I sigilli del fuoco

di rekichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kyuubi Uchiha ***
Capitolo 2: *** I gemelli Inuzuka ***
Capitolo 3: *** Koori ***
Capitolo 4: *** Visite inattese ***
Capitolo 5: *** Minaccia ***
Capitolo 6: *** tu sei un demone ***



Capitolo 1
*** Kyuubi Uchiha ***


Salve a tutti

Salve a tutti.

Come promesso, vi porto i primi capitoli de: “I sigilli del fuoco”, il seguito di “Double Face”.

Ringrazio in primis tutte le ragazze che hanno seguito la prima parte della trilogia, con la speranza che anche questa soddisfi le loro aspettative.

Vi avviso subito, però, che questa parte, ahimè e ahivoi!, non è conclusa.

Quindi, arrivata al capitolo 9 circa, vedrete gli aggiornamenti rallentare drasticamente.

Altra notiziola piccola, piccola ma che, forse, potrebbe interessare qualche cosplayer vagante.

Stiamo tentando, da un anno circa, di metter su il cosplay della trilogia.

A questo proposito, cerco qualche folle volontaria, disposta a partecipare.

Alla fine della pubblicazione dei capitoli, metterò la lista dei personaggi da portare.

In specie, si ricercano i personaggi maschili ç__ç. Se qualcuna di voi conosce due ragazzi che assomigliano almeno vagamente a Raijuu (sì, quello apparso in Double face =ç=) o a Ota (che conoscerete tra poco XD), me lo faccia sapere ç__ç!

Ora vi lascio alla fanfiction.

Ps: stiamo tentando di organizzare anche il cosplay delle bestie con le code da portare al romics 2008. Se siete interessate, fatevi vive. Il mio indirizzo è nel profilo autore.

Un ciuffo di capelli castani svettava sulla nuca del ninja, che si avvicinava furtivo al bersaglio.

La vena pulsava sulla tempia sinistra; segno d’evidente irritazione.

Raramente si arrabbiava, ma in quel momento Nara Shikamaru, trentasei anni, grado jonin e maestro all’accademia ninja di Konoha, era infuriato.

Prese fiato, prima di richiamare all’ordine la fonte della sua disperazione da quanto? Cinque anni?

«UCHIHA!»

La dodicenne aprì gli occhi di colpo, sgranando spaventata le iridi rosso sangue.

Un bordo azzurro lo evidenziava, rimarcando maggiormente la pupilla felina di un altrettanto intenso cielo.

La chioma, un tempo interamente bionda, aveva cominciato a sfumare su un tenue arancione, fino a diventare carminio.

Una fiamma che sfumava dal dorato della nuca fino al sangue delle punte, in un circolo di colori caldi che contrastavano col candore etereo della pelle.

Nessuno, guardandola, avrebbe potuto sospettare che quell’infuocata ragazzina potesse essere l’ultimo membro del prestigioso clan Uchiha, di cui gli appartenenti erano caratterizzati tutti da colori notturni.

Ma Kyuubi Uchiha non era mai stata una bambina normale, a cominciare dal fatto di essere figlia di Sasuke Uchiha e Naruto Uzumaki.

Fin qui tutto normale, considerando che il Rokudaime e il suo compagno erano il maggior concentrato di stranezze mai visto a Konoha e dintorni, ma c’era un piccolo, irrilevante particolare a cui ho dimenticato di accennarvi.

Kyuubi Uchiha era un demone.

Un demone mortale, inconsapevole di esserlo, ma un demone.

Nonostante tutto, neanche questa sua natura poco umana l’avrebbe salvata dall’ira del padre, appena convocato da Nara-sensei.

Calò il silenzio nella classe, quando Uchiha Sasuke, Anbu di 1° livello e comandante di una squadra speciale, fece la sua improvvisa comparsa, in una raffica di vento.

Con i suoi trentasei anni d’età, l’ormai non più ultimo membro del casato Uchiha non poteva più dirsi un ragazzo, ma di certo era rimasto un bell’uomo.

I capelli corvini erano stretti in una piccola coda, con alcune ciocche ribelli che, sfuggendovi, andavano a sottolineare i bei lineamenti marcati del volto. I severi occhi a mandorla, dello stesso taglio della figlia, scrutavano con pacata attenzione l’aula; le emozioni nascoste all’interno di quei pozzi neri.

A deturpare la bellezza di quel visto dietro cui aveva sospirato, e sospirava tutt’ora, più di una ragazza, una cicatrice che si notava appena sulla pelle candida e che pareva espandersi a tutto il corpo.

«Konnichiwa, Shikamaru.» salutò, con voce bassa e pacata.

«Konnichiwa, Sasuke. Non c’era bisogno che venissi subito.» si scusò il manipolatore di ombre, notando che l’Uchiha teneva ancora in mano la maschera felina con cui si copriva il volto durante le missioni.

«Nessun problema. Stavo andando a consegnare il rapporto giornaliero al Rokudaime. Non credo se la prenderà se non lo faccio di persona.»

Fischiò.

Un ragazzo dai capelli neri e grandi occhi verdi apparve nella stanza.

Il fisico sottile era fasciato dalla divisa Anbu e il tono reverenziale con cui si rivolgeva a Sasuke, lasciava intuire che fosse uno dei suoi sottoposti.

«Ota, consegna il rapporto al Rokudaime.» ordinò, lanciandogli un rotolo.

Il ragazzo lo afferrò al volo, arrossendo vistosamente, prima di sparire.

Gli occhi neri tornarono a posarsi su Shikamaru, ormai era consapevole che l’Uchiha non se ne sarebbe andato senza sapere cosa aveva combinato la sua figlioletta.

«Sasuke, andiamo a parlare fuori.» propose.

Sebbene insegnante severo, il Nara conosceva il carattere orgoglioso della sua alunna e risparmiarle una strigliata pubblica era il meno che potesse concederle.

Ma Sasuke fu irremovibile.

«Spiacente, ma se Kyuubi ha sgarrato qualche regola è giusto che me lo dici di fronte a tutti i suoi compagni.» decretò.

Gli occhi neri scrutarono la scolaresca, alla ricerca della testolina color fuoco che tentava invano d’inabissarsi sotto il banco.

Quando la trovò, le fece cenno di raggiungere lui e il sensei.

Con un sospiro rassegnato, la dodicenne si alzò.

Fisico minuto e acerbo, con il piccolo seno appena accennato sotto la maglia bianca che aveva indosso. La stoffa candida lasciava morbidamente scoperta la spalla destra e ricadeva lungo il corpo, arrivando appena più su dei corti pantaloncini scarlatti a mezza coscia.

Le dita sottili scostarono con noncuranza una ciocca ribelle, mentre i piccoli piedi calpestavano felpati il suolo.

Percorse lo spazio che la separava dalla cattedra con passo altero, dal portamento impeccabile, conscia che, se avesse voluto, avrebbe potuto schiacciare i suoi compagni come miserabili insetti.

Ma, ciò nonostante, quando si trovò di fronte al padre, si fece piccola come una bambina.

«Kyuubi…- sospirò Shikamaru -…si è addormentata di nuovo in classe. È la terza volta questa settimana. Ha, inoltre, avuto quattro richiami disciplinari per risse con i compagni e…»

Sasuke spostò lo sguardo freddo e impassibile dalla figlia al Nara.

«…e come mai io e Naruto non siamo stati avvisati?»

Inflessibile.

Una perfetta maschera d’indifferenza e controllo, ma Kyuubi poteva avvertire la delusione che aleggiava in lui.

«Ho mandato le note direttamente al Rokudaime.»

Silenzio.

Poi, nella calma glaciale dell’aula, l’impercettibile rumore dei nervi di Sasuke che si spezzavano prima che il ninja, con un gesto di saluto verso Shikamaru, sparisse.

Naruto Uzumaki era tranquillamente seduto alla propria scrivania.

Diventato Hokage una volta ventitreenne, tredici anni dopo il ragazzino svogliato non c’era più.

Al suo posto, si trovava un uomo fatto, dai bei capelli d’oro scompigliati.

Gli occhi azzurri sempre molto grandi e limpidi, come due specchi in cui si potevano leggere tutte le sue emozioni.

Il viso paffuto si era snellito e i lineamenti si erano fatti più marcati, sebbene risultassero sempre abbastanza morbidi, affatto segnati dagli anni trascorsi.

La pelle abbronzata presentava qualche cicatrice in più, ma la lunga tunica da Hokage rivestiva tutt’ora un corpo tonico e scattante, dalle forme sode che erano in grado di far impazzire il compagno.

Ma in quel momento, a nulla sarebbe valso lo sfoggio totale del suo sex appeal per salvarlo dalla furia del suddetto.

«Naruto!» con molto poco riguardo per il ruolo di Rokudaime che l’amante rivestiva e privo della sua rinomata calma, Sasuke Uchiha piombò nell’ufficio del biondo, con grande costernazione di un disperato Konohamaru che non era riuscito a bloccarlo e che, ora, si proferiva in profonde scuse.

Con un sorriso, Naruto lo congedò, prima di dedicarsi a Sasuke.

«Successo qualcosa, Sasuke-kun?» chiese, sorridendo sornione e ammirando il corpo ben modellato del compagno che si fletteva sotto la divisa da Anbu.

«Perché non sapevo nulla delle note disciplinari di nostra figlia?»

Poco incline a lasciarsi andare a fantasie sessuali quando si trattava di Kyuubi, Sasuke ignorò deliberatamente lo sguardo lascivo e provocante del biondo, andando subito al sodo.

Naruto sbuffò, alzandosi e mettendo alcune pratiche nello schedario.

«Sei troppo severo. È solo una ragazzina. E poi in accademia si annoia.»

«Ha picchiato dei compagni.»

«E’ solo un po’ vivace!»

«Poteva ucciderli, Naruto!»

Il Rokudaime si voltò verso il compagno; gli occhi cerulei che sprizzavano rabbia.

«E noi potevamo farle fare subito l’esame per genin!»

«Aveva sette anni!»

«E adesso ne ha dodici! È la persona con più chakra nel villaggio. Si sente bloccata, impedita! Le sembra che non la stimiamo abbastanza!»

L’atmosfera si stava facendo incandescente.

L’educazione ninja della figlia era sempre stato terreno di scontro tra i due, ma l’aveva avuta sempre vinta Sasuke.

L’Uchiha si era battuto strenuamente per mandare Kyuubi in accademia il più tardi possibile, rifiutandole il permesso di sostenere l’esame genin prima dei dodici anni, nonostante le proteste della diretta interessata, di Naruto e degli insegnanti che non riuscivano più a gestire l’immensa quantità di chakra della bambina.

Forse l’aveva frenata, ma era importante che trovasse un gruppo di coetanei con cui condividere le proprie esperienze.

«Gradirei essere messo al corrente del comportamento scolastico di mia figlia.» sibilò con evidente irritazione.

Naruto sospirò, accarezzando le braccia di Sasuke, per poi appoggiare la testa sulla sua spalla, crogiolandosi nell’abbraccio che non tardò a giungere.

«Dai, Sasuke. Domani diventerà genin…lasciala respirare un po’.»

La stretta si fece più forte attorno alla vita del biondino, mentre il volto dell’Anbu affondava nei suoi capelli.

Dodici anni…quanto tempo era passato da quando quello scricciolo era venuto al mondo.

Nella sua mente si riaffacciavano i ricordi della bambina. I suoi primi vagiti; i primi passi…il primo dentino aguzzo che aveva lasciato Sasuke abbastanza perplesso su quella che sarebbe potuta diventare l’alimentazione della figlia, facendolo perfino esclamare preoccupato: «Speriamo sia vegetariana!»…

«Hai già scelto il suo maestro jonin?» domandò, posando un bacio sulle labbra del compagno.

Naruto annuì, soddisfatto, mentre indietreggiava fin sopra la scrivania.

Afferrò Sasuke per il collo della maglia da Anbu, ma prima del bacio che gli fece dimenticare qualsiasi cosa esistesse fuori da quella stanza, l’Uchiha riuscì a mormorare un flebile:

«Chi è?»

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Capitolo 2
*** I gemelli Inuzuka ***


Salve a tutti

Kyuubi si tirò indietro i capelli biondo rossicci, le cui punte scarlatte sfioravano appena le spalle.

Con gesti secchi e decisi, li imprigionò in una coda di cavallo, sistemandosi la canotta aderente di un rosso brillante, simile alle fiamme che gli ardevano sul capo. A riparare le sue nudità fin troppo scoperte, il gilet di cotone dello stesso blu scolorito dei pantaloni alla pinocchietto. Dietro di questo, fiero e orgoglioso, lo stemma del clan di cui faceva parte.

Si soffermò a studiare gli ideogrammi scarlatti che le circondavano i polsi fino all’avambraccio, interrogandosi ancora una volta sul loro arcano significato.

Con un cenno di dubbio malcelato, afferrò le spesse bende che si avvolgeva attorno alle braccia per celarli alla vista, prima di serrare cinque dita sottili e candide come la neve attorno al coprifronte nuovo di zecca.

Un breve sorriso apparve sul volto soddisfatto, prima che la stoffa blu contornata di placca metallica con stemma del villaggio fosse legata attorno alla vita sottile, ricadendole morbidamente sui fianchi.

Così vestita e con il portamento regale cui era consona accentuato dalla consapevolezza di essere una kunoichi a tutti gli effetti, raggiunse i genitori in cucina.

«Ohayo, kaa-san!» salutò, saltando al collo di Naruto e stampandogli un bacio sulla guancia.

Esattamente come il padre, rare volte Kyuubi si lasciava andare a dimostrazioni di affetto vere e proprie fuori dal nucleo familiare, ma per i suoi genitori faceva un’eccezione.
E il Rokudaime ricambiò volentieri quel dolce saluto.

Tentennò a lasciarla andare via dalle proprie braccia.

Raramente gli capitava di vedere sua figlia la mattina; di solito quel privilegio spettava a Sasuke, che partiva per le missioni solo dopo essersi assicurato che la figlia fosse andata a scuola.

Ma quel giorno, Naruto aveva deciso di entrare con un’ora di ritardo in ufficio, per salutare la figlia appena diplomata.

La osservò, constatando ancora un volta la somiglianza che li accomunava.

Aveva ereditato la sua ossatura esile e anche il volto tondo su cui, quando sorrideva, si disegnavano due splendide fossette.

Ma il taglio degli occhi e il candore dell’epidermide erano senz’altro eredità del padre, così come il portamento altero e deciso; senza contare una certa arroganza nello sguardo.

«Ciao, piccola. Pronta per il primo giorno da kunoichi?»

«Mh.»

Kyuubi si limitò ad annuire.

Monosillabica, come il padre.

«Dov’è tou-san?» domandò, notando l’assenza di uno dei due genitori.

«In missione.»

Naruto la fece sedere al tavolo, servendole la colazione.

La dodicenne sospirò.

Doveva mancare proprio quel giorno?

Le mani erano spasmodicamente chiuse a pugno; tese, nervose.

Il bianco della pelle si era fatto ancora più chiaro in corrispondenza delle nocche e il labbro inferiore veniva crudelmente torturato dai dentini aguzzi.

Nervosismo da cui fu un attimo distratta quando il Rokudaime le porse un pacchetto avvolto in carta blu scuro.

«Ti ha lasciato questo.» mormorò, posandole un bacio sulla fronte.

Perplessa, Kyuubi aprì il regalo.

Un astuccio in legno di ciliegio, di forma quadrata. Il lungo uso ne aveva levigato le incisioni e, adesso, la scatola appariva liscia al tatto.

Titubante, la ragazza aprì il rotolo di pergamena che accompagnava l’astuccio, spezzando il sigillo in ceralacca.

Cosa insolita, su questa la cera disegnava il marchio del clan Uchiha, ma con una differenza.

Al centro del ventaglio, faceva bella mostra il contorno di un papavero da oppio, simbolo del ramo femminile.

Suo padre non aveva mai usato quel sigillo.

Fissò la carta, su cui spiccava la lineare ma sbrigativa calligrafia di Sasuke.

«Questo oggetto si tramanda dalla nascita del clan tra le donne della famiglia Uchiha. Adesso spetta a te portarlo, come le altre che ti hanno preceduta.»

La mano di Kyuubi tremò quando lesse le parole conclusive alla formale lettera, trattenendo a stento un singhiozzo di commozione.

«Ti voglio bene piccola.»

Naruto, dietro di lei, sorrise quando la bambina aprì la scatola, estraendone un ciondolo d’argento, raffigurante un papavero in ogni minimo dettaglio.

Notando che la figlia era restia a toccarlo, il Rokudaime prese tra le dita le due estremità del sottile nastro in seta nera cui era legato il ciondolo, allacciandolo al collo della figlia.

L’ultima persona a portare quella collana era stata la madre di Sasuke.

E Naruto sapeva che consegnarla a Kyuubi era stata una decisione ardua.

Ne avevano discusso a lungo, visto che donarglielo non era un gesto dovuto, bensì il riconoscimento che la loro bambina era diventata una donna e l’idea che la figlia crescesse non era stata facile da accettare.

Per nessuno dei due.

«R…ragazzi!»

Il povero ninja dai capelli corvini si agitava furiosamente, alla ricerca di un modo per quietare i suoi allievi.

Ventisei anni, molto alto, con lineamenti vagamente femminei e grandi occhi di un intenso verde smeraldo, Fujiki Ota era diventato membro della squadra Anbu a soli tredici anni, sotto il comando del suo ex maestro jonin, Sasuke Uchiha.

Unico, probabilmente, assieme al Rokudaime, a intuire le capacità nascoste di quel ragazzo.

Molto nascoste.

Di carattere mite e pacifico, il moretto faticava ad opporsi o a negare qualcosa, specie ai compagni.

Ota Fujiki si trovava, adesso, alle prese col primo incarico da insegnante jonin e non era di certo un esempio d’autorevolezza.

Cercava, titubante, di coprire il brusio degli unici due membri della squadra presenti.

Inuzuka Eiji, dodicenne dall’aspetto tranquillo, era infatti immerso in un’appassionante discussione col suo gemello, Inuzuka Tenjo.

Ragazzini apparentemente dolci e miti, i due gemelli erano invece dotati di un carattere vivace e frizzante, tendente ad un umorismo tanto fuorviante da risultare perfino perverso.

Tuttavia, parecchie differenze separavano Eiji e Tenjo, ma i due si guardavano bene dal rivelarle al mondo, perdendo così ghiotte occasioni per crudeli marachelle.

Capelli neri con riflessi bluastri ricadevano in morbidi ricci sopra la testa e favolosi occhi dorati mettevano ancora più in risalto i bei tratti dei volti infantili, che promettevano di diventare lineamenti di splendidi uomini una volta cresciuti.

Ma tutta la loro bellezza ed esuberanza non impedì al loro sangue di gelarsi nelle vene all’arrivo dell’ultimo membro del terzetto.

Kyuubi Uchiha incedeva, elegante e altera, verso di loro, non degnando di un solo sguardo i suoi neo-compagni, miseri e petulanti moscerini.

Si diresse invece verso Ota, inchinandosi rispettosamente.

«Yurusuke, Fujiki-sama. - sussurrò - Purtroppo ho fatto tardi.»

Ota non potè trattenere un brivido di commozione alla vista della ragazzina conosciuta molti anni prima, quando Uchiha-sama, non avendo trovato una babysitter all’ultimo minuto, se l’era trascinata dietro in missione che appena gattonava.

Era sorprendente vedere quel fagottello, trasformato in un’adolescente dallo sguardo carminio.

«Non preoccuparti, Kyuubi.- le sorrise - Adesso che siamo tutti possiamo, cominciare.»

le gote del jonin si arrossarono appena per l’emozione, mentre la voce tremava nel tentativo di non balbettare.

Infine, riuscì a porre la classica domanda di rito:

«Che ne dite di presentarvi?»

Naruto Uzumaki stava riordinando le ultime pratiche nel suo ufficio.

C’era talmente tanto disordine che, prima di sistemare, aveva dovuto rovesciare il contenuto dello schedario a terra e ora si divertiva a spulciare le schede ninja del suo villaggio.

Sorrise, di fronte al fascicolo contenente le sue marachelle giovanili, uno dei più voluminosi del gruppo, altrettanto pieno ma per trascorsi molto più gravi dei suoi.

Passarono tra le sue mani le schede di Sakura, Ino, Kiba…chissà come stavano lui e Hinata, doveva passare a trovarli prima o poi, Neji; c’era perfino quello di Kakashi e il Rokudaime sorrise divertito nell’apprendere certe intemperanze giovanili del sensei.

«Ciao, Naruto.»

Il biondino alzò lo sguardo, incrociando le iridi scure del compagno, entrato di soppiatto nel suo ufficio.

Sorridendo, si alzò, rassettandosi la tunica da Hokage.

«Mh…ogni giorno che ti vedo questa divisa ti sta sempre meglio.» commentò, carezzandogli il torace forte da sopra la maglia attillata.

Sasuke sorrise, portando la mano dietro la nuca del compagno e intrecciando le dita tra i fili dorati, attirandolo dolcemente a sé per catturare le labbra morbide, a lungo bramate.

Le mani di Naruto si strinsero attorno al sottile lembo dei guanti scuri che arrivavano appena sopra il gomito, mugolando febbrilmente in cerca di un contatto più diretto con quel corpo caldo.

Non dovette attendere molto, che Sasuke, preso dallo stesso desiderio, si sfilò la maglia, sciogliendo poi i lacci della larga tunica da Hokage, lasciandola scivolare a terra, assieme alle carte.

E una volta ancora, come in passato, fecero l’amore sulla scrivania di quell’ufficio dove, tredici anni prima, aveva avuto inizio la vicenda che aveva unito il loro spirito per l’eternità.

«Eiji Inuzuka. Mi piace divertirmi, fare scherzi con mio fratello. Adoro il sushi e corteggiare le ragazze. Odio alzarmi la mattina presto ed essere rifiutato. Il mio sogno nel cassetto è sposarmi con la donna più bella del villaggio!»

Eiji Inuzuka prese rapidamente la parola, ultimando in pochi secondi la rapida, ma efficace, presentazione di se stesso, ostentata con tale sicurezza da lasciar trasparire molto più di quanto avesse realmente detto.

«Tenjo Inuzuka. Mi piace fare scherzi, giocare a Mah-jong. Sono molto bravo a giocare a go e anche a shoji. Il mio sogno nel cassetto…quando ne avrò uno ve lo dirò!»

Quando il secondo gemello ebbe finito di presentarsi, tutti gli occhi si puntarono su Kyuubi.

La ragazza li squadrò ad uno, ad uno con gli occhi scarlatti, facendo calare un silenzio glaciale.

«Uchiha Kyuubi.» si presentò, scostando una ciocca dalla punta vermiglia.

I suoi compagni attesero che finisse di parlare, ma la giovane non sembrava voler procedere oltre.

A conferma di questo, la sua espressione stupita quando si rese conto che aspettavano un seguito.

«Ehm…io avrei finito.» ammise, facendo cadere i presenti a gambe all’aria.

Sasuke strinse le mani attorno alla vita del Rokudaime, trascinandolo nuovamente a terra.

Le dita crudeli cominciarono a torturare il malcapitato Naruto con una delle tecniche più terribili ed efficaci conosciute dal genere umano.

Il solletico.

«Stronzo!» rise il biondino, divincolandosi dalla stretta dell’Uchiha che non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire così facilmente la sua legittima preda.

Lo riprese al volo, rotolando a terra con lui e continuando a solleticarlo.

«Sei un bastardo, Uchiha!» lo rimproverò, tra una risata e l’altra.

«Non mi dice nulla di nuovo, Rokudaime.»

Le loro risate si mischiarono alle piccole effusioni che si scambiavano vicendevolmente, fin quando Naruto non riuscì ad infilarsi nuovamente la tunica da Hokage.

«Hentai!» lo riprese, mentre Sasuke se ne stava bellamente sdraiato a terra, incurante del fatto di essere ancora nudo, con un sorriso sornione stampato in volto.

Lo sguardo di Naruto si illanguidì, illuminandosi per la gioia di trovarsi con lui.

Poteva affermare a cuor leggero di amare tutto di lui.

Il suo carattere schivo e altero, quel menefreghismo largamente ostentato che spariva non appena si trovavano soli, trasformandosi in tenerezza e premura…

Il suo modo intenso di osservare anche i minimi dettagli, l’aggrottarsi delle sopracciglia scure e sottili quando era perso nelle proprie riflessioni…

Amava il suo corpo, il suo modo dolce e passionale, a volte perfino irruento, di fare l’amore…

Quella cicatrice che, come lingue di fuoco biancastre, gli avvolgeva tutto il corpo, confluendo in tre piccoli petali neri tatuati sulla spalla sinistra.

Una maledizione che lo aveva imprigionato per decenni, disattivata dallo scarlatto sigillo a spirale che li avvolgeva; ultimo dono che Kyuubi no Youko aveva fatto alla coppia, prima di reincarnarsi in loro figlia.

«Dai, rivestiti!» lo invitò, con un sorriso.

«Mh…troppa fatica.»

«Un tempo saresti andato avanti tutto il giorno. Eh, brutta cosa la vecchiaia!»

«E’ un invito a riprendere il ritmo?» chiese Sasuke, con una punta di malizia nella voce.

«E’ un invito a rivestirti e aiutarmi a sistemare. E dopo, forse, potrei anche premiarti…»

Naruto non trattenne un risolino quando, alle sue parole, Sasuke si rivestì in tutta fretta, più che disponibile a velocizzare il lavoro con le scartoffie.

In quello stesso istante, la terra tremò.

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Capitolo 3
*** Koori ***


Salve a tutti

«Non è possibile che una ragazza non abbia interessi!»
Eiji non era rimasto soddisfatto dalla presentazione di Kyuubi e, adesso, non esitava a rinfacciarglielo.
«Dovrai pur avere qualche hobby!»
«No, ma potrei cominciare con l’ucciderti: mi sembra un’attività interessante e benefica per l’umanità.» ringhiò Kyuubi, mandando scintille dagli occhi rossi.
«Non credere che sia facile, stupida femmina!»
«E tu non pensare che non ne sia in grado, sottospecie di paramecio antropomorfo!»
«Ragazzi…adesso basta, dai…»
Ota tentò di porre fine alla discussione con voce flebile, senza ottenere alcun risultato, se non quello di istigare anche Tenjo al litigio.
Che sia stata cosa buona e giusta…ai posteri l’ardua sentenza! Come disse il Manzoni.
«Ha parlato la gentil donzella.»
«Ma scusa, fratello, non ti vergogni a trattar male una donna?» intervenne Tenjo, prima di scrutare Kyuubi dalla testa ai piedi.
«Come non detto, mi sono ingannato. Continua pure!»
I due gemelli scoppiarono a ridere, dandosi il cinque.
«Adesso basta!»
I neo-genin si voltarono sorpresi, nell’udire il tono infuriato del proprio sensei, richiamarli all’ordine.
Il jonin li fissava con gli occhi verdi freddi e glaciali; perfino il volto aveva perso i lineamenti dolci e femminei, assumendo tratti severi e intransigenti.
«Non ammetterò ulteriori litigi, sono stato chiaro? Siete una squadra adesso e il vostro gruppo diventerà come una seconda famiglia. Chi non è disposto a collaborare, può tornare in accademia.»
Ota mormorò appena il suo discorso, ma questo fu compreso benissimo dai ragazzi.
Annuirono e, successivamente, tirarono un respiro di sollievo quando il sensei parve tornare normale e sorrise come sempre.
«Bene! Adesso che siamo tutti d’accordo possiamo andare!»
E detto questo, katana in spalla, si avviò fischiettando al campo d’allenamento, seguito dagli allievi a dir poco sconvolti.

La terra tremò.
Forze oscure si risvegliavano e fremevano sotto la terra, in attesa del giorno in cui sarebbero potute venire nuovamente alla luce.
Koori sorrise divertita, osservando lo svolgersi degli eventi tramite una lastra di pietra nera.
La superficie era tanto liscia e lucida da sembrare liquida.
«Molto bene…» commentò, giocherellando con la punta della lunga treccia argentata.
Un lungo kimono azzurro le avvolgeva il corpo sodo e ben fatto.
Qualche piccola ruga sulla pelle rosata indicava che non era più una donna nel fiore degli anni, ma dagli occhi a mandorla scaturiva un’energia e un potere che restavano immutati nel tempo.
D’altronde, per l’età che aveva, manteneva un aspetto molto giovanile.
«Sempre in forma, Koori.»
La voce bassa e penetrante arrivò alle orecchie della donna, mentre un affascinante uomo di mezza età incedeva verso di lei con eleganza innata.
Maestoso nel suo kimono nero su cui gli ideogrammi dorati mutavano di continuo e i lunghi capelli argentei lasciati liberi di scivolare lungo la schiena, lo Shinigami si avvicinava a Koori, prendendole la mano sottile e mimando l’atto di baciarla.
«Anche tu, Shinigami.» le labbra piene della donna si piegarono in un sorriso d’apprezzamento verso le buone maniere del Dio.
Lo sguardo violetto di questo si alzò ad incrociare quello della donna.
Un occhio viola, l’altro di un accecante azzurro.
Semi dea.
Ma più intelligente e astuta di tutti gli Dei e gli Umani che avesse mai conosciuto.
Fredda e calcolatrice, una mente maligna votata al proprio tornaconto e interesse.
In quanto umana poteva intervenire nelle vicende mortali, come Dea aveva il potere di dirigerle secondo i propri capricci.
«I canali di chakra sotterranei si stanno muovendo.- annunciò - Adesso mi serve l’aiuto di Nekomata.»
Sorrise, prendendo in braccio il felino argentato dalle due code che aveva accompagnato Shinigami.
«Cosa hai in mente, Koori?» domandò il Dio.
«Voglio l’Erede, Shinigami. E io ottengo sempre quello che voglio.»
«Non ne dubito.»
Ma la donna era già sparita.

«Uff! Guarda quanta roba! - sbottò Sasuke, mettendo a posto l’ennesimo fascicolo. - Ma non ti annoi a stare sempre in ufficio?»
«Da morire. Ma a volte si ricevono visite interessanti.» Naruto ammiccò nella sua direzione, con un sorrisetto malizioso stampato in volto.
Sasuke ricambiò, ma l’espressione gioiosa si mutò in dolore.
Improvviso e lancinante.
Fuoco…era il fuoco che gli bruciava nelle vene da anni.
Il fuoco che aveva ereditato col sangue della sua famiglia e che era stato risvegliato all’età di diciassette anni quando, stupidamente, aveva eseguito quella tecnica…
Per qualche secondo lo sharingan brillò nelle iridi scure, prima di placarsi.
«Sasuke…tutto bene?»
L’Uchiha fissò spaesato il biondino, senza riconoscerlo.
O almeno non subito.
Impiegò svariati secondi per riprendersi, mentre lo sguardo gli andò subitaneamente al marchio.
Aveva smesso di pulsare e la spirale scarlatta troneggiava ancora sui petali neri.
«Sì…penso di sì.» mormorò.
Le sue parole non convinsero Naruto che, però, si limitò ad annuire e posargli un bacio all’angolo della bocca.
«Meglio se vai a casa, Sasuke. - consigliò - Sei stato in missione e da quando sei qui non ti sei riposato un attimo. Finisco io e quando torno…- le labbra si piegarono in un dolce, quanto malizioso sorriso. -…spero che il mio adorato marito trovi il modo di farmi scordare le preoccupazioni della giornata.»
Per una volta, l’Uchiha non fece storie.
Baciò il biondino, recuperando la maschera da Anbu e la katana, prima di sparire.
Ma non tornò a casa, o almeno non subito.
Come tanti anni prima, attraversò il bosco, arrivando di fronte all’imponente edificio del tempio Nakano.
Settimo tatami.
Le macchie di sangue persistevano ancora sul pavimento di stuoia adeguatamente pressata.
Gli occhi scuri si posarono sullo specchio al lato della stanza.
Nero nel rosso, cicatrici nel marchio che le aveva lasciate.
Sasuke, in quella stanza impregnata di chakra maligno, poteva parlare con l’altro se stesso.
Poteva parlare con l’Uchiha.

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Capitolo 4
*** Visite inattese ***


Salve a tutti

C’è un luogo, a Konoha, dove molti ragazzi proseguono il loro cammino ninja.

Altri, invece, lì crollano e devono tornare in accademia.

Quel posto viene considerato sacro per la presenza della lapide commemorativa alla memoria dei ninja caduti in missione per il villaggio.

Coloro che vengono chiamati eroi.

Di fronte a quella lapide erano stati promossi a genin i tre sannin.

Dopo di loro, colui che era conosciuto come il quarto hokage e, dopo ancora, un gruppo composto da tre giovani.

Kakashi Hatake, Obito Uchiha, e Rin Inuzuka.

Due di questi erano morti giovanissimi, uno tra loro aveva avuto l’onore di avere in squadra il futuro sesto hokage di Konoha, Naruto Uzumaki, e l’ultimo esponente del prestigioso clan cui apparteneva il suo migliore amico, Uchiha Sasuke.

Sempre di fronte a quella lapide, avevano ricevuto la loro promozione a genin tre fanciulli, adesso membri della squadra Anbu di Konoha.

Hana Shiotari, adesso ventiquattrenne, Ayumi Ryutari, la più giovane, con i suoi diciassette anni, della squadra capitanata da Sasuke Uchiha, e Ota Fujiki.

Quest’ultimo, adesso, aveva il compito di istruire niente poco di meno che la figlia del proprio sensei e del Rokudaime.

Di fronte a quella stessa lapide dove erano nati tanti protagonisti di quelle che venivano, adesso, definiti leggende.

E colei di cui la stessa nascita avrebbe fatto storia, era lì di fronte a lui.

Gli occhi smeraldini passarono soddisfatti sulla propria squadra.

Due Inuzuka, un’Uchiha.

Su Kyuubi, come lei stessa aveva ammesso, non c’era molto da dire.

Il suo nome parlava da solo.

La potenza del più forte demone di tutti i tempi che scorreva nel sangue del clan più prestigioso della Foglia.

Fuoco che si univa al fuoco.

Se avesse imparato a controllare la propria forza distruttiva, bloccata dai sigilli che le circondavano le braccia sottili, saggiamente impostagli sin dalla nascita, Kyuubi avrebbe potuto superare in potenza qualsiasi ninja fosse mai esistito.

Ma, per adesso, era solo una bambina appena diventata kunoichi, il cui passaggio di grado era segnato, non tanto dal coprifronte allacciato in vita, quanto dal ciondolo argenteo che portava al collo.

Per Ota, Sasuke e Naruto erano diventati come la famiglia che l’aveva lasciato quando era piccolo.

Erano stati loro due a prendersi cura del fanciullo, i cui nomi dei genitori figuravano sulla lapide commemorativa.

Loro ad insegnargli a padroneggiare le tecniche ninja, ad addestrarlo, ma soprattutto a dare a quell’adolescente timido e impacciato l’affetto di cui aveva bisogno.

Non era quindi ignaro dell’esistenza di quel ciondolo, né del suo significato.

L’esistenza di quella bambina era cominciata in modo strano e il suo futuro non sarebbe stato altrettanto facile, considerata l’eredità che le gravava sulle spalle.

Ma se le aveva robuste come quelle dei genitori, avrebbe resistito altrettanto bene alle avversità.

Sorrise timidamente, come suo solito, mentre spostava la propria attenzione sui gemelli.

Anche loro portavano il peso di una tragedia nel proprio sangue.

Figli di Kiba Inuzuka e di Hinata Hyuuga, il matrimonio dei genitori era stato osteggiato da entrambe le famiglie, ma con tenacia maggiore da quella materna.

Gli Hyuuga non potevano permettere che la primogenita della casata principale, colei di cui il marito avrebbe preso in mano il clan alla morte del suocero, contaminasse l’abilità innata del Byakugan con il sangue degli Inuzuka.

Clan ritenuto rispettabile, ma su di loro gravava la leggenda che per ottenere quell’affinità con i cani, in un passato remoto, si fossero accoppiati con essi.

Da lì, certi tratti animali nel loro comportamento e nel loro fisico.

Forse per compensare Neji Hyuuga della morte del padre, forse perché finalmente riconobbero il genio di quel ragazzo nell’utilizzo dei suoi occhi bianchi, senz’altro superiore a quello della cugina, Hinata gli fu promessa come sposa, nonostante questa avesse da tempo una storia con il rampollo degli Inuzuka.

Nessuno si sarebbe sognato di osteggiare il matrimonio, mirato a mantenere la purezza dell’abilità innata, sebbene neanche lo stesso Neji volesse sposare la cugina, a cui era legato da un sentimento fraterno, sviluppatosi con gli anni.

L’unico modo per impedire le nozze, fu contaminare la purezza di Hinata.

Di comune accordo, incitati anche da Neji e dalla sorella minore, Hanabi, che da tempo intratteneva una tresca col cugino, che coprivano abilmente le fughe notturne della fanciulla, Kiba e Hinata smisero di usare precauzioni durante i loro incontri amorosi, finché questa non rimase incinta.

Prima delle nozze.

La furia di Hiashi Hyuuga si sarebbe potuta contenere, se il padre dei bambini che Hinata portava in grembo fosse stato il suo promesso, ma il Byakugan mostrò alla sua analisi del chakra del feto, il miscuglio sanguineo.

Risalire al vero padre, fu questione di un attimo.

Hinata fu bandita dalla casata principale, e il Byakugan sigillato in lei e nella sua progenie.

I bambini, fortunatamente, non risentirono del blocco e nacquero con due splendidi occhi dorati, come il padre, e i lineamenti aggraziati della madre.

Lei, però, non fu altrettanto fortunata.

Il sigillamento del Byakugan, per uno Hyuuga, equivaleva all’utilizzo eccessivo dello sharingan per un Uchiha.

Corrodeva gli occhi.

Conosciuta la disgrazia dell’amica, Naruto aveva provveduto a far intervenire il capo dei ninja medici, la sua ex compagna di squadra Sakura Haruno, ma neanche lei era riuscita a salvare completamente la vista della giovane Hyuuga.

Adesso, Hinata viveva come dietro a un vetro opaco, che le impediva l’identificazione precisa dei contorni, ma non rimpiangeva gli amari trascorsi, confortata dalle gioie della famiglia.

D’altra parte, Kiba non ricevette che biasimi dal suo clan per aver generato uno scandalo pari solo a quello del ritorno di Sasuke e Naruto, sposati e col Rokudaime inspiegabilmente incinto, avvenuto nello stesso anno.

Fortunatamente, il clan Inuzuka aveva discendenza femminile, quindi le ripercussioni furono minime, ma non per questo meno gravi.

Ai gemelli fu impedito l’accesso all’allevamento dei cani ninja e non ebbero mai la possibilità di possedere un cucciolo con cui combattere, sebbene gli spettasse di diritto.

Una famiglia disgraziata, anche quella, ma non per questo meno felice.

I loro genitori si amavano nonostante le difficoltà e i gemelli erano cresciuti allegri e vivaci, bastevoli a loro stessi, nell’affetto familiare.

Sì, a Ota era capitata una squadra difficile, ma non si sarebbe arreso così facilmente.

Con un tenero sorriso, rimirò attentamente quelle foglioline in attesa di sbocciare, prima di dare l’ordine di cominciare l’allenamento.

L’ormai famosa prova dei campanelli.

«Sei troppo lenta, Kyuubi!»

Il kunai lanciato dalla ragazza cozzò contro una barriera pressoché invisibile che il sensei aveva eretto attorno a sé.

La dodicenne non avrebbe mai detto che il suo maestro, così timido e impacciato, potesse essere tanto abile da schivare i suoi attacchi.

Ghignò, scoprendo i canini, mentre due fossette si disegnavano sulle guance tonde.

Un sorriso pieno di determinazione e voglia di vincere.

Un sorriso che poteva aver ereditato solo dalla madre, come la testardaggine.

E un’impulsività non indifferente, visto che si trovò stesa a terra, il viso e le mani graffiati dal terreno, senza neanche sapere come.

Eppure aveva sferrato quel pugno a velocità incredibile, caricandolo con tutto il chakra che era riuscita ad impastare.

Una quantità eccessiva, che era stata dimezzata dai sigilli scarlatti che le imprigionavano le braccia, caricata in un pugno.

Tanto, forse troppo, da risultare visibile: energia scarlatta che fendeva l’aria in una tecnica che richiamava il chidori paterno, eppure differente da esso.

In sintesi, era un semplice accumulo di chakra, peraltro effettuato con scarsa maestria.

Anche l’attacco era banale, da dilettante.

Nessun ninja esperto avrebbe attaccato così direttamente, senza prepararsi un secondo attacco, nel caso il primo avesse fallito.

Ma Kyuubi era un genin.

E faceva troppo affidamento sulla propria forza, da sempre superiore alla media.

Furibonda per lo smacco e la voce beffarda del maestro che la rimbrottava, si rialzò.

Il chakra cominciò a ruotare attorno a lei, come sempre quando era sul punto di perdere il controllo.

Per di più, quegli stupidi Inuzuka non si vedevano!

E dire che, nel momento della dispersione, li aveva acciuffati per la maglia, ringhiando:

«State a sentire, caccolette. L’unico modo per superare questa prova è distrarre il sensei, mentre gli altri prendono i campanelli, chiaro? Quindi troviamo un modo per concludere al più presto che non voglio perdere tempo in allenamenti da poppanti.»

Era stato poi Tenjo ad elaborare la strategia da usare.

Kyuubi, di sicuro la più forte e la più resistente tra loro, avrebbe distratto Ota, mentre loro, abituati alle tecniche combinate sin da quando erano bambini, sarebbero intervenuti una volta spossato il sensei e gli avrebbero sottratto i campanelli dopo averlo ulteriormente confuso.

«Se ne siete in grado…» aveva sbottato Kyuubi, altera come sempre.

Peccato che, adesso, era lei a non sentirsi per la prima volta all’altezza della situazione.

Aveva contato troppo sul proprio chakra che nessuno dei suoi insegnanti, prima d’ora, era riuscito a fermare, fatta eccezione per i suoi genitori, e non riusciva a spiegarsi come il ragazzo dai capelli neri, sempre imbarazzato e pudico, cosa che per lei era sinonimo di innocuo, potesse evitarlo così facilmente.

Come se per lui non fosse esistito.

Tentò un’ultima volta, ormai spossata.

Radunò a sé l’immensa energia che le scorreva nelle vene, perché poi ne avesse così tanta in confronto agli altri restava per lei un mistero, per pilotarla tutta contro il sensei, facendogli assumere l’acuminata forma di una lancia.

Chiunque ne sarebbe rimasto ucciso, o nel migliore dei casi ferito.

Chiunque, ma non Ota Fujiki che rimase immobile a fissare la ragazzina, sorridendo.

Un sorriso diverso da quello dolce che gli ingentiliva i lineamenti femminei, adesso più marcati…o era solo un’impressione?

Kyuubi non trovò risposta, perché due presenze ingombranti gli furono lanciate addosso dal maestro.

I gemelli Inuzuka le rotolarono addosso.

Abbastanza mal ridotti, avevano evidentemente subito di striscio l’attacco lanciato contro Ota, per poi essere malmenati ulteriormente da questo.

Ciò nonostante, anche se il suono della sveglia li avvisò che avevano miseramente fallito la prova, avevano ancora voglia di scherzare.

«Uchiha, sbaglio o hai qualche chilo di troppo nella pancia? Sono atterrato troppo sul morbido e di sicuro non sono le tue tette.»

Sbottò Eiji, distinguibile da Tenjo solo per la maggiore volgarità delle battute.

«Io pensavo fosse la cellulite delle cosce.»

«Gemelli…» ringhiò Kyuubi. «Da chi volete che inizi il pasto di oggi?»

Con gli occhi ridotti a due fessure e i canini scoperti, fu facile per la ragazza far prendere sul serio ai gemelli la propria voglia di divorarli.

Così facile, che i due si indicarono rispettivamente con un dito, alzandosi in fretta e cominciando ad allontanarsi.

«Da lui!»

Retrocedettero, mentre Kyuubi si avvicinava inesorabile, sciogliendosi la coda e lasciando ricadere la cascata di fuoco sulle proprie spalle, ghignando.

«Eiji…si sta avvicinando…»

«Lo vedo, nii-chan…»

«Ok…ponderiamo la situazione con calma e sangue freddo. Prendi Eiji! E’ più tenero!» urlò, afferrando il fratello per le spalle e usandolo come scudo.

«No! Tenjo ha la carne migliore! E’ più saporito!»

«Ha ancora i canini da latte! Io sono coriaceo, rischia di romperseli!»

«Ma vuoi mettere il coriaceo con un buon sapore? Può sempre fare un macinato!»

«Gemelli…tacete.»

Piombò il silenzio, spezzato solo dai passi della ragazza sulle foglie secche.

Il dito sottile che faceva la conta su chi dei due mordere per primo.

La conta terminò.

Kyuubi andò al fianco del sensei, prendendosi una carezza sulla testa bionda.

«Nessuno dei due, siete troppo complicati da cucinare.» sbottò, mentre Ota, balbettando, li dichiarava promossi per il tentato lavoro di squadra.

L’avventura del gruppo 4 cominciava.

«Uffa! Ota-sensei ci ha fatti sfiancare dagli allenamenti!»

Tenjo Inuzuka non si risparmiò affatto le lagne sul duro addestramento da genin cui il maestro gli aveva sottoposti dopo la batosta iniziale.

Si passò la mano sulla fronte sudata, avvicinandosi ad una fresca fontanella, per bagnarsi i riccioli neri con l’acqua.

«Dillo forte, tooto-chan.»

Eiji si tolse la maglia gialla, impregnata di sudore.

Stanchi, accaldati…distrutti!

Solo Kyuubi pareva fresca come una rosa.

La sua capacità di guarigione era impressionante, così come la forza.

Peccato che il suo controllo del chakra facesse acqua da tutti pori, ma si era dimostrata lo stesso una brava allieva.

«La smettete di lagnarvi, caccolette?» sbuffò, dandosi una sistemata al gilet blu notte, con lo stemma del clan sulla schiena.

«Ha parlato la prima donna!» replicò Tenjo.

«Sei seccante, Uchiha! Impara a controllare quel chakra! Ne hai liberato talmente tanto che potevi ferire Ota-sensei!»

«E’ un jonin, si sa difendere.»

Franca risposta, accompagnata da un interrogativo inespresso.

Come si era difeso?

«Tu e i tuoi occhi terrorizzerebbero chiunque, scherzo di natura.» sibilò Eiji, prima di finire contro il muro più vicino; la mano di Kyuubi serrata attorno al suo collo.

Al suo fianco, il fratello nelle sue stesse identiche condizioni.

«Dite un’altra parola sui miei occhi o sulla mia nascita e giuro che vi trasformo nella mia cena.»

La ragazza mormorò tutto questo nelle orecchie dei poveri Inuzuka, che, però, non persero la loro baldanza.

Stavano per replicare qualcosa di terribilmente acido che avrebbe potuto causare la loro trasformazione in merendina, ma in loro aiuto giunse qualcuno di inaspettato.

Qualcuno che non avrebbe dovuto essere lì quel giorno né mai.

Sasuke era seduto di fronte allo specchio, fissando l’immagine riflessa con cipiglio severo.

L’altro se stesso, l’Uchiha, era dall’altra parte e sorrideva divertito di fronte alla rabbia della propria controparte.

«Come mai qui, Sasuke?» Domandò; gli occhi scarlatti beffardi.

«Il segno.» fu la sibillina risposta.

Sasuke odiava con tutto il cuore i colloqui con l’Uchiha.

Solitamente erano fusi assieme, ma quando il segno riceveva una stimolazione si scindevano di nuovo.

E, solitamente, quella divisione portava solo guai.

«Pensi che sia Orochimaru?»

L’Uchiha scosse la testa.

Erano anni che non avvertiva l’energia del sannin e, anche se l’avesse richiamato, il sigillo impostogli da Kyuubi avrebbe bloccato qualsiasi effetto negativo.

Ma allora cosa?

«Non ne ho idea.» ammise l’Uchiha, sospirando. «Insomma, Sasuke! Siamo la stessa persona, cosa pretendi? So solo quello che sai tu!» sbottò, spazientito.

«Hai ragione…»

Sasuke si alzò, stiracchiandosi.

«Baka…comunque una cosa la so.»

«Cosa?»

Un sorriso malizioso incurvò le labbra del volto segnato di nero, non corrisposto dal corpo reale che si rifletteva nello specchio.

«Che Naruto torna a casa tra poco. E anche Kyuubi sarà affamata dopo la sua prima giornata da genin. Inoltre mi pare di aver ricevuto una promessa allettante da parte di un Rokudaime particolarmente sexy…o ricordo male?»

Il sorriso apparve anche sul volto di Sasuke.

Sarebbero stati anche divisi, ma su certe cose si trovavano stranamente concordi.

Come il correre fuori dal tempio e dirigersi rapidamente verso villa Uchiha.

«Non è un po’ presto per il mangekyou sharingan, piccola?»

Una voce d’uomo interruppe l’accesa discussione tra i ragazzini.

Kyuubi si voltò appena per vedere chi fosse lo sconosciuto che s’intrometteva nel suo spuntino, lasciando cadere a terra i gemelli, quando incrociò il suo sguardo.

Capelli neri, occhi scuri…familiare.

Suo padre?

No, non era lui.

Era più anziano, probabilmente sulla quarantina, capelli corvini lasciati sciolti lungo le spalle.

Occhi neri e penetranti, ma di taglio molto più sottile e allungato rispetto a quelli di Sasuke e ai propri.

Un pesante mantello nero gli ricopriva completamente la parte destra del corpo.

Nessun coprifronte, né segni d’appartenenza a qualche villaggio.

Un ronin, probabilmente, ma come faceva a conoscere lo sharingan?

Soprattutto, quello sharingan.

«Kyuubi Uchiha, giusto?» lo sconosciuto sorrise.

Un sorriso strano, quasi non fosse abituato a farlo.

Gli occhi si posarono poi sui due gemelli.

«E voi siete i suoi compagni di squadra, se non sbaglio.»

«E io, se non sbaglio, ti avevo intimato di star lontano dalla mia famiglia.»

I genin alzarono appena lo sguardo sopra la spalla dello straniero, sul cui collo candido era posata la fredda lama di una katana.

Dietro di lui, lo sguardo infuocato di Sasuke.

«Tou-san!» esclamò Kyuubi, sorpresa e felice di vederlo.

«Vai a casa, Kyuubi.» la voce fredda del padre gelò sul colpo qualsiasi frase, parola o gesto volesse pronunciare o compiere la dodicenne.

«Non vuoi proprio che mi avvicini a lei, eh Sasuke?»

Lo sbeffeggiò l’uomo.

«Perché sei qui? Ti avevo avvisato, se non erro…»

«Se tu mi avessi voluto ucciderti lo avresti già fatto.»

«Papà...»

«Sono in tempo a rimediare se non rispondi.» sibilò Sasuke, premendo maggiormente la lama.

Un rivolo di sangue brillò come una perla scarlatta sulla pelle candida, prima di perdersi nel nero della stoffa.

«Volevo vedere tua figlia, problemi?»

«Molti, direi.» sibilò l’Anbu, ignorando Kyuubi che lo chiamava.

«Papà…»

«Ho il diritto di vedere mia nipote.»

«E’ un diritto che hai perso quando hai ucciso tutti, Itachi.»

«Come sei scortese, fratellino.»

Silenzio, mentre gli occhi dei genin andavano da uno all’altro dei fratelli Uchiha.

Kyuubi li fissava più attonita degli altri.

Lei aveva sentito parlare di quell’uomo.

Poche volte, a dire il vero, nella loro casa era proibito pronunciare il suo nome o ricordarne a Sasuke l’esistenza.

Solo sua madre gliene aveva parlato, dopo una domanda impertinente su alcune foto del padre da piccolo cui mancava metà dell’immagine, brutalmente strappata.

Quello era l’uomo che suo padre aveva tentato di uccidere, colui di cui si doveva vendicare.

Quello che aveva risparmiato per non perdere tempo e correre a salvare lei e la mamma.

Ma Naruto sosteneva un’altra versione, parallela a questa e a questa legata.

Sasuke non avrebbe mai ucciso suo fratello perché, a differenza di lui, non avrebbe sopportato di macchiarsi le mani con sangue del suo sangue.

«Tuo padre vuole ancora bene a tuo zio, nonostante tutto. Solo non lo sa.»

Nonostante anche il Rokudaime avesse validi motivi per odiare il mukenin, non esimeva questo piccolo particolare dalla storia.

In ogni caso, né lui, né tantomeno Sasuke, avevano desiderio di rivederlo, ma adesso si era presentato di nuovo.

«Se mi uccidi ora, Sasuke, non saprai mai il motivo del dolore al segno.»

«Che segno, tou-san?»

«Ti ho detto di andare a casa, Kyuubi!» urlò Sasuke, facendola sobbalzare.

La dodicenne lo fissò, sconvolta.

Sembrava fuori di sé e Kyuubi, per la prima volta, fissando il padre con il volto sfigurato dalla rabbia e gli occhi rossi in cui brillava quello sharingan che lei non aveva ancora sviluppato, comprese perché tutte le persone del villaggio evitavano accuratamente di far infuriare Sasuke Uchiha.

Dal suo canto, aveva sempre provato nei suoi riguardi l’affetto profondo e la soggezione che una figlia può provare per un padre un po’ severo, ma mai ne era stata terrorizzata.

Adesso sì.

E era sconvolta dalla sua stessa paura.

«Kyuubi-chan…» Eiji posò la mano sulla spalla della ragazza «Che ne dici di andare a mangiare qualcosa?»

La figlia del Rokudaime fissò i due compagni di squadra che le sorridevano.

Fantasmi, nella sua mente, poi lo sguardo si posò nuovamente sul padre.

Gli occhi scarlatti, dalle pupille cerulee e le iridi cerchiate dello stesso azzurro erano appena velati di lacrime che non avrebbe fatto scorrere.

Aveva bisogno di sicurezza, da quella bambina che era, e il padre, in quel momento, non gliela offriva.

Fu per questo che, quando i due gemelli la presero per mano, lei si lasciò condurre via.

E quello fu l’inizio di un legame più profondo di quello che lei stessa avrebbe mai potuto immaginare, con quegli impertinenti, menefreghisti, presuntuosi e dolcissimi gemelli Inuzuka.

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Capitolo 5
*** Minaccia ***


Salve a tutti

Regnava il silenzio nella grande casa degli Uchiha.

Una tensione opprimente che gelava il sangue e che toglieva ogni volta di parlare.

Non che i due fratelli avessero voglia di fare conversazione, o almeno questa non era l’intenzione del più giovane, il cui sguardo omicida era puntato sul maggiore, che si limitava a sorridere beffardo.

Seduti attorno allo tsukui della sala riunioni del clan; fino a quel momento nessuno dei due aveva parlato.

Fu Sasuke a rompere il silenzio.

«Come hai fatto a sapere del dolore al segno?»

«Ho i miei informatori, otooto.» fu la sibillina risposta «Ti basti sapere che ne conosco il motivo. E che non sono qua per danneggiare te o la tua famiglia.»

«Chiedi uno sforzo troppo grande, temo.»

«Per un po’ di fiducia?»

L’occhiata severa del fratello minore fece comparire un sorriso divertito sul volto marcato di Itachi.

Già, forse chiedeva veramente troppo.

Ridacchiò senza emettere suoni, prima di riassumere la sua classica espressione austera.

Le iridi scure, prive del mangekyou sharingan che lo aveva reso tanto famoso e temibile, si velarono di preoccupazione.

Aveva bisogno dell’aiuto di Sasuke e Naruto.

E perfino di quello di Kyuubi.

«Mi serve il tuo aiuto.»

«Cosa ti fa pensare che io sia disposto a dartelo?»

«Il fatto che tua figlia ne pagherà le conseguenze, visto che il problema riguarda i Bijuu.»

Il labbro inferiore di Sasuke sanguinò, trafitto dai denti del suo stesso possessore.

«Parla.»

Itachi ghignò.

Era facile manovrare le scelte di suo fratello.

Bastava far pressione su alcune cose a cui teneva particolarmente, e lui era sempre stato particolarmente bravo a capire quali fossero.

Maledettamente bravo.

«Conosci la leggenda delle Bestie dalle Code?»

«Ne ho una in casa.» replicò Sasuke, sarcastico.

«Bene…allora sarai così informato anche sui sigilli posti da Kyuubi no Youko sui demoni a lei inferiori, immagino.»

Il trentaseienne alzò lo sguardo sul mukenin, perplesso.

Non sapeva nulla di quella storia, e la sua ignoranza si rifletteva nell’incuriosita espressione del suo volto.

Da giovane sarebbe stato così orgoglioso da ricercare da solo le informazioni a proposito di tale leggenda, ma la presenza di Itachi, sebbene lo infastidisse chiedere chiarificazioni proprio a lui, rendeva impellente la conoscenza.

Se c’era una cosa di cui era certo, era che il suo aniki non faceva mai nulla senza uno scopo.

E, chissà perché, qualunque fosse il suo obiettivo, era meglio o tenersene alla larga, o conoscerne tutti i dettagli.

«Che sigilli?»

Itachi sorrise.

«I Sigilli del Fuoco, Sasuke. Come quello che hai sulla spalla.»

«Ehi, maledetto! Molla il mio pranzo!»

Kyuubi strappò con le bacchette il pezzo di pollo che Eiji le aveva sottratto dal ramen, proprio mentre l’Inuzuka stava per inghiottirlo.

Tenjo approfittò della sua distrazione per rubarle una verdura.

«Ehiiii! Inuzuka ladro!»

La piccola Uchiha si lanciò contro Tenjo, trasformando il pranzo in una vera e propria lotta per il cibo.

Ota sorrise.

Era bello vedere i suoi allievi così vivaci ed uniti.

Lo avevano beccato per strada, mentre andavano all’Ichiraku ramen e lo avevano invitato a pranzare con loro.

Stranamente, gli Inuzuka avevano offerto sia a lui, sia alla loro compagna, anche se su questa si stavano rifacendo a suon di pezzetti di ramen rubati qua e là.

Sorseggiò il brodo della propria porzione, appena in tempo per salvarsi il pranzo, visto che Eiji, avendo fallito il tentativo di sfuggire ai canini di Kyuubi, aveva disgraziatamente fatto rovesciare il tavolo con tutti i ramen.

E nonostante tutto, l’Uchiha era ancora attaccata al suo braccio, ringhiante.

«Ahia! Ota-sensei me la tolga di dosso! Mi fa male!»

Il ventiseienne, per tutta risposta, sorrise.

Il comportamento di Kyuubi gli richiamava alla mente un ricordo di anni ed anni prima, quando un semplice adolescente aveva partecipato ad un piccolo quadretto di una vita familiare ancora segreta ai più, che avrebbe visto la propria concretizzazione solo anni dopo.

Un giorno che Ota non aveva mai cancellato dalla propria mente.

Il giorno in cui il Rokudaime lo aveva assegnato alla squadra genin di Sasuke Uchiha.

*flash back*

La pioggia scivolava sul capo bruno del bambino, inumidendone i capelli.

La maglia intrisa d’acqua e il capo appoggiato contro le ginocchia, nel vano tentativo di nascondersi.

Era diventato genin, Ota Fujiki, e le dita sottili stringevano il corpifronte nuovo di zecca.

Umido di pioggia anche esso.

Aveva importanza potersi definire ninja, quando nessuno ti festeggiava per aver raggiunto quel traguardo?

Solitario, rifletteva accarezzato solo dalle lacrime del cielo e immaginava che quell’acqua e il freddo di quella pietra fossero le calde mani dei genitori.

Solo il nome era rimasto di loro.

Solo il nome inciso su una lapide.

Tuonò e Ota si strinse di più in se stesso.

All’orecchio gli giunse un gorgoglio di risatine.

Inizialmente pensò di aver confuso il ticchettare della pioggia col marmo con suoni di voci, ma quando si rese conto che non era così, attuò in fretta la tecnica della mimetizzazione per nascondersi.

«Smettila! Se ci vede qualcuno?»

Una figura bionda, confusa per via della pioggia incessante, ne scansava un’altra tenendosi i bordi della lunga tunica che indossava.

Ota si fece più piccolo contro la roccia, mentre quelli che dalle voci risultavano essere due uomini si fermavano proprio di fronte alla lapide.

Il ragazzo più alto aveva infine afferrato il biondino per la vita e lo stringeva a sé.

Adesso che erano vicini, l’undicenne riusciva a distinguerne i lineamenti.

Sconvolto, osservò il Rokudaime baciare l’Anbu Sasuke Uchiha con il sorriso sulle labbra.

«Ai shiteru, baka kitsune.»

La voce bassa e penetrante dell’Uchiha fendette l’etere, facendo percepire chiaramente le parole a Ota.

E, come essa, anche la risposta dell’Hokage giunse al suo orecchio.

«Ti amo anche io.»

La figura del Rokudaime si protese a baciare l’amante, ma questi lo fermò.

«Naruto…c’è qualcuno.»

Le iridi del biondino scintillarono dietro il sottile velo di pioggia, saettando verso la direzione in cui guardava il compagno.

Proprio nel punto in cui Ota era nascosto.

Il bambino tremò, mentre la mano dell’Hokage si posava sulla sua fronte, sciogliendo la tecnica.

«Ah, è solo un bambino.»

Ota si sentì scrutato dagli occhi scuri dell’Uchiha, che lo fissava con pacata indifferenza.

A quanto pareva, non lo considerava neanche un pericolo, visto che continuava a tenere stretto il Rokudaime per la vita.

Questi, però, si sciolse dall’abbraccio del compagno, chinandosi all’altezza dell’undicenne.

Sorrise, e Ota divenne paonazzo di fronte alla dolcezza che traspariva dal quel volto delicato.

«Come ti chiami?»

«F…Fujiki Ota.» mormorò, cercando di mantenere la schiena dritta e lo sguardo alto.

Era un ninja, adesso! Avrebbe dimostrato che sapeva comportarsi da uomo e che non aveva paura di una punizione.

«Fujiki?»

Un barlume di curiosità fece la sua comparsa nella voce del moro.

Il ragazzino annuì, orgoglioso.

Ma lo sguardo si abbassò inevitabilmente, quando incrociò quello severo dell’Uchiha.

«Sei figlio di Shota e Mariko Fujiki, per caso?»

«Sì.»

«Tieni la testa alta quando parli con qualcuno. E impara la tecnica della mimetizzazione. Ti si vedevano i piedi.»

Arrossì di nuovo e il piccolo volto dai lineamenti morbidi e femminei guardò ancora a terra, sconfortato.

Udì l’Uchiha sospirare, poi si sentì afferrare da due braccia forti e sollevare.

Quando alzò lo sguardo, si trovò faccia a faccia con quegli occhi neri che lo fissavano severi.

Naruto sorrise.

«E’ un invito a cena, Ota. E posso garantirti che Sasuke è un ottimo cuoco.»

I grandi occhi verdi del bambino scrutavano incuriositi l’ambiente.

Era la prima volta che entrava in un’abitazione tanto grande, appartenente ad una singola persona.

In breve tempo, i due uomini lo avevano trascinato nel quartiere Uchiha.

Appena avevano messo piede in casa, Sasuke era andato di filato in bagno a prendere degli asciugamani per togliere l’acqua di dosso a sé, al Rokudaime e al piccolo ospite.

Il biondino aveva fatto tranquillamente come se fosse a casa propria.

Con un sospiro di sollievo, si era tolto la tunica da Hokage, rimanendo con un paio di pantaloni scuri addosso.

Toltesi anche quelli, aveva preso il ragazzino e gli aveva tolto gli abiti bagnati, lasciando in biancheria anche lui.

«Sasuke! Porta qualche vestito per Ota, già che ci sei!»

L’Uchiha era apparso poco dopo.

Si era cambiato e, tolta la divisa da Anbu ormai fradicia, aveva indossato una lunga maglia nera e pantaloni dello stesso colore.

Tenuta assai casalinga, ma che fece sorridere il biondino.

«Come vedi, Sasuke non fa così paura.» rise, di fronte allo sguardo attonito del bambino, abbastanza sorpreso da quella versione “familiare” di un Anbu che aveva la fama di essere uno dei migliori di Konoha.

Eppure, si sentiva intimorito più da quella “normalità” che dalla versione ufficiale dell’Uchiha.

Forse perché lo sguardo severo del ventunenne si addiceva più ad un membro della squadra speciale che ad un borghese.

Naruto, invece, era diverso.

Ota era stato subito catturato da quell’aura di dolcezza e sicurezza che traspariva da tutta la persona del Rokudaime.

Vicino a lui si era sentito immediatamente protetto e il biondino suscitava in lui tanta tranquillità, pari soltanto all’inquietudine che gli incuteva il suo compagno.

«Moccioso, vieni qui. Sei fradicio.»

Tono burbero, freddo.

Sasuke si avvicinò all’undicenne, cominciando a frizionarlo con energia per togliergli di dosso l’umidità assorbita.

Occhi verdi fissi verso il basso, a fissare la punta dei piedi mentre l’asciugamano caldo premeva contro i propri capelli e il corpicino nudo e infreddolito.

Pochi secondi e, quando l’Uchiha lo ritenne asciutto, una felpa blu notte lo ricoprì da cima a fondo.

Era larga e gli arrivava poco sopra le ginocchia, ma era calda.

«Sembri tu da piccolo, Sasuke!» ridacchiò il biondino.

Gli occhi azzurri brillavano divertiti di fronte al bambino che navigava negli abiti dell’Uchiha quando aveva appena dodici anni.

Solo a quell’affermazione Ota notò il ventaglio bianco e rosso che spiccava in contrasto col blu scuro della stoffa sulla schiena.

«Non ho altri abiti per bambini, sai.»

«Bah…adesso che ne dici di asciugare anche me?»

Il Rokudaime era ancora grondante d’acqua; le ciocche dorate erano diventate color miele per la pioggia e aderivano alla pelle ambrata.

Il suo corpo risplendeva di una luce particolare.

Energia, entusiasmo.

Vita.

Ota ne era affascinato.

Come ammirò incredibilmente il contrasto che si venne a creare tra Naruto e l’Uchiha, quando questi cominciò a seguire dolcemente con le mani il contorno del corpo del biondino.

I palmi erano distaccati dalla pelle bronzea di qualche centimetro, ma l’Hokage teneva gli occhi socchiusi, come se lo stesse accarezzando.

E mano a mano che il moro faceva scorrere le mani su quel fisico asciutto e longilineo, Ota poteva vedere la pelle asciugarsi al calore che gli arti emanavano.

Il contrasto che creavano quelle mani pallide sul corpo dorato era paragonabile soltanto a quello tra i capelli e gli occhi scuri dell’Uchiha e i fili biondi e le iridi cerulee del Rokudaime.

Tutto in loro era opposto, ma Ota percepì come i due fossero immagini contrastanti di uno stesso specchio, facce di una stessa medaglia.

C’era un calore antico che proveniva dai due uomini, un sentimento che si era propagato nei secoli per giungere fino a loro.

Un brivido gli salì lungo la schiena.

Ota aveva la peculiare capacità di “sentire” le cose.

Il suo clan era possessore di una particolare tecnica del controllo del chakra tramite le spade.

Facendo roteare le katane ad altissima velocità, riuscivano ad eludere gli attacchi che prevedevano l’utilizzo dell’energia in questione.

Colpi come il chidori o il rasengan, basati sull’accumulo di grandi quantità di chakra, o il Juken degli Hyuuga erano perfettamente inutili contro gli esponenti del clan Fujiki.

E tutto era basato sul semplice utilizzo di una katana.

Si creava un feeling tra lo spadaccino e la sua lama, tale che con la distruzione di una, anche l’altro avrebbe subito un grave danno.

Ota non era ancora in grado di maneggiare la spada adeguatamente, ma percepiva il debole flusso che dipartiva dalla mano all’impugnatura.

Guardando i due, si rese conto che tra il biondo e il moro esisteva lo stesso identico rapporto.

Nessuno senza l’altro.

Legati da volontà più grandi di loro.

Legati dal filo rosso delle leggende che intrecciava i loro cuori.

E, con suo sommo terrore, Ota percepì un legame di sangue.

Un legame maledetto.

«Ahia! Maledetto Uzumaki!»

Il bambino si riscosse da quella sottospecie di trance all’urlo dell’Uchiha.

Il Rokudaime aveva morso l’avambraccio del ventunenne, rimanendovi saldamente attaccato con i denti, nonostante le proteste del compagno.

Riuscì a scollarselo di dosso solo dopo svariate proteste e colpi in testa, ma nonostante questo il segno dei dentini aguzzi rimase sul muscolo del braccio, rosso e livido sulla pelle candida.

«Bah…guarda cosa hai combinato…»

«Sai che sono segni d’affetto, tesoro.»

«Tsk…»

Naruto rise, poi guardò verso Ota.

Lo sguardo dolce, ma severo, fece arrossire il bambino che chinò il capo.

«Ota, per favore, non parlare a nessuno di quello che hai visto stasera. Ci metteresti nei guai.»

«Va bene, Rokudaime.»

«Naruto, odio le formalità.»

Nuovo rossore e un lieve sorriso.

«V…va bene, Naruto-sama.»

«Oddio come sei duro, mocciosetto! Naruto. Punto e basta.»

«Sì, a capo e lettera grande, baka kitsune.» sbottò Sasuke, dando un’energica strigliata sulla testa del compagno.

«Porti rispetto, Uchiha! Non si fa la “saponetta” al suo Hokage!»

In tutta risposta, il moro afferrò il ragazzo per il collo, costringendolo ad abbassarsi e sfregò rudemente le nocche tra la capigliatura bionda.

«Ahi! Ahi! Teme Sasuke! Lasciami! Questa me la paghi!»

«Magari in natura.»

«Scordatelo! Ti manderò in bianco per mesi dopo quest’umiliazione pubblica!»

«Ma se c’è solo Ota?» replicò Sasuke, lasciandolo però andare.

«Peggio! Traviamento di minorenne!»

«Tsk.»

Ota trattenne a stento una risatina.

Era strano vedere quelle figure così austere in pubblico, lasciarsi andare completamente una volta rinchiuse dentro le mura domestiche.

Strano, ma piacevole, e al bambino sembrò di essere ritornato ai tempi felici in cui abitava con sua madre e suo padre.

«Aaaaah, povero piccolo!» proruppe ad un tratto il Rokudaime, scompigliando la testolina bruna dell’undicenne. «Come farai con questo sensei maniaco?»

«S…sensei?»

Naruto ghignò.

«Come, non te l’ho detto? Sasuke Uchiha domani avrà il suo primo incarico come maestro jonin. E tu, Ota, sarai nella sua squadra.»

Ota alzò lo sguardo attonito verso Sasuke.

Il moro sembrava impassibile e indifferente al tutto.

Ma quando gli occhi verdi incrociarono quelli neri, le labbra del suo futuro maestro si piegarono in un sorriso appena accennato.

E Ota non ebbe alcun dubbio che fosse un sorriso di benvenuto.

*fine flash back*

«Kyuubi-chan!»

La voce del Rokudaime mise fine al litigio dei genin, distogliendo Ota dai propri pensieri.

«Kaa-san!» urlò la dodicenne, saltando al collo del biondino con le guance e i vestiti sporchi di brodo di ramen.

«Ciao piccola! Come è andato il primo giorno da kunoichi?» Domandò, alzando poi lo sguardo sullo scempio che era stato fatto al povero Ichiraku ramen.

Alzò perplesso un sopracciglio, interrogando Ota con lo sguardo.

«Che è successo qui? Passato un tornado?»

«No, sua figlia dimostrava il suo affetto ai propri compagni di squadra!»

«Se quello è affetto! Il morso sanguina!» piagnucolò Eiji, tenendosi il braccio.

Kyuubi, per tutta risposta, gli fece la linguaccia da dietro la tunica della madre.

Naruto sorrise, prendendo tra le mani il braccio leso e curando il morso.

In effetti sia lui che Sasuke avevano sempre sospettato che Kyuubi fosse cannibale.

In fondo, la volpe aveva dimostrato più volte la sua passione per la carne umana, ancora prima di diventare tale.

Sin da quando era sigillata nel corpo di Naruto, la kitsune suscitava nel biondino una vera e propria voglia di mordere chi gli stava attorno.

In seguito, l’Hokage aveva mantenuto quell’abitudine, facendola propria, ed era ben consapevole che la maggior parte delle cicatrici che deturpavano il corpo di suo marito, parte le bruciature del segno, erano causate non tanto dai combattimenti, quanto dai suoi denti acuminati.

Sempre a sentire Sasuke, anche quando Kyuubi aveva preso il controllo del suo corpo non faceva altro che mordere, ma entrambi avevano sperato che la loro bambina perdesse quella malsana abitudine di mangiare la gente.

Non era stato così, e adesso anche Naruto aveva le sue belle cicatrici di morsi sulle braccia.

«Ci farete l’abitudine, ragazzi. Perfino Sasuke che è notoriamente un brontolone si è rassegnato.»

«Mordete anche voi, Rokudaime?» domandò Tenjo.

Naruto sorrise.

Quei bambini erano proprio Inuzuka D.O.C.

Strafottenti, irrispettosi, ma con un grande cuore come il padre e una dolcezza nel volto e nello sguardo che potevano aver preso solo dalla madre.

Doveva passarli a trovare prima o poi.

«Da qualcuno deve pur aver preso, no?» ghignò, scompigliando i capelli biondo-rossicci della figlia. «Beh, adesso vai a lavarti Kyuubi. Sei tutta sporca di ramen. Tuo padre dovrebbe essere a casa.»

«Sì, è a casa. Ma…»

«Ma…?»

«Nulla.»

Kyuubi scosse la testa, e corse via.

Se avesse parlato a sua madre dello zio, avrebbe protestato terribilmente e poi, forse, quell’uomo se ne era già andato.

E la dodicenne voleva vedere suo padre da sola.

Naruto interrogò i presenti con lo sguardo, come a chiedere che cosa fosse preso a sua figlia, per scappare via in quel modo.

Fu Eiji a dargli la risposta.

«Credo sia preoccupata per il signore di oggi che è andato via con vostro marito.»

«Un signore?»

Tenjo annuì.

«Sì, un signore tutto vestito di nero! Assomigliava tantissimo al signor Uchiha.»

Un brutto presentimento si fece strada in Naruto.

«Questo signore…ha detto chi era?»

«No, ma Uchiha-san lo ha chiamato Itachi se non sbaglio.»

Il biondino sgranò gli occhi, sconvolto.

Balbettò qualche parola di scusa, poi si allontanò di gran carriera.

Doveva indirre lo stato d’allarme, a causa della presenza di un mukenin di livello S in città.

E, per quanto il suo desiderio più grande fosse correre a casa a proteggere suo marito e sua figlia, non poteva esentarsi dal suo dovere di Hokage.

Konoha al primo posto, la famiglia al secondo.

Ma quanto, in quel momento, avrebbe voluto invertire quell’ordine!

«Tou-san?»

Kyuubi si affacciò appena alla porta, incrociando lo sguardo di Sasuke.

Il trentaseienne sospirò, quando vide gli occhi scarlatti della figlia velati di lacrime.

La bambina, nel ritorno a casa, si era lasciata andare a quel pianto che prima aveva trattenuto e i residui delle lacrime salate erano ancora cristallizzati sulle sue gote.

«Vieni pure, Kyuubi.»

La kitsune deglutì, avvicinandosi appena al padre.

Percepiva ancora la sua rabbia e non sapeva come comportarsi.

Fortunatamente, Sasuke era molto più empatico di quanto ci si potesse aspettare.

«Continueremo dopo questo discorso, Itachi-san.» mormorò, alzandosi e conducendo la figlia fuori dalla stanza, chiudendo lo shoji dietro di sé.

Itachi socchiuse appena gli occhi, concentrandosi sui suoni delle loro voci.

Kyuubi singhiozzava, mentre Sasuke le sussurrava parole di conforto, stringendo a sé il corpicino acerbo.

Sospirò, in preda a un vago senso di malinconia.

Nonostante tutto, Sasuke era riuscito ad uscire dal baratro in cui l’aveva trascinato, lasciandolo da solo nella propria oscurità.

Un’anima inquieta che cerca la solitudine, ma che vuole compagnia nella stessa.

Ma Sasuke aveva trovato la luce, lasciandolo a marcire da solo nel buio, senza regalargli neanche la pace della morte.

Per fortuna, in quella notte senza fine, anche lui aveva trovato la propria stella.

Sorrise, ripensando a lei.

Lei che attendeva il suo ritorno.

Eppure, non riusciva a capire se fosse peggiore la sensazione di solitudine completa provata precedentemente, oppure l’aver trascinato la donna che amava con sé.

Si scostò una ciocca scura dal viso, con la mano destra.

Un arto inesistente, ricostruito con un addensamento di chakra nero.

Come l’oscurità che lo circondava.

Sasuke rientrò nella stanza, sedendosi di fronte a lui.

Un lampo interrogativo, negli occhi di pece, alla vista della mano.

«Il tuo regalino di tredici anni fa, otooto.» spiegò il maggiore degli Uchiha, sorridendo.

«Se non fossi stato drogato dal tuo oppio, adesso avresti la testa d’ombra.» sibilò Sasuke.

«Peccato che hai mancato il colpo.»

«Lui, forse. Ma stai sicuro che io non sbaglierò.»

Naruto era apparso dietro Itachi, circondandogli il collo con due kunai affilati.

Pronto ad uccidere.

«Naruto…aspetta!»

«Spero tu abbia una spiegazione valida, Sasuke, perché stavolta altro che in bianco per qualche mese! Ti lascio in astinenza anni!» ringhiò il Rokudaime.

«Sasuke, dici a tuo marito di mettere via quegli stuzzicadenti, per favore?»

Il più giovane dei fratelli sospirò, alzando gli occhi al cielo.

«Fosse per me lo lascerei fare. Naruto…la spiegazione c’è.»

«Ovvero? Dai che forse la pena si riduce a qualche settimana. Giusto per averlo portato in casa.»

«Due giorni!»

«Otooto, io avrei due kunai puntati al collo.»

«La mia vita sessuale è più importante della tua esistenza, quindi taci.»

«Sì, anche io ti voglio bene otooto.»

«Sasuke…questa motivazione?»

«Sta per scoppiare un’altra guerra tra i Bijuu. Se così sarà, Kyuubi sarà la prima a farne le spese. Itachi, anche se sembra strano dirlo, è qui per aiutarci.»

«D…davvero?»

Sasuke annuì.

I kunai caddero a terra, mentre Naruto si lasciò cadere sulle ginocchia.

Kyuubi…la sua Kyuubi, la sua bambina…

Sasuke gli si avvicinò, abbracciandolo.

«Stai calmo, Naruto. Staremo in guardia e non permetteremo a nessuno di toccare nostra figlia.»

Naruto annuì, lasciandosi andare all’abbraccio del compagno.

Nonostante le rassicurazioni, era agitato.

Un’ombra aleggiava sulla famiglia, avvolgendoli a loro insaputa.

E Naruto cominciava già ad avvertire il peso della solitudine che avrebbe dovuto affrontare in futuro.

Solo.

Di nuovo.

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Capitolo 6
*** tu sei un demone ***


Salve a tutti

La dodicenne era comodamente seduta al bancone dell’Ichiraku ramen.

Non le erano mai dispiaciuti i tagliolini in brodo, alimento alquanto presente nella dieta della sua famiglia, nonostante le proteste del padre che detestava cucinarlo.

Certo, il suo piatto preferito restava la carne, preferibilmente al sangue, ma non disdegnava una porzione di Miso ramen quando era depressa.

E, in quel momento, lo era.

Tesa, irritata.

L’atmosfera in casa era soffocante, a causa della presenza dello zio, ma anche fuori non si trovava più a suo agio.

Le sue giornate erano attraversate da percezioni che non le appartenevano.

Chakra.

Enormi correnti di chakra che la investivano; struggente avviso che qualcosa stesse per accadere.

Aiuto?

No, minacce.

Chiunque fosse il possessore di quell’energia, ce l’aveva con lei.

Voci nella testa che la chiamavano.

Invocavano il suo nome, accompagnato da un suffisso che mai le era stato attribuito.

Kyuubi no Youko.

Lo spirito delle nove code.

«Ehi, volpaccia!»

La voce di Eiji le giunse all’orecchio, facendole appena alzare gli occhi dalla ciotola.

Sembrava molto più interessata ai disegni decorativi del recipiente che al gemello.

«Gira al largo, Inuzuka. Oggi non sono in vena di battutacce.»

«Già nevrotica di prima mattina?»

Ecco anche l’altro.

Tenjo era arrivato, con i suoi pantaloni blu appena sotto il ginocchio, la maglia a rete coperta da una lunga canottiera gialla.

Abbigliamento identico a quello di Eiji, non fosse stato per il colore verde brillante che caratterizzava la canottiera di questo.

Uguali come pochi, con i capelli neri dai riflessi bluastri e i loro strafottenti occhi dorati, i gemelli Inuzuka procedevano sempre in coppia, come a conferma del detto: “le disgrazie non vengono mai da sole”.

«Gemelli, vi annuncio che non ho fatto ancora colazione e la vostra carne sembra più appetitosa del solito.» ringhiò, mostrando i canini affilati così dissimili da qualsiasi dentatura umana.

Tanto aguzzi che suo padre portava ancora le cicatrici di quando gli mordicchiava affettuosamente le dita.

Sulle braccia, invece, aveva quelle che gli lasciava sua madre.

«Amore mio, sei decisamente una donna da sposare.» commentò Eiji, alzando gli occhi al cielo.

«Facciamo presto, tesoruccio, così stasera ti preparo spezzatino di Inuzuka!»

«Che pessimi gusti culinari.»

Una voce trillante commentò sarcastica la battuta in falsetto di Tenjo, prima che l’Uchiha potesse replicare.

Le iridi scarlatte della dodicenne si spostarono verso la minuta figura sulla porta.

In controluce, era difficile distinguerne i lineamenti e il corpo sottile si stagliava come flessuosa ombra scura in un lampo di luce.

Il debole ringhio della volpe, tuttavia, non lasciava dubbi sull’identità della fanciulla in questione.

Kasumi Hyuuga, dodici anni, figlia di Hanabi e Neji Hyuuga, che aveva ereditato il ruolo di capo famiglia in seguito all’espulsione di Hinata.

Una cascata di capelli neri ricadeva morbida lungo la schiena flessuosa. Al di sotto delle spalle, la chioma veniva rinchiusa da strette bende color crema, fino ai fianchi stretti.

Il piccolo corpo, talmente minuto da dare l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro, era celato alla vista dalla casacca di un kimono beige, che sfumava in un tenue azzurro sui bordi, tonalità che riprendeva la spessa fascia blu cobalto che la fasciava stretta sotto il seno, già alquanto sviluppato per i suoi dodici anni.

A fasciare le gambe snelle e toniche, solo un paio di pantaloni dello stesso colore della fascia, la cui lunghezza arrivava a coprire appena la metà della coscia, rivelando le bende sulla gamba sinistra.

«Kasumi-chan!»

Le mani di Tenjo ed Eiji svettarono prontamente in aria, in segno di saluto verso la cugina.

Non ne ricavarono altro che uno sguardo sprezzante delle iridi di ghiaccio, contenenti l’abilità innata che era stata loro negata per il peccato di non essere nati all’interno del clan Hyuuga.

Uno sguardo che rendeva ancora più freddo e impersonale il volto di porcellana della ragazza, nel cui pallore risaltavano due tenui boccioli rosati a formare le morbide labbra.

«Cugini…»

Fu l’unico saluto appena mormorato dalla fanciulla, la cui attenzione pareva concentrarsi tutta sulla compagna di squadra dei parenti.

Hyuuga e Uchiha.

Una rivalità antica quanto il mondo.

Per qualche strana coincidenza, lei e l’erede degli Uchiha erano nate esattamente lo stesso giorno.

31 ottobre.

Kasumi non aveva mai creduto alla casualità.

Se lei e la figlia del Rokudaime avevano quel dato in comune, ci doveva essere una ragione.

Per la precisione, la giovane Hyuuga vedeva in Kyuubi la sua più acerrima rivale.

Non riusciva a capacitarsi come quella “cosa” potesse essere un’Uchiha.

Anche solo d’aspetto.

Non aveva nulla dei lineamenti perfetti che caratterizzavano il suo clan, i cui membri avevano rigorosamente capelli e occhi neri; iridi di pece pronte a diventare rubidi all’occorrenza.

Rosse e letali.

Non come quel sangue velato di azzurro che tingeva gli occhi della ragazza.

«Hyuuga.» ringhiò Kyuubi.

Come ogni animale che si rispetti, la volpe percepiva l’ostilità della coetanea.

Rivali sin dai primi giorni d’accademia, l’odio era palpabile tra le due fanciulle.

Due bellezze diverse, ma con la stessa alterigia.

Una nata dal fuoco, colma di tutta la sua potenza e la sua luminosità.

L’altra figlia del ghiaccio, con la fredda aura che la circondava e si rifletteva negli occhi di neve.

Il motivo della rivalità era molto semplice.

Nascita.

Quando un figlio di un clan importante veniva al mondo, quest’evento veniva festeggiato in tutto il villaggio.

Nonostante il clan Uchiha ammontasse solo a tre membri, il prestigio che si celava dietro al nome della famiglia fondatrice della polizia di Konoha non era mai venuto meno e il simbolo del ventaglio era in perenne conflitto con gli Hyuuga per determinare quale abilità innata forse la più forte del villaggio.

Essendo le due ragazze nate lo stesso giorno, tutti si aspettavano grandi cose da loro.

Ma Kyuubi, con la particolarità della sua nascita, il ruolo ricoperto dalla madre e il cognome che aveva ereditato, aveva come oscurato la gloria della coetanea.

Kasumi, sempre desiderosa di primeggiare, non era mai stata felice di quella situazione.

Già costretta a competere col fratello maggiore, la dodicenne odiava chiunque le sottraesse l’attenzione che le era dovuta.

L’Uchiha gliene toglieva fin troppa, specie quella dei cugini.

Alle rare cene cui partecipavano assieme, la ragazza ascoltava le critiche che i gemelli muovevano alla loro compagna di squadra.

Commenti sarcastici contornati da malcelato entusiasmo per l’originale compagna di squadra; critiche che Kasumi accettava solo come tali.

Si era quindi fatta un’idea ben precisa di Kyuubi.

Sgraziata, manesca, presuntuosa e per nulla femminile.

Tutto, in lei, non andava bene.

Da quel suo strano colore di capelli e degli occhi, al modo scialbo di vestirsi, con pantaloni alla pinocchietto dello stesso blu scolorito del gilet che troneggiava sulla canotta scarlatta.

Per non parlare dei suoi canini.

No, Kasumi non poteva certo accettare che quell’essere così lontano dall’umano le togliesse spazio.

Proprio in virtù di quella dentatura troppo affilata, la giovane Hyuuga aveva trovato un’alleata, per quanto scadente, nella lotta contro l’Uchiha.

«Ehiiii!»

Era un tornado in forma umana, quello che fece irruzione all’Ichiraku in groppa ad un possente cervo che, ad un colpetto sulla schiena della padrona, si fermò diligentemente in mezzo alla stanza, interrompendo così lo scambio di occhiate omicide tra Kasumi e Kyuubi.

«Come butta, ragazzi?»

La voce allegra e spiritosa contrastava completamente con quella della Hyuuga, i cui occhi bianchi si erano levati disperatamente al cielo.

Tsubaki Nara.

Un nome, un programma.

Non necessariamente positivo.

«Ciao, Tsubaki-chan!» salutarono i gemelli, battendo il cinque alla ragazza.

«Salve, gemelli! Ehilà, Uchiha…non è ramen a base di carne quello, vero?»

Gli occhi di un intenso blu scuro si assottigliarono pericolosamente, quando andarono a posarsi sulla ciotola di Kyuubi.

Per tutta risposta, la dodicenne afferrò un pezzo di carne tra le bacchette e, con un ghigno che metteva in mostra i canini, lo mangiò.

«Non sono un coniglio, Nara.» la beffeggiò.

Un kunai attraversò la sala, piantandosi vicino all’Uchiha.

Tsubaki era ancora in posizione di lancio e un sorriso poco rassicurante era dipinto sul volto regolare.

Condoglianze, Kyuubi, mai mettersi contro un vegetariano.

Specie se questo vegetariano è una donna, è famosa per gli attentati ai macellai, ed è figlia di Shikamaru Nara e Ino Yamanaka.

Pessima combinazione.

La ragazza si tirò indietro una ciocca di capelli sfuggita alle due code corvine che li tenevano bloccati.

Qualche rametto, souvenir di un’allegra cavalcata nei boschi sopra il suo cervo, Mure, era impigliato nella chioma arruffata e la maglia rosa da una sola spalla che copriva la maglia a rete sotto di essa, presentava qualche macchia di resina qua e là.

La minigonna blu a punte, di cotone sottile, era appena squarciata da un lato e lasciava intravedere i pantaloncini neri che indossava sotto di essa e sopra le calze a rete che si interrompevano appena sotto al ginocchio.

Sembrava appena uscita dai boschi in cui passava la maggior parte del tempo e, in effetti, era proprio così.

Ma le lunghe cavalcate su Mure non la stancavano, se aveva ancora l’energia per mettersi a battibeccare con Kyuubi sulla sua alimentazione.

Tsubaki non odiava l’Uchiha, a differenza di Kasumi.

Semplicemente, riteneva necessario convertirla alle verdure tanto disdegnate dalla kitsune.

Se poi, per farlo, considerava doveroso adoperare maniere forti, come una mannaia, ricordiamo che il fine giustifica sempre i mezzi.

Fortunatamente per la struttura del chiosco, Tsubaki fu bloccata nell’attacco verso Kyuubi da sottili fili di chakra, che le si attorcigliarono attorno ai polsi.

«Cos…?»

I due gruppi lanciarono un’occhiata distratta alla porta del locale, dove aveva fatto la sua comparsa una figura sottile e slanciata.

Corti capelli biondo sporco, dal taglio alla maschiaccio, occhi verdi e fisico quasi androgino; la creaturina sulla soglia si sarebbe potuta facilmente scambiare per un ragazzo un po’ troppo effeminato.

Il coprifronte fasciava la vita stretta, ricadendo su fianchi altrettanto piccoli, appena all’inizio dei pantaloni neri e larghi che indossava.

La stoffa di cotone leggero le arrivava fino alle caviglie, dove si stringeva secondo un taglio decisamente orientale. I piccoli piedi calzavano un paio di infradito di paglia, del tutto differenti dai sandali ninja consueti.

Una maglietta cinese di un verde oliva, allacciata con semplici alamari scuri sul lato sinistro del petto, ricopriva il busto acerbo e un sorriso beffardo inaspriva gli altrimenti delicati lineamenti del volto.

Haruno Yuki.

«Tsubaki, quante volte devo dirti di non attaccare briga con gli Uchiha?»

A dispetto del fisico quasi mascolino e del nome ambiguo, la voce della nuova arrivata era molto dolce, a dir poco musicale, così come il volto si delineava in un morbido ovale, quasi senza imperfezioni.

«Uffa, Yuki! Perché la devi difendere sempre?» brontolò Tsubaki, ancora bloccata dai fili.

«Io difendo te, per evitare che tu diventi cena, Tsubaki-chan.»

Le dita sottili della giovane eseguirono un movimento aggraziato, così da sciogliere la compagna di squadra dai legacci.

Dodici anni, figlia del ninja della sabbia Kankuro e di Sakura Haruno, la giovane Yuki aveva ereditato il cognome materno per importanza di clan all’interno del villaggio residente.

Era figlia della direttrice delle squadre di soccorso di Konoha, dell’allieva di Tsunade-Hime, la precedente Hokage, e andava fiera di questo.

A volte sembrava aver ereditato il carattere frivolo della madre; di sicuro ne aveva la testardaggine, eppure non dimostrava la stessa attenzione tutta femminile al proprio aspetto di questa.

Haruno Yuki era cresciuta secondo la tradizione dei marionettisti di Suna.

Suo padre l’aveva portata spesso nel deserto, le aveva insegnato a cavarsela in mezzo alle intemperie e ad affrontare le situazioni più disagiate.

In mezzo alla sabbia, l’unica cosa su cui puoi contare è te stessa e non ti servono né capelli lunghi, né abiti eleganti.

«Konnichiwa, Yuki-chan!» esordì Kyuubi, sorridendo per la prima volta dall’inizio della giornata.

Yuki non le era mai dispiaciuta come presenza, forse perché vi era abituata sin dall’infanzia.

Sua madre era la migliore amica dei suoi genitori e, spesso, li aveva sentiti scherzare su una cotta giovanile di questa verso suo padre.

Fatto sta che Yuki Haruno poteva considerarsi una delle poche fortunate persone di Konoha a non essere nella lista dei possibili antipasti della piccola Uchiha.

Anche perché, diciamola tutta, era davvero troppo magra.

Al massimo poteva servire da digestivo.

«Haruno…»

Kasumi rivolse un’occhiata sprezzante alla propria compagna di squadra.

Non accettava ancora l’idea di essere finita in squadra con quella ragazza.

Nonostante il prestigio derivatole dalle abilità della madre, Kasumi era sempre restia ad approvare chi non avesse una discendenza nobile alle spalle.

Gli Haruno erano un clan minore, nulla a che vedere con gli Hyuuga, gli Uchiha, i Nara, gli Aburame, gli Inuzuka, gli Yamanaka…

Perfino gli Akimichi, nonostante il loro deprecabile aspetto fisico, erano, agli occhi della fanciulla, un gradino sopra agli Haruno, che non potevano vantare neanche la più piccola e insignificante abilità innata.

No, decisamente non approvava la squadra in cui era stata inserita. Tanto meno il maestro…

«Ah, giovani virgulti della giovinezza! Ecco dove eravate finite!»

Un tornado in tuta verde e scaldamuscoli arancione comparì nel bel mezzo della stanza.

Rock Lee, 37 anni, Jonin ed esperto di Taijutsu salutò con un caloroso abbraccio le sue tre allieve, fortemente in imbarazzo di fronte all’insegnante.

Certamente, sapevano di dover essere punite per aver disertato l’allenamento, ma forse essere sottoposte a quelle effusioni pubbliche era davvero troppo.

«Come mai non vi siete fatte vedere? Dovevamo incontrarci stamattina! Ah, ma io capisco il vostro interiore tormento che vi spinge ad esplorare nuovi orizzonti…»

«Lee-san…cosa ci fate qui a quest’ora?»

Un sospiro di sollievo si diffuse nell’aria, all’ingresso del più giovane tra i maestri jonin.

Ota Fujiki si richiuse lo shoji alle spalle, inchinandosi di fronte al ninja più anziano.

Lineamenti femminei, occhi grandi e color verde bosco sottolineavano l’aria timida del ventiseienne.

«Salve, giovane Ota! Sono venuto a recuperare le mie allieve!»

Con un sorriso, il ragazzo studiò una ad una le fanciulle seguaci del jonin.

Erano quelle le avversarie che avrebbero dovuto affrontare i suoi allievi all’esame chuunin, che si sarebbe dovuto tenere a Kiri tra pochi mesi.

«Immagino che le stiate allenando per l’esame chuunin.»

«Esattamente, e non vedo l’ora di poter farle misurare con i tuoi fantastici allievi! Soprattutto…» la mano ruvida dell’uomo scompigliò la testa di fuoco di Kyuubi «Sono curioso di vedere all’opera questa ragazzina. È pur sempre la figlia di Naruto e Sasuke. A proposito, come stanno?»

«Kaa-san è a casa.» spiegò l’interpellata, scostandosi da quella dimostrazione d’affetto, gesti che accettava solo dai genitori «…Tou-san…non lo so.»

«Doveva essere in missione, se non sbaglio, assieme ad Hana e Ayumi.»

Kyuubi non udì il seguito.

Improvvisamente la testa cominciò a girarle, mentre il mondo attorno a lei perdeva consistenza.

La nausea salì, assieme ad un improvviso malessere che la portò ad appoggiarsi al sensei.

«Kyuubi, tutto bene?» domandò Ota, senza ottenere risposta.

La kitsune udiva le voci dei compagni che si affollavano attorno a lei, ma sempre più forte percepiva una corrente.

Enorme, verde, letale…

Distruttiva.

Un presagio nefasto, il segnale che molti attendevano e l’improvviso mancamento fu il solo sollievo a quel disagio causato dall’opprimente sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto.

Collegato a suo padre.

Sasuke era in missione, quando accadde.

Prima un leggero malessere, poi un dolore lancinante che si propagava come una scarica elettrica nel suo corpo, concentrandosi nel segno.

«Uchiha-san…»

Hana Shiotari, ventiquattro anni, Anbu dal fisico prosperoso, si chinò su quello che era stato il suo maestro jonin ed era il suo attuale caposquadra.

Molto curata, attenta ai dettagli e ai particolari, spesso anche frivoli, la fanciulla aveva penato a lungo per diventare Anbu, quasi quanto a convincere la Godaime ad accorciare i pantaloncini estivi delle divise.

I capelli ramati, stretti in due codini da fermagli a forma di farfalla con gli strass, ondeggiavano al ritmo preoccupato del capo chino sul maestro.

Molto più dotata di Hana, ma ugualmente frivola, Ayumi Ryutari, diciassettenne minuta e affascinante.

Capelli biondi, occhi azzurri e un aristocratico nasino all’insù da bambola di porcellana.

Era entrata a far parte della squadra Anbu a soli undici anni.

Sebbene fosse spesso ingenua e tarda a comprendere, aveva una buona capacità d’azione e un grande cuore.

Sasuke l’aveva promossa più per non separarla dai compagni più grandi che per merito vero e proprio.

Ota, Hana, Ayumi…ragazzi problematici e ninja con ancora più difficoltà, Sasuke aveva fatto in modo che restassero uniti e, per appianare i disagi che avrebbero potuto provocare ad un altro superiore, li aveva tenuti con sé, aiutandoli e sostenendoli in ogni difficoltà.

Alla fine, erano riusciti a meritarsi quasi appieno il grado che portavano.

Riuscivano miracolosamente a compensarsi l’un l’altro e, l’Uchiha ne era convinto, la perdita di uno di loro avrebbe portato alla rovina l’intero gruppo.

«Hana, Ayu…allontanatevi.» mormorò «E’ un ordine!» aggiunse, notando il loro tentennamente.

Le due ragazze fecero appena in tempo a sparire, che il chakra di Sasuke, troppo a lungo trattenuto, esplose.

Caldo.

Fuoco.

Metà foresta fu rasa al suolo da quell’energia spaventosa.

Il sigillo del fuoco si era sciolto.

«Grazie per averla riportata a casa, Ota.»

La voce di Naruto risuonò limpida e cristallina sull’ingresso.

Di tanto in tanto, gli occhi azzurri andavano preoccupati al corpo privo di sensi della figlia, adagiato sui cuscini nella stanza accanto.

«Dovere, Rokudaime…»

Anche il ragazzo osservava con ansia la propria allieva.

Non era mai stata soggetta a malori simili, né aveva dimostrato una tendenza allo svenimento.

Al contrario, la sua capacità di resistenza allo sforzo fisico era proverbiale.

«Spero non sia nulla di grave.»

«Probabilmente solo un po’ di stress.»

Tentativo più di confortare se stesso che Fujiki, Naruto trattenne a stento un sospiro, congedando il jonin.

«Preoccupato, Naruto?»

Itachi entrò nella sala, proprio mentre il biondino si sedeva accanto alla figlia.

Presenza inquietante, austera.

Ombra che si aggirava per l’abitazione; fantasma di un passato che non intendeva scomparire.

«Sarebbe strano se non lo fossi.»

Il mukenin rise, con quel suo strano modo di fare sommesso, come se sapesse sempre qualcosa in più degli altri e intendesse far pesare la propria superiorità.

«È una bella bambina.»

«Lo so.»

«Peccato che abbia il caratteraccio di mio fratello.»

«Sasuke è molto più dolce di quanto semb…»

La porta dell’ingresso si aprì, con il tonfo secco degli shoji quando giungono al termine del percorso per spalancarli.

Il sorriso di Naruto, istintivo ogni volta che il marito tornava, si gelò sul volto brunito quando scorse la pelle ricoperta di segni scuri e le iridi fiammeggianti.

«Uchiha…» mormorò.

Il ragazzo annuì, in risposta.

Il chakra negativo era percepibile attorno a lui; sottile nebbia impenetrabile.

«A quanto pare, il primo sigillo si è sciolto.» commentò Itachi, senza apparente interesse.

L’Uchiha sembrò osservarlo perplesso per qualche secondo, come se si stesse chiedendo il motivo della sua fastidiosa presenza lì, poi parve rammentarsene.

«Sasuke è troppo buono con te. Io ti avrei già tagliato a fettine.»

Sospetto confermato.

Sasuke e l’Uchiha erano e non erano la stessa persona.

«Ti servo, e lo sai anche tu.»

Un “tsk” sdegnato accompagnò quell’affermazione, mentre la katana si depositava a terra, sul tatami.

Gli occhi contenenti lo sharingan si posarono sul corpicino stremato di Kyuubi e la sua espressione parve addolcirsi.

«Sasuke…»

Naruto gli si avvicinò, posandogli la mano sulla spalla.

Avvertiva il suo turbamento, lo conosceva fin troppo bene per non riuscirci.

L’Uchiha parve temporeggiare, poi sospirò.

«Dobbiamo dirglielo, Naruto.»

«Cosa?»

«Dobbiamo dirle come è nata e chi è realmente.»

Il Rokudaime aggrottò le sopracciglia.

«Come sarebbe a dire “chi è realmente”? Lei è Kyuubi Uchiha, nostra figlia. Nient’altro.»

«Kaa-san…Tousan…»

La discussione fu interrotta da un breve mugolio della bambina, i cui occhi scarlatti fissavano assonnati i genitori.

Si svegliò di colpo, quando scorse il corpo del padre rivestito da segni neri che emanavano un’energia negativa e familiare.

Non le piacevano quei segni.

Si ritrasse, quando Sasuke si chinò alla sua altezza.

Questi non fece una piega, limitandosi a porgerle la mano.

Kyuubi l’annusò.

In quei momenti prevaleva la sua parte animale, l’istinto.

Parte che Sasuke sapeva bene come gestire.

Le piccole narici del nasino aristocratico fremettero qualche secondo.

L’odore era alterato, ma sotto quel chakra oscuro e malevolo percepiva chiaro e rassicurante, quello del proprio Tou-san.

Si strusciò contro la mano.

Un moto di tenerezza, poi l’Uchiha tornò serio.

«Kyuubi…io e Kaa-san ti dobbiamo parlare.»

«Ci penso io, Sasuke.» si offrì Naruto.

Scosse la testa, in risposta.

Spettava a lui, visto che era lui la causa di tutto questo.

«Cosa c’è, Tou-san?»

«Ti sei accorta di essere un po’ diversa dagli altri bambini?»

«Ovvio, io sono più forte.»

Modestia.

Il clan Uchiha non si smentiva, neanche nella sua ultima discendente, pensò Naruto.

«Oltre a questo, che era ovvio…»

E neanche in suo marito.

«…hai visto che a volte hai un comportamento un poco…animale?»

«Anche Kaa-san.»

«Che c’entra? Kaa-san è un animale!»

Stavolta nessuno risparmiò a Sasuke un calcio nel deretano e anche piuttosto forte.

«Idiota!» sibilò il Rokudaime.

«Ha parlato lo scemo del villaggio.» mugugnò l’Uchiha, massaggiandosi la parte lesa.

«Mmmmmh…» il volto del biondino assunse un pericoloso color porpora «Aaaaah! Sei odioso! Mi chiedo perché ti ho sposato!»

«Dunque…perché mi ami, perché sono bello e perché sono bravo a letto?»

Il color porpora divenne scarlatto e Naruto si voltò stizzosamente di spalle.

«Solo la prima delle tre opzioni. Ultimamente nella terza stai diventando piuttosto scadente…»

«Dopo questa, chiedo il divorzio.»

«Tou-san, Kaa-san…»

«Sì?» esordirono i due in contemporanea.

«Cosa mi dovevate dire?»

Incredibile quanto poco ci voglia a far riacquistare la serietà a Sasuke Uchiha.

«Ecco…hai visto che i tuoi dentini sono un po’ più lunghi di quelli degli altri, che ami la carne, anche umana…»

«Tou-san non sei bravo a tergiversare, arriva al sodo.»

Sasuke sospirò.

Non sapeva la reazione che si sarebbe scatenata, ma era per lo stesso bene di sua figlia.

Il segno aveva cominciato a richiamarlo, altri sigilli si sarebbero sciolti e demoni, fino a quel momento imprigionati, si sarebbero risvegliati solo per distruggerla.

Doveva essere pronta a riceverli.

Non come Kyuubi Uchiha, ma come Kyuubi no Youko.

«Tu sei un demone, Kyuubi.»

“Ti devo parlare”, sono tre parole che non andrebbero mai pronunciate.

Angosciano, opprimono, generano ansia.

Sono sempre presagio di qualcosa di spiacevole.

Non sai cos’è e l’attesa diventa interminabile.

Specie quando a rivolgerle sono i tuoi genitori.

E, anche quella volta, a giudicare della fuga della kitsune dalla stanza, avevano sortito il loro tragico e drammatico effetto.

«Tu sei un demone.»

Per ora vi fate bastare questi, come al solito.

Ah, Rin non è realmente un’Inuzuka, ma mi faceva piacere infilarla in quel clan e, visto che Kishimoto-sensei non ci ha degnato di spiegarci le sue origini…

Nota: il design e i caratteri di Tsubaki Nara, Kasumi Hyuuga, Kumiko Nara (apparirà) e Kazushi Hyuuga, non sono miei, ma i due Hyuuga sono © di Sakurey, mentre Tsubaki Nara è © di Hanabi92.

Kumiko Nara è © di Yumeko

Ma torniamo al discorso cosplay, ormai ne sapete abbastanza ù__ù

Faccio una lista dei personaggi con accanto il nome/nick dell’interprete (non tutti hanno un link, perché non di tutti conosco il nick su efp o su manga.it), così vi rendete conto sia della compagnia, sia di chi manca.

Precisazione: il bozzetto dei costumi non è facoltativo. Se il personaggio non è ancora apparso, possiamo discuterne assieme su msn, ma se così non fosse, tenete presente che dovete attenervi agli abiti che indossano nella fanfiction.

A chi è interessato, posso fornire descrizioni più dettagliate e anche indirizzarvi a chi può spiegarvi come realizzarli.

In ogni caso, se decidete di fare un personaggio non ancora apparso (vedi i personaggi secondari, visto che gli abiti non sono quelli del manga, oppure un demone), mandatemi la vostra descrizione fisica (specie per i demoni), così vedrò di adattare il costume alle vostre esigenze fisiche.

PERSONAGGI PRINCIPALI E ASSOLUTAMENTE INDISPENSABILI

Naruto Uzumaki: Onlykitsune (e non accetterò un altro Naruto in un cosplay all’infuori di lei ù_ù)

Sasuke Uchiha: c’è bisogno di chiederlo ù__ù? La sottoscritta.

Kyuubi Uchiha: Shichan

Eiji&Tenjo Inuzuka: le devo ricontattare, comunque metto il nick di una di loro due qui XD, l’altro non lo conosco: ru-ka-wa

Ota Fujiki: Assolutamente, tragicamente, drammaticamente libero.

Itachi Uchiha: se riesco a convincerla, pikkola-aya

Ragazza di Itachi molto tarda ad apparire XD: ancora libera, ma sappiate che deve essere uno scricciolo sull’anoressico andante.

Hana Shiotari: libera.

Ayumi Ryutari: libera.

Koori: mika-mika

Shinigami: altro personaggio tragicamente libero.

Shukaku: il mio ragazzo ù__ù

Nekomata: orofrane/bia-chan

Isonade: se tutto va bene, uo-chan, altrimenti Kei_saiyu

Sokou: rika e Galeon? Forse. Altrimenti, fatevi avanti, ma rammentando che è un demone doppio e che, in quanto tale, deve essere portato da due persone che vanno d’accordo (anche perché il vostro costume sarà tragico, visto che è progettato in modo che sia legato)

Houkou: rei murai

Raijuu: tragicamente libero ç__ç

Kaku: chy-chan

Yamata no Orochi: (visto che la orochimaru ufficiale si rifiuta =__=), Kurenai88

Kasumi Hyuuga: Hanabi Uchiha

Kazushi Hyuuga: altro da verificare, comunque per ora lo considero semi-libero.

Retsu Aburame: apparirà più in seguito, comunque è piccolo, capelli neri e occhi blu. Se intanto qualcuno vuole farci un pensierino.

Kumiko Nara: altra che appare in seguito. Libera.

Tsubaki Nara: Libera.

Yuki Haruno: libera.

PERSONAGGI SECONDARI, MA GRADITI. DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE, SOLO SE NESSUNO DEI PERSONAGGI PRINCIPALI E’ DI VOSTRO GRADIMENTO. (tutti liberi)

Sakura Haruno

Kiba Inuzuka

Hinata Hyuuga

Neji Hyuuga

Hanabi Hyuuga

Shikamaru Nara

Ino Yamanaka

Kankuro

Choji Akimichi

Rock Lee

Shino Aburame

Orihime Aburame (moglie di Shino XD, anche lei appare poi)

Tsunade

PERSONAGGI SECONDARI E SUPERFLUI (da prendere in considerazione se e solo se le prime due liste sono state completate)

Pain

Konan

Kakuzu

Hidan

Kisame

Zetsu

Deidara

Sasori

Tobi

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