono di scatto e sbarrarono gli occhi quando videro Hermione correre incontro a quell’Harry e saltargli letteralmente addosso.

Oh-ooohh…
E adesso?


Besitos!
callistas.

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Capitolo 5
*** Promozione ? ***


05 - Promozione (?) Uelllcam bek signori e signore!

Prima di iniziare, vorrei ringraziare i miei fedelissimi per aver recensito la storia. Siete voi che mi fate alzare al mattino…
… e anche la consapevolezza che se non mi alzo per andare al lavoro, non si tirano i soldi…

Ma suvvia!
Non siamo venali!

Dunque, l’altra volta Hermione ne ha dette un treno a Draco, salvo poi rendersi conto di aver esagerato. Con umiltà e di propria spontanea volontà gli ha chiesto scusa, senza che Draco avanzasse richieste in merito.
Già qui avrebbe dovuto capire con che persona ha a che fare, ma naturalmente Testa-Che-Penzola ha avuto la sua parte in merito.

Nel precedente spoiler non ho lasciato molto spazio all’immaginazione.
Farò di meglio in questo. ^-^

Ma non temete: Hermione è fedele al motto “Barcollo ma non mollo”.


Un bacione e buona lettura.
Callistas









Era certa che fosse successo qualcosa quella sera nell’ufficio di Draco.
Da chiarire: nessuna alchimia, nessuno scoppio di cuoricini, nessuna freccia di Cupido… era solo un datore di lavoro che aveva imparato che non tutti i dipendenti sono disposti a rinunciare a ciò in cui credono solo per non andare nei pasticci o peggio, essere licenziati.

Hermione questo gli aveva dimostrato.
Gli aveva salvato l’azienda e questo a suo intero discapito: aveva difeso Roger a spada tratta, esponendosi in prima linea e parlandogli come nemmeno suo padre avrebbe mai fatto.
Era una personalità viva, accesa, quella di Hermione, di quelle che erano difficili da trovare; era una persona che, se coltivata con pazienza, avrebbe potuto diventare davvero molto importante per la sua azienda.

Purtroppo c’era la questione Pansy.
La sua futura moglie non aveva ancora digerito il fatto di essere stata rimproverata per non avergli detto niente dell’incontro con il signor Potter e per essere stata surclassata da una magazziniera.

Di tanto in tanto gli lanciava il sassolino per testare la sua reazione. All’inizio aveva lasciato correre, ma ora la cosa stava decisamente uscendo dai binari. Aveva cercato, dapprima con le buone, di tenerla calma ma non appena Pansy vedeva i capelli di un colore simile a quello di Hermione o sentiva una voce simile alla sua, impazziva e ricominciava a stressarlo.
Era certo che da un momento all’altro sarebbe scoppiato.


Facendo in modo che nessuno la vedesse e assicurandosi che nessuno aprisse bocca, Hermione aveva continuato ad aiutare Roger con la questione della sicurezza sugli ambienti del lavoro. Fingendo di riposarsi qualche minuto nell’ufficio del collega, la ragazza studiava i fogli che Roger aveva compilato, segnando in rosso cosa dovesse essere corretto e, accanto, la dicitura esatta da utilizzare.
Poi usciva e tornava al lavoro, poi si riposava nell’ufficio di Roger e continuava a correggergli i compiti e così via.

Nelle due settimane promesse a Harry, aveva aiutato Roger a mettersi in pari con tutto e quel giorno, l’amico controllore sarebbe tornato per verificare che tutto fosse stato messo in regola o che, almeno, vi fossero le basi perché ciò avvenisse.
Era giovedì venticinque Settembre e Harry Potter era da poco arrivato in azienda.




“Buon giorno.”
“Buon giorno a lei.” – salutò Michelle. – “Posso aiutarla?”
“Sì, grazie. Ho appuntamento con il signor Malfoy e la signorina Granger per un’ispezione aziendale. Sono Harry Potter.”
“Permetta: li avviso subito.”
Con un sorriso, Harry ringraziò e si allontanò dal centralino per non sembrare troppo invadente.
“Arrivano tra poco.” – lo informò. – “Posso offrirle un caffè mentre aspetta?”
“Io…”
“Ciao Harry!”
“Hermione!”
“Miky grazie, glielo faccio io il caffè.”
“D’accordo.”
“Come stai?” – s’informò la ragazza.
“Bene e tu?”
“Bene, dai. Ti confesso che è stata una settimana d’inferno.” – disse, a bassa voce.

Quando Hermione aveva chiamato Harry per fissare quell’appuntamento, l’uomo era riuscito a farsi dire perché fosse finita in magazzino e perché dovesse mantenere il silenzio sul fatto che a compilare le carte e a gestire quella situazione fosse stata lei e non il signor Roger Smith.
Quando aveva ascoltato tutta la storia, era rimasto a bocca aperta ma le aveva promesso di non far parola con nessuno, men che meno con Draco Malfoy.

“Immagino. Tuo padre come sta?”
“Bene. E’ sempre impegnato con il lavoro… sai com’è fatto.”
“Sì, me lo ricordo.”
Risero.
“Bene, vedo che la signorina Granger l’ha già accolta. Buon giorno signor Potter.” – salutò Draco con un sorriso e una stretta di mano.
“Signor Malfoy, lieto di rivederla. Allora, vogliamo andare?”
“Sì, certo. Prego.”
Hermione fece per andargli dietro ma si sentì fermata da una stretta d’acciaio. Si girò perplessa verso Draco.
“Siamo a posto con tutto, vero?”
“Perché lo chiede a me?”
Draco la guardò male e lei arrossì.
“Ho le mie buone ragioni. Allora?”
“Sì, Roger ha sistemato tutto.” – chiarì Hermione, dando il merito al collega.

In quelle due settimane di carte e scartoffie varie, Roger aveva imposto a tutti i magazzinieri, l’utilizzo di quegli accorgimenti per la sicurezza del lavoratore: giubbetto alta visibilità, casco, scarpe antinfortunistica… all’inizio tutti c’erano rimasti male perché non erano abituati a mettere tutte quelle cose che, di tanto in tanto, anziché aiutare, impacciavano i movimenti ma si dovettero adeguare, volenti o nolenti.

Harry fece il suo controllo di routine e si compiacque nel vedere che la mano di Hermione era visibile ovunque. C’erano solo alcuni piccoli accorgimenti da sistemare ma nulla che potesse pregiudicare l’azienda.
Controllò anche le pratiche cartacee e vide con piacere che il signor Smith si era iscritto a tutti i corsi necessari e che gli avvisi agli enti di controllo erano stati inoltrati nella data prevista da Harry.

“Molto bene.” – disse il moro. – “A parte alcune irrilevanti piccolezze, è tutto a posto.”
“Mi fa piacere sentirglielo dire.” – disse Draco, che aveva ripreso i trent’anni di vita che aveva perso due settimane prima.
“Oggi compilerò il verbale e lo manderò alla signorina Parkinson.”
“Lo mandi anche a me.” – disse Draco di slancio. – “Così almeno evitiamo gli episodi spiacevoli dell’altra volta.”
“Sì, certo. Naturalmente.”
Harry si fece lasciare l’indirizzo di Draco e poi poté tornare ai propri giri.




“Signori, è stato un piacere.” – disse Harry. – “Arrivederci.”
“Arrivederci signor Potter.” – lo salutò Draco.
“Ciao Harry!” – lo salutò Hermione.
Rimasero solo Draco e Hermione.
“Beh, è andata bene, no?” – disse Hermione.
“Sì, molto. Sicura che non devi dirmi niente?” – chiese Draco, scegliendo di dare del tu a Hermione.
“Del tipo?” – chiese lei, che iniziò a sentirsi leggermente sotto pressione.
“Non lo so…” – disse lui, fintamente evasivo. – “Magari che quando andavi a riposarti nell’ufficio di Roger gli correggevi le pratiche?”
Hermione arrossì di botto.
“Questa è violazione della privacy!” – sbottò lei.
“Non ti ho mica seguita in bagno! Eri in una mia proprietà ed io in quanto datore di lavoro ho il compito di verificare che i miei dipendenti non ozino troppo.”
Hermione si sentì presa in castagna. E adesso? Che gli diceva?
Per una volta Zecca-Parkinson fu provvidenziale.
“Draco?”
I due si girarono e Hermione, felice per averla scampata, lo salutò con un raggiante sorriso dando a intendergli che, sì, aveva aiutato Roger, ma che aveva anche perso l’occasione per farsi fare una confessione in piena regola.
“Arrivederci!” – trillò allegra, mentre correva verso le scale per tornare in magazzino.
Draco volle seguirla per farsi dare quella dannata confessione ma Pansy lo bloccò.
“Draco?”
“Sì?”
“Era il signor Potter, quello?” – chiese, mentre guardava un suv nero allontanarsi dal parcheggio.
“Sì, era lui.” – disse Draco, dirigendosi verso il proprio ufficio.
Con Pansy alle calcagna.
“E cosa faceva qui?”
“E’ venuto a fare un secondo controllo. Ci aveva dato due settimane di tempo per rimetterci in pari e oggi ha verificato che tutto fosse a posto.”
L’attimo successivo Draco ebbe voglia di tagliarsi la lingua. Perché diavolo si stava giustificando con lei?
“Oh! E immagino grazie a Hermione!” – sputò acida.
“No, a Roger.” – disse Draco, scegliendo istintivamente di non rivelare il coinvolgimento di Hermione o non ne sarebbe più venuto fuori.
“Roger Smith?” – esclamò, quasi schifata. – “E’ impossibile!”
Draco si fermò e la guardò male.
“Perché scusa?”
“Quello non saprebbe distinguere un cavallo da un asino!” – esclamò, dandogli esplicitamente dell’idiota.

No.
Quello non poteva accettarlo.
Non poteva tollerare che qualcuno insultasse bellamente Roger, quando a lui doveva la sua conoscenza di ciò che avveniva in magazzino.

Quando, da piccolo, suo padre lo conduceva con sé in azienda, Draco riusciva sempre a trovare il modo di sgattaiolare in magazzino perché nei piani alti c’era tanta monotonia e i grandi parlavano troppo e troppo complicato mentre in magazzino c’era azione, c’era la vita vera!, e si divertiva come un matto a sentire le imprecazioni dei lavoratori…
A Roger doveva molto come, per esempio, il fatto di imparare a trattare con le persone, che non era trattandole da schiavi che si otteneva il loro rispetto – ma la paura – ma con la ferma gentilezza.
Insegnamenti che, purtroppo, con il tempo e le sempre più enormi responsabilità, aveva dimenticato…
Nonostante tutto erano ancora lì e non permetteva a nessuno, tanto meno alla sua fidanzata, di spargere merda su di lui.

“Attenta a come parli di Roger, Pansy.”
La moretta sentì un brivido di freddo colarle giù per la schiena.
“Scusa!” – gracchiò Pansy, sinceramente impaurita dal tono e dallo sguardo di Draco.
Draco non insistette oltre.




Erano passate ormai tre settimane da quando Hermione era stata confinata in magazzino, ma la ragazza sembrava non averne ricusato. Certo, i primi giorni erano stati quelli più duri perché non era più abituata a spostare scatole, ma si era messa abilmente in pari già dalla seconda settimana, dove la ragazza notò decisamente un miglioramento e un minor affaticamento nel corpo.

Roger era ogni giorno sempre più soddisfatto di lei. Stentava ancora a credere che una ragazza non si facesse problemi a trascorrere tutta la giornata a caricare e scaricare scatole pesanti da un posto all’altro, senza contare il fatto che era l’unica donna in mezzo ad un gruppo di ragazzi che avevano più o meno la sua età.
I primi giorni ci avevano provato con lei, ma Hermione aveva sempre declinato le varie offerte. C’era anche chi aveva cominciato a ronzarle un po’ troppo insistentemente intorno, ma, con diplomazia, lo rimetteva al proprio posto.
E poi non era una alla quale piaceva mischiare il privato con il lavoro.
Si era guadagnata il rispetto di tutti, con il sudore e l’impegno e ora era considerata una di loro. Anche chi l’aveva in qualche modo ostacolata, senza mai dare troppo nell’occhio, aveva dovuto ricredersi e accettarla per quello che era: una ragazza che metteva impegno nel proprio lavoro.


Ogni tanto, il “big boss” scendeva in magazzino per controllare com’era la situazione.

Non entrava mai in quel luogo ma si fermava sempre dietro delle vetrate che permettevano a lui di vedere cosa stava succedendo, ma non ai dipendenti di vedere lui. In quel modo, i magazzinieri erano sempre in allerta per il timore che Draco si trovasse dietro quella vetrata e potesse far loro il cosiddetto “cicchetto”.

A volte si perdeva a osservare Hermione e un sorriso gli increspava le labbra.
Non gli seccava ammetterlo: gli seccava il fatto di non averci pensato prima. Doveva ammettere che da quando quella ragazza era stata spostata in magazzino, le consegne erano sempre più puntuali, a volte addirittura in anticipo. Un giorno aveva ascoltato per puro caso una conversazione con un fornitore: era rimasto a dir poco allucinato dal linguaggio che quella ragazza usava. Non erano parolacce, ma semplici dati di fatto, statistiche e calcoli che Hermione faceva a lato della conversazione stessa. Da come parlava, sembrava che ne capisse realmente di amministrazione e sembrava veramente portata per quel lavoro.
Ma era portata anche per fare la magazziniera.

Un piccolo dubbio aleggiò nella sua mente: lui, che non aveva mai avuto un’indecisione in vita sua, ora si stava ponendo delle domande sul futuro di quella ragazza che, a prima vista, non sembrava possedere particolari doti.
Lo aveva sfidato, è vero, ma oltre alle parole lei aveva messo anche i fatti. E poi Draco aveva messo quasi in dimenticatoio il motivo per il quale Hermione si trovava in magazzino. L’impegno e la dedizione di Hermione lo avevano fatto ricredere.
E poi la sua politica e quella di suo padre prima di lui era molto semplice: se un dipendente mostrava particolari capacità che potessero far crescere ulteriormente l’azienda, allora lui ne avrebbe ammesso la bravura e lo avrebbe promosso.

C’erano però casi in cui il meritevole di turno mostrava un po’ troppa faccia tosta, osando pensare di saperne addirittura più di lui, che in quel mondo ci era nato e cresciuto. Solo in quei casi silurava il malcapitato ma con la signorina Granger… era davvero un altro paio di maniche.

Il dubbio che aveva Draco era se lasciare Hermione in magazzino, e continuare ad avere le consegne in orario, o metterla in un ufficio amministrativo per incrementare l’andamento aziendale.
E poi… c’era anche la sua fidanzata.
Doveva accontentare anche lei.

Per un attimo si era visto pentito di aver assunto Pansy lì dentro.
Ora capiva perché suo padre insisteva tanto su quel punto: era solo una seccatura e tante volte Draco si ritrovava a dover giustificare con lei le sue decisioni, una cosa che, quando se ne rendeva conto, lo mandava in paranoia.

Così, decise che Hermione sarebbe rimasta in magazzino.
Ma si sarebbe dovuta occupare anche delle pratiche amministrative.

Era un carico di lavoro non indifferente, perché oltre a stancare il fisico con il lavoro manuale del deposito, avrebbe stancato anche la mente con quello amministrativo. Poteva essere una wonder-woman in incognito ma era conscio che non avrebbe retto a lungo e quando quel momento sarebbe giunto, lui si sarebbe piazzato davanti a lei, ormai stremata sulla sua scrivania per la mole di lavoro assurdo, e le avrebbe ricordato che a giocare con il fuoco si rischia di bruciarsi.

Ma una fastidiosa corrente di disagio stava iniziando a muoversi dentro di lui e lo stava mettendo in guardia sul fatto che se stava agendo in quel modo era solo per Pansy e non per l’azienda.
Scacciò infastidito quel pensiero, soprattutto quando gli venivano alla mente i momenti trascorsi in compagnia della riccia, dove aveva trovato in lei una piacevole conversatrice, ma soprattutto… un’inarrestabile Bocca della Verità.

Decisamente, quella di inserire Pansy nel suo organico non era stata una decisione saggia…




“Finalmente anche questa giornata è andata…” – disse Roger. – “Oggi è venuto il mondo!”
Hermione sorrise. Roger era seduto su una sedia e si asciugava il sudore con il fazzoletto.
“Non mi dirai che sei stanco, vero?” – chiese Hermione, mentre finiva di archiviare i documenti di trasporto.
In verità pure lei era stanca morta.
“Ti pare?” – chiese evidentemente ironico.
“No, no…” – ironizzò lei. – “Comunque oggi è stata veramente una giornata pesante…” – ammise lei, sedendosi vicino al capo magazziniere.
Effettivamente, loro come magazzinieri iniziavano alle sette e trenta del mattino e finivano alle sette di sera, mentre gli orari di ufficio erano otto – diciotto: un orario più umano.
“Sei stanca di questo lavoro?” – chiese lui.
“Assolutamente no!” – ammise lei. – “L’unica cosa che mi scoccia è che so star dietro anche all’amministrazione… e mi piacerebbe farmi notare anche per questo. Lo trovi presuntuoso da parte mia?” – chiese Hermione, leggermente mortificata.
“Assolutamente!” – disse Roger, negando. – “Avere delle competenze è una buona cosa. Prendi me, per esempio: ho solo la licenza media perché i miei non hanno potuto permettersi di mandarmi a scuola e posso fare solo questo genere di lavoro. Certo, la paga è buona, ma la sera arrivo a casa che sono stanco e non posso stare con mia moglie come vorrei…” – ammise lui con una vena di amarezza nella voce.
“Scusami…”
“Per cosa? Non è colpa tua, anzi. Tu che puoi, non lasciare che un semplice battibecco ti rovini la carriera.”
Hermione lo guardò. Era d’accordo con lui, ma se fosse andata a lavorare come segretaria avrebbe dovuto dire addio ai ragazzi del magazzino e si era affezionata troppo a loro.
“Mi manchereste troppo…” – ammise lei, infine.
“Guarda che non scappiamo mica! Siamo sempre qua!”
Hermione sorrise. Parlare con Roger era come parlare con suo padre: sembrava che si mettessero d’accordo su quello che lei voleva sentirsi dire.
“Oh… Draco, buona sera.” – disse Roger, alzandosi con non poca fatica.
“Sta pure seduto, Roger. Mostro io al signor Malfoy quello che abbiamo fatto oggi.”
Roger guardò il direttore che annuì.
“Venga con me.”
Draco seguì Hermione nello stanzino e lei gli mostrò, spiegandogli per filo e per segno, quello che era successo in quella giornata.
“Nessun ritardo. C’è stato solo un imprevisto per una consegna.”
“Cioè?”
“Il trasportatore ci ha consegnato un’intera fornitura di piani tutti macchiati. Non so di cosa, sembrava che avessero trattati con la candeggina.”
“Por…” – Draco si trattenne a stento.
“Ho già chiamato il fornitore. Domani organizzerà una spedizione straordinaria a suo carico che dovrebbe arrivare domani pomeriggio. Ritardiamo solo di un giorno.” – disse Hermione che, però, in quel momento si accorse di essersi presa una libertà che forse spettava al direttore.
E si scusò.
“M-mi scusi…” – ammise, sinceramente dispiaciuta.
Draco la studiò perplesso.
“… avrei dovuto chiederle il permesso prima…” – disse, stavolta veramente imbarazzata per aver commesso un errore così banale.
Però lei era fatta così: se c’era un problema, lo risolveva subito. Non amava dover aspettare i comodi degli altri se aveva il potere di risolverlo da sola e nell’immediato.
Quella volta, però, Draco non avvertì quel senso di potenza che provava quando Pansy gli chiedeva il permesso di fare qualcosa, no. Era diverso e non sapeva spiegarsi il perché.
Forse perché la ragazza aveva visto che c’era un problema e l’aveva risolto da sola? Perché non voleva dar a vedere di essere una che non sapeva come gestire una situazione critica?
Non seppe darsi una risposta.
“No, non ti scusare, hai fatto bene. Se mi avessi aspettato, avremmo forse ritardato ancora di più le consegne.”
Hermione lo guardò come si guarda una bestia rara.
Sbagliava… o le aveva detto di aver svolto un buon lavoro?
Meglio che mi lavi le orecchie con l’acido per sciogliere il cerume la prossima volta…, pensò la ragazza allibita.
“G-grazie…” – disse, balbettando. – “… ehm… per il resto tutto a posto. Non ci sono stati problemi.”
“Molto bene. Puoi passare dal mio ufficio, prima di andar via?”
“Sì, certo.”
Senza aspettarla, il signor Malfoy si avviò verso il proprio ufficio mentre Hermione e Roger spensero tutte le luci e chiusero a chiave la porta del magazzino.
“Ciao Roger, ci vediamo domani.” – disse Hermione con un sorriso.
“Ciao! A domani!”

Hermione entrò in ascensore e si fece i soliti quattro piani per andare dal capo.
Era particolarmente agitata. In fondo… cosa poteva giustificare la sua presenza nell’ufficio del signor Malfoy? Dalla visita di Harry sembrava che il rapporto tra loro due fosse migliorato!
TOC TOC
“Avanti…” – disse una voce ovattata.
E Hermione entrò.

L’ufficio era avvolto dalla penombra. Sembrava di essere in un film della malavita, mancavano solo le guardie del corpo con in mano un mitra e il sorriso beffardo sul volto di Draco.
Fortunatamente, le guardie non c’erano, nemmeno i mitra e neppure l’agghiacciante sorriso.
“Permesso…” – disse lei timidamente.
“Accomodati.”
E Hermione obbedì.
“Grazie.”
“Immagino ti starai chiedendo il perché di questa convocazione.”
“Effettivamente… guardi che se è per la libertà che mi sono presa, le garantisco che non succederà più. Ho solo pensato che…”
“Non è per quello. Te l’ho già detto…” – precisò Draco.


Più andava avanti con il discorso, più Draco sentiva che quella strana sensazione alla bocca dello stomaco poteva essere catalogata sotto la voce “senso di colpa”.
Anche se la sua parte razionale non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, la sua parte inconscia sapeva che quello che stava per fare alla ragazza era sbagliato, e che lo stava facendo solo perché lo aveva stabilito prima.
Prima che Hermione gli dimostrasse le sue capacità nelle situazioni critiche.
E la faccia sempre più confusa di Hermione non faceva che aumentare il suo senso di disagio.


Scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli e sembrò che quel piccolo gesto avesse scacciato via quel malessere.
“Ho preso una decisione nei tuoi confronti, Hermione.”
Hermione era diventata rossa e non se ne sapeva spiegare il motivo. Che ce l’avesse ancora con lei per come aveva risposto a Pansy? Ma no, dai… era impossibile! Era passato quasi un mese, ormai!
“Cioè?” – chiese titubante.
“Le tue capacità amministrative mi hanno stupito molto…”
Hermione non stette nemmeno a pensare come facesse a sapere che se la cavava in amministrazione.
“… così ho deciso di assegnarti un ufficio.”
Ora Hermione lo guardò con gli occhi sgranati.
“Eeeh?”
“Però mi sono anche detto…”
Ecco l’inculata…, pensò la riccia.
“… che se ti togliessi dal magazzino le consegne riprenderebbero a ritardare… così ho deciso di assegnarti due compiti: quello amministrativo e quello pratico. Sei contenta?”
Hermione aveva gli occhi sgranati e la bocca aperta. Ma era scemo o cosa?
“Perdoni la domanda stupida, signor Malfoy… ma come faccio a seguire l’amministrazione e allo stesso tempo scaricare le scatole in magazzino? Non mi hanno ancora concesso il dono dell’ubiquità.” – ironizzò lei.
“Sono sicuro che saprai destreggiarti in questa situazione.”
Hermione era sempre più sbigottita, ma l’idea che lui lo facesse per punirla per come avesse risposto alla sua fidanzata, non le sembrò mai tanto valida come in quel momento.

Notando la sua faccia, Draco sorrise soddisfatto.
E Hermione se ne accorse.

“Posso parlare apertamente?” – chiese lei, trucidandolo con gli occhi.
“Perché? Fino a oggi cos’hai fatto?” – chiese, pesantemente ironico e riferendosi a tutte le volte che lei, con educata ironia, gli diceva le cose in faccia.
“Ce l’ha ancora con me per come ho risposto alla sua fidanzata?”
Vediamo che mi rispondi, stronzo…
“Sinceramente?”
“Se possibile…” – chiese lei con finta pazienza.
“Ebbene sì.”

Quando pronunciò quella frase, una bomba atomica gli esplose nello stomaco.
Cazzo non era vero! Aveva ormai messo nel dimenticatoio quell’episodio ma il danno era stato fatto. E poi, come ogni uomo che si rispetti, Draco non era disposto a confidare a una dipendente, per quanto qualificata, il vero motivo per il quale voleva punirla ancora di più, ossia, per non andare contro Pansy.

Hermione ci rimase veramente male.
Allora il rapporto civile che avevano costruito dalla visita di Harry era stato solo per farle abbassare le difese per poi pugnalarla al momento più opportuno?
Dio che stupida!

“Vedi Hermione… non tollero simili commenti come quelli che hai rivolto alla mia fidanzata. Spero che questo doppio lavoro ti possa aiutare a comprendere che l’essere umano ha dei limiti.”
Hermione non riuscì a contenersi e gli rise sarcasticamente in faccia.
“Beh, poiché siamo in vena di confidenze…” – disse, calcando con pesante ironia. Lo disse con un sorriso di scherno sulle labbra e alzandosi in piedi, in un moto di aperta sfida che irritò il titolare in un modo tale che nemmeno lui pensava fosse possibile. – “… sappia che alla fine dei giochi, sarà lei a doversi mordere la lingua, per il semplice fatto che ha assunto un’impiegata che non ne ha!”
Draco scattò in piedi. Erano l’uno di fronte all’altro e non mancava tanto all’emissione di fulmini e saette dagli occhi di entrambi.
“Non ti conviene sfidarmi! Potresti rimanere a piedi con il lavoro!”
“Cos’è? Passiamo alle minacce esplicite, adesso?” – disse lei, sbeffeggiandolo. – “Vuole mettermi a fare due lavori? Benissimo! Nessun problema! Sappia però che un colpo basso simile non me lo sarei mai aspettato! Questa è una vigliaccata bella e buona e lei lo sa benissimo!”

Perché? Perché a lei permetteva di parlargli in quel modo? Che diavolo aveva quella ragazza da frenarlo dallo sbatterla sulla strada e farle tabula rasa intorno?
Beh, magari per il fatto che lei fosse un’impiegata a tutto tondo, che sapesse destreggiarsi in una situazione critica, che sapesse prendere la decisione giusta al momento giusto, che aiutasse i colleghi benché non fosse suo compito, che i suoi soci si complimentassero con lui di lei perché piuttosto di fare l’interno diretto di Draco, preferivano passare dal centralino per scambiare due chiacchiere con la ragazza.
Questi e altri motivi impedivano a Draco di liberarsi di una tale piaga ma che, nonostante tutto, era una preziosa collaboratrice.

“Credevo di averle dimostrato di saperci fare!, di essere una persona affidabile! Evidentemente per lei non conta niente o peggio!, non è sufficiente!”

Era delusa in un modo che non riusciva a spiegarsi.
In casi diversi avrebbe mandato il titolare a quel paese e se ne sarebbe andata, ma con la Malfoy Home non ci riusciva.
In realtà, aveva delle mire su quell’azienda, anzi, una sola, più precisamente: ambiva a diventare la segretaria personale di Draco. Avere la sua agenda in mano, il nome di persone importanti anche nel campo della moda, della musica o del cinema e tante cose ancora che le facevano venire l’acquolina alla bocca!
E per colpa di una stronza che non sapeva affrontare le persone faccia a faccia si vedeva costretta a dover ripiegare su un altro lavoro! Che vita ingiusta!

“Comunque non si preoccupi!” – concluse, amareggiata. – “Farò quello che devo. Buona serata.”
Uscì dall’ufficio più furente che mai. Ma come si permetteva? Minacciarla di chiuderle la porta in faccia! Ma era scemo?

Draco si sedette pesantemente sulla sedia. Non aveva mai perso le staffe in quel modo. Non ci riuscivano i suoi avvocati quando si mettevano d’impegno e ci riusciva una semplice magazziniera?
Purtroppo le parole di Hermione erano tutte vere, dalla prima all’ultima e per la prima volta in vita sua temette che un dipendente potesse licenziarsi e andare a lavorare per la concorrenza.
Un disastro simile doveva evitarlo a tutti i costi!









Era lunedì sei Ottobre di una nuova settimana e, con esso, il nuovo… i nuovi lavori.

Quella mattina si era svegliata con l’umore sotto i tacchi nel sapere cosa l’avrebbe attesa.
Ma perché, diavolo!, Dio metteva sulla faccia della terra persone così inutili?, si chiedeva, riferendosi alla Parkinson.
Che razza di utilità ha quella donna? Quale contributo dà all’ambiente?: nessuna! Anzi!: inquina l’aria con il suo profumo e certe volte ha il potere di rompere la barriera del suono con quella vocetta stridula che le faceva accapponare la pelle!
Dov’era la sua utilità, dove?!?

Era proprio cattiva come il veleno, Hermione ma quel suo pessimo umore era più imputabile a Draco, che a Pansy. Era lui che le aveva piantato quel coltello nella schiena e lei, da perfetta cretina, si era andata pure a fidare!

Arrivò sul posto di lavoro vestita con abiti adatti all’occasione e appresso un borsone per il cambio per il lavoro in magazzino.
Aveva curato le unghie e le mani, perché nonostante indossasse i guanti, questi erano ruvidi al loro interno e le aveva sollevato parecchie pellicine e aveva curato anche i capelli. L’unto, la polvere e lo sporco in generale li avevano sfibrati.
Quando Miky la vide le sorrise.

“Ciao Hermione, bentornata nel mondo civile.
Hermione teneva molto a Miky, perché le aveva fatto fare conoscenza di tutti, l’aveva messa a suo agio ed era stata la sua referente per il periodo di apprendistato al centralino, ma certe volte le veniva voglia di strozzarla: se ne usciva con certe sparate che temeva non dormisse di notte per pensarle!
“Già…” – fu la monosillabica risposta.
Miky ci rimase male e Hermione cercò di porvi rimedio: dopotutto era grazie a lei se era riuscita a venirne a capo con quel maledetto computer!
“Il signor Malfoy mi ha messa a lavorare in ufficio.” – spiegò, notando come il sorriso di Michelle fosse tornato.
“Mi fa piacere. Allora ci vediamo dopo, ok?”
“Sì, a dopo.”

Schiacciò il pulsante dell’ascensore e aspettò che dal quarto piano scendesse al pianoterra.
Entrò con l’umore di chi stava andando al funerale di un caro amico.
Doveva trovare un certo Oscar, che le avrebbe spiegato cosa fare e poi si sarebbe messa al lavoro. Sapeva solo che a quel piano e in quell’ufficio stavano Ginny e Lavanda, due ragazze della stessa età molto simpatiche e alla mano.

L’ufficio era già chiassoso alle otto e mezza, notò Hermione.
Intravide Lavanda e Ginny tutte intente nel proprio lavoro.
“Scusa, cercavo Oscar.” – chiese Hermione, alla prima impiegata che passava di lì.
“E’ quello là in fondo al telefono con il maglioncino verde.”
“Grazie.”
“Prego.” – rispose l’altra con un sorriso.
Si diresse a passo lento verso il ragazzo e lo trovò che sorrideva alla cornetta. Beh, doveva solo dirle ciò che doveva fare e poi poteva tornare a sorridere anche a un maialino, per quello che le importava.

“Ciao, sei tu?…”
La domanda cadde nel vuoto.
Stizzito, quel ragazzo di circa trent’anni fermò Hermione con una mano, perché lo stava disturbando. Dalla confidenza del tono, la ragazza dedusse che non si trattasse di una telefonata di lavoro.


Quella giornata era proprio iniziata male, come se anche il destino volesse darle ad intendere che quel doppio lavoro sarebbe stato a dir poco faticoso e che forse, forse, sfidare Draco Malfoy non era stata un’idea poi tanto felice.

Tanto per cominciare, la sua Lilly, la sua adorabile cagnetta, ora giacente nella cella di un obitorio canino, aveva fatto la pipì fuori dal pannolino. Hermione c’era rimasta talmente male, perché una cosa simile non era mai successa…

… il microonde aveva dato forfait e quindi aveva dovuto farsi il the alla vecchia maniera, mettendo sul fuoco una pentola d’acqua e scioglierci dentro una quantità industriale di bustine…

… il dentifricio era magicamente evaporato durante la notte…

… quel mattino, gli addetti ai lavori pubblici avevano tolto l’acqua per fare un lavoro che non poteva essere effettuato in altri giorni della settimana.
E senza avvisi alla popolazione…

… era arrivata a pelo al distributore della benzina che, stranamente, era gremito di gente…

Non sapeva spiegarsi come avesse fatto a raggiungere il posto di lavoro in orario.

Forse, si disse, erano tutte coincidenze, ma quando stava per entrare dalla porta principale, intravide Pansy Mer… Parkinson gettarle un’occhiata di pura sufficienza.
Hermione le aveva chiesto gentilmente di lasciarle aperta la porta, che ovviamente…
… le fu chiusa in faccia.

No, si disse in seguito. Le coincidenze non esistevano: esisteva solo qualcuno che ce l’aveva con lei.

Stanca di dover aspettare che quel tizio finisse di parlare con la sua fidanzata – mentre pensava alla serie di sfighe che l’avevano colpita, Hermione intuì dai soprannomi “coccolina”, “amore mio”, “fagiolino tenero” e altri nomi poco ortodossi che le stavano facendo venire la carie, che quel ragazzo stesse parlando proprio con lei – la ragazza abbassò malamente la forcella del telefono, interrompendo così quell’inutile discussione.

“…e so che… pronto? Jessy? Jessica, ci sei? Pronto? Pronto?” – il ragazzo notò una mano sulla forcella del telefono, risalì il braccio e incontrò il viso della ragazzina che voleva interromperlo. – “Ma… come ti sei permessa?”
Hermione alzò un sopracciglio, pronta a dare il ben servito a quello spocchioso.
“Senti… ho avuto un inizio di giornata tutt’altro che felice e vorrei avere altro da fare che star qui ad ascoltare la tua conversazione privata. Ora, le soluzioni sono due: o mi dai il lavoro che devo fare, oppure facciamo una capatina nell’ufficio del signor Malfoy e gli chiediamo se si può usare il telefono dell’ufficio per le conversazioni private. Ma non so se usciresti intero…” – disse Hermione lasciando la frase in sospeso.
Il poveretto si zittì immediatamente. Effettivamente se il direttore venisse a sapere di come i suoi dipendenti usano apparecchiature aziendali per fini privati, non immaginava come poteva reagire.
“Sì, ok…”
Hermione sorrise sorniona. Chissà come mai era sufficiente nominare il “big boss” che tutti diventavano di cera.
“Grazie. Cosa devo fare?”
“Tu sei Hermione, giusto?” – chiese Oscar, ancora sottosopra per la minaccia.
“Sì.”
“Allora… il signor Malfoy mi ha dato istruzioni per te. Al momento ti occuperai di controllare le fatture che arrivano dai fornitori, che non sono poche…” – disse lui, come se spaventarla in quel modo potesse ripagarlo per la minaccia subita. – “… smistare la posta, controllare le provvigioni per i nostri agenti e pagare le modelle a fine di ogni servizio.”
“Quando inizio e dove mi metto?”
Oscar l’accompagnò in un cubicolo, in mezzo a due ragazze. Era una scrivania molto spaziosa e a Hermione le scrivanie grandi erano sempre piaciute. Ci poteva mettere sopra tutti gli incartamenti che le servivano senza dover ogni volta alzarsi per prendere ciò che le serviva, ma soprattutto… poteva seguire più lavori contemporaneamente.
Cosa che le riusciva molto bene.

Aveva un cervello grande, lei. Non solo per la sua attitudine al lavoro, alla risoluzione di situazioni critiche, ma proprio nel vero senso della parola. Ci aveva già provato, ma aveva notato che se seguiva una pratica alla volta, il suo cervello finiva sempre coll’andare a quelle in sospeso. Così, si era messa tutte le pratiche sulla scrivania, seguendole tutte in una volta sola.
Il risultato? In due giorni, Hermione sistemava tutti i sospesi, portando a termine un eccellente lavoro.

“Questo è il tuo posto.” – disse. – “Loro sono Ginny e Lavanda. Se avrai delle difficoltà, chiedi a loro.”
Alias: “se hai problemi, arrangiati e non venire a scocciare me”.
Hermione si guardò un attimo intorno, salutando le due ragazze. Poi, riguardò il ragazzo fannullone.
“Sì, non temere…” – disse, con un gesto indolente della mano come a scacciare una mosca fastidiosa. – “… torna pure a parlare con la tua fagiolina.” – disse lei, rispondendo alla vera richiesta del ragazzo.
Il ragazzo in questione divenne rosso pomodoro e se ne andò, sotto lo sguardo divertito di Ginny e la risata contenuta di Lavanda.
“Ciao ragazze.”
“Ciao Hermione.” – la salutò Lavanda. – “Davvero grande quella stoccata. Era ora che qualcuno lo mettesse al proprio posto, visto che tende un po’ troppo a fare il galletto…”
Hermione fece le spallucce, come per schermirsi.
“Quelli come lui abbaiano e basta. Dove trovo gli incartamenti per il mio lavoro?”
Stavolta fu Ginny ad alzarsi e a farle fare un giro turistico dell’ufficio.
“Vieni con me. Intanto ti faccio fare un giro dell’ufficio, così saprai bene o male cosa facciamo a questo piano.”
Hermione, con un sorriso, la ringraziò.
“Allora… lì c’è il reparto fatturazione…”
Hermione scorse tre stampanti che sfornavano fogli in carta chimica a tutto andare, mentre le dipendenti, ormai abituate al ritmo con cui le stampanti lavoravano, raccattavano i fogli e li strappavano per poi imbustarle e spedirle.
“… poco più distante c’è il reparto cancelleria: se chiedi una penna che ti faccia le pernacchie, abbiamo anche quella.” – disse Ginny, evidenziando la fornitura industriale della loro cancelleria. – “Vicino ai nostri posti ci stanno gli agenti commerciali, quelli che si occupano di reperire clienti e far loro visita…”
“A-ha…” – disse Hermione, annuendo.
“… laggiù invece ci stanno i ragazzi che si occupano di organizzare le spedizioni e i ritiri, mentre là in fondo c’è lo studio di avvocati, dove il signor Malfoy ci va minimo minimo una volta al giorno e nella porta accanto ci stanno i tecnici del computer.”
“Ok… e i documenti?”
“Sì, vieni. In questo armadio trovi tutto quello che servirà per il tuo lavoro. Vuoi vedere gli altri?”
“Magari quando mi serviranno. Grazie mille, Ginny. Ora inizio a mettermi al lavoro.”
“No, non credo proprio…”
Hermione infossò la testa nelle spalle, imbarazzata.
“Perché?”
“Perché non si può iniziare a lavorare senza prima una buona dose di caffeina.”
Hermione sorrise e si avviò assieme a Ginny alla macchinetta del caffè, dove ad attenderle vi era Lavanda.
“Fatto tutto?” – chiese Lavanda a Ginny.
“Sì… ora serve un buon caffè!” – disse Ginny.
“Per me una cioccolata calda, invece.” – disse Hermione.
“Ok…”
Attesero due minuti per iniziare a sorseggiare le loro bevande in santa pace, poi si diressero alle proprie postazioni.

A Hermione fu sufficiente che qualcuno le spiegasse cosa dovesse controllare, come stabilire il giusto compenso alle modelle e come verificare che le provvigioni fossero corrette. Lavanda le spiegò dettagliatamente ogni cosa e dopo due ore di lavoro fatto assieme, Hermione poté continuare da sola.
Mise tutto sulla scrivania e, con un bel sorriso, di chi a breve avrebbe dato una bella lezione di vita a qualcuno di veramente odioso, iniziò.
Passava con agilità da una pratica all’altra e Lavanda e Ginny ne rimasero veramente stupite.
Arrivò la pausa pranzo che non se ne accorse nemmeno.




“Pranzi con noi?” – le chiese Ginny, mentre sistemava la propria scrivania.
Lavanda era in piedi che la stava aspettando.
Hermione sorrise.
“No, grazie. Adesso devo scappare in magazzino.”
“Perché?” – chiese Lavanda.
“Devo star dietro anche a quello.” – rispose Hermione, mentre finiva di battere le ultime righe al computer.
Sotto lo sguardo perplesso delle due nuove colleghe, Hermione prese il borsone che si era portata appresso e andò in bagno. Ne uscì totalmente cambiata: ora vi era una Hermione in tuta da ginnastica, pronta per il sollevamento pesi.
Le due colleghe si guardarono allibite per quel camaleontico cambiamento e si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Che lo abbia fatto incazzare?” – chiese Ginny.
“Ho proprio in mente di sì…” – disse Lavanda e insieme all’amica scesero in mensa.


Hermione era in magazzino e si era messa all’opera per controllare che i documenti fossero stati correttamente emessi, che le destinazioni fossero giuste e, perché no?, che il ruolo di Roger – le sue scartoffie, più che altro, fossero in perfetto ordine.
Era una cosa importante, quella, forse più importante del fatto stesso che i magazzinieri indossassero le dovute protezioni durante il turno di lavoro.

In pausa pranzo c’era ben poco da fare, perché le consegne e i carichi venivano giustamente sospesi per dar modo agli operai di tirare un po’ il fiato, ma il lavoro di amministrazione era decisamente fattibile.

“Sì salve, sono Hermione della Malfoy Home. Posso parlare con George, per favore?”
“Attenda prego.”
“Grazie.”
Durante l’attesa partì una musica dell’ultimo successo discografico di Lady Gaga e Hermione, per far passare il tempo, si mise a canticchiarla.
“Ciao Hermione!” – la salutò l’uomo dall’altra parte del telefono.
“Ciao Gio!” – lo apostrofò lei. – “Tutto bene?”
“Io sì e tu?”
“Non mi lamento.” – disse la ragazza, con una faccia che diceva l’esatto opposto.
“Dimmi tutto gioia.”
“Gio, volevo sapere se quella consegna era partita.”
“Aspetta che controllo la bolletta di carico…”
Hermione lo sentì sfogliare della carta e attese.
“Allora… ieri mattina alle nove e mezzo.” – confermò George. – “Vuoi che senta il trasportatore?”
“No, no tranquillo. Luke è abbastanza puntuale.” – lo rassicurò Hermione. – “Beh grazie mille. Volevo solo sapere questo.”
“Figurati, alla prossima allora.”
“Sì, ciao!”

Hermione segnò su un post-it l’informazione per Roger ed effettuò altre quattro chiamate come quelle. In pausa pranzo poteva fare ben poco, ma almeno poteva chiamare le varie agenzie di trasporto per sapere com’erano messe con le consegne. Lì, gli addetti facevano orario continuato.
E poi era un lavoro in meno per Roger.

Mentre controllava su Internet a che punto erano le altre consegne – certe ditte, poche, a detta di Hermione, avevano cura di lasciarle il codice della spedizione in modo tale da poter andare sul sito del mittente, inserire i dati e verificare lo stato della merce – si sgranocchiava un pacchetto di crackers.


E mentre lei sgranocchiava i crackers, Draco pensava, dall’alto del suo ufficio.
Quella situazione gli stava sfuggendo di mano. Certo, lui era il datore di lavoro e poteva fare quello che voleva, ma immaginò che avrebbe fatto la figura dell’eterno indeciso se avesse spostato nuovamente Hermione da un posto all’altro della sua azienda. Non era tenuto a giustificare le proprie azioni con nessuno, tanto meno con un dipendente ma Hermione non era una lavoratrice qualsiasi.
Lei sapeva destreggiarsi in qualsiasi campo e la prospettiva di perderla gli alzava i peli sulla nuca.
Eppure non voleva lasciarla a marcire nel magazzino o a controllare le provvigioni degli agenti! Era portata per ben altri compiti!


“Allora, come va qui?”
“Bene!” – esclamò la riccia. – “Le consegne sono tutte partite e saranno qui oggi, massimo domani.” – spiegò. – “Ti ho sistemato i documenti in ordine alfabetico e adesso devo solo andare a sistemare le fatture accompagnatorie nell’imballaggio della merce prima che la chiudano.”
“Perfetto. Ah, Hermione… mi controlleresti questi documenti sulla sicurezza?”
“Sì, cosa c’è che non va?” – chiese la ragazza, studiando il documento.
“Non ho capito questa cosa qui.” – disse, indicandole un paragrafo in basso.
“Allora…” – lo lesse velocemente. – “Ah, no. Non ti devi preoccupare. Qui parlano dei controlli da fare quando le macchine hanno più di dieci anni di vita.” – spiegò. – “Con Harry è stato controllato tutto e le macchine sono state cambiate o già revisionate. Questi controlli però andranno fatti tra due anni, comunque.”
“Ah, ho capito.”

L’organizzazione di Hermione aveva portato Roger ad avere uno scaffale interamente occupato dai documenti per la Sicurezza sul Lavoro, suddivisi per categorie.
Era stata davvero una fortuna che ci fosse lei!


Hermione controllò l’ora.
Erano le una e mezza e forse era il caso di darci un taglio. Voleva farsi una doccia e avrebbe usufruito di quella dei ragazzi prima di tornare in ufficio.




Quando mancarono dieci minuti alle due, orario previsto per i dipendenti dell’amministrazione di rientrare in ufficio, Hermione si trovò già al suo posto a continuare i lavori precedentemente interrotti.

“Già qui?” – chiese una voce fastidiosa tanto quanto l’urticaria.
Prima di girarsi, Hermione serrò gli occhi, poi, con garbo e un sorriso falso come Giuda Iscariota, si girò e rispose a tono.
“Mancano solamente dieci minuti alle due, signor Malfoy.” – disse, per poi rigirarsi e continuare il suo lavoro.
“Vedo che non è scesa in magazzino, com’era stato stabilito.”
Hermione si rigirò con un altro sorriso.
“A dire il vero sono appena tornata.” – disse, lasciando basito il direttore.
Quella ragazza lo stava stuzzicando e sfidando sempre più apertamente.
“Non crede che forse una doccia sarebbe stata adatta?”
“Infatti l’ho fatta.” – rispose Hermione addirittura senza guardarlo in faccia.
Draco fumava dalle orecchie.
“E dove?” – chiese, sempre più stupito e infuriato.
“In una doccia?” – chiese lei, ironicamente.
“Ma le uniche docce sono…” – si fermò, paralizzato, mentre Hermione non capiva il suo sbigottimento. – “Ha fatto la doccia con gli operai?”
Hermione si girò di scatto, basita.
“Ma… NO!” – tuonò lei, imbarazzata. – “Ma come le vengono in mente certe idee?!”
Fortuna che non era arrivato ancora nessuno…
“Senta, signorina Granger…”
Il tono usato non piacque per niente a Hermione.
“No, mi ascolti lei, signor Malfoy…” – usò un tono stranamente remissivo mentre gli occhi diventavano leggermente lucidi. – “… io non so cosa si è messo in mente, ma non mi sono fatta la doccia assieme agli uomini, visto che loro a mezzogiorno non la fanno mai. So benissimo di non dover entrare in ufficio che puzzo come una capra, ma non immaginavo proprio che arrivasse a pensare a tanto.” – si fermò con il fiatone. Non che le importasse tanto quello che pensava il signor Malfoy, ma quello che pensava il direttore… quello sì. Non tollerava che la si facesse passare per una facile, visto che era l’esatto opposto.

Draco, dal canto suo, si rese conto che quella vendetta contro Hermione era sulle punte delle dita: un passo falso e avrebbe potuto finire davvero male. Pur di farle ammettere di aver sbagliato – ma aveva davvero sbagliato, alla fine? – era disposto a insinuare cose non vere, ma evidentemente il temperamento della ragazza era talmente forte che non glielo aveva permesso.

“Ora mi scusi… ma ho del lavoro da finire.” – concluse, senza guardarlo in faccia.
Continuò a controllare le fatture, le provvigioni e i pagamenti, visto che della posta non c’era nemmeno l’ombra.
Conscio di aver esagerato, Draco girò i tacchi e se ne tornò in ufficio.


Seduto sulla sua poltrona, reclinò leggermente il poggia schiena e chiuse gli occhi. Per quanto gli costasse ammetterlo, spergiurare su qualcuno non era un suo abituale metodo di procedimento. Aveva scelto di sfinire la ragazza con il lavoro e non con le false insinuazioni.

Hermione dimenticò in fretta le parole del signor Malfoy. Aveva ben altro cui pensare.
Aveva controllato le fatture di Settembre, effettuato i bonifici alle modelle e le mancavano solo le provvigioni da verificare. Richiuse il raccoglitore delle fatture e lo mise al suo posto e registrò i bonifici effettuati su un database di excel da inviare a fine giornata allo “stronzo”.

Ginny e Lavanda non le avevano rivolto mai la parola in quel pomeriggio. Avevano notato che era molto presa, ma anche parecchio giù di corda. Si guardarono negli occhi, ripromettendosi di parlarne con lei a fine giornata.
Che finalmente arrivò.




Molti colleghi avevano già iniziato a spegnere i computer e ad archiviare i documenti per il giorno successivo. Avevano fatto così anche Lavanda e Ginny, ma non lei.
Hermione avrebbe avuto da fare ancora una mezz’oretta e poi le provvigioni sarebbero state a posto.
“Hermione tu non vieni?” – chiese Lavanda.
“Oh, no… ho ancora una mezz’oretta da fare e poi ho finito. Ci vediamo domani, ok?”
“Ok.” – le due ragazze si diressero verso l’uscita, strisciarono il cartellino magnetico e se ne tornarono a casa.




Nel suo ufficio, Draco era chinato sul suo computer e lo stava spegnendo. Aveva un appuntamento con Pansy e non era sua intenzione e abitudine arrivare in ritardo.
Uscì dalla porta che chiuse a chiave e uscì, ma intravide una luce accesa.
“Devono sempre “dimenticarsi” la luce accesa!” – sbottò Draco scocciato.
Quando arrivò, notò che la luce proveniva dalla scrivania di Hermione.
Colpito, sì, colpito da quella dimostrazione di sfida, Draco si avvicinò cautamente.
“Hermione… cosa fai ancora qui?”
Hermione alzò lo sguardo, ma lo riabbassò subito. Non voleva neanche guardarlo in faccia.
“Sto finendo un lavoro. Non si preoccupi, vado via tra dieci minuti.” – girò una pagina e spuntò un paio di voci.
“Le straordinarie non vengono pagate.” – specificò lui, credendo che rimanesse lì per aumentare lo stipendio.
Hermione, incurante, sbuffò infastidita. Lavorava anche per ricevere uno stipendio, ma quando si metteva dietro ad un lavoro, non lo mollava se prima non lo aveva finito. Si alzò dalla sedia, poiché aveva finito prima del tempo previsto.
“Ah beh… in tal caso me ne vado subito.” – ironizzò lei.
Si diresse verso un armadio e archiviò il faldone delle provvigioni nel suo spazio. Tornò a posto e iniziò a sistemare la sua postazione, spense il computer nel silenzio più assoluto.
“Per oggi, volevo scus…”
“Non è necessario.” – ribatté lei, fissandolo negli occhi.
Ora come ora voleva solo stargli il più distante possibile. Le veniva la nausea solo a vederlo.
Draco non sapeva più che fare. In qualsiasi direzione si inoltrasse per cercare di parlare con quella ragazza era come muoversi su un campo minato.
“Volevo solo…”
“Quale parte della frase “non è necessario” non le è chiara?” – Hermione aveva in collo la sua borsa ed era pronta per uscire.
“Vedi di stare al tuo posto.” – disse lui perentorio.
“Starò al mio posto, signor Malfoy, quando lei imparerà a stare al suo. E non si azzardi mai più a darmi della puttana. Buona serata.” – disse salutando.

In quel frangente, Draco si rese conto di una cosa.
Di fronte a una ragazza del temperamento di Hermione Granger, e cioè una donna non facilmente piegabile, automaticamente la mente, tra la miriade di aggettivi che impara durante il corso della vita, ne sceglie uno solo: puttana.
Perché, poi?
In due anni di rapporto lavorativo, non ha mai dovuto richiamarla per comportamenti sconvenienti, mai un rimprovero, mai una lamentela… niente di niente. Faceva semplicemente il proprio lavoro e poi se ne tornava a casa. Si poteva quasi affermare che Hermione fosse un fantasma. Non la si sentiva, non la si vedeva… era precisa sul proprio operato tanto quanto Pansy lo era a letto. Sembrava che potesse anticipare le mosse dei suoi colleghi. Una dipendente così non l’aveva mai avuta.
I primi mesi, quando passava dall’ingresso principale – poi si era fatto letteralmente aprire una porta sul retro per non incontrare fornitori asfissianti – Hermione lo salutava con cortesia, gli lasciava su un foglio, ordinatamente tenuto, l’elenco delle chiamate e dei messaggi per lui e la posta arrivata.
Gli augurava una buona giornata e poi tornava a fare il proprio lavoro.

Non era forse questo il tipo di dipendente che avrebbe voluto ci fosse in tutti i settori dell’azienda?
Sì.
Allora perché la stava punendo? Solo per aver risposto male alla sua fidanzata?

Era stizzito.
Sì, perché credeva di ricevere delle scuse con tanto di capo chino e invece si era ritrovato invischiato in una sorta di guerra fredda dove lui, solitamente abile in quel campo, non riusciva a spuntarla, per non parlare del fatto che quella sera aveva avuto una brutale caduta di stile.
Non era sua abitudine dare della puttana a una dipendente solo perché non otteneva da lei ciò che voleva ma con lei aveva ceduto.

Si riscosse dai propri pensieri. Era leggermente in ritardo, per l’appuntamento che aveva con la sua futura moglie.




Era arrivata a casa, finalmente. Nella sua dolce, sicura e speciale casa.

Quel lunedì non era stato molto faticoso, ma era certa che proseguire a quel ritmo per un periodo che si prospettava infinito – per lo meno fin quando non avesse chiesto scusa a Pansy – avrebbe avuto delle grosse ripercussioni sul suo fisico e sulla sua mente.
Aveva preso la sua Lilly e l’aveva portata a fare i suoi bisognini. Era stata fuori circa una mezz’oretta e poi era rientrata, visto che il suo stomaco reclamava primo, secondo, contorno, frutta, dolce e un sonnifero.
Si fece arrivare una pizza con il mondo sopra. Non fece in tempo a ingoiare l’ultimo boccone che si infilò a letto, cadendo in un sonno profondo e senza sogni.
E il cane accanto, rimasto decisamente male per quell’atteggiamento, perché non aveva avuto la sua razione notturna di coccole…




Dall’altra parte della città, in un lussuoso appartamento all’ultimo piano in centro a Londra, Draco e Pansy stavano facendo del sano sesso.
Conclusero il tutto con un grido animalesco, crollando esausti l’uno sull’altro.
“Oh Draco…” – esclamò una spossata Pansy con gli occhi chiusi.
Non finì di parlare che la bocca le fu chiusa da un bacio irruento.
Draco rotolò su un lato per prendere fiato.

Sapeva che quello che aveva appena fatto aveva assunto una connotazione strana… diversa.
Aveva sempre in mente Hermione Granger (non che durante l’amplesso pensasse di voler fare sesso con lei, s’intenda): le sue parole, il suo sguardo carico di biasimo… e pur di riuscire a togliersela dalla mente aveva usato, su Pansy, tutta la sua forza, ma non era servito a niente. Nemmeno in quell’unico attimo, in cui la mente doveva – o avrebbe dovuto – svuotarsi, era riuscito a concentrarsi su quello che stava facendo.
Seccato, scocciato e infastidito, si alzò da terra e andò a farsi una doccia, lasciando la compagna sul tappeto, davanti al caminetto, semi addormentata.

Sotto il getto dell’acqua calda, che s’insinuava tra i suoi capelli, l’uomo cercava di scacciare il pensiero di Hermione Granger dalla sua mente. Ma più cercava di non pensarci e più lei rimaneva fissa lì davanti, come a volerlo punire per le sue parole cattive.
Perché sì: era stato davvero cattivo.
Aveva insinuato il peggio e lei, giustamente, si era arrabbiata e non poteva biasimarla per averlo aggredito e per avergli risposto in quel modo.
C’era anzi da dire che era stata fin troppo diplomatica: se avesse avuto un’altra di fronte, avrebbe sicuramente rimediato un bello schiaffo.

Sbarrò gli occhi, avvertendo una sensazione di fastidio, quando sentì due mani affusolate massaggiargli sensualmente le spalle.
Si scansò da lei, per quanto la doccia lo permettesse e uscì dal box, lasciandola decisamente confusa. Si sciacquò velocemente e prese l’asciugamano, dove vi avvolse il suo conturbante corpo.
“Che ti succede?” – chiese lei, andandogli dietro come un cagnolino.
Draco la osservò con la coda dell’occhio. Perché un mese fa, quell’atteggiamento di devozione lo avrebbe lusingato fino all’estremo, mentre adesso provava l’irrefrenabile istinto di gettarla dalla finestra?
“Nulla.” – fu la sua glaciale risposta.
“Draco, avanti… dimmi cosa ti turba…” – disse lei, andandogli vicino.
Sapeva che stava rischiando grosso, che lui non era il tipo da parlare dei suoi turbamenti, ma tra poco sarebbe stata sua moglie: nella buona e nella cattiva sorte.
“Ho detto nulla, Pansy… non insistere.” – sentenziò lui ancora più duramente.
“S-sarò tua moglie… non lasciarmi fuori dalla tua vita…”
E fu la goccia che fece traboccare il vaso. Draco provò un’ondata di profondo fastidio e malessere nei confronti di Pansy, che non seppe motivarsi. Aveva avuto la sensazione di dover rendere conto a lei di qualsiasi mossa o pensiero, altrimenti aveva come la certezza che non se la sarebbe scollata di dosso fino a che non avesse ottenuto quello che voleva.
Non disse nulla, il direttore della Malfoy Home. Iniziò solamente a vestirsi, mentre Pansy iniziava a piangere, pregandolo di restare.
Ma lui niente. Non ci sentiva.
Quella serata era partita proprio male e male si era conclusa.
“Ci vediamo domani, Pansy. Buona notte.”
Pansy non rispose, si limitò a fissarlo sparire dietro la porta.




Schiacciò il pulsante dell’ascensore e attese che arrivasse al piano. Una volta dentro, si appoggiò alla parete frontale e chiuse gli occhi.
Di nuovo, Hermione Granger.
“Ma cosa accidenti vuoi da me?” – sbottò stizzito.
Uscì al piano dei garage che non sembrava nemmeno lui. La camicia di seta era mezza dentro e mezza fuori dai pantaloni, la cravatta era annodata in qualche modo e la cerniera dei pantaloni era a metà della strada. Chiunque fosse passato di lì in quel momento, avrebbe urlato “al maniaco”.
Prese le chiavi della sua Porsche e l’aprì con il comando a distanza, entrò, gettando sul lato passeggero la giacca e il soprabito e guidò per tornare a casa, dove l’attendeva un buon sonno ristoratore.
Almeno sperava.

E fu così.
Appena entrato in casa, Draco andò in camera sua, avendo cura di gettare a casaccio i vestiti sull’omino e gettarsi sul letto, cadendo addormentato come un pero.









Calli-corner:

Capitolo ciccione, no?
Spero vi sia piaciuto, così come le risposte che Hermione ha dato a Draco. Beh, qui se le è proprio meritate.
Pur di piegare Hermione e farle ammettere di aver sbagliato – “sbagliato” è un concetto molto diverso per Draco e Hermione – arriva a darle della poco di buono e lei, più che giustamente, s’incazza e rimane delusa, perché non pensava che pur di sentirsi chiedere scusa, Malfoy arrivasse a tanto.

Qui spiegato il perché Hermione rimane alla Malfoy nonostante l’atteggiamento di Draco.
Beh, in primis perché se si licenziasse, la darebbe vinta a Pansy e nemmeno in un universo alternativo avrebbe permesso questo e poi perché vuole diventare la segretaria di Draco. E’ una sua ambizione.
Certo che se le cose vanno avanti di quel passo, nemmeno a sessant’anni ci arriverà.

Beh, sapete benissimo che per qualsiasi punto oscuro che non vi torna, potete scrivermi e io cercherò di rendervi le idee più chiare.
Ma adesso… spoiler!

“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la rimproverò Pansy.
“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la pappagallò Hermione.

Nel prossimo capitolo ci sarà finalmente un incontro/scontro tra Hermione e Pansy. A me ha fatto molto ridere quando l’ho scritto, perché di solito è una situazione che ognuno di noi sogna si avveri, ossia dire la cosa giusta al momento giusto senza possibilità per l’avversario di replicare perché le nostre parole sono talmente giuste che non possono essere contestate.

Spero di rivedervi,
callistas

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Capitolo 6
*** Conquiste... ***


06 - Conquiste... Una cosa che vorrei fare prima che vi apprestiate a leggere il capitolo è ringraziarvi per il vostro sostegno. Le vostre recensioni, finora, mi hanno dato una bella carica anche nei momenti no.
Voi e i vostri commenti mi avete risollevato l’umore. Di fronte a certi mi facevo di quelle risate per le quali il mio ragazzo mi prendeva per idiota, perché mi mettevo a ridere da sola all’improvviso.


Passiamo oltre.
*Ghost Whisperer*
In questo capitolo c’è la parte che preferisco, quella che vi ho anticipato nello spoiler la settimana scorsa. Qui, è doveroso innalzare stendardi e standing-ovation a Hermione che si è tolta qualche sassolino dalla scarpa.


Spero che questo capitolo vi piaccia, così com’è piaciuto a me scrivere dell’incontro/scontro tra Pansy e Hermione.
Buona lettura,
callistas









Martedì.
Un nuovo giorno lavorativo pieno di frenetici impegni per tutto lo staff che componeva la Malfoy Home.
Un nuovo giorno lavorativo per Draco Malfoy che, quella notte, come le altre, aveva dormito un paio d’ore e poi si era svegliato.
Un nuovo giorno lavorativo per i magazzinieri.
Un nuovo giorno lavorativo che avrebbe ridotto Hermione Granger a uno straccio con le gambe.

Fu un vero trauma per lei alzarsi alla solita ora.
Non lo avrebbe mai creduto possibile, ma era veramente stanca. Aveva sentito la sveglia solo per puro caso, altrimenti sarebbe rimasta a letto tutto il giorno. Aveva impiegato un paio di minuti per riprendere il contatto con la realtà e quando ce l’aveva fatta ad alzarsi, un capogiro improvviso l’aveva assalita, facendola risedere pesantemente sul letto.
Si portò una mano sulla fronte, sperando che la stanza smettesse di girare nei prossimi cinque minuti.

Si era diretta in bagno, dove sperava che una bella doccia, l’avrebbe rimessa a nuovo. Si era fatta una colazione che nemmeno le navi da crociera possedevano, che le portò via ben mezz’ora di tempo, per un totale di: un tazzone di caffè latte con circa una ventina di biscotti, cinque fette biscottate con la nutella e altrettante con la marmellata di fragole. Ora che sapeva che a pranzo avrebbe mangiato letteralmente al volo, era il caso di fare una buona scorta di energie al mattino.

Prese le chiavi dal quadro appeso vicino alla porta e se ne andò ai garage, dove la sua macchina l’avrebbe condotta verso il suo inferno.




Quando parcheggiò all’interno delle apposite strisce, Hermione si appoggiò allo schienale, chiudendo gli occhi, infastidita perché aveva ancora sonno. Certo la sera prima avrebbe potuto andare a letto senza cenare, ma dubitava che avrebbe avuto le forze per alzarsi dal letto, quel mattino.
Prese un enorme respiro e si diresse all’ingresso.

“Oh Cristo santo, beato, Redentore, misericordioso…” – l’elenco proseguì con altri aggettivi. – “Lavori di merda, giornata di merda!” – esclamò la riccia, avviandosi verso l’ingresso.
Stava davvero iniziando a convincersi che esistesse davvero qualcuno che tirasse i fili delle vite delle persone sulla Terra e che si divertisse davvero a far capitare loro ogni sorta di disgrazia possibile, perché altrimenti non si spiegava il fatto che era già la seconda volta – troppe, per lei – che arrivava proprio assieme alla Parkinson.

“Può lasciarmi la porta!…”
Pansy non fece nemmeno lo sforzo di girarsi, entrò e chiuse la porta.
Hermione si fermò con gli occhi lucidi, sentendosi inspiegabilmente umiliata. Cos’aveva fatto per meritarsi un simile trattamento da parte di quella donna?
Oh, ma quella volta non l’avrebbe passata liscia, nossignore!
Corse per raggiungere la Parkinson e dirgliene quattro. Sapeva che il signor Malfoy gliel’avrebbe fatta pagare salata ma non gliene importava più niente. Se doveva arrivare sul posto di lavoro e vivere con il fegato ingrossato, allora lei passava la mano!, anche se questo significava darla vinta a quel muso da carlino!

“Mi scusi? Signorina Parkinson?”
Pansy si girò, facendo mostra di un bello sbuffo infastidito.
“Cosa vuoi?”
“Primo.” – disse Hermione, lasciando basita la Parkinson per quell’atteggiamento. – “Non ricordo di averle mai dato il permesso di darmi del “tu”, quindi è pregata di usare con me la forma di cortesia che io uso con lei.”
“Ma come ti…”
“Non ho finito.” – la zittì malamente, mentre alcuni colleghi che dovevano passare da un piano all’altro osservavano basiti Hermione rispondere in quel modo alla fidanzata del capo. – “Secondo: le consiglio una bella visita dall’otorino perché non è possibile che io debba urlare come una pazza per chiederle di lasciarmi aperta la porta e terzo…” – stava godendo, oh se stava godendo! – “… a differenza dei suoi, i miei genitori l’educazione me l’hanno insegnata. Buona giornata!”

Per concludere trionfalmente quel monologo, sarebbe stato d’effetto che le porte dell’ascensore si fossero aperte proprio in quel momento per permettere a Hermione un’altrettanto trionfale uscita di scena.
Purtroppo la ragazza fu costretta a inforcare le scale e farsi i piani a piedi perché quello non era un film, dove tutto era calcolato al millisecondo: quella era la vita vera e per gli “effetti speciali” doveva arrangiarsi da sola.

Nell’atrio era sceso il silenzio assoluto.
Nessuno, nessuno aveva mai osato tanto ma c’era da dire che quello spettacolo era stato davvero impagabile. Qualcuno era riuscito perfino a registrarlo con il telefonino perché era certo che se lo avesse raccontato, non sarebbe stato creduto.
Inutile dire che quel filmino aveva fatto il giro aziendale nel giro di un nanosecondo.

“Non avete niente da fare voi?!?” – strillò Pansy, inferocita per quella figuraccia.

Giunta al secondo piano Hermione pensò che fosse meglio – per i suoi piedi, più che altro – prendere l’ascensore. Quando arrivò ci si rifugiò dentro e chiuse gli occhi, salvo poi ridere come una pazza.
Oh, la faccia della Merdinson era impagabile!
Quante volte nella vita una persona ha la possibilità di dire la cosa giusta, al momento giusto, alla persona giusta? Rare, secondo Hermione. Di solito, nella grande maggioranza dei casi, o ci si blocca o si scade nella volgarità, tanto che una volta concluso lo sfogo, ci si sente peggio perché ciò che si voleva dire non è stato detto, perché ci si è lasciati trasportare dal rancore.

Naturalmente, dopo la meritata risata per la faccia della Merdinson, Hermione sospirò di amarezza, perché si era resa conto di aver appena decretato la fine della propria carriera lavorativa all’interno della Malfoy Home.

“Malfoy Home… è stato bello lavorare per te.” – sospirò la ragazza mentre entrava in ufficio.




Hermione si stava preoccupando.
Sul serio.
Non era da Pansy lasciare che un simile affronto passasse inosservato. Perché il signor Malfoy non la chiamava? Voleva farle il cazziatone davanti a tutti?

Beh, il motivo per il quale Draco non si faceva vedere era molto semplice: era nel bel mezzo di una riunione con i suoi avvocati. Stava studiando vari sistemi per tutelare se stesso, l’azienda e i lavoratori da possibili minacce esterne, quando una furente Pansy entrò nella sala riunioni – quella che Draco aveva fatto insonorizzare perché due anni fa aveva urlato come un indemoniato e l’avevano sentito fino alla reception – pronta per avere la sua vendetta.

“… è al limite del legale, per questo dovremmo pensarci bene prima di…”
“Draco?!”
La riunione venne bruscamente interrotta da Pansy. Il primo istinto di Draco fu aprire la finestra per scaraventarla di sotto.
Ma non si usava più bussare, adesso?!?
“Pansy!” – esclamò, infastidito per quell’interruzione.
“Signor Malfoy mi scusi… non sono riuscita a fermarla!” – si giustificò Isabel, mortificata.
“Non preoccuparti Isabel, vai pure.” – disse Draco. – “Signori, potete darci qualche minuto, per favore?”
Draco notò immediatamente il fastidio sui volti dei suoi avvocati per quell’interruzione. Anche loro pensavano che aver assunto quella donna nell’azienda in una posizione di prestigio fosse stata una mossa sbagliatissima ma nessuno, ovviamente, aveva il coraggio di dirlo ad alta voce.

Per una frazione di secondo, Draco sentì il peso della Malfoy Home sulle sue spalle.
Sentì il peso del lavoro di suo nonno e di suo padre gravare sulle sue spalle, sentì di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato perché era certo che i suoi predecessori non avrebbero mai commesso errori così stupidi come i suoi – assumere Pansy e punire la Granger –, sentì qualcosa schiacciargli il petto.
E non sapeva come fare per tirarsene fuori.

“Cosa ci fai qui?” – le chiese duramente, dopo aver ripreso il controllo su di sé.
“Hermione Granger!” – urlò, come se solo quel nome fosse una spiegazione sufficiente.
“Hermione Granger… cosa?” – chiese Draco, sperando in un qualche dettaglio in più.
Cazzo! Aveva altre cose più urgenti da fare che star dietro alle beghe tra due donne!, beh, per essere più precisi era Pansy che cercava rogne; da quello che aveva potuto vedere, Hermione cercava di schivarle, a volte, con scarso successo…
“Mi ha insultata e umiliata davanti a tutti!”
Draco sollevò un sopracciglio, perplesso. Era della stessa Hermione Granger che stavano parlando o nella sua azienda c’era un caso di omonimia?
“Cos’è successo?”
“Ha iniziato a urlarmi contro…” – prima balla. – “… a dirmi che sono una stronza…” – seconda balla. – “… e che se sono qui è solo perché sono la tua ragazza!” – terza balla.

Non era difficile per Pansy dire a Draco ciò che le faceva più comodo, perché sapeva che gli altri dipendenti avevano paura di lei, perché le sue parole – e le sue gambe aperte, più che altro – avevano il potere di far pendere l’ago di Draco da una o dall’altra parte.
Draco rimase senza parole.

Sembrava davvero che il mondo avesse iniziato a girare al contrario. In un mese era successo di tutto! Aveva scoperto di possedere un’ottima lavoratrice che fino a quel momento aveva sminuito, facendole fare un lavoro di centralinista, l’aveva spostata in magazzino solo per far star zitta Pansy ma Hermione gli aveva dimostrato di non aver nessun problema con quel tipo di lavoro, l’aveva messa a seguire anche un po’ di amministrazione, sperando che lei cedesse e chiedesse scusa alla sua ragazza, in modo tale da chiudere per sempre quel capitolo e poterla spostare in ben altri reparti, ma niente!, aveva scoperto che questa dipendente non solo era un’eclettica in fatto di lavoro ma non era disposta a chinare il capo di fronte a quella che lei riteneva un’offesa per se stessa, e ora veniva a sapere che aveva pubblicamente umiliato la sua futura moglie con illazioni piuttosto pesanti.

“Senti, voglio che la licenzi! Non so come farai ma trova un modo per!…”
Draco non credette alle sue orecchie. Come osava quella donna dirgli come amministrare la sua azienda?
“No, no frena un attimo. Io non licenzio proprio nessuno!” – esclamò, imponendosi finalmente su di lei.
Pansy rimase basita.
“Ma… perché no?”
“Perché anche se ti sta antipatica, Hermione ha un potenziale che intendo sfruttare al meglio.”

A Pansy mancava solo che un diavoletto le spuntasse sulla spalla e il quadro sarebbe stato completo.
L’invidia le fece vedere verde e cose che non esistevano o che Draco non aveva mai detto…

“Che intendi dire?”
Draco decise che era il caso di darci un taglio.
“Non sono tenuto a discutere con te delle mie decisioni nei confronti di un dipendente.”
Finalmente sentì la coscienza alleggerirsi. Ciò non significava che amasse di meno Pansy, ma solo che era giusto dare un limite alle sue richieste in azienda.
Pansy aprì la bocca, umiliata per la seconda volta.
“Parlerò con Hermione e vedremo di chiudere definitivamente questo capitolo. Dopo di che vi terrete reciprocamente alla larga dall’altra. Non voglio più vederti entrare nel mio ufficio con il nome di Hermione Granger sulla bocca. Mi sono spiegato?”
“Perfettamente.” – rispose lei. – “Hai altri ordini da darmi, signor Malfoy o posso andare?”
“Pansy…” – sospirò lui, già sfinito alle undici del mattino.
“No, no. Sta bene.” – disse, oltraggiata. – “Se preferisci una magazziniera a me, non ci sono problemi!”
Fece per uscire ma la voce perentoria di Draco la fermò.
“Pansy!”
La ragazza si morse il labbro, impaurita.
“Adesso rimani qui. Vado a chiamare Hermione e voglio che oggi stesso venga risolta questa faccenda!”
Pansy fece le spallucce, indifferente ma dentro di sé gioiva per le parole con cui Draco avrebbe sotterrato quella stronzetta.

Draco aprì la porta e represse un gemito di sorpresa quando si ritrovò niente popò di meno che Hermine Granger davanti alla porta con una faccia che esprimeva fastidiosa attesa.
“Hermione!” – esclamò, attirando l’attenzione di Pansy. – “Giusto te cercavo. Entra.”
“Ma va?” – chiese la ragazza, entrando nella sala riunioni con passo menefreghista.


Dieci minuti prima era uscita dall’ufficio per prendere qualcosa al distributore automatico ma si era bloccata sull’uscio quando aveva visto Pansy entrare in sala riunioni.
Di certo non andava dal signor Malfoy per parlare del colore delle tende ma per fargli una testa tanta su quanto le aveva detto quel mattino.
Così aveva aspettato – con un po’ di concentrazione si riusciva a sentire ciò che si diceva in quella sala anche se insonorizzata – che Pansy finisse la sua sfuriata e farsi trovare già pronta per la predica.

Precisa anche nel prendersi le ramanzine.


“Evita i commenti, per favore. Allora, cos’è questa storia? Pansy mi ha detto che l’hai umiliata davanti a tutti.”
Ed ecco il cazziatone. Immeritato, naturalmente.
Adesso però doveva decidere il proprio futuro: ingoiare il rospo e continuare a lavorare lì, sperando che un giorno il signor Malfoy le concedesse la possibilità di diventare la sua segretaria personale, o mandare a fanculo il precitato Malfoy, la sua agenda e soprattutto la sua ragazza, ma con la possibilità di potersi guardare di nuovo allo specchio con la consapevolezza di non essersi svenduta per uno stipendio più alto?
“Sto aspettando.” – disse Draco che aveva colto nel mutismo di Hermione una sorta di conferma alle parole di Pansy.
Non lo avrebbe mai detto possibile.
“Esattamente… cosa vi aspettate che io dica?” – chiese Hermione, scegliendo di seguire i propri principi.

Draco non sapeva più che pesci pigliare.
Aveva addirittura pensato che Hermione si fosse resa conto del proprio potenziale, che poteva essere utile all’azienda e che si permettesse di rispondere male a Pansy perché aveva la certezza che lui non l’avrebbe mai licenziata.
Era un ragionamento un po’ contorto, ma davvero non riusciva più a venirne a capo.

“Intanto le tue scuse per come mi hai trattata!”
“E io non merito delle scuse?” – chiese Hermione direttamente a Pansy.
“Ma tu ci tieni al tuo lavoro qui?”
Bene, non mi dai del “lei?” Scordati che lo faccia pure io!, pensò Hermione, battagliera.
“Non mi risulta che il mio contratto di lavoro me lo abbia firmato tu.
Draco e Pansy sbarrarono gli occhi.
“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la rimproverò Pansy.
“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la pappagallò Hermione.
La mora gonfiò le guance, conscia che non era mai successo che Hermione le avesse dato quel permesso, ma aveva sempre pensato che essere la fidanzata del capo le desse delle libertà che solo la buona educazione avrebbe consentito.
“Ma che cazzo vi prende, si può sapere?” – sbottò Draco, lasciando basita Pansy per il linguaggio e compiaciuta Hermione. – “Sembrate all’asilo!”
“Ha cominciato lei!” – sbottò Pansy, dando conferma della teoria sull’asilo.
“Esattamente quando ho iniziato, scusami?” – chiese Hermione. – “Io mi ricordo di averti sempre dato “del lei”, di averti sempre sorriso educatamente se ti incontravo per la strada, di averti risposto sempre in modo cortese. Onestamente se ti ho fatto qualcosa di male dimmelo e, potessi morire secca qui, mi inginocchierò e ti chiederò scusa!”
Ed è anche diplomatica!, pensò Draco in un moto di profondo scoramento.
Si aspettò però che Pansy rispondesse e iniziò seriamente a prendere in considerazione l’idea che la sua fidanzata avesse solo una forte antipatia per Hermione ma niente che di fatto potesse giustificare quelle sue continue aggressioni, quando non la sentì aprire bocca.
Oh cazzo, pensò Draco, mentre ripensava alle volte che aveva punito Hermione… per niente.
“Appunto.” – disse Hermione dopo lunghi attimi di silenzio.
Poi si rivolse a Draco.
“Signor Malfoy, io avrei piacere di poter continuare a lavorare per lei e la sua azienda e spero non me ne voglia, ma credo che possa capire che così non si può andare avanti. Io non le sto chiedendo niente di particolare: solo di poter fare al meglio i lavori che lei vorrà affidarmi nella massima tranquillità.”
E dove cazzo la trovo un’altra così?, si chiese Draco.

La diplomazia con la quale Hermione aveva chetato la faccenda era qualcosa cui Draco non era abituato.
Aveva sempre avuto a che fare con dipendenti che si scaricavano reciprocamente addosso il barile per evitare le punizioni ma mai che un dipendente si assumesse la responsabilità delle proprie azioni ma al tempo stesso facesse presente che una particolare situazione che si era venuta a creare fosse doverosa da sistemare.
Non aveva urlato, non aveva insultato e non aveva risposto male a nessuno dei due.

“Hermione…” – Draco si grattò la tempia, indeciso. – “… torna pure al tuo lavoro. Oggi vorrei parlarti in pausa pranzo, se per te va bene.”
“Devo seguire il magazzino.” – fece presente.
“Non preoccuparti.”
“Ci sono i carichi per l’America, oggi.” – spiegò Hermione.

A Pansy diede molto fastidio l’intesa tra loro due.

Draco schioccò la lingua sul palato.
“Allora appena hai finito con il magazzino, vieni da me.”
“Va bene. Permesso.” – disse, e finalmente poté uscire.

Una volta fuori, Hermione chiuse gli occhi un secondo, per capire se aveva fatto la cosa giusta.
Non avvertiva nessuna fonte di disagio, quindi significava che non aveva sbagliato: aveva fatto capire senza tanti giri di parole che avrebbe avuto piacere di continuare a lavorare per lui e per la Malfoy Home ma allo stesso tempo aveva lamentato il comportamento di Pansy nei suoi confronti e, ciliegina sulla torta, quella stronza non era riuscita a trovare niente da controbattere perché sapeva di essere nel torto più marcio.

Decisamente, doveva fare il diplomatico…


In sala riunioni, comunque…

“Adesso vediamo di capirci, Pansy.” – disse Draco.
La mora lo guardò incattivita.
“Non so perché ce l’hai tanto con Hermione e, arrivati a questo punto, non mi interessa neanche saperlo.” – se pensava che rischiava di perdere una lavoratrice come Hermione per una semplice antipatia gli veniva la pelle d’oca. – “Quella ragazza sa fare il suo lavoro, sa farlo molto bene e per quanto possa darti fastidio, intendo puntare su di lei.”
“Cosa?!?”
“Sai benissimo che non amo discutere le mie scelte aziendali perciò questo è quanto. Limitati da oggi in poi ai tuoi compiti.”
“Non finisce qui Draco! E scordati l’appuntamento di stasera!” – urlò, uscendo dalla sala riunioni e sbattendo la porta.

E Draco si ritrovò a sospirare per il sollievo.




I carichi per l’America erano piuttosto delicati, così come tutte le consegne che dovevano lasciare l’Inghilterra via mare. Il margine di errore, lì, scendeva sotto lo zero assoluto, poiché quando una nave lasciava il porto, era piuttosto difficile farla tornare indietro.
Infatti, i magazzinieri controllavano fino a cinque volte che il piano cucina o l’arredamento ordinato corrispondesse al nome sulla fattura e che l’imballaggio fosse tre volte più resistente, perché non si sapeva mai chi poteva fare le manovre di carico.

Quel giorno i carichi per l’America erano otto e i controlli seguivano una specie di catena di montaggio. Roger leggeva la destinazione a scaglioni, ossia prima il nome, poi l’indirizzo, poi il CAP, poi il paese, e Josh, Evan, Greg, Martin e Christian la ripetevano, confermando così la correttezza dell’indirizzo.

Tale sistema di controllo era stato ideato da Draco in persona, quando un piano cucina che doveva andare in Asia si era ritrovato in Sud Africa. Riportarlo indietro aveva portato via molto tempo e ancora di più denaro, perché la Malfoy Home – dopotutto, era stato un errore suo – si era accollata le spese di ritiro, di trasporto e di montaggio presso la destinazione finale.
E non si era trattato di noccioline…

Hermione aveva il compito di preparare i documenti di trasporto e le fatture, perché quella merce doveva superare il confine e la dogana del paese che esportava e quello che riceveva.
La documentazione, poi, era infinita.
La dogana britannica richiedeva cinque copie, dieci quella americana. Lo spreco di fogli era assurdo, perché era sufficiente fare una copia conforme dell’originale ma non era possibile. Entrambe volevano le fatture in originale. Infilò tutto nelle rispettive buste con l’indirizzo scritto al computer e le consegnò ai colleghi man mano che i controlli venivano effettuati.

Finì verso le quattro del pomeriggio, perché un autista aveva ritardato di un’ora l’arrivo e aveva messo tutti un po’ nei pasticci.
Fu così che alle quattro e dieci di quel martedì, Hermione tornò nell’ufficio di Draco pronta per… beh, non sapeva cosa l’attendesse, ma era pronta a tutto.


“Permesso?”
“Avanti. Ah Hermione entra.” – disse Draco, sistemando alcuni documenti e pinzandoli. – “Tutto bene con i carichi per l’America?” – s’informò Draco, notato l’orario di arrivo della ragazza.
“C’è stato un ritardo che ha sfasato un po’ tutto, ma siamo riusciti comunque a farli partire.” – spiegò la ragazza.
“Perfetto.”
Appoggiò tutto quello che aveva in mano sul tavolo per concentrarsi solo sulla ragazza.
“Allora, vediamo di chiudere qua questo discorso.”
Speriamo che sia la volta buona, pensò Hermione.
“Ho parlato con Pansy. Non ci saranno ulteriori problemi.”
“Grazie.” – disse Hermione, che avrebbe preferito di gran lunga saltargli al collo e omaggiarlo con una statua a Piccadilly Circus per la gioia di quella notizia.
“Aspetta a farlo. Tu, d’altro canto, evita lo scontro.”
“Guardi che io non ho mai cercato…”
Con un gesto della mano Draco la zittì. Forse non era ancora pronto per sentirsi dire che la sua fidanzata non era poi così perfetta come credeva.
La cosa la urtò comunque, perché voleva solo che lui afferrasse il concetto che non era lei ad andarsele a cercare! Era Pansy che sembrava correrle dietro per attaccar briga!
Beh, accettò comunque il fatto che Draco le avesse detto di starle alla larga. Era già un passo avanti…
“Non voglio sentire altro. Spero di non dover più tornare sull’argomento.”
“Non succederà, signor Malfoy.” – disse Hermione, dando la sua parola.
“Perfetto. Allora siamo a posto.”
“Posso andare?”
“Sì certo. Buon lavoro.”
“Anche a lei.”

Hermione uscì soddisfatta a metà.
Se avesse potuto finire la frase, la sua felicità sarebbe stata completa, ma si accontentò che Draco si fosse reso conto che era Pansy ad aver iniziato quella sorta di guerra e non lei.









I giorni passavano e Hermione continuava a dividersi tra l’amministrazione e il magazzino.
Ormai aveva preso la mano con quel ritmo e aveva imparato a gestire meglio il suo tempo. Quando tornava a casa, la sera, faceva una seconda doccia, cenava e portava fuori il cane.

Lilly era abbastanza indispettita da tutti quei cambiamenti di orario.
E prima si usciva a un orario, poi glielo cambiava, poi glielo cambiava ancora… per tutti i cagnolini!, lei aveva un timer alla vescica che andava rispettato!
Quella sera, infatti, Lilly era parecchio nervosetta e faceva i capricci. Hermione, già stanca di suo, la rimproverava ma poi, riflettendoci più attentamente, non poteva prendersela con il cane se era lei che continuava a cambiarle gli orari.

“Lilly scusa…” – disse, mortificata.
Quel cane era un regalo da parte di una persona speciale e l’aveva trattato alla stregua di un essere umano.
“… so che ti secca continuare a cambiare gli orari ma non lo faccio mica apposta!”
Un tizio passò di lì in quel momento. Anche lui stava portando fuori a passeggio il proprio cane, ma non si sarebbe mai sognato di parlarci insieme in mezzo alla strada! La guardò divertito, però.
Hermione, invece, se ne infischiò altamente del giudizio delle persone che avrebbero potuto prenderla per pazza per quel comportamento. A Lilly mancò solo di arricciare il naso per la scocciatura.
“Dai, ti do un biscottino dopo.”
E finalmente tornarono a casa senza più intoppi.

Come previsto dalla tabella di marcia, Hermione andò a letto, tirandosi dietro il cane che si sistemò – con la pancina piena di ben tre!, biscotti – sul suo cuscino in fondo ai piedi.

“Notte Lilly.”
E con uno sbuffo del cane, si addormentarono.









Altro tempo passò da quando Draco aveva emesso il suo verdetto e si era arrivati, ormai, alla fine di Ottobre. Hermione passava dall’amministrazione al magazzino con estrema facilità.

Le prime volte faceva confusione con i due lavori: parlava a Ginny e a Lavanda del magazzino e a Roger delle provvigioni degli agenti. Stava davvero rischiando di fare una figuraccia ma il suo solito spirito di sopravvivenza era venuto in suo aiuto, riportando le cose alla loro normalità.


“Sei sicura di poter reggere questo ritmo, Hermione?” – le chiese Roger sinceramente preoccupato.
La ragazza gli sorrise grata.
“Tranquillo… iniziati a preoccupare quando leggerai il mio necrologio.” – scherzò lei, ma Roger, evidentemente, non era in vena di scherzare.
“Hermione, sul serio… non so se questa fatica ne valga la pena.”
Roger aveva saputo il perché Hermione faceva due lavori dalla ragazza stessa durante una delle tante pause pranzo. Gli aveva raccontato di come quel doppio lavoro fosse arrivato come punizione per aver risposto a quella smorfiosa di Pansy.
“Roger, tranquillo…” – disse Hermione, appoggiando una mano sul suo braccio per rincuorarlo. – “… quando ho risposto per le rime alla signorina Parkinson… e Dio solo sa quante lezioni di umiltà servirebbero a quella…” – disse, aggiungendo una piccola nota personale. – “… sapevo a cosa andavo incontro, o meglio… sapevo di una punizione, ma non immaginavo che potesse consistere in un doppio lavoro. Comunque il signor Malfoy sembra aver capito con chi ha a che fare. Quando lavoravo da mio padre, ho passato mesi interi a non mangiare a mezzogiorno perché c’era da fare e non mi è mai successo niente. Farò i miei lavori e metterò lo stesso impegno che ci mettevo quando ne facevo solo uno. Alla fine di tutto, non sarò io a cedere Roger, sappilo.”
Era determinata e Roger lo sapeva, così come sapeva che dissuaderla dal suo obiettivo sarebbe stata un’assurdità bella e buona.
Ma il capo magazziniere aveva una brutta sensazione al riguardo. E aveva paura per Hermione.




Tra i tanti compiti che venivano raggruppati sotto la voce “amministrazione” – un termine piuttosto vago – era che Hermione dovesse scendere di tanto in tanto nel sottosuolo per informarsi su come proseguissero i calendari.

Un piccolo sfizio che si era concesso il padre di Draco – e che Draco stesso aveva mantenuto – era fotografare i prodotti con accanto modelle mozzafiato.
Le foto che andavano per la maggiore erano quelle dei piani cucina. In soldoni si trattava di lastre, solitamente lunghe 3 mt, di vari colori, addosso alle quali si stagliavano delle vere e proprie pertiche di ragazze. Le norvegesi erano quelle che andavano per la maggiore, perché avevano le specifiche richieste per quel tipo di lavoro: gambe chilometriche, occhi azzurri e capelli biondi.
Di tanto in tanto si poteva scorgere qualche asiatica e qualche sudafricana ma Draco sembrava prediligere le nordiche.

Il compito di Hermione era scendere e controllare che tutto andasse bene e accertarsi che alle modelle venisse concesso ciò che richiedevano.

“A destra! No! Ferma così! Brava!”
Il fotografo – Hermione non lo aveva mai sentito nominare, ma nel suo campo era abbastanza bravo – impartiva gli ordini che tutte cercavano di seguire alla lettera.
Per un attimo, Hermione si chiese perché non potesse essere nata in Norvegia. Cavolo!, sembrava che quelle ragazze fossero fatte con lo stampino! Tutte belle!, tutte magre e tutte alte!
Lei al confronto era un nano da giardino.
“Ok, bene! Dieci minuti di pausa e poi continuiamo!”
Rimasta in disparte fino alla fine di quel primo round, Hermione si avvicinò, con non poco imbarazzo accanto a quelle bellezze naturali.
“Ciao, io sono Hermione, quella nuova. Se per caso ti servisse qualcosa, dimmelo pure, ok?”
“Oh ti ringrazio.” – disse una, particolarmente gentile.
Si sentì un po’ presa in contropiede, perché immaginava che le modelle fossero tutte altezzose e con la puzza sotto il naso. Le fece piacere vedere che in giro qualcuno aveva ancora un po’ di educazione… passò tutte le modelle in rassegna, presentandosi e facendo presente che era lì per loro.
Prima di andare via, però, volle dare un’occhiata alle fotografie.

Dire che erano bellissime, era offendere il fotografo e la modella.
Le luci cadevano su quei statuari corpi come se fosse stata dipinta e le rendeva ancora più belle di quanto non fossero in realtà.
“Che ne pensi?” – chiese una voce maschile dietro di lei.
Hermione sobbalzò ed ebbe la brutta sensazione di essere stata beccata con le mani nella marmellata.
“Io… scusi… le stavo solo guardando…” – si giustificò, imbarazzata.
Fortuna che nessuno le stava prestando attenzione.
“Sì, ho visto. Volevo solo sapere che ne pensi.”
“Perché lo chiede a me?”
“Perché, senza offesa, non sei del settore e siccome queste foto andranno sugli scaffali del grande pubblico, volevo sapere cosa te ne pareva.”
“Oh, non mi offendo.” – lo rassicurò Hermione che tornò a guardare le foto. – “Dunque… beh, che sono tutte belle mi pare scontato…” – iniziò. – “… però, se dovessi scegliere quella che mi piace di più, prenderei questa.” – disse, indicandogli con il dito una foto.
“Perché proprio questa?” – chiese il fotografo, interessato.
A dire il vero, lui era intenzionato a scartarla, perché non lo aveva soddisfatto.
“Mi piace il contrasto dei capelli della modella sulla lastra.” – spiegò Hermione.
Il fotografo studiò con maggior attenzione quella foto. Parte del suo lavoro consisteva nel saper adocchiare immediatamente ciò che era buono da ciò che doveva essere scartato. Purtroppo, a volte, rischiava di commettere degli errori a causa della routine del lavoro.
“Biondo su rosso…” – sussurrò l’uomo.
“Sì. Magari è una stupidata, però ci sono delle donne che si fanno la testa rossa, mogano, rosso vivo o qualsiasi altro tipo di rosso e poi ci fanno delle meches bionde. A parer mio non stanno male. Poi lo sguardo mi piace…”
“Che ha lo sguardo?”
“Sembra che stia pensando a qualcosa di importante…” – disse Hermione. – “… del tipo… cosa cucino stasera?” – scherzò la riccia, poiché si stava parlando di piani cottura.
Il fotografo rise divertito.
“E mi piace anche com’è reclinata la testa sulla lastra. Mi da un senso di familiarità. Ecco, per esempio… questa invece non mi piace.” – continuò Hermione. – “Cioè… è bello il colore della lastra e la modella è da mettere nel Patrimonio dell’Unesco…” – continuò a scherzare lei, incontrando il favore del fotografo che si espresse in una bella risata. – “… ma è fredda, distaccata… boh, non so come spiegarmi…” – si giustificò.
“No, no… ho capito cosa vuoi dire. Vuoi provare a fare qualche scatto?” – le propose.
Hermione sbarrò gli occhi.
“No, no! Che poi le si rompe l’obiettivo della macchina!” – si prese in giro.
“Beh… scusa, non ho capito come ti chiami.”
“Hermione Granger.”
“Bene Hermione Granger, ti ringrazio: mi hai dato un paio di idee.”
“Oh si figuri. Per il pagamento le farò avere le coordinate bancarie.” – continuò a scherzare lei.
“Le aspetto.” – rispose l’altro, ridendo.
“Ora devo andare. Arrivederci.”
“Ciao!”
Il fotografo continuò a ridere per le battute di Hermione e prima che lei svoltasse l’angolo, lui si girò e sorrise ancora.
“Si ricomincia!” – urlò.




Era tornata al proprio posto con un bel sorriso soddisfatto.
Una persona importante le aveva chiesto un’opinione e non era stata bistrattata per le sue idee, anzi… erano state accolte con educazione e simpatia. Che poi non ne mettesse in pratica nemmeno una non le importava: le interessava solo l’educazione.


In tarda mattinata, Hermione venne convocata nell’ufficio di Draco.
“Sbaglio o sei più nell’ufficio di Draco che non nel tuo?” – scherzò Lavanda.
“Davvero!” – esclamò la riccia, leggermente ansiosa. – “Va a finire che ci metto una brandina!” – rispose lei.
Preoccupata – quando andava in ufficio da Draco non erano mai buone notizie – si diresse verso l’ufficio e si fece annunciare, come al solito, da Isabel.
“E’ permesso?” – chiese la riccia che si sorprese nel trovare il fotografo di prima.
“Vieni Hermione.”
Hermione entrò, mentre Draco confabulava con il fotografo che scoprì chiamarsi Jason Taylor.
“Devo farti vedere una cosa.”
“Cosa?”
Draco le porse una busta abbastanza pesante. Quando l’aprì e vide che erano delle fotografie, alzò gli occhi su Jason.
“Ci devo tappezzare la camera?” – ironizzò lei.
Jason rise mentre Draco era rimasto un po’ allarmato dalla frase. Jason era piuttosto lunatico ma sembrò che quella volta non se la fosse presa. Quella ragazza lo avrebbe spedito al manicomio!
“No, dirmi cosa ne pensi.” – disse il fotografo.
Hermione le adagiò sulla scrivania.
“Io credo che abbiate le persone adatte per questo compito, persone che studiano l’andamento del mercato e le preferenze delle persone. Non vi servo di certo io per questo. Le mie sono solo impressioni personali.”
“Ed è questo che ti sto chiedendo, Hermione.”
Draco alzò lentamente gli occhi sulla riccia.
Quando sarebbe rimasta da sola con lei, le avrebbe chiesto da che razza di pianeta provenisse per essere riuscita a conquistare Jason in così poco tempo, quando lui invece aveva dovuto fare i salti mortali!
La donna arricciò le labbra.
“Di là ho le mie coordinate bancarie.” – scherzò lei.
La risposta di Jason fu una bella risatina.
“Allora… no, no, no, no, no… sì… no, sì, no…”
Man mano che passava le fotografie metteva da parte quelle che non le piacevano e quelle che le piacevano sotto lo sguardo allibito di Draco che non riusciva a capire come Jason permettesse a un’impiegata di fare, primo, una selezione delle sue fotografie, e secondo, non si arrabbiasse!
Per sicurezza, Hermione ripassò le fotografie scartate e le studiò meglio. Ne spostò un paio sul “sì” e poi le commentò insieme ai due.
“Perché?” – le chiese Jason, mentre la guardava divertito.

La mente di Hermione stava lavorando.
Quando aveva scelto le foto per il “sì”, lo aveva fatto perché il suo cervello aveva elaborato che in quelle c’era un filo conduttore, un comune denominatore che però non riusciva a individuare subito.
Ripensò alla conversazione fatta con Jason sottoterra e si illuminò quando comprese che l’uomo aveva usato una sua idea per realizzare un servizio che poi sarebbe andato in stampa.
“Hai fatto gli abbinamenti testa-lastra! Dai! Non ci credo!” – esclamò, raggiante.
“Ho visto che funzionavano. Sai, a dirti la verità, la foto che avevi scelto, avevo intenzione di buttarla via. Non ci vedevo niente di particolare, ma il tuo punto di vista mi ha aiutato.”
“Sono contenta.”
“Allora abbiamo le foto?” – chiese Draco.
“Abbiamo le foto.” – confermò il fotografo. – “Le farò avere la prima bozza quanto prima e…”
“Jason scusa… posso chiederti una cosa?”
“Sì, certo.”
“Perché non c’è neanche un ragazzo su queste foto?”
I due si guardarono e misero a ridere. Dopotutto Hermione era una donna e anche lei aveva gli occhi per guardare.
“Perché solitamente sono le donne che stanno in cucina Hermione.” – la rimproverò bonariamente il fotografo.
“Appunto.” – disse Hermione con una faccia eloquente.
“Allora dimmi. Perché vorresti vedere un uomo su queste lastre? Una donna attira di più.”
“Tu hai detto che nell’immaginario collettivo è la donna che sta in cucina ma secondo te, io che sono una donna, e vedo questo schianto di ragazza su un piano cucina, mi viene voglia di comprarlo? Mettici pure che ho dei seri complessi di inferiorità, dubito seriamente che potresti mai vedermi qui a comprare una lastra.”
“Fai paura.” – disse Jason, che non aveva preso in considerazione quell’aspetto.
Come aveva detto Hermione poco prima, c’erano persone predisposte per questo tipo di studi.
“Concludendo, forse agli uomini piacerà… anzi, togli pure il forse, vedersi una stangona norvegese sul piano cucina, ma se, per l’appunto, in una cucina deve entrarci una donna, credo sarebbe il caso di attirare il pubblico femminile, o sbaglio?”
“La tua proposta quale sarebbe?” – chiese Draco, che aveva capito dove la ragazza voleva andare.
“Fate uscire le foto, non fanno male a nessuno, ma… io farei anche un servizio maschile.”
Draco arricciò le labbra, non del tutto convinto, però il ragionamento di Hermione filava: la cucina era un ambiente prettamente femminile e doveva attirare un pubblico femminile. Quindi…
“Vediamo come va a finire.” – disse Draco.
Hermione sbarrò gli occhi, incredula. Aveva accettato una sua proposta per una cosa così importante? All’improvviso non si sentì più tanto sicura dei suoi ragionamenti.
“Allora è andata.” – disse Jason.
Tanto, lui veniva pagato per fare le foto: uomini o donne non faceva differenza.
Hermione era sbigottita. Era d’accordo pure lui? Oh, cavolo!
“Hermione, ora puoi darmi le tue coordinate bancarie.” – scherzò Jason.
La ragazza negò con il capo a bocca aperta.
“Fammi solo assistere al servizio…”
I due si misero a ridere.


Quando Jason si allontanò dall’ufficio di Draco per organizzare il tutto, rimasero solo Draco e Hermione. Quest’ultima era ancora scossa per ciò che era appena avvenuto: un ragionamento che lei per prima aveva giudicato campato in aria e che aveva esposto più per divertimento che reale convinzione, gli si era “ritorto” contro.
Ma, in fondo, non era forse quello il suo scopo?: dimostrare al signor Malfoy di essere una persona affidabile e sulla quale poteva contare per poter avanzare nella Malfoy Home?
E la cosa che la stupiva maggiormente era che era stato facile! Credeva di dover fare chissà che, e invece una semplice idea aveva incontrato l’approvazione del fotografo e del titolare!
Qui urgeva una sbronza!

“Vedo che hai fatto amicizia anche con Jason.”
Era quasi ora di pranzo.
“Non avrei dovuto?” – chiese.
“No. Mi chiedo solo se tu non venga da Venere.”
“Perché? Perché riesco a trattare con le persone?” – chiese, con leggera ironia.
“Ci sono persone qui dentro che non sono facili da trattare.”
Hermione e Draco pensarono immediatamente a Pansy e da come si guardarono, lo compresero al volo. Distolsero subito lo sguardo dall’altro.
“Forse.” – concesse lei. – “Ma la parola chiave per trattare con le persone è una sola, signor Malfoy.”
“Che sarebbe?”
“Educazione. Pura e semplice educazione. Le auguro buon pranzo.” – disse, uscendo dall’ufficio.
Draco non rispose.
Educazione.




Fortunatamente quel giorno poteva fare un pasto decente.
Decise di andare al bar di Ron, il Boccino d’Oro, perché era da tanto che non lo vedeva. Le mancava la compagnia del rosso e doveva anche aggiornarlo sulle novità.

Attese che l’ascensore arrivasse al piano per scendere.
Quando le porte si aprirono, fece solo pochi passi quando udì la voce di Pansy. Si fermò di scatto, indecisa. Se fosse passata in quel momento sicuramente sarebbe successo qualcosa, nonostante la parola di Draco e non voleva rischiare di rovinarsi il pranzo.
Ma fu proprio in quei pochi secondi, mentre decideva il da farsi, che la sentì parlare al telefono con qualcuno.

“Sì, sì ho capito. Non sono stupida.”

Hermione fece una faccia come per dire “io avrei qualcosa da dire in merito” ma rimase zitta.

“Ho detto che lo farò. Mhm… proposta interessante la tua…”

Hermione aprì la bocca, incredula.
Non riuscì a credere a cosa stesse ascoltando. Il tono usato era volutamente sensuale e a meno che Pansy Parkinson non fosse diventata lesbica nel giro di qualche ora, suppose che dall’altra parte del telefono vi fosse un uomo.

“Stasera? Sì, credo di sì. Prepara tutto l’armamentario…”

La conversazione finì lì e Hermione aspettò qualche secondo prima di uscire allo scoperto.
Quando uscì da dietro la palma aveva una faccia che atterrita era dire poco. E adesso? Cosa doveva fare? Che dovsse andare dal signor Malfoy e dirglielo? E se avesse travisato tutto? Se magari dietro quel telefono vi fosse stata una sua amica e ci avesse scherzato? Di tanto in tanto lo faceva anche lei con le colleghe.
Beh, intanto era il caso di uscire da lì.
Le serviva una bella boccata d’aria fresca – fredda – per pensare lucidamente.




“Ehi, chi non muore si rivede, eh?”
Quando Hermione vide il suo amico Ron, quella conversazione passò subito in secondo piano. Era felice di rivederlo e lo abbracciò.
“Come stai?”
“Io bene e tu? Ma ti hanno fatto direttore? Non ti si è più vista!”
“No, solo che mi hanno dato dei lavori da seguire…”
Così, dopo aver ordinato da mangiare, gli raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo, senza omissioni, se non l’ultima conversazione ascoltata.
“E questo è tutto.” – concluse.
“Certo che quel mondo è proprio marcio…” – commentò Ron, che servì un caffè a un avventore.
“Ormai mi sono abituata.” – chiarì Hermione, che aveva finito il secondo.
“Sarà, ma io al tuo posto avrei già mollato.”
Hermione gli sorrise.

Qualche attimo più tardi si ritrovarono seduti entrambi a un tavolino con qualcosa da bere e da sgranocchiare davanti.
Chiacchieravano del più e del meno, finché non fu ora per Hermione di tornare al lavoro.

“Sono stata contenta di rivederti Ron, ma adesso devo andare.”
“Allora ci vediamo la prossima volta.”
“Sì certo! Ciao!”




Quando Hermione uscì dal bar, la telefonata udita della Parkinson tornò a schiacciarle il petto.
Per quanto non avesse apprezzato l’atteggiamento del signor Malfoy nei suoi confronti, nessun meritava un Giuda Iscariota come fidanzata, nemmeno Draco.
Però era davvero indecisa su come agire. Non voleva essere la causa di un litigio.
Per il momento preferì accantonare la questione.




Quando salì in ufficio, si mise subito al lavoro e verso le quindici e trenta del pomeriggio, una modella la disturbò.
“Ciao, ti serve qualcosa?” – le chiese.
“Sì, scusa tu sei Hermione vero?”
“Sì, dimmi tutto.”
“Io avrei finito. Volevo sapere se potevate pagarmi in contanti per stavolta. È possibile?”
“Ah…” – disse Hermione, leggermente presa in contropiede. – “Non puoi proprio aspettare il bonifico?”
“Purtroppo no, mi dispiace. Ho dimenticato il portafoglio in agenzia e ho un aereo da prendere.” – rispose l’altra abbastanza frettolosa.
Hermione ci pensò su un attimo. Solitamente era prassi pagare le prestazioni con bonifici, ma forse in questo caso era possibile fare un’eccezione. L’unica cosa che non le andava giù di tutta la faccenda era che i contanti li teneva il signor Malfoy nella propria cassaforte e per avere quei soldi lei avrebbe dovuto vederlo.
Sbuffò.
Purtroppo non poté fare tanto la schizzinosa, perché la ragazza aveva fretta.
“Aspetta un secondo, devo chiedere al signor Malfoy.”
“Sì, grazie…”

Si diresse dal signor Malfoy, sperando vivamente che acconsentisse e che non le facesse perdere troppo tempo. Erano solo le quindici e trenta del pomeriggio, ma era dovuta scendere tre volte in magazzino perché sembravano esserci problemi con le consegne. Una volta risolti, era ritornata al suo posto e aveva dovuto ricominciare tutto d’accapo.

TOC TOC
“Avanti…” – disse una voce femminile.
Hermione alzò gli occhi al cielo e mandò a quel paese tutti i suoi abitanti.
“Permesso?” – chiese lei atona.
Draco sussultò leggermente quando la vide entrare.
“Cosa vuoi?” – chiese Pansy, bistrattandola com’era suo solito fare.
Hermione dovette armarsi di una santa, santissima pazienza. E meno male che era tutto risolto…
“Signor Malfoy, mi scusi…” – disse Hermione, ignorando deliberatamente Pansy, che se ne risentì tantissimo.
“Dimmi.”
“Di là c’è una modella che chiede un pagamento delle sue prestazioni in contanti. Dice che è solo per questa volta.”
“Di che prestazioni stai parlando?” – chiese Pansy, che volle intendere solo quello che pareva a lei.
Oddio…ma le hanno impiantato un cervello là dentro o c’è solo una mosca che gira sopra un cumulo di merda?, pensò Hermione, cattiva come il veleno.
Draco notò che Hermione aveva tentato di dissimulare la propria antipatia fingendo di avere qualcosa nell’occhio.
“Credo lavorative, signorina Parkinson…” – disse Hermione con lieve sarcasmo, colto solamente da Draco.
Aveva scelto di non dire il vero motivo di quel pagamento, perché la infastidiva oltre ogni dire dover dare delle spiegazioni a qualcuno che non fosse il diretto interessato. Se glielo avesse chiesto il signor Malfoy, a lui sicuramente avrebbe risposto.
“Come mai non può aspettare il bonifico?” – chiese Draco, in un certo senso sollevato di poter parlare con Hermione senza doverci litigare.
“Dice che ha urgente bisogno dei contanti ma non mi ha detto il perchè.” – mentì.
“E hai fatto male.” – s’intromise Pansy. – “Se vuole i contanti, dovrà fornire al direttore una scusa ben più plausibile di questa.”
“Non è mia abitudine impicciarmi degli affari altrui, signorina Parkinson.” – tagliò corto Hermione.
Quel giorno Hermione si era svegliata di umore sarcastico. Draco se ne accorse, ma Pansy capì solamente che quella ragazza le aveva risposto malamente un’altra volta e ciò non poteva tollerarlo.
Draco sorrise, dentro di sé. Quella ragazza non aveva proprio paura di niente…
“Senti un po’ Granger, tu non…”
“Signor Malfoy, allora? Alla modella cosa devo dire?” – chiese Hermione che non aveva voglia di battibeccare con quella per niente.
In più, appena l’aveva vista, le era tornata alla mente la conversazione che aveva sentito e si era infastidita parecchio nel trovarsi in quell’incresciosa situazione.
“Aspettami fuori. Preleverò il contante dalla cassaforte.”
“Grazie.” – uscì senza salutare.

Draco aveva digitato alcuni numeri sulla cassaforte, mentre Pansy pensava a un modo per farla pagare a quella ragazzina insolente.
Il biondo prese il corrispettivo per la modella e, senza salutare Pansy, uscì dall’ufficio, dove trovò Hermione ad aspettarlo appoggiata al muro.
Non era un atteggiamento molto professionale: era come se stesse aspettando un vecchio amico anziché il suo titolare. Eppure, non riuscì a dirle niente.

Forse l’averle dato della puttana ancora gli pesava.

“Andiamo.” – disse Draco, avviandosi con dietro Hermione.
Rimasero in silenzio alcuni secondi, poi l’uomo riprese la parola.
“Non ti riesce proprio di morderti la lingua, non è vero?” – chiese girandosi verso di lei.
Era divertito e Hermione capì che se avesse fatto dell’ironia, quella volta non ci sarebbero stati provvedimenti.
“Mi sono tolta la dentiera, stamattina…” – minimizzò, con un cenno del capo.
Draco scosse la testa e la ragazza tirò un silenzioso sospiro di sollievo.
“Ma se vuole aggiungere un terzo lavoro, faccia pure.”
Draco si fermò e Hermione si maledisse in tutte le lingue che conosceva, anche quelle morte per la mania di voler avere sempre l’ultima parola.
“Credo che te lo sia proprio meritato, Hermione.” – disse Draco con il sorriso di chi si complimenta con un lavoratore per la brillante idea.
Hermione, prima di riprendere il passo, fece il segno dell’impiccato con la sciarpa e pian piano s’incamminò dietro il suo titolare.


L’aspetto imponente di Draco metteva in soggezione chiunque.
Era molto alto e il suo sguardo non aiutava di certo a tranquillizzare l’animo della modella agitata.
Aveva bofonchiato due parole in croce, sperando che il direttore della Malfoy Home non insistette più di tanto, ma se fosse stato per lui, a quest’ora la modella sarebbe stata rinchiusa in una saletta buia con una lampadina puntata contro. Fortuna che le venne in aiuto Hermione che, con diplomazia, era riuscita a far avere alla modella i suoi contanti. Era letteralmente scappata a gambe levate e i presenti diedero la colpa alla figura imponente del direttore.

In ufficio tutti sembravano più solerti nel lavorare, specie quando Draco vi metteva piede.
Hermione si sedette alla propria scrivania quando il telefono suonò.
“Pronto? Sì, ciao Roger.” – lo salutò. – “Ah… sì… sì. No, non ti preoccupare, sì, scendo subito.” – poi riagganciò la cornetta.
“Problemi?”
“Roger è un po’ incasinato con il lavoro. Mi ha chiesto una mano. La saluto.” – salutò Hermione, allontanandosi dal direttore.




“…un’autografo qui e siamo a posto!” – disse Hermione a Frank.
Ormai quel corriere aveva perso la sua cattiva abitudine di arrivare in ritardo e, se sollecitato con le giuste parole, aveva iniziato a lavorare decentemente.
“Ecco qua.” – disse l’autista, con un sorriso che Hermione contraccambiò. – “Allora… ho sentito che ti hanno messa a fare il doppio lavoro…” – disse Frank, piegando a metà la bolla d’accompagnamento.
Hermione alzò gli occhi.
“Già… la mattina sono su in ufficio e in pausa pranzo qui in magazzino, per poi riprendere a lavorare in ufficio fino alle sei e tornare qui alle sei e un quarto in caso di bisogno.”
“Hai fatto incazzare qualcuno?”
“Solo il direttore.” – rispose lei con noncuranza. – “Fa attenzione quando guidi, ok?” – si premurò Hermione.
“Tranquilla… ci vediamo!”
“Ciao ciao!”
Finito con Frank, Hermione uscì dall’ufficetto e andò ad aiutare i ragazzi a scaricare gli arrivi, li controllò e poi li rimise al loro posto. Purtroppo con quei due lavori, Hermione aveva poco tempo da dedicare alla chiacchiera, come invece avrebbe voluto fare, ma non poteva. Sentiva di dover dimostrare al signor Malfoy che lei era in grado di cavarsela benissimo.
Emise altri due D.D.T. e poi tornò di sopra.


Draco era dietro la vetrata.
Aveva osservato Hermione lavorare incessantemente fin da quando era arrivata.
Pensava.
Pensava a quel piccolo battibecco, se così si poteva chiamare, avvenuto quel mattino, sul fatto di mordersi la lingua. Non era avvezzo a certi tipi di cose, ma se lo fosse stato, si sarebbe messo a ridere a crepapelle per la battuta.
E poi ad essere onesti, Pansy se l’era proprio cercata. E tutto per la sua mania di compiacerlo in tutto e per tutto. Era a dir poco stancante, ad un certo punto.

Si mise a pensare a come l’aveva conosciuta. In discoteca?
No.
Si erano trovati a un party, organizzato da uno dei soci in minoranza della Malfoy Home, Theodore Nott, gliel’aveva presentata proprio lui e ne era rimasto affascinato fin da subito. Il corpo era fasciato in uno splendido abito firmato Armani, i capelli erano raccolti nel suo solito chignon, impreziosito da un diadema stile principessa delle fiabe. Si erano appartati per chiacchierare e aveva scoperto di avere molte cose in comune con lei. Il gusto per la bella vita, il buon cibo, il buon vino… e fu grazie ad una sonora sbronza che i due si ritrovarono in una delle stanze della villa che Theodore aveva affittato per il party a dar libero sfogo a quell’attrazione iniziale.
E poi era semplicemente continuata. Cena in un ristorante diverso ogni sera, regali costosissimi e tanto, tanto, tanto sesso.
E adesso… invece di starsene rinchiuso nel suo ufficio a pensare a Pansy e a fare l’amore con lei, si era ridotto a guardare una sua dipendente, scorbutica e imperfetta, uscire dal magazzino per riprendere il suo lavoro amministrativo.
E tutto nel giro di un mese.
Si chiese se suo padre avesse mai commesso una simile leggerezza, si chiese se lui sarebbe stato in grado di individuare fin da subito il potenziale di Hermione e farne di lei una sorta di braccio destro.
Però doveva ammettere che in un solo mese quella ragazza aveva smaltito un bel po’ di arretrati.
L’aveva vista quando aveva fatto il segno dell’impiccato e aveva sorriso.
Draco Malfoy, l’impenetrabile, aveva sorriso di fronte alla spontaneità umana.
La vide prendere l’ascensore e dirigersi verso i piani alti e così fece anche lui. Si diresse verso il suo ufficio.




“… penso per la settimana prossima…” – Hermione era al telefono con un agente. Stava parlando della sua provvigione. – “… no, no… è che speravo che mi potessi… come? No, no… ti dicevo… aspettavo la fattura dell’ultima fornitura per poterti pagare. Così inglobavo tutto e non lasciavo niente al mese prossimo.” – poi sorrise. Aveva raggiunto l’accordo. – “Allora facciamo così. Aspetto la fattura. Intanto mandamela per fax così mi butto avanti. Ok, grazie mille, Alex, a presto!” – Hermione riagganciò e scribacchiò un post-it che appese a lato dello schermo del pc. Ora aveva finito anche con le provvigioni di quel mese.
Ora urgeva un buon caffè.









Calli-corner:

Giusto per evitare incomprensioni… capitoLO ciccione, vero? ^^
Qui la nostra Hermione ha dato il meglio di sé, rispondendo in quel modo a Pansy che, diciamocelo in faccia, se l’è proprio meritato. La Merdaccia pensava che essendo la fidanzata del capo potesse prendersi delle libertà che solo la buona educazione poteva concedere e quando si è trovata davanti quella che non accettava quelle confidenze, ha dovuto fare marcia indietro.

Onestamente, non so se sono stata abbastanza chiara su Draco Malfoy.
Il mio obiettivo è far vedere i due lati dell’uomo: quello che vuole accontentare la fidanzata, ma che al tempo stesso è pieno di responsabilità nel gestire un impero come la sua azienda.
Voglio spezzare una lancia in favore di Draco: non è un cattivo ragazzo, è solo che il dover essere sempre all’altezza delle aspettative di tutti è un peso non da poco, e si rischia di commettere errori come nel caso di Hermione.
Ritroveremo questo aspetto delle “aspettative” molto più avanti, quando tutta la situazione si sarà risolta. ^_^
*me sadica*

Ma adesso, vi lascio alla vostra parte preferita:
lo spoiler!

“Tieniti pronta per la settimana prossima. Partiremo insieme per l’America.”

Ohi ohi…
Lasciate che vi dia un’altra anticipazione. Oggi mi sento generosa.
Nel prossimo capitolo, entrerà in scena il babbo di Draco, con il quale ci sarà una piccola discussione, per non parlare dello spoiler.
In teoria, per questi viaggi di lavoro, dovrebbe essere Pansy ad accompagnare Draco.
Che sarà successo?

Il mio sadismo ora vi saluta definitivamente.
^_____^
callistas

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Capitolo 7
*** Di minacce e figuracce ***


07 - Di minacce e figuracce Buon ciao a tutti!
Sapete, mi sto rendendo conto che sto allungando i capitoli sempre di più ma non riesco a capire se lo faccio per accontentare voi o perché voglio finire questa storia il prima possibile, per postare quell’altra… mah, fate voi.

Ma forse sarebbe il caso di dare letteralmente un taglio a questa eccessiva lunghezza, che ne dite?
Lascio aperte le votazioni.

Dunque, per passare al capitolo…
Qui troveremo due episodi: l’incontro con Babbo-Malfoy e la partenza per l’America. Qui avremo un altro assaggio della preparazione di Hermione e del suo carattere volitivo ma non voglio dirvi altro per non guastarvi la lettura.

Io vi lascio qui, ma ci rivediamo in fondo, ok?

Buona lettura,
callistas









Quella sera, Draco avrebbe portato Pansy a cena dai suoi.
Era passato a prendere la fidanata – con appena un paio d’ore di anticipo – con un girocollo di perle che necessitava un’assicurazione sulla vita e avevano fatto pace con del sano sesso, si erano ricomposti e avevano raggiunto Villa Malfoy in breve tempo.


Pansy si esaltava ogni volta che vi metteva piede.
Il lusso la faceva da padrone.
Arazzi, lampadari, tappeti, pavimenti… beh, l’arredamento era naturalmente della Malfoy Home e sembrava che Lucius Malfoy, il padre di Draco, avesse tenuto per sé solo il meglio della produzione.
Per non parlare del giardino.
Quello era forse il pezzo più bello della casa: era immenso e di un perfetto color smeraldo. La signora Malfoy, poi, aveva un’insana passione per le piante e i fiori e qua e là aveva creato delle vere e proprie oasi di pace.
Ma la cosa che più mandava Pansy in estasi era il fatto che una volta sposati, Lucius e Narcissa Malfoy avrebbero letteralmente cambiato dimora, perché Villa Malfoy sarebbe diventata proprietà di Draco quando lui le avrebbe messo la fede al dito.
Lei e Draco sarebbero convolati a giuste nozze solo ad Agosto dell’anno successivo e la donna ormai non stava più nella pelle. Pochi mesi ancora e sarebbe divenuta la padrona del mondo.


“Draco, Pansy, benvenuti.” – li salutò Narcissa Malfoy.
“Mamma.”
“Signora Malfoy, è un piacere rivederla.” – salutò Pansy, ossequiosa come sempre.
“Il piacere è tutto mio. Grazie Arthur, faccio da me.” – disse, liquidando il maggiordomo che si ritirò con un inchino. – “Prego.”
“Papà?” – chiese Draco.
“Torna tra poco.” – la voce di Narcissa era calma e modulata. – “E’ andato al Golf Club per giocare con Tiger.”
“Vincent?” – si accertò Draco.
“No. Woods.”
“Ah, capisco.”

Beh, era normale giocare a golf con Tiger Woods…

“Prendete qualcosa da bere?”
“Io passo. Pansy?”
“Un analcolico grazie.”
Draco sollevò un sopracciglio, perplesso, ma poi scosse la testa: ormai ci era abituato.
Conosceva la donna per una che non si faceva problemi a bere e quindi si straniva sempre quando la sentiva chiedere un analcolico.
Una parte di lui era contenta che Pansy cercasse di compiacere sua madre ma dall’altra non gli andava giù che fingesse di essere un altro tipo di persona.
“Allora Draco, come vanno i preparativi per il matrimonio?” – s’informò la donna.
“Bene.” – rispose lui. – “Il Wedding Planner crede che per Giugno avremmo finito tutto.”
“Oh mi fa piacere. E tu Pansy, sei emozionata?”
La mora si scambiò un sorriso con Draco che ricambiò abbastanza forzatamente.
“Moltissimo. Io e Draco non vediamo l’ora di sposarci, vero amore?”
“Sì.” – disse lui.

Lasciò che le due donne cadessero da sole in quella discussione, lasciando lui fuori.
Non aveva proprio voglia di parlare del matrimonio, anche perché i suoi pensieri erano tutti concentrati sul lavoro: Hermione Granger proprio non ne voleva sapere di schiodarsi dalla sua mente.
Forse, se le avesse dato un impiego adatto alle sue potenzialità, avrebbe ripreso a vivere la sua vita, tranquillamente. Sperò davvero fosse sufficiente perché non poteva andare avanti in quel modo.

In quel momento arrivò suo padre, Lucius Abraxas Malfoy.
“Buona sera a tutti. Scusate il ritardo.” – disse l’uomo, salutando i presenti.
Narcissa gli andò incontro e lo salutò, mostrandogli un amore e una devozione che Draco incosciamente sapeva che non avrebbe mai ricevuto da Pansy. Non che non lo amasse, ma non lo avrebbe mai amato come sua madre amava suo padre.
Lo sguardo che si scambiarono era pieno di amore e promesse silenziose.
“E’ andato tutto bene?”
“Tiger mi ha stracciato.”
“Come sempre, direi.” – disse Draco, tagliando quei pensieri scomodi.
“Fatti gli affari tuoi, tu.” – lo rimbeccò Lucius. – “Pansy ciao. Come stai?”
“Bene Lucius, e lei?”
“Oh, non ci lamentiamo. Narcissa, a che ora verrà servita la cena?”
“Per le otto. Hai tutto il tempo di una doccia.”
“Perfetto. Scusate, torno tra poco.”









E mentre Lucius Malfoy entrava in doccia, Hermione ne usciva.
“Lilly cosa mangiamo stasera?” – urlò la riccia per farsi sentire tra la musica che aveva acceso.
Nessuna risposta.
Naturalmente.
“Ti va la pizza?”
La risposta del cane fu che apparve magicamente di fronte a Hermione e iniziò a saltare, approvando in quel modo l’idea della sua padrona.
Divertita, Hermione se la prese in braccio e iniziò a tempestarla di coccole, mentre il cane ricambiava leccandole il naso.
La rimise a terra e il cellulare suonò.
Sorrise quando vide che era sua sorella.
“Daphne! Come stai?”
“Certo che se non ti chiamo io, noi qui possiamo essere anche morti, eh?” – frecciò l’altra.
Hermione rise.
“Hai ragione, scusa. È che sono molto impegnata con il lavoro, anzi… i lavori.” – specificò.
“In che senso?”
“No, niente di che.” – deviò Hermione. – “Allora, come state?”
“Noi bene. La Lilly?”
“Sì, sto bene anch’io, grazie…” – disse Hermione, palesemente contrariata perché sua sorella Daphne, quando chiamava, chiedeva sempre prima come stava il cane e poi lei.
“Dai non arrabbiarti! Noi tutto bene.”
“Papà?”
“Ancora al lavoro, che vuoi farci? Allora! Vieni per le vacanze di Natale, vero?”
“E chi manca?” – rise Hermione.
“Ah ecco. Senti… noi abbiamo deciso di regalare alla mamma e al papà un nuovo armadio, perché il loro è da buttare. Ci stai?”
“Sì, certo.”
“Perfetto. Allora quando ci vediamo?”
“Per il ventuno.” – la rassicurò.
“Perfetto. Ora scusa ma devo scappare. Ciao Hermione!”
“Ciao Daphne.”
Hermione riagganciò con un sorriso nostalgico sul volto.
Poteva farcela.









La cena a casa di Draco stava proseguendo tranquilla.
Pansy e sua madre si trovavano d’accordo su molti punti e per lui era molto importante. Sì, aveva fatto una scelta saggia nel chiedere a Pansy di sposarlo. Certo, aveva i suoi difetti, ma chi non ne aveva?

Conclusero il pasto con un delizioso tortino caldo di cioccolato e pere quando Lucius sequestrò il figlio per parlare “di affari”.
Lo condusse nel suo studio, dove finalmente Draco poté rilassarsi.
“Sembravi imbalsamato stasera.” – disse Lucius, mentre prendeva dal mobiletto dei liquori qualcosa di forte.
Non trovando niente di adatto per l’umore del figlio, scelse di fare un mix di alcol.
“Sono solo stanco.”
“Pansy?” – chiese Lucius, dando a intendere che di sesso ne capiva ancora qualcosa.
Draco lo guardò storto.
“No. Il lavoro.”
“Capisco. Tieni, bevi questo.”
Draco bevve un sorso e per poco non sputò fiamme.
“Che… che diavolo… cos’era?” – chiese, con la voce ridotta a un sussurro.
“Un mix di mia invenzione. Ti ha rimescolato le budella, vero?” – chiese l’uomo, con un sorriso d’intesa.
“Più che altro me le ha sciolte.” – si schiarì la voce. – “Tu sei un pericolo per l’umanità.”
“Può essere. Adesso dimmi cosa c’è che non va.”
“Ma niente… un insieme di cose.”
“Sì, sei stato chiaro.”
“Papà?”
“Mhm?” – mugugnò l’altro.
“Tu… tu hai mai fatto l’errore di sottovalutare un dipendente?”
Lucius lo guardò, decisamente incuriosito per la domanda.
“In che senso?” – chiese, portando alla bocca il bicchiere dello stesso mix dato a Draco.
Lui, a differenza del figlio, lo bevve come se fosse stata acqua.
“Ho una dipendente… Hermione Granger…” – disse. – “Quando l’ho assunta, l’avevo fatto perché mi serviva una centralinista. Patricia si era licenziata ed io ero rimasto a piedi.”
Lucius lo ascoltò con attenzione.
“Poi, il mese scorso, l’ho destinata al magazzino.”
Lucius sbarrò gli occhi.
“E perché scusa?” – chiese, severo. – “Non è politica dei Malfoy mettere le donne a fare certi lavori.”
Ecco il cazziatone…
“Sì, ma aveva risposto male a… a Pansy…” – Draco socchiuse gli occhi quando sentì suo padre esalare un gemito infastidito. – “… e l’ho messa laggiù.”
“Hai fatto male.” – fu la prima sentenza dell’uomo. – “Va avanti.”
“Il problema… se di problema si può parlare… è che questa ragazza mi ha risolto il problema dei ritardi!” – esclamò, ancora incredulo di fronte a tale abilità.
“I ritardi?”
Draco fece le spallucce.
“Tempo addietro ci sono stati dei ritardi troppo frequenti nelle consegne, con relativo ritardo nei carichi ma da quando ho messo questa al magazzino, puff!” – disse, accompagnando lo sbuffo con un gesto delle mani. – “Sono spariti! Io l’ho sentita parlare al telefono con un fornitore e sono rimasto… sorpreso dalla sua conoscenza sulle cifre che comporta un ritardo. Sembrava avesse studiato i costi della Malfoy Home!”
“E cos’hai fatto?”
“L’ho messa in amministrazione.”
“Hai fatto bene.” – disse Lucius, più tranquillo.
“Sì, ma comunque non l’ho mica levata dal magazzino.”
“E perché?”
“Perché se ce l’avessi tolta, le consegne avrebbero preso a ritardare.” – spiegò il figlio.
“Dato che ci sei, perché non ti licenzi e non la metti a capo dell’impresa?” – chiese Lucius, fortemente sarcastico.
Draco sospirò.
“Si può sapere che diavolo ti è preso?” – chiese Lucius, con un pizzico di delusione nella voce.
Draco non si era mai comportato in quel modo e aveva lavorato con lui abbastanza tempo per insegnargli il mestiere e vedere come se la cavava!
“Già a fare un lavoro è dura, figurarsi due! Chissà che danni starà facendo!”
“Ma è proprio questo il punto!” – esclamò Draco, accorato. – “Non ho mai avuto una contabilità e un magazzino tanto precisi! Io… io davvero non so come faccia! Riesce a tenere in piedi due argomenti così diversi neanche stesse facendo la spesa!”
Lucius si portò una mano sul mento, per pensare. Da come suo figlio descriveva questa tizia, sembrava davvero piena di talento.
“D’accordo, è una in gamba.” – concesse. – “Ma se lo è, perché l’hai punita? E non dirmi che è solo perché ha risposto male a Pansy, perché se è così ti prendo a sberle!” – disse, trattandolo alla stregua di un bambino.
Il silenzio di Draco fu il suo assenso.
Lucius sospirò pesantemente.
“Draco Lucius Malfoy…”
Il biondo stirò le labbra, decisamente preoccupato.
Quando i suoi lo chiamavano con entrambi i nomi, c’era solo da tremare.
“… invece di ragionare con la testa che penzola, perché non ragioni con quella sul collo?” – concluse, urlando.
“Io non…”
“Non ci provare, eh?” – lo sfidò Lucius a contraddirlo. – “Non provare a negare! Io ti avevo sempre detto che assumere Pansy non era proficuo, né per te, né per l’azienda. Adesso cosa conti di fare con quella ragazza?”
“Non… non lo so…”
“Beh, trova un modo perché se si dovesse licenziare perché è troppo sotto pressione, potrei diventare molto molto pericoloso Draco. E lo sai che posso.”
Oh, la minaccia il consiglio era arrivato a destinazione.
Adesso doveva solo capire come fare per risolvere quella situazione.









La soluzione si presentò il pomeriggio del ventisette ottobre, un lunedì.
Hermione era già all’opera da una buona oretta e niente avrebbe potuto turbare il suo lavoro. Di tanto in tanto Roger la chiamava, chiedendole delle spiegazioni o di parlare con qualche fornitore che tentava di alzare ancora la cresta: lei lo aiutava e poi tornava al proprio lavoro.
Era come se il suo cervello fosse diviso in due emisferi: uno seguiva l’amministrazione, l’altro il magazzino e mentre la ragazza spuntava da un enorme libro contabile le voci che le interessavano, parlava al telefono con Roger, aiutandolo in ciò che gli serviva.


Draco, nel suo ufficio, aveva gli occhi puntati sullo schermo del computer e fissava attonito un’E-mail che aveva ricevuto da un cliente americano molto importante – quello che praticamente gli faceva un bel fatturato sia mensile sia annuale – dove si scusava, ma non poteva più acquistare la merce dalla sua azienda.

L’azienda americana, la Livin Home, si trovava sulla costa atlantica del paese, nella città di New York, il che significava che stavano sei ore indietro con il fuso orario.

Il direttore della Malfoy Home guardò l’orologio del suo pc e vide che erano le quattro del pomeriggio. Lo avrebbe chiamato e si sarebbe fatto spiegare il perché non potesse più comprare da lui.
“Isabel? Chiamami la Livin Home e passami il signor Cook.” – ordinò Draco, preoccupato per quello strano comportamento.

Isabel, dalla sua postazione, guardò perplessa la cornetta del telefono. Riagganciò, e cercò la Livin Home tra i suoi contatti.

“Signor Malfoy?, il signor Cook sulla linea.”
“Passamelo.”
Il tempo di passare la chiamata e Draco aveva preso più o meno una ventina di respiri.
“Draco?”
“Ciao John.” – lo salutò Draco, tentando di sorridere. – “Come va?”
“Al solito.” – rispose l’altro.
Dal tono di voce, Draco comprese che non era in vena di chiacchiere, così troncò ogni sorta di “preliminare telefonico” e andò al dunque.
“John, scusa se ti ho disturbato, ma ho ricevuto la tua mail adesso. Che storia è questa?”
“Vorrei poterti fare la stessa domanda, Draco.”
“Come dici scusa?” – chiese l’altro, perplesso.
“Draco…”

John Cook intratteneva rapporti con la Malfoy Home fin da quando Draco era entrato a capo dell’azienda. I due “grandi capi” si erano sempre trattati con i guanti di velluto, uno perché comprava, l’altro perché forniva sempre materiale di prima scelta. Si ritrovò, quindi, parecchio in difficoltà nel pensare che un rapporto come il loro potesse finire in quel modo. Così, nonostante avesse preso già la sua decisione, John scelse di essere corretto fino in fondo con il direttore della Malfoy Home.

“… sarebbe il caso di parlarne di persona.” – disse John.
“Sì, certo. Sei libero? Puoi muoverti?”
“Purtroppo no.”
“Allora vengo io. Dammi il tempo di organizzare il volo e poi ti faccio sapere. Quando sei libero tu?” – chiese Draco, prendendo al volo la propria agenda – quella su cui Hermione sbavava – e cercò le date che gli stava fornendo John.
Nella data scelta, Draco notò che vi era una riunione con i soci, organizzata già da tempo, ma l’uomo non perse tempo a tirarci un segno sopra – avrebbe poi detto a Isabel di spostarla alla data che gli altri preferivano – per annullarla, perché la Livin Home era decisamente più importante.
“Perfetto.” – disse Draco. – “Dieci Novembre.” – ripeté Draco. – “Grazie della disponibilità, John.”
Quando Draco riagganciò la cornetta si sentì madido di sudore.
Che diavolo stava succedendo? Perché quella decisione improvvisa?
Tamburellò le dita sul tavolo, poi prese la cornetta e chiamò l’ufficio di Pansy. Dovevano studiare la situazione e partire immediatamente per l’America per parlare con John!
Peccato che il telefono suonasse a vuoto.
Incazzato come una iena – per quella mail inaspettata, per l’atteggiamento scostante di John e perché Pansy non si trovava mai quando serviva! – Draco sbatté il telefono sulla forcella.
“Isabel!” – tuonò.
La segretaria arrivò tutta trafelata e spaventata.
“Sì?”
“Dov’è Pansy?”
“Ieri ha chiamato dicendo che oggi non veniva in ufficio.”
Isabel, a volte, si chiedeva chi le faceva fare quel lavoro. A volte doveva fare il portavoce di notizie di sventura, proprio come in quel momento. La faccia di Draco era quanto di più spaventoso avesse visto in vita sua.

Draco, dal canto suo, non credeva possibile che quella donna fosse arrivata a tanto.
Si rese conto – ma furono pensieri che, una volta sbollita la rabbia per ciò che stava succedendo, si dissiparono come neve al sole – che Pansy si stava prendendo un po’ troppe libertà. Cosa le costava dire a lui che non poteva andare in ufficio? Cos’era? Era diventato troppo poco importante per essere avvisato?
Così, come ogni uomo ferito nel suo amor proprio, Draco fece l’ultima cosa che avrebbe mai ritenuto possibile fare.

“P-posso andare?” – chiese Isabel.
“Prima di andare prenota un volo per me e Hermione Granger per venerdì sette Novembre per New York e poi va a ritirare i biglietti.”
“Sì, certo” – disse.
Isabel non ci pensò su due volte a chiudere la porta e tornare al proprio posto, mentre Draco si alzò di scatto dalla propria poltrona e uscì dall’ufficio.


“Sì, certamente.” – rispose Hermione con un sorriso mentre giocherellava con il filo del telefono. – “Sono contenta che tu mi abbia chiamato, mi ha fatto molto piacere. Come? Guarda, piuttosto mi prendo un giorno di ferie. Per te questo e altro.”
Quando Hermione si accorse che Draco Malfoy era accanto a lei, per poco non le venne un colpo.
Draco aveva ascoltato parte della conversazione, e già arrabbiato per ciò che John gli aveva detto, si incazzò ancora di più quando vide la Granger – finalmente l’aveva beccata a fare qualcosa che non andava! – fare una telefonata privata.
“S-sì… ora scusa, ma devo andare. Sì, ho scritto tutto.” – disse Hermione, cercando di affrettarsi.
Il volto del suo titolare era più buio della notte più nera.
“Ok, grazie. Ciao!” – riagganciò la cornetta, con l’atteggiamento di chi sapeva di essere stato beccato a fare qualcosa che non doveva.
“Finita la telefonata di piacere?” – chiese, acido.
Hermione guardò il telefono e poi di nuovo Draco.
“Guardi che non era una telefonata privata…” – disse lei.
“Ah no? E chi era allora al telefono?”
“Jason.” – rispose lei, candida come una colombella.
Draco ruggì.
“Mi ha comunicato la data del servizio fotografico. Sa, quello che…”
“Sì, mi ricordo. Non mi è ancora venuto l’Alzheimer.”
Hermione sollevò un sopracciglio.
Che avesse mangiato veleno a colazione?
“Mi scusi…” – disse lei, remissiva.
Non aveva proprio voglia di litigare. Jason le aveva dato una bella notizia e non voleva fare nulla per guastarsela.
“Aveva bisogno di qualcosa?” – chiese Hermione.
“Tieniti pronta per la settimana prossima. Partiremo insieme per l’America.” – disse, per poi tornarsene da dov’era venuto.

Hermione aveva visto nero per un secondo.
L’attimo successivo aveva sentito la testa girarle.
America? Settimana prossima? Ma era impazzito?
Guardò i suoi colleghi vicini di posto, anche loro perplessi e sbalorditi per quella notizia. Da ciò che sapevano loro, nei compiti di Hermione non era previsto che lei dovesse spostarsi per lavoro.

Quello fu l’inizio dei pettegolezzi.

“Cosa?, ma… no aspetti!” – sbottò Hermione, correndogli dietro.
America? Ma era matto?
“Signor Malfoy, aspetti!” – lo rincorse Hermione, spaventata.
Draco si fermò davanti alla porta del proprio ufficio.
“Cosa c’è?”
Hermione effettuò una brusca frenata.
“Come cosa c’è? Che è ‘sta storia?” – chiese lei. – “Che ci vengo a fare io in America?”
“Perché ho deciso così.”
“Ma no… aspetti un secondo!” – gli disse, trattenendolo.
“Dimmi.” – era evidentemente spazientito.
“Io non posso venire in America con lei!”
“Perché?”
Oh, pure quella ragazzina ci si metteva, adesso?
“Perché non rientra nei miei compiti! Ad accompagnarla è sempre stata la signorina Parkinson. Lo chieda a lei.”
“Hermione…” – iniziò Draco con un tono di voce che seriamente la preoccupò. – “… non sono tenuto a discutere con te una mia decisione e mi sembra di ricordare che nemmeno tu sia abituata a discutere un mio ordine. Quindi tu verrai in America con me. La partenza è fissata per Venerdì sette Novembre. I dettagli del volo te li comunicherò tramite E-mail. Questo è quanto.”
La lasciò sola nel corridoio con un atroce terrore impiantato nel petto.
L’attimo successivo si ricordò dell’impegno con Jason e non trovò parole sufficientemente pesanti e offensive da rivolgere a Malfoy perché le aveva appena fatto perdere il servizio fotografico.




Per tutta quella settimana e la successiva della partenza, Pansy Parkinson si presentò in ufficio saltuariamente.
Per tutta quella settimana e la successiva della partenza, Hermione Granger fu bersaglio di frecciatine maliziose e sguardi divertiti da parte dei colleghi per quella partenza così improvvisa con il signor Malfoy.
Lei cercava di non farci caso, di proseguire il proprio lavoro con l’attenzione e l’impegno di sempre, ma era difficile quando accanto e davanti a lei vi erano persone adulte, o così lei credeva, che la guardavano in continazione e ridacchiavano tra di loro.
Era imbarazzata come mai lo era stata in vita sua.
Per carità di Dio!… non negava assolutamente che Draco Malfoy fosse un bellissimo uomo ma non era certo il suo tipo: troppo aristocratico e, da quanto aveva visto, con pessimi gusti in fatto di fidanzate…
Lì dentro non era la sola ad aver pensato a che tipo di uomo fosse Draco Malfoy nel privato, ma non era mai andata oltre.
Alla prima occasione, però, gliene avrebbe detto quattro!

L’unica cosa che aveva avuto il potere di accantonare il suo malumore fu la chiamata che era appena avvenuta con Jason. Non sapeva dirsi perché, ma sembrava che per qualche assurda congiunzione astrale, quell’uomo avesse preso in simpatia lei e le sue idee.
Per questo le aveva comunicato che aveva spostato il servizio fotografico alla settimana della partenza, o meglio, al giorno prima.









Quando Hermione scese nel “bunker” come lo chiamava lei, per poco non cadde svenuta a terra.
Uomini!, uomini ovunque! Adoni, Apolli e perfetti Bronzi di Riace si stavano preparando per effettuare il servizio fotografico.
Aveva ancora la bocca indecorosamente aperta, quando Jason le venne incontro.
“La tua faccia mi dice che ho scelto bene i modelli.”
Quando un modello dalla pelle nera si alzò dalla sedia, la torsione del busto mise in evidenza una serie di muscoli, che ebbero il potere di farle diventare molli le gambe.
“Tu sei gay.” – esordì Hermione, lasciando Jason a metà tra il perplesso e il divertito. – “Devi esserlo per forza perché nemmeno io che sono etero avrei scelto tanto ben di Dio!”
Jason rise di gusto.
“Dai, vieni dentro.”
Hermione entrò con la stessa espressione di un bambino che entra nel negozio delle caramelle e sa che potrà prendere tutte quelle che vuole.
“Allora… tu da dove inizieresti?”
Hermione si era appena seduta su uno sgabello e aveva guardato Jason come se fosse appena diventato un Sayan di quarto livello.
“Scusa?”
“Sì, da dove inizieresti tu?”
Beh, ormai c’era dentro: tanto valeva approfittarne anche perché… quando le sarebbe ricapitata l’occasione di girare intorno a tanto splendore?

I modelli erano tutti schierati in fila, in attesa del proprio turno. Hermione stava davanti a loro e non sapeva davvero chi scegliere. Doveva essere professionale, ma tutta quella bellezza la stava disorientando.
“Hermione?” – la esortò Jason.
“Eh? Ah sì, scusa…”
I ragazzi ridacchiarono per la spontaneità con la quale Hermione non faceva mistero di quanto belli fossero.
“Allora…”
Di ogni modello studiò gli occhi, i capelli e il colore della pelle.
Ne prese uno biondo con gli occhi castani e lo piazzò davanti a una lastra mogano. Diamine!, se avesse avuto soldi a palate si sarebbe comprata tutti quei piani cucina e i modelli insieme!
“Ok.” – disse Jason. – “Luci!”
Hermione rimase in disparte a guardare Jason che dava ordini a destra e a manca. Di tanto in tanto l’occhio le scappava sui modelli in attesa e quando vedeva che lo sguardo era ricambiato, tornava a guardare la schiena di Jason, permettendosi una risatina divertita per essere stata beccata.
La ragazza, però, aveva in mente qualcosa di diverso. Voleva che le foto fossero più dinamiche: Jason stava solamente fotografando un ragazzo accanto a una lastra, nemmeno fosse un turista accanto a un monumento.

Per ogni modello, Jason scattò una ventina di foto e poi ne parlò con Hermione in disparte con altri colleghi alle dipendenze di Jason.
La ragazza le studiò. Erano bellissime… ma statiche.
“Non ti convincono.” – disse Jason.
Accanto a lui gli altri collaboratori sbuffarono leggermente indispettiti. Insomma… loro erano lì apposta per dare consigli a Jason su come mettere in posa un modello: che diavolo voleva quella ragazzina?!?
“No, sono molto belle…” – disse, per non sminuire il suo lavoro. – “E’ che… non so… sono ferme…” – disse.
“Non hanno ancora inventato la macchina fotografica che fa muovere le persone.” – disse uno.
Hermione si risentì parecchio di quel commento.
“Adam…” – lo richiamò Jason e Hermione perse la sua occasione per dirgliene otto. – “Cos’avevi in mente tu?”
“Più dinamicità. Questo mi sembra un turista che si fa fare una foto accanto a un monumento!” – esclamò.
“Addirittura?” – disse Jason, perplesso.
“Senti…” – propose Hermione. – “… se me lo permetti, ti faccio vedere quello che avevo in mente.”
“Sorprendimi.” – disse Jason.

Quel giorno Hermione si era presa davvero un giorno di ferie, perché dubitava sinceramente che Draco Malfoy le avrebbe permesso di saltare un giorno di lavoro per vedere, alla fine, una serie di ragazzi in posa.
La ragazza aveva parlato con lo staff addetto alla scenografia e aveva chiesto loro un paio di cosette. Jason la guardava, cercando di capire cos’avesse in mente, mentre dietro di loro i suoi collaboratori sbuffavano indispettiti per quel lavoro extra.
Quando la vide calare dei fili dal tetto, si chiese che diavolo avesse in mente.

“Più giù! Ancora! Ancora un po’! Stop! Perfetto.” – disse Hermione. – “Scusami? Divino Apollo?” – chiamò Hermione uno dei modelli che si indicò, perplesso ma compiaciuto dall’appellativo. – “Sì, tu. Puoi venire un attimo?”
Il ragazzo si diresse da Hermione ma si girò verso i suoi compagni, ridendo di quella ragazzina così stramba.
“Ok, mettiti qui.” – Hermione ne approfittò per prendere per un braccio il ragazzo e saggiarne la nervatura. – “Adesso mettiti come se dovessi sollevare questa lastra.”
Il ragazzo si mise di fianco, celando gran parte del busto, ma evidenziando il braccio muscoloso nell’atto del sollevamento della lastra.
Naturalmente, una lastra del genere pesava troppo, per questo Hermione aveva fatto calare dal tetto delle funi per tenere sollevato il piano: il modello doveva solo fingere di sollevarla per evidenziare il muscolo del braccio.
Jason rise per l’idea e comprese cosa Hermione avesse inteso per dinamicità delle foto. Continuò a ridere quando vide la ragazza prendere un casco protettore e metterglielo in testa, facendolo passare per un manovale.
“Aspetta un attimo.” – disse al modello.
Corse alla zona trucco, prese uno spruzzino con dentro dell’acqua e una salvietta.
“Chiudi gli occhi.”
Il ragazzo obbedì e si sentì spruzzare addosso dell’acqua. Poi la ragazza gli tamponò gli occhi, facendolo passare per uno che stava sudando.
“Fagli una foto Jason!” – trillò Hermione.

La luce era perfetta e si frammentava sulle “goccioline di sudore” sulla fronte del ragazzo che fingeva di guardare dove camminasse. Il braccio era in perfetto primo piano e Jason aveva ritratto tutta la fasciatura muscolare nell’atto dello sforzo di sollevare la lastra e il modello… beh… sul modello non si poteva dire assolutamente niente tanto era perfetto.

Con l’aiuto di Hermione, Jason rifece tutte le foto in pose diverse: un modello doveva sistemare in verticale una lastra, uno ci stava sdraiato sotto il sole, uno fingeva di cucinarci sopra e così via, finché l’ultima foto non ritrasse tutti i modelli seduti su un piano come la famosa foto degli operai seduti sulla trave a New York.
Ma a torso nudo.


“Ti farò avere una copia del numero che esce. Queste tienile tu, ok?” – le aveva detto Jason, consegnandole una busta con tutte le foto fatte, sia quelle statiche, sia quelle dinamiche.
Hermione se le strinse al petto, grata.
“Grazie dell’aiuto. Hai una bella fantasia.” – le disse.
“Grazie.” – disse Hermione.
“Ciao Hermione!”
“Ciao…”
“Ciao ragazzi!” – esclamò la riccia che nel giro di una giornata era entrata in confidenza con quei modelli.

Anche lei se ne andò alle otto e mezza di sera, soddisfatta.









Venerdì sette Novembre. Il fatidico giorno.

Come promesso, Draco le aveva mandato una mail con i dettagli del volo:

Data di partenza: venerdì 07/11.
Data di rientro: venerdì 14/11.
Ritrovo in reception: ore 15.00
Volo: ore 18.27

Hermione era un fascio di nervi, perché non sapeva quale fosse il suo ruolo in quel viaggio di lavoro che lei aveva sempre visto fare a Draco e a Pansy.
Nonostante il brevissimo preavviso, era riuscita a lasciare la sua Lilly al vicino di casa, disponibile ogni qual volta lei dovesse andare via per qualche giorno e fosse impossibilitata nel portarsela dietro. Inutile dire che aveva pianto come una fontana. Aveva chiesto a Miky dove potesse lasciare la sua valigia e la collega si era offerta di tenergliela sotto la scrivania fino all’ora di partenza.


Era nervosa.
Ma era anche eccitata.
Beh, era sempre stato un sogno di Hermione quello di fare un viaggio in America, ma solo il biglietto costava un suo intero stipendio più metà della quattordicesima e aveva cose ben più importanti alle quali pensare, così aveva catalogato l’America come un sogno destinato a non avverarsi mai.
Aveva rimuginato come un pensatore filosofico sul perché Draco Malfoy avesse ordinato a lei di seguirlo in quel viaggio e l’unica conclusione alla quale era arrivata, fu che non era per premiarla per il suo lavoro. Naturalmente non sapeva niente di John Cook e della sua mail, non sapeva niente di Pansy Parkinson e degli altarini tra lei e il suo fidanzato; sapeva solo che per lei quel viaggio non era un premio per il lavoro svolto fino a quel momento in azienda.
Guardava in continuazione il suo orologio e sbarrava gli occhi ad ogni minuto che passava e che l’avvicinava inesorabilmente alla data di partenza.




Intanto Draco, nel suo ufficio, stava sistemando le ultime cose prima della partenza. Aveva delegato alcuni compiti ai suoi collaboratori più stretti e aveva lasciato il recapito dell’hotel in caso di estrema urgenza.
Era ancora molto arrabbiato con Pansy per il suo comportamento e aveva preso la decisione di estrometterla dall’azienda una volta tornato dall’America.
Suo padre aveva sempre avuto ragione: mescolare il lavoro con il piacere era sempre controproducente. Eppure una volta andava tutto così bene… da quando Hermione Granger era entrata nella sua vita, tutto sembrava aver preso un’altra direzione.
Preferì evitare di pensarci, perché erano problemi troppo complessi: da una parte c’era la soddisfazione nell’aver appreso che all’interno del proprio organico vi era una persona con ottime capacità gestionali ma dall’altra questa stessa persona e il suo carattere energico stavano mettendo a repentaglio il suo rapporto con la sua futura moglie.
Era un bel casino…

Neanche quel mattino Pansy si era fatta viva al lavoro.

Dalla chiamata con John, Draco aveva tentato di chiamare Pansy ma il telefono o era sempre staccato o quelle volte che riuscivano a parlarsi lei era sempre di fretta, così la chiamata si concludeva con Draco che non riusciva a dirle di quell’imprevisto.

Voleva giocare a sfidarlo? Bene, avrebbe presto imparato che con Draco Malfoy non si gioca! Non sul lavoro, almeno.
Ma non fece neanche in tempo a pensarlo, che una furente Pansy aprì la porta del suo ufficio.
“Che diavolo è questa storia?” – urlò, sventolando in aria i biglietti aerei.


“Buon giorno signorina Parkinson.”
“Buon giorno Isabel. Draco?”
“Nel suo ufficio.” – rispose la ragazza.
“Perfetto.”
L’occhio però le cadde su due buste che lei sapeva essere quelle che contenevano dei biglietti aerei. Perplessa, perché non ricordava di avere in programma un viaggio con Draco – forse era una sorpresa – li prese, prima che Isabel potesse nasconderli alla sua vista.
La segretaria aveva palesato insofferenza per quell’atteggiamento da “io posso fare quello che voglio” ma Pansy non le aveva dato bado.
Aprì il primo che scoprì essere quello di Draco e quando aprì il secondo – che aveva pensato essere a suo nome – era rimasta pietrificata.

Hermione Jean Granger.

“Che diavolo è questa storia?” – tuonò Pansy.
“Il signor Malfoy ha programmato per oggi un viaggio in America alla Livin Home. Mi ha fatto prenotare un biglietto anche per Hermione e… signorina Parkinson, aspetti!” – urlò Isabel, che aveva il compito di custodire quei biglietti a costo della sua stessa vita.
Ma fu troppo tardi: Pansy era già entrata nell’ufficio di Draco.
“Che diavolo è questa storia?”


“Buon giorno.” – salutò Draco senza guardarla, inespressivo, mentre continuava a sistemare le ultime cose.
“Non prendermi in giro Draco! Cos’è questa storia che vai alla Livin Home con Hermione Granger?”
“Esattamente questo.” – disse, bloccandosi un attimo per guardarla in faccia in modo che capisse che non si prendeva in giro Draco Malfoy senza pagarne le conseguenze. – “Tu eri troppo occupata per presentarti in ufficio e non rispondevi alle mie chiamate sul cellulare.”
“Ma… che te la porti a fare?!? Non sa niente quella!”
“La istruirò durante il volo.” – disse sbrigativo.
“Draco… non mi starai tradendo con quella, vero?”
Draco puntò lo sguardo su un punto alle spalle di Pansy. Dire che era profondamente indignato per l’accusa, era dire niente. Perché ogni volta che parlava con una dipendente donna Pansy doveva sempre pensare che la stesse tradendo?
Davvero… stava iniziando a stancarsi!
“Non dire assurdità.” – rispose Draco, il cui interesse nei confronti di Hermione era puramente professionale.
“Annulla il volo. Verrò io con te.” – sentenziò la mora.
Draco avvertì un profondo istinto omicida. Quel suo modo di dargli ordini stava davvero iniziando a innervosirlo.
“No. Ormai ho deciso e se ti fossi degnata di presentarti in ufficio o chiamarmi avrei potuto farlo anche prima, ma…” – Draco si zittì e sentì il sangue incendiarsi nelle vene quando vide Pansy fare una cosa che non avrebbe mai dovuto fare.

Il biglietto intestato a Hermione finì in mille pezzi a terra.

“Ti stai comportando da perfetta immatura.” – fu la risposta di Draco.
“E tu da uno che non vede l’ora di farsi un viaggetto con l’amante.”
“La tua gelosia è fuori luogo.”
Poteva sembrare calmo, ma in realtà Draco era una pentola a pressione pronta allo scoppio.
“Io sono la tua fidanzata!” – sbottò lei.
E Draco non ci vide più.
“E io il tuo fidanzato, ma sembra che questo ti venga in mente quando ti fa più comodo.”
Pansy non rispose a quella frecciatina.
“Puoi fare a pezzi anche il mio di biglietto, ma ormai la prenotazione è stata fatta e non intendo disdirla. Forse la prossima volta risponderai alle mie chiamate e ti presenterai in ufficio. Ora scusa, ma vado a pranzo.”
Naturalmente, non estese l’invito anche a lei.
“E, Pansy?”
La mora si girò, furente.
“Tornato dall’America parleremo.”
Pansy temette che Draco volesse annullare le nozze.
E tremò.




Alle dodici e trenta, Hermione uscì dall’ufficio per pranzare.
Avrebbe pranzato con i suoi amici del magazzino, dando loro una specie di “ultimo” saluto. Aveva un sacchetto pieno di robe da mangiare e nell’altro una torta fatta da lei. Era terrorizzata da quel viaggio perché non sapeva cosa l’attendeva.
Certo che però il direttore avrebbe potuto darle qualche informazione in più, accidenti! Cosa gli costava?
Dandosi mentalmente dell’idiota per aver dimenticato la borsa in ufficio, tornò indietro. Rimase perplessa quando vide Pansy parlare con il tecnico dei computer che era seduto proprio alla sua postazione. Quando Pansy si accorse di lei, sbarrò leggermente gli occhi.
“David… che ci fai qui?” – chiese Hermione, sorpresa.
“Ciao Hermione.” – la salutò l’altro, allegro. – “Ti stavo sistemando la banda dati di Internet.”
“Ah, perché?” – chiese lei, totalmente ignorante in materia.
“Di tanto in tanto controllo che la velocità di trasmissione dati non cali o non cresca eccessivamente e ho notato che la tua è troppo bassa. Hai notato rallentamenti quando usavi Internet?”
“Beh sì, ma pensavo fosse normale che ogni tanto ci fossero dei crolli.”
“No, qui avete un contratto per un tot. di MB. Se non ti secca, adesso te li sistemo, ok?”
“No, no, va benissimo, anzi! Grazie. Beh, ti lascio, io vado a pranzo. Ciao David, signorina Parkinson.”
“Ciao Hermione.”

La ragazza rallentò il passo stranita e, sì, agghiacciata, per quel confidenziale saluto.
Poi scosse la testa e si diresse agli ascensori. Aveva già sufficienti problemi e forse la Parkinson aveva finalmente compreso le direttive di Draco nei suoi confronti.









Alle quindici in punto, Hermione si fece trovare pronta nella reception della ditta in attesa di Draco. Miky le aveva consegnato la sua valigia e ora stava trafficando con i compiti del centralino.
Aveva il fiato corto, come ogni volta che doveva affrontare qualcosa senza le conoscenze adatte per farlo. Quando arrivò Draco capì che quel viaggio si stava concretizzando e che avrebbe dovuto improvvisare.
“Sei pronta?”
“Uh, come no?” – rispose lei, sarcastica.
“Alla fine mi ringrazierai.” – disse Draco. – “Andiamo, il taxi ci aspetta.”
Hermione afferrò la maniglia della sua valigia rosa shokking, che aveva appicciata addosso adesivi di tutti i posti che aveva visitato, sotto lo sguardo perplesso di Draco.
Hermione lo intercettò e sorrise.
“Almeno la riconosco subito quando esce dal nastro trasportatore.” – spiegò lei.
E prima di andarsene, Hermione si girò d’istinto verso l’ingresso. Alzò lo sguardo di poco e sbarrò gli occhi quando vide Pansy Parkinson farle “ciao ciao” con la manina e sorriderle.
Quella fu forse la cosa che la terrorizzò di più.




Il viaggio fu silenzioso, anche perché Hermione non sapeva proprio cosa dire.
Erano seduti entrambi vicini sui sedili posteriori e la ragazza faceva di tutto per non toccarlo.
“Guarda che non ti mordo.” – disse Draco, con lo sguardo fuori dal finestrino.
“Non vedo neanche il motivo per il quale dovrebbe farlo.”
Draco si girò di scatto per dirle che la sua era una battuta ma quando si accorse del sorrisetto divertito di Hermione, scosse il capo e sorrise pure lui.
“Sarà una buona esperienza per te.” – disse l’uomo.
“Non ne dubito, ma mi piacerebbe sapere cosa devo fare una volta arrivati.”
“Te lo spiegherò in aereo.”
Hermione annuì, anche se non capiva perché non volesse anticiparle qualcosa in taxi. Forse non voleva che il conducente ascoltasse? Boh? Prima o dopo non faceva differenza; l’importante era che lo facesse.




L’aeroporto di Gatwick era immenso e, naturalmente, affollato di gente.
Aveva viaggiato in parecchi posti, tutti vicini come la Francia, l’Olanda e anche in Italia, ma nessun aeroporto le piaceva come quello londinese. Il personale era cortese, i controlli rigidi ma giusti ma soprattutto c’era ordine. C’erano segnaletiche ovunque che indicavano ai turisti dove andare per raggiungere una certa destinazione o centri di assistenza per chi non riusciva a venire a capo di un problema. Anche gli addetti al fast-food erano gentili, anche a orari improponibili come quelli notturni.
Seguì Draco al check-in dove consegnò il proprio biglietto, ma non il suo.

“E quello della signora?” – chiese l’uomo.
“Purtroppo c’è stato un problema con il suo biglietto.”
Hermione lo guardò con gli occhi e la bocca spalancata. E glielo diceva adesso?!?!?
“Purtroppo non posso farla salire senza il biglietto.”
“Per cortesia, c’è una prenotazione a nome Hermione Jean Granger per New York, volo delle diciotto e ventisette, posto C1 First Class.”
L’uomo controllò e vide che sì, la prenotazione era stata fatta.
“Sì, la prenotazione c’è. In questo caso dovrebbe farsi fare una copia dal nostro Banco Assistenza laggiù in fondo. Poi torni qui per l’imbarco.”
“Può imbarcare la mia, intanto?” – chiese l’uomo.
“Certo, prego.”
La valigia salì sul nastro trasporatore e la pesata appurò che era nel limite consentito dalla legge.
Hermione era rimasta in disparte, tutta preoccupata per quel contrattempo.
“Andiamo. Facciano una copia e poi torniamo anche per te.”
“Certo che poteva anche dirmelo che c’erano problemi con il mio biglietto.” – disse.
Quel viaggio partiva decisamente male.
“Il problema si è risolto.” – disse Draco, tagliando corto.

Beh, non proprio risolto, pensò Hermione quando si rese conto di che razza di colonna ci fosse al Banco Assistenza. Alzò gli occhi al cielo e guardò Draco, spazientito pure lui per quel contrattempo.
“Senta, se vuole andare a sedersi rimango io qui.”
“Più che a sedermi, vado a vedere se si può aggirare l’ostacolo. Ci troviamo al bar laggiù, va bene?”
“D’accordo.”

Così Hermione si ritrovò a fare la colonna.
Quel genere di imprevisti, generano sempre una sorta di cameratismo tra turisti o viaggiatori. Hermione si girò e annuì vistosamente al commento di una signora che non credeva possibile un tale ritardo. Era lì perché aveva bisogno di sapere se al suo biglietto poteva essere cambiato l’orario e stava aspettando da ben due ore!
Poi da cosa nasce cosa e…
“Io sono qui perché ho la prenotazione ma non il biglietto.” – spiegò Hermione. – “Questa prenotazione non l’ho fatta io, ma una mia collega e non so perché non abbia ritirato il mio. Quello al ritiro dei bagagli mi ha detto di venire qui per farmi fare una copia autenticata, ma mi sembra che gli operatori si siano presi le ferie…” – commentò, mentre cercava di allungare il collo per vedere se erano tornati.
“Spero che tu non debba star qui come un baccalà per due ore…” – commentò la signora che, tra sé e sé, continuava a borbottare sull’inefficienza dei servizi aeroportuali britannici.
Hermione, intanto, stava iniziando a ricredersi pure lei su quanto aveva pensato all’entrata dell’aeroporto. Che avesse solo beccato il giorno sbagliato? Poteva essere…


I minuti intanto passavano e Hermione stava iniziando a spazientirsi.
Continuava a controllare l’orologio del cellulare fin quando non arrivò alla prima mezz’ora di attesa. Si disse che se fosse arrivata alla seconda, avrebbe preso il primo autoparlante e avrebbe stordito tutti con le sue urla.

“Niente.” – disse la voce di Draco dietro di lei. – “Purtroppo dobbiamo fare la copia… ma non è ancora arrivato nessuno?!?” – chiese, attonito, notando che il desk era ancora desolatamente vuoto.
Oltre a licenziare Pansy, le avrebbe messo in conto anche quel dannato imprevisto!
“No, e qui la gente inizia a spazientirsi!” – urlò, cercando di farsi sentire anche davanti.
Draco la strattonò per un braccio.
“Che diavolo urli?”
Hermione lo guardò indispettita ma la signora davanti a lei le andò in aiuto.
“La lasci urlare, giovanotto. Io ormai ho esaurito la voce.” – disse.
Draco sbuffò.
“Cristo…” – esalò l’uomo.

Quando controllò l’ora sul suo cellulare, Hermione era un peperone.
Alla fine era arrivata ad attendere un’ora.
“Ok, adesso mi sono rotta.” – disse la ragazza.
Draco stava dietro di lei, con le braccia incrociate al petto.
“Che stai facendo?” – chiese, mentre la vedeva allontanarsi dalla fila.
“Arrivo subito! E veda di difenderla a costo della sua vita!” – urlò, indicando la valigia.
A Draco parve davvero di essere stato catapultato in un universo parallelo. Ma che diavolo doveva fare per farsi mostrare un po’ di rispetto da quella donna?!


Intanto Hermione…
“Allora… direzione, direzione, direzione… ah, per di qua.”

Hermione si era veramente rotta.
Aveva lasciato Draco a fare la fila, cosa che un normale dipendente non avrebbe mai fatto ed era andata in cerca dell’ufficio del direttore o di chi aveva in gestione l’aeroporto per tirargli dietro un aereo di bestemmie.
C’era gente che doveva lavorare o peggio!, partire per le ferie e per colpa di alcuni lavativi lei e altre persone rischiavano di perdere il proprio volo! Oh, era cattiva come una bestia!
“Buon giorno, posso aiutarla?” – chiese una donna, dall’aria severa.
“Sì, cercavo il direttore dell’aeroporto o qualcuno al quale rivolgermi.”
“Di cosa si tratta?” – chiese la donna.
“Il Banco Assistenza è vuoto e c’è una colonna che ormai arriva al check-in. Forse sarebbe il caso di mettere qualcuno all’accoglienza.” – polemizzò.
La donna non aveva accettato per nulla quella stoccata. Aveva cose ben più importanti a cui pensare.
“Sono sicura che a breve arriverà qualcuno. Torni in fila.”
“Cos’è? Una veggente?” – chiese Hermione, infastidita dal fatto che non avesse nemmeno fatto finta di fare una chiamata per risolvere il problema.
“Senta signorina, lei non…”
Delle risate maschili attirarono l’attenzione delle due donne e Hermione si ritenne altamente baciata in bocca dalla fortuna nel sentire un uomo chiamare quello vestito con un completo grigio “direttore”.
“Mi scusi? Lei con il vestito grigio?”
L’inserviente dell’aeroporto sbarrò gli occhi e cercò di fermare quella ragazzina.
L’uomo, invece, si girò perplesso.
“Sì?”
“E’ lei che dirige l’aeroporto?” – chiese, senza tanti giri di parole.
“Sì, perché?”
“Direttore mi scusi. Stavo cercando di risolvere io il problema della signorina ma…”
“No, tu non stavi facendo un bel niente!” – l’aggredì Hermione, furente.
“Signore, signore per favore calmatevi. Grazie Mary, ci penso io. Prego, mi dica pure.”
Notando la sua gentilezza, Hermione si calmò.
“Al Banco Assistenza non c’è assistenza.” – ironizzò Hermione. – “Dovrebbe aprire alle due, ma sono le tre e non c’è nessuno a servire i clienti. Ci sono persone che stanno aspettando e alcune di loro sono anziane.” – chiarì.
Il direttore cercò di reprimere uno sbuffo.
“Signori, voi intanto accomodatevi pure. Io torno subito. Prego, venga con me.” – disse il direttore.
Hermione lo seguì, con la rabbia un po’ sbollita.


Quando Draco la vide arrivare in compagnia di un uomo, sollevò un sopracciglio.
E quello chi era?

“Signori buon giorno.” – salutò cortese. – “Sono il direttore dell’aeroporto…”
Draco sbarrò gli occhi e avvertì la mascella fare un volo di un metro e ottanta ma non riuscì a dire niente. Quella scriteriata aveva scomodato un direttore?!? Ohssignore!
“… sono davvero spiacente per la vostra attesa, ma vi assicuro che durerà ancora poco. Andrò personalmente a chiamare il personale e verrete serviti in men che non si dica.”
Vari “ooohh” di soddisfazione e malcelati “finalmente!” partirono dalla fila.
Infatti, come previsto dal direttore, due donne arrivarono nel giro di cinque minuti, accesero i computer e finalmente iniziarono a smaltire la ressa.

“Io davvero non ci credo!” – esclamò Draco, sbigottito.
Hermione avanzò di un passo.
“A cosa?” – chiese, più concentrata a preparare eventuali documenti di identità che ad ascoltare Draco.
“Sei andata nell’ufficio del direttore?!?”
“Tecnicamente lui era uscito, ma il concetto è quello.”
“Non puoi scomodare le persone per i tuoi comodi!” – sbottò Draco.
Dietro di lui una signora sollevò un sopracciglio. E meno male che quella ragazza lo aveva fatto o alle otto sarebbero stati ancora lì in fila!
Hermione si girò e si trattenne dal mandarlo a quel paese.
“Quindi lei mi sta dicendo che avrebbe preferito rimanersene in fila fino alle sei?”
“Certo che no ma…”
“E poi non ho scomodato le persone per i “miei” comodi. Il mio intervento ha aiutato tutti, alla fine. E se a nessuno è venuto in mente di andare a lamentarsi ai piani alti, non so cosa farci!” – pure il rimprovero doveva farle?!
Ma come diavolo era stato abituato?!?
“C’era un problema e l’ho risolto. Non mi sembra davvero il caso di rimproverarmi!”
“Buon giorno.” – salutò la donna, fintamente cordiale.
Era ovvio che era stata disturbata nei suoi compiti per coprire un posto che non era di sua competenza. Hermione, già infuriata per tutto quel tempo perso e per la falsità di quel saluto, diede sfoggio della sua innata eleganza.
“Buon giorno una sega.” – chiarì Hermione.
Draco e la donna alla reception sbarrarono gli occhi.
“Mi serve una copia del mio biglietto aereo. Prima di domani, magari.” – sintetizzò, mentre Draco voleva scavarsi una fossa con le proprie mani.
La tizia dietro il bancone non rispose perché, oltre al motto “il cliente ha sempre ragione”, era consapevole che una fila di un’ora avrebbe minato la pazienza anche ad un santo e perché la ragazza aveva il pieno diritto di arrabbiarsi per tutta quell’attesa.
“Il suo nome?”
“Hermione Jean Granger.”
“Volo?”
“New York.”
“In che classe?”
“First class.” – disse lei. – “Posto C1.”
“Ho una Hermione Granger, nata a…” – la donna ripeté i dati anagrafici di Hermione che annuiva, per accelerare il processo. – “… è corretto?”
“Sì.”
“Perfetto. Ora lo stampo.”
Come promesso, l’operatrice stampò la copia del biglietto e glielo porse con un sorriso.
Hermione lo ricambiò con uno talmente falso che l’operatrice smise di sorridere come una babbea.
Insieme a Draco, tornò al check-in, sempre più costernato da quel carro armato di donna.

“Ecco il biglietto.” – disse Hermione, schiaffandoglielo sul banco.
Prese la valigia e la scaraventò sul nastro trasportatore sotto lo sguardo mortificato di Draco e quello perplesso dell’operatore che iniziò a controllare i dati, appose le varie etichette su valigia e biglietto e poi consentì ai due di andare dove più preferivano.

“Vuoi qualcosa da bere?” – chiese Draco, già prostrato ancora prima di salire sull’aereo.
“Eh? No grazie.”
Draco invece si prese un caffè e se ne andò. Per il bisogno di caffeina nel sangue avrebbe mangiato direttamente i chicchi di caffè!
“Che si fa adesso?” – chiese Hermione.
“Sono le cinque. Se vuoi possiamo dirigerci alle uscite.” – propose lui.
“Sì, va bene.”









Calli-corner

Ed eccoci qua.
Finalmente fanno la loro entrata in scena mamma Narcissa e papà Lucius, che va a giocare a golf con Tiger Woods. Finita la cena, sequestra il figlio e Draco si sfoga con lui su Hermione e Lucius gli consiglia di non farsi scappare una tipa simile.


Forse non mi farà una bella pubblicità dirlo, ma giuro che io ho riso come una demente mentre scrivevo il pezzo sull’aeroporto.
Non so voi, ma io Hermione me la figuravo benissimo mentre ordinava a Draco di proteggerle la valigia – quale dipendente sano di mente tratterebbe in quel modo un datore di lavoro? – e andava alla ricerca del direttore.
Per non parlare poi di quando ha salutato l’hostess con quel regale “Buon giorno una sega” che lei si era meritato in pieno.
Io posso capire che quello non è il tuo lavoro, ma se per colpa della tua inefficienza io devo rischiare di perdere il mio volo, permetti che mi possano girare un po’?
Comunque Hermione ha appena dimostrato a Draco di non guardare in faccia nessuno, se si tratta di risolvere un problema. Chissà che il biondino non apra finalmente gli occhi.

Come al solito, sono aperta a qualsiasi tipo di recensione.
Vi lascio con lo spoiler!

“Draco Malfoy, certo.” – rispose la commessa. – “Una camera matrimoniale, giusto?”

A venerdì tessssssssssori!

callistas

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Capitolo 8
*** L'appuntamento con la Livin Home ***


08 - L'appuntamento con la Livin Home Ed eccoci qua, pronti per l’ottavo capitolo di questa fic.
Sono contenta che la storia continui a piacere. Hermione di certo sa come tenere alta l’attenzione e Draco… Draco se la fa andar bene.
Il poveretto è stato letteralmente bistrattato da quell’insolita impiegata che, all’inizio del loro rapporto lavorativo, sembrava così a modo ma che, una volta sguainati gli artigli, si è dovuto ricredere. Hermione sa quello che vuole e se lo prende e, ancora una volta, gli dimostra di essere la persona che ogni azienda vorrebbe nel proprio organico: c’era un problema e lei lo ha risolto.
Non è questo che si chiede a un dipendente, forse? Risolvere un problema senza tanto frignare?

Personalmente, ho messo parecchio di me in Hermione, da questo punto di vista. Odio quando sul lavoro mi vengono a disturbare perché non fanno la fatica di spremere le meningi per risolvere un problema. Tanto… sanno da chi andare per avere la pappa pronta.
È un atteggiamento che non sopporto.
Vabbè.
Passiamo oltre.


Finalmente sono all’aeroporto. Cosa accadrà durante il volo? Si appianeranno un pochino le cose tra quei due zucconi? Ci sarà una svolta?
Per chi lo vuole sapere, rimanga sintonizzato.
Per chi non lo vuole sapere, rimanga sintonizzato lo stesso.
Benvenuti nella Dittatura-Callistas. ù_ù

In ogni caso, ciancio alle bande e buona lettura!
Ci vediamo in fondo come al solito,
callistas









Passarono pure quei controlli.
Fortuna che almeno lì tutte le uscite erano aperte, così la folla poté passare molto più velocemente che al Banco Assistenza. Borsa, orecchini, cellulare, I-pad… tutto quello che conteneva ferro o tecnologia doveva essere messo in apposite ceste che sarebbero passate sotto i raggi x.
Passò prima Draco, senza intoppi, e andò a ritirare le proprie cose ma quando fu il turno di Hermione il metal detector suonò. La ragazza alzò gli occhi al cielo, come ogni volta che doveva viaggiare in aereo.

“Venga qui, per favore.”
Si spostò per far passare gli altri e rispose alle domande dell’agente che l’aveva fermata.
“Si è dimenticata di togliere qualcosa?”

Draco, intanto, osservava con curiosità la sua dipendente in disparte con un agente.
E adesso che c’era? Possibile che non si potesse passare senza intoppi?
Quello fu un altro imprevisto che avrebbe messo in conto a Pansy!
Naturalmente, non sentì niente della conversazione, poiché l’agente aveva portato Hermione in una zona appartata. Riusciva solo a vederle confabulare e basta.

Finalmente, dieci minuti più tardi, dove ogni sguardo si era puntato su Hermione e sul fatto che fosse suonato il metal-detector, la riccia prese le proprie cose e si diresse verso Draco, sperando che non fosse una comare che voleva sapere per for…
“Come mai ha suonato?”
Fortuna che l’aveva appena pensato… e poi dicevano che le donne erano curiose!
“Mi ero dimenticata di togliere il braccialetto.” – mentì.
“Risolto tutto?”
“Sì, andiamo.” – disse, tagliando corto.


L’attesa al gate 8 non fu lunga come quella al Banco Assistenza.
Draco e Hermione porsero agli inservienti i propri biglietti con i documenti di identità e poi salirono sulla navetta che li avrebbe condotti all’aereo.
Salirono le scalette e Draco fece da cicerone alla donna che guidò nella Prima Classe.

Hermione entrò con la bocca aperta.
Non c’era mai stata in quella zona dell’aereo, se non tramite i documentari o le commedie in tv.
“Oh per Dio…” – esclamò, non abituata a tutto quel lusso.
Aveva addirittura paura di sedersi per timore di sporcare i sedili.
Draco, non visto, sorrise divertito. Aveva imparato che Hermione non si faceva problemi a mostrare apertamente le sue emozioni.
Presero posto l’uno di fronte all’altro, notando come la Prima Classe non fosse poi così piena. Beh, comprensibile: non tutti avevano a disposizione le carte di Platino della Malfoy Home…
“Bene, adesso che siamo qui mi dice cosa dovrei fare una volta a New York?” – chiese subito.
Draco non fece in tempo a levarsi la giacca che guardò stranito la donna.
“Certo che non perdi tempo, eh?” – disse, togliendo la giacca e facendola cadere sul sedile accanto al suo.
“E’ che sono curiosa di sapere cos’ha intenzione di farmi fare.” – ammise, mentre osservava dal finestrino gli operatori sistemare le ultime cose prima del volo.
Fece una cosa che lasciò Draco sgomento: alitò sull’oblò e con le dita disegnò una faccina stilizzata. Quando si girò, non si preoccupò più di tanto della faccia del suo titolare che reggeva in mano un’agenda nera.

Ecco che le tornava l’acquolina…

Sbarrò gli occhi quando vide l’uomo porgergliela. Titubante, l’accettò.
Ne saggiò la consistenza, percorse la rilegatura e le cuciture. Doveva essere stata fatta a mano.
“Aprila.” – le disse.
Hermione lo guardò, cercando una conferma anche dal suo sguardo. Trovatala, aprì l’agendina.

La prima cosa che avvertì fu il profumo del suo direttore.
Usava un’essenza decisa, maschile. Forse era il dopobarba che si metteva alla mattina sul volto e che, quando prendeva in mano l’agenda e ne sfogliava le pagine, vi rimaneva impresso.
Girò pigramente le prime pagine, imprimendo nella mente nomi e la sua calligrafia elegante.
Era stupido mettersi a piangere di fronte a ciò che aveva sempre desiderato vedere? Forse sì e solo per questo motivo evitò di farlo davanti al suo titolare che non avrebbe mai compreso le aspirazioni di un’umile dipendente come lei.

Draco le lasciò il tempo di prendere confidenza con la sua agenda, di leggerne i nomi che la componevano.
La vide sbarrare gli occhi quando arrivò in fondo all’agendina, dove c’era la rubrica telefonica. Sorrise.
C’erano nomi importanti, tra quelle righe: Cameron Diaz, Brad Pitt e consorte, nomi di case farmaceutiche, cosmetiche e altro, nomi di politici, nomi di studiosi, nomi di poeti contemporanei…
“Posso prendermi il cellulare di Brad Pitt?” – chiese, conscia della risposta negativa del suo titolare.
“Non ora.”
Hermione alzò di scatto lo sguardo. Significava che un giorno avrebbe potuto?!?
“Allora Hermione… adesso vai alla data del dieci di novembre.”
Hermione obbedì. Era un lunedì e vi era un unico impegno.
“John Cook della Livin Home?” – chiese, perplessa.
“Dobbiamo parlare con lui.”
“Perché usa il plurale?” – chiese.
“Perché abbiamo un appuntamento.”
“E io che vengo a fare? La bella statuina?” – chiese, non riuscendo proprio a capire cosa potesse mai fare lei tra due giganti come la Malfoy Home e la Livin Home.
“No. Inizi a lavorare sul campo.”
Hermione corrucciò le sopracciglia e rimase in silenzio.
“Ho per caso fatto qualcos’altro che non dovevo?” – chiese infine.
“Perché me lo chiedi?”
“Beh, di solito quando vuole affidarmi un incarico, è perché ho fatto qualcosa di sbagliato, quindi… cos’ho fatto stavolta?” – chiese, innocentemente.

Beh, cos’aveva fatto quella volta?
Nulla di particolare, se non essere parte integrante di una piccola vendetta nei confronti di Pansy. Lei aveva snobbato lui e il suo lavoro presentandosi a suo piacimento? Bene!, lui sarebbe andato in America con Hermione solo per prendersi una piccola rivincita.
Di certo, però, non poteva dirle una cosa del genere o era sicuro che la ragazza avrebbe fatto addirittura tornare indietro l’aereo per non essere coinvolta nelle loro beghe.

“Perché non puoi pensare di essertelo meritato?”
Ma la faccia di Hermione esprimeva perplessità. E come darle torto? Era impossibile da credere che un giorno Draco Malfoy si fosse alzato dalla parte giusta del letto e le avesse affidato un compito simile senza prima chiederle se si sentisse in grado di farlo o senza averle dato le giuste indicazioni.
“Me lo sono meritato?” – chiese lei, divertita per quella sorta di sfida che aveva ingaggiato con lui.
Anche Draco, nonostante tutto, si stava divertendo. Permetteva a Hermione di parlargli in quel modo perché era una lavoratrice in gamba. Dubitava fortemente che se avesse avuto davanti un impiegato che faceva il minimo indispensabile, gli avrebbe permesso tanto.
“Tu cosa dici?”
Hermione rise per quel continuo rispondersi con le domande.
“Io non so se me lo sono meritato…” – disse la ragazza. – “… ma qualsiasi cosa abbia fatto, grazie.”

Quando lo aveva ringraziato, aveva sentito un piccolo pungolo al cuore.
Non la stava premiando per qualcosa che aveva fatto ma perché aveva voluto punire Pansy.
Non era un comportamento corretto, quello.

“Hai del potenziale, Hermione.” – le confessò Draco dopo qualche attimo di silenzio, sperando di mitigare un po’ il senso di malessere con quelle parole.
La ragazza lo guardò stupita. Lo aveva detto davvero?
“Sei precisa nel tuo lavoro e ti sai muovere in vari settori. Sei un’eclettica del lavoro.”
La ragazza arrossì sotto quel fuoco incrociato di complimenti.
“Beh… sono dell’opinione che quando viene affidato un compito, questo deve essere fatto nel miglior modo possibile.”
“Sì, dovrebbe essere così, ma non tutti ragionano come te. La maggior parte delle persone lavora per lo stipendio e se non è adeguato alle proprie aspettative, iniziano a lavorare male.”
“Non creda che io sia così santa, signor Malfoy. Nemmeno io lavoro gratis.” – precisò Hermione.
“Lo so.” – disse Draco, leggermente sconvolto per la schiettezza della ragazza. – “Ma a volte è una soddisfazione anche per un datore di lavoro fare il bonifico di uno stipendio, sapendo che la persona in questione se lo è meritato fino all’ultimo centesimo.”
Se andava avanti di quel passo, rischiava l’autocombustione!
Che Draco Malfoy avesse bevuto un alcolico al posto del caffè?, altrimenti non si spiegava tutta quella sfilza di complimenti. Quella volta, però, non disse niente: li incassò per poi riascoltarli come una vecchia canzone mai del tutto passata di moda.

Nell’attesa che l’aereo decollasse, i due iniziarono a chiacchierare, mantenendosi su terreni neutrali come il lavoro o gli hobbies.


Quando l’aereo iniziò a rullare, Hermione provò un senso di momentaneo vuoto dentro di sé.
Provava quella sensazione ogni volta che stava per fare una cosa importante o quando qualcosa di importante stava succedendo nella sua vita.
Prese un bel respiro e si preparò ad affrontare quella nuova avventura con l’animo di chi è riuscito a conquistare il proprio datore di lavoro con il proprio impegno.









Partire da Londra alle sei del pomeriggio e arrivare alle dodici, scatenò in Hermione un moto di ilarità.
“Perché ridi?”
“Fare questi viaggi, è come tornare indietro nel tempo. Siamo partiti alle sei di sera e adesso è mezzogiorno.”
Draco avrebbe voluto dire qualcosa, ma si rese conto che non riusciva a dire niente. E quella era la prima cosa che le era venuta in mente non appena messo piede sul suolo americano? Bah, chi la capiva era bravo…

Come predetto da Hermione, la ragazza avvistò immediatamente il proprio bagaglio che spiccava in mezzo a quello degli altri come un pugno in un occhio.
In molti guardavano quel colore così particolare veramente divertiti e sorridevano in direzione di Hermione che ricambiava i sorrisi.
La valigia di Draco, naturalmente più sobria, dovette fare il giro un paio di volte prima di essere presa perché era un modello che si confondeva molto bene con quello di altri viaggiatori.
Quando riuscì nell’impresa, Hermione lo guardò divertita.
“Ti sarei grato se non dicessi niente.” – disse, frustrato perché anche in quel frangente, Hermione sapeva come cavarsela.
“Ma se non ho parlato!” – esclamò, la cui faccia però dava a intendere dell’altro.
Gli andò dietro cercando di non farsi sentire mentre rideva ai suoi danni…

La loro sembrava una partita, dove non c’erano vinti o vincitori: continuavano a segnare punti di pari passo. Prima Hermione aveva riso di Draco perché aveva impiegato venti minuti buoni per prendere il proprio bagaglio, ora era Draco che rideva di Hermione quando l’aveva vista sbarrare gli occhi, incredula, perché ad attenderli c’era un autista con tanto di cartello con su scritto i loro nomi.
Chissà chi avrebbe vinto, alla fine…

“Signor Malfoy?” – lo chiamò l’autista, per sincerarsi della sua identità.
“Sì, sono io.”
“Buon giorno signore. Io sono Arthur. Sono qui per conto della Livin Home. Vuole seguirmi’”
La folla intorno a loro li guardava un po’ invidiosa di quel privilegio che sicuramente costava e poi tornò a farsi i fatti propri.
Il signor Arthur guidava una macchina elegante, ma non eccessivamente vistosa. Prese i bagagli e li mise nel baule e quando andò ad aprire la porta, notò che la ragazza era già salita.
“Non dica niente, per favore…” – disse Draco, sconsolato per quella mancanza di stile di Hermione.
La riccia si era chiusa dietro lo sportello e poi aveva abbassato il finestrino per buttarci fuori la faccia. Non si sarebbe persa niente dell’America, neanche del viaggio dall’aeroporto all’albergo!


Beh, forse quel viaggio poteva anche saltarlo, perché per la strada c’erano solo campi sterminati. Niente di così eclatante da essere immortalato con una fotografia.
Arthur diede loro maggior privacy, alzando il vetro per separarli e dar loro modo di chiacchierare senza essere disturbati.
“Avresti potuto aspettare che Arthur ti aprisse la porta.”
Hermione si girò. Aveva come colto una sorta di rimprovero per quell’azione che per lei era naturale come respirare.
“E perché?”
Draco pensò che quella donna non avesse mai del tutto superato la fase infantile dei “perché”. Ogni volta che le faceva presente qualcosa, lei subito gli chiedeva “Perché?”. Era snervante…
“Perché è un suo compito.”
“Cos’è? Gli danno dieci dollari in meno se non apre la portiera a qualcuno?” – chiese, cercando di non mostrarsi palesemente indispettita per quella forma di servizio che per lei era assolutamente fuori luogo.
Ed ecco la guerra fredda…
“No, ma è pagato anche per questo.”
Hermione però non se la sentiva di dargliela vinta in quel modo e Draco se ne accorse. Aveva qualcosa da dire e da come si torturava le labbra, se non lo avrebbe fatto nel giro di poco, sarebbe scoppiata.
“Cosa c’è adesso?”
“Posso dirle una cosa senza rischiare il licenziamento?”
“Ohssignore!” – esclamò l’altro, già esasperato.
Era certo che da quel viaggio sarebbe tornato devastato.
“Dimmi!” – esclamò.
“Secondo me lei è abituato troppo bene.”
Draco la guardò con gli occhi sbarrati.
“Prego?”
“Sì, insomma… prima classe, autisti che le aprono la porta. Cos’è? Troverà anche lo champagne con le fragole in camera?”
La sua, che voleva essere una battuta grazie a tutti i film che aveva visto, si era rivelata, alla fine, essere la pura verità.
“Andiamo bene…” – disse Hermione, perplessa e spaesata di fronte a tutto quello spreco.
“Scusa, non vedo perché tu ti debba fare tutti questi problemi. Non vedo perché quando ci si può permettere di vivere nell’agiatezza non se ne possa approfittare. E poi pago io.
Non l’avesse mai detto!…
Hermione si gonfiò come un gatto di fronte al cane e Draco comprese di aver appena innescato una bomba nucleare.
“Oh, dubito sinceramente che lei tiri fuori di tasca propria i soldi per pagare l’albergo.” – puntualizzò. – “E comunque qui non si parla di “agiatezza” ma di un vero e proprio sperpero!”
L’attimo in cui Hermione lasciò l’ultima parola scivolarle dalla bocca, si chiese perché mai dovesse prendersela in quel modo. Insomma… erano cavoli suoi! Chi era lei per fargli la predica su come sceglieva di spendere il proprio denaro?
Adesso capiva perché i suoi familiari, spesso e volentieri, dicevano che lei prima di pensare, parlava.
Chiuse gli occhi, indispettita da quel suo maledetto difetto che saltava fuori sempre nei momenti meno opportuni.
Di certo quello non era il modo migliore per farsi amico il titolare e riuscire a diventare la sua segretaria personale.

Draco, dal canto suo, era rimasto senza parole.
D’accordo, poteva sopportare che lei lo rimbeccasse sul lavoro, perché fino a quel momento non aveva mai trovato niente su cui recriminare, ma su come spendeva il suo denaro… oh no!, quello proprio non lo poteva tollerare!

“Se pensi che…”
E la sua arringa venne smorzata dalle scuse di lei.
“Sono desolata.” – ammise, sinceramente pentita.
E neanche in quell’occasione, Draco ebbe modo di rimproverarla a dovere.
“Lei può fare quello che vuole con i suoi soldi. Chiedo scusa…”
“Scuse accettate.” – disse lui. – “Ma la prossima volta pensa, prima di parlare.” – l’ammonì, ancora indispettito per quel commento così fuori luogo.
E come disse qualcuno…
“Obbedisco…” – sussurrò Hermione, attenta a non farsi sentire…









Hermione, infilati la lingua su per il…
“Siamo arrivati.” – disse Draco, interrompendo i suoi poco casti pensieri.
La macchina si era fermata di fronte a un albergo monumentale. Era talmente grande e sviluppato in lunghezza, che Hermione perse il conto di quante finestre c’erano su un piano alla diciottesima.
Per evitare di irritare ulteriormente il suo datore di lavoro, aspettò che Arthur le aprisse la portiera. Draco scese elegantemente e quando fu il turno di Hermione l’autista le porse la mano per aiutarla.
Hermione lo guardò, confusa e poi guardò Draco che sperò di evitare una seconda figuraccia.
“Gli devo dare la mancia?” – chiese, confusa.
Draco, non visto, si spiaccicò una mano sulla faccia, frustrato e Arthur cercò di non ridere troppo apertamente in faccia a quella che lui pensava fosse una contadinotta.
“Arthur vuole solo aiutarti a scendere, Hermione.” – chiarì Draco, che non riusciva a comprendere come Hermione non conoscesse le basi delle buone maniere.
“E perché?”
Oddio adesso la strozzo!, pensò Draco.
Lei era ancora seduta sui sedili, mentre aspettava una risposta abbastanza soddisfacente da farle mettere la propria mano su quella di Arthur.
“Perché questa si chiama galanteria, Hermione.” – chiarì Draco.
Il povero autista era ancora fermo impalato con la mano rivolta verso l’alto, aspettando che la donna si decidesse a posarla sulla sua.
“Non c’è mica bisogno di essere così scorbutici!” – lo rimbeccò lei, piccata.
Cavolo!, non era colpa sua se non era abituata a tutte quelle moine!
La voglia che Draco aveva di strozzare Hermione era proporzionale a quella di un tossico in astinenza. Si chiese un milione di volte, nell’arco di un secondo, come facesse a non sapere niente!
Hermione posò la mano su quella di Arthur che, elegantemente, la tirò fuori. Lei però, un po’ impacciata, fece solo la figura di inciampare nei propri piedi e finire addosso all’autista che la prese in extremis.
Si ricompose frettolosamente, rossa per la figuraccia.
“Ehm… grazie…” – disse, con un sorriso imbarazzato.
“Si figuri.”
Arthur si allontanò per prendere i bagagli e Hermione cercò di evitare lo sguardo divertito di Draco.


Quell’albergo era davvero imponente.
La porta era girevole e Hermione dovette aspettare un paio di giri prima di trovare il coraggio di infilarcisi dentro perché aveva paura di sbagliare e prendersela in testa.
Quando finalmente riuscì a entrare, venne il problema di uscire dall’altra parte.

Temendo di dover rimanere lì a vita, Draco andò in soccorso di Hermione e afferrandole con decisione il braccio la tirò fuori, con tanto di valigia appresso.
“Molto gentile.” – disse Hermione con pesante ironia, poiché l’aveva tirata fuori con la stessa decisione con la quale un genitore porta via un figlio particolarmente capriccioso.
“Figurati.” – rispose Draco, con la stessa verve.
L’uomo, mentre si dirigeva verso il bancone della reception per avere le chiavi della propria camera, sperò, pregò, auspicò, implorò che non gli capitassero altri ritardi o inconvenienti.
Hermione si era attardata per poter ammirare meglio l’arredamento. Era tutto molto bello; i marmi che componevano gli arredamenti erano principalmente bianchi, salvo qualche nota di colore per dare maggior visibilità a questo o a quell’altro mobilio.
Evitò per un soffio il ragazzo addetto alle valige. Conscia di non essere nel proprio habitat naturale, raggiunse velocemente Draco, per farsi dare la chiave della propria camera.

“Draco Malfoy, certo.” – rispose la receptionist. – “Una camera matrimoniale, giusto?”
“E’ forse impazzita?!” – chiesero i due in coro, atterriti dalla possibilità.
La donna li guardò, imbarazzata. Che avesse commesso un errore?
Ricontrollò meglio il documento d’identità e il nome della prenotazione. Si scusò mille volte.
“Oh, scusate. Ho letto male il suo nome signor Malfoy, desolata. Sì, due doppie uso singole per lei, signor Malfoy e per la signorina Hermione Granger. È corretto?”
“Sì.” – disse Draco, al quale era preso un mezzo infarto.
E chi glielo spiegava poi a Pansy che era stato un errore di quelli dell’albergo?…
“Ecco le vostre chiavi. Buon soggiorno all’Hilton Hotel. Se volete accomodarvi là in fondo, vi manderò subito il facchino per i bagagli.”
“Sì, grazie.” – disse Draco, allontanandosi dal bancone. – “Ci mancava solo che ci mettesero in camera insieme…” – borbottò.
“Cosa vorrebbe insinuare con questo?” – chiese Hermione, sentendosi offesa dal commento.
“Niente, lascia stare…” – disse l’altro, stanco per il fuso orario.
Non voleva di certo mettersi a ingaggiare un battibecco con quella ragazza!
“Signor Malfoy?”
Un ragazzo con la divisa dell’hotel si presentò da loro.
“Sì?”
“Sono il facchino. Se mi date i bagagli, ve li porterò in camera.”
“Ah sì, grazie. Sono questi due.”
Il ragazzo annuì e prese in consegna le valige. Accompagnò per prima la ragazza e poi Draco che, a fine servizio, gli lasciò una lauta mancia.
“Buona giornata signore.” – ringraziò l’altro, tornando di sotto.
Finalmente un po’ di pace!




Un po’ più a disagio, invece, era Hermione.
La stanza era tre volte il suo appartamento. Quando il facchino se ne era andato, aveva preso a guardarsi intorno, giusto per orientarsi. Il letto era a due piazze – stile ottocento, pensò Hermione – ricco di cuscini per dormire e decorativi. Ci si sedette sopra, e si mise a ridere quando lo sentì sprofondare. Molleggiò un paio di volte e poi andò in cerca della meraviglia successiva.
Ai piedi del letto c’era una specie di panca rivestita di velluto. Immaginò fosse per i vestiti, perché non c’erano appendiabiti nei paraggi.
Vicino all’immensa vetrata c’era un tavolino e dall’immensa cultura di film immaginò fosse quello della colazione.
Per curiosità, andò ad aprire la finestra e non le mancò poco di cadere di sotto.
“Porca!…”
Stava all’ultimo piano dell’albergo ed erano parecchio altini… per evitare incidenti, chiuse la vetrata e rientrò. E decise di andare alla ricerca del bagno.

Quando aprì la porta, rimase senza parole.
Era immenso e luminoso. Regnava un profumo di pulito tanto che la ragazza pensò fosse stato appena tirato a lucido.
C’era una vasca che faceva da idromassaggio e anche una doccia.
“Che spettacolo…” – esalò.

Uscì dal bagno, solo perché qualcuno aveva bussato alla porta.
“Chi è?”
“Sono io.”
Aprì la porta e si trovò davanti il suo titolare.
“Sì?”
“Posso entrare?”
Si fece da parte e lo accolse.
“Allora, ti piace la camera?”
“Beh, non sono pvopviamente abituata a qvesto levciume, ma mi accontevò.” – scherzò lei.
Draco corrucciò le sopracciglia per non darle a vedere quanto la battuta lo avesse divertito.
“Guardi che non muore nessuno se si lascia andare a una risata, eh?” – disse lei.
“Hermione…” – la richiamò lui, con il tono di un genitore mezzo divertito e mezzo indispettito.
“Ok, ok…” – disse l’altra, mollando la presa. – “Aveva bisogno di qualcosa?”
“Sì. Hai fame?”
“Un po’.”
“Allora scendiamo in sala da pranzo. Lì ti spiegherò cosa faremo in questi giorni.”

E Draco fu di parola.
La mise al corrente di ciò che avrebbero fatto davanti a un bel piatto di pasta italiana.
Ma la lingua lunga di Hermione era in agguato.


Quando il cameriere arrivò con i piatti, il sorriso di Hermione morì atrocemente sulle labbra. Era così affamata che avrebbe mangiato un bue intero e ci rimase veramente malissimo quando le sistemarono sotto il naso tre spaghetti in croce con mezzo filetto di pancetta e una pallina di quello che, all’apparenza, era un po’ di uovo.
“Buon appetito.” – augurò Draco con la forchetta pronta ad affondare nel risotto ma rimase perplesso nel vedere Hermione con lo sguardo fisso, sbarrato e inorridito sul piatto. – “Qualcosa non va?”
La ragazza alzò lo sguardo, agghiacciata.
“Hermione?” – insistette lui.
Si preoccupò subito. Che fosse allergica a qualcosa?
“Scusi… ma lei con un piatto del genere riesce a cavarsela la fame?” – chiese indignata dalla porzione che non avrebbe sfamato neanche un neonato.
La faccia di Draco era impagabile. Un misto tra indignazione e rassegnazione si mescolavano sul suo volto. Iniziò a rimpiangere Pansy…
“Non puoi pretendere che ti portino due etti di pasta, Hermione.” – chiarì Draco.
Inforcò una noce di riso che però si bloccò a pochi centimetri dalla bocca.
“Perché?”
Signore, ti prego, ascolta questa mia preghiera…, pensò Draco stremato.
“Perché in questi ristoranti queste sono le porzioni. Non sei in un agriturismo.” – la rintuzzò.
“Perché? Lei è mai stato in un agriturismo?” – chiese Hermione, che non aveva gradito il modo di Draco di farsi beffe di quel genere di ristorante.
Per la seconda volta aveva tentato di mangiare il primo boccone e per la seconda volta aveva fallito.
“No e non mi interessa neanche.”
“Perché?”
Draco sospirò esausto. Se sapeva che avrebbe dovuto pranzare con una zecca, non sarebbe passato per chiederle se aveva fame.
“Non sono posti che fanno per me, quelli.”
“Razzista…” – commentò Hermione che, in un paio di forchettate, aveva finito la pasta.

Nel tavolo vicino, una signora che aveva l’aria di avere molta puzza sotto il naso, guardò Hermione con disgusto per la maleducazione dimostrata nello spazzolare il piatto e raccattare quel poco di sugo che c’era con il pane.
L’occhio di Hermione cadde su questa donna e con un gesto della mano le chiese cosa volesse da lei. La donna fece una faccia indignata e tornò a mangiare la propria portata.

“Tu invece ci vai e ti rimpinzi fino a stipare ogni buco, immagino.” – commentò Draco che prese del vino per sé.
Hermione lo guardò male.
“Di solito in un ristorante si va per mangiare, non per patire la fame. Neanche in dieta si patisce la fame in questo modo.” – disse, riferendosi al piatto appena gustato.
Era molto buono, Hermione non poteva negarlo, ma era troppo poco!
“Questa non è una cucina normale. È rivolta a persone di un certo…”
Hermione sollevò un sopracciglio. Era proprio curiosa di sapere cos’avrebbe detto.
“Di un certo?” – lo sfidò la donna.
Draco si morse la lingua. Cazzo!
“… di un certo grado sociale.” – concluse, non trovando nulla per svicolare.
“Desolata se sono una grezza ragazza di campagna.” – si schernì lei.
“Non ho mai detto che tu sia grezza.” – precisò.
Hermione sollevò un sopracciglio.
“Non si arrampichi sugli specchi.” – lo rintuzzò.
Draco sospirò.
“Senti, possiamo…”
“Allora, cosa dovrò fare?” – chiese la riccia, tagliando corto.
Draco sospirò ancora e decise di accantonare la questione. Iniziò a raccontare per filo e per segno ciò che avrebbero dovuto fare.
Hermione ascoltò tutto con attenzione, come quando si trovava davanti a un nuovo compito. Aveva ascoltato e metabolizzato le informazioni ricevute e le aveva registrate nella mente.
Draco aveva parlato molto lentamente, non perché la ragazza di fronte a lui fosse ritardata, ma perché sapeva che quello era un appuntamento molto importante e tutto doveva filare liscio.
Ne andava del futuro della Malfoy Home.
Avrebbe fatto lo stesso con Pansy.
Fu durante il dolce, Hermione espresse le proprie perplessità.

“Lei non mi sta dicendo qualcosa.” – iniziò Hermione.
Draco serrò le labbra. Ma che aveva quella? Un radar?
“Dimmi.”
“Onestamente è da quando mi ha detto che avrei fatto questo viaggio con lei che non faccio che sfondarmi il cervello per trovarne il motivo. Possiamo stare qui anche tutta la notte a parlare della mia attitudine al lavoro, ma entrambi sappiamo che questo non è un viaggio premio. Lei è il titolare ed è giusto che un dipendente esegua gli ordini che lei gli da, ma se sono qui per qualche faida tra lei e la sua fidanzata, credo sia giusto e onesto da parte sua dirmelo.”
“Hermione, io non…”
“Per favore.” – disse Hermione. – “Io sono scorbutica, ignorante in queste cose…” – disse, riferendosi al siparietto della quantità del cibo. – “… e ammetto che la maggior parte delle volte parlo prima di pensare, ma le ho sempre dimostrato, e se non è così mi smentisca pure, di essere una buona lavoratrice, onesta e che non si tira indietro di fronte a nessun compito. Quindi per favore… sono qui perché lei e la signorina Parkinson avete litigato?”

Il ragionamento che si era fatta Hermione era molto semplice.
Poiché quel tipo di viaggio Draco lo faceva con Pansy, la prima cosa alla quale pensò subito la ragazza, fu che tra i due fosse avvenuto un litigio, perché Draco non era il tipo che sceglieva una collaboratrice inesperta per un colloquio importante come quello con la Livin Home.

Onestamente, Draco non sapeva cosa fare.
Doveva dirglielo o come aveva giustamente fatto notare lei stessa, lui non era tenuto a tanto? Eppure sapeva che le sue parole, in parte, erano vere.
Beh, erano vere e basta.

“Se ti dicessi di sì, cambierebbe qualcosa?”
Hermione chinò lo sguardo sul tovagliolo che aveva sulle gambe e lo stirò, per tenere le mani occupate. Una parte di lei avrebbe preferito che il signor Malfoy le dicesse di no, che quel viaggio se l’era meritato grazie al suo lavoro ma l’altra parte si sarebbe ribellata di fronte a quella palese menzogna, preferendo la brutale verità.
Era però delusa che una cosa così importante fosse stata decisa a causa di un bisticcio tra fidanzati. Lei voleva certamente andare in America, ma solo grazie alle proprie doti.
“Allora è così? Sono qui perché voi due avete litigato.” – disse.
E non era più una domanda.
“Ora tocca a me fare una premessa.” – disse Draco. – “Premetto che non è mia abitudine discutere le mie decisioni con un dipendente ma come ho già detto, tu hai del potenziale Hermione, un potenziale che se ben coltivato potrebbe portare a ben altri livelli.”
L’azienda? Lei stessa? Entrambe?
Hermione non riusciva a darsi una risposta.
“Ma ho avuto modo di conoscerti in questi anni. Sei puntuale e precisa e hai un’elasticità mentale che è difficile da trovare. Rare sono le persone con il tuo dono.”
“Signor Malfoy venga al dunque.” – disse Hermione.
Non era decisamente il momento per le lusinghe, quello.
Draco annuì, concedendole il punto.
“Il punto è Hermione che questo viaggio non era esattamente ciò che avevo in mente per te, o almeno, non nell’immediato.”
Hermione sospirò pesantemente. Non aveva per niente gradito.
“Ciò non toglie che…”
“Ciò non toglie che ogni volta che lei deve premiarmi per le mie cosiddette “capacità”, mi ritrovo invischiata in due lavori o tra le vostre beghe. Ma è così difficile lasciarmi fuori? Che cavolo! Me ne stavo così bene al centralino, io!” – si lamentò.
“Avresti davvero preferito rimanere al centralino per sempre? Con le tue potenzialità?”
“La sa una cosa? Queste mie potenzialità stanno iniziando a darmi sui nervi!” – disse, arrabbiata, scaraventando il tovagliolo sul tavolo.
Finora le avevano procurato solo rogne!
“Finora non mi ha mai incentivato perché le ho dimostrato che ci sapevo fare, ma solo bastonato perché rispondevo male a Pansy!”
Era la tipica bambina che esponeva al genitore com’erano andate le cose per filo e per segno per non beccarsi una punizione immeritata.
“E davvero non riesco ancora a credere di essere qui a fare una cosa… che non so fare!” – esclamò.
“Abbassa la voce.” – le intimò Draco.
Le sue urla stavano attirando un po’ troppo l’attenzione.
Hermione lo guardò malissimo per quel tentativo di farla passare dalla parte del torto quando era lui ad essersi comportato male con lei fin dall’inizio.
“Sì, non si preoccupi.” – disse Hermione, alzandosi da tavola.
Draco la guardò perplesso.
“Dove vai?”
“In camera. Posso o devo chiedere il permesso?” – chiese, allargando di poco le braccia in fare ironico.
Draco abbassò leggermente lo sguardo e lei se ne andò.

Non poteva darle torto.
E, cazzo… stava pensando che da quando aveva iniziato a notarla – sì, da quando aveva risposto a Pansy quel giorno nel suo ufficio – non era mai riuscito a controbattere a nessuna delle sue parole.
Poi quel colpo basso non se l’era per niente meritato. Nemmeno a lui sarebbe andata giù una cosa del genere.

Il cameriere arrivò.
“Gradisce un caffè, signore?”
“No, grazie.”
Si alzò anche lui e andò in camera.
Aveva bisogno di una bella doccia.




Hermione entrò in camera e sbatté la porta alle spalle.
Ancora non capiva perché se la prendesse tanto. Insomma!, non era il primo datore di lavoro che le faceva fare cose assurde senza dare delle giustificazioni! Draco Malfoy era stato abbastanza onesto con lei eppure ancora non lo riusciva a digerire.

Era iniziato tutto quel giorno a causa di Pansy Parkinson.
Forse doveva riconoscerle un merito, perché se non fosse stato per lei e il suo voler continuamente avere l’ultima parola – cosa che non aveva mai, non con lei, almeno – lei non avrebbe mai avuto modo di mostrare al signor Malfoy le proprie capacità. Senza di lei, molto probabilmente sarebbe stata ancora a rispondere “Malfoy Home buon giorno sono Hermione, posso aiutarla?” e allora?
Massì… forse doveva smetterla di crearsi tutti questi problemi e accettare le cose come venivano, doveva smetterla di rispondere a qualsiasi cosa gli dicesse il suo titolare e accettare le sue decisioni in silenzio.
E smetterla di sperare che un giorno lui l’avrebbe premiata per le sue capacità.

Presa quella decisione, che in realtà era un arrendersi di fronte a delle ingiustizie che non sopportava, Hermione andò in bagno e scelse di farsi un bel bagno nella vasca e rilassarsi. Magari l’avrebbe aiutata a calmare i nervi – forse era ancora stanca dal fuso orario e dal viaggio – e ad affrontare al meglio quella nuova esperienza che iniziò a sperare finisse il più presto possibile.


L’albergo metteva a disposizione dei clienti una serie di essenze da liberare nell’acqua calda.
Hermione ne scelse una alla vaniglia perché aveva bisogno di rilassarsi e quel profumo dolce l’avrebbe sicuramente aiutata, come infatti accadde.
La vasca, munita di poggiatesta, permetteva a Hermione la più rilassante delle posizioni e poco le mancava per addormentarsi. Nel silenzio del bagno finalmente sentì i nervi distendersi e la mente svuotarsi di ogni pensiero.
Forse era di un bel bagno che aveva bisogno.




Draco entrò in camera e la prima cosa che fece fu disseminare i propri vestiti dal letto fino al bagno.
Aveva bisogno anche lui di distendersi perché solitamente quando arrivava in America con Pansy, la prima cosa che faceva era un bel bagno e un sonnellino di qualche ora per riprendersi.
Non solo quand’era arrivato aveva dovuto dare qualche lezione a Hermione su quale fosse il galateo degli autisti, ma aveva pranzato subito e avuto una discussione con la sua dipendente.
Di certo, non era ciò che si poteva definire un arrivo tranquillo…

Entrò in doccia e non aspettò neanche che l’acqua si scaldasse.
Rimase sotto il getto per qualche minuto e poi iniziò a insaponarsi. Era tutto sbagliato.
Hermione, lui, il viaggio, il perché di quel viaggio…
Certo, ora sapeva di cos’era capace Hermione ma a che prezzo? Aveva sempre dato un’impressione di integerrimo uomo d’affari e con lei aveva buttato tutto all’aria.
Si sentiva a pezzi.
Si era mai sentito così suo padre? Aveva mai avuto tutte quelle indecisioni?
I pensieri sulla sua inefficienza tornarono prepotenti e lo schiacciarono.
Cosa doveva fare?









L’appuntamento con John Cook della Livin Home giunse insospettabilmente presto.
Quel fine settimana Draco e Hermione non si videro mai. Lui si faceva portare la cena in camera, mentre lei, invece, scendeva al ristorante.
Nonostante l’arrabbiatura, cercava di ordinare pietanze poco costose per non gravare troppo sulle spese extra di quel viaggio.

Essendo quello un appuntamento molto importante, avrebbero prima cenato insieme e poi si sarebbero appartati in una saletta privata del ristorante, dove avrebbero discusso del motivo di quell’incontro.

Draco aveva mandato Hermione alla boutique dell’albergo. Dopo una veloce telefonata con la commessa e averle spiegato per filo e per segno cosa gli serviva, si era preparato.
Hermione aveva ricevuto in camera la chiamata dalla boutique e dopo mezz’ora a cercare di far capire a quella commessa che doveva esserci un errore, quando la donna finalmente fece il nome di Draco Malfoy, Hermione rimase muta per un paio di secondi, e poi riagganciò.


Draco stava aspettando nella hall dell’albergo da circa dieci minuti che Hermione arrivasse.
Non aveva pensato neanche per un momento che la ragazza scegliesse di non presentarsi per fargli una sorta di dispetto. Infatti, si presentò qualche istante più tardi tutta in tiro.

La prima cosa alla quale pensò, fu che era davvero una persona molto professionale.
La seconda, che non era una donna qualsiasi, perché un’altra al suo posto – Pansy – lo avrebbe fatto attendere fino alla fine dei tempi per prepararsi.
La terza che aveva stentato a riconoscerla.
Il vestito che la commessa aveva scelto in base alle sue richieste le stava molto bene, così come i capelli lasciati sciolti lungo le spalle. Draco notò che in molti si erano girati al suo passaggio. Forse non era una cosa carina da pensare nei confronti di una donna ma Draco immaginò che tutti coloro che si erano girati, lo avessero fatto per i capelli.

Non di certo per la ragazza.

Sì, era carina, ma era una che stava nel mazzo.
Si chiese Draco come avrebbe reagito Hermione se lo avesse sentito parlare in quel modo…
“Buona sera, scusi il ritardo.” – disse Hermione.
“Non ti preoccupare. Sei molto elegante.” – notò.
La riccia si guardò, perplessa. Non era abituata ai vestiti lunghi e quando la commessa le aveva detto che il signor Malfoy aveva deciso così così aveva tirato una sequela di imprecazioni che avevano lasciato basita la commessa.
“Grazie.” – disse molto spicciamente. – “Il signor Cook è già arrivato?” – s’informò.
“Non ancora.” – rispose Draco, un po’ confuso dal cambiamento che aveva intravisto in Hermione. – “Abbiamo detto alle otto e mezza.”
Hermione alzò gli occhi sull’enorme orologio a muro e vide che erano le otto e venti.
Sperò di non aver a che fare con il solito spocchioso arrogante che poteva permettersi di fare ciò che voleva.
“Prendi qualcosa da bere intanto che aspettiamo?” – chiese.
Era calamitato dai suoi occhi. Erano di un marrone così chiaro che sembrava quasi ambra. La matita nera poi li evidenziava in un modo tale che li faceva apparire come due fari nella notte.
“No grazie.” – disse con un sorriso tirato.
“Come vuoi. Un martini on the rocks.”
Il barman annuì e iniziò a preparare il drink.
Draco si accomodò su uno dei tanti divanetti.
“Guarda che puoi sederti, sai?”
“Sto bene in piedi.” – rispose lei mentre continuava a guardare la porta, sperando che quel Cook si presentasse subito, che la cena passasse senza tanti problemi e andare a letto.
Draco non disse altro. Evidentemente le aveva girate e lui non aveva voglia di trovarsi nell’occhio del ciclone.
“Il suo martini, signore.” – disse un uomo, porgendo a Draco il suo drink.
“Grazie.”
Discreto, il cameriere se ne tornò al proprio posto.
“Hai fretta di andartene?” – chiese Draco, leggermente infastidito da quel suo atteggiamento.
Hermione si girò con la risposta già pronta sulla lingua, ma si ricordò di ciò che si era promessa solo quel pomeriggio nella vasca.
“No. Solo non sopporto i ritardatari.”
Draco soppesò la risposta. Era fin troppo tranquilla e subodorò qualcosa: non era da lei non rispondere con una frecciatina.
“John è un uomo molto impegnato.” – precisò.
Possibile non capisse che certe persone contavano più di altre perché avevano impegni ben più importanti?
“E lei non era impegnato?” – chiese.
Draco sollevò le sopracciglia, sorpreso. Stava prendendo le sue parti?
“Non aveva impegni a Londra?”
“Sì ma…”
“Eppure lei è qui, puntuale, ad aspettare un uomo in ritardo.”
“Tu sputi sentenze un po’ troppo facilmente.” – disse Draco, finendo il suo drink.
Non era arrabbiato con lei: voleva solo che capisse che quando si ha un’azienda multimilionaria sotto le chiappe, certi piccoli gesti, come l’arrivare in ritardo, che a persone come Hermione potevano far venire l’orticaria, erano purtroppo all’ordine del giorno.
“Quando gestisci un impero, come nel caso di John, purtroppo devi accettare certi compromessi. Nemmeno a me piacciono i ritardatari, ma purtroppo anch’io, di tanto in tanto, arrivo in ritardo a qualche riunione e non ho possibilità di avvisare. So che si passa per maleducati, ma purtroppo è così e non ci si può fare niente.”
Hermione rimase particolarmente sorpresa per il tono pacato con il quale le aveva spiegato quel piccolo dettaglio e nonostante continuasse a pensare che ritardare a un appuntamento fosse da maleducati, quella spiegazione lo aveva un po’ attenuato.
“Parli del diavolo…” – disse Draco, sorridendo.
Hermione si girò e sbarrò gli occhi.
“Oh porca…”
“Sì, John fa questo…”
“Laney?!?”
Draco si zittì immediatamente e guardò Hermione guardare l’impiegata che John si era portato appresso.
“Hermione!?!”
Il biondo alzò gli occhi al cielo. Se avessero dovuto incontrare il presidente degli Stati Uniti, aveva come la sensazione che Hermione avrebbe conosciuto perfino uno del suo entourage!
“Oddio non ci credo!”
Le due si abbracciarono sotto lo sguardo perplesso dei due datori di lavoro. Iniziarono a chiacchierare, ignorandoli bellamente quando uno dei due si schiarì la voce.
“Laney?”
“… e quando ho… sì? Oh, scusa…” – si scusò la ragazza. – “John, ti presento Hermione Granger. Ora lavora alla Malfoy Home ma è una mia vecchia amica. Hermione, lui è John Cook, il titolare della Livin Home.”
“Piacere di conoscerla Hermione.”
“Piacere mio signor Cook.” – cordialmente, si strinsero la mano.
“Scusate il ritardo, ma all’ultimo mi hanno passato una chiamata dall’Asia che non potevo rifiutare.”
“Non preoccuparti. Prendiamo qualcosa?”
Hermione pensò che potevano anche svuotare il frigo; ora che aveva rivisto Laney poteva passare tutta la serata a chiacchierare con lei!
“Sì volentieri.”

“… e adesso lavori per la Livin Home.” – disse Hermione. – “Non sei mai passata dal centralino, vero?”
“No, ho il numero diretto di Pansy.”
A quel nome a Hermione venne una paresi facciale.
“Ma toglimi una curiosità…” – disse Laney. – “Ma che tipa è questa? Mi pare un po’ tanto acidella.”
Certo che se anche oltreoceano si erano accorti dell’acidità della Parkinson, si chiese come avesse fatto il signor Malfoy a non farlo…
“Un limone andato a male è zucchero, se paragonato a lei.” – disse Hermione, permettendosi quella confidenza.
Laney annuì come se avesse trovato conferma alle sue teorie.
“Mi pareva…” – disse Laney. – “Ogni volta che la chiamo, sembra che l’abbia interrotta sul più bello.”
Hermione si girò e guardò Draco, intento a chiacchierare con John.
“Ti dico solo che è la fidanzata del mio capo.” – e occhieggiò a Laney.
La donna aprì la bocca, incredula.
“Poveraccio…” – disse Laney, dispiaciuta per Draco.
Hermione ancora si girò per accertarsi di non avere Malfoy alle spalle.
“Fidati: certe volte si meritano proprio.”
“Tu hai un po’ di cose da dirmi…” – cantilenò Laney.
“Magari a cena davanti a loro, che ne dici?” – chiese Hermione, ironizzando.
Laney rise e diede una leggera gomitata a Hermione. I due capi si stavano avvicinando.




La cena stava andando tutto sommato bene.
Draco aveva scoperto che Laney era la segretaria di John, molto efficiente e molto preparata in economia e finanza. Per un attimo si pentì di aver portato Hermione: per quanto capace, la ragazza non aveva le basi per la contabilità aziendale e forse non avrebbe capito un’acca dei loro discorsi.

“… e credevo avresti portato Pansy con te.”
Hermione si mise in ascolto. Era proprio curioso di sapere che balla avrebbe rifilato a John – lui era stato così cortese di permetterle di chiamarlo per nome – su quell’assenza.
“E’ impegnata con i preparativi del matrimonio.”
Accanto a lui, Hermione si schiarì la voce e continuò a mangiare la propria tagliata.
Laney sghignazzò da dietro il bicchiere. Aveva affinato talmente bene la tecnica del ridere delle balle dei colleghi che nessuno riusciva mai a beccarla.
“Capisco. A quando il lieto evento?”
A quando la fine del mondo, casomai!, pensò Hermione che si stava riempiendo la bocca per evitare di fare le sue solite battutine.
“L’anno prossimo ad Agosto.”
“Dove andrete in viaggio di nozze?” – chiese Laney.
“Abbiamo prenotato due settimane in un resort messicano e una alle Bahamas.”
Le mie condoglianze per il personale del resort, pensò Hermione.
“E tu Hermione, che ci racconti?”
La ragazza guardò John, scettica.
“Cosa vuole sapere?”
“Da quant’è che lavori per Draco?”
“Due anni ormai. Giorno più, giorno meno.”
“E di che ti occupi?”
“Per la maggior parte del tempo seguo la contabilità e poi faccio un po’ di magazzino.” – spiegò.
Draco stava sudando freddo…
“Un doppio impiego. Draco deve avere un’alta considerazione di te.”
“Sai John…” – iniziò Draco, sperando di poter dirottare il discorso su altro ma Hermione, di nuovo, lo lasciò senza parole.
“Nemmeno io credevo tanto.” – spiegò Hermione. – “Insomma… sono partita dal centralino e quando sono arrivata a imparare a memoria i numeri delle persone che mi chiamavano, mi sono detta basta!” – disse, fingendo una confidenza con Draco che non aveva. – “Così mi sono diretta nel suo ufficio e gli ho chiesto se poteva mettermi alla prova con qualcos’altro. Il signor Malfoy deve aver accettato più per farmi capire che non ero pronta per altre mansioni ma poi si è reso conto che sapevo fare bene il mio lavoro e ha provato a darmi dell’altro da fare.”
“E com’è andata?”
“E’ andata che sono qui.” – disse, facendo passare davvero quel viaggio per un vero premio dovuto alle sue capacità.
John le sorrise.
“Sì, insomma… quando me l’ha detto, credevo stesse scherzando, ma poi è venuto il giorno della partenza. E dell’arrivo.” – scherzò.
I tre si unirono a lei.
Perché lo sta facendo?, si chiese Draco.
“Spero solo di non fargli fare qualche figuraccia.” – si scusò fin dall’inizio.
“Casomai è lui che la fa fare a te.” – disse John.
“Ecco, lei è il mio datore di lavoro ideale.” – disse Hermione, che riuscì ad alleggerire un po’ la serata. – “Lei non si fa problemi a fare complimenti, non come lui. Ogni tanto glielo dico: Signor Malfoy, si lasci andare a qualche complimento, me ne faccia tranquillamente!”
Laney e John si misero a ridere di gusto, mentre Draco non riusciva a capacitarsi di quello che stava facendo Hermione.

Nonostante le avesse detto che non era lì per un merito personale, lei stava facendo di tutto per non farlo passare per lo stronzo che era.

Era davvero un atteggiamento al quale non era abituato.
“Non si tenga tutto dentro!” – disse, teatralmente. – “Ma non c’è niente da fare.”
“Beh, forse non ti farà dei complimenti, ma ti propone viaggi come questi.”
“E io li vorrei tutti e due.” – disse, fintamente sconsolata.




Il dopo cena proseguì in una sala riunioni dell’albergo molto piccola dove Hermione comprese che il tempo delle battute era finito.
Hermione aveva chiacchierato molto poco con Laney.


“Mi sono giunte strane voci Draco…”
L’uomo sollevò un sopracciglio, perplesso.
“Quali voci?”
“Laney.” – la chiamò John.
La ragazza, solitamente con il sorriso in faccia, era particolarmente seria, in quel momento. Si chinò e prese dalla propria ventiquattrore un plico di fogli che porse a Draco.
Il biondo iniziò a sfogliarli e subito comprese di cosa si trattassero. Erano i suoi libri contabili, che mai sarebbero dovuti uscire dalle mura della sua azienda.
“Come li hai avuti?” – chiese, con lo sguardo di chi era stato beccato sul fatto.
“Onestamente non so chi me li abbia mandati. Sono arrivati con la posta. Non c’era mittente, non c’era un timbro, non c’era un francobollo, come se il mittente me li avesse messi nella cassetta postale dell’azienda a mano.”
Draco si portò una mano sulla bocca. C’erano dei conti che proprio non tornavano.
“Come puoi vedere, ci sono numerose spese di cui nelle nostre riunioni non hai mai parlato.”
Hermione aveva notato fin da subito il pallore del suo capo. Beh, già di suo era particolarmente bianco, ma in quel momento stava rasentando il cadaverico.
“Io non capisco…” – disse Draco.
Hermione, cercando di non farsi vedere, cercò di allungare il collo e gli occhi più che poté per vedere di che si trattasse. Conosceva la contabilità aziendale perché nell’azienda di suo padre aveva fatto anche quella, o meglio… dava una mano a sua sorella a sistemarla. Quando vide che c’erano delle voci che lei stessa aveva registrato, iniziò a sudare freddo.
Che avesse digitato male un numero? Ma no, era impossibile! Periodicamente Draco si faceva mandare dai suoi tecnici un resoconto delle spese mensili e nessuno aveva mai avuto a che ridire del suo lavoro. Casualmente notò una spesa registrata proprio due settimane prima della partenza e mossa dall’istinto, si fiondò su quella pagina.
“Non ora Hermione.” – disse Draco, per nulla voglioso di badare a lei in quel momento.
“No, qua c’è un errore.” – disse la riccia, cercando la riga con il dito.
Draco cercava di tirarle via la mano ma Hermione, imperterrita, continuava a cercare la riga che le interessava.
“Hermione, per favore!” – sibilò Draco, che però quando si girò incrociò lo sguardo di Hermione.
Era fisso e sembrava non intenzionato a mollare l’osso.
“Questa spesa l’ho registrata io stessa.” – disse.
Draco si zittì immediatamente, così come i colleghi americani e il suo sguardo saettà subito al punto dove la ragazza aveva il dito. Era la provvigione di uno dei suoi tanti agenti.
“Forse ti è scappato uno zero in più.” – suggerì Laney.
Hermione si girò di scatto, come se il fatto che l’amica lo avesse solo pensato, fosse stato da bollare come tradimento.
Lo sguardo che Hermione le dedicò lasciò perplessi i presenti.
“Io non faccio errori.” – scandì.
“Forse nella fretta…” – tentò John.
Hermione guardò dritto negli occhi anche lui: in quel momento poteva essere anche il Cristo sceso in terra che non le sarebbe importato. Infatti…
“Io.non.faccio.errori.” – ripeté.
“Hermione… non puoi sapere di quand’è questa spesa…” – tentò Draco.
“E’ di circa due settimane prima della nostra partenza.” – spiegò, notando come il suo titolare avesse sbarrato gli occhi per quel ricordo così preciso. – “Avevo chiamato l’agente per chiedergli se potevo pagargli tutto a fine mese, in modo da inglobare anche le provvigioni di Ottobre e così ho fatto. Il totale era ventimila sterline. Non duecentomila. E io non ho scritto male.” – ci tenne a precisare.
L’unica opzione era quella che Draco non voleva prendere in considerazione, ovvero che vi fosse qualche mela marcia nella sua azienda.
Non sapeva che pesci pigliare o che scusa inventarsi per tenere calmo John, tornare a casa e cercare di risolvere il problema.
Ma Hermione fu di nuovo la sua salvezza.
“Credo sia il programma.” – disse la riccia.
“Il programma?” – chiese John, perplesso.
“Sì, il software che gestisce la contabilità. È successa una cosa simile due anni fa ma i tecnici si erano resi conto subito della falla e l’hanno sistemata. Forse stavolta non l’hanno vista.”
“Come è successo a noi, John.” – disse Laney.
Si fidava di Hermione, la riteneva una persona più che onesta e anche se aveva intravisto un dubbio nella sua idea che fosse un problema di software, scelse di darle corda.
“Ti ricordi cinque anni fa? Tu poi hai scelto di cambiare il software.” – concluse Laney.
“Ah sì…” – disse l’uomo, ora leggermente imbarazzato per aver trattato così frettolosamente la questione.
Draco si era sempre comportato onestamente con lui.
“Io… credo di doverti delle scuse Draco. Ho preso una decisione affrettata nel mandarti quella mail.”
Draco gli sorrise per rassicurarlo ma dentro ribolliva come un vulcano. Se beccava il figlio di puttana che voleva mandargli a rotoli l’azienda, lo strangolava con le sue mani e poi ne faceva macinato per pesci!
“Non preoccuparti. L’importante è aver risolto la questione. Quando tornerò a casa cambierò anch’io il software, anzi… tu quale hai scelto?”

Così la serata si concluse con quello scambio di informazioni.
Laney e Hermione preferirono tornare a casa a piedi. Era un bel tragitto ma avevano tanto di cui discutere.









Calli-corner

Ecco spiegato il motivo del viaggio a New York.
Naturalmente, Hermione ha dovuto mettere becco in qualsiasi situazione “strana” le capitasse. La nostra eroina non è avvezza a certi piccoli lussi come farsi aprire la porta o farsi aiutare a scendere. E che è paraplegica? Draco, poveretto, è già stremato ed è appena arrivato all’aeroporto. Figurarsi quando sarà ora di andare via…

La camera matrimoniale.
Per chi aveva già in mente scintille e cuori, spiacente di deludervi: i due provengono da due mondi troppo diversi per entrare in contatto così, su due piedi, e poi Draco ha tutto un percorso di maturazione davanti da affrontare.

Altra dimostrazione dell’innata classe ed eleganza di Hermione.
Ho messo la scena del ristorante perché anch’io ho avuto modo di cenare in uno di questi posti super lusso. A Febbraio sono stata Londra – amo questa città sempre di più ogni volta che la nomino – a trovare un amico che lavorava in un ristorante a quattro-cinquemila stelle vicino alla strada che conduceva al portone dove Harry, Ron e Hermione avevano tramortito quei signori del Ministero per intrufolarsi dentro e recuperare il Medaglione dalla Umbridge, vi ricordate?
Ci ho fatto pure una foto e mi sembrava di aver appena ricevuto il regalo di Natale più bello! Insomma… ero di fronte a una saracinesca, usata per fare Harry Potter!!!!
Sì scusate, sto divagando…
Comunque… ho cenato in uno di questi ristoranti e sono rimasta sconvolta dalle porzioni che portavano. Era davvero tutto molto buono, ma era troppo poco! ç_ç

L’incontro con John Cook.
Anche qui, Hermione lascia Draco a bocca aperta perché la riccia conosce Laney, una vecchia amica.
Finalmente ecco svelato il motivo del viaggio a New York: qualcuno sta cercando di sabotare la Malfoy Home e per farlo invia in giro dati falsi alle compagnie, per farle perdere di credibilità. Fortuna che c’era Hermione, che ha potuto difendere subito il suo lavoro che è finito su quei bilanci falsi.
Lascio aperte le scommesse su chi può volere una cosa simile. Sappiate fin da ora che non avrete da me né conferme né smentite. ù_ù
*me se la tira*.

Ma eccoci al momento che più adorate. Lo spoiler!

“Ha voglia di fare una cosa con me?” – chiese Hermione…
Draco sbatté le ciglia più volte. Aveva frainteso, o quella era una profferta?
“Co-cosa?”
“Solo per stanotte…” – continuò lei.

Ehm… alla faccia di quando ho detto che prima che quei due arrivino a una certa intimità, ne sarebbe occorso di tempo…
Allora, io non dico più niente. Lascio la vostra fantasia libera di galoppare allo stato selvaggio e farmi sapere che ne pensate.


AVVISO ALLA POPOLAZIONE:
Martedì 29 Ottobre partirò per le mie meritate ferie e tornerò martedì 05 Novembre. In pratica, l’aggiornamento di venerdì verrà anticipato a Lunedì 28 Ottobre.

Mi pare di aver detto tutto.
Credo.
Spero.

Un abbraccio a tutti,
callistas

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Capitolo 9
*** La svolta ***


09 - La svolta Fuori un capitolo, dentro un altro! ^_^
Bello questo sistema, no? Ma non fateci troppo l’abitudine, perché questo è stato solo un episodio isolato. Mi seccava saltarlo, così eccoci qua!

Dunque, nel precedente capitolo abbiamo visto Hermione e Draco scontrarsi come due titani: una sulla mancanza di stile, l’altro su come si faccia a stare al mondo. ù.ù

L’appuntamento con la Livin Home è andato, anche se iniziano a serpeggiare certe teorie che Draco non vorrebbe  prendere in considerazione.
Hermione cerca di sollevargli il morale, ma ha qualche dubbio pure lei ma preferisce rimanersene in silenzio per evitare di sollevare polveroni o accusare qualcuno ingiustamente.

Cosa leggeremo qui?
Anticipazione: qui leggeremo finalmente di una svolta tra i due.
Chissà che forse non la smettano di battibeccarsi come due poppanti.

Ci vediamo in fondo come al solito.
Buona lettura,
callistas









“Ti prego non dirmi che sei la segretaria che va a letto col capo.” – scherzò l’americana.
“No. Sono la segretaria che vorrebbe ammazzare la fidanzata del capo.” – precisò.
Laney rise.
“Ma è tanto stronza?”
“Elevala all’ennesima potenza e avrai una vaga idea di come sia in realtà.”
Seguirono attimi di silenzio.
“E tu?”
“Io cosa?” – chiese Laney.
“Vai a letto col capo?”
“No. Ma quegli otto-novemila pensierini al riguardo ce li ho fatti.” – ammise candida come una colombella.
Hermione rise divertita.
Beh, John era davvero un bell’uomo.
“Mi sono fatta un culo stratosferico per diventare la sua segretaria solo per mangiarmelo con gli occhi.”
“Tu sì che sei una donna ambiziosa.” – la prese in giro Hermione.
“Che vuoi che ti dica? Unisco l’utile al dilettevole. E poi lo adoro quando si mette quel completo grigio chiaro, mhm…” – mugulò estasiata, appoggiandosi alla spalla di Hermione. – “… gocciolo come un rubinetto aperto.”
“Laney!” – esclamò Hermione, divertita.
“Che c’è? Non dirmi che tu non goccioli quando vedi Draco!”
“No, per niente. Per carità è un bell’uomo ma mi fermo lì. A differenza di te che vorresti andare fino in fondo…”
“Ci andasse John. Fino in fondo, dico.”
“Sei impossibile.” – disse Hermione, alzando gli occhi al cielo.
“Hermione?”
“Dimmi.”
La riccia comprese subito che era finito il tempo degli scherzi.
“Avete davvero un problema di software?”
“Sei stata mandata per fare dello spionaggio?”
“Non scherzare.”
“Laney… onestamente non lo so. Io so solo che quell’unica cifra che ho visto era sbagliata e io l’avevo scritta corretta! Non so che diavolo sia successo e arrivati a questo punto, spero davvero che sia stato un problema di programma o davvero qui a qualcuno salterà la testa.”
Laney tornò con la testa appoggiata alla spalla di Hermione.
Per Laney fu sufficiente.
“Tre settimane fa c’è scappato un bel bacio tra me e John.” – riprese, con un discorso che non c’entrava niente.
Hermione per poco non si capottò a terra.
“COSA?!?”
La ragazza sospirò sconsolata.
“Era fine giornata.” – iniziò. – “Ero stata bombardata da mille chiamate, mille fax e mille stronzate che mi hanno solo fatto perdere tempo. John mi aveva chiesto di fargli il bilancio del mese ed è un lavoro che mi prende al massimo un’ora. Verso le sei mi chiede se avevo preparato tutto. Io gli dico che non ho avuto un attimo di tempo e mi chiede se mi posso fermare per farlo perché gli serviva. Io ho accettato, perché tanto non esco mai alle sei. Così finito l’orario di lavoro e tutti gli scassa palle se ne sono andati, io mi metto sotto con il bilancio.”
“Ancora non ci credo…” – sospirò Hermione.
“Ero lì che stavo facendo le mie stampe quando me lo trovo alle spalle. Per lo spavento mi sono mezza ribaltata a terra ma lui mi ha preso. Hai presente come nei film?”
“Ohssignore…”
“E niente… lui mi ha guardata, io l’ho guardato… e ci siamo baciati. Cazzo se è caldo quell’uomo…” – sospirò.
“Sicura di non essere innamorata di lui?”
“Sì. Almeno credo… quell’uomo dovrebbe essere incarcerato per attentato ai miei ormoni!”
Hermione rise.
“Magari è solo una cotta.” – buttò lì Hermione.
“Forse. Ehi, ti va di entrare lì? È un piano bar. C’è sempre buona musica.”
“Sì, volentieri.”


Il barista arrivò immediatamente per prendere le ordinazioni e dopo essersi fatte servire un mojito e una piña colada analcolica, le due continuarono a chiacchierare.

“Il giorno dopo è stato imbarazzante. Per quanto io sbavi dietro quell’uomo, non ho mai pensato di poter arrivare a tanto.”
“E che è successo?” – chiese Hermione, che si era fatta portare un piatto di noccioline.
“Ha aspettato la sera e poi mi ha chiamata nel suo ufficio per chiarire. Si è scusato, chiedendomi di non farne parola con nessuno bla bla, bla bla… per me è meglio così, perché per tanti che hanno la bella educazione di farsi i fatti propri ce ne sono altrettanti che sono peggio dei parassiti che, oltre a mettere in giro voci strane sul fatto che sono diventata in poco tempo la segretaria di John, non si fanno problemi a venirmelo a chiedere direttamente di persona.”
“Però…” – esclamò Hermione, fintamente sorpresa.
“E’ andata così.”
“Certo che da come ne parli sembra che tu voglia di più da John.”
“E’ che non lo so nemmeno io quello che voglio. Rimane il fatto che è un gran bel pezzo d’uomo.”
“Confermo.” – disse l’altra, mentre prendeva un’altra nocciolina.
“Ma dimmi di te. Come sei arrivata ad essere la segretaria di Draco?”
“Non ci sono arrivata, infatti.” – chiarì, più interessata a spellare la nocciolina.
Laney la guardò scettica.
“Scusa?”
“Onestamente non so bene neanch’io perché sono qui. So solo che il mio capo ha litigato con Pansy e io sono qui. Non chiedermi i retroscena perché non li conosco.” – specificò.
“Credevo di essere incasinata io ma tu mi stai al passo, eh?” – ironizzò l’altra.
Hermione sghignazzò.
“E’ iniziato tutto venerdì cinque settembre a cinque minuti a mezzogiorno.”
Laney si mise a ridere per l’assurda precisione del racconto.
“Pure l’orario?” – chiese, ridendo.
“Difficile dimenticare il giorno che ha cambiato la tua vita.” – disse mezza seria. – “Comunque!… mancavano cinque minuti a mezzogiorno e io avevo parecchia fame. Stavo per prepararmi per uscire quando suona il telefono. La ragazza di Draco mi ordina di portarle una rivista, assolutamente indispensabile per la sopravvivenza dell’umanità!” – esclamò, fintamente teatrale. – “Io salgo e becco lei e Draco mezzi riversi sulla scrivania.”
“Mhm… la cosa inizia a interessarmi. Va avanti…”
Hermione alzò gli occhi per quella vena maliziosa che non avrebbe mai abbandonato l’amica.
“Quando entro, Pansy inizia a fare la scocciata perché l’ho disturbata. Allora faccio presente che era stata lei a chiedermi la rivista e lei che fa?, mi sputtana davanti a Draco, dicendo che lei non mi aveva chiesto assolutamente niente.”
“Brutta stronza…” – disse Laney. – “E tu che le hai detto?”
“Niente. Ho cercato di smorzare lì la cosa. Stavo per andarmene quando questa inizia a scassare le palle sul fatto che se andavo in pausa pranzo significava che non tenevo sufficientemente al lavoro.”
“Che merdaccia… e poi?”
“Già mi giravano per quella figura che mi aveva fatto fare così mi sono girata e le ho detto che se volevo soddisfare le sue richieste dovevo andare a mangiare. Tanti saluti. Le ho chiuso la porta in faccia e me ne sono andata.”
“Grande Hermione!” – esclamò Laney, tutta presa dal racconto.
“Oh beh, mica è finita qui. Inutile dirlo, ma mi aspettavo ritorsioni e siccome quella non si sa pulire neanche il culo da sola, ha mandato avanti il suo fidanzatino. A fine giornata salgo dal signor Malfoy che inizia a dirmi quanto sarebbe un vero peccato che le mie doti amministrative finissero in magazzino.”
Il sorriso di Laney lentamente si spense. Draco Malfoy…
“Che ha fatto quello!?”
“Mi ha schiaffata in magazzino.” – disse Hermione. – “Io gli ho detto senza tanti giri di parole che poteva mettermi anche a pulire i cessi che lo avrei fatto senza tanto obiettare.”
“Ma che facevi in magazzino?”
“Ho iniziato a caricare e scaricare le casse.”
Laney era sempre più attonita.
“Poi ho iniziato ad andare dietro un po’ alla contabilità del magazzino e poi quando per la seconda volta ho risposto alla sua ragazza mi ha sistemata negli uffici per star dietro alla contabilità ma dovevo seguire anche il deposito di sotto.”
“Che negriero del cazzo!” – esclamò la ragazza, molto finemente.
“Poi quello litiga, o almeno penso sia andata così, ancora con la sua ragazza e mi ritrovo qui.”
“Ma in che razza d’azienda sei finita?” – chiese Laney.
E lei che pensava di essere messa male!
“Guarda… onestamente a me piace lavorare per la Malfoy Home. Quando ho spedito il mio curriculum ho dato un’occhiata al loro sito e ho visto che avrei avuto molte affinità con quell’azienda e ti dirò che speravo di diventare la segretaria di Draco. Sai, l’agenda, gli impegni… sono brava a organizzare gli appuntamenti e speravo di poterlo affiancare in questo tipo di viaggi. Sapere di essere qui non per le mie capacità ma per chissà Dio che cosa, mi manda fuori dai gangher!” – esclamò la riccia, mollando malamente la cannuccia nel bicchiere ormai vuoto.
“E io che pensavo di essere messa male…”
“Tu almeno sei dove sei perché qualcuno si è accorto che sai fare il tuo lavoro.” – replicò Hermione. – “Ma parliamo d’altro, ti prego. Senti, io riparto venerdì. Ci vediamo una di queste sere?”
“Anche tutte se vuoi. Vuoi tornare in albergo, adesso?”
“Sì, ti prego. Sono distrutta.”
“Dai, andiamo.”


Laney fu molto gentile.
Chiamò un taxi e riaccompagnò all’hotel Hermione a sue spese. Poi tornò a casa.




In camera sua Draco stava crollando dalla stanchezza quando il telefono suonò.
“Pronto? Sì, la ringrazio.” – e riagganciò.




Appena entrata in ascensore, Hermione si levò le scarpe col tacco.
Una violenta scossa di piacere partì dai piedi fino al collo quando avvertì la dolce moquette solleticarle i piedi. Era stanca morta, doveva ancora digerire il fuso orario e struccarsi.
Girò l’angolo e credette di avere le allucinazioni a causa del sonno, perché quello davanti alla sua porta non poteva essere Draco Malfoy ma più si avvicinava e più l’allucinazione sembrava reale.
“Signor Malfoy?”
“Entra, dobbiamo parlare.”
“Adesso?” – si lamentò la ragazza, senza tanti problemi nel palesare la propria sonnolenza.
“Adesso.” – chiarì l’altro.
Hermione sbuffò e aprì la porta.
“Ti sei divertita?” – berciò l’altro.
Aveva sperato che la ragazza rientrasse ad un orario più umano per poter chiarire quel punto della registrazione sbagliata, ma aveva fatto male i suoi conti.
Erano le tre del mattino ed entrambi erano distrutti.
“Sì molto.” – rispose lei, acida.
“Allora cos’è questa storia del… dove vai?” – chiese Draco, stranito.
Lui le stava parlando e lei andava in bagno?!?
“In bagno a struccarmi. Lei può parlare che tanto la sento lo stesso.”
Per non svegliare l’hotel e rischiare di farsi cacciare, Draco la tampinò fino alla toilette. La vide trafficare con una pochette e prendere alcune salviette struccanti. Iniziò a passarsele sul viso.
“Allora, che storia è quella della registrazione della provvigione?”
“Quello che ho detto stasera. Io ho fatto la registrazione come doveva essere fatta. Non so perché c’è uno zero in più.”
“Forse perché stavi facendo quello che stai facendo adesso?” – chiese.
Hermione guardò la salvietta colorata del fondotinta.
“Mi struccavo!?” – chiese lei, perplessa.
“No. Dormivi!”
Tutto il sonno passò in un secondo.
“Lei sta davvero iniziando a seccarmi, eh?”
Draco sbarrò gli occhi.
“Come diavolo ti permetti di parlarmi in questo modo?”
“Come diavolo ti permetti di parlarmi in questo modo?” – lo pappagallò Hermione. – “Fino a stamattina ero l’impiegata che era rara da trovare per una serie di pregi che non sto qui ad elencarle e adesso!, adesso viene ad accusare me di dormire sul posto di lavoro? Se le sto sulle palle perché rispondo male alla sua ragazza, perché sono scorbutica, perché prima di pensare parlo, mi licenzi! Ma non osi mai più dirmi che IO sul lavoro dormo perché allora lei davvero non sa apprezzare i suoi collaboratori! Quando lavoro, ci metto cuore e anima e prima di fare una cosa la ricontrollo mille volte per essere sicura! Io non so perché ci sia uno zero in più su quel tabulato, ma so di per certo che non sono stata io. E adesso esca o mi metto a urlare.” – lo minacciò.
Draco sbuffò come un toro che non poteva incornare il drappo rosso e uscì.
“Non finisce qui!” – sibilò Draco prima di uscire dalla sua stanza.
Hermione gettò la salvietta sporca nel lavandino prima di estrarne un’altra con ferocia.
“Sì… e quando mai finirà con te?” – chiese al suo riflesso nello specchio.









Il giorno dopo Hermione tornò nel mondo dei vivi a ora di cena.
Draco era passato in camera sua per avvisarla che avrebbe fatto un giro in centro, ma dopo tre volte che bussava e due che aveva cercato di sfondarla, immaginò che la ragazza fosse talmente cotta da non sentire nessuno.

“Ben svegliata.” – ironizzò il biondo, mentre sceglieva dalla carta il menu.
Hermione spostò la sedia e si sedette. Aveva ancora sonno!…
“Grazie.”
“Cosa mangi?”
Svogliatamente Hermione prese il menu e iniziò a guardarlo. Non aveva molta fame così ordinò una crema di funghi con crostini.
Fu una cena silenziosa, una di quelle che fanno passare l’appetito che già scarseggiava… ma si sa che l’appetito vien mangiando e dopo un paio di cucchiaiate, Hermione ordinò un secondo e il dolce.
“Ho anticipato la partenza.” – disse Draco, mentre aspettava il dessert.
Hermione lo guardò perplessa ma poi pensò lo facesse per andare in fondo a quella faccenda della provvigione.
“D’accordo. Quando?”
“Giovedì alle quattro.”
“Va bene.”
Un po’ le dispiaceva perché non poteva vedere Laney come aveva stabilito ma forse, se fosse stata al posto di Draco, avrebbe agisto allo stesso modo per capire cosa stesse succedendo.
“Io ho finito.” – disse Draco, alzandosi.
La ragazza alzò il capo. Non sapeva cosa provare.
“Se hai bisogno di qualcosa, sono in camera mia.”
E se ne andò.
Hermione guardò il suo dolce, una fetta di torta di mele che non aveva niente a che spartire con quella che faceva sua sorella ma era buona lo stesso. Però aveva perso un po’ del suo sapore.
Ne lasciò lì un pezzo e poi se ne andò pure lei.

In camera non riuscì a decidersi se chiamare Laney – aveva sempre odiato chiamare le persone all’ultimo minuto, ma poiché Draco aveva anticipato la partenza, doveva usufruire di ogni attimo possibile – o andare da Draco.
Si chiese poi perché dovesse andarci. Insomma, per l’ennesima volta l’aveva incolpata di qualcosa di cui non c’entrava niente, perché doveva andare da lui?
Beh, si disse che forse poteva scusarsi per come si era rivolta a lui la sera prima, ma poteva benissimo aspettare il loro rientro a Londra.
Afferrò il cellulare e chiamò la ragazza.

“Pronto?”
“Laney? Ciao sono Hermione!”
“Hermione ciao! Tutto bene?”
“Diciamo di sì. Senti Laney, il mio titolare ha anticipato la partenza a giovedì. Pensavo, se non avevi già altri impegni che potevamo uscire insieme stasera e domani sera…”
“Io… oh…”
“No, eh?” – disse la riccia, dispiaciuta.
“No, certo che sì! E’ che stasera non so a che ora esco. Sono ancora in ufficio.”
Hermione guardò l’orologio.
“Ma sono le sette e mezzo!”
“Lo so, ma sono in arretrato di lavoro e…” – pausa. – “Va bene.”
“Va bene cosa?”
“Dico a John che stasera devo uscire prima.”
“Ma no…” – disse Hermione, che non voleva mettere l’amica nei pasticci. – “… se hai da fare non ti preoccupare. Ci vediamo domani…”
“No.” – disse l’altra, decisa. – “Senti, ti richiamo tra venti minuti, ok?”
“Laney, davvero non è…”
Click.
“… necessario.” – concluse Hermione, parlando al vuoto.
Così, aspettò.




Laney era davvero invischiata fino al collo con il lavoro ma non vedeva Hermione da un sacco di tempo e voleva approfittare di quei tre giorni per stare con lei. Poi chissà quando si sarebbero viste di nuovo!
Finì ciò che stava facendo, scrivendo frettolosamente. Rilesse per evitare di presentare al suo capo una relazione da “bimbominkia” e poi si alzò dalla propria sedia.
Mentre si dirigeva al suo ufficio riprese la lettura dall’inizio. Aveva fatto un’introduzione particolarmente intensa, degna del miglior avvocato sulla piazza e le venne voglia di rileggerla.
Ma così facendo non si accorse della sedia che un suo collega – maledetto cazzone! – non aveva sistemato e cadde carponi, tirandosela dietro.
Attirato dal fracasso, John uscì dall’ufficio e trovò la sua segretaria… a novanta.
“Laney?”
La ragazza alzò il capo e, in sequenza, gli occhi.
“Che fai lì per terra?”
“Controllo che non ci siano acari, John.” – lo rintuzzò lei.
L’uomo si accorse della sedia e subito andò ad aiutarla.
“Io mi chiedo che ci voglia a mettere una sedia sotto il tavolo!” – esclamò imbufalita la donna. – “Ah, questa è la relazione che mi avevi chiesto. Senti, so di avere un po’ di arretrati da smaltire e giuro su Dio che mi rimetto in pari, ma mi chiedevo se stasera, domani e dopodomani sera potevo uscire alle sei.”
“Perché?”
“Sai Hermione, la mia amica della Malfoy Home?”
“Sì?”
“Ecco, Draco ha spostato il rientro per giovedì e mi ha chiesto se potevamo uscire insieme queste sere.”
“Sì certo, nessun problema.”
“Oh, Dio ti benedica John!” – esclamò la ragazza, tornando la proprio posto per raccogliere le proprie cose.
“Guarda che è un tuo diritto avere una vita sociale. Forse sono io che non ti permetto di averla.”
La ragazza si bloccò e si girò, stranita.
“Scusa?”
John sorrise e negò con il capo.
“Ah, non farci caso. Vai, buona serata.” – e tornò nel suo ufficio.
Tutto l’entusiasmo per la serata con Hermione finì nel cesso. Non lo aveva mai visto così giù di corda: lui era il classico tipo che sapeva quello che voleva dalla vita, che se lo prendeva e non chiedeva niente a nessuno. Che diavolo era successo?
Guardò il cellulare sulla propria scrivania e poi di nuovo la porta dell’ufficio di John.
Sapeva che se fosse entrata in quell’ufficio sarebbe stato come ammettere di preferire lui alla sua “vita sociale” e non voleva concedere così tanto potere a un uomo. Una volta le era bastato e pure avanzato!
Nonostante tutto, mollò la borsa sulla sedia e andò in ufficio dal suo titolare.


John era seduto sulla propria poltrona con il sedile reclinato.
Era stanco.
Dirigere la Livin Home gli portava via un sacco di energie mentali e fisiche. A cinquant’anni suonati, ancora non aveva niente di solido costruito alle spalle. Certo, aveva un’azienda multimilionaria che sul mercato americano la faceva da padrone, ma quando tornava a casa, la sera, la trovava vuota.
La sua ex moglie aveva fatto fagotto dopo un anno di matrimonio perché “lui pensava più al lavoro che a lei”. E fortuna che il suo avvocato gli aveva consigliato un bel contratto prematrimoniale, dove ogni sorta di vitalizio che poteva spettare a lei, decadeva se subentravano le comuni “corna”. Lei ci aveva provato, sperando di non essere scoperta ma quando questo è accaduto, John si è liberato di Rebecca Hewitt con un sospiro di sollievo.
Avevano smesso di fare sesso tre mesi dopo il matrimonio perché lei era sempre stanca. Anche lui lo era, ma cercava di trovare sempre il momento per stare con sua moglie ma quando si era visto continuamente rifiutato, si era messo l’animo in pace e non ci aveva nemmeno più provato.
E adesso aveva un po’ di arretrati da smaltire…

Neanche avesse finito di formulare quel pensiero, la sua segretaria entrò nel suo ufficio senza bussare.
Ormai quella formalità era stata abolita.
“Laney.” – la chiamò, raddrizzandosi sulla sedia. – “Credevo fossi uscita.”
La ragazza si sedette pesantemente sulla sedia. Vero era che trovava John maledettamente sexy e attraente, ma era più un aspetto giocoso, quello. Provava verso il suo capo un irrefrenabile rispetto e ammirazione per aver tirato su una ditta come la Livin Home tutto da solo.
Solo dopo era subentrata l’attrazione fisica.
Così se il suo principale aveva un problema, allora lo aveva anche lei in quanto sua segretaria professionale.
“Andrò domani.” – disse, sbrigativa. – “Avanti: cosa c’è?” – chiese.
“Niente.” – disse, perplesso.
“John?”
“Davvero… niente.”
“John, risparmiami mezz’ora di “te lo giuro non ho niente” perché non attacca. Ci sono passata prima di te.” – chiarì. – “Coraggio, confessa!” – esclamò.
John ridacchiò ma, in sostanza, cosa poteva dirle senza apparire patetico?
Sono solo? Ho bisogno di sesso?
“Ma niente, sono solo stanco.” – confessò, stropicciandosi gli occhi.
“John, permettimi di chiarirti un concetto: tu non sei mai stanco. Puoi essere leggermente stressato, ma non stanco.”
“E invece sono stanco.”
“Uh… la cosa è più grave di quanto pensassi, allora.” – scherzò la donna. – “Hai bisogno di ferie?” – gli chiese.
“No, non sono le ferie il problema.” – rise lui per quella visione così semplicistica.
Beh, magari fosse così semplice.
“Allora?”
“Laney, davvero… esci con la tua amica. I miei sono solo problemi di un uomo di mezza età.”
“Quella mezza età te la porti bene però.” – fu il suo commento sincero.
L’uomo la guardò, piacevolmente compiaciuto per quel commento sul suo aspetto.
“Ti ringrazio.”
“Figurati. Lo penso davvero. Te li porti proprio bene quei cinquant’anni.”
John sorrise compiaciuto.
“Me la togli una curiosità?” – chiese Laney.
“Dimmi.”
“Sei mai stato spontaneo in qualcosa?”
“In che senso?”
Laney fece le spallucce.
“Hai mai fatto qualcosa perché ti piaceva farlo e non perché le convenzioni ti suggerivano che era bene fare così?”
“Sì. Mi è capitato una volta.”
“E non ti sei sentito meglio, dopo?” – chiese, levandosi le scarpe con il tacco in un moto di profonda confidenza.
“Non molto.”
“Perché?”
“Perché non ho più potuto rifarlo.”
“Perché?”
“Ma hai superato la fase dei “perchè”?” – chiese lui, divertito ma appesantito da quel discorso.
Laney arrossì.
“Scusa. Deformazione professionale.” – scherzò lei.
Poi tornò seria.
“Davvero John, se questa cosa ti faceva stare bene, dovresti rifarla. Magari potresi portarla avanti nel tempo.”
“Oh fidati, non credo che si potrebbe.”
“Perché?” – chiese Laney.
“Perché credo che andare a letto con la propria segretaria sarebbe convenzionalmente inaccettabile.”
Per la prima volta, qualcuno fu in grado di zittire Laney.




Hermione aveva sospirato, dispiaciuta.
Laney non aveva potuto uscire con lei quella sera, ma le aveva promesso un tour dei migliori bar per la sera successiva e quelle seguenti.
E adesso?




“C-credo di non aver capito…” – disse, rossa.
“Hai capito bene, invece.”
“John…”
L’uomo la fermò con un gesto della mano. Si era scoperto troppo e forse ora aveva incrinato il rapporto con la ragazza.
“Non dire niente. Quel bacio a me è piaciuto, per quanto poi ti abbia chiesto di dimenticarlo.”
Oh sì che gliel’aveva chiesto.
Ma lei di sicuro non l’aveva dimenticato, anzi! Ci aveva rimuginato sopra fino a poco prima di entrare nel suo ufficio.
“E’ stato un episodio isolato e…”
“Tu non cerchi l’amore, vero?” – chiese lei, seria come mai l’aveva vista.
“In che senso?” – chiese lui, confuso dalla domanda.
Laney prese una decisione che cambiò la sua vita.
Si alzò dalla sedia, gli andò davanti e si sedette sulla sua scrivania.

John non capiva che stava succedendo.
Perché avvertiva una strana tensione nell’aria? La stessa che aveva respirato poco prima che si baciassero.
Iniziò a diventare irrequieto sulla sedia, mentre vedeva Laney levarsi la giacca del tailleur.

“Laney…”
“Sai che ti dico, signor Cook? Ho iniziato a fregarmene delle convenzioni anni fa.”

Il primo bottone della camicetta uscì dall’asola.

“E’ meglio se ti fermi…”
“Ho imparato…” – proseguì lei, imperterrita. – “… che invece di guardare la vita passarmi davanti è meglio viverla.”

Via il secondo bottone.

E John, nonostante la situazione, le sorrise dolcemente. Aveva intravisto in ciò che stava facendo la ragazza una sorta di “consolazione”.
“Se mi guardo indietro, vedo solo una ragazzina che viveva la propria vita in base alle aspettative degli altri.”

E via anche il terzo.

“E quando ho iniziato a mandare tranquillamente a fanculo quegli “altri” sono rinata.”

Altri due bottoni.

“Così ho scelto di scegliere. Ho scelto la mia libertà, i miei desideri, le mie voglie: ho scelto me.”

Meno uno.

“E se pensi che a quel bacio non ci abbia pensato, allora credo che tu non mi conosca affatto, John Cook.”

L’ultimo bottone uscì dall’asola.

La camicetta bianca, trasparente, lasciava intravedere un reggiseno di pizzo nero.

John era combattuto.
Non sapeva cosa fare. Era molto desideroso di cedere ma se l’avesse fatto cosa sarebbe successo dopo?

“No John: non pensare.” – lo esortò la ragazza, scuotendo il capo come ad ammonirlo. – “A volte bisogna solo cogliere le occasioni che la vita ti presenta davanti e guardare avanti.”
L’uomo si alzò in piedi. Le gambe tremavano.
Man mano che si avvicinava a lei, Laney alzò lo sguardo. Doveva vedere che lei non aveva problemi a portare avanti quella “relazione”, se così potevano chiamarla.
“Guardare avanti?”
“Precisamente.”
Le esplose una bomba a orologeria nel ventre quando sentì la sua mano calda posarsi sulla spalla sinistra e abbassarle lentamente la camicetta.
“E dopo?” – chiese lui, accarezzando il profilo del suo reggiseno. – “Cosa succederà dopo?”
“Come dice la parola stessa, ci penseremo dopo.” – disse lei.
John si chinò su di lei per baciarla ma all’ultimo Laney si ritrasse con un sorrisetto divertito.
“Che c’è?” – chiese lui.
“C’è che domani non guarderai più questo ufficio con gli stessi occhi, signor Cook.”
Anche John si concesse un sorriso prima di tornare a sentirsi nuovamente bene.









“… vorrei non prendere in considerazione l’ipotesi.”
“Capisco non sia piacevole ma lei lo ha visto il bilancio di John.”
“Vorrei tanto non averlo fatto.” – disse Draco, massaggiandosi il volto.
“Evitare un problema non aiuta a risolverlo.” – disse Hermione. – “Per quanto riguarda la mia parte di lavoro sono sicura. Bisognerebbe controllare gli altri.”
“Cristo che casino…”


Hermione, alla fine, era rimasta in camera a guardare la televisione.
C’erano i soliti programmi: quiz televisivi, documentari, musica ma niente catturava la sua attenzione così, dopo qualche momento passato a fare zapping, spense la tv e rimase in ascolto del silenzio che aleggiava in quella stanza.
Non capiva come facessero certe persone a condurre una vita da nomadi: sempre in viaggio, passare da un albergo all’altro, trascorrere il Natale in aeroporto… lei non ci sarebbe mai riuscita! Aveva bisogno di vedere costantemente la sua famiglia, di stare con loro, se non qualche giorno prima e dopo il Natale, almeno quel giorno, avere delle abitudini, una routine fatta di gesti quotidiani che l’aiutano a far girare la giornata.
La sua Lilly…
La sola prospettiva di non avere il cane accanto, le bloccò il sangue nelle vene per un attimo.

New York era fantastica, di notte, con tutte quelle luci, i rumori, l’aria, l’atmosfera.
Era proprio vero.
L’America era un paese magico e se te ne innamoravi solo attraverso le foto che Internet forniva, quando la si vedeva dal vivo era impossibile da lasciare.
In pratica, non aveva visto niente di quella città perché a causa di quell’inconveniente, Draco aveva giustamente anticipato la partenza ma quel poco che aveva intravisto le era piaciuto.
Una volta a casa si sarebbe informata su quanto costasse un biglietto aereo andata-ritorno perché voleva davvero tornarci.

Era seduta sul parapetto del balcone quando qualcuno bussò alla porta.
E chi cavolo è a quest’ora?, si chiese, infastidita.
“Avanti!” – urlò per farsi sentire.
Quando vide che era il suo titolare, per poco non cadde di sotto.
“Hermione?”
“Si?” – rispose lei.
Draco si girò verso la voce e per poco non gli prese mezzo infarto quando la vide seduta là sopra.
“Ma sei impazzita? Scendi subito da lì!”
“Guardi che se è venuto per darmi ordini, può tornarsene in camera sua.” – rispose la ragazza, placida, tornando ad appoggiare il capo alla balaustra per guardare le luci della città.
Stava bene lì sopra e aveva una gamba penzoloni nella parte interna del balcone: non sarebbe caduta neanche se fosse passato un ciclone!
“Tu sei bacata nel cervello…” – commentò l’uomo.
“Oh, finalmente un complimento.” – ironizzò la ragazza, tornando a guardare il cielo.
Draco si avvicinò al parapetto e vi appoggiò le mani sopra.

Era andato lì con l’intenzione di scusarsi per come l’aveva aggredita la sera dell’incontro con John e, sì, anche per come il loro rapporto lavorativo fosse iniziato in malo modo.
Ma ora che era entrato, non sapeva da dove iniziare.

Hermione, dal canto suo, non aveva molta voglia di parlare.
Voleva solo guardare le luci della città, ascoltarne i rumori, respirarne l’aria che, sembrava impossibile, era davvero diversa da quella londinese.

Fu Draco a spezzare quel silenzio.
“E’ bella New York.” – disse con voce calma Draco mentre cercava di cogliere con una sola occhiata tutto il panorama.
Iniziò a guardarsi intorno, a respirare l’aria che lassù tirava molto forte.
“Sì, molto.” – confermò Hermione.
“Mi dispiace aver anticipato la partenza. Magari ne volevi approfittare per fare un giro con la tua amica.”
La riccia fece le spallucce.
“No, non è il caso. Capisco la sua necessità di voler trovare la soluzione al problema.” – disse Hermione diplomatica, girandosi verso il suo principale, appoggiato a una balaustra.
“Credevo avresti detto: di voler tagliare la testa a chi ha modificato i dati.”
Hermione ridacchiò.
“In verità, avrei detto le palle, ma glielo concedo.” – confessò Hermione con aria complice.
Draco sbuffò divertito.
“Dai per scontato che sia un uomo.” – rispose Draco, reggendole il gioco.
“Difficile tagliare le palle a una donna.” – ribatté Hermione, pronta, divertita da quel giochetto. – “E comunque, sarebbe stato anche brutto da dire “tagliarle le ovaie o le tette”.”
Draco si concesse il lusso di una risata e poi scese di nuovo il silenzio.

“E’ che vorrei tanto non prendere in considerazione l’ipotesi.” – continuò Draco, riprendendo il discorso della talpa in azienda, perso nella contemplazione del panorama.
“Capisco non sia piacevole ma lei ha visto il bilancio di John.”
“Vorrei tanto non averlo fatto.” – disse Draco, massaggiandosi il volto.
“Evitare un problema non aiuta a risolverlo.” – disse Hermione. – “Per quanto riguarda la mia parte di lavoro sono sicura. Bisognerebbe controllare gli altri.”
“Cristo che casino…”

Hermione non disse altro. D’altronde, cos’avrebbe potuto dire? Lei non era ai vertici della società, per i quali poteva conoscere i retroscena di tutto ciò che accadeva e se apriva bocca e rischiava di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato – cosa che le riusciva particolarmente bene – avrebbe ingaggiato una guerra che si sarebbe protratta fino al rientro in Inghilterra e non voleva rovinare quell’unico momento di pace con il suo datore di lavoro.
Sentiva che si stava aprendo con lei, che forse sentiva solo il bisogno di parlare, di sfogarsi con qualcuno. Chissà perché, ma immaginava che le occhiaie del signor Malfoy fossero il segno di chi di notte non riposa bene perché ha troppi pensieri per la testa.
Voleva comunque chiedergli qualcosa per interrompere quel silenzio fastidioso, anche una cosa stupida per fargli capire che se anche aveva bisogno di sfogarsi non doveva necessariamente farlo con lei, ma almeno che comprendesse che lei, in ogni caso, ci sarebbe stata anche solo per ascoltarlo.

“A me neanche piace il Messico.” – esordì Draco, lasciando perplessa Hermione.
La ragazza collegò immediatamente quella meta al suo viaggio di nozze.
“E perché?”
“C’è troppo caldo, non si respira neanche!”
“Certo che anche lei prenotare ad Agosto!…” – disse, facendogli capire quanto sbagliato fosse stato prenotare là proprio in quel mese.
“A Pansy piaceva…”
Sì, e a te?, si chiese Hermione senza, naturalmente, dar voce ai suoi pensieri.
“Capisco.” – disse solamente.
Non riuscì però a controllare il tono di voce che alle orecchie di Draco apparve più come una sorta di silenzioso rimprovero.
“A te Pansy non piace, vero?” – le chiese.
Per una volta voleva essere schietto, dire le cose a muso aperto. Al diavolo la diplomazia!
E poi davanti aveva una che in fatto a schiettezza non scherzava!
“Scusi, ma lei e Capitan Ovvio siete fratelli?” – ironizzò.
Draco ridacchiò.
“Pansy non è così male come sembra, sai?”
Hermione scelse di comportarsi da persona matura.
Scese dalla balaustra e andò a sedersi sulla sdraia, incrociò le gambe e si drappeggiò la coperta addosso. Non faceva freddo, non tanto almeno, ma l’aria era abbastanza fastidiosa.
“Mi parli di lei, allora.”
“Perché dovrei farlo?” – la stuzzicò.
“Ha voglia di fare una cosa con me?” – chiese Hermione, nella più totale delle innocenze.
Draco sbatté le ciglia più volte. Aveva frainteso, o quella era una profferta?
“Co-cosa?”
“Solo per stanotte…” – continuò lei, ingenuamente mentre Draco sudava freddo. – “… sia onesto.” – concluse. – “Io credo che lei abbia bisogno di parlare con qualcuno…”
Draco riprese a respirare correttamente, ma di nuovo Hermione trovò il modo di bloccargli il respiro.
“… o forse solo di essere ascoltato perché credo che quelle valige che si porta sotto gli occhi siano frutto di pensieri che la tengono sveglio di notte. Mi parli di Pansy, perché forse sono io che non riesco a vedere ciò che invece vede lei, mi parli della sua fidanzata. Mi parli della persona che ha scelto per condividere la sua vita.”

Da quanto tempo aveva bisogno di qualcuno che gli parlasse in quel modo?
Da quanto tempo aveva bisogno di parlare?
Erano parole sincere, quelle di Hermione: erano prive di qualsiasi interesse personale ma intrise di una ricchezza che lui forse non avrebbe mai conosciuto e si disse che forse per una sera, solo per quell’unica volta, avrebbe potuto anche lasciarsi andare.

E che forse Hermione era la persona giusta con cui farlo.

Si staccò dalla balaustra e andò a sedersi sulla sdraia.
Le sorrise, leggermente imbarazzato e Hermione gli restituì il sorriso. Per nessun motivo al mondo avrebbe usato ciò che lui le avrebbe confessato quella sera contro di lui.
Avrebbe semplicemente fatto ciò che sua sorella Daphne faceva con lei: avrebbe custodito gelosamente i suoi segreti.









“Pensavi a questo quando hai fatto mettere la moquette nel tuo ufficio?” – chiese una piacevolmente indolenzita Laney, stesa sul pavimento – sulla moquette – dell’ufficio di John.
Si guardava intorno, come se non fosse accaduto ciò che invece era accaduto. Lo sentì ridacchiare dietro di lei.
La donna si girò con la testa sorretta da una mano e la sua giacca a coprirle il corpo nudo.
“Non esattamente.” – rispose John. – “Senti Laney…”
La ragazza gli occhi al cielo e si alzò, sbuffando infastidita.
“Non iniziare, eh?” – gli chiese.
“Siamo giunti al “dopo,” Laney.” – fece presente John.
La donna iniziò a vagare per l’ufficio del suo capo tutta nuda alla ricerca degli indumenti che lui aveva scaraventato chissà dove.
“E cosa vuol dire “dopo” John?” – chiese, più concentrata a cercare il reggiseno che alle sue parole.
Perché non capiva? Perché non poteva prendere ciò che veniva e poi salutarsi?
“Cosa succederà domani?”
“Ma che diavolo vuoi che ne sappia io?” – sbottò mentre s’infilava gli slip. – “Per quello che ne so, potrebbe arrivare un ciclone!, un cataclisma!, un’inondazione!”
“Sai benissimo a cosa mi riferivo!” – sbottò l’altro.
“Onestamente non lo so e a dirti la verità, non mi interessa. E’ stato sesso John: semplice e fantastico sesso.” – chiarì. – “Prima ti ho chiesto se era l’amore che cercavi e non mi hai risposto. Fallo ora.” – disse, con il reggiseno in mano.
“Io non…”
“John! O sì o no!” – esclamò esasperata.
“No!” – urlò l’altro, temendo di aver ferito la ragazza.
“Dio ti ringrazio!”
Ogni disagio venne spazzato via da quella frase.
“Scusa?”
“Senti, ma per chi mi hai presa? Se volessi una storia vera, di certo non andrei a letto con il mio capo.” – iniziò a saltellare sul posto per infilare la gonna.
“Ma…”
Afferrò la camicetta.
“E comunque, a prescindere, una storia non la voglio nemmeno io!”
“Io… credevo che…”
Laney si fermò, perplessa.
“Cosa? Che credevi?”
“Credevo di averti offesa, dicendoti che non voglio impegnarmi con te.”
“Il giorno in cui tu vorrai impegnarti con me, John Cook, sarà l’ultimo tuo giorno sulla faccia di questa terra.” – lo minacciò.
Ok, qualcosa non andava…
“Laney…”
“Per l’amor di Dio John!” – esclamò lei esasperata, tornata impeccabile come se neanche si fosse spogliata. – “Ti stai facendo un sacco di problemi per niente! Ti è piaciuto quello che abbiamo fatto?”
“Sì, ma…”
“Perfetto! E’ piaciuto anche a me. Fine della questione. Se vuoi possiamo ripetere ma non mi tirare più fuori questi discorsi perché mi danno fastidio. Limitiamoci al sesso, d’accordo? L’amore… quello lo lascio alle ragazzine che scrivono sul “That is?” e che devono ancora capire che un bacio non ti mette incinta e che la coca cola non uccide lo sperma.” – disse dura.
John non sapeva cosa dire.
Non aveva mai visto Laney sotto questa prospettiva e la cosa… lo eccitò.
Finalmente una donna che non cercava l’amore preconfezionato, una donna che non voleva coinvolgimenti. La cosa lo stuzzicava parecchio.
“Quindi, niente amore?”
“Niente, nada, zero!” – esclamò, più interessata a sistemare la propria frangetta che a ciò che si erano appena detti.
“Allora ci sto.” – disse John.
Laney smise di sistemarsi la frangetta e lo guardò. Un piccolo sorriso spuntò sulle sue labbra che, prima, erano rosse come il fuoco.
“Allora credo che potremmo andare d’accordo. Ci vediamo domani, signor Cook.”
“A domani, signorina Miller.”
La sentì ridere.

Una volta fuori dalla porta, Laney si concesse un sorriso solare.
Aveva sinceramente avuto paura di essersi innamorata del suo capo ma quando era venuta l’ora di separarsi da lui, non aveva avvertito nessun macigno nello stomaco o il cuore piagato a metà.
La sua era solo attrazione fisica e il loro un sano sesso.
Meglio di così non poteva andare!









Quella sera qualcosa veramente cambiò nel rapporto tra Draco e Hermione.
All’ennesimo “signor Malfoy” Draco aveva sbuffato e le aveva chiesto di chiamarlo per nome e di dargli del tu. Educatamente Hermione aveva ringraziato e poi avevano continuato a parlare.

Erano stati onesti entrambi.
Finalmente Draco aveva ammesso di averle dato due lavori per far contenta Pansy ma Hermione aveva letto tra le righe che non lo aveva fatto per accontentarla, ma per farla stare zitta. Un’altra al suo posto poteva pensare che sposare una ragazza simile fosse un errore madornale ma Hermione aveva sempre tenuto fede a una semplice regola: non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.
Se a Draco piaceva Pansy con tutti quei difetti, lei non era nessuno per poter mettere becco nella sua decisione, anzi. Ammirava Draco perché aveva comunque scelto una persona imperfetta ma che amava con tutto se stesso.
Lei aveva parlato poco, perché aveva visto giusto quando aveva pensato che avesse bisogno di sfogarsi. Aveva fatto di tanto in tanto qualche domanda, anche personale e, sì, anche costellata di un po’ di sana ironia che non guastava mai.

“… e non ti nascondo che vi vorrei vedere andare d’accordo.”
“Draco, per i miracoli non sono ancora stata attrezzata.” – scherzò lei.
Anche Draco si rese conto di averle chiesto un po’ troppo.
“E’ proprio così difficile?” – le chiese.
A Hermione un po’ dispiaceva non poterlo accontentare ma davvero quella che le aveva appena chiesto era un’impresa ercoliana.
“Io…”
“Adesso devi essere tu onesta con me.”
“Giusto.” – concesse lei. – “Vedi Draco… io non sopporto le persone che per farsi belle agli occhi degli altri, ai tuoi in questo caso, devono mettere nella merda gli altri.” – w la sincerità. – “Per non parlare del fatto che trovo assolutamente infantile il fatto che lei abbia mandato avanti te per punire me. Insomma… mi pare che sua madre le abbia fatto la bocca per parlare.” – disse, con pesante ironia. – “Allora perché non venire a chiarire direttamente con me? Per non dire di quando lei afferma di essere stata pesantemente umiliata da me quando in realtà non ho fatto altro che mettere in chiaro le cose come due persone adulte e civili senza offenderla in alcun modo. Sarei perfino in grado di andare d’accordo anche con Hitler perché lui non fa mistero delle proprie idee ma con Pansy… davvero mi dispiace ma è più forte di me. Quando e se vedrò che da parte sua c’è voglia di dialogare, magari non come due migliori amiche ma anche solo per il bene dell’azienda, non mi tirerò indietro ma per il momento… lascerei le cose come stanno.” – disse. – “Sei arrabbiato?” – chiese Hermione, cercando il suo sguardo rivolto verso il basso.
Draco lo rialzò e le sorrise.
“No, anzi. Sei molto onesta Hermione. E non parlo solo sul lavoro ma anche nel privato. In molti avrebbero solo parlato bene di Pansy per non farmi arrabbiare.”
La ragazza fece le spallucce e poi tornò a guardare il cielo.
“Non prendertela a male Draco, ma le persone arrabbiate non mi fanno né caldo né freddo. Ci sono cose ben peggiori di un’arrabbiatura dovuta a una divergenza di opinioni.”
“Concordo, ma sai… non tutti hanno la tua schiettezza.”
La ragazza ridacchiò.
“Allora vuol dire che preferisci le persone che fanno la bella faccia davanti e poi ti piantano un bel coltello nella schiena?” – chiese.
“No ma in questo ambiente, soprattutto quando girano parecchi soldi, è difficile trovare persone come te.”
“Ti prego, ti prego, ti prego!” – esclamò lei. – “Tutti questi complimenti mi ammazzeranno!” – disse, portandosi teatralmente la mano sul cuore.
Draco rise di gusto. Era da tanto tempo che non gli capitava.
“D’accordo la smetto. Sei molto diversa dalle altre tue colleghe. Non ti interessi di ciò che pensano gli altri di te, fai il tuo lavoro e basta, aiuti quando ti è possibile… non credi che rischi di isolarti dagli altri?”
Hermione si girò di scatto.
“Ipocriti.” – rispose Hermione.
Draco la guardò perplesso.
“Chi?”
“Tutti.” – disse come se fosse ovvio. – “Finora non ho mai trovato nessuno che dicesse una cosa e poi la portasse avanti, qualunque fossero le conseguenze. Tutti banderuole, pronti a cambiare partito una volta che cambia il vento. Io vivo la mia vita Draco, non quella che gli altri vorrebbero che io vivessi. Se io faccio una scelta per far felici gli altri ma non me stessa, poi chi sta male sono io. Ma tanto nessuno se ne cura, perché loro hanno le loro vite, i loro affari, i loro impegni… e nessuno più ti guarda. È sempre così!” – esclamò. – “Passi una vita a soddisfare le esigenze degli altri e tralasciare le tue ma quando viene il momento che hai bisogno di aiuto e vai dalle persone che hai sempre cercato di compiacere, queste ti voltano le spalle, perché hanno altro da fare. Non si curano se stai male e non ti aiutano se loro per primi non hanno un personale tornaconto. E alla luce di ciò preferisco vivere una vita di isolamento e riuscire a guardarmi ancora allo specchio, piuttosto che accompagnarmi a persone che al mio primo momento di cedimento mi abbandoneranno.”
Fine arringa.
“Non volevo offenderti…” – disse Draco, spaesato da quello sfogo.
“Non mi hai offesa, è che non sopporto quando mi si viene a dire che rischio di rimanere sola per il mio carattere. E allora? Rimango sola io, mica gli altri! E io sto bene così. Da sola riesco a gestire due lavori…” – disse, con un sorrisetto sfrontato che fece alzare gli occhi a Draco. – “… ma se iniziassi a farmi amici i colleghi, si dovrebbe perdere tempo a chiacchierare, a raccontarsi i fatti propri, a organizzare aperitivi… e io vengo pagata per lavorare, non per organizzarmi il tempo libero. Quello lo faccio quando sono a casa.”
“Di te hanno buttato via lo stampino, vero?” – chiese Draco.
“Sì, mi spiace per te. Quindi ti consiglio di trattarmi con i guanti, da oggi in poi.” – scherzò Hermione, ridendo.
In quel modo, era stato spazzato via il ricordo di quello sfogo e la tensione che si era venuta a creare con esso.
“Me lo ricorderò.” – disse Draco. – “Quando torniamo, ti farò fare un po’ di gavetta, di quella seria, però.”
Hermione si girò e non riuscì a trattenere un sorriso.
Che fosse arrivato il momento di premiarla davvero per i suoi sforzi?
“Oh bene. Era ora.” – sdrammatizzò lei.
“Allora è deciso.” – disse Draco, alzandosi.
“Vai a letto?”
“Beh, credo sia anche ora.” – disse. – “Sono quasi le tre.”
Hermione sbarrò gli occhi. Si alzò e rientrò in camera pure lei.
“Oh cavolo… sei logorroico lo sai?” – scherzò Hermione.
“Sì, certo…”
La ragazza lo accompagnò alla porta e lo salutò.
“Allora buona notte.”
“Buona notte. Ah Hermione?”
“Sì?”
“Quello che ti ho detto stasera…”
“… verrà con me nella tomba Draco.” – lo rassicurò.
L’uomo sorrise, grato. Avrebbe potuto benissimo risparmiarsi la domanda…
“Buona notte Hermione.”
“Buona notte Draco.”









“E così ripartite dopodomani. Mi spiace sai?”
Il rumore della stecca che colpì la pallina sovrastò per un attimo la voce di Laney.
“Spiace anche a me ma…” – Hermione si guardò un attimo intorno. – “… Draco vuole risolvere quella faccenda.”
La pallina mancò la buca di un soffio. Laney schioccò la lingua sul palato, infastidita.
Hermione prese la sua piña colada e ne bevve un sorso.
“Beh, credo sia naturale. Non a tutti piace avere un verme nella mela.”
“La cosa un po’ mi preoccupa perché ho visto che parte delle registrazioni riguardavano delle provvigioni che ho inserito io. So di per certo che il mio lavoro non ha pecche perché lo ricontrollo sempre mille volte prima di presentarlo, quindi davvero non so cosa pensare.”
“Magari qualcuno ci ha messo le mani per sbaglio e ha fatto un casino.”
Hermione la guardò storta.
“Ci avete presentato otto pagine fronte e retro di quegli “sbagli”. Forse sono un po’ troppi, non credi?”
Laney la guardò come per dire “sì, hai ragione”.
“Una falla nel software?” – propose Laney.
“E’ quello che stiamo sperando io e Draco.” – disse Hermione. – “Gli prenderebbe un colpo se si trattasse di qualcuno che lavora all’interno.” – Hermione prese la mira e tirò.
La pallina andò in buca dopo aver sbattuto un paio di volte contro i lati.
“E ci credo. Quando è successo a noi non capivamo cosa fosse perché la falla aveva un codice di errore talmente piccolo che erano passati due mesi prima che riuscissimo a trovarla. Nel frattempo John stava facendo il diavolo a quattro.”
“A proposito di John… sviluppi?”
“Non siamo mica innamorati!” – esclamò Laney, che aborriva la sola idea.
“Hai capito quello che volevo dire.” – disse Hermione.
“Va bene. Davvero!” – disse Laney, non ancora pronta a confessare tutto all’amica.
“Come preferisci. Allora, tiri?”
Laney si piegò e tirò in buca. Finalmente la centrò pure lei.
“Mi ha fatto molto piacere rivederti.”
“Intendi tornare in Inghilterra o hai troncato ogni rapporto?”
“La seconda.” – disse Laney. – “Ho solo avuto delusioni laggiù mentre qui sono quella che ho sempre desiderato essere.”
“E i tuoi? Li senti di tanto in tanto?”
“Perché dovrei sprecare cinque dollari di chiamata per loro?” – chiese la ragazza che tirò una seconda volta ma con molta più foga.
Infatti la stecca colpì male la pallina e questa finì sulla sponda accanto.
“Perché ti mancano?” – chiese Hermione, retoricamente.
“E allora? Quando ne avevo bisogno, non c’erano e sai come la penso.” – con un’unica sorsata, Laney finì il suo mojito.
“Sì, certo… scusa, non volevo farti star male.”
“No, non preoccuparti.” – disse l’amica, tornando un po’ più serena. – “Allora, ti va di andare a fare un giro?”
“Sì, andiamo.”


Quella sera, Hermione scoprì dove viveva Carrie Bradshow di “Sex and The City” e dove si trovasse il Four Seasons dove alloggiava solitamente Mr. Big.
Poi entrarono in una tavola calda e ordinarono tante schifezze che sarebbero finite subito su fianchi e sedere. Risero così tanto per delle cavolate che a fine serata avevano gli addominali indolenziti.

“Era da tempo che non mi capitava di ridere così!” – esclamò Laney. – “Domani ti faccio vedere il resto!”
Hermione rise ancora e annuì.
“Quando torno a Londra, mi organizzo e ti chiamo ok?”
“Va bene.”




Quel tanto atteso domani arrivò abbastanza in fretta.
Draco e Hermione avevano raggiunto un buon equilibrio e la riccia non poteva essere più felice di così.
Laney la portò in centro a vedere dei musei e delle mostre di arte e la sera di nuovo a far baldoria.


Purtroppo arrivò anche il momento dei saluti.

“Sono stata davvero felicissima di rivederti. Prometto che mi farò sentire più spesso. Per te i cinque dollari li spendo volentieri.” – disse Laney.
“Io invece li addebiterò alla Malfoy Home.” – scherzò Hermione.
“Spilorcia.”
“Beh, eccoci qui. Non so a che ora mi alzerò domani ma ti faccio un colpo di telefono quando arrivo in aeroporto, d’accordo?”
“Ci conto. Ciao Hermione, fa buon viaggio.”
“Grazie. Ah, hai da scrivere?” – chiese la riccia all’ultimo.
“Sì, perché?”
“Da qua: ti lascio la mia mail aziendale e la mia di casa. Quando arrivi in ufficio, mandami un messaggio con la tua, così ti metto in memoria.”
“Ah, va bene.”
Le due si abbracciarono strette e poi ognuna andò per la propria strada.









“Attenta Hermione!”
La riccia si scansò all’ultimo, stordita.
Draco andò da lei.
“Stai bene?”
La risposta di Hermione fu un sonoro sbadiglio.
“Scusa… ho un sonno…”
“La notte leoni, la mattina…” – disse, lasciando la frase in sospeso.
“Coglioni, dillo pure.” – disse la riccia. – “Laney mi ha trascinata ovunque ieri sera.”
“A te servirebbero due settimane di ferie per riprenderti, te lo dico io.”
La riccia sbarrò la bocca in un sorriso luminoso tanto che Draco pensò che soffrisse di doppia personalità.
“Mi dai le ferie?”
“No.”
“Al diavolo…” – disse, con il sonno che era ritornato.
“Dai andiamo, hanno chiamato l’aereo.”
Dopo aver rifatto lo stesso procedimento, i due presero posto sul bus che li avrebbe accompagnati sull’aereo.

“Allora, ti è piaciuto quello che hai visto di New York?” – chiese Draco, accomodandosi al proprio posto.
“Sì. E’ davvero una bella città, proprio come la vedi in tv.”
“Forse più avanti la vedrai più spesso…” – disse Draco, lasciandole intendere come sarebbe stata la sua vita nel prossimo futuro.
Hermione girò lo sguardo verso l’oblò e sorrise.
La sua vita non poteva andare meglio.









Calli-corner:

E poi ditemi che non vi voglio bene.
Finalmente tra i due le cose stanno andando bene e Hermione inizierà a fare una gavetta seria. Basta punizioni immeritate, basta battibecchi con Pansy: la ragazza si è fatta conoscere finalmente per le proprie doti e ora potrà mettere le mani sull’agendina di Draco e sul numero di Brad Pitt. ^_^

Ma, naturalmente, non posso lasciarvi senza l’immancabile spoiler!

“D’accordo, me ne vado…” – disse, con un sorriso sarcastico. – “… almeno non dovrò più vedere la tua merdosa faccia ogni sacro santo giorno!” – si sentì subito meglio l’attimo successivo.
Pansy aprì la bocca, indignata.

Ehm… ops?
Sono aperte le scommesse su quello che può essere successo e sul perché Hermione si sia decisa a rendere pubblica l’opinione che lei – e l’intera Malfoy Home – ha di Pansy Parkinson.

Adesso scappo, per andare a continuare la storia che voglio postare dopo questa e alla quale manca solo una bella revisionata – sapete, orrori di ortografia, ripetizioni, bimbomikiate – e soprattutto per evitare i vostri forconi che mi bucherellano il culetto.

Bacioni,
callistas
*hihihi…*

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Capitolo 10
*** Il marchio del tradimento ***


10 - Il marchio del tradimento Mie fedelissime… un bentornato a voi.
E a me. ù_ù

È stata dura, devo ammetterlo.
Non immaginavo che andare in ferie fosse così stressante. E non scherzo.
Sono stata al paese del mio fidanzato e in una settimana ho dovuto girare mezza Sicilia per andare a trovare amici e parenti.
È un bel paese, per carità, ma molto caotico. Anche se non ti conoscono, ti fermano e si mettono a chiacchierare mentre io, invece, sarei più un tipo da “meditazione Zen”, ovvero lasciatemi-in-pace-e-fatevi-i-cazzi-vostri.

Ma tutto sommato è andata bene.
Tempo bellissimo e mare stupendo.
Vabbè, torniamo con i piedi per terra e con il capitolo su EFP.


A parte gli sproloqui sulle mie ferie che, naturalmente, non interessano a nessuno, non ho molto altro da dire.
Il mio angolino si trova sempre in fondo alla pagina, nel quale ho messo un paio di spiegazioni sul titolo.

A più sotto,
callistas









Lunedì diciassette novembre e tutto era ripreso a scorrere come doveva essere.
Hermione si divideva ancora tra contabilità e magazzino ma con la mente era già alla gavetta che Draco le aveva preventivato in aereo.
Una parte del suo cervello, però, era tutta sulla registrazione di quelle provvigioni. Chissà quanti altri dati sbagliati c’erano e se Draco si era già messo all’opera per trovare la soluzione.
La ragazza avrebbe tanto voluto fare qualche domanda ai tecnici ma non sapeva se fosse una buona idea. Non voleva prendere iniziative sconsiderate, non ora che aveva raggiunto finalmente un equilibrio con Draco.


Non poteva andare meglio di così.
Anche se avevano stretto una sorta di “amicizia” – se di amicizia tra un datore di lavoro e una collaboratrice si può definire il loro rapporto – per Hermione non cambiava niente, se non solo per qualche battuta in più che poteva permettersi di fare con Draco alle quali l’uomo rispondeva o con una ghignata delle sue o con un’esasperata alzata di occhi al cielo.
Il biondo direttore aveva smesso di farsi venire l’orticaria di fronte a tutti i “perché” della riccia, solamente per il fatto che da quando erano tornati a Londra, quei “perché” erano mirati a colmare le lacune in ambito lavorativo.

A volte sembrava di vedere un padre che trasmetteva il proprio sapere al figlio.

Hermione assorbiva come una spugna tutte le nozioni che Draco le forniva sull’azienda. A volte il biondo pensava che le mancasse solo un block notes e una penna per fare di Hermione una scolara.
Con le informazioni di Draco, stava lentamente mettendo insieme il puzzle che era la Malfoy Home.

Di tanto in tanto, Draco se la tirava dietro in qualche settore, giusto per farle assaggiare come sarebbe stata la sua vita futura all’interno dell’azienda.
Hermione gli trotterellava dietro, tutta contenta di essere finalmente stata notata per le proprie capacità.


Un po’ meno contenta ma abile nel nasconderlo, era invece Pansy Parkinson.
La mora fidanzata del direttore della Malfoy Home era costretta a rosicchiarsi le unghie per quella confidenza e per quel feeling che i due avevano sul lavoro e, naturalmente, come ogni fidanzata gelosa insicura del rapporto con il proprio uomo, vedeva cose inesistenti dappertutto.
Purtroppo Draco era stato chiaro quando avevano parlato al suo rientro dall’America.

“Siediti.”
L’aveva convocata nel suo ufficio con una freddezza e un distacco tali, che davvero Pansy pensò che l’avrebbe lasciata.
“Allora, veniamo subito al dunque.” – chiarì lui. – “Mi sto onestamente stancando.”
Pansy era sbiancata.
“Sono stanco di vederti fare i tuoi comodi all’interno di quest’azienda, stanco di chiamare nel tuo ufficio e non trovare nessuno, stanco di vedere i dipendenti entrare nel mio ufficio con delle carte che tu dovevi firmare, ma che per un astruso motivo hai sempre accantonato ma soprattutto… sono stanco di vederti provocare Hermione.”
La mora aveva tirato un sospiro di sollievo. Non la stava lasciando. Tuttavia, non gradì che Draco prendesse le parti di quell’insulsa contadinotta e non le sue.
“Hermione.” – ripeté lei, sfoggiando l’arma della gelosia. – “Dunque il viaggio a New York è andato meglio del previsto?” – chiese, osando insinuare atteggiamenti poco etici di un fidanzato nei confronti della fidanzata lontana e di un datore di lavoro nei confronti di una dipendente.
Draco la guardò duramente.
“Queste sono le insinuazioni di una donna di basso borgo, Pansy.”
La mora arrossì per la stoccata.
“E tra le tante cose di cui sono stanco, è dovervi sempre difendere dalle tue accuse di tradimento. Ogni volta che parlo con una donna del mio organico, devo sempre fare i conti con te e la tua inutile gelosia. Stiamo per sposarci. Questo non significa niente per te?” – l’accusò.
Pansy chinò lo sguardo.
“E’ solo che vedo quanto tu sia accomodante con certe donne Draco. Tutto qui.” – disse, riferendosi volutamente a Hermione.
“Se devi parlare di Hermione, fallo apertamente, per favore.” – la riprese.

La chiacchierata con la riccia aveva dato i suoi frutti.
Hermione non si faceva problemi a dire le cose in faccia e Draco aveva iniziato a trovare questo comportamento molto positivo e da persone mature. I giri di parole, i sottintesi… iniziavano davvero a stancarlo.

“Ti ho già detto che la trovo una valida collaboratrice e che intendo puntare su di lei. Ora hai due scelte: o accetti Hermione, magari non come migliore amica ma come collaboratrice, oppure te ne vai.”

Aveva parafrasato le parole della riccia e quando se ne era accorto, se ne era sorpreso parecchio.

Pansy era sbiancata paurosamente. Le stava dando un ultimatum?
“Dunque è a questo che siamo arrivati? Agli ultimatum?” – chiese Pansy, indignata. – “E tutto per chi? Per Hermione Granger? Ma si può sapere che ha quella in più degli altri?”
“E’ una brava ragazza Pansy, una che nonostante l’abbia ficcata in magazzino per farti contenta non si è arresa e ha migliorato non solo il lavoro, ma ha anche sistemato un grave problema di Sicurezza sul Lavoro che, da quello che mi risulta, spettava a te. Una che nonostante le abbia dato anche l’amministrazione da seguire, sempre per farti contenta, se ne è rimasta zitta e ha fatto pure quello. Obiettivamente, Pansy: chi non vorrebbe in azienda una così?”
“Draco… mi giuri che non c’è niente tra voi due?”

Aveva giocato la carta dell’incompresa che, di solito, funzionava sempre.
E così fu anche quella volta.

“Niente di niente. Solo rispetto.”
Pansy annuì.
“D’accordo. Scusami per le mie assenze. Ti prometto che non capiteranno più.”
Draco annuì.
“Va bene. Coraggio, ho bisogno di te qui dentro.”
Sorridendo, Pansy uscì.




Il giorno in cui Hermione riuscì ad ottenere ciò che si meritava, fu il martedì della settimana successiva.

Draco si era mobilitato e aveva chiamato una squadra di tecnici esperti per mettere a soqquadro ogni computer aziendale o mezzo tecnologico che potesse avere a che fare con i bilanci che erano arrivati in mano a John e che si era accampata lì già dal giovedì precedente.
Non avevano saltato nessuno su ordine di Draco stesso: neanche il centralino, il cui unico lavoro era smistare le chiamate e che con la contabilità non c’entrava proprio niente.
Ogni settore che entrava in contatto con quei tecnici, veniva bloccato per delle ore e scansionato fino a trovare il più microscopico degli errori. Per l’occasione Draco non aveva badato a spese: anche se ci avessero impiegato un mese, alla fine la falla doveva saltare fuori.

Solo alla fine delle loro ricerche, gli esperti avrebbero fatto un resoconto sul sistema operativo aziendale e lo avrebbero consegnato a Draco e a nessun altro.


“… già che ci sei mandami via mail… cosa? Sì, sì! Anche quello! Ok, ok allora l’aspetto, grazie!”
Hermione riagganciò il telefono e annotò sul block notes l’appunto telefonico. Voci di corridoio dicevano che a breve quei geni dei computer sarebbero arrivati anche nel loro ufficio e tutti erano un po’ – un bel po’ – preoccupati perché sui propri computer c’erano informazioni personali, disdette di polizze assicurative o mail inviate ad amici per l’organizzazione di una serata, che con il lavoro non c’entravano niente.
Hermione, invece, non aveva niente di tutto ciò. Il suo computer era lindo come il culetto di un bambino appena lavato e non temeva niente.
Continuò con il proprio lavoro, con la coscienza pulita.


“Non capisco perché non hai fatto fare questo lavoro ai nostri tecnici.” – chiese Pansy, mentre guardava dalla finestra di Draco il parcheggio sottostante e si rigirava tra le mani il girocollo di perle. – “Ti costerà un patrimonio.”
“Può costarmi anche l’azienda, non m’interessa.” – disse Draco, pinzando un paio di fogli insieme. – “Voglio sapere che cos’è successo e poi scoprirò chi ha spedito quei documenti a John.”
Pansy continuò a fissare il paesaggio, rigirandosi la collana tra le dita.
“Hai magari pensato che forse non è un problema del software?” – chiese, girandosi.
Draco si girò e la guardò dritto negli occhi.
“Sì.”
“Quindi?”
“Quindi ho chiamato questi tecnici proprio per appurare che nel sistema non ci sia niente.”
“E se è stato qualcuno dell’azienda, cosa farai?”
“Non lo so. Prima devo sapere chi è.”
“Certo, certo… Mi chiedo poi chi sia stato a mandare quei bilanci a John.”
“Scoprirò anche questo.” – disse Draco, che ormai era sulle spine.
“Beh, ti lascio al tuo lavoro. Torno nel mio ufficio.”
“Sì, certo.”
Pansy uscì e Draco pensò che la chiacchierata post viaggio in America era stata un toccasana per la sua fidanzata, perché l’aveva vista più presente sul lavoro, meno distratta e più consapevole del proprio ruolo all’interno del suo organico.
Forse quella sera potevano recuperare gli arretrati accumulati, pensò divertito.




Controllare alcuni settori aziendali fu un lavoretto molto semplice e veloce, perché certi computer non erano programmati per alcune funzioni che, invece, erano proprie del reparto amministrazione.

Era martedì pomeriggio e a breve i tecnici della Hogwarts’ Academy avrebbero consegnato a Draco il resoconto sul lavoro eseguito.
Avevano invaso la sua azienda per una settimana, ma se era vero quanto si diceva su di loro, erano talmente bravi che avrebbero trovato anche il classico ago nel pagliaio.
Non riusciva a spiegarsene il motivo, ma non era convinto che il difetto fosse nel software: quella era opera di qualcuno che voleva sabotargli l’azienda. Per non parlare di quell’intrusione avvenuta nell’ufficio di Pansy solo qualche anno addietro.
Avevano sporto regolare denuncia contro ignoti, ma i ladri non erano più stati trovati.
Quando il giorno dopo avevano scoperto il fatto, sembrava non mancasse niente. Solo dopo aver visto parte del bilancio della sua società da John, Draco si era reso conto di cosa mancasse: quei ladri dovevano aver fatto una copia del programma per il bilancio in modo tale da tenerlo sempre sotto controllo.

Draco era davvero preoccupato.
Se non poteva fidarsi delle persone con le quali lavorava come avrebbe potuto fare?

“Draco?”
“Sì?”
“Ci sono i tecnici qua fuori.”
“Falli entrare Pansy.”
“Subito. Prego, entrate.” – disse agli esperti.
In fila entrarono in silenzio con in mano delle cartellette. Entrò anche Pansy, che andò a sistemarsi dietro le spalle di Draco in un atteggiamento che l’uomo giudicò estremamente professionale.
Aveva capito come doveva comportarsi.
“Buon giorno signori.” – salutò l’uomo.
“Buon giorno.”
“Allora, che mi dite? Novità?” – chiese Draco, che non aveva voglia di girarci intorno.
“Qualcuna, sì.” – disse quello che doveva essere il responsabile dell’operazione. – “Analizzando i vostri computer, abbiamo trovato parecchie cose non inerenti all’ambito lavorativo.”
Draco divenne di ghiaccio e quando sentì la mano di Pansy posarsi sulla sua spalla, si rilassò. Forse Pansy non sarà stata la persona più solare di questa terra, ma capiva quando lui aveva bisogno di sostegno.
Proprio come in quel momento.
“Del tipo?”
“Oh, le solite cose… E-mail personali su come organizzare la serata, a che ora trovarsi per il cinema… cose così.” – chiarì.
Ma Draco non era tranquillo. Non era quello che gli interessava sapere.
“E… del programma gestionale cosa mi dite?”
“Quello funziona a meraviglia, signor Malfoy.”
Draco abbassò lo sguardo per un attimo.
Cazzo…
“Lo ZXP9500/1 è forse il miglior programma attualmente in commercio che resiste a qualsiasi attacco di forzatura esterna. Una volta contabilizzati i dati non si possono più modificare, a meno che…
Draco alzò lo sguardo di colpo.
“A meno che?” – era in un bagno di sudore.
“A meno che non venga introdotto un Cavallo di Troia, con unica funzione quella di cancellare certi tipi di dati. Una volta cancellati, si possono reinserire sbagliati.”
E meno male che era il miglior programma attualmente in commercio che resiste a qualsiasi attacco di forzatura esterna, pensò Draco ironico.
“Dunque alla fine è stato qualcuno a manomettere i bilanci.” – fu la conclusione di Pansy.
“Purtroppo sì. E sappiamo anche chi.”
Ecco il momento della verità.
“Abbiamo trovato su un computer una fitta corrispondenza, tra l’altro nascosta molto male, tra il suo dipendente e una società fittizia alla quale siamo risaliti mediante un’approfondita ricerca. Questi sono i testi che abbiamo stampato.”
Draco li prese e sfogliò le pagine con fare distratto. Si poteva quasi dire che fosse più interessato al quantitativo che non a quello che vi fosse scritto sopra: l’essere venuto a conoscenza che nella sua azienda c’era qualcuno che gli remava effettivamente contro era stato davvero un duro colpo.

Di nuovo, il confronto con il padre fu inevitabile. Draco non aveva mai sentito parlare di questi problemi quando suo padre gestiva l’azienda.
Perché dovevano iniziare proprio con lui?

“E di chi è il computer in questione?” – chiese Pansy con aria grave.
“Risponde al nome di…” – il tecnico aprì la cartelletta e lesse il nome. – “… Hermione Granger.
Draco avvertì nitidamente una lama conficcarsi nella schiena.




La ragazza in questione stava tranquillamente parlando al telefono con Roger.
A causa di quel viaggio, alcuni lavori si erano accumulati sulla sua scrivania e non aveva avuto modo di salutare i colleghi del deposito come avrebbe voluto.
“… beh, ho visto pochissimo perché Draco è voluto rientrare praticamente subito. Sono ancora mezza rimbambita dal fuso orario.” – rise lei.
“Draco, eh?”
“Sì! Mi ha permesso di chiamarlo per nome e dargli del tu. Sai!, ha detto!…” – si zittì immediatamente e iniziò a parlare sotto voce. – “… ha detto che ha dei progetti per me, che secondo lui potrei essere un valido aiuto per l’azienda, ti rendi conto? E poi ha già iniziato a farmi vedere qualcosina…” – disse, ridacchiando eccitata.
“Te l’avevo detto che Draco è una brava persona.”
“Mi sa che avevi ragione tu.”
“E hai visto altro di New York?”
“No. Ma sai la cosa buffa? Ho trovato una mia amica che adesso lavora nella Livin Home! Il mondo a volte è davvero piccolo!”
“Ma pensa te!”
“Così adesso che so dove sta Laney, la mia amica, mi organizzerò e andrò a trovarla, in modo da vedere meglio la città.”
“Sì, certo. E…”
“Hermione?”
E mentre Roger le faceva la sua domanda, Hermione si girò verso la Parkinson.
Beh, doveva ammettere che da quando era tornata in ufficio, non l’aveva più fermata per delle cazzate, anzi… non l’aveva più fermata per niente e aveva pure iniziato a lasciarle aperta la porta quando la intravedeva nel parcheggio. Forse aveva ragione Draco su di lei: bastava conoscerla un po’ meglio per ricredersi.
“Hermione mi senti? Ohi?”
“Ehm, Roger scusa, posso richiamarti dopo?”
“Sì, certo. Ciao.”
“Ciao.” – salutò. – “Ha bisogno?” – chiese Hermione.
“Draco vuole vederti. Adesso.”
“Ah va bene.” – ordinò frettolosamente le carte che aveva sul tavolo e poi seguì Pansy.

Il suo sesto senso era attivo.
Forse si stava sbagliando, forse Draco voleva parlarle di quella famosa “gavetta” di cui le aveva anticipato in America o forse era lei stessa che, ogni volta che vedeva Pansy, entrava in allarme.

Pansy aprì la porta dell’ufficio di Draco e usò a Hermione la cortesia di farla passare per prima.

A quel gesto i campanelli d’allarme di Hermione suonarono a festa perché non era mai capitato prima e non era proprio possibile che Pansy fosse cambiata così radicalmente in quei pochi giorni che erano stati lontani. Per non parlare poi quando aveva visto l’intero gruppo di esperti seduti davanti a Draco che la guardavano come se fosse stata infetta.
E adesso che succede?, si chiese la ragazza.
“Buon giorno.” – salutò.
Nessuno rispose.
“C’è… c’è qualche problema?” – chiese, mentre si stropicciava le mani.
Quel gesto non passò inosservato al direttore della Malfoy Home che lo prese come una sorta di ammissione di colpa.
“Draco?” – lo chiamò Pansy. – “Fai tu o faccio io?”
“Fai tu.” – disse Draco con una voce così fredda che fece venire la pelle d’oca a Hermione.
Perché quel tono? E perché Draco permetteva a Pansy di avere di nuovo “a che fare con lei”? Non avevano forse detto che era bene tenersi a rispettosa distanza per evitare guai? Perché si stava rimangiando la parola?
“D’accordo. Granger, li riconosci questi?”
Malamente, Pansy sbatté sul petto a Hermione – che prese una bella botta sul seno – un pacco di fogli. La ragazza si trattenne dal risponderle male non per soggezione, ma perché voleva capire che stava succedendo.
Guardò i fogli e prese a girarne le pagine.
E che cavolo è ‘sta roba?, pensò Hermione che man mano che girava le pagine le si presentavano davanti agli occhi codici e numeri di cui non sapeva assolutamente nulla.
“Cosa sono?” – chiese, alzando il capo.
“Quelli, Granger…” – continuò Pansy. – “… sono le prove che questi signori hanno trovato sul tuo computer e che fanno di te una criminale!”
Non solo era indispettita per quell’aggressione, ma soprattutto perché la parola “criminale” associata al suo nome era proprio l’ultima cosa che quella puttana! stronza doveva fare!
“Oh! Moderiamo i termini, eh? Io non sono una criminale!”
“Ciò che lei regge in mano signorina Granger…” – iniziò un tecnico che catturò tutta la sua attenzione. – “… sono messaggi, fax e mail che lei ha spedito alla concorrenza e che attestano che lei ha modificato i dati per compromettere la situazione finanziaria dell’azienda.”
Hermione spalancò la bocca, incredula e i fogli le caddero dalle mani.
“Cosa… noo!” – esclamò! – “Non farei mai una cosa del genere! Draco diglielo anche tu!”

Fino a quel momento, Draco era rimasto zitto perché il nodo che gli serrava la gola era talmente enorme che gli avrebbe solo fatto uscire dei rantoli e che avrebbero palesato tutta la sua delusione.
Non si era mai sentito così stupido in tutta la sua vita. Era andato a fidarsi e a confessare cose private proprio alla persona che stava remando contro di lui!
Aveva sbagliato completamente il suo giudizio su una persona e non era una cosa che gli capitava molto spesso. Herm… la Granger era stata molto brava a raggirarlo.

“Cosa dovrei dire?” – chiese Draco, dopo essere riuscito a sciogliere, almeno in parte, quel nodo.
Dal tono di voce, Hermione comprese immediatamente che lui non le credeva.
“Draco…”
“Mi sono fidato di te e in cambio tu… tu spedivi dati falsi alle altre compagnie!” – tuonò.
Hermione sobbalzò sul posto.
Era davvero arrabbiato.


Il reparto si zittì immediatamente.
Non avevano mai sentito il signor Malfoy urlare in quel modo. Chissà che aveva fatto Hermione…


“Ti sei venduta bene, complimenti!”
Un’unica lacrima le solcò la guancia.
“Non sono stata io…” – disse, con voce incrinata. – “Non ho spedito nessun dato a nessuna azienda e non so che cosa siano questi numeri!” – esclamò.
“Ma come?!” – la derise Draco. – “Tu che sai sempre tutto, non sai cosa siano questi dati?”
“No, va bene? Non lo so!”
Ecco che tutta la sua preparazione, ottenuta solo grazie a immensi sacrifici, le si ritorceva contro.
“Peccato che non ti creda per niente! Sei solo una bugiarda! Una falsa! Un Giuda!”

Ah no, eh?
Di tutto si poteva dire di Hermione Granger, ma non che fosse una traditrice!
In un attimo, comprese che tutto era andato in fumo: la fiducia, l’onestà, i suoi sacrifici… tutto in fumo perché quell’idiota di titolare preferiva fermarsi alle apparenze, piuttosto che indagare meglio. Evidentemente il suo impegno sul lavoro non era servito a niente se quello stronzo, appena cadeva una foglia, la accusava!
Lei non aveva fatto niente, cazzo! Niente!

“E tu un emerito pezzo di merda.” – scandì Hermione, dura come il granito che vendevano.
La voce era ferma e dura e gli occhi erano due gemme d’ambra inespressive.
I tecnici sbarrarono gli occhi, ora leggermente a disagio.
“Ma come ti per…” – tentò Pansy, ma Hermione ne aveva anche per lei.
“Ti prego!” – disse Hermione, con gli occhi spiritati. – “Dì un’altra parola e ti butto giù dalla finestra!”
Pansy si zittì.
“D’accordo, me ne vado…” – disse, con un sorriso sarcastico. – “… almeno non dovrò più vedere la tua merdosa faccia ogni sacro santo giorno!” – si sentì subito meglio l’attimo successivo.
Pansy aprì la bocca, indignata.
“Dio Cristo Pansy! Sei la peggior calamità che la terra abbia mai visto dai tempi dei faraoni!” – nessuno sarebbe riuscito a fermare il suo fiume di parole. – “Forse qualcosa di buono in tutta questa storia c’è: finalmente posso dirti in faccia quello che penso di te, senza dover rischiare di beccarmi un surplus di lavoro!” – disse, guardando in faccia Draco, che tenne lo sguardo fisso sul suo. – “Ma non mi lamento di questo, no! Quello che mi è stato sulle palle dall’inizio di questa commedia è che tu sei una poveraccia, che non sa pulirsi il culo da sola, che deve sempre ricorrere all’aiuto di qualcuno! L’unica cosa che mi auguro è che un giorno tu ti possa rendere conto di quanto la tua vita sia vuota e di come hai trattato le persone, anche se forse quella mosca che gira su quel cumulo di merda che tu osi chiamare cervello, non arriverà mai formulare un pensiero che vada oltre il te stessa!”

Tutti, Draco incluso, rimasero sbigottiti dalla rabbia e dalle parole violente di Hermione.
La riccia, dal canto suo, si era sentita liberata di un peso. Che la prendessero per una persona volgare, mal istruita e campagnola ignorante, non le interessava!
L’unica cosa che le interessava era potersi guardare allo specchio la mattina, conscia di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per non avere rimorsi di coscienza.
E quel suo sfogo… oh sì!, quel suo sfogo l’avrebbe fatta andare in giro a testa alta!

Amareggiata da una parte per aver scoperto di non aver mai avuto la reale fiducia di Draco ma felice dall’altra, perché aveva detto in faccia a Pansy tutto quello che pensava di lei dal momento in cui aveva incrociato la sua strada, Hermione si rivolse a Draco per l’ultima sua volta.

“Quanto a te, fai pena Draco Malfoy.” – sputò Hermione. – “Sai perfettamente che io non c’entro niente con questa storia, ma nonostante tutto, preferisci nasconderti dietro un dito, piuttosto che fidarti delle mie parole. Ancora, dopo tutto quello che ti ho dimostrato, non riesci a fidarti di me!”
“Quei documenti erano sul tuo computer!” – esclamò Draco.
“Per favore, evita…” – disse, commiserandolo. – “… sei solo capace di sfruttare le persone per poi buttarle nel cesso quando non ti servono più. Ma sai cos’è che mi fa più ridere?” – chiese Hermione, sinceramente divertita. – “Tu potrai licenziarmi e cacciarmi a pedate nel culo fuori di qui, ma il problema ti rimarrà ugualmente sul groppo e quando capirai chi è il vero responsabile di tutto questo casino, sarà troppo tardi. Tu non sei capace di fidarti delle persone, anzi… conosci il significato della parola “fiducia” solo quando conviene a te. Ti saluto.” – inforcò la porta dell’ufficio del direttore e uscì, sbattendo sonoramente la porta, e facendo sussultare Pansy che, ancora allibita per le parole offensive della ragazza, non era riuscita più a dire nulla.


Si fermò a metà corridoio.
Sentiva freddo dentro di lei, perché non credeva possibile che sarebbe potuta accadere una cosa simile.
Non si era azzardata a versare una minima lacrima per tutto il casino che era successo.
Stava male, provava una rabbia talmente profonda che non sapeva se sarebbe mai riuscita a sbollirla. Eppure… le sembrava che tutto stesse procedendo bene tra lei e il direttore, in ambito lavorativo, s’intenda. Avevano raggiunto un ottimo feeling.
Aveva preso il doppio lavoro non più come una sfida verso Draco ma verso se stessa: se fosse stata in grado di mantenerlo, tutti gli altri lavori sarebbero stati delle bazzecole a confronto e gli avrebbe dimostrato allo stesso tempo di essere una persona affidabile! Aveva smesso di prendersela per ogni cosa che diceva Draco e aveva notato che lavorava addirittura meglio, aveva imparato a chiedergli consigli su come migliorare una determinata situazione, da impiegata che cerca di migliorarsi ogni giorno, e lui l’aveva consigliata, suggerendole trucchi che erano stati insegnati a lui. Faceva domande sull’azienda, dimostrandosi interessata all’attività e ai suoi contenuti, insomma… aveva dimostrato a Draco che lui poteva affidarle anche la sua stessa vita, che lei l’avrebbe protetta anche con i denti, che altro voleva di più!?!

Ma l’aveva tradita.

Aveva preferito a credere a delle prove inesistenti e facilmente eliminabili con un colpo di spugna che al lavoro da lei svolto fino a quel momento.
L’unica nota positiva di tutto quel casino era che aveva potuto dire a Pansy tutto ciò che pensava di lei.


Quando Hermione mise piede in ufficio, l’intero reparto si zittì.
Immaginò che avessero sentito tutto. Conosceva alcuni di loro come persone sfacciate, che più di una volta aveva beccato fuori dalla porta di Draco a origliare mentre faceva il cazziatone a qualcuno.
Entrò a testa alta, perché non aveva niente da nascondere. Arrivò alla sua scrivania e iniziò a mettere via le proprie cose.

Nessuno le chiese come stava.

Come ognuno di loro, aveva decorato la propria postazione con oggettini vari: una matita colorata, un pupazzetto, un adesivo con una di quelle scritte simpatiche… stava mettendo via le sue cose in borsa alla rinfusa, senza preoccuparsi che potessero sgualcirsi, quando la voce di Draco le arrivò da dietro le spalle.
“Sei pregata di non portare via niente da questo ufficio.”
Hermione chiuse gli occhi e continuò imperterrita a mettere via le proprie cose – e chi si portava via niente! – senza dargli risposta.
Nelle postazioni lì accanto, i colleghi iniziarono a indietreggiare con le sedie per evitare di essere colpiti dalla furia di Draco.
“Hai sentito quello che… ah!”
Una serie di increduli e spaventati “oohh!” si levò nella sala. Nessuno si fece più scrupolo nell’alzarsi per vedere meglio ciò che stava succedendo.
Senza tante cerimonie, con una manovra che insegnano ai corsi di auto-difesa, Hermione si girò e piegò Draco sulla scrivania, gli torse il braccio destro dietro la schiena e con l’altra mano gli tenne la testa schiacciata sulla scrivania di Alley, la sua colle… ex-collega.
“Mettimi ancora le mani addosso, e giuro che non potrai usare il braccio per molto, molto tempo.” – aspettò che la minaccia arrivasse a destinazione e poi lo mollò, nemmeno avesse avuto tra le mani del letame.
Draco si rialzò, rosso in volto per l’umiliazione subita.
“E ricordati di questa posizione stronzetto.” – disse Hermione aspra come mai lo era stata in vita sua, ricordandogli di come si fosse trovato a novanta. – “Perché adesso credi sia stata io a fotterti, ma quando arriverà il vero colpevole, ti assicuro che prenderlo in culo farà tre volte più male!”
Tornò a mettere via le proprie cose in silenzio.
“Sei violenta e grezza, oltre che bugiarda!”

E ora, la ciliegina sulla torta.

Incurante delle conseguenze, Hermione si girò e gli sferrò un pugno dritto sul naso. Draco, impreparato per la seconda volta, cadde a terra come un sacco di patate. Poi Hermione, non contenta, gli andò sopra e lo prese per il colletto della sua costosissima camicia.
“E tu sei un perdente Malfoy. Ti circondi di lusso ma sta attento… quando verrà fuori la verità, rimarrai completamente solo. Nessuno ti tenderà una mano!”
Poi lo mollò a terra, afferrò la sua borsa e uscì, una volta per tutte, dalla Malfoy Home.


Di fronte ai suoi dipendenti, uno più sbigottito dell’altro – beh, c’era già chi stava messaggiando con i colleghi di altri reparti per informarli su quanto accaduto e chi aveva sfacciatamente ripreso tutto con il cellulare – Draco si rialzò, rifiutando l’aiuto di un ragazzo.
Era infuriato per ciò che aveva scoperto e per la figura da donnicciola fatta.
“A tutti coloro che hanno usato il materiale aziendale per i propri comodi, verrà diminuito lo stipendio di cinquecento sterline per sei mesi!” – urlò.
E tutti seppero di essere colpevoli.


Hermione salì in macchina come se avesse avuto alle calcagna un’orda inferocita di tori.
Voleva mettere più distanza possibile tra lei e quel mondo di merda che le aveva solo procurato guai. Gettò la borsa sul sedile affianco, accese il motore e ingranò la retro, rischiando di lasciare nel parcheggio il cambio per la violenza usata e scappò a casa.


Draco rientrò nel proprio ufficio con un diavolo per capello.

E con un senso di colpa non indifferente a schiacciargli il petto.

Pansy lo accolse, premurosa come sempre e sbarrò gli occhi quando vide la sua camicia macchiata di sangue e lui che si teneva il naso con la mano.
“Oh mio Dio! Ma che è successo?” – chiese Pansy, cercando di capire l’entità del danno.
“Niente.” – disse lui, brusco.
“Draco fammi vedere!” – esclamò la donna, preoccupata.
“Ho detto niente Pansy. Dove sono i tecnici?”
“Beh, se ne sono andati.” – disse lei, come se fosse ovvio. – “Avevano finito il loro lavoro e poi… non erano molto a loro agio dopo la scenata della Grenfer.” – disse Pansy.

E nonostante l’avesse accusata pubblicamente e pesantemente di tradimento, Draco non riuscì a mandare giù il fatto che la sua ragazza avesse sbagliato il cognome di Hermione.

Cazzo!, aveva appena scoperto che lei boicottava la sua azienda e lui si preoccupava che Pansy pronunciasse correttamente il suo cognome? Ma aveva battuto la testa quand’era caduto?
Si morse la lingua per non correggerle l’errore.
Si sedette pesantemente alla propria scrivania, togliendo di tanto in tanto il fazzoletto per accertarsi che l’emorragia fosse terminata.
“Sai…” – disse Pansy con un tono gioviale e molto poco adatto alla situazione che lo fece girare con un’aria perplessa. – “… mia madre mi ha chiamato e mi ha detto che per la cerimonia ha contattato Maggie Carlton per cantare l’Ave Maria di Schubert.”
Meggie Carlton era una soprana molto famosa.
Draco la guardò, sbigottito. E che c’entrava?
“E ti sembra il momento di dirmelo?” – chiese, non comprendendo cosa passasse nella mente della sua ragazza. – “Pansy, ho appena scoperto che una mia fidata collaboratrice mi remava contro…”
Appena pronunciò quelle parole, Draco le sentì stridere come uno strumento male accordato, se paragonate a tutto quello che Hermione, in soli tre mesi aveva fatto per l’azienda.
“… e tu mi vieni a parlare della Carlton?”
“Draco, so che sei sconvolto ma ormai abbiamo beccato chi era la mela marcia. Dovresti chiudere questo capitolo e guardare avanti.” – disse Pansy.
Sì, forse avrebbe dovuto, ma se ripensava alla forza di volontà di Hermione, al suo non arrendersi mai, al suo aiutare le persone, al suo sfidarlo, non ci riusciva.

La reazione della ragazza era stata troppo sincera per essere studiata. Quella era la reazione di una persona innocente che si è vista accusata di fatti che non aveva compiuto.
Ma i dati erano sul suo computer, però, continuava a pensare Draco.
Dunque?

“Draco? Draco mi stai ascoltando?”
L’uomo serrò gli occhi, per la prima volta infastidito dalla voce della sua futura moglie.
“Pansy…”
“Guarda che se non vuoi la Carlton possiamo sempre chiamare qualcun altro e…”
“Pansy sta zitta!”
Pansy serrò immediatamente la bocca, incredula.


Draco non si era ancora reso conto dell’incredibile pugnalata che aveva inferto a Hermione e forse non se ne sarebbe mai veramente capacitato.
L’unica cosa che sentiva, che sapeva, era che quella sera a New York, dopo che era uscito dalla camera di Hermione per quella lunga chiacchierata, aveva dormito serenamente per la prima volta dopo anni.









Arrivata a casa, Hermione gettò il borsone e la borsa a terra, mentre la sua cagnolina la guardava con un enorme punto interrogativo in testa. Della serie “come mai già a casa?”
Hermione guardò la sua Lilly e poi andò in camera per riposarsi, ma prima dovette fare una cosa molto importante.
Prese il cellulare e compose il numero.

“Pronto?” – chiese una voce femminile.
A Hermione si strinse il cuore in una morsa d’acciaio.
“Daphne? Ciao sono Hermione. Come stai?”
Possibile che il nodo alla gola dovesse saltar fuori proprio in quei momenti?
“Hermione! Ciao! Io bene e tu?” – chiese Daphne, la maggiore delle sorelle di Hermione.
“Abbastanza bene, grazie. Voi? Tutto bene?”
“Oh, non ci lamentiamo… tu piuttosto, cos’hai?”
Hermione allontanò il telefono dall’orecchio e guardò in alto, cercando di impedire alle lacrime di scendere. Ma che aveva quella? La palla di cristallo? Come faceva a capire sempre quando stava male?
“Niente, perché?”
“Non ci provare…” – disse Daphne, che conosceva la sua famiglia meglio delle proprie tasche. – “Dimmi cosa c’è.”
“Daphne… non posso venire per le ferie di Natale.”
“Perché?” – chiese lei, delusa. – “E’ forse successo qualcosa?”
“Purtroppo c’è molto lavoro e mi hanno revocato le ferie. Mi dispiace tanto…”
Daphne sospirò.
“Capisco… quando potremmo vederti, allora?”
“Non lo so… dammi il tempo di smaltire il lavoro di questi due-tre mesi e appena posso mi prendo le ferie che mi hanno negato. Poi ci vedremo.” – stava piangendo. Non era riuscita a impedirselo.
“Ok… pazienza. Lo dirò io alla mamma e al papà, tranquilla.”
Hermione tirò un sospiro di sollievo.
“Grazie, Daphne. Ora scusa, ma devo scappare. Mi sono fermata solo per chiamarti, ma sono in giro per conto della ditta. Devo rientrare.”
“Allora vai e stammi bene.”
“Ciao Daphne. Salutami tutti.”
“Ok, un bacio. Ciao…”
“Ciao…”
E la conversazione, terminò.
Quanto odiava mentire in quel modo. Non le piaceva, ma non se la sentiva di festeggiare il Natale in quelle condizioni e rischiare di rovinarlo ai suoi cari. Non ne aveva il diritto.
Gettò il telefono sul comodino e si stese sul letto, dove si addormentò.

Si era accovacciata in posizione fetale e Lilly era riuscita a trovare un posto sul suo seno, dove si sentiva meglio il cuore battere.
Sola, Hermione strinse a sé il cane e si addormentò.




Si svegliò verso le nove di sera, intontita.
Guardò la sveglia e sbuffò e pian piano si alzò dal letto. Era tutta incriccata, aveva dormito senza una coperta ed era quasi congelata. La sua Lilly le andò dietro in cucina e iniziò a girare come una pazza intorno alla stanza perché aveva uno spasmodico bisogno di uscire. Ancora addormentata, Hermione le mise il guinzaglio, rischiando di infilarglielo per il sedere e poi finalmente poterono uscire.

L’aria pungente della notte la svegliò dal suo torpore, ma la solitudine di quella passeggiata la indusse a ripensare a quello che era successo.
Scosse la testa, cercando di ricacciare le lacrime insolenti, ma era tutto inutile: un colpo basso simile non le era mai arrivato in tutta la sua vita.

Rientrò in casa, trovando un immediato sollievo a contatto con un ambiente caldo e tranquillo. Il cane, liberato dal guinzaglio, zampettò nella sua cuccia accanto al termosifone e si sistemò comoda.
Lei invece era ancora assonnata. Andò in bagno e aprì l’acqua per farsi una bella doccia calda e cercare di rilassarsi. Si spogliò lentamente. Sembrava che soffrisse mentre si levava la maglia, a vederla, sembrava avesse mille ferite sparse sul corpo che a contatto con il frusciare della stoffa le procurassero un dolore indicibile.
Sotto il getto d’acqua, Hermione non pensò a niente. Svuotò la mente di tutti i pensieri di quella giornata e lasciò che l’acqua la conducesse a ricordi felici. Ricordi della sua infanzia.

Ma ecco che il ricordo di Draco e della sua pugnalata si fece prepotentemente spazio nella sua mente e la fece ripiombare nell’amarezza più nera.
Chiuse con rabbia la manopola dell’acqua e uscì dalla doccia, avvolta dall’accappatoio. Di nuovo, ferma davanti allo specchio si guardò, ma davanti a sé riappariva sempre l’immagine di Draco che la accusava di tradimento.
Si asciugò in fretta e andò in camera a mettersi il pigiama e tornare a dormire.
Il giorno dopo avrebbe pensato a cosa fare.









Draco era a casa.
Aveva rifiutato categoricamente di vedere Pansy quella sera, perché non era in vena di fare niente.
Nemmeno sesso.
Più si diceva che aveva fatto bene a licenziare un dipendente per manovre illecite ai suoi danni, più riteneva che licenziare Hermione fosse stato il suo sbaglio più grande.
Era diviso a metà e lo sfogo della ragazza era ancora impresso nella sua mente.

"Ma sai cos’è che mi fa più ridere? Tu potrai licenziarmi e cacciarmi a pedate nel culo fuori di qui, ma il problema ti rimarrà ugualmente sul groppo e quando capirai chi è il vero responsabile di tutto questo casino, sarà troppo tardi.”

Quelle parole gli ronzavano in testa come una sorta di profezia e ogni volta che se le ripeteva nella mente, una sensazione di cattivo auspicio gli cresceva dentro.

Dunque era innocente?
Che qualcuno avesse voluto incastrarla? Ma perché? Chi?
Hermione aveva dato l’anima per la sua azienda e solo in quel momento si rese conto della veridicità delle sue parole: lui l’aveva spremuta come un limone e poi gettata nell’immondizia e quello era stato il suo ringraziamento per il lavoro – eccellente – svolto fino a quel mattino.

Pansy aveva protestato, sbattuto i piedi a terra come una mocciosa e Draco non aveva retto oltre. L’aveva accompagnata a casa e poi aveva girato i tacchi, troppo nervoso anche solo per cenare insieme.

E ora… era sdraiato sul suo letto a due piazze e non riusciva a dormire.
La cosa più saggia da fare sarebbe stata quella di andare da lei e venire a capo di quell’incresciosa situazione ma aveva come la sensazione che se le avesse suonato al campanello, si sarebbe presentata alla porta con un doberman affamato da mesi e una mitraglietta carica tutta per lui.
Sì, ci sarebbe andato ma dopo che il periodo natalizio sarebbe passato, ovvero a Gennaio.
Era il venticinque di Novembre, ma per come venivano bombardati di ordini in quei giorni per i loro arredamenti, sembrava Dicembre.
Ma, forse, non avrebbe dovuto aspettare tanto…









In azienda s’iniziò a risentire della mancanza di Hermione già dal giorno successivo. Non occorsero giorni o settimane, ma un solo, unico giorno, che tutto era ripiombato nel caos totale: senza Hermione che teneva sempre il fiato sul collo ai fornitori, che faceva i D.D.T., che scaricava la merce, che lavorava con una minuzia tale da far svergognare perfino la signorina Rottermeier, l’azienda stava lentamente tornando ai vecchi tempi.
Draco aveva sempre sostenuto che un unico dipendente non fosse indispensabile per l’azienda.
Si era dovuto ricredere.

Ma c’era anche un altro problema.
Le azioni stavano scendendo giorno dopo giorno.

Draco non sapeva dirsi come mai, ma la sua azienda stava inesorabilmente colando a picco. A nulla valsero le riunioni straordinarie indette da un giorno all’altro, ogni giorno, per cercare di capire cosa stesse succedendo e arginare la situazione.
I clienti smisero di comprare, i fornitori di fornire le materie prime e alcuni dipendenti, captata un’aria preoccupante, iniziarono a dare le dimissioni; altri, invece, vennero direttamente licenziati. Draco Malfoy partì dagli uffici, sfoltendo i lavoratori e sobbarcando le spalle dei rimanenti di maggior lavoro.
In quel momento ebbe una sensazione di de-ja-vu. Aveva dato a ogni lavoratore rimasto un doppio, se non a volte un triplo lavoro, come aveva fatto, a suo tempo, con Hermione.
L’unica differenza stava nel fatto che i lavoratori rimasti alla Malfoy Home si lamentavano per la mole di lavoro assurda mentre Hermione, invece, aveva preso quel doppio lavoro come una sfida con Malfoy e con se stessa e quando aveva ingranato il meccanismo, l’aveva portato avanti quasi fosse stato un gioco.

La situazione comunque non era rosea, anzi… era un disastro assoluto! In un mese e mezzo, tra licenziamenti e dimissioni, Draco si era ritrovato con il personale decimato.
Nemmeno una peste bubbonica avrebbe potuto tanto. Il Natale, Draco lo passò in azienda, a cercare di lavorare per mantenere lo standard al quale molti clienti erano abituati mentre Pansy era andata con la sua famiglia nel cottage di montagna.

Narcissa e Lucius erano ogni giorno sempre più preoccupati: per il loro bambino e per l’azienda.
Forse potevano apparire dei materialisti, preoccupati di perdere gli introiti ai quali erano abituati ma non era così: la Malfoy Home era nata da un’idea di famiglia, era cresciuta con una conduzione di stampo familiare e così avrebbe dovuto essere fino alla sua fine.
Draco stava risentendo molto di questa situazione, perché stava rovinando il sogno di suo padre e di suo nonno prima di lui.
Dormiva poco e mangiava ancora meno. La mente stava iniziando a dare i primi segni di cedimento, le azioni continuavano a crollare giorno dopo giorno finché non fu costretto a decretare la fine della sua azienda.

Fu il giorno peggiore di tutta la sua vita e, come profetizzato da Hermione, nessuno era lì per aiutarlo. L’unico aiuto che aveva rifiutato era stato quello che suo padre aveva tentato di offrirgli ma era ancora stupido e immaturo per rendersi conto che, certe volte, accettare aiuto dalle persone non era un sinonimo di debolezza.

Ma di forza.

Parole dure vennero pronunciate e suo padre, ferito per come si stavano mettendo le cose con la sua azienda e per Draco, che non riusciva a venirne a capo, gli voltò le spalle.

Ma a volte, voltare le spalle a qualcuno, non significa abbandonarlo.

A Lucius, quel gesto, costò moltissima fatica, fatica per nulla alleggerita dai continui pianti di sua moglie che, pur essendo d’accordo con il marito, non riusciva a non darsi la colpa per non essere stata in grado di trovare una soluzione alternativa all’abbandono.
Quel brutale distacco, sperava Lucius, avrebbe dovuto insegnare nuovamente a Draco quell’umiltà che i suoi continui successi in campo accademico e lavorativo gli avevano sopito. Era stato troppo sicuro di sé, suo figlio, e purtroppo era giunto il momento che capisse quanto importante fosse mantenere sempre i piedi ben saldi a terra.


Ma comunque qualcosa si salvò, grazie all’intervento di Theodore Nott, uno dei soci.
Rilevò la società di Draco, le cui azioni valevano meno della carta straccia, benché il biondo fosse restio a farlo, ma tante persone, che dipendevano da lui e da quella cessione, riebbero i propri posti di lavoro.
A Draco fu garantito un posto fisso nel consiglio d’amministrazione, una carica che gli permettesse comunque di gestire la propria azienda, anche se non ne era più il diretto responsabile.

Suo padre, inutile dirlo, era furioso come mai lo aveva visto.

Ma fu uno sciocco.
Draco si era reso conto troppo tardi di quello che era successo alla sua azienda, fin quando non beccò Pansy e Theo scambiarsi gesti inequivocabili.
Chiese spiegazioni, beccandosi solamente di rimando due risate di scherno e la spiegazione alle sue domande. L’ex direttore della Malfoy Home aveva lasciato correre troppe cose, come il pagamento in contanti alle modelle, che alla fine erano risultate prostitute che si fingevano indossatrici. Le aveva retribuite in contanti, lasciando così la prova tangibile che lui pagava una prostituta. Il fatto che la concorrenza lo battesse sempre nei prezzi, era perché Pansy provvedeva a passare i listini e altre informazioni affinché Draco prendesse decisioni sbagliate, come aveva infatti fatto.
Gli furono tolte tutte le proprietà, le case, le ville, gli appartamenti e gli attici che erano stati intestati all’azienda e si ritrovò solo.
Solo e senza un tetto sulla testa.
Come si dice…dalle stelle alle stalle.




Era passato Natale e Capodanno senza che se ne accorgesse in un rudere in periferia a Londra che l’Ente di Riscossione Crediti aveva in elenco, ma che non aveva mai sequestrato poiché era talmente a pezzi che non ci avrebbero ricavato nemmeno un rifugio per cani.
La raggiunse in taxi, poiché aveva con sé qualche banconota, ma sapeva che ben presto sarebbero finite anche quelle. Avrebbe avuto di che mangiare e bere per un paio di giorni poi… il nulla.

Era martedì due Gennaio e alla fine della fiera era rimasto solo.

Avrebbe dovuto passare le feste con Pansy in una località di montagna, ma ora era cambiato tutto, la sua vita era cambiata.

Altra cosa che lo preoccupò, sarebbe stato il freddo che quell’anno si sarebbe prospettato più tagliente degli ultimi quindici anni.
Non ci volle pensare, per il momento. Ora doveva solo trovare un riparo e poi avrebbe pensato al da farsi.









“Buona sera… apriamo il tg con la notizia che ormai da settimane sta tenendo banco su ogni telegiornale regionale e nazionale. La Malfoy Home, famoso mobilificio affermato in tutto il mondo, ha fallito a causa della mala gestione del precedente titolare, Draco Malfoy, ora caduto in disgrazia…”

Hermione era appena uscita dal bagno e aveva ascoltato per l’ennesima volta il resoconto della disgrazia di Draco.
Suo padre glielo aveva sempre proibito, ma niente poteva impedirle di gongolare dentro di sé.
La prima volta che il tg aveva dato per certo il fallimento della Malfoy Home, aveva radunato tutti i suoi vicini e aveva offerto loro una cena. Aveva brindato e bevuto per il fallimento di Malfoy alla faccia sua.

“Ha avuto quel che si meritava…” – disse Hermione, guardando la sua Lilly che giocava con un pupazzo che le aveva regalato per Natale.
Lilly, sentendo la sua padrona parlare si girò, ma poiché non era a lei che si stava rivolgendo direttamente, tornò a coccolare il suo pupazzo.

La ragazza aveva passato un Natale in solitudine.
La botta che Draco le aveva dato si era un po’ alleggerita ma di tanto in tanto ci pensava ancora. Aveva visto un progetto lavorativo molto importante sfumarle davanti agli occhi e ora come ora non se la sentiva di trovare un altro impiego e ricominciare tutto daccapo. I lavori che Draco le aveva affidato erano stati molto pesanti dal punto di vista mentale e fisico, così si disse che con l’anno nuovo avrebbe iniziato a cercare un nuovo impiego ma per ora si sarebbe goduta le ferie.




I giorni trascorrevano tranquilli avvolti dalla solita routine fin quando questa si spezzò il pomeriggio del sette di Gennaio.

Di nuovo, il telegiornale aprì quell’edizione con la notizia del crollo della Malfoy Home.
Hermione alzò il volume.
I telegiornali le piacevano perché di una notizia davano dieci versioni diverse. Un giorno aveva ascoltato l’ennesima storia sull’abbandono di animali in autostrada. Il primo tg aveva parlato di abbandono, il secondo di maltrattamenti, il terzo di sevizie, il quarto di sesso con animali e il quinto… non lo ricordava neanche più. Così si era divertita ad ascoltare le mille versioni sul crollo della ditta di Draco: erano così pittoresche, che avrebbe potuto scrivere un libro di fiabe per bambini!

Ma quel giorno c’era qualcosa di diverso.
Forse era stata la voce della cronista, forse le immagini del servizio o forse che Hermione aveva un po’ sbollito la rabbia che l’aveva portata ad augurare tutto il male possibile a Draco, a Pansy e a quell’azienda del cazzo!, si era ritrovata a provare una sorta di… pena per ciò che stava succedendo.

Per quanto arrabbiata potesse essere, Hermione non aveva mai dimenticato quella chiacchierata fatta nella sua stanza d’albergo a New York, dove Draco le aveva confessato i trucchi di un imprenditore per evitare che lo stato gli sequestrasse le proprietà private e qualcos’altro di più personale.

“Tutte le mie abitazioni sono intestate alla ditta. È una precauzione nel caso in cui dovessero trovare illegalità nella mia vita. Almeno avrò sempre un tetto sulla testa…”

Hermione si ritrovò a fissare lo schermo della tv e a pensare intensamente.
I telecronisti, supportati da fotografi e investigatori privati abili nei loro campi, erano venuti a sapere che Draco non aveva più contatti con i suoi genitori e che era rimasto senza niente.
Così Hermione desunse che, ora, fosse da solo da qualche parte a Londra.

Fece le spallucce ma non riuscì più a fregarsene come riuscì a fare all’inizio.
“Adesso mi spieghi perché mi devo sentire una merda io?” – chiese retoricamente alla sua Lilly che si stava srotolando sul divano.
Si fermò e la guardò, per poi riprendere nell’indifferenza più totale.
“Grazie eh?”
Niente: il cane era più interessato a crogiolarsi sul divano che a darle retta.
“Ma guarda te…” – borbottò.
Figurati se è da solo, pensò Hermione. E poi non vedo perché lo devo aiutare io quando non si è fatto mezzo problema a sbattermi fuori accusandomi di tradimento. A me!, pensò Hermine indispettita.
In quel momento il cellulare suonò e la fece sobbalzare. Come suoneria aveva impostato il miagolio di un gatto e ogni volta che suonava, la sua Lilly iniziava a correre come una cretina in giro per casa alla ricerca dell’invasore. Poi, stanca, si buttava in cuccia mentre Hermione se la rideva di grosso.
“Pronto?”
“Hermione!”
La riccia guardò il cellulare, stranita.
“Laney?”
“Sì, sono io! Hermione che sta succedendo?”
“Adesso me lo chiedi? Sarà un mese e mezzo che c’è fuori la notizia.” – disse, perplessa da quel tempismo.
“Scusa! Ero in ferie in montagna e non avevo la televisione. Hermione che succede?”
“Succede che Draco ha avuto quello che si meritava.”

Stavolta fu Laney a guardare perplessa il cellulare.

Quello che si meritava? Ma che diavolo era successo?
“Che vuoi dire?”
Così Hermione fece il riassunto del riassunto di quella che Hermione stessa riteneva essere una soap opera da quattro soldi. Laney ascoltò il tutto con gli occhi a palla.
“… e questo è quanto.” – concluse Hermione, dopo dieci minuti.
“Mi sembra tutto così assurdo…” – esalò l’altra.
“Oh fidati: adesso per tutti io sono un Giuda, mentre Draco ha perso tutto. Direi che siamo pari.”
“Sei proprio arrabbiata…” – constatò l’americana.
“Incazzata renderebbe meglio l’idea.” – disse Hermione, atona.
“Posso fare qualcosa?”
“Non lo so…” – disse assorta. – “… per caso John sta assumendo in questo periodo?”
Laney rise piano.
“Spiacente, siamo al completo.”
“E te pareva… vabbè, allora non puoi fare niente.”
“Hermione, ma tu stai bene? Vuoi che venga lì?”
“A fare che?” – chiese Hermione, stranita per la richiesta ma grata dell’interessamento. – “No, non preoccuparti. Io sto bene. Mi sto riposando e poi inizierò a cercare un nuovo lavoro.”
“Hermione… per qualsiasi cosa chiamami, ok?”
“Sì, non preoccuparti. Grazie per aver chiamato Laney.”
“Figurati. A presto.”
“Sì, ciao.”
Quando riagganciò, Hermione si portò il cellulare alle labbra e sorrise. Poi però tornò alla realtà, una realtà che prevedeva Draco Malfoy sperduto chissà dove.

Un altro ricordo le arrivò alla mente proprio in quel momento, come se avesse voluto aiutarla a prendere la decisione giusta.

“L’unica casa, se così si può chiamare, in mio possesso è un vecchio rudere nella periferia di Londra, ma è tutto trasandato e sta per cadere a pezzi. Ho sempre rimandato la sua sistemazione e non so perché.”

Rimase impalata a guardare il suo cane, come se potesse darle la soluzione, invece Lilly la guardava come per chiederle “perché mi guardi così?”. Hermione rise di fronte alla buffa espressione. Era indecisa sul da farsi, davvero non sapeva proprio cosa fare: aiutare Draco o lasciarlo da solo, affinché riflettesse su ciò che aveva fatto?




Furono le feste di Natale più lunghe e solitarie che Hermione e Draco avessero mai festeggiato.
Festeggiato, poi… che parolona.
Una sera, Hermione si era preparata un pasto degno di un ristorante e l’aveva condiviso con la sua cagnolina poiché in quel periodo dell’anno bisognava essere buoni. Però molte volte se lo chiedeva: perché solo a Natale o sotto le feste bisognava rispolverare i buoni sentimenti, fare la carità, aiutare il prossimo… mentre gli altri giorni dell’anno si ritorna ad essere cinici e freddi? Non aveva mai capito questa situazione. Lei cercava di essere buona sempre, in ogni giorno dell’anno.
Lasciò da parte questi filosofici pensieri e si concentrò sul suo arrosto… chissà che stava mangiando in questo momento Draco…
Alzò gli occhi esasperata. Erano quelli i momenti in cui odiava la sua coscienza.
Seccata lei stessa per quello che stava per fare, Hermione si alzò da tavola e la sparecchiò, prese la sua borsetta e le chiavi dell’auto e andò a prendere quell’emerito faccia di culo.









Calli-corner:

Allora, partiamo con ordine.
Ho voluto dare questo titolo al capitolo per tre motivi:

1-- Il primo tradimento al quale faccio riferimento è quello presunto di Hermione. Secondo Draco è lei la colpevole e non vuole sentire ragioni.
2-- Il secondo è quello è quello di Pansy.
Alla fine, è stata lei a fare tutte quelle cose in collaborazione con Nott, che non vedeva l’ora di fregare la compagnia a Draco per avere l’occasione di entrare nel mondo dei manager di successo.
3-- Il terzo, il peggiore, ovvero quello di Draco. Dentro di sé, l’uomo sa che la ragazza è innocente, che in quei mesi di lavori forzati lei non si è mai lamentata, che ha sempre svolto con onestà il lavoro ma davanti a sé ha i tecnici e Pansy, che si aspettano che lui licenzi la ragazza perché le prove erano sul suo computer.


Di ritorno da New York, le cose sembrano andare bene tra i due, ma è bastata una foglia morta a scatenare tutto questo pandemonio.

Draco alla fine rimane solo, come predetto da Hermione.
La ragazza non è una veggente, è solo una che ragiona con la testa. Draco stesso aveva ammesso che nel mondo degli affari, dove girano tanti soldi, è difficile trovare persone sincere come Hermione e Hermione ha ricordato queste parole, aggiungendo la postilla che, essendo il mondo di Draco un mondo marcio, al primo cenno di cedimento non avrebbe trovato nessuno ad aiutarlo.
E così è accaduto.
Le amicizie, a certi livelli, non esistono: esistono solo i rapporti finalizzati a incrementare il potere e Draco se ne è accorto nel modo peggiore possibile.

Hermione si è sfogata.
Devo dire che quando ho scritto tutto quel veleno – con parolacce e volgarità affini – ero parecchio incazzata. Non mi ricordo più perché, ma ricordo bene che schiacciavo i tasti della tastiera con una ferocia tale che non si sarei stupita se me ne fosse saltato uno.
Anche se da sola ad affrontare tutta quell’ingiustizia, Hermione sa di aver parlato a nome dell’intera Malfoy Home quando ha insultato così pesantemente Pansy, la cui mosca che gira su un cumulo di merda, pensa solo al proprio matrimonio e non allo stato di Draco.

Draco.
Draco che si è reso conto, praticamente fin da subito, di aver commesso un grave errore ad incolpare Hermione così, su due piedi ma se tenta di risolvere subito la faccenda presentandosi da lei, sa che potrebbe trovare un arsenale nucleare ad attenderlo.
Aspetterà l’anno nuovo, anche se è troppo tardi.
Già sotto Natale si ritrova senza niente e costretto a vivere in una baracca che ormai è al limite della stabilità.

Lucius è molto arrabbiato, con Draco e con quel Nott.
Con Draco, perché più di una volta lo aveva pregato di non mischiare il privato con il lavoro ma il ragazzo, troppo sicuro di sé, ha voluto fare il passo più lungo della gamba, trovandosi con la cacchina nelle sue preziose mutande firmate Gucci.

I giornali danno ogni giorno la notizia del fallimento della Malfoy Home.
Hermione ha brindato al suo fallimento, ma quando ha smaltito un po’ la botta, ha iniziato a sentirsi in colpa, tentando di immaginarsi Draco rannicchiato in un angolo a battere i denti per il freddo.
Così ha preso le sue cose ed è andata a prendere quell’emerito faccia di culo.

Chissà ora che succederà a quei due.
Che sia la volta buona che si parlino faccia a faccia e mettano delle regole?
Boh, lo scopriremo solo leggendo.

Detto ciò, vi lascio al solito spoileruccio, che tanto so che vi piace tanto. ^_^

“Sì, ho capito. Davvero?” – si chinò per levare il guinzaglio al cane che andò a bere e a salutare Draco. – “Sei una maiala, Ria.”
Draco sbarrò gli occhi.
Hermione si scusò per la terminologia.
“Dato che ci sei, perché non vi registrate? Poi magari vi riguardate anche.” – disse, pesantemente sarcastica. – “Ria? Ria? Ria!, dicevo così per dire! Sì, vabbè ho capito… ah senti… volevo sapere se per caso lì stavate cercando mano d’opera.”

Uhmmmm… e chi sarà la “maiala” della conversazione?
Sono aperte le scommesse!


Un bacione,
callistas

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Capitolo 11
*** Rimettersi in piedi... ***


11 - Rimettersi in piedi... Eccoci qui.
Lo devo ammettere: è stata dura leggere alcune delle vostre recensioni.
Più che apprezzate, ci tengo a precisare.

A dire il vero, nel mio immaginario ho sempre visto questo capitolo come la colonna portante della storia, quello che mi sarebbe valso – non dico standing ovation da stadio – almeno un grande incoraggiamento e lodi a volontà da parte di tutti.
Un po’ come quando fai un tema a scuola: sei convinto di aver fatto tutto giusto, di aver scritto in un italiano più che perfetto tanto da far svergognare il caro Dante, sei talmente orgoglioso di ciò che ti è uscito, che quando te lo restituiscono così pieno di correzioni rosse, ti chiedi dove sia finito l’inchiostro blu.
E cosa sia andato storto.

Leggendo le vostre recensioni, però, mi sono accorta che per certi versi avevate ragione voi: forse un po’ per mia eccessiva premura di dare un’accelerata alla storia, forse per eccessiva sicurezza o forse chissà Dio per cosa, ho fatto le cose un po’ troppo “alla Carlona”.
Ma nonostante tutto, ho avuto le mie buone ragioni, che qui di seguito vi spiegherò.

1_ Effetto non riuscito. ç_ç
Viste le vostre recensioni, è ovvio che ciò che avevo in mente non è riuscito.
L’effetto che avevo in mente era molto in stile “film”, nel senso che mi sono ispirata a quei film, dove i personaggi proseguono con la loro vita sotto uno sfondo musicale. Non ci sono dialoghi, solo descrizioni visive di come va la loro vita. A volte in cinque minuti ti fanno vedere un arco di tre mesi come, per esempio, nel film “Wedding Planner: prima o poi mi sposo”, con Jennifer Lopez e Matthew Mcconaughey. Per chi l’ha visto, ricorderà la scena dove Steve Edison (Matthew Mcconaughey), Massimo (Justin Chambers) e Fran Donolly (Bridgette Wilson-Sampras, futura moglie di Steve Edison nel film) si alternano mentre si fanno prendere le misure dai sarti per i vestiti nuziali, fino ad arrivare al giorno prima delle nozze.
L’effetto che doveva uscire era una cosa simile, ma evidentemente o non sono ancora brava con le parole oppure è una cosa prettamente cinematografica che, a parole, non si può descrivere.

2_  Il fallimento aziendale.
A questo proposito, vorrei spendere due parole su quanto un tracollo aziendale possa verificarsi in così poco tempo.
Forse si sarà capito, o forse anche no – dopotutto, non che sia stata mai chiara più di tanto a questo proposito –, che nelle storie che posto, c’è un po’ di me.
Un bel po’ di me.
In questa storia, per esempio, c’è La Lilly, alla quale ho dedicato questa storia: era la mia cagnolina che in questa storia ha unicamente lo scopo di sdrammatizzare di tanto in tanto l’atmosfera, come solo un amico a quattro zampe sa fare con le sue espressioni buffe; poi c’è la preparazione di Hermione in campo di Sicurezza sul Lavoro, campo nel quale mi ci hanno messa per forza (>.<), c’è l’adattabilità di Hermione a qualsiasi tipo di lavoro, come una specie di jolly, carica che ho ricoperto pure io e c’è pure un fatto di coscienza a fine capitolo, dove Hermione va ad aiutare Draco nonostante il suo gesto, atteggiamento che tengo pure io anche con chi non se lo merita.
E, dulcis in fundo, c’è il crollo aziendale, che mi è toccato pure quello.
Posso affermare oltre il ragionevole dubbio – fa molto avvocato ‘sta frase ^.^ – che all’apparenza un’azienda può sembrare solida e indistruttibile, ma se nei piani alti lavorano persone che prendono decisioni aziendali che vanno bene, non per il futuro dell’azienda, ma per il comodo del momento, la caduta è assicurata.
Ho lavorato per un’azienda che era stata aperta a fine ottocento – era a conduzione familiare quindi immaginatevi la storicità di questa ditta – e che è andata male perché il titolare è andato a fidarsi delle persone sbagliate.
Com’è successo a Draco.
Questa persona, che poi è stata licenziata – magra consolazione, perché ormai si navigava in brutte acque già da un po’ – era molto brillante e intelligente, ma invece di prendere decisioni che potessero andare bene anche per il futuro, si è limitato a pensare solo per il giorno dopo. Queste continue decisioni sbagliate hanno continuato ad accumularsi fino a che è stato troppo tardi.
E naturalmente i dipendenti sono venuti a sapere degli intrallazzi dei piani alti solo quando era troppo tardi e si è dovuti ricorrere ai sindacati.
Perciò fidatevi, se vi dico che un’azienda può crollare in così poco tempo.
A tal proposito, ci sono tre fattori da tenere presente: Hermione, Pansy e Theo.
Con Hermione fuori dai piedi, Pansy è libera di fare i suoi porci comodi. Ho sviato l’attenzione, facendovi credere che non vedesse l’ora di sposare Draco, quando in realtà è andata a fidarsi delle parole di Theo che qui non posso riportarvi, perché verranno spiegate al momento opportuno.
Come avete potuto notare, Pansy è un’arrivista che non guarda in faccia nessuno e se ha messo su tutta questa finzione del matrimonio, è stato unicamente per Theo.
Theo.
Anche lui avrà un piccolo momento tutto suo, dove verrà spiegato perché ha rilevato la Malfoy Home, perciò mi dispiace: ma dovrete aspettare ancora un po’. :’(

3_ La mancanza di Hermione che si sente fin da subito.
All’interno di una struttura, una persona non è indispensabile, ma con il proprio lavoro aiuta a mandare avanti la baracca.
Ora, se parliamo di persone che entrano al lavoro alle 08:29:59 ed escono alle 18:00:01, e fanno il minimo sindacale, è ovvio immaginare il risultato finale; ma se invece vogliamo parlare di persone come Hermione – o come qualsiasi di noi che prende a cuore il proprio lavoro fino a farne quasi una questione di stato – che pur di risolvere un problema non si fanno scrupoli a passare sul cadavere di qualcuno – metaforicamente parlando, eh? –, la cosa ci sta pienamente.
Con il suo carattere determinato, impedisce ai trasportatori di prendersela con comodo, perché se un trasportatore ritarda, allora ritarda tutto quanto, se ritarda tutto quanto il capo s’incazza con i dipendenti e i dipendenti non possono sfogarsi su nessuno. E’ una cosa legata all’altra.
Ho già spiegato che Hermione, nell’azienda di famiglia che si occupa di trasporti, ha già avuto a che fare con ritardatari simili e ha imparato a trattare con loro.
La Malfoy Home ha dovuto licenziare personale e quello rimasto si è dovuto sobbarcare due o tre lavori per mandare avanti l’azienda e la maggior parte delle persone, quando si vedono recapitare sulla scrivania un lavoro che non gli compete, o cerca di scaricarlo sul vicino o se proprio deve farlo lo fa, ma senza metterci troppa cura.
A me è successo che mi sono licenziata da questa azienda per due motivi: essendo l’ultima ruota del carro, si permettevano di trattarmi come uno zerbino e perché ho avuto un problema di salute che ha coinvolto la mia mamma. Era necessario dare una mano in casa e ho colto la palla al balzo, andandomene.
Erano passati solo tre giorni, che il mio vecchio responsabile ha iniziato a chiamarmi – quello che prendeva le decisioni sbagliate –, chiedendomi se ero sicura delle mie dimissioni, che avevo del potenziale e tutte cazzate simili solo perché, quando è stato troppo tardi, si sono resi conto del mio potenziale, del mio eseguire i lavori senza tanto lamentarmi, della mia umiltà.
Mandarlo a cagare è stata l’Ottava Meraviglia del Mondo.
Perciò, forse è vero che un dipendente non è indispensabile all’azienda, ma se questo lavoratore dimostra di essere una persona affidabile e che grazie alla sua presenza il lavoro scorre notevolmente meglio, credo sia doveroso tenerlo un po’ più in considerazione.

4_ I genitori di Draco.
E’ sempre l’eterno discorso.
*me sospira*
Si cerca naturalmente di aiutare un figlio in tutti i modi che si può, ma arriva in un momento nella vita in cui il figlio deve imparare a camminare sulle proprie gambe e capire che non sempre nella vita è tutto rose e fiori.
Scegliendo di non aiutare Draco, Lucius non voleva abbandonarlo definitivamente, ma re-insegnargli quell’umiltà che aveva perso durante il suo percorso. Non credete che sia stato facile perché per un genitore, assistere alla disfatta di un figlio e doversene stare in disparte, sperando che questo lo aiuti a crescere, è quanto di più difficile ci sia al mondo.
Ma a volte è necessario.
Avere la presunzione di pensare che tutto andrà sempre bene è sbagliato e poi quando ti arriva la badilata in faccia, fa tre volte più male.
Ad aiutare Lucius a prendere la decisione di “abbandonare” il figlio, ci sono state anche quelle famose “parole grosse” che sono volate tra i due, che per via dell’effetto “film” che volevo trasparisse, non ho inserito. Nonostante Lucius ami Draco, è stato ingiusto da parte del figlio prendersela con il padre quando questi non aveva fatto altro che ripetergli quanto sbagliato fosse mischiare il privato con il lavoro e Draco, come un figlio qualsiasi, ha fatto l’esatto opposto di quello che gli era stato detto e ora ne paga lo scotto.

5_ Le prove contro Hermione.
È più facile credere alla donna che si è scelto di sposare e a un gruppo di tecnici qualificati o all’ultima arrivata?
Sì. Indagando più a fondo Draco avrebbe potuto verificare facilmente perché Hermione avesse sul proprio computer quei dati, ma non lo ha fatto perché, innanzitutto, il suo nome era proprio l’ultimo che si aspettava di sentire e perché i tecnici e Pansy si aspettavano che lui la licenziasse.
È tutto un discorso di aspettative che ritroveremo più avanti, grazie a un discorso che Hermione farà a Draco.
Il biondo si sarebbe aspettato un qualsiasi nome, perfino quello dell’addetto alle pulizie, ma non quello della riccia. Lo shock gli ha fatto perdere la ragione con i ben noti risultati, salvo poi accorgersi da solo qualche ora più tardi, che Hermione era innocente e che qualcuno aveva voluto incastrarla.
Più tardi, si scopre che dietro a tutto c’erano Pansy e Theo.

Mi pare di aver detto tutto.
Ora potrete pensare “secondo me, questa si è inventata tutte quelle esperienze personali per giustificare il capitolo” e ne avreste anche tutto il diritto. Non ci siamo mai viste in faccia – o forse sì, ma non conoscevamo i nostri alias ^_^ – ma a volte sono più sincera su questo sito, che non nella realtà.
Come disse Oscar Wilde: “Dategli una maschera e vi dirà la verità”.
Forse, grazie all’anonimato che ti consente questo sito, salvo svelare il nome a piacimento, è più facile confidarsi, aprirsi e rivelare qualcosa in più di sé.


Mi sento come Draco.
Ho peccato di presunzione e sento che qualcosa in me è cambiato. Oddio… non che smetterò di scrivere e mi trasferirò sette anni in Tibet – con Brad Pitt – e mi darò alla filosofia, ma farò tre volte più attenzione a quello che scrivo, come lo scrivo e come e quali argomenti sceglierò di sviluppare.
Dopotutto, smettere di scrivere perché ci si è offesi per quello che, alla fine, si rivela essere un aiuto esterno, sarebbe proprio da poppanti.
Perciò tranquilli: tornerò – come vi ho già detto, ho pronta un’altra storia che deve essere solo sistemata – con la speranza di farvi sognare ancora.

Siete state terapeutiche, perché di tanto in tanto è giusto tornare con i piedi per terra.
Fortunatamente non volavo troppo alto e sono riuscita ad attutire la caduta. ^_^
Non posso dirvi quanto abbia apprezzato le vostre critiche, perché avete prestato attenzione alla storia e avete notato ciò che io invece avevo tralasciato, nell’arrogante presunzione che quello che scrivo andasse sempre bene in qualsiasi caso.

Perciò, se ancora non lo avete capito… grazie.
Davvero.

Ora vi lascio al capitolo, con il terrore di aver fatto le cose frettolosamente anche qui.
*se la sta facendo addosso*

Buona lettura,
callistas









Draco giurò di non essere mai stato così umiliato in tutta la sua vita.
Ridotto a vivere come un barbone di quelli che lui non osava nemmeno guardare per la strada per paura che gli potessero trasmettere una qualche rara malattia solo con lo sguardo.
E ora era come loro…
Tossì violentemente.

Erano ormai giorni che stava in quella baracca sempre nella stessa posizione: seduto in un angolo con le gambe raccolte al petto per scaldarsi. Vero era che lui aveva sempre sopportato il freddo molto bene, ma quella stamberga era proprio ridotta male. Il giorno precedente, per poco, non rischiò di rimanerci secco: buona parte del tetto era crollata per il legno marcio e ora nevicava tranquillamente dentro. L’umidità aveva raggiunto livelli esponenziali e Draco faticava a tenere gli occhi aperti, tremava e aveva la febbre altissima. Aveva addosso solo una camicia ormai sgualcita e dei pantaloni strappati.
Con fatica, sapendo bene di non dover cedere al sonno, si alzò in piedi e fece qualche passetto, ma doveva sempre tenersi saldamente ad una parete per evitare di crollare a causa delle vertigini.
Guarda come mi sono ridotto… sono il disonore della famiglia…, pensò.

In quei giorni di isolamento, l’unico pensiero fisso di Draco era stato Hermione, Hermione e quello che le aveva fatto. Aveva anche pensato di andare da lei e chiederle aiuto, ma aveva scartato l’ipotesi a priori: sicuramente era ancora arrabbiata con lui per il licenziamento.

Appena dopo che era successo quel casino, Draco si era diretto da alcuni amici, con i quali soleva fare bisboccia al Country Club, ma trovò solamente una porta chiusa e la consapevolezza di non aver mai avuto nessuno su cui fare affidamento per davvero.
Che stupido… era così evidente…, pensò sarcasticamente di sé stesso.
Alla fine, Hermione aveva avuto ragione su tutta la linea, neanche avesse avuto la palla di cristallo e gli avesse fatto la lettura di quello che sarebbe stato il suo futuro.
Lei non era la colpevole mentre chi aveva ordito alle sue spalle, ora se ne stava sdraiata su un letto con Nott tra le gambe.

Alzò gli occhi per un momento, gli era parso di sentire un rumore. Evidentemente la febbre era più alta del previsto se iniziava ad avere addirittura le allucinazioni.
Passarono alcuni istanti che parvero anni e gli sembrò di risentire quel rumore. Alzò gli occhi e quella volta fu sicuro di avere le allucinazioni.
“He-Hermione?” – oh, non osava sperare in tanto.


La ragazza era appena arrivata e quando vide Draco in quelle condizioni, le prese un colpo al cuore. Ora che poteva toccare con mano e vedere con i suoi occhi tutti gli accidenti che gli aveva inviato – e che erano andati a segno –, si sentì male e in colpa.

Non voleva davvero augurargli il male ma si sa… la rabbia fa sempre straparlare.

E così, come ogni volta che vedeva una persona in difficoltà, anche se questa stessa persona invece si era messa in prima linea per nuocerle, Hermione mise da parte i suoi rancori e l’aiutò.

“Già…” – disse, avanzando tra le macerie.
Si guardò intorno, cercando di nascondere la paura che qualche mattone le cadesse in testa con dell’ironia. – “Certo che ti sei scelto proprio un bel posticino, eh?” – disse lei.
Ok che aveva deciso di aiutarlo, ma niente le avrebbe vietato di togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
“N-non… non avvicinarti… è pericolante…”
“Ma dai?” – chiese piantando i suoi occhi in quelli di lui. – “Dì un po’… intendi rimanere qui a vita?”
Draco la guardò. Era malconcio, ma non era partito del tutto. Sapeva cosa stava facendo: voleva che fosse lui a chiederle aiuto, nonostante fosse andata lei a cercarlo.
E lui voleva chiederglielo, ma non ne aveva il coraggio. Non dopo che l’aveva maltrattata davanti a tutti e che pubblicamente l’aveva umiliata.
“F-forse…”
Hermione alzò gli occhi. Uomini…
“S-sto bene qui…”
“Ah, davvero? Allora perché non mi hai invitata a passare il Natale qui con te?” – chiese lei.
“S-smettila…”
CR-CRACK!!!
Hermione alzò di scatto la testa e sbiancò quando si vide arrivare addosso un traliccio che aveva l’aria di essere molto pesante e molto pericoloso.
“Hermione!”
Si sentì gettare a terra.
Con uno stacco degno del miglior velocista, Draco scattò verso Hermione e si gettò su di lei, per proteggerla dalla trave che le stava per caderle sulla testa.
Si ritrovarono entrambi sdraiati su un altro cumulo di macerie, con Draco sopra di lei.
“Ahia…” – borbottò Hermione. – “Draco levati… pesi…” – bofonchiò la ragazza con un sasso infilato in un posto che avrebbe dovuto rimanere vergine a vita.
Ma Draco non rispondeva. Forse quello scatto gli aveva levato le ultime energie.
“Draco? Draco!”
Che cavolo!, non voleva che morisse!
“Draco rispondi!”
Aveva paura che gli morisse tra le braccia.
“Stai bene?” – le chiese.
Hermione alzò gli occhi e tirò un sospiro di sollievo.
“Sì, io sì. Avanti, poche storie. Vieni con me.”
“Va-vattene…” – disse lui.
Altamente seccata e ancora spaventata per il rischio che aveva appena corso, Hermione si rimise in piedi e lo strattonò.
“Adesso ascoltami bene, signor Malfoy… non ti permetterò di rimanere qui e rischiare la vita, quindi se non vuoi diventare cliente Amplifon, ti conviene seguirmi senza tante storie!”
Draco la guardò e lei si rese conto dai suoi occhi lucidi che non stava per niente bene. Gli toccò la fronte che per quanto calda era ci si poteva scaldare sopra una fiorentina da tre chili.
“Dio santo… hai anche la febbre. Andiamo…” – ma Hermione notò una certa resistenza. – “Ma smettila di fare il bambino! Andiamo, ho detto!”
In quel momento, anche se Draco era un uomo fatto e finito e ben piantato, Hermione era decisamente più forte di lui, motivo per il quale se lo addossò e lo aiutò ad uscire e a salire in macchina.




In macchina Draco pensava di aver raggiunto il paradiso: l’aria calda era tutta direzionata a lui, mezzo sdraiato sul sedile del passeggero. Hermione guidava tranquillamente, ascoltando della musica pop che proveniva dalla sua stazione radio preferita.
Una volta arrivata al garage, scese dall’auto, aprì il portone e infilò dentro la macchina.
“Ti serve una mano?” – lo vide negare con la testa e lo lasciò fare.
Già era un enorme passo da giganti averlo schiodato da quella catapecchia.
Salirono le scale e si ritrovarono davanti ad una porta. Hermione l’aprì e subito le venne incontro la sua Lilly che, percepito l’odore di un estraneo, iniziò a ringhiare.
“Lilly buona…” – disse Hermione, mettendosi sulle spalle un braccio di Draco.
Era piuttosto malconcio. Lo fece sdraiare sul divano e si tolse il cappotto. Prese un paio di coperte, le più pesanti che aveva. Lo coprì e prese la sua farmacia ambulante per guarirlo.
Quando si avvicinò a lui per dargli la tachipirina, lo scoprì addormentato e si disse di avere delle grosse tare mentali se vederlo in quelle condizioni le ispirava una tenerezza infinita.
“Draco?”

Immaginare che anche lei, con tutti i suoi accidenti, fosse stata in parte colpevole per averlo ridotto in quello stato, la riportò a più miti pensieri.

“Mmm…” – bofonchiò lui, svegliandosi da quel dolce torpore. – “C-cosa?”
“Prendi questa e poi torna a dormire.” – disse Hermione.
Senza tanti problemi e senza farsi alcuna domanda, Draco prese il bicchiere e lo trangugiò per poi rimettersi sotto le coperte.
“Ora dormi un po’…”
Hermione era più sollevata adesso. E anche la sua coscienza si era zittita da quando aveva preso la decisione di aiutarlo.
Lilly la seguiva dappertutto con la tacita domanda su chi fosse quel tizio che puzzava di cane e che stava invadendo il suo territorio. Per farla calmare, Hermione le mise in piatto un po’ di arrosto tagliuzzato e per un momento il cane sembrò dimenticarsi dell’ospite.
Dopo aver sistemato tutto quanto, Hermione andò in camera da letto, tirandosi dietro il cane che, conoscendolo, avrebbe iniziato a martellare l’animo di Draco per svegliarlo e farsi fare le coccole.

Che avrebbe dovuto fare, adesso? Se l’era portato in casa senza tanti problemi e ora doveva anche tenerselo, altrimenti che senso avrebbe avuto tirarlo fuori da quel rudere per poi sbatterlo fuori non appena guarito?
Ecco che la sua mente cominciava a ragionare: prima aveva ascoltato l’istinto e aveva messo a tacere la sua coscienza ma poi la parte razionale era saltata fuori, portando alla sua attenzione mille aspetti che non aveva preso in considerazione.
1)    Era senza lavoro;
2)    Doveva mantenere due persone;
3)    Il letto nella camera degli ospiti era stato gettato perché inutile;
4)    Dove diamine avrebbe dormito quello spilungone, allora?

A quello, pensò, ci avrebbe pensato una volta che Draco si fosse svegliato.
Si sdraiò sul letto e si addormentò con accanto la cagnetta.
Che giornata strana…




Draco si svegliò a notte fonda e, sinceramente, non aveva la più pallida idea di che ore potessero essere. Ebbe in un primo momento una sensazione di black-out della memoria. L’unica cosa che sapeva era che lì stava bene. Non capiva, dove si trovasse, ma pian piano i ricordi gli riaffiorarono.
Il fallimento…
Il tradimento…
L’aiuto di Hermione…
Sgranò gli occhi per quell’ultimo punto. Lo aveva aiutato portandolo a casa sua, dandogli un tetto e un divano sul quale riposare.

Non riuscì a chiudere occhio fino al mattino successivo.
Rimase in ascolto del silenzio che aleggiava in quella casa, impregnata di mille odori. Quello più recente doveva essere arrosto di maiale… e improvvisamente un brontolio proveniente dal suo stomaco ruppe la pace di quella casa. Si mise in ascolto, sperando di non aver svegliato la proprietaria.
Attraverso uno spiraglio della finestra, Draco intravide l’alba. Pian piano la luce diventava sempre più chiara fino a che non sentì dei rumori provenire dal reparto notte.
La porta si aprì e una Hermione completamente spettinata e assonnata fece la sua apparizione, incurante della presenza di Draco.


L’uomo la guardò decisamente spaesato.
Quale donna sana di mente si sarebbe presentata davanti a un uomo con un pigiama anti-stupro, calzettoni spessi quanto tre dita, senza un filo di trucco e i capelli in disordine?
In più la ragazza aveva il segno del cuscino che partiva dalla fronte destra e arrivava fino al mento. Ciò gli provocò una piccola risatina che attirò l’attenzione della padrona di casa.

“Oh, buongiorno…” – disse lei, sbadigliando sonoramente. – “Come va oggi?”
Draco si alzò e si sedette sul divano.
“Credo un po’ meglio. Mi hai dato una bomba di farmaci?”
Hermione rise ancora intontita dal sonno.

Con innata eleganza, si grattò la schiena, lasciando un evidente segno rossastro sulla pelle.

“Solo della tachipirina. Se fai dell’umorismo, significa che stai bene. Vuoi qualcosa?”
“Come?”
“Farai colazione, al mattino, no?”
“Solo un caffè, grazie…” – disse Draco, che non voleva approfittarsene più del necessario.
Hermione alzò gli occhi, esasperata da tante remore.
“Sì, ho capito va…”

Così prese la sua fedele moka, che ormai per tutte le volte che era stata usata, stava per dare l’addio a questo mondo e la stipò di caffè. Prese il latte e lo mise a scaldare, i suoi fedeli biscotti, le fette biscottate, la marmellata, il burro, il miele.
Draco la guardava basito mentre tirava fuori tutto quel ben di Dio e finalmente, dopo cinque minuti, la vide preparare la tavola.
“Coraggio, siediti e fa una colazione decente…”
“Mangi tutta questa roba prima di venire al lavoro?” – chiese lui senza pensare.
Hermione lo guardò malissimo.
Draco abbassò lo sguardo, imbarazzato per l’errore commesso.
“Io… mi dispiace…” – riuscì finalmente a dire.
“Oh, non ti preoccupare. Sono abituata a te che spari stronzate.” – celiò, dolce come il veleno. – “Però mi piacerebbe sapere perché.” – disse.
E lo prese in castagna. Giusto… perché?
“Le prove erano tutte contro di te…” – disse, ma si rese conto da solo di quanto fiacca fosse quella scusa.
“Vuoi continuare a nasconderti dietro un dito? Possibile che per una cazzo di volta tu non possa essere onesto con me?” – chiese, nuovamente delusa, mentre metteva in tavola le tazzine del caffè.
“Quei tecnici mi hanno messo in mano i fogli stampati dal tuo computer e…”
“… e il fatto che io ti abbia detto che ero innocente non aveva avuto peso, vero?” – concluse lei per lui.
“Io ero arrabbiato…”
“Fino ad ora ho sentito solo scuse.” – lo rintuzzò, mettendogli davanti la tazza di caffè. – “Onestà, Malfoy. Conosci questa parola o è un concetto che comprendi solo quando fa comodo a te?”
“Di tanto in tanto Pansy diceva che avevi degli atteggiamenti sospetti. Non mi aveva mai mentito su una cosa del genere…”
“Ohhhh l’ho visto, sai? Non ti ha mentito su questo… ma ti ha detto la verità su lei e Theodore, no?”
Draco la guardò incredulo. Lei… sapeva?
“E comunque, detta da una che non sapeva stare dietro a un lavoro semplice come la Sicurezza sul Lavoro fa proprio ridere.” – disse.
“Tu sai di Pansy e Theo?”
“Sì. La tv la guardo anch’io… sei su tutti i telegiornali e in un servizio l’hanno ripresa avvinghiata al braccio del tuo amico…” – disse Hermione, facendo le virgolette con le dita. Lo vide abbassare lo sguardo. – “S’è consolata in fretta, ho visto…” – commentò. – “Immagino che il matrimonio sia saltato…”
Di nuovo Draco dovette ammettere a se stesso quanto stupido fosse stato e chinò lo sguardo.
“Appena visti i primi licenziamenti…” – disse.
A quel punto, mentire o tergiversare non sarebbe servito a niente.
“Nella buona e nella cattiva sorte, a quanto vedo. Per non parlare di quella volta che l’ho sentita parlare al telefono.” – ammise Hermione.
Draco la guardò incuriosito. Che telefonata?
“Di che parli?”
“Era stato…” – alzò gli occhi al cielo, sperando che la memoria le tornasse. – “… ah sì! Era stato il giorno che sono venuta a chiederti se si poteva pagare la modella in contanti.”
Draco lo ricordò subito.
“Prima di andare a pranzo l’ho sentita usare un tono malizioso con quello con cui parlava.”
Draco arrossì per la vergogna di non essere riuscito ad accorgersene prima.
“E perché non me lo hai detto?” – di nuovo, Draco si rese conto di aver fatto una domanda idiota e Hermione gli rise in faccia per il semplice fatto che se ne era accorto da solo.
“Beh, credevo parlasse con una sua amica così, per scherzare…” – chiarì. – “E poi non eravamo così amici da potermi permettere di venire da te e dirti che forse la tua ragazza ti pianta le corna senza le prove. Sai, le prove?…” – ironizzò. – “… quelle che ti piacciono tanto?” – rise, ricordando quando, nel suo ufficio, l’aveva accusata con quelle fantomatiche prove.
Draco chinò lo sguardo.
Doveva star facendo la figura dell’asino ignorante se perfino Hermione aveva sentito Pansy parlare maliziosamente al telefono con Nott.

Dal canto suo, Hermione sapeva che non era una bella cosa da fare e, tra l’altro, non si stava nemmeno divertendo a rigirare il coltello nella piaga, ma per risalire la china era necessario toccare il fondo. E lei voleva solo che Draco lo toccasse il prima possibile, affinché la sua risalita ripartisse il prima possibile.
Così punzecchiarlo era, non solo un modo per buttare fuori tutto l’amaro che aveva accumulato da quando era stata cacciata ma anche per permettere a lui a sorpassare quel momento difficile in fretta.

“Ti diverti, vero?” – chiese, senza cattiveria.
“Vorrei davvero dirti di sì, Draco. Lo vorrei tanto, ma… evidentemente quando sono nata, devo aver battuto la testa da qualche perché nonostante quello che mi hai fatto, non sono una che augura il male a una persona.”
Beh, in verità l’aveva fatto ma poi aveva fatto qualcosa per rimediare. Ma quello era meglio non dirlo…
Se non era onestà quella, pensò Draco, perplesso.
“Avevo sperato fino alla fine che ti fidassi di me…” – ammise con malcelata delusione, mentre versava il latte nel bricco.
“Io… non so perché l’ho fatto… spero che tu possa perdonarmi, un giorno…” – ammise mentre un filo di aroma di caffèlatte gli entrava nel naso.
Hermione lo guardò, incerta se credergli o meno.
“Non lo so.” – confessò lei mentre prendeva posto accanto a lui sul divano.
Lilly andò davanti ai due, leggermente spazientita perché stava ritardando la colazione.
“Io le avevo dato tutto…”
Hermione sbarrò gli occhi quando vide Draco piangere. L’uomo si mise una mano sugli occhi per nascondersi, anche se era troppo tardi e inutile.
Che doveva fare, adesso? Era brava a consolare una donna, ma un uomo! Dio santo!, non aveva mai visto un uomo piangere!
Si allontanò di poco da Draco e l’uomo, avvertito quell’allontanamento, si sentì ancora più solo.
“Dai Lilly… su.” – ma il cane non si muoveva. – “Lilly? Dai vieni.” – il cane ringhiò a bassa voce. – “Dai, dopo ti do due bisc…”
Hermione si ritrovò con il cane tra lei e Draco.

Era come se sapesse già cosa doveva fare.
Lilly iniziò a scavare nel braccio di Draco per avere un po’ di attenzione, sotto lo sguardo intenerito di Hermione. Draco tirò via la mano dagli occhi e vide il cane guardarlo.
“Che vuole?” – chiese.
“Falla venire in braccio.”
“Non mi piacciono i cani…” – disse Draco, riluttante.
Hermione sollevò un sopracciglio.
“Oh beh, libero di scegliere: o il cane o ti ributto in strada.” – disse Hermione, in totale tranquillità.
Draco guardò stranito Hermione per quello che era un ricatto bello e buono. Ma l’idea di abbandonare un vero tetto sulla testa non gli fu mai tanto terribile come in quel momento. Così si spostò e permise a Lilly di venirgli in braccio.
Il cane ne approfittò e gli saltò addosso. Si alzò sulle zampe posteriori e iniziò a leccargli la faccia.

A leccargli via le lacrime.

“Ma che diav…”
Cercò di chiudere la bocca ma Lilly ne aveva approfittato per infilargli la lingua in gola.
“Che schifo!” – esclamò Draco, mentre cercava di sottrarsi a quell’assalto sessuale.
Quando Lilly fu sicura che non c’erano più lacrime, tornò seduta sulle gambe di Draco che la guardava ancora atterrito.
“Sono stato aggredito sessualmente da un cane!”
Hermione prese la sua Lilly e se la tirò in braccio.
“Quante storie per due leccatine. Ti do i biscotti, va bene?” – chiese Hermione, mettendosi il cane davanti alla faccia.
Lilly le leccò due volte il naso.

Alla fine si misero a tavola pure loro due.
“Coraggio mangia, altrimenti si fredda.” – Hermione mise un paio di biscotti nella ciotola del cane che, felice, fece colazione pure lei. – “Cosa intendi fare, adesso?” – chiese, mentre intingeva un biscotto nel liquido marroncino.
“Ohhh…” – disse con uno sguardo da paura. – “… devo studiare per bene la situazione, poi mi vendicherò.”
“E… nel frattempo?” – chiese la riccia, per nulla toccata da quello sguardo.
“In che senso?”
“Beh… dovrai trovarti un lavoro, suppongo.”
Draco rimase senza parole. Lui? Lavorare?
Vedendo la sua faccia allibita, Hermione si rese conto che il concetto “lavoro” non era uguale per tutti: se per lei significava alzarsi alle sette e mezzo per essere puntuale sul posto di lavoro alle otto, per persone come Malfoy significava alzarsi andare in ufficio all’ora che più gli aggradava.
“So che forse la prospettiva di faticare ti terrorizzi un po’…” – disse facendo del suo solito sarcasmo. – “… ma se vuoi rimanere qui, dovrai contribuire alle spese di casa.”
“Sì, ma… abbiamo appena passato le feste. Chi assumerebbe in questo periodo?”
“Troveremo qualcosa.” – lo minacciò rassicurò.









Tre giorni erano passati da quando Hermione si era tirata in casa Draco e il biondo era guarito quasi del tutto dal febbrone di cavallo che si era beccato a causa del maltempo.
In quei tre giorni, Hermione aveva nuovamente dato tutto per lui: aveva chiamato il dottore a casa per visitarlo, aveva comprato pezzi di carne con i quali faceva il brodo, lo svegliava per dargli le medicine… Draco era imbarazzato per tutte quelle premure.
Una volta gliel’aveva pure chiesto.

“Perché fai tutto questo per me?”
“Perché un giorno te le rinfaccerò.” – aveva risposto tranquilla.
Draco c’era rimasto malissimo.
“Non so se definirti onesta o stronza.”
Si era girata e gli aveva sorriso. Naturalmente, scherzava sul fatto di rinfacciargli le cose.
“Sono onestamente stronza.” – aveva detto.
Si era messo a ridere come un cretino.

“No, quello non va lì.”
“E dove?”
“Nel mobiletto accanto.”
“Ah ok.”

Draco stava aiutando Hermione a riassettare la tavola dopo la cena.
Per quanto a casa avesse avuto i domestici a sistemare ciò che lui metteva in disordine, non se l’era sentita di trattare Hermione come una di loro. Nonostante l’avesse trattata come la peggiore delle criminali, lei non si era fatta problemi ad accoglierlo in casa, curarlo e dargli da mangiare.
Il minimo che poteva fare, anche forse per sdebitarsi un po’ per il trattamento al quale l’aveva sottoposta, era aiutarla nelle piccole cose.

“Sì, adesso andiamo, un attimo!” – esclamò Hermione, in direzione del cane che ormai aveva scavato un solco nel pavimento.
“Dove?”
“No, non parlavo con te.” – disse.
Hermione risciacquò l’ultimo piatto e lasciò che Draco li asciugasse.
“Senti io porto fuori il cane. Mi apri tu dopo?”
“Sì, certo.”
“Dai, andiamo.”

Dieci minuti più tardi, sotto lo sguardo sbalestrato di Draco che aveva visto Hermione mettere il cappotto – il cappotto!!! – al cane, Hermione si ritrovò in strada con la sua Lilly mentre Draco la osservava dalla finestra di casa.

Lui era un estraneo per lei, eppure non si era fatta problemi a lasciarlo in casa da solo fin da subito. Volendo, Draco avrebbe potuto portare via quello che trovava e andarsene, ma non lo avrebbe mai fatto: era l’unica che lo stava aiutando a venire a capo di quella situazione e non le avrebbe dato un’altra delusione.
Anzi, per quello che valeva, la ragazza era stata fin troppo gentile con lui.
Solitamente Hermione rimaneva fuori una mezz’oretta, tempo che lui impiegava sempre a ripensare alle stesse cose: il fallimento aziendale, Pansy, Theo… come aveva fatto ad essere così cieco? E come aveva fatto Pansy a nascondere le prove che era stata lei e non Hermione a mandare i file alla concorrenza?
L’unica spiegazione era che qualcuno l’avesse aiutata dall’interno quindi non c’era una, bensì due mele marce.
E lui stupido a crogiolarsi nel suo brodo credendo che andasse tutto bene.

Hermione rientrò mezz’ora più tardi, mezza congelata.
Il cane rientrò subito e andò a bere dell’acqua, poi tornò da Hermione per farsi levare quel cappotto.
“Sembra un bambino.” – disse Draco che aveva imparato ad andare un po’ d’accordo con il cane.
Hermione gli sorrise.
“E’ come se lo fosse. L’unica cosa è che non parla, il che è confortante certe volte.”
Draco rise.
“Ti va di guardare un film?” – chiese Hermione.
“Fa come se fossi a casa tua.” – scherzò Draco.
Hermione rise e andò alla sua videoteca personale.
“Che vuoi vedere? Ti avviso: niente commedie romantiche se non vuoi che vomiti come l’Esorcista.” – chiarì.
“E io che avevo voglia di un po’ di zucchero…” – ironizzò Draco.
“Se vuoi ti faccio una torta.” – disse Hermione.
“Fai tu.”

Il film scelto da Hermione era un tranquillissimo “The Ring”.
Draco non l’aveva mai visto, anzi… non aveva mai visto nessun film di genere horror non per paura, ma perché non ne era attratto. Pansy, poi, aveva una fifa blu e quindi il problema “horror” non si era mai posto.
Quando arrivarono alla scena in cui il cavallo, impazzito, si buttava dalla nave e veniva maciullato dalle eliche, Draco pensò che non avrebbe mai più mangiato carne di cavallo in vita sua.
Poi continuava a ricorrere quell’albero dalle foglie rosse per non parlare delle foto dove le persone raffigurate avevano le facce tutte deformate.
Hermione, invece, beveva letteralmente quelle scene.

Quando finì, Hermione se ne uscì con un…
“… e dormirono tutti felici e contenti.”
“Parla per te…” – disse Draco, pallido.
Che razza di film era! Non aveva neanche capito perché il bambino si era salvato!
“Paura Draco? Vuoi che ti lasci la Lilly così ti fa compagnia?”
“Spiritosa…” – ruggì lui.
“Vabbè, io vado a dormire. Ci vediamo domani.”
“Notte.”

I due erano coricati ormai da mezz’ora, ma di dormire non se ne parlava.
Draco, poi, aveva il cervello intasato di pensieri. Forse non avrebbe mai smesso di pensare a ciò che era successo, d’altronde, come avrebbe potuto?

Quel giorno, in ufficio, quando aveva pubblicamente accusato Hermione di furto ai suoi danni, si era chiesto come avesse fatto a sbagliare così tanto il giudizio su una persona.
Peccato non dovesse essere rivolto a lei, quell’infamante pensiero…

Se ripensava a ciò che era successo, gli veniva la pelle d’oca. Prostitute per modelle, Pansy che se la faceva con Theo da chissà quanto tempo, le continue diminuzioni dei prezzi perché la concorrenza riusciva a fare sempre di meno… arrivati a questo punto, iniziò a pensare che il furto nell’ufficio di Pansy fosse stata solo una montatura o che fosse stata la donna stessa a fare una copia del programma.
Draco storse la bocca.
Pansy, come aveva detto Hermione, non sapeva neanche pulirsi il culo da sola, figurarsi duplicare un programma infinito come quello della contabilità.
E l’ipotesi che all’interno dell’azienda vi fosse stato un complice non gli parve più tanto astratta…

I minuti passavano e la casa era immersa in un silenzio che Draco non aveva mai sentito prima.
Hermione aveva stipato ogni fessura per evitare che la luce del giorno filtrasse in casa. Nel suo attico, invece, non esistevano scuri o persiane, così quando dalla zona notte passava a quella giorno, una luce accecante lo accoglieva e si riusciva a sentire il cinguettio degli uccellini. Le sue finestre non avevano quindi quel potere isolante che avevano gli scuri di Hermione e nella casa regnava il silenzio assoluto.
E la cosa non gli dispiaceva.

Il divano era un po’ scomodo ma piuttosto di quella catapecchia era una vera manna dal cielo.
Come la ragazza che glielo aveva prestato.
Girò il volto in direzione della camera di Hermione e poi tornò a fissare il vuoto davanti a sé. Quella ragazza era proprio strana: l’aveva torchiata, spremuta come un limone, umiliata e cacciata e lei cosa faceva? Lo accoglieva in casa sua e si fidava a lasciarcelo da solo.
Forse aveva davvero battuto la testa da piccola…

Tanti altri pensieri si affollarono nella sua mente fino a quando questa non si spense e Draco si addormentò.









Era incredibile come la fine della magia del Natale coincidesse esattamente con il primo giorno di lavoro.

Nonostante le vetrine riportassero ancora i rimasugli delle decorazioni, l’aria di festa si era dissolta praticamente il giorno dopo l’Epifania. Hermione e Draco stavano portando avanti una strana ma pacifica convivenza, dove Draco aveva imparato il significato della parola “routine”.
Svegliarsi la mattina e fare colazione in tranquillità, tornare a casa per il pranzo, fare un giro con il cane, decidere all’ultimo di preparare una cosa strana per cena… era una realtà molto diversa alla quale era abituato, ma gli piaceva.
Per non parlare di quello che aveva fatto Hermione per lui fino a quel momento: non solo gli aveva dato un tetto sulla testa, ma gli aveva comprato un letto e dei vestiti. Aveva insistito per dormire sul divano ma si era reso conto che Hermione aveva una testa più dura della sua.
L’aveva soprannominata Carro Armato o Panzer perché quando si metteva in testa una cosa, non cambiava idea neanche se fosse sceso sulla terra Cristo in persona.
Doveva però ammettere che dormire su un letto era stato come entrare in Paradiso: ora, quando toccava il cuscino, cadeva immediatamente in un sonno tranquillo e i cattivi pensieri venivano rimandati al mattino successivo.
Ma se c’era una cosa di cui Draco si era accorto, era che Hermione con la sua presenza e soprattutto la sua parlantina, riusciva a distrarlo.




Era venerdì dodici e Hermione era uscita per comprare il pane. Rientrò in casa che stava parlando al telefono.
Draco stava girando la pasta e si girò quando la sentì parlare.
“Sì, ho capito. Davvero?” – si chinò per levare il guinzaglio al cane che andò a bere e a salutare Draco. – “Sei una maiala, Ria.”
Draco sbarrò gli occhi.
Hermione si scusò per la terminologia.
“Dato che ci sei, perché non vi registrate? Poi magari vi riguardate anche.” – disse, pesantemente sarcastica. – “Ria? Ria? Ria!, dicevo così per dire! Sì, vabbè ho capito… ah senti… volevo sapere se per caso lì stavate cercando mano d’opera.”
Draco si girò di scatto.
“Ah sì?” – chiese Hermione, sorpresa. – “Quando? Beh, sono contenta per loro. Sì, ho qualcuno. Beh, magari gli fanno fare una prova intanto. Sì, sono in ferie.” – Hermione deviò lo sguardo da Draco e l’uomo comprese che quelle ferie altro non era che il suo licenziamento. – “Ne ho per un bel po’.”
Draco continuava a mescolare la pasta. Il peso sul cuore era tornato.
“No, è che… è che sono stata licenziata Ria.”
L’urlo di Ria riuscì a stordire pure Draco che si chiese con che razza di Banshee stesse parlando Hermione.
“Ria mi hai tolto la verginità alle orecchie!” – borbottò Hermione che fu costretta a cambiare orecchio. – “Licenziata, sì! Senti, quando vengo lì ti spiego, ok? Sì, salutami tutti. Ciao.”
In quel momento, Draco scolò la pasta.
“Chi era?” – chiese lui, atono.
“Hai un lavoro.” – rispose Hermione. – “Cioè… abbiamo un lavoro.”
“Bene, sono contento.” – disse Draco.
Hermione riuscì a posare il sacchetto del pane.
“Non è vero, ma grazie della bugia a fin di bene.”
Draco ghignò e poi si misero a tavola.
“Dove?”
“In periferia a Londra.”









La piccola Ford Ka, regalo di sua madre, frenò su un terreno accidentato.
Erano circa dieci minuti che percorrevano quella strada sterrata e il pover’uomo, ormai provato da tutti quei dissestamenti, non vedeva l’ora di arrivare. Più volte aveva chiesto a Hermione dove lo stesse portando, ma lei aveva sempre riso in quel modo che gli faceva aizzare la pelle d’oca.

Erano arrivati in campagna e la strada, per quando ancora dissestata fosse, aveva raggiunto una sua stabilità, per la somma gioia delle sospensioni dell’auto e della testa di Draco che, vista la sua altezza, continuava a sbattere sul tettuccio.
Lentamente, si iniziò a scorgere una specie di casolare rimesso a nuovo, dove vi erano galline e oche che giravano liberamente. Draco non capì per niente dove si trovasse e Hermione godette di quello sguardo spaesato.
Parcheggiò l’auto sotto il suo albero preferito, sul quale si arrampicava fin da piccola.
“Arrivati!” – disse felice.
Draco aprì la porta e il cane, beatamente spaparanzato sulle sue gambe, fu felice di scendere e correre dietro alle galline che, impazzite, correvano a loro volta per scappare.
“Dove siamo?” – chiese lui.

Immerso com’era nella contemplazione di quel posto, Draco fu distratto da una porta che si spalancava, mentre un uomo sulla trentina, più o meno l’età di Hermione, vestito con un maglione nero e un paio di jeans che non gli rendevano onore cacciò un urlo disumano.
“SE NON MI SALTI ADDOSSO ENTRO TRE SECONDI VENGO LI’ E TI STRANGOLO!” – urlò il misterioso giovane con cipiglio severo.
Sentì Hermione cacciare un urletto eccitato e corrergli incontro, avvinghiando le gambe attorno alla sua vita. L’uomo barcollò leggermente, ma quando trovò un equilibrio stabile, lo vide stritolare la ragazza e baciarle velocemente le labbra.
“NEVILLE!!!!!” – urlò Hermione, felice.
Draco osservava sbigottito la scena e la scioltezza con la quale Hermione lo aveva salutato.
“La mia cittadina campagnola!” – disse lui, stringendola sempre più forte.
Quel Neville la mise a terra, permettendole di tirarsi su i pantaloni che le erano leggermente scesi, in un moto di innata eleganza con tanto di scrollata di sedere, quando vide uscire una ragazza che abbracciò forte Hermione.
“CIAO!” – urlò la nuova arrivata. – “Pensavo che non volessi più vederci!”
“Scema!” – urlò Hermione felice di vedere quella coppia.
Draco rimase ancor più interdetto quando vide la nuova arrivata e quel Neville scambiarsi un bacio. Ma dov’era finito? In una riunione per scambisti?
“E lui chi è?” – chiese la ragazza.
E finalmente Hermione si girò verso di lui, presentandolo e finalmente avrebbe capito dove fosse finito.
“Daphne, Neville? Lui è Draco e sta cercando lavoro. Ne avevo parlato con Astoria.”
“Piacere Draco, io sono Daphne, la sorella di Hermione e lui è mio marito Neville. Coraggio, entrate che fa freddo.” – disse Daphne.
“Lilly?” – urlò Hermione e di lì a poco apparve la cagnetta che entrò come un razzo in casa.




Dopo aver fatto tutte le presentazioni di rito, Draco e Hermione si trovarono a tavola con i genitori di lei. Al tavolo vi erano anche gli altri tre fratelli di Hermione. Una si chiamava Astoria – la Rya-maiala della conversazione telefonica di venerdì –, aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi come Daphne, e suo marito si chiamava Kevin, occhi castani e capelli neri, mentre l’altro fratello si chiamava Damian, occhi blu notte e capelli castani, che aveva sposato una santa donna di nome Marika, incinta di quattro mesi.
I suoi genitori, Scott e Minerva Granger, erano a capo tavola. Minerva aveva preparato per tutti una buona cioccolata calda che con un tempo simile era adatta a riscaldare gli animi.
Hermione aveva raccontato la situazione, omettendo l’insignificante dettaglio che Draco era l’ex proprietario della Malfoy Home e che l’aveva licenziata, dicendo che era un dipendente qualsiasi che cercava un lavoro.

“Credi si possa far qualcosa, Scott?” – chiese Minerva con un sorriso al marito.
“Sicuramente sì… vedrò che buchi ci sono in azienda. E tu patatina?” – chiese Scott.
Hermione tossì, sbrodolandosi di cioccolata. Odiava quando suo padre la chiamava così davanti ad estranei.
Draco, invece, era molto tentato di mettersi a ridere per quella ragazza che in quel momento assomigliava molto al Cicciobello-Bollicine ma si trattenne, per ovvie ragioni.
“Come va in città?”
Hermione tentò vanamente di ripulirsi il maglioncino, ma alla fine fu costretto a toglierlo e darlo a Minerva, in modo tale che lo mettesse a lavare, prima che la cioccolata ne diventasse parte integrante.
“Tutto bene… senti, dove possiamo sistemarlo?”
“Papà?” – esordì Damian. – “Ci sarebbe ancora la dependance. Con un po’ di lavoro ritornerebbe come nuova e Draco avrebbe la sua privacy.”
“Sì, si potrebbe fare. Per stanotte dormirai sul divano, Draco. Spero non sia un problema.” – disse Minerva, con un sorriso gentile.
“Il divano andrà benissimo, signora.” – disse Draco.
“Molto bene… allora adesso tutti a letto. Domani abbiamo del lavoro da fare!”
E con quest’ultimo comando, il padrone di casa mandò tutti a dormire.









Come promesso, il giorno successivo, gli uomini di casa si prodigarono per mettere a posto la depandance per il nuovo ospite, mentre le donne si rilassavano in veranda, sotto le carezze dei flebili raggi solari invernali.
Draco, nonostante tutto, si mise al lavoro per aiutare gli altri: dopotutto stavano lavorando per dargli una comoda sistemazione e se fosse rimasto a guardare avrebbe sicuramente fatto una cattiva impressione.
Kevin, Draco, Neville e Damian entravano e uscivano dalla dependance con vecchie cianfrusaglie che tenevano più che altro per ricordo. Intanto sul dondolo della veranda…

“Vacca ladra, Hermione…” – aveva iniziato Astoria.
Forse adesso si avrà un po’ più chiaro da chi Hermione abbia imparato qualche forma lessicale non del tutto ortodossa.
“… è uno schianto quello! Ma dove l’hai pescato?” – chiese la ragazza, mentre sorseggiava il suo the fumante.
Hermione rise. Era stato il suo titolare, ma niente toglieva che fosse un gran bel pezzo di figliolo…
“Ve l’ho detto… lavorava con me, ma il datore di lavoro ci ha licenziato perché c’erano dei problemi… che alla fine si era creato lui stesso.” – mezza verità.
“Non è che assumono da voi?” – chiese sempre Astoria con lo sguardo fisso sul sedere di Draco, facendo guizzare gli occhi ogni volta che quel perfetto bacio di dama si spostava da una parte all’altra.
“Astoria vola basso…” – disse Marika, che però, pure lei, tendeva ad avere almeno uno dei due occhi puntato sul biondino.
Non aveva legami di sangue con quelle ragazze, ma era una della famiglia e la si poteva considerare come la sorella acquisita.
“Sei sposata. E poi magari quello la ragazza ce l’ha già…” – ipotizzò Marika.
Hermione rise sotto i baffi.
“La sua ragazza l’ha lasciato, da quello che so…” – disse Hermione evasiva. – “… diceva che era stanca di stare con uno che non faceva carriera… e si è messa con il suo migliore amico…”
“Che puttanone!” – esclamò Astoria sempre più pittoresca.
Hermione annuì vistosamente e vigorosamente. Su quello non ci pioveva!
“Ma spiegami una cosa…” – disse Daphne. – “… che tipo di problemi si era creato il tuo datore di lavoro?”
“Non so i particolari…” – disse Hermione, come se stesse sparlando della vicina. – “… io so solo che quello mi ha spremuto come un limone per poi buttarmi nella pattumiera!” – e almeno un po’ si stava sfogando.
“Scusa?” – chiese Daphne, stranita.
“Non ho mai potuto sopportare la fidanzata del mio ex titolare… cafona, irrispettosa, maleducata… insomma!, una troglodita! Non salutava mai e mi lasciava aperta la porta d’entrata apposta perché prendessi freddo. Comunque!… un giorno le ho risposto male e lei invece di venire a chiarirsi con me ha preferito andare a piangere dal suo fidanzatino che non mi ha solo affibbiato il lavoro amministrativo, no!, ha pensato bene di farmi lavorare anche in magazzino!”
Le sorelle sgranarono gli occhi.
“Ma è scemo?!?” – chiesero all’unisono.
Hermione rise e guardò Draco.
“Un po’… comunque si era dovuto ricredere perché gli ho dimostrato che riuscivo a tenere in piedi perfettamente i due lavori.”
“Ci sarà rimasto di merda quando ha visto che sapevi fare un po’ di tutto.” – disse Astoria, divertita.

Hermione, a differenza di Astoria, Daphne e Damian, era una personalità effervescente. Tante volte piantava il suo lavoro d’ufficio per andare in magazzino e vedere cosa succedeva laggiù. Così, lentamente, aveva imparato più o meno tutti i lavori: dall’amministrazione al lavoro manuale vero e proprio.

“Oh, non puoi neanche immaginartelo…” – disse Hermione, mentre le tornavano alla mente tutti i momenti in cui Draco aveva dovuto mordersi la lingua perché niente che veniva affidato a lei poteva definirsi un lavoro lasciato a metà o fatto male. – “Poi siamo stati in America insieme e lì qualcosa era cambiato o almeno così credevo.” – disse, assorta.
Il tono di voce si era fatto più serio, segno che a Hermione ancora bruciava quella falsa dimostrazione di fiducia di Draco.
“Ho pensato che stesse iniziando a fidarsi di me. Pian piano abbiamo iniziato a rispettarci e non si arrabbiava più se lanciavo qualche frecciatina in direzione della sua ragazza che non le capiva…”
“Un’oca senza cervello!”
“QUA! QUA!” – starnazzò un’ochetta che passava di lì a caso.
“Scusa Penelope! Non dicevo a te!” – disse Astoria. – “Eh… dicevi?”
“Beh, poi arriva la mazzata.”
“Che ha fatto?”
“A Novembre sono stata convocata nel suo ufficio. Il nostro viaggio in America era stato improvviso perché il nostro maggior cliente aveva mandato una mail al mio ex titolare dove gli diceva che non avrebbe più comprato niente da lui. Lì abbiamo scoperto che questo cliente aveva in mano parte dei nostri libri contabili, dove c’erano delle discrepanze molto gravi. Siamo tornati indietro praticamente subito, perché il titolare voleva vederci chiaro e ha fatto intervenire una squadra di tecnici esterni che controllassero i computer di tutti. Sono stata convocata ed è saltato fuori che quella che ha mandato quei dati falsi al nostro cliente ero stata io.”
Le ragazze rimasero mute.
“Io gli ho detto che non c’entravo, che non ne sapevo niente ma non c’è stato niente da fare: mi ha presa e mi ha sbattuta fuori, umiliandomi davanti a tutti.”
“Cosa?!?!” – chiesero all’unisono.
“Così ho preso e me ne sono andata.”
“Allora è per quello che non sei venuta a Natale!” – esclamò Daphne. – “Sei proprio una cretina! Potevi venire lo stesso!” – la rimproverò.
“Non ero molto in vena di festeggiamenti.” – ammise Hermione. – “E poi non volevo rovinare le feste anche a voi.” – disse, guardando i ragazzi che facevano avanti e indietro dalla dependance.
“Che pezzo di merda…” – disse Astoria, riferendosi all’ex titolare di Hermione.
Daphne la osservò. C’era qualcosa che le sfuggiva in tutta quella storia, ma non capiva cosa. Lasciò perdere per il momento, visto che la depandance reclamava pulizia.

“Ehi pettegole! C’è da pulire!” – disse Kevin. – “Alzate i vostri graziosi sederini e sfacchinate!” – disse Kevin fintamente arrabbiato.
Le ragazze si alzarono per completare l’opera.
“Marika no.” – disse Damian categorico. – “Non ti farebbe bene.”
“Oh, andiamo Damian! Passare uno straccio non ha mai ucciso nessuno!” – disse Marika, seccata, già avviata verso la dependance.
“Damian ha ragione, Marika: lascia stare. Ci pensiamo noi.” – disse Hermione con un sorriso.
“Ma io…” – tentò la cognata, ma le occhiatacce omicide di tutti la fecero desistere. – “Va bene…” – ammise un po’ sconsolata.
Non le piaceva che tutti la trattassero come un’invalida solo perché era incinta.
“Andiamo?” – disse Daphne, mentre Hermione s’infilava dietro di lei.
“Tu non vai, Astoria?” – chiese Kevin, che la vedeva stranamente imbarazzata e ferma sulla veranda.
Tutti si girarono verso di lei.
“Ria tutto bene?” – chiese Hermione.
Astoria non si imbarazzava mai.
La ragazza in questione abbassò lo sguardo e Hermione la vide sfiorarsi delicatamente in ventre. Ma fu un gesto talmente veloce che nessuno vi prestò la dovuta attenzione.
“Oh-santo-cazzo…” – esordì Hermione con la sua solita eleganza.
Tutti si girarono verso la riccia.
“Oh-mio-dio! Oh-mio-dio! Oh-mio-dio! Oh-mio-dio!” – continuava a ripetere la piccola della famiglia, finché non la videro schizzare verso sua sorella e abbracciarla con decisione, ma delicatezza allo stesso tempo.
“Non è che quelle due se la intendono, vero?” – chiese Kevin perplesso a Neville per quell’eccessiva dimostrazione di affetto.
Neville fece le spallucce. Ne sapeva tanto quanto lui…
Hermione si girò con un sorriso che spiazzò i presenti. Corse da Kevin e gli saltò in braccio, lasciandolo definitivamente senza parole.
Il poveretto guardò il resto del gruppo che, come lui, osservava perplesso la scena.
“Perché non ce l’hai detto?” – chiese Hermione al settimo cielo.
“Detto cosa?”
“Perché non ci hai detto niente?”
“Perché non lo sa, Hermione…” – disse Astoria, calamitando di nuovo su di sé l’attenzione.
Hermione scese da Kevin e la guardò perplessa.
“Perché?”
“Io… volevo aspettare stasera…” – ammise imbarazzata.
“E’ troppo chiedere di cosa dovevo essere messo al corrente?” – chiese Kevin, che stava iniziando a preoccuparsi.
Con un sorriso d’incoraggiamento, Hermione incitò la sorella a comunicare la bellissima notizia.
“E-ecco…io…”
“Dai Ria!” – disse Hermione.
“So-ehm… aspetto un… aspetto un bambino, Kevin…”

Gli attrezzi gli caddero dalle mani come se fossero state di ricotta.
Sua moglie, la sua bellissima, stupenda, meravigliosa moglie gli aveva appena detto di aspettare un bambino. S’incamminò verso di lei per finire poi a correre e abbracciarla fino a stritolarla.
“Davvero?”
Astoria annuì.
“Perché non me lo hai detto?”
“L’ho saputo solo ieri e volevo dirtelo stasera…”
“Perché stasera?” – chiese lui visibilmente emozionato.
“E’ il tuo onomastico…” – ammise lei imbarazzata per quella romanticheria.

Chi conosceva bene Astoria, sapeva perfettamente che la sua idea di “amore” era una sana scopata in qualche anfratto della casa; perciò sentirla pronunciare quelle parole e sapere che voleva fare una cosa carina per suo marito, significava che anche Ria, nonostante proclamasse il contrario, era caduta nella trappola dell’Amore, quello con la “A” maiuscola.

Draco osservò la scena con il cuore in gola.
Era felice per loro nonostante li conoscesse da poco più di un giorno, ma l’attimo successivo immaginò se stesso mentre Pansy gli diceva di aspettare un bambino.
E un conato di vomito lo assalì.

Le altre due signore rimasero sbigottite dalla notizia, ma non per il modo in cui era stata data.
Hermione era una specie di maga in queste cose. Aveva una capacità di osservazione così intensa che a volte spaventava tutti. Sapeva sempre se qualcosa di bello o brutto stava per succedere e, osservando Astoria, aveva sganciato per prima la bomba.
“Guarda e impara, animale…” – disse Daphne, sgomitando il marito che incassò il colpo.
“Sai benissimo che posso fare di meglio, amore mio…” – disse malizioso.
Daphne lo allontanò da sé, fintamente scocciata, ma poi sorrise e andò a congratularsi con la futura mamma.
“Ragazzi? Io accompagno dentro Astoria!” – disse Kevin, scortando all’interno sua moglie.
Tutti immaginarono che la coppia andasse a dirlo ai genitori.
Infatti, dall’interno della casa, arrivarono le urla di gioia di Scott e Minerva.

E, alla fine, le uniche che dovettero sorbirsi le grandi pulizie furono Hermione e Daphne, che colse l’occasione per parlare con la sorella.

Hermione passava l’aspirapolvere, mentre Daphne puliva con un panno umido le superfici e i mobiletti finché, ad un tratto, non si fermò.
“Sputa il rospo, Hermione.”
La ragazza, sentendo vagamente il suo nome, spense l’aspirapolvere e guardò la sorella.
“Eh?”
“Adesso siamo sole. Dimmi la verità.”
E anche se Hermione capì che a sua sorella non poteva nascondere niente, cercò comunque di tergiversare.
“Che verità?”
“Quella sul tuo titolare.”
“E’ quella che ti ho raccontato prima in veranda.” – disse lei.
“Ma qualcosa mi sfugge… dimmi cos’è!”
“Non è che c’era qualcosa nella cioccolata di mamma, vero?” – chiese.
Quando vide Daphne sollevare un sopracciglio e aspettare la vera risposta, Hermione sbuffò.
“Uffa… ok, te lo dico. Ma devi promettermi che te lo porterai nella tomba.” – disse lei.
“D’accordo.”
“Il mio ex titolare… è Draco.” – confessò.
Daphne sgranò gli occhi.
“Come?”
“Sì… Draco, Draco Malfoy. Quel Draco Malfoy. Lui è quello che mi ha spremuta come un limone e poi mi ha gettato via.”
“Ohssanti… e perché è qui?” – chiese la bionda, mentre guardava fuori dalla finestra il Draco in questione.
“Gli serve un lavoro per mettersi in pari. Tralasciando quello che mi ha fatto, è stato derubato dalla sua ex e dal suo amico nonché socio. Sa come tirarsi fuori dai guai, ma ha bisogno di un punto di partenza.”
“Non… non è che è successo qualcosa tra voi, vero?”
Hermione inorridì al solo pensiero.
“Per l’amor di Dio, no! Nemmeno fosse l’ultimo uomo sulla terra!” – esclamò inorridita la ragazza. – “Non sono mica messa così male!” – disse Hermione.
“Com’è che ti scaldi tanto?” – chiese Daphne, divertita.
Hermione arrossì.
“Non girare la frittata, Daphne…” – disse Hermione, che aveva capito le intenzioni della sorella. – “Draco non è il mio tipo.” – concluse, sperando che la sorella non insistesse oltre.
Daphne si raddrizzò, interessata alla piega che stava prendendo la discussione.
“Ah, e… che tipo sarebbe Draco?”
“Daphne?” – la chiamò Hermione scocciata.
“Ehi! Vorrei solo conoscere meglio il ragazzo!” – si giustificò la bionda, che aveva abbandonato l’ascia di guerra contro Draco per capire meglio cosa passasse per la mente della sorella.
Hermione abbassò il capo, sconsolata. Già era abbastanza complicato il fatto di essere tornata a casa senza un lavoro e con Draco Malfoy appresso. Se in più ci si metteva sua sorella a fare da Cupido, Hermione non sapeva se la sua sanità mentale avesse retto. Appoggiò l’aspirapolvere alla parete e si sedette su una sedia appena spolverata.
“Siamo geneticamente incompatibili…”
Daphne capì che sua sorella ci stava ancora male per come Draco l’aveva trattata e lo dimostrava il fatto che per intavolare una discussione seria lei avesse sempre bisogno di sdrammatizzare. Affrontare le difficoltà era sempre stato faticoso per lei, dopo… scosse la testa. Non ci doveva pensare.
“… a me piace ridere e scherzare, lui è già tanto se riesce a capire una battuta. Ti prego, Daphne, non metterti a fare il Cupido. Sarebbe una battaglia persa in partenza.”
“Parliamoci chiaro Hermione…” – disse Daphne. – “… se Draco non ti toccasse minimamente, non lo avresti mai portato qui per aiutarlo a trovare un lavoro, non ti metteresti a pulire con maniacalità la dependance e non lo avresti messo a suo agio con mamma e papà. Quindi non venirmi a dire che ti è totalmente indifferente perché non ti credo.”
Hermione guardò male la sorella. Non era vero niente! Lei aveva solamente aiutato una persona in difficoltà, così come avrebbe fatto per chiunque! Però… il ragionamento di Daphne filava che era un piacere.
Che davvero…
Hermione scattò in piedi.
“Non dire assurdità, Daphne!” – sbottò lei. – “L’ho aiutato così come aiuterei un’altra persona nelle sue condizioni. Non vedere sempre cose che non esistono!” – sbottò, tornando a prendere in mano l’aspirapolvere.
“Mi parli di cose che non esistono? Vogliamo ricordare quello che è successo sei anni fa con il figlio del macellaio?”
Hermione si girò, perplessa.
“E con Jack Hiltons? Tedd Sanders? Luke Tennwalk? Anche loro erano in difficoltà e tu non li hai nemmeno guardati in faccia.” – spiegò Daphne.
“Ma era diverso! Non puoi paragonare la situazione attuale con Draco con quello che è successo sei anni fa!”
“Saranno state situazioni diverse, certo… ma il concetto di base è lo stesso. Hermione, non li hai aiutati perché…”
“Perché mi facevano i dispetti, mi prendevano in giro, mi tiravano i capelli! Manco fossimo ancora all’asilo!”
“E Draco? Ti ha licenziata dopo che gli avevi dato il sangue. Forse era più giusto che aiutassi gli altri che non lui.”
“Daphne… è diverso.”
“Cosa c’è di diverso?”
“Tutto! Jack, Tedd, Luke e tutti gli altri erano solo bambocci viziati che mi prendevano in giro solo perché non mi facevo toccare il sedere come le altre! Draco sarà stato un gran pezzo di merda, ma nonostante tutto non posso dimenticare di quei pochi attimi buoni che ci sono stati.”
“Ma se non hai fatto altro che sputargli merda addosso fino a cinque minuti fa!” – esclamò Daphne, stranita per quel ragionamento contraddittorio.
Prima lo sotterrava di parole e poi diceva che era c’era anche del buon in lui. Insomma!, che si decidesse!
Hermione si zittì, non riuscendo a trovare qualcosa con cui continuare e sua sorella se ne accorse.
Seguirono svariati minuti di silenzio.
“Non parlare troppo altrimenti ti si secca la lingua…” – osservò Daphne divertita.
Ed ecco, invece, da chi Hermione aveva ereditato il sarcasmo.
Hermione la guardò spaesata. Aveva fatto tutto questo senza accorgersene?
“Io… ti sbagli.” – disse, solamente.
“Hermione… non ti devi nascondere. Sappiamo tutti perché eviti le relazioni con i ragazzi.”
Hermione volse lo sguardo sul tavolo, sul quale due granelli di polvere stavano giocando a rincorrersi. Odiava ricordare certi momenti e sua sorella lo sapeva!
“Ma non è così che risolverai i problemi.”
“Non sono innamorata di Draco.” – precisò la riccia, con un sorrisetto  che credeva avrebbe troncato ogni possibilità di replica di Daphne.
Daphne sorrise e andò ad abbracciare la sua sorellina. Hermione, convinta che tutto fosse chiuso lì, si lasciò abbracciare.
“Io non ho mai parlato di amore, tesoro.”
Hermione si staccò violentemente da quell’abbraccio e guardò sua sorella con gli occhi sgranati.
No, non era innamorata di Draco, ne era certa. Non sentiva le farfalle nello stomaco e non sorrideva come un ebete al suo passaggio. Non c’era nessun sintomo dell’innamoramento in lei!

Allora perché aveva usato proprio quell’espressione?

Daphne sorrise, con l’atteggiamento di chi aveva aiutato un proprio caro a risolvere un problema alquanto ostico.
Ma Daphne sapeva avere pazienza. Non tutti avevano gli stessi tempi di reazione.
“Coraggio, vai a riposare che qui ci penso io.” – disse la maggiore con amore.
“Ma no, ti aiuto…” – disse, anche se in realtà era stanca morta.
“Hermione, non ti preoccupare. Penso che in un paio d’ore riuscirò a finire tutto. Sarai stanca.”
Lentamente si avviò verso l’uscita e rientrò in casa, facendo attenzione a non incontrare nessuno.

Arrivò nella sua vecchia stanza e si buttò a peso morto sul letto, sprofondando immediatamente in un sonno senza sogni.









Calli-corner

Allora? Com’è andata? Cosa ne pensate? Che mi dite? Fa schifo, vero?
Oh-mio-Dio! Mi stanno venendo le ansie da prestazione!

Dunque…
Hermione si è tirata in casa Draco, ma non appena lo ha fatto, si è resa conto che ci sarebbero stati degli inconvenienti cui far fronte. Lei però non si arrende e in qualche modo si arrangiano.
Raggiungono, in quei giorni di festa, una certa intesa, dove sembra che Draco stia finalmente imparando “a stare al mondo” e, dulcis in fundo, Hermione lo porta a casa dei suoi genitori per quel famoso posto di lavoro che era riuscita a trovare tramite Astoria (Rya).

Qui conosciamo un po’ la famiglia di Hermione, presso la quale si svolgeranno le vicende future.
Daphne, la maggiore, si accorge dell’atteggiamento di Hermione nei confronti di Draco e lo fa presente alla sorella che si altera un pochino. Capita, quando tua sorella vuole fare il cupido a tutti i costi.

Beh, che dire?
Aspetto che mi facciate sapere che ne pensate di questo capitolo, onesti come sempre.

Un bacio,
callistas




P.S.: pensavate che me ne fossi dimenticata, eh? ^___^

“Mi risulta che tu non sia vergine.” – disse Hermione.
“Infatti…”
La ragazza sorrise, quindi lui aveva capito a cosa alludesse.
“… sono dello Scorpione ascendente Toro.” – rispose lui, che proprio non aveva capito niente.

Bacioni!

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Capitolo 12
*** Le prime volte di Draco ***


12 - Le prime volte di Draco Bentornati a “Malfoy Home”!
Vi ringrazio davvero di cuore per l’affetto che mi state dimostrando.

In questo capitolo, vedremo il primo giorno di lavoro di Draco.
Come si comporterà? Sarà umile o tratterà i colleghi con la stessa superiorità con la quale trattava i precedenti? Mah… leggete e lo scoprirete! ^_^

Prima che mi dimentichi… ho la memoria a “0 termine” io… qui rientrerà in scena la Livin Home – John Cook e Laney Miller – in un piccolo salto temporale all’indietro, salvo poi ritornare ai giorni nostri.
Dovevo dirvelo subito o vi avrei fatto solo della confusione gratuita.

Beh, che dire?
Intanto buona lettura e poi ci vediamo alla fine.

callistas









Erano arrivati lunedì in tarda mattinata, aveva presentato Draco come fosse stato un amico qualsiasi in difficoltà, aveva scoperto per prima che sua sorella Astoria era incinta e che, secondo Daphne, si stava prendendo una cotta per il suo ex titolare.
Era tutto meraviglioso.
Draco a parte.

Hermione si svegliò verso le nove.
Un aroma di caffè era salito fino in camera sua, disturbando il suo sonno, mentre un brontolio proveniente dal suo pozzo senza fondo, la avvisò che la sera prima non aveva cenato e che si doveva rifare con una buona e abbondante colazione.
Si alzò con non poca fatica, scoprendo di essersi addormentata con i vestiti addosso. Andò in bagno a sciacquarsi il viso e poi poté presentarsi ai suoi familiari per lo meno con gli occhi aperti.


“Buon giorno, Hermione!” – la salutò il padre sempre festoso.
“Cia…” – poi prese posto sulla sedia e poggiò il capo sulle braccia e riprese a dormire.
“Patatina… ma hai dormito stanotte?”
Hermione si svegliò di botto, con gli occhi spalancati mentre Draco se la rideva sotto i baffi.
“Ma smettila di chiamarmi così!”
Gli altri si erano messi a ridere.
“Perché patatina?” – insistette l’uomo.
Non lo faceva apposta. Per lui Hermione sarebbe rimasta la sua piccola bambina che adorava le patate. Che c’era di male a chiamarla patatina?
“Causa persa, Hermione…” – disse Neville sorseggiando il suo caffè.
Minerva le mise davanti il suo tazzone di caffè latte, i biscotti e quant’altro le piacesse per colazione, lasciando che il suo enorme appetito ringraziasse Minerva per conto suo.
“Ma… quanto mangi?” – chiese costernato Damian. – “Nemmeno Marika mangia tanto…”
La donna in questione sollevò un sopracciglio, perplessa.
“Non ho cenato ieri sera…” – disse, tra un biscotto e l’altro. – “… non so se vi siete accorti che non c’ero…” – disse lei, con la bocca mezza piena.
“No, tranquilla… ce ne siamo accorti eccome!” – disse Neville, che con un occhio stava tenendo sotto controllo i suoi di biscotti.
“Non… non fare lo spiritoso…”
“Vuoi anche il mio per caso?” – disse Neville, continuando a stuzzicarla.
Hermione lo guardò male.

Draco rimase sempre in silenzio durante la colazione. Osservava con un misto di invidia e… tenerezza (?) il comportamento della famiglia di Hermione.
La complicità che avevano le varie coppie sposate, la spontaneità che Hermione aveva con ognuno di loro, il bene che Hermione voleva ai suoi genitori che permeava ogni centimetro di quella stanza… un po’ la invidiava, visto che la sua vita non era mai stata ricca di queste emozioni così profonde. Certo, i suoi genitori lo amavano tantissimo, ma non si erano mai lasciati andare in quel modo.
Poi c’era Pansy, ma con lei si era rivelata una storia di sesso, che sarebbe continuata con il matrimonio.
Matrimonio…
Che errore catastrofico che stava per fare.

Durante la permanenza nel rudere, sua unica proprietà, Draco si era ripromesso vivamente che non si sarebbe mai più innamorato.
Aveva anche capito che non l’amava, per lo meno non come Neville amava la sua Daphne, come Kevin Astoria e come Damian Marika. Il loro amore era saldo, costruito su basi solide; il suo con Pansy era costruito sui soldi che lui possedeva, ma una volta spariti quelli… ecco sparito anche l’amore.

“Sei taciturno, Draco…qualcosa non va?” – chiese Scott.
L’uomo guardò il padrone di casa e sorrise per cortesia.
“No, tutto bene…”
“Credo stia ancora pensando a quello stronzo del titolare…” – disse Hermione, soffiando compiaciuta sul caffelatte.
Draco avvertì una corrente d’aria gelida accarezzargli la schiena.

Durante le varie presentazioni, Hermione aveva omesso il dettaglio che lui era il direttore della Malfoy Home e che sempre lui l’aveva ingiustamente licenziata, anche se trovava strano il fatto che nessuno dei presenti lo avesse ancora riconosciuto.
Ma perché tirava fuori quel discorso proprio ora?

“Hermione…” – l’ammonì Scott, che non approvava certi linguaggi in casa propria.
“E tu Draco?” – chiese Minerva. – “Come mai sei stato licenziato?”
“Oh, io…” – ma non sapeva che dire.
“Lui è più o meno nella mia situazione…” – disse Hermione, venendogli incontro. – “… ha dato tutto per quell’azienda e si è ritrovato senza più niente.”
Draco la guardò, stupito e sospettoso. La capacità che aveva quella ragazza di farlo sprofondare nella vergogna più nera per poi risollevarlo come se niente fosse era veramente incredibile.
“Capisco… bene!” – disse Scott. – “Hermione, ho fatto un paio di conti e da domani, se volete, potete iniziare a lavorare con me. Tu ti occuperai delle solite cose e tu Draco, per il momento ti metterò ad organizzare i carichi.”
“Va bene. Grazie per l’aiuto.”

Ciò che balzò subito all’orecchio di Draco fu che il padre di Hermione non aveva detto “lavorare per me” ma “lavorare con me”.
Era una sottigliezza lessicale ma che dava a intendere con che tipo di persone avrebbe avuto a che fare: persone semplici, persone che non si facevano problemi ad accoglierne una in difficoltà e darle una mano.
Non sapeva cosa lo avrebbe aspettato ma non si era mai tirato indietro di fronte a una sfida.
 

Dopo la colazione, Kevin portò la sua Astoria a fare una passeggiata. Avevano tante cose di cui parlare, mentre Neville, Daphne e Damian si erano assentati per risolvere alcune pratiche in sospeso. Marika si ritirò in camera sua. Aveva alcune leggere fitte all’addome e non voleva rischiare di perdere il suo bambino.
Così, rimasero Hermione e Draco da soli.


“Stronzo, eh?” – disse lui ad un tratto.
“Beh, hai forse qualcosa da ridire?” – chiese lei perplessa.
“Conoscendoti, mi sarei aspettato di peggio.”
“Ah beh, se vuoi rimedio subito. Te ne ho tirate dietro talmente tante che mi sembra strano che non ti sia ancora rotto qualcosa.” – ironizzò.
Avevano preso posto insieme sul dondolo sulla veranda, mentre osservavano la natura circostante prendere vita.
“Ti ascolto.” – disse lui, fermamente intenzionato a sapere cosa la ragazza pensava realmente di lui.
“Sicuro di volerlo sapere?” – chiese, per essere certa che lo volesse veramente.
“Credo di sì.” – disse Draco.
Hermione ridacchiò per quell’improvvisa insicurezza.
Poi tornò seria e si preparò a dirgli tutto quello che aveva pensato di lui quando l’aveva cacciata dalla ditta e umiliata pubblicamente.
“Diciamo che “stronzo” non è appropriato.” – iniziò. – “E’ stata la prima cosa che mi è venuta in mente, ma a mente fredda ho pensato che più che stronzo, tu fossi un ipocrita, falso con gli altri e con te stesso.”

Il tempo degli scherzi era finito, e Draco l’aveva capito da come Hermione parlava e dal suo tono di voce.
Non avevano mai affrontato veramente il discorso a casa della riccia e forse in quei giorni ne avrebbero avuto modo. Adesso stava a lui scegliere se arrabbiarsi e piantare il muso a Hermione per ciò che gli avrebbe detto o se farne tesoro e migliorarsi, per riuscire a otterene il suo perdono.
Alla fine dei giochi, Hermione era stata l’unica che gli avesse dimostrato sincera lealtà e onestà ma lui, accecato da ciò che Pansy aveva voluto fargli vedere, l’aveva cacciata.

“Vuoi avere sempre l’ultima parola su tutto e t’incazzi come una bestia se qualcuno prova a contraddirti. Non ti piacciono i bugiardi, ma ne hai avuta una sotto il naso per anni. Parli di volere lealtà dai tuoi collaboratori, ma quando ne trovi una che non solo ti da la lealtà che cerchi, ma anche il sangue, la cacci e la umili pubblicamente. Ti ho trovato in quel rudere e se non ti avessi portato via molto probabilmente saresti morto sotto quelle travi, il che mi ha portato alla conclusione che non hai avuto nessuno che ti ospitasse o che ti tendesse una mano nel momento del bisogno…” – si girò e lo guardò con un sorrisetto compiaciuto. – “… come infatti io ti avevo già detto.”
Ah sì! E chi se le scordava quelle parole?

“Passi una vita a soddisfare le esigenze degli altri e tralasci le tue ma quando viene il momento che hai bisogno di aiuto e vai dalle persone che hai sempre cercato di compiacere, queste ti voltano le spalle, perché hanno altro da fare. Non si curano se stai male e non ti aiutano se loro per primi non hanno un personale tornaconto. E alla luce di ciò preferisco vivere una vita d’isolamento e riuscire a guardarmi ancora allo specchio, piuttosto che accompagnarmi a persone che al mio primo momento di cedimento mi abbandoneranno.”

“Non ti rendevi conto che per essere un buon capo-squadra non era necessario terrorizzare il dipendente con minacce sottili o esplicite…” – di nuovo lo guardò, e di nuovo a Draco tornarono in mente le sue parole.
Ed erano passati solo pochi mesi…

“Non ti conviene sfidarmi! Potresti rimanere a piedi con il lavoro!”
“Cos’è? Passiamo alle minacce esplicite, adesso? Vuole mettermi a fare due lavori? Benissimo! Nessun problema! Sappia però che un colpo basso simile non me lo sarei mai aspettato!”

“… ma bastava semplicemente una pacca di incoraggiamento di tanto in tanto per fargli capire che non era solo un numero o solo uno stipendio che usciva ma un essere umano e che come tale andava trattato.” – seguirono alcuni attimi di silenzio, dove Draco era rimasto veramente turbato da quelle rivelazioni.

Non credeva, non immaginava di essersi comportato in quella maniera.
Ricordava di aver sempre fatto i complimenti ai suoi collaboratori, ma solo ora si rese conto che li faceva solo a chi portava effettivi introiti nell’azienda, ai suoi avvocati che lo consigliavano sempre nel modo migliore, agli agenti che portavano clienti.
Non aveva mai fatto un complimento, o come diceva Hermione, non aveva mai dato una pacca sulla spalla a un magazziniere o alle ragazze della cancelleria per come svolgevano quotidianamente i loro compiti.

“Da domani entrerai a far parte di una realtà ben diversa, Draco.” – lo avvisò.
Hermione si alzò dal dondolo e si spolverò i pantaloni, mentre in lontananza la sua Lilly giocava a rimpiattino con le papere. Era davvero strano quel cane: poteva ammazzare quegli animali, ma si limitava a rincorrerli salvo poi lasciarli stare quando erano veramente stanchi di correre…
“Come tuo nonno e tuo padre prima di te, mio padre sta portando avanti un sogno.
Draco la guardò di scatto.
Quelle parole erano così familiari… dove le aveva già sentite?
Poi, ricordò.
Erano state pensate da lui da mettere appositamente sul sito aziendale nella voce “CHI SIAMO” della ditta. Aveva letto la cronistoria dell’azienda? Si era preparata per entrare nella sua realtà fino a quel punto?
“Qui non ci sono capi o responsabili. Non troverai nessuno che chiederà il permesso di prendersi delle ferie, ma persone che si conoscono da una vita e che sanno quali sono le proprie responsabilità. L’unico capo è mio padre, perché è lui che ha sulle spalle la gestione dell’azienda dal punto di vista legale, per il resto siamo tutti uguali.”
Draco teneva lo sguardo sulle assi del pavimento.
“Capirai cosa significhi fare otto-dodici ore di fila senza mai fermarsi, capirai cos’è il vero lavoro di squadra, capirai cosa significa rimanerci male quando nessuno apprezza ciò che fai. Lilly! Lascia in pace Penelope, dai!” – esclamò Hermione, rivolta al cane.
Lilly abbaiò alla papera, che crollò sfinita a terra, e poi corse da Hermione che si chinò per prenderla in braccio.
Guardò Draco per un attimo.
Forse era stata troppo dura, ma non le importava. Non era lui che aveva subito una profonda umiliazione, non era lui che era stato pubblicamente accusato di furto. Aveva ancora tante altre cose da dire, ma per il momento le avrebbe tenute per sé. Per quanto se le meritasse, non era una che continuava a picchiare l’avversario quando questi era già a terra.
Rientrò in casa per aiutare sua madre a preparare qualcosa per il pranzo.
Draco rimase fuori, fermo sul dondolo. Tanta brutale onestà da Hermione non se la sarebbe mai aspettata, eppure… avrebbe dovuto immaginare che la ragazza non ci sarebbe andata giù leggera. Così come doveva aspettarsi che prima o poi sarebbe esplosa.
L’attimo successivo ripensò alle parole che aveva rivolto a Pansy nel suo ufficio quando lui aveva scelto di non crederle.

“Dio Cristo Pansy! Sei la peggior calamità che la terra abbia mai visto dai tempi dei faraoni! Forse qualcosa di buono in tutta questa storia c’è: finalmente posso dirti in faccia quello che penso di te, senza dover rischiare di beccarmi un surplus di lavoro! Ma non mi lamento di questo, no! Quello che mi è stato sulle palle dall’inizio di questa commedia è che tu sei una poveraccia, che non sa pulirsi il culo da sola, che deve sempre ricorrere all’aiuto di qualcuno! L’unica cosa che mi auguro è che un giorno tu ti possa rendere conto di quanto la tua vita sia vuota e di come hai trattato le persone, anche se forse quella mosca che gira su quel cumulo di merda che tu osi chiamare cervello, non arriverà mai formulare un pensiero che vada oltre il te stessa!”

Nemmeno lui, che con le parole ci sapeva fare, avrebbe saputo… fare di meglio.
Solo dopo aver scoperto tutto, Draco pensò che Hermione aveva riassunto magistralmente la vita e la personalità di Pansy e che la scelta di alcuni termini – calamità, poveraccia, vita vuota e, la sua preferita, cumulo di merda – era stata più che azzeccata, nemmeno li avesse pensati di notte.

Ma non era di Pansy che doveva preoccuparsi.
Era di se stesso in relazione a Hermione.
Si diresse verso la sua dependance e vi rimase fino all’ora di pranzo.
Aveva molto cui pensare.




Hermione stava aiutando Minerva a preparare il pranzo, affettando qualche verdura e insaporendo l’arrosto. Era parecchio taciturna ed era anormale per un tipo peperino come lei.
“Cosa c’è?” – chiese la madre, mentre mescolava il sugo.
Hermione alzò gli occhi un secondo. Non aveva molta voglia di parlare.
“Nulla…” – ma il suo tono e i suoi mutismi dicevano esattamente il contrario.
“Quindi non c’entra niente Draco?”
La ragazza sbattè il coltello sull’asse, rischiando di tagliarsi un mignolo.
“Oh, ma tutti con Draco ce l’avete?” – sbottò infastidita.
Minerva la guardò sorpresa e un sorrisetto le increspò le labbra.
“Non ridere in quel modo. Qualsiasi cosa a cui tu stia pensando non è quella.”
“Stavo solo pensando che l’arrosto verrà fuori veramente bene…” – ironizzò.
“Sì, certo…” – disse Hermione, sorridendo per quel tentativo di sollevarle l’umore.
“Coraggio… cosa ti turba?”
“Sono solo stanca… tutto qui. Non ti preoccupare.” – disse Hermione con un sorriso tirato.
“Come preferisci.” – disse Minerva, tornando a controllare l’arrosto.
Hermione sapeva di darle un dispiacere, ma era da quel giorno che faticava a confidarsi con qualcuno. Con Daphne era diverso perché la sorella maggiore intuiva al volo i suoi pensieri e Hermione non doveva fare altro che annuire o negare. Per Hermione, prendere sua madre, farla sedere su una sedia e confidarle le sue pene, era un’impresa ercoliana.

Pian piano la casa si rianimò di persone.
Astoria e Kevin erano tornati dalla passeggiata con in mente già alcune centinaia di nomi nel caso fosse un bambino e circa alcune decine di migliaia nel caso fosse stata una bambina. Daphne, Neville e Damian avevano sbrigato tutto il lavoro arretrato, mentre Marika ancora non accennava a farsi vedere.
“Hermione, hai visto Marika?” – chiese Damian.
“L’ho vista salire per andare in camera sua… mi sembrava che avesse delle fitte al ventre, ma niente di cui…” – ma Hermione non fece in tempo a finire di parlare, che Damian era scattato come una molla verso la loro camera per accertarsi che non ci fossero problemi. – “… preoccuparsi.” – concluse Hermione. – “Mamma, apparecchio?”
Minerva controllò l’ora e annuì.
“Sì, grazie.”
Hermione prese la tovaglia, mentre veniva aggiornata sugli ultimi sviluppi dell’azienda paterna e sui pettegolezzi del paese. Aggiunse un posto per Draco e poi aspettò l’arrivo del suo papà.
Quando tutti i commensali presero posto a tavola, il pranzo fu servito.

Il caso volle (e cioè Daphne, Neville, Damian, Marika, Astoria e Kevin) che Hermione e Draco sedessero vicini, poiché avevano notato una certa tensione aleggiare tra di loro. Non si scambiarono una parola per tutto il pranzo, salvo qualche intervento sporadico per non passare per maleducati.

Finito il pranzo, si radunarono tutti in salotto, dove un bel caminetto acceso faceva bella mostra di sé. Scott prese posto sulla sua poltrona, mentre gli altri, ad esclusione di Hermione, si sedettero sul divano. La piccola della famiglia preferì sdraiarsi su un enorme cuscino giallo che, a occhio e croce, aveva stampato sopra la sagoma della ragazza.

“Allora Draco… raccontaci un po’ di te. Dove abiti?”
“Nella dependance, al momento.” – disse lui.
Gli altri si misero a ridere.
“E prima di stare nella dependance?”
“A casa di Hermione.”
La ragazza alzò lo sguardo, con gli occhi sgranati e il viso che si stava colorando pian piano di rosso. Il silenzio calò sulla stanza e Draco pensò che forse aveva esagerato.
“Nel senso che quando il nostro ex datore di lavoro ci aveva licenziati, il proprietario dell’appartamento mi aveva sfrattato e mi ero ritrovato senza casa. Hermione mi ha offerto un posto dove stare fino a che non trovavo un’altra sistemazione.” – Draco sentì distintamente i cuori dei presenti iniziare a rallentare e alcuni sospiri di sollievo uscire dalle loro gole, ermeticamente serrate.
Bastardo, pensò Hermione, guardandolo.
“Oh… bene… hehehe…” – rise istericamente Scott, che aveva ripreso a respirare correttamente.
Non era ancora pronto a vedersi portar via anche l’ultima figlia.
“Di cosa ti occupavi prima, Draco?” – chiese Astoria.
“Me me la cavavo con i conti…” – ammise lui.
“Oh, bene!” – disse Daphne. – “Così potrai aiutare la nostra Hermione nel suo lavoro.”
“Mi occupo dell’agenda di papà, Daphne… non seguo più l’amministrazione.” – disse lei, guardando negli occhi la sorella.
Ecco il guaio di avere una sorella che capisce tutto di te: si mette sempre in mezzo per creare casini che alla fine ti lascia da sistemare.
“Beh l’agenda di papà non sarà mai tanto piena come quella del tuo ex datore di lavoro, non credi?”
Draco osservò le due e capì che Hermione, con Daphne, doveva essere stata sincera fino in fondo.
“E’ sempre un impegno e voglio farlo bene.” – disse Hermione, mentre gli altri non capivano l’insistenza di Daphne.
“Ma nel vecchio lavoro ne facevi due, no?” – s’intromise Draco.
Hermione lo trucidò con lo sguardo.
“Sì, ma…”
“Allora è deciso. Oltre all’agenda aiuterai Draco con la contabilità e i trasporti.”
Hermione si alzò di scatto dal cuscino, veramente arrabbiata.
“Ma che problemi ci sono? Dato che ci siete perché non mi fate andare in giro con il camion, anche?” – detto questo, prese l’uscita e andò a schiarirsi le idee fuori al freddo, mentre i presenti si scambiavano occhiate perplesse per lo scoppio della ragazza.

Hermione era uscita e si era diretta verso il suo albero. Con un salto raggiunse il primo ramo e vi si arrampicò sopra, andando avanti per tre-quattro rami e arrivando ad un’altezza non indifferente.
Quando Daphne fa così non la sopporto!, pensò stizzita Hermione. Sempre a voler avere ragione… e sono anche senza cappotto!, pensò Hermione sempre più seccata. Si raggomitolò su se stessa per cercare di scaldarsi, traendo un momentaneo beneficio.
“Hermione?”
La ragazza alzò gli occhi. E adesso che voleva?
“Hermione non c’è… lasciate un messaggio.” – disse lei, finché non percepì una presenza vicino a lei. Si girò e sbuffò infastidita. – “Cosa vuoi?”
“Sapere perché te la sei presa in quel modo. Ci sono rimasti tutti male.”
“Perché? Perché me la sono presa? Ma ci sei o ci fai?”
“Allora dimmi una cosa: mi hai portato qui con lo scopo di sputtanarmi davanti alla tua famiglia?”
Hermione lo guardò allibita. Da quand’è che parlava in quel modo, Draco?
“Coraggio… perché mi hai portato qui?”
La stessa domanda, solo che era stata posta dall’ultima persona alla quale poteva dare una risposta.
“Perché aiutandoti mi sono messa in pace la coscienza. Ma se preferisci basta che me lo dici. Ti riporto a casa, in quel rudere che credo si sia ridotto ormai ad un cumulo di macerie.” – disse lei cattiva.
“Senti, so che ce l’hai con me per quello che ti ho fatto, ma…”
“Ce l’ho con te?” – disse lei sdegnata. – “Io sono incazzata a morte con te, Draco! Ti ho dato anche il culo, ma non ti è bastato! Mi hai usata per metterti in pari con il lavoro e poi mi hai cestinata. Sono incazzata e delusa! Perché speravo che tu avessi un po’ più di fiducia in me, ma alla prima difficoltà non ti sei posto la minima domanda. Mi hai semplicemente sbattuta fuori!” – con il dorso della mano asciugò le due lacrime che le erano sfuggite. – “Mi hai umiliata, perché quando mi hai sbattuta fuori non hai solo licenziato una dipendente, ma hai tacitamente detto ai miei ex colleghi che ero colpevole.”
“Ok. Ho sbagliato.” – ammise lui. – “Dimmi cosa devo fare per farmi perdonare e lo farò.”
Hermione si girò, incredula per quelle parole.
“Guarda che non siamo dei bambini, Draco! Non ti devo perdonare perché mi hai tirato i capelli. Tu mi hai piantato un coltello nella schiena!”
“Lo so e ho sbagliato.” – ripeté. “Ho sbagliato in tante cose ma credo che qualcuno voglia offrirmi una seconda possibilità di riscatto. Ti dimostrerò che puoi fidarti di me.”
Hermione si girò. Il suo viso era ancora deformato dal dolore del ricordo, ma dentro di sé sperava vivamente che alle parole di Draco seguissero anche i fatti.
“A parole sei sempre stato bravo.” – disse, con un sorriso amaro. – “Per una volta mettici anche i fatti.” – disse Hermione con un tono di voce che aprì a Draco uno spiraglio di speranza.
“Avrai i tuoi fatti. Ora scendi, però o ti prenderai un accidenti.”
A malincuore, Hermione, si alzò e iniziò a scendere dall’albero, mentre sulla porta di casa vi era tutta la sua famiglia che l’aspettava, preoccupata per quella reazione.
“Tutto bene?” – chiese Scott.
“Sì, scusa… è che sono ancora un po’ stanca.” – ammise Hermione con un sorriso tirato.
“Allora va a riposarti, che domani mi servi in forma.”
Hermione sorrise e si diresse in camera sua per riposare. Con un gesto della mano salutò la sua famiglia e poi sparì dietro l’angolo.
“Bene, chi ha voglia di una partita a scarabeo?” – chiese Scott.
Tutti alzarono la mano, tranne Draco, che addusse la scusa di non sapervi giocare per rimanere in disparte e pensare a come poter riconquistare la fiducia di quella ragazza che stava imparando a stimare.

Hermione era in camera sua, nella sua vecchia cameretta e si stava coccolando la sua Lilly. La cagnolina, vergognosamente a gambe aperte per le coccole sul pancino, ogni tanto si stiracchiava finchè non cadde addormentata pure lei, accanto alla sua padroncina.
La ragazza era anche davvero stanca. L’accumulo del lavoro nell’azienda di Draco non era ancora del tutto passato e ora come ora aveva solo bisogno di dormire e di riprendere a lavorare con un ritmo molto meno serrato. Il fatto che poi avrebbe dovuto stargli accanto per tutto il giorno per aiutarlo ad inserirsi non l’aiutava a far sparire la tensione. Avrebbe sempre dovuto dimostrare di essere una buona impiegata, a prescindere dalla mole di lavoro che le veniva attribuita.









L’odore nauseabondo dei gas degli scarichi dei camion, l’olezzo delle macchie d’olio che creavano fatui arcobaleni a seconda della prospettiva con la quale si guardavano e il via vai dei camionisti che scendevano e salivano da un tir all’altro, accolsero Draco in quello che lui, di primo acchitto, definì “il Girone dei Puzzoni”.

Spaesato per tutta quella confusione e sporcizia che aleggiava nel magazzino, andò dietro a Hermione come un bambino che sta per affrontare il primo giorno d’asilo: spaurito. Osservò, per quanto quei pesanti odori gli permettessero di avere la mente lucida, il rapporto che la ragazza, che camminava sicura davanti a lui, aveva con i vari dipendenti e i camionisti.
Ora si spiegava molte cose…
“Ehi, Hermione! Alla buon’ora! Finalmente sei tornata all’ovile!”
“E a giudicare dalla puzza tu non te ne sei mai andato Luke.” – fu la stoccata di Hermione che non si era nemmeno voltata per guardarlo in faccia.
Luke Tennwalk, il figlio del macellaio. Non aveva voluto prendere in gestione la macelleria del padre perché odiava l’odore di carne e sangue che impregnava la pelle del padre quando tornava a casa la sera e si era trovato un posto nell’azienda del padre di Hermione, della ragazza che qualche anno addietro si divertiva a tormentare, come magazziniere.
Non puzzava più di carne e sangue ma di olio e grasso per motori.
Hermione aveva messo una pietra sopra a tutti i dispetti che le aveva fatto quando era più giovane, ma ogni tanto le piaceva far ricordare chi comandava e Luke, battutina ad effetto finale di Hermione, capì di dover tornare al proprio posto se non voleva perderlo.
La ragazza lo sorpassò senza tanto badargli, visto che aveva altre cose più importanti da fare.
“Stronzo.” – sentenziò Hermione, pensando che il rumore dei camion accesi avesse impedito a Draco di sentirla.
Speranza vana.
“Effettivamente…” – disse Draco.
Hermione sentì Draco ma non si girò. Le parole che lei gli aveva rivolto solo la sera prima erano presenti tra di loro come un muro invalicabile.
Entrarono in un ufficetto non molto grande ma sufficiente per una persona sola, per Draco. Lo fece accomodare su una sedia e prese dal cassetto alcuni incartamenti.
“Allora…” – disse, sfogliando con attenzione alcune pagine. – “Questa è una relazione che ho stilato personalmente che riguarda l’attività della ditta di mio padre. Per ogni settore ho descritto le varie mansioni. Ti consiglio di leggerlo prima di affrontare questo mondo. Non siamo un’azienda multimilionaria come la tua…” – si bloccò per la gaffe commessa.
Lo sguardo di Draco era diventato serio, come se avesse pensato che lo avesse fatto apposta. Hermione chinò lo sguardo.
“Scusa, quello che volevo dire è che non siamo molto grandi, ma abbiamo parecchio lavoro. Trattiamo trasporti di vario genere, dagli alimentari fino ai traslochi, quindi come puoi immaginare abbiamo permessi diversi per ogni tipo di trasporto che effettuiamo. Quello di cui ti dovrai occupare tu, sono i trasporti alimentari; sono molto delicati perché necessitano di documenti sempre in regola per non incappare in sanzioni stratosferiche.” – Hermione sfogliò le pagine fino ad arrivare alla voce “Trasporti Alimentari” e lo porse a Draco. – “Troverai indicati i documenti che servono e le leggi che governano questa tipologia di trasporto. Mi raccomando: sono molto importanti.”
Draco prese il libro e iniziò a leggerlo.
“Per qualsiasi cosa, sono in ufficio da mio padre.”
“Sì, ok…” – disse lui, osservandola uscire dall’ufficio. – “Allora… Trasporti Alimentari…”


Draco arrivò a scontrarsi con un nuovo mondo, fatto di regole e codicilli a lui ignoti. In azienda si occupava di cose ben più importanti, lasciando ai capi-settore l’incombenza di conoscere la legge e le sue applicazioni. Aveva concesso loro il potere di firma sui documenti per non dover ogni volta essere interrotto, con l’allora fidanzata Pansy Parkinson, in attività più redditizie.

Ogni volta che si trasportava un alimento, lesse, serviva una denuncia in carta semplice che attestasse che il camionista, con tanto di dati anagrafici al seguito, fosse autorizzato a trasportare quel tipo di merce. Per non parlare di come ogni alimento prevedesse la sua denuncia, in quanto non era possibile effettuare una denuncia comulativa. Fortunatamente la denuncia aveva la durata di due anni, quindi non era necessario ogni volta compliare scartoffie su scartoffie. Si trovò a leggere con interesse quella relazione ben dettagliata, con allegati i vari moduli da usare e già compilati come “faxsimile” in modo tale che l’utente fosse agevolato al meglio nel proprio lavoro.

Alla quinta pagina, Draco smise di leggere e si perse nei propri pensieri.
Per l’ennesima volta si ritrovò a pensare a quanto stupido fosse stato ad aver licenziato un lavoratore del calibro di Hermione. Era una ragazza sveglia, qualificata come poche, conosceva l’amministrazione come le sue tasche e lui aveva avuto l’incoscienza di sbatterla solo per non aver voluto indagare più a fondo. Si ripromise, se e quando sarebbe avvenuto, che se fosse riuscito a riprendere il possesso della propria azienda, avrebbe riassunto Hermione come sua socia in affari.
Riprese la lettura per un’altra buona mezz’ora, arrivando a concludere il capitolo nel giro di mezz’ora. Insoddisfatto, lo cominciò daccapo, leggendo anche quello che esulava dai suoi compiti. Dopotutto, se Hermione all’interno della Malfoy Home era arrivata ad avere una conoscenza globale, era stato perché si era impegnata a fondo e non si era limitata solo al proprio lavoro.


Intanto, nell’ufficietto di Scott…

“Hai dato il lavoro a Draco?”
Hermione aveva appena preso l’agenda del padre e notò, con disappunto, la disorganizzazione degli appuntamenti.
“Sì. L’ho lasciato che se lo stava leggendo, ma porca paletta, papà!” – esclamò Hermione. – “Ma chi ti ha tenuto l’agenda?”
“Astoria, perché?”
“Non s’era capito.” – ironizzò Hermione. – “Certo che è una casinara quella ragazza!” – esclamò Hermione.
“Dai, su, non arrabbiarti con lei. Tra poco diventerà mamma… e io nonno!” – esclamò Scott con gli occhi cuoriforme.
Hermione lo guardò malissimo.
“E io zia… dai, mettiamoci a lavorare.” – disse Hermione, svilendo l’entusiasmo del padre per la prossima nascita.

In men che non si dica, Hermione sistemò l’agenda del padre, sistemando gli appuntamenti con precisione maniacale, facendo apparire il lavoro di Astoria come il quaderno della brutta copia di scuola.
Soddisfatta del proprio lavoro, la ragazza alzò gli occhi e notò con soddisfazione che era arrivata l’ora di pranzo. Andò a vedere com’era messo Draco: a quell’ora avrebbe già dovuto finire il capitolo relativo ai trasporti alimentari e andò a curiosare la situazione. Quando entrò lo trovò alla scrivania con aperti davanti tre-quattro raccoglitori.
“Ciao, che stai facendo?” – s’informò.
Draco alzò leggermente lo sguardo, ma lo riabbassò, interessato a quello che stava leggendo.
“Passo dalla teoria alla pratica, prof…”
Hermione ridacchiò.
“Allora pronto allora per l’interrogazione?” – lo vide incurvare l’angolo destro delle labbra verso l’alto, sintomo che quella conversazione lo stuzzicava parecchio.
“Certo.”
“Però oggi mi sento buona. Ti faccio prima pranzare e poi ti farò sudare le sette proverbiali camice.”
Draco guardò l’ora e si rese conto che era ora di pranzare.
“Il padrone sei tu.” – disse, chiudendo il raccoglitore e andando verso la porta.
“Farei bene a tenermelo a mente.” – disse Hermione con il sorriso di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico.




Erano seduti al tavolo della mensa e Hermione, inconsciamente, era diventata il centro dell’attenzione. Presentarsi in mensa con un pezzo di ragazzo simile era una notizia che avrebbe viaggiato al di là del tempo e dello spazio, soprattutto se la parte femminile della coppia era Hermione, vista la sua reticenza nelle relazioni amorose.
“Ci stanno fissando tutti…” – osservò Draco, per la prima volta in vita sua a disagio.
Hermione alzò lo sguardo su di lui e lo riabbassò, sorridendo.
“La cosa ti fa sorridere?”
“Sì, perchè già immagino i pensieri dei presenti.” – disse, addentando il suo secondo panino.
“Perché? Che pensieri fanno?”
Hermione lo guardò come se avesse davanti un verginello di fronte alla prima esperienza sessuale.
“Mi risulta che tu non sia vergine.” – disse Hermione.
“Infatti…”
La ragazza sorrise, quindi lui aveva capito a cosa alludesse.
“… sono dello Scorpione ascendente Toro.” – rispose lui, che proprio non aveva capito niente.
Hermione stava per addentare il secondo morso del panino, ma alzò lo sguardo come se avesse visto un lombrico fare l’hula hop.
“Mi… mi prendi in giro?”
“Perché?”
La ragazza rimise nel piatto il panino e si passò una mano sulla fronte, incredula.
“Intendevo vergine nell’altro senso.” – specificò la ragazza.
“Ah…” – disse lui che aveva finalmente capito. – “… ah.”
“A volte mi lasci senza parole, davvero.” – ammise sconcertata.
“Eh, ho capito male…” – disse lui, mentre lei squoteva la testa, rassegnata.
“Secondo te a che pensano di preciso.”
“Che andiamo a letto insieme.” – disse con franchezza la ragazza, tanto che l’uomo ci rimase male.
Hermione continuò a mangiare il suo panino, come se avesse appena detto che il giorno dopo ci sarebbe stata pioggia.
“Certo che non ti fai problemi a dire le cose come stanno, eh?”
“Evito i fraintendimenti Avresti preferito che dicessi “stanno sicuramente pensando al modo in cui mi hai deflorata”. Ti suona meglio?”
“No, ok…andava meglio l’altra…” – disse Draco, non abituato a sentire Hermione usare certi linguaggi altisonanti.
“Ecco… oggi pomeriggio comunque ti metterò sotto.
Draco sgranò gli occhi.
“Come?”
“Sì, ti farò sudare come un matto. Non ho tempo da perdere, quindi faremo una cosa veloce. Spero che tu possa stare al passo.”
E per la prima volta, Draco arrossì di botto. Oh, quante prime volte che stava avendo il bel signorino…
“Voglio vedere come te la cavi sotto pressione. Dovrai essere svelto e venire con me quando te lo dirò.”
Draco era sempre più rosso.
“Beh? Come mai sei rosso?” – chiese la ragazza, che non si era accorta del doppio senso delle sue parole.
“Mi… mi hai praticamente proposto di fare sesso con te!” – esclamò a voce leggermente alta, voce che arrivò alle orecchie di alcuni colleghi che iniziarono a guardare Hermione con occhi spalancati.
Ora fu il turno di lei ad arrossire vistosamente.
“Ma… ma sei scemo??!” – gracchiò incredula. – “Quando?”
“Prima!”
“Ti ho solo illustrato il lavoro che dovrai fare! Non ti ho mica…” – poi si rese conto delle sue effettive parole e dell’enorme, mastodontico, colossale equivoco che ne era uscito. – “…ohssanto cazzo!” – disse imbarazzata come non mai. Infilò in bocca l’ultimo boccone e si alzò, allontanandosi più che poteva da quel tavolo. Si allontanò, borbottando qualcosa sulla mente malata di Draco.

Si ritrovarono, faccia a faccia, nell’ufficio dove avrebbe lavorato con lui, imbarazzati fino al midollo e rossi come due pomodori maturi.
“Io…” – dissero all’unisono. Questo non fece altro che accrescere l’imbarazzo, ormai schizzato a livelli esponenziali.
“Prima tu…” – di nuovo, insieme.
Aprirono bocca nello stesso momento, ma stavolta nessuno dei due aprì bocca. Era incredibile il sincronismo che avevano in quel momento.
Allora Hermione lo indicò con l’indice, pregandolo tacitamente di continuare quello che voleva dire.
“Sì, io… scusa per prima… non so come ho potuto capire fischi per fiaschi…”
“N-non ti preoccupare… capita anche a me…” – chiese lei con un sorriso ancora imbarazzato.
“Certo. Allora… ehm, con cosa inizio?”
Hermione si mise d’impegno a spiegargli come funzionava il lavoro che di lì a poco sarebbe andato a svolgere, constatando con piacere che, nonostante fosse un uomo abituato a vivere nel lusso e quindi a non sporcarsi le mani, Draco recepiva con estrema facilità le regolamentazioni e leggi affini sui trasporti.
Passò circa un’oretta chiusa in quell’ufficio a spiegare tutto per filo e per segno e alla fine Draco potè dire di avere una laurea in trasportologia.
“… tutto chiaro?” – chiese Hermione, con la gola secca.
“Sì, nessun problema.”
La ragazza annuì.
“Ok. Io adesso devo andare via con mio padre, tornerò verso le sei.”
“Clienti?”
“No.”
Draco notò che il viso di lei si era rabbuiato d’un tratto, ma non volle insistere. In fondo, chi era lui per chiedere informazioni personali?
“Ok. Ci vediamo dopo, allora.” – disse lui.
“Sì, ciao.”
Hermione uscì dall’ufficio e andò in quello del padre, che la stava aspettando con un sorriso amorevole sul volto.
“Sei pronta?”
“No, ma fa lo stesso.” – rispose lei, avviandosi verso l’auto paterna.




Stava avendo serie difficoltà con quella nuova procedura e, dopo due ore spese a cercare di capire cosa non andasse, Draco si vide costretto a fare l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.

Chiedere aiuto.

Si alzò dalla sedia, indispettito come mai in vita sua e si diresse al primo piano, dove Daphne stava fatturando alcuni articoli. Con l’indice della mano sinistra si teneva il segno, mentre con la mano destra schiacciava ad una velocità impressionante i tasti sulla tastiera numerica.
“Ciao Draco.” – disse Daphne, senza alzare il volto dal foglio.
Il ragazzo entrò, chiudendo dietro di sé la porta e la guardò, per vedere se ci fosse una finestrella o uno spioncino con il quale Daphne avesse potuto identificarlo.
“Se aspetti un secondo, sono subito da te.” – disse la ragazza, concentrata al massimo sul suo lavoro.
Cinque minuti più tardi, in cui il silenzio regnava sovrano, a parte il frenetico ticchettare delle unghie sulla tastiera, Daphne alzò lo sguardo, sorridendo soddisfatta e si dedicò a Draco.
“Scommetto che hai problemi con il programma di gestione trasporti.”
L’uomo iniziò veramente a preoccuparsi. Ma dov’era finito? In una famiglia di maghi onniveggenti?
“Come…”
“Perché sia io, Astoria, Marika e Hermione abbiamo avuto il tuo stesso problema all’epoca. Non riesci a compilare il modulo C7?”
“Esatto.” – disse lui, sempre più perplesso.
“Nessun problema. Archivio questa fattura e scendo con te.”
Come promesso, Daphne archiviò la fattura nel suo raccoglitore e poi scese con Draco nel suo ufficio per aiutarlo nell’impresa.
“Dove ti sei fermato?” – chiese, sedendosi al suo posto.
“Qui: il sistema non mi permette di proseguire. Cos’ho dimenticato?”
Daphne studiò un attimo la situazione e poi sorrise.
“Per poter procedere, dovevi mettere una spunta lì vicino, altrimenti non riconosce il tipo di documento.”
Infastidito per aver disturbato una sua, alla fine, collega per una stupidata simile, Draco chinò il capo e annuì.
“Grazie.”
Daphne si alzò e stava per uscire, ma tornò sui suoi passi e si sedette sulla sedia di fronte a lui. Draco la guardò, cercando di capire cosa potesse volere ancora.
“Sì?” – chiese lui.
“Hermione mi ha detto tutto.” – disse lei con semplicità.
Draco s’irrigidì sul posto, ma si rilassò impercettibilmente quando notò che sul viso della ragazza non vi erano tracce di odio o rabbia, ma solamente un sorriso tirato.
“Capisco. Quindi sei arrabbiata anche tu, immagino.”
“No.” – disse lei, squotendo la testa, come se avesse detto un’eresia.
“Perché?”
“Perché ho la sensazione che tu possa aiutarla.” – e con questa frase enigmatica, Daphne lo lasciò da solo, a cercare di capire la mente contorta di una delle figlie Granger.
“Chi vi capisce è bravo…” – borbottò Draco, per poi riprendere il suo lavoro.




Ancora cinque minuti e poi avrebbe potuto fare una bella doccia e gustarsi una cena prelibata.
Ora che ci pensava, Draco realizzò che tutte le cene nei grandi ristoranti di Londra non erano poi così succulente come invece lo erano gli arrosti della signora Granger. Sapeva cucinare la carne con maestria, lasciando un velo di croccantezza fuori e una polpa morbida dentro, innaffiandola la maggior parte delle volte con dell’ottimo vino rosso. Quello era stato eletto a suo piatto preferito e aveva iniziato a vedere le porzioni che gli venivano servite al ristorante come piatti da morti di fame, come aveva detto Hermione quando erano stati in America.

Quel ricordo lo fece sorridere.

“Scusi… ma lei con un piatto del genere riesce a levarsela la fame?”

Aveva davvero pensato che fosse una ragazza rozza, solo perché non abituata alla raffinatezza di certe cucine. Adesso era lui che stava facendo la figura del rozzo, perché se pensava ai piatti della signora Granger e li metteva a confronto con quelli dei ristoranti ai quali era abituato, la donna li batteva su tutta la linea, sia per bontà che per consistenza.
Se Hermione fosse stata lì, non si sarebbe fatta problemi a dirgli “te l’avevo detto” e che gli agriturismi erano davvero i posti migliori dove andare per mangiare.

Ma… a proposito di Hermione.
Chissà dov’è finita, pensò Draco.

Il biondo tornò a casa con Daphne e Neville, lievemente in pensiero per la ragazza. Non voleva esporre i propri pensieri alla coppia, per non apparire invadente. Se Hermione avesse voluto parlargli, lo avrebbe fatto. La lingua di certo non le mancava.
Entrò in casa e salutò Minerva, mentre la sua mente iniziava a registrare il profumo di arrosto che la donna aveva magistralmente preparato.

“A farvi la doccia, signori!” – ordinò la donna con un imperativo materno.
Tutti obbedirono più che volentieri e andarono a fare la doccia.
“Facciamo la doccia insieme?” – sentì Neville dirlo a Daphne.
Vide la ragazza arrossire, ma nel contempo lasciarsi passare in vita il braccio del marito e farsi condurre ai piani alti con decisione, ma dolcezza allo stesso tempo.
Altro bebè in arrivo?…

Si ritrovò a pensare a quante volte lui avesse preso Pansy in quel modo. E la risposta arrivò tranquillamente, identificandosi in un chiaro e secco MAI.
Con lei non aveva mai avuto un momento di dolcezza, un attimo di pura estasi, un momento in cui si fosse preso la briga di guardarla negli occhi e pensare “ma cosa ho fatto per meritarti?”

Ogni coppia di quella casa trasudava un’intimità e un amore incredibile, forte, costruito su basi solide. Il modo in cui si scambiavano le opinioni, in cui semplicemente si passavano il sale oppure ridevano. Tutti questi gesti erano così semplici, ma allo stesso tempo perfetti, da procurargli dentro una strana sensazione, qualcosa che si stava muovendo, ma che ancora non sapeva definire. Tutto quell’amore fece sì che il sangue iniziasse a pompare più velocemente nelle vene e che il cuore iniziasse a battere sempre più forte. Stava per alzarsi e uscire, ignorando gli sguardi perplessi di presenti ma si trattenne per l’arrivo di Hermione.

Era stranamente sollevato nel rivederla, nonostante il suo viso avesse un che di tetro. Salutò a malapena e si diresse in salotto sul cuscino giallo adagiato in terra. Nessuno badò molto a quel comportamento, come se fosse stato una cosa decisamente normale.
Pian piano la sala da pranzo si svuotò in quanto tutti erano andati a fare la doccia, chi in coppia e chi da solo…
Draco rimase da solo, in compagnia di Minerva che assaggiava il sugo dell’arrosto che lentamente si cuoceva.
“Coraggio, vai a parlarle. Sono sicura che un po’ di chiacchiera non le farà male.”
Draco si girò di scatto verso la donna e annuì. La sua ipotesi che quella famiglia fosse un ritrovo di maghi onniveggenti stava lentamente diventando concreta.
Si diresse in salotto, trovandola in posizione fetale su cuscino che, in quel momento, gli apparve enorme per uno scricciolo come lei.
“Hermione?” – la chiamò lui piano, per non spaventarla.
“Mhm…” – mugulò lei, facendogli capire che accettava la sua presenza.
“Qualcosa non va?”
Hermione alzò le spalle.
“Stai male?” – erano tutte domande stupide, ma almeno erano un tentativo di conversazione per cercare di distrarre la ragazza.
“No…”
“Vuoi che me ne vada?” – chiese lui.
“Fa come ti pare…” – disse lei.
Draco allora se ne andò. Evidentemente l’appuntamento di quel giorno con il padre doveva essere stato molto particolare se aveva ridotto Carro Armato in quello stato.
La ragazza, dal canto suo, non voleva essere maleducata. Draco la voleva solo aiutare, anche se nessuno poteva, e lei lo aveva trattato come una pezza da piedi. Vide che si allontanò da lei grazie al riflesso sul vetro della cristalliera davanti a lei…
… e si sentì un verme con le gambe.
Gli chiederò scusa più tardi, pensò la ragazza.
Com’era stanca…




La cena fu relativamente allegra, se si tralasciava il buco nero che corrispondeva al nome di Hermione. Per tutta la cena, la ragazza non aveva aperto bocca.
Draco era a dir poco sorpreso dall’atteggiamento di tutti e, da perfetto estraneo, lo giudicò irrispettoso nei confronti della ragazza. Era evidente che avesse qualcosa e ignorare il problema non avrebbe di certo aiutato a risolverlo.
Tuttavia, preferì rimanersene zitto e tranquillo al suo posto. Non voleva fare la figura dell’impiccione e tirarsi addosso le inimicizie di tutti.
Notò che Hermione non aveva toccato cibo e, quando tutti ebbero quasi finito, si congedò.
“Vado a letto. Buona notte…”
“Ciao Hermione, buona notte.” – disse il padre, comprensivo.
Tutti la salutarono e il posto di Hermione rimase vuoto e i commensali ripresero la cena da dove l’avevano interrotta, come se l’assenza di Hermione non fosse stata minimamente calcolata.




Dalla sua camera, quella mansardata, Hermione sentiva debolmente le voci dei suoi parenti al piano terra. La sua Lilly era accucciata nel suo cuscino ai piedi del letto, dove un vecchio maglione di Hermione veniva usato come coperta per la cagnolina. La ragazza aveva trovato a malapena il fiato di farsi una doccia e poi si era coricata a letto, nella speranza che il sonno arrivasse subito.
Odiava quando suo padre le faceva fare quelle cose. A che servivano? A niente! Se non a farla stare ancora più male di quanto non stesse già. La stanchezza accumulata si fece sentire e pian piano si addormentò.


Si svegliò di soprassalto, come se durante il sonno avesse ricordato di dover fare una cosa importante prima di andare a letto ma che, ovviamente, non aveva fatto.
Impiegò qualche minuto per capire che si trovava nella sua camera. Guardò la sveglia sul suo comodino e vide che erano le dieci e quarantacinque. E pensare che credeva di aver dormito per due giorni di fila!
Cercò nella mente quello che doveva fare prima di coricarsi, ma non riuscì a ricordare. Si infilò sotto il piumone e fu solo allora, quando ebbe trovato la posizione adatta, che ricordò. Doveva chiedere scusa a Draco.
Sbuffando, scese dal letto e andò alla finestra. Sicuramente stava dormendo e…
C’è la luce accesa, constatò. Vabbè, non devo mica fare i monologhi. Vado lì, gli chiedo scusa poi me ne torno a letto.
Decisasi, indossò le ciabatte e scese al piano inferiore, facendo attenzione a non fare troppo rumore. Arrivò alla scarpiera e indossò un paio di scarpe e si diresse verso la depandance.


Draco non riusciva a dormire.
Aver visto l’indifferenza con la quale la famiglia di Hermione aveva trattato la ragazza lo aveva quasi fatto ricredere sul concetto di amore che si era fatto nell’osservarli.
Era semi-sdraiato sul divano e più cercava di imporsi di non pensare a tutta quella situazione, più ci cascava dentro come un pero.
Un leggero bussare lo distrasse dai suoi pensieri, meravigliandolo.
Ma chi è?
Andò alla porta e sgranò gli occhi quando si vide davanti l’oggetto dei suoi pensieri.
“C-ciao…” – balbettò lei. – “Posso… posso entrare un attimo?” – chiese, mentre si abbracciava per scaldarsi.
Draco si spostò immediatamente e Hermione potè entrare a scaldarsi.
“Scusami per l’ora.”
“No, niente. E’ successo qualcosa?”
“No, no, io… ero venuta per… chiederti scusa.”
“Per cosa?” – chiese il biondo sempre più stupito.
“Per stasera… non sono stata molto carina…” – per tutta la conversazione, Hermione non lo aveva mai guardato in faccia.
“Traquilla.” – rispose lui per non farle pesare quel suo comportamento. – “Io già non ci pensavo più.” – la tranquillizzò.
Hermione sorrise.
“Grazie. Allora io vado. Notte.” – stava per andarsene, ma lui la fermò per un polso. Era stato istintivo.
Pian piano, Draco, la fece voltare verso di sé. Aveva ancora lo sguardo basso.
“Cosa c’è?” – chiese con un fil di voce.
“Io…” – resosi conto di quello che aveva fatto, le lasciò il polso. – “Niente, scusa.”
Hermione annuì e corse fuori dalla depandance.

Fu faticoso per entrambi essere raggiunti dal sonno.
Sapevano che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che spingeva dalla bocca dello stomaco per uscire ma cercavano in tutti i modi di trattenerla all’interno.
Farla uscire sarebbe stato un terremoto di proporzioni epiche.









“Non riesco ancora a credere che Draco si sia fatto fregare come un principiante.”

La notizia della mala gestione di Draco era arrivata, naturalmente, oltreoceano.
John Cook aveva installato in una saletta a suo uso personale una tv per seguire ciò che accadeva nel mondo. Accanto a lui vi era la sua schiera di avvocati, legali e i galoppini più fidati per capire come muoversi adesso che Draco non era più a capo della ditta.

“Signor Cook, propongo di recidere il contratto in breve tempo. Non sappiamo come sarà la prossima gestione.”
John osservò lo schermo, pensieroso.
La Malfoy Home aveva sempre fornito loro materiale di prima qualità in tempi impeccabili. Com’era stato possibile quel crollo così improvviso?
“Ho preso informazioni sul nuovo direttore, signor Cook.”
John si riscosse dai propri pensieri e guardò Sturgis, uno dei suoi tanti legali. Gli porse un fascicoletto ben fornito, ma se inizialmente pensava fossero tutte informazioni positive, quando lesse le prime righe, si ricredette subito.
“E questo idiota avrebbe rilevato la società di Draco?!” – chiese John, allibito.
In quel momento entrò Laney.

Fin dal primo momento che era venuta a sapere di ciò che stava succedendo alla Malfoy Home, si era attivata per capire che stesse succedendo. Fosse stato un fornitore qualsiasi non avrebbe scatenato un polverone per avere le informazioni che le occorrevano, anzi… fosse stato uno qualsiasi avrebbe voltato pagina fin da subito e cercato un altro.
Ma in quell’azienda ci lavorava Hermione e Hermione era la ragazza più precisa e scrupolosa che avesse mai conosciuto e se lei stessa aveva detto di non aver commesso errori nella digitazione dei numeri delle provvigioni, allora l’unica spiegazione possibile era che qualcun altro lo avesse fatto al posto suo.
Lavorava incessantemente da Dicembre su quel grattacapo finché non aveva trovato in Internet alcune foto di Pansy Parkinson, abbracciata a un uomo che non era Draco Malfoy.
Ma Theodore Nott.
La mora aveva lasciato un’intervista dove si diceva assolutamente sgomenta da ciò che era successo e che aveva lasciato Draco perché non voleva che il buon nome della sua famiglia fosse trascinato nel fango a causa delle sue azioni sconsiderate. Il matrimonio era stato disdetto praticamente il giorno dopo dalla famiglia della ragazza mentre il giorno dopo ancora lei mostrava di aver superato il “dolore” della perdita di Draco – da come ne parlava prima della rottura, sembrava che senza di lui non avrebbe potuto più vivere una vita che si chiamasse tale – mostrandosi al fianco di colui che aveva rilevato l’azienda di Malfoy con un sorriso radioso e con una collana di brillanti che avrebbe oscurato il sole.

Forse Laney guardava troppi telefilm polizieschi, ma aveva il sentore che quel Nott c’entrasse qualcosa e perché no?, anche quella sgualdrina di Pansy Parkinson.
La Malfoy Home esisteva sul mercato da decenni e Draco aveva mostrato di saper condurre l’azienda in modo impeccabile.
Basta pensare che il primo cliente che Draco aveva portato a casa sotto lo sguardo allibito di tutti, di suo padre in primis, era stata proprio la Livin Home.
Era impossibile che il mordente e le capacità di Draco fossero venuti meno nel giro di una notte! No… lì c’era qualcosa che non andava.

John leggeva incredulo il fascicolo – più che fascicolo poteva essere definito “fedina penale sporca” – di quel Nott che, da quanto c’era scritto, non sapeva fare neanche due più due.
E aveva avuto il coraggio di rilevare la Malfoy Home?
“Laney!”
“Credo ti possa interessare questo.” – disse la ragazza, porgendogli un secondo fascicoletto.
Quando aprì quel secondo, John alzò lo sguardo su Laney.
“Vedo che la ex futura signora Malfoy si è consolata in fretta.” – commentò John. – “Signori, trovatemi un modo in fretta per scindere il contratto con la Malfoy Home. Subito!”
Come api impazzite, i presenti uscirono dalla saletta, confabulando tra loro su come fare senza incorrere in sanzioni o penali astronomiche.
Rimasero solo John e Laney.
“Tu che ne pensi?” – chiese l’uomo.
“Qualcuno ha voluto far fuori Malfoy, mi sembra chiaro.” – fu il commento di Laney.
“Lo penso anch’io. Draco non è un cretino qualsiasi.”
“Beh, forse un po’ cretino lo è stato a non accorgersi di quello che accadeva sotto il suo naso.”
“E cioè?”
“Le foto parlano chiaro.” – iniziò Laney, indicando a John il fascicoletto con un’occhiata. – “La società va a picco nel giro di un mese e mezzo, la fidanzata lo lascia e il suo migliore amico se la prende? Scusa, ma non ho mai creduto alle coincidenze.”
John arricciò le labbra, pensieroso.
“Mi chiedo come abbia fatto questo… questo… questo idiota a rilevare la Malfoy Home!” – esclamò John. – “Non sa nemmeno fare uno più uno!”
“A riprova che c’è qualcosa sotto questo improvviso fallimento.”
“Dici che c’entra lui?”
“Io direi loro.” – disse, includendo anche Pansy. – “John… per dimostrare di essere in grado di condurre quell’azienda, Draco è riuscito a portare a casa te come cliente. Questo la dice lunga sulle capacità di persuasione di quell’uomo e per anni abbiamo mantenuto con loro ottimi rapporti di lavoro. E mi rifiuto di credere che una persona simile, nel giro di una notte, abbia dimenticato le regole basilari per gestire un’impresa! Senza contare che se Hermione ha detto di non aver commesso errori, allora sta pur sicuro che di errori, lei, non ne ha fatti.”
“E cosa dovrei fare?”
“Niente. O meglio… liberati della Malfoy Home, perché se quel Nott non sa fare niente, ti trascinerà a picco con lui.”
“Ho detto ai miei legali di tirarmene fuori, ma la vedo dura.”
“Perché? Tu avevi un contratto con la Malfoy Home, non con quel pagliaccio di Nott.”
John sorrise.
“Magari fosse così semplice Laney. Di mezzo c’è un contratto. Poco importa chi sia il titolare, se Draco o quell’incompetente che c’è adesso al suo posto.”
“Se riuscissi a parlare con Hermione…” – disse Laney, frustrata. – “… forse riuscirei a farmi dire qualcosa in più.”
“Ancora niente?”
“Macchè! La maggior parte delle volte è staccato.”
“Senti, adesso come adesso non possiamo fare un granchè. Tu cerca di chiamare Hermione e fatti dire che sta succedendo. Io intanto devo sbrigare alcune faccende.”
“D’accordo.”

John rimase solo mentre una grande agitazione si spandeva in lui.
Laney aveva ragione: le capacità manageriali di una persona non sparivano dalla sera alla mattina! Qualcuno doveva aver remato contro Draco per permettergli di svendere in quel modo la società e chi altri se non colui che l’aveva rilevata?
Addocchiò le foto di lui che lo ritraevano con la Parkinson.
E forse anche lei.









“Possiamo parlare?”
“Cosa? Sì, certo entra. Finisco questo e arrivo.”
“No. Adesso.”
Daphne guardò sua sorella Astoria sorpresa. Posò la penna sul tavolo e si girò verso di lei.
“Che succede?”
Astoria non era mai stata brava con le parole, anzi: il più delle volte faceva solo figuracce e non aveva il dono della diplomazia. Se doveva chiedere qualcosa, quindi, la chiedeva, senza prendere inutili giri che avevano solo il potere di far perdere tempo.
“Sei arrabbiata?”
Daphne sollevò un sopracciglio.
“Scusa?”
“Sei arrabbiata?” – ripeté Ria.
“Perché dovrei essere… che hai fatto stavolta?” – chiese Daphne, con mezzo sorrisetto divertito.
Sorrisetto che si spense immediatamente quando vide sua sorella mantenere lo sguardo serio.
“Per cosa dovrei essere arrabbiata, esattamente?” – chiese Daphne, decidendo di stare al gioco.
“Perché sono incinta.”
Daphne sbarrò gli occhi, incredula.
Per non parlare del fatto che iniziò veramente a preoccuparsi quando vide gli occhi di Ria riempirsi di lacrime.
Daphne si passò una mano sugli occhi, stanca, e quando sentì un singhiozzo lasciare la gola della sorella rialzò lo sguardo.
“Vieni qui.” – disse alzandosi e aprendo le braccia.
Astoria ci si incastrò dentro alla perfezione.
“Mi dispiace…” – singhiozzò lei.
Daphne la strinse maggiormente a sé.
“Non dirlo mai più.” – scandì, dura.
Se la staccò di dosso e le prese il volto tra le mani, per essere sicura che niente di ciò che stava per dire andasse perso.
“Ciò che è successo è solo colpa mia.” – chiarì. – “Tu non devi dispiacerti di niente, sono stata chiara?”
“Tu però…”
“Io niente, Ria. Io sono molto felice per te, davvero.”
“Non mi hai mai abbracciata…” – disse.
Era passato qualche giorno da quando Astoria aveva confessato di essere incinta e sua sorella Daphne non l’aveva mai abbracciata. Si era, certo, congratulata con lei, ma mai nessun abbraccio.
“Ria, lo sai perché. Il mio cuore è felice, gioisce per te ma la mia mente… quella va per conto suo. Di qualsiasi cosa tu dovessi aver bisogno, puoi chiamarmi tranquillamente, lo sai.”
“Mi dispiace…” – singhiozzò lei.
“Non ti preoccupare.”
Evidentemente doveva andare così.
Ma quello fu un pensiero che Daphne tenne per sé.









Calli corner:

Purtroppo sono di frettissima e non posso trattenermi più di tanto, se non per chiedervi se il capitolo vi sia piaciuto.
Draco sta iniziando a chinare la testa e chiedere aiuto; speriamo possa continuare così.

Beh, che dire?
Mi dispiace andare così di corsissima, ma ho un appuntamento con il dentista e non vedo l’ora di andare… -.-

Naturalmente, vi lascio il solito spoiler!

“Ma guardati!” – esclamò. – “Non ti si può dire niente che subito scatti come una molla! Costringi la tua famiglia a camminare in punta dei piedi per non disturbarti e quando qualcuno dice qualcosa che non ti va, lo zittisci come se fosse una merda! Io sarò insistente, ma tu sei una gran bella ipocrita!”
La mano si mosse da sola e andò a cozzare contro la sua guancia.

‘Azz… che è successo?

Un bacio e alla settimana prossima!

P.S.: accetto qualsiasi preghiera per i miei dentini…

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Capitolo 13
*** San Valentino, la festa di ogni cretino... ***


13 - San Valentino, la festa di ogni cretino Ciao a tutti e ben ritrovati a Malfoy Home!

Non so voi, ma è tutta la settimana che non ho voglia di fare niente. Vorrei solo infilarmi sotto le coperte, staccare il campanello e dormire fino al Giorno del Giudizio.
Bah… chi mi capisce è bravo…

Ma nonostante la mia stanchezza, trovo sempre la forza di postare il nuovo capitolo. E poi ditemi che per voi non mi sacrifico! ç_ç

Allora, qui troveremo il contesto dello spoiler precedente.
Chissà che sarà successo.

Naturalmente, smetto di scrivere queste cavolate, perché tanto ci rivedremo di sotto e vi lascio alla lettura.

callistas.









Draco era in ufficio.
Parte del suo cervello cercava di concentrarsi sui moduli da compilare per il trasporto di generi alimentari – un camion doveva partire di lì a poco, quindi quale migliore prova sul campo per vedere se aveva imparato? – l’altra parte pensava a Hermione e al fatto che quel mattino non fosse partita insieme a loro.
Aveva tentato di fare qualche domanda ma non aveva mai ricevuto una vera risposta.
Mollò la penna sul tavolo e incrociò le braccia. Era davvero perplesso per il comportamento della famiglia di Hermione.
Scosse la testa e si rimise al lavoro. Il camion doveva partire e non poteva di certo aspettare lui.
Stranamente, sorrise.
Un tempo nessuno si sarebbe azzardato a muovere un solo muscolo senza la sua autorizzazione, adesso invece erano i camionisti a tenere Draco Malfoy per le palle…




“Sto andando, ciao…”
“Hermione?”
“Sì?”
“Puoi stare a casa oggi, se vuoi.”
Madre e figlia si guardarono negli occhi.
“Ci vediamo dopo.” – disse Hermione.

Minerva Granger osservò la macchina di Hermione percorrere la stradina per uscire da casa.
Rientrò con il capo chino e con un forte peso sulle spalle e sul cuore e iniziò a preparare il pranzo. Voleva fare l’arrosto alle cipolle che a Neville piaceva tanto.
Prese sei cipolle belle grandi e iniziò a sbucciarle. Peccato che avessero il brutto difetto di farla piangere ogni volta.
Minerva invece pensava che fossero davvero utili, così poteva piangere senza far preoccupare nessuno.









A Londra, invece, Pansy Parkinson entrava alla Nott Home con un sorriso a trentadue denti sulle labbra.
Arrivò verso le nove e trenta con in mano tre sacchetti di carta recanti lo stemma di Coco Chanel.
“Attenta che non si rovinino o me li ripaghi.” – disse Pansy, scorbutica, mettendo sulla tastiera del computer le borse con i vestiti.
Amanda, una delle tante ragazze dell’amministrazione che, a turno, scendevano al centralino per coprire quella postazione, si morse la lingua per non mandare Pansy a quel paese. Le borse, malamente sbattute sulla tastiera, avevano schiacciato dei tasti che stavano rischiando di rovinare il suo lavoro.
“Sì, va bene.” – disse, sbrigativa.

Lei, come molti altri, aveva notato quanto Pansy avesse alzato la cresta da quando Draco Malfoy non era più il titolare dell’azienda. Arrivava all’ora che voleva, se ne stava lì mezz’ora e poi se ne andava. Intanto, le E-mail sul suo computer si accumulavano, tra le quali quelle relative alla Sicurezza sul Lavoro.


Nell’ufficio di Draco, invece, Theodore Nott sedeva sulla poltrona che aveva da sempre voluto occupare con lo schienale reclinato e le braccia incrociate dietro la testa. Era sicuro di essere in possesso dei requisiti necessari per dirigere quella società, forse meglio di Draco. Gli insuccessi che aveva avuto in passato non erano degni di essere presi in considerazione: aveva semplicemente sbagliato a indirizzare la propria attenzione ma ora che aveva sotto il sedere un’impresa ben avviata come quella, non avrebbe avuto da fare nient’altro che supervisionarla e apportare quei pochi cambiamenti che riteneva necessari.
Ma se c’era un motivo che aveva portato Nott ad accumulare un fallimento dietro l’altro, era la sua scarsa attenzione ai dettagli, alle piccole cose.


Prima di fare un acquisto importante come poteva essere un software gestionale o rifare l’arredamento, Draco si faceva sempre mandare vari preventivi, mai uno solo, in modo da poter avere sott’occhio i vari prezzi, la qualità del materiale e la provenienza. Non lasciava mai niente al caso e riusciva sempre a farsi fare un ulteriore sconto sull’acquisto.


Ancor prima della sua primissima spesa come titolare dell’azienda, Theo decise che uno dei famosi “pochi” cambiamenti che intendeva apportare, fu il cambio del nome dell’azienda.

La Malfoy Home era diventata la Nott Home.

E la prima spesa, la prima uscita che fece da titolare, fu il cambio del programma di gestione della contabilità.
Aveva personalmente telefonato all’azienda produttrice e l’aveva comprato a scatola chiusa, senza nemmeno informarsi sul prezzo, se poteva dilazionare il pagamento o sapere se era possibile avere un ulteriore sconto sul prezzo di listino.
Ma il problema di quel software era che era stato testato su piccole aziende. Sostenere il lavoro della Nott Home sarebbe stato veramente impossibile.
Per non parlare del fatto che fosse difficile da usare e che gli impiegati, ormai abituati al vecchio programma di cui conoscevano vita, morte e miracoli, avrebbero impiegato una vita per poterlo imparare.
La società fornitrice avrebbe messo a disposizione – a pagamento – dei tecnici per insegnare ad alcuni impiegati l’uso del programma e che a loro volta avrebbero dovuto insegnarlo agli altri.
Draco, invece, quando la compravendita era stata messa a punto, aveva preteso dei professionisti che insegnassero ai dipendenti come funzionasse il programma in orari non lavorativi, come una sorta di corso aziendale.

Era appena la metà di Gennaio e tra Theo e Pansy, mezzi introiti della Malfoy Home erano spariti tra spese inutili e vestiti griffati.
Di quel passo dell’azienda di Draco sarebbe rimasto solo il ricordo.









Il tempo passava e Febbraio aveva fatto la sua apparizione.
Era lunedì 10 e nell’aria si respirava odore di San Valentino, anche se mancava ancora qualche giorno. Per la festa degli innamorati, il paese aveva organizzato una festa a tema, chiamando per l’occasione quelle giostre che prevedevano un romantico tet-a-tet: ruota panoramica, tunnel dell’amore, un percorso studiato apposta per delle passeggiate al chiaro di luna…

La famiglia Granger era particolarmente elettrizzata.
Tranne Hermione.

La ragazza stava sviluppando una sorta di diabete da San Valentino per quella festa che non era ancora iniziata ma che aleggiava sulle loro teste come una nuvoletta della sfiga.


Costernato dal modo che aveva Scott di dirigere l’azienda, Draco notò che in quei giorni la ditta aveva subito un vero e proprio esodo di massa.
Gli uffici erano pressoché deserti e tutto perché il paese, essendo di provincia con tradizioni ancora vive e mantenute negli anni, chiamava a raccolta i suoi abitanti affinché partecipassero attivamente alla buona riuscita della festa che aveva il potere di attirare parecchi turisti.
Scott era uno di quelli che partecipava attivamente come aiuto cuoco nel tendone adibito a cucina.
In azienda rimanevano solo i trasportatori che, purtroppo, non potevano godersi degnamente la festa ed erano costretti ad andare in giro anche sotto le feste.

Solo che quell’anno qualcosa cambiò.
Con ancora in mente le parole di Daphne sul fatto che lei si stesse innamorando di Draco, la mente malata di Hermione partorì una malsana idea.
Le consegne da fare sotto San Valentino erano quattro e se si fosse impegnata avrebbe potuto farle lei stessa, permettendo agli uomini di festeggiare il santo con la propria moglie o la propria fidanzata. Per questo aveva letteralmente dato fuoco alle polveri, sollecitando gli arrivi delle merci.
Draco la guardava dare ordini al telefono e una leggera soggezione si impadronì di lui. Quella ragazza aveva lo strano potere di far fare agli altri ciò che più le aggradava.

“… bene, allora ti aspetto il tredici per le otto. Grazie davvero! E anche questa è andata.” – si disse, soddisfatta di se stessa.
Draco entrò nel suo ufficio in quel momento. Gli sembrava quasi scortese entrare senza bussare – se qualcuno lo avesse fatto a lui alla Malfoy Home lo avrebbe licenziato in tronco – ma quella sembrava, più che una legge scritta, un comportamento più che normale tra persone che condividevano lo stesso scopo.
“Hermione?”
“Sì?”
“Ti ho portato i moduli che mi avevi chiesto.”
“Oh perfetto!” – esclamò, strappandoglieli letteralmente dalle mani.
Li pinzò uno per uno alle bolle di consegna precedentemente fatte.
“Perché li fai adesso i documenti di trasporto?” – chiese.
Lui invece aveva sempre voluto che venissero fatti al momento del carico.
“Perché si perde meno tempo Draco.” – spiegò lei, come se non vedesse l’ora di dirgli quella cosa.
Alla Malfoy Home aveva dovuto starsene zitta perché se quella era la decisione del capo lei non l’avrebbe mai contestata, ma la trovava veramente pesante e una perdita di tempo.
“I documenti li ho fatti adesso ma non ho messo né la data né l’ora. Quelle gliele scriverò, quando la merce partirà e poi ho questo registro, dove vengono segnati i dati di partenza di un carico.”
Draco guardò il tutto con interesse. Doveva ammettere che come idea funzionava.
“Così quando venerdì partirò per fare le consegne avrò tutto già pronto.” – chiarì con un bel sorriso.
“Come parti per le consegne!??” – chiese, allibito.
“Sì. Ho deciso di dare la possibilità anche agli altri di partecipare alla festa di San Valentino.”
Draco la guardò sempre più sbalestrato: per l’idea e perché Hermione che guidava un camion, per quanto gli avesse dimostrato che lei sapeva fare tutto, non ce la vedeva proprio.
“Sì ma… tu?”
Stavolta fu lei a guardarlo allibito.
“Io che? Io non ci vado alla festa!” – disse, quasi offesa che avesse solo potuto pensarlo.
“Perché no?”
L’uomo non ci capiva più nulla. Ogni ragazza normale e sana di mente amava San Valentino! Tutte tranne… un sorriso divertito gli stirò le labbra.
“Non è che odi San Valentino perché non hai nessuno con cui festeggiarlo?”
Hermione smise di scrivere e alzò lo sguardo su quello di Draco. Ghignò anche lei.
“E chi ti dice che non abbia nessuno?”
“Non ti ho mai vista insieme a qualcuno.”
“Dai per scontato che lei si di qui.”
Tutta la sicurezza di Draco finì nel cesso con tanto di sciacquone a seguito.
“L-lei?”
Lei? Una donna? Un’essere umano femminile? Lei?!?
“Hai qualcosa contro le lesbiche, per caso?”
“No!” – squittì.
“Perché credi che voglia fare le consegne io, quest’anno?” – chiese, mordicchiandosi le labbra in un gesto volutamente sensuale che gli fece correre un brivido lungo la schiena.
“Se-sembravi etero…” – disse lui, accaldato.
Hermione accavallò elegantemente le gambe in un gesto che Draco non le aveva mai visto fare. Non con quella carica erotica, almeno…
“Ti dispiace sapermi lesbica, Draco?” – chiese Hermione, facendo oscillare il piede.
Draco non sapeva più cosa dire. Entrambe le risposte sarebbero state compromettenti.
“I-io…”
Hermione si alzò e gli andò davanti, sorridendo.
“Draco?”
“E-eh?” – chiese lui, attonito.
Hermione Granger nelle vesti di seduttrice.
Ora poteva dire di averle viste tutte!
“Stavo scherzando.” – disse lei, lasciandolo in piedi con gli occhi sbarrati e fissi nel vuoto.
Draco registrò quelle parole con estenuante lentezza.
Stava scherzando, aveva detto.
Quando comprese a cosa si stava riferendo, si girò di scatto per dirgliene un treno e la ritrovò nei panni della solita Hermione, quella un po’ imbranata e pasticciona, quella che sapeva cosa fare, quella che rimetteva gli altri al loro posto con una semplice occhiata.
Hermione, insomma!

Ma Draco sapeva che quel piccolo teatrino che la donna aveva inscenato solo per prenderlo in giro, aveva spostato leggermente l’ago della bilancia.

“Non sei stata divertente!” – esclamò, stizzito per esserci cascato come un idiota.
Hermione si girò e gli sorrise.
“Ma tu sì, però.” – disse. – “Senti, se vuoi puoi andare a fare un giro in paese per vedere come butta.”
“Ho del lavoro da fare.”
Si bloccò quando Hermione si girò e gli sorrise. Non era però un sorriso divertito o da presa in giro. Era un semplice sorriso.
Ma proprio per la sua semplicità, bellissimo.
“Non ti preoccupare, vai. Tanto qui ho finito.”
“Io no però. Ho solo qualche carta da firmare e poi torno a casa.”
“Ok. Se vuoi allora torniamo a casa insieme.” – propose lei.
“Ok.”
Draco uscì per tornare nel proprio ufficio.

In realtà non aveva niente da sbrigare. Aveva già finito quando aveva consegnato i moduli a Hermione.
Dirle che aveva dell’altro da fare era stato istintivo. Hermione aveva una personalità unica nel suo genere e sempre pronta a fare scherzi – e lui era il suo bersaglio preferito perché ci cascava sempre.
Dal giorno in cui erano arrivati a casa dei suoi, Draco aveva imparato a conoscere un po’ meglio la ragazza, a provare sempre più stima per lei e sì, anche del sano affetto.
Per la prima volta in vita sua, Draco voleva bene a una persona e non perché questa poteva portargli un vantaggio economico o perché poteva fargli un favore: voleva bene a Hermione perché era lei.


I due si trovarono all’ingresso.
Hermione aveva chiuso a chiave la porta e inserito l’allarme. Quei giorni pre-festivi erano anche una benedizione da un certo punto di vista, perche le consegne slittavano automaticamente alla settimana successiva e lei poteva rallentare un po’ il ritmo.

La radio dava un vecchio successo dei Pink Floyd che entrambi canticchiavano sulle labbra.
“Allora? Me lo dici perché?”
“Perché cosa?” – chiese Hermione, attenta alla strada.
“Perché non vai alla festa.”
“Te l’ho detto. I nostri trasportatori sono costretti a viaggiare anche sotto le feste. Per una volta che se le godano pure loro.”
“E, parlando sul serio…” – chiarì. – “… davvero non hai nessuno con cui festeggiarlo?”
“E chi dovrei avere?” – chiese, perplessa.
“Un ragazzo, un amico particolarmente affezionato… che ne so?”
“Ringraziando Dio, nessuno.” – disse Hermione.
Draco la guardò, perplesso.
Hermione si fermò a un semaforo rosso e guardò Draco.
“Non guardarmi così!” – esclamò. – “Non tutti siamo nati per stare con qualcuno!”
“Una storia andata male?” – chiese Draco, che aveva visto in quella risposta una sorta di autodifesa per, appunto, una storia finita male.
“No. Sto bene da sola.”
“Nessuno ama stare solo.” – disse Draco con voce lontana.
“Forse.” – concesse lei, mentre ingranò la marcia per ripartire. – “Ma almeno sei sicuro che nessuno può farti del male.”
Draco percepì un chiaro riferimento a Pansy.
“I rischi del mestiere, suppongo.” – disse Draco.
“Gran bel rischio.” – disse, fintamente d’accordo. – “Tu ora stai così, mentre quell’altra se la gode.”
“Era quella sbagliata.” – constatò Draco. – “Non è detto che non trovi quella giusta, magari.” – disse, guardandola.
Hermione ricambiò distrattamente lo sguardo.
“Auguri a lei, allora.” – ridacchiò Hermione.
Draco alzò gli occhi al cielo, ma si concesse un sorrisetto divertito pure lui.


I due scesero dalla macchina e la prima “cosa” che andò loro incontro fu la piccola Lilly.
Hermione la prese in braccio al volo quando la vide fare un salto a “volo d’angelo” verso di lei. Le stropicciò le orecchie e si fece dare tante leccate sulla faccia.
Se la caricò sottobraccio come un sacco di patate, cosa che il cane sembrava gradire.
Draco guardò perplesso quello strano attaccamento che Hermione aveva a quel cane ma lasciò correre.
“Bentornati.” – li salutò Minerva con il suo solito sorriso.
“Gli altri sono alla sagra?” – chiese Hermione.
“Sì. Stanno finendo di allestire gli ultimi tendoni. Avete fame ragazzi?”
“Abbastanza.” – rispose Draco.
“Dai, manca ancora mezz’ora alla cena. Fate in tempo a farvi una doccia.”
Hermione e Draco non se lo fecero ripetere due volte: corsero nei rispettivi bagni per lavarsi.

Draco si spogliò in fretta.
Aveva visto la padella della pasta e non vedeva l’ora di sapere con cosa Minerva l’avesse condita.


Hermione, invece, era ferma davanti allo specchio, come ogni volta che si spogliava per lavarsi.
Eccolo lì, il suo marchio nero.
Eccola lì, la sua condanna.
Non passava giorno che non ne avvertisse addosso l’amara presenza.
Non osava nemmeno toccarla.

Girò il capo per non guardare oltre ed entrò in doccia.
Lei, a differenza di Draco, non si sentì meglio.




A tavola, Hermione si sforzò di fare della conversazione.
Draco e Minerva, invece, chiacchieravano che era un piacere. L’uomo elogiava le sue doti culinarie, incredulo che non avesse deciso di aprire una trattoria: avrebbe avuto da lavorare ad oltranza!

“Sei fin troppo gentile con questa vecchia signora, Draco.” – le disse Minerva, mentre toglieva i piatti.
“Vecchia? Dove?” – chiese il biondo, fingendo di guardarsi intorno.
Minerva rise, deliziata.
“Ah Draco!, se ti avessi incontrato prima!…” – scherzò Minerva, lasciando in sospeso la frase.
Hermione, che stava finendo il dolce, sbatté la coppetta sul tavolo e si alzò dalla sedia.
Le risa di Draco e Minerva vennero smorzate subito.
Draco rimase allibito di fronte a quel comportamento e Minerva tornò a sparecchiare senza dire più una parola.
“Scusala.” – disse Minerva, dandogli le spalle. – “E’ un periodo un po’ così…”
E Draco, che aveva intravisto in Minerva una possibile fonte per sapere cosa passasse per la mente di Hermione, cercò di farle qualche domanda. Niente di asfissiante, per evitare che la donna si chiudesse a riccio.
“Perché? Che periodo è?”
“E’ stressata per San Valentino.”
“Dovrebbe esserne felice…” – disse Draco, sperando che la donna mangiasse la foglia.
Minerva invece fece le spallucce mentre lavava i piatti.
“Non tutte le feste sono felici, Draco.”
Un enorme punto interrogativo gli si dipinse sulla testa. Che voleva dire?
Anche se la voglia di sapere era immensa, l’uomo non se la sentì di insistere. Minerva sembrava particolarmente abbattuta da quell’uscita di Hermione e lui non voleva rischiare di fare la domanda sbagliata.
“Beh, speriamo possa cambiare idea, allora.” – disse il biondo, troncando lì la conversazione.
Minerva, non vista, sorrise e sospirò di sollievo, riconoscente.
Draco guardò prima Minerva e poi la direzione presa da Hermione.
Senza pensarci su due volte, andò da Hermione.

La trovò sul dondolo, con una gamba piegata sotto il sedere e l’altra a terra, che l’aiutava a dondolarsi. Aveva lo sguardo chino verso terra e Draco capì che forse era pentita di quell’uscita.
Si sedette accanto a lei senza dire una parola. In braccio, Hermione teneva l’immancabile Lilly.

“Stavamo solo scherzando Hermione.” – disse Draco.
Aveva cercato nella sua mente mille modi per intavolare un discorso ma tutti le sembravano così stupidi e insignificanti, così aveva ripiegato sull’onestà.
Non era forse questo che Hermione gli aveva chiesto?
La riccia sospirò.
“Lo so…” – sussurrò lei.
La cagnolina guardò la sua padrona, si alzò sulle zampe posteriori e iniziò a leccarle la faccia.
Draco collegò subito quel gesto a quel giorno, quando era scoppiato a piangere e il cane gli aveva leccato la faccia.
Allora non ci aveva dato bado più di tanto, ma poi si era reso conto che l’animale gli aveva asciugato tutte le lacrime e che da quel giorno lui non ne aveva più versata una.

Iniziò a pensare che anche Lilly fosse veramente speciale…

“Allora perché sei stata così scorbutica?”
“Non capiresti.” – disse, tirandosi via il cane dalla faccia.
“Prova a spiegarmi.” – disse lui, pazientemente.
Hermione lo guardò.
Doveva ammettere che in quel primo mese di “lavoro forzato” si era comportato piuttosto bene, non si era mai lamentato una volta, accettava suggerimenti e consigli con la stessa facilità con cui li elargiva.
Ma poteva essere sufficiente tutto questo?
Gli aveva chiesto di far seguire alle sue parole i fatti. Era sufficiente o aveva bisogno di altre prove per perdonarlo per ciò che le aveva fatto?
“Io…”
Come poteva spiegargli quello che si portava dentro da infiniti anni? E lui? Sarebbe stato in grado di capire?
Sapeva però che se non provava, non lo avrebbe mai scoperto.

Draco non si era accorto di star trattenendo il fiato.
Non era tanto ansioso di sapere cosa turbava Hermione, piuttosto avvertiva una sorta di groppo in gola perché sentiva che lei stava per tornare ad avere fiducia in lui.

“… è una cosa che…”
“Siamo tornati!” – urlò la voce di Astoria, mentre un preoccupato Kevin, che stava disseminando ciocche di capelli per la preoccupazione per il bambino, le stava dietro.
Hermione si zittì immediatamente.
Cosa stava per fare? Era forse impazzita?
Si alzò di scatto dal dondolo e Draco si alzò con lei.
“Hermione…”
“Fa come se non ti avessi detto niente!” – strillò la ragazza, angosciata per ciò che stava per fare.
Hermione scappò in casa; Draco voleva seguirla ma aveva capito che l’atmosfera era stata interrotta.
“Ciao Draco!” – trillò Astoria, tutta felice.
Il biondo guardò per l’ultima volta la direzione presa da Hermione, scosse la testa e si girò. Sorrise, per quanto non ne avesse voglia.
“Ehi ciao. Com’è andata in paese?”
Marika si aprì in un’accurata descrizione di ciò che avevano fatto quel giorno ma Draco l’ascoltava distrattamente.

Hermione si rifugiò in camera sua, dove chiuse la porta a doppia mandata.
Il cane riuscì ad entrare a pelo, altrimenti Hermione l’avrebbe lasciata fuori, guaendo leggermente perché un pelo della coda gli era rimasto incastrato nella porta.
Saltò sul letto assieme al cane e chiuse gli occhi.
“Dio quanto sei cretina!” – sbottò Hermione, riferendosi a se stessa. – “Un imbecille! Una demente! Una stordita!”
Continuò per cinque minuti buoni, inventandosi degli aggettivi che nemmeno esistevano in natura o nella lingua corrente.
“E tu non potevi mordermi una mano?” – sbottò verso il cane che, beata, si stava srotolando sul fondo del letto.









La sagra iniziò mercoledì dodici Febbraio.
Il parroco del paese aveva indetto un piccolo rito celebrativo come ogni anno per benedire quella sagra e le persone che avevano collaborato per la sua riuscita.
Poi, finalmente, i chioschi aprirono.

Come previsto, anche quell’anno vi fu una bella affluenza di persone.
C’erano i soliti tendoni gastronomici, dei dolci, le giostre per i bambini e quelle per gli adulti.
Draco si guardava attorno, meravigliato. Non che non avesse mai visto una giostra dal vivo, ma lì si sentiva proprio il calore umano che aveva dato vita a quella festa.
Hermione era intervenuta unicamente per la celebrazione di Padre Peter e ora che aveva finito, poteva tornarsene a casa.
“Andiamo Lilly?”
La cagnetta però non era d’accordo. Voleva almeno qualcosa da mangiare da uno di quei chioschetti e Hermione, conscia che se non le avesse preso niente il cane le avrebbe dichiarato guerra, le comprò una crepe alla nutella.
“Va a finire che mi muori di diabete…” – borbottò Hermione, mentre spezzava la crepe.
Si incamminarono verso casa, allontanandosi senza aver salutato nessuno.




“E così sei di Londra città.” – disse una.
“Già…”
“Io sono stata sulla London Eye. Da lì hai davvero un’altra prospettiva del mondo…” – disse un’altra.
“Io sono riuscita ad entrare al Tower Bridge. Bellissimo!” – esclamò una terza.

Altra attrazione della sagra di paese fu Draco.
L’uomo aveva riscosso parecchio successo tra la fauna femminile e ora si ritrovava accerchiato da tre ragazze della sua età molto carine, ma che non erano il suo genere. Tuttavia, l’educazione impostagli da sua madre e le convenzioni sociali imponevano che lui le ascoltasse, pregando Dio che trovassero qualcosa di più interessante di lui.
Al momento, però, sembrava una speranza vana.
Con la coda dell’occhio scorse un vestito familiare.
“Signore, vogliate scusarmi ma ho visto un’amica che non vedo da molto tempo. Vado a salutarla.”
Le ragazze annuirono in coro e quando Draco si allontanò, parlottarono tra loro di quanto quel ragazzo fosse così a modo e soprattutto molto carino.
“Hermione!”
La ragazza si fermò e si girò. Quando vide Draco abbassò lo sguardo.
“Ciao.” – salutò lei.
“Ciao. Dove vai?”
“A casa.” – rispose lei, come se fosse normale.
“Non vuoi goderti un po’ la festa?” – chiese.
“Veramente no.” – disse.
Fece per andarsene, ma Draco la fermò per un polso.
“Un boccone!” – esclamò, per trattenerla. – “Mangia qualcosa almeno, prima di andare via.”
Onestamente non capiva perché insisteva tanto a trattenerla lì. Non gli aveva forse già spiegato che a lei, San Valentino, faceva venire l’orticaria?
Eppure un certo languorino l’aveva. Fortuna che la musica copriva il temporale che si stava svolgendo nel suo stomaco o si sarebbe sotterrata.
Notando la sua esitazione, Draco rincarò la dose.
“Dai, non pensi che tuo padre ci tenga che tu assaggi qualcosa che ha cucinato lui?”
“Non so se sia il caso…” – disse Hermione, rendendosi conto di star arrampicandosi sugli specchi.
“Guarda! Anche Lilly ha fame! Non vuoi darle le sue pappe?”

Poche cose aveva capito Draco di quel cane: una era che era molto affettuosa – predatrice sessuale canina rendeva meglio l’idea – due che amava stare tra le persone perché, o da uno o dall’altra riusciva a farsi fare qualche coccola extra e tre era tale e quale a Hermione: un pozzo senza fondo. Quindi nominare la parola “pappe” fu sufficiente per scatenare nel cane un moto di profonda ribellione sul fatto di dover tornare a casa.

“Lilly! Lilly!” – esclamò Hermione, tirando il cane per farla star calma. – “Io… e va bene!” – acconsentì. – “Un piatto di pasta e poi me ne vado.”

Le ultime parole famose.
Dalla pasta Draco riuscì a farle prendere il secondo, la verdura – patate fritte e arrosto – il dolce e il caffè, corretto con mezzo litro di latte.




“Se rotolo arrivo a casa prima…” – esalò Hermione, piena come un uovo.
Dopo aver mangiato tutto quello che Draco le aveva piazzato davanti – sapeva come prendere Hermione: per la gola – Hermione stava tornando a casa.
Il cane, poi, aveva mangiato e bevuto come due porci e ora doveva fare i suoi bisogni. La sagra distava circa venti minuti a piedi da casa sua e la ragazza decise di fare una passeggiata.
E Draco con lei.

I rumori della festa iniziarono ad attutirsi e Hermione tornò in possesso delle sue orecchie.
Ogni filo d’erba era annaffiato dal fiotto del cane che, poveretto, non ce la faceva più.
“E’ davvero una bella festa.” – disse Draco. – “Mi stupisce che non ti piaccia.”
“Io non ho detto che la sagra non mi piace. E’ San Valentino che mi sta sulle scatole.”
“Perché? Che hai contro questa festa?”
Quella volta non avrebbe lasciato correre.
Hermione si fermò e piantò i suoi occhi in quelli di Draco: adesso era venuto il momento di stabilire dei limiti.
“Senti, chiariamo un paio di punti…” – disse Hermione.
Draco comprese subito che non stava parlando tanto per dare aria alla bocca. Si fece serio pure lui.
“… sono contenta che tu ti sia ambientato bene, ma ciò non ti autorizza a ficcare il naso nella mia vita privata. Ci sono delle cose che non mi piacciono come a migliaia di altre persone nel mondo. Non vedo perché tu ne debba farne una questione di stato!” – poi s’incamminò a passo spedito.
Draco la guardò allontanarsi di qualche passo ma lui, in poche falcate la riprese e le si parò davanti.
“E io non capisco perché tu debba essere sempre così sulle spine!”
Hermione sbarrò gli occhi.
“Ma guardati!” – esclamò. – “Non ti si può dire niente che subito scatti come una molla! Costringi la tua famiglia a camminare in punta dei piedi per non disturbarti e quando qualcuno dice qualcosa che non ti va, lo zittisci come se fosse una merda! Io sarò insistente, ma tu sei una gran bella ipocrita!”
La mano si mosse da sola e andò a cozzare contro la sua guancia.

Cadde un pesante silenzio tra loro.
Draco guardò Hermione duramente per quel gesto che forse, sì, si era meritato, ma che palesava quanto avesse centrato il punto con quelle parole.
Hermione guardò Draco sofferente per quel gesto che, senza forse, era sorto spontaneo perché non era riuscita ad accettare quella scomoda verità.
Draco aveva ragione: lei costringeva la sua famiglia a camminare sulle uova, a dosare i sospiri per non irritarla, a misurare le parole per evitare la scenata del giorno prima.

E Hermione, più di prima, si rese conto di essere solo un peso per la sua famiglia.

Non disse niente.
S’incamminò per tornare a casa, facendo bene attenzione che la mano destra, quella che aveva dato lo schiaffo a Draco, non toccasse nessun’altra parte del suo corpo.

“Massì scappa!” – sbottò Draco. – “Tu sei solo brava a parlare ma batti in ritirata quando è ora che ascolti i tuoi stessi consigli!” – urlò Draco.
Hermione proseguì per la propria strada, con lo sguardo sbarrato di fronte a sé e colmo di lacrime.
“E non azzardarti mai più a venire a fare la predica a me sul far seguire i fatti alle parole!” – concluse.
Forse non l’aveva sentito perché la ragazza era stata inghiottita dall’oscurità ma ogni parola di Draco era stata scolpita a fuoco nella sua mente.
Aveva ragione.









Per quei cinque giorni di festa, il paese cadeva nel black-out totale.
Funzionavano solo i bar e i panifici che lavoravano per fornire il pane alla sagra, ma per il resto, tutto era chiuso.

Hermione era in ufficio dalle otto e mezza e lavorava ininterrottamente a tutto ciò che le capitava sotto mano.
Si era perfino messa a ripulire l’ufficio di suo padre quando si era resa conto che in previsione di San Valentino i suoi colleghi avevano sbrigato tutte le faccende, per evitare di trovarsi alla settimana successiva con un carico di lavoro doppio.
Aveva sempre in mente le parole di Draco ed era in quei momenti che s’impegnava due volte in più in ciò che stava facendo.

Lui aveva ragione.
Gli aveva sempre fatto la predica ignara che le sue stesse parole avrebbero potuto rivoltarsi contro di lei.
Spazzava il pavimento, punteggiandolo delle lacrime che non riusciva a fermare.
Si sentiva ridotta a uno straccio, peggio del moccio che se ne stava nel secchio pronto all’uso.

Lui aveva ragione.
Era un’ipocrita, perché condannava la sua famiglia a stare attenta a come parlava, a come si muoveva in sua presenza, ma non aveva il coraggio di staccarsi da loro e vivere la sua vita pienamente.

Lui aveva ragione.
Lei scappava. Anziché risolvere un problema, prendeva e scappava lontano.
Era brava a risolvere i problemi sul lavoro, ma non quelli della sua vita privata.




Draco, invece, era rimasto a casa.
Era nella dependance e pensava a quello che aveva detto a Hermione la sera prima. Forse avrebbe dovuto starsene zitto e incassare, perché Hermione aveva fatto tanto per lui ma non c’era riuscito.
Aveva notato come la ragazza fosse brava a fare la predica agli altri ma quanto poi non riuscisse ad applicare i medesimi concetti che lei stessa elargiva su di sé. Da lui aveva preteso i fatti, oltre alle parole.
Allora perché lui non poteva pretendere lo stesso per sé?
Decise di parlarne con Minerva.
Magari lei avrebbe potuto chiarirgli un po’ più la confusione che aveva in testa, solo che quando mise piede in casa, trovò la donna intenta a parlare al telefono.

“… lo sai com’è fatta…” – la sentì dire. – “… per lei non può esistere festa peggiore di questa, lo sai. Sì, sì… c’era da aspettarselo. È stato un miracolo che Draco sia riuscita a trattenerla per tutte le portate.”
Sentendosi chiamare in causa ed essere riuscito a fare qualcosa che nessun altro era riuscito a fare, Draco si sentì orgoglioso. Ancora non sapeva il perché, però.
“Non posso forzarla a fare qualcosa che non vuole. Non ti devi preoccupare per me. No. Sì.”
Avrebbe dato un braccio per sapere di cosa stava parlando Minerva!
“Ha bisogno di tempo. Certo che non gli ho detto niente, per chi mi hai presa? Se Hermione vorrà parlargli, lo farà lei stessa. Io non intendo violare la sua privacy in questo modo. Sì, d’accordo. A stasera.”
Minerva riagganciò la cornetta e Draco uscì senza farsi sentire.
“Minerva?” – chiamò Draco, fingendo di essere arrivato in quel momento e di non aver sentito niente.
“Sono qui!” – rispose la donna, cercando di dissimulare il dispiacere della chiamata.
“Ah eccoti. Perché non sei alla festa?”
“La casa non si pulisce da sola, Draco.” – scherzò la donna.
L’uomo però riuscì a cogliere la nota forzata nella sua voce.
“Ma se brilla di luce propria!” – disse l’uomo, cercando di rasserenarla.
Ci riuscì.
“Grazie davvero. Comunque andrò stasera. Tu vieni con me?”
“Volentieri.”
“Oggi a pranzo saremo noi tre.”
Draco s’irrigidì impercettibilmente. Sperò che andasse tutto bene.


Hermione tornò a casa a mezzogiorno e un quarto, entrò in casa, salutò sia Draco sia sua madre e poi si lavò le mani.
“Ci sono arretrati sul lavoro, Hermione?” – s’informò Minerva.
Draco continuò a mangiare, prestando però attenzione all’atteggiamento di una e dell’altra. Era proprio vero: Minerva camminava sulle uova e permetteva a Hermione di fare il bello e il brutto tempo.
“No. Tutti si sono dati da fare la settimana scorsa per non lasciarne. ” – spiegò la riccia. – “Ah, oggi pomeriggio vado a fare la consegna al posto di Oliver.”
Il pezzo di pane si fermò a metà strada. Minerva era perplessa.
“Perché?”
“Ieri l’ho sentito mentre parlava al telefono con Angelina. Era triste perché non poteva portarla alla festa, così l’ho sostituito.”
“Gentile da parte tua.”
Hermione sorrise tiratamente.
“Ti dispiace se Draco viene con te?”
Il biondo alzò lo sguardo su Minerva, sbigottito. Ma… avevano detto che sarebbero andati alla festa insieme!
“Perché dovrebbe venire?” – chiese, preoccupata.
“Le consegne di Oliver sono tutte in mezzo ai boschi e con strade che non mi piacciono. Almeno saprò che c’è qualcuno con te.”
“Ma tanto la strada la conosco.” – rispose, cercando di trovare ogni scappatoia possibile per non avere Draco tra i piedi.
“Hermione davvero. Mi sentirei più sicura.” – disse la donna.
“Non c’è bisogno di rischiare in due.” – disse, pentendosene subito dopo.
Sia Draco sia Minerva la guardarono sbalestrati.
“Che vorresti dire con questo?” – chiese il biondo, sbalestrato dalle implicazioni che quella frase aveva portato con sé.
“Beh, tu sei un ospite qui. Cerco di fare in modo che non ti capiti niente di male.” – rispose.
Quella era una vera e propria scalata sugli specchi!, pensò Draco.
“Non ti preoccupare per me.” – disse Draco. – “Vengo volentieri con te. Minerva, l’accompagnerò più che volentieri domani sera alla festa.” – si scusò Draco.
La donna invece sorrise.
“Non ti preoccupare. Preferisco sapere Hermione con te che da sola.”
Uno sbuffo ironico fece comprendere ai presenti quanto Hermione avesse preferito il contrario. Ma sia sua madre sia Draco sembravano essersi coalizzati per renderle la permanenza una sofferenza.
“D’accordo.” – acconsentì lei. – “Si parte dalla ditta alle una e mezza.” – disse Hermione, alzandosi.
Non appena volse le spalle a Draco e a sua madre, un’improvvisa e amara consapevolezza l’assalì.

Lo stava facendo di nuovo.

Stava di nuovo bistrattando sua madre mentre lei deteneva le redini del buono o del cattivo tempo. Avrebbe tanto voluto girarsi e scusarsi per quel suo atteggiamento, ma qualcosa di ancora più forte la spinse a non farlo, a continuare per la propria strada.
Draco scosse la testa, amareggiato. Era sempre più convinto che Hermione nascondesse qualcosa e proprio non riusciva a capire cosa.
“Mi dispiace.” – disse Minerva, con un sorriso tirato.
Draco si pulì la bocca e scosse la testa.
“Non è lei che dovrebbe dispiacerti o scusarsi.” – disse Draco. – “Forse sarà una mia impressione, ma è da quando siamo arrivati qui che Hermione è cambiata.”
Minerva chinò lo sguardo e Draco comprese di aver almeno centrato un punto.
“E’ così? Avevo visto giusto, allora. Minerva?”
La donna rialzò lo sguardo, velato di lacrime.
“E’ ora che tu inizi a prepararti Draco. Hermione non ama i ritardatari.”
Draco si morse la lingua e, col capo chino, annuì.
“D’accordo. Ci vediamo questa sera.”
“Va bene. Fate attenzione.”




Fate attenzione a cosa, di preciso?, si chiese Draco.
Erano partiti da circa un’ora e dopo aver passato il paese e altri due centri abitati, i due si ritrovarono immersi nel verde assoluto.

A Draco piaceva il verde, era sempre piaciuto. Infatti, lo stemma della Malfoy Home era una “M” e subito attaccata, la lettera “H”. Le lettere erano argento e sullo sfondo c’era una spennellata di verde.

La strada era tutta curve fiancheggiata da alberi su entrambi i lati.
Hermione guidava in assoluto silenzio, concentrata sulla strada. Draco di tanto in tanto le lanciava qualche occhiata per vedere se c’era qualche sorta di reazione in lei, ma niente. Il biondo intuì che quello sarebbe stato un viaggio molto lungo e molto silenzioso così si sollevò dal sedile e accese la radio.
Due secondi dopo, Hermione la spense.
“Adesso non si può ascoltare neanche la radio?”
“Mi da fastidio.” – fu la sua risposta.
“Oh, ho notato quante cose ti diano fastidio, Hermione.”
La donna serrò le mani attorno al volante, solo per non serrarle attorno al collo di Draco.
“Hai per caso voglia di litigare?” – chiese, infastidita.
“Beh, perché no?” – chiese Draco, fortemente sarcastico. – “Almeno spezziamo questo silenzio, in un modo o nell’altro.”
“Ti ho chiesto io di accompagnarmi?” – chiese Hermione, guardandolo per un attimo.
Poi tornò a guardare la strada.
“Non mi pare. Ho voglia di un po’ di silenzio, è forse un crimine?”
“L’unico crimine qui è il trattamento che stai riservando alla tua famiglia.”
“Ha!” – sbottò Hermione. – “Disse quello che la famiglia se la stava scegliendo proprio bene!” – commentò.
Draco non si fece scalfire, anche se quella frecciatina gli aveva fatto molto male.
“Complimenti! Pensavo avessi più stile!” – rispose lui di rimando.
I toni si stavano lentamente scaldando.
“Non venirmi a parlare di stile, Draco. Sei proprio l’ultimo che si può permettere di fare commenti sullo “stile”!” – sbottò, mimando velocemente le virgolette con le dita.
“E tu di dirmi di far seguire i fatti alle parole!” – rispose lui di rimando.
“Almeno io non pianto coltelli nella schiena!”
Draco si girò, pronto a dar fondo ai suoi pensieri.
“Ma quale schiena? Tu i coltelli li pianti direttamente nel cuore!”
Hermione sbarrò gli occhi e si girò.
“Ma che credi che sia cieco?! Vedo come tratti i tuoi! Soprattutto tua madre!”
Fu lì che qualcosa cambiò.
“LEI NON E’ MIA MADRE!”
Lo urlò con così tanto fiato e con così tanta convinzione che Draco, per una frazione di secondo, le credette.
Rimase ammutolito.

Hermione aveva il fiatone e gli occhi sbarrati.
Finalmente aveva detto ciò che sentiva nel cuore da anni ma che prima di quel momento non aveva mai avuto il coraggio di confessare.

Il furgoncino sbandò leggermente, perché la presa sul volante si era allentata.
In un attimo di lucidità, Hermione serrò la presa e il mezzo tornò a seguire i suoi comandi.

Draco era più che turbato, era sconvolto dentro.
Come poteva dire una cosa del genere? Come poteva trattare Minerva in quel modo, dopo aver visto con quanto amore la guardava?
“Come… che vuol dire che non è tua madre?…”
Hermione aveva iniziato una manovra per entrare in uno spiazzo erboso, fermarsi e tentare di riprendere il controllo su di sé. Slacciò con ferocia la cintura, imprecando per quelle funi che sembravano volerla trattenere lì e affrontare un discorso che non voleva neanche avviare nella sua mente, figurarsi con un estraneo e scese dal furgoncino.
Draco la osservò mentre le passava davanti al cofano e andare verso il bosco. Scese anche lui.

Hermione camminava in tondo, parlando a bassa voce.
Sembrava stesse recitando un mantra, una sorta di litania per calmarsi ma sembrava che quella volta non funzionasse.

“Hermione?”
Onestamente Draco aveva un po’ paura di affrontarla. Non la riconosceva nemmeno più. Quella non era la ragazzina sarcastica pronta a zittirlo con quel suo solito sorrisetto da “avevo ragione io e tu torto” che aveva sempre conosciuto: quella era una perfetta estranea, era una nel corpo di Hermione.
La donna continuava a girare intorno e Draco riuscì a sentire ciò che stava dicendo.
Era una preghiera.
“Angeli del cielo, dal paradiso splendente, di ali d’orate e fili cangianti. Vi affido il mio bambino, proteggetelo e verso l’Amore guidatelo. Angeli del cielo, dal paradiso splendente…”
“Hermione?”
No. Non era paura la sua.
Era folle preoccupazione.
“… verso l’Amore…”
“Hermione rispondimi…”
“… dal paradiso splendente…”
“Hermione smettila!” – sbottò Draco, spaventato.
Hermione si bloccò all’istante, sia di camminare in tondo, sia di recitare quella preghiera. Alzò gli occhi su Draco, ma senza vederlo realmente. Prese un enorme respiro.
“Andiamo.” – disse, tornando verso il furgone.
Lo sorpassò, lasciandolo sempre più basito.
“Cosa… Hermione!”
“Andiamo o faremo tardi e non ho voglia di guidare con il buio.” – spiegò, attenta a non permettergli di avvicinarsi troppo e incrinare ancora di più quel muro che si era costruita attorno.
“Ma fermati un attimo!” – sbottò, prendendola al volo per un polso.

La sua reazione non si fece attendere: non le piaceva essere toccata, solo Daphne riusciva ad eludere quelle barriere. La mano libera tentò di dargli uno schiaffo ma il biondo – scemo una volta, non due – intuì il movimento del braccio e le imprigionò le mani nelle sue.
Sembrava una bambina che non voleva essere tirata via dalle giostre.

“Lasciami!” – sbottò, spaventata da quel contatto, mentre cercava di dimenarsi come un’anguilla.
“Non ci penso proprio! Adesso mi dici che ti sta succedendo! E se hai paura a guidare di notte non preoccuparti: guiderò io!”
“Lasciami andare!” – urlò, sempre più terrorizzata da quel contatto.

Mentre la teneva tra le braccia, cercando di razionalizzare e capire in quei pochi secondi cosa le stesse succedendo, Draco avvertì la piacevolezza di stringere quella ragazza tra le braccia. Pensò che avrebbe voluto provare la sensazione di stringersela addosso senza tutti quegli scatti improvvisi.
Hermione profumava di buono, di pulito: scioccamente pensò che fosse appena uscita dalla lavatrice.
Quei pensieri ebbero una loro fine, quando Draco tornò con i piedi per terra.

“Draco per favore…” – lo supplicò.
Doveva essere parecchio disperata per implorarlo.
“… lasciami andare. Staccati…”
“No.”
E lei si sentiva sempre più imprigionata.
“Draco…”
“Calmati, calmati…” – sussurrò.
Hermione sembrava essere sull’orlo di una crisi di panico nel vero senso della parola.
“Guardami…” – ordinò.

La riccia iniziò a respirare male, con gli occhi sempre più sbarrati fino all’inverosimile. Prendeva respiri molto profondi, che in casi normali sarebbero stati sufficienti per affrontare un’apnea di trenta secondi ma, nonostante questo, l’oppressione che le schiacciava il petto era tale che sembrava di non prendere aria a sufficienza.

Draco le prese il volto tra le mani, spaventato a sua volta perché temeva per la vita di Hermione, e la costrinse a incatenare i loro occhi. Non sapeva se stava facendo bene, perché non aveva mai partecipato a corsi di Primo Soccorso. Aveva sentito dire – e sperò davvero che non fosse una stronzata da soap opera – che per calmare una persona nel panico, bisognava fare in modo che respiri di entrambi si sincronizzassero.

“… va tutto bene… respira…”
Draco diede il ritmo del proprio respiro a Hermione e lei, sempre più terrorizzata ma con il bisogno di tornare con i piedi per terra, si adeguò.
Inspirò ed espirò.
“Così, brava…”
E poi Draco – quando voleva – sapeva attrezzarsi di una bella voce. Calda, avvolgente…
“Inspira, espira, inspira, espira… stai andando benissimo…” – la incoraggiò.
Hermione si aggrappò con le mani a quelle dell’uomo, che si trovavano sul suo volto, per impedirle che lei guardasse altrove. Pian piano tornò lucida, ma con grande fatica. Non ricordava più da quanto tempo non aveva quelle crisi.
Il tempo minacciava di piovere ma a nessuno sembrava importare.

In Draco, invece, scattò qualcosa. Qualcosa di strano, di indefinito.
Era riuscito a fare qualcosa di buono per una persona senza l’aiuto di nessuno, aveva aiutato Hermione a riprendere contatto con la realtà.
Le aveva salvato la vita.
Ed era stato lui.

Istintivamente l’abbracciò, un po’ per tranquillizzarsi e un po’ per darsi la definitiva conferma che lei era ancora lì, in piedi.
Viva.
Le massaggiò la schiena, come con i bambini piccoli.
Inizialmente, Hermione si era quasi spaventata quando Draco l’aveva tratta verso di sé. Aveva avuto l’irrazionale paura che lui, dopo averla salvata, volesse farle del male, come quando si è abituati a ricevere solo schiaffoni e una mano alzata può far riemergere quel ricordo. Poi però, nessuno schiaffo era arrivato.
Erano arrivate tante carezze sulla schiena, tanto… affetto (?), tanta comprensione espressa a gesti e non a parole.
Si sentiva terribilmente stupida in quel momento: Draco sicuramente stava pensando che era una pazza scappata dal manicomio.

“Va meglio?” – le chiese, cercandola con lo sguardo.
Lei invece faceva di tutto per evitarlo.
“S-sì…”
Draco le prese il mento e lo sollevò. Non gli bastava quella risposta insicura: voleva averne la certezza.
“Sì, sto bene.” – lo rassicurò.
“D’accordo. Allora andiamo. Guido io.”


Ripresero la marcia in totale silenzio.
Draco aveva riesumato dal furgone una vecchia coperta, una di quelle che probabilmente Oliver usava quando doveva affrontare viaggi lunghi e voleva sonnecchiare un paio d’ore. La drappeggiò su Hermione, che si rannicchiò sul sedile del passeggero con lo sguardo basso.
Aveva iniziato a piovere e l’uomo pensò che quel tempo si adattasse bene allo stato d’animo di Hermione. Da quando erano arrivati lì, la ragazza aveva subito un radicale cambiamento. Che odiasse il paesaggio?, gli abitanti o il paese di per sé?
Draco escluse a priori ogni possibile legame con questi tre luoghi, perché Hermione era felice di tornare lì, dalla sua famiglia.

“LEI NON E’ MIA MADRE!”

O forse era proprio la famiglia che non le piaceva.
No non era nemmeno di questo, perché amava la sua famiglia anche se di tanto in tanto aveva atteggiamenti incomprensibili anche per un indovino.
“Cosa dobbiamo consegnare a Norwich?” – chiese per fare della conversazione.
Non voleva farla sentire una bestia rara.
“Dei liquori.” – rispose lei, sempre con il volto basso.
“Per un bar?”
“No, un piccolo albergo.”
Altro silenzio.
“Mi-mi dispiace… per prima…” – chiarì, imbarazzata e sull’orlo del pianto.
“Non ti preoccupare.” – disse.
E poggiò una mano sulla sua.

Grazie alle capacità dialettiche di Draco, l’uomo riuscì a instaurare una conversazione con Hermione, per evitare che il silenzio tra loro divenisse ancora più pesante di quanto non fosse già.
Arrivarono a Norwich in ritardo sulla tabella di marcia di solo un’ora. Draco non conosceva bene le strade e più volte aveva dovuto fermarsi, chiedere indicazioni e poi tornare indietro. Sapeva che Hermione conosceva la strada, ma non aveva voluto disturbarla, perché si era appisolata.
Anche in quel paese, giusto per non farsi mancare nulla, era in atto una festa di San Valentino. Gli ci erano volute ben tre ore per arrivare e ora era stanco. Hermione, poi, non era nelle condizioni fisiche e mentali per guidare, così la donna riuscì a farsi dare una stanza per riposare un paio d’ore – erano veramente stanchi – per poi ripartire.
Entrarono nella camera e Draco si buttò subito sul letto.
“Possiamo stare qui solo per un paio d’ore, poi dovremmo andarcene.”
“Due ore saranno più che sufficienti.” – disse Draco, che sentiva gli occhi chiudersi.
Hermione lo guardò, dispiaciuta.
“Sei tanto stanco?”
Draco la guardò. Era veramente mortificata.
“Non sono abituato a guidare così tanto.” – disse.
“Tranquillo. Dopo guido io e…”
“No, no no.” – disse, alzandosi con il busto sul letto.

Oddio… messo così faceva la sua porca figura…

“Anzi, sdraiati anche tu e dormi decentemente.”
Hermione arrossì.
“Io ho dormito sul furgone.” – disse.
Draco la guardò di traverso.
“E me lo chiami dormire? Dai…” – si spostò di lato per far spazio alla donna.
Hermione era molto tentata, ma di solito lei di notte si rigirava fino ad arrotolarsi nelle lenzuola.
“No, non ti preoccupare…”
“Hermione o vieni qui con le tue gambe o vengo lì io e ti prendo di peso. Libera di scegliere.” – disse.
Oh, era certa che l’avrebbe fatto così, riluttante e piena di vergogna, si avvicinò al letto. O lei era stanca morta o in quell’hotel avevano i materassi migliori di tutta Londra.
“Cosa fai?” – squittì lei, diventando di granito quando sentì il braccio di Draco avvilupparsi alla sua vita.
“Ti da fastidio?”

Erano schiena contro petto.
Hermione aveva il cuore a tremila e non sapeva cosa fare.
Cosa dire.
Se avesse risposto di “no”, non sapeva come Draco avrebbe potuto prenderla; se avesse risposto di sì, avrebbe buttato all’aria quello che lui aveva fatto per lei in quel piccolo spiazzo erboso.

“N-no…” – rispose lei, sperando di non aver dato una cattiva impressione di sé.
In risposta, il braccio di Draco serrò maggiormente la presa sulla vita di Hermione e lei, anziché sentirsi a disagio o imbarazzata per quell’eccessiva vicinanza, si sentì protetta.




Prima di addormentarsi, Hermione aveva messo la sveglia sul cellulare programmata alle sette di sera.

La prima a svegliarsi fu la ragazza che spense l’allarme.
“Draco?”
Nessuna risposta.
“Draco svegliati.”
Niente. Doveva essere veramente stanco…
Cercando di non dare al materasso troppi scossoni, Hermione si girò nel suo abbraccio.
“Draco?”
“Mhm?”
“Sono le sette. Dobbiamo alzarci.”
“Arrivo…” – ma invece di aprire gli occhi, tirò Hermione maggiormente verso di sé e la imprigionò in una morsa di cui Hermione non capiva né l’inizio né la fine.
Sentiva solo il respiro placido di Draco sul collo.

E che le piaceva.

Riuscirono ad alzarsi dal letto alle sette e un quarto. Fortuna che il padrone dell’albergo non aveva fatto loro storie per quel ritardo.
“Grazie mille.” – disse il gestore a Hermione, per quella fornitura di fortuna.
Hermione gli sorrise. Il sonno le aveva fatto bene.
“Grazie a lei. Arrivederci.”
“Ehi!” – li richiamò l’uomo.
“Sì?”
“Perché non andate in piazza alla sagra?”
“La ringrazio, ma dobbiamo…” – tentò Hermione, ma il gestore la interruppe.
“Dai, andate! Tenete.” – disse, andando da loro e mettendogli in mano dei biglietti. – “Sono i buoni pasto. Ve li offro io per la gentilezza di questa consegna.”
“Ma veramente…”
“Davvero molto gentile da parte sua.” – s’intromise Draco, ringraziando e trascinando Hermione con sé. – “Faremo sicuramente un giro. Grazie ancora!”
L’uomo li salutò con un cenno della mano prima di tornare ad asciugare i bicchieri.

“Draco! Draco aspetta!”
“Cosa?”
Hermione rimase decisamente perplessa nel vedere quel sorriso sul volto di Draco. Sembrava non vedesse l’ora di andare a quella festa.
“Faremo tardi!”
“Ma dai! Mangiamo qualcosa e poi ripartiamo.”
Effettivamente aveva fame…
“Una cosa veloce, però.”
“Va bene.” – le promise Draco.
Ma con le dita saldamente incrociate dietro la schiena…









Calli-corner:

Lascio decidere a voi com’è stato questo capitolo.
Ma partiamo dall’inizio.

Troviamo subito Pansy e Theo alla “Nott Home”, in atteggiamenti molto poco professionali. Alla fine, Pansy voleva solo spendere i soldi della ditta a suo piacimento e Theo poteva permetterglielo, se lo avesse aiutato a far fuori Draco.
Come poi si è avverato.
Di Theo, invece, si scopre che in passato ha dovuto subire vari fallimenti ma è certo che con l’azienda di Draco ben avviata, non ne subirà più.


San Valentino.
Draco pensa che Hermione odi quella festa perché non ha nessuno con cui festeggiarla ma non è così. C’è qualcosa di più nel disprezzo che Hermione prova per questo giorno e quel “di più” verrà spiegato più avanti.

Alzi la mano chi è d’accordo con Draco sul fatto che Hermione sia un’ipocrita, quando chiede al biondo di far seguire i fatti alle parole mentre lei fa il contrario.

“LEI NON E’ MIA MADRE!”

Era proprio incazzata quando lo ha urlato.
Ma cosa vorrà dire?


Tutto questo e molto altro qui, su EFP, alla pagina della Malfoy Home con callistas!

E prima di lasciarvi, prendete il nuovo spoiler!

“Ma io ti ammazzo!” – urlò Hermione, salendo sul tavolo in uno scatto che spaventò i due.
Draco riuscì a prenderla per le caviglie e a tirarla indietro, trattenendola per la vita mentre lei si dimenava come un’ossessa per sfuggire a quella morsa d’acciaio e uccidere quello stronzo!

Sempre meglio, non trovate?
^_____________________^

Un bacio e a venerdì prossimo,
callistas

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Capitolo 14
*** ... che crede di essere amato e invece resta fregato ***


14 - ... che crede di essere amato e invece resta fregato Mie fedelissime.
Bentornate.

Come al solito non vi ruberò molto tempo perché so che preferite leggere il capitolo, piuttosto che le mie sproloquiate, quindi vi auguro buona lettura e vi aspetto in fondo.

Vi dico solo che qui uscirà fuori qualcosina che…

Buona lettura,
callistas.









La festa di Norwich non aveva niente a che fare con quella che organizzava Castle Rich, il paese di Hermione. Era certamente molto bella, ma mancava di quello spirito di comunione che si percepiva una volta messo piede nella sagra. A Castle Rich si respirava, nel vero senso della parola, il senso di unità tra i partecipanti. Quella era solo una festa indetta per cercare di racimolare un po’ di soldi.
A Draco, invece, sembrava piacere. Hermione si chiese se i suoi genitori l’avessero mai condotto a feste di quel genere, perché si guardava intorno come se non ne avesse mai visto una.
Non se la sentì di trascinarlo via, così si mise il cuore in pace e andò a prendere da mangiare. Fortuna che il gestore dell’hotel aveva consegnato loro già i buoni per poter ritirare i pasti, altrimenti avrebbe dovuto fare una fila infinita.

Avevano ordinato piatti prettamente tipici, come la selvaggina. Niente da paragonare con quella che cucinava il vecchio Charles: lui sì che sapeva come cucinare quella carne.
Avevano preso posto a uno dei tanti tavoli di legno e stavano cenando come… come una normale coppietta.

“Quella di Castle Rich mi sembra meglio.” – disse Draco.
“Perché lo è.” – disse Hermione.
“Ma se hai sempre detto che non vai mai a queste feste.” – obiettò lui.
“Vero. Ma so chi ci lavora dentro.”
“Hai sempre la risposta per tutto?” – chiese, divertito.
Hermione rise, ma non rispose.
“Hai finito?” – chiese Draco.
“Sì. Vuoi che andiamo?”
“E’ meglio.”
Si alzarono e Hermione stava per raggiungere l’uscita quando si sentì di nuovo fermare da Draco.
“Cosa c’è adesso?”
“Un ballo.” – le disse, semplicemente.
“No.” – disse lei, categorica.
“Uno solo!”
“Ho detto di no!”
“Perché no?”
“Perché siamo in ritardo.” – disse.
“Uno e poi andiamo.”
“Draco ho detto…”
Avrebbe voluto dire di no, ma si era zittita immediatamente quando aveva sentito le sue braccia avvolgersi attorno alla sua vita in un gesto che la lasciò senza parola per la naturalezza con la quale era stato fatto.
La sensazione provata era molto diversa da quella di qualche ora prima a letto. Lì non c’era la stanchezza che poteva fungere da scusa: poteva ritrarsi ma non lo fece.

Si spaventò quando si rese conto di voler stare tra le sue braccia.

Draco aveva appoggiato la guancia contro la tempia di Hermione, che si stava lasciando condurre docilmente. La sentiva vicina, forse fin troppo e la cosa, anziché inorridirlo – si era ripromesso di non farsi mai più abbindolare da una donna – gli piaceva.
Forse perché la donna in questione era diversa dalle altre che aveva conosciuto: era vera, con difetti veri, con un grande cuore, e anche se era strana, non era importante.

Non si spaventò, quando si rese conto di voler stare tra le sue braccia.

Quel pensiero lo portò a serrare maggiormente la presa sulla vita di Hermione.
Hermione sospirò. Sapeva che si stava cacciando in un brutto pasticcio…
“Perché sei voluta venire a lavorare in città?”
Hermione sorrise.
“Castle Rich è un bel posto…” – disse Hermione. – “… ma tutti hanno la tendenza a farsi i fatti di tutti.”
“Beh, a Londra non è poi tanto diverso.” – disse Draco.
“Vero. Ma almeno a Londra posso mandare tranquillamente la gente a quel paese senza sentirmi in colpa.”
Draco rise.
“Un’interessante prospettiva.” – disse.
Draco l’allontanò da sé, le fece fare una giravolta e poi se la tirò nuovamente vicina.
Si fermarono in mezzo alle altre coppie che ballavano.

Draco la guardò.
Era davvero bella, anche con quei maglioni informi, i capelli perennemente raccolti e senza un filo di trucco.
Come aveva fatto ad accorgersene solo in quel momento? O era solo suggestione? Era forse questo il potere di San Valentino? Ti faceva vedere cose che magari, in realtà, non esistevano?
O forse nutriva davvero un’attrazione per Hermione? Se sì, da quanto andava avanti e perché lui non se ne era mai accorto prima?
Beh, qualunque fosse la risposta, Draco non l’aspettò. Si chinò sulla riccia che lo guardava con ansia, avvicinarsi.
Non riusciva a muoversi perché se da una parte aveva paura delle implicazioni di ciò che stava per succedere, dall’altro non vedeva l’ora che accadesse.
Draco si chinò su di lei e…









Calli-corner:

Dunque, mi rendo conto che il capitolo è un po’ corto ma…

… ma se proseguite leggerete il resto.
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… il cellulare nella sua tasca suonò.

Non si seppe mai dire chi dei due ci rimase più male.
Hermione si staccò subito e guardò dappertutto tranne Draco che, imprecando peggio di uno scaricatore di porto – se sua madre lo avesse sentito, gliene avrebbe date di santa ragione – si palpeggiava dappertutto per cercare di capire dove fosse finito quel diavolo di cellulare!
Quando lo prese, trovò un numero sconosciuto. Si allontanò dalla musica mentre Hermione gli andava dietro, imbarazzata a morte per ciò che stava per succedere.

Ma che non era accaduto.

“Pronto? Chi parla?”
“Signor Malfoy?”
“Sì sono io…” – disse Draco, esitante.
Non ricordava di aver mai sentito quella voce e temeva che fosse qualche altro esattore che voleva prendersi qualcos’altro di suo. Era riuscito a salvare quel cellulare per puro miracolo!
“Ehm… sono David, David Linch, si ricorda?”
David Linch, David Linch… dove aveva già sentito quel nome?
Sbarrò gli occhi, incredulo.
“David?”
Hermione alzò gli occhi. Forse era un amico che non sentiva da tanto tempo…
“Sì, sono io. Signor Malfoy, la situazione è tragica! Deve tornare!”
Draco sorrise amaramente.
“David non posso.” – disse Draco. – “Non sono più il titolare della Malfoy Home.”
A quel nome, Hermione si bloccò, sgomenta. Che c’entrava adesso la Malfoy Home?
Draco sentì David masticare un’imprecazione.
“Sì, lo so, ma… cosa dovrebbe succedere perché lei torni?”
Draco sorrise. E così aveva un affezionato tra le sue fila… se avesse avuto la possibilità di tornare a dirigere la Malfoy Home, avrebbe dato così tante pacche amichevoli sulla spalla di David che gliel’avrebbe lussata!
“Onestamente non lo so.”
Hermione gli andò davanti, più interessata a ciò che si stava dicendo Draco con quel David. Gli chiese tacitamente che stesse succedendo e Draco scosse la testa, chiedendole di aspettare un attimo.
“Non so come sia la situazione ora e…”
“Disastrosa.” – fu il commento di David.
“… bisognerebbe vedere le azioni come sono messe e…”
“La carta igienica vale molto di più, signor Malfoy.”
Draco corrucciò le sopracciglia.
“Che vuoi dire?”
“Signor Malfoy… l’azienda sta andando a puttane! Nott non sa fare un cazzo!” – sbottò mentre Draco ascoltava esterrefatto.
Ma… era dello stesso Nott che si stava parlando?
“In una settimana è riuscito a spendere più di quanto lei abbia mai guadagnato in un anno!, per non parlare dei clienti che si sono staccati da noi! Il magazzino è un cagaio, le consegne hanno giorni, settimane perfino, di ritardo! E quella maledetta troia della sua ex non fa altro che spendere i soldi rimanenti in vestiti firmati! Per Dio Draco, torni!”
Draco aveva ascoltato con lo sguardo fisso nel vuoto. No, qualcosa non quadrava. Theo non poteva essere un tale incapace!
“Ma… è dello stesso Nott che stiamo parlando? Theodore Nott?”
“Senta…” – disse David, che pareva parecchio prostrato. – “… Nott ha cambiato il software gestionale aziendale. Ne ha preso uno che costa un patrimonio e che ha sempre rogne! Io… senta!, posso parlarle di persona? Avrei altre cose da raccontarle e ho preso delle informazioni su Nott che potrebbero interessarle, nel caso in cui volesse riprendersi l’azienda!”
Draco si passò una mano sugli occhi. Mio Dio! Com’era stata possibile una cosa simile?
“Io…”

“… sì, certo. Dove e quando?”
“Preferirei non a Londra. Dove si trova adesso?”
David prese carta e penna e scrisse l’indirizzo. Gli venne un mezzo colpo quando lesse il cognome dell’abitazione.
“D’accordo. Ci vediamo domani.”
David agganciò la cornetta e tirò un sospiro di sollievo.
Giunse le mani in segno di preghiera e le portò alla bocca. Non sarebbe stato facile dire al signor Malfoy ciò che aveva fatto ma doveva. Lo doveva a tutte le persone che avevano lavorato lì dentro e che lo salutavano ancora – chi era rimasto, almeno – con affetto.
Si sentiva un verme giorno dopo giorno e non ce la faceva più. Forse si sarebbe beccato una denuncia e sarebbe finito in prigione e David lo considerò il male minore.
Voleva tornare a guardarsi ancora allo specchio.




“Chi era?” – chiese Hermione.
“David. David Linch.”
Hermione sbarrò gli occhi.
“David? Come mai ti ha chiamato?”
Draco guardò ancora il cellulare.
“Non lo so. Dice… dice che l’azienda sta andando in malora e che deve dirmi qualcosa e che può farlo solo di persona. Spero non ti secchi, ma gli ho dato l’indirizzo di casa tua.”
“No, tranquillo. Senti… qui si sta facendo davvero tardi. È meglio se rientriamo.”
“Sì, certo.” – disse Draco, ancora scombussolato dalle notizie appena ricevute.
Il bacio mancato passò in secondo piano.


Sulla strada di ritorno, nessuno dei due fiatò.
Hermione continuava a rivedere davanti agli occhi la scena di Draco chinarsi su di lei per baciarla mentre Draco continuava a rimuginare sulle parole di David. Ancora stentava a credere che Theo stesse mandando a rotoli la sua azienda. Quando era un socio, non aveva mai dimostrato avventatezza negli affari. Che, come Pansy, anche la sua fosse solo una facciata di copertura?
Non sapeva più cosa pensare.

Rientrarono a casa verso le una di notte. La sagra era sul finire, anche se metà della famiglia Granger era rientrata a casa e stava già dormendo.
Draco parcheggiò il camion all’inizio della via per non svegliare tutti e con Hermione si avviò verso casa. Fu quando venne ora di salutarsi, che si ricordò di ciò che avrebbe fatto se il cellulare non avesse suonato.
“Hermione?”
“Sì?” – chiese l’altra.
“Per stasera, io…”
“Non ti preoccupare.” – disse lei. – “Non è successo niente.”
“Appunto.” – disse Draco, leggermente indispettito.
Hermione lo guardò, confusa.
“Se ti avessi baciata, tu che avresti fatto?” – chiese senza indecisione alcuna.
Hermione notò quanto Draco fosse bravo a sganciare le patate bollenti agli altri. Ma ora che glielo chiedeva, lei cos’avrebbe fatto?
“Hermione?”
“Non… non lo so.
“Hermione…”
“Devo andare!” – disse, scappando.
“Hermione!” – la richiamò Draco, invano.
Scosse il capo ed entrò nella dependance.









“Non è aria, Laney.”
“E’ tanto grave?”
“Vedi tu. Il contratto con la Nott Home non si può recidere. John è una iena.”
La donna sospirò. Negli affari bisognava essere squali: i sentimentalismi dovevano essere abbandonati in un angolo.
“John?”
“Chi cazzo!… ah, sei tu.”
Laney entrò in punta di piedi. Chiuse la porta e andò a sedersi di fronte a lui.
Lo vide sedersi pure lui e chinarsi sulle ginocchia, prendere il volto tra le mani e rimanere in silenzio. Non l’aveva mai visto così.

La loro storia, se così si poteva chiamare, non poteva andare meglio.
Laney non poteva chiedere di meglio da una relazione.
Si ritrovavano di tanto in tanto per un aperitivo, del sano sesso e poi ognuno a casa propria. Sul lavoro erano talmente impeccabili, che nessuno avrebbe mai immaginato che tra loro vi fosse di mezzo il sesso.

“Allora niente per la Nott Home?” – chiese la donna.
John si alzò di scatto dalla sedia e Laney sobbalzò sulla propria.
“Niente di niente! Ma come ho fatto ad essere così stupido? Come ho fatto a legarmi con quell’azienda in un contratto simile? Che cazzo mi passava per la mente in quel momento?”
“Sbagli a parlare così.”
John la trucidò con lo sguardo.
“Non parlare di cose che non conosci.”
Laney sollevò un sopracciglio.
“Capito.” – disse.
Era andata da lui perché sperava che parlandogli si sarebbe calmato – in azienda non si poteva respirare troppo forte altrimenti John scattava come un petardo – ma non era intenzionata a farsi dare dell’incompetente solo perché lui era arrabbiato.
Si alzò dalla sedia e fece per uscire, quando alle orecchie le giunsero delle scuse nette.
“No, scusami… non volevo dire questo…”
Laney si girò e lo fronteggiò.
“Non sono una novellina John, ficcatelo in testa.” – chiarì Laney. – “Non avrò le tue competenze, non saprò scovare un affare neanche se me lo sbattono in faccia, ma conosco il mio lavoro come le mie tasche e standoti affianco ho imparato molte cose.”
“Scusami…”
“Quando ti sei legato alla Malfoy Home, tu avevi portato a casa un eccellente fornitore, ricordalo.” – gli ricordò. – “Ti sei legato a Draco perché avevi visto in lui una possibilità di affermarti ancora di più sul mercato americano. Solo perché lui ha commesso l’errore di fidarsi delle persone sbagliate, non significa che…”
“Ma è proprio questo che non capisco!” – sbottò, alzando la sedia e sbattendola a terra. – “Come ha fatto un uomo come lui, con le sue capacità, con la sua intelligenza… a permettere una cosa simile?”
“La parola “innamorato” ti dice niente?” – lo rintuzzò.
John si zittì.
“Errore numero due.” – elencò il direttore della Livin Home. – “Perché non ha lasciato a casa quella che si scopava?”
Quando John si rese conto di ciò che aveva detto, guardò di scatto Laney, che aveva un sopracciglio sollevato e un sorrisetto divertito sulle labbra.
“Oggi non ne dico una di giuste…” – cercò di sdrammatizzare.
“Non solo oggi.” – disse lei.
Non si era sentita minimamente toccata dal commento, perché lei e John non erano fidanzati.
“Draco era solo innamorato e voleva avere accanto la sua fidanzata. Non puoi pensare che un uomo, quando entra in ufficio, lasci fuori dalla porta i sentimenti! La voleva accanto e basta.”
“Ti odio quando mi fai ragionare…” – commentò, divertito.
Laney arricciò le labbra in un sorrisetto.
“E fortuna che ci sono io.” – si auto lusingò. – “Comunque John… stasera preparati.”
“Perché?”
“Hai un po’ di testosterone da scaricare e io intendo immolarmi come agnello sacrificale.”
John rise.
“Ma come ho fatto a non accorgermi della tua bontà d’animo fino a questo momento?” – chiese lui.
“E’ risaputo che gli uomini sono ciechi come talpe, all’occorrenza.” – poi si diresse alla porta. – “Ah, un’ultima cosa…”
“Sì? Portati dietro il cane, perché non so se uscirai vivo dalla mia camera. Non vorrei che a quella povera bestiola scoppiasse la vescica.” – e uscì.
John sollevò un sopracciglio.
Molto bene…




A causa dell’incompetenza manageriale di Nott, la Livin Home stava perdendo tanti buoni clienti e John sapeva perfettamente che riprenderli sarebbe stato difficile, se non impossibile: una volta che un cliente ti abbandona è per sempre ed è meglio cercarne un altro fin dal giorno dopo.
Pensava a questo mentre sulla sua jeep percorreva le strade di New York per raggiungere la casa di Laney mentre sul sedile posteriore Rex se ne fregava dei problemi del suo padrone – bastava che avesse le ciotole piene e sarebbe potuto cascare anche il mondo – e respirava tranquilla a bocca aperta con la lingua che sobbalzava ad ogni scossone.

“Benearrivati.”
Rex aveva molto in simpatia Laney perché lo trattava meglio di quanto facesse John.
“Buona seera!” – salutò Laney, chinandosi sul cane.
John, che si era già preparato per avere un bacio, rimase quasi deluso quando vide la donna preferire il cane a lui. Rex si sdraiò sulla schiena e aspettò le coccole di Laney che non tardarono ad arrivare.
“Rex, sei peggio di una puttana.” – fu il commento di John, divertito. – “Ti svendi per una coccola.”
“E un pacchetto di biscotti, vero Rex?”
Alla parola “biscotti”, il cane saltò in aria come un petardo, con la coda che andava a destra e a sinistra e che avrebbe potuto benissimo sostituire il ventilatore.
“Vieni? Oh, ciao!” – salutò Laney.
“Ciao, eh? Grazie della considerazione.” – borbottò l’altro, offeso.
Laney rise e andò a baciarlo, lasciandosi completamente andare alle sue carezze. A interromperli, un alquanto indispettito Rex, che voleva i suoi biscotti.
Che poi facessero quello che volessero… ma prima doveva avere i suoi biscotti, accidenti!
La donna sorrise.
“Ti sfamo il cane e poi sfamo te.”
In che senso?…
Laney prese la ciotola di Rex e la riempì con dei biscotti fatti in casa.
“Hai fame?”
“Sì, perché?”
“Meno male. Ho preparato una cosetta al volo. Ti va di mangiare insieme a me?”
“Ah sì, grazie.”
I due cenarono, chiacchierando tranquillamente. Laney aveva preparato una veloce pasta e un altrettanto rapido secondo, giusto per non perdere troppo tempo per il dessert. Avevano parlato anche della Malfoy Home, mentre Rex si mangiava gli spaghetti che Laney aveva preparato anche per lui.
Il pelo bianco attorno alla bocca era tutto rosso…

Laney e John si erano spostati sul divano mentre Rex in giardino ad annaffiare le piante di Laney. La donna era seduta in braccio a John.
“Come sei rigido stasera…”
“Credevo mi volessi così…”
La donna rise.
“Sei rigido nei punti sbagliati. Aspetta… proviamo così…”
John iniziò ad ansimare.

Laney era in possesso di un tasso erotico talmente alto che avrebbe potuto rischiare di essere incarcerata per attentato agli ormoni.
Era sexy in tutto quello che faceva: dal presentarsi in ufficio, prendere la fattura, studiare gli appunti, aiutare i colleghi sul lavoro… le donne che sapevano quello che volevano dalla vita e se lo prendevano senza tanti problemi – esattamente come stava facendo Laney in quel momento – lo eccitavano a morte. Non aveva mai sopportato le eterne indecise, perché cambiavano idea ogni cinque minuti.
E tra una smorfia di piacere e l’altra, tra un gemito e l’altro, John sentì che Laney aveva raggiunto il suo obiettivo.

“Adesso sei rigido nel punto giusto.” – disse.
John aveva il fiatone. Quella donna lo trattava fin troppo come le aggradava: le cose dovevano cambiare. Con un colpo di reni ben assestato, l’uomo riuscì a mettersi in piedi con Laney in braccio.
“Sbaglio o non dovevo uscire vivo dalla tua camera?”
“Ti ricordi la strada o ti serve una piantina?” – scherzò lei.
“Tutto quello che mi serve ce l’ho in braccio.”
Laney rise.
E Rex fuori a fare l’annaffiatoio…









Il giorno successivo Draco si presentò a tavola con due occhiaie da spavento.
“Che schifo di faccia…” – fu il commento di Astoria. – “… hai delle occhiaie orrende Draco.”
“Tu sì che sai come parlare a un uomo, Astoria.” – fu il commento di Draco che, nonostante il sonno, sorrise divertito.
“Ma papà? Dov’è?” – chiese Ria.
“Tuo padre era parecchio stanco.” – disse Minerva, mentre intavolava il burro. – “Ieri sera è rimasto fino a tardi per aiutare gli altri a sistemare le tavole.”
Hermione, seduta al proprio posto, mescolava il caffelatte in silenzio.

Anche lei come Draco aveva due occhiaie da paura per il semplice motivo che non aveva dormito. Aveva speso ogni minuto della nottata a ripassare, fotogramma per fotogramma, quel bacio mancato. Di tanto in tanto chiudeva gli occhi e riviveva la scena nella mente, riuscendo a sentire ancora quel vuoto nello stomaco.

Draco, invece, aveva pensato alle parole di David.
Non riusciva davvero a crederci. Chissà che gli avrebbe detto una volta arrivato.
“Chiedo scusa…” – disse Draco, catturando l’attenzione dei presenti. – “… oggi verrà un mio d…” – stava per dire dipendente, ma all’ultimo si corresse. – “… amico perché deve portarmi alcune carte. Ho dato il vostro indirizzo, spero di non aver fatto male.”
“Non ti preoccupare.” – disse Minerva.
“Grazie.”

La colazione fu chiacchierata, tranne per Hermione che avrebbe tanto voluto chiedere a Draco delle spiegazioni ma non osava, perché non ne aveva il coraggio. Temeva ciò che poteva dirle, così scelse di rimanere nell’ignoranza.

“Tieni.” – disse Neville, porgendo a Hermione un bicchiere d’acqua.
“Non ho sete…” – disse la riccia, perplessa.
“Lo so, ma credevo che con tutto il tuo parlare ti si fosse seccata la lingua.”
La riccia alzò gli occhi al cielo e sorrise.
Quella piccola battuta riuscì a stemperare un po’ quella leggera tensione.
Beh, oltre a ripensare alle parole di David, Draco ripensò anche al bacio che avrebbe voluto dare a Hermione.


In quel mese abbondante in cui aveva soggiornato a casa dei genitori di Hermione, aveva avuto modo di conoscere meglio la ragazza. Aveva notato come in molti ragazzi la guardassero con il desiderio negli occhi ma aveva anche visto come quel desiderio svanisse come neve al sole quando passava, per caso, una ragazza più bella di lei.

Forse era il fascino dei soldi.

Si era detto che anche Pansy doveva aver subito lo stesso influsso, perché quando aveva iniziato ad aver problemi, lei lo aveva abbandonato alla velocità della luce.
C’era mai stato un momento di amore vero tra di loro? E le persone che lui, per anni, aveva definito “amici”, lo erano mai stati veramente? No.
Niente di tutto ciò.
E Hermione lo aveva anche previsto. Gli aveva detto che nel momento in cui si sarebbe trovato ad aver bisogno di qualcuno, nessuno sarebbe stato lì a tendergli la mano a meno che non vi fosse un tornaconto personale.
Che stupido. Come aveva fatto a vivere di menzogne fino a quel punto?
E ora tutto era perso…

“Minerva scusi…”
“Sì?”
“Non è che potrei usare il computer una mezz’oretta?”
“Sì, certo.”
“Grazie. Scusate.”
Draco si alzò e andò al computer. Voleva vederci un po’ più chiaro in tutto quel casino e forse Internet poteva aiutarlo. Accese il pc e sul motore di ricerca digitò “Malfoy Home”.
Il primo sito che gli apparve diceva:

“Malfoy Home dal 1902… ora Nott Home…”

Solo quello gli fece drizzare i capelli in testa.
Nott Home? Ma stavano scherzando?!?
Aprì il sito che, alla fine, era un sito di gossip – in quei casi erano i più affidabili – dove si diceva che la Malfoy Home era stata cambiata in Nott Home e che l’azienda non navigava in buone acque. L’azienda era in perdita, così come la sua organizzazione. Lesse delle numerose dimissioni e licenziamenti e di come Nott stesse sperperando ciò che lui, suo padre e suo nonno avevano faticosamente guadagnato.
Si portò una mano sulla fronte per lo sgomento.
“Qualcosa di interessante?” – chiese Hermione, spuntatagli alle spalle.
Draco si girò di scatto.
“Leggi un po’.”
Hermione si chinò su di lui e rimase sbigottita.
“Ma… Nott non era un tuo socio?” – chiese, girandosi verso di lui.
Fu peggio che ricevere una badilata sui denti.

Tornarono di nuovo faccia a faccia, forse un po’ troppo vicini.
“Sì…” – rispose Draco, catapultato indietro nel tempo alla sera prima dove si trovavano praticamente nella stessa posizione.
Il pomo d’Adamo non ne voleva sapere di stare fermo e Hermione indossava profumo di pulito.

D’altro canto la ragazza non era messa meglio.
Non riusciva a staccare gli occhi da quelli di Draco. Sembrava aver notato solo in quel momento la loro particolare tonalità. All’inizio le erano sembrati azzurro chiaro ma ora che li aveva a distanza ravvicinata, comprese che non erano azzurri, ma grigi.

Forse non era il caso di baciarla lì, con la famiglia ancora riunita in sala da pranzo per la colazione, con il padre che poteva vederli da un momento all’altro e gridare “allo stupro!” o peggio, averli lì tutti insieme ma troppa era la tentazione di baciarla talmente tanta che decise di farlo, in barba alle conseguenze.

Hermione era nella stessa condizione della sera prima: da una parte voleva andarsene mentre l’altra la teneva ben ancorata a terra in modo che non muovesse un muscolo.
A pochi centimetri…

“Draco?”
La voce di Minerva riuscì a farli scattare a molla, all’indietro.
Hermione, per lo meno. Draco invece era nella stessa posizione e nella bocca lo stesso sapore di delusione della sera prima.
“Credo sia arrivato quel tuo amico.” – disse Minerva, entrando in quel momento. – “Ho forse interrotto qualcosa?” – chiese la donna, avvertendo una strana atmosfera aleggiare nell’aria.
“No.” – disse Draco.
“Stavamo solo leggendo un articolo su Internet.” – disse Hermione.
“Ah, comunque sia è arrivato.” – disse la donna, levando le tende.
Rimasero di nuovo da soli.
“Hermione…” – tentò lui.
“Andiamo da David.” – suggerì lei.




“Ciao David!” – salutò Hermione con un sorriso. – “E’ un po’ che non ci si vede.”
I tre avevano preso posto al tavolo da pranzo e la famiglia Granger andò per i propri affare per lasciarli liberi di parlare.
“Già…” – rispose l’uomo, a disagio.
“Ti offro qualcosa?”
“No, grazie. Sto bene così.”

Gli sembrava brutto accettare qualcosa dalla persona che lui stesso aveva danneggiato.

“Ok.”
Cadde un lungo attimo di silenzio. David non sapeva proprio come iniziare il discorso e Draco non sapeva come fare per introdurlo. Aveva così tante domande che non sapeva da quale iniziare.
“Allora… credo che quello che ho da dire non vi piacerà.”
“Vi lascio soli.” – disse Hermione, credendo che la cosa riguardasse solo Draco.
“N-no Hermione… devi sentire anche tu.”
La riccia si scambiò uno sguardo perplesso con Draco ma ugualmente rimase lì ad ascoltare. I due notarono il disagio di David ma non lo forzarono. Rispettarono e aspettarono i suoi tempi.
“E’ iniziato tutto quando Pansy ti ha chiesto quella rivista.”
Hermione sollevò un sopracciglio. Solo quella frase aveva scatenato in lei una bufera di domande e dubbi.

E così iniziò un racconto che ebbe dello straordinario.
David raccontò ogni singola cosa che Pansy gli aveva chiesto di fare: la simulazione di furto nel suo ufficio, i bilanci sfalsati, le copie inviate a John Cook e… e del fatto di aver dirottato tutte le mail dal computer di Pansy a quello di Hermione. Era Pansy che teneva i contatti con le persone che erano state pagate per boicottare la Malfoy Home negli anni e lei, con queste persone, si scriveva regolarmente come se fossero stati amici di penna. Inviava e riceveva istruzioni su cosa fare o come farlo e tutto questo scambio di informazioni venne fatto deviare sul computer di Hermione per far sembrare lei la colpevole.
David raccontò anche di Nott, dei suoi precedenti fallimenti e di come fosse riuscito a tenerli nascosti solo grazie alle stesse persone con le quali era in contatto per danneggiare Draco e la sua ditta.

Hermione aveva le mani a coppa sulla bocca praticamente dall’inizio del racconto che durò un bel paio di orette. David era veramente mortificato per ciò che aveva fatto ma quando aveva iniziato a vedere i suoi colleghi venire licenziati perché Nott non aveva i soldi per pagarli – perché sperperava il denaro in spese inutili – gli erano venuti così tanti sensi di colpa perché con molti di essi intratteneva rapporti anche fuori dal lavoro. Li conosceva, conosceva la loro situazione familiare e come lo stipendio della Malfoy Home li aiutasse a vivere decentemente.

“… so-so che non ho scusanti per quello che ho fatto ma davvero… non ce la facevo più a tenermi tutto dentro.”
In quel momento Hermione venne colpita da un flash.

Era quel famoso venerdì della partenza per l’America.
Hermione aveva voluto pranzare con i colleghi del magazzino, solo che aveva dimenticato la borsa in ufficio ed era tornata indietro a prenderla.
Una volta arrivata lì, però, ad attenderla vi erano David e Pansy. Il primo era intento a smanettare al suo computer, l’altra era in piedi che sembrava controllare ciò che stava facendo.

“David… che ci fai qui?”
“Ciao Hermione. Ti stavo sistemando la banda dati di Internet.”
“Ah, perché?” – chiese lei.
“Di tanto in tanto controllo che la velocità di trasmissione dati non cali o non cresca eccessivamente e ho notato che nella tua è troppo bassa. Hai notato rallentamenti quando usavi Internet?”
“Beh sì, ma pensavo fosse normale che ogni tanto ci fossero dei crolli.”
“No, qui avete un contratto per tot MB. Se non ti secca, adesso te li sistemo, ok?”
“No, no, va benissimo, anzi! Grazie. Beh, ti lascio, io vado a pranzo. Ciao David, signorina Parkinson.”
“Ciao Hermione.”

Sul momento aveva ritenuto più che strano quel confidenziale saluto ma non vi aveva dato peso perché stava per partire alla volta dell’America con Draco che non si era abbassato a spiegarle i dettagli di quel viaggio. E poi era in ritardo per il pranzo e aveva fame.

“Allora il giorno che io dovevo partire per l’America tu stavi manomettendo il mio computer!” – esclamò, scattando in piedi.
David abbassò lo sguardo, ammettendo così la sua colpa.
“Ma io ti ammazzo!” – urlò Hermione, salendo sul tavolo in uno scatto che spaventò i due.
Draco riuscì a prenderla per le caviglie e a tirarla indietro, trattenendola per la vita mentre lei si dimenava come un’ossessa per sfuggire a quella morsa d’acciaio e uccidere quello stronzo!
Ripensò a tutti i dolci che gli aveva portato perché era riuscito a sistemarle il computer!
“Hermione calmati!” – ordinò Draco, rimanendo inascoltato.
David, scattato in piedi a sua volta per evitare di morire per davvero si tenne a debita distanza, non sapeva come rispondere. Hermione ne aveva tutto il diritto di comportarsi in quel modo.
Attirati dalle urla della figlia, la famiglia rientrò in casa e allibì nel trovarsi Hermione tra le braccia di Draco che si dimenava in direzione di quel David.
“Hermione!” – esclamò Scott.
“Fuori tutti!” – urlò. – “Se devo ammazzarlo non voglio testimoni in giro! Ma come hai potuto farmi una cosa del genere? E tutto per un paio di gambe aperte?”
Nessuno, ovviamente, comprese le parole di Hermione.
“Hermione calmati!” – esclamò il padre.
Draco invece non riusciva più a tenerla. Aveva una forza assurda!
“Hermione mi dispiace…” – sussurrò l’altro.
“Ti-ti dispiace?” – esclamò, attonita. – “Per colpa tua mi credono un Giuda! Infilateli su per il culo i tuoi dispiaceri, stronzo!” – urlò.
Draco le mollò uno strattone.
“Calmati, calmati!”
“Non dirmi di stare calma, tu!” – esclamò. – “Alla fine hai visto che la verità è venuta fuori? Hai visto che non sono stata io a rovinarti l’azienda?”
Daphne tirò le labbra. Ahia…
“Hermione…” – iniziò Ria. – “… ma che boiate stai dicendo?”
La ragazza riuscì a staccarsi da Draco.
“La verità. Cosa che qualcuno qui dentro ha sempre cercato di non voler vedere!”
Compresero che la questione ora si era spostata tra Draco e Hermione e tutti se ne chiesero il perché.
E Draco comprese che era venuto il momento di dire la verità, anche se aveva sperato di farlo in altre circostanze, in un’atmosfera più calma e rilassata.
“E io ho perso il conto di tutte le volte che mi sono scusato, ormai.”
Hermione si girò e scosse la testa. Quella ferita non si era mai chiusa del tutto.
“Qualcuno vuole spiegare anche a noi?” – chiese Neville.
“Draco è… era il proprietario della Malfoy Home.” – spiegò Daphne che catturò tutta l’attenzione. – “E’ lui che ha licenziato Hermione.”
Dopo un attimo di sgomento iniziale, Ria portò le mani chiuse a pugno sui fianchi – poteva essere un bel ragazzo ma aveva fatto star male sua sorella e questo non lo poteva tollerare – Neville, Kevin e Scott sollevarono in sincrono il sopracciglio.

Hermione non voleva che la verità venisse fuori in quel modo ma era così arrabbiata che aveva parlato senza pensare ancora una volta.
Sapeva che Draco era cambiato, che aveva rivisto parecchie delle sue priorità e non era giusto, ora, accusarlo di cose passate. Certo, ancora se pensava al torto subito stava male, ma in quel mese e mezzo Draco aveva abbondantemente ripagato il suo debito.
Accusarlo in quel modo era stato da vigliacchi.

In quel mese Draco aveva messo i fatti tanto richiesti da Hermione.

David naturalmente non capì niente di ciò che stava succedendo, ma fu sollevato di non essere più al centro dell’attenzione.

“Credo sia il caso che me ne vada.” – disse l’uomo.
“Cosa…” – esalò Hermione, terrorizzata non solo da quella possibilità, ma di essersi comportata due volte peggio di Draco.
“Avrei voluto parlarvene di persona, con più tranquillità, ma… evidentemente doveva andare così. Sì.” – chiarì Draco, alzando il volto. – “Io sono Draco Malfoy, l’ex titolare della Malfoy Home. Hermione ha lavorato per me per due anni, ma solo negli ultimi mesi, da Settembre circa, ho potuto verificare quanto efficiente fosse nel proprio lavoro.”
Hermione si sentì sempre peggio.
“Lei è la lavoratrice che ogni azienda vorrebbe ma che io non ho saputo apprezzare veramente.”
La riccia non sapeva cosa dire.
“Ma nonostante avessi potuto vedere con i miei stessi occhi la lealtà e l’onestà che ha messo nella mia azienda, al primo cenno di esitazione l’ho cacciata, accusandola pubblicamente di avermi danneggiato.”
I presenti non seppero che dire.
Draco stava descrivendo un lato di sé che nessuno credeva potesse possedere, perché avevano conosciuto un ragazzo volenteroso e disponibile al lavoro. Era come se stesse parlando di un’altra persona.
“Volevo parlarvene in un’altra situazione, ma…” – lasciò la frase in sospeso.

La sensazione di sollievo che aveva provato nel confessare quel suo segreto fu qualcosa che ebbe il potere di alleggerire il mattone di colpa che avvertiva ogni volta che doveva dire a Scott o alla sua famiglia una mezza verità sul suo passato.
Ora finalmente le bugie erano finite.

“Vado a preparare le mie cose. Permesso.”
Draco uscì dalla casa, sentendosi improvvisamente di troppo.
Nella stanza calò un silenzio che mai si era sentito in quelle quattro mura. Hermione osservava con l’aria di un cucciolo bastonato la figura di Draco che lentamente si allontanava da lei.
“Hermione…” – iniziò Scott. – “… perché non ci hai detto niente di Draco, di chi era in realtà?”
“Io…”
Perché non aveva detto niente?
Probabilmente se l’avesse fatto suo padre non lo avrebbe aiutato a rimettersi in piedi, non gli avrebbe dato un lavoro e lei… lei non avrebbe avuto modo di conoscerlo veramente.
Era forse questo che voleva davvero? Conoscere sul serio Draco Malfoy?
“Eppure sembrava una persona così a posto…” – borbottò Neville, pensoso. – “… si era dimostrato un buon lavoratore fin da subito e non l’ho mai sentito lamentarsi.”

Prima coltellata.

“Sì. A me invece ha aiutato molto a sistemare i conti. Non riuscivo a capire come facesse un semplice contabile a risolvere così in fretta i problemi… ma lui c’è riuscito. Adesso ho capito perché.” – disse Kevin.

Seconda coltellata.

“Draco avrà sbagliato, ma in queste settimane ha dimostrato di essersi pentito del suo gesto nei tuoi confronti Hermione e vi ha posto ampiamente rimedio.” – disse Daphne, che conosceva tutta la storia.

Terza coltellata.

“Rivangare il passato non è mai una buona cosa.” – concluse Scott. – “Soprattutto rinfacciare le cose alle persone.” – la rimproverò. – “Il Draco che conosco io è una persona a modo, rispettosa e precisa sul lavoro. Hermione…”
Suo padre era dannatamente serio ed era certa che sarebbe giunta la quarta coltellata. – “… il passato è passato.” – disse.
Hermione lo guardò con gli occhi sbarrati.
“Bisogna guardare avanti o si rischia di ammalarsi.”

Ed ecco la quarta coltellata.
Ormai Hermione assomigliava a un puntaspilli.

“Draco si è dimostrato un valido aiuto per la ditta Hermione.” – disse Scott. – “Per favore va a parlargli e chiedigli di rimanere. E scusati.” – precisò.
E Hermione seppe che quello era un ordine.




A capo chino, Hermione si diresse verso la dependance dalla quale sentiva provenire delle voci.
David e Draco.
Chiuse gli occhi. Se pensava a quel tradimento… non riusciva a capacitarsene! Come aveva potuto farle una cosa simile?
Era di fronte alla porta, pronta per bussare, quando questa si aprì, rivelando la figura di David con la testa rivolta all’indietro, che parlava ancora con Draco.
“… la terrò costantemente aggiornato, signor Malfoy.” – quando David si girò per poco non gli prese un colpo.
Uscì celermente a capo chino e Hermione si fece da parte. Non voleva nemmeno toccarlo.
Entrò in casa e chiuse la porta alle spalle, rimanendovi appoggiata contro.
Draco alzò per un attimo lo sguardo, ma poi lo riabbassò e continuò a mettere via le sue cose.

“Non hai delle consegne da fare?” – le chiese.
Hermione sentì una lacrima scenderle lungo la guancia. La scacciò subito.
“Forse più tardi.”
Avvertita una voce strana, Draco sollevò lo sguardo e la vide mentre cercava di asciugare le lacrime. Beh, era troppo tardi adesso.
“Tranquilla, vado via subito.” – la rassicurò.
Ora o mai più, Hermione, si convinse la riccia.
“Dove?” – s’informò lei.
“Non so, forse in un albergo.” – disse. – “Qualcosa troverò.”
Si sentiva davvero pessima.
“E se io… e se io non volessi?” – chiese in un sussurro che, nel silenzio della dependance, si udì perfettamente.
“Se tu non volessi cosa?” – chiese.
“Che… che tu te ne vada.” – alzò timidamente lo sguardo su di lui ma lo riabbassò subito.
Non aveva mai avuto un ragazzo e non sapeva se stava dicendo le cose giuste.
Draco si alzò, interessato al risvolto della conversazione. Non che avesse detto di volersene andare solo per metterla alla prova, ma lui di passi in avanti ne aveva fatti ben due: adesso toccava a lei dimostrargli qualcosa.
Qualsiasi cosa.
“Perché dovrei rimanere?” – chiese, con un maglione in mano.
Uno dei tanti che Hermione gli aveva comprato.
“Dammi una sola ragione per rimanere qui.”
Mio padre dice…”
“Tuo padre.” – ripeté Draco, indeciso se mettersi a ridere o arrabbiarsi.
E Hermione comprese di aver detto la cosa sbagliata.
“Draco io…”
“Senti, finiamola qui. Qualsiasi cosa sia.” – disse, tornando a mettere via le proprie cose con maggior convinzione.
Hermione non sapeva cosa fare. Che si faceva in quelle situazioni, di solito? Accidenti a Daphne!
Così scelse l’onestà.
“Ma è proprio questo il punto, non capisci?” – chiese lei, indispettita.
Draco si alzò di scatto. Aveva pure il coraggio di arrabbiarsi? Lei?!
“Onestamente no. E poi tu non eccelli proprio in materia di chiarezza, se devo essere onesto.”
Hermione sospirò pesantemente.
“Ci sono cose di cui non posso parlare.”
“Non puoi? O non vuoi?”
“Non giocare con le parole Draco.”
“Io non sto giocando Hermione, forse è questo che ti sfugge!” – disse, gesticolando. – “Non puoi dirmi certe cose come “lei non è mia madre!”…” – disse, ricordando lo scoppio della sera prima in camion. – “… e poi pretendere che io non mi ponga delle domande o che le faccia a te per cercare di capire!”
Beh, non aveva tutti i torti…
“Se non ti senti pronta per raccontarmi i tuoi segreti, lo capisco!” – disse. – “Ma almeno con te stessa dovresti essere onesta! Onesta in quello… in quello che provi almeno…” – concluse, con un sospiro amaro e sì, imbarazzato.
Non era abituato a parlare in quel modo a una ragazza.
“Ho bisogno di tempo…” – disse lei, sentendosi infinitamente ridicola e stupida per avergli chiesto una cosa del genere.
Draco rimase in silenzio per un periodo abbastanza lungo, tanto che Hermione pensò che fosse tutto finito.
Alla fine lo sentì sbuffare, ma non sembrava infastidito.
“La cosa ridicola è che sono disposto a dartelo…” – disse, dandosi dell’idiota da solo.
Hermione alzò lo sguardo di scatto.
“Davvero?”
“Già…” – disse Draco, sedendosi sul letto a capo chino.
Hermione si avvicinò lentamente e gli si inginocchiò davanti. Gli mise una mano sulla guancia. La barba le solleticava il palmo.
“Una cosa alla volta Draco.” – gli disse.

Gli chiese.

Lui la guardò. Era serio.
“Che ti ha detto David?”

Draco soppesò la risposta. Gli aveva chiesto del tempo e lui era stato disposto a concederglielo; aveva detto una cosa alla volta e lei aveva scelto di risolvere per primo la gatta della sua società.
Che lo facesse perché voleva che lui riprendesse ciò che era suo o perché voleva rimandare il più possibile la questione non era importante. Draco pensò che forse era meglio risolvere tutti i problemi che aveva in relazione alla Malfoy Home per potersi dedicare mente e corpo a Hermione.

E cuore.




I due rientrarono in casa, dove vi era l’intera famiglia attorno al tavolo ad aspettarli. Quando entrarono calamitarono su di sé l’attenzione.
“Draco rimane.” – disse Hermione.
“Mi fa piacere.” – disse Minerva. – “Hermione tu devi fare le consegne, vero?”
“Sì, credo che partirò tra poco. Vuoi… vuoi venire con me?” – chiese la riccia a Draco.
“Sì, certo.”
“Ok. Io vado a cambiarmi.”
Draco rimase da solo con la famiglia di Hermione.
“Draco Malfoy.” – disse Scott. – “Quel Draco Malfoy…”
“Già.” – disse Draco, ancora imbarazzato.
“Non ci saranno altri colpi di scena o bugie, vero Draco?” – chiese Scott, come monito.
“No Scott.”
“Bene. Allora preparati anche tu. Signori, si torna in pista.” – disse Scott.
Astoria e Marika rimasero a casa mentre Daphne salì in camera per prendere un giacchino – il tempo non sembrava essere molto clemente – e andare ad aiutare gli altri.

Mentre saliva le scale, Daphne sorrise.
Hermione si stava lentamente aprendo con Draco ed era un bene.
Voleva solo la felicità della sua sorellina.









Il tempo passò e arrivò Maggio che, oltre ad aver permesso all’Inghilterra di vedere il sole, fu il mese in cui Draco iniziò il suo percorso per riprendersi l’azienda di famiglia senza trascurare quella di Scott.

Lui e Hermione avevano raggiunto un buon equilibrio ma Draco sapeva che c’erano ancora dei segreti tra loro, segreti che da come li trattava Hermione, sembravano avere il potere di spaccare le fondamenta della terra e inghiottire tutti in un buco nero. Non aveva più riprovato a baciarla non per mancanza di voglia, ma perché le informazioni che David gli passava costantemente sull’azienda lo tenevano occupato per la maggior parte del tempo.
Anche Hermione.

La riccia si era messa di lena per aiutarlo a riprendersi ciò che era suo, sperando così di veder affondare Pansy Parkinson nella merda dalla quale era uscita. Beh, lo scopo di Hermione era molto meno nobile di quello di Draco ma al biondo non interessava: lui avrebbe riavuto la sua azienda e Hermione la vendetta che aveva sempre tanto desiderato.
E tutti sarebbero stati felici e contenti.




In quei tre mesi, Draco aveva continuato a notare che Hermione, per tre giorni al mese, era di umore nero e nonostante avesse cercato di farsi dire che cosa stava passando, nessuno sembrava volergli dare una risposta chiara.

Si era creato un alter ego che gli permettesse di muoversi nel mondo dell’Economia Aziendale senza destare sospetti, ma soprattutto per impedire a Nott di prendere misure per agire contro di lui.




Era Maggio inoltrato e le giornate si erano allungate che era un piacere.
Le magliettine leggere avevano sostituito i maglioni coprenti e le gonne, i pantaloni di lana, quindi alla Granger’s Transports c’erano molte paia di gambe scoperte che cercavano di far colpo su un certo biondo.
Draco, vista la stagione estiva, aveva il doppio del lavoro con il trasporto degli alimenti. Le consegne dovevano partire presto e arrivare ancora prima e quindi non aveva il tempo di perdersi a guardare le ragazze dalla vita in giù.

Ma nonostante il lavoro, il tempo per pensare alla Malfoy Home lo trovavano sempre sia lui, sia Hermione.
Lavorare nell’azienda di Scott e al contempo elaborare i dati e le informazioni passate da David li aveva legati molto più di quanto avessero potuto immaginare.
La famiglia di Hermione aveva potuto toccare con mano la precisione di Hermione nel suo vecchio lavoro: parlava con Draco di cose che capivano solo loro, contattavano persone a destra e a manca. Scott era allibito quando aveva sentito sua figlia usare un tono da Hitler in gonnella per avere ciò che le serviva.
Un giorno glielo aveva anche chiesto.

“Hermione, perché parli in quel modo con le persone al telefono?”
La riccia, dopo una giornata massacrante al lavoro, si era messa sotto con quello per la Malfoy Home. Rilegava fascicoli, pinzava fogli, ordinava informazioni… il tutto contemporaneamente.
“Qui non siamo a Castle Rich dove tutti conoscono tutti. Qui le persone si fanno in quattro per non mettere le altre nei pasticci ma là fuori è un altro discorso. Se vuoi qualcosa, te la devi prendere senza chiedere.” – disse.
E tornò al lavoro.

Lavoravano letteralmente spalla contro spalla, si passavano carte alla velocità della luce, si scambiavano informazioni su come affrontare una cosa piuttosto che l’altra. In pratica, erano diventati complementari: se lui diceva una cosa, lei l’aveva già fatta, se lei pensava a qualcosa, Draco l’aveva espressa a voce.
Non si intralciavano mai, nemmeno quando dovevano lavorare in una scatola di sardine come poteva essere l’ufficio di Rya, sfrattata dal lavoro perché la pancia iniziava a ingombrarla.
Marika era agli sgoccioli e la maggior parte del tempo la passava sdraiata in camera. Con il caldo, le gambe le divenivano pesanti e non riusciva più a stare in piedi. Per non parlare della pancia che pesava oltre ogni dire.
Avevano affinato la tecnica di collaborazione che aveva portato ad affinare un altro tipo di rapporto: quello personale.

Lui aveva iniziato a preoccuparsi sempre per lei, le rivolgeva sempre una parola carina prima, dopo e durante il lavoro, cercava di farla ridere…
Hermione, dal canto suo, faceva la stessa cosa con Draco: lo aspettava sempre prima di scendere a cena, facevano colazione sempre da soli al mattino, aveva ripreso ad avere quella fiducia che lui auspicava potesse ritornare…

Tutti si erano resi conto di ciò che stava succedendo, ma nessuno aveva mai osato aprire bocca. Era una cosa importante quella che stava succedendo a Hermione e non volevano rovinarla con battutine stupide.

Ma il lavoro, Hermione che aveva un problema non indifferente da risolvere e che stava mentendo a Draco, i due non riuscivano mai a parlarsi veramente, ad esporre i propri pensieri. E quando trovavano il momento, mancavano le parole e quando c’erano le parole, mancava il momento.
Soffrivano entrambi, ma ad occhio esterno, sembrava che nessuno dei due ne risentisse.


I due lavoravano alacremente fino a ore tarde.
Per non disturbare nessuno, Hermione aveva preso le proprie carte e il computer e li aveva trasferiti nella casa di Draco, dove potevano anche urlare che nessuno li avrebbe sentiti.
Stavano discutendo sul fatto che la Malfoy… la Nott Home stava scendendo sotto la soglia minima che un’azienda non dovrebbe mai superare per non finire in guai seri perfino con la legge. Hermione continuava a dirgli di comprare ma Draco voleva aspettare.


“Ma perché? Più in basso di così non può scendere! E se ci va poi non la tiri più su!” – esclamò Hermione.
Era parecchio stanca, aveva mangiato male e in fretta, la giornata era stata pesantissima e l’unica cosa che voleva era solo andare a letto e dormire per tre giorni di fila. Invece doveva rimanere alzata per aiutare Draco a sistemare i conti in sospeso.
Avrebbe tanto voluto evitare quella piccola lite con Draco ma sembrava non fosse possibile.
“Nott ha rilevato la mia società per appena settantamila sterline.” – il ricordo di quanto aveva dovuto svendere la sua società gli fece serrare gli occhi per la stupidità dimostrata nel fidarsi di certe persone. – “Io la ricomprerò ad ancora meno.”
“Quanto meno?” – chiese Hermione.
“Diecimila.”
“Sei sotto la soglia di copertura.” – lo avvisò Hermione, mentre si stropicciava gli occhi.
“La ritirerò su.” – disse Draco, mentre si stropicciava gli occhi.
Hermione si sedette e sbadigliò pesantemente.
Draco le sorrise.
“Sei stanca?”
“No, no. Mi piace slogarmi la mascella.” – frecciò lei.
“Vuoi dormire qui?” – le propose.
Hermione si era già sistemata con il capo sulla scrivania e gli occhi chiusi.
“Non dirmelo due volte…” – disse lei, con voce strascicata.
“Vuoi dormire qui?”
“Sì.” – disse lei, tirandosi in piedi.
Si tolse le scarpe – i vestiti mai!!! – e s’infilò a letto. L’indomani avrebbe sostituito le lenzuola.
Draco ridacchiò ma andò a letto pure lui. Era sfinito e per fortuna che il giorno dopo avevano avuto la mattina libera da parte di Scott, che aveva notato quanto fossero bisognosi di quante più ore di sonno possibili.
Le aveva proposto di dormire insieme, in memoria di quel viaggio fatto a Norwich, dove avevano diviso il letto per quelle due orette in quell’albergo. Era stato bello sentirla tra le sue braccia, anche se allora non aveva ancora ben chiaro cosa stesse nascendo in lui, e ora, che invece sapeva cosa gli stava succedendo, poteva riprovarlo.
Si accoccolò accanto a lei e si addormentarono abbracciati.









Calli-corner:

Quando la tecnologia ti scassa le balle anche quando non dovrebbe.
Finalmente Draco prende il coraggio di baciare Hermione e Hermione sembra alquanto collaborativa, ecco che suona il telefono.

David Linch, il tecnico informatico della Malfoy Home che ha recato danno non solo all’azienda ma a Hermione stessa.

Dunque ecco spiegato il suo scoppio d’ira.
Fossi stata in lei, avrei dato una ginocchiata nelle palle di Draco perché mi mollasse e avrei ucciso quello stronzo che mi aveva fatto licenziare.

Ed ecco che l’intera famiglia viene a sapere di Draco e della Malfoy Home.
Un primo mistero è stato risolto, anche se ce ne sono degli altri in vista.
Hermione è costretta dalla sua famiglia a fare i conti con Draco, perché nonostante lui abbia trattato male la ragazza, a casa loro si è sempre comportato bene e Daphne, che sapeva tutta la storia, ha potuto toccare con mano il cambiamento del biondo.
Hermione gli chiede tempo, perché ha bisogno di capire come affrontare certi discorsi ma preferisce risolvere prima la gatta della Malfoy Home per avere la mente libera da ogni preoccupazione.

Il tempo passa e con David che sta cercando di porre rimedio ai suoi errori, che passa a Draco tutte le informazioni per riprendersi l’azienda e mandare Pansy e Nott in galera, i due non hanno modo di parlarsi perché sono costantemente impegnati con il lavoro all’azienda di Scott e quando tornano devono analizzare le informazioni di David.

Beh, che dire?
Ve ne ho date di informazioni in questo capitolo!
Vediamo cosa vi suggerisce lo spoiler…

“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi.” – disse lei, soffiando sul tea bollente.
“Se non sono indiscreto…”
Quelle parole ebbero il potere di riscuotere Hermione dai suoi pensieri e far si che la sua attenzione si posasse su Draco.
“… posso sapere perché Neville e Daphne non hanno figli?”

Secondo voi, cosa accadrà nel prossimo capitolo?
^___^

Bacionissimi!
callistas

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Capitolo 15
*** Verità Nascoste 1 ***


15 - Verità Nascoste 1 Devo dire che è la prima volta che mi capita e onestamente non è una bella sensazione.
So perfettamente che questa storia non è al livello di Verità Nascoste – oddio, non che io possa dire cosa sia ad un livello superiore e cosa no – perché l’ho scritta più per diletto e perché stavo ancora sistemando quella che posterò dopo questa.
Ora, la mia nuova storia è finita – un’ultima occhiata e poi la posterò – e sento l’odioso impulso che mi dice di cancellare questa e postare l’altra.
Giuro: è la prima volta che mi succede ed è bruttissimo.

Rimane il fatto che non cancellerò questa storia, perché sono troppo affezionata ai vostri commenti per perderli in questo modo, ma a volte ho la voglia di postare l’ultima parte tutta in blocco.

Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!!!
*pernacchia*

Non lo farò mai!

Comunque sia, a parte questo piccolo sfogo, vi lascio alla lettura di questo capitolo, dove riusciremo a capire qualcosa di più di Daphne e di Hermione.

Come al solito vi aspetto sotto.


Buona lettura,
callistas









“Maledizione!” – tuonò un uomo dai capelli neri. – “Siamo scesi ancora!”
“E’ colpa tua!” – esclamò la sua compagna di letto. – “Non dovevi accettare quell’affare!”
“Ma sta zitta, Pansy! Fin quando ti andava bene da spendere soldi era un affarone, vero?”
Pansy si morse il labbro. Forse Theodore era veramente bravo solo a parlare, mentre a fatti era un vero e proprio disastro. Ora come ora non sapeva se aveva fatto bene a tradire il biondo per mettersi con uno che di affari ne capiva meno di zero.
“Ora devo vedere cosa fare.”
“Vendi, prima che sia troppo tardi!” – disse la donna, preoccupata.
Se vendevano adesso, c’era una buona probabilità di avere soldi a sufficienza per passare bene il futuro.
Avevano un buon compratore per le mani e Pansy non voleva rischiare di perderlo perché quell’altro era più testardo di un mulo!
“Non dire cazzate! Non venderò mai!” – s’impuntò l’altro.
“Non fare lo stupido! Se vendiamo adesso, abbiamo la possibilità di non fare una vita da morti di fame!”
“HO DETTO DI NO!” – tuonò Theodore, battendo i pugni sulla scrivania e facendo sobbalzare la donna.
“E allora arrangiati! Non intendo finire a fondo con te!”
“Credi sia così facile?” – chiese Theodore, che non era uno sprovveduto fino in fondo.
“Cosa vuoi dire?”
“La firma sui conti ce l’hai anche tu. Tu hai speso i soldi derivanti dagli affari per comprarti le macchine e i vestiti lussuosi, quindi se affondo io affondi anche tu!”
“Bastardo…” – sibilò Pansy, evidentemente preoccupata.


Alla fine, alla Nott Home, erano rimasti solo pochi impiegati, quelli che percepivano uno stipendio base. Quelli che avevano raggiunto gli scatti di anzianità, i premi produzione, i premi fedeltà per gli anni passati in azienda, o si erano dimessi per come vigeva lo stato in ditta, o per le pressioni che subivano dallo stesso Nott o erano stati licenziati senza tante remore solo perché percepivano un salario troppo alto che Nott non riusciva più a pagare. Erano rimasti, per l’appunto, dipendenti che di ciò che facevano i colleghi più anziani non sapevano niente perché non rientrava – giustamente – nelle loro mansioni e nessuno era tenuto a imparare quelli altrui. La Nott Home stava affondando, e anche abbastanza velocemente, anche per quel motivo: i pochi sopravvissuti sbagliavano continuamente le fatture, i calcoli delle provvigioni, il fatturato… tutto perché non erano stati debitamente istruiti sul da farsi e perché, in soldoni, Nott non era in grado di dirigere un’azienda.
Il malcontento era ai massimi vertici e Nott non se ne curava. A breve si sarebbe ritrovato una schiera di avvocati dei sindacati per dare ai dipendenti ciò che da mesi lui non dava più: lo stipendio.


“Sarò anche un bastardo tesoro… ma godevi quanto ti scopavo.” – disse, non molto finemente.
Pansy lo odiò. In quel momento lo odiò profondamente.
Draco non le avrebbe mai parlato in quel modo così volgare. Solo allora si rese conto del madornale errore che aveva fatto e tutto perché non era stata sufficientemente attenta in ciò che faceva, troppo accecata dal fatto che poteva spendere tutti i soldi che voleva senza badare a spese.
E ora ne pagava le conseguenze.
“Domani inizia a dare un’occhiata alle fatture delle provvigioni.” – disse lui, sbrigativo.
Pansy lo guardò sbigottita.
“Che vuoi dire?” – chiese.
Nott la squadrò con sufficienza. Per lui era stato molto più importante soffiare l’azienda e la fidanzata a Draco più per sfida personale che per reale interesse.
Almeno per quello che riguardava Pansy.
“Sei sorda oltre che puttana?”
Un singhiozzo indignato le uscì dalla gola.
“Ti ho detto di fare le fatture per le provvigioni.”
“Vuoi… vuoi mettermi a lavorare? Ho capito bene?”
“Almeno di sano hai ancora le orecchie.” – disse Theo, divertito. – “Sì, ti metto a fare le fatture. Qualche problema?”
“Io non faccio le fatture!” – esclamò, indignata dalla possibilità di dover lavorare sul serio per la prima volta in vita sua.
“Beh, comincerai adesso. Ora va. Ho altro da fare che stare a sentire le tue lagne.”
Pansy uscì dall’ufficio, sbattendosi la porta alle spalle.

Ma come osava trattarla in quel modo? Dopo tutto quello che aveva fatto per lui?

Theo invece stava pensando al perché la Nott Home stesse così miseramente fallendo.
Non riusciva davvero a rendersi conto che lui non era mai stato in possesso di quel sesto senso che Draco, Lucius e Abraxas invece avevano. Avevano fiuto per gli affari ma soprattutto… facevano il passo commisurato alla lunghezza della gamba. Theo invece si buttava a capofitto nelle situazioni senza vagliarne i pro e i contro.
E ora doveva scendere dalla giostra.









Hermione si svegliò perché sentiva qualcosa tra i capelli.
Quando riuscì a scollare un occhio, vide la mano di Draco che continuava a pettinarle quei ricci che lei tanto odiava con un sorriso placido sulle labbra. Non riusciva mai a farli stare come voleva! Un giorno o l’altro si sarebbe rasata la testa!
“Che stai facendo?” – chiese, con la bocca ancora impastata.
“Cerco di dare una forma ai tuoi capelli.” – scherzò l’uomo.

Draco si era svegliato circa una mezz’ora prima e il primo istinto fu quello di baciarla. Si sentiva molto preso dalla ragazza e aveva approfittato di quel suo momento di totale abbandono per toccarla.

“Auguri allora. Com’è che non ti facevo così spiritoso?” – chiese Hermione, con gli occhi comunque chiusi intenta a godersi quelle carezze.
“Ci sono tante cose che non sai di me.” – disse lui.
“Le scoprirò.” – disse lei, ancora mezza intontita dal sonno.
La mano di Draco si fermò e lui stirò le labbra in un sorriso. Forse al detto “in vino veritas” avrebbe dovuto aggiungere “in somnium veritas”.
Lentamente la donna iniziò a svegliarsi. Peccato: si stava bene lì. Si alzò ma un lembo della camicetta le scivolò sulla spalla. Veloce lo riportò al suo posto e agganciò il bottone all’asola.
Draco rimase perplesso ma poi scosse la testa.
Forse ciò che aveva visto era stata solo un gioco di luci e ombre.

Non sapeva dirsi perché, ma scartò l’ipotesi che si trattasse di una cicatrice.




Hermione e Draco entrarono in casa che non c’era nessuno.
Era domenica e quello doveva essere l’ultimo giorno di festa in paese – una festa che era solamente per gli abitanti di Castle Rich – motivo per il quale anche Minerva aveva abbandonato la dimora per andare ad aiutare le altre mogli nei chioschetti.

Buon giorno Hermione,
ho immaginato che vi sareste svegliati tardi, così vi ho preparato direttamente il pranzo. Lo trovi in forno.

Buona giornata.

La prima cosa che Hermione pensò fu che Minerva sotto “buona giornata” non aveva scritto “mamma”. Ricordò che una volta lo scriveva ma poi non lo aveva più fatto.
Scosse la testa per non pensarci.
Minerva comunque aveva fatto bene, perché erano già le dodici e quarantacinque e nonostante si fossero appena svegliati, avevano già fame. Bella fatica… la sera prima avevano cenato al volo!
Gettò il biglietto e iniziò a preparare la tavola.
“Posso chiederti una cosa?” – chiese Hermione, che si alzò sulle punte per prendere i piatti dallo scolapiatti.
“Dimmi.” – disse Draco, che stava sistemando i tovaglioli.
“Vuoi acquistare la Nott Home al prezzo di diecimila sterline. Dove li vai a pescare i soldi?”
Quando vide Draco rabbuiarsi, comprese di aver toccato un tasto dolente.
“Pensavo di chiedere un prestito in banca.”
“E chi ti farà da garante?”
“Ci sto pensando…” – disse lui, rimanendo sul vago.
Nessuno dei due parlò più. Hermione prese ad affettare il pane e tagliare il pasticcio.
“Te li presto io.” – disse la riccia, voltata di spalle.
Draco si girò di scatto.
“Scusa?”
“Ho detto che te li presto io.” – disse mentre impiattava.
“Ti ringrazio, ma non posso accettare.”
Hermione si girò e portò i piatti in tavola.
“Insisto.”
“No. Hai già fatto tanto per me e non voglio invischiarti in questa cosa. Tra l’altro non so neanche se andrà bene, quindi…”
“Ma se ieri sera hai buttato giù un piano militare che Churchill se lo sogna!” – esclamò. – “Che fai? Ti tiri indietro, adesso?”
“No, sono sicuro di ciò che faccio, ma non voglio coinvolgerti più del necessario.”
“Ormai siamo sulla stessa barca.” – disse lei. – “Non tirare su i remi prima del tempo.”
“Sì, ma se va male?”
“Inizia a correre.” – disse lei, semplicemente e buttandola sullo scherzo.
Aveva iniziato a mangiare, con la discussione ormai archiviata sotto la voce “si fa come dice Hermione”.
Draco però aveva sentito lo stomaco chiudersi e la fame gli era passata non per lo sdegno della proposta, ma perché per quanto avesse calcolato tutto nei minimi dettagli, temeva sempre quel particolare, quel contrattempo che poteva guastargli la festa e se ciò fosse accaduto a rimetterci non sarebbe stato solo lui, ma anche Hermione.
Il suo era un gesto molto generoso e che palesava quanto fosse riuscita ad accantonare la storia del tiro mancino che Draco le aveva fatto circa sette mesi prima.
“Grazie.” – sussurrò, prima di cominciare il pranzo.
Hermione gli sorrise complice.


Finito il pranzo, si rimisero sotto a ricontrollare la situazione della Nott Home, notando come nelle prime ore di apertura del mercato, le quotazioni della ditta fossero scese ancora di qualche punto.
“Pazzesco che sia così incapace…” – fu il commento di Hermione. – “… ma come ha fatto a diventare un tuo socio?”
“Me l’aveva proposto uno dei tanti soci della Malfoy Home.” – spiegò Draco. – “Mi fidavo di loro e… sì, lo so a cosa stai pensando.” – disse. – “Anche lì mi sono fidato delle persone sbagliate, ma se tutto va come deve andare, farò Tabula Rasa di tutti che mi stavano intorno a fare i leccapiedi e prenderò gente di cui posso fidarmi.”










Questa sono io. Lo so: sono bella.>


Hermione stava sistemando un raccoglitore relativo alla consegna appena fatta di un arredamento per una famiglia di Liverpool. Solitamente non era una sua abitudine, ma sapeva che a Marika mancava davvero poco per dare alla luce la sua bambina che, con Damian, aveva scelto di chiamare Noemi.
Draco era lì con lei e digitava al computer alcune mail di richiesta ai fornitori di questo o di quell’altro documento per chiudere definitivamente una pratica, quando entrambi sentirono il telefono vibrare sulla scrivania.
Si girarono in sincrono.

Hermione scavalcò un paio di sedie con l’eccitazione tipica di chi leggerà per primo quel messaggio. Man mano che leggeva, un sorriso si levò ad est per finire a ovest.
“Allora?” – chiese Draco, contagiato dal sorriso di Hermione.
“E nata!” – esclamò.
“Davvero? Congratulazioni! Che dice il messaggio?”
Hermione gli piazzò davanti al naso il display del cellulare e anche quando Draco lo lesse, ridacchiò divertito.
“A dieta già da adesso?”
“Questa è Marika di sicuro.” – disse Hermione, che conosceva la cognata come una burlona.
Le mandò un messaggio di felicitazioni, dicendole che sarebbe passata a trovarla più tardi, finito il lavoro.


Fu una giornata abbastanza pesante e sapere che una volta tornati a casa avrebbero cenato letteralmente al volo per rimettersi sotto con la Nott Home non aiutò ad alleggerire lo stato d’animo dei due.
Avrebbero tanto voluto buttare all’aria tutto e dormire per una settimana di fila!


Uscirono dal lavoro alle sei spaccate perché Hermione voleva passare dal fiorista a prendere un mazzo di rose per sua cognata e vedere la piccola Noemi.
“Sei stanca?” – chiese Draco.
Hermione era bellamente svaccata sul sedile del passeggero, con la testa incastrata tra il sedile e il vetro della portiera.
“Un po’…” – mormorò.
Lo era talmente tanto che non aveva nemmeno il fiato per parlare.
“Vuoi che andiamo a letto stasera?”
Hermione lo guardò stranita.
“Scusa?”
“Dicevo… se vuoi stasera possiamo prenderci una pausa. Il grosso del lavoro lo abbiamo fatto.”
“Sicuro?” – s’informò lei.
Draco fece le spallucce. Un po’ di riposo non avrebbe nuociuto a nessuno dei due.
“Sì. Siamo stanchi e in queste condizioni potremmo fare più danni che altro.”
Il ragionamento filava e la prospettiva di fare un pasto decente e un sonno ristoratore Hermione sembrò anticipare le tappe, almeno con la dormita… si appisolò fino ad arrivare dal fiorista.
Draco sollevò le sopracciglia. Era così stanca?
Scosse la testa, divertito e intenerito da quella roccia di ragazza così, approfittando di quel momento di solitudine, Draco pensò a tutto ciò che era successo.
Ancora non riusciva a credere che David avesse boicottato Hermione – e la sua azienda – per le gambe aperte di Pansy. Quella donna non aveva proprio nessun ritegno per se stessa. Però, stando a contatto con la famiglia di Scott, aveva imparato cosa fosse il vero perdono e quanto fosse indispensabile darlo non solo a chi, per lo meno, dimostrava sincero pentimento e il tentativo di porre rimedio ai propri errori ma soprattutto darlo per la pace della propria anima.

Vivere con l’anima rosa dall’odio è una vittoria per chi procura dolore.

Così lo aveva perdonato e subito dopo si era sentito meglio con se stesso.
Hermione, invece, era un altro paio di maniche. Lei non aveva mai fatto del male a nessuno, eppure tutti si sentivano in dovere di farne a lei o, semplicemente, metterla in difficoltà. Il suo unico obiettivo era quello di impegnarsi seriamente sul lavoro in modo tale che le sue qualifiche potessero emergere e invece aveva avuto la sfortuna di incontrare Pansy sulla sua strada.
Come aveva fatto ad essere così cieco?, se lo chiedeva praticamente tutti i giorni. Si chiedeva come avesse potuto solamente pensare che, tra le due, Hermione fosse la bugiarda mentre Pansy quella incompresa da tutti.

Era riuscito a vedere il lato positivo anche quando sembrava che fosse tutto finito.

Fortuna che se ne era accorto in tempo…


Immerso in questi mille pensieri, Draco arrivò dal fiorista. Si girò per svegliare Hermione, ma quando la vide addormentata come un masso, preferì non svegliarla. Scese lui a comprare le rose per Marika. Il gestore aveva dieci tipi di colore e Draco, indeciso, ne prese una per tipo, pagò e si diresse all’ospedale, dove fu costretto a svegliare la donna.

“Hermione? Siamo arrivati.”
La riccia si stropicciò gli occhi e inarcò la schiena.
Draco stava scoprendo parecchi lati nascosti di quella ragazza: sul lavoro era così puntuale e precisa che non avrebbe mai detto potesse atteggiarsi in quel modo.
Hermione aprì gli occhi e si stranì nel trovarsi all’ospedale.
“Ma… ti avevo detto di passare dal fiorista!” – esclamò, quasi delusa.
“I fiori stanno dietro. Li ho presi io.”
Si girò di scatto e guardò perplesso il mazzo di rose variopinto che faceva bella mostra di sé sui sedili posteriori.
“Grazie…” – sussurrò prima di scendere.




La piccola Noemi dormiva mentre tutti – Hermione, Draco e Damian – la divoravano con gli occhi nella culla messa a disposizione dell’ospedale accanto al letto della mamma.
Marika, a sua volta, guardava i graditi ospiti studiare la bambina da ogni angolazione.
“Spero che non diventi una porca come Ria, altrimenti siamo a posto.” – fu l’aulico commento di Hermione che fece ridere di gusto i presenti.
“Non credo che Damian lo permetterebbe.” – disse Marika, guardando di striscio il marito che da quando aveva tenuto in mano quel fagottino rosa per la prima volta si era innamorato di nuovo.
“Ho le mutande di latta in cantina.” – chiarì il papà.
“Ah giusto… quelle che usavi tu quando ti facevi la doccia a scuola…” – frecciò Hermione, divertita.
Damian la guardò storto e Hermione tornò a studiare la nipotina.
“Non ha caldo con la cuffietta?” – chiese, perplessa.
Già lei stava sudando sette camicie.
“E’ per proteggere la fontanella.” – spiegò la neo mamma con un braccio sotto la testa.
“Quando esci?”
“Se tutto va bene mi dimettono sabato mattina e poi…” – si scambiò uno sguardo d’intesa con il marito, della serie “e da sabato ce la cucchiamo noi…”
Rimasero lì ancora per qualche minuto poi se ne andarono per lasciarli godere della loro intimità.


“Certo che hai una bella considerazione di tua sorella Astoria…” – commentò Draco, una volta in ascensore.
“Perché?” – chiese Hermione, con un sorrisetto divertito.
“Le hai dato della porca.” – chiarì Draco.
“E non lo è?” – lo sfidò a ribattere.
Ormai Draco era con loro da cinque mesi e avrebbe dovuto capire che tipo fosse sua sorella.
“Sì, ma…”
“E allora?” – chiese lei, facendo le spallucce. – “E poi scherzavo…”
Le porte dell’ascensore si aprirono e i due poterono tornare alla mcchina.


Come promesso da Draco, Hermione poté mangiare tranquillamente e andare a letto veramente presto per recuperare il sonno arretrato.
Nemmeno Draco disdegnò la cena in tranquillità e un buon sonno ristoratore.









I tempi previsti da Draco per comprare la Nott Home al prezzo stabilito – voleva scendere ancora per non intaccare troppo i risparmi di Hermione ma lei non ne aveva voluto sapere – si allungarono ancora di qualche mese.
Gli serviva del tempo per parlare anche con avvocati, legali e quant’altre persone ancora per vedere se ci fossero state delle irregolarità sull’acquisizione della sua azienda.

Il bambino di Astoria aveva fatto in tempo a nascere, scegliendo il caldo del trentun Luglio e a festeggiare i suoi primi due mesi di vita.
Inutile dire che i nonni sembravano ringiovaniti di vent’anni, perché nonostante quelle nascite fossero una delle tante tappe nella vita dei suoi figli, per Minerva e Scott – lui, soprattutto – erano un viaggio indietro nel tempo.


Quel periodo a casa Granger era servito anche per ben altri motivi.

Innanzi tutto, Draco aveva imparato che non tutto il male viene per nuocere.
Il fatto di essersi trovato dalla mattina alla sera senza un tetto, gli aveva aperto gli occhi su chi era veramente suo amico e, nessuno, a partire da Theodore lo era stato.
L’ultima persona sulla faccia della terra alla quale avrebbe potuto solamente sognarsi di chiedere una mano, ovvero Hermione, si era invece offerta di propria spontanea volontà per aiutarlo a rialzarsi. Non aveva mai chiesto niente in cambio, non aveva mai rivoluto veramente indietro i soldi che all’inizio aveva speso per lui, non aveva chiesto niente, se non fiducia e rispetto, altre due parole di cui, prima di venir cacciato dall’Olimpo dei manager dell’anno, non conosceva il reale significato.
Ora, grazie a Hermione e alla sua famiglia, poteva dire di avere imparato molte cose, in primis a livello umano. Sul lavoro aveva imparato a sporcarsi le mani, nel vero senso della parola: se qualcuno aveva bisogno di spostare una scatola più pesante di un’altra, interveniva lui.

Inutile dire che da quando Draco era arrivato a lavorare per la Granger’s Transport, il personale femminile aveva esibito un repertorio di battutine e di vestiario veramente piccante.
Il clou della venerazione che le donne avevano per lui avvenne quando lui, un giorno d’estate, entrò dalla porta principale con una cassa di legno sulla spalla destra. Indossava solo dei jeans strappati ed era senza maglietta. Aveva aiutato un camionista ad agganciare il rimorchio alla motrice, ma purtroppo i jeans si erano strappati così come la maglietta che, sollecitata dalla massa muscolare delle braccia sotto sforzo, si era ridotta in brandelli. Ignaro di poter scatenare un inferno in terra, Draco se la tolse e la buttò in un cestino.
Comunque… quando entrò tutto sudato con la cassa sulla spalla destra, il reparto femminile della Granger’s Transport ebbe un brusco arresto, per non parlare dei continui errori di distrazione dovuti all’immagine di quel dio a petto nudo.
E nemmeno Hermione era rimasta indifferente di fronte a quello spettacolo…

Altra cosa che Draco aveva imparato era che i bambini gli piacevano.
Quando aveva chiesto a Pansy di sposarlo, lui le aveva prontamente fatto notare che non avrebbe voluto avere mocciosi in giro per la casa, che urlavano e strepitavano per qualsiasi cosa. Forse, questa sua visione non del tutto paradisiaca della prole, derivava dal fatto che tutti i figli dei suoi allora amici erano viziati e capricciosi, sempre soddisfatti dai genitori nelle loro assurde richieste solo perché non disturbassero.
I figli di Marika e Astoria erano invece tutt’altra cosa: nonostante la tenerissima età, sapevano riconoscere immediatamente il tono autorevole dei genitori, per non parlare della coppia stessa che era unita su ogni decisione presa per il bene dei bambini. Marika, Damian, Astoria e Kevin con i loro atteggiamenti e la consapevolezza di avere per le mani una creatura fragile e indifesa gli fecero rivalutare pian piano il desiderio di averne a sua volta.
Ed era in quei momenti che il suo sguardo cadeva su Hermione.

Per non parlare di Scott e Minerva… quei due in compagnia dei loro nipoti subivano una trasformazione incredibile. Diventavano peggio dei bambini stessi! Inutile dire che Astoria e Marika “sbuffavano” di fronte a tutta quella vivacità, ma sotto sotto si vedeva che erano felici per il dono della maternità.

Marika e Astoria, con i rispettivi mariti avevano spiccato il volo verso la loro nuova dimora, sempre in paese. Durante le due gravidanze, Minerva e Scott avevano insistito perché restassero lì con loro, in caso di necessità, ma era giunta l’ora che le due nuove famiglie si godessero il calore del focolaio domestico in santa pace.

Gli unici che non si schiodavano da casa erano Neville e Daphne.
A Draco faceva molto strano, perché quei due si amavano tantissimo, avevano una profonda fede e non capiva perché non avessero ancora messo in cantiere un bambino, perché aveva visto come Daphne guardava i suoi nipotini: con amore misto ad amarezza.
Che non ne potesse avere?
Pensò che sarebbe stato un vero peccato, perché se c’era qualcuno che meritava di avere tanti bambini, quella era proprio Daphne.




Castle Rich era entrato nell’autunno e il paesaggio che si apriva davanti ai loro occhi ogni mattina era qualcosa che mozzava il fiato.
Il sole, soprattutto quando tramontava, incendiava le foglie e creava un’atmosfera strana, quasi magica.

Alla Granger’s Transport tutto filava liscio come l’olio. Draco non aveva mai visto tanti impiegati chiacchierare così tanto ma essere produttivi allo stesso tempo, anzi: sembrava che le chiacchiere aumentassero la produttività stessa. Come aveva detto Hermione all’inizio di quell’avventura, si sarebbe scontrato con una realtà molto diversa da quella cittadina; ognuno faceva ciò che voleva in rispetto del proprio lavoro che, in ogni caso, aveva sempre la precedenza. Durante l’Estate alcuni dipendenti si erano presi le ferie e prima di partire avevano portato a termine il proprio lavoro e ciò che non erano riusciti a sistemare, avevano istruito i colleghi, affinché lo facessero loro. Alla Malfoy Home, quando qualcuno partiva per le ferie, diventava irreperibile fino al rientro in azienda.

Draco e Hermione, come qualsiasi altro lavoratore, si erano presi il pomeriggio libero, giusto per tirare il fiato e staccare un po’ la spina.
Tutto era pronto – mancavano solo pochi e insignificanti dettagli – per il grande rientro di Draco sul Red Carpet degli imprenditori: mancava solo che Nott facesse l’ultimo passo falso – cosa che avrebbe fatto se continuava ad andare avanti in quel modo – e poi lo avrebbe schiacciato come un moscerino.
Gli veniva l’acquolina in bocca quando ci pensava…


Seduto sul dondolo sulla veranda, Draco continuava a rimuginare sul fatto che Neville e Daphne non avessero dei bambini. Con i loro nipoti stavano benissimo, anche se una patina di malinconia velava i bellissimi occhi azzurri di Daphne ogni volta che un bambino entrava in una stanza, dove ci fosse lei.
“Tutto assorto, stasera?” – gli chiese Hermione, offrendogli una tazza di tea caldo.
Erano tornati i maglioncini pesanti e con essi l’amara consapevolezza che la bella stagione stava volgendo al termine.
L’estate stava finendo e il venticello autunnale aveva iniziato a spirare. Era fastidioso durante il giorno, ma quando la sera ci si sedeva sul dondolo, avvolti da una coperta in pile e una tazza di the caldo in mano, sembrava che diventasse magico.
Draco guardò la ragazza.
“Pensavo…” – disse lui, spostandosi per farle posto.
Hermione si accomodò, mettendosi la coperta sulle gambe.
“Tu che pensi? Mi sa che domani ci sarà la burrasca…” – scherzò lei.
Draco abbozzò un sorriso. Ormai aveva preso l’abitudine di sentirsi preso in giro e quando poteva, ricambiava il favore. L’uomo iniziò a far dondolare il dondolo con calma.
“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi.” – disse lei, soffiando sul tea bollente.
“Se non sono indiscreto…”
Quelle parole ebbero il potere di riscuotere Hermione dai suoi pensieri e far sì che la sua attenzione si posasse su Draco.
“… posso sapere perché Neville e Daphne non hanno figli?”
Presa in contro piede, Hermione non seppe che rispondere.
Recependo il suo silenzio come un invito a farsi gli affaracci suoi, Draco si sbrigò a ritirare tutto.
“Scusa… non sono affari miei.” – disse, frettoloso.
Aveva fatto i salti mortali per ottenere di nuovo la sua fiducia e non voleva buttare all’aria tutto quella sera.
Hermione lo guardò. Certo che da quando aveva iniziato a lavorare con lei, era cambiato di parecchio. Rifletté se era il caso di dirglielo.
“Daphne…” – iniziò Hermione, titubante, ma poi si decise. – “… Daphne non ha l’utero.”
Draco si girò con gli occhi sgranati.
“Cosa?!”
“Verso i ventitré anni iniziò a sentirsi male. Accusava fitte insistenti al ventre, ma non si è mai fatta curare.”
Draco ascoltò con estrema attenzione quel racconto.
“Aspettò, perché pensava che fosse un male di stagione, ma quando iniziò a perdere sangue, iniziò a preoccuparsi seriamente. Quelle emorragie le duravano a volte un mese intero e Neville, quando se ne accorse, prima la tempestò di parolacce per aver trascurato i sintomi e poi la portò dal dottore.” – gli occhi si velarono di lucido al ricordo perché Hermione sapeva quanto sua sorella volesse un bambino. – “Le comunicarono di avere tre metastasi tutte circoscritte all’utero. Se voleva vivere, doveva asportare l’organo.”
“Dio mio…” – sussurrò Draco, atterrito.
“Daphne era caduta in uno stato di catalessi. Togliere l’utero significava non poter dare un figlio a Neville, cosa che voleva fare appena sposata. Così suo marito, per non perdere anche lei, firmò l’autorizzazione all’intervento. Lei non disse nulla. Per mesi e mesi si è presa sulle spalle colpe che con quello che era successo non c’entravano assolutamente niente.”
“Del tipo?”
“Del tipo che se sua madre si era tagliata un dito era colpa sua perché aveva trascurato il male dentro di sé, che se Astoria inciampava in uno scalino era perché lei era nata… cose così, insomma. Sono serviti tre anni di terapie e pian piano mia sorella iniziò a riprendersi. Ma sa che dentro di sé c’è un vuoto che non sarà mai colmato.”
“Io… davvero mi dispiace. Non immaginavo fosse così grave…” – disse Draco, che non sapeva come comportarsi di fronte a una catastrofe simile.
“Adesso al minimo raffreddore, Daphne si precipita dal dottore. È frustrante vederla in questo stato.”
Guidato dall’istinto, Draco la prese per le spalle e la fece adagiare sul suo petto in un vano tentativo di risollevarle il morale.
“Ti ha dato fastidio che abbia fatto così?”
Aveva usato un tono basso e caldo, come a volerla rassicurare che lo aveva fatto solo per cercare di farla star meglio.
“N-no… è che non… sono abituata… tutto qui.” – mormorò lei imbarazzata.
Vero era che avevano fatto passi da gigante ma Hermione di fronte a certi gesti, che per chi li compiva erano naturali, per lei erano un muro insormontabile.
“Non mordo, tranquilla.” – pian piano, la sentì rilassarsi sotto di lui e sorrise.

Rimasero in silenzio su quel dondolo magico per una buona mezz’ora. Hermione si strinse maggiormente nel suo abbraccio per il freddo.

Le dita affusolate di lui iniziarono a massaggiarle ritmicamente il braccio e Hermione percepì il proprio cuore battere come un tamburo a festa.
Timidamente alzò lo sguardo e incrociò quello di Draco, lasciandola senza fiato per un attimo interminabile. Non si era mai accorta delle pagliuzze azzurre dei suoi occhi all’esterno dell’iride.
E alla fine si ritrovò a pensare che lei di Draco non sapeva proprio niente. Lo aveva conosciuto come il signor Malfoy, suo diretto superiore nonché bastardo di prima categoria con i suoi dipendenti, lo aveva conosciuto come Draco il senza tetto, lo aveva poi conosciuto come Draco il lavoratore instancabile e sexy.
E ora?
Chi aveva davanti ora? Quale Draco era in quel momento?
Lo vide avvicinarsi al suo volto e sfiorare leggero le labbra di Hermione.

Si staccò violentemente da lui non per il disgusto, ma per l’impatto emotivo che quel bacio aveva avuto: era stato come essere travolti da un treno ai mille allora! L’impatto era stato devastante, così come devastanti furono le conseguenze che arrivarono immediatamente dopo.

Staccandosi così violentemente, Hermione perse la presa sulla tazza, che volò a terra e si ruppe.
Non sapeva più dove guardare, se la confusione e la delusione negli occhi di lui o la tazza rotta per terra. Ad ogni modo due legami si erano rotti e Hermione decise di catapultarsi su quello più importante.

“NO!” – esclamò terrorizzata, inginocchiandosi a terra. – “NO! NO! NO! NO!” – continuava a ripetere, mentre con le mani, tremolanti, cercava di raccattare i cocci.
“Hermione… cosa…”
“Guarda che hai fatto!” – lo accusò, con le lacrime che le bagnavano le guance. – “No, no, no, no…”

Per Draco fu come tornare a quel giorno della consegna a New Castle.

“Hermione… è solo una tazza.”
Mai l’avesse detto. La ragazza lo guardò come il peggiore degli assassini e lo aggredì.
“NON E’ UNA TAZZA! E’ LA TAZZA! E TU L’HAI ROTTA!”
Draco, che non capiva il motivo di tutto quell’attaccamento a quella comune tazza con disegnata sopra una mucca che rideva; inconsapevole del peso delle proprie parole, non accettò il fatto di essere incolpato per una cosa che non aveva fatto lui.

“Guarda che l’hai rotta tu. È scivolata dalle tue mani, non dalle mie.”

Hermione lo guardò, con gli occhi sgranati e smise di piangere immediatamente.
Era vero. Lei aveva rotto la tazza, lei si era mossa bruscamente, lei aveva rotto l’ultimo ricordo.
Con il respiro affannoso e gli occhi spiritati, rimase a fissare Draco, come se le avesse aperto finalmente gli occhi, come se le avesse ricordato qualcosa di importante che lei aveva tentato di soffocare.

Il resto della famiglia Granger era andato in paese per un giretto. Marika e Astoria volevano mostrare i loro bambini a tutti. Tornarono a casa per prendere un caffè tutti insieme e poi tornare nelle proprie dimore, perché i bambini iniziavano ad essere stanchi e stavano iniziando a fare i capricci. Quando arrivarono, trovarono una scena alquanto strana e quando realizzarono quello che era successo, iniziarono a tremare.

Draco si girò e lei lo imitò, iniziando a tremare vistosamente.
“Hermione, calmati.” – la voce di suo padre le arrivò dritta come una martellata al cuore, mentre Draco ci capiva sempre meno.
Si fece da parte, sperando che Scott riuscisse a farla rinsavire. Il genitore andò dritto da lei, la prese per le braccia e le diede qualche scossone.
“Cos’è successo?”
Hermione aprì la bocca tre quattro volte, ma le parole non si degnarono di uscire.
“L-la… tazza… l’ho… rotta… io… rotta… basta… più…” – sconnetteva le parole ma Scott capì immediatamente quello che voleva dirgli.
Le ragazze si avvicinarono rapidamente, lasciando i bambini in mano ai mariti. Raccolsero i cocci della tazza e portarono Draco all’interno, nonostante volesse rimanere per capirci qualcosa in più.

Fuori, rimasero Hermione e suo padre.
“Hermione, ascoltami, ascoltami!” – disse Scott, scuotendola. – “Non è colpa tua. E’ stato un incidente.”
Ma era ovvio che la ragazza non era d’accordo.
“Io… rotta…” – la ragazza cedette sotto il proprio peso e Scott la prese al volo, portandola in casa, dove un alquanto scioccato Draco osservava la scena, sperando che qualcuno gli spiegasse ciò che era successo.


Scese un silenzio alquanto pesante. Astoria e Marika andarono a mettere a letto i bambini e rimasero solo gli uomini e Daphne.
Adesso era giunto il momento della verità.
“Immagino che quello che è successo sia normale, giusto?” – frecciò.
In quei mesi a casa Granger, Draco non aveva fatto altro che vedere Hermione sparire un giorno al mese per ritornare peggio di uno straccio centrifugato. Quello stato di coma le durava due-tre giorni e poi tornava ad essere l’Hermione di sempre. Aveva più volte tentato di chiedere spiegazioni, ma nessuno aveva voluto dargli retta.
Un giorno si era catapultato nell’ufficio di Daphne.

“Dobbiamo parlare.”
Erano quattro mesi che Draco lavorava per la ditta di Scott e, come Hermione prima di lui, aveva imparato vita, morte e miracoli di quello che succedeva lì dentro.
Stanco di non riuscire ad avere risposte esaurienti dalla diretta interessata, Draco si era rivolto a Daphne. Era entrato senza bussare nel suo ufficio, mentre la ragazza era impegnata con Astoria, che le chiedeva degli incartamenti sui fornitori.
Le due si guardarono e Astoria preferì alzare i tacchi in velocità, per quanto la pancia, ormai evidente, glielo permettesse.
Una volta uscita, Draco si concentrò su Daphne.
“Cosa succede?”
“Sputa il rospo, Daphne. Voglio sapere cos’ha Hermione. E non venirmi a dire che è normale che si comporti e parli come una donna di strada perché non ti crederei.”
Daphne si morse il labbro. Aveva cercato in tutti i modi di evitare l’argomento, ma era evidente che Draco era un tipo molto sveglio e continuare a mentirgli lo avrebbe sicuramente fatto infuriare di più. Comunque lei ci provò, per l’ultima volta.
“Ancora?” – enfatizzò lei, mentre fingeva di ricontrollare delle informazioni, come se l’argomento fosse stato sviscerato talmente tante volte da risultare ormai noioso. – “Ti ho detto che non ha niente! Si è sempre espressa in quel modo, nonostante io e i miei non fossimo d’accordo. È un suo modo di essere e cambiarlo vuol dire non accettare Hermione per quello che è.”
Draco aveva ascoltato tutto con scetticismo.
“Ok. Ora che mi hai propinato per l’ennesima balla su tua sorella, esigo la verità. Sai meglio di me che non sta bene e che ignorare il problema non porterà da nessuna parte. O me lo dici tu con le buone e lo scopro io con le cattive, scegli!”
“Guarda che qui non siamo alla Malfoy Home, Draco.” – era scattata lei, che non aveva gradito quel tono da dio sceso in terra. – “Qui ognuno di noi si fa i fatti propri e non va in giro a minacciare le persone per curiosità.”
“Curiosità? Io non sono curioso! Mi preoccupo per tua sorella, cosa che tu mi sembra non stia facendo!” – disse, lanciando una grave accusa.
Solo che Daphne non poteva accettarlo.
“Tu… tu…” – era livida in volto. – “… con che coraggio vieni a dirmi che non mi preoccupo per Hermione?” – gli occhi erano diventati lucidi. – “Tu non sai niente di questa famiglia! Non sputare sentenze se non sai le cose!”
“Se le sapessi, magari potrei aiutare!”

Draco era proprio stanco, si sentiva impotente. Da quando aveva iniziato a vivere con la famiglia Granger, aveva imparato cosa significasse lavorare veramente, faticare per portare a casa uno stipendio, avere il rispetto di tutti non per il nome che porta ma per il lavoro che si svolge. Trovò tutto estremamente appagante, ma c’era una macchia e quella macchia si chiamava Hermione.
Ogni giorno la vedeva spegnersi lentamente, mentre davanti a tutti fingeva di essere quella di un tempo. Era una cosa che proprio non riusciva a sopportare. La grinta che dimostrava da quando era tornata a lavorare per il padre, non si avvicinava di nemmeno un quarto a quella che aveva quando lavorava alla Malfoy Home.

“No, Draco. Non puoi fare niente. Ci sono cose che gli altri non possono risolvere. Sì, è vero.” – confessò, stanca di tutti quei segreti. – “Hermione ha dei problemi, ma se non interveniamo è perché ci è stato consigliato di fare così. Fattela andar giù questa cosa, perché non ho intenzione di riparlarne. E se vengo a sapere che hai infastidito le mie sorelle o i loro mariti, ti faccio cacciare a pedate nel culo. Mi sono spiegata?”
Draco scosse la testa. Sapeva di averci visto giusto, ma non concordava sul fatto che il problema della ragazza dovesse essere lasciato andare alla deriva.
Doveva essere risolto.

I presenti abbassarono gli sguardi, come se fossero colpevoli.
“Mi avete accolto, nonostante fossi un perfetto sconosciuto e mi avete permesso di vivere con voi.”
Astoria e Marika scesero in quel momento.
“Mi avete detto che potevo aiutare Hermione, ma non posso. Non ne sono capace. Non posso farlo perché nessuno si degna di dirmi che le succede. Adesso esigo di sapere perché sta così!”
Aveva parlato senza urlare, ma aveva usato il tono del vecchio Draco Malfoy.
In quel momento scese anche Scott.
“Che succede?”
“Credo sia il caso di dirglielo.” – disse Astoria. – “Non è giusto continuare a mentirgli.”
“Dovrebbe farlo lei.” – disse Scott, non convinto di parlare al posto della figlia.
Era lei che doveva decidere se raccontare o meno i suoi fatti.
“Ma non lo fa.” – disse Daphne risoluta e arrabbiata. – “Sta lasciando che il suo male la maceri dentro e tutti stiamo a guardare. O lo fai tu o lo faccio io.”
Scott, con il cuore pesante, annuì.
“Seguimi.”
Draco non se lo fece ripetere due volte e seguì il padrone di casa in salotto, mentre gli altri si rifugiarono nelle proprie camere, consci che il giorno seguente niente sarebbe stato più lo stesso.

Scott invitò Draco a prendere posto sul divano di fronte a lui.
“Prima di iniziare, permettimi di dirti una cosa.”
“Ti ascolto.”
“Ho sempre cercato di insegnare alle mie figlie di affrontare le difficoltà, non di sfuggirle, ma con Hermione è diverso, quindi… è importante che tu presti molta attenzione a quello che ti dirò, sperando che tu capisca la sua scelta di non dirti niente e la nostra… di non fare niente.”
Colpito e sì, decisamente un po’ spaventato da quella premessa, Draco si accomodò meglio e si preparò a scoprire quali fossero i problemi che affliggevano la ragazza. Vide Scott guardare il cuscino giallo con un misto di tenerezza e malinconia.
“Quel cuscino…” – iniziò Scott. – “… glielo confezionò sua madre.”
“Immagino… Minerva è molto abile con ago e fi…”
“No, non Minerva.”
Draco alzò le sopracciglia, sorpreso.
“Chi?”
“Jean, la mia prima moglie.”

“LEI NON E’ MIA MADRE!”

Ricordò Draco e sbarrò gli occhi.
Allora quel grido disperato era da prendere alla lettera!

“Ah.” – fu il suo monosillabico commento. – “Vi… vi siete separati?” – chiese titubante.
“Nel modo peggiore che poteva esistere.”
“Avete litigato?”
“No. E’ morta.”
Draco percepì una corrente d’aria fredda scendergli per la schiena, per la gaffe commessa.
“Io… mi dispiace… non sapevo…” – disse.
Iniziò davvero a pensare che la sua fosse solo curiosità come aveva detto Daphne, perché in nessuno dei motivi che aveva provato a darsi per giustificare il comportamento di Hermione, aveva mai pensato a una simile evenienza.
Non seppe dirsi perché, ma si fece convinto che la signora Jean fosse morta di qualche malattia incurabile.
“Lo so…” – disse Scott con un sorriso tirato. – “Lo so.”
Seguirono attimi interminabili, attimi in cui mille domande ronzavano nel cervello di Draco. Finalmente vide Scott alzarsi e smuovere quel pesante silenzio e dirigersi verso un cassetto. Aveva preso un foglio. Lo guardò, come se stesse cercando di ricordare qualcosa e poi si diresse verso Draco e glielo porse. Draco non capì a cosa potesse servire, ma ugualmente lo accettò, prendendolo come un altro pezzo di verità sul passato di Hermione.
“Leggilo ad alta voce.” – disse Scott, riprendendo il proprio posto sul divano. Aveva la testa china, pronto per riascoltare quelle parole.
“Sì…”

Piccoli amori miei, quando leggerete questa lettera, io non ci sarò più.

Siete i tesori più belli che mi siano mai capitati tra le mani e non permetterò che qualcuno me li porti via.
Nemmeno a Dio in persona.

Prendo questa decisione nella più totale delle libertà che mi sono state concesse e se avessi l’occasione di tornare indietro, la ripeterei senza esitazione.

Daphne, sei una ragazza forte.
Il Signore ti ha messo a dura prova, ma tu ce la farai. Arriveranno tempi bui e tutto ti sembrerà risolvibile con la morte, ma non cedere, bambina mia. Arriverà il giorno in cui tornerai a sorridere alla vita, prendendo tutto ciò che essa ti ha negato con gli interessi.

Damian, sei sempre stato più maturo rispetto alla tua età.
Fin da piccolo hai sentito il dovere di caricarti le spalle dei problemi della famiglia, nonostante io e tuo padre ti avessimo sempre chiesto di non preoccuparti e di starne fuori ma tu, con la tua caparbietà e testardaggine, ti sei impuntato fino a diventare il secondo uomo di casa.
Invidio la donna che sceglierai come moglie.

Astoria, la mia dolce e tenera Astoria… anche se non ho mai approvato il tuo linguaggio, ti chiedo ora di non rinunciarvi. Che gli altri pensino pure che tu sia una rozza contadina, ma arriverà anche per te un uomo che ti renderà felice e che ti amerà per tutto quello che sei.

Hermione, Hermione, Hermione…
Il tuo nome dice già tutto. Sei l’ultima delle mie figlie, ma non per questo la meno importante. Sei sempre stata fragile, ma preferivi non mostrare mai la tua debolezza davanti agli altri. Non ricordo più ormai le volte che trovavo al mattino il tuo cuscino umido per le lacrime che versavi a causa dei bambini che ti facevano i dispetti. Quando seppi della tua malattia, non provai niente, e lo sai perché? Perché sapevo già cosa dovevo fare.
Come madre ed essere umano ho preso questa decisione. Tuo padre ha cercato di dissuadermi, ma non potevo ignorare il richiamo di mia figlia. Io ti lascio, ma so che tu capirai il motivo che mi ha spinto a fare quello che ho fatto. Non odiarmi, te ne prego. Ho fatto la cosa più giusta. Ti guarderò crescere da lassù e quando vedrai un arcobaleno in cielo, sappi che sono io che ti sorrido.

Vi amo.
Tutti.
Jean.


Draco sentì un groppo alla gola. Erano parole bellissime, ma ancora non capiva in che modo la morte della madre biologica di Hermione c’entrasse con i problemi della ragazza.
Aveva letto che Hermione era malata. Chissà di cosa…
“Ah, Jean…” – sussurrò Scott, travolto dai ricordi.
“Sono…” – deglutì. – “… sono parole bellissime.” – disse Draco, ripiegando il foglietto e riconsegnandolo al proprietario che lo riprese in consegna come il più prezioso dei tesori.
“Jean era molto brava a scrivere.”
“Scott… ti ringrazio per avermi fatto leggere questa lettera, ma ancora non capisco in che modo Hermione e la morte di sua madre siano collegate tra di loro.” – disse Draco, sperando di non essere stato indelicato.
“Eppure è così semplice. – disse, tanto che Draco per un attimo si sentì un idiota. – “Hermione stava male e sua madre l’ha curata.” – disse, facendo un riassunto della lettera.
“Sì, ma… come?”
“Non ti sei mai chiesto come mai Hermione non vada mai in piscina, al mare o in qualsiasi altro posto che preveda di spogliarsi?”
Draco ci pensò su un attimo. Effettivamente… non l’aveva mai vista in costume o con una maglietta scollata. Perché?
“Ora che ci penso… come mai?”
Scott sorrise. L’altruismo della moglie era motivo di vanto per lui.
“Ha una cicatrice.”
“Ah sì? E dove?” – chiese.
Nuovamente, il padrone di casa, sorrise.
“Qui, sul petto.” – disse, indicando la parte che pendeva leggermente verso sinistra.
Quella frase ebbe il potere di riportargli alla mente il ricordo della mattina in cui si erano svegliati insieme nella dependance, perché avevano fatto tardi la sera. Aveva scorto qualcosa di strano nell’incavo dei seni di Hermione, ma aveva pensato che fosse stata solo un’ombra.
Ma ancora Draco non capiva. Perché si indicava il punto dove più o meno c’era il… sgranò gli occhi e scattò in piedi come una molla, mentre osservava la pacatezza con la quale Scott lo guardava, capendo finalmente che ci era arrivato.
“Vedo che hai compreso, finalmente.”
“Ma… ma stai scherzando?!?!!” – esclamò lui sconvolto.
Com’era possibile?
“No. Jean ha donato il proprio cuore a Hermione.
Il respiro gli si accorciò in un secondo, l’aria sembrò mancare e un senso di pesantezza gli chiuse la bocca dello stomaco. Possibile? Possibile che al mondo esistessero persone che ancora pensavano al bene altrui prima ancora del proprio? Perché nessuno glielo aveva mai insegnato?
Perché lo stava scoprendo in quella maniera così brutale?
“La bambina aveva una malformazione cardiaca: il suo cuore era più piccolo rispetto alla norma.”

Perse il controllo.
Su tutta la linea.
Per la prima volta, da quando Draco Malfoy era venuto al mondo, pianse.

Una, due, tre, dieci lacrime iniziarono a cadergli dagli occhi, sotto il sorriso amorevole di Scott. Il peso del suo corpo si fece sentire tutto in un colpo, crollò sul divano e si prese la testa nelle mani, lasciando che le fesserie che suo padre gli aveva fino a quel momento inculcato sull’orgoglio lasciassero il posto a qualcosa di più importante, tanto da opprimerlo.

Il senso di colpa.

Perché di lei non aveva mai capito niente, perché l’aveva ritenuta una ragazzina superficiale quando ancora lavorava alla Malfoy Home, perché parlava e si comportava in quel modo perché credeva che non avesse ricevuto un’istruzione adeguata.
Aveva sbagliato completamente tutto.
Tutto quello che Hermione faceva, erano mute richieste di aiuto gridate al mondo, a lui, alla famiglia, ma che nessuno era stato in grado di cogliere.
“Perché i medici le hanno permesso di morire?” – riuscì a chiedere.
Scott fu ora sorpreso.
“I medici non sapevano niente, Draco. Si sono ritrovati tra le mani il corpo di mia moglie a fatto compiuto.”
“Cosa!?!?” – era allucinato e incredulo.
“Jean si è tolta la vita. Si è tagliata le vene. Quando la trovai, non ci fu niente da fare per lei. Era già morta. Vicino al suo corpo trovai una lettera, il suo testamento: aveva lasciato espressa richiesta che il cuore fosse donato a Hermione.”
“Senza sapere se erano compatibili? Senza aver fatto gli esami di rito? Non ci credo Scott! NO!” – era esploso. Sperava che Scott gli dicesse che era stato tutto uno scherzo, ma il padrone di casa lo smentì.
“Jean aveva già fatto tutto, Draco. Era, tra tutti, la donatrice perfetta.”
Schiacciato dalla verità, Draco non seppe più cosa replicare. Tutto quello che aveva appena sentito, aveva dell’incredibile.

Nel suo mondo, nel suo vecchio mondo, quelle gesta erano solo delle parole su blog per ragazzine romantiche, dove la frase finale “Non c’è più. Ti ha donato il suo cuore” faceva scoppiare pianti isterici che non aveva mai potuto sopportare.

E ora… ci sbatteva il muso contro. Non erano solo parole, adesso…
“Non aveva mai sopportato di vedere un figlio star male e non poter fare nulla per aiutarlo.” – riprese Scott, perso nei ricordi. – “Non l’ho mai vista così impotente come quando a Daphne avevano asportato l’utero.” – disse, rammaricato. – “Quando mi ha detto di ciò che voleva fare per Hermione io mi sono opposto, naturalmente, ma lei era così decisa… aveva sempre sostenuto che aiutare Hermione fosse la sua possibilità di riscatto per non aver aiutato Daphne.”
Draco lo guardò, con gli occhi piegati all’ingiù per il dolore.
“Quando ha deciso di… farlo…” – disse, non riuscendo proprio a pronunciare le parole “togliersi la vita”. – “… mi ha chiesto di non essere presente. Sa che l’avrei fermata.” – disse, quasi orgoglioso della testa dura della moglie. – “Sai, forse sarà stata suggestione, perché sapevo quello che aveva in mente, ma… mentre camminavo, ho sentito una specie si fitta al cuore. Ho sempre voluto credere che fosse il suo ultimo saluto. Il nostro ultimo San Valentino…
Draco chinò lo sguardo a terra, offuscato dalle lacrime.
Cazzo, continuava a ripetersi nella testa. Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo… era l’unica cosa alla quale riusciva a pensare.
“Ora sai cos’ha Hermione. Ti chiedo di non metterla sotto pressione, ora che sai tutto.”
E, senza prima pensare, Draco confessò quello che era successo in veranda a Scott.
“L’ho baciata.” – disse, con voce tremula.
Scott sperò di aver capito male.
“Scusa?”
Draco si rese conto di aver fatto una cazzata di proporzioni epiche.
“Io… ho baciato tua figlia.”
Il genitore rimase muto, incredulo.
“Ma si è staccata subito!” – precisò lui, come per far passare in secondo piano il bacio. – “E nello staccarsi ha rotto una tazza.”
“La tazza, vorrai dire.” – precisò. – “Era un regalo di sua madre.”
Draco alzò gli occhi al cielo, instupidito da se stesso. E ora, alla luce dei fatti, si pentì amaramente di quello che le aveva detto.
“Cazzo…” – imprecò l’uomo a denti stretti.
Adesso la sua reazione aveva avuto un senso; ora le sue parole, dapprima sconnesse, avevano assunto il vero significato.
“Cosa?”
“Io… mi ha incolpato perché l’avevo rotta, ma le ho detto che era caduta a lei, non a me. Che l’aveva rotta lei, non io.”
Scott alzò gli occhi al cielo.
“A posto siamo…” – disse.
“Io… se avessi saputo non…”
“Cosa? Non l’avresti baciata? La tazza non si sarebbe rotta? Non le avresti detto, inconsciamente, che se sua madre è morta la colpa era sua? Cosa non avresti fatto Draco?”
“Avrei riflettuto prima di agire.” – disse l’uomo, fronteggiando il padre di Hermione e sperando che Scott capisse quanto lui ci tenesse a Hermione.
“Lasciala stare Draco. Non è di compassione che ha bisogno mia figlia.”
“E non è compassione che volevo darle stasera.” – disse, con un sorrisetto ironico.

Forse la verità stava venendo a galla.

“E cosa volevi darle? Draco, Hermione ha bisogno di tranquillità, sapere di aver vicino persone sulle quali può contare.”
“E io cosa sono? Immondizia?” – disse lui, deluso. – “Una volta al mese la vedo sparire per tutto il giorno e la trovo alla sera che è ridotta ad uno straccio. Non le rivolgete la parola a meno che non sia lei a farlo per prima. Credete che sia aiuto, questo? Lasciarla da sola ad affrontare questo problema?”
“Modera i termini, ragazzino. Stai oltrepassando la linea.” – disse Scott, duro.
“E credo che sia ora che qualcuno la oltrepassi!”

Non permetteva a nessuno di andare in casa sua e dirgli come gestire la vita della sua famiglia.
Quella situazione era molto delicata. Nessun essere umano al mondo prima di loro ci era passato quindi nessuno poteva giudicare se le loro azioni fossero dettate dal buon senso o sbagliate: avevano loro solo la speranza che tutto ciò che avevano fatto fino a quel momento fosse la cosa giusta.

“Sta attento, Draco. Non ti permetto di dirmi cosa devo o non devo fare! Finora…”
“… finora non avete fatto altro che guardarla mentre cercava aiuto da parte vostra! Ma non vedi come sta fingendo? Dì un po’ Scott… ma hai mai conosciuto veramente tua figlia?”
All’improvviso, Draco, si ritrovò scaraventato a terra da un pugno di Scott. L’uomo cadde sul tavolino in cristallo, mandandolo in frantumi. Il botto fece accorrere tutti i presenti.
“BASTARDO!” – urlò Scott in preda alla rabbia.
Ci vollero Damian, Kevin e Neville per trattenerlo.
“PAPA’ FERMATI!” – urlò Damian.
Draco si mise seduto, asciugandosi con la manica il sangue che colava dal labbro.
“LASCIAMI ANDARE! LASCIAMI DAMIAN!”









Calli-corner

Oh-mio-Dio!
Ecco il punto cruciale della soap-opera!

Ora, scherzi a parte, per il problema di Hermione mi sono ispirata al film “Sette Anime”, per chi non l’avesse visto, lo pregherei vivamente di farlo, ma di premunirsi di cinquanta pacchetti di fazzoletti, perché ti toglie il cuore, altro che il respiro. Per chi lo avesse visto, invece, credo sappia a che scena sto facendo riferimento.
Non ho voluto anticiparvi niente a inizio capitolo perché altrimenti avrei scoperto troppo le carte e volevo che fosse una sorpresa dall’inizio alla fine.

Ma partiamo dall’inizio.
Daphne.
Daphne non ha l’utero perché a causa di un’emorragia non curata, ha perso ciò che per lei era fondamentale: la possibilità di dare a Neville un figlio.

Hermione.
Hermione, come ho detto sopra, aveva una malformazione cardiaca e sua madre, che ha solo seguito il suo istinto, ha fatto di tutto per la sua bambina.
La ragazza, però, si sente responsabile per tanti motivi che verranno spiegati nel capitolo successivo.
Forse noterete delle somiglianze con “John Q” con Denzel Washington, dove il bambino di Denzy ha lo stesso problema al cuore e la moglie lo assilla a fare di tutto per guarirlo. Denzy lo fa, ma prende in ostaggio un chirurgo, la sua equipe per far operare il figlio.
Il cuore lo vuole donare Denzel stesso, ma alla fine arriva l’incidente, dove muore una ragazza che è compatibile in tutto e per tutto con il figlio di Denzel.

Lo so, sono contorta.

Forse è troppo esagerato, forse fa troppo soap-opera, ma l’idea mi è venuta dopo aver visto il film, anzi… i film in questione.
Spero di non aver strafatto.

Ma non preoccupatevi. Nel prossimo capitolo ci sarà un’altra rivelazione su Hermione. ^_^

Intanto, vi lascio con lo spoiler, in attesa del prossimo capitolo.

“Io…” – beh, se era riuscito a non farla più sentire sbagliata per ciò che sua madre aveva coraggiosamente fatto per lei, forse poteva aiutarla anche con quella questione.
Lo sperò vivamente.
“… sono vergine. E no, non mi riferisco al segno zodiacale.”

Ma di cosa staranno mai parlando? ^_______________^


Bacioni,
callistas

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Capitolo 16
*** Verità Nascoste 2 ***


16 - Verità Nascoste 2 Dunque, dunque, dunque…

Ci sono due notizie che devo darvi.
Una buona e una cattiva.

Iniziamo con la cattiva.
Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro prima di partire per delle meritate ferie, il che significa che per due venerdì non potrò aggiornare.

*evita un forcone all’ultimo*

Proseguiamo con la buona… --.--
Siccome non me la sento di lasciarvi a stecchetto, posterò anche i capitoli per i due venerdì mancanti, quindi… triplo regalo! Tre capitoli in uno!

Pregasi chi ha lanciato il forcone di ritirarlo e mandare una raccomandata di scuse con ricevuta di ritorno. ù_ù

Ora sta a voi scegliere se leggerli tutti in fila o se leggerli rispettando la scadenza, come se li avessi postati normalmente ma, conoscendovi, so che li leggerete tutti.
Anche perché è quello che farei pure io…

Bene!
Diamo inizio alle danze, o alla lettura come preferite, e poiché non ci sentiremo più fino al 2014…

Buon Natale!
Buon Santo Stefano!
Buon San Silvestro!
Buon Capodanno!

E per chi non se la prende…

BUONA BEFANA!









Era butto da dire, ma aveva finto di svenire tra le braccia del padre.
Non aveva voglia di stare lì a sentire l’ennesima predica sul fatto che non fosse stata colpa sua, anche se sentiva di meritarla tutta.
Se non fosse nata, non avrebbe avuto quel problema al cuore. Se non fosse nata, Daphne, Astoria e Damian avrebbero avuto una madre accanto a loro che li amava. Non che Minerva non volesse loro bene, ma la mamma è la mamma: Jean se le era scarrozzate in pancia per nove mesi ciascuna, le avevano fatto venire le nausee mattutine, avevano scalciato, si erano mosse dentro di lei. Il legame tra madre e figlia è un legame che non si può spezzare tanto facilmente.

Era rimasta sdraiata sul suo letto con gli occhi aperti e dopo che suo padre era sceso, qualche attimo dopo lei, senza farsi notare, lo aveva seguito. Si era nascosta dietro un angolo.
Lo faceva sempre quando chiedeva alla madre di intercedere con il suo papà per permetterle di rimanere fuori più a lungo. Si era accovacciata a terra, racchiudendo le ginocchia nelle braccia e appoggiando il capo alla parete.
E sentì tutto.

La confessione di Scott, la lettera della mamma letta da Draco, la confessione di Draco, quando aveva detto a suo padre che l’aveva baciata. In quel momento le era scappato un tenue sorrisetto. Aveva sentito nel suo tono di voce che forse non aveva fatto un bell’affare a dire a un genitore di aver baciato la figlia…
Nessuno l’aveva mai difesa in quel modo.
Daphne, Astoria e Damian l’avevano sempre lasciata perdere quando tornava dalle sedute, mentre lei avrebbe voluto che qualcuno le rivolgesse anche un solo sorriso.
Quando sentì il tavolino frantumarsi era scattata in piedi: ora Draco sapeva tutto di lei, non poteva più far finta di niente.

“LASCIAMI ANDARE! LASCIAMI DAMIAN!”
“Perché Scott? Perché Hermione è sempre sulla difensiva?” – chiese Draco, ancora seduto a terra.
“CON CHE DIRITTO ENTRI IN CASA MIA, DOPO CHE SEI STATO ACCOLTO COME UN FIGLIO, E MI ACCUSI DI NON AMARE MIA FIGLIA? COME?”
“STAI FACENDO TUTTO TU!” – urlò Draco, infervorato come non mai. Si alzò. – “MA IMMAGINO CHE NON MI ABBIA DETTO TUTTO, VERO?”
“Ci sono cose che non puoi sapere! Rievocarle significa…”
“Perché anch’io ho cercato di togliermi la vita, Draco.” – disse una voce nota a tutti.




I presenti nella stanza si girarono di scatto verso le scale, trovando Hermione in piedi. Indossava un pantalone pesante e un maglione che le arrivava al ginocchio.
“C-cosa…” – balbettò l’uomo, sconvolto.
Sarebbero mai finiti i colpi di scena?
“Hermione, no!” – ordinò il padre.
“Ho… ho cercato di uccidermi.” – ripeté.  – “Anche se tutti dicono di no, io so che se la mamma non c’è più è solo colpa mia.” – aveva perfino finito le lacrime… – “Io ho ucciso la mamma, io ho privato Daphne, Astoria e Damian di una figura importante, solo io.”
“Hermione…” – sussurrò Damian, addolorato per non aver mai capito cosa si celasse nel cuore della sorella minore.
“Non riesco a pensare di poter… di poter meritare la vita.”
“Stupida…” – bofonchiò Daphne, mentre cercava di non piangere.
Si puliva le guance alla bellè meglio dalle lacrime che non volevano darle tregua.
Hermione guardò la maggiore, dispiaciuta.
“Spero sempre di venir travolta da una macchina, di inciampare dalle scale e rompermi la testa, ma niente. Sono arrivata alla conclusione che è la vita la vera condanna che devo scontare per quello che ho fatto.”

Draco non credeva alle sue orecchie.
Com’era riuscita a portarsi dentro tutto quel marciume senza esplodere prima?

“Il dottor Johnson vi ha consigliato di non parlarmi, dopo le sue sedute. Cosa credeva di ottenere in questo modo, non lo so, io… io però volevo che mi parlaste, o che solamente mi rivolgeste un sorriso. Qualcosa… ma niente.”
In quel momento tutti si resero conto di quanto Hermione avesse dovuto sentirsi abbandonata a se stessa per i consigli di Johnson. Onestamente a nessuno andava giù l’idea di non rivolgere la parola a Hermione dopo quelle vere e proprie stangate – altro che sedute – ma Johnson era stato categorico in proposito. Anni spesi a vederla tornare con lo sguardo spento senza fare nulla.


Scese un silenzio tombale.
Quella confessione li aveva prostrati più del gesto di Jean.
E Draco aveva visto giusto: non avevano mai capito realmente il vero stato d’animo della ragazza. Pensavano che tutto stesse andando bene, ma era evidente che era solo una facciata.
Senza dire altro, Hermione uscì dalla stanza. Inforcò l’uscita e andò a fare due passi, nonostante l’ora tarda. Il vento era sparito, ora c’erano solo fruste invisibili che le perquotevano il viso coperto dalle lacrime. Iniziò a correre, sperando che il suo cuore cedesse, che potesse raggiungere sua madre al più presto possibile.
Arrivò su una collinetta e lì cadde in ginocchio.

Non avrebbe mai immaginato di riuscire a confessare tutto quello che le stava dentro nel cuore da quando sua madre era mancata. Non voleva far pesare il suo dolore su Daphne, Astoria e Damian, ma non ce l’aveva più fatta.
Si era aperta, dunque, all’ultima persona che… ultima?

Draco era diventato quasi una pietra miliare nella sua vita.
Senza che se ne accorgesse, aveva permesso che lui entrasse a far parte della sua vita. Era sempre distaccato quando parlava con gli altri sul lavoro, ma con lei si trasformava completamente. Quando lei parlava, anche di cose stupide, lui l’ascoltava con attenzione. Aveva creato con lui una sorta di legame invisibile al quale si era attaccata senza rendersene conto.
Però lei non poteva condurre una vita normale. Non se la sentiva di aggrapparsi ad una persona, di appoggiarsi ad essa, perché, un giorno o l’altro, lei sarebbe sparita.

Così come aveva fatto sua madre.

Aveva sempre evitato di relazionarsi con il sesso opposto a causa del trauma infertole dalla madre. Il fatto che la donna, di sua iniziativa, si fosse tolta la vita per cederla alla figlia, doveva essere interpretato come un gesto di estremo altruismo, fatto da una madre che non avrebbe retto il seppellire la figlia. Ma Hermione non l’aveva mai vista in questo modo. L’unica certezza che aveva era che sua madre aveva preferito abbandonare suo padre, Daphne, Astoria e Damian per permettere a lei di vivere.
Che cosa stupida, pensava sempre.

Salvare una vita e distruggerne altre quattro.

Si pensa sempre che i genitori vivranno in eterno.
Sbagliato.
Nel suo caso, Hermione aveva ucciso la sua base, la sua roccia.
Altre lacrime si unirono a quelle vecchie, rinvigorendo l’antico dolore.
“Qualcuno mi faccia morire per favore…” – pregò rivolta alla volta celeste.

Era così stanca della vita…

“Questo qualcuno dovrà passare sul mio cadavere.” – aveva detto qualcuno alle sue spalle.




Draco, dopo aver ascoltato e registrato la confessione di Hermione, guardò attonito i presenti, che cercavano di schivare il suo sguardo.
Scott, pur di non guardarlo in viso dopo la confessione della figlia che praticamente aveva confermato le parole dell’uomo, prese a raccogliere i vetri del tavolino frantumato.
“Non ho mai capito niente…” – disse Daphne, passandosi una mano sulla fronte.
Un capogiro la colse e Neville la sorresse al volo, facendola sedere sul divano.
“Non sei la sola.” – disse Astoria. – “Nessuno poteva immaginare che Hermione non avesse mai superato la morte della mamma.”
Minerva, fino a quel momento, era rimasta in un angolo ad ascoltare ciò che già sapeva. Non si era mai resa conto di quanto la piccola della famiglia Granger soffrisse. Si avvicinò con calma al marito e lo aiutò a raccogliere i cocci, metafora di quella famiglia.
“Minerva…” – disse Scott.
Era vergognosamente dispiaciuto per come doveva sentirsi sua moglie che, nonostante tutto, era sempre stata lì per aiutarli.
Anche in quel momento.
La donna gli sorrise e continuò a raccattare i pezzi più grossi. Li altri li avrebbe raccolti con la scopa.

Non voleva che altri si facessero male.

“Vado a cercare Hermione…” – disse Neville.
“No. Vado io.” – disse Draco. – “Dove la trovo?”
“Sulla collina in fondo alla strada.” – disse Damian.
In un battito di ciglia, Draco uscì di casa e corse a più non posso per arrivare il più in fretta possibile su questa collinetta e la trovò lì, accartocciata su sé stessa.
Quell’immagine faceva a pugni con quella che era sempre abituato a vedere di lei.
“Qualcuno mi faccia morire per favore…” – pregò rivolta alla volta celeste.
“Questo qualcuno dovrà passare sul mio cadavere.”

Hermione si girò di scatto.
Ora che lui sapeva, l’avrebbe evitata come la peste? Forse sì e forse sarebbe stato meglio così. Almeno avrebbe impedito a se stessa di fare affidamento su una persona che un giorno, sicuramente, l’avrebbe lasciata sola.
Un lungo sospiro le uscì dalle labbra.
“Hermione…”
“Non dire niente.” – disse lei, cercando di non mostrarsi debole, anche se era troppo tardi. – “Fa finta di niente.”
“Ma… come puoi dire questo? Non puoi continuare a ignorare il problema!”
La vide scrollare le spalle.
“Non importa… sono sopravvissuta fino ad ora… continuerò a farlo.”
Draco andò da lei e la prese per le braccia, iniziando a scuoterla. Era sgomento. Come poteva una persona annientarsi in quel modo?
Voleva levarle di dosso quello stato di catatonico torpore nel quale si crogiolava da troppi anni. Sua madre aveva dato la vita per lei! Doveva renderle onore vivendo… non sopravvivendo!
“Stai delirando! Come puoi lasciare che la vita ti scivoli dalle mani!”
“Magari mi scivolasse dalle mani Draco, magari!…” – ammise lei convinta delle proprie parole. – “… non sai la fatica che devo fare tutti i giorni per guardare in faccia i miei fratelli. Sapere di aver portato via la madre e di essere la causa della sua morte è qualcosa che non mi fa guardare allo specchio la mattina e…”
Un sibilo, e Hermione indietreggiò di qualche passo, allibita.
“Ahia!” – esclamò, sgomenta.
La mano di Draco era ancora a mezz’aria, visto il man rovescio appena dato.
“Sei una stupida! Una stupida ragazzina viziata e ingrata!”
Hermione lo ascoltò senza spiacciare una parola mentre si massaggiava la guancia dolorante.
Ma aveva dei badili al posto delle mani, quello?
“Tua madre è morta per permetterti di vivere e tu col tuo egoismo vorresti ucciderla una seconda volta? Vuoi veramente questo?”
Oh, perfetto. Le lacrime erano tornate
Hermione sapeva che Draco aveva ragione, ma non ce la faceva più. Era stanca di provare quel malessere alla bocca dello stomaco, era stanca di piangere di nascosto, era stanca di tutto.
“I-io…” – tentò lei, ma Draco era arrabbiato, tanto che non la fece finire di parlare.
“Te ne vai in giro a dispensare perle di saggezza su quanto sia bella la vita, su quanto valga la pena di viverla, quando tu per prima la vorresti buttare nel cesso! Sei un’ipocrita! Almeno stà zitta!”
“Ti prego, basta…” – disse lei, tappandosi le orecchie per non sentire.
“No! E’ facile adesso! Sai pensare solo a te stessa, ma non credi che i tuoi fratelli possano percepire la presenza della madre in te? Saresti così egoista da impedire a loro di sentirla ogni giorno accanto a loro?”
“Basta! Basta!”
Draco le prese i polsi e glieli staccò dalle orecchie, in modo tale che le sue parole si conficcassero in testa.
“Sei una vigliacca… vorresti far soffrire di nuovo la tua famiglia?”
Hermione lo guardò negli occhi e lo supplicò di smettere.
“Ti prego basta…”
“No, non la smetto! Voglio che tu capisca che ci sono molte persone che soffrirebbero per la tua morte, non… non puoi credere davvero che se tu morissi nessuno se ne accorgerebbe.”
“Ho ucciso la mam…” – un violento scossone le impedì di continuare a parlare.
“SMETTILA! BASTA! NON SEI STATA TU! E’ STATA UNA SUA SCELTA! COSI’ COME LO AVREBBE FATTO PER DAPHNE, ASTORIA O DAMIAN!”
“Ma io mi sento piena di colpe!” – esclamò.
“Perché ancora non riesci a capire il vero significato del gesto di tua madre…” – disse lui con voce più calma. – “E quando ci arriverai, sarà il momento per te di riuscire a guardare avanti.”
Quanto era cambiato Draco? Per quanto ancora poteva fingere che lui fosse solo il signor Malfoy e non l’uomo che l’aveva stregata?
“M-mancherei anche a te?” – chiese timidamente.

Per Draco il tempo sembrò bloccarsi. Anche a lui? Sarebbe mancata anche a lui? Gli sarebbe mancata quella peste di ragazza che le piaceva fargli prendere uno spavento mentre era concentrato su qualcosa? Gli sarebbe mancata la ragazza che senza chiedere niente aveva offerto aiuto al suo peggior nemico? Gli sarebbe…

“Dio Hermione… non ne hai la più pallida idea!”
Calò sulle sue labbra, conscio che finalmente, quella sera, ogni fantasma era stato sconfitto e ogni segreto portato alla luce.
E niente e nessuno sarebbe stato in grado di impedirgli di baciarla come avrebbe voluto fare ancora tempo prima.
Hermione si aggrappò a lui e ricambiò il bacio.




Camminava con Hermione accanto, con un braccio attorno alla sua vita.
Era stato devastante quello che era successo a casa e poi sulla collina. Era venuto a conoscenza del passato della ragazza e del suo desiderio di morire. Proprio lei che sembrava così piena di vita, in realtà aveva ingannato tutti.

Sapendo che la ragazza era con l’unica persona che aveva saputo comprenderla meglio di tutti loro messi insieme li aveva fatti andare a letto con più tranquillità.
“Ti va di dormire con me?” – le propose.
Hermione arrossì.
“Sì…”

Così Draco e Hermione dormirono di nuovo insieme.
Esausti, crollarono dal sonno.









C’era più caldo del solito, ma non era un caldo soffocante, anzi. Era molto piacevole.
Per la prima volta dopo tutti quegli anni, Hermione fu in grado di dormire tranquillamente, senza incubi che la facevano urlare nel pieno della notte.
Quel calduccio era veramente invitante. Ma sentiva anche che qualcosa le premeva sul fianco destro, impedendole di muoversi liberamente. Quando si rese conto che era un braccio, iniziò a preoccuparsi. I ricordi tardavano a tornare, il che la rese più agitata di quello che doveva essere. Cercò in mille modi di girarsi, senza destare la persona che le dormiva affianco, ma fu tutto inutile.

“Ti sei svegliata…” – mormorò Draco, rafforzando di più la presa sulla vita di lei.
Hermione sgranò gli occhi. Draco? Che diavolo ci faceva a letto con Draco?
Pian piano, i ricordi tornarono e con essi, arrivò anche la consapevolezza che l’uomo le aveva esplicitamente detto di tenere a lei.
E Hermione si rese conto che di tutto quello che era successo la sera prima, il primo ricordo che era sopraggiunto fu la dichiarazione di Draco e il bacio che ne era seguito. Non la confessione di lei in casa o lo schiaffo che le aveva dato Draco.
Il bacio.
“Scusa… non volevo svegliarti…”
“Tranquilla…” – aveva la voce impastata dal sonno e gli occorsero un paio di minuti buoni per poter parlare e non biascicare le parole.
“Devo… dobbiamo alzarci… il lavoro…”
“A parte che oggi è domenica.” – chiarì Draco. – “E poi non credo che dopo ieri sera ti faranno problemi se salti un giorno di lavoro.”
Hermione ridacchiò e si girò nel suo abbraccio. Ora poteva guardarlo in faccia e divenne seria.
“Senti…” – iniziò lui con un tono decisamente troppo serio. – “… volevo chiederti scusa per quello che è successo sulla veranda. Non sapevo che…”
Hermione gli mise l’indice sulle labbra.
“Io che devo chiedere scusa a te. Non ti ho mai detto niente mentre tu hai mi hai dato il tempo che ti avevo chiesto.”
Voleva baciarla, ma temeva che per lei fosse ancora troppo presto. Beh, fosse stato per lui l’avrebbe soffocata di baci, ma doveva andarci cauto.
“Perché aspetti?” – chiese lei, temendo di aver interpretato male quello sguardo.
Draco sorrise e con decisione si abbassò e la baciò. La strinse per la vita, mentre lei gli circondò il collo con le braccia.
No. Decisamente non era troppo presto…
Quando si staccarono, Hermione tornò a rifugiarsi sotto le coperte.
“Giusto per sapere…” – iniziò lei. – “… io e te cosa siamo esattamente?”
Draco sollevò un sopracciglio.
“Un uomo e una donna?” – ironizzò lui.
Hermione, che si era aspettata di sentirsi dire “fidanzati”, ci rimase veramente male. Alla fine Draco scoppiò a ridere.
“Smettila di ridere!” – sbottò lei, imbarazzata.
“Perché? Eri così buffa!”
“Guarda che ti licenzio, eh?”
“E manderesti un pover’uomo sul lastrico?”
“Sì, perché?” – chiese, innocentemente.
“C’è la remota possibilità di farti cambiare idea?”
Hermione finse di pensarci su.
“Dunque… potresti prepararmi la colazione a letto tutti i giorni, poi…”
“No, ok. Preferisco andare su lastrico!”
“Perché?”
“Per prepararti la colazione dovrei alzarmi all’alba con tutto quello che mangi…”
“Brutto…” – e iniziarono una guerra con i cuscini.
Alla fine, quando tutte le piume furono diligentemente sparpagliate a terra, i due caddero esausti sul letto, ridendo come emeriti cretini. Una piuma finì sulle labbra di Hermione. Voleva soffiarla via, ma fu Draco a toglierla.
Prima di alzarsi definitivamente dal loro “nido” e uscire dalla porta, dove li avrebbe attesi la realtà, Draco la baciò ancora.




Uscirono di casa un’ora dopo.
Il sole era sorto da un bel pezzo e in casa non c’era più nessuno, tranne Minerva. La donna stava preparando il pranzo e quando vide i due entrare dalla porta sorrise, com’era suo solito fare.
Era molto contenta per Hermione, perché finalmente era riuscita a parlare di ciò che teneva dentro da troppi anni.
“Buon giorno, ragazzi…prendete qualcosa?”

Tra le tante cose che Hermione doveva sistemare c’era anche lei, la sua seconda mamma. L’aveva accettata, aveva accettato che suo padre si rifacesse una vita, aveva accettato la sua presenza in casa e l’aveva chiamata mamma, solo perché lo facevano gli altri.
Minerva non si era mai imposta su niente e nessuno: prendeva ciò che i figli di Scott le offrivano e se da Daphne, Astoria e Damian aveva avuto fiducia e affetto incondizionati, da parte di Hermione la cosa era più complessa. Non si era mai minimamente sognata di forzarla, visto tutto quello che aveva passato e aveva sempre aspettato che fosse lei ad andare a parlare con lei. Ma non era mai successo e lei non aveva obiettato.
Draco si accorse di quel silenzio e capì che Hermione voleva parlare con lei ma non sapeva come fare. Si chinò sul suo orecchio e le sussurrò poche parole.
“Parla con lei.” – e si allontanò.
Intenta com’era nel girare le patate, Minerva non si accorse che l’uomo era uscito.
“Allora? Prendete qual… oh! Dov’è Draco?” – chiese Minerva stupita.
“E’… è uscito.” – rispose Hermione, a disagio.
Ora che si era decisa a parlare con Minerva, sentì il coraggio venirle meno.
“Ah… prendi qualcosa tu, allora?” – chiese la donna, tornando a girare le patate.
Anche lei era a disagio quando si trovava da sola con Hermione. C’erano state volte in cui, per intavolare un discorso, si era scritta alcuni argomenti di tipo neutro sulle mani, giusto per non rimanere in silenzio.
E Hermione esplose.
“Ma non ti riesce di arrabbiarti con me per una buona volta?” – chiese con gli occhi umidi.
Aveva preso l’atteggiamento di Minerva per disinteresse nei suoi confronti.
Minerva si girò di scatto, stupita per quelle parole mentre una fiammella di speranza si accese in lei.
“Ma…”
“Hai sempre permesso che ti trattassi male!, come una sconosciuta! E… e non ti sei mai arrabbiata! Ti devi arrabbiare, accidenti!” – mancava poco che sbattesse i piedi a terra.
Minerva era sempre più allibita.
“Ma… perché dovrei arrabbiarmi con te?” – disse lei, asciugandosi velocemente le mani sul grembiule e andandole davanti.
“Perché devi!” – disse, capricciosa come una bambina.
“Guarda che non mi hai mai trattata come una sconosciuta! Perché dici così?”
Stava mentendo ma non voleva far sentire Hermione peggio di quanto era stata. Forse quello era il loro momento per chiarirsi e riuscire ad avere fiducia l’una nell’altra.
“Perché è vero! Ti lasciavo fuori da tutto quello che mi succedeva e tu mi hai sempre aiutata! Non hai mai chiesto niente in cambio! Accidenti… arra-arrabbiati!” – disse, esplodendo in un pianto liberatorio.
Minerva andò da lei e l’abbracciò. Sorrise, colma di sollievo per quella svolta nel suo rapporto con Hermione per la quale aveva pregato tanto che arrivasse.
“Oh, piccola mia… non piangere. È che… non sapevo mai come dovevo fare con te… a volte ti aprivi, altre volte ti chiudevi come un riccio… non sono stata molto capace di capirti. Volevo tanto aiutarti, ma non potevo se prima non facevi tu il primo passo.” – disse la donna con le lacrime agli occhi.
“Mi di-disp-piace ta-tanto…” – disse Hermione, piangendo tra le braccia di sua madre.
Minerva era felice. Finalmente ora faceva parte anche della vita di Hermione.




Draco era uscito per fare due passi nell’aia e lasciare le due donne a chiarirsi.
Il cane di Hermione stava sgranocchiando qualche osso che Minerva le aveva allungato la sera prima e lo difendeva dalle papere e dalle galline che volevano sottrarglielo a suon di ringhiate.
Ridacchiò divertito, quando intravide la sagoma di Scott che dava da mangiare alle galline.
Non seppe come comportarsi. Non c’era andato giù leggero con lui la sera prima – al ricordo, la mano destra saettò subito sul labbro – e temeva di aver incrinato il rapporto con l’uomo. Fece per girarsi e tornare indietro quando Scott, a sua volta, si girò.
“Draco!…”
Il biondo si fermò e salutò con un cenno del capo.

Se una volta avesse ricevuto un pugno da qualcuno, il giorno dopo avrebbe mandato a puttane tutto, lavoro incluso; ma oggi Draco era una persona diversa, una persona che aveva imparato a incassare i colpi duri della vita – e non si parla solo dei pugni di Scott e della figlia, la degna erede – affrontarli e superarli.

Aveva appena dimostrato di essere una persona matura.

“Possiamo parlare?” – chiese Scott con il volto tirato.
Quella era la sua occasione per dimostrargli quanto era cambiato.
“Certo.”
Era così imbarazzato per l’enorme figura che aveva fatto la sera prima che non sapeva da dove iniziare.
“Draco… per ieri sera…”
“Scott, non parliamone più. Hai agito per il bene di Hermione e io ho esagerato con le parole. Siamo pari.”
“E’ che…” – si passò una mano tra i capelli brizzolati. – “… ho sempre pensato che Hermione non fosse mai riuscita a superare la morte della madre. Ma arrivare addirittura a sperare nella morte… non ho capito niente.” – ammise contrito.
“Hermione ha solo bisogno che la sua famiglia le faccia capire che la ama, nonostante quello che è successo. Evitare di parlarle dopo le sedute, però, non è stata una mossa molto saggia…”
“Lo psichiatra ci aveva consigliato di lasciare che la ragazza trovasse da sola la forza per rialzarsi, ma sbagliava. Dovevamo essere noi la sua forza e invece l’abbiamo abbandonata a se stessa.”
“Beh, ora che sapete quello che c’è da fare, non sarà difficile metterlo in pratica.” – disse Draco con decisione.
“Sì, credo proprio che lo faremo. Grazie, Draco.”
“Oh, per così poco?” – disse lui, cercando di sminuire quello che aveva fatto.
“Coraggio, andiamo a pranzo… c’è la pasta al forno.”




Damian e Kevin avevano scelto di tornare a casa e usare ogni minuto libero per stare con la propria famiglia mentre a casa tornarono Scott e Draco, trovando Hermione che aiutava la madre in cucina.
Fin qui, niente di strano, ma l’atmosfera allegra che regnava in quella stanza era quasi mistica. Le due sembravano aver trovato una sincronia perfetta sia a parole sia a gesti. Passavano da una parte all’altra della stanza frettolosamente, ma non si scontravano mai.
“Oh, benearrivati!” – disse Minerva con un sorriso che Scott non le aveva mai visto.
Hermione si fermò e guardò tutti con un sorriso. Un sorriso che era assai diverso dai precedenti che aveva il potere di illuminare tutta la stanza.
“Che profumino…” – disse Scott, annusando l’aria.
“A tavola, che si pranza!” – disse Hermione tutta allegra.
Ora potevano definirsi una vera famiglia.

Pranzarono allegramente, facendo battute e comportandosi come se tutti gli anni e le disgrazie che avevano colpito quella famiglia non fossero mai esistite.
Hermione osservava dal suo posto vicino a Draco, ciò che stava accadendo. Passò in rassegna i presenti, a partire dalla madre che finalmente stava ridendo di cuore. Passò al padre, che sembrava ringiovanito di vent’anni e Draco… Draco non lo guardava con gli occhi.

Lo guradava col cuore.

Quando si accorse che lui la stava fissando, si rese conto che la stava guardando preoccupato. Gli rivolse un sorriso luminoso e anche lui sorrise di rimando.
Dopo pranzo Scott tornò a sistemare gli animali, mentre Draco e Hermione avevano molto di cui parlare.


Si ritrovarono a passeggiare per il vialetto che conduceva sulla statale. Erano molto vicini.
“Hai finalmente riso, oggi.” – disse lui, felice di quella novità.
Hermione annuì, leggermente imbarazzata. Sorridere o ridere era un’azione di per sé molto semplice, ma per Hermione era sempre stato uno sforzo ercoliano. Vedere le persone attorno a lei felici perché lei aveva sorriso, la faceva sentire una bambina che aveva imparato a muovere i suoi primi passi.
“Già… mi viene da ridere se penso che è stato merito tuo.”
Draco si staccò da lei, basito.
“Cosa vorresti dire?”
“Suvvia Dracuccio, non arrabbiarti…” – disse lei con un sorriso.
L’uomo la guardò sconvolto.
“Come diavolo mi hai chiamato?!”
“Dracuccio. Non ti piace?”
“Guarda che ho una dignità, io!”
Hermione lo spintonò di lato, esasperata. Iniziò a correre, lasciandolo indietro.
“Lascia perdere la dignità… DRACUCCIO!”
Draco iniziò a correre e Hermione aumentò ancora di più la corsa, ma era ovvio che l’avrebbe raggiunta. La prese e la gettò a terra, iniziando a farle il solletico. Lei rideva di gusto, finchè non lo sentì fermarsi e guardarla con quei suoi occhi argentati che la facevano tremare.
La situazione era molto compromettente e anche Draco se ne rese conto. Galantemente l’aiutò a rialzarsi.
“Grazie… allora. Pronto per il grande rientro?” – chiese Hermione, cercando di rimanere su argomenti neutri.
Lo sguardo di Draco si fece più serio.
“Manca davvero poco.” – disse Draco. – “Nott è davvero un incapace.” – disse, riuscendo ora a riderne.
Hermione fu felice di vederlo così allegro.
“Mi fa piacere sapere che la cosa ti fa sorridere.” – disse, leggermente ironica.
“Beh, il tempo in cui mi rodevo il fegato è finito Hermione. Le informazioni che mi ha dato David in questi mesi sono state molto utili.”
A quel nome, Hermione si rabbuiò. David… ancora non ci credeva.
“Non lo perdonerai mai, vero?” – le chiese.
Hermione infilò le mani nelle tasche dei jeans e iniziò a spazzolare i sassolini della strada con la punta della scarpa.
“E’ che non me l’aspettavo da lui…” – disse.
“Lo so, ma mi era sembrato veramente dispiaciuto e poi ci ha aiutati parecchio…”
“E chi mi dice che non stia facendo il doppio gioco?” – chiese, cercando ogni pretesto per non perdonarlo.
“Difficile. Le sue informazioni si sono rivelate esatte dalla prima all’ultima.”
“Bah…” – sbuffò Hermione, non convinta.
“Hermione, so che ci sei rimasta male e quando torneremo in città, ti prometto che risolveremo anche la sua questione.”
Hermione arricciò le labbra poco convinta.
“D’accordo.” – si arrese alla fine.
“Dai, torniamo indietro.” – disse, tendendole la mano.

Tornarono a casa a pomeriggio inoltrato, mano nella mano.




Una volta a casa, ricontrollarono la situazione della Nott Home per l’ennesima volta.
Draco rideva dell’incompetenza di Theo, ma allo stesso tempo aveva una gran voglia di piangere per aver assunto uno come lui nel suo organico. Fortuna che Hermione con le sue battutine idiote lo faceva sorridere o davvero la disperazione avrebbe preso il sopravvento.









Draco e Hermione programmarono il loro rientro a casa per lunedì venticinque Settembre.
Volevano tornare a casa, ambientarsi e sistemare l’appartamento della riccia in funzione di loro due come coppia e non come ospiti.

Qualche giorno prima di partire erano andati in paese e avevano comprato due bei vestiti per potersi presentare al Country Club senza essere buttati fuori. Quando c’era stato l’ultima volta per chiedere aiuto ai suoi “amici”, Draco era stato sbattuto fuori senza tante cerimonie, dopo tutte le donazioni fatte. Hermione ne era a conoscenza, perché quando abitavano nel suo appartamento in città, si era confidato con lei e lei si era dimostrata davvero una persona matura: non lo aveva preso in giro, né lo aveva giudicato.
Lo aveva ascoltato nei suoi sfoghi.
Avrebbero fatto un giro anche al Country Club ma solo dopo che Draco avrebbe messo la propria firma sul contratto che lo definiva unico titolare della Nott Home.
Aveva qualcosa da dire pure anche a quei cari “amici”…

Volevano tornare a casa e stare tranquilli prima di affondare il coltello nella piaga: se Hermione era il tipo che preferiva evitare di colpire l’avversario quando era già a terra – eccezion fatta per Pansy Parkinson –, Draco non era dello stesso avviso: avrebbe colpito Nott fino a far diventare l’ospedale la sua fissa dimora!


Hermione era in camera e stava sistemando le cose del cane, che la guardava con una zampina sollevata, il musetto che saettava dalla borsa alle sue mani e un bel punto interrogativo in mezzo alle orecchie, perché non capiva come mai le stesse facendo la valigia.
Suo padre entrò in quel momento.
“Ehi, hai finito?” – le chiese.
Hermione si girò e gli sorrise tristemente. Le dispiaceva lasciarli così presto, dopo che avevano finalmente dipanato le incomprensioni.
“Sì, adesso.” – poi si girò, conscia che sarebbe arrivato il classico discorso “padre-figlia”.
“Hermione…”

Non sapeva nemmeno cosa dire.
Quella situazione, creatasi con il gesto di Jean, non si sarebbe mai risolta. Non sarebbero mai arrivati al punto in cui si sarebbe potuta mettere la definitiva parola “fine” a tutto quello perché, giorno dopo giorno, c’era sempre qualcosa di nuovo da affrontare, qualcosa che andava sempre studiato e ponderato mille volte – e che forse non erano ancora sufficienti – prima di fare un solo, piccolo passetto.
Scott credeva che Hermione, certo, soffrisse per la perdita della madre – e lui riteneva la questione chiusa lì – ma sapere che sua figlia sperava addirittura di morire, beh… gli ha fatto comprendere che no, non sarebbe mai finita, ma che avrebbe dovuto affrontare i problemi giorno dopo giorno e sperare che le scelte operate si rivelassero essere quelle giuste.
Così, non sapendo cosa dire, ripiegò sulla verità.

“… sono felice che tu sia nata.” – disse.
La riccia arrossì. Oh…
“Grazie…” – disse Hermione, arrossendo e chinando il volto a terra.
“Tua madre ti amava tantissimo.” – continuò, con voce decisa. – “Lei sarà sempre con te, lo sai vero?”
“Sì, lo so.” – lo rassicurò.
“Coraggio. Ti aiuto con le valige.”

Scott e Hermione scesero in cucina, dove tutti erano presenti per salutarli.
Draco chiacchierava con i fratelli di Hermione, rassicurandoli che l’avrebbe sempre protetta.
“Ehi, sei pronta?” – chiese Daphne.
“Sì.”
Iniziarono a salutarsi quando Astoria chiese se…
“Non è che ci lasceresti il cane?” – chiese.
Hermione la guardò con gli occhi sbarrati e, sì, indignata per la proposta.
“Perché?”
“Beh, tu adesso dovrai concentrarti parecchio sulla Malfoy Home.” – spiegò Neville. – “E sai che Lilly ha bisogno di persone attorno.”
A quello non aveva pensato.
Un velo di tristezza le coprì gli occhi quando chinò lo sguardo e vide il cane che, nonostante tutto, era felice di tornare a casa.
“Ehi! Guarda che non te la maltrattiamo, tranquilla!” – esclamò Damian. – “La teniamo noi finché voi non vi sarete sistemati con le vostre cose.”
“Damian ha ragione Hermione.” – intervenne Draco.
La riccia guardò il cane, intristita e il cane guardò Hermione. Lo prese in braccio e se la coccolò.
“Vuoi rimanere qui per un po’?”
Lei per prima era conscia che rilevare la Nott Home le avrebbe portato via tempo ed energie e non voleva che il cane ne risentisse.
“Poi ti riprendo, eh?” – ci tenne a precisare.
Lilly, che giustamente non aveva capito niente, abbaiò e Hermione lo prese per un sì. Lasciò dettagliate istruzioni su come trattarla e poi lo consegnò a Daphne.
“Grazie di tutto.” – disse Draco.
E finalmente riuscirono a partire.









L’appartamento era avvolto nell’oscurità più totale.
Hermione e Draco entrarono in casa zampettando per le valige che si stavano trascinando dentro. La riccia accese la luce e andò ad aprire gli scuri.

Finalmente Draco aveva capito perché Hermione fosse così attaccata a Lilly: era un regalo della sua defunta madre e una volta scoperto questo, non riuscì più a giudicare il troppo attaccamento che la riccia aveva verso quella bestiola. Dopotutto, Hermione l’aveva educata come fosse davvero un essere umano e anche per Draco, non avvezzo ad accarezzare o avere animali intorno, si era affezionato parecchio.

Scoprì anche perché Hermione odiava San Valentino.
La ricorrenza era sempre legata al ricordo di Jean, perché quella era stata l’ultima volta che aveva visto la madre viva. Hermione temeva di partecipare a San Valentino, perché inconsciamente aveva paura che, tornando a casa, si sarebbe sentita nuovamente dire che qualcuno dei suoi cari era morto.

Le aveva tenuto la mano per tutto il tempo mentre guidava, perché lei non ne era in grado.
Quella ragazza non era capace di amare a metà, anche se si trattava di un animale: vedeva come la ragazza fosse attaccata alla bestiola e nel salire in macchina aveva tenuto lo sguardo fisso sul tappetino fino a che Draco non le aveva preso la mano.
In quel momento, fu come se Hermione si fosse ricordata della sua presenza e cercò di fare un po’ di conversazione.




Era strano tornare in quell’appartamento con un inquilino per fidanzato e senza il suo cane. Le sembrava di essere stata menomata…

Iniziarono subito a sistemare le proprie cose negli armadi – Hermione dovette fare posto per quelle di Draco – e quando finirono si guardarono negli occhi. Draco le andò incontro e iniziò a baciarla.
Ma la sentì tremare sotto di lui.
“Qualcosa non va?”
Ecco, sì… come faceva a dirglielo senza farsi ridere in faccia?
Non riuscì nemmeno a fare un cenno con il capo.
“Hermione? Corro troppo? Vuoi che rallenti?”
Il punto era proprio quello: non voleva che si fermasse ma non sapeva come dirgli quella cosa.
“Non avevamo detto di dirci tutto quello che non andava?”
“Sì, ma…”
“Ma?”
“E’ un po’ complicato…” – ammise a denti stretti.
“Magari posso aiutarti a sbrogliare la matassa.”
Era sempre più rossa e non riusciva a guardarlo in faccia.
“Io…” – beh, se era riuscito a non farla più sentire sbagliata per ciò che sua madre aveva coraggiosamente fatto per lei, forse poteva aiutarla anche con quella questione.
Lo sperò vivamente.
“… sono vergine. E no, non mi riferisco al segno zodiacale.”









Calli-corner:

Capitolino corto, ma siccome ne arrivano altri due, credo si possa chiudere un occhio.
Non ho molto da dire, anche perché tra poco leggerete il seguito.
E niente spoiler.

Prossimo capitolo in arrivo!
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Capitolo 17
*** Il ritorno del Figliol Prodigo ***


17 - Il ritorno del Figliol Prodigo “Ho bisogno di ferie. Sono stressato.”
“Certo che non ti va bene niente, eh?” – disse Laney. – “Con tutto il sesso che abbiamo fatto in questi mesi, hai il coraggio di venirmi a dire che sei stressato?” – chiese, fintamente oltraggiata. – “Ecco lo sapevo! Sto perdendo il mio mordente!” – disse, gettandosi teatralmente sul letto in una mossa da “vedova inconsolabile”.
John rise divertito.
Beh, con Laney era una cosa fantastica: le uniche volte in cui non facevano sesso era quando lei era “mensilmente impegnata” e quando il lavoro era talmente stancante che li teneva occupati fino a orari improponibili la notte.

Il contratto con la Nott Home, alla fine, non si era potuto recidere, poiché vincolante per legge: se avesse voluto scinderlo, avrebbe dovuto sborsare fior fiori di dollari e lui non voleva mandare sul lastrico la propria azienda e mettere in strada tutti coloro con i quali lavorava, addirittura, da decenni.
Aveva quindi mantenuto il contratto, ma gli acquisti erano calati di quasi il novanta per cento.

Laney ridacchiò con lui e poi scese dal letto.
“Dove vai?”
“Ho bisogno di zuccheri. Vuoi qualcosa?”
“No, grazie.”
La vide allontanarsi con la sua camicia addosso, quando un pensiero gli balenò nella mente, tanto la lasciarlo interdetto e senza fiato fino al ritorno della ragazza che teneva tra le mani un bicchiere di succo di frutta.
“Che ti prende?” – chiese, preoccupata.
“Niente, scusa. Un black out.”
Laney pensò che quei “black out” gli capitavano un po’ troppo spesso. Più volte l’aveva beccato con lo sguardo sgranato e perso nel vuoto.
“Vieni qui.” – le tese la mano che lei prese.
Posò il bicchiere sul comodino e gli finì praticamente in braccio. John le aprì la camicia e iniziò a baciarle il ventre. La donna gradì parecchio e gettò la testa all’indietro. La stese sul letto e iniziò a penetrarla lentamente.

Se ne accorsero entrambi.
Se ne resero conto entrambi.
Laney voleva fermarsi ma il suo corpo non era d’accordo con lei. Tentò addirittura di ritrarsi, ma John la teneva ferma in una morsa d’acciaio.
E quando l’orgasmo si avvicinò, lui la baciò sulle labbra.

Le rimase dentro per qualche minuto, con il collo infossato nell’incavo della spalla di Laney che, spaventata, fissava il soffitto della sua camera.
“Levati.” – disse la donna, priva di emozioni.
John serrò gli occhi e si alzò. La guardò mentre scendeva dal letto come se vi fosse stato un serpente velenoso e andava alla ricerca dei suoi vestiti.
“Laney…” – tentò lui.
“Laney niente!” – sbottò, senza guardarlo negli occhi, troppo spaventata e arrabbiata per ciò che era appena successo. – “Laney il cazzo!” – disse, accompagnando la frase a un gesto eloquente delle braccia.

Tornò in cucina come un toro in gabbia. Che diavolo gli era saltato in mente? Era forse impazzito?
Di lì a qualche secondo si presentò John con addosso solo i pantaloni. Non era riuscito a trovare la maglia perché lei l’aveva lanciata da qualche parte nella stanza.

“Laney ascolta…”
La donna si bloccò e si girò verso di lui, con lo stesso atteggiamento di chi sta per ammazzare il marito, beccato a letto con un’altra.
“No, tu ascolta me! Che cazzo ti è saltato in mente, si può sapere?” – era arrabbiata.
E terrorizzata.
John non ne comprese il motivo.
“Non capisco cosa vuoi…” – tentò John, ma venne zittito dalla donna.
“Non provare a fare il finto tonto con me, John! Che cazzo è successo in camera?” – sbottò, indicando la stanza con un braccio teso.
“Siamo stati a letto insieme.” – disse lui, cercando di mantenere la calma. – “Niente di diverso da…”
“Trattami ancora come una cretina e ti sbatto fuori da casa senza vestiti!” – ruggì lei.
L’uomo si zittì.
“Abbiamo appena fatto sesso mi sembra. Contenta?” – chiese.
Laney sembrò aver mangiato qualcosa di amaro.
“NO JOHN!” – tuonò, sbattendo le mani sul tavolo. – “Noi non abbiamo appena fatto sesso! Noi abbiamo fatto appena fatto l’amore! Cazzo!” – fu la sua degna conclusione.
“Ne parli come se fosse letame.” – disse, sinceramente risentito.
Lo sguardo di Laney gli diede a intendere che non c’era andato tanto lontano. La guardò basito.
“John, cercherò di essere chiara, affinché anche tu possa capire.” – disse, trattandolo in un modo che all’uomo non piacque per niente. – “Io e te non facciamo l’amore, chiaro? Io e te scopiamo! Io e te facciamo sesso! Io e te ci divertiamo!”
“Non trattarmi come un cretino Laney.” – disse John, stizzito. – “Non ne hai il diritto.”
“Ti tratto da cretino quando ti comporti da cretino!” – lo aggredì.
“Ma si può sapere qual è il tuo problema?”
Laney si indicò, basita.
“Il mio… il mio problema? Non sono io ad avere un problema John, sei tu! Eravamo d’accordo, ricordi? Un aperitivo, una bella scopata e ognuno a casa sua!”
“Bene. Dato che la mia vista sembra disgustarti, me ne torno a casa. Ci vediamo domani in ufficio.”
“Ah no, eh?” – disse, con una risatina isterica. – “Non tentare nemmeno di farmi passare per la via del torto! Ehi dove vai? Sto parlando con te!” – esclamò, mentre lo seguiva in camera.
“Me ne sto andando come da tua richiesta.” – disse lui, lapidario. – “Sai Laney, ti credevo diversa.”
La donna sembrò in grado di lanciare fuoco e fiamme dagli occhi. Se John l’avesse guardata in faccia, sarebbe morto sul colpo.
“Credevo fossi onesta con te stessa, ma forse sono io che mi sono immaginato tutto.”
La forza con la quale lo prese e lo girò lo lasciò sconcertato.
“Io sono sempre stata onesta con te John fin dall’inizio.”
L’uomo tentò di divincolarsi, ma Laney lo tenne fermo.
“Ti ho sempre detto che non cercavo l’amore e tu stesso non volevi iniziare questa cosa per paura che si potesse ripercuotere sul lavoro. Ti ho sempre detto di non preoccuparti, che solo perché andiamo a letto insieme, questo non avrebbe significato che la mia professionalità sarebbe venuta meno. Sono sempre stata onesta con te, ma forse… forse sei tu che non sei stato onesto con me.” – lo lasciò.
“Massì, forse hai ragione tu.” – disse, come se in quei pochi istanti avesse capito una santa realtà. – “Sono io che devo aver volato troppo con la fantasia…”
A quella frase Laney non seppe spiegarsi perché, ma iniziò a sentirsi in colpa.
“… in questi mesi siamo stati bene insieme ed è un dato di fatto.” – disse, notando il suo tentativo di interromperlo.
Laney si zittì.
“Abbiamo cenato insieme, qui da te o da me e il sesso… passerò per indelicato, ma sei un’assatanata, lasciatelo dire.” – scherzò.
Lei continuò a sentirsi peggio.
“Non credo di essere mai stato così appagato in vita mia.”
“John…” – tentò lei.
“Ammetto che farne a meno sarà difficile ma un’ultima cosa voglio dirtela. In questo periodo ci siamo conosciuti meglio, abbiamo superato il confine titolare-dipendente e non mi riferisco solo al sesso.” – disse, riferendosi a tutte le volte che, dopo essere stati a letto insieme, si erano lasciati andare a delle confidenze personali. – “E ho intuito che c’è stato qualcosa o qualcuno che ti ha fatto rivedere il concetto di “amore”. Non che io mi erga a paladino di questo sentimento, sia chiaro, ma non puoi fare di tutta l’erba un fascio. Al mondo di figli di puttana ne esistono, però esistono anche persone che darebbero la vita per la propria compagna. Con un po’ di impegno da parte di tutti e due ce l’avremmo potuta fare, Laney.”
La donna sentì gli occhi diventare lucidi. Lui…
“Ma tu non vuoi impegnarti.” – concluse, indossando la giacca. – “Non so perché ma è un vero peccato e io… io non me la sento di combattere di nuovo da solo.” – disse, riferendosi al suo matrimonio. – “Perciò… grazie per questi mesi passati insieme. Spero davvero non cambi niente sul lavoro.”
Non aspettò una sua risposta, perché sapeva che Laney era la persona più professionale che avesse mai conosciuto. Raccattò le ultime cose e uscì da quella casa.

L’improvviso silenzio che calò una volta che John si tirò dietro la porta, la sopraffece.
Era un rumore talmente assordante che, per spezzarlo, pianse.









“Signor Nott, posso parlarle un momento?”
“Gerard!” – esclamò Theo, lieto, accavallando le gambe. – “Dimmi pure.”
“Ehm, se si potesse… in privato.” – disse l’uomo.
“Non ho segreti per i miei amici Gerry.” – disse, prendendosi un’inopportuna confidenza.

Theo era al Country Club e si era portato dietro Pansy.
La donna era a giocare a tennis con le mogli degli altri soci e si divertiva parecchio.
Beh, si divertiva perché non sapeva di quanto Theo fosse in arretrato con i pagamenti…

“In tal caso…” – disse l’uomo, indispettito dalla volgarità di Theo Nott. – “… dovrebbe saldare il conto di questo mese. È in arretrato di settemila sterline circa.”
Il silenzio che cadde al tavolo, spedì Nott nel Girone dei Vergognosi.
“Scusate un attimo signori. Torno subito.” – disse, anche se ormai il danno era stato fatto. – “Andiamo.” – sibilò a Gerard nell’orecchio.
Gli uomini rimasti si guardarono perplessi e a disagio.

“Che storia è questa? Non potevi aspettare per dirmelo?”
Gerard, che aveva a che fare con persone del calibro di Nott da anni, non si fece intimidire. Riprese possesso del braccio che Theo gli aveva scippato per condurlo via dai suoi amici e si lisciò la giacca.
“Le avevo chiesto di parlarne in privato, ma lei…”
“See see d’accordo.” – disse, interrompendolo.
In quel momento Gerard rimpianse amaramente le persone del calibro di Draco Malfoy. Lui sì che era un vero signore!
“Quanto tempo ho per saldare il conto?”
“Fino alla fine della settimana.” – disse, lasciandolo basito. – “O se si presenterà qui a mani vuote, sarò costretto a scortarla fuori insieme alla sua signora.”.
“Mi… mi serve più tempo.” – disse Theo, occhieggiando in giro.

Nella frazione di un secondo pensò a come sarebbe potuta essere la sua vita senza quelle agiatezze.
Scacciò il pensiero perché era così annichilente che, piuttosto, sarebbe andato a rapinare una banca.

Era messo così male?
“Venerdì, signore. O subirà la stessa sorte del signor Malfoy.” – gli ricordò.
Gerard aveva bene in mente il giorno in cui aveva cacciato Draco dal suo Country Club. Non lo avrebbe mai dimenticato.

Draco era entrato tutto scarmigliato e si era diretto velocemente da un socio, poi da un altro e poi da un altro ancora.
Tutti gli avevano voltato le spalle.
Era spaventato come un pulcino e alla fine era stato sbattuto fuori con lui che cercava di opporre resistenza e che urlava per farsi aiutare.
Da quel giorno non lo ebbe più rivisto.

“Io non farò la fine di quell’idiota!” – ringhiò Theo.
“Glielo auguro, signore. Venerdì.” – scandì, per tornare ai propri affari.
Theo guardò Gerard allontanarsi e una rabbia cieca si impadronì di lui. Si portò una mano sulla bocca e il respiro divenne pesante.
E dove le trovava settemila sterline, adesso?
Un movimento all’esterno catturò la sua attenzione e quando vide Pansy correre da una parte all’altra del campo per prendere la pallina si tranquillizzò.
Gliele avrebbe date lei.

Con un sorriso più tranquillo per essere riuscito a risolvere la situazione, Theo tornò al tavolo ma notò subito che George Webber se ne era andato e che Luke Obber stava per fare lo stesso.
“Luke dove te ne vai?” – chiese, con un il sorriso di chi aveva risolto tutto.
Luke lo guardò.
“Mi sono ricordato di avere un impegno. Signori, alla prossima. La prossima volta ti straccio, George!” – esclamò.
Theo notò come Luke l’avesse trattato con freddezza, mentre con George si era dimostrato molto più accomodante.
“Sì, la prossima.” – disse l’altro, ridendo.
Quelli che rimasero non dissero più nulla: si limitarono a bere i propri drink. Il ghiaccio che tintinnava contro il bicchiere era l’unico rumore a quel tavolo.
“Il gatto vi ha mangiato la lingua?” – scherzò Theo, che si era sentito parecchio a disagio da quando era tornato.
Quella sparata di Gerard sui suoi arretrati non doveva capitare.
Fu George a prendere la parola e quando lo fece, Theo sentì una colata di ghiaccio scendergli per la schiena. Con un movimento pigro del corpo, George ripose sul tavolino il bicchiere ormai vuoto e prese una salviettina per pulirsi la bocca.
“Il gatto forse mi avrà mangiato la lingua Theodore…” – disse, cestinando il fazzoletto nel posacenere.

Lo aveva sempre chiamato Theo…

“… ma almeno mia moglie non mi ha fatto fuori il patrimonio. Sai, non vorrei dover assistere di nuovo a quella spiacevole scenata di qualche mese fa.”
Theo comprese al volo che si stava riferendo a Draco.
“E perché dovresti?” – chiese, ostentando una sicurezza che credeva di possedere. – “Non sono mica Draco, io!”
“Lo spero per te, Theodore. Lo spero per te.”


Alla fine, Theo rimase da solo a quel tavolino con in mano il suo drink.
Quando Pansy tornò, lavata e profumata di tutto punto, lo trovò da solo.
“Dove sono finiti gli altri?”
“Siediti. Dobbiamo parlare.”
Pansy obbedì. Posò il borsone a terra e si accomodò.
“Che succede?”
“Mi servono ottomila sterline.”
La donna sbarrò gli occhi e sbiancò.
“Ottomila… e che ci devi fare?”
“Devo pagare il Country Club. E non ho soldi.”
“Prendili dalla ditta!” – esclamò, attenta a non farsi sentire.
“Se avessi potuto prenderli dalla ditta lo avrei fatto.” – disse lui, con un sorrisetto ironico.
“Per quando ti servono?”
“Per questo venerdì.”
“Questo venerdi?!” – Pansy alzò gli occhi per accertarsi che nessuno l’avesse sentita.
Quando incrociò lo sguardo di Phillis Obber sorrise e la salutò.
“Abbassa quella voce!” – ordinò Theo. – “Vuoi che ti sentano tutti?”
“Io non le ho ottomila sterline!”
Theo sbarrò gli occhi. Cazzo…
“Chiedile ai tuoi!”
“La fai facile, tu! Da quando ho lasciato Draco, i miei a stento mi rivolgono la parola. Figurarsi se mi presteranno dei soldi.”
“Allora trova una…”
“Se stai per dirmi che io devo trovare una soluzione a un tuo problema ti sbagli di grosso. Se me ne avessi parlato prima forse avrei potuto fare qualcosa, ma ora è troppo tardi. Arrangiati.” – detto ciò, prese il borsone e si diresse all’uscita.
Alla fine, Theo, rimase completamente solo.









“Puoi ripetere, scusa?”
“Io… sono… sono vergine. Non l’ho mai fatto.”
Pensandoci bene, Draco trovò quasi scontata quella confessione. Hermione aveva sempre cercato di tenere alla larga i ragazzi, per paura che la sua storia – e la sua cicatrice – potesse allontanarli schifati. Non si era mai spogliata nemmeno per un bagno in piscina, figurarsi davanti a un uomo!…
“Dì qualcosa…” – lo pregò, a disagio.
Draco si riscosse dai suoi pensieri, quando la vide che con lo sguardo cercava tutto tranne il suo e che nei suoi occhi vi fossero delle lacrime pronte per scendere.
“Io… non mi interessa.” – disse.
Hermione lo guardò negli occhi.
“Immagino fosse un tuo modo per proteggerti da chi non avrebbe capito.”

Da quando era diventato così accorto?

“Scusa…” – disse lei, non capendo bene per cosa dovesse scusarsi.
“E di cosa?”
Hermione fece le spallucce, confermandogli che nemmeno lei sapeva bene per cosa scusarsi.
“Hermione… fare l’amore è una cosa bella.” – disse, morbido. – “La prima volta fa sempre male, non posso dirti il contrario…” – la sentì sospirare afflitta.
Hermione pensava di aver patito sufficiente dolore in passato; non voleva che anche un atto fisico che, dai racconti di Rya, era quanto di più fantastico esistesse al mondo, fosse doloroso. Aveva l’impressione che non sarebbe mai finita!
“… ma dopo, con il ritmo giusto, con la persona giusta…”
Si guardarono negli occhi nello stesso momento.
“… diventa più facile. Hermione?”
“Sì?”
“Tu… vuoi fare l’amore con me?”
Riuscì ad annuire solamente, perché la voce era finita in cantina.


E successe.
Nessuna camera illuminata da candele, nessuna cenetta romantica, niente fiori, nessuna promessa di matrimonio in vista.
Draco e Hermione fecero l’amore per la prima volta in camera sua di pomeriggio, sopra il piumone di Hallo Kitty e con qualche orsacchiotto appoggiato, inizialmente almeno, al cuscino che usava per dormire.
Le persiane erano di poco sollevate e filtrava una lama di luce, sufficiente per guardarsi negli occhi.

Draco aveva le mani che gli tremavano.
Erano anni che non faceva l’amore con una vergine e temeva che le sessioni alle quali era abituato con Pansy potessero in qualche modo mettersi in mezzo e fargli usare meno delicatezza di quanta non ne servisse in realtà.
“Non sei tu che dovresti essere nervoso…” – lo rimbrottò lei, agitata mentre si martoriava le mani.
Che doveva fare?!?!
Draco rise e un po’ si rilassò.
“Hai ragione, scusa.”
“Devo spiegarti come funziona o ti arrangi?” – chiese la riccia e Draco si lasciò andare a una sonora risata che contagiò Hermione stessa.
La tensione era stata letteralmente spaccata a metà.
“Credo di ricordarmi ancora come si fa.” – disse l’uomo che, con le mani, si avvicinò al maglioncino di Hermione.
La riccia alzò le braccia e rabbrividì leggermente, quando non avvertì più il tepore della stoffa.
“Tranquilla. Tra poco avrai caldo. Molto caldo…” – disse, con voce roca.
Lentamente, iniziò a sfilarle i bottoni della camicetta.
Era nervoso perché oltre a vedere la pelle di Hermione, avrebbe finalmente visto la cicatrice.
Indossava una canotta lilla scollata, che permise a Draco di vedere il solco che spariva nell’incavo dei seni. La sfiorò con la punta delle dita e lei non si ritrasse. Si avvicinò a lei e le circondò la schiena con le braccia.
Iniziò a baciare quella pelle delicata fino a finire con il naso tra i suoi seni.

A Hermione piaceva ciò che stava sentendo.
Le labbra di Draco erano leggermente ruvide – chissà com’erano prima – e quando si posarono sulle sue, ebbe un attimo di esitazione.
“Rilassati…” – lo sentì sussurrare sulle sue labbra.
“Temo di aver saltato la lezione sui baci…” – scherzò lei.
Fare battutine in certi momenti era il suo modo di stemperare la tensione.
“Professor Draco Malfoy al suo servizio.” – rispose lui.

Nessuno dei due voleva ricordare quel momento come “l’esperto Draco Malfoy avesse penetrato l’incompetente Hermione Granger”, così si erano silenziosamente messi d’accordo sul fatto di viverlo per com’era e non per quello che ci si sarebbe aspettato.

Calò ancora il silenzio tra loro dove Draco continuò la sua missione di insegnante. Nel giro di poco si ritrovarono entrambi nudi e Hermione pensò che fosse una fortuna che in camera vi fosse più buio che luce, perché Draco avrebbe notato la sua autocombustione.
Un gemito strozzato le uscì dalla gola quando sentì la sua mano saggiare la sua parte più intima. Un improvviso torpore l’avvolse e Draco ne approfittò per baciarla a tradimento.
Il bacio e le sue carezze la portarono a rilassarsi ancora di più.
“Draco…”
“Sono qui.” – sussurrò lui, con decisione.
All’improvviso, Hermione si sentì calda e umida. Era quella la sensazione di bagnato che sua sorella Astoria le aveva sempre descritto? Naturalmente tenne per sé quei dubbi per non fare proprio la figura dell’ignorante a tutto tondo.
“Hai paura?” – chiese Draco, a denti stretti.
“Credo di…”
Si bloccò e sbarrò gli occhi quando sentì Draco fare pressioni per entrare. Si aggrappò alle sue spalle, cercando di non piantargli le unghie fino alle ossa.
“No amore, rilassati…” – disse lui, preso dal momento. – “… se fai così è peggio.”


Quando l’aveva sentito chiamarla “amore”, un senso di assoluto sconvolgimento si spanse in lei, tanto da farle allentare la muscolatura pelvica e dimenticare la pressione che Draco stava esercitando tra le sue cosce mentre lui, che stava premendo per entrare, venne colto alla sprovvista e scivolò in lei fino al giusto incastro.
Conscia che non serviva più a niente, Hermione serrò le gambe attorno al suo bacino. Non sapeva se dirsi più sconvolta per il fatto che l’avesse chiamata “amore” o perché con una spinta era entrato in lei e lei aveva sentito pochissimo dolore.
Draco non si era ancora reso conto di come l’avesse chiamata.


“Hai visto?” – la rassicurò, prendendo il suo sguardo allucinato come incredulità di fronte alla semplicità della prima penetrazione.
E Hermione non se la sentì di rovinare quel momento con le sue precisazioni.

Draco iniziò a muoversi lentamente, per farla abituare.
Hermione era tornata rigida come un baccalà e Draco le parlava all’orecchio per farla rilassare. La donna, lentamente, rilasciò i muscoli delle gambe e il dolore si protrasse ancora per qualche momento, fino a sparire.
Rya le aveva detto che la prima volta, raggiungere l’orgasmo era impossibile, perché nonostante si sia rilassate, il cervello ha ancora registrato il dolore della prima penetrazione e pensare ad altro risulta difficile.
Un giorno le aveva chiesto cos’era l’orgasmo.

“Scientificamente parlando, posso dirti che è una contrazione dei muscoli pelvici di qualche secondo.” – aveva risposto Rya.
Hermione c’era rimasta male. Sembrava tutto così impersonale…
“Ma ogni persona la vide a modo proprio. Quando hai un orgasmo tutto il corpo esplode, la mente si svuota e senti ondate liquide nel ventre. È veramente bellissimo.”

Draco però, decisamente più abituato, iniziò a muoversi sempre più velocemente finché non raggiunse l’orgasmo. Si era sentito dispiaciuto per Hermione che non c’era riuscita, ma il suo corpo aveva reagito più che bene e interrompersi sul più bello sarebbe stato veramente atroce.
Rotolò di fianco a lei e la trasse verso sé.
“Stai bene?”
“Credo di sì…” – disse.
“Ti ho fatto tanto male?”

“No amore, rilassati…”

Quel ricordo la fece sorridere.
“Non tanto.” – lo rassicurò.
“Meno male che Hallo Kitty non può parlare…” – ironizzò Draco, dando un’occhiata al piumone.
Hermione scoppiò a ridere.
“Se per quello, abbiamo avuto anche il pubblico.” – rispose, guardando gli orsacchiotti ora sparsi sul pavimento.
“Hai degli orsacchiotti “guardoni” Hermione.” – disse Draco, che poi le baciò il capo.
Una leggera sonnolenza li colpì fino a farli cadere nel sonno fino a ora di cena.









Alla fine, era cambiato tutto.

Il giorno successivo si era presentata al lavoro, indossando il suo sorriso migliore e la sua immancabile professionalità.
Era tutto il resto che faceva cilecca.

Da quando John le aveva parlato in quel modo, qualcosa in lei era cambiato.
Si perdeva spesso e volentieri a guardarlo e arrossiva quando vedeva una collega andare da lui per consegnargli del materiale. Aveva perfino spezzato una matita a metà quando Jessica dell’amministrazione si era avvicinata a lui per togliergli un pelo dalla giacca.
Cos’era cambiato?
Possibile che si fosse fatta influenzare dalle sue parole? Perché John aveva dovuto incasinare tutto? Niente complicazioni, niente difetti da sopportare, nessun litigio per chi dovesse pagare le bollette, niente panni sporchi da lavare…

“Con un po’ di impegno da parte di tutti e due ce l’avremmo potuta fare, Laney.”

Se non era una dichiarazione quella!, Laney davvero non sapeva cos’altro avrebbe potuto esserlo.
Ma ciò che più le premeva sapere era come aveva fatto John a provare per lei qualcosa di più dell’attrazione fisica. Quand’era successo? Non si era mai accorta di niente! Si comportava sempre nel solito modo!

Gettò la penna sulla scrivania e reclinò il sedile della poltrona all’indietro.
Era solo un giorno che era tornata al lavoro e già sentiva non riuscire a farcela. Pensò molto al loro rapporto di quei mesi e, perplessa, solo in quel momento si rese conto che avevano vissuto come una coppia.

Solo quando seppe di aver perso John, si rese conto di tenerci a lui.

La cosa la mandò in confusione.
Com’era stato possibile che anche lei si fosse legata in quel modo all’uomo senza rendersene conto? Avevano vissuto la routine tipica di due persone che iniziano a frequentarsi: cene fuori, passeggiate, sesso… e poi lui, da gentiluomo, l’accompagnava a casa con la promessa strappata di un altro incontro.
E di un altro, e di un altro ancora…

Quella consapevolezza le lasciò l’amaro in bocca.




I giorni passavano troppo lenti e troppo monotoni.
Laney evitava l’ufficio di John come la peste perché quella stanza ne aveva viste di cotte e di crude. Se doveva parlargli gli mandava mail dettagliatissime su questo o quell’altra transazione. Sapeva di non poter andare avanti in quel modo, che John le… le mancava troppo – quando l’aveva pensato la prima volta per poco era svenuta – ma non voleva rischiare di finire come quell’unica volta in cui si era fidata di un uomo.
Ne sarebbe uscita devastata.









“Ah, capisco. Sì, non c’è problema. D’accordo. Arrivederci.”
“Chi era?”
Hermione uscì dalla camera dopo essersi rivestita.
“Peter Connell.” – disse Draco. – “Ha posticipato l’appuntamento di Devon Mallory a venerdì anziché a mercoledì.” – disse, con un sorrisetto divertito.
Devon Mallory era il nome che Draco aveva usato durante tutta la transazione finanziaria per l’acquisto della Nott Home. Voleva farsi riconoscere solo alla fine, quando avrebbe avuto Theo tra le mani e pronto per spiaccicarlo alla parete.
“Perché?”
“Mercoledì ha una riunione e non è sicuro di liberarsi in tempo.”
“Questo Connell è molto professionale se prima ti dice una cosa e poi la ritratta.” – sentenziò Hermione.
“Che mangiamo stasera?” – chiese Draco, cambiando discorso.
“Mhm, il frigo è vuoto. Vado al supermercato e prendo qualcosa.”
“Vengo con te.”


Si ritrovarono al supermercato con in mano un cesto.
Passeggiavano tranquilli tra le corsie per trovare qualcosa che li stuzzicasse.
“Pasta?” – propose la riccia, lei per prima non convinta di quella scelta.
Draco storse il naso.
“Non mi va. Carne?”
“Mhm…” – rispose lei, storcendo il nasino.
Si guardarono e…
“Pizza.” – dissero insieme.
Alla fine uscirono dal supermercato a mani vuote, tornarono a casa e si ordinarono una pizza d’asporto che arrivò dopo dieci minuti.

Finalmente Draco si sentiva parte di qualcosa.
Mentre guardava Hermione affaccendarsi per apparecchiare la tavola, l’idea che quella fosse una convivenza a tutto tondo lo solleticò parecchio.
Non era ancora riuscito a digerire il fatto che una persona avesse scelto di propria spontanea volontà di uccidersi per dare la vita a un’altra per il semplice motivo che anche lui non lo capiva, nonostante avesse detto a Hermione che se si sentiva così sporca era perché non era riuscita ancora a comprendere fino in fondo il gesto della madre.

Forse doveva diventare genitore, per riuscirci.

E in quel momento, mentre Hermione sciacquava qualcosa nel lavandino, volle immaginare che stesse lavando un biberon.
Scosse la testa.
Prima di pensare a certe cose voleva riprendersi in mano la sua vecchia vita, ricostruire la Malfoy Home – più che altro la reputazione che Nott aveva bellamente buttato nel cesso – e sì, ricostruire anche il rapporto con i suoi genitori.

Da quando Hermione lo aveva accolto in casa all’inizio dell’anno e poi si era trasferito a Castle Rich, non li aveva più sentiti, né si era mai posto il problema di chiamarli perché all’epoca aveva ragionato come un bambino capriccioso di cinque anni: suo padre non lo aveva aiutato e solo ora Draco riusciva a rendersi conto di quanto quel gesto gli dovesse essere costato. Grazie a Scott e Minerva – e anche a Jean – aveva capito che un genitore farebbe qualsiasi cosa per il figlio, ma ci sono certi momenti della vita nei quali bisogna farsi da parte per permettere a quello stesso figlio di maturare e comprendere il perché di certe azioni.
E lui aveva capito.

Suo padre aveva cercato di aiutarlo non aiutandolo.

Poteva essere un paradosso ma Draco comprese che suo padre non voleva altro che lui imparasse a chiedere aiuto, come invece aveva dovuto fare alla Granger’s Transport con quei documenti che lo facevano impazzire. Credeva di avere sempre tutto sotto controllo, Draco, credeva che l’invocazione “aiuto” non gli sarebbe mai uscita dalla bocca in nessun caso; aveva imparato non solo a chiedere aiuto, ma anche a darne, scoprendo quanto fosse gratificante ricevere un sorriso o addirittura un dolce per quella gentilezza.

Aveva imparato tante cose, Draco e ora era in grado di poter tornare dai suoi genitori con uno spirito nuovo.

Andò da Hermione e l’abbracciò da dietro.
La riccia, non ancora abituata a certi slanci, arrossì di botto.
“Stiamo insieme da mezz’ora e già devi farti perdonare qualcosa?” – chiese, per stemperare l’imbarazzo che sentiva.
“Sì.” – rispose lui.
Hermione, la cui battuta doveva solo far ridere, s’irrigidì come un baccalà.
“Per quello che ti ho fatto in azienda, per averti creduta un Giuda e per non essermi accorto prima di che persona speciale tu sia.”
“Mhm!” – esclamò la riccia, girandosi nell’abbraccio. – “Va avanti…”
E mentre si avvicinarono per baciarsi, il campanello di casa suonò.









“E non sappiamo chi sia?” – chiese.
“Non abbiamo nessuna notizia di lui, signore. Theodore?”
“Cosa?”
“Ci stavamo chiedendo quando avrebbe pagato gli stipendi.” – disse l’uomo.
Theo sentì un pugno allo stomaco.
“Presto signori, non temete.”
“E’ già in arretrato di un bel po’ di mesi. Non vorrei dover iniziare una causa contro di lei.”
“Non si preoccupi, avvocato. A giorni avrà il suo stipendio.”
“D’accordo.” – concesse lui. – “Noi qui abbiamo finito. Arrivederci.”
“Salve.” – salutò Theo.

Quando rimase da solo – ultimamente gli succedeva spesso – il sorriso di condiscendenza svanì. Perfetto! Anche gli avvocati ci si mettevano!
Pensò che almeno loro avrebbe dovuto pagarli, altrimenti se inviavano un contenzioso nei suoi confronti si sarebbe ritrovato davvero a bocca asciutta!

Le azioni della Nott Home continuavano a scendere inesorabilmente e Theo non sapeva più cosa fare.
Non riusciva a capirne il motivo.
Più volte i più coraggiosi avevano cercato di fargli notare che evidentemente non era tagliato per gli affari ma lui li liquidava con una velata minaccia di licenziamento.
E poi c’era quel tizio… quel Devon Mallory.

Aveva iniziato a fare la sua prima comparsa qualche mese addietro.
All’inizio era solo un nome tra i tanti che voleva mettere le mani sul suo impero, ma lentamente aveva preso campo e tra tutti i possibili compratori della Nott Home, lui era quello che aveva fatto fino a quel momento l’offerta migliore.
Per precauzione, aveva già fatto redarre il contratto di cessione con tutti i dati in suo possesso – pochi, a dire il vero, perché questo Devon Mallory sembrava un fantasma – al quale mancava solo la firma dell’uomo per rendere la vendita tale.
Doveva vendere a lui o davvero sarebbe finito sul lastrico.









“J-John?”
“Sì, sono io… Laney?” – chiese l’uomo, sorpreso.
“Sì…”
“Che succede? Stai male?”
“Mi sono…” – tosse. – “… devo essermi presa l’influenza, non… non riesco a…” – tossì violentemente. – “… a venire in uf…” – ancora tosse. – “uf-ufficio…”
“Sì, sta tranquilla non preoccuparti.”
“Ok…”
Calò il silenzio durante la comunicazione ma nessuno riagganciò.
“Beh, stammi bene.” – disse l’uomo.
“Sì, grazie. Ciao.”
“Ciao.”

Era stata la conversazione più impersonale che avessero mai fatto.
Neanche sul lavoro erano così distaccati. Lei riusciva sempre a mescolare il lavoro con qualche battutina per sdrammatizzare ma ora… le sembrava strano che tutto fosse finito.
Sbatté il cellulare sul tavolo e corse in bagno, dove vomitò anche l’anima.

Escluse a priori una gravidanza. Con John prendeva regolarmente la pillola e aveva da poco passato il ciclo.
Non seppe se dirsene sollevata o delusa.

Con enorme sforzo mise a bollire dell’acqua che poi versò nella borsa dell’acqua calda. Aveva talmente freddo che se ne era preparate tre: una per le spalle, una per la pancia e una per i piedi. Aveva tirato fuori due piumoni sotto i quali si sarebbe seppellita e aveva trasferito in camera qualche biscotto e le medicine da prendere con l’acqua.
Viaggiava per casa con una coperta di pile sulle spalle. Quandò preparò tutto andò in camera, sistemò le borse dell’acqua calda e s’infilò sotto i piumoni.
Si addormentò subito.




Odiava la febbre, la odiava con tutta se stessa.
Quando al lavoro c’era un esubero tale da farla capottare ogni volta che si sedeva alla scrivania, sperava di beccarsi una bella influenza e lasciare che altri lo svolgessero al posto suo; quando l’influenza arrivava preferiva di gran lunga lavorare come uno schiavo ai tempi dei faraoni perché stava troppo male.
Insomma… come a ogni donna che si rispetti, non andava mai bene niente.

Un aspetto della febbre che non sopportava era lo stato di comatoso delirio in cui cadeva.
Sentiva voci che in realtà non c’erano e quando effettivamente erano presenti, le ignorava, credendole frutto della sua immaginazione.
In quel caso doveva per forza di caso essere la seconda opzione, perché lei abitava da sola e quindi era praticamente impossibile che qualcuno fosse lì.
O forse c’era, perché era un ladro.

Spaventata dall’evenienza, cercò di rimanere ferma immobile: magari se il ladro avesse visto che lei dormiva, non le avrebbe fatto niente e se ne sarebbe andato.
Iniziò a spaventarsi sul serio quando lo sentì sedersi sul letto accanto a lei. Voleva violentarla prima di rubarle le sue cose? In casi normali si sarebbe saputa difendere con le unghie che faceva crescere come artigli, ma adesso si trovava da sola, febbricitante e arrotolata nei piumoni per non prendere freddo.
Aprì di scatto gli occhi e con la sola forza della paura cercò di graffiare il ladro.

“Laney calmati!” – esclamò l’intruso.
Laney aprì gli occhi, appannati dalla febbre e cercò di focalizzare meglio la figura.
“J-John?” – chiese con il cuore a tremila. – “Cosa… cosa fai qui?”
“Ti ho sentita parecchio giù al telefono. Volevo sincerarmi che stessi bene.”
“S-sì, sto meglio…” – mentì lei, tornando sdraiata.
Tirò il piumone fin sopra la testa per non vederlo.
“Non dovresti essere qui.” – disse lei, con la voce ovattata dalle coperte.
“Che hai detto?” – chiese lui.
Laney abbassò di poco le coperte e lo guardò.
“Non dovresti essere qui…” – ripetè, tirando su nuovamente i piumoni.
John però la fermò.
“Perché no?”
“Lo sai il perché…” – disse, evitando il suo sguardo.
“Sì, hai ragione.” – disse, con tono di scuse. – “Prima che vada, ti serve qualcosa?” – si sincerò lui.
Laney lo odiò per quel tono così premuroso.
“Sì.”
“Dimmi.” – la incitò lui.
“Odiami.”
John sollevò un sopracciglio.
“Aiuterebbe.” – concluse Laney.

John tornò seduto.
Forse non era un atteggiamento da persona matura ma pensò che forse, con Laney in quello stato, sarebbe stato più facile farle sputare il vero motivo che la spingeva a non voler cercare l’amore in un uomo, ma il sesso.
Una mossa da codardi, ma se non avesse agito così, dubitò seriamente che la donna si sarebbe aperta sinceramente con lui..

“Perché?”
“John, per favore…” – lo pregò, con la testa che pulsava da morire.
“Perché?” – ripeté lui.
Laney sbuffò. Tutto pur di farlo andare via!
“Perché sono stata una stronza…” – confessò grazie alla febbre.
“Almeno lo ammetti. È un buon passo in avanti…” – scherzò lui.
La donna si concesse un flebile sorriso, che si smorzò quando sentì una fitta alla testa.
“John, per favore… vai…”
“Che ti è successo Laney?” – chiese l’uomo, puntando dritto al sodo. – “In questi giorni ci ho pensato a lungo. Quando hai iniziato a lavorare per me, eri così solare, gentile con tutti, anche con Christopher del magazzino. Sei stata l’unica ad ammorbidirlo… e poi da un giorno all’altro sei cambiata. Che ti è successo?”

Ricordare quel suo drastico cambiamento le aveva fatto male, forse più della febbre stessa e forse più del fatto di aver perso John per sempre.
Era sempre stata una bella persona, solare, come aveva detto John, ma da certe botte è difficile riprendersi o riuscire a tornare come si era un tempo.
In quegli anni era riuscita a costruire un muro per evitare che quei ricordi uscissero e con essi le emozioni contrastanti che aveva provato.
E ora lì, con la testa che sembrava più una frittura e il tono di John che era come una terza coperta, il muro crollò, gli argini si ruppero e lei si sentì travolgere dai ricordi.

John la tirò su e l’abbracciò stretta.
“Sono qui… ti ascolto…” – sussurrò lui, cullandola.
“Io… sono stata scaricata…” – fu la prima parte della confessione tra le lacrime.
John corrucciò le sopracciglia. Non capì perché ne fosse rimasta così scottata. Al mondo, milioni di persone vengono scaricate ogni giorno. Cosa c’era di diverso da…
“… all’altare.” – concluse.
John sbarrò gli occhi. Beh, forse questo era un po’ meno normale…
Se la staccò di dosso per cercare di capire se stava mentendo.
“All’altare?!”
Ora gli era un po’ più chiaro il motivo che l’aveva spinta a cambiare in quel modo.
Laney annuì. Si sentiva un’idiota a stargli davanti con il naso tutto rosso e gocciolante. Se l’asciugò con il dorso della mano.
“Avevamo deciso di sposarci perché ci amavamo… cioè, io lo amavo…” – raccontò. – “… ma il giorno stabilito lui non si presentò. Ad un certo punto un invitato mi venne incontro e mi fece leggere un messaggio che lui gli aveva mandato. Un messaggio, capisci?” – chiese, guardandolo negli occhi. – “Non… non ha avuto il coraggio di dirmelo di persona… un messaggio…” – tossì.
“Che diceva il testo?”
“Che si scusava e mi chiedeva di perdonarlo ma non si sentiva pronto per quel passo…”
“Mi dispiace…” – sussurrò lui.
Quella era una vera e propria badilata sui denti, altro che botta!
“John levati…” – disse Laney con il fiatone.
“Laney, ascolta… so che sei stata scottata, ma questo non…”
“Spostati!” – sbottò, mentre cercava di toglierselo di dosso.
“Laney ti prego… potremmo stare bene insieme!”
“John, devo vomitare!”
L’uomo si alzò di scatto e vide la donna srotolarsi dalle coperte per fuggire in bagno.
La trovò intenta ad abbracciare il water e rigettare l’anima. Si levò la giacca, arrotolò le maniche della camicia fino all’avambraccio e poi andò da lei per tenerle su la testa.
“Coraggio…” – le disse, tra un conato e l’altro. – “… ci sono io.”









Dopo tante discussioni fatte sia di giorno, faccia a faccia, sia di notte, sotto le coperte, Hermione riuscì a convincere Draco ad andare dai suoi genitori. Draco stesso ne sentiva la necessità, perché sentiva molto la loro mancanza, ma temeva che il suo comportamento altezzoso e il non essersi fatto sentire per tutti quei mesi, avesse potuto incrinare una situazione già brutta di suo. E più Hermione insisteva per andare dai suoi genitori, più Draco si trincerava dietro stupide scuse per non andarci.

I due avevano parlato tanto in quei giorni – avevano iniziato a discuterne il giorno dopo il loro arrivo a casa e giovedì erano ancora lì, in una situazione di stallo.
Draco le raccontò di com’era stata la sua educazione da piccolo, di come i suoi genitori preferissero concedersi momenti e gesti d’amore nella riservatezza della loro casa, piuttosto che in pubblico; le disse dei suoi successi accademici e di come fosse riuscito a portare a casa la Livin Home come suo primo cliente, come una sorta di prova del fuoco dell’imprenditoria.
Le raccontò di come, all’inizio della sua carriera, fosse felice e pieno di buone intenzioni ma che non era mai riuscito a mettere in pratica a causa del lavoro, che non aveva immaginato fosse tanto e tanto impegnativo. Le disse di Roger Smith, di come avesse imparato da lui a frenare gli impulsi e a cercare di capire come mai una persona, solitamente tranquilla e mite, diventasse di colpo una iena pronta a uccidere.
Insomma… le aveva raccontato della sua vita di casa e di quella lavorativa.

Hermione aveva ascoltato il tutto attentamente, aveva registrato ogni singola parola e alla fine era riuscita ad avere un quadro generale della situazione.

Aveva sempre pensato che Draco avesse ottenuto la presidenza della Malfoy Home solo per linea di sangue. Certo era molto bravo negli affari, ma la prima impressione della riccia fu quella. Poi, lentamente, nonostante gli screzi sul lavoro, il viaggio in America e la loro chiacchierata, il loro lento conoscersi, avevano portato Hermione a ricredersi su ciò.

Credeva si fosse comprato l’ammissione alla carica più alta dell’azienda.

Draco voleva continuamente dimostrare di essere all’altezza delle aspettative dei suoi genitori, dei suoi dipendenti, dei clienti, dei fornitori, degli avvocati… per forza aveva delle valige sotto gli occhi che non finivano più! Voleva accontentare tutti!

E, alla fine di tutto ciò, Hermione espresse il proprio verdetto.

“Tu non vuoi deludere nessuno e questa è una cosa ammirevole Draco…” – aveva esordito lei. – “… ma hai sbagliato a includere persone che non c’entrano niente.”
“In che senso?”
“Le uniche persone delle quali dovrebbe importarti sono i tuoi genitori e la tua ragazza.” – era arrossita, perché in quel momento non aveva pensato a se stessa, ma aveva fatto un discorso in generale.
Draco le aveva sorriso.
“Tutti gli altri sono inutili o almeno non dovresti mettere sullo stesso piano l’impegno che metti per non deludere i tuoi con quello per gli altri perché quando torni a casa non troverai gli avvocati, i tuoi dipendenti, i clienti o i fornitori a farti la ramanzina, ma i tuoi genitori. È a loro che devi rendere conto delle tue azioni, anche se da come me li hai descritti a loro non interessa niente di tutto ciò. Loro vogliono solo il tuo bene, come ogni genitore di questo mondo.”
“Li ho trattati di merda…” – disse Draco, mogio.
“Per quanto?” – ironizzò lei. – “Una manciata di mesi? Io ho trattato mia madre Minerva come uno straccio per circa vent’anni. A ben pensarci, forse è lei che avrebbe maggior diritto nel non parlarmi più, che dici?”
“Io…”
“Quanto scommetti che se andiamo dai tuoi genitori, loro ti accoglieranno a braccia aperte?”
Nonostante non fosse convinto, Draco si fece convinto di andare dai suoi quello stesso pomeriggio.

Hermione, per convincere Draco che i suoi genitori non erano arrabbiati con lui, si era proposta di andare insieme all’uomo per sostenerlo, qualsiasi fosse stato il risultato della giornata.
In realtà, non se la sentiva di conoscerli. Non che avesse qualcosa contro di loro, ma solo… le sembrava troppo presto, ecco.
Con Scott era stata una questione diversa perché, oltre ad essere appunto la sua famiglia, era anche il suo datore di lavoro.
Conoscere i “suoceri”, avrebbe significato doverli andare a trovare a intervalli regolari, essere giudicata, se poteva andare bene per Draco e tante altre cose alle quali non era ancora pronta.
Voleva vivere la sua storia con Draco, senza che influenze esterne si mettessero di mezzo.

Ma per lui era importante, così si mise il cuore in pace e lo seguì.




Erano sulla sua Ford Ka e quando Hermione arrivò a destinazione alzò gli occhi al cielo.
Quella non era una casa.
Era un albergo!

Entrarono in un vialetto alberato e arrivarono all’immenso cancello di ferro battuto nero che recava sull’anta sinistra la lettera “F” e su quella destra la “M” in una grafia elegante e sinuosa che a Hermione ricordò tanto quella di Draco.
Famiglia Malfoy.
Draco scese dalla macchina e andò a citofonare. Dopo qualche attimo di sbigottimento da parte del portiere, il cancello si aprì e l’auto poté proseguire fino in fondo.
Lui scese per primo e quando udì il suono di una porta che si apriva, alzò gli occhi.
Ebbe un tuffo al cuore.

Sua madre si era precipitata fuori con il cuore in gola e le lacrime pronte a scendere.
“Sei tornato!” – riuscì solo a dire.
Hermione scese e sorrise quando si trovò davanti a quella scena. A Draco erano mancati tantissimo e si girò dall’altra parte quando lo vide piangere tra le braccia della donna, per dar loro un po’ di privacy. Ma nel girarsi, incontrò lo sguardo di quello che, più che sicuramente, doveva essere il famoso Lucius Malfoy.
Il padre di Draco.

Quando si staccò dal suo bambino, Narcissa sentì il cuore esploderle di gioia nel vederlo emozionato in egual misura a lei. Gli asciugò le lacrime e gli baciò la guancia.
“Mi sei mancato tantissimo Draco.” – disse Narcissa.
“An-anche tu mamma.” – rispose lui.
Poi si staccò.
“Mamma, posso presentarti una persona?”
Narcissa, sorpresa, annuì.
“Sì, certo.”
“Hermione?”
La ragazza si avvicinò lentamente e fece un cenno di saluto con il capo.
“Hermione, lei è mia madre, Narcissa Black in Malfoy. Mamma, lei è Hermione Granger, la mia fidanzata.”
Narcissa sbarrò gli occhi. Quante novità in un solo incontro!
“Piacere, signora Malfoy.”
La prima a porgere la mano fu Hermione, con un gesto deciso che rese palese alla donna parte del carattere di quella ragazza.
“Piacere mio, Hermione. Coraggio entriamo in casa.” – disse la donna, dando al figlio e alla sua ragazza la precedenza nel passo.
Prima di entrare pure lei guardò la macchina e storse leggermente il naso…

I tre arrivarono all’ingresso, dove Lucius Malfoy sembrava una di quelle statue che raffiguravano gli dei dell’Olimpo: era alto quasi due metri!
“Papà.” – lo salutò Draco.
“Draco.”
Hermione riuscì a percepire la tensione incrinare la voce di Malfoy Senior. Era arrabbiato o felice? Lo avrebbe scoperto di lì a poco.
La riccia si allontanò di qualche passo per permettergli di affrontarlo senza troppe interferenze.
“Papà io…”

Tante cose avrebbe voluto dirgli.

Scusa.
Per essere stato tronfio, per aver pensato di non aver bisogno di aiuto, per averlo trattato male, per averlo accusato di tenere di più all’azienda che a lui, per… per tante altre cose che l’emozione gli stava facendo dimenticare.

Voglio tornare a casa.
A far parte di quella famiglia, sperando che non fosse troppo tardi, che venisse di nuovo accolto tra quelle braccia che da piccolo lo facevano volare in alto.

Ti voglio bene.
La più importante.

Ma niente di tutto ciò gli riuscì di dire, perché Lucius lo aveva preso per la nuca e se l’era tirato addosso in un abbraccio letale in cui Draco sarebbe volentieri morto, se ora non avesse avuto Hermione di cui occuparsi. Lo abbracciò a sua volta con energia, quasi sperando di venire inglobato nel suo corpo, per non doversene separare più.

“Anch’io Draco. Anch’io.”
Narcissa li guardava con un sorriso splendente sulle labbra, felice finalmente di aver riunita la sua famiglia.
Fece cenno a Hermione si seguirla per lasciarli soli e la riccia le andò dietro volentieri. Effettivamente, in quel momento si sentiva di troppo.

“Mi scusi, ma sono mesi che non abbiamo più notizie di Draco e volevo solo…”
“Non c’è bisogno che mi dia spiegazioni signora Malfoy.” – disse Hermione con un sorriso gentile. – “Capisco perfettamente.”
Cadde un piccolo silenzio tra di loro.
Quella notizia era stata talmente improvvisa, che non era preparata.
“Mi scusi…” – rise Narcissa.
“Di cosa?”
“… ho sempre sperato nel ritorno di Draco a casa e quando lo fa mi porta la sua nuova fidanzata. Sono leggermente spiazzata…”
“Oh, non lo dica a me.” – disse la riccia con fare confidenziale, che però non risultò sgradito alla padrona di casa. – “Devo farci l’abitudine pure io.”
La bionda donna rise.
“Capisco. Posso offrirle qualcosa da bere?”
“Sto bene così, la ringrazio.”
“Sa…” – iniziò Narcissa. – “… il suo nome mi dice qualcosa, ma non riesco a ricordare dove l’ho già sentito…” – disse, pensierosa.
“Beh, io lavoravo alla Malfoy Home prima…” – spiegò.
Narcissa sembrò illuminarsi.
“Ah, ecco! Così lei è la famosa Hermione Granger!”
Hermione la guardò perplessa.
“Famosa? Io?”
“Draco non faceva altro che parlare di lei quando era a capo della società di famiglia.” – disse, concludendo la frase con un sorriso nostalgico. – “Non faceva altro che dire quanto lei fosse irritante, petulante, saccente, dispotica, mai intenzionata a chinare il capo…”
“Altro?” – chiese Hermione, perplessa.
Narcissa si rese conto di aver appena fatto fare a Draco una bella figuraccia e arrossì.
“Chiedo scusa, non volevo…”
“Cosa? Dire la verità?”
Narcissa sollevò un sopracciglio.
“Sì, sono colpevole di tutti gli aggettivi ascritti, signora Malfoy.”
Narcissa onestamente c’era rimasta un po’ male. Si era aspettata una sorta di scenata oltraggiata per com’era stata descritta, ma sembrava averla presa bene…
Hermione le sorrise, facendole capire che non se l’era presa, anzi… Draco era stato fin troppo galante nel descriverla… a sua madre, poi!
“Draco mi aveva detto che alla Malfoy lei era partita come centralinista.”
“Sì, ma appunto per la mia tendenza a non chinare mai la testa, mi sono ritrovata in magazzino, poi in ufficio e poi in tutti e due.”
“E non ha mai dato cenni di cedimento?”
“Si fidi: ero stanca.” – disse, annuendo. – “Ma non volevo dare a Draco la soddisfazione di farmi ammettere i miei limiti.”
Narcissa sorrise compiaciuta. Una donna con le palle… pensava che avessero buttato lo stampino…
“Ah, allora lo ammetti di avere dei limiti anche tu!” – la rintuzzò Draco, che sembrava ringiovanito di vent’anni.
Hermione si girò di scatto e sorrise nel vederlo accanto al padre.
“Devi aver capito male Draco. Non ho mai detto niente di tutto ciò.” – disse Hermione. – “Lei ha sentito qualcosa, Narcissa?”
“Assolutamente no.” – disse la padrona di casa, marcando già le fazioni.
“Prendi nota Draco: con le donne inevitabilmente si perde.” – disse Lucius, che aveva trovato alquanto divertente quell’alleanza che si era formata fin da subito.
“Tuo padre è un uomo molto saggio, Draco. Vedi di prendere esempio.” – disse Hermione, andando da lui.

Lucius venne avvolto da un flash.
La prima volta che Draco gli aveva presentato Pansy, la ragazza non si era schiodata di un millimetro per andargli incontro e presentarsi, a differenza di quella ragazza che aveva stabilito per prima un legame con lui, prima con quella battutina e poi facendo letteralmente il primo passo.
Anche Lucius, con quel semplice gesto, aveva intravisto parte del carattere di Hermione.

“Piacere signor Malfoy. Hermione Granger.”
“Piacere mio, signorina Granger.”
Hermione arrossì. Signorina?!?
“Perché non ci accomodiamo in salotto?” – propose Lucius, trovando il consenso di tutti.


Qualche ora più tardi, Draco aveva raccontato alla sua famiglia ciò che era successo da dopo il fallimento della Malfoy Home. Aveva naturalmente tralasciato la parte personale di Hermione e aveva descitto di ciò che aveva fatto, imparato e messo in pratica.
Narcissa lo guardava commossa per quel percorso di maturazione che Draco era riuscito a portare avanti anche senza il loro aiuto, mentre Lucius lo guardava con ammirazione.

Suo figlio era cresciuto, era diventato finalmente un uomo.

Avrebbe voluto vedere, toccare con mano quel cambiamento, esserne parte integrante ma non era stato possibile. Forse se fosse avvenuto tutto secondo i voleri di Lucius Malfoy, forse Draco non sarebbe diventato l’uomo che ora aveva davanti.
Tanti forse, ma non gli importava.
L’importante era che nonostante Draco avesse scelto un percorso diverso da quello che Lucius avrebbe voluto che lui intraprendesse, il figlio fosse giunto a destinazione con eguali, se non eccellenti risultati.

“Vi fermate a cena?” – chiese Narcissa, sperando in un consenso.
“Veramente noi…”
“Volentieri, grazie.” – lo interruppe Hermione.
“Hermione ha parlato.” – scherzò Draco.
Così quella sera cenarono insieme.




Avevano preso un “Signor Aperitivo” in veranda, dove Hermione ebbe modo di vedere con i propri occhi il giardino della casa di Draco.
Mare Verde veniva definito, perché era un’unica distesa di un bel verde smeraldo che metteva voglia di tuffarsi in esso.

“Così lei è la Hermione Granger del magazzino…” – disse Lucius, compiaciuto. – “Non dev’essere stato facile avere a che fare con Draco.”
“Ah, ti ringrazio.” – fece il figlio, fintamente divertito di quella palese presa di posizione contro di lui.
Draco, sotto sotto, aveva apprezzato il tono di confidenza che suo padre aveva usato con Hermione e che aveva stretto con lei fin da subito un buon rapporto.
Hermione invece lo guardò come per dire “hai visto che non sono l’unica a pensarla così?”
“E tu non rispondere.” – la minacciò il biondo con un sorrisetto divertito.
“Questo è un paese libero Draco. Fa rispondere Hermione.” – disse Lucius.
“Guardi…” – esordì Hermione con un tono di voce molto confidenziale. – “… ad essere onesti, non è stato facile per Draco avere a che fare con me.”
I tre si misero a ridere.
“Confermo.” – disse il diretto interessato.
“Era talmente convinto di riuscire a piegarmi, che alla fine si è dovuto ricredere.”
Lucius sorrise.
“Finalmente qualcuno che fa ragionare questo testone.” – disse l’uomo. – “L’unica pecca di tutta questa faccenda è che non potrò accertarmene di persona.”
“Lucius ti prego…” – disse Narcissa, imbarazzata che avesse tirato fuori l’argomento.
“Hai ragione, scusami. Scusatemi.” – disse, sorseggiando l’aperitivo.
Draco aveva lo sguardo perso nel proprio bicchiere. Sembrava assorto.
“Ho ricomprato la Malfoy Home.” – disse, scolando l’ultimo sorso rimasto dell’aperitivo.
Narcissa sbarrò gli occhi e a Lucius, nemmeno a dirlo, andò di traverso il suo. Iniziò a sputacchiare ovunque, mentre la moglie gli batteva la mano sulla schiena per farlo riprendere.

Draco e Hermione se la ridevano tranquillamente da una parte.
“E’ la prima volta che lo vedo in questo stato.”
“Certo che anche tu sganciare la notizia così…” – lo rimproverò Hermione, sinceramente preoccupata per l’uomo che stava lentamente diventando viola in faccia.
“Magari lo avrei potuto dire di fronte a un bello spiedino. Chissà dove si sarebbe infilato lo stecchetto?”
“Sei un’oscenità vivente!” – lo rimproverò Hermione, divertita.

“Fate pure con calma, eh?” – sbottò Lucius, che miracolosamente era riuscito a riprendersi.
Draco e Hermione risero.
“Che vuoi dire che hai ricomprato la Malfoy?” – chiese Lucius, avido di dettagli.
“Quello che ho detto. Quando lavoravo dal padre di Hermione ho messo da parte qualcosa, Hermione mi ha prestato il resto, ho aspettato che Nott continuasse a concludere affari sbagliati e alla fine ho comprato.”
“E Nott lo sa?”
“Ni.” – disse Draco. – “Sa solo di aver ceduto l’azienda a Devon Mallory.”
“E chi è?” – chiese Lucius, sbalestrato da tutte quelle novità.
“Io.” – rispose Draco calmo, mentre i suoi genitori ci capivano sempre meno. – “Domani ho appuntamento con Nott per mettere una firma di proforma sul contratto e sbatterlo fuori a calci in culo.”
Narcissa sbatté le palpebre, perplessa. Da quando il suo bambino parlava in quel modo?
“Se ti serve una mano, chiama.” – disse Lucius.
“Lucius!”
Pure lui ci si metteva?
Il marito la guardò per dire “perché tu non lo faresti?”
Preferirono troncare lì la discussione.

La cena fu alquanto sconcertante per Hermione: le sembrava di essere al ristorante.
C’erano tre camerieri che facevano avanti e indietro dalla cucina e quando si erano accomodati al tavolo erano pure venuti per leggere il menu di quella sera.
Non riusciva a capacitarsene.
Nonostante quel “dettaglio”, la serata fu piacevole, ma venne pure ora di tornare a casa.




Sulla soglia, i quattro si salutarono, ripromettendosi di rivedersi al più presto, magari quando Draco fosse riuscito a sistemare la Malfoy Home.









Calli-corner

E via con il terzo e ultimo capitolo… ^___^

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Capitolo 18
*** Scontro finale ***


18 - Scontro finale Ultimo capitolo.
E poi dite che non vi voglio bene!

Nei precedenti non ho lasciato detto niente nel mio calli-corner, ma lo farò sicuramente in questo, anche perché vi devo lasciare lo spoiler per il prossimo capitolo che arriverà puntualmente venerdì 10 Gennaio.
A questo proposito… spero che arrivi il 10 di Gennaio, ma se proprio il mio titolare volesse concedere a noi poveri comuni mortali altre ferie, aggiornerò naturalmente il lunedì successivo.
Si tratta solo di due giorni, anche se ritengo più probabile rientrare al lavoro già martedì 07…

Comunque sia, vi lascio al capitolo e ci vediamo sotto!
callistas









E se per Draco e Hermione la vicenda si stava per avviare verso la fine, quella tra John e Laney era conclusa già da un pezzo.

Laney non ne voleva sapere, ma John aveva volutamente saltato il lavoro il pomeriggio per stare con lei e aveva chiamato il suo medico per prescrivere qualcosa per l’influenza.
Alla fine il dottore, dopo tutte le sue domande per capire quale farmaco facesse più al caso della signorina Miller, aveva solo prescritto un semplice antibiotico e tanta spremuta di arance.
La causa dell’influenza di Laney non era stata né un colpo di freddo né uno sbalzo di temperatura ambientale: era solo tensione che il corpo non era riuscito a scaricare normalmente e che aveva dovuto buttar fuori con la febbre.

Laney aveva capito subito a cosa fosse stata dovuta quella tensione: la situazione con John l’aveva provata più di quanto avesse pensato ma ora sembrava andare bene.
Già nel tardo pomeriggio, dopo che John le aveva sorretto la testa e aiutata a lavarsi il volto con acqua fresca, la temperatura era scesa di due gradi, ma ciò non significava che la donna potesse strapazzarsi.
L’aveva rimessa a letto e poi si era coricato con lei.

“Se devi andare vai…”
“Oggi sei proprio intenzionata a mandarmi via, eh?” – disse l’altro, divertito.
“Stupido…” – sorrise lei.
Tentò di alzarsi, ma l’uomo la trattenne a letto.
“Dove pensi di andare?”
“In cucina. Ho sete.” – spiegò.
“Ferma, ci vado io.”
“Ma no non…”
John era già sparito.
“… serve.” – concluse Laney la frase da sola.
Qualche istante dopo John riapparve con un bicchiere di acqua fresca in mano.
“Grazie…”
Era leggermente in imbarazzo per tutte quelle premure alle quali non era mai stata abituata. Sorseggiò in silenzio l’acqua con John che continuava a fissarla.
“Che c’è?” – chiese lei.
“C’è che sei bella.” – disse lui, con disarmante semplicità.
Laney, infatti, ormai abituata a complimenti ben più altisonanti e che palesavano la voglia del partner di turno di possedere il suo corpo, arrossì di botto di fronte a quella frase.
Nessuno gliel’aveva mai detto.
“Ma smettila…”
“E’ vero.” – rimarcò l’altro.
“John, senti…” – disse Laney, accomodandosi contro la testiera del letto. – “… io non voglio che questa… cosa…” – sperò di non averlo offeso. – “… influisca sul lavoro.”
“Lo so.” – disse lui.

Questo fu una riprova che Laney era una persona fidata, che non avrebbe mai approfittato del fatto che stessero insieme per arrogarsi diritti non suoi.
Stare insieme… non avrebbe mai creduto possibile che potesse innamorarsi di nuovo e della sua segretaria, per giunta! Forse, a farlo capitolare, era stato il suo modo pratico di vedere la vita, nessun romanticismo, mentalità aperta a trecentosessanta gradi, voglia di sperimentare cose nuove, ma soprattutto… la sua carica erotica.
Un paio di volte, sul lavoro, l’aveva chiamata nel suo ufficio per una pausa relax e in entrambi i casi si era negata non perché non volesse, ma perché erano sul posto di lavoro e lei voleva essere efficiente su tutti i fronti.
Recuperavano ampiamente a casa…
Forse la sua era stata voglia di conquista perché si sa che più un obiettivo diventa irraggiungibile, più ci si impunta per realizzarlo ma più la conosceva e più qualcosa in lui cresceva piano.
Con Laney vicino si sentiva inspiegabilmente forte. Sul lavoro e anche nel privato avevano un’intesa perfetta, frutto anche degli anni di lavoro insieme e del fatto che, all’epoca della stipula di quello strano patto, entrambi cercassero solo un po’ di divertimento.

“Quindi stavo pensando di trovarmene un altro.” – concluse lei.
John sbarrò gli occhi.
“E’ fuori discussione, no!” – esclamò, alzandosi in piedi.
Ma come le venivano in mente certe idee? Che la febbre le avesse davvero fritto il cervello?
“E’ l’unica soluzione e lo sai.” – disse lei, calma.
“Assolutamente no! Dove la trovo io una tua sostituta? Dovrei insegnarle tutto d’accapo e onestamente non mi va.”
Laney sospirò.
“John, guarda in faccia la realtà. Alla fine sarei la segretaria che è riuscita ad accalappiare il capo e sapere di avere al lavoro tre quarti di azienda che mi sparla alle spalle, perdonami, non è il massimo delle mie aspirazioni.”
“E io dovrei rinunciare a te per dei pettegolezzi? Ma soprattutto tu… ti faresti condizionare da essi? Sbaglio o sei sempre stata superiore a queste cose?”

Aveva ragione John.
Non aveva mai spettegolato sui suoi colleghi e quando gli altri cercavano di coinvolgerla, rivolgeva loro occhiate talmente raggelanti che non le veniva rivolta la parola per giorni.
“Pensi che ne usciremo vivi?”
Colta la palla al balzo, John tornò seduto accanto a lei.
“Insieme, sì.”
Di nuovo quella parola: insieme.
Laney sorrise.
Non suonava poi tanto male…









Una volta a casa, Draco prese Hermione per la vita e la baciò.
“Grazie per stasera.” – sussurrò lui a fior di labbra.
Era stato molto importante per Draco che Hermione avesse accettato quell’invito a cena.
Hermione gli sorrise complice.
“Prego.”
Aveva capito che per Draco sarebbe stato importante fermarsi con loro il più possibile e lei non se l’era sentita di negargli quella gioia.
“Hai conosciuto ufficialmente la mia famiglia.” – la prese in giro lui.
“E loro hanno conosciuto ufficialmente me.” – lo rintuzzò.
Draco rise.
“Sai, a volte quando ci penso, ancora mi sembra strana tutta questa situazione.” – disse Draco.
“Che situazione?” – chiese lei, perplessa.
“Io, tu… noi…”
“Dici che siamo strani?” – chiese lei, divertita.
“Abbastanza. Io ti ho trattata male e…”
Hermione si alzò sulle punte, gli avvolse le braccia attorno al collo e gli diede un bacio.
“Tu mi hai insegnato a non fissarmi sul passato. Non commettere il mio stesso errore. Se non ti avessi aiutato, forse tu saresti morto sotto quelle rovine o forse saresti sopravvissuto, ma non avresti capito aspetti della vita che ti erano preclusi, non avresti parlato con i tuoi genitori e… e non saremmo qui, adesso.”
Lei aveva ragione.

Come sempre, dopotutto.

“Coraggio, andiamo a letto.” – disse lei.
“E’ una profferta la tua?”
Hermione sbarrò gli occhi e arrossì.
“Pervertito!”
Draco la baciò e la condusse in camera.

Non fecero l’amore quella sera, perché entrambi erano concentrati su ciò che si sarebbe svolto il giorno dopo.
Era la resa dei conti.









Venerdì era arrivato e con esso la fatidica “prova del nove”.
Draco si sarebbe finalmente accertato se le sue strategie avevano funzionato. Aveva molto dubitato di se stesso in quei mesi, perché temeva che il suo spirito di manager e il suo sesto senso fossero scomparsi. Questo timore giungeva a fronte alle scelte sbagliate che aveva effettuato per i propri collaboratori personali.
Bene. Avrebbe avuto la conferma o la smentita di ciò.

Hermione, invece, non vedeva l’ora di apparire al fianco di Draco alla Nott Home e beccare La Troia e il Fenomeno da Baraccone, alias Nott, a giocare ai direttori, per poi tirarli giù da quel posto che avevano usurpato per rimetterci il legittimo erede al trono.
Faceva molto favoletta, ma alla fine era questo che sarebbe successo.


“Vedo che almeno uno di noi due è tranquillo…” – borbottò Draco, mentre bestemmiava per fare il nodo alla cravatta.
Hermione rise e andò da lui.
“Nervoso?”
“Terrorizzato.” – disse lui, stupendola.
“Perché?” – chiese seria mentre, concentrata, tentava di fare il nodo alla sua cravatta.
“E se va male? Se non avessimo tenuto in conto la reale situazione? E se come hai detto tu, le informazioni di David si fossero rivelate sbagliate?”
“In questo caso tu non riusciresti a fermarmi dall’ucciderlo.” – disse Hermione, mentre sistemava la cravatta di Draco. – “Ecco fatto. Allora, chiariamo un paio di punti: per quanto mi secchi ammetterlo, le informazioni di David erano tutte corrette.”
Draco sbuffò.
“Secondo: le tue capacità manageriali non sono scomparse, ci sono e quando le hai tirate fuori, si sono viste ampiamente e terzo… non dubitare mai di te stesso.” – disse, guardandolo negli occhi. – “Il posto dove andremo ora sarà pieno di enormi, titaniche, monolitiche teste di cazzo.
Draco rise istericamente.
“Non credo debba essere io a dirti come devi comportarti ma una cosa me la sento di dirtela.”
“Quale?” – chiese curioso.
“Ti amo.” – disse lei.

Il silenzio che scese avvolse entrambi.
Hermione si era scoperta parecchio in quel momento. Non glielo aveva detto per sentirselo dire a sua volta, ma solo perché sapesse che lei sarebbe stata lì: mente, anima, corpo e soprattutto cuore.

“Ti amo anch’io.” – disse Draco, serio, appoggiando la fronte alla sua.
Ogni sua paura era scomparsa di fronte a quell’aperta dichiarazione. La sua forza era Hermione, tutto il resto erano puttanate.
La vide sorridere, segno che aveva gradito le sue parole.
“Appurato che ci amiamo a vicenda…” – disse lei con la sua solita vena ironica. – “… credo si possa andare.”
Indossarono i soprabiti e poi si diressero alla Nott Home.




Un tempo, entrare alla Malfoy Home significava rendersi conto che la vita, al di fuori delle sue mura, non poteva chiamarsi vita.
Entrare alla Malfoy Home significava entrare in un mondo onirico, etereo.
Entrare alla Malfoy Home significava entrare nella Perfezione Assoluta.

Quando Hermione e Draco aprirono la porta – Hermione pensò che se tutto sarebbe andato come da programma, avrebbe fatto mettere una porta automatica – entrarono nel cesso dell’inferno.

La prima cosa che notarono fu l’assenza della centralinista.

E le chiamate dove vanno a finire?

Successivamente, lo sguardo si spostò sull’immenso atrio.
Sul soffitto si intravedevano lunghe ragnatele, che assomigliavano più a delle tende, che nessuno aveva mai provveduto a tirar via; i divanetti e i tavolini, grazie all’occhio clinico di Hermione, erano ricoperti di polvere, un tavolino era addirittura incrinato ma sistemato in modo tale che la crepa non si vedesse più di tanto. Le piante creavano una natura morta che ricordava tanto quei quadri, dove l’autore dipingeva la desolazione umana ma ciò che sconvolse di più Draco furono i pesci morti nell’acquario.

Erano lì da quando suo padre Lucius aveva preso le redini dell’azienda e li aveva messi lì per dare un tocco di colore a tutto quel bianco che ora non era più tale. Giacevano immobili, sulla superficie dell’acqua, attorniati da mille mosche che, come avvoltoi, stavano banchettando con ciò che ne rimaneva.
L’acqua era verdastra, segno che l’acquario non veniva ripulito da chissà quanto tempo.

Guardò Hermione con il dolore negli occhi e lei si limitò a sorridegli tristemente ma con la solenne promessa che chi aveva creato tutto quel disastro, ne avrebbe pagato le conseguenze.
“E io ho permesso che tutto questo accadesse…” – mormorò desolato Draco.
“Ehi, frena queste stronzate.” – lo redarguì Hermione. – “Tu avevi fiducia in quelle persone ma sei ancora in tempo per rimediare. Io sono qui con te.” – gli ricordò.
Draco serrò le labbra e annuì. Sperò con tutto se stesso di aver fatto bene i conti.
“Hai ragione. Andiamo.”
Mentre passava in mezzo a quella “città fantasma”, ogni pensiero negativo di Draco era diventato un urlo di vendetta. Nott non l’avrebbe passata liscia e avrebbe pagato per lo sfacelo causato. Lo avrebbe citato in giudizio per danni morali e materiali e lo avrebbe portato a pagare letteralmente per la sua ignoranza.

Prima di andare direttamente nell’ufficio di Nott, passò per ogni piano, tenendo la mano di Hermione per paura di crollare, notando come vi fossero carte dismesse sulle scrivanie, computer ancora accesi ma disconnessi dalla rete locale, cestini pieni di immondizie e un velo incontrastato di immobilità che fece temere a Draco e a Hermione di trovarsi di fronte alla cristallizzazione del tempo.
Sembrava la scena di uno di quei film di orrore/avventura, dove un luogo veniva infestato da api assassine che uccidevano gli abitanti e il paese andava allo scatafascio.
Un po’ come Desperation, di Stephen King.

Per Draco quello fu l’avverarsi di un incubo.

Giravano poche persone per i corridoi e nessuno prestò attenzione a loro due che ripresero la via per l’ufficio di Draco.


Isabel sostava di fronte al suo computer con aria assorta.
Stava giocando a Pacman.
L’inefficienza di Nott la stava facendo vegetare di fronte al computer tanto che pensò di avere le allucinazioni quando vide Hermione e il signor Malfoy venire avanti.
“Isabel!” – esclamò.
“Si-signor Malfoy?” – chiese lei, stordita dalle ore che passava di fronte al pc. – “Signor Malfoy è tornato!” – esclamò, abbracciandolo di slancio.

Una volta non si sarebbe mai permessa tanto, ma il livello di saturazione al quale era arrivata, le fece mandare al diavolo tutte le convenzioni sociali: lo abbracciò stretto e gli diede sonori baci sulla guancia.

Draco guardò Hermione, preoccupato a un livello che nessuno dei due pensò mai di provare.
“Isabel, come stai?” – chiese Draco.
“Bene signor Malfoy. Adesso sto bene.” – disse, con il sorriso di chi sembrava essere stato imbottito di tranquillanti.
“Santo Dio… ma che ti è successo?”
“Mi sono rincoglionita, signor Malfoy. Tutto qui.” – ammise la donna, sinceramente. – “Da quando lei se ne è andato…”
Draco preferì non fare il puntiglioso e la lasciò raccontare.
“… qui tutto è andato in malora. Nott è talmente incompetente che mi sono ridotta a giocare al computer per far passare le ore. Ho un mal di testa che non mi stupirei se mi fosse venuto un tumore.” – scherzò la donna.
“Non dire queste cose, Isabel.” – la rimproverò Draco.
“Hermione… rimarresti con lei?”
“Tranquillo, vai. Ciao Isabel… come va?”
“Hermione… io bene e tu?”
La riccia intavolò una discussione con Isabel e permettere a Draco di affrontare i suoi fantasmi.


Draco percorse i pochi metri che lo separavano dal suo ufficio con passo di marcia.
I dubbi sulle strategie usate per reimpadronirsi della Malfoy Home si erano dissolti quando aveva visto come Nott aveva ridotto la sua segretaria.
Avrebbe messo in conto anche le sue spese mediche che, per inciso, sarebbero provenute dalla clinica più costosa di tutto il paese!
Vagliò di nuovo, con mente fredda e lucida, tutto ciò che aveva fatto e non trovò nulla di cui preoccuparsi. Man mano che si avvicinava, sentì le risa di Nott – quella fastidiosa di Pansy – e quella di altri uomini.
Entrò senza bussare.

“… così ho fatto un lancio… ma cosa… Draco?!” – esclamò Nott, sbigottito nel trovarselo di nuovo davanti.
Il biondo chiuse la porta alle proprie spalle.
Dell’uomo che era andato a chiedere aiuto alle persone presenti non era rimasto più nulla: ora, davanti, avevano una macchina da guerra pronta solo a mietere vittime.
Pansy sbarrò bocca e occhi.

Theo non capiva come mai Draco fosse lì, per non parlare del fatto che aveva appuntamento con quel Mallory al quale, alla fine, sotto le insistenze di Pansy e dei suoi avvocati, aveva ceduto l’attività.

“Buon giorno.” – salutò, con gli occhi scuri per la rabbia.
“Che ci fai qui?” – chiese Nott, divertito. – “Scusa, ma non assumiamo in questo periodo.” – scherzò Nott, che incontrò l’approvazione degli altri presenti.
“Ho visto. La sporcizia in cui vige l’azienda farebbe scappare perfino un barbone.” – fu la stoccata.
“Che diavolo vuoi?” – chiese, infastidito.
Le persone che erano nella stanza con Nott altri erano gli avvocati che un tempo, Draco aveva profumatamente pagato ed elogiato per i loro servigi.
Si schifò nel vederli fare comunella con Nott.
“Sono venuto a firmare un contratto.” – disse il biondo.
“E di cosa?”
“Della vendita della Nott Home.”
Un istante di incredulità, e poi tutti scoppiarono a ridere. Pansy, invece, che non capiva bene dove girasse la banderuola, si limitò a rimanersene in disparte, pronta per abbandonare la nave in caso di affondo.
Draco, fintamente paziente, ascoltò per tre secondi – un tempo che a lui parve infinito – quelle risate.
“Il nome Devon Mallory vi dice niente?”
I presenti smisero di ridere. Che Malfoy sapesse chi era quel tizio?
“E tu che ne sai di…”
“Devon Mallory sono io, idiota.”
Nott emise un gridolino strozzato e Pansy sbarrò gli occhi.
“Tu? Non è possibile!”
“Credici coglione.” – disse Draco. – “Quando sono stato informato della situazione quasi non volevo crederci…” – sputò, aspro. – “… ma vedendo l’andamento della tua gestione non ho fatto altro che cogliere la palla al balzo, proprio come hai fatto tu mesi addietro, te lo ricordi?”
Nessuno osò fiatare.

Devon Mallory… Draco Malfoy.
Cazzo era così semplice che perfino un bambino ci sarebbe arrivato!

“Ora sono qui per restituirti la pariglia, figlio di puttana!”
“Oh Draco!” – esclamò Pansy, abbracciandolo di scatto. – “Meno male che sei tornato! Sapessi che fatica ho dovuto fare per fingere di amare quel… AH!” – urlò Pansy, mentre si teneva i capelli.
Di fronte a lei stava una furente Hermione.
“Lasciami, mi fai male!”
“E non sai quanto posso fartene se ti vedo mettere ancora quelle mani di letame sul mio fidanzato!”
Il dolore alla testa sparì per lasciare il posto a un sano stupore. Hermione, invece, voleva vedere solo un’unica smorfia sul volto della Parkinson: la sofferenza.
Così intensificò la presa sui suoi capelli e Pansy iniziò a urlacchiare e strizzare gli occhi per il male. Soddisfatta, la lasciò e la donna cadde a terra come un salame.
“Scusate la momentanea interruzione.” – frecciò Draco, pesantemente sarcastico. – “Allora, so che il mio contratto è qui da qualche parte. Manca solo la mia firma.”
“Sei un… sei un figlio di puttana!” – ringhiò Nott che, purtroppo, aveva le mani legate.
Il contratto era stato fatto e legalmente registrato. Mancava solo la firma di Draco – o Devon – per concludere l’affare.
“Bada a non tirare in mezzo persone che non c’entrano nulla, perdente.” – disse Draco. – “E voi!” – disse Draco, facendo sobbalzare gli avvocati che non sapevano da dove iniziare per rientrare nelle sue grazie. – “Non credete che mi sia scordato! Ritenetevi sospesi dal vostro incarico! Da quest’azienda riceverete solo una pioggia di denunce per danni! Quanto a voi due…” – disse, riferendosi a Nott e a Pansy. – “… risponderete di ogni centesimo, di ogni danno, di ogni mancanza che avete fatto subire a quest’azienda! Vi citerò in giudizio con tante di quelle accuse che se vi rimarranno le mutande addosso sarà davvero una fortuna!” – ringhiò.
Pansy sobbalzò spaventata. Non l’aveva mai visto in quello stato.
Si maledisse in mille lingue perché solo ora si era resa veramente conto di quanto Nott fosse solo uno specchietto per le allodole: tanto fumo e niente arrosto.
Aveva abbandonato la nave sicura di Draco per saltare su quella di Nott. E la Granger? Come diavolo aveva fatto a prendersi il suo Draco? Quale piano aveva architettato?
“Io non me ne vado.” – disse Nott, d’un tratto.
Draco sollevò un sopracciglio.
“No? Mi faciliti le cose, allora.”
Come una squadra perfettamente affiatata, Hermione aveva già estratto il cellulare di Draco e lui, senza nemmeno guardare, lo prese con decisione e compose un numero.
“Polizia?”
I presenti sbarrarono gli occhi.
“Sono Draco Malfoy e mi trovo alla Malfoy Home. Sì, è una lunga storia…” – disse, riferendosi al nome dell’azienda. – “… ci sono delle persone che non vogliono lasciare il mio edificio. Grazie, vi aspetto.” – schiacciò il bottone rosso per terminare la chiamata e poi lo riporse a Hermione. – “Tra poco lascerete la mia azienda, ma prima che ve ne andiate, ho un paio di sassolini che vorrei levarmi dalle scarpe. Tu Nott, sei un perdente, un fallito, un peso per la società.” – disse, duro.
L’uomo in questione era diventato rosso.
“Non sei capace di vedere un affare neanche se questo ti si presenta tra le gambe di una donna. Ti sei venduto bene, lo ammetto… così come vi siete venduti bene voi.” – disse, guardando gli avvocati. – “Mi avete continuamente proposto persone incompetenti e inaffidabili e quando avrò finito con lui sarò anche da voi.”

Tutti sapevano che con Draco Malfoy non si scherzava.

“Ora finalmente posso provare che io pagavo le prostitue che si fingevano indossatrici, ma eri tu che me le fornivi, facendole passare per famose modelle. Ho fatto delle ricerche su di te e mi sono meravigliato della tua incompetenza finanziaria; io e Hermione abbiamo indagato più a fondo e abbiamo scoperto che ti sei comprato la laurea in Economia. Sai, prima di addormentarmi, mi rileggo la tua pagella.” – mise un braccio attorno alla vita di Hermione. – “Non sai le risate che ci facciamo io e la mia ragazza.”
“Draco…” – tentò Pansy.
“E tu…”
La donna si ritrasse.
“… tu non sei una donna. A ben pensarci non sei neanche un essere umano. Ti sei presa gioco di me, dei miei sentimenti e della mia famiglia. Non hai idea di quanto…”
“… di quanto tu sia un insulto alla categoria delle donne, Pansy Parkinson.” – s’intromise Hermione.
Adesso si sarebbe sfogata lei.
“Non hai morale, non hai rispetto per niente e per nessuno perché semplicemente non ne provi per te stessa. Sei pronta ad aprire le gambe a chi ti prospetta un buon affare ma sei pronta a chiuderle quando la nave affonda. Onestamente non mi interessa sapere cosa ti ha spinto a tradire Draco e di quest’unica cosa ti ringrazio, ma sei una fallita. Non vali niente né come lavoratrice, né come persona. Sei talmente inutile che ancora mi chiedo il motivo della tua presenza nel mondo. Dalle mie parti si dice “legati un masso al collo e buttati nel lago”. Io ci farei un pensierino.” – concluse Hermione, cattiva.
“Se pensi che mi faccia insultare da un’arrivista come te ti sbagli, stronza!” – urlò Pansy, colpita e decisamente affondata.
“Tu che pensi?” – la sbeffeggiò. – “Non usare parole di cui non conosci il significato. Pensare implica il possedere un cervello e da quanto ho visto in questi due anni, sotto i capelli hai solo del letame. Puzzi di marcio Pansy.”
Non gliene avrebbe fatta passare neanche una!
L’insulto stavolta andò a segno. Pansy non riuscì a dire più niente.
“Ecco brava, stai zitta. È forse l’unica cosa che ti riesce meglio.”
Dall’esterno si udirono delle voci. Probabilmente era la polizia che era arrivata.
Draco prese Hermione e la scortò da una parte per permettere ai funzionari dell’ordine di eseguire il proprio lavoro.
“Sono l’agente Rostok. Chi è Draco Malfoy?”
“Io agente.” – disse Draco, avanzando.
“Buon giorno. Chi dobbiamo prendere in consegna?”
“Tutti i presenti. Si rifiutano di lasciare la mia azienda.”
“Capisco.” – con un cenno del capo, l’agente Rostok invitò i suoi sottoposti a prendere in consegna le persone indicate da Draco.
Nott, naturalmente, tentò di fare resistenza, così come Pansy che iniziò a dimenarsi e urlare come una vergine assalita da un gruppo di barbari.
“Ah, agente… un’ultima cosa?”
“Prego.”
“Voglio sporgere denuncia contro ognuno di loro.”
“In tal caso li metterò in custodia cautelativa.” – disse l’uomo.
“La ringrazio. Passerò il prima possibile con il mio avvocato.”
“Arrivederci.” – salutò l’agente.
“Arrivederci.” – salutarono in coro Draco e Hermione.

Quando i due rimasero soli aspettarono qualche secondo e poi scoppiarono a ridere.
“Il prima possibile?”
“Devo trovare un avvocato Hermione, uno bravo.”
“Hai visto che ce l’hai fatta?” – gli disse la riccia, divertita.
“Merito tuo.”
“Beh, sì… suppongo di aver fatto la mia parte.”
“Sei stata cattiva con Pansy.”
“Ma io sono una bambina cattiva Draco…” – disse lei, volutamente sensuale.
Ma non essendo abituata a rivestire i panni della femme fatales Hermione scoppiò a ridere, seguita da Draco.
Abbracciati, iniziarono a guardarsi intorno.
“Sarà una sfacchinata.”
“Non me lo dire…”

Per non impegolarsi nei debiti, Draco e Hermione avevano deciso, una volta buttato fuori Nott, che le pulizie e il lavoro di archiviazione delle carte che avevano trovato abbandonate sulle scrivanie, se lo sarebbero fatto da soli.
Sarebbe stata davvero una sfacchinata, ma ne sarebbe valsa la pena.

“Potresti chiedere aiuto ai tuoi genitori.” – propose Hermione. – “Sarebbero felici di aiutarti.”
“Lo so ma io ho combinato il danno e io lo rimetterò a posto da solo.”
“Come vuoi.” – disse Hermione, abbracciandolo. – “Oggi dobbiamo andare a comprare tutto il necessario per le pulizie.”
“Già…” – disse Hermione.
Lo avrebbe sicuramente aiutato, ma in quel momento, la mole di lavoro la spaventava.
Ma, come sempre, non si sarebbe arresa.









Alla Livin Home la notizia che Laney Miller era riuscita a infilarsi nelle mutande di John Cook fece il giro del mercato americano in due minuti scarsi e tutto perché una dipendente della ditta, che andava a lavorare in autobus, aveva visto i suddetti in atteggiamenti intimi fuori dalla casa di lei. Allie Bergman, la pettegola, aveva stupidamente mandato una mail a tutti i suoi colleghi più stretti in azienda per informarli della cosa e quando Laney mise piede in ufficio, l’intero reparto l’accolse con un minuto di religioso silenzio.

Stranita da quella situazione, la donna avanzò piano, sentendosi come se avesse fatto qualcosa di orribile. Continuò a camminare, guardandosi a destra e a sinistra mentre le donne la guardavano e ridevano, altre la fulminavano con lo sguardo, altre avevano la decenza di farsi i fatti propri. Gli uomini, invece, la guardavano come se fosse stata una torta alla panna e non sapevano da quale parte iniziare per leccarla.
Era sempre stata abituata a quel tipo di sguardo, ma ora che stava con John, trovava quelle occhiate quasi inquietanti.
“Beh? Che vi prende?” – chiese, alla fine.
Nessuno le diede una risposta.
“Allora?” Mi rispondete?
Laney non era una che amava perdere tempo. Conosceva bene quelle occhiate e voleva andare fino in fondo alla questione. Non avrebbe fatto passare giorni o settimane. Si alzò dalla propria scrivania e andò dalla vicina che, presa da un raptus di follia, iniziò a chiudere tutti i programmi.

Soprattutto quello della posta elettronica.

Laney con gli occhi che mandavano scintille – aveva appena capito di essere il bersaglio di qualcosa, ancora non sapeva cosa – e vedere le persone che cercavano di cancellare le prove la mandò su tutte le furie.
“Accendi la posta.” – ordinò.
Non dava mai ordini, se non quando in azienda piovevano ordini dalla mattina alle sette alla sera alle otto e quando c’era stato il casino della Malfoy Home. Solitamente chiedeva le cose con cortesia, tanto che quando era stata eletta a capo-reparto tutti le avevano fatto le congratulazioni perché era la più adatta, sia per competenze, sia a livello umano.
Leslye negò, spaventata ma divertita.
Quell’atteggiamento la mandò ancora di più in bestia.
“Ho detto: apri.la.posta.”
Laney fece le spallucce. Afferrò la sedia di Leslye e la fece rotolare qualche metro più in la e si accese la posta da sola. Nessuno osò muovere un muscolo.
Quando l’aprì e vide una mail di Allie, iniziò a tremare. Non tanto perché sapeva già cosa contenesse, ma perché da quella tizia non c’era da aspettarsi mai niente di buono.
L’aprì e sbarrò gli occhi.

Non sapete cosa ho visto stamattina!
John Cook, il nostro titolare, era uscito da casa di Laney Miller e si baciavano!
Passa parola!

Allie.

Laney divenne rossa come un peperone.
Il suo non era imbarazzo. Era rabbia.
Passa parola? Ma era forse una cretinetta appena uscita dalle elementari?
Si alzò dalla scrivania e andò da Allie che guardò Laney con un sorrisetto divertito.
“Vedo che la cosa è di tuo gradimento.” – disse.
“Beh, non lo vedi mica tutti i giorni una cosa del genere.”
“Una cosa del genere? Due persone che si amano sono una cosa, per te?”
Allie sorrise apertamente. Laney lo aveva ammesso pubblicamente!
“Che cazzo ridi, idiota?” – sbottò Laney.
Possibile che non capisse niente quell’idiota?
Allie si ritrasse su se stessa.
“Ti rendi conto in che posizione mi hai messa?”
La ragazza sorrise.
“Io in nessuna. Forse John ti ha messa in qualche posizione particolare…” – alluse lei, credendo di essere simpatica.
Laney sbarrò gli occhi.
Partì un man rovescio che le fece lacrimare gli occhi.
“Nel mio ufficio. Tutte e due!” – esclamò John, che aveva sentito tutto.


“Dammi una buona ragione per non licenziarti.”
Allie non riuscì a dire niente. Solo dopo essere stata beccata in flagrante, si era pentita di ciò che aveva fatto.
Laney, accanto a lui, aspettava spiegazioni.
“Mi dispiace…” – sussurrò la biondina.
“Non mi sembrava prima.” – disse Laney, implacabile.
“Questi non sono fatti che ti riguardano. Con chi esco io, o un tuo collega non sono affari tuoi. E’ stata per caso Laney a dirti di noi?”
Allie scosse la testa.
“Allora perché ti sei impicciata di affari che non ti riguardano?” – chiese John, senza ottenere risposta. – “Molto bene.” – disse. – “Baciati le mani se non ti licenzio.”
“G-grazie…” – balbettò Allie.
“E se dovessi sentire la necessità di farti ancora gli affari degli altri, sappi che quello sarà il tuo ultimo giorno qui dentro, mi sono spiegato?”
“Sì.” – dise Allie.
“Adesso vai.”
La ragazza scappò letteralmente dall’ufficio e John si appoggiò allo schienale.
Laney era andata alla finestra e guardava di sotto. Sperava di poter essere lei a dare la notizia, almeno alle colleghe con le quali aveva maggior rapporto e invece quella stupida era andata a rovinare tutto.
Sospirò.
“Non è iniziata molto bene.”
“Torno in ufficio.” – disse Laney, che aveva sentito tutta la sicurezza svanire dopo la sparata di Allie.
“Laney?” – la fermò John.
Non voleva che se ne andasse con quello stato d’animo.
“Cosa c’è?”
“Mi dispiace…”
Laney rilassò le spalle. Ad essere completamente onesti, tra i due quella che avrebbe avuto vita difficile era lei, perché da quel giorno in avanti, i suoi traguardi professionali non sarebbero stati più raggiunti per meriti e capacità personali, ma perché era la fidanzata del capo.
Vedeva che John ci stava male, ma lui poteva fare quello che voleva senza rendere conto a nessuno delle sue scelte e… sgranò gli occhi.
“Oddio…” – sussurrò, instupidita da se stessa.
“Cosa?”
“C’è che sono una cretina.” – ammise.
“Perché?” – chiese John, perplesso.
“Perché hai ragione tu. Mi sto facendo condizionare dagli altri e… d’accordo.” – concluse. – “Ci vediamo stasera?”
“Sì, certo. Non… va tutto bene?”
Laney sorrise affettatamente.
“Più che bene. A stasera, allora.” – lo salutò con un veloce bacio sulle labbra e poi uscì.
Di nuovo, appena mise piede in ufficio, di nuovo tutti si zittirono. Stavolta lei però non si lasciò scalfire, anzi. Con passo sicuro e un sorriso non molto rassicurante sulle labbra si diresse dalla prima che aveva incrociato sulla strada, le sussurrò poche parole all’orecchio e questa sbarrò gli occhi.
Fece lo stesso con altre persone lì dentro e, felice come una Pasqua, notò come tutti avessero preso a farsi gli affari propri.
Era proprio vero… con le maniere gentili si otteneva sempre tutto…




“Buona sera.” – salutò John.
“Ciao, entra.” – lo invitò la donna. – “Ciao Rex!” – salutò la moretta, accarezzando il cane.
“Che profumo. Che stai facendo?”
“Sto tentando di fare un risotto ai gamberetti.” – scherzò la donna, che liberò il cane dal guinzaglio e gli permise di andare a farsi un giretto in giardino.
“Dicono che se il profumo è buono lo sarà anche il piatto.”
“Meno male. Dai, vieni.” – lo invitò a entrare.
“Senti, posso chiederti una cosa?” – chiese John, mentre si toglieva la giacca.
“Dimmi…” – disse la ragazza, concentrata nel mescolare il riso.
“Tu sai per caso qualcosa di quello che è successo oggi in ufficio?”
“Del tipo?”
“Mi sembrava che la nostra storia fosse passata già in secondo piano.”
“Ah quello’” – minimizzò, lasciandolo perplesso. – “Sì, ci ho messo il mio zampino.”
“Laney? Che hai fatto?”
Ho ricattato. Tutto qui.”
John sbarrò gli occhi.
“Che hai fatto?!”
“Ho semplicemente reso il favore.” – disse la donna, più concentrata ad aggiustare il riso di sale, che alla questione. – “Siccome lì dentro ci sono persone che ne hanno fatte di tutte i colori, ho semplicemente fatto notare che se avessi parlato io sarebbe venuto fuori il finimondo.”
A John prese un tic sull’occhio.
“E, fidati…” – disse, girandosi e facendogli l’occhiolino. – “… intendo davvero il finimondo.”
“Sei pazza…”
“No.” – disse, coprendo la pentola con un canovaccio, affinché la cottura continuasse con il calore ma senza la fiamma sotto. – “Voglio vivere questa storia con te senza dovermi difendere dalle battutine degli altri e se per farlo devo minacciare o ricattare, non mi farò alcuno scrupolo.”
Di tutto il discorso, John aveva solo capito che Laney voleva stare con lui e che era disposta a tutto. Andò da lei e la baciò.
“Sei pazza.” – ripeté l’uomo. – “Ma sai, potrei anch’io fare la mia parte.”
Laney rise. Quella specie di gioco “il mio ricatto è più grande del tuo” iniziò a piacerle.
“Ah sì? Del tipo?”
“Del tipo che ora, anche se tu hai minacciato a destra e a sinistra, i tuoi colleghi continueranno a pensare che se sei la mia segretaria è perché vieni a letto con me. Non sanno cosa comporta il tuo lavoro e neanche quanto hai dovuto sgobbare per impararlo e mantenerlo.”
Anche se la stava difendendo, le piacque sentire il suo direttore elogiare il suo operato.
“E quindi?”
“E quindi… vorrei proprio vedere se prendessi una persona qualsiasi e la mettessi al tuo posto: non durerebbe neanche cinque minuti e il pensiero che tu ti sia comprata il tuo ruolo sparirebbe come neve al sole.”
“Guarda… ora mi hai messo addosso la curiosità di sapere come potrebbe andare a finire, se facessimo come hai appena detto.”
John la baciò. Tutto per lei.
“Magari capiterà.”
“Che dici?” – chiese Laney, baciandolo. – “Giochiamo al direttore e alla segretaria, stasera?”
“Sei pazza.” – fu il commento divertito di John.









Tre mesi più tardi, settantasette sacchi di immondizia e litri e litri di acqua sporca dopo, Draco e Hermione riuscirono finalmente a rimettere a nuovo la Malfoy Home.
Erano diventati clienti fissi della pizzeria vicina alla ditta perché quando tornavano a casa erano talmente ubriachi di stanchezza che a malapena riuscivano a farsi una doccia.

Nel frattempo, Draco si era messo in moto per cercare un buon avvocato – uno con due contro coglioni grandi come Villa Malfoy – trovandolo nella persona di Blaise Zabini, un moro ben piantato che incuteva timore solo a guardarlo.
Si vociferava in giro che non avesse mai perso una causa e a Draco, in quel momento, serviva proprio una persona simile. Voleva farla pagare salata e con gli interessi a Pansy e a Theo per ciò che avevano fatto. Per questo motivo, Hermione mise in un angolo dell’ufficio di Pansy tutto ciò con cui lei e Nott erano entrati in contatto, ovvero i loro computer personali – dopo che Hermione era stata licenziata, Pansy aveva fatto rimettere le cose a posto a David, affinché tutte le mail di coloro che avevano contribuito a boicottare Draco tornassero sul suo computer – i fax, le chiamate effettuate… tutto quell’insieme di cose che avrebbero mandato Nott, la Parkinson e tutto il loro codazzo in galera per un bel po’ di anni, previo risarcimento di tutti i danni subiti, era chiaro.

Con Zabini, Draco era stato molto chiaro e schietto fin dall’inizio.

“Vede avvocato… l’azienda è stata messa a dura prova da un incompetente, ma indagando nel mercato c’è un buon novanta per cento di clienti che sarebbe disposto a tornare a comprare gli arredamenti della Malfoy Home. Purtroppo, prima di fare questo, devo rimettermi in piedi economicamente. Sa, sto ricontattando tutti i miei ex collaboratori, dal primo all’ultimo, per sapere se sono disposti a tornare a lavorare con me, nonostante lo stipendio sia, inizialmente, una miseria.”
“Capisco.”
“Quindi voglio essere onesto con lei. Lei mi ha detto, dopo aver esaminato tutte le prove che le sono state presentate, che Nott e la Parkinson avranno un bel po’ di galera da scontare e che è possibile ottenere un congruo risarcimento.”
“Quindi… lei vorrebbe che io lavorassi gratis per lei.” – concluse Blaise.
“Affatto.” – negò Draco. – “Lei verrà pagato come da accordi, ma solo quando riuscirà a vincere la causa.”
Blaise pareva perplesso.
“So che detta così sembra un ricatto bello e buono ma in ogni caso non avrei niente con cui potergliene fare uno. Al momento non posso uscire di troppi soldi. Mi indebiterò come un pazzo solo per ricomprare le materie prime per i miei mobili e riporterò la Malfoy Home com’era un tempo. Ma senza il suo aiuto non posso farcela.”
Blaise ci pensò su molto bene.
Certo, aveva fatto anche lui i suoi controlli, non era uno sprovveduto e aveva visto come l’azienda sotto la direzione della famiglia Malfoy andava gonfie vele.
Forse se avesse accettato, il tempo gli avrebbe concesso fama e successo.
“Voglio fidarmi, signor Malfoy.” – disse Blaise.
Draco gli sorrise e si strinsero la mano.

Anche con i dipendenti era stato molto chiaro.
Basta omissioni, basta mezze verità, basta bugie: avrebbe parlato a cuore aperto e chi avrebbe accettato, sarebbe tornato con il contratto che aveva in essere quand’era stato licenziato o si era dimesso per coercizione.

“Come ben saprete, la Malfoy Home è alla deriva ma so che insieme possiamo rimetterla in piedi. Lo so… vedo le vostre facce e comprendo perfettamente i vostri dubbi e le vostre paure.” – disse Draco.
Sì, li comprendeva perfettamente, perché anche lui era stato un lavoratore come loro.
“E davvero non vi avrei mai chiesto di venire qui, di sabato mattina, se non fossi convinto di ciò che vi sto dicendo.”
“E lo stipendio?” – chiese un ex dipendente, che non avrebbe abbandonato un lavoro per tornare dov’era stato bistrattato.
“So che vi chiederò molto, ma all’inizio sarà molto basso.”
“Quanto basso?”
“Sulle cinquecento sterline.”
Nella sala riunioni cadde il silenzio.
Il tizio che aveva chiesto dello stipendio si alzò e se ne andò senza salutare e Draco non se la sentì di biasimarlo.
Hermione aveva seguito in silenzio tutta la riunione, seduta sul tavolo con le gambe a penzoloni.
“Tu non dici niente Hermione?” – chiese Joy dell’amministrazione.
Hermione la guardò e scese giù dal tavolo.
“Cosa vuoi che ti dica?, anzi… cosa volete sentirvi dire?” – scandì, in modo tale che tutti potessero sentirla. – “Potrei starie qui ore a darvi dati, statistiche e numeri sul fatto che la Malfoy Home potrebbe tornare com’era un tempo ma sarebbe fiato sprecato. L’unica cosa che mi sento di dirvi è che oggi, tutti voi…” – disse, indicando la platea degli ex dipendenti con un gesto del braccio. – “… siete qui. Ciò significa che da qualche parte dentro di voi c’è voglia di tornare a far parte di questa squadra. Voi ora avete due scelte: potete alzarvi e tornarvene alle vostre faccende, mandando a quel paese il signor Malfoy e le sue proposte, oppure potete scegliere di rimanere, ascoltare fino alla fine ciò che ha da dire e poi valutare. Non siamo qui per guardarci in faccia: se avete delle domande, stupide o intelligenti che siano, fatele. Il signor Malfoy è qui per rispondervi.”
Draco la guardò sinceramente grato per quelle parole: lo aveva chiamato “signor Malfoy” e non “Draco” benché ne avesse tutti i diritti. Non voleva, come Pansy, fare la fidanzata del capo che tutti odiavano e alla quale tutti sparlavano alle spalle.
“Perché così basso, scusi?” – chiese un ragazzo.
Draco si girò di scatto.
“Come scusa?”
“Perché così basso lo stipendio?” – richiese.
“E’ solo questione di tempo. So che se lavoriamo tutti insieme e con il doppio delle energie, potremmo accorciare i tempi di ripresa dell’azienda. I guadagni aumenteranno, le vendite aumenteranno e i vostri stipendi torneranno a quelli di un tempo.”
“Ci sono persone qui dentro che lavoravano per lei da anni. Che ne sarà dei contributi maturati? Dovremmo ricominciare tutto d’accapo? ”
“No.” – disse Draco, deciso. – “Se deciderete di tornare, con tutti gli annessi del caso, vi prometto che i contratti rimarranno invariati, che siate stati licenziati o che vi siate dimessi non ha importanza: chi ha dieci anni di servizio rientrerà con i dieci anni di servizio.”
“E il TFR?”
“Quello purtroppo non lo posso mettere sul conto perché una volta estinto non può più tornare com’era prima.”
Vari mormorii di dissenso si spansero nella sala.
“Ma posso aprire un conto e destinare lì ciò che è vostro di diritto. Tutti i TFR maturati fino all’ultimo giorno di lavoro verranno versati su questo conto e ognuno avrà la sua parte in caso decidesse in futuro di andarsene.”
Beh, adesso suonava meglio.
“E cosa dovremmo fare esattamente?” – chiese un’altra partecipante.
“Niente di diverso da quello che facevate prima. Certo, più si lavora, prima il lavoro riparte ma so che non ve lo posso chiedere. Posso solo chiedervi se accettate la mia proposta.”
“E se non dovesse funzionare?” – chiese un uomo.
“In quel caso ognuno di voi avrà, fino all’ultimo centesimo, ciò che gli spetta.”
In parecchi si guardarono in faccia.
“Verranno messe per iscritto queste cose?”
“Per chi le volesse, sì.”

Alla fine, che si vincesse o che si perdesse, per la prima volta nella storia di un’azienda, gli unici a guadagnarci sarebbero stati i lavoratori.
E tutti accettarono.




Dopo aver messo a punto ogni dettaglio, Draco e Hermione compresero che riaprire alle soglie del Natale era perfettamente inutile così scelsero di aprire i battenti con l’anno nuovo.

La Vigilia di Natale, Hermione e Draco la trascorsero a casa Granger, poiché per loro era molto più importante l’attesa che non il giorno di Natale vero e proprio, che trascorsero invece dai genitori di Draco.




“Benearrivati! Auguri di Buon Natale!” – esclamò Narcissa, lieta di vederli.
Hermione scese con in mano un dolce natalizio preparato da lei stessa.
“Auguri Narcissa.” – ricambiò Hermione con un sorriso.
“Dai, entrate che fa freddo.”

In quei tre mesi di duro lavoro, il rapporto tra Draco e i suoi genitori era, se non tornato quello di un tempo, notevolmente migliorato. Draco aveva imparato ad aprirsi di più con suo padre, a chiedergli consigli, come fosse stata la sua gestione, quali errori aveva commesso e quali intuizioni avesse avuto.
Lucius condivideva volentieri e con entusiasmo l’esperienza della sua precedente amministrazione con il figlio, una cosa che prima del suo cambiamento non aveva mai potuto fare, perché Draco dimostrava di essere fin troppo sicuro di sé e con un caratterino che non accettava i suggerimenti tanto volentieri.
Riuscivano a incontrarsi solo di domenica, poiché dal lunedì al sabato erano impegnati con le pulizie in azienda.

Per l’occasione, era stato acceso il caminetto che emanava una bellissima luce aranciata, perfetta per quel periodo dell’anno.
“Buon giorno.” – salutò Lucius.
“Ciao papà. Auguri.”
“Auguri. Hermione… Buon Natale.”
“Buon Natale Lucius.”
“Allora… aperitivo?” – chiese l’uomo, sfregandosi le mani soddisfatto.

Ridendo e scherzando, arrivarono a parlare di affari.
“Riapriremo dopo le ferie di Natale.” – spiegò Draco, che teneva Hermione per la vita. – “E verso il dieci di Gennaio dovremmo incontrarci con Theo, Pansy e tutti coloro che sono stati coinvolti nella vicenda per accordarci.”
“Credi che questo Zabini sappia il fatto suo?” – chiese Lucius.
“E’ uno in gamba.” – intervenne Hermione, stretta a Draco. – “Non è uno che ama parlare per sprecare fiato. Alle udienze ha sempre portato la giuria dalla propria parte.”
“Staremo a vedere.” – disse Lucius.
“E tu Hermione? Cosa fai nel frattempo?” – chiese la donna, con un sorriso cordiale e sincero.
“Io sto attenta che Draco non faccia cavolate.”
I tre scoppiarono a ridere.
“Scherzi a parte, cerco di aiutarlo nelle piccole cose, piccole commissioni, chiamate, prenotazioni, ordini… tante piccole cose che, se sommate, sono un grande problema.”
Draco le baciò la fronte.
Narcissa e Lucius si scambiarono un lieve cenno di assenso di fronte a quel gesto: non glielo avevano mai visto fare con Pansy e si dissero che forse Hermione era quella giusta per lui.
Quello era proprio un bel Natale.

La ragazza era proprio assennata, lo capivano dal modo in cui parlava. Rifletteva molto sulle conseguenze di un gesto e parlava con cognizione di causa.


Il pranzo fu luculliano e tra i primi e i secondi, i quattro vollero fare una passeggiata in giardino, solo che Narcissa scelse di sequestrare Draco e lasciare Hermione sola con Lucius.
I due si guardarono, perplessi.
“Non ci sono casi di complessi edipici nella vostra famiglia, vero?” – chiese Hermione, stranita.
“Non che io sappia.” – rispose Lucius, pensoso.
Si guardarono e trattennero un sorrisetto divertito. Poi Lucius le porse il braccio che Hermione accettò.
L’attimo successivo stavano passeggiando nel giardino innevato.
“Scusa Narcissa, Hermione.” – disse Lucius. – “Fosse per lei, rinchiuderebbe Draco in camera sua e non lo farebbe più uscire.”
“Non si preoccupi. È normale.”
D’un tratto, sentì la mano guantata di Lucius sulla sua.
“Spero non te la prenda con Draco Hermione ma… mi ha detto tutto.”
La riccia lo guardò confusa.
“Tutto cosa?”
“Di tua… di tua madre, di ciò che ha fatto per te…”

Un tempo sarebbe scappata, spaventata da ciò che le persone avrebbero potuto pensare di lei ma con il tempo, grazie all’intervento di Draco – forse averlo aiutato nonostante tutto quello che le aveva fatto passare era scritto nel suo destino, per aiutarla ad emergere da quel gas mortale che era la sua voglia di morire – e alla presenza della sua famiglia, Hermione si era lentamente resa conto che quello di sua madre era stato un gesto eroico, coraggioso ma che soprattutto, non aveva nulla di cui vergognarsi, anzi.
Era la dimostrazione che sua madre era la donna migliore di questo mondo.

“Capisco…” – rispose la riccia, chinando il capo, con un sorriso leggero.
“Mi dispiace, forse non avrei dovuto…” – si scusò Lucius.

Quando Draco gli aveva fatto quella confessione era rimasto allibito, sgomento. Non era riuscito a credere che una persona avesse scelto liberamente di uccidersi per salvarne un’altra.

“No, non si preoccupi.” – gli sorrise Hermione. – “Sa, Draco mi ha insegnato a non avere paura di ciò che può pensare la gente, perché con quel gesto mia madre ha voluto dirmi che mi amava tantissimo.”
“Di cosa avevi paura Hermione?” – chiese Lucius.
“Che pensassero che non meritassi un dono simile, che fossi un’assassina, che era meglio che non nascessi…”
“Non dovresti permettere alle persone di dirti come devi sentirti.”
“Lo so. Adesso lo so. Draco è un buon terapeuta.” – scherzò.
“Anche tu sei stata la sua medicina, da quanto ho potuto vedere.”
La donna fece le spallucce per schermirsi.
“Draco aveva solo bisogno di una mano e io gliel’ho data.”
I due si girarono per trovare il soggetto della loro discussione.




“Allora Draco…” – iniziò Narcissa. – “… le cose con Hermione vanno bene, mi sembra.”
“Sì, molto. Stiamo molto bene insieme.”
“Lo vedo da come vi guardate…” – disse, accarezzandogli amorevolmente i capelli. – “… da come vi cercate con lo sguardo.”
Draco cercò con lo sguardo Hermione e vide che era girata nella sua direzione. Sorrise inconsciamente per quel piccolo gesto di complicità.
“La amo molto.”

A una madre scoppia il cuore di gioia quando il figlio è felice.

“E si vede. Così come si vede che anche lei ti ama tantissimo.”
“Io… volevo chiederglielo.” – disse.
Gli occhi di Narcissa brillarono di gioia.
“E perché non lo hai ancora fatto?”
“Tutta la questione della Malfoy Home ci sta portando via parecchio tempo, le basi per la ripresa sono buone ma avrò i risultati solo l’anno prossimo. Tempi da rispettare, garanzia sul prodotto… è un casino!”
“Draco ascolta: non ricordo più ormai le volte in cui io e tuo padre ci siamo offerti per aiutarti. So che ci tieni a risolvere questo problema da solo, ma forse tu dimentichi che non sei solo! C’è tuo padre, ci sono io, c’è Hermione… accetta il nostro aiuto!”
Draco parve rifletterci seriamente. Forse se accettava il loro aiuto, poteva dedicarsi un po’ di più a Hermione. Da quando erano rientrati avevano fatto l’amore solo quel giorno e lui aveva voglia di lei, di stare vicino a lei, di sentire la sua pelle contro la sua, di affondare in lei, di perdersi in lei.
Lei non lo aveva mai cercato in quel senso non perché non lo volesse, ma perché era ancora troppo timida, troppo impacciata e troppo inibita per passare da vergine di primo grado a femme fatales.
“Draco?” – lo richiamò la madre.
“Io… d’accordo.” – accettò.
Narcissa sorrise felice.
“Hai fatto bene tesoro! Adesso non devi preoccuparti più di niente! Coraggio, torniamo da loro.”
E, neanche a farlo apposta, anche Lucius e Hermione avevano appena finito di dire la stessa cosa.




Fu un bellissimo pomeriggio, ma la stanchezza di quel pranzo si fece sentire, così Draco e Hermione, dopo aver ampiamente salutato, tornarono a casa.
Appena ne varcarono la soglia, Draco la baciò come effettivamente non faceva da mesi.
“Però…” – sussurrò Hermione, con gli occhi ancora chiusi. – “… a cosa devo questo bacio?”
“Non posso baciarti?”
“Sì che puoi!” – trillò lei allegra.
Draco rise e tornò a baciarla.
“Ho deciso di accettare l’aiuto dei miei.” – disse.
Hermione lo guardò stupita.
“Perché?”
“Perché così posso stare con te.” – rispose lui, sincero.
La riccia gli sorrise, radiosa.
“Allora hai fatto bene.”

Quel pomeriggio fecero l’amore per la seconda volta.
Hermione temeva che il “digiuno” potesse provocarle altro dolore ma non fu così. Sentì scivolare Draco dentro di lei con facilità e insieme avevano preso a muoversi.
Nemmeno quella volta raggiunse l’orgasmo, troppo concentrata a capire cosa il corpo le stesse suggerendo ma aveva capito di esserci andata molto vicina. Aveva avvertito una potente onda liquida muoversi nel ventre, tanto da farle emettere un gemito strozzato, si era sentita leggera come una piuma e pesante l’attimo successivo quando, invece di raggiungere l’orgasmo, quella scintilla si era spenta.
Aveva sentito che quando Draco si muoveva lento in lei le venivano i brividi, che avrebbe voluto la sua bocca su tutto il corpo contemporaneamente. Aveva avvertito una potente sensazione di possessione quando l’uomo le fece avvinghiare le gambe attorno al suo bacino.

Era entrato talmente tanto a fondo in lei, che Hermione pensò le avesse appena toccato l’anima.

Aveva visto mille lampi bianchi dietro le palpebre chiuse e quando sentì Draco velocizzare le spinte e venire si sentì incompleta.
Insoddisfatta.

“Scusami…” – si scusò Draco.
“Di cosa?” – chiese lei, con il cuore che pulsava velocemente.
“Non sei venuta.”
“Non ti preoccupare.” – lo tranquillizzò lei, massaggiandogli la schiena.
Ognuno di loro andò in bagno a turno per sistemarsi. Quella sera di sicuro non avrebbero cenato ed erano certi che una volta toccato il letto sarebbero finiti addormentati come sassi.
Hermione tornò con addosso il pantalone di una tuta e una maglietta. Si accomodò accanto a lui.
“Sai, pensavo a una cosa…” – iniziò il biondo, a petto nudo.
Hermione cercò di non guardarlo per non cadere in tentazione.
“Cosa?”
“Che non è giusto.”
“Ma a scuola ti hanno insegnato a mettere il soggetto nelle frasi?” – chiese lei, divertita.
“Spiritosa…” – disse facendole il solletico.
Hermione ridacchiò stretta a lui.
“Non è giusto che tu non sia venuta prima.”
Hermione sbarrò gli occhi. Che diavolo di discorsi andava a fare?
“Scusa?” – chiese, rossa in volto, non ancora del tutto avvezza a certe formule.
“Sarebbe carino che tu e il mio amico Orgasmus faceste conoscenza.” – scherzò.
Hermione gli rise in faccia. Orgasmus?!
“Motivo per il quale…”
Hermione smise di ridere quando sentì le sue mani che cercavano di sfilarle pantaloni e slip in un sol colpo.
“Draco…”
“Zitta donna.” – la rimbrottò bonariamente. – “E’ una sfida personale, mi capisci?”
Hermione, divertita, lo lasciò fare.
“Cioè… è qualcosa che non puoi lasciar correre, altrimenti poi ti abitui ad essere insoddisfatta…” – s’intrufolò sotto le coperte con la testa mentre Hermione se la rideva. – “… e vai a cercartene un altro.” – concluse il biondo con la voce ovattata dalle coperte.
“Ma che stupi…”

Il fiato morì atrocemente in gola, la faccia divenne un unico punto rosso, dove l’unica nota di colore erano e le sclere bianche degli occhi, sbarrate fino all’inverosimile.
Cosa… cosa faceva… cosa diavolo… cosa stava facendo con quella lingua?!?!?!

“Draco… Draco!” – squittì, quando lo sentì toccare una zona particolarmente sensibile. – “Oddi… OH!”

Eccole.
Stavolta erano più di una.
Le ondate liquide che aveva avvertito prima si stavano intensificando. Si sentiva come bloccata sul materasso, come se qualcosa di pesante e invisibile l’avesse inchiodata lì, come se le forze se ne fossero andate d’un tratto.

“Mhm sì…” – mugugnò a occhi chiusi, rilassandosi lentamente contro il cuscino.
Avvertì un forte sconquasso interiore quando Draco le succhiò avidamente, ma con delicatezza, il clitoride.
Stava per venire. Ne era certa.
E anche se non sapeva cosa fosse un orgasmo o perché tutti, in quel momento, dicessero “sto venendo”, lo fece anche lei, perché sentiva che nessun’altra espressione al mondo poteva definire al meglio quel particolare momento.
“Draco sto venendo!”
Draco, da sotto le coperte, lasciò che Hermione si beasse di quel momento di pura estasi. Riemerse dalle coperte e la contemplò in tutte le sue smorfiette di piacere.
Hermione, dal canto suo, riuscì solo a pensare che ne volesse un altro.
Quando si calmò, guardò Draco, ancora provata.
“Ora hai conosciuto Orgasmus.” – scherzò lui.
Con il fiatone, Hermione emise una smorzata risata. Gli prese il volto tra le mani e lo baciò.
“Il tuo amico mi sta molto simpatico.”
E, come previsto, per il pranzo luculliano e per quello che avevano fatto, crollarono addormentati ma felici.









Calli-corner:

Ed eccoci alla fine di questo super postaggio.
O pestaggio?
Beh, alla fine vi ho rivelato praticamente tutta la storia, poiché il prossimo sarà l’ultimo capitolo.

Non credo di dover aggiungere qualcosa alle parole di Draco e Hermione nei confronti di Theo e Pansy, perché credo abbiano detto tutto loro.
Draco si è finalmente fatto rispettare e Hermione si è potuta vendicare a tutto tondo contro Pansy.

Rimango a Vs. disposizione per qualsiasi dubbio o chiarimento e vi lascio con lo spoiler, sperando che sia il più criptico possibile. ^_^

“Hermione mi ha detto tutto.”
Daphne scosse il capo, confusa.
“Di cosa?”
“Del tuo male, di ciò che ti ha fatto.”
Daphne divenne seria d’un tratto e guardò con biasimo la sorella.
“Ah…” – disse, ferita. – “… dei tuoi problemi non riuscivi a parlare, ma di quelli degli altri sì, vero?” – chiese, sulla difensiva.


Bacioni,
callistas

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Capitolo 19
*** The End ***


19 - The End Ed eccoci qui come promesso con l’ultimo capitolo di quest’avventura.

Quando posto le note finali di una storia, non so mai cosa dire, perché vorrei poter trovare una parola che possa esprimere tutta la mia più profonda gratitudine a chi mi ha seguita dall’inizio, alla fine.
Ma non riesco mai a trovarla e mi tocca sempre limitarmi al solito “grazie”.

Grazie di cuore a tutti voi, che mi avete sempre sostenuta, letta, commentata e fatta partecipe delle vostre perplessità sulla storia.
Ho apprezzato tutto davvero tantissimo.

Vi lascio alla lettura dell’ultimo capitolo, sperando che possa essere la degna conclusione di questa storia.


Buona lettura,
callistas









Laney e John facevano coppia fissa da tre mesi ormai ma le voci sulla loro storia non si erano ancora dissipate, anzi: sembravano intensificarsi ogni volta che i due respiravano anche solo nella stessa direzione. Per non parlare del fatto che tutti, a parte qualche mosca bianca, non facevano altro che dire quanto brava dovesse essere stata Laney per essere riuscita ad ottenere il posto di segretaria del capo.
Con John si era accordata nel lasciar correre quelle voci, che col tempo le persone avrebbero trovato un nuovo argomento di discussione, ma ormai erano tre mesi che loro stavano insieme e che quelle voci erano ancora vive come se fosse il primo giorno.

La cosa, onestamente, iniziava a seccare sia lei sia John, non tanto perché si vergognassero o perché avessero qualcosa da nascondere; semplicemente avrebbero gradito vivere la loro storia senza che ogni loro respiro, sillaba o sguardo venisse radiografato.

Anche i clienti, che di tanto in tanto entravano nello ShowRoom della Livin Home per vedere le nuove collezioni sapevano di loro due, permettendosi commenti non proprio carini che un tempo non avrebbero mai fatto.




Laney iniziava ad averne le tasche piene.
Tutti i giorni era la stessa storia: entrava in ufficio e i suoi colleghi smettevano di parlare, se doveva entrare in ufficio da John mancava poco che tutti si mettessero dietro la porta per captare qualsiasi gemito di piacere, se indossava una gonna piuttosto di un pantalone era per calamitare lì l’attenzione del capo… tante stupidaggini che però avevano il potere di mandare la sua concentrazione al manicomio e le volte che commetteva qualche errore, veniva imputato al fatto che l’amore fa questi effetti.

Aveva un buon rapporto solo con Alessia Carson, la centralinista della Livin Home e Katie Hole, una sorta di istituzione nell’azienda contro la quale nessuno, nemmeno John Cook, osava andare.
Erano le uniche due persone, tre con Laney, che in azienda si facevano gli affari propri e che prima dei pettegolezzi, cercavano di fare bene il proprio lavoro. Si trovavano bene insieme proprio per questo, anche se erano in settori diversi.

“Sto dando i numeri!” – esclamò Laney, sfinita. – “Non c’è giorno che non venga radiografata per quello che dico!”
“Mandali a cagare.” – fu la diplomatica risposta di Alessia, che addentò il suo panino.
“Credi che non lo abbia già fatto?” – chiese retoricamente Laney. – “Che li mandi a cagare, che li minacci, che faccia il nome di John, non succede niente! Credevo che con il tempo la questione si sarebbe smorzata, ma non è così! Sono tre mesi che io e John stiamo insieme e sono più le ore che perdo a dovermi difendere dalle loro battutine che a vivere la mia storia!”
Alessia e Katie si guardarono, dispiaciute per la moretta.
“Io metterei in pratica il piano B.” – disse Katie, inforcando il suo piatto di pasta.
Laney e Alessia la guardarono perplesse.
“Cioè?” – chiese Alessia.
“Qui tutti si riempiono la bocca della stronzata che saprebbero fare il tuo lavoro come se niente fosse, perché credono che ti limiti a portare il caffè a John quando ha le riunioni. Faglielo portare tu il caffè per una volta.” – occhieggiò Katie.

Anche John gliel’aveva detto quella sera di tre mesi fa, ma nessuno dei due, alla fine, aveva messo in pratica quella minaccia: il lavoro di Laney era troppo delicato per essere affidato al primo incompetente di turno ma forse era giunto il momento di mettere le cose in chiaro.
Lo sguardo di Laney mutò.
“Katie? Laney ha in mente qualcosa.” – sorrise Alessia, che conosceva quello sguardo.
Alla fine la moretta si rimise composta e mangiò la sua insalata, con il piano ben delineato nella propria mente.




La pausa pranzo ebbe una fine e con essa la libertà di essere con persone – Katie e Alessia – con le quali era facile parlare.
Rientrò in ufficio e come al solito venne accolta da quel religioso momento di silenzio, nemmeno fosse stata allo stadio per la commemorazione di qualche famoso giocatore.
Senza salutare, si diresse nell’ufficio di Margharet Turcher – scherzosamente chiamata Tutcher per l’inflessibilità che metteva nell’applicare la legge – l’avvocato dell’azienda per chiedere chiarimenti.

“E’ permesso?”
“Sì? Oh Laney, buon giorno.”
“Buon giorno Margharet, la posso disturbare?”
“Sì certo, entri pure.”
Laney si accomodò.
“Mi dica.”
“Margharet, non ci girerò intorno. Credo sia ormai di dominio pubblico il fatto che io e il signor Cook abbiamo una relazione.”
Margharet arricciò leggermente le labbra.
“Non sono un consulente amoroso, Laney.” – disse la donna.
“Lo so. So solo che lei è un brillante avvocato e mi chiedevo se la legge prevedesse qualche sorta di punizione per colleghi invadenti o penalmente perseguibili per stalking aziendale.”
Margharet sollevò le sopracciglia.
“Non mi era mai capitata una richiesta simile…” – osservò la donna, che prese un tomo di qualche milione di pagine e lo sfogliò, come se lo conoscesse a memoria.
“Immagino e mi dispiace veramente disturbarla per questo ma davvero non ne posso più. Il mio rendimento sul lavoro ne sta risentendo proprio a causa di questo stalking aziendale, se si può chiamare così.”
Mentre sfogliava le pagine, Margharet iniziò a parlare.
“Mi è capitato un caso simile, prima di venire a lavorare qui.”
“Ah sì?” – chiese Laney, stupita. – “E come andò a finire?”
“La vittima riuscì a spuntarla ma dovette licenziarsi perché dopo aver messo di mezzo l’avvocato contro i suoi stessi colleghi, questi iniziarono ad esasperarla ancora di più.”
Laney emise un gemito strozzato. Era punto e a capo.
“Va bene, grazie comunque Margharet.” – si alzò, ma l’avvocato la fermò ancora.
“Se posso permettermi, non dovrebbe permette a nessuno di manipolare la sua vita.”
Laney la guardò sorpresa.
“Non è sempre facile, però. Sono aperta a qualsiasi suggerimento.” – scherzò la moretta.
Per la prima volta da quando la conosceva, Margharet sorrise.
“Sa… mi piacerebbe proprio vedere come se la caverebbe un suo collega a fare il lavoro che fa lei…”
Laney sbarrò gli occhi.
Ma si erano messe d’accordo, per caso?
Sorrise ugualmente e uscì.

Ancora, quando rientrò in reparto, di nuovo ad accoglierla vi fu il silenzio.
Stanca come non mai per quell’atteggiamento da asilo nido, Laney andò in ufficio da John per informarlo che a breve avrebbe avuto una nuova segretaria.

“Posso disturbarti?”
“Ciao, vieni.” – disse l’uomo, concentrato su alcuni documenti. – “Dimmi.”
“Ho preso una decisione che è insindacabile.”
John alzò lo sguardo e la guardò, mezzo divertito.
“Ovvero?”
“Avrai una nuova segretaria.” – disse, seria.
John si fece serio a sua volta.
“E se io non fossi d’accordo?” – ironizzò.
“Oh, quello che pensi non è rilevante.” – scherzò lei, fingendo che John fosse, alla Livin Home, l’ultima ruota del carro.
John sollevò le sopracciglia, divertito, ma poi tornò serio.
“Perché questa decisione?”
Laney sospirò e sorrise tristemente.
“Perché sono stanca John.” – ammise.
L’uomo sbarrò gli occhi e temette che la donna potesse rivedere la sua decisione di trovarsi un altro lavoro o peggio… lasciarlo.
“Laney…”
“Da quando si sa che sto con te, ho perso credibilità. Sono al tuo fianco non perché so fare il mio lavoro, ma perché ti apro le gambe; i miei successi professionali sono passati tutti in secondo piano, certi dicono addirittura che tanto adesso potrei anche smettere di lavorare, perché ci sei tu che mi mantieni.”
John si passò una mano sugli occhi, esasperato.
Laney si era guadagnata tutto con il sudore della fronte e perché a differenza degli altri portava a termine un lavoro durante il lavoro, anche se si trattava di uscire alle dieci di sera!
Poteva solo immaginare quanto quei commenti le dessero fastidio e sperò vivamente che non la portassero a rivedere la decisione di stare insieme.
“Mi dispiace… non credevo che la cosa degenerasse in questo modo.”
“Nemmeno io. Per questo ti chiedo di aiutarmi. Di solito non è da me comportarmi in questo modo, ma se vado avanti così rischio di impazzire.” – lo supplicò e John si rese conto che era davvero stanca.
“Che avevi in mente?” – non era nemmeno da lui accettare un simile comportamento ma se voleva che i suoi dipendenti tornassero a rispettare la mora per il suo lavoro, occorrevano misure drastiche.
“Tutti credono che farti da segretaria significhi solo portarti il caffè. Fattelo portare da qualcun’altra, allora.”
John rise: il caffè.
“D’accordo. Ma se non funziona, io inizio con i licenziamenti.” – scherzò lui.
Laney sorrise grata.
“Grazie, davvero.” – poi uscì e fu accolta di nuovo dal solito minuto di silenzio.









“E questa ti sembra una relazione? Ma ti hanno insegnato a scuola la punteggiatura?”
La vendetta – perché era di questo che si parlava – di John e Laney era iniziata proprio dalla persona che aveva dato il via a tutto quel casino.
Allie.

Fingendo una piccola discussione, John e Laney si erano “lasciati” e ora tutti ricamavano sullo scoop del giorno, per non parlare di come John avesse messo gli occhi sulla biondina.
Allie sbarrò gli occhi e ricontrollando, si rese conto che effettivamente mancava la punteggiatura necessaria per dare un senso al discorso.

“Io… se vuole la ricorreggo…”
John la guardò stranito.
“Sarebbe molto cortese da parte tua, grazie.” – disse, tagliente.
Allie uscì dall’ufficio con gli occhi lucidi e in molti se ne stupirono.
“Josh!” – urlò John. – “Dov’è la relazione che ti avevo chiesto mezz’ora fa?”
L’uomo sbarrò gli occhi. Cazzo! Se ne era completamente dimenticato! Era stato assalito dalle chiamate dei suoi colleghi e aveva scordato la relazione!
“Gliela porto subito!”
“Quel subito doveva essere mezz’ora fa!” – urlò John, inviperito.

Laney, seduta tranquillamente alla propria scrivania, ascoltava quelle urla nemmeno fossero state il Notturno di Chopin. Sorseggiava il suo tea bollente e batteva i tasti della tastiera con il solo indice e poco le mancava per mettere i piedi sulla scrivania e svaccarsi sulla sedia.
Finalmente un po’ di giustizia divina.
Finalmente quegli sfaticati e impiccioni dei suoi colleghi avrebbero capito che essere la segretaria di John non significava portargli solo il caffè ma significava prima di tutto sgobbare come uno schiavo.
“Laney!” – esclamò Josh.
La donna lo guardò, infastidita dall’interruzione.
“Che c’è?” – chiese scorbutica.
“Devi aiutarmi!”
Devo?!, si chiese la donna che iniziò a sentire un lungo e intenso brivido di piacere lungo la schiena.
“Perché?”
“John vuole la relazione sulla fusione della…”
“E perché lo chiedi a me?” – chiese la donna, stranita.
John si bloccò, impanicato.
“Beh, tu sai dove si trova. Io no.”
Il sorriso che gli rivolse, fece capire a Josh che non l’avrebbe aiutato.
“Certo che lo so. E sai come ho fatto a saperlo?”
Stupidamente, l’uomo negò.
“Perché le cose che servivano a John me le andavo a cercare da sola.”
“Ma gli serve urgente!” – esclamò Josh.
“Motivo per il quale ti consiglio di correre.” – ironizzò.
Josh represse una bestemmia e se ne andò e Laney tornò a sorridere. Poco le importava di fare la figura della bambinetta dell’asilo, ma a mali estremi estremi rimedi.




Furono i tre giorni più appaganti di Laney.
Si poté quasi dire che il sesso l’appagasse meno di quei giorni passati a guardare tutti i suoi colleghi impazzire per eseguire lavori che lei sarebbe riuscita a fare in meno di un’ora.
Per non parlare del fatto che, senza le richieste di John, Laney riusciva a lasciare l’ufficio alle sei di sera spaccate, augurando una buona serata ai suoi colleghi che dovevano rimanere in azienda fino a che avessero portato a termine i compiti affidati dal titolare.

Tornava a casa, si faceva un bel bagno rilassante – da quando era la segretaria di John a malapena riusciva a farsi una doccia decente – e poi preparava una bella cenetta per loro due e concludevano la serata con del sano sesso.
Meglio di così non poteva andare.


All’alba del quarto giorno, l’intero reparto alzò bandiera bianca.
Laney entrò alle otto e trenta, con un bicchiere di caffè bollente nella mano – quella sorta di tregua le aveva permesso di fermarsi allo Starbucks all’angolo e bere il caffè durante il tragitto – e un sorriso di compiacimento sulle labbra.

Quando si ha troppo lavoro da fare, si è soliti perdere meno tempo in chiacchiere e pettegolezzi.

L’intero reparto l’accolse con un piacevole brusio di sottofondo, le unghie delle donne ticchettavano sulle tastiere, si parlava al telefono, ci si scambiava opinioni.

E nessuno badava a lei.

Quando la videro, smisero di parlare e Laney sbatté un piede a terra, capricciosa. Era già tutto finito?
A venirle incontro fu Allie che, alla fine, fu accusata dall’intero reparto di essere stata la causa di quel surplus di lavoro quando prima, invece, l’avevano trattata con i guanti per lo scoop che era riuscita a scovare.

“Sì?” – chiese Laney, con la mano che già non vedeva l’ora di rincontrare la guancia dell’idiota.
Allie aprì la bocca ma nessun suon ne uscì.
“Non ce la facciamo più!” – pigolò la biondina, alla fine, scegliendo di dire la verità.
“Non ce la fate più a fare cosa?” – chiese retoricamente.
Si fece avanti un altro collega.
“Il tuo lavoro.”
Laney lo guardò, invitandolo a spiegarsi meglio.
“E’ un casino! John non è contento di niente! Prima vuole un fascicolo, poi un altro, poi vuole la relazione, poi vuole…”
“Cosa?” – chiese Laney, con un sorriso al veleno. – “Il caffè?” – ironizzò.
Tutti si zittirono.
“Ma che strano…” – continuò. – “Eppure portare il caffè a una persona è un lavoro così facile, che sanno fare tutti, no? Ma forse è più una questione di gambe, che ne dite?” – frecciò, cattiva.
Oh, non gliene avrebbe fatta passare una!
“Laney…”
“Laney niente!” – esclamò la donna, furente. – “Sappiate che quello che avete fatto voi in questi tre giorni io lo faccio in meno di mezz’ora! Ed è stata la centesima parte dei lavori che io, come segretaria personale di John, devo fare! Lavoro qui da anni ormai, e la Livin Home non è una baracca per vagabondi! È un’azienda che fattura miliardi di dollari l’anno e occorrono persone qualificate per lavorarci dentro! Quando sono stata eletta capo reparto ho ricevuto i complimenti di tutti voi perché sono brava, perché so comprendere le persone, perché so essere imparziale e perché me lo sono meritato!” – urlò per farsi sentire. – “Ma da quando questa imbecille…” – disse, indicando Allie. – “… vi ha detto che mi frequento con John, automaticamente le mie qualifiche professionali sono finite nel cesso e se ho ottenuto il mio lavoro è stato solo perché ho aperto le gambe! Allora se questo è vero, si può dire che tutti voi avete dovuto vendere, chi il culo, chi quella che ha in mezzo le gambe per un quarto d’ora accanto a John! E questo non vi rende meno puttane o finocchi di me!” – concluse.
Era stata cattiva come il veleno ma almeno si era levata dai denti ciò che più le rodeva.
Tolse la tracolla dalle spalle e la sbatté sulla sedia.
“Credevo di lavorare con delle persone mature, con degli adulti!” – continuò a rimproverarli mentre accendeva il pc e sistemava la propria scrivania per riprendere possesso del proprio lavoro. – “Invece mi sono resa conto di lavorare con dei poppanti! Non si poteva resprirare senza che non venissero inviate mail di come io abbia respirato o che io e John ci siamo guardati per più di tre secondi di fila! Io e John stiamo insieme e la cosa non vi deve riguardare, mi sono spiegata?”
Tutti mormorarono degli strascicati “sì”.
In quel momento arrivò John.

Aveva sentito tutto e si disse che quei tre giorni di baraonda forse erano serviti a qualcosa.

“Buon giorno.” – salutò.
Tutti scattarono sull’attenti e salutarono il titolare.
“Ci sono problemi?”
“No.” – disse Laney, guardando i suoi colleghi, pronta a sbranarli se avessero solamente aperto bocca.
“Perfetto. Spero che episodi del genere non si verifichino mai più. Hai le relazioni?”
Dalla tracolla iniziò a tirare fuori le relazioni che in quei tre giorni erano state fatte – male – dai suoi colleghi e gliele consegnò.
“Ma… quelle sono le relazioni…”
Laney lo fulminò con lo sguardo.
“Sapevo che affidarvi un compito come trascrivere la relazione di una riunione sarebbe stato troppo per voi, così me le sono fatte io.”
“Il lavoro di Laney non finisce alle sei.” – intervenne John. – “Quando lei è stata assunta come mia segretaria, sapeva che sarebbe andata incontro a un lavoro difficile, dove non ci sono orari e poco spazio per una vita privata. Lo sapeva e lo ha accettato comunque. Ora siete pregati di tornare ai vostri posti. Vi pago per lavorare non per spettegolare sui vostri colleghi.”
Come neve al sole, la ressa si dissolse.
John prese le relazioni e andò nel proprio ufficio.

Fu davvero una buona mattinata.
Laney lavorò incessantemente per rimettersi in pari con il lavoro che aveva lasciato ai suoi colleghi e notò come tutti si facessero finalmente i fatti propri.

To be continued?
Sperò di no.









Le porte della Malfoy Home riaprirono lunedì otto Gennaio.

Draco era stato fatto convinto da sua madre a farsi aiutare, anche finanziariamente, a rimettere in piedi l’azienda, potendo così dedicarsi a Hermione e al loro rapporto e a quella proposta che Narcissa sperò facesse il più presto possibile…
Hermione aveva risentito di quel loro distacco da quando erano rientrati a Londra, ma sapeva quanto Draco amasse quella società, così si era fatta da parte, aspettando tempi migliori. Era stata molto felice, dunque, quando Draco le aveva detto che accettava l’aiuto dei suoi genitori, il che si traduceva nel passare in ufficio quante meno ore possibili. Poteva coltivare il suo rapporto com’era giusto che fosse.

Draco, poi, non le faceva mancare nulla.
Aveva annullato le sue visite ai ristoranti di alta classe, prediligendo le trattorie, le sagre di paese e gli agriturismi, dove i piatti erano colmi fino al bordo e si usciva con la pancia piena e l’animo allietato.
Durante la settimana, cercavano su Internet una sagra, una manifestazione eno-gastronomica, gastronomico-culturale… insomma, tutto quello che riuscivano a trovare e poi ci andavano.
Passavano bellissime giornate immersi nella natura, accompagnati ad ogni punto ristoro da dell’ottimo cibo. Il loro rapporto si rafforzava giorno dopo giorno e niente poteva turbare la loro felicità.


Quando misero piede alla Malfoy Home, rimasero a bocca aperta.
Loro due e la fila di dipendenti che entrarono dietro di loro.

Era tornato tutto come prima, salvo qualche modifica apportata dallo stesso Lucius.
L’acquario era tornato, splendente come agli albori, ripulito di tutte le alghe che si erano formate durante il suo abbandono, i pesci nuotavano a scatti, colorati e variopinti. Erano state inserite delle vetrate colorate nei rosoni in alto tanto da creare diversi fasci di luce a seconda dell’ora del giorno.
Il bianco la faceva ancora da padrone, e il colore dei divanetti era stato sostituito da tenui colori pastello che ricordavano tanto i colori delle lastre di granito con le quali solevano abbellire una cucina. Sulla parte frontale del centralino era stato applicato il logo della Malfoy Home.
Le piante erano state buttate e sostituite con altre più belle e rigogliose, ma che soprattutto non richiedessero troppa manutenzione – le spese per la manutenzione degli spazi verdi occupava un bel posto nelle uscite dell’azienda – e vicino alla fontana era stato creato un giardino Zen.

Dietro Draco e Hermione si stagliava la folla dei dipendenti che avevano accettato di tornare a lavorare per Draco. Si guardavano intorno meravigliati, notando subito i nuovi dettagli.
Alle pareti erano stati appesi quadri di arte contemporanea, moderna e alcune copie di ritratti di pittori famosi.

La Malfoy Home non era solo perfezione.
Era Arte.

“Tuo padre non si è risparmiato, eh?” – sussurrò Hermione all’orecchio di Draco, sconvolta.
“No, direi di no…” – rispose Draco, altrettanto basito.
Curiosi, vollero vedere i piani.

Ogni settore dell’azienda era stato curato, sistemato e restrutturato a regola d’arte. Lucius non aveva badato a spese. Gli operai avevano lavorato giorno e notte a quel progetto, ampiamente remunerati per quel lavoro extra soprattutto sotto le feste di Natale e Capodanno.
Man mano che i lavoratori riconoscevano il loro piano, si addentrarono negli uffici per riprendere i posti che ingiustamente erano stati sottratti loro. Lentamente, la fila dietro Draco e Hermione iniziò a sfoltirsi, finchè non arrivarono all’ultimo piano, quello dell’ufficio di Draco.

“Ho quasi paura ad entrare…” – sussurrò il biondo, di fronte alla porta del suo ufficio.

Aveva deciso di non mettere nessuna targhetta identificativa, perché non voleva mettere troppa distanza tra sé e i suoi dipendenti.

Non sapeva cos’avrebbe trovato.
“Dai, tranquillo.” – lo rassicurò Hermione, agitata comunque anche lei.
Draco abbassò lentamente la maniglia.
Era come sentirsi catapultato al primo giorno come direttore della Malfoy Home, dove aveva abbassato quella maniglia per la sua prima volta.
Entrarono insieme e rimasero basiti.

Niente del vecchio Arredamento era stato tenuto per evidenziare quanto ciò che era successo appartenesse al passato e che fosse necessario voltare pagina per sempre e ricominciare daccapo con un nuovo spirito.
L’arredamento era tutto essenziale, tanto che ad una prima occhiata poteva quasi dare un’impressione di freddo distacco ma qualche dettaglio ben sparso qua e là aiutavano l’occhio a rendersi conto che c’era anche una fonte di calore in quell’arredamento: il quadro di Lucius, Draco e Narcissa in posa faceva bella mostra di sé dietro la sedia di Draco, per ricordare a quel testone che loro erano una famiglia e che la famiglia si sostiene a vicenda; il morbido tappeto a fronde rosso catturava subito l’occhio e divani che starebbero meglio nel salotto di una casa che nell’ufficio di un direttore d’azienda, completavano l’arredamento.
Ecco, tutti questi dettagli, personalmente vagliati da Lucius e Narcissa, davano all’ambiente una nota calda e accogliente.

“Tuo padre si merita un bacio in bocca. Davvero!” – esclamò Hermione.
“Ohi ragazzina…” – borbottò Draco, riemergendo da quello stato di stupore. – “… abbassa le ali.”
Hermione rise della sua gelosia e lo abbracciò.

Avevano lasciato la porta dell’ufficio aperta dalla quale provenivano le voci dei dipendenti.
Sorrisero entrambi quando sentirono che la Malfoy Home aveva ripreso a vivere con i suoi rumori, le sue chiamate, le prime lamentele, i suoi abitanti che andavano da una parte all’altra per ritirare le fatture…

Era una musica alla quale Draco non aveva mai prestato la dovuta attenzione.
Aveva sempre dato per scontato che l’avrebbe sempre sentita fino al giorno in cui suo figlio avrebbe preso in mano la gestione al suo posto, continuando così la tradizione di famiglia invece… una folata d’aria e tutte le sue certezze erano state spazzate via come una foglia morta caduta a terra.
Era stato sbalzato via, Draco; aveva viaggiato, aveva capito, aveva compreso i suoi errori. Hermione lo aveva accolto e curato con il suo amore, strambo all’inizio, perché di una cosa Draco era convinto: se Hermione non avesse provato qualcosa per lui, anche di molto piccolo, non lo avrebbe mai tirato via da quel rudere.

Era morto Draco, ma Hermione con le sue cure l’aveva riportato alla vita.

Da quel primo giorno di rinascita, avrebbe smesso di dare per scontato ogni cosa. Avrebbe seguito meglio la sua azienda, ne sarebbe stato parte integrante e attiva, e avrebbe fatto di Hermione la sua guida, poiché solo di lei si fidava. Avrebbero selezionato e scelto insieme le persone di cui avvalersi nelle transizioni più importanti e avrebbe trattato i suoi dipendenti non come numeri, non come un insieme di sterline che se ne andavano dal suo conto ma come persone che per la seconda volta si erano affidate a lui, che avevano scelto lui nonostante non potessero avere uno stipendio normale.

“Andiamo a vedere come va?” – chiese Hermione.
A Draco, mentre ripensava a quanto e come la sua vita fosse cambiata nel giro di un solo anno, erano venuti gli occhi lucidi. Lui stesso si era reso conto di aver fatto enormi passi da gigante e di aver percorso una strada che in pochi avrebbero scelto di fare perché irta di difficoltà ma anche piena di soddisfazioni personali.
Si stropicciò gli occhi e sorrise.
“Sì, andiamo.”
Uscirono dal suo ufficio e si sorrisero quando sentirono le voci dei dipendenti più concitate, più partecipi.

“No, no, no…” – sentì dire Hermione da Ginny che, mentre negava, scuoteva pure il capo. – “… oh me ne frego di quello che pensi. Mi servivano ancora per due anni fa e… ma chissene frega se devi scendere in archivio!…”
La lasciarono borbottare contro la persona al di là del telefono.
“… e la avviso: se non riceverò quel fax entro un’ora mi attaccherò al telefono come una cozza, mi sono spiegato?”
“… certo, ma credo si possa evitare tutto questo giro se lei mi da il numero. No, no…”

Li vedevano molto più partecipi, forse spronati dal fatto che prima riportavano la Malfoy Home agli antichi fasti e prima avrebbero riavuto il loro stipendio pieno, ma nei loro sguardi e nelle loro voci c’era ben più della speranza del ritorno dello stipendio: c’era proprio la soddisfazione di essere tornati a lavorare per un direttore, sì, intransigente, ma anche giusto.
Fecero lo stesso giro anche nei piani inferiori, trovando la stessa situazione.
Niente poteva andare storto, anzi…









… la degna conclusione di quell’avventura si ebbe mercoledì 10 Gennaio, quando Draco e Hermione dovettero incontrarsi con l’avvocato di Nott & Co. per accordasi per evitare il processo.
Alla fine, sia Pansy sia Theo e tutti gli altri, avevano dovuto cedere e seguire i consigli del proprio avvocato che suggerì il patteggiamento.
Continuare sarebbe stato un suicidio e non era garantito che la prigione venisse evitata.

Hermione, Draco e Blaise da una parte del tavolo guardavano, i primi due con odio, il secondo con malcelata soddisfazione, Pansy, Theo e gli altri.
Adesso li conosceva anche di vista.

“Cosa proponi Blaise?” – chiese l’avvocato della difesa.
“Niente che i tuoi clienti non possano dare, Arthur.” – Blaise ghignò. – “Cinquecentomila sterline di risarcimento per danni morali e materiali.”
Draco e Hermione lo guardarono straniti. E quella era la sorpresa?
“Sì, credo si possa fare. Organizzerò tutto…”
Gli accusati tirarono un sospiro di sollievo. Se l’erano cavata con poco…
“Oh, forse non hai capito Arthur.” – disse Blaise, svaccandosi sulla sedia, pronto per sganciare la mina atomica. – “Cinquecentomila a testa.”
Stavolta Draco e Hermione si guardarono in faccia sbalorditi.
Non appena si resero conto di che cifra sarebbe venuta fuori, tutti i presenti sbiancarono.
“Non… non dirai sul serio, vero?”
“Io sono sempre serio, Arthur. Cinquecentomila ed evitano la galera. Se accetti, bene, altrimenti in tribunale la cifra raddoppierà per ognuno di loro e si beccheranno pure la galera. Prendere o lasciare.”
“Non farò mai un accordo simile!” – sbottò Theo. – “Non ho cinquecentomila sterline!”
“Nemmeno io!” – strillò Pansy.
“Come ho detto prima, ho chiesto solo una cosa che sapevo voi foste in grado di dare. Ho fatto le mie verifiche e sono venuto a conoscenza di alcuni conti alle Caymann del signor Nott…”
Pansy si girò di scatto, allibita. Allora lui li aveva i soldi! E aveva pure avuto il coraggio di andare a chiederli a lei!
“… lei, signorina Parkinson…”
Pansy si girò, spaventata.
“… può vendere le sue proprietà e racimolare così il denaro necessario.”
Pansy era sbiancata oltre ogni dire.
“Rimarrò senza niente!” – urlò, terrorizzata.
“Cazzi tuoi!” – fu l’istintiva risposta di Hermione
Pansy non rispose.
“Le Caymann hanno un codice di riservatezza che non si può violare!” – sbottò Theo.
“Chissà perché, ma quando sentono parlare di “concorso in frode” tutti cantano come uccellini…” – ironizzò Blaise.
Theo si zittì.

Ci fu un brevissimo consulto dove l’avvocato della controparte consigliò fortemente di accettare la proposta. Se i suoi clienti avessero dovuto affrontare il processo fino alla fine, nessuno poteva garantire che si salvassero dal carcere.
Arthur si alzò in piedi.

“Accettiamo.”
“Come supponevo.” – disse Blaise, apparendo sgradito per chi aveva naturalmente perso la causa. – “Oggi stesso avrai i documenti sulla tua scrivania. Voglio le firme di tutti. E che siano leggibili.”
Arthur iniziò a mettere via le proprie cose.
“Vedo che non hai perso tempo.” – disse Arthur, inviperito.
“Perché avrei dovuto? Se i tuoi clienti sono stati così idioti da lasciare prove ovunque non è colpa mia. Se vuoi prendertela con qualcuno, fallo con loro.”
A quell’obiezione non poterono negare. Sia Pansy sia Nott non avevano mai pensato di disfarsi dei loro computer o dei fax, perché erano talmente sicuri di farla franca che avevano commesso l’errore più banale che esistesse al mondo: lasciare prove.
“Avete tempo un mese per sbloccare i conti e fare il versamento su questo conto.” – disse Blaise, estraendo dal taschino interno della giacca un foglietto di carta. – “Oltrepassato questo lasso di tempo, la cifra si alzerà degli interessi. Adesso, abbiamo finito.” – disse Blaise, duro.

Una volta fuori, Draco non sapeva più come fare per ringraziare Blaise.
Le persone coinvolte erano in tutto una ventina. La somma che ne sarebbe uscita avrebbe sistemato tutti i suoi casini e gliene sarebbero rimasti a sufficienza per ripagare il padre delle spese e mettere altrettanti soldi da parte.
“Ho fatto solo il mio dovere. Ora devo spedire quei fax, scusate.”
Hermione non stava più nella pelle.
“Ah, avvocato Zabini?” – lo chiamò Draco all’ultimo.
“Sì?”
“Passi nel mio ufficio quando vuole. Vorrei parlare con lei!”
Blaise sorrise. I perfetti denti bianchi spiccarono sulla sua pelle cioccolato.
“Che giornata ragazzi…” – esclamò Hermione.
“E non è ancora finita!” – esclamò Draco, caricandosela in spalla sotto lo sguardo divertito dei passanti.
“Draco! Draco mettimi giù! Che vuoi fare?”




L’amore.
Ecco quello che fecero per i due giorni successivi.
Erano talmente felici per ciò che erano riusciti a conquistare che avevano sentito il bisogno di dimostrarselo, amandosi.
Forse era stato il fatto che tutto si era concluso oltre le loro aspettative ma mentre lo sentiva muoversi dentro di sé, Hermione smise di pensare, fregandosi del perché o del per come tutto quello era successo.
Era accaduto e basta.









Ciò che non accadde per sbaglio, fu la decisione di Draco.

Fin dai primi giorni, quando aveva chiesto a Hermione di inviare a tutti i clienti e i fornitori una circolare che comunicava che la Malfoy Home era tornata nelle mani di Draco e che sarebbe tornata agli antichi fasti, si era notato un movimento nelle azioni e negli acquisti.
La produzione e le consegne andavano ancora a singhiozzo, ma il fatto che molti clienti fossero tornati da loro per comprare era un buon segno per la ripresa dell’azienda. Se andavano avanti di quel passo, non sarebbe servito un anno per rimettersi in piedi, ma molto meno.

Vivevano ancora a casa di Hermione.
Draco ci si era così affezionato che non se la sentì di lasciare quel posto che per lui aveva rappresentato la sua prima vera casa. Così decisero di portare qualche modifica all’appartamento per renderlo più agevole per la vita di coppia.


Aveva organizzato per quel sabato sera un incontro tra la sua famiglia e quella di Hermione, dove si annunciava il fidanzamento ufficiale e dove Draco ebbe modo di mettere in atto quella decisione presa con Hermione.

“Sei pronto?” – chiese Hermione, entrando in camera.
Trovò Draco seduto sul letto con una busta in mano e sorrise. Ancora non riusciva a credere a quello che Draco aveva deciso di fare.
Andò a sedersi accanto a lui e appoggiò il capo sulla sua spalla.
“Come ti senti?”
“Nervoso.” – ammise.
“Lo apprezzerà tantissimo.” – lo rassicurò.
“Ho paura che qualcosa possa andare storto.” – confessò.
“Sono le stesse paure di quando sei tornato a dirigere la Malfoy Home. Ed erano tutte infondate.” – gli ricordò.
“Lo so, ma qui non si tratta di un edificio. Si tratta di una persona.”
“Andrà tutto bene, sta tranquillo.”
Draco si girò e la guardò negli occhi.
“Mi dici cosa ho fatto per meritarti?”
La riccia gli sorrise e gli baciò la punta del naso.
“L’elenco sarebbe troppo lungo.” – disse, guadagnandosi un’occhiata di sbieco. – “Coraggio, è ora.”
Draco si alzò e prima di uscire la baciò.









“E così vi occupate di trasporti…” – disse Lucius, interessato. – “… di che genere?”
“Oh, di tutto e un po’.” – chiarì Scott, con in mano un bicchiere di liquore. – “Alimentari, traslochi… non ci facciamo mancare nulla.”
Scott e Lucius avevano trovato subito una buona intesa, così come Narcissa con i bambini di Astoria e Marika ai quali mancava poco per compiere il loro primo anno di età.
“Sono adorabili!” – esclamò Narcissa, che non sapeva più a chi dare retta.
Astoria e Marika sorrisero. I bambini avevano da poco imparato a camminare con le proprie gambe e dovevano correre loro dietro per impedire che si facessero del male.
“Grazie.” – risposero le due mamme.
Nonna Minerva, invece, rimase da parte per permettere alla signora Narcissa di fare conoscenza con quelle due pesti.
“Scommetto che le danno parecchio da fare, Minerva.” – disse Narcissa.
“Mi tengono in allenamento.” – scherzò la donna.

Draco e Hermione, da una parte, guardarono le rispettive famiglie socializzare amichevolmente quando l’occhio cadde su Neville e Daphne, leggermente più in disparte. Di tanto in tanto si scambiavano qualche parola e poi Neville le massaggiava la schiena, per cercare di darle un po’ di conforto.

“Narcissa mi scusi…” – la interruppe Daphne.
“Sì? Dimmi.”
“Dove si trova la toilette?”
“Vai lungo…”
“Ce l’accompagno io mamma.” – disse Draco, cogliendo al volo l’occasione.
“Grazie.”
“Dai, vieni.”

Daphne andò dietro a Draco con gli occhi fastidiosamente lucidi e un magone in gola che le faceva male.
“Grazie.” – riuscì a dire la bionda. – “Ora posso andare da sola.” – scherzò.
Draco comunque l’aspettò di fuori e venne raggiunto da Hermione.
“Glielo hai detto?”
“No. Aveva bisogno di calmarsi.”
“Capisco…”

In bagno, Daphne andò al lavandino e vi si appoggiò.
Chinò lo sguardo e prese più respiri per calmarsi. Amava Astoria e Damian ma certe volte temeva di non farcela, di scoppiare a piangere davanti a loro e incrinare la loro felicità con i suoi problemi.
Se solo si fosse fatta vedere, se solo non avesse lasciato correre, se solo… alzò il volto e si specchiò.
Naturalmente, piangeva di amara consapevolezza.
Ormai era inutile piangere. Doveva ringraziare Dio per essere sopravvissuta anche se… anche se qualcosa dentro di lei ruggiva, che urlava che non era giusto, che voleva un bambino tutto suo, che crescesse dentro di lei, che le facesse venire le nausee, che la svegliasse di notte con i suoi pianti… voleva tutto questo, ma sapeva che non era possibile.
Si sciacquò il volto e dalla borsetta prese un po’ di fondotinta per coprire il naso rosso e gli occhi. Quando ebbe finito, trovò eccellente il lavoro e uscì.

Urlò spaventata, quando davanti alla porta si trovò Draco e Hermione.
“Mi avete spaventata!” – sbottò. – “Guardate che la strada me la ricordo, non preoccupatevi.” – scherzò, ma notando i loro sguardi semi seri, si preoccupò lei. – “Ragazzi, che succede?”
“Dai…” – lo esortò Hermione.
Draco si fece avanti.
“Prima di tornare di là, volevo parlare con te di una cosa.” – disse Draco.
La bionda lo guardò, confusa.
“Di cosa?”
“Di te Daphne.”
La donna si indicò, sorpresa e guardando la sorella, sperando in un aiuto.
Che non arrivò.
“E perché?”
“Hermione mi ha detto tutto.”
Daphne scosse il capo, confusa.
“Di cosa?”
“Del tuo male, di ciò che ti ha fatto.”
Daphne divenne seria d’un tratto e guardò con biasimo la sorella.
“Ah…” – disse, ferita. – “… dei tuoi problemi non riuscivi a parlare, ma di quelli degli altri sì, vero?” – chiese, sulla difensiva.
“Colpa mia.” – disse, assumendosi così la responsabilità. – “Volevo sapere perché nonostante vi amavate così tanto, tu e Neville non aveste figli. Quando me lo ha detto, mi è dispiaciuto molto per voi perché se c’è qualcuno che merita un bambino, quella sei tu Daphne.”
Nonostante le belle parole, Daphne non riuscì a sentirsi allietata. Hermione l’aveva ferita troppo profondamente ma la cosa che più la turbava, era il fatto che sua sorella non sembrava pentita di quel suo gesto, anzi… sorrideva beata.
“Grazie.” – rispose fredda. – “Ma come ha detto Hermione, manco della parte fondamentale per farlo.”
Era nervosa. Non le piaceva affrontare quel discorso. Ne aveva preso coscienza, ma questo non significava che lo si potesse trattare come un argomento da osteria.
“Allora vattela a prendere.” – disse Draco, mettendole in mano una busta bianca.
La stessa busta che aveva in mano prima a casa di Hermione.
Daphne la prese e guardò Draco che la incitava con lo sguardo – occhieggiando da lei alla busta – di aprirla.
Per nulla vogliosa di sapere cosa vi fosse all’interno – il comportamento di Hermione l’aveva ferita troppo – l’aprì e tutta la sua rabbia venne rilegata in secondo piano quando notò che all’interno vi era un assegno. Quando lesse la cifra, si mise una mano sulla bocca.
Mai visti tanti soldi in vita sua!
“Ma cosa…” – guardava alternativamente Draco e la busta non capendo.
“Per te Daphne.” – chiarì Draco, commosso di poter fare qualcosa di bello e importante per qualcuno. – “Ho preso i contatti necessari con uno specialista americano. Se non te la senti di fare il viaggio è disposto a venire qua a Londra. Tuo padre mi ha faxato tutte le tue cartelle cliniche, dall’infanzia fino a oggi e hanno trovato un utero compatibile per te.”

Le orecchie avevano preso a fischiare e la voce di Draco arrivava ovattata a causa della pressione del sangue.
Era troppo e non ci voleva credere.
Anni spesi a dover convivere con l’idea di essere una donna a metà e ora le dicevano che poteva avere un bambino! Se quello era uno scherzo, allora era davvero crudele!
Guardò Hermione, il cui sorriso si era ampliato a dismisura. Lei… lei sapeva!
Cadde in ginocchio, sorretta da un Draco commosso.
“Il dottor Evans dice che hai ottime possibilità di evitare il rigetto.”
Non riuscì a trattenere il singhiozzo. Troppe notizie… non capiva! Rigetto? Possibilità? Che stava dicendo?
“Certo all’inizio ci sarà naturalmente da aspettare, nel tuo caso le visite saranno all’ordine del giorno ma alla fine avrai il tuo bambino, Daphne. O due, o tre… o tutti quelli che vorrai!”
E non resse.
Pianse talmente forte, da attirare i parenti.
Quando la vide accasciata a terra, Neville corse da lei.
“Stai bene?”
Daphne riuscì solo ad annuire, con il volto allagato dalle lacrime e la gola chiusa. Era già tanto se riusciva a respirare tra un singhiozzo e l’altro… figurarsi a parlare!
“Che ti prende? Daphne mi fai preoccupare!” – squittì Neville, preoccupato a morte.
La bionda inspirò ed espirò profondamente per calmarsi.
“Draco… bam-no… ‘merica…”
Neville scosse la testa. Non aveva capito niente se non il nome di Draco.
Guardò il biondo che fece un breve riassunto.
“Ho parlato con uno specialista americano.”
Neville lo guardò come per chiedergli “e allora?”
“Con l’aiuto di tuo padre, gli ho mandato le cartelle cliniche di tua moglie per un trapianto di utero.”
Non vi fu bisogno di altre spiegazioni. Neville sbarrò gli occhi, incredulo.
“Dice che ci sono ottime probabilità che l’intervento riesca, così anche voi potrete avere un bambino.”
Neville cadde con il sedere a terra con Daphne che era riuscita a riprendersi e ora rideva della faccia del marito che, alla fine, era la stessa che aveva fatto lei.
“Noi…”
Un ringhio animalesco si fermò in gola. Abbracciò la moglie con tutta la forza che aveva in corpo.

Draco cercò Hermione con lo sguardo.
Le sue lacrime di gratitudine erano il giusto premio per la sua idea.


Quell’incontro fu abbastanza particolare: doveva essere un incontro tra futuri consuoceri e si era trasformato in un lago di lacrime.
Di gioia.









La porta dell’ufficio di Draco rimaneva, nel novanta per cento delle volte, sempre aperta, a meno che non vi fossero indette delle riunioni.

Quel giorno era chiusa.

“Nervosa?”
Hermione fissava il parcheggio sottostante, osservando i camion che arrivavano e partivano dal magazzino. Sorrise quando vide Roger – si trovava in alto, ma l’uomo era più che visibile per via della sua mole – salutare il trasportatore e rientrare in magazzino.
Alla fine, Hermione era riuscita a spuntarla su Draco anche per l’organizzazione del magazzino.

“Ma che problemi ti fai? Lo hai visto anche nella mia azienda che fare i DDT prima è un risparmio di tempo! Poi magari ti capita che sei di fretta e combini casini!”
“Ma l’orario…”
“L’orario ce lo scrivono dopo a penna. Dai Draco!… ti stai incasinando la vita per niente!”
“Io… d’accordo. Ma se non funziona, si torna al vecchio metodo.”
“Tanto lo sai che ho ragione io.” – lo canzonò lei, beccandosi il solletico in risposta.

E poi aveva voluto che i magazzinieri usassero la stessa sala mensa dei dipendenti.
Aveva trovato quel distacco una forma di razzismo bella e buona e viste le argomentazioni portate in favore, Draco si fece convinto a usare un’unica mensa mentre quella che era rimasta in disuso, avrebbe potuto usarla come ulteriore archivio o come sala riunioni.
Ci avrebbe pensato.

“Onestamente non lo so…” – rispose Hermione con lo sguardo sempre fisso sul parcheggio. – “A dire il vero mi ero quasi dimenticata.”
“Ti avevo promesso che avremmo risolto anche questa, no?”
Hermione si girò e gli sorrise.
Sì, gliel’aveva promesso e aveva mantenuto la sua parola. Era davvero cambiato il suo Draco.

Bussarono alla porta e il sorriso di Hermione si smorzò subito.
“Avanti.” – disse Draco, accomodandosi meglio sulla poltrona.

Dall’ingresso, entrò David Linch.

“Buon giorno.” – salutò, a disagio.
“Buon giorno David, prego, accomodati.”
David avanzò di un passo, non riuscendo a guardare Hermione negli occhi per il torto che le aveva fatto.
“Grazie.” – si schiarì la voce.
“Sai perché sei qui.” – disse Draco.
“Sì…”
“Cosa ti aspetti?”
David lo guardò spaesato. Cosa si aspettava? A dire il vero aveva ottenuto più di quanto avesse mai osato sperare! Il signor Malfoy non lo aveva denunciato perché nonostante il danno che aveva causato, aveva anche fatto di tutto per rimediare e questo, per Draco, era una cosa molto importante.
Bisognava vedere se anche Hermione era dello stesso avviso…
“Beh, onestamente niente… già il fatto che non sia finito in prigione per me è tanto, quindi…” – lasciò la frase cadere nel vuoto.
“Capisco. Rimane il fatto, però, che sei stato parte integrante del fallimento della mia azienda.”
David chinò lo sguardo.

Hermione era appoggiata alla parete dietro la scrivania di Draco.
Il suo buon cuore le suggeriva di perdonarlo, che l’atteggiamento di David denotava il massimo del pentimento per come si era comportato, ma il suo cervello faceva letteralmente a pugni con il suo buonismo. E che cazzo!, l’aveva fatta licenziare e per colpa sua non aveva festeggiato il Natale con i suoi parenti!
Cosa doveva fare?

“Lo capisco.”
“Ma non posso neanche non tener conto dei rischi che hai corso per cercare di rimediare ai tuoi errori.”
David lo guardò di scatto, con gli occhi sbarrati.
“Cosa…”
“Motivo per il quale, io e Hermione abbiamo deciso di darti un’ultima possibilità.”
David divenne rosso e gli occhi si fecero lucidi.
“Io…”
“Il primo passo falso e sei fuori. Mi sono spiegato?”
David guardò anche Hermione, ferma nella sua posizione. Non sorrideva, né era arrabbiata. Sembrava che quella questione non la toccasse minimamente.
“Sì, sì certo!” – esclamò. – “Grazie mille! Giuro che non ve ne pentirete!”
“Lo spero per te.” – fu l’unica cosa che disse Hermione.


David uscì qualche minuto più tardi e li lasciò nuovamente soli.
Draco si girò con la sedia e guardò Hermione.

“Non sei ancora convinta che riprenderlo sia stata la mossa migliore.”
Hermione fece le spallucce.
“Ho sempre pensato a una cosa: se lo ha fatto una volta, cosa gli impedirà di farlo una seconda?”
“Credo abbia imparato la lezione. David non è un arrivista e mi era sembrato davvero felice di avere una seconda occasione.”
“E’ che…”
“Cosa?”
“Da una parte anch’io lo volevo perdonare, ma dall’altra non riesco a fare a meno di pensare che quando me lo troverò davanti, me lo vedrò intento a smanettare al mio computer.”
“Secondo me la guardi dal lato sbagliato.”
Hermione lo guardò storto.
“Draco, non so se lo hai dimenticato, ma io no: mi hai trattata come una merda secca perché pensavi che ero stata io a svenderti la compagnia.”
“Allora prova a guardarla da questo lato: se David non avesse messo su tutto questo casino, tu non mi saresti mai venuta a prendere in quel rudere e ora non staremmo insieme.”
Hermione sbarrò gli occhi. A quello non aveva proprio pensato!
“Non è meglio vederla in questo modo?”
Hermione lo guardò e un piccolo sorrisetto le stirò le labbra. Draco sorrise a sua volta. Le tese la mano e la fece sedere sulle sue gambe.
“Magari vederla in questo modo ti aiuterà, se non a perdonarlo, almeno a non roderti l’anima per ciò che ha fatto.”
Hermione gli si addossò completamente.
“Non mi piace che tu stia diventando più intelligente di me.” – disse.
Draco rise.
“Tranquilla. Non c’è pericolo.”
Hermione rise e poi lo baciò.









Guardandosi indietro, Hermione pensò che la sua vita, finalmente, avesse potuto definirsi tale soltanto con Draco accanto e la piccola Elthanin Jean tra le braccia.

Un’altra cosa, forse l’ultima, che accadde per errore, fu la gravidanza di Hermione.
Hermione stessa pensò che la sua gravidanza fosse la massima espressione dei cliché televisivi dove la semplice impiegata arriva a fidanzarsi con il direttore e alla fine della baraonda, gli da un figlio.

Ma quello non era un clichè qualsiasi.

La piccola Elthanin Jean prese residenza nell’utero materno in sordina.
Nessuna nausea per la madre, nessuno sbalzo d’umore, nessuna voglia particolare… Hermione si accorse di essere incinta solo perché non aveva le mestruazioni.
Non vi aveva badato più di tanto, perché il lavoro alla Malfoy Home era ancora tanto, nonostante la causa vinta da Blaise avesse aiutato a saldare i debiti accumulati e ridato il giusto stipendio ai lavoratori presenti. Dovevano coccolare i clienti, farli sentire dei re per aiutarli nella decisione che la Malfoy Home era l’azienda di arredamenti che faceva al caso loro e mille altre cose ancora.
E, quando una sera si sdraiò sul letto pronta per addormentarsi, l’attimo successivo scattò a sedere, spaventando Draco. Prese il calendario e controllò la data dell’ultima mestruazione.
Ben due mesi di ritardo e lei non si era accorta di niente!

Inutile dire che i controlli piovvero a raffica fin dal giorno successivo.
Non avevano mai pensato di avere un figlio, per il semplice motivo che quello era il periodo meno adatto: Hermione si era rivelata essere un aiuto fondamentale per Draco perché sembrava leggergli nel pensiero, anticipandolo in quei lavori che per il bel biondo erano solo un peso. Alla Malfoy Home il lavoro non mancava mai e Hermione era riuscita ad ottenere il tanto ambito lavoro, ma la gravidanza aveva scombussolato di nuovo i suoi piani.




E quando dopo nove mesi lei e Draco si ritrovarono in camera, da soli, con la bambina tra le braccia, la prima cosa che pensò Hermione fu…

“Sai amore…”
“Dimmi.” – disse Draco, mentre sistemava la tutita alla piccola e si dondolava per tenerla calma.
“… credo di aver capito, finalmente.”
“Cosa?”
“Anch’io darei la mia vita per lei.”
“Lo stavo pensando anch’io.”

Perchè quello non era un clichè qualsiasi.

Perché, alla fine, entrambi avevano compreso.









Calli-corner:

Ed è davvero finita.
Mettiamo un punto a questa storia.

Laney e John hanno avuto il loro lieto fine e anche se è una cosa che in un’azienda seria non accadrebbe mai, ho voluto mettere su questa piccola sceneggiata, anche perché non riuscivo a immaginare un altro modo per sedare tutte quelle chiacchiere inutili che, quando iniziano ad esagerare, infastidiscono oltre il normale consentito e ti fanno davvero commettere errori sul lavoro, così Laney e John si sono accordati per rendere la vita un inferno agli altri dipendenti, che hanno capito che essere la segretaria del grande capo non significa solo portargli il caffè.

Daphne e Neville, come promesso, hanno avuto il loro lieto fine.
Premetto che non ho la più pallida idea se esiste il trapianto di utero, ma siccome ormai la medicina è arrivata a clonare pure le pecore, ho supposto che tale trapianto fosse da infilare nella lista delle cose “di routine”.
Draco ha voluto dare una mano a Daphne, per sdebitarsi in qualche modo per l’aiuto che aveva ricevuto lui stesso dalla famiglia di Hermione e siccome Astoria e Damian non avevano bisogno di niente, il biondo si è concentrato sulla sorella maggiore di Hermione, donandole ciò che più desiderava: un utero per ospitare il suo bambino.
Molto coccoloso. *-*

David Linch.
Ammetto che fa molto “e vissero tutti per sempre felici e contenti” ma anch’io tendo a dare una seconda occasione a chi si dimostra sinceramente pentito dell’errore commesso.
David non solo si è pentito, ma si è messo anche di lena per rimediare, per cercare di lenire i sensi di colpa e Draco è stato molto coraggioso a riprenderlo, anche perché è in parte merito suo se lui e Hermione ora stanno insieme.

Il cliché dei cliché: la gravidanza.
Onestamente, non volevo che Hermione rimanesse incinta, per evitare di scadere nel banale, ma la sua gravidanza mi è servita per riallacciarmi al gesto di Jean, di una madre che ha dato la vita per la figlia.
E ora Hermione e Draco riescono a comprendere perfettamente il gesto della donna e per la riccia è un modo per mettere la pietra sopra a tutti i suoi sensi di colpa, nel sentirsi la responsabile della scomparsa della madre.


Che dire?
Credo che mi prenderò un paio di settimane ancora prima di postare la mia nuova storia, anche perché voglio darle un’ultima letta – non si sa mai – per ricontrollare che non ci siano errori, orrori o minchiate varie.
Soprattutto minchiate.

Posso solo dirvi di prepararvi, perché sarà incentrata su Draco e Hermione – ma va? – ma anche su Ginny e Harry. A ruota appariranno anche gli altri personaggi, con le proprie storie, gioie e dolori.
Dubito fortemente che riuscirò a scrivere qualcosa di simile in futuro, perché se con “Verità Nascoste” mi sono levata le mutande per tirar fuori tutto quel garbuglio di emozioni contrastanti, con questa nuova storia mi sono levata la pelle dalle ossa.
Ci saranno parecchi colpi di scena, momenti dolci, ma anche momenti in cui si vorranno afferrare i forconi e piantarli nella schiena di qualcuno.

Non vi dico altro. ^_^
Posso solo dirvi che la mia prossima storia si chiamerà “Every Little Thing”.


Un bacio e a tra non molto!
Serena.

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