I sigilli del fuoco di rekichan (/viewuser.php?uid=7144)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kyuubi Uchiha ***
Capitolo 2: *** I gemelli Inuzuka ***
Capitolo 3: *** Koori ***
Capitolo 4: *** Visite inattese ***
Capitolo 5: *** Minaccia ***
Capitolo 6: *** tu sei un demone ***
Capitolo 1 *** Kyuubi Uchiha ***
Salve a tutti
Salve a tutti.
Come promesso, vi porto i
primi capitoli de: “I sigilli del fuoco”, il seguito di “Double Face”.
Ringrazio in primis tutte le
ragazze che hanno seguito la prima parte della trilogia, con la speranza che
anche questa soddisfi le loro aspettative.
Vi avviso subito, però, che
questa parte, ahimè e ahivoi!, non è conclusa.
Quindi, arrivata al capitolo
9 circa, vedrete gli aggiornamenti rallentare drasticamente.
Altra notiziola piccola,
piccola ma che, forse, potrebbe interessare qualche cosplayer vagante.
Stiamo tentando, da un anno
circa, di metter su il cosplay della trilogia.
A questo proposito, cerco
qualche folle volontaria, disposta a partecipare.
Alla fine della pubblicazione
dei capitoli, metterò la lista dei personaggi da portare.
In specie, si ricercano i
personaggi maschili ç__ç. Se qualcuna di voi conosce due ragazzi che
assomigliano almeno vagamente a Raijuu (sì, quello apparso in Double
face =ç=) o a Ota (che conoscerete tra poco XD), me lo faccia sapere ç__ç!
Ora vi lascio alla
fanfiction.
Ps: stiamo tentando di
organizzare anche il cosplay delle bestie con le code da portare al romics
2008. Se siete interessate, fatevi vive. Il mio indirizzo è nel profilo autore.
Un ciuffo di capelli castani
svettava sulla nuca del ninja, che si avvicinava furtivo al bersaglio.
La vena pulsava sulla tempia
sinistra; segno d’evidente irritazione.
Raramente si arrabbiava, ma in
quel momento Nara Shikamaru, trentasei anni, grado jonin e maestro
all’accademia ninja di Konoha, era infuriato.
Prese fiato, prima di richiamare
all’ordine la fonte della sua disperazione da quanto? Cinque anni?
«UCHIHA!»
La dodicenne aprì gli occhi di
colpo, sgranando spaventata le iridi rosso sangue.
Un bordo azzurro lo evidenziava,
rimarcando maggiormente la pupilla felina di un altrettanto intenso cielo.
La chioma, un tempo interamente
bionda, aveva cominciato a sfumare su un tenue arancione, fino a diventare
carminio.
Una fiamma che sfumava dal
dorato della nuca fino al sangue delle punte, in un circolo di colori caldi che
contrastavano col candore etereo della pelle.
Nessuno, guardandola, avrebbe
potuto sospettare che quell’infuocata ragazzina potesse essere l’ultimo membro
del prestigioso clan Uchiha, di cui gli appartenenti erano caratterizzati tutti
da colori notturni.
Ma Kyuubi Uchiha non era mai
stata una bambina normale, a cominciare dal fatto di essere figlia di Sasuke
Uchiha e Naruto Uzumaki.
Fin qui tutto normale,
considerando che il Rokudaime e il suo compagno erano il maggior concentrato di
stranezze mai visto a Konoha e dintorni, ma c’era un piccolo, irrilevante
particolare a cui ho dimenticato di accennarvi.
Kyuubi Uchiha era un demone.
Un demone mortale, inconsapevole
di esserlo, ma un demone.
Nonostante tutto, neanche questa
sua natura poco umana l’avrebbe salvata dall’ira del padre, appena convocato da
Nara-sensei.
Calò il silenzio nella classe,
quando Uchiha Sasuke, Anbu di 1° livello e comandante di una squadra speciale,
fece la sua improvvisa comparsa, in una raffica di vento.
Con i suoi trentasei anni d’età,
l’ormai non più ultimo membro del casato Uchiha non poteva più dirsi un
ragazzo, ma di certo era rimasto un bell’uomo.
I capelli corvini erano stretti
in una piccola coda, con alcune ciocche ribelli che, sfuggendovi, andavano a
sottolineare i bei lineamenti marcati del volto. I severi occhi a mandorla,
dello stesso taglio della figlia, scrutavano con pacata attenzione l’aula; le
emozioni nascoste all’interno di quei pozzi neri.
A deturpare la bellezza di quel
visto dietro cui aveva sospirato, e sospirava tutt’ora, più di una ragazza, una
cicatrice che si notava appena sulla pelle candida e che pareva espandersi a
tutto il corpo.
«Konnichiwa, Shikamaru.» salutò,
con voce bassa e pacata.
«Konnichiwa, Sasuke. Non c’era
bisogno che venissi subito.» si scusò il manipolatore di ombre, notando che
l’Uchiha teneva ancora in mano la maschera felina con cui si copriva il volto
durante le missioni.
«Nessun problema. Stavo andando
a consegnare il rapporto giornaliero al Rokudaime. Non credo se la prenderà se
non lo faccio di persona.»
Fischiò.
Un ragazzo dai capelli neri e
grandi occhi verdi apparve nella stanza.
Il fisico sottile era fasciato
dalla divisa Anbu e il tono reverenziale con cui si rivolgeva a Sasuke,
lasciava intuire che fosse uno dei suoi sottoposti.
«Ota, consegna il rapporto al
Rokudaime.» ordinò, lanciandogli un rotolo.
Il ragazzo lo afferrò al volo,
arrossendo vistosamente, prima di sparire.
Gli occhi neri tornarono a
posarsi su Shikamaru, ormai era consapevole che l’Uchiha non se ne sarebbe
andato senza sapere cosa aveva combinato la sua figlioletta.
«Sasuke, andiamo a parlare
fuori.» propose.
Sebbene insegnante severo, il
Nara conosceva il carattere orgoglioso della sua alunna e risparmiarle una
strigliata pubblica era il meno che potesse concederle.
Ma Sasuke fu irremovibile.
«Spiacente, ma se Kyuubi ha
sgarrato qualche regola è giusto che me lo dici di fronte a tutti i suoi
compagni.» decretò.
Gli occhi neri scrutarono la
scolaresca, alla ricerca della testolina color fuoco che tentava invano
d’inabissarsi sotto il banco.
Quando la trovò, le fece cenno
di raggiungere lui e il sensei.
Con un sospiro rassegnato, la
dodicenne si alzò.
Fisico minuto e acerbo, con il
piccolo seno appena accennato sotto la maglia bianca che aveva indosso. La
stoffa candida lasciava morbidamente scoperta la spalla destra e ricadeva lungo
il corpo, arrivando appena più su dei corti pantaloncini scarlatti a mezza
coscia.
Le dita sottili scostarono con
noncuranza una ciocca ribelle, mentre i piccoli piedi calpestavano felpati il
suolo.
Percorse lo spazio che la
separava dalla cattedra con passo altero, dal portamento impeccabile, conscia
che, se avesse voluto, avrebbe potuto schiacciare i suoi compagni come
miserabili insetti.
Ma, ciò nonostante, quando si
trovò di fronte al padre, si fece piccola come una bambina.
«Kyuubi…- sospirò Shikamaru -…si
è addormentata di nuovo in classe. È la terza volta questa settimana. Ha,
inoltre, avuto quattro richiami disciplinari per risse con i compagni e…»
Sasuke spostò lo sguardo freddo
e impassibile dalla figlia al Nara.
«…e come mai io e Naruto non
siamo stati avvisati?»
Inflessibile.
Una perfetta maschera
d’indifferenza e controllo, ma Kyuubi poteva avvertire la delusione che
aleggiava in lui.
«Ho mandato le note direttamente
al Rokudaime.»
Silenzio.
Poi, nella calma glaciale
dell’aula, l’impercettibile rumore dei nervi di Sasuke che si spezzavano prima
che il ninja, con un gesto di saluto verso Shikamaru, sparisse.
Naruto Uzumaki era
tranquillamente seduto alla propria scrivania.
Diventato Hokage una volta
ventitreenne, tredici anni dopo il ragazzino svogliato non c’era più.
Al suo posto, si trovava un uomo
fatto, dai bei capelli d’oro scompigliati.
Gli occhi azzurri sempre molto
grandi e limpidi, come due specchi in cui si potevano leggere tutte le sue
emozioni.
Il viso paffuto si era snellito
e i lineamenti si erano fatti più marcati, sebbene risultassero sempre
abbastanza morbidi, affatto segnati dagli anni trascorsi.
La pelle abbronzata presentava
qualche cicatrice in più, ma la lunga tunica da Hokage rivestiva tutt’ora un
corpo tonico e scattante, dalle forme sode che erano in grado di far impazzire
il compagno.
Ma in quel momento, a nulla
sarebbe valso lo sfoggio totale del suo sex appeal per salvarlo dalla furia del
suddetto.
«Naruto!» con molto poco
riguardo per il ruolo di Rokudaime che l’amante rivestiva e privo della sua
rinomata calma, Sasuke Uchiha piombò nell’ufficio del biondo, con grande
costernazione di un disperato Konohamaru che non era riuscito a bloccarlo e
che, ora, si proferiva in profonde scuse.
Con un sorriso, Naruto lo
congedò, prima di dedicarsi a Sasuke.
«Successo qualcosa, Sasuke-kun?»
chiese, sorridendo sornione e ammirando il corpo ben modellato del compagno che
si fletteva sotto la divisa da Anbu.
«Perché non sapevo nulla delle
note disciplinari di nostra figlia?»
Poco incline a lasciarsi andare
a fantasie sessuali quando si trattava di Kyuubi, Sasuke ignorò deliberatamente
lo sguardo lascivo e provocante del biondo, andando subito al sodo.
Naruto sbuffò, alzandosi e
mettendo alcune pratiche nello schedario.
«Sei troppo severo. È solo una
ragazzina. E poi in accademia si annoia.»
«Ha picchiato dei compagni.»
«E’ solo un po’ vivace!»
«Poteva ucciderli, Naruto!»
Il Rokudaime si voltò verso il
compagno; gli occhi cerulei che sprizzavano rabbia.
«E noi potevamo farle fare
subito l’esame per genin!»
«Aveva sette anni!»
«E adesso ne ha dodici! È la
persona con più chakra nel villaggio. Si sente bloccata, impedita! Le sembra
che non la stimiamo abbastanza!»
L’atmosfera si stava facendo
incandescente.
L’educazione ninja della figlia
era sempre stato terreno di scontro tra i due, ma l’aveva avuta sempre vinta
Sasuke.
L’Uchiha si era battuto
strenuamente per mandare Kyuubi in accademia il più tardi possibile,
rifiutandole il permesso di sostenere l’esame genin prima dei dodici anni,
nonostante le proteste della diretta interessata, di Naruto e degli insegnanti
che non riuscivano più a gestire l’immensa quantità di chakra della bambina.
Forse l’aveva frenata, ma era
importante che trovasse un gruppo di coetanei con cui condividere le proprie
esperienze.
«Gradirei essere messo al
corrente del comportamento scolastico di mia figlia.» sibilò con evidente
irritazione.
Naruto sospirò, accarezzando le
braccia di Sasuke, per poi appoggiare la testa sulla sua spalla, crogiolandosi
nell’abbraccio che non tardò a giungere.
«Dai, Sasuke. Domani diventerà
genin…lasciala respirare un po’.»
La stretta si fece più forte
attorno alla vita del biondino, mentre il volto dell’Anbu affondava nei suoi
capelli.
Dodici anni…quanto tempo era
passato da quando quello scricciolo era venuto al mondo.
Nella sua mente si
riaffacciavano i ricordi della bambina. I suoi primi vagiti; i primi passi…il
primo dentino aguzzo che aveva lasciato Sasuke abbastanza perplesso su quella
che sarebbe potuta diventare l’alimentazione della figlia, facendolo perfino
esclamare preoccupato: «Speriamo sia vegetariana!»…
«Hai già scelto il suo maestro
jonin?» domandò, posando un bacio sulle labbra del compagno.
Naruto annuì, soddisfatto,
mentre indietreggiava fin sopra la scrivania.
Afferrò Sasuke per il collo
della maglia da Anbu, ma prima del bacio che gli fece dimenticare qualsiasi
cosa esistesse fuori da quella stanza, l’Uchiha riuscì a mormorare un flebile:
«Chi è?»
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Capitolo 2 *** I gemelli Inuzuka ***
Salve a tutti
Kyuubi si tirò indietro i
capelli biondo rossicci, le cui punte scarlatte sfioravano appena le spalle.
Con gesti secchi e decisi, li
imprigionò in una coda di cavallo, sistemandosi la canotta aderente di un rosso
brillante, simile alle fiamme che gli ardevano sul capo. A riparare le sue
nudità fin troppo scoperte, il gilet di cotone dello stesso blu scolorito dei
pantaloni alla pinocchietto. Dietro di questo, fiero e orgoglioso, lo stemma
del clan di cui faceva parte.
Si soffermò a studiare gli
ideogrammi scarlatti che le circondavano i polsi fino all’avambraccio,
interrogandosi ancora una volta sul loro arcano significato.
Con un cenno di dubbio
malcelato, afferrò le spesse bende che si avvolgeva attorno alle braccia per
celarli alla vista, prima di serrare cinque dita sottili e candide come la neve
attorno al coprifronte nuovo di zecca.
Un breve sorriso apparve sul
volto soddisfatto, prima che la stoffa blu contornata di placca metallica con
stemma del villaggio fosse legata attorno alla vita sottile, ricadendole
morbidamente sui fianchi.
Così vestita e con il portamento
regale cui era consona accentuato dalla consapevolezza di essere una kunoichi a
tutti gli effetti, raggiunse i genitori in cucina.
«Ohayo, kaa-san!» salutò,
saltando al collo di Naruto e stampandogli un bacio sulla guancia.
Esattamente come il padre, rare
volte Kyuubi si lasciava andare a dimostrazioni di affetto vere e proprie fuori
dal nucleo familiare, ma per i suoi genitori faceva un’eccezione.
E il Rokudaime ricambiò volentieri quel dolce saluto.
Tentennò a lasciarla andare via
dalle proprie braccia.
Raramente gli capitava di vedere
sua figlia la mattina; di solito quel privilegio spettava a Sasuke, che partiva
per le missioni solo dopo essersi assicurato che la figlia fosse andata a
scuola.
Ma quel giorno, Naruto aveva
deciso di entrare con un’ora di ritardo in ufficio, per salutare la figlia
appena diplomata.
La osservò, constatando ancora
un volta la somiglianza che li accomunava.
Aveva ereditato la sua ossatura
esile e anche il volto tondo su cui, quando sorrideva, si disegnavano due
splendide fossette.
Ma il taglio degli occhi e il
candore dell’epidermide erano senz’altro eredità del padre, così come il
portamento altero e deciso; senza contare una certa arroganza nello sguardo.
«Ciao, piccola. Pronta per il
primo giorno da kunoichi?»
«Mh.»
Kyuubi si limitò ad annuire.
Monosillabica, come il padre.
«Dov’è tou-san?» domandò,
notando l’assenza di uno dei due genitori.
«In missione.»
Naruto la fece sedere al tavolo,
servendole la colazione.
La dodicenne sospirò.
Doveva mancare proprio quel
giorno?
Le mani erano spasmodicamente
chiuse a pugno; tese, nervose.
Il bianco della pelle si era
fatto ancora più chiaro in corrispondenza delle nocche e il labbro inferiore
veniva crudelmente torturato dai dentini aguzzi.
Nervosismo da cui fu un attimo
distratta quando il Rokudaime le porse un pacchetto avvolto in carta blu scuro.
«Ti ha lasciato questo.»
mormorò, posandole un bacio sulla fronte.
Perplessa, Kyuubi aprì il
regalo.
Un astuccio in legno di
ciliegio, di forma quadrata. Il lungo uso ne aveva levigato le incisioni e,
adesso, la scatola appariva liscia al tatto.
Titubante, la ragazza aprì il
rotolo di pergamena che accompagnava l’astuccio, spezzando il sigillo in
ceralacca.
Cosa insolita, su questa la cera
disegnava il marchio del clan Uchiha, ma con una differenza.
Al centro del ventaglio, faceva
bella mostra il contorno di un papavero da oppio, simbolo del ramo femminile.
Suo padre non aveva mai usato
quel sigillo.
Fissò la carta, su cui spiccava
la lineare ma sbrigativa calligrafia di Sasuke.
«Questo oggetto si tramanda
dalla nascita del clan tra le donne della famiglia Uchiha. Adesso spetta a te
portarlo, come le altre che ti hanno preceduta.»
La mano di Kyuubi tremò quando
lesse le parole conclusive alla formale lettera, trattenendo a stento un
singhiozzo di commozione.
«Ti voglio bene piccola.»
Naruto, dietro di lei, sorrise
quando la bambina aprì la scatola, estraendone un ciondolo d’argento,
raffigurante un papavero in ogni minimo dettaglio.
Notando che la figlia era restia
a toccarlo, il Rokudaime prese tra le dita le due estremità del sottile nastro
in seta nera cui era legato il ciondolo, allacciandolo al collo della figlia.
L’ultima persona a portare
quella collana era stata la madre di Sasuke.
E Naruto sapeva che consegnarla
a Kyuubi era stata una decisione ardua.
Ne avevano discusso a lungo,
visto che donarglielo non era un gesto dovuto, bensì il riconoscimento che la
loro bambina era diventata una donna e l’idea che la figlia crescesse non era
stata facile da accettare.
Per nessuno dei due.
«R…ragazzi!»
Il povero ninja dai capelli
corvini si agitava furiosamente, alla ricerca di un modo per quietare i suoi
allievi.
Ventisei anni, molto alto, con
lineamenti vagamente femminei e grandi occhi di un intenso verde smeraldo,
Fujiki Ota era diventato membro della squadra Anbu a soli tredici anni, sotto
il comando del suo ex maestro jonin, Sasuke Uchiha.
Unico, probabilmente, assieme al
Rokudaime, a intuire le capacità nascoste di quel ragazzo.
Molto nascoste.
Di carattere mite e pacifico, il
moretto faticava ad opporsi o a negare qualcosa, specie ai compagni.
Ota Fujiki si trovava, adesso,
alle prese col primo incarico da insegnante jonin e non era di certo un esempio
d’autorevolezza.
Cercava, titubante, di coprire
il brusio degli unici due membri della squadra presenti.
Inuzuka Eiji, dodicenne
dall’aspetto tranquillo, era infatti immerso in un’appassionante discussione
col suo gemello, Inuzuka Tenjo.
Ragazzini apparentemente dolci e
miti, i due gemelli erano invece dotati di un carattere vivace e frizzante,
tendente ad un umorismo tanto fuorviante da risultare perfino perverso.
Tuttavia, parecchie differenze
separavano Eiji e Tenjo, ma i due si guardavano bene dal rivelarle al mondo,
perdendo così ghiotte occasioni per crudeli marachelle.
Capelli neri con riflessi bluastri
ricadevano in morbidi ricci sopra la testa e favolosi occhi dorati mettevano
ancora più in risalto i bei tratti dei volti infantili, che promettevano di
diventare lineamenti di splendidi uomini una volta cresciuti.
Ma tutta la loro bellezza ed
esuberanza non impedì al loro sangue di gelarsi nelle vene all’arrivo
dell’ultimo membro del terzetto.
Kyuubi Uchiha incedeva, elegante
e altera, verso di loro, non degnando di un solo sguardo i suoi neo-compagni,
miseri e petulanti moscerini.
Si diresse invece verso Ota,
inchinandosi rispettosamente.
«Yurusuke, Fujiki-sama. -
sussurrò - Purtroppo ho fatto tardi.»
Ota non potè trattenere un
brivido di commozione alla vista della ragazzina conosciuta molti anni prima,
quando Uchiha-sama, non avendo trovato una babysitter all’ultimo minuto, se
l’era trascinata dietro in missione che appena gattonava.
Era sorprendente vedere quel
fagottello, trasformato in un’adolescente dallo sguardo carminio.
«Non preoccuparti, Kyuubi.- le
sorrise - Adesso che siamo tutti possiamo, cominciare.»
le gote del jonin si arrossarono
appena per l’emozione, mentre la voce tremava nel tentativo di non balbettare.
Infine, riuscì a porre la
classica domanda di rito:
«Che ne dite di presentarvi?»
Naruto Uzumaki stava riordinando
le ultime pratiche nel suo ufficio.
C’era talmente tanto disordine
che, prima di sistemare, aveva dovuto rovesciare il contenuto dello schedario a
terra e ora si divertiva a spulciare le schede ninja del suo villaggio.
Sorrise, di fronte al fascicolo
contenente le sue marachelle giovanili, uno dei più voluminosi del gruppo,
altrettanto pieno ma per trascorsi molto più gravi dei suoi.
Passarono tra le sue mani le
schede di Sakura, Ino, Kiba…chissà come stavano lui e Hinata, doveva passare a
trovarli prima o poi, Neji; c’era perfino quello di Kakashi e il Rokudaime
sorrise divertito nell’apprendere certe intemperanze giovanili del sensei.
«Ciao, Naruto.»
Il biondino alzò lo sguardo,
incrociando le iridi scure del compagno, entrato di soppiatto nel suo ufficio.
Sorridendo, si alzò,
rassettandosi la tunica da Hokage.
«Mh…ogni giorno che ti vedo
questa divisa ti sta sempre meglio.» commentò, carezzandogli il torace forte da
sopra la maglia attillata.
Sasuke sorrise, portando la mano
dietro la nuca del compagno e intrecciando le dita tra i fili dorati,
attirandolo dolcemente a sé per catturare le labbra morbide, a lungo bramate.
Le mani di Naruto si strinsero
attorno al sottile lembo dei guanti scuri che arrivavano appena sopra il
gomito, mugolando febbrilmente in cerca di un contatto più diretto con quel
corpo caldo.
Non dovette attendere molto, che
Sasuke, preso dallo stesso desiderio, si sfilò la maglia, sciogliendo poi i
lacci della larga tunica da Hokage, lasciandola scivolare a terra, assieme alle
carte.
E una volta ancora, come in
passato, fecero l’amore sulla scrivania di quell’ufficio dove, tredici anni
prima, aveva avuto inizio la vicenda che aveva unito il loro spirito per
l’eternità.
«Eiji Inuzuka. Mi piace
divertirmi, fare scherzi con mio fratello. Adoro il sushi e corteggiare le
ragazze. Odio alzarmi la mattina presto ed essere rifiutato. Il mio sogno nel
cassetto è sposarmi con la donna più bella del villaggio!»
Eiji Inuzuka prese rapidamente
la parola, ultimando in pochi secondi la rapida, ma efficace, presentazione di
se stesso, ostentata con tale sicurezza da lasciar trasparire molto più di
quanto avesse realmente detto.
«Tenjo Inuzuka. Mi piace fare
scherzi, giocare a Mah-jong. Sono molto bravo a giocare a go e anche a shoji.
Il mio sogno nel cassetto…quando ne avrò uno ve lo dirò!»
Quando il secondo gemello ebbe
finito di presentarsi, tutti gli occhi si puntarono su Kyuubi.
La ragazza li squadrò ad uno, ad
uno con gli occhi scarlatti, facendo calare un silenzio glaciale.
«Uchiha Kyuubi.» si presentò,
scostando una ciocca dalla punta vermiglia.
I suoi compagni attesero che
finisse di parlare, ma la giovane non sembrava voler procedere oltre.
A conferma di questo, la sua
espressione stupita quando si rese conto che aspettavano un seguito.
«Ehm…io avrei finito.» ammise,
facendo cadere i presenti a gambe all’aria.
Sasuke strinse le mani attorno
alla vita del Rokudaime, trascinandolo nuovamente a terra.
Le dita crudeli cominciarono a
torturare il malcapitato Naruto con una delle tecniche più terribili ed
efficaci conosciute dal genere umano.
Il solletico.
«Stronzo!» rise il biondino,
divincolandosi dalla stretta dell’Uchiha che non aveva intenzione di lasciarsi
sfuggire così facilmente la sua legittima preda.
Lo riprese al volo, rotolando a
terra con lui e continuando a solleticarlo.
«Sei un bastardo, Uchiha!» lo
rimproverò, tra una risata e l’altra.
«Non mi dice nulla di nuovo,
Rokudaime.»
Le loro risate si mischiarono
alle piccole effusioni che si scambiavano vicendevolmente, fin quando Naruto
non riuscì ad infilarsi nuovamente la tunica da Hokage.
«Hentai!» lo riprese, mentre
Sasuke se ne stava bellamente sdraiato a terra, incurante del fatto di essere
ancora nudo, con un sorriso sornione stampato in volto.
Lo sguardo di Naruto si
illanguidì, illuminandosi per la gioia di trovarsi con lui.
Poteva affermare a cuor leggero
di amare tutto di lui.
Il suo carattere schivo e
altero, quel menefreghismo largamente ostentato che spariva non appena si
trovavano soli, trasformandosi in tenerezza e premura…
Il suo modo intenso di osservare
anche i minimi dettagli, l’aggrottarsi delle sopracciglia scure e sottili
quando era perso nelle proprie riflessioni…
Amava il suo corpo, il suo modo
dolce e passionale, a volte perfino irruento, di fare l’amore…
Quella cicatrice che, come
lingue di fuoco biancastre, gli avvolgeva tutto il corpo, confluendo in tre
piccoli petali neri tatuati sulla spalla sinistra.
Una maledizione che lo aveva
imprigionato per decenni, disattivata dallo scarlatto sigillo a spirale che li
avvolgeva; ultimo dono che Kyuubi no Youko aveva fatto alla coppia, prima di
reincarnarsi in loro figlia.
«Dai, rivestiti!» lo invitò, con
un sorriso.
«Mh…troppa fatica.»
«Un tempo saresti andato avanti
tutto il giorno. Eh, brutta cosa la vecchiaia!»
«E’ un invito a riprendere il
ritmo?» chiese Sasuke, con una punta di malizia nella voce.
«E’ un invito a rivestirti e
aiutarmi a sistemare. E dopo, forse, potrei anche premiarti…»
Naruto non trattenne un risolino
quando, alle sue parole, Sasuke si rivestì in tutta fretta, più che disponibile
a velocizzare il lavoro con le scartoffie.
In quello stesso istante, la
terra tremò.
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Capitolo 3 *** Koori ***
Salve a tutti
«Non è possibile che una ragazza
non abbia interessi!»
Eiji non era rimasto soddisfatto dalla presentazione di Kyuubi e, adesso, non
esitava a rinfacciarglielo.
«Dovrai pur avere qualche hobby!»
«No, ma potrei cominciare con l’ucciderti: mi sembra un’attività interessante e
benefica per l’umanità.» ringhiò Kyuubi, mandando scintille dagli occhi rossi.
«Non credere che sia facile, stupida femmina!»
«E tu non pensare che non ne sia in grado, sottospecie di paramecio
antropomorfo!»
«Ragazzi…adesso basta, dai…»
Ota tentò di porre fine alla discussione con voce flebile, senza ottenere alcun
risultato, se non quello di istigare anche Tenjo al litigio.
Che sia stata cosa buona e giusta…ai posteri l’ardua sentenza! Come disse il
Manzoni.
«Ha parlato la gentil donzella.»
«Ma scusa, fratello, non ti vergogni a trattar male una donna?» intervenne
Tenjo, prima di scrutare Kyuubi dalla testa ai piedi.
«Come non detto, mi sono ingannato. Continua pure!»
I due gemelli scoppiarono a ridere, dandosi il cinque.
«Adesso basta!»
I neo-genin si voltarono sorpresi, nell’udire il tono infuriato del proprio
sensei, richiamarli all’ordine.
Il jonin li fissava con gli occhi verdi freddi e glaciali; perfino il volto
aveva perso i lineamenti dolci e femminei, assumendo tratti severi e
intransigenti.
«Non ammetterò ulteriori litigi, sono stato chiaro? Siete una squadra adesso e
il vostro gruppo diventerà come una seconda famiglia. Chi non è disposto a
collaborare, può tornare in accademia.»
Ota mormorò appena il suo discorso, ma questo fu compreso benissimo dai
ragazzi.
Annuirono e, successivamente, tirarono un respiro di sollievo quando il sensei
parve tornare normale e sorrise come sempre.
«Bene! Adesso che siamo tutti d’accordo possiamo andare!»
E detto questo, katana in spalla, si avviò fischiettando al campo
d’allenamento, seguito dagli allievi a dir poco sconvolti.
La terra tremò.
Forze oscure si risvegliavano e fremevano sotto la terra, in attesa del giorno
in cui sarebbero potute venire nuovamente alla luce.
Koori sorrise divertita, osservando lo svolgersi degli eventi tramite una
lastra di pietra nera.
La superficie era tanto liscia e lucida da sembrare liquida.
«Molto bene…» commentò, giocherellando con la punta della lunga treccia
argentata.
Un lungo kimono azzurro le avvolgeva il corpo sodo e ben fatto.
Qualche piccola ruga sulla pelle rosata indicava che non era più una donna nel
fiore degli anni, ma dagli occhi a mandorla scaturiva un’energia e un potere
che restavano immutati nel tempo.
D’altronde, per l’età che aveva, manteneva un aspetto molto giovanile.
«Sempre in forma, Koori.»
La voce bassa e penetrante arrivò alle orecchie della donna, mentre un
affascinante uomo di mezza età incedeva verso di lei con eleganza innata.
Maestoso nel suo kimono nero su cui gli ideogrammi dorati mutavano di continuo
e i lunghi capelli argentei lasciati liberi di scivolare lungo la schiena, lo
Shinigami si avvicinava a Koori, prendendole la mano sottile e mimando l’atto
di baciarla.
«Anche tu, Shinigami.» le labbra piene della donna si piegarono in un sorriso
d’apprezzamento verso le buone maniere del Dio.
Lo sguardo violetto di questo si alzò ad incrociare quello della donna.
Un occhio viola, l’altro di un accecante azzurro.
Semi dea.
Ma più intelligente e astuta di tutti gli Dei e gli Umani che avesse mai
conosciuto.
Fredda e calcolatrice, una mente maligna votata al proprio tornaconto e
interesse.
In quanto umana poteva intervenire nelle vicende mortali, come Dea aveva il
potere di dirigerle secondo i propri capricci.
«I canali di chakra sotterranei si stanno muovendo.- annunciò - Adesso mi serve
l’aiuto di Nekomata.»
Sorrise, prendendo in braccio il felino argentato dalle due code che aveva
accompagnato Shinigami.
«Cosa hai in mente, Koori?» domandò il Dio.
«Voglio l’Erede, Shinigami. E io ottengo sempre quello che voglio.»
«Non ne dubito.»
Ma la donna era già sparita.
«Uff! Guarda quanta roba! - sbottò Sasuke, mettendo a posto l’ennesimo
fascicolo. - Ma non ti annoi a stare sempre in ufficio?»
«Da morire. Ma a volte si ricevono visite interessanti.» Naruto ammiccò nella
sua direzione, con un sorrisetto malizioso stampato in volto.
Sasuke ricambiò, ma l’espressione gioiosa si mutò in dolore.
Improvviso e lancinante.
Fuoco…era il fuoco che gli bruciava nelle vene da anni.
Il fuoco che aveva ereditato col sangue della sua famiglia e che era stato
risvegliato all’età di diciassette anni quando, stupidamente, aveva eseguito
quella tecnica…
Per qualche secondo lo sharingan brillò nelle iridi scure, prima di placarsi.
«Sasuke…tutto bene?»
L’Uchiha fissò spaesato il biondino, senza riconoscerlo.
O almeno non subito.
Impiegò svariati secondi per riprendersi, mentre lo sguardo gli andò subitaneamente
al marchio.
Aveva smesso di pulsare e la spirale scarlatta troneggiava ancora sui petali
neri.
«Sì…penso di sì.» mormorò.
Le sue parole non convinsero Naruto che, però, si limitò ad annuire e posargli
un bacio all’angolo della bocca.
«Meglio se vai a casa, Sasuke. - consigliò - Sei stato in missione e da quando
sei qui non ti sei riposato un attimo. Finisco io e quando torno…- le labbra si
piegarono in un dolce, quanto malizioso sorriso. -…spero che il mio adorato
marito trovi il modo di farmi scordare le preoccupazioni della giornata.»
Per una volta, l’Uchiha non fece storie.
Baciò il biondino, recuperando la maschera da Anbu e la katana, prima di
sparire.
Ma non tornò a casa, o almeno non subito.
Come tanti anni prima, attraversò il bosco, arrivando di fronte all’imponente
edificio del tempio Nakano.
Settimo tatami.
Le macchie di sangue persistevano ancora sul pavimento di stuoia adeguatamente
pressata.
Gli occhi scuri si posarono sullo specchio al lato della stanza.
Nero nel rosso, cicatrici nel marchio che le aveva lasciate.
Sasuke, in quella stanza impregnata di chakra maligno, poteva parlare con
l’altro se stesso.
Poteva parlare con l’Uchiha.
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Capitolo 4 *** Visite inattese ***
Salve a tutti
C’è un luogo, a Konoha, dove
molti ragazzi proseguono il loro cammino ninja.
Altri, invece, lì crollano e
devono tornare in accademia.
Quel posto viene considerato
sacro per la presenza della lapide commemorativa alla memoria dei ninja caduti
in missione per il villaggio.
Coloro che vengono chiamati
eroi.
Di fronte a quella lapide erano
stati promossi a genin i tre sannin.
Dopo di loro, colui che era
conosciuto come il quarto hokage e, dopo ancora, un gruppo composto da tre
giovani.
Kakashi Hatake, Obito Uchiha, e
Rin Inuzuka.
Due di questi erano morti
giovanissimi, uno tra loro aveva avuto l’onore di avere in squadra il futuro
sesto hokage di Konoha, Naruto Uzumaki, e l’ultimo esponente del prestigioso
clan cui apparteneva il suo migliore amico, Uchiha Sasuke.
Sempre di fronte a quella
lapide, avevano ricevuto la loro promozione a genin tre fanciulli, adesso
membri della squadra Anbu di Konoha.
Hana Shiotari, adesso
ventiquattrenne, Ayumi Ryutari, la più giovane, con i suoi diciassette anni,
della squadra capitanata da Sasuke Uchiha, e Ota Fujiki.
Quest’ultimo, adesso, aveva il
compito di istruire niente poco di meno che la figlia del proprio sensei e del
Rokudaime.
Di fronte a quella stessa lapide
dove erano nati tanti protagonisti di quelle che venivano, adesso, definiti
leggende.
E colei di cui la stessa nascita
avrebbe fatto storia, era lì di fronte a lui.
Gli occhi smeraldini passarono
soddisfatti sulla propria squadra.
Due Inuzuka, un’Uchiha.
Su Kyuubi, come lei stessa aveva
ammesso, non c’era molto da dire.
Il suo nome parlava da solo.
La potenza del più forte demone
di tutti i tempi che scorreva nel sangue del clan più prestigioso della Foglia.
Fuoco che si univa al fuoco.
Se avesse imparato a controllare
la propria forza distruttiva, bloccata dai sigilli che le circondavano le
braccia sottili, saggiamente impostagli sin dalla nascita, Kyuubi avrebbe
potuto superare in potenza qualsiasi ninja fosse mai esistito.
Ma, per adesso, era solo una
bambina appena diventata kunoichi, il cui passaggio di grado era segnato, non
tanto dal coprifronte allacciato in vita, quanto dal ciondolo argenteo che
portava al collo.
Per Ota, Sasuke e Naruto erano
diventati come la famiglia che l’aveva lasciato quando era piccolo.
Erano stati loro due a prendersi
cura del fanciullo, i cui nomi dei genitori figuravano sulla lapide
commemorativa.
Loro ad insegnargli a
padroneggiare le tecniche ninja, ad addestrarlo, ma soprattutto a dare a
quell’adolescente timido e impacciato l’affetto di cui aveva bisogno.
Non era quindi ignaro
dell’esistenza di quel ciondolo, né del suo significato.
L’esistenza di quella bambina
era cominciata in modo strano e il suo futuro non sarebbe stato altrettanto
facile, considerata l’eredità che le gravava sulle spalle.
Ma se le aveva robuste come
quelle dei genitori, avrebbe resistito altrettanto bene alle avversità.
Sorrise timidamente, come suo
solito, mentre spostava la propria attenzione sui gemelli.
Anche loro portavano il peso di
una tragedia nel proprio sangue.
Figli di Kiba Inuzuka e di
Hinata Hyuuga, il matrimonio dei genitori era stato osteggiato da entrambe le
famiglie, ma con tenacia maggiore da quella materna.
Gli Hyuuga non potevano
permettere che la primogenita della casata principale, colei di cui il marito
avrebbe preso in mano il clan alla morte del suocero, contaminasse l’abilità
innata del Byakugan con il sangue degli Inuzuka.
Clan ritenuto rispettabile, ma
su di loro gravava la leggenda che per ottenere quell’affinità con i cani, in
un passato remoto, si fossero accoppiati con essi.
Da lì, certi tratti animali nel
loro comportamento e nel loro fisico.
Forse per compensare Neji Hyuuga
della morte del padre, forse perché finalmente riconobbero il genio di quel
ragazzo nell’utilizzo dei suoi occhi bianchi, senz’altro superiore a quello
della cugina, Hinata gli fu promessa come sposa, nonostante questa avesse da
tempo una storia con il rampollo degli Inuzuka.
Nessuno si sarebbe sognato di
osteggiare il matrimonio, mirato a mantenere la purezza dell’abilità innata,
sebbene neanche lo stesso Neji volesse sposare la cugina, a cui era legato da
un sentimento fraterno, sviluppatosi con gli anni.
L’unico modo per impedire le
nozze, fu contaminare la purezza di Hinata.
Di comune accordo, incitati
anche da Neji e dalla sorella minore, Hanabi, che da tempo intratteneva una
tresca col cugino, che coprivano abilmente le fughe notturne della fanciulla,
Kiba e Hinata smisero di usare precauzioni durante i loro incontri amorosi,
finché questa non rimase incinta.
Prima delle nozze.
La furia di Hiashi Hyuuga si
sarebbe potuta contenere, se il padre dei bambini che Hinata portava in grembo
fosse stato il suo promesso, ma il Byakugan mostrò alla sua analisi del chakra
del feto, il miscuglio sanguineo.
Risalire al vero padre, fu
questione di un attimo.
Hinata fu bandita dalla casata
principale, e il Byakugan sigillato in lei e nella sua progenie.
I bambini, fortunatamente, non
risentirono del blocco e nacquero con due splendidi occhi dorati, come il
padre, e i lineamenti aggraziati della madre.
Lei, però, non fu altrettanto
fortunata.
Il sigillamento del Byakugan,
per uno Hyuuga, equivaleva all’utilizzo eccessivo dello sharingan per un
Uchiha.
Corrodeva gli occhi.
Conosciuta la disgrazia
dell’amica, Naruto aveva provveduto a far intervenire il capo dei ninja medici,
la sua ex compagna di squadra Sakura Haruno, ma neanche lei era riuscita a
salvare completamente la vista della giovane Hyuuga.
Adesso, Hinata viveva come
dietro a un vetro opaco, che le impediva l’identificazione precisa dei
contorni, ma non rimpiangeva gli amari trascorsi, confortata dalle gioie della
famiglia.
D’altra parte, Kiba non
ricevette che biasimi dal suo clan per aver generato uno scandalo pari solo a
quello del ritorno di Sasuke e Naruto, sposati e col Rokudaime inspiegabilmente
incinto, avvenuto nello stesso anno.
Fortunatamente, il clan Inuzuka
aveva discendenza femminile, quindi le ripercussioni furono minime, ma non per
questo meno gravi.
Ai gemelli fu impedito l’accesso
all’allevamento dei cani ninja e non ebbero mai la possibilità di possedere un
cucciolo con cui combattere, sebbene gli spettasse di diritto.
Una famiglia disgraziata, anche
quella, ma non per questo meno felice.
I loro genitori si amavano
nonostante le difficoltà e i gemelli erano cresciuti allegri e vivaci,
bastevoli a loro stessi, nell’affetto familiare.
Sì, a Ota era capitata una
squadra difficile, ma non si sarebbe arreso così facilmente.
Con un tenero sorriso, rimirò
attentamente quelle foglioline in attesa di sbocciare, prima di dare l’ordine
di cominciare l’allenamento.
L’ormai famosa prova dei
campanelli.
«Sei troppo lenta, Kyuubi!»
Il kunai lanciato dalla ragazza
cozzò contro una barriera pressoché invisibile che il sensei aveva eretto
attorno a sé.
La dodicenne non avrebbe mai
detto che il suo maestro, così timido e impacciato, potesse essere tanto abile
da schivare i suoi attacchi.
Ghignò, scoprendo i canini,
mentre due fossette si disegnavano sulle guance tonde.
Un sorriso pieno di
determinazione e voglia di vincere.
Un sorriso che poteva aver
ereditato solo dalla madre, come la testardaggine.
E un’impulsività non
indifferente, visto che si trovò stesa a terra, il viso e le mani graffiati dal
terreno, senza neanche sapere come.
Eppure aveva sferrato quel pugno
a velocità incredibile, caricandolo con tutto il chakra che era riuscita ad
impastare.
Una quantità eccessiva, che era
stata dimezzata dai sigilli scarlatti che le imprigionavano le braccia,
caricata in un pugno.
Tanto, forse troppo, da
risultare visibile: energia scarlatta che fendeva l’aria in una tecnica che
richiamava il chidori paterno, eppure differente da esso.
In sintesi, era un semplice
accumulo di chakra, peraltro effettuato con scarsa maestria.
Anche l’attacco era banale, da
dilettante.
Nessun ninja esperto avrebbe
attaccato così direttamente, senza prepararsi un secondo attacco, nel caso il primo
avesse fallito.
Ma Kyuubi era un genin.
E faceva troppo affidamento
sulla propria forza, da sempre superiore alla media.
Furibonda per lo smacco e la
voce beffarda del maestro che la rimbrottava, si rialzò.
Il chakra cominciò a ruotare
attorno a lei, come sempre quando era sul punto di perdere il controllo.
Per di più, quegli stupidi
Inuzuka non si vedevano!
E dire che, nel momento della
dispersione, li aveva acciuffati per la maglia, ringhiando:
«State a sentire, caccolette.
L’unico modo per superare questa prova è distrarre il sensei, mentre gli altri
prendono i campanelli, chiaro? Quindi troviamo un modo per concludere al più
presto che non voglio perdere tempo in allenamenti da poppanti.»
Era stato poi Tenjo ad elaborare
la strategia da usare.
Kyuubi, di sicuro la più forte e
la più resistente tra loro, avrebbe distratto Ota, mentre loro, abituati alle
tecniche combinate sin da quando erano bambini, sarebbero intervenuti una volta
spossato il sensei e gli avrebbero sottratto i campanelli dopo averlo ulteriormente
confuso.
«Se ne siete in grado…» aveva
sbottato Kyuubi, altera come sempre.
Peccato che, adesso, era lei a
non sentirsi per la prima volta all’altezza della situazione.
Aveva contato troppo sul proprio
chakra che nessuno dei suoi insegnanti, prima d’ora, era riuscito a fermare,
fatta eccezione per i suoi genitori, e non riusciva a spiegarsi come il ragazzo
dai capelli neri, sempre imbarazzato e pudico, cosa che per lei era sinonimo di
innocuo, potesse evitarlo così facilmente.
Come se per lui non fosse
esistito.
Tentò un’ultima volta, ormai
spossata.
Radunò a sé l’immensa energia
che le scorreva nelle vene, perché poi ne avesse così tanta in confronto agli
altri restava per lei un mistero, per pilotarla tutta contro il sensei,
facendogli assumere l’acuminata forma di una lancia.
Chiunque ne sarebbe rimasto
ucciso, o nel migliore dei casi ferito.
Chiunque, ma non Ota Fujiki che
rimase immobile a fissare la ragazzina, sorridendo.
Un sorriso diverso da quello
dolce che gli ingentiliva i lineamenti femminei, adesso più marcati…o era solo
un’impressione?
Kyuubi non trovò risposta,
perché due presenze ingombranti gli furono lanciate addosso dal maestro.
I gemelli Inuzuka le rotolarono
addosso.
Abbastanza mal ridotti, avevano
evidentemente subito di striscio l’attacco lanciato contro Ota, per poi essere
malmenati ulteriormente da questo.
Ciò nonostante, anche se il
suono della sveglia li avvisò che avevano miseramente fallito la prova, avevano
ancora voglia di scherzare.
«Uchiha, sbaglio o hai qualche
chilo di troppo nella pancia? Sono atterrato troppo sul morbido e di sicuro non
sono le tue tette.»
Sbottò Eiji, distinguibile da
Tenjo solo per la maggiore volgarità delle battute.
«Io pensavo fosse la cellulite
delle cosce.»
«Gemelli…» ringhiò Kyuubi. «Da
chi volete che inizi il pasto di oggi?»
Con gli occhi ridotti a due
fessure e i canini scoperti, fu facile per la ragazza far prendere sul serio ai
gemelli la propria voglia di divorarli.
Così facile, che i due si
indicarono rispettivamente con un dito, alzandosi in fretta e cominciando ad
allontanarsi.
«Da lui!»
Retrocedettero, mentre Kyuubi si
avvicinava inesorabile, sciogliendosi la coda e lasciando ricadere la cascata
di fuoco sulle proprie spalle, ghignando.
«Eiji…si sta avvicinando…»
«Lo vedo, nii-chan…»
«Ok…ponderiamo la situazione con
calma e sangue freddo. Prendi Eiji! E’ più tenero!» urlò, afferrando il
fratello per le spalle e usandolo come scudo.
«No! Tenjo ha la carne migliore!
E’ più saporito!»
«Ha ancora i canini da latte! Io
sono coriaceo, rischia di romperseli!»
«Ma vuoi mettere il coriaceo con
un buon sapore? Può sempre fare un macinato!»
«Gemelli…tacete.»
Piombò il silenzio, spezzato
solo dai passi della ragazza sulle foglie secche.
Il dito sottile che faceva la
conta su chi dei due mordere per primo.
La conta terminò.
Kyuubi andò al fianco del
sensei, prendendosi una carezza sulla testa bionda.
«Nessuno dei due, siete troppo
complicati da cucinare.» sbottò, mentre Ota, balbettando, li dichiarava
promossi per il tentato lavoro di squadra.
L’avventura del gruppo 4
cominciava.
«Uffa! Ota-sensei ci ha fatti
sfiancare dagli allenamenti!»
Tenjo Inuzuka non si risparmiò
affatto le lagne sul duro addestramento da genin cui il maestro gli aveva
sottoposti dopo la batosta iniziale.
Si passò la mano sulla fronte
sudata, avvicinandosi ad una fresca fontanella, per bagnarsi i riccioli neri
con l’acqua.
«Dillo forte, tooto-chan.»
Eiji si tolse la maglia gialla,
impregnata di sudore.
Stanchi, accaldati…distrutti!
Solo Kyuubi pareva fresca come
una rosa.
La sua capacità di guarigione
era impressionante, così come la forza.
Peccato che il suo controllo del
chakra facesse acqua da tutti pori, ma si era dimostrata lo stesso una brava
allieva.
«La smettete di lagnarvi,
caccolette?» sbuffò, dandosi una sistemata al gilet blu notte, con lo stemma
del clan sulla schiena.
«Ha parlato la prima donna!»
replicò Tenjo.
«Sei seccante, Uchiha! Impara a
controllare quel chakra! Ne hai liberato talmente tanto che potevi ferire
Ota-sensei!»
«E’ un jonin, si sa difendere.»
Franca risposta, accompagnata da
un interrogativo inespresso.
Come si era difeso?
«Tu e i tuoi occhi
terrorizzerebbero chiunque, scherzo di natura.» sibilò Eiji, prima di finire
contro il muro più vicino; la mano di Kyuubi serrata attorno al suo collo.
Al suo fianco, il fratello nelle
sue stesse identiche condizioni.
«Dite un’altra parola sui miei
occhi o sulla mia nascita e giuro che vi trasformo nella mia cena.»
La ragazza mormorò tutto questo
nelle orecchie dei poveri Inuzuka, che, però, non persero la loro baldanza.
Stavano per replicare qualcosa
di terribilmente acido che avrebbe potuto causare la loro trasformazione in
merendina, ma in loro aiuto giunse qualcuno di inaspettato.
Qualcuno che non avrebbe dovuto
essere lì quel giorno né mai.
Sasuke era seduto di fronte allo
specchio, fissando l’immagine riflessa con cipiglio severo.
L’altro se stesso, l’Uchiha, era
dall’altra parte e sorrideva divertito di fronte alla rabbia della propria
controparte.
«Come mai qui, Sasuke?» Domandò;
gli occhi scarlatti beffardi.
«Il segno.» fu la sibillina
risposta.
Sasuke odiava con tutto il cuore
i colloqui con l’Uchiha.
Solitamente erano fusi assieme,
ma quando il segno riceveva una stimolazione si scindevano di nuovo.
E, solitamente, quella divisione
portava solo guai.
«Pensi che sia Orochimaru?»
L’Uchiha scosse la testa.
Erano anni che non avvertiva
l’energia del sannin e, anche se l’avesse richiamato, il sigillo impostogli da
Kyuubi avrebbe bloccato qualsiasi effetto negativo.
Ma allora cosa?
«Non ne ho idea.» ammise
l’Uchiha, sospirando. «Insomma, Sasuke! Siamo la stessa persona, cosa pretendi?
So solo quello che sai tu!» sbottò, spazientito.
«Hai ragione…»
Sasuke si alzò, stiracchiandosi.
«Baka…comunque una cosa la so.»
«Cosa?»
Un sorriso malizioso incurvò le
labbra del volto segnato di nero, non corrisposto dal corpo reale che si
rifletteva nello specchio.
«Che Naruto torna a casa tra
poco. E anche Kyuubi sarà affamata dopo la sua prima giornata da genin. Inoltre
mi pare di aver ricevuto una promessa allettante da parte di un Rokudaime
particolarmente sexy…o ricordo male?»
Il sorriso apparve anche sul
volto di Sasuke.
Sarebbero stati anche divisi, ma
su certe cose si trovavano stranamente concordi.
Come il correre fuori dal tempio
e dirigersi rapidamente verso villa Uchiha.
«Non è un po’ presto per il
mangekyou sharingan, piccola?»
Una voce d’uomo interruppe
l’accesa discussione tra i ragazzini.
Kyuubi si voltò appena per
vedere chi fosse lo sconosciuto che s’intrometteva nel suo spuntino, lasciando
cadere a terra i gemelli, quando incrociò il suo sguardo.
Capelli neri, occhi
scuri…familiare.
Suo padre?
No, non era lui.
Era più anziano, probabilmente
sulla quarantina, capelli corvini lasciati sciolti lungo le spalle.
Occhi neri e penetranti, ma di
taglio molto più sottile e allungato rispetto a quelli di Sasuke e ai propri.
Un pesante mantello nero gli
ricopriva completamente la parte destra del corpo.
Nessun coprifronte, né segni
d’appartenenza a qualche villaggio.
Un ronin, probabilmente, ma come
faceva a conoscere lo sharingan?
Soprattutto, quello sharingan.
«Kyuubi Uchiha, giusto?» lo
sconosciuto sorrise.
Un sorriso strano, quasi non
fosse abituato a farlo.
Gli occhi si posarono poi sui
due gemelli.
«E voi siete i suoi compagni di
squadra, se non sbaglio.»
«E io, se non sbaglio, ti avevo
intimato di star lontano dalla mia famiglia.»
I genin alzarono appena lo
sguardo sopra la spalla dello straniero, sul cui collo candido era posata la
fredda lama di una katana.
Dietro di lui, lo sguardo
infuocato di Sasuke.
«Tou-san!» esclamò Kyuubi,
sorpresa e felice di vederlo.
«Vai a casa, Kyuubi.» la voce
fredda del padre gelò sul colpo qualsiasi frase, parola o gesto volesse
pronunciare o compiere la dodicenne.
«Non vuoi proprio che mi avvicini
a lei, eh Sasuke?»
Lo sbeffeggiò l’uomo.
«Perché sei qui? Ti avevo
avvisato, se non erro…»
«Se tu mi avessi voluto
ucciderti lo avresti già fatto.»
«Papà...»
«Sono in tempo a rimediare se
non rispondi.» sibilò Sasuke, premendo maggiormente la lama.
Un rivolo di sangue brillò come
una perla scarlatta sulla pelle candida, prima di perdersi nel nero della
stoffa.
«Volevo vedere tua figlia,
problemi?»
«Molti, direi.» sibilò l’Anbu,
ignorando Kyuubi che lo chiamava.
«Papà…»
«Ho il diritto di vedere mia nipote.»
«E’ un diritto che hai perso
quando hai ucciso tutti, Itachi.»
«Come sei scortese, fratellino.»
Silenzio, mentre gli occhi dei
genin andavano da uno all’altro dei fratelli Uchiha.
Kyuubi li fissava più attonita
degli altri.
Lei aveva sentito parlare di
quell’uomo.
Poche volte, a dire il vero,
nella loro casa era proibito pronunciare il suo nome o ricordarne a Sasuke
l’esistenza.
Solo sua madre gliene aveva
parlato, dopo una domanda impertinente su alcune foto del padre da piccolo cui
mancava metà dell’immagine, brutalmente strappata.
Quello era l’uomo che suo padre
aveva tentato di uccidere, colui di cui si doveva vendicare.
Quello che aveva risparmiato per
non perdere tempo e correre a salvare lei e la mamma.
Ma Naruto sosteneva un’altra
versione, parallela a questa e a questa legata.
Sasuke non avrebbe mai ucciso
suo fratello perché, a differenza di lui, non avrebbe sopportato di macchiarsi
le mani con sangue del suo sangue.
«Tuo padre vuole ancora bene a
tuo zio, nonostante tutto. Solo non lo sa.»
Nonostante anche il Rokudaime
avesse validi motivi per odiare il mukenin, non esimeva questo piccolo
particolare dalla storia.
In ogni caso, né lui, né
tantomeno Sasuke, avevano desiderio di rivederlo, ma adesso si era presentato
di nuovo.
«Se mi uccidi ora, Sasuke, non
saprai mai il motivo del dolore al segno.»
«Che segno, tou-san?»
«Ti ho detto di andare a casa,
Kyuubi!» urlò Sasuke, facendola sobbalzare.
La dodicenne lo fissò,
sconvolta.
Sembrava fuori di sé e Kyuubi,
per la prima volta, fissando il padre con il volto sfigurato dalla rabbia e gli
occhi rossi in cui brillava quello sharingan che lei non aveva ancora
sviluppato, comprese perché tutte le persone del villaggio evitavano
accuratamente di far infuriare Sasuke Uchiha.
Dal suo canto, aveva sempre
provato nei suoi riguardi l’affetto profondo e la soggezione che una figlia può
provare per un padre un po’ severo, ma mai ne era stata terrorizzata.
Adesso sì.
E era sconvolta dalla sua stessa
paura.
«Kyuubi-chan…» Eiji posò la mano
sulla spalla della ragazza «Che ne dici di andare a mangiare qualcosa?»
La figlia del Rokudaime fissò i
due compagni di squadra che le sorridevano.
Fantasmi, nella sua mente, poi
lo sguardo si posò nuovamente sul padre.
Gli occhi scarlatti, dalle pupille
cerulee e le iridi cerchiate dello stesso azzurro erano appena velati di
lacrime che non avrebbe fatto scorrere.
Aveva bisogno di sicurezza, da
quella bambina che era, e il padre, in quel momento, non gliela offriva.
Fu per questo che, quando i due
gemelli la presero per mano, lei si lasciò condurre via.
E quello fu l’inizio di un
legame più profondo di quello che lei stessa avrebbe mai potuto immaginare, con
quegli impertinenti, menefreghisti, presuntuosi e dolcissimi gemelli Inuzuka.
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Capitolo 5 *** Minaccia ***
Salve a tutti
Regnava il silenzio nella grande
casa degli Uchiha.
Una tensione opprimente che
gelava il sangue e che toglieva ogni volta di parlare.
Non che i due fratelli avessero
voglia di fare conversazione, o almeno questa non era l’intenzione del più
giovane, il cui sguardo omicida era puntato sul maggiore, che si limitava a
sorridere beffardo.
Seduti attorno allo tsukui della
sala riunioni del clan; fino a quel momento nessuno dei due aveva parlato.
Fu Sasuke a rompere il silenzio.
«Come hai fatto a sapere del
dolore al segno?»
«Ho i miei informatori, otooto.»
fu la sibillina risposta «Ti basti sapere che ne conosco il motivo. E che non
sono qua per danneggiare te o la tua famiglia.»
«Chiedi uno sforzo troppo
grande, temo.»
«Per un po’ di fiducia?»
L’occhiata severa del fratello
minore fece comparire un sorriso divertito sul volto marcato di Itachi.
Già, forse chiedeva veramente
troppo.
Ridacchiò senza emettere suoni,
prima di riassumere la sua classica espressione austera.
Le iridi scure, prive del
mangekyou sharingan che lo aveva reso tanto famoso e temibile, si velarono di
preoccupazione.
Aveva bisogno dell’aiuto di
Sasuke e Naruto.
E perfino di quello di Kyuubi.
«Mi serve il tuo aiuto.»
«Cosa ti fa pensare che io sia
disposto a dartelo?»
«Il fatto che tua figlia ne
pagherà le conseguenze, visto che il problema riguarda i Bijuu.»
Il labbro inferiore di Sasuke
sanguinò, trafitto dai denti del suo stesso possessore.
«Parla.»
Itachi ghignò.
Era facile manovrare le scelte
di suo fratello.
Bastava far pressione su alcune
cose a cui teneva particolarmente, e lui era sempre stato particolarmente bravo
a capire quali fossero.
Maledettamente bravo.
«Conosci la leggenda delle
Bestie dalle Code?»
«Ne ho una in casa.» replicò
Sasuke, sarcastico.
«Bene…allora sarai così
informato anche sui sigilli posti da Kyuubi no Youko sui demoni a lei
inferiori, immagino.»
Il trentaseienne alzò lo sguardo
sul mukenin, perplesso.
Non sapeva nulla di quella
storia, e la sua ignoranza si rifletteva nell’incuriosita espressione del suo
volto.
Da giovane sarebbe stato così
orgoglioso da ricercare da solo le informazioni a proposito di tale leggenda,
ma la presenza di Itachi, sebbene lo infastidisse chiedere chiarificazioni
proprio a lui, rendeva impellente la conoscenza.
Se c’era una cosa di cui era
certo, era che il suo aniki non faceva mai nulla senza uno scopo.
E, chissà perché, qualunque
fosse il suo obiettivo, era meglio o tenersene alla larga, o conoscerne tutti i
dettagli.
«Che sigilli?»
Itachi sorrise.
«I Sigilli del Fuoco, Sasuke.
Come quello che hai sulla spalla.»
«Ehi, maledetto! Molla il mio
pranzo!»
Kyuubi strappò con le bacchette
il pezzo di pollo che Eiji le aveva sottratto dal ramen, proprio mentre
l’Inuzuka stava per inghiottirlo.
Tenjo approfittò della sua
distrazione per rubarle una verdura.
«Ehiiii! Inuzuka ladro!»
La piccola Uchiha si lanciò
contro Tenjo, trasformando il pranzo in una vera e propria lotta per il cibo.
Ota sorrise.
Era bello vedere i suoi allievi
così vivaci ed uniti.
Lo avevano beccato per strada,
mentre andavano all’Ichiraku ramen e lo avevano invitato a pranzare con loro.
Stranamente, gli Inuzuka avevano
offerto sia a lui, sia alla loro compagna, anche se su questa si stavano
rifacendo a suon di pezzetti di ramen rubati qua e là.
Sorseggiò il brodo della propria
porzione, appena in tempo per salvarsi il pranzo, visto che Eiji, avendo fallito
il tentativo di sfuggire ai canini di Kyuubi, aveva disgraziatamente fatto
rovesciare il tavolo con tutti i ramen.
E nonostante tutto, l’Uchiha era
ancora attaccata al suo braccio, ringhiante.
«Ahia! Ota-sensei me la tolga di
dosso! Mi fa male!»
Il ventiseienne, per tutta
risposta, sorrise.
Il comportamento di Kyuubi gli
richiamava alla mente un ricordo di anni ed anni prima, quando un semplice
adolescente aveva partecipato ad un piccolo quadretto di una vita familiare
ancora segreta ai più, che avrebbe visto la propria concretizzazione solo anni
dopo.
Un giorno che Ota non aveva mai
cancellato dalla propria mente.
Il giorno in cui il Rokudaime lo
aveva assegnato alla squadra genin di Sasuke Uchiha.
*flash back*
La pioggia scivolava sul capo
bruno del bambino, inumidendone i capelli.
La maglia intrisa d’acqua e il
capo appoggiato contro le ginocchia, nel vano tentativo di nascondersi.
Era diventato genin, Ota Fujiki,
e le dita sottili stringevano il corpifronte nuovo di zecca.
Umido di pioggia anche esso.
Aveva importanza potersi
definire ninja, quando nessuno ti festeggiava per aver raggiunto quel
traguardo?
Solitario, rifletteva
accarezzato solo dalle lacrime del cielo e immaginava che quell’acqua e il
freddo di quella pietra fossero le calde mani dei genitori.
Solo il nome era rimasto di
loro.
Solo il nome inciso su una
lapide.
Tuonò e Ota si strinse di più in
se stesso.
All’orecchio gli giunse un
gorgoglio di risatine.
Inizialmente pensò di aver
confuso il ticchettare della pioggia col marmo con suoni di voci, ma quando si
rese conto che non era così, attuò in fretta la tecnica della mimetizzazione
per nascondersi.
«Smettila! Se ci vede qualcuno?»
Una figura bionda, confusa per
via della pioggia incessante, ne scansava un’altra tenendosi i bordi della
lunga tunica che indossava.
Ota si fece più piccolo contro
la roccia, mentre quelli che dalle voci risultavano essere due uomini si
fermavano proprio di fronte alla lapide.
Il ragazzo più alto aveva infine
afferrato il biondino per la vita e lo stringeva a sé.
Adesso che erano vicini,
l’undicenne riusciva a distinguerne i lineamenti.
Sconvolto, osservò il Rokudaime
baciare l’Anbu Sasuke Uchiha con il sorriso sulle labbra.
«Ai shiteru, baka kitsune.»
La voce bassa e penetrante dell’Uchiha
fendette l’etere, facendo percepire chiaramente le parole a Ota.
E, come essa, anche la risposta
dell’Hokage giunse al suo orecchio.
«Ti amo anche io.»
La figura del Rokudaime si
protese a baciare l’amante, ma questi lo fermò.
«Naruto…c’è qualcuno.»
Le iridi del biondino
scintillarono dietro il sottile velo di pioggia, saettando verso la direzione
in cui guardava il compagno.
Proprio nel punto in cui Ota era
nascosto.
Il bambino tremò, mentre la mano
dell’Hokage si posava sulla sua fronte, sciogliendo la tecnica.
«Ah, è solo un bambino.»
Ota si sentì scrutato dagli
occhi scuri dell’Uchiha, che lo fissava con pacata indifferenza.
A quanto pareva, non lo
considerava neanche un pericolo, visto che continuava a tenere stretto il
Rokudaime per la vita.
Questi, però, si sciolse
dall’abbraccio del compagno, chinandosi all’altezza dell’undicenne.
Sorrise, e Ota divenne paonazzo
di fronte alla dolcezza che traspariva dal quel volto delicato.
«Come ti chiami?»
«F…Fujiki Ota.» mormorò,
cercando di mantenere la schiena dritta e lo sguardo alto.
Era un ninja, adesso! Avrebbe
dimostrato che sapeva comportarsi da uomo e che non aveva paura di una
punizione.
«Fujiki?»
Un barlume di curiosità fece la
sua comparsa nella voce del moro.
Il ragazzino annuì, orgoglioso.
Ma lo sguardo si abbassò
inevitabilmente, quando incrociò quello severo dell’Uchiha.
«Sei figlio di Shota e Mariko
Fujiki, per caso?»
«Sì.»
«Tieni la testa alta quando
parli con qualcuno. E impara la tecnica della mimetizzazione. Ti si vedevano i
piedi.»
Arrossì di nuovo e il piccolo
volto dai lineamenti morbidi e femminei guardò ancora a terra, sconfortato.
Udì l’Uchiha sospirare, poi si
sentì afferrare da due braccia forti e sollevare.
Quando alzò lo sguardo, si trovò
faccia a faccia con quegli occhi neri che lo fissavano severi.
Naruto sorrise.
«E’ un invito a cena, Ota. E
posso garantirti che Sasuke è un ottimo cuoco.»
I grandi occhi verdi del bambino
scrutavano incuriositi l’ambiente.
Era la prima volta che entrava
in un’abitazione tanto grande, appartenente ad una singola persona.
In breve tempo, i due uomini lo
avevano trascinato nel quartiere Uchiha.
Appena avevano messo piede in
casa, Sasuke era andato di filato in bagno a prendere degli asciugamani per
togliere l’acqua di dosso a sé, al Rokudaime e al piccolo ospite.
Il biondino aveva fatto
tranquillamente come se fosse a casa propria.
Con un sospiro di sollievo, si
era tolto la tunica da Hokage, rimanendo con un paio di pantaloni scuri
addosso.
Toltesi anche quelli, aveva
preso il ragazzino e gli aveva tolto gli abiti bagnati, lasciando in biancheria
anche lui.
«Sasuke! Porta qualche vestito
per Ota, già che ci sei!»
L’Uchiha era apparso poco dopo.
Si era cambiato e, tolta la
divisa da Anbu ormai fradicia, aveva indossato una lunga maglia nera e pantaloni
dello stesso colore.
Tenuta assai casalinga, ma che
fece sorridere il biondino.
«Come vedi, Sasuke non fa così
paura.» rise, di fronte allo sguardo attonito del bambino, abbastanza sorpreso
da quella versione “familiare” di un Anbu che aveva la fama di essere uno dei
migliori di Konoha.
Eppure, si sentiva intimorito
più da quella “normalità” che dalla versione ufficiale dell’Uchiha.
Forse perché lo sguardo severo
del ventunenne si addiceva più ad un membro della squadra speciale che ad un
borghese.
Naruto, invece, era diverso.
Ota era stato subito catturato
da quell’aura di dolcezza e sicurezza che traspariva da tutta la persona del
Rokudaime.
Vicino a lui si era sentito
immediatamente protetto e il biondino suscitava in lui tanta tranquillità, pari
soltanto all’inquietudine che gli incuteva il suo compagno.
«Moccioso, vieni qui. Sei
fradicio.»
Tono burbero, freddo.
Sasuke si avvicinò
all’undicenne, cominciando a frizionarlo con energia per togliergli di dosso
l’umidità assorbita.
Occhi verdi fissi verso il
basso, a fissare la punta dei piedi mentre l’asciugamano caldo premeva contro i
propri capelli e il corpicino nudo e infreddolito.
Pochi secondi e, quando l’Uchiha
lo ritenne asciutto, una felpa blu notte lo ricoprì da cima a fondo.
Era larga e gli arrivava poco
sopra le ginocchia, ma era calda.
«Sembri tu da piccolo, Sasuke!»
ridacchiò il biondino.
Gli occhi azzurri brillavano
divertiti di fronte al bambino che navigava negli abiti dell’Uchiha quando
aveva appena dodici anni.
Solo a quell’affermazione Ota
notò il ventaglio bianco e rosso che spiccava in contrasto col blu scuro della
stoffa sulla schiena.
«Non ho altri abiti per bambini,
sai.»
«Bah…adesso che ne dici di
asciugare anche me?»
Il Rokudaime era ancora
grondante d’acqua; le ciocche dorate erano diventate color miele per la pioggia
e aderivano alla pelle ambrata.
Il suo corpo risplendeva di una
luce particolare.
Energia, entusiasmo.
Vita.
Ota ne era affascinato.
Come ammirò incredibilmente il
contrasto che si venne a creare tra Naruto e l’Uchiha, quando questi cominciò a
seguire dolcemente con le mani il contorno del corpo del biondino.
I palmi erano distaccati dalla
pelle bronzea di qualche centimetro, ma l’Hokage teneva gli occhi socchiusi,
come se lo stesse accarezzando.
E mano a mano che il moro faceva
scorrere le mani su quel fisico asciutto e longilineo, Ota poteva vedere la
pelle asciugarsi al calore che gli arti emanavano.
Il contrasto che creavano quelle
mani pallide sul corpo dorato era paragonabile soltanto a quello tra i capelli
e gli occhi scuri dell’Uchiha e i fili biondi e le iridi cerulee del Rokudaime.
Tutto in loro era opposto, ma
Ota percepì come i due fossero immagini contrastanti di uno stesso specchio,
facce di una stessa medaglia.
C’era un calore antico che
proveniva dai due uomini, un sentimento che si era propagato nei secoli per
giungere fino a loro.
Un brivido gli salì lungo la
schiena.
Ota aveva la peculiare capacità
di “sentire” le cose.
Il suo clan era possessore di
una particolare tecnica del controllo del chakra tramite le spade.
Facendo roteare le katane ad
altissima velocità, riuscivano ad eludere gli attacchi che prevedevano
l’utilizzo dell’energia in questione.
Colpi come il chidori o il
rasengan, basati sull’accumulo di grandi quantità di chakra, o il Juken degli
Hyuuga erano perfettamente inutili contro gli esponenti del clan Fujiki.
E tutto era basato sul semplice
utilizzo di una katana.
Si creava un feeling tra lo
spadaccino e la sua lama, tale che con la distruzione di una, anche l’altro avrebbe
subito un grave danno.
Ota non era ancora in grado di
maneggiare la spada adeguatamente, ma percepiva il debole flusso che dipartiva
dalla mano all’impugnatura.
Guardando i due, si rese conto
che tra il biondo e il moro esisteva lo stesso identico rapporto.
Nessuno senza l’altro.
Legati da volontà più grandi di
loro.
Legati dal filo rosso delle
leggende che intrecciava i loro cuori.
E, con suo sommo terrore, Ota
percepì un legame di sangue.
Un legame maledetto.
«Ahia! Maledetto Uzumaki!»
Il bambino si riscosse da quella
sottospecie di trance all’urlo dell’Uchiha.
Il Rokudaime aveva morso
l’avambraccio del ventunenne, rimanendovi saldamente attaccato con i denti,
nonostante le proteste del compagno.
Riuscì a scollarselo di dosso
solo dopo svariate proteste e colpi in testa, ma nonostante questo il segno dei
dentini aguzzi rimase sul muscolo del braccio, rosso e livido sulla pelle
candida.
«Bah…guarda cosa hai combinato…»
«Sai che sono segni d’affetto,
tesoro.»
«Tsk…»
Naruto rise, poi guardò verso
Ota.
Lo sguardo dolce, ma severo,
fece arrossire il bambino che chinò il capo.
«Ota, per favore, non parlare a
nessuno di quello che hai visto stasera. Ci metteresti nei guai.»
«Va bene, Rokudaime.»
«Naruto, odio le formalità.»
Nuovo rossore e un lieve
sorriso.
«V…va bene, Naruto-sama.»
«Oddio come sei duro,
mocciosetto! Naruto. Punto e basta.»
«Sì, a capo e lettera grande,
baka kitsune.» sbottò Sasuke, dando un’energica strigliata sulla testa del
compagno.
«Porti rispetto, Uchiha! Non si
fa la “saponetta” al suo Hokage!»
In tutta risposta, il moro
afferrò il ragazzo per il collo, costringendolo ad abbassarsi e sfregò
rudemente le nocche tra la capigliatura bionda.
«Ahi! Ahi! Teme Sasuke!
Lasciami! Questa me la paghi!»
«Magari in natura.»
«Scordatelo! Ti manderò in
bianco per mesi dopo quest’umiliazione pubblica!»
«Ma se c’è solo Ota?» replicò
Sasuke, lasciandolo però andare.
«Peggio! Traviamento di
minorenne!»
«Tsk.»
Ota trattenne a stento una
risatina.
Era strano vedere quelle figure
così austere in pubblico, lasciarsi andare completamente una volta rinchiuse
dentro le mura domestiche.
Strano, ma piacevole, e al
bambino sembrò di essere ritornato ai tempi felici in cui abitava con sua madre
e suo padre.
«Aaaaah, povero piccolo!»
proruppe ad un tratto il Rokudaime, scompigliando la testolina bruna
dell’undicenne. «Come farai con questo sensei maniaco?»
«S…sensei?»
Naruto ghignò.
«Come, non te l’ho detto? Sasuke
Uchiha domani avrà il suo primo incarico come maestro jonin. E tu, Ota, sarai
nella sua squadra.»
Ota alzò lo sguardo attonito
verso Sasuke.
Il moro sembrava impassibile e
indifferente al tutto.
Ma quando gli occhi verdi
incrociarono quelli neri, le labbra del suo futuro maestro si piegarono in un
sorriso appena accennato.
E Ota non ebbe alcun dubbio che
fosse un sorriso di benvenuto.
*fine flash
back*
«Kyuubi-chan!»
La voce del Rokudaime mise fine
al litigio dei genin, distogliendo Ota dai propri pensieri.
«Kaa-san!» urlò la dodicenne,
saltando al collo del biondino con le guance e i vestiti sporchi di brodo di
ramen.
«Ciao piccola! Come è andato il
primo giorno da kunoichi?» Domandò, alzando poi lo sguardo sullo scempio che
era stato fatto al povero Ichiraku ramen.
Alzò perplesso un sopracciglio,
interrogando Ota con lo sguardo.
«Che è successo qui? Passato un
tornado?»
«No, sua figlia dimostrava il
suo affetto ai propri compagni di squadra!»
«Se quello è affetto! Il morso
sanguina!» piagnucolò Eiji, tenendosi il braccio.
Kyuubi, per tutta risposta, gli
fece la linguaccia da dietro la tunica della madre.
Naruto sorrise, prendendo tra le
mani il braccio leso e curando il morso.
In effetti sia lui che Sasuke
avevano sempre sospettato che Kyuubi fosse cannibale.
In fondo, la volpe aveva
dimostrato più volte la sua passione per la carne umana, ancora prima di
diventare tale.
Sin da quando era sigillata nel
corpo di Naruto, la kitsune suscitava nel biondino una vera e propria voglia di
mordere chi gli stava attorno.
In seguito, l’Hokage aveva
mantenuto quell’abitudine, facendola propria, ed era ben consapevole che la
maggior parte delle cicatrici che deturpavano il corpo di suo marito, parte le
bruciature del segno, erano causate non tanto dai combattimenti, quanto dai
suoi denti acuminati.
Sempre a sentire Sasuke, anche
quando Kyuubi aveva preso il controllo del suo corpo non faceva altro che
mordere, ma entrambi avevano sperato che la loro bambina perdesse quella
malsana abitudine di mangiare la gente.
Non era stato così, e adesso
anche Naruto aveva le sue belle cicatrici di morsi sulle braccia.
«Ci farete l’abitudine, ragazzi.
Perfino Sasuke che è notoriamente un brontolone si è rassegnato.»
«Mordete anche voi, Rokudaime?»
domandò Tenjo.
Naruto sorrise.
Quei bambini erano proprio
Inuzuka D.O.C.
Strafottenti, irrispettosi, ma
con un grande cuore come il padre e una dolcezza nel volto e nello sguardo che
potevano aver preso solo dalla madre.
Doveva passarli a trovare prima
o poi.
«Da qualcuno deve pur aver
preso, no?» ghignò, scompigliando i capelli biondo-rossicci della figlia. «Beh,
adesso vai a lavarti Kyuubi. Sei tutta sporca di ramen. Tuo padre dovrebbe
essere a casa.»
«Sì, è a casa. Ma…»
«Ma…?»
«Nulla.»
Kyuubi scosse la testa, e corse
via.
Se avesse parlato a sua madre
dello zio, avrebbe protestato terribilmente e poi, forse, quell’uomo se ne era
già andato.
E la dodicenne voleva vedere suo
padre da sola.
Naruto interrogò i presenti con
lo sguardo, come a chiedere che cosa fosse preso a sua figlia, per scappare via
in quel modo.
Fu Eiji a dargli la risposta.
«Credo sia preoccupata per il
signore di oggi che è andato via con vostro marito.»
«Un signore?»
Tenjo annuì.
«Sì, un signore tutto vestito di
nero! Assomigliava tantissimo al signor Uchiha.»
Un brutto presentimento si fece
strada in Naruto.
«Questo signore…ha detto chi
era?»
«No, ma Uchiha-san lo ha
chiamato Itachi se non sbaglio.»
Il biondino sgranò gli occhi,
sconvolto.
Balbettò qualche parola di
scusa, poi si allontanò di gran carriera.
Doveva indirre lo stato
d’allarme, a causa della presenza di un mukenin di livello S in città.
E, per quanto il suo desiderio
più grande fosse correre a casa a proteggere suo marito e sua figlia, non
poteva esentarsi dal suo dovere di Hokage.
Konoha al primo posto, la
famiglia al secondo.
Ma quanto, in quel momento,
avrebbe voluto invertire quell’ordine!
«Tou-san?»
Kyuubi si affacciò appena alla
porta, incrociando lo sguardo di Sasuke.
Il trentaseienne sospirò, quando
vide gli occhi scarlatti della figlia velati di lacrime.
La bambina, nel ritorno a casa,
si era lasciata andare a quel pianto che prima aveva trattenuto e i residui
delle lacrime salate erano ancora cristallizzati sulle sue gote.
«Vieni pure, Kyuubi.»
La kitsune deglutì,
avvicinandosi appena al padre.
Percepiva ancora la sua rabbia e
non sapeva come comportarsi.
Fortunatamente, Sasuke era molto
più empatico di quanto ci si potesse aspettare.
«Continueremo dopo questo
discorso, Itachi-san.» mormorò, alzandosi e conducendo la figlia fuori dalla
stanza, chiudendo lo shoji dietro di sé.
Itachi socchiuse appena gli
occhi, concentrandosi sui suoni delle loro voci.
Kyuubi singhiozzava, mentre
Sasuke le sussurrava parole di conforto, stringendo a sé il corpicino acerbo.
Sospirò, in preda a un vago
senso di malinconia.
Nonostante tutto, Sasuke era
riuscito ad uscire dal baratro in cui l’aveva trascinato, lasciandolo da solo
nella propria oscurità.
Un’anima inquieta che cerca la
solitudine, ma che vuole compagnia nella stessa.
Ma Sasuke aveva trovato la luce,
lasciandolo a marcire da solo nel buio, senza regalargli neanche la pace della
morte.
Per fortuna, in quella notte
senza fine, anche lui aveva trovato la propria stella.
Sorrise, ripensando a lei.
Lei che attendeva il suo
ritorno.
Eppure, non riusciva a capire se
fosse peggiore la sensazione di solitudine completa provata precedentemente,
oppure l’aver trascinato la donna che amava con sé.
Si scostò una ciocca scura dal
viso, con la mano destra.
Un arto inesistente, ricostruito
con un addensamento di chakra nero.
Come l’oscurità che lo
circondava.
Sasuke rientrò nella stanza,
sedendosi di fronte a lui.
Un lampo interrogativo, negli
occhi di pece, alla vista della mano.
«Il tuo regalino di tredici anni
fa, otooto.» spiegò il maggiore degli Uchiha, sorridendo.
«Se non fossi stato drogato dal
tuo oppio, adesso avresti la testa d’ombra.» sibilò Sasuke.
«Peccato che hai mancato il
colpo.»
«Lui, forse. Ma stai sicuro che
io non sbaglierò.»
Naruto era apparso dietro
Itachi, circondandogli il collo con due kunai affilati.
Pronto ad uccidere.
«Naruto…aspetta!»
«Spero tu abbia una spiegazione
valida, Sasuke, perché stavolta altro che in bianco per qualche mese! Ti lascio
in astinenza anni!» ringhiò il Rokudaime.
«Sasuke, dici a tuo marito di
mettere via quegli stuzzicadenti, per favore?»
Il più giovane dei fratelli
sospirò, alzando gli occhi al cielo.
«Fosse per me lo lascerei fare.
Naruto…la spiegazione c’è.»
«Ovvero? Dai che forse la pena
si riduce a qualche settimana. Giusto per averlo portato in casa.»
«Due giorni!»
«Otooto, io avrei due kunai
puntati al collo.»
«La mia vita sessuale è più
importante della tua esistenza, quindi taci.»
«Sì, anche io ti voglio bene
otooto.»
«Sasuke…questa motivazione?»
«Sta per scoppiare un’altra
guerra tra i Bijuu. Se così sarà, Kyuubi sarà la prima a farne le spese.
Itachi, anche se sembra strano dirlo, è qui per aiutarci.»
«D…davvero?»
Sasuke annuì.
I kunai caddero a terra, mentre
Naruto si lasciò cadere sulle ginocchia.
Kyuubi…la sua Kyuubi, la sua
bambina…
Sasuke gli si avvicinò,
abbracciandolo.
«Stai calmo, Naruto. Staremo in
guardia e non permetteremo a nessuno di toccare nostra figlia.»
Naruto annuì, lasciandosi andare
all’abbraccio del compagno.
Nonostante le rassicurazioni,
era agitato.
Un’ombra aleggiava sulla
famiglia, avvolgendoli a loro insaputa.
E Naruto cominciava già ad
avvertire il peso della solitudine che avrebbe dovuto affrontare in futuro.
Solo.
Di nuovo.
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Capitolo 6 *** tu sei un demone ***
Salve a tutti
La dodicenne era comodamente
seduta al bancone dell’Ichiraku ramen.
Non le erano mai dispiaciuti i
tagliolini in brodo, alimento alquanto presente nella dieta della sua famiglia,
nonostante le proteste del padre che detestava cucinarlo.
Certo, il suo piatto preferito
restava la carne, preferibilmente al sangue, ma non disdegnava una porzione di
Miso ramen quando era depressa.
E, in quel momento, lo era.
Tesa, irritata.
L’atmosfera in casa era
soffocante, a causa della presenza dello zio, ma anche fuori non si trovava più
a suo agio.
Le sue giornate erano
attraversate da percezioni che non le appartenevano.
Chakra.
Enormi correnti di chakra che la
investivano; struggente avviso che qualcosa stesse per accadere.
Aiuto?
No, minacce.
Chiunque fosse il possessore di
quell’energia, ce l’aveva con lei.
Voci nella testa che la
chiamavano.
Invocavano il suo nome,
accompagnato da un suffisso che mai le era stato attribuito.
Kyuubi no Youko.
Lo spirito delle nove code.
«Ehi, volpaccia!»
La voce di Eiji le giunse
all’orecchio, facendole appena alzare gli occhi dalla ciotola.
Sembrava molto più interessata
ai disegni decorativi del recipiente che al gemello.
«Gira al largo, Inuzuka. Oggi
non sono in vena di battutacce.»
«Già nevrotica di prima mattina?»
Ecco anche l’altro.
Tenjo era arrivato, con i suoi
pantaloni blu appena sotto il ginocchio, la maglia a rete coperta da una lunga
canottiera gialla.
Abbigliamento identico a quello
di Eiji, non fosse stato per il colore verde brillante che caratterizzava la
canottiera di questo.
Uguali come pochi, con i capelli
neri dai riflessi bluastri e i loro strafottenti occhi dorati, i gemelli
Inuzuka procedevano sempre in coppia, come a conferma del detto: “le disgrazie
non vengono mai da sole”.
«Gemelli, vi annuncio che non ho
fatto ancora colazione e la vostra carne sembra più appetitosa del solito.»
ringhiò, mostrando i canini affilati così dissimili da qualsiasi dentatura
umana.
Tanto aguzzi che suo padre
portava ancora le cicatrici di quando gli mordicchiava affettuosamente le dita.
Sulle braccia, invece, aveva
quelle che gli lasciava sua madre.
«Amore mio, sei decisamente una
donna da sposare.» commentò Eiji, alzando gli occhi al cielo.
«Facciamo presto, tesoruccio,
così stasera ti preparo spezzatino di Inuzuka!»
«Che pessimi gusti culinari.»
Una voce trillante commentò
sarcastica la battuta in falsetto di Tenjo, prima che l’Uchiha potesse
replicare.
Le iridi scarlatte della
dodicenne si spostarono verso la minuta figura sulla porta.
In controluce, era difficile
distinguerne i lineamenti e il corpo sottile si stagliava come flessuosa ombra
scura in un lampo di luce.
Il debole ringhio della volpe,
tuttavia, non lasciava dubbi sull’identità della fanciulla in questione.
Kasumi Hyuuga, dodici anni,
figlia di Hanabi e Neji Hyuuga, che aveva ereditato il ruolo di capo famiglia
in seguito all’espulsione di Hinata.
Una cascata di capelli neri
ricadeva morbida lungo la schiena flessuosa. Al di sotto delle spalle, la
chioma veniva rinchiusa da strette bende color crema, fino ai fianchi stretti.
Il piccolo corpo, talmente
minuto da dare l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro, era
celato alla vista dalla casacca di un kimono beige, che sfumava in un tenue
azzurro sui bordi, tonalità che riprendeva la spessa fascia blu cobalto che la
fasciava stretta sotto il seno, già alquanto sviluppato per i suoi dodici anni.
A fasciare le gambe snelle e
toniche, solo un paio di pantaloni dello stesso colore della fascia, la cui
lunghezza arrivava a coprire appena la metà della coscia, rivelando le bende
sulla gamba sinistra.
«Kasumi-chan!»
Le mani di Tenjo ed Eiji
svettarono prontamente in aria, in segno di saluto verso la cugina.
Non ne ricavarono altro che uno
sguardo sprezzante delle iridi di ghiaccio, contenenti l’abilità innata che era
stata loro negata per il peccato di non essere nati all’interno del clan
Hyuuga.
Uno sguardo che rendeva ancora
più freddo e impersonale il volto di porcellana della ragazza, nel cui pallore
risaltavano due tenui boccioli rosati a formare le morbide labbra.
«Cugini…»
Fu l’unico saluto appena
mormorato dalla fanciulla, la cui attenzione pareva concentrarsi tutta sulla
compagna di squadra dei parenti.
Hyuuga e Uchiha.
Una rivalità antica quanto il
mondo.
Per qualche strana coincidenza,
lei e l’erede degli Uchiha erano nate esattamente lo stesso giorno.
31 ottobre.
Kasumi non aveva mai creduto
alla casualità.
Se lei e la figlia del Rokudaime
avevano quel dato in comune, ci doveva essere una ragione.
Per la precisione, la giovane
Hyuuga vedeva in Kyuubi la sua più acerrima rivale.
Non riusciva a capacitarsi come
quella “cosa” potesse essere un’Uchiha.
Anche solo d’aspetto.
Non aveva nulla dei lineamenti
perfetti che caratterizzavano il suo clan, i cui membri avevano rigorosamente
capelli e occhi neri; iridi di pece pronte a diventare rubidi all’occorrenza.
Rosse e letali.
Non come quel sangue velato di
azzurro che tingeva gli occhi della ragazza.
«Hyuuga.» ringhiò Kyuubi.
Come ogni animale che si rispetti,
la volpe percepiva l’ostilità della coetanea.
Rivali sin dai primi giorni
d’accademia, l’odio era palpabile tra le due fanciulle.
Due bellezze diverse, ma con la
stessa alterigia.
Una nata dal fuoco, colma di
tutta la sua potenza e la sua luminosità.
L’altra figlia del ghiaccio, con
la fredda aura che la circondava e si rifletteva negli occhi di neve.
Il motivo della rivalità era
molto semplice.
Nascita.
Quando un figlio di un clan
importante veniva al mondo, quest’evento veniva festeggiato in tutto il
villaggio.
Nonostante il clan Uchiha
ammontasse solo a tre membri, il prestigio che si celava dietro al nome della
famiglia fondatrice della polizia di Konoha non era mai venuto meno e il
simbolo del ventaglio era in perenne conflitto con gli Hyuuga per determinare
quale abilità innata forse la più forte del villaggio.
Essendo le due ragazze nate lo
stesso giorno, tutti si aspettavano grandi cose da loro.
Ma Kyuubi, con la particolarità
della sua nascita, il ruolo ricoperto dalla madre e il cognome che aveva
ereditato, aveva come oscurato la gloria della coetanea.
Kasumi, sempre desiderosa di
primeggiare, non era mai stata felice di quella situazione.
Già costretta a competere col
fratello maggiore, la dodicenne odiava chiunque le sottraesse l’attenzione che
le era dovuta.
L’Uchiha gliene toglieva fin
troppa, specie quella dei cugini.
Alle rare cene cui partecipavano
assieme, la ragazza ascoltava le critiche che i gemelli muovevano alla loro
compagna di squadra.
Commenti sarcastici contornati
da malcelato entusiasmo per l’originale compagna di squadra; critiche che
Kasumi accettava solo come tali.
Si era quindi fatta un’idea ben
precisa di Kyuubi.
Sgraziata, manesca, presuntuosa
e per nulla femminile.
Tutto, in lei, non andava bene.
Da quel suo strano colore di
capelli e degli occhi, al modo scialbo di vestirsi, con pantaloni alla
pinocchietto dello stesso blu scolorito del gilet che troneggiava sulla canotta
scarlatta.
Per non parlare dei suoi canini.
No, Kasumi non poteva certo
accettare che quell’essere così lontano dall’umano le togliesse spazio.
Proprio in virtù di quella
dentatura troppo affilata, la giovane Hyuuga aveva trovato un’alleata, per
quanto scadente, nella lotta contro l’Uchiha.
«Ehiiii!»
Era un tornado in forma umana,
quello che fece irruzione all’Ichiraku in groppa ad un possente cervo che, ad
un colpetto sulla schiena della padrona, si fermò diligentemente in mezzo alla
stanza, interrompendo così lo scambio di occhiate omicide tra Kasumi e Kyuubi.
«Come butta, ragazzi?»
La voce allegra e spiritosa
contrastava completamente con quella della Hyuuga, i cui occhi bianchi si erano
levati disperatamente al cielo.
Tsubaki Nara.
Un nome, un programma.
Non necessariamente positivo.
«Ciao, Tsubaki-chan!» salutarono
i gemelli, battendo il cinque alla ragazza.
«Salve, gemelli! Ehilà,
Uchiha…non è ramen a base di carne quello, vero?»
Gli occhi di un intenso blu
scuro si assottigliarono pericolosamente, quando andarono a posarsi sulla
ciotola di Kyuubi.
Per tutta risposta, la dodicenne
afferrò un pezzo di carne tra le bacchette e, con un ghigno che metteva in
mostra i canini, lo mangiò.
«Non sono un coniglio, Nara.» la
beffeggiò.
Un kunai attraversò la sala,
piantandosi vicino all’Uchiha.
Tsubaki era ancora in posizione
di lancio e un sorriso poco rassicurante era dipinto sul volto regolare.
Condoglianze, Kyuubi, mai
mettersi contro un vegetariano.
Specie se questo vegetariano è
una donna, è famosa per gli attentati ai macellai, ed è figlia di Shikamaru
Nara e Ino Yamanaka.
Pessima combinazione.
La ragazza si tirò indietro una
ciocca di capelli sfuggita alle due code corvine che li tenevano bloccati.
Qualche rametto, souvenir di
un’allegra cavalcata nei boschi sopra il suo cervo, Mure, era impigliato nella
chioma arruffata e la maglia rosa da una sola spalla che copriva la maglia a
rete sotto di essa, presentava qualche macchia di resina qua e là.
La minigonna blu a punte, di
cotone sottile, era appena squarciata da un lato e lasciava intravedere i
pantaloncini neri che indossava sotto di essa e sopra le calze a rete che si
interrompevano appena sotto al ginocchio.
Sembrava appena uscita dai
boschi in cui passava la maggior parte del tempo e, in effetti, era proprio
così.
Ma le lunghe cavalcate su Mure
non la stancavano, se aveva ancora l’energia per mettersi a battibeccare con
Kyuubi sulla sua alimentazione.
Tsubaki non odiava l’Uchiha, a
differenza di Kasumi.
Semplicemente, riteneva
necessario convertirla alle verdure tanto disdegnate dalla kitsune.
Se poi, per farlo, considerava
doveroso adoperare maniere forti, come una mannaia, ricordiamo che il fine
giustifica sempre i mezzi.
Fortunatamente per la struttura
del chiosco, Tsubaki fu bloccata nell’attacco verso Kyuubi da sottili fili di
chakra, che le si attorcigliarono attorno ai polsi.
«Cos…?»
I due gruppi lanciarono
un’occhiata distratta alla porta del locale, dove aveva fatto la sua comparsa
una figura sottile e slanciata.
Corti capelli biondo sporco, dal
taglio alla maschiaccio, occhi verdi e fisico quasi androgino; la creaturina
sulla soglia si sarebbe potuta facilmente scambiare per un ragazzo un po’
troppo effeminato.
Il coprifronte fasciava la vita
stretta, ricadendo su fianchi altrettanto piccoli, appena all’inizio dei
pantaloni neri e larghi che indossava.
La stoffa di cotone leggero le
arrivava fino alle caviglie, dove si stringeva secondo un taglio decisamente
orientale. I piccoli piedi calzavano un paio di infradito di paglia, del tutto
differenti dai sandali ninja consueti.
Una maglietta cinese di un verde
oliva, allacciata con semplici alamari scuri sul lato sinistro del petto,
ricopriva il busto acerbo e un sorriso beffardo inaspriva gli altrimenti
delicati lineamenti del volto.
Haruno Yuki.
«Tsubaki, quante volte devo
dirti di non attaccare briga con gli Uchiha?»
A dispetto del fisico quasi
mascolino e del nome ambiguo, la voce della nuova arrivata era molto dolce, a
dir poco musicale, così come il volto si delineava in un morbido ovale, quasi
senza imperfezioni.
«Uffa, Yuki! Perché la devi
difendere sempre?» brontolò Tsubaki, ancora bloccata dai fili.
«Io difendo te, per evitare che
tu diventi cena, Tsubaki-chan.»
Le dita sottili della giovane
eseguirono un movimento aggraziato, così da sciogliere la compagna di squadra
dai legacci.
Dodici anni, figlia del ninja
della sabbia Kankuro e di Sakura Haruno, la giovane Yuki aveva ereditato il
cognome materno per importanza di clan all’interno del villaggio residente.
Era figlia della direttrice
delle squadre di soccorso di Konoha, dell’allieva di Tsunade-Hime, la
precedente Hokage, e andava fiera di questo.
A volte sembrava aver ereditato
il carattere frivolo della madre; di sicuro ne aveva la testardaggine, eppure
non dimostrava la stessa attenzione tutta femminile al proprio aspetto di
questa.
Haruno Yuki era cresciuta
secondo la tradizione dei marionettisti di Suna.
Suo padre l’aveva portata spesso
nel deserto, le aveva insegnato a cavarsela in mezzo alle intemperie e ad
affrontare le situazioni più disagiate.
In mezzo alla sabbia, l’unica
cosa su cui puoi contare è te stessa e non ti servono né capelli lunghi, né
abiti eleganti.
«Konnichiwa, Yuki-chan!» esordì
Kyuubi, sorridendo per la prima volta dall’inizio della giornata.
Yuki non le era mai dispiaciuta
come presenza, forse perché vi era abituata sin dall’infanzia.
Sua madre era la migliore amica
dei suoi genitori e, spesso, li aveva sentiti scherzare su una cotta giovanile
di questa verso suo padre.
Fatto sta che Yuki Haruno poteva
considerarsi una delle poche fortunate persone di Konoha a non essere nella
lista dei possibili antipasti della piccola Uchiha.
Anche perché, diciamola tutta,
era davvero troppo magra.
Al massimo poteva servire da
digestivo.
«Haruno…»
Kasumi rivolse un’occhiata
sprezzante alla propria compagna di squadra.
Non accettava ancora l’idea di
essere finita in squadra con quella ragazza.
Nonostante il prestigio
derivatole dalle abilità della madre, Kasumi era sempre restia ad approvare chi
non avesse una discendenza nobile alle spalle.
Gli Haruno erano un clan minore,
nulla a che vedere con gli Hyuuga, gli Uchiha, i Nara, gli Aburame, gli
Inuzuka, gli Yamanaka…
Perfino gli Akimichi, nonostante
il loro deprecabile aspetto fisico, erano, agli occhi della fanciulla, un
gradino sopra agli Haruno, che non potevano vantare neanche la più piccola e
insignificante abilità innata.
No, decisamente non approvava la
squadra in cui era stata inserita. Tanto meno il maestro…
«Ah, giovani virgulti della
giovinezza! Ecco dove eravate finite!»
Un tornado in tuta verde e
scaldamuscoli arancione comparì nel bel mezzo della stanza.
Rock Lee, 37 anni, Jonin ed
esperto di Taijutsu salutò con un caloroso abbraccio le sue tre allieve,
fortemente in imbarazzo di fronte all’insegnante.
Certamente, sapevano di dover
essere punite per aver disertato l’allenamento, ma forse essere sottoposte a
quelle effusioni pubbliche era davvero troppo.
«Come mai non vi siete fatte
vedere? Dovevamo incontrarci stamattina! Ah, ma io capisco il vostro interiore
tormento che vi spinge ad esplorare nuovi orizzonti…»
«Lee-san…cosa ci fate qui a
quest’ora?»
Un sospiro di sollievo si
diffuse nell’aria, all’ingresso del più giovane tra i maestri jonin.
Ota Fujiki si richiuse lo shoji
alle spalle, inchinandosi di fronte al ninja più anziano.
Lineamenti femminei, occhi grandi
e color verde bosco sottolineavano l’aria timida del ventiseienne.
«Salve, giovane Ota! Sono venuto
a recuperare le mie allieve!»
Con un sorriso, il ragazzo
studiò una ad una le fanciulle seguaci del jonin.
Erano quelle le avversarie che
avrebbero dovuto affrontare i suoi allievi all’esame chuunin, che si sarebbe
dovuto tenere a Kiri tra pochi mesi.
«Immagino che le stiate
allenando per l’esame chuunin.»
«Esattamente, e non vedo l’ora
di poter farle misurare con i tuoi fantastici allievi! Soprattutto…» la mano
ruvida dell’uomo scompigliò la testa di fuoco di Kyuubi «Sono curioso di vedere
all’opera questa ragazzina. È pur sempre la figlia di Naruto e Sasuke. A
proposito, come stanno?»
«Kaa-san è a casa.» spiegò
l’interpellata, scostandosi da quella dimostrazione d’affetto, gesti che
accettava solo dai genitori «…Tou-san…non lo so.»
«Doveva essere in missione, se
non sbaglio, assieme ad Hana e Ayumi.»
Kyuubi non udì il seguito.
Improvvisamente la testa
cominciò a girarle, mentre il mondo attorno a lei perdeva consistenza.
La nausea salì, assieme ad un
improvviso malessere che la portò ad appoggiarsi al sensei.
«Kyuubi, tutto bene?» domandò
Ota, senza ottenere risposta.
La kitsune udiva le voci dei
compagni che si affollavano attorno a lei, ma sempre più forte percepiva una
corrente.
Enorme, verde, letale…
Distruttiva.
Un presagio nefasto, il segnale
che molti attendevano e l’improvviso mancamento fu il solo sollievo a quel
disagio causato dall’opprimente sensazione che stesse per accadere qualcosa di
brutto.
Collegato a suo padre.
Sasuke era in missione, quando
accadde.
Prima un leggero malessere, poi
un dolore lancinante che si propagava come una scarica elettrica nel suo corpo,
concentrandosi nel segno.
«Uchiha-san…»
Hana Shiotari, ventiquattro
anni, Anbu dal fisico prosperoso, si chinò su quello che era stato il suo
maestro jonin ed era il suo attuale caposquadra.
Molto curata, attenta ai
dettagli e ai particolari, spesso anche frivoli, la fanciulla aveva penato a
lungo per diventare Anbu, quasi quanto a convincere la Godaime ad accorciare i pantaloncini estivi delle divise.
I capelli ramati, stretti in due
codini da fermagli a forma di farfalla con gli strass, ondeggiavano al ritmo
preoccupato del capo chino sul maestro.
Molto più dotata di Hana, ma
ugualmente frivola, Ayumi Ryutari, diciassettenne minuta e affascinante.
Capelli biondi, occhi azzurri e
un aristocratico nasino all’insù da bambola di porcellana.
Era entrata a far parte della
squadra Anbu a soli undici anni.
Sebbene fosse spesso ingenua e
tarda a comprendere, aveva una buona capacità d’azione e un grande cuore.
Sasuke l’aveva promossa più per
non separarla dai compagni più grandi che per merito vero e proprio.
Ota, Hana, Ayumi…ragazzi
problematici e ninja con ancora più difficoltà, Sasuke aveva fatto in modo che
restassero uniti e, per appianare i disagi che avrebbero potuto provocare ad un
altro superiore, li aveva tenuti con sé, aiutandoli e sostenendoli in ogni
difficoltà.
Alla fine, erano riusciti a
meritarsi quasi appieno il grado che portavano.
Riuscivano miracolosamente a
compensarsi l’un l’altro e, l’Uchiha ne era convinto, la perdita di uno di loro
avrebbe portato alla rovina l’intero gruppo.
«Hana, Ayu…allontanatevi.»
mormorò «E’ un ordine!» aggiunse, notando il loro tentennamente.
Le due ragazze fecero appena in
tempo a sparire, che il chakra di Sasuke, troppo a lungo trattenuto, esplose.
Caldo.
Fuoco.
Metà foresta fu rasa al suolo da
quell’energia spaventosa.
Il sigillo del fuoco si era
sciolto.
«Grazie per averla riportata a
casa, Ota.»
La voce di Naruto risuonò
limpida e cristallina sull’ingresso.
Di tanto in tanto, gli occhi
azzurri andavano preoccupati al corpo privo di sensi della figlia, adagiato sui
cuscini nella stanza accanto.
«Dovere, Rokudaime…»
Anche il ragazzo osservava con
ansia la propria allieva.
Non era mai stata soggetta a
malori simili, né aveva dimostrato una tendenza allo svenimento.
Al contrario, la sua capacità di
resistenza allo sforzo fisico era proverbiale.
«Spero non sia nulla di grave.»
«Probabilmente solo un po’ di
stress.»
Tentativo più di confortare se
stesso che Fujiki, Naruto trattenne a stento un sospiro, congedando il jonin.
«Preoccupato, Naruto?»
Itachi entrò nella sala, proprio
mentre il biondino si sedeva accanto alla figlia.
Presenza inquietante, austera.
Ombra che si aggirava per
l’abitazione; fantasma di un passato che non intendeva scomparire.
«Sarebbe strano se non lo
fossi.»
Il mukenin rise, con quel suo
strano modo di fare sommesso, come se sapesse sempre qualcosa in più degli
altri e intendesse far pesare la propria superiorità.
«È una bella bambina.»
«Lo so.»
«Peccato che abbia il
caratteraccio di mio fratello.»
«Sasuke è molto più dolce di
quanto semb…»
La porta dell’ingresso si aprì,
con il tonfo secco degli shoji quando giungono al termine del percorso per
spalancarli.
Il sorriso di Naruto, istintivo
ogni volta che il marito tornava, si gelò sul volto brunito quando scorse la
pelle ricoperta di segni scuri e le iridi fiammeggianti.
«Uchiha…» mormorò.
Il ragazzo annuì, in risposta.
Il chakra negativo era
percepibile attorno a lui; sottile nebbia impenetrabile.
«A quanto pare, il primo sigillo
si è sciolto.» commentò Itachi, senza apparente interesse.
L’Uchiha sembrò osservarlo
perplesso per qualche secondo, come se si stesse chiedendo il motivo della sua
fastidiosa presenza lì, poi parve rammentarsene.
«Sasuke è troppo buono con te.
Io ti avrei già tagliato a fettine.»
Sospetto confermato.
Sasuke e l’Uchiha erano e non
erano la stessa persona.
«Ti servo, e lo sai anche tu.»
Un “tsk” sdegnato accompagnò
quell’affermazione, mentre la katana si depositava a terra, sul tatami.
Gli occhi contenenti lo
sharingan si posarono sul corpicino stremato di Kyuubi e la sua espressione
parve addolcirsi.
«Sasuke…»
Naruto gli si avvicinò,
posandogli la mano sulla spalla.
Avvertiva il suo turbamento, lo
conosceva fin troppo bene per non riuscirci.
L’Uchiha parve temporeggiare,
poi sospirò.
«Dobbiamo dirglielo, Naruto.»
«Cosa?»
«Dobbiamo dirle come è nata e
chi è realmente.»
Il Rokudaime aggrottò le
sopracciglia.
«Come sarebbe a dire “chi è
realmente”? Lei è Kyuubi Uchiha, nostra figlia. Nient’altro.»
«Kaa-san…Tousan…»
La discussione fu interrotta da
un breve mugolio della bambina, i cui occhi scarlatti fissavano assonnati i
genitori.
Si svegliò di colpo, quando
scorse il corpo del padre rivestito da segni neri che emanavano un’energia
negativa e familiare.
Non le piacevano quei segni.
Si ritrasse, quando Sasuke si
chinò alla sua altezza.
Questi non fece una piega,
limitandosi a porgerle la mano.
Kyuubi l’annusò.
In quei momenti prevaleva la sua
parte animale, l’istinto.
Parte che Sasuke sapeva bene
come gestire.
Le piccole narici del nasino
aristocratico fremettero qualche secondo.
L’odore era alterato, ma sotto
quel chakra oscuro e malevolo percepiva chiaro e rassicurante, quello del
proprio Tou-san.
Si strusciò contro la mano.
Un moto di tenerezza, poi
l’Uchiha tornò serio.
«Kyuubi…io e Kaa-san ti dobbiamo
parlare.»
«Ci penso io, Sasuke.» si offrì
Naruto.
Scosse la testa, in risposta.
Spettava a lui, visto che era
lui la causa di tutto questo.
«Cosa c’è, Tou-san?»
«Ti sei accorta di essere un po’
diversa dagli altri bambini?»
«Ovvio, io sono più forte.»
Modestia.
Il clan Uchiha non si smentiva,
neanche nella sua ultima discendente, pensò Naruto.
«Oltre a questo, che era ovvio…»
E neanche in suo marito.
«…hai visto che a volte hai un
comportamento un poco…animale?»
«Anche Kaa-san.»
«Che c’entra? Kaa-san è un
animale!»
Stavolta nessuno risparmiò a
Sasuke un calcio nel deretano e anche piuttosto forte.
«Idiota!» sibilò il Rokudaime.
«Ha parlato lo scemo del
villaggio.» mugugnò l’Uchiha, massaggiandosi la parte lesa.
«Mmmmmh…» il volto del biondino
assunse un pericoloso color porpora «Aaaaah! Sei odioso! Mi chiedo perché ti ho
sposato!»
«Dunque…perché mi ami, perché
sono bello e perché sono bravo a letto?»
Il color porpora divenne
scarlatto e Naruto si voltò stizzosamente di spalle.
«Solo la prima delle tre
opzioni. Ultimamente nella terza stai diventando piuttosto scadente…»
«Dopo questa, chiedo il
divorzio.»
«Tou-san, Kaa-san…»
«Sì?» esordirono i due in
contemporanea.
«Cosa mi dovevate dire?»
Incredibile quanto poco ci
voglia a far riacquistare la serietà a Sasuke Uchiha.
«Ecco…hai visto che i tuoi
dentini sono un po’ più lunghi di quelli degli altri, che ami la carne, anche
umana…»
«Tou-san non sei bravo a
tergiversare, arriva al sodo.»
Sasuke sospirò.
Non sapeva la reazione che si
sarebbe scatenata, ma era per lo stesso bene di sua figlia.
Il segno aveva cominciato a
richiamarlo, altri sigilli si sarebbero sciolti e demoni, fino a quel momento
imprigionati, si sarebbero risvegliati solo per distruggerla.
Doveva essere pronta a
riceverli.
Non come Kyuubi Uchiha, ma come
Kyuubi no Youko.
«Tu sei un demone, Kyuubi.»
“Ti devo parlare”, sono tre
parole che non andrebbero mai pronunciate.
Angosciano, opprimono, generano
ansia.
Sono sempre presagio di qualcosa
di spiacevole.
Non sai cos’è e l’attesa diventa
interminabile.
Specie quando a rivolgerle sono
i tuoi genitori.
E, anche quella volta, a
giudicare della fuga della kitsune dalla stanza, avevano sortito il loro
tragico e drammatico effetto.
«Tu sei un demone.»
Per ora vi fate bastare questi, come al solito.
Ah, Rin non è realmente un’Inuzuka, ma mi faceva piacere
infilarla in quel clan e, visto che Kishimoto-sensei non ci ha degnato di
spiegarci le sue origini…
Nota: il design e i caratteri di Tsubaki Nara, Kasumi
Hyuuga, Kumiko Nara (apparirà) e Kazushi Hyuuga, non sono miei, ma i due Hyuuga
sono © di Sakurey, mentre Tsubaki Nara è © di Hanabi92.
Kumiko Nara è © di Yumeko
Ma torniamo al discorso cosplay, ormai ne sapete
abbastanza ù__ù
Faccio una lista dei personaggi con accanto il nome/nick
dell’interprete (non tutti hanno un link, perché non di tutti conosco il nick
su efp o su manga.it), così vi rendete conto sia della compagnia, sia di chi
manca.
Precisazione: il bozzetto dei costumi non è
facoltativo. Se il personaggio non è ancora apparso, possiamo discuterne
assieme su msn, ma se così non fosse, tenete presente che dovete attenervi agli
abiti che indossano nella fanfiction.
A chi è interessato, posso fornire descrizioni più
dettagliate e anche indirizzarvi a chi può spiegarvi come realizzarli.
In ogni caso, se decidete di fare un personaggio non ancora
apparso (vedi i personaggi secondari, visto che gli abiti non sono
quelli del manga, oppure un demone), mandatemi la vostra descrizione fisica
(specie per i demoni), così vedrò di adattare il costume alle vostre esigenze
fisiche.
PERSONAGGI PRINCIPALI E ASSOLUTAMENTE INDISPENSABILI
Naruto Uzumaki: Onlykitsune (e non
accetterò un altro Naruto in un cosplay all’infuori di lei ù_ù)
Sasuke Uchiha: c’è bisogno di chiederlo ù__ù? La
sottoscritta.
Kyuubi Uchiha: Shichan
Eiji&Tenjo Inuzuka: le devo ricontattare,
comunque metto il nick di una di loro due qui XD, l’altro non lo conosco: ru-ka-wa
Ota Fujiki: Assolutamente, tragicamente,
drammaticamente libero.
Itachi Uchiha: se riesco a convincerla, pikkola-aya
Ragazza di Itachi molto tarda ad apparire XD: ancora
libera, ma sappiate che deve essere uno scricciolo sull’anoressico andante.
Hana Shiotari: libera.
Ayumi Ryutari: libera.
Koori: mika-mika
Shinigami: altro personaggio tragicamente libero.
Shukaku: il mio ragazzo ù__ù
Nekomata: orofrane/bia-chan
Isonade: se tutto va bene, uo-chan, altrimenti Kei_saiyu
Sokou: rika e Galeon? Forse. Altrimenti, fatevi
avanti, ma rammentando che è un demone doppio e che, in quanto tale, deve
essere portato da due persone che vanno d’accordo (anche perché il vostro
costume sarà tragico, visto che è progettato in modo che sia legato)
Houkou: rei murai
Raijuu: tragicamente libero ç__ç
Kaku: chy-chan
Yamata no Orochi: (visto che la orochimaru ufficiale
si rifiuta =__=), Kurenai88
Kasumi Hyuuga: Hanabi Uchiha
Kazushi Hyuuga: altro da verificare, comunque per ora
lo considero semi-libero.
Retsu Aburame: apparirà più in seguito, comunque è
piccolo, capelli neri e occhi blu. Se intanto qualcuno vuole farci un
pensierino.
Kumiko Nara: altra che appare in seguito. Libera.
Tsubaki Nara: Libera.
Yuki Haruno: libera.
PERSONAGGI SECONDARI, MA GRADITI. DA PRENDERE IN
CONSIDERAZIONE, SOLO SE NESSUNO DEI PERSONAGGI PRINCIPALI E’ DI VOSTRO
GRADIMENTO. (tutti liberi)
Sakura Haruno
Kiba Inuzuka
Hinata Hyuuga
Neji Hyuuga
Hanabi Hyuuga
Shikamaru Nara
Ino Yamanaka
Kankuro
Choji Akimichi
Rock Lee
Shino Aburame
Orihime Aburame (moglie di Shino XD, anche lei appare poi)
Tsunade
PERSONAGGI SECONDARI E SUPERFLUI (da prendere in
considerazione se e solo se le prime due liste sono state completate)
Pain
Konan
Kakuzu
Hidan
Kisame
Zetsu
Deidara
Sasori
Tobi
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