Shadowhunters - La città dei sogni illusori

di Hanial
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Nuovi arrivi ***
Capitolo 3: *** Dubbi ***
Capitolo 4: *** Paure ***
Capitolo 5: *** Segnali ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Le vedo…Quelle mani che mi vengono incontro, che si tendono verso di me con una delicatezza e una gentilezza inaudita, riesco a sentire anche da qui il loro calore, l’amore che vorrebbero trasmettermi se solo permettessi loro di toccarmi.
Sento il mio viso aprirsi in un sorriso,
“Jace.”
Pronuncio il suo nome in un sussurro, come se volessi tenere quel suono solo per me, come se dicendolo a bassa voce potessi fare in modo di tenerlo lontano dal resto del mondo.
Alzo lo sguardo verso il suo volto e li vedo, i suoi bellissimi capelli dorati, simili a quelli di un angelo e il suo sorriso... Come potrei descrivere ciò che provo quando vedo le fossette che si creano ai lati della sua bocca?
Decido di prendere la sua mano e sento un brivido percorrermi lungo la schiena, come se ci fosse qualcosa che non va, come se quello difronte a me non fosse il mio Jace. Mi costringo in un sorriso, allontanando i pensieri che, insistentemente, cercano di rovinare quel momento e mi alzo portandomi vicino a lui, così vicino da sentire il suo corpo, il suo fiato accarezzarmi i capelli e il volto e  il suo cuore battere all’unisono con il mio.
Sento qualcosa di freddo sfiorare il mio viso, prima all’altezza della guancia e poi sotto il mento e capisco, capisco che quel presentimento non poteva che essere sbagliato, io ero dove dovevo essere, tra le braccia della persona che amavo e che avrei amato per sempre.
Lascio che mi sollevi la testa e nel momento stesso in cui le sue labbra sfiorano le mie sento il desiderio di pronunciare ancora una volta il suo nome,
“Jonathan…”

 
“Noooo!”
Mi stavo sentendo male, mi mancava l’aria, ecco perché avevo incominciato a respirare faticosamente, come se durante quel sogno avessi tolto fuori tutto l’ossigeno che mi permetteva di respirare.
Sollevai una mano all’altezza del cuore sentendo il battito accelerato e con gli occhi ancora sgranati mi guardai intorno.
Ero nella stanza degli ospiti di Luke, in quel letto che ormai sentivo familiare, quelle pareti che avevo ricoperto con poster, miei disegni e alcune foto che non ritraevano più solo me e Simon, ma anche Jace, Isabelle e qualcuna pure Alec, anche se adesso sembrava essere in una fase di isolamento volontario.
Ogni volta che gli si chiedeva qualcosa ti guardava con quegli occhi di ghiaccio che sembravano trapassarti da una parte all’altra, ovviamente prima di girarti le spalle e ignorarti come se non esistessi. Solo Jace aveva provato a chiedergli qualcosa, ma lui ovviamente non aveva risposto, le uniche parole che gli diceva erano ‘adesso no’, tuttavia siamo giunti a delle nostre conclusioni, visto che da quando lui si è chiuso come un riccio, anche Magnus è sparito. Dice di essere in viaggio, Hawaii, eppure l’altro giorno quando sono passata davanti casa sua, mi è sembrato di vedere qualcuno lì dentro, ma forse era stata un’allucinazione.
Alzai le braccia sopra la testa stendendo la schiena, da quando Sebastian era sparito, Simon non passava più le notti qui, diceva di avere degli impegni, ma chissà perché pensavo che quegli ‘impegni’ avessero un solo nome, Isabelle.
Erano diventati inseparabili dopo che lui…Bhè dopo che lui aveva invocato Raziel e si era fatto togliere il marchio, la scusa che aveva armato Izzy per questo rapporto?
“Gli serve protezione! Adesso che non ha più il marchio Raphael farà di tutto per uccidere il daylighter!”
Cosa alla quale avremmo potuto pure credere, se fossimo stati ciechi!
Sorrisi mordendomi il labbro, era strano, ma tutte le cose, più o meno, avevano trovato una conclusione, ora che mio fratello era sparito. Anche Jace sembrava essere tornato quello di un tempo, strafottente, saccente, spiritoso, intelligente, dolce…
Era tornato ad essere il mio Jace, quello che avevo vissuto per pochi giorni dopo aver scoperto che non eravamo fratelli e che avremmo potuto vivere la nostra storia gridandola al mondo intero.
Mi passai una mano tra i capelli e mi portai seduta sul fianco del letto facendo scendere le gambe e toccando con i piedi nudi il pavimento, provocandomi qualche brivido per il freddo, con la mano cercai tastoni, nel cassetto, un paio di calzini che mi infilai per usarli al posto delle ciabatte, cosa che faceva letteralmente impazzire mia madre.
Mi avvicinai alla porta della camera e l’aprii per poi ritrovarmi nel soggiorno illuminato dalle prime luci dell’alba, era più bello a quest’ora, i colori tenui, il silenzio, cosa che ormai mancava da un po’, visto che mia madre e Luke non facevano altro che litigare per quale primo scegliere e chi dovesse stare seduto vicino a chi durante il ricevimento.
Abbassai la testa portandomi una mano tra i capelli e scompigliandoli leggermente, erano strani quegli sprazzi di normalità dopo tutto quello che era successo, dopo aver visto amici cadere in battaglia, amici trasformarsi in nemici e nemici pronti a salvarti la vita, perché Sebastian con me lo aveva fatto più volte, no?
O anche quello era stato un sogno?
Sospirai avvicinandomi al frigorifero, lo aprii e presi una bottiglia di acqua naturale, sentivo la bocca amara, quella strana sensazione che si ha di prima mattina, svitai il tappo e ne versai un bel po’ in un bicchiere che portai alle labbra, era fresca… Ora si che incominciavo a sentirmi meglio.
Ad un tratto, però, sentii un tuffo al cuore, attraverso il fondo del bicchiere, in vetro, vidi una figura in piedi davanti a me, non riuscivo a distinguerne bene i lineamenti ma sembrava lui.
Abbassai il bicchiere portandolo all’altezza del petto e lo vidi.
Era lì che mi guardava con i suoi occhi neri come la notte, quei capelli argentati e quell’espressione compiaciuta sul volto, un espressione che sembrava voler dire tutto e niente allo stesso tempo.
Sentii mancarmi le forze, le gambe e le braccia incominciarono a tremare e senza accorgermene lasciai andare il bicchiere che cadde frantumandosi in mille pezzi.
Abbassai lo sguardo per un secondo e quando lo rialzai lui non c’era più.
Fu come un movimento impulsivo, corsi verso la porta e la spalancai uscendo fuori, raggiungendo il margine del vialetto,
“Jonathan!”
Lo urlai come se da quello dipendesse la mia vita, mentre con la testa mi guardavo intorno in maniera frenetica, quasi incapace di credere che lui non fosse più lì.
Mi sarei messa a correre se solo non avessi sentito delle mani afferrarmi per le spalle cercando di trattenermi, era lui?
Era venuto a prendermi?
Mi voltai pronta per tirargli un pugno in faccia ma davanti a me non vidi altro che il volto preoccupato di Luke.
Non saprei dire cosa provai in quel momento, felicità, sollievo, ma anche delusione.
Una parte di me sperava non fosse lui, ma l’altra, al contrario, voleva fosse mio fratello, voleva vederlo in faccia e sentirlo nuovamente vicino.
“Clary calmati!”
Scossi la testa come se mi fossi appena risvegliata da un sogno e a malincuore mi ritrovai nuovamente in quel letto, lo stesso dal quale pensavo di essermi alzata.
Mi misi seduta lasciando le mani poggiate sul materasso, sentivo la fronte bagnata, come se fossi stata sottoposta a un allenamento durissimo, ed il fiato corto.
Luke era seduto davanti a me con le sue mani ancora sulle mie spalle e sul viso un espressione preoccupata, come se mi avesse ritrovata esangue da qualche parte.
“Lu…Luke?”
Non potevo ancora credere che la persona davanti a me fosse lui, io ero certa di aver visto Jonathan, mio fratello. Non lo avrei confuso con nessun altro, avrei riconosciuto quegli occhi in mezzo a mille, per non parlare di quell’espressione compiaciuta che solo lui era in grado di fare.
“Ehy, che succede? Ti ho sentita urlare e quando sono arrivato stavi lottando contro le coperte.”
Mi passò una mano tra i capelli per poi scendere sul viso e lasciarmi una carezza, era sempre così dolce con me, specialmente quando mia madre era costretta ad andare ad Idris, perché richiamata dal Conclave, proprio come adesso.
“Io..”
Scossi la testa confusa e abbassai lo sguardo puntandolo sulle mie ginocchia ancora coperte dal lenzuolo, cosa stava succedendo?
“Era così vero.”
Non sapevo come spiegarmi altrimenti, quel sogno mi era sembrato talmente lucido da prendere quello per la realtà, molto più di quella dove mi trovavo.
“Cosa Clary.”
“Jonathan era qui. Era in cucina e mi guardava. Luke ti giuro che era qui!”
Nella mia voce era facile scorgere qualche venatura isterica, non sapevo se credere a quelle parole, o se semplicemente volevo crederci perché.. Già, perché?
Che motivo avevo di voler rivedere Jonathan dopo quello che era successo?
Dopo quello che aveva fatto a Jace e dopo quello che mi aveva portata a fare?
Io per colpa sua ho dovuto pugnalare la persona che amo di più al mondo e ora…Ora non posso più toccarla!
Portai le ginocchia al petto e vi poggiai sopra i gomiti, lasciai che le mani mi si poggiassero per metà sulle tempie mentre con le dita afferravano i miei capelli e scoppiai a piangere, un pianto isterico, come la mia voce di prima, liberatorio, perché avevo cercato di fingere che non mi importasse che Jace fosse così, disperato, perché non sapevo più quale fosse il mio posto, al fianco di Jace o di Jonathan?

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Capitolo 2
*** Nuovi arrivi ***


Dopo quello che era successo alle prime luci dell’alba mandai Luke in camera sua, dicendogli che stavo bene, che la crisi avuta poco prima era passata. Lui sembrò non crederci e per un bel po’ mantenne il suo sguardo indagatore su di me, puntato dritto nei miei occhi che, ormai, erano diventati bravi a dissimulare ogni emozione.
Avevo fatto molta esperienza a dire bugie, non ero più la ragazzina che solo un anno prima aveva mentito maldestramente alla propria madre solo per andare al Pandemonium…
Ah, se le avessi dato retta.
Se quel giorno non fossi andata in quel locale non ci sarebbe stato nessun Valentine, nessuna Lilith e soprattutto nessun Jonathan, ma d’altro canto potevo esserne veramente dispiaciuta?
Se non fossi andata in quel locale non avrei incontrato Jace, non avrei scoperto l’amore, mi sarei privata di certe emozioni che adesso fanno palpitare il mio cuore.
Ma hai rovinato le loro vite.
Questa voce dentro di me non voleva saperne di stare in silenzio, continuava a ricordarmi costantemente che se fossi rimasta in disparte Valentine non avrebbe trovato la coppa e di conseguenza gli altri strumenti, così molte vite sarebbero state risparmiate, anche quella di Max…
Max, era solo un bambino, non aveva fatto niente di male eppure era stata una delle prime vittime di quella stupida guerra che quel mostro, non riuscivo proprio a chiamarlo padre, aveva deciso di iniziare solo per alleviare la sua sete di gloria e di potere.
Passai molte ore a rigirarmi nel letto con quei pensieri nella testa e solo dopo essere giunta alla conclusione che il passato è passato e non può essere cancellato, mi alzai.
Andai dritta verso l’armadio e ne aprii l’anta che conteneva al suo interno uno specchio, avevo una faccia che faceva paura, due enormi lunette viola sotto gli occhi che volevano testimoniare il fatto che quella notte non avevo dormito abbastanza.
Jonathan.
Mi ritrovavo a pensarlo molto spesso da quando ero tornata a casa, quasi ogni notte vedevo il suo volto nei miei sogni, rivedevo quel sorriso gentile che mi aveva rivolto poche volte durante il mio soggiorno in quel covo con lui e Jace e ogni volta che ci pensavo sentivo il mio cuore perdere un battito, le sue parole..
Con chi dovremmo stare, se non l’uno con l’altra?
Erano marchiate a fuoco nella mia testa.
Se avesse avuto ragione?
Se il mio posto fosse al suo fianco?
In fin dei conti i miei sogni non mi hanno mai mentita, hanno sempre cercato di mostrarmi qualcosa che da sveglia non vedevo, qualcosa di importante che preferivo ignorare, come in questo caso.
Come potevo continuare ad ignorare il fatto che ogni volta che chiudevo gli occhi lui era lì con me?
Sospirai prendendo un paio di jeans e una maglietta a maniche lunghe, nera, semplice, una di quelle che cadeva morbida lasciando intravedere una spalla e andai in bagno.
L’unica cosa della quale avevo bisogno in quel momento era una doccia fredda, dovevo schiarirmi le idee per poter fare finta di niente una volta arrivata all’istituto, oggi avrei incontrato il mio nuovo istruttore, uno in grado non solo con il mio potere ma anche con le armi, dal momento in cui Jace non ‘sarebbe più stato di grande aiuto’, erano queste le parole che l’inquisitore aveva pronunciato.
Entrai sotto la doccia e lasciai che il getto d’acqua mi accarezzasse la pelle, portando con sé il sudore di quella notte che mi era sembrata infinita.
Chiusi gli occhi accarezzandomi con le mani i capelli, che almeno in quel momento erano lisci e ricadevano ordinati sulle mie spalle, finalmente potevo stare tranquilla, ero sveglia, ero lucida.
Riaprii gli occhi per prendere lo shampoo e fu un momento.
Indietreggiai urtando con la schiena alla parete bagnata della doccia, oltre il vetro, reso appannato dal calore dell’acqua, lo vidi.
Era lui, non potevo sbagliarmi ancora!
“Jona…”
Non riuscii a completare il nome dal momento che appena aprii il vetro scorrevole lui era già sparito. Richiusi con forza la porta e mi lasciai cadere, piegandomi sulle ginocchia, tenendomi la testa tra le mani, ora non era un sogno, ne ero certa, ma allora perché continuavo a vederlo?
Perché era ovunque?
Rimasi lì, ferma per qualche minuto fino a quando non sentii bussare alla porta,
“Clary, tesoro, tutto bene?”
Era mia madre, la sua voce era tranquilla, ciò voleva dire che a Idris era andato tutto bene, che i membri del consiglio le avevano creduto nonostante di mezzo ci fosse suo figlio.
“Si mamma, esco tra un minuto.”
Fu solo grazie alla sua voce che mi rialzai e finii di prepararmi, mi asciugai rapidamente i capelli, lasciando bagnata qualche ciocca e mi infilai i vestiti, avevo bisogno di mia madre, di ricevere un suo abbraccio per capire che tutto quello che mi stava circondando era vero, così non appena uscii da lì corsi in soggiorno. La vidi seduta al divano, mi dava le spalle, mentre Luke era in piedi con la schiena poggiata alla parete che la guardava e annuiva a ogni sua parola, dalla sua espressione rilassata capii che non mi ero sbagliata. Accelerai il passo e le gettai le braccia al collo abbracciandola da dietro, il profumo dei suoi capelli era così dolce, sapeva di lavanda e di balsamo, come quello che usavo io.
“Mi sei mancata.”
Con la mano mi accarezzò i capelli e cercò di farmi segno di andare davanti così da sedermi al suo fianco e l’assecondai, mi misi sul divano con una gamba piegata sulla quale mi sedetti, mentre l’altra stava a penzoloni. Tenni la sua mano tra le mie mentre i miei occhi cercavano i suoi, avevo bisogno di lei, di sentirmi confortare, di avere delle buone notizie.
“Cosa ti hanno detto? Hanno creduto al fatto che tu non eri coinvolta in tutta quella storia? Che non sapevi niente dei piani di Jonathan? Sanno…Sanno dov’è?”
Lei mi sorrise accarezzandomi il viso con la mano che le avevo lasciato libera,
“Mi hanno creduta, dicono che visto il mio comportamento durante l’ascensione non potevo essere coinvolta nei piani di Jonathan.”
Si sentiva ancora un certo ribrezzo quando doveva pronunciare quel nome,
“E..No Clary, non sanno dove si trova. Tuttavia sono ottimisti, hai distrutto la sua casa quindi pensano sia più facile adesso rintracciarlo.”
“Ma non è così! Se non l’hanno fatto fino ad ora non vuol dire che non ne sono in grado? Mamma dobbiamo..”
“Noi dobbiamo lasciare che sia il Conclave ad occuparsene. Dobbiamo stare fuori da questa storia, tu devi stare fuori da questa storia.”

Lo sguardo che mi lanciò non ammetteva repliche, così, come un bambino che era stato appena sgridato da sua madre per aver combinato qualche guaio, abbassai la testa e parlai con voce sommessa,
“Va bene…”
Mi morsi il labbro, non era quello che volevo dire.
Io volevo andare a cercarlo! Volevo dirgli di smetterla di perseguitarmi e che se questo era un suo modo per convincermi che eravamo destinati a stare insieme, era fuori strada, ma lei non sarebbe stata d’accordo, così mi sforzai di ritirare fuori la mia maschera sorridente e sollevai il volto verso di lei,
“Ora vado o farò tardi.”
Le lasciai la mano e mi alzai per prendere il giubbino che avevo lasciato all’attaccapanni la sera prima, dopo che eravamo andati, con Luke, a mangiare giapponese.
“A dopo.”
Li salutai entrambi con un gesto della mano ed uscii.
Non appena la porta si chiuse alle mie spalle mi sentii come nel sogno di quella sera, smarrita e allo stesso tempo ansiosa, quella notte non sapevo quale strada avrei dovuto prendere per trovare Jonathan, mentre ora sapevo esattamente dove dovevo andare, alla fermata dell’autobus che mi avrebbe portata davanti la cattedrale.
Ormai era un percorso che facevo senza nemmeno guardare la strada, mi veniva quasi in automatico, non osservavo più cosa mi circondava, mi isolavo dal mondo esterno tenendo le auricolari alle orecchie, scesa dall’autobus sembrò che anche la musica fosse diventata mia nemica, la canzone che era appena iniziata era Think about you  dei Guns N’ Roses,
I think about you
Honey all the time my heart says yes
I think about you
Deep inside I love you best
I think about you
You know you’re the one I want
I think about you
Darlin’ you’re the only one
I think about you[1]
Era quello che mi stava succedendo?
I miei pensieri, i miei sogni, anche quelli erano divisi a metà, all’inizio pensavo a Jace e subito dopo mi ritrovavo a pensare a..
“Ehy!”
Portai una mano sulla fronte massaggiandomela per la botta che avevo appena dato, cosa avevo colpito? Un muro?
No, ero quasi certa che lì non ce ne fossero, eppure..
Sollevai la testa e rimasi pietrificata, davanti a me vidi una figura con delle spalle larghe, coperte da un giubbino nero che aderiva perfettamente al corpo di colui che lo stava indossando tracciandone alla perfezione i lineamenti di ogni muscolo, sulle spalle ricadevano dei riccioli color argento che portarono il mio cuore a battere sempre più velocemente, sempre di più facendo aumentare la circolazione del sangue nelle mie vene, colorandomi il volto di rosso.
Rimasi con il fiato sospeso fino a quando l’uomo che avevo davanti non si girò verso di me, i capelli erano come i suoi, ma i lineamenti del viso e gli occhi no. Gli occhi erano di un verde intenso, simili a uno smeraldo e i lineamenti erano un po’ più spigolosi rispetto a quelli di Jonathan, inoltre sul suo viso vi erano tracce di una barba che doveva essere stata tagliata da poco visto che il profumo che avvertivo, a causa del vento, era un misto tra acqua di colonia e dopobarba.
“Io..Emh..Mi scusi.”
Deglutii parlando a fatica mentre sentivo i suoi occhi studiarmi dalla testa ai piedi,
“A giudicare dal suo aspetto deduco che lei è la figlia della signora Fairchild.”
Spalancai gli occhi schiudendo la bocca, conosceva mia madre?
Quindi anche lui era un Cacciatore?
“S..Si.”
Non lo avevo mai visto prima, nemmeno a Idris o durante l’ultimo scontro, ma devo ammettere che le persone che avevo visto non erano state molte, inoltre quelli che avevo incrociato durante gli scontri erano dei volti indistinti visto  che in quelle circostanze non c’era stato il tempo di soffermarmi sui dettagli.
“Allora entriamo.”
Lo seguii verso l’istituto, come se la nuova arrivata fossi io e non lui, si muoveva lungo la strada come se tutto quello che vedeva gli fosse familiare, forse era cresciuto lì?
Eppure non mi sembrava molto grande, quanti anni avrà avuto?
Una ventina? Venticinque massimo.
Aprii la porta e non appena lui la varcò lo seguii senza distogliere lo sguardo dalla sua testa, il colore dei suoi capelli continuava a rapirmi, aveva su di me lo stesso effetto ipnotico che poteva avere il rosso per un toro.
“Oh Micheal!”
Era la voce di Maryse che giungeva da poco lontano. Mi voltai verso le scale con aria ancora incredula e la vidi avvicinarsi con lo stesso passo di Izzy, aveva i capelli corvini legati in uno chignon e le braccia leggermente aperte distese verso avanti, segno che conosceva la persona che mi aveva guidata dentro l’istituto.
“Maryse.”
“Sono contenta che tu sia arrivato così presto, ti aspettavamo per oggi pomeriggio.”
Lui si voltò mostrandomi il suo profilo e il mio sguardo ricadde sulle sue labbra che si erano sciolte in un sorriso amichevole,
“Ho fatto il prima possibile, non vedevo l’ora di conoscere la mia allieva.”
Sentii i suoi occhi poggiarsi su di me e sussultai, come se mi fossi appena risvegliata da un lungo sogno, non turbolento come quelli che facevo in quel periodo.
Sollevai l’indice della mano destra e lo puntai verso di me incredula,
“Io?”
Lo sentii scoppiare in  una fragorosa risata e scuotere la testa per poi passarsi una mano tra i capelli,
“Certo signorina Fairchild, proprio lei”
Maryse continuava a spostare lo sguardo da me allo sconosciuto e solo dopo aver sentito le parole di lui sembrò pensare che, finalmente, fosse giunto il momento delle presentazioni,
“Clary lui è Micheal Lovelac, il tuo istruttore.”
La mia faccia stupita di poco prima, di quando lo avevo urtato, comparve nuovamente sul mio volto, quello era il mio istruttore?
Deglutii a fatica cercando qualcosa da dire, ma l’unica cosa che riuscivo a pensare era che sarebbe stato difficile trovarmelo ogni giorno davanti, specialmente per quei tratti che condivideva con lui.
“Quindi è lui.”
Mi voltai di colpo sentendo una voce molto familiare provenire dal piano di sopra, il suo tono era freddo e diffidente, così come lo sguardo che lanciò al signor Lovelac non appena arrivò al mio fianco.
“Io sono Jace.”
Sembrava un leone che studiava la sua preda prima di avventarsi su di essa per divorarla,
“Ho sentito parlare di te, Jace Herondale.
Spero ti sia ripreso dopo gli ultimi avvenimenti.”
“Alla perfezione.”
Tra i due c’era una leggera differenza, Micheal sembrava tranquillo, quasi come se non gli importasse che Jace lo stesse guardando con uno sguardo omicida, mentre Jace non aveva paura nel mostrare che non gradiva la sua presenza in quel luogo.
“Maryse ti avevo detto che potevo continuare a farle da istruttore.”
“Jace smettila, ne abbiamo già parlato.”

La voce di Maryse sembrava stanca, come se avesse dovuto affrontare quell’argomento almeno una decina di volte prima di allora.
“Ma..”
“Smettila!”

Ed ecco il tono di una madre che non ammette repliche, come quello che aveva usato la mia poche ore prima,
“Mi dispiace interrompere questo momento di intimità familiare, ma è il caso che io e Clary incominciamo ad avviarci verso la sala degli allenamenti, abbiamo perso anche fin troppo tempo.”
Sentii qualcosa toccarmi la schiena proprio dietro la vita e abbassai lo sguardo per poi vedere che ‘quella cosa’ altri non era che la mano di Micheal che mi invitava a proseguire verso le scale.
Lo aveva fatto apposta?
La sua era una provocazione nei confronti di Jace?
Mi voltai per incrociare lo sguardo di quello che doveva essere il mio ragazzo e vidi che anziché ricambiarlo stava guardando Micheal con uno sguardo tutt’altro che amichevole, come un leone che avrebbe preso a morsi il braccio che mi aveva toccata.
 
[1] Penso a te tesoro, ogni volta che il mio cuore dice sì. Penso a te dentro di me ti amo più di ogni altra. Penso a te sai che sei la persona che voglio. Penso a te cara, sei l’unica. Penso a te

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Capitolo 3
*** Dubbi ***


Non appena arrivammo nella stanza degli allenamenti vidi il volto del mio istruttore tornare nuovamente normale, quella strana luce che avevo visto nei suoi occhi quando aveva parlato a Maryse lanciando quella frecciatina a Jace, era praticamente sparita lasciando spazio a uno sguardo sereno che riuscì a mettermi a mio agio.
“Cosa ti ha insegnato il tuo istruttore precedente?”
Cosa mi aveva insegnato?
Un po’ di cose, mi aveva insegnato a tenere una spada in mano, cosa che fino a qualche tempo prima avrei trovato impensabile, a fare dei salti che raramente mi uscivano, dal momento che la mia grazia poteva essere paragonata a quella di un elefante chiuso in un negozio di cristallo, ma le cose più importanti, come la fiducia in me o l’amore per la battaglia le avevo imparate durante quella breve messa in scena con Jonathan.
Il piacere nel vedere i miei nemici cadere sotto i miei colpi, l’eleganza che ero in grado di sfoggiare quando liberavo la mia testa da ogni pensiero, l’ebrezza dello scontro, queste cose le avevo imparate solo stando al fianco di mio fratello.
Era stato lui a fare di me la cacciatrice che non pensavo nemmeno di poter essere, quella senza scrupoli e impavida che non ci aveva pensato due volte a colpire il proprio ragazzo pur di mettere un punto a tutta quella storia.
“Le basi.”
Risposi in maniera evasiva così che non potesse dare a Jace nessuna colpa, nel caso in cui mi fossi dimostrata un vero disastro.
“Bene, allora iniziamo con la spada.”
Annuii e presi una delle lame angeliche che erano custodite in un baule, una di quelle che ci servivano prevalentemente per allenarci e che in caso di necessità venivano usate anche per scontri veri e propri.
Serrai la mia mano intorno all’impugnatura di una di quelle e mi misi in posizione senza pronunciarne il nome, Jace mi aveva detto che durante gli allenamenti non era necessario farlo visto che non ci trovavamo in presenza di demoni.
Rimasi ferma in guardia aspettando una qualche nota di demerito da parte del mio istruttore che, al contrario, mi sorrise compiaciuto.
“Bene…”
Cacciai fuori tutta l’aria che stavo tenendo dentro e non appena mi si mise davanti con un’altra spada in mano incominciammo con la simulazione. Era evidente che si stava trattenendo, mentre io non riuscivo a capire dove fosse finita la me di quei giorni, quella che non avrebbe avuto problemi nell’accelerare il ritmo dell’allenamento.
Sentii un rumore metallico e poi vidi la spada sfuggirmi di mano andando verso l’alto e poi cadere a terra, solo che il mio sguardo non la seguii, avevo visto qualcos’altro, qualcosa che mi impedii di muovere i miei occhi dalla trave che si trovava sopra di noi.
Lui era seduto lì, con le mani poggiate sul legno, le gambe a penzoloni e gli occhi fissi su di me che mi guardavano con aria incuriosita, come se mi stesse ammonendo in un certo senso, come se fosse deluso nel vedermi così.
Sentii la rabbia salirmi dentro, Jonathan non poteva guardarmi in quel modo, sarei stata io a farlo sparire dalla terra, sarei stata io ad infliggerli il colpo che lo avrebbe cancellato, una volta per tutte, dal regno dei vivi, rispedendolo lì dove sarebbe dovuto restare, all’inferno!
Mi lanciai in avanti e con una scivolata raccolsi la spada per tornare all’attacco con una grinta nuova, una rabbia che solo mio fratello poteva far nascere in me.
Sferrai qualche colpo contro Micheal che, forse a causa dei capelli, non faceva altro che ricordarmi il volto della persona che odiavo e che, ultimamente, affollava i miei pensieri, e continuai ad attaccare fino a quando non fu la sua spada a volare via lasciandolo completamente disarmato.
Presa da una rabbia cieca gli tirai un calcio facendolo cadere verso dietro e mi portai a cavalcioni su di lui serrando le mie gambe intorno alla sua vita così che non potesse muoversi, mentre la mia spada puntava dritta verso il suo cuore,
“Penso vada bene, Clary.”
Scossi la testa sbattendo più volte le palpebre come se mi fossi appena svegliata da un sogno, davanti a me non vedevo più quegli occhi neri, scuri come gli abissi più profondi, ma due smeraldi che mi guardavano con aria interrogativa, come se cercassero di capire quanto in là mi sarei spinta.
Lasciai cadere l’arma accanto alla sua testa e con aria ancora scioccata mi alzai da quella posizione, se non avesse parlato lo avrei fatto?
Avrei lasciato che la mia lama perforasse il suo petto fino a toccargli il cuore?
Abbassai lo sguardo puntandolo sulla mia mano destra che ancora tremava per la forte emozione che avevo provato e per il gesto che stavo per compiere, a questo mi stava portando l’odio verso quel ragazzo?
A fare del male a persone che non centravano niente in tutta quella storia?
“Io…”
Mi sentivo mortificata per quello che era successo, per quella reazione spropositata che avevo avuto, dannazione era solo un allenamento!
Sentii una mano sulla spalla e scattai in posizione di guardia, avevo paura di rivederlo nuovamente davanti a me, quella situazione mi stava facendo uscire pazza e il non poterne parlare con nessuno, tanto meno con Jace, rendeva tutto ancora più complicato.
Avevo addirittura pensato di parlarne con Simon, ma ormai non ero più certa di potermi fidare di lui, se ne avesse parlato con Izzy e lei poi lo avesse detto a Jace, allora sarebbe incominciata la caccia all’uomo, cosa che il Conclave non avrebbe permesso, visto gli avvenimenti precedenti.
Micheal mi guardò nuovamente con aria interrogativa, come se, implicitamente, volesse chiedermi cosa stesse succedendo,
“Mi dispiace, mi sono fatta prendere la mano.”
Dovevo cercare di recuperare, non potevo dare segni di cedimento, né con lui né con nessun altro.
Si voltò e con un’eleganza invidiabile raccolse entrambe le spade riponendole nel baule dal quale le avevamo prese,
“Non preoccuparti. In fin dei conti siamo Nephilim è normale farci prendere la mano dagli scontri, specialmente se ne abbiamo concluso uno da poco.”
Perché continuava a giustificarmi?
Perché non mi diceva che avevo sbagliato e partiva con una ramanzina come avrebbero fatto tutti gli altri?
“No, io…”
Mi morsi il labbro cercando una motivazione valida che non fosse, ‘sai ti ho scambiato per mio fratello, per questo ho cercato di ucciderti’,
“Hai ragione.”
Abbassai la testa per evitare di incrociare nuovamente il suo sguardo, era peggio quando davanti a te avevi una persona che cercava di comprenderti facendo sembrare tutto quello che facevi assolutamente normale.
“Scusa.”
Sospirai portando una mano a coprirmi il volto, in una situazione normale avrei dovuto sentire le guance diventare calde, segno che stavo arrossendo,  ma in quel momento stavo provando qualcosa di diverso dalla vergogna, io ero mortificata, ma consapevole che anche tornando indietro la mia reazione sarebbe stata la stessa.
“Chiedi scusa per essere quello che sei? Wow, è la prima volta che mi succede una cosa simile.”
Sentii la sua mano calda poggiarsi sotto il mio mento e sollevarmi il viso, dovetti combattere contro l’impulso di riabbassarlo per non sembrare una bambina, non più di quello che già dovevo essere sembrata.
“Dobbiamo solo lavorare sul tuo autocontrollo, ok?”
La sua voce era così dolce, sembrava quasi stesse sussurrando quelle parole, più o meno come fa una madre quando intona una ninna nanna al figlio che si è quasi addormentato.
“Dovresti riposare di più, è un primo passo per avere il pieno controllo di sé durante il giorno.”
Sentii la sua mano muoversi e spostarsi sulla mia guancia, aveva le dita ruvide, come quelle di un uomo che ha visto e vissuto troppe battaglie per la sua età.
Annuii senza essere capace di proferire parola e nemmeno di distogliere lo sguardo dal suo, da questa distanza potevo vedere delle piccole venature che fino a quel momento non avevo notato, erano come oro, molto simili a quelle che decoravano gli occhi di…
“Avete finito?!”
Jace…
Sobbalzai verso dietro e piegai la testa di lato portando una mano, chiusa a pugno, davanti le labbra, era come se fossi stata colta in fragrante, come se stessi facendo qualcosa che avrebbe necessitato di una punizione futura.
“Signor Herondale le pare il modo di irrompere durante una lezione?”
“Ooooh al diavolo la lezione.”

Mi venne incontro e lo vidi allungare una mano verso di me per prendermi il braccio ma si fermò quasi immediatamente, per poi ritirarla e metterla in tasca, limitandosi a farmi un segno con la testa,
“Andiamo!”
La sua non era una domanda, era un obbligo, un mio dovere.
Mi voltai verso Micheal che mi stava guardando con quel suo sorriso dolce e che annuii chiudendo leggermente gli occhi,
“Domani stessa ora. Ci concentreremo sulle rune.”
Portai le labbra indentro e feci segno di si con la testa e senza salutare uscii dalla stanza cercando di rimettermi al passo di Jace portandomi al suo fianco,
“Vuoi dirmi cosa ti è preso?”
Era la prima volta, in tutto il giorno, che sembrava fossi riuscita a riprendere il controllo di me e della mia voce,
“Dovresti allenarti lì dentro e non flirtare con il tuo istruttore!”
Era arrabbiato, ma dietro la sua espressione fredda sembrava esserci anche dell’altro, come se si sentisse tradito da quello che aveva visto.
Lo presi per il polso facendolo girare verso di me e quando vidi nei suoi occhi un lampo di paura lasciai immediatamente la presa portando le braccia lungo i fianchi,
“Che cosa stai dicendo?!”
Incominciò a gesticolare con una mano, disegnando dei cerchi a mezz’aria,
“Stavi comoda sopra di lui? E poi cos’erano quegli sguardi?”
Sopra…Come faceva a saperlo? Non è che…
“Ci stavi spiando!”
Questa volta fui io a dare le cose per scontato, doveva aver usato quello stramaledetto stilo per poterci osservare da dietro la parete, come avevamo fatto nel negozio di Luke!
“Ci stavi spiando..”
Imitò la mia voce con un falsetto che trovai odioso in quel momento,
“E se anche fosse? Tu stavi per cadere tra le sue braccia.
Ma certo, lo capisco…Cosa te ne fai di un ragazzo che non puoi nemmeno sfiorare? Niente! E così ti butti tra le braccia del primo che si mostra gentile con te!”

La sua faccia incominciò a prendere colore, mentre la vena del collo sembrava quasi stesse per scoppiare tanto era la rabbia che stava mettendo in quelle parole, solo che non aveva considerato chi aveva davanti.
Mi aveva appena fatto capire che alta considerazione avesse di me, aveva detto che ero una facile, una che non sarebbe stata in grado di aspettarlo.
Strinsi i denti guardandolo con rabbia, forse, un tempo, avrei sentito la necessità di piangere, ma ora che conoscevo il vero dolore non ne avevo nemmeno la forza, eppure lui, proprio lui mi aveva ferito.
Avrei voluto dire mille cose, urlargli in faccia che era meschino quello che aveva detto, che se questa era la considerazione che aveva di me tanto valeva chiuderla lì, perché non aveva capito niente, ma tutto quello che feci fu girargli le spalle e avviarmi verso l’uscita.
“Clary..”
Lo sentii chiamarmi, con un tono diverso, questa volta, come se fosse dispiaciuto, come se si fosse reso conto di quello che aveva detto, ma ora non volevo sentire niente, nemmeno le sue scuse. Mi fece voltare poggiando una mano sulla mia spalla e non appena aprii bocca sollevai la mano facendogli segno di stare zitto,
“Smettila Jace.”
Ero stanca di sentire delle scuse, la verità era che non si fidava di me, dopo tutto quello che avevamo passato, dopo quello che avevo fatto per stare con lui, per esaudire la sua volontà, aveva ancora paura che gli voltassi le spalle, credeva che il nostro amore potesse essere paragonato a quello degli altri nostri coetanei.
Dovevo essere io a dirgli che per i cacciatori non era così?
Eppure era stato lui a spiegarmi perché tra quelli come noi si tendesse a correre, perché ci si legasse già da giovani a una persona e il motivo era che non si poteva mai essere certi di esserci il giorno dopo.
Quindi dopo tutto questo, come poteva ancora dubitare di me, di noi?
Mi voltai con la speranza che non mi seguisse e incominciai a scendere le scale velocemente, come, forse, non avevo mai fatto prima.
“Clary!”
Chiusi gli occhi con la speranza di essermi sbagliata, ci mancava solo Izzy adesso. Con il tempo mi ero affezionata a lei, ma adesso non mi andava di vedere e di parlare con nessuno, men che meno con lei che di certo si sarebbe vantata di come stavano andando le cose con Simon.
“Claaaary, aspetta un secondo!”
Mi fermai senza voltarmi, dovevo cercare di mantenere la calma, lei non centrava niente, non era colpa sua se Jace mi aveva detto quelle parole o se era arrivato a spiarmi.
Non appena li riaprii la vidi arrivare prima al mio fianco e poi posizionarmisi davanti tutta sorridente e senza vestiti da Cacciatrice, ecco avevo ragione, avrebbe incominciato a parlarmi di loro.
La guardai come per dirle di parlare alla svelta che avevo da fare ma lei, come al solito, fece finta di niente e con molta calma, quando lo reputò opportuno, incominciò,
“Come sai tra poco sarà il compleanno di Simon e..”
“Non penso che un vampiro voglia festeggiare il suo compleanno.”
“Vampiro o no è sempre Simon! Quindi stavo pensando…Non è che potresti accompagnarmi a prendere qualcosa che gli possa piacere?”
“Ora?”

Chiesi in maniera abbastanza seccata, ora non ero dell’umore, l’unica cosa che sarei stata in grado di proporle era una flebo con annesse delle consistenti quantità di sangue fresco.
“No, ora no! Devo vedermi con lui, ma domani…”
Ed eccola che mi guardava con quegli occhi azzurri ai quali era difficile dire di no.
Sospirai facendo roteare gli occhi e ancora prima che dicessi di si lei mi sorrise allontanandosi verso l’uscita,
“Grazie! Allora a domani!”
Mi salutò con la mano e scomparve dietro la porta.
Le cose stavano cambiando e anche troppo! Prima ero io quella che avrebbe chiesto il suo aiuto per prendere qualcosa a Jace, mentre ora…
Ah lasciamo stare.
Mi avvicinai alla porta e non appena poggiai la mano sulla maniglia sentii una voce alle mie spalle fare il mio nome,
“Ancora qui?”
Mi voltai e con enorme sollievo vidi che non si trattava di Jace ma di Micheal, forse era sbagliato, ma in quel momento preferivo il suo volto estraneo a qualsiasi altro delle persone che conoscevo,
“Si stavo parlando con..”
“Jace? Spero non ci siano problemi.”
“No, con Isabelle.”

Lo vidi sospirare e passarsi ancora una volta la mano affusolata tra i suoi capelli argentei che mi ricordavano, ogni volta, un cielo notturno pieno di stelle.
“Vuoi un passaggio? Ti ho vista scendere da un autobus prima, magari potrei evitarti una corsa.”
“Veramente…”

Stavo per rifiutare, ma non appena vidi Jace guardarci dall’alto delle scale mi costrinsi a mostrare un sorriso e a piegare la testa di lato con fare dolce,
“Si, grazie.”
Micheal allungò una mano verso la maniglia e con quella libera mi fece segno di uscire, prima di farlo, però, lanciai un ultima occhiata verso Jace che era ancora lì, immobile con lo sguardo di colui il quale pensa di aver perso tutto.

Chiusi la porta alle mie spalle e mi ci poggiai con la schiena lasciandomi scivolare, lentamente, lungo essa, fino a trovarmi seduta per terra, con le braccia strinsi le ginocchia al petto e mi ci poggiai con la fronte.
È proprio vero, quando una giornata incomincia male non può che finire peggio.
Certo non tutto era stato sgradevole, durante il ritorno avevo avuto modo di parlare con Micheal e lui aveva chiarito molti dubbi e risposto a molte domande che mi ero posta dal momento in cui l’avevo visto, ad esempio come mai conosceva Maryse e mi spiegò che i Lightwood e i Lovelac erano vecchi amici di famiglia e che conosceva Maryse e suo marito da quando era bambino, inoltre mi spiegò che dopo i diciotto anni, e quindi essere diventato un Cacciatore adulto, aveva trascorso un anno nell’istituto di New York e che si era trovato così bene da vederlo come una seconda casa, tanto che quando nominò Hodge vidi, per qualche istante, il suo sguardo spegnersi, come se i ricordi passati con il vecchio responsabile dell’istituto riuscissero a far aprire in lui qualche ferita.
“Clary, sei tu?”
“Si mamma!”
“Vieni, è pronto.”

Voleva dire che il ragazzo delle consegne aveva già portato la cena?
Erano poche le sere in cui si metteva ai fornelli, lo faceva giusto quando c’era qualcosa da festeggiare e oggi non era una di quelle giornate, almeno non per me.
Sollevai la testa e prima di alzarmi presi dalla tasca dei jeans il mio cellulare, avrei voluto chiamare Simon ma sapevo che adesso non mi avrebbe risposto, così decisi di mandargli un messaggio dicendogli di chiamarmi il prima possibile perché avevo davvero bisogno del mio migliore amico. Mi ero decisa, gli avrei detto tutto, dei sogni, di Jonathan, di Micheal e di Jace, avevo bisogno di sfogarmi, di sentirmi finalmente svuotata da quel peso che mi stavo tenendo dentro.
Sbloccai il telefono e piegai la testa di lato sollevando il labbro così da contrarre il mio viso in una smorfia, un nuovo messaggio, 
“Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, mia perfetta”.
Sentii il cuore battere all’impazzata, quelle parole erano segnate a fuoco nella mia testa, come tante altre che lui aveva detto quella sera, quella maledetta sera.
Tornai indietro per vedere il mittente,
Numero sconosciuto
Strinsi il cellulare come se con la mia forza potessi disintegrarlo e subito dopo lo lasciai cadere per terra riportando la mia fronte sulle ginocchia, lui era ancora qui,  non si era arreso, sarebbe tornato, per me, forse per Jace, anche se ora non gli serviva più, non era più il suo burattino, le loro vite non erano più legate l’una all’altra, quindi Jace non l’avrebbe seguito.
Ma io?
Cosa avrei fatto?
Sarei rimasta qui o avrei seguito Jonathan assecondandolo nel suo folle piano?

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Capitolo 4
*** Paure ***


Durante la cena cercai in tutti i modi di sembrare tranquilla, anche quando loro si erano accorti che c’era qualcosa che non andava ero riuscita a dare la colpa ad altro, avevo detto che il mio comportamento era dovuto a Jace, a una lite che avevamo avuto e, a giudicare dall’espressione di mia madre, sembravano essersela bevuta.
Dopo aver aiutato mia madre a sparecchiare e a lavare le poche cose che avevamo usato, corsi in camera e mi chiusi la porta alle spalle per poi buttarmi sul letto.
Era tutto così confuso, non sapevo cosa fare, forse non era poi giusto parlarne con Simon, specialmente ora che Jonathan mi aveva contattata in maniera così diretta con quello stupido messaggio.
Cosa sperava di ottenere?
Di confondermi o c’era dell’altro, tipo un avvertimento?
Era un modo per dirmi che sarebbe tornato da me?
Presi il cellulare e continuai a leggere quelle poche parole, mentre con la testa rivivevo quei momenti nel negozio a Parigi, la festa in quella discoteca, la lotta in casa sua, come mi aveva tenuto stretta a sé.
Sentii dei brividi percorrermi tutta la schiena al solo ricordo delle sue mani sul mio corpo, del suo fiato così vicino al mio volto e poi delle sue labbra fameliche che si erano lanciate sulle mie, quasi come per divorarmi, per avermi tutta per sé.
Involontariamente portai una mano sulle labbra, sfiorandole con la punta delle dita e avvertii una strana sensazione allo stomaco, come se questo si attorcigliasse su se stesso, più o meno come quello che mi era successo nella serra con Jace, durante il nostro primo bacio.
No…Non potevano essere paragonati.
I baci di Jace erano dolci e passionali, quelli di Jonathan, invece, erano stati disperati e famelici, ai quali forse, mi sarei lasciata andare se solo…Non fosse stato mio fratello!
Lasciai cadere il cellulare sul letto e mi voltai sul fianco rannicchiandomi e tenendo lo sguardo fisso fuori dalla finestra, come potevo fare quei pensieri?
Aveva ragione lui quando diceva che io non lo vedevo come un fratello?
Piegai il mento verso il petto e con una mano strinsi, quanto più forte potevo, il piumone che, ormai, era diventato una delle mie vittime preferite.
-Brrr-Brrr-
“Mh?”
Sollevai la testa e mi voltai riportandomi con la schiena poggiata sul materasso e a tastoni con una mano cercai il cellulare. Prima di rispondere, però, lessi il nome, volevo assicurarmi che non fosse Jace, non sarei stata in grado di affrontare una chiamata da parte sua, onestamente in quel momento non avevo proprio voglia di sentire la sua voce.
Simon
Cacciai l’aria sollevata e risposi alla chiamata,
“Ehy.”
“Ciao. Tutto bene?”

Che domanda…Come potevo rispondere di si proprio a lui?
“No.”
Fui secca. Dall’altra parte sentii un silenzio preoccupante, come se Simon stesse cercando di capire cosa mi passasse per la testa.
“Allora apri la finestra.”
“La cosa?”

Mi alzai a fatica dal letto tenendo sempre il telefono poggiato sull’orecchio e quando mi affacciai lo vidi salutarmi con la mano libera. Scossi la testa divertita e non me lo feci ripetere due volte, alzai la maniglia e lasciai che i vetri si aprissero in maniera tale da permettere al mio migliore amico di entrare nella mia camera.
Chiusi gli occhi sentendo il freddo entrare nella mia stanza e non appena li riaprii, qualche secondo dopo, vidi Simon in piedi davanti a me già intento a richiudere la finestra e  mi lanciai su di lui buttandogli le braccia al collo, era così alto che per arrivare alla sua spalla dovetti alzarmi sulle punte.
Sentivo il suo corpo gelido a contatto con il mio e il suo profumo, no, non il suo profumo, i vampiri non hanno un profumo, ma lui in quel momento odorava di notte e di strada, un odore che, da un po’ di tempo, portava sempre con sé.
“Ehy ehy ehy..
Mi mise una mano sulla schiena dandomi delle leggere pacche e ridacchiò per quel gesto che evidentemente non si aspettava,
“Che ti prende? La situazione dev’essere più grave di quello che pensavo.”
“Oh, Simon.”

Fu più forte di me, scoppiai a piangere. Da questo punto di vista ero una pessima cacciatrice, Isabelle al posto mio non sarebbe mai crollata così perché, lei era una vera Nephili, una che non aveva bisogno che il proprio migliore amico corresse a consolarla per ogni minima cosa, una che non sarebbe crollata come, invece, stavo facendo io.
Simon mi prese in braccio e mi portò sul letto stendendosi al mio fianco, lo sentii poggiare il mento spigoloso sulla mia testa, mentre con una mano mi accarezzava i capelli quasi fossi una bambina.
“Clary…”
Sussurrò il mio nome e io continuai a lasciarmi andare in quel pianto che fino ad ora, davanti agli altri, avevo cercato di trattenere e mascherare.
Passò un’ora più o meno, anche se per me era trascorsa un’eternità, e solo allora riuscii a prendere un fazzoletto per asciugarmi la faccia e tirarmi su poggiandomi con le spalle allo schienale del letto, piegai le ginocchia al petto e non appena vidi Simon al mio fianco poggiai la mia testa sulla sua spalla,
“Vuoi dirmi che ti succede?
Sentii nuovamente una fitta allo stomaco, era quello che volevo, parlargli, ma sentivo anche che c’era qualcosa di sbagliato in quello che stavo per fare.
Deglutii e chiusi gli occhi lasciando che le parole uscissero da sole, gli raccontai dei sogni che stavo facendo, di come vedevo Jonathan ovunque, adesso anche da sveglia, di quello che era successo durante gli allenamenti e della reazione spropositata di Jace, cosa che lo fece sorridere,
“Quindi Jace ha un lato umano?”
Fu il suo commento a quella parte della storia e infine gli dissi del messaggio e presi il cellulare per farglielo leggere ma..
“Clary, quale messaggio dovrei leggere?”
“Come?”

Mi ritirai in su con la schiena e gli tolsi il cellulare dalle mani incominciando a scorrere tutti i messaggi ricevuti.
“No, non è possibile! Simon te lo giuro c’era!”
“Forse lo hai cancellato.”
“No, no! Fino a prima che mi chiamassi era qui, era…”

Continuai a scorrere i messaggi, ma niente, non era in nessuna cartella, non era da nessuna parte!
“Tra i tuoi amici nerd ci sarà qualcuno che può recuperare dei messaggi cancellati.”
“Grazie per la considerazione.”

Lo sentii mugugnare quelle parole e lo guardai malissimo fulminandolo con lo sguardo,
“Simon!”
“Si, si tranquilla. Domani vedo se gli altri possono fare qualcosa.”

Sospirai sollevata e mi rilassai poggiando anche la testa allo schienale e chiusi gli occhi, come potevo essere stata tanto stupida da cancellare il messaggio?
“Comunque, Clary…Perché non me l’hai detto prima che stavi così?”
Lo guardai con la coda dell’occhio cercando una giustificazione plausibile, anche se con lui non serviva, eravamo sempre stati sinceri l’uno con l’altra, quindi non avevo ragioni per iniziare a mentirgli.
“Non volevo metterti in difficoltà con Izzy.”
Mi guardò stupito, come se avessi detto una cosa priva di senso,
“Come?”
“Nel senso…”

Incominciai a giocare con le mani, massacrandomi le dita,
“Se lei ti avesse chiesto qualcosa su di me e tu…Bhè.”
“Non ti avrei mai tradita.”
“Lo so! Ma non vuoi mentire nemmeno a lei, giusto?”

Abbassò la testa come se avessi rivelato una profonda verità,
“Per questo non te l’ho detto, non volevo metterti in difficoltà, ma adesso la cosa sta degenerando e non riesco più a gestirla da sola.
Non so cosa Jonathan mi abbia fatto, so solo che lo vedo ovunque vado, vedo i suoi occhi ed è così reale…”
“Ma lui non è qui, Clary.”
“Lo so.”

Abbassai la testa puntando lo sguardo sulle mie ginocchia, Simon aveva ragione ma io sapevo quello che avevo visto, lui era qui e io ne ero certa, anche se gli altri non mi credevano.
“Voglio cercarlo.”
“Lo sapevo..”

Il suo tono sembrava quasi sconsolato, come se avessi detto una cosa che sapeva avrei detto ma che temeva.
“Clary no.”
“Ma Simon tu non capisci. Io devo cercarlo, altrimenti…”
“Altrimenti cosa?! Continuerai a vederlo solo nei tuoi sogni? No Clary questa volta non mi freghi, ci siamo già passati e..”
“E l’abbiamo fermato! Se non fossi andata lì a quest’ora Jace sarebbe ancora con lui e i cacciatori non esisterebbero più!”

Lo vidi scuotere la testa alzandosi dal letto e incominciando a camminare avanti e indietro per la stanza, come faceva sempre, quando stava cercando di prendere decisioni importanti.
Mi misi in ginocchio seguendolo con gli occhi, sperando che almeno lui capisse e che mi assecondasse, invece..
“No, mi dispiace. Non ci sono più gli anelli e senza quelli non posso sapere se sei viva, se stai bene, quindi sarebbe solo una missione suicida che non ti porterà da nessuna parte e inoltre non sai dove sia Sebastian, te lo sei dimenticata?”
Abbassai la testa mordendomi internamente il labbro inferiore, aveva ragione, io non sapevo dov’era, non avevo la certezza che sarebbe tornato da me e anche se fosse non sapevo quando.
Sentii la mano di Simon poggiarsi sulla mia testa e la sollevai lasciando che lui posasse la mano sulla mia fronte per poi darmi un leggero colpetto con l’indice.
“Promettimi che non farai niente che possa essere reputato come una missione suicida.”
Ci pensai un po’ prima di rispondere, potevo fare una promessa simile?
Certo! Tanto non mi sarei mica fatta ammazzare, al massimo l’unico che ne sarebbe rimasto ucciso sarebbe stato Jonathan.
“Ok.”
Mi scompigliò i capelli e mi ritrovai a sollevare le spalle cercando di sottrarmi alla sua presa e con le mani cercavo di fermare la sua mentre, per la prima volta dopo tanto tempo, mi lasciavo andare a delle risate sincere.
Non si sa come ci ritrovammo distesi sul letto, uno di fianco all’altro entrambi a fissare il soffitto, io avevo il fiatone per quando avevo riso, mentre lui sembrava così rilassato, era anche vero che non lo avrei più visto con il fiato corto, nemmeno se avesse corso la maratona dei 1000m e in parte mi sentivo ancora in colpa per questo, anche se lui mi aveva assicurato che sarebbe successo indipendentemente da me, ma come potevo esserne certa?
Ero stata io a farlo entrare in quel mondo e adesso lui era un Nascosto e lo sarebbe stato per sempre!
“Come va con Izzy?”
Lo chiesi dal nulla e lui sembrò essere preso alla sprovvista, magari non si aspettava quel genere di domande da me,
“Bhè…Va. Non vedo altre oltre a lei e penso di poter dire lo stesso di lei, ma…Non so a volte ho dei dubbi.”
Mi portai sul fianco piegando un braccio e sollevando una mano così da poggiarvi la testa e guardare meglio Simon che aveva lo sguardo fisso al soffitto.
“Delle volte penso che lei sia troppo per me, altre mi ritrovo a pensare che tra qualche anno lei sarà più grande, mentre io avrò sempre l’aspetto di un diciassettenne, sebbene in realtà non lo sia.
Lei prima o poi avrà bisogno di altro, di qualcuno che le possa dare una famiglia, che invecchi insieme a lei, cosa che con me non potrà mai succedere, quindi sono giunto alla conclusione di essere solo un capriccio momentaneo, uno degli altri nascosti da poter mettere nella sua bacheca quando si sarà stancata di giocare.”

Fu più forte di me, gli diedi un colpo sulla testa di modo che si girasse verso di me e lo guardai malissimo,
“Ma che ti prende?”
“A me?”

Alzai leggermente la voce,
“Stai dicendo cose senza senso. Ok è vero, Isabelle invecchierà mentre tu no, ma questo non vuol dire che quello che prova per te non è reale!”
“Non sto dicendo questo. So che per ora quello che prova è vero, ma domani…Domani sarò stato uno dei tanti e parlerà di me come un lontano ricordo quando sarà tra le braccia di suo marito. Mentre io sono destinato a vivere per sempre!”

Quella parola, per sempre, detta come l’aveva detta lui non era poi molto affascinante.
In molti l’avrebbero invidiato, lui sarebbe stato per sempre su questo mondo, non avrebbe mai dovuto scoprire cosa c’è dopo la morte, ma non era quello che voleva e si vedeva. Certo ormai lo aveva accettato, ma questo non voleva dire per forza che era d’accordo.
Non viveva più come gli umani, non andava più a scuola, l’unica cosa che si era concesso era la band, visto che i suoi amici ormai sapevano della sua identità e inoltre non era l’unico nascosto a farne parte.
“Stupido vampiro.”
Mi avvicinai a lui abbracciandolo, sembrava una statua di marmo per quanto era freddo,
“Un’altra Cacciatrice presuntuosa.”
E con quelle ultime parole e il suo profumo di notte mi addormentai.
Non so cosa sognai di preciso, so solo che ogni volta che mi sembrava di vedere il viso di Jonathan mi stringevo forte a Simon e tutto sembrava svanire, come una nuvola di fumo quando si è alzata troppo nel cielo.
La mattina dopo tastai con le mani il posto dove sarebbe dovuto essere Simon e a malincuore mi resi conto che lui non era lì, forse lo aveva chiamato Izzy, oppure Jordan ed era dovuto scappare. Mi misi seduta e sollevai le braccia sopra la testa sbadigliando, era da tempo che non dormivo così bene, che non mi rilassavo in questa maniera. Piegai le braccia poggiando le mani dietro la schiena e feci una piccola pressione in maniera tale da stiracchiarmi completamente ed essere in grado di mettermi in piedi. Mi alzai, avevo la bocca impastata e mi passai una mano tra i capelli arruffati, a causa di Simon ed aprii l’armadio per prendere i vestiti. Una maglietta a collo alto blu e dei jeans che avevano uno strappo all’altezza del ginocchio, poi mi voltai verso lo specchio e su di esso vidi un post-it attaccato, a primo impatto potevo dire che la scrittura non era quella di Simon, ma aveva un qualcosa di familiare, come se l’avessi già vista da qualche parte. Lo staccai avvicinandolo al volto,
Devo restare il tuo più grande segreto.
J.
Accartocciai il foglietto e lo tenni stretto nel pugno, sentii una strana sensazione salire dallo stomaco fino alla gola e viceversa, che avesse preso lui Simon?
Cosa poteva volere da lui? Non aveva più il marchio ora ma aveva ancora il sangue di un angelo dentro di sé!
Senza pensare ad altro corsi in bagno per cambiarmi e sistemarmi i capelli alla meno peggio, misi il biglietto in tasca ed uscii di fretta senza nemmeno salutare mia madre o Luke, sempre che fossero in casa. Presi il cellulare e composi il numero di Izzy di fretta e non appena la sentii pronunciare le prime parole le chiesi di Simon.
“No, mi aveva detto che sarebbe venuto da te.”
Riattaccai senza risponderle, non dovevo perdere tempo e mentre incominciavo ad accelerare il passo composi anche il numero di Jordan per sapere se lo avesse visto, se fosse passato da casa, ma anche in questo caso la risposta fu negativa.
Dove diavolo si era cacciato?
Andai nei posti che frequentavamo di più e anche quelli che aveva iniziato a frequentare dopo essere diventato un vampiro, ma niente. Sentivo il cuore battere all’impazzata mentre la disperazione più totale si stava impossessando di me.
“Clary?”
Sollevai la testa e vidi difronte a me Micheal con in mano una tazza di caffè fumante e nell’altra le chiavi della macchina.
“Che succede? Se stai cercando l’istituto è dall’altra parte.”
“No.”

Non avevo voglia di scherzare, dovevo ritrovare Simon e dovevo farlo subito.
“Sto cercando una persona.”
“Vuoi un passaggio? In macchina farai sicuramente prima e Maryse non potrà dirti niente se arriverai in ritardo con me.”

Per quanto la reputassi una cosa sbagliata, aveva ragione.
Con la macchina avrei di sicuro visto più posti e poi sarei stata molto più veloce. Annuii e lo seguii verso la vettura che aveva parcheggiato poco distante da dove ci trovavamo.
Allacciai la cintura e non appena partì incominciai a guardare fuori dal finestrino sperando di vederlo tra i passanti.
Avevamo percorso tutta la 32esima strada e stavamo per imboccare la Hudson Avenue quando..
“Fermati!”
Inchiodò di colpo e io mi slacciai la cintura per scendere velocemente dalla macchina e afferrare Simon per il giubbino e farlo girare verso di me. Con tutta la forza che avevo gli tirai uno schiaffo e poco dopo fui costretta a prendermi la mano con l’altra visto la fitta di dolore che mi ero provocata con quel gesto, perché non volevo ricordare che Simon era duro come la pietra?
Mi guardò stupito e io ricambiai quello sguardo con uno arrabbiato,
“Ti pare modo di scappare? Non potevi lasciarmi un biglietto per dirmi che te n’eri andato?”
“Clary ma..”
“Niente ma, Simon! Devi dirmelo dannazione, non puoi farmi credere che lui..”
“Clary ancora lui? Pensi che sia davvero qui?”

Lo sentii marcare la parola davvero, come se per lui fosse impossibile e rimasi in silenzio tenendo il mio sguardo fisso nel suo.
“Sono andato a vedere se si poteva fare qualcosa per il tuo cellulare, ma…Sorpresa delle sorprese, non si possono recuperare i messaggi da un cellulare ricaricabile!”
Era andato a chiedere..
E non poteva dirmelo? Quel biglietto che avevo trovato…
“Si certo.”
“Chi è quello?”

Indicò Micheal, che ci guardava, con un movimento della testa e io alternai un secondo lo sguardo tra i due per poi riposarlo su Simon,
“Il mio istruttore.”
“Oh. Ora capisco perché Jace è così geloso.”
“Non è geloso.”
“Ah no? E come lo chiami uno che interrompe il tuo allenamento portandoti via dopo averti spiata? Sai che Jace non fa di queste cose, se è arrivato a farlo…”
“Significa che non si fida di me!”
“O semplicemente che ha paura di perderti.”

Scossi la testa abbassando lo sguardo sulla mia mano, forse aveva ragione ma…Ma da quando Simon difendeva Jace?
“Ora ho da fare. Ci sentiamo dopo.”
Così dicendo mi allontanai e tornai da Micheal che non appena mi vide salire in macchina accese il motore,
“Andiamo all’istituto?”
“Si, grazie.”

Mi sorrise e con un gesto rapido accese la radio,
Every single day
Every word you say
Every game you play
Every night you stay
I'll be watching you
O can't you see
You belong to me
How my poor heart aches with every step you take[1]
Presi il cellulare che aveva incominciato a squillare e sul display comparve un nuovo messaggio,
Era solo un avvertimento. Mi prendi troppo sul serio, sorellina.
Mi ritrovai anche questa volta a stringere il cellulare, solo che adesso non potevo dire niente, non ero sola e lui mi aveva fatto capire cosa sarebbe stato in grado di fare se solo avessi riparlato di lui con qualcuno, avevo ragione, lui era vicino a me, sempre.
 
[1] Ogni giorno, ogni parola che dici, ogni gioco che giochi, ogni notte che passi con me, io ti guardo.
Non lo capisci? Tu appartieni a me.
Quanto duole il mio povero cuore ad ogni passo che fai. (Every breath you take – The Police)
 

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Capitolo 5
*** Segnali ***


Mi ritrovai a fissare la strada dal finestrino durante tutto il tragitto, non sapevo come comportarmi, cosa pretendeva che facessi, che tagliassi i ponti con tutti?
Un conto era non dire niente a mia madre, a Luke, a Izzy, addirittura a Jace, ma a Simon…Io e Simon ci eravamo sempre detti tutto, sin dai tempi dell’asilo e adesso cosa pretendeva?
Che lo allontanassi senza una spiegazione?
Chiusi gli occhi poggiando la testa al vetro e incominciai a pensare a come uscire da quella specie di labirinto nel quale Jonathan mi stava rinchiudendo.
Se voleva che lo seguissi perché non veniva a prendermi così la facevamo finita una volta per tutte?
Sentii lo sportello aprirsi e mi ritrovai a cadere urtando con una spalla per terra,
“Ma che dia…”
Aprii gli occhi e davanti a me vidi dei piedi che indossavano un paio di scarpe sportive nere, di quelle con i lacci, buone per correre. Poggiai una mano sull’asfalto seguita subito dopo dall’altra e mi alzai in piedi, mi ripulii i jeans e la maglietta dalla polvere che avevano accumulato e quando sollevai lo sguardo, convinta di incrociare gli occhi verdi di Micheal, lo vidi.
Indietreggiai di qualche passo, fino a quando non mi ritrovai a sbattere con la schiena alla macchina e mi portai una mano davanti la bocca per lo shock.
“Jo…”
“Ciao sorellina.”

Era la prima volta, da quando lo vedevo, che sentivo la sua voce, non c’era più bontà in lei, c’era risentimento, rabbia e allo stesso tempo calma. Non aveva paura di essere scoperto o che qualcuno lo vedesse lì in piedi davanti l’istituto, ma soprattutto non aveva paura che Micheal lo vedesse qui con me.
Mi voltai per poi abbassarmi e guardare dentro la macchina e spalancai gli occhi terrorizzata portandomi nuovamente la mano davanti la bocca, questa volta per evitare di urlare.
Lì dentro c’era il mio istruttore con gli occhi sbarrati e la testa poggiata al volante, con un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca.
“No…”
Indietreggiai urtando questa volta a Jonathan che chiuse le sue braccia intorno al mio corpo e mi costrinse ad alzarmi e a voltarmi verso di lui per poi abbracciarmi.
Il suo corpo era caldo, proprio come quel giorno e aveva sempre lo stesso profumo di bosco che gli sentivo ogni qual volta mi si avvicinava.
“Micheal è…”
“Andava fatto.”

A quelle parole trovai la forza di posare le mie mani sul suo petto e di spingerlo via, cosa voleva dire che andava fatto?
Io non avevo detto niente, lui non sapeva assolutamente niente su Jonathan o su quello che stava succedendo, era l’ultimo arrivato, l’unico con il quale non avessi un rapporto.
“Sei..”
“Un mostro? Lo so. Ma tu non capisci Clary, è giusto così. Lui sarebbe diventato una minaccia per me, per noi e tu non vuoi questo, vero?”
“L’unica cosa che voglio è che tu scompaia per sempre dalla mia vita e da questo mondo!”

Scoppiò a ridere e mi si avvicinò poggiandomi una mano sulla guancia, le sue dita bruciarono la mia pelle non appena vi entrarono in contatto e mi ritrovai immobilizzata. Sapevo di essere lì in piedi davanti a lui eppure mi sentivo come una spettatrice passiva di quella scena.
“Non dire sciocchezze. So che continui a pensarmi ed è giusto così.
Te l’ho già detto no? Io appartengo a te e tu appartieni a me, è sempre stato così e sempre lo sarà.”

Sentii il suo fiato avvicinarsi sempre di più, avrei voluto allontanarlo, spingerlo come avevo fatto prima, ma questa volta non trovai la forza necessaria. Chiusi gli occhi e rimasi lì in attesa di quello che stava per fare.
“Clary? Clary siamo arrivati, svegliati!”
“Eh?”

Strinsi gli occhi per poi aprirli e richiuderli più volte prima di riabituarmi alla luce del sole. Sollevai la testa e mi portai una mano tra i capelli lì dove, fino a pochi istanti prima, ci doveva essere stato qualcosa a sorreggermi.
Voltai la testa cercando di mettere a fuoco e di capire dove mi trovavo e quando mi voltai dall’altra parte avvertii una fitta al cuore, ma questa volta di felicità, nel vedere che accanto a me c’era Micheal in perfetta forma che mi guardava con aria leggermente preoccupata.
Fu più forte di me, tanto era il sollievo nel vederlo ancora vivo, che mi sollevai leggermente spingendomi verso di lui e gli gettai le braccia al collo per abbracciarlo.
Non potevo crederci, da quando avevo incominciato ad avere quei sogni era la prima volta che mi sentivo sollevata nel vedere che non erano la realtà.
Sentii la mano titubante del mio istruttore toccarmi le spalle muovendosi su e giù come una carezza, lo avevo sorpreso?
E come poteva essere altrimenti, non avevo dato segnali del fatto che lo trovassi simpatico né altro, quindi come poteva capire quello che mi stava passando per la testa.
Mi allontanai leggermente in imbarazzo e mi spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre lui si schiarì la voce con qualche colpo di tosse,
“Forse…Forse è meglio scendere.”
“Già..”

Ammisi con un leggero imbarazzo, mentre sentivo le mie guance diventare più calde, cosa avevo fatto?
Oh dai non era poi la fine del mondo, giusto?
Mi voltai per aprire lo sportello e nel momento stesso in cui poggiai la mano sulla maniglia lo sentii aprirsi dall’esterno, solo che questa volta ero seduta dritta e non sarei potuta cadere.
“Jace.”
Sussurrai il suo nome non appena vidi i suoi occhi color miele guardarmi con una specie di velato disprezzo, aveva visto tutto anche questa volta?
Almeno adesso non era stato costretto a spiarci no?
Mi fece segno di scendere e obbedii senza replicare mentre lui spostava lo sguardo su Micheal,
“Signor Lovelac le dispiacerebbe precederci? Io e la mia ragazza dobbiamo parlare un attimo.”
Sottolineò la parola ragazza come un animale che cercava di marcare il suo territorio, per far capire a quel ragazzo che sebbene avessimo litigato tra noi non era tutto finito, almeno non per il momento.
Lui annuii e senza aggiungere altro lo vidi sparire dentro l’istituto. Giuro che avrei dato qualsiasi cosa per essere al posto suo in quel momento, vedere lo sguardo di Jace in quel modo mi faceva venire i brividi, sebbene fossi convinta di non aver sbagliato.
“Adesso mi dirai che eravate così vicini perché gli stavi togliendo una cosa dall’occhio, non è vero?”
Eh? Ma che andava dicendo? Era un crimine abbracciare qualcuno?
Oh. Ora capisco perché Jace è così geloso.
Le parole di Simon risuonarono nella mia testa, Jace faceva così per gelosia, ma allora perché non ammetterlo?
Era riuscito ad ammettere cose ben più peggiori di questa, allora perché adesso si comportava in questa maniera?
“Veramente…”
Alzò una mano davanti il mio volto facendomi segno di stare zitta, più o meno come avevo fatto io con lui il giorno prima,
“No…Tu non mi devi nessuna spiegazione, io ti stavo spiando giusto? Sono solo uno stalker che arriva nei momenti sbagliati. Se non fossi arrivato avresti controllato anche che qualcosa non gli fosse finita tra i denti!”
Ed ecco ancora una volta quel tono arrabbiato.
Sputava sentenze senza nemmeno sapere cosa fosse realmente successo, senza voler sapere cosa fosse successo.
“Ma smettila.”
Gli posai una mano sul petto e lo spinsi liberandomi la strada verso l’istituto, i fratelli silenti stavano facendo davvero un buon lavoro, fino a qualche tempo fa, toccarlo in questa maniera era impensabile, mentre adesso sembrava non ci fosse alcun problema.
Mi prese per il polso e mi fece voltare verso di lui, lo vidi serrare le mascelle come se stesse lottando contro qualcosa dentro di sé, qualcosa che avrebbe voluto dire ma che sapeva avrebbe rovinato ancora di più le cose.
“Allora perché vi stavate abbracciando?”
“Perché a quanto pare è l’unica persona a starmi vicina in questo periodo! Il mio migliore amico è sempre in giro con la sua ragazza, mia madre è alle prese con il suo matrimonio e il mio ragazzo…”
Mi interruppi un attimo per lasciare che un sorriso amaro mi comparisse sul volto,
“Non sono nemmeno certa di averne più uno.”
Lo vidi spalancare gli occhi e guardarmi con un espressione mista tra paura e sgomento, non si aspettava una reazione simile dopo avermi dato della facile.
“Che…Che stai dicendo?”
Abbassai la testa per poi rialzarla quasi immediatamente, che cosa avevo da temere? Niente, era lui ad essere nel torto non io.
Io sapevo di amare lui e nessun altro, l’unico a mettere in dubbio questi sentimenti era lui.
“Sto dicendo quello che hai capito. All’inizio, dopo che ti sei risvegliato, pensavo fosse tornato tutto alla normalità, certo abbiamo attraversato qualche effetto collaterale e lo stiamo ancora attraversando, ma pensavo ti fosse chiaro che l’unica cosa che contava davvero per me era saperti vivo e al mio fianco.
Non mi importa se non potrò toccarti, per quello posso aspettare, ma non posso sopportare che tu non abbia fiducia in me.”

Finalmente glielo avevo detto. Non ce la facevo più a tenermi quel peso dentro,  sommato poi a tutti gli altri che invece dovevo tenere per me.
“Clary…”
“No, Jace. È una cosa che non sopporto. Perché non puoi accettare il fatto che anche qualcun altro cerca di starmi vicino? È un crimine essere gentili con me?”
“Non è questo...Solo…Mi ha dato fastidio, non perché è lui, poteva essere chiunque altro, non avrei comunque retto il fatto che qualcuno stesse prendendo in qualche modo il mio posto, anche solo come istruttore. Mi fa sentire  male il fatto di non poterti più stare vicino come facevo prima.”

Schiusi le labbra guardandolo.
Sentii il mio volto addolcirsi e la mia mano sollevarsi fino a toccare il suo volto sfiorandolo appena,
“A me non importa che non sia tu più ad allenarmi. Voglio solo che ti fidi di me e che capisca che supereremo anche questa.”
Lo vidi prendere la mia mano e stringerla nella sua per poi avvicinarsi e poggiare delicatamente le sue labbra sulle mie.
Fu una frazione di secondo, ma fu abbastanza per ricordarmi quello che provavo per lui e cioè che senza di lui io non ero niente.
Lui era tutto per me, era il centro della mia vita, l’unica certezza che avevo e che avrei sempre voluto avere.
Gli sorrisi sistemandogli per bene il cappuccio che aveva messo per non attirare troppo l’attenzione dei mondani, visto lo strano effetto che aveva la sua pelle quando veniva colpita dalla luce del sole.
“Ti amo.”
Sussurrò quelle parole in modo che potessi sentirle solo io, sebbene fossimo soli per strada.
“Anche io, ma ora andiamo, non voglio incombere nell’ira di Maryse.”
Mi sorrise e si portò al mio fianco mentre ci avviavamo verso l’ingresso dell’istituto. Superato l’ingresso salimmo le scale percorrendo il grande corridoio che portava nel soggiorno dal quale si sentivano delle voci. Varcata la soglia vidi Alec girato di spalle affacciato dalla finestra, teneva le braccia conserte e non prestava alcuna attenzione ai discorsi che si stavano tenendo nella stanza, Isabelle con indosso un paio di pantaloni neri di pelle e un maglioncino aderente e collo alto che teneva in mano una tazza di thè seduta comodamente su una poltrona, Maryse, seduta sul divano con accanto Micheal, che parlavano di vecchie storie riguardanti le loro famiglie.
Non appena ci vide ci fece segno di entrare e mi guardò con aria indagatrice, ma perché quella donna non poteva mai rivolgermi un sorriso?
“Finalmente Clarissa.”
Quanto odiavo quando pronunciavano il mio nome per intero, mi ricordava Valentine, che mai aveva pronunciato il diminuitivo che mia madre mi aveva dato.
“Scusate.”
Dissi con voce sommessa spostando il mio sguardo da Maryse a Micheal.
“È colpa mia, l’ho fermata appena è arrivata.”
“Avresti potuto farlo dopo, non trovi Jace? Micheal perde del tempo prezioso a causa vostra.”
“Oh su Maryse, non fare così. Ho detto io a Clary che non c’erano problemi visto che mi avrebbe fatto piacere intrattenermi per un po’ con te. Non ci vedevamo da molto tempo e fa sempre piacere parlare con vecchi amici di famiglia.”

Maryse sospirò scuotendo la testa e sollevò una mano facendo segno che per questa volta ci sarebbe passata su.
“Va bene, va bene. Ma adesso non perdete altro tempo. Andate in biblioteca e tu Jace, vieni a dirmi tutto quello che ti hanno detto i Fratelli.”
Aspettai che Micheal si alzasse e rivolsi un sorriso a Jace prima di andare, come per rassicurarlo, non sarebbe successo niente e lui poteva stare tranquillo.
Uscii dalla stanza seguendo il mio istruttore che di spalle era sempre più simile a Jonathan, soprattutto ora che lo avevo rivisto avevo potuto constatare che anche come muscolatura erano piuttosto simili, sembrava quasi che mio fratello fosse diventato più grosso da quando avevamo lasciato il campo di battaglia. Non molto più grosso, ma giusto un po’, come se avesse raddoppiato le ore di allenamento che faceva.
Entrammo nell’enorme biblioteca e mi ricordai della prima volta che avevo messo piede lì dentro, la prima cosa che avevo fatto, dopo aver ammirato la maestosità di quella stanza, era stato guardare incuriosita nelle teche che si trovavano esposte ai lati, contenevano alcuni tesori, anche se i più preziosi erano in un’altra stanza, non molto lontano da dove ci trovavamo.
“Tutto apposto?”
“Come?”

Portai lo sguardo su di lui leggermente confusa, a cosa si riferiva? Al mio gesto inatteso o alla mia chiacchierata con Jace?
“Con Jace, avete chiarito? Mi è sembrato piuttosto turbato.”
“Ah, no, cioè si. È solo che per lui questo è un momento difficile.”
“Si lo so, Maryse mi ha detto tutto.”

Maryse gli aveva parlato della situazione di Jace? Non che fosse un segreto ma mi sembrava davvero strano, visto che lui non faceva parte del nostro istituto.
Alzai le sopracciglia, storcendo le labbra e feci spallucce, non mi andava di parlarne, quelli erano problemi di Jace e non sarei stata io a renderli pubblici, soprattutto perché a lui non sembrava piacere particolarmente Micheal.
“Ok, concentriamoci sulle rune. Partiamo dal tuo potere, ho sentito che è davvero portentoso, quello che hai fatto durante la battaglia ad Idris, unire Nascosti e Nephilim, non è una cosa da poco. Ma questo lo saprai già.”
Si sedette su una delle sedie, accavallò le gambe e poggiò un gomito sul tavolo, sollevando la mano chiusa a pugno e poggiandovi sopra una guancia,
“Dimmi, come fai. Come riesci a visualizzare quelle rune?”
Incominciai a camminare lungo la stanza, cercando le parole per spiegare quello che mi succedeva ogni volta, quando quelle immagini comparivano nella mia testa.
“Delle volte mi compaiono in sogno, altre mi devo concentrare su una cosa che desidero davvero, come quando ho bloccato la casa di Jonathan. Avevo desiderato con tutte le mie forze che nessun altro potesse più entrarci e così la mia mano ha incominciato a tracciare quei segni.”
Qualcosa che nemmeno io controllavo, non sempre.
“Invece con il marchio?”
“Simon mi aveva chiesto qualcosa per proteggerlo da Raphael e l’unica cosa che mi era venuta in mente…”
“Il marchio di Caino non è qualcosa che viene in mente così, Clary. È qualcosa che solo Dio può imprimere su qualcuno, così come aveva fatto con il primo ramingo.”

Mi sedetti sulla sedia davanti la sua e poggiai entrambi i gomiti sul tavolo, prendendomi la testa tra le mani, in molti mi avevano detto quelle parole, Simon mi aveva detto che anche Raziel era rimasto sbalordito nel vedere quel disegno sulla sua fronte e si sa, sbalordire un angelo non è una cosa da poco.
“Non lo so.”
“Oh, per l’Angelo Clary concentrati. Se non scopriamo qualcosa in più come possiamo allenare questo dono?”

Lasciai cadere la testa sulle braccia, che ormai si erano incrociate sul tavolo. Aveva ragione, se non capivamo come funzionava non sarei mai stata in grado di servirmene al 100%, ma io davvero non capivo.
All’inizio avevo pensato fosse per merito di Ithuriel, che attraverso quei sogni mi aveva mandato anche qualche runa, ma dopo averlo visto scomparire nella casa di Valentine, non ne ero stata più tanto certa.
“Hai ragione.”
La mia voce uscii quasi soffocata a causa di quella posizione, ma ci stavo davvero pensando e non riuscivo a trovare una risposta a quella domanda.
Sospirò e sentii il rumore di una sedia che veniva spostata e poi di passi che si muovevano avanti e indietro per poi fermarsi. Volai la testa liberandomi la visuale di un occhio e guardai Micheal osservare la statua dell’angelo che si trovava vicino le grandi finestre.
“Ti avranno già detto che le rune che tracci non sono del tutto nuove. Alcune di quelle che hai mostrato appartengono a dei libri antichi e non sono state concesse a noi Nephilim.”
Continuava a fissare l’angelo invece che guardare me, come se la sua testa stesse viaggiando a mille chilometri da dove mi trovavo io.
“Non si trovano nel libro grigio, ma nemmeno in quello bianco.”
Finalmente si voltò, aveva l’aria assorta, le braccia incrociate al petto e con una mano stava incominciando a torturarsi il labbro inferiore.
“Se io ti chiedessi di tracciare una runa in grado di farci passare attraverso un muro, tu ne saresti capace?
O un’altra che ci permetta di riuscire a compiere dei salti talmente alti che potrebbero essere paragonati all’ebbrezza del volo, almeno per qualche istante, ci riusciresti?”

Mi sollevai poggiandomi allo schienale della sedia e buttai la testa all’indietro guardando il soffitto, chiusi gli occhi concentrandomi sulla seconda frase che aveva detto e incominciai a visualizzare delle linee che si intrecciavano tra di loro formando un disegno abbastanza semplice da poter essere riprodotto.
Mi riportai in posizione eretta e allungai una mano per prendere un foglio di carta e una penna che erano poggiati lì sopra e incominciai a disegnare, a riprodurre il disegno che era ben chiaro nella mia testa.
Una volta finito sollevai il foglio mostrandolo a Micheal che si avvicinò prendendolo dalla mia mano,
“Sarebbe?”
“Ho incominciato a visualizzarlo quando hai parlato dei salti. Sembra una runa di potenziamento ma…”
“Ma ci sono dei piccoli dettagli che la modificano.”

Annuii confermando le sue parole e lui si allontanò per prendere un libro, uno di quelli vecchi e quando lo aprii sul tavolo sentii un forte odore di polvere che mi portò a starnutire.
Micheal incominciò a parlare a spiegarmi alcuni di quei disegni e la loro origine e andammo avanti così per diverse ore, visto che quando mi voltai verso la finestra notai che il sole stava già calando.
“Isabelle!”
Mi ero quasi dimenticata che le avevo promesso di accompagnarla a prendere qualcosa per Simon, oh accidenti questa non me l’avrebbe perdonata facilmente.
Mi alzai e guardai il mio istruttore con un’espressione leggermente allarmata,
“Io devo…”
“Tranquilla, avremmo dovuto finire qualche ora fa. Scusa se ti ho trattenuta.”
“Non fa niente, però ora devo proprio scappare.”
“Ok, a domani.”

Alzai una mano in segno di saluto e corsi fuori dalla biblioteca. Continuai a correre lungo i corridoi fino ad arrivare davanti la porta della camera di Izzy e bussai, sperando di trovarla là dentro. Non appena la porta si aprì la vidi con la faccia contratta in una smorfia infastidita e per tutta risposta le rivolsi un sorriso mortificato,
“Scusa.”
“Niente scuse. Ora sbrigati e andiamo.”

Allungò una mano per prendere un cappotto e uscii sbattendo la porta alle sue spalle, l’avevo fatta arrabbiare davvero, però non pensavo che per lei fosse così importante, stavamo parlando di Simon e lei non mi aveva mai fatto notare che ci tenesse chissà quanto, tuttavia era pur sempre Isabelle e mostrare le sue emozioni non era mai stato il suo forte.
La seguii fuori dall’istituto, infilandomi il giubbino, tra un passo e l’altro,
“Dove andiamo?”
“Un negozio di musica?”

Mi venne quasi spontanea quella proposta, c’erano poche cose che interessavano Simon, come la musica, i videogiochi o alcuni film fantascientifici che mi costringeva spesso a guardare.
Le proposi di prendere un autobus, ma la sua smorfia disgustata mi fece ritirare subito quelle parole, non aveva mai apprezzato a pieno il mondo dei mondani, solo adesso stava incominciando ad avvicinarcisi, visto il profondo legame che Simon ancora nutriva per quello che riteneva familiare.
Durante il tragitto ci scambiammo si e no qualche parola, io ancora non sapevo come comportarmi con lei, non sapevo cosa si potesse chiedere oppure no e nonostante la mia curiosità, nel sapere se anche lei provasse le stesse paure che stavano assalendo Simon, decisi di mordermi la lingua e rimanere in silenzio.
Arrivate davanti al negozio la feci entrare per prima, ogni volta che uscivo con lei vedevo gli sguardi dei ragazzi seguirla ad ogni suo passo, era come se ogni suo movimento fosse magnetico, un qualcosa che riusciva ad attirare l’attenzione di tutti, come il pendolo di un illusionista.
Guardammo tra gli scaffali alla ricerca di un cd, ma sapevo perfettamente che Simon li aveva già tutti, era il classico tipo che come usciva un album che gli piaceva sarebbe stato disposto a passare la notte fuori dal negozio, accampandosi, fino all’apertura.
Lasciai Izzy guardare con aria incuriosita i vari nomi sulle copertine e mi allontanai per vedere cos’altro gli sarebbe piaciuto avere e quando finalmente trovai quello che poteva fare al caso nostro la chiamai.
“Ecco.”
Indicai un piccolo oggetto all’interno di una vetrina, era un plettro con sopra un incisione e sotto il nome del vecchio proprietario, Brian May.
“Questo?”
Lo guardò con aria confusa, come se per lei una cosa di quelle dimensioni non potesse essere considerata un regalo.
“Già. Per uno come Simon è il regalo perfetto.”
Io riuscivo ad immaginarlo tutto contento ad usare quel plettro per suonare, o forse, sarebbe stato capace di incorniciarlo e appenderlo in camera.
“È un pezzo unico ragazze.”
Era stato il ragazzo dietro il bancone a parlare. Si era poggiato con il braccio sulla teca e con l’altra mano stava indicando l’oggetto del quale stavamo parlando.
“È arrivato ieri e qualsiasi musicista vorrebbe averlo.”
“Sul serio?”

La voce di Izzy fu più squillante, come se le parole del ragazzo fossero riuscite a convincerla.
“Allora lo prendo!”
La guardai con la bocca leggermente aperta, fino a quando ero stata io a dirle quelle parole non andavano bene, ma ora che uno sconosciuto aveva incominciato ad elogiare il plettro, questo sembrava aver preso un altro aspetto.
Forse Simon, in un certo senso, aveva ragione. Izzy voleva ciò che gli altri volevano, voleva vincere a tutti i costi qualsiasi battaglia, anche quando si parlava di shopping.
Il ragazzo fece un sorrisetto compiaciuto e infilò una mano nella teca per prenderlo e impacchettarlo. Izzy pagò e quando fummo sulla soglia del negozio sentii il ragazzo richiamarmi,
“Clarissa?”
Mi voltai confusa. Come conosceva il mio nome? E soprattutto come conosceva il mio nome per intero?
Lo vidi prendere un biglietto dalla tasca e allungare una mano verso di me,
“Mi hanno detto di darti questo.”
“Chi?”
“Non ricordo. Prima è venuta una persona e mi ha detto di darti questo.”

Sentii il cuore accelerare e una strana sensazione prendere il possesso del mio corpo, presi il biglietto e lo lessi velocemente.
“Perduto è tutto il tempo che in amor non si spende.” Sorella mia, noi ne abbiamo perso pure troppo.
Sentii il mio corpo incominciare a tremare, come se davanti ai miei occhi si fosse palesata una minaccia incombente. Avevamo perso troppo tempo, quindi lui…
Quelle che prima erano solo paure adesso stavano incominciando a diventare realtà, lo aveva scritto apertamente questa volta.
“Clary?”
Sollevai la testa e incrociai gli occhi azzurri di Izzy guardarmi in maniera confusa, piegai il biglietto e lo misi nella tasca del giubbino,
“Andiamo.”
Lanciai un ultimo sguardo verso il ragazzo al bancone intento a parlare con altri clienti ed uscimmo da quel negozio.
 

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