Fratelli di sangue

di MandyCri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
Maggio 1989
 
Julian si guardò intorno e avvertì un senso di disagio. Era strano provare qualcosa che non fosse indifferenza.
Julian non aveva sentimenti. Gli erano totalmente estranei.
Osservò le pareti bianche e ispirò un forte odore di disinfettante e medicine.
Fissò disgustato il pavimento antisettico in resina, tipico degli ospedali e grugnì infastidito.
Annusò l’aria sconcertato e cercò di selezionare l’effluvio di Maximilian.
Perché si era materializzato, ancora una volta, sulla terra e, questa volta, peggio ancora, proprio in un ospedale?
Erano secoli che la cosa si ripeteva.
Secoli in cui lui era stato costretto a ritornare in superficie, ogni volta che Max decideva di farci una scappatina.
Non aveva ancora capito le intenzioni di suo fratello e sinceramente non gliene fregava un emerito cavolo, anche se aveva capito che stava cercando qualcosa, purtroppo però, il sangue che gli scorreva nelle vene, lo univa indissolubilmente a lui e Julian non poteva tirarsi indietro.
Se Maximilian andava sulla terra, lui volente o nolente, doveva raggiungerlo.
Ci aveva provato a non accettare il richiamo, certo! Ma poi non era riuscito a combatterlo.
Il dolore fisico per il suo rifiuto di seguirlo era troppo forte.
Julian non soffriva, non sentiva alcuna sofferenza, non provava sentimenti.
Quando approdava sulla terra, avvertiva un qualcosina di fastidioso sul piano fisico, se gli capitava qualcosa o veniva ferito che, forse, gli umani definivano “male”.
Lui restava un demone e il suo fisico era molto più forte di quello dei miseri umani e quel dolore non era certo paragonabile a quando si rifiutava di seguire le orme fraterne: allora sì che il male diventava lancinante.
Le viscere gli si contorcevano, gli arti gli si fratturavano e il sangue sgorgava da ogni orifizio.
Era terribile, per cui, seppur a malincuore, aveva capito che era meglio far buon viso a cattivo gioco e raggiungeva il fratello, ringhiando e sbuffando come un toro impazzito.
Julian era il figlio del diavolo.
L’unico figlio che Lucifero avesse mai avuto e, nonostante suo padre fosse l’entità più crudele che avesse mai visto in tutta la sua lunga vita, non gli aveva mai storto un capello, invece l’angelo Max riusciva a fargli, volutamente, del male fisico con quel suo continuo spostarsi sulla terra.
Probabilmente suo padre era convinto di avergli già inflitto la peggior punizione e maledizione di sempre: aveva messo incinta la madre di Maximilian, un’umana.
Lui e Max erano fratelli da parte di madre, erano legati e, purtroppo, sarebbe stato per sempre, almeno finché, uno dei due non fosse morto, cosa alquanto impossibile, visto la loro natura eterna.
Se Max si materializzava sulla terra, Julian, per forza di cose, doveva raggiungerlo e Max ci provava gusto ad andare tra gli uomini.
La cosa era reciproca ovviamente, ma a lui non interessava andare da quelle parti, anzi, più evitava e meglio era.
Si scostò una lunga ciocca di capelli neri dal viso, sbuffando impaziente.
Dove cazzo si era cacciato quell’angelo?
Si accorse con disappunto che più l’odore del fratello si intensificava, più il panorama intorno a lui cambiava.
Con suo enorme disappunto, Julian entrò nel reparto “maternità”.
Le pareti non erano più bianche, ma di un verdino pastello deplorevole ed erano decorate da dipinti scherzosi e addobbate con tantissime foto di neonati.
L’ambiente era diventato sicuramente più allegro, ma era ancora impregnato del puzzo nauseante di disinfettante.
Gli umani, forse, credevano che colorare e adornare i muri differentemente dal resto dell’edifico, rendesse quel luogo diverso, ma non capivano che quell’odore penetrante, lo presentava ai suoi occhi esattamente per ciò che era nella realtà: pareti verdoline e foto di bambini non cancellavano il fatto che restasse uno schifoso ospedale.
Che poi… cosa c’era di bello nel vedere un visino sorridente di un cucciolo umano?
Lui destava i bambini.
Negli inferi non ce n’erano, per fortuna.
L’unico bimbo che ci aveva messo piede era stato lui e suo padre aveva giurato che era stato il primo e l’ultimo.
Julian si sentì ancora più infastidito.
Era stato un moccioso secoli fa, poi era cresciuto e la sua vita si era fermata nel tempo, quando il suo corpo si era sviluppato completamente.
Gli umani lo avrebbero chiamato “giovanotto”.
Sarebbe restato per sempre un ragazzo di venticinque anni, suppergiù.
Non appena scorse le ciocche dorate dei riccioli di Max, tirò un sospiro di sollievo.
L’avrebbe raggiunto e poi, finalmente, sarebbero ritornati ognuno a casa sua.
Le visite di Max sulla terra erano brevi.
Arrivava, vagliava non si sa cosa e poi ritornava in alto.
Lui invece sprofondava negli abissi della terra.
Erano profondamente diversi sia nel fisico che nella mente.
Eppure chiunque li vedesse vicini, chiedeva loro se fossero fratelli.
Il padre di Maximilian era, niente di meno che, l’arcangelo Gabriele: la mano sinistra di Dio.
Il messaggero di Dio.
L’unico angelo che aveva la capacità di parlare con gli uomini e annunciare loro la nascita di persone speciali.
Julian sapeva che secoli prima Gabriele, in una delle sue missioni, si era innamorato di una donna: Amelia.
Per amore di Dio aveva rinunciato a questa femmina e il Creatore, per la sua fedeltà, gli aveva concesso in premio la mortalità.
Sarebbe vissuto ed invecchiato accanto ad Amelia nel corso di una normalissima vita umana e poi sarebbe ritornato alla sinistra di Dio.
Julian si era chiesto più volte che razza di premio fosse mai questo.
Amare, soffrire, penare e invecchiare per una donna, non gli sembrava certo una cosa speciale.
Dall’unione di Amelia e Gabriele era nato Maximilian.
Peccato però che la loro felicità fosse durata davvero poco.
Il Diavolo, non appena saputo della nascita di Max, si era materializzato sulla terra e aveva ucciso Gabriele che aveva fatto subito ritorno al suo posto, aveva quindi preso l’aspetto del Gabriele umano e aveva ingravidato Amelia.
Non appena la donna aveva dato alla luce Julian, era stata uccisa barbaramente e il Diavolo si era portato il piccolo negli inferi.
Julian non aveva mai provato nulla per quella donna.
Non gliene fregava assolutamente niente e non era affatto dispiaciuto per non averla mai conosciuta o vista.
Si era ribellato a Max, quando aveva insistito per fargliela vedere.
Julian non provava tristezza, gioia, allegria, ma non solo, Julian non odiava o detestava nessuno. Era indifferente a tutto.
L’unica forma di sentimento che aveva, era, forse, rispetto e timore per suo padre.
Arrivò dietro al fratello in silenzio.
Sentì Max sorridere e poi lo vide girarsi – Sei arrivato finalmente, sentivo la tua mancanza – lo accolse gioioso.
Julian fece una smorfia di disgusto – Spero sia una cosa breve – disse con voce afona.
Max sgranò impercettibilmente gli occhi azzurri e poi ritornò a fissare un punto specifico della nursey, al di là del vetro.
Julian guardò nella stessa direzione.
Gli occhi di Max gli facevano sempre un effetto strano: erano identici ai suoi nella fattezza, cambiava solo il colore.
Quelli del fratello erano di un azzurro cielo intenso con il contorno dell’iride argentato, mentre i suoi erano più neri della pece, ma avevano la stessa linea argentata che li definiva.
Sapeva che quella era l’eredità di Amelia.
Per secoli aveva cercato atri demoni o diavoli con lo stesso particolare, ma non l’aveva trovato in nessuno.
Aveva visto altri angeli, oltre a Max, ovviamente e scrutato anche loro, ma nessuno presentava quella peculiarità.
Come le ali, del resto.
Lo stesso colore argento colorava le punte delle ali bianche di Max e, purtroppo, anche delle sue che, però, erano nere.
Gli angeli le avevano bianche, candide come la neve fresca, mentre gli altri demoni le avevano nere.
Nessun altro colore, nessun’altra sfumatura.
Quel colore argento lo infastidiva davvero tanto: era la sua carta di identità umana, era il segno della parentela che aveva con Max.
Non che gliene fosse mai fregato di nessuna delle due cose o avesse dovuto fare mai una scelta.
Suo padre non gli aveva mai chiesto nulla e lui, sinceramente, non aveva mai fatto alcuna richiesta in tal senso.
Gli piaceva stare negli inferi.
Gli piaceva il paesaggio oscuro, arido e scosceso. La luce che c’era sulla terra gli irritava gli occhi e lo infastidiva terribilmente. Adorava l’odore di carne bruciata.
Quando era a casa trascorreva la maggior parte del tempo ad oziare nel deserto dei dannati, una distesa infinita di rocce appuntite e vulcani che eruttavano lava e fuoco. Si divertiva a saltare le fontanelle di fuoco che sorgevano nell’arida terra, fin da quando era piccolo.
Quella era una zona solitaria che qualsiasi demone evitava.
Ogni tanto scorgeva figure martoriate e deteriorate nel fisico che un tempo erano state uomini.
Suo padre li chiamava i pentiti.
Quegli umani che sulla terra avevano fatto i loro porci comodi e, una volta arrivati all’inferno, si erano pentiti di ciò che avevano combinato in vita e che cercavano di scappare dagli inferi e si ritrovano, invece, in quella vallata che a detta di tutti era peggio dell’inferno stesso.
Julian non capiva perché volessero fuggire.
Negli inferi c’era tutto ciò che li avrebbe potuti rendere felici.
Non esistevano regole, se non l’ubbidienza assoluta a suo padre e a lui. Non che avessero paura di un qualche tipo di rivolta.
Quegli esseri erano decisamente inferiori a lui, figurarsi ad Diavolo in persona.
Se avesse voluto, li avrebbe spazzati via in un secondo.
In ogni caso, all’inferno si poteva avere tutto ciò che si desiderava.
Sesso a volontà, qualunque fosse il gusto personale, il cibo migliore, droga, scazzottate e, soprattutto, se qualcuno ti dava fastidio, potevi farlo fuori quando e come volevi.
Aveva ucciso tanti di quegli esseri inferiori per puro divertimento che, ormai, aveva smesso, perfino di contarli.
Quindi perché mai avrebbe dovuto chiedere a suo padre di lasciarlo libero?
Era il principe degli inferi e nessuno aveva mai messo in dubbio la sua autorità, era una leggenda, là sotto, anche per via di Amelia.
Il Diavolo si divertiva a raccontare ai nuovi arrivati di come l’aveva fatta fuori.
Una morte lenta e crudele. Aveva lasciato che morisse dissanguata, non prima di infliggerle il dolore più grande: portarle via dalle braccia il suo secondogenito e lasciare il maggiore a guardare la scena della sua imminente morte in un mare di lacrime e disperazione.
Julian rideva, gli piaceva quando suo padre gli raccontava aneddoti inerenti alla sua fanciullezza e, soprattutto, si dimostrava fiero di lui.
- Non un pianto, non un gemito, quando ho ucciso sua madre. Il mio ragazzo si è dimostrato all’altezza del padre – diceva fiero agli “amici”.
Julian sentiva il petto gonfiarsi di orgoglio e felicità, quando il padre si vantava di lui.
Perché andarsene da un posto perfetto?
Aveva tutto, proprio tutto.
- Non è bella? – la voce mielosa di Max lo riportò alla realtà.
- Cosa? – chiese aspro, fissando gli assurdi jeans a zampa di elefante che il fratello indossava.
- Gaia. Non è bella? – rispose, guardando con aria sognante uno sgorbietto con un ciuffo di capelli rossi.
Julian non disse nulla.
Fissò la neonata e storse vistosamente la bocca.
Già i neonati facevano schifo, ma quella era la bambina più brutta che avesse mai visto in vita sua.
- Dovevi vestirti in modo diverso, così la spaventerai, non appena aprirà gli occhi e ti vedrà – Max, ancora una volta, interruppe i suoi pensieri.
Si girò verso il fratello e si accorse in quel momento dell’assurda camicia che indossava.
La moda che imperversava in quegli anni era veramente la più brutta che avesse mai visto.
Era ritornato molto lo stile “figli dei fiori”, ovvero “pace, amore e libertà”, appesantito però da orribili giacche stile bulldozer, dalle spalle prominenti che avrebbero reso grassa e goffa anche un’anoressica, camicie e maglie sformate lunghe fino ai ginocchi dai colori assurdi e adornate con quegli stupidi disegnini (di cui la camicia di Max era zeppa) di orsetti, valigette, cuoricini e qualsiasi altra cosa in stile cartone animato.
Un vero pugno nello stomaco per gli amanti del buon stile.
Fortunatamente c’era ancora lo stile “dark” a cui si poteva appellare, comunque, quella moda era e restava, in ogni caso, una gran merda!
Lui aveva scelto il secondo stile, per il suo ritorno sulla terra.
Pantalone attillato in pelle nere, chiodo e maglietta di cotone nero consumatissima.
- Perché dovrebbe guardare proprio me? – chiese un po’ stupito.
Max si scostò i riccioli biondi dagli occhi e lo fissò divertito – Saremo la prima cosa che vedrà, non appena aprirà gli occhi, visto che le siamo davanti. È bellissima, vero? – chiese un’altra volta.
Julian alzò le spalle e tornò a scrutare la bimba.
Aveva solo un ciuffo rosso di capelli sulla testa, la pelle era grinzosa e ancora arrossata. Faceva delle smorfie bruttissime con la bocca e aveva un braccetto fuori dalla copertina. La mano stretta in un pugno.
Arricciò il naso disgustato – Bè… “bella” è un parolone… mi vengono in mente una serie di aggettivi, ma no… decisamente no… bella non è presente! – rise, notando l’espressione contrariata del fratello – Ce ne andiamo Max? Hai visto e fatto quel che dovevi? – aggiunse ansioso.
Il fratello gli sorrise – Andiamo Jul, la mamma ti saluta e mi ha detto di dirti che ti vuole tanto bene e sa che non è colpa tua.
Julian si immobilizzò di colpo.
Un freddo polare gli congelò il sangue dalla testa ai piedi - Quella non è mia madre… - disse, incamminandosi a grandi passi verso l’uscita.
- Ciao Gaia a presto – mormorò Max, raggiungendolo di corsa.
Julian sbuffò per la miliardesima volta – Hai finito il tuo sopralluogo? Un giorno mi spiegherai perché ti ostini a tornare sulla terra e mi dirai qual è il tuo scopo! – borbottò.
- Lo sai che ogni tanto ho voglia di vederti, fratello! Per quanto riguarda il resto… bò… mi piace qui… - rispose evasivo – Cosa ne pensi di Gaia? – chiese poi con un largo sorriso.
- È un umana. È una neonata bruttissima e ha un nome che è un vero colpo al cuore – replicò lapidario.
- Jul non cambierai mai! Credo che i genitori non potevano darle nome migliore. Quella bimba stupenda porterà tantissima gioia e allegria nella vita di molti – disse, prima di scomparire dalla sua vista.
Julian rimase interdetto.
Era la prima volta che Maximilian scompariva prima di lui.
Si fermò di colpo e tornò sui suoi passi.
Riguardò attraverso i vetri la piccola neonata e rimase a contemplarla: era proprio bruttina.
La confrontò con gli altri neonati che non erano delle bellezze, però, tutto sommato, non erano proprio dei mostriciattoli.
Tornò a guardare Gaia curioso.
Nello stesso istante la bimba aprì gli occhi e lo fissò.
Proprio come aveva detto Maximilian scoppiò in un pianto a dirotto.
 
 
 
 ***
 
 
Ciao,
è la prima volta che scrivo in questo fandom e spero che la storia possa essere di vostro gradimento.
Bè... fatemelo sapere, se ne avete voglia.
Grazie MandyCri
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1
 
Settembre 1995
 
Max sentì un tonfo e un’imprecazione irripetibile e si fece il segno della croce.
Julian l’aveva appena raggiunto. Lineare!
Si diresse in salotto e, notando l’espressione inorridita del fratello, scoppiò a ridere.
- Ciao Jul, non vedevo l’ora di rivederti, mi sei mancato tanto in questi anni – disse, avvicinandosi e cercando di abbracciarlo.
Julian si scostò schifato – Si può sapere che razza di scherzo del cazzo è questo? – ringhiò, senza nemmeno degnarsi di salutarlo.
Max alzò le spalle e gli sorrise – Oggi è il nostro primo giorno nella nuova scuola. Andiamo alle elementari. Siamo appena venuti ad abitare qui, perché papà è stato trasferito per motivi di lavoro – annunciò fiero.
Il visetto da bimbo di Julian si trasformò in una smorfia orribile.
Divenne, di colpo, di un rosso accesissimo, le guance si gonfiarono e gli sbuffi sembravano uscire, perfino, dalle orecchie – Guardami Max! Sono un moccioso – gli abbaiò contro – Io non ci sto a questa pagliacciata! Perché sei tornato in questo maledetto posto e, soprattutto, perché in questo stato? Abbiamo sei anni, forse, cazzo! – domandò alterato, indicando orripilato il suo corpo da bambino.
- Parla per te! Io ne ho otto e andrò in terza elementare, oggi. Ci accompagna mamma – rispose con tranquillità.
Julian spalancò gli occhi neri e lo fissò truce – Mamma? – chiese guardingo.
Un velo di tristezza adombrò il cuore di Max – Non ti preoccupare, Jul. È solo un ologramma. La gente vedrà una donna che fa la spesa, porta avanti la casa, accompagna i figli a scuola. Conoscerà un padre che lavora sodo per la famiglia e che è costretto a fare lunghi viaggi, perché è una persona importante. Nella realtà saremo solo io e te. Questa è la tua cartella – terminò la spiegazione e tese al fratello, una cartella verde con la sagoma di “Raffaello” delle tartarughe Ninja.
- Stai scherzando vero? Io non voglio quella ridicola cartella, mi fa schifo! – protestò subito Julian.
- Lo sai vero che anche la tua voce ha sei anni? – gli chiese divertito.
- Perché Max? Perché mi stai facendo tutto questo? Sai che odio la terra e sono costretto a seguirti, ogni volta che ci torni tu, ma questo è veramente troppo! Lo sai che mi devo conformare a te, quando scendi. Cosa significa venire qui in veste di mocciosi da elementari? Torniamo a casa, ti prego!
- Mi preghi? Fa un certo effetto sentirti usare questa parola! – disse scherzoso – Non ti preoccupare Jul. Staremo qui solo per un breve periodo di tempo. Credo al massimo tre mesi.
- Tre mesi? Sei impazzito? – l’aggredì il fratello, arrabbiato come non l’aveva mai visto.
Max si sentì leggermente in colpa – Anche meno… forse… - mormorò – Dipende da… delle cose.
- Si può sapere che cazzo ti serve venire qui sulla terra? Qual è il tuo scopo? Se almeno me lo dicessi, ti aiuterei a trovare quello che cerchi, così almeno non rivedrei più la tua brutta faccia!
- Lo sai che eri carino a sei anni, Jul? – Max cercò di deviare il discorso, si era già lasciato scappare qualche parola di troppo.
Julian lo fissò esterrefatto – Fanculo, Max! – prese la cartella e si avviò deciso alla porta – Spero solo che tu abbia avuto la decenza di creare una madre che non sia ad immagine e somiglianza di quella vera. Non potrei reggerlo! – disse con cattiveria.
- Non ti preoccupare… so come la pensi. Non le assomiglia nemmeno un po’.
Prese il suo zaino e si avvicinò al fratello – Sono passati sei anni da quando non ci vediamo. Credevo di esserti mancato… - sussurrò.
- Max dimentichi sempre la cosa fondamentale: sono un demone! Quindi no. Mi dispiace, ma non nutro alcun sentimento per te. L’unica cosa che sento è che sei una grande scocciatura, tu e i tuoi viaggetti sulla terra.
Maximilian scrollò le spalle esasperato.
Molti angeli gli avevano sempre consigliato di lasciar perdere suo fratello.
Quasi tutti dicevano che “lui” era una causa persa e che non sarebbe mai cambiato.
Non aveva mai dato retta a nessuno e, nel corso dei secoli, aveva sempre cercato un contatto con Jul.
Aveva sperato che Julian gli si affezionasse.
Non ricordava nemmeno quante volte, aveva aspettato invano che Julian si materializzasse, di sua iniziativa, sulla terra solo per vederlo: non l’aveva mai fatto.
Potevano incontrarsi solo grazie ai loro cromosomi umani.
Potevano vedersi solo sulla terra, la via di mezzo tra paradiso e inferno.
Come a Max era negato l’accesso all’inferno per via della sua natura angelica, a Julian era negato quello del paradiso, perché era un demone.
In realtà, Julian avrebbe potuto fare ammenda, rinnegare ciò che era e trasformarsi in un angelo.
Dio, se il suo pentimento fosse stato autentico e sentito, gli avrebbe sicuramente concesso questo dono.
Quando suo padre gli aveva raccontato di Julian, Max era rimasto sconcertato.
Ancora ricordava l’emozione provata nel sapere di avere un fratello e la sua prima reazione era stata quella di conoscerlo.
Gabriele, però, aveva bloccato subito il suo entusiasmo. Prima di dargli modo di conoscere il sangue del suo sangue, aveva preferito spiegargli la storia dall’inizio.
Max era venuto quindi a conoscenza della verità e suo padre, con la pazienza di un Santo, aveva risposto a tutte le sue domande, poi, esaurite tutte le raccomandazioni, gli aveva spiegato come fare per incontrare questo fantomatico fratello “cattivo” a detta di tutti, “sfortunato” per Max.
- Se scendi sulla terra, lui sentirà il tuo richiamo e sarà costretto a raggiungerti –aveva detto Gabriele e così era stato.
Maximilian gli aveva anche chiesto se c’era la possibilità che Julian potesse andare con lui in paradiso.
Suo padre era stato molto cauto nella risposta, ma in ogni caso, gli aveva ancora una volta chiarito tutto.
Max aveva fantasticato molto su Julian, prima di incontrarlo.
Aveva creduto che suo fratello si sarebbe emozionato nel vederlo e che, scoperta la loro parentela, lo avrebbe portato a rinunciare subito a tutto e a seguirlo senza battere ciglio.
Era talmente curioso di vederlo che non aveva pensato ad altro per un sacco di tempo. Contava i giorni, le ore, i minuti e perfino i secondi.
Immaginava che gli somigliasse molto, essendo Max, la fotocopia della loro madre.
Julian aveva occupato i suoi pensieri in modo assoluto, pensieri, talvolta, poco felici. Max non riusciva a darsi pace, sapendo che il suo fratellino non era stato fortunato come lui.
Ingenuamente, aveva presupposto che Julian non sapesse nemmeno di avere un fratello maggiore.
La sorpresa, quando l’aveva visto per la prima volta, era stata davvero grande.
Al posto dei riccioli biondi che si era aspettato, c’erano lunghi capelli lisci e neri, gli occhi non era azzurri come aveva creduto, ma scuri come le tenebre e poi Julian era alto, magro e muscoloso e godeva di ottima salute, nulla a che fare con il ragazzino martoriato che si era aspettato.
Non aveva nessun graffio, nessuna cicatrice, nessun segno di tortura.
Stava bene, fin troppo bene e non sembrava per nulla sorpreso di incontrarlo, come se fosse al corrente da sempre, di avere un consanguineo.
La delusione che aveva provato era stata davvero enorme.
L’unica caratteristica che avevano in comune loro due, era il contorno argenteo degli occhi e la sfumatura, sempre argentea, delle ali.
Il loro primo incontro era stato un completo fiasco.
- Quindi tu saresti Max – aveva affermato con voce indifferente il fratello minore. Lo sconforto che aveva provato in quel momento, era ancora un ricordo nitido in Maximilian.
Lui non era al corrente nemmeno di avere un fratello, non conosceva il suo nome, mentre l’altro sapeva anche come si chiamava e non si era mai degnato di cercarlo!
Quella prima volta non aveva avuto il coraggio di chiedergli di redimersi e neppure la seconda e la terza, l’aveva fatto.
Gliel’aveva proposto dopo circa un secolo che lo faceva andare avanti indietro dagli inferi alla terra e il tutto, solo per vederlo: Julian gli aveva riso in faccia…
Max continuava a pensare che la vita di Julian fosse stata un vero inferno e, non solo nel senso letterale del termine, ma anche in quello figurato. Aveva provato più volte a fargli domande, a chiedergli di più del suo passato, ma non aveva mai ricevuto alcuna risposta, almeno finché non avevano affrontato l’argomento “Amelia”.
Lì aveva capito che, forse, Jul era diverso da lui.
Max era rimasto sconvolto dalla reazione di Julian, quando aveva detto in modo solenne che suo padre, il Diavolo, era un assassino, che aveva ucciso la loro madre a sangue freddo, cose vere dato che gliele avevano raccontate sia Gabriele che la stessa Amelia che, fortunatamente, era salita in cielo accanto a loro. Julian aveva riso ancora una volta. Una risata cattiva, senza alcuna gioia – Hai pianto come una femminuccia – l’aveva accusato, puntandogli contro il dito – Me l’ha raccontato mio padre! Il Diavolo in persona!
Max non gli aveva più domandato nulla.
Non aveva più chiesto se voleva raggiungerlo in paradiso, ma aveva continuato a cercarlo, andando sulla terra per poterlo incontrare.
Max era felice di vederlo, gli voleva bene e non solo per il loro vincolo di sangue.
Julian era la sua missione.
Dopo secoli, pensava ancora, nonostante tutti gli angeli del paradiso avessero provato a convincerlo del contrario e le continue delusioni che gli dava con i loro incontri, che Jul fosse solo schivo, infelice e tutto perché non aveva avuto un’infanzia facile e l’amore che meritava e Maximilian, quindi, era disposto a condividere tutto ciò che aveva per bene di suo fratello.
Max non aveva alcun ricordo di ciò che era successo, quando Satana aveva ucciso sua madre.
Sapeva solo che il colore rosso non gli piaceva, lo faceva star male.
Gabriele gli aveva raccontato che Lucifero aveva preso le sembianze del padre umano, dopo averlo barbaramente ucciso e aveva vissuto con Amelia, spacciandosi per quello che non era, per tutto il tempo che gli era stato necessario per avere anch’egli un discendente diretto.
Purtroppo Gabriele non era potuto intervenire. Essendo morto il suo corpo umano, non poteva più scendere sulla terra senza ali.
Il rischio che qualcuno lo vedesse era troppo elevato.
Max era solo un bambino di qualche mese, quando era accaduto il fatto e non si era reso conto di nulla.
Anche sua madre, una volta cresciuto, gli aveva confermato le parole di Gabriele. Era stata ingannata dal Diavolo che poi le aveva tolto la vita.
Quando era morta, Gabriele era sceso sulla terra e aveva portato Max con sé, nel regno dei cieli.
Avevano vissuto come una vera famiglia, anche se con le ali.
Amelia ancora non si perdonava il fatto che il suo secondogenito le fosse stato portato via e credeva che Julian la odiasse tanto, perché si sentiva abbandonato da lei.
Max questo non lo sapeva. Non aveva mai avuto il coraggio di chiederlo al fratello.
Julian lo metteva in soggezione per tutto ciò che concerneva la sfera dei sentimenti.
Erano uno l’opposto dell’altro.
Max adorava la luce e dove abitava ce n’era tantissima.
Guardava le albe e i tramonti ogni giorno. Giocava fino a non aver più fiato con gli altri piccoli angeli, bambini che sulla terra non erano stati fortunati ed erano approdati troppo presto nel regno di Dio.
Si era divertito come un pazzo a tuffarsi e a nuotare tra le nuvole con loro.
Aveva avuto un infanzia giocosa e rumorosa. Circondato da voci chiassose e allegre, risate, strilli di gioia e di eccitazione tipica dei fanciulli.
I silenzi e le preoccupazioni erano solo nelle stanze degli angeli grandi.
Solo che lui poi era cresciuto, mentre i suoi amichetti erano rimasti bambini, tuttavia non si era mai sentito solo. Mai.
Diventando grande, aveva capito che era un angelo diverso dagli altri.
Lui era un angelo “vivo”.
Aveva molte affinità con gli esseri umani e presto, nei suoi viaggi sulla terra, aveva scoperto di avere un dono particolare, unico e bellissimo.
- Perché io ho la cartella con lo stupido Ninja e tu hai lo zainetto dell’invicta? – la vocina stridula di Julian lo distrasse dai suoi pensieri.
Max scrollò le spalle – Perché io sono il fratello maggiore. Ho otto anni! – disse con orgoglio.
Si avvicinò a Julian e tentò di prenderlo per mano.
Il bimbo si scostò velocemente – Non ti allargare Max! – lo aggredì – Non mi fa piacere stare qui e ancora meno se fai lo sdolcinato con me.
Max guardò il fratello non riuscendo a nascondere la tristezza che, improvvisamente, si era fatta largo in lui.
 
***
 
Julian sbuffò.
Non solo era ritornato dopo sei anni sulla terra, ma ci era tornato come un marmocchio di sei anni!
Mancava solo un altro sei in quella giornata e sarebbe venuto fuori il numero del diavolo.
Forse era uno scherzo (di pessimo gusto) di suo padre!
Adesso si stava avviando a scuola con la sua finta madre e il suo caro fratellone angelo che teneva la mano ad un ologramma.
Ma che schifo! Quello lì sprizzava amore anche con cose senza vita.
Cosa aveva nel cervello? Segatura?
Lo irritava quel suo modo mieloso di vedere il mondo. Lo faceva andare in bestia quel sorriso cretino che compariva in quella faccia angelica, quando parlava alla gente. Chi si credeva di essere?
Julian era indifferente a tutto, tranne che a Max.
Ecco, Max lo faceva incazzare. Tanto, troppo.
Arrivarono a scuola in perfetto orario, vide la finta madre parlare con un vecchio, probabilmente il preside e poi anche con altre donna, una delle quali era anche carina.
Julian ispezionò bene il corpo formoso della femmina e sperò che fosse la sua maestra.
Stava per commentare, quando Max gli diede un pizzicotto sul braccio – Ricordati che hai sei anni! – lo redarguì il fratello.
L’insegnante formosa si avvicinò loro e prese per mano Maximilian – Ciao io sono Lorella e sono la tua nuova maestra.
Max annuì e la seguì scodinzolando.
Julian sbuffò nuovamente.
Era ovvio! Tutte le fortune a Maximilian… del resto era lui l’angelo!
Che cazzo!
Un’altra donna, alta e magrissima, si avvicinò a lui. Una racchia bella e buona.
Julian sospirò.
Tutto come da programma… a Max la bionda strafiga a lui la vecchia babbiona.
Possibile? Sperò con tutto il cuore che quella giornata finisse presto.
Cos’altro poteva capitargli? Nulla. Era matematicamente impossibile essere più sfigati di così.
Afferrò con riluttanza la mano decrepita che la vecchia gli porgeva e la seguì senza fare storie.
Prima entravano in classe e prima avrebbe avuto la possibilità di pulirsi la mano sul grembiule.
- Julian vieni qui vicino a me – gracchiò la sua nuova maestra – Bambini silenzio! Questo è Julian e sarà un vostro nuovo compagno di classe. Aiutatelo ad inserirsi nel gruppo e non lasciatelo solo, mi raccomando.
Julian trattenne a stento un ringhio.
Lui stava bene da solo!
Quanto tempo sarebbe dovuto stare in quel maledetto posto?
Dannato Maximilian! Gliel’avrebbe pagata. Poco, ma sicuro.
- Julian va a sederti vicino a Gaia, c’è un posto libero – e indicò un punto preciso.
Julian alzò gli occhi di scatto e fissò la bimba che la maestra gli stava indicando.
Non era possibile!
Avrebbe tolto le penne alle ali di Maximilian, una ad una, porco cazzo!
L’avrebbe reso un pollo, non un angelo di Dio!
Si sedette, sconfitto, vicino allo sgorbietto che sfoggiava delle ridicole trecce rosse spelacchiate e degli occhiali da vista di dubbio gusto: l’aveva detto lui che era un mostriciattolo! Si vedeva fin da quando era neonata.
- Ciao io sono Gaia – si presentò con tono gentile ed educato la bambina,
Julian si girò e la guardò di traverso – Julian, ma non fare sforzi. Non saremo mai amici. Tu non mi piaci nemmeno un po’ e, tantomeno, mi sei simpatica – affermò deciso.
Gli occhi verdi di Gaia assunsero una strana lucentezza, poi vide una lacrima uscire dall’occhio destro.
Si girò indifferente.
Perfetto! Oltre che sgorbio era anche una frignona.
 
 
La mattinata era trascorsa con una lentezza incredibile.
Ovviamente, non aveva fatto amicizia con nessuno. In realtà, i suoi nuovi compagni di scuola ci avevano provato, ma lui li aveva allontanati tutti, in maniera decisa.
L’avevano guardato come se fosse stato un marziano, ma Julian non si era certo impressionato.
Non gliene fregava proprio niente! Anzi, meglio così.
Durante l’intervallo, Max si era avvicinato, poi aveva visto Gaia da sola in un angolo e l’aveva raggiunta e, come se si conoscessero da una vita, si era messo a parlare con la bambina.
Sembrava si fossero simpatici, perché più di una volta, avevano riso, insieme, di gusto.
Aveva osservato la scenetta incuriosito, poi, quando Max l’aveva indicato, il viso di Gaia si era scurito, aveva assunto un’espressione triste e tutta l’allegria era sparita completamente da quel visino pieno di lentiggini.
Finalmente poteva andare a casa. Stava giusto raggiungendo l’uscita, dove c’era l’ologramma ad attendere lui e Max, come nella migliore delle famiglie, quando un coro di derisioni, attirò la sua attenzione.
- Quattrocchi! Quattrocchi! Quattrocchi!
- Sei brutta Gaia! Sai cosa dice mia madre? Rosso di capello, matto di cervello!
- Pel di carota! Pel di carota! Per di carota!
Un bambino più grosso la spintonò e la fece ruzzolare per terra, proprio in quel momento.
Gaia si rialzò orgogliosa.
Aveva gli occhi lucidi ed era evidente che si stava sforzando di non piangere per non darla vinta a quei ragazzini.
I loro sguardi si incrociarono e la bambina sembrò implorarlo tacitamente di aiutarla.
Julian fece finta di nulla. Abbassò il viso e continuò per la sua strada.
Fu Max a salvarla dalla banda di bambini che si era accanita contro Gaia.
Sentì il fratello maggiore arrivare, sgridare gli altri e chiederle come stava.
La coccolò e la scortò fino all’uscita dalla madre che l’aspettava.
Quando lo raggiunse, si avviarono taciturni verso casa – Potevi aiutarla – gli disse Max con tono di rimprovero, rompendo il silenzio.
Julian alzò le spalle – Sono un demone, non il buon samaritano. Non me ne frega niente dell’umana… – sussurrò, però, per la prima volta in vita sua, provò qualcosa di molto vicino ad un sentimento: si vergognò di se stesso.
 
***

Grazie per aver accolto la mia nuova storia così calorosamente.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Ciao e grazie a tutti
MandyCri
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 
Luglio 2005
 
Julian avvertì nitido il fremito alle ali e subito ne comprese il significato.
Maximilian lo stava cercando.
Si trovava nella stanza principale del castello di suo padre, quella dei grandi ricevimenti di sangue.
Si guardò intorno per capire se qualcuno lo stesse osservando e, quando constatò che la sala era deserta, si massaggiò la schiena proprio nel punto dove nascevano le ali.
Non avrebbe potuto sopportare un’altra volta tutta quella sofferenza.
Cinque anni prima Max si era recato sulla terra.
L’istinto di raggiungerlo era stato grande, come sempre del resto, ma quella volta Julian si era opposto con tutte le sue forze.
Si era recato nella sua stanza e si era legato al letto con le catene che aveva preparato in previsione di quell’avvenimento.
Non voleva tornare sulla terra, non voleva più rivedere l’angelico Max e, soprattutto, non voleva più sentirsi scombussolato come l’ultima volta che era stato nel mondo degli umani.
Il ricordo di quella bambinetta dai capelli rossi spelacchiati era ancora nitido.
Mai più!
Non sopportava suo fratello e non capiva perché quel ragazzo continuasse a cercarlo.
Aveva sofferto come mai in vita sua.
Si era negato al richiamo del sangue con tutta la forza di volontà di cui era capace e il suo corpo era stato martoriato per questo.
Aveva perso tantissimo sangue, le ossa gli si erano rotte e le ali si erano spezzate in vari punti.
Per tornare a volare ci aveva impiegato mesi, nonostante i demoni guarissero velocemente.
Il dolore era stato insopportabile, era durato ore e ore, poi grazie a Dio, Max aveva rinunciato ed era ritornato nel regno dei cieli, la sofferenza se ne era andata molto lentamente, ma Julian aveva stretto i denti e quando era cessata del tutto, aveva urlato per la grande vittoria ottenuta.
Aveva avvertito il fratello scendere sulla terra diverse volte negli ultimi cinque anni, ma le visite dovevano essere state molto brevi, una toccata e fuga, come se Max volesse solo controllare qualcosa e poi far subito ritorno a casa, perché non aveva più sentito quel male persistente, ma solo un lieve pizzicorino alle ali, niente di più.
Questa volta, invece, Max era tornato sulla terra per restarci chissà quanto tempo, a quanto sembrava. Il dolore cominciava ad intensificarsi.
Quando si erano reincarnati nel corpo di bambini, avevano vissuto sulla terra per più di tre mesi.
Era stato Julian a dire basta, dopo quel che era successo con la piccola Gaia che, stranamente, era diventata sua compagna di giochi e confidente.
Per meglio dire, Gaia giocava e si confidava con lui. Julian si limitava ad ascoltare.
Quella piccola peste gli era indifferente, come tutto ovviamente, ma l’ultima volta che si erano visti, Julian si era reso conto che stava cominciando a starci male ed era corso subito ai ripari. Aveva minacciato Maximilian e gli aveva detto che se non ritornavano subito ognuno ai proprio mondi, per qualche umano sarebbe finita male, così, finalmente, Max aveva acconsentito e ognuno era tornato dalla propria famiglia.
Attraversò la grande sala, scacciando quei brutti pensieri e si diresse verso la sua stanza per prepararsi ad una nuova resistenza al fratello di sangue.
Gli schiavi avevano appena finito di tirarla a lucido, dopo il grande banchetto della sera precedente.
Suo padre aveva festeggiato la tortura di due anime fuggiasche.
Il gran finale era stato il momento in cui le aveva giustiziate (per modo di dire) davanti ai suoi fedelissimi e poi era cominciata la festa vera propria con il sontuoso cenone, i balli scatenati e il sesso sfrenato.
I traditori li aveva trovati Julian stesso nella valle dei dannati e li aveva ricondotti fiero dal padre.
Il bello dell’inferno era che il dolore e la sofferenza non ti lasciavano: tutto era proprio come nel mondo degli umani.
L’anima lasciava il corpo fisico sulla terra, una volta morto il peccatore e si materializzava negli inferi nello stesso corpo che aveva abbandonato nel regno dei vivi.
Era questa la trovata eccezionale di suo padre per divertirsi.
Ridare il loro corpo alle anime dannate, in modo che potessero soffrire fisicamente, potessero morire ancora e ancora, per poi materializzarsi nuovamente all’inferno, sempre nei loro corpi distrutti e sanguinanti.
Se perdevi una braccio negli inferi, saresti rimasto senza un braccio, se diventavi cieco, lo saresti stato per l’eternità.
Pochi erano i “miracolati” da Lucifero. Pochi entravano nelle sue grazie, pochi ricevevano il premio della “vera” vita eterna ed erano quelli che venivano trasformati in demoni.
Suo padre aveva convertito le anime che gli erano state fedeli nel corso dei secoli e che si erano dimostrate crudeli, adesso vantava un nutrito gruppo di seguaci alla sua mercé.
Ovviamente questi demoni erano dei privilegiati che potevano vantarsi di essere vicini al Diavolo in persona, perché, con il tempo, erano riusciti a conquistare la fiducia del loro Re.
Abitavano in case ricche, avevano schiavi alle loro dipendenze, potere e ricchezze di ogni genere, vivevano nel lusso più sfrenato.
Gli altri abitanti che popolavano gli inferi, invece, vivevano proprio come sulla terra.
I poveri in villaggi e quelli di rango medio nelle cittadine.
Le casupole dei primi erano orrende e maleodoranti.
Lì, vigeva la legge del più forte.
All’inferno si faceva strada solo chi era più furbo, cattivo e spietato.
Chi ci sapeva fare, andava avanti e poteva entrare dentro le cinta delle città vere e proprie.
Chi scappava, per non si sa dove, veniva braccato e punito davanti a tutti, nella grande sala, se suo padre era di buon umore e decideva dovesse essere puro divertimento solo per i demoni oppure, se non lo era, nella piazza principale, come segnale di monito, giusto per far capire a tutti che dall’inferno non si poteva fuggire.
Le punizioni erano macabre e raramente il corpo del mal capitato restava tutto intero.
Per cui, in molti villaggi, si vedevano brandelli di uomini costretti a vivere in quelle condizioni, per un lasso di tempo che dipendeva dalla loro salute fisica, per poi morire e ritornare ad nascere negli inferi in quelle stesse condizioni, per sempre, per l’eternità. Era un circolo vizioso: non un inizio, non una fine. Tutto si ripeteva nel peggiore dei modi per chi non seguiva le regole del Diavolo.
Nessuno aiutava nessuno.
Nessuno aveva pietà di nessuno.
In quel contesto Julian era il cacciatore perfetto e feroce.
Vantava più trofei di chiunque altro. Nessuno era al suo livello.
La sua arma vincente era conoscere la valle dei dannati come le sue tasche.
Pochi avevano il coraggio di entrarci. Era un po’ come il bosco di Robin Hood: sembrava che quella stupida vallata fosse maledetta.
Tutte le anime e tutti i demoni superiori la evitavano come la peste eppure, chi cercava di sfuggire dagli inferi, si dirigeva sempre lì, come se alla fine di quel deserto di rocce, lava e fuoco ci fosse un riparo o un’uscita che consentiva loro di andare da un’altra parte, magari in paradiso.
Poveri illusi!
La vallata non portava da nessuna parte.
L’inferno era un cerchio. Si girava sempre in tondo e alla fine ci si ritrovava al punto di partenza, facile preda delle guardie, soprattutto se si era un fuggiasco.
In ogni caso, le anime pentite non facevano due volte lo stesso errore, dopo il trattamento che suo padre riservava loro, anche perché, spesso, morivano poco dopo la punizione.
Iniziava così il peggiore degli inferni: si reincarnavano per poi morire nuovamente: una condanna infinita.
In genere erano solo i novellini che provavano a fuggire, quelli che non avevano ancora capito come funzionava.
Volevi mangiare? Dovevi rubare.
Volevi una donna? Dovevi prendertela.
Volevi “vivere”? Dovevi ammazzare.
Il dolore alle ali si fece più intenso, questa volta Maximilian non era di passaggio sulla terra.
Arrivò a fatica nel corridoio che portava alla sua stanza.
Le gambe cominciarono a cedere, indebolite dal richiamo dell’angelo.
Stava per aprire la porta, quando suo padre lo fermò.
Gli mise una mano sulla spalla e lo bloccò con potenza – Hai intenzione di non andare nemmeno questa volta dall’angelo? – gli chiese con il suo solito tono grave e imperioso.
Non usava mai la parola “fratello”, per suo padre era come un insulto alla carne della sua carne.
Lo chiamava “angelo”, “bambolotto biondo”, “femminuccia” e tanti altri appellativi dispregiativi.
Julian digrignò i denti per soffocare una fitta di dolore e annuì – Non voglio che abbia questo potere su di me. Ho pensato di tutto per sbarazzarmi del nostro legame. Ho pensato anche al suicidio. Se muoio sulla terra, non posso più tornarci in forma umana, ma solo come demone – ringhiò.
- Figlio! Non fare una sciocchezza del genere. Se tu lo facessi, non torneresti a me come mio erede, ma come anima suicida, non avresti più queste meravigliose ali da demone, ma saresti uno dei tanti spiriti che affollano uno squallido villaggio. Io voglio che tu sia sempre al mio fianco.
Julian soffocò la rabbia – Padre, così continuerò ad essere legato a lui. Devo dimostrargli che sono più forte. Non mi fa paura il dolore. Sono sangue del tuo sangue e qualche ferita non mi spaventa. Guarisco in fretta.
Il Diavolo lo prese per le spalle e lo girò per guardarlo in faccia. Era bello suo padre. Forse si assomigliavano o forse aveva scelto quella fisicità proprio per farlo sentire suo figlio. Aveva gli occhi neri e i capelli lunghi fino alla schiena. Julian non sapeva se fosse davvero il suo vero volto. – C’è un altro modo per sbarazzarti di lui. Tu non hai nessun interesse ad andare sulla terra, lui a quanto pare sì e secondo me, questo interesse sei tu. Spezza il tuo legame: uccidilo! Non soffrire adesso, accetta l’appello dell’angelo e rendimi orgoglioso di te.
Julian fissò il padre.
Si rese conto di avere la bocca aperta troppo tardi.
Si diede un contegno e annuì gravemente.
Lui non voleva uccidere Maximilian. Non gli voleva bene, ma nemmeno male: gli era indifferente.
Era pur sempre suo fratello, come Lucifero suo padre e mai e poi mai avrebbe fatto qualcosa contro un suo consanguineo.
Avrebbe trovato un’altra soluzione. Avrebbe parlato con Max e spiegato che non era il caso di fermarsi a lungo sulla terra.
Lui avrebbe capito, in fin dei conti, era un angelo, era buono di natura e sapendo che i suoi continui giretti sulla terra gli provocavano un dolore atroce, non l’avrebbe più fatto.
Ne era certo.
Salutò il padre ed entrò nella sua camera, sospirò a fondo, chiuse gli occhi e raggiunse Maximilian.
Quando li riaprì, si ritrovò nuovamente nella stessa stanza che aveva lasciato dieci anni prima.
Julian soffiò una bestemmia: l’avrebbe ucciso, poco ma sicuro!
 
***
 
- Cosa ci facciamo ancora qui?
Gaia fissò Carlotta ed alzò le spalle – Niente, prendiamo solo un po’ di aria fresca.
- Aria fresca? Ma che scherzi? Siamo a luglio, sono le cinque del pomeriggio e fa un caldo bestia! – protestò l’amica – Lo vuoi capire che gli stranieri non torneranno più e non vedrai mai più il tuo bel principe azzurro?
Gaia sollevò le gambe e mise i piedi sulla panchina, poi le circondò con le braccia e appoggiò la fronte sulle ginocchia.
- Non ci vengo per lui – sussurrò.
Carlotta sbuffò – Santo cielo Gaia. Sono passati dieci anni ed eri solo una bambina. Come puoi essere legata ancora a quel ricordo? Tu sei malata!
- Senti, mi farebbe piacere che ritornasse qui. In fin dei conti la villa non è mai stata venduta e non ci è mai andato a vivere nessun altro! E poi non sto aspettando il mio principe azzurro! Eravamo amici e mi ha aiutata in diverse occasioni… che male c’è se ci penso ancora? È un ricordo positivo che ho della mia infanzia. Mi fa star bene venire qui. Tra l’altro… era un bambino bellissimo e sarei curiosa di vedere come è diventato! Magari piacerebbe anche a te che hai avuto la sfortuna di arrivare solo quando se ne era già andato.
Alzò lo sguardo sull’amica per vedere la sua reazione.
Carlotta sollevò entrambe le sopracciglia – Non so cosa dire, davvero, se non che sei pazza Gaia! Anche se torna, credi davvero che ti riconosca, che si ricordi di te? Da ciò che mi hai raccontato, non ti ha nemmeno salutata, forse, tutta questa grande amicizia era solo da parte tua o, forse, con il tempo, hai travisato alcune cose. Non credo che tu sia bugiarda, intendiamoci, ma a sei anni cosa volevi capire?
Gaia sbuffò.
Forse Carlotta aveva ragione.
La costringeva ogni giorno a sedersi su quella panchina, perché era il punto strategico in cui si poteva controllare la villa e perché era il punto di mezzo tra le loro case.
Si trovavano sempre lì.
Ricordò come l’aveva conosciuto e si emozionò ancora una volta.
Carlotta la prendeva in giro perché, quando si parlava di Max, lei perdeva completamente il contatto con la realtà, proprio lei che, di solito, era un maschiaccio allegro e spensierato, diventava tutto di colpo tenera e romantica, proprio Gaia che di romantico aveva ben poco.
Però Maximilian l’aveva salvata da quella banda di bulli che l’avevano infastidita da sempre, almeno finché non era intervenuto lui in sua difesa, proprio il giorno in cui l’aveva visto la prima volta.
Non l’avevano più presa in giro da quell’intervento divino.
Gaia si era chiesta spesso cosa avesse fatto Max a quei bambini cattivi, crescendo, aveva addirittura pensato che li avesse picchiati, cosa che le sembrava alquanto impossibile, vista la natura mite e buona di quel bambino dagli occhi azzurri e dai riccioli biondi.
Sembrava proprio un angelo, proprio il contrario di Julian, il fratello.
Tutto sommato, con il passare del tempo, Gaia si era resa conto che, alla fine, aveva giocato e parlato più con il piccolo Julian che con Max, tuttavia, quest’ultimo era un sogno ad occhi aperti per lei.
Non solo la trattava sempre come una principessa, ma le sorrideva, si dimostrava gentile e generoso. L’opposto di Julian.
Quest’ultimo sbuffava ogni volta che si parlavano, soprattutto quando si confidava con lui, la contraddiceva sempre e non era per niente gentile, al contrario.
Julian aveva fatto amicizia anche con i bambini cattivi, si divertiva a stuzzicarla e, quando lei gli diceva che non sarebbe stata più sua amica se continuava a frequentarli, Julian le rispondeva serio e solenne – Io non sono amico di nessuno.
Sorrise pensando all’ultima volta che aveva visto il bambino.
Gli aveva consegnato un bigliettino d’amore per il fratello.
Julian l’aveva letto e poi aveva spalancato i grandi occhi neri – Davvero vuoi dare questa roba amorosa a Max? – le aveva chiesto schifato.
Gaia gli aveva messo il muso – Glielo darai tu per me e poi, io e Max ci fidanzeremo.
Lui l’aveva guardata come fosse una marziana e poi aveva alzato le spalle indifferente – Come vuoi tu! – si era messo il bigliettino in tasca e si era alzato, proprio da quella panchina in cui era seduta adesso con Carlotta, l’aveva salutata con la manina e, per la prima volta da quando lo conosceva, le aveva sorriso, un sorriso triste che a Gaia era rimasto impresso, poi erano spariti.
Il giorno dopo aveva aspettato Julian ansiosa, era certa che le avrebbe portato un bigliettino, bello come il suo e con un sacco di cuori, da parte di Max, ma Julian non era mai arrivato, non l’aveva più visto.
Era corsa a casa delusa e si era fatta accompagnare da sua madre davanti alla villa dei due fratellini che, ovviamente, avevano trovato chiusa.
Da quel giorno, Gaia era sempre ritornata alla panchina, con la speranza di vedere arrivare Julian con un messaggio di Max per lei.
- Sei ancora con me? – Carlotta le stava passando la mano davanti al viso, come per destarla da quel sogno ad occhi aperti.
- Sì – sussurrò, poi però il passato ritornò a farla da padrone.
Ripensò nuovamente al giorno in cui aveva chiesto aiuto a Julian per conquistare il bellissimo Maximilian.
- Ogni bambina spera di trovare il suo principe azzurro – gli aveva confidato.
Julian l’aveva guardata scocciato – Perché proprio Max? Chi te lo dice che sia un principe azzurro? – le aveva chiesto curioso.
- Ha gli occhi azzurri e i capelli biondi, come tutti i principi delle favole! – aveva risposto convinta – Tu non potrai mai esserlo, perché hai gli occhi e i capelli neri! E poi Maximilian è buono e gentile, tu sei cattivo. Non potrai mai essere il sogno di una bambina.
- Questo discorso regge! – le aveva detto annuendo gravemente e dandole incredibilmente ragione.
Gaia sorrise a quel ricordo.
Non ci aveva mai fatto caso, ma Julian non parlava come un bambino. Usava termini da adulti.
Stava per raccontarlo, forse per la miliardesima volta a Carlotta, quando si accorse che qualcuno stava alzando una persiana nella casa di Max e Julian, quasi le venne un colpo.
Corse come una pazza davanti alla villa, non curandosi delle urla di Carlotta che le chiedeva cosa fosse successo e suonò il campanello ansiosa.
Era tornato! Max era di nuovo da lei.
Saltellò all’ingresso e premette di nuovo, perché nessuno andava ad aprirle.
- Oh! Cos’è tutta questa fretta? Sto arrivando, un attimo! – brontolò una voce profonda e decisamente maschile.
Quando la porta si aprì Gaia rimase interdetta, davanti al ragazzo alto e magro che le si era parato davanti.
Lo fissò sbalordita – J..Ju..Julian? – chiese con la gola secca, non credendo ai suoi occhi.
Porca miseria e chi l’avrebbe mai detto che sarebbe diventato così?
- Gaia! – esclamò l’altro con il muso – Max non è in casa! – e le chiuse la porta in faccia, senza aggiungere altro.
Gaia strinse i pugni di entrambi le mani.
Non era possibile, non era cambiato proprio per niente quello stronzo!
Grugnì e riprese a suonare il campanello come una pazza.


 
*****

Ciao e grazie per aver accolto questa storia così.
Sono molto felice.
Se vi piace il soprannaturale e vi va di leggere la "triologia" che ho pubblicato ai miei esordi su EFP questo è il link della prima storia
Il legame del sangue. La maledizione del sangue e della luce
Se vi va di iscrivervi al gruppo che ho creato cliccate qui L'amore non è bello se non è litigarello
Spero questo capitolo vi piaccia, la prima entrata in scena di Gaia.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi fa piacere.
Grazie ciao
MandyCri

 
 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ciao e grazie a coloro che seguono questa storia.
Spero sinceramente che anche questo capitolo Vi possa piacere.
Siamo ancora a luglio del 2005.
Ringrazio chi mi segue, ricorda e preferisce.
Grazie a chi recensisce.
Buona lettura.
Besos MandyCri


PS: L'amore non è bello se non è litigarello
 
°*°*°



CAPITOLO 3
 
Luglio 2005
 
Maximilian arrivò a casa fischiettando.
Era andato a fare la spesa, giusto per abituare Julian a comportarsi nuovamente come un umano.
La prima cosa che sentì furono le grida che provenivano dalla sua abitazione.
La porta era aperta e la cosa lo spaventò molto.
Accelerò il passo e si fiondò in casa preoccupato.
Una ragazza con lunghi capelli castani se ne stava in disparte ad osservare la scena orribile di Julian e Gaia che litigavano come pazzi.
La ragazza si girò verso di lui e gli sorrise, spalancò i grandi occhi scuri – Tu sei Maximilian? – chiese, porgendogli la mano – Piacere, io sono Carlotta. Ero ansiosa di conoscerti – si presentò.
- Piacere, Max – disse, spostando lo sguardo da Carlotta ai due folli che continuavano ad insultarsi in tutti i modi possibili – Cosa sta succedendo?
La ragazza fece spallucce – Tuo fratello le ha sbattuto la porta in faccia.
Max scrollò le spalle – Dovrò ricominciare da capo… - mormorò tra sé e sé.
- Scusa? – Carlotta gli si avvicinò.
- Niente, stavo solo pensando ad alta voce. Cosa possiamo fare per separarli?
La ragazzina sorrise – E perché dovremmo separarli? È così divertente vederli litigare!
- Non sta bene! È da anni che non si vedono e guarda cosa sta succedendo, dovrebbe essere stata una gioia ricontrarsi! – esclamò.
- Ci penso io, allora. Mi è venuta un’idea – disse, spingendolo in avanti – Ehi! Gaia? Guarda chi c’è qui! – urlò, sovrastando le voci chiassose dei due litiganti.
Gaia si zittì all’improvviso, si girò verso di loro e il suo viso corrucciato, si distese, lasciando il cipiglio e illuminandosi in un caloroso sorriso – Maximilian! – abbandonò immediatamente Julian e corse verso di lui.
Gli saltò addosso e lo abbracciò stretto, stretto – Oh Max! Quanto mi sei mancato… – sospirò.
Avvertì nitido il rossore riscaldare le sue guance e imbarazzato, lanciò uno sguardo al fratello che lo stava fissando impassibile.
- Fortuna che sei arrivato Maximilian, non ne potevo più di questa cozza – disse Julian, prima di sparire su per le scale.
- Uhm… socievole il tuo fratellino – esordì Carlotta ironica.
- Te l’avevo detto che era uno stronzo – intervenne Gaia, poi si rivolse a Max – Non so proprio come sia possibile che siate fratelli. Non avete proprio nulla in comune – affermò, continuando ad abbracciarlo, come per paura che potesse scomparire da un momento all’altro.
- Bene Gaia, possiamo andare, adesso? – chiese Carlotta.
Max si sentì sempre più caldo e impacciato.
Gaia non era più una bambina, anche se il suo corpo era ancora acerbo, era diventata una signorina e quella manifestazione d’affetto lo imbarazzava davvero tanto.
- Vi offro qualcosa? – domandò per riuscire a staccare la ragazza dal suo petto – Accomodatevi – indicò il divano e, quando, finalmente, fu libero, si diresse verso la cucina con le borse della spesa che aveva lasciato nel corridoio.
Appoggiò i sacchetti sopra il tavolo, prese quattro bicchieri dalla vetrinetta e li mise su un vassoio, poi aprì una bottiglia di coca-cola.
Avvolse con le mani la plastica e la fece raffreddare in qualche secondo, stando ben attendo a non essere visto.
Quindi portò il tutto in salotto.
Gaia stava parlando fitto, fitto con Carlotta.
Era cresciuta.
I rossi capelli ricci le coprivano tutta la schiena, il viso, dalla pelle chiarissima, era tempestato di lentiggini e gli occhi verdi risaltavano come due fanali nella notte.
Era diventata proprio bella.
Non era altissima, ma nemmeno bassa e la corporatura era nella media. Né grassa, né magra.
I fianchi erano morbidi e un po’ burrosi e il seno non troppo accennato.
Un’adolescente in piena regola.
Carlotta, al contrario, era più formosa, più alta, più donna.
I capelli le arrivavano alle spalle e gli occhi scuri risaltavano sul bel viso abbronzatissimo.
- Julian? Scendi! – urlò.
Sentì il fratello imprecare e poi dei passi.
Per lo meno li stava raggiungendo, nonostante le proteste.
Il fratello arrivò con un muso lungo fino ai piedi e poi, senza preoccuparsi degli altri, si lanciò sul divano, piombando quasi sopra Gaia.
- Ehi! Sta attento, non ti potevi sedere da un’altra parte? – lo riprese, ringhiando.
- Il divano è mio, se non vuoi starmi vicino, spostati tu! – replicò suo fratello.
Ovviamente, i due ripresero a litigare e Max alzò gli occhi al cielo incapace di farli smettere.
Fu Carlotta a porre fine alla discussione. Sbatté i pugni sul tavolino – Adesso basta! – urlò – Ci avete proprio rotto voi due!
Julian e Gaia si girarono nella stesso momento verso la ragazza e, finalmente, si azzittirono.
Carlotta gli fece l’occhiolino – Bene! – esclamò – Finalmente un po’ di calma.
Max scoppiò a ridere – Hai già conosciuto Jul? – le chiese, sospettando che i due non si fossero ancora presentati.
La ragazza negò con il viso – Era troppo impegnato a litigare con Gaia – confermò, poi si avvicinò al fratello e gli allungò la mano – Ciao io sono Carlotta, la migliore amica di Gaia.
Julian non si spostò di un centimetro, fece finta che la ragazza fosse invisibile – Ci mancava solo l’amica adesso… - borbottò, senza degnarsi di stringerle la mano.
Maximilian alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta.
Il “non” ritornare sulla terra per tutto quel tempo, non aveva giovato alle buone maniere di Julian.
Avrebbe dovuto ricominciare da capo!
Sbuffò, ci mancava solo questo!
Fissò Gaia che sedeva impacciata vicino a Julian completamente rossa in viso e, ogni volta che sfiorava il fratello, sbuffava e arrossiva ancora di più.
- Ho sentito parlare di te, moltissimo – fortunatamente, Carlotta interruppe il silenzio che era calato nella stanza.
- Bè… - si giustificò – Eravamo solo dei bambini quando ci siamo conosciuti noi tre e credo di aver protetto Gaia da dei ragazzini cattivelli.
- Max! Cosa dici? Mi hai salvato la vita! – disse con enfasi Gaia.
Julian scoppiò a ridere – Che scena ridicola! Forse hai un tantino ingigantito la cosa… ti stavano solo dicendo “quattr’occhi” e, forse, ti hanno dato un misero spintone! La stai facendo più grande di quello che è stato in realtà.
- Tu stai zitto! Fosse stato per te, mi avresti lasciata lì, sola e impaurita!
- Dai Gaia! Avevi solo sei anni – protestò lui.
- Sai cosa vuol dire crescere con dei complessi? I bambini possono essere cattivi se ci si mettono.
- Se lo dici tu… - Julian le lanciò un’occhiata che poteva sembrare indifferente, ma Max sapeva che non era così.
Lui era un angelo, aveva guardato nello specchio del tempo, una volta ritornato in paradiso.
Aveva studiato ed esaminato tutti i mesi che avevano trascorso sulla terra e aveva visto l’amicizia che era nata tra Gaia e Julian.
Sapeva il motivo per cui il fratello aveva insistito per tornare a casa sua, come sapeva che la piccola Gaia si era innamorata dell’eroe senza macchia.
Aveva visto il momento in cui lei aveva dato al fratello il bigliettino d’amore, quello che Julian non gli aveva mai dato.
Si era sempre chiesto perché quei bambini non avevano più dato fastidio a Gaia, non poteva essere dovuto al fatto che un ragazzino poco più grande di loro li avesse sgridati.
L’aveva appreso dallo specchio del tempo cosa era successo davvero quel giorno e il motivo per cui quei bambini non avevano più dato fastidio a Gaia…
- Andiamo all’Inferno questa sera?
Max sputò la coca-cola e cominciò a tossire, perché le era andata di traverso.
Si girò con gli occhi spalancati verso la persona che aveva fatto quella domanda assurda.
Carlotta si agitò sulla poltrona.
La ragazza sostò gli occhi compulsivamente da lui a Julian e per finire a Gaia – Ehi! Perché mi guardate così? È un locale dove si balla, una discoteca, insomma!
- Sei un bel tipino, Carlotta. Io ci sto! – disse Julian con gli occhi fiammeggianti – Questa discoteca, mi ispira tantissimo! Dimmi un po’… si fa anche sesso, lì?
Max si portò una mano sulla fronte: era tutto da rifare!
 
***
 
- Sei impazzita? – Gaia aggredì l’amica non appena uscirono da casa dei due redivivi fratelli – Ti ha dato di volta il cervello, per caso?
Carlotta sbuffò – Dovresti ringraziarmi G.! Ti ho servito l’occasione per conquistare Max, su un piatto d’argento. Uff… non fare quella faccia, adesso!
- Ma stai ascoltando quello che dici? Li hai invitati all’Inferno! All’Inferno… oh Dio Carlotta, adesso Max penserà che siamo delle ragazze facili, che IO sia una ragazza facile. Cosa ti è venuto in mente? – chiese disperata.
- Oh… quanto la fai lunga. Abbiamo sempre desiderato andarci, ma non l’abbiamo mai fatto, perché non avevamo il coraggio di varcare l’entrata da sole. Adesso ci sono due bellissimi ragazzi che ci possono accompagnare, guardala dal lato positivo: ci hanno detto di sì!
Gaia incrociò le braccia al seno e la guardò spazientita – Tu hai sempre voluto andarci, non io! E Julian ha detto di sì, non Max. Hai visto che faccia ha fatto quando hai pronunciato il nome del locale? – gridò spazientita – Quel posto è da… da… Cielo! Non so nemmeno come definirlo. Gira droga, i ragazzi bevono, sfogano i loro istinti in ogni angolo e … e… e i nostri genitori non ci daranno mai il permesso. Come faremo? Farò la figura della poppante con Max e tutto per colpa tua – finì, puntando il dito contro l’amica.
- Come farai? C’è qualcuno qui con me? Bugie, Gaia e il problema è risolto! – gli suggerì l’amica con un sorriso?
- Bugie? – chiese incredula.
- Si G., bugie, bugie, BUGIE… B U G I E! Tutti gli adolescenti le dicono ai genitori. Vedrai che ci divertiremo – cercò di tranquillizzarla, facendola, invece, sprofondare nel terrore più puro.
- E poi… io voglio uscire con Julian! – affermò decisa l’amica.
Gaia la fissò a bocca aperta – Ti piace quello stronzo, cafone, maleducato? – balbettò.
- Ma G. l’hai visto? Oh Dio! È… è… è… super! Ha due occhi strabilianti e quei capelli lunghi e neri? Se non ti basta quello che ho appena detto, vuoi che parliamo del fisico che si ritrova? Oh per carità, Max è bello, bellissimo, ma Julian ha qualcosa di proibito. È affascinante! Ma l’hai visto? – ripeté estasiata Carlotta.
L’aveva visto, sì!
Come aveva notato anche Maximilian.
Nemmeno nei suoi sogni più belli, avrebbe mai immaginato che diventasse così.
Max era davvero bellissimo, sembrava un angelo caduto dal cielo con quei boccoli biondi e quegli occhi azzurri, per non parlare poi di quel contorno argenteo che gli circondava le iridi.
Ed era gentile, educato, carino nei modi fare, non come quello sbruffone di Julian.
- Siamo proprio fortunate ad avere gusti diversi. Io ti avverto, questa sera starò incollata a Julian come la colla! Non ti rompe, vero?
Gaia si morse il labbro – Figurati! Fa pure… io non voglio avere nulla a che fare con quello lì. È un idiota!
- Perfetto! – annuì l’amica – E comunque è stupendo!
- Cretino – ringhiò.
- Tenebroso.
- Maleducato.
- Affascinante.
- Cattivo.
- Misterioso.
- Imbecille.
- Ohhh! Se non sapessi del tuo debole storico per Max, le tue parole mi porterebbero a credere che, in fin dei conti, era Julian che stavi aspettando e non Maximilian! Ci sentiamo dopo per decidere come vestirci – tagliò corto, facendole l’occhiolino, poi si mise a correre dalla parte opposta alla sua per dirigersi verso casa, senza darle il tempo di controbattere.
Gaia si strinse nelle spalle, un po’ risentita.
Accidenti a Carlotta e alle sue stupide teorie. Che ne sapeva lei?
Era fin da quando era una bambina che nel suo cuore esisteva solo Max e va bè, ok! Forse era solo una fissazione, ma adesso che l’aveva rivisto e anche le sue prospettive più rosee erano state esaudite, non se lo sarebbe fatto scappare un’altra volta!
Come si sarebbe vestita?
Boh! Non lo sapeva e non aveva nessuna idea.
Cosa ci trovava Carlotta in Julian?
E perché stava pensando a lui?
Scrollò la testa infastidita e si diresse anche lei verso casa sua.
Arrivò alla porta di casa e Julian stava ancora facendola da padrone nella sua mente.
Doveva ammettere che un po’ ci era rimasta male che l’avesse accolta così, quando erano piccoli erano grandi amici, almeno così ricordava.
Julian era il suo migliore amico. Aveva confidato solo a lui il suo amore per Max e solo a lui aveva chiesto aiuto.
Gaia sbuffò, ok era solo una bambina, aveva ingigantito le cose, proprio come diceva Julian e, sinceramente, c’erano stati altri ragazzi che le erano piaciuti e alcuni che ancora le facevano battere il cuore, insomma, aveva sedici anni, era una cosa normalissima, ma Max, bè Max era speciale per lei.
Era stato il primo maschietto a non deriderla, era stato il primo ad essere gentile con lei.
Però, c’era un però… Julian era stato il suo primo amico e le dava un po’ fastidio sapere che lui non la considerasse nemmeno e, ancora di più, che fosse carino proprio con la sua migliore amica.
Non era gelosa.
Insomma non trovava giusto che colui che le aveva promesso di aiutarla a conquistare Max, adesso facesse il galletto con Carlotta.
Lei voleva solo riavere quello che aveva perso: il suo amico e anche l’amore di Max, se fosse stato possibile.
Non era gelosa! No! Non lo era.
Sì. Lo era.
Appurato questo, Gaia si scostò un riccio ribelle dalla fronte.
Porca puttana, Julian era diventato proprio un bel ragazzo e per quanto la infastidisse ammetterlo, il fratello minore non aveva nulla da invidiare a quello maggiore e i suoi occhi erano ancora più incredibili di quelli di Max, perché quel contorno argenteo era ancora più acceso su quel nero tenebroso.
Gaia sospirò.
Aveva la netta e brutta impressione che si stesse per cacciare, in qualche modo, nei guai.
Grossi guai.
 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Ciao a tutti!
Dopo un mese rieccomi ad aggiornare questa storia.
Questo capitolo mi piace particolarmente e spero sia così anche per voi.
E' un po' lunghetto quindi mettetevi comodi!
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L'amore non è bello se non è litigarello
Detto questo vi auguro buona lettura.
Ahhhhhhh dimenticavo!
Grazie a chi legge, preferisce, ricorda, segue e recensisce questa storia.
Un bacione MandyCri


PS: le mie storie in corso
J&J: Jenna & Jack
L'undicesimo comandamento
***


CAPITOLO 4
 
Luglio 2005
 
Gaia sbuffò innervosita – Dai Carlotta, porta quel tuo culone fuori dalla macchina. Non ne posso più di sentirti parlare – ordinò all’amica.
La ragazza scese allegramente e si fiondò subito su Julian che sembrava gradire molto le sue attenzioni.
Gaia mise le mani dentro le tasche dei jeans e aspettò in silenzio Max.
Erano appena arrivati all’Inferno.
Carlotta aveva accolto subito favorevolmente l’idea di Maximilian di andare in macchina in discoteca, nonostante lei avesse un po’ protestato, facendo notare che il locale si trovava a meno di due chilometri dal loro quartiere e che era inutile andarci con l’auto.
Carlotta aveva replicato che così, avrebbero fatto più scena e non sarebbero sembrati dei poppanti.
Max aveva detto invece che in macchina era più sicuro, perché per strada poteva capitare di tutto.
Julian non aveva proferito parola.
Non aveva appoggiato lei, ma nemmeno concordato con gli altri.
Aveva semplicemente alzato le spalle e poi era sparito su per le scale.
Il punto di ritrovo era stato, infatti, la casa dei due fratelli Slone.
Così, avevano fatto un minuto di strada in Mini per arrivare alla discoteca e più di mezz’ora per trovare un parcheggio, perché, sempre grazie a Carlotta, erano partiti tardissimo da casa.
Del resto, non si poteva essere i primi: avrebbero fatto brutta figura! E la figura dei poppanti. Ovviamente!
Max non aveva fatto che scusarsi per tutto il tempo. Continuava a guardarla dallo specchietto retrovisore con due occhioni da cucciolo bastonato che imploravano perdono.
Aveva girato come una trottola per trovare un buchino dove posteggiare.
Carlotta aveva subissato Julian di domande e aveva ricevuto pochissime risposte.
La maggior parte dei suoni emessi dal ragazzo, sembravano più grugniti che vere e proprie parole, ma probabilmente la sua amica non ci aveva fatto nemmeno caso, presa com’era da Julian.
Lei invece era stata nervosissima per tutto il tempo e adesso lo era ancora di più.
- Mi dispiace… - mormorò per l’ennesima volta Max, raggiungendola.
Gaia gli sorrise – Non ti preoccupare. Non potevi saperlo e, probabilmente, anch’io ho sbagliato a non dirtelo – lo rassicurò – Sembra che Carlotta e Julian vadano d’accordo – aggiunse poi, indicando i due ragazzi che si erano presi a braccetto e li precedevano.
- Non è il suo tipo – affermò deciso.
- Ah si? E qual è il suo tipo? – chiese curiosa.
Max si passò una mano sui ricci biondi e li scompigliò, imbarazzato – Lei è troppo invadente. Julian è un tipo silenzioso e ha bisogno di una ragazza socievole, allegra, ma non assillante. Ha bisogno di qualcuno che lo faccia ridere, ma che non si prenda anche il suo spazio vitale.
Gaia arricciò il naso – Sarà… però a me sembra che Carlotta gli piaccia molto ed è una fortuna Max che lei sembra contraccambiarlo, perché con il caratteraccio che si ritrova, tuo fratello sarebbe destinato allo zittellaggio! – sbottò un po’ acida.
Max le appoggiò una mano sulla spalla, delicatamente – Sembra cattivo, ma non lo è. Te l’assicuro.
Gaia alzò le spalle – Non è che la cosa mi interessi, sai – mormorò, arrossendo.
Caspita, perché non riusciva mai a frenare quella sua linguaccia?
Forse adesso, con quelle sue parole, aveva indotto Maximilian a pensare che fosse interessata a Julian.
Si morse le labbra nervosamente.
- Ha avuto un’infanzia terribile – sussurrò Max.
Gaia si voltò di scatto e lo fissò – Allora anche tu? – chiese allarmata.
- No, no… solo lui… io e Julian non abbiamo lo stesso padre… - si bloccò di colpo, come se avesse detto già troppo.
Gaia era curiosa, ma non approfondì l’argomento.
Non le sembrava corretto nei confronti di Max e, tanto meno, di Julian.
Non riusciva, però, a capire come potessero avere due padri diversi se avevano lo stesso cognome.
Aveva visto entrambi i genitori Slone, quando aveva conosciuto, anni prima, i due ragazzi.
Sua madre li accompagnava e li veniva a prendere ogni giorno a scuola, il padre l’aveva visto di sfuggita, nei pomeriggi quando andava a trovare Julian, per vedere Max, ovviamente!
Erano entrambi biondi con gli occhi azzurri.
Nella sua fantasia di bambina, aveva sempre associato Julian al piccolo anatroccolo.
Non assomigliava a nessuno dei due con quei capelli e occhi neri, mentre Max sembrava la fotocopia del padre.
Gaia alzò le spalle, cercando di dare un taglio netto alle mille domande che le frastornavano la testa.
Se Julian era il più piccolo, come era possibile che l’uomo che aveva visto lei, assomigliasse così tanto a Max?
Probabilmente si erano separati, la madre aveva avuto una storia con un altro e poi si era rimessa con il padre di Max.
Ormai non c’era più da stupirsi di niente!
Si vergognò subito per quel suo pensiero un po’ bigotto.
- Spero che adesso stia meglio – borbottò.
Max le sorrise e poi annuì convinto.
Era proprio bello.
A Gaia piacevano quei due occhi azzurri con quel contorno argenteo in cui ci si poteva specchiare, tanto erano limpidi e quei grandi ricci biondi e soffici.
Adorava i lineamenti morbidi, dolci e forse ancora un po’ infantili del viso di Max, quel naso un po’ all’insù e la carnagione chiara quasi quanto la sua.
Max però non aveva quelle odiose lentiggini che invece a lei coprivano l’intera faccia!
Sbuffò e lo guardò di sottecchi. Aveva un fisico eccezionale.
Alto, asciutto e con i muscoli appena accennati.
Poi fissò Julian che, ovviamente, era ancora stretto in un abbraccio morboso con Carlotta.
Portava i capelli lunghi fino alle spalle, in casa, aveva notato che usava un cerchietto per tenerli in ordine in modo che non lo infastidissero, mentre adesso gli scivolavano lungo il viso in modo quasi disordinato.
Gli occhi del minore degli Slone erano neri come il carbone, ma quella sottile linea d’argento dava loro una luce sorprendente.
Aveva un naso perfetto, dritto proporzionato e due labbra gonfie che potevano fare invidia a qualsiasi donna dello spettacolo, tanto erano ben delineate. Sembravano artificiali, rifatte.
Il viso era magro, spigoloso e già compariva un filo di barba, insomma decisamente da uomo. Sembrava più vecchio dei suoi sedici anni.
Il corpo era possente, più muscoloso di quello del fratello, più grosso, più alto, magro al punto giusto.
Un equilibrio di muscoli e carne che faceva accapponare la pelle a qualsiasi donna.
Infatti, notò che tutto l’universo femminile era concentrato a guardare i due ragazzi.
Lanciavano sguardi languidi prima ad uno e poi all’altro, indecise su chi soffermarsi.
Gaia lo sapeva, invece, chi era il suo preferito.
L’aveva sempre saputo, fin dal primo giorno.
Aveva già fatto la sua scelta.
Si avvicinò un po’ di più a Max per salvaguardare la sua “proprietà” e far capire a tutte quelle oche giulive che quel ragazzo biondo e sublime che le camminava a fianco era off-limits per tutti coloro che si facevano la ceretta, maschi compresi, per la precisione.
Che guardassero Julian, lui sicuramente non si sarebbe fatto problemi a soddisfarle tutte, almeno in via teorica.
Del resto… era chiaro che il piccolo dei due fratelli Slone era un “bla, bla, bla”, insomma, tutto fumo e niente arrosto.
Che se lo tenessero pure!
Immersa in tutti quei pensieri, Gaia non si rese nemmeno conto di essere entrata all’Inferno.
Max l’aveva presa per mano e l’aveva trascinata su un divanetto.
- Vuoi qualcosa da bere?
Si girò un po’ smarrita e lo fissò con la bocca aperta – Eh? – chiese, rendendosi conto di aver appena fatto la figura della rincitrullita.
- Vuoi qualcosa da bere? – ripeté Max, scandendo bene le parole e avvicinandosi al suo orecchio per sfidare la barriera del suono.
Gaia annuì lentamente – Una coca cola – mormorò imbarazzata.
Quando Maximilian sparì, Gaia ritornò a fissare la coppia che l’aveva completamente distratta dalla realtà.
Julian e Carlotta si erano già lanciati in un ballo delirante.
Julian rideva e saltellava qua e là intorno all’amica, facendo gesti ridicoli. Carlotta si stava divertendo come una matta, ogni tanto si teneva la pancia, perché probabilmente le faceva male.
Gaia deglutì, cercò di distogliere lo sguardo per cercare Max, ma era come ipnotizzata e i suoi occhi ricadevano sempre sullo stesso punto.
Julian stava abbracciando Carlotta e nonostante la musica decisamente battente, la teneva in una stretta ferrea e insieme stavano simulando un lento.
Quando Julian strinse di più la sua amica tra le braccia, alzò gli occhi e li puntò su Gaia, le sorrise ambiguo, prima di alzare il viso di Carlotta e avvicinarlo al suo, continuando però a scrutare lei per tutto il tempo.
Gaia spiò quel bacio con bramosia, voleva abbassare lo sguardo, fargli un gestaccio, urlargli che era proprio un essere infimo, ma non riuscì ad eseguire nulla di tutto ciò.
Restò ferma, impalata a fissare Julian, come se quel ragazzo fosse la sua fonte di ossigeno.
Deglutì ancora, affascinata e forse anche un po’ invidiosa, senza distogliere gli occhi da lui.
Poi Julian si staccò da Carlotta che barcollò sulle gambe di gelatina e le sussurrò qualcosa all’orecchio. La ragazza annuì e lui la prese per mano.
Gaia si sentiva un po’ come il tenente Colombo, con lo sguardo un po’ strabico e la faccia finta da cretina, seguiva la scena attentamente, per non farsi sfuggire nulla.
Voleva sapere anche lei cosa si era detti e dove stavano andando.
Continuò a seguire i loro corpi, finché non li vide scomparire in mezzo agli altri ragazzi.
Max arrivò proprio nel momento esatto in cui lei sollevò il sedere dal divanetto, pronta a seguire le tracce dei due.
- Ecco qui – disse porgendole il bicchiere – Ti ho fatto mettere il limone.
Lei annuì come un’idiota.
Si poteva essere più imbecilli di così?
Ma dove era andata a finire la sua intelligenza?
Seguire Carlotta e Julian?
Cosa le era saltato in mente? E perché poi?
E se l’avesse fatto e Max non l’avesse più trovata al suo posto?
Mille altre domande affollarono la sua mente fin troppo occupata, mentre portò il bicchiere alla bocca per bere un po’ della sua bibita.
Rimase così, impalata con lo sguardo guardingo per controllare tutta la sala, angolo su angolo, parete su parete, volto su volto.
Max invece si sedette nuovamente in quel maledetto divanetto.
Gaia aveva capito fin troppo bene che quel ragazzo stupendo non era fatto per le serate in discoteca.
Lei voleva ballare con lui, nella stessa maniera in cui Julian aveva fatto volteggiare Carlotta, voleva ridere, anzi, voleva tenersi la pancia dal dolore per le risate e voleva un bacio.
Sì, voleva un bacio ardente, come quello che si erano scambiati la sua migliore… la sua (ex) migliore amica e quella specie di cretino ambulante con i capelli lunghi… lisci… e lucidi!
Desiderava dare il suo primo bacio e voleva che fosse esattamente come quello che aveva letto in tanti libri.
Così forte da farle tremare le gambe, così potente da spezzarle il cuore, così romantico da farle perdere il contatto con la realtà… e bramava Max, perché era lui il suo principe azzurro.
Biondo, riccio e con gli occhi azzurri.
Gentile e composto.
Generoso e altruista.
E invece Max parlava… parlava… parlava… di tutti i posti stupendi che aveva visitato.
In un altro contesto, Gaia si sarebbe appassionata a quelle storie, ma in quel momento lei voleva il suo cazzo di primo bacio, esattamente come aveva letto sui libri e invece ascoltava le avventure di Max e dentro si logorava.
Fu quando rivide apparire nuovamente Carlotta e Julian che perse la ragione.
L’amica barcollava ubriaca e rideva sguaiatamente, Jul la teneva ancorata alle sue potenti braccia, aiutandola e proteggendola dalla folla e Gaia non ci vide più.
C’era qualcosa di tenero nell’atteggiamento del minore degli Slone nei confronti di Carlotta che le diede i nervi.
Una sorta di protezione che lei stessa aveva sempre desiderato per sé e fece un gesto avventato.
Depositò la sua coca cola sul tavolino e tolse il bicchiere di acqua minerale dalla mano di Max.
Non poteva essere che quello, annusò per esserne certa e scosse la testa, quando si rese conto che era proprio acqua minerale.
Lei beveva coca cola, Max una misera acqua minerale e Carlotta e Julian tenevano tra le mani un bicchiere con delle foglie verdi e tanto ghiaccio?
Dio! Erano proprio dei poppanti.
Alzò lo sguardo su Julian e quando vide che la stava studiando si tuffò su Maximilian.
Lo atterrò completamente sul divanetto e lo coprì con il suo corpo… e lo baciò.
Il suo primo bacio.
Max, probabilmente preso in contropiede, non fece nulla per fermarla e un po’ sbigottito rispose al suo bacio delicatamente, quasi confuso.
Gaia affondò la lingua all’interno della bocca del ragazzo e cominciò a muoverla come aveva letto e aspettò che il suo cuore cominciasse a battere forte, che le sue gambe diventassero molli, che la discoteca sparisse dalla sua vista.
Chiuse gli occhi e aspettò.
Max le cinse dolcemente i fianchi.
Lei aspettò.
Aprì gli occhi per accertarsi che era tutto vero e in quel momento incrociò lo sguardo divertito di Julian. La stava fissando con un sorriso sornione stampato in faccia, un sorriso canzonatorio e poi, come se non si sentisse già abbastanza ridicola da sola, le fece l’occhiolino.
Fu allora che Gaia avvertì il suo cuore scoppiare in un battito forsennato.
Si staccò da Maximilian di scatto – Scusa… - mormorò – Non so cosa mi sia successo…
Max ritornò a sedersi composto sul divanetto e con un gesto imbarazzato si scompigliò i capelli – Ah… no… non ti preoccupare… io…
- Allora piccioncini vi state divertendo? – la voce divertita di Julian fece crollare a picco il suo imbarazzo.
Ma cosa le era saltato in mente?
Il suo primo bacio…
Non aveva provato nulla di ciò che le era stato detto, di ciò che aveva letto.
Aveva infilato la lingua nella bocca del suo principe azzurro e… non aveva sentito niente.
Il sesso allora non era tutta sta gran cosa, si ritrovò a pensare delusa.
Abbassò lo sguardo imbarazzata.
Carlotta si sedette al suo fianco e l’abbracciò forte – Che serata meravigliosa G.! – disse tutta allegra, stritolandola – Non mi sono mai divertita tanto!
Gaia annusò l’aria e avvertì chiaramente che l’amica aveva bevuto qualcosa di alcolico.
La guardò con un’espressione di rimprovero. Carlotta alzò le spalle – Jul? Non è che me ne porti un altro di questo? – cinguettò, fissando il ragazzo con occhi adoranti.
- Mia signora, ogni tuo desiderio è un ordine – rispose l’imbecille con tanto di inchino da cortigiano e sparì tra la gente.
Gaia aveva un diavolo per capello – Quanti ne hai bevuti di quelli? – domandò con voce truce.
Un singhiozzo precedette la risposta temuta – Esattamente non ricordo… due, tre, quattro… - Carlotta si fermò un attimo e poi i suoi occhi si riempirono di lacrime – Jul non c’è? Mi ha abbandonata? Come faccio adesso?
Gaia si girò e guardò Max preoccupata.
Carlotta era completamente ubriaca.
Il ragazzo le si avvicinò – Ti accompagno a casa? Non ti senti bene? – chiese con aria paterna.
Scoppiò a piangere. Gaia era allibita.
Brutto porco di un imbecille!
Aveva fatto ubriacare la sua (ancora) migliore amica per approfittarsi di lei!
Ah bè! Ci avrebbe pensato lei adesso a dirgliene quattro.
Max le si accostò – Accompagno Carlotta fuori e poi la porto a casa, secondo me sta per vomitare. Tu torna con Jul, ok? Mi raccomando non uscire da sola.
Gaia acconsentì.
Le diede un bacio sulla guancia e la salutò.
Rimase a guardare Carlotta ubriaca e Max allontanarsi, poi si accarezzò la guancia dove lui l’aveva appena baciata e ripensò al suo primo bacio.
Si morse prima il labbro superiore e poi quello superiore, non le piaceva baciare.
Era una gran cazzata tutto quanto.
Non aveva sentito nulla.
Farfalle nello stomaco? Ma per cortesia!
Quei libri erano tutto una gran cazzata.
- Ehi! Dove sono finiti?
Gaia si girò, si alzò di scatto e fulminò Julian con lo sguardo – Era ubriaca fradicia! – lo aggredì – Come cavolo hai fatto a farti servire delle bevande alcoliche, hai solo sedici anni!
Lui alzò le spalle e si sedette sul divanetto – Ho i miei metodi – disse, avvicinando il bicchiere con le fogli verdi alla bocca – Lo vuoi tu? – chiese, indicando l’altra bibita.
Gaia lo fissò inorridita, poi guardò quelle foglioline verdi, il ghiaccio e la piccola cannuccia nera e allungò la mano.
Aveva voglia di fare qualcosa che andava contro le regole, aveva voglia di ballare, aveva voglia…
La ritrasse schifata – Andiamo a casa! Io non la bevo quella robaccia.
Julian scoppiò a ridere – Il Moito è buono sai… dovresti provarlo.
- Ti ho detto che non la voglio quella schifezza. Andiamo! – urlò.
Julian si alzò – Andiamo… - acconsentì, senza riuscire a togliersi dalla faccia quel sorriso idiota.
Uscirono dall’Inferno in silenzio e camminando fianco a fianco, arrivarono fino alla casa di Gaia.
- Bene, ci vediamo! – disse, cercando le chiavi di casa nella borsetta.
- A presto, Pel di Carota – la salutò.
- Come mi hai chiamata? – sbraitò con tutta l’aria che aveva nei polmoni.
Julian fece quello che sembrava fosse di moda quel giorno: scoppiò a ridere – Shhhh… svegli tutto il vicinato così.
Tutto questo era troppo!
Andare all’Inferno in macchina con il nervoso che ne era derivato.
Carlotta e Julian che si divertivano.
Lei che si annoiava.
Loro che si baciavano.
Il suo primo bacio.
Carlotta ubriaca.
Max che se ne andava con la sua migliore amica…
Ma questa no!
Era da dieci anni che nessuno aveva più osato chiamarla così!
Pel di Carota proprio no!
- Tu – disse puntando l’indice sul petto (molto mascolino) di Julian – Non ti devi più permettere di chiamarmi così, intesi?
Julian scostò il suo dito pericolosissimo e le si avvicinò – Va bene – confermò – Non ti chiamerò più così. Promesso!
- Perfetto. Allora ciao!
- Era il tuo primo bacio?
Quella domanda le tolse l’aria dai polmoni – P…perché?- balbettò.
- Così sembrava… non ti è piaciuto molto, vero? – le chiese, accentuando ancora di più l’espressione da cacca secca che l’aveva accompagnato tutta la serata.
- È stato bellissimo e comunque non sono affari tuoi! – rispose indignata.
Julian si avvicinò ancora di più, le prese il viso tra le mani e la scrutò a fondo – Era il tuo primo bacio e mio fratello ha fatto cilecca: non ti è piaciuto. Non si dicono le bugie, altrimenti vai all’inferno, quello vero, Pel di Carota – la prese in giro.
- Tu avevi prom…
Gaia non riuscì a finire la frase, perché le labbra di Julian interruppero il corso delle sue parole.
La strinse in un abbraccio forte, potente, quasi feroce, ma lei avvertì solo una profonda delicatezza e gentilezza e le gambe cominciarono a tremare.
Stava in piedi solo perché Julian la stava sorreggendo con le sue braccia.
Poi, avvertì la lingua del ragazzo impadronirsi della sua bocca, l’umidità, il sapore della menta e lo ricambiò quasi inconsapevole dei suoi gesti e il cuore cominciò a martellarle nel petto.
Un rumore sordo, nitido, autorevole.
Cercò di ritornare alla realtà.
Stava baciando Julian non Maximilian eppure il suo corpo era annientato.
Lui si staccò ansimante dalla sua bocca, poi cercò di darsi un contegno, senza però liberarla da quell’abbraccio possessivo.
Riprese fiato e la fissò, assumendo nuovamente quell’aria divertita che tanto la infastidiva – Bisogna fare un po’ d’esperienza per capire il valore di un bacio – le sussurrò ad un orecchio – A presto, Pel di Carota.
Gaia scrutò quegli occhi neri con quel filo d’argento che sembravano deriderla, ma dentro ci vide qualcosa di diverso questa volta: riuscì a specchiarsi.
Guardò Julian allontanarsi con le mani dentro le tasche dei jeans, ma non riuscì a scorgere altro.
Non si rendeva conto di dov’era.
Esistevano solo loro due.
Tutto l’ambiente intorno a lei era stato annientato.
Rimase così, per un tempo che le sembrò infinito, poi strinse le chiavi che aveva tra le mani e ritornò sulla terra.
Barcollando si avvicinò al cancello della sua villetta.
Stordita entrò in casa con il cuore che danzava ancora in un suo ballo furioso e violento, mentre il suo pensiero era rivolto a quel secondo bacio inaspettato.
 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Ciao!
So che sono profondamente in ritardo, ma non riesco proprio a fare di meglio!
Ringrazio come sempre chi mi segue, ricorda, preferisce e recensisce.
Grazie mille.
Nonostante sia molto indietro con la scrittura, questa storia mi appassiona sempre di più e sarà la mia creatura più bella (almeno lo spero!).
Eravamo rimasti a Gaia che dopo la serata all'Inferno, aveva baciato sia Max che Jul.
Questo capitolo è un po' di transizione e preparazione per il prossimo capitolo, ma attenzione è molto importante, perché ci farà conoscere il vero Julian, anche se raccontato dal fratello.
Cosa dire?
Aspetto i vostri commenti che per me sono molto importanti.
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L'amore non è bello se non è litigarello
Vi ricordo anche le mi storie "romantiche", se avete voglia di leggerle
J&J: Jenna & Jack
L'undicesimo comandamento
Buona lettura e spero tanto mi scriviate :*
MandyCri

 
***


CAPITOLO 5
 
Maximilian affondò la mano nella sabbia e ne raccolse un po’, strinse con forza il pugno, finché non sentì l’ultimo granello scivolare via.
Chiuse gli occhi per scacciare quelle immagini che lo tormentavano, ormai, da una settimana.
Un piccolo rigolo di sudore gli scese dalla fronte e percorse solitario la guancia, finché non scivolò sulla sua spalla.
Nell’enorme confusione della spiaggia, riuscì a sintetizzare il rumore della goccia.
Il fragore inesistente di quella piccola lacrima di sudore si trasformò in un boato che gli fece strizzare ancor di più gli occhi.
Quella smorfia alterò il nero che vedeva, grazie alle palpebre chiuse, in un rosso acceso.
Sangue…
Il sangue che aveva visto nelle mani di Julian, una settimana prima.
Il sangue che aveva fatto sgorgare suo fratello.
Il cuore cominciò a battergli in petto, furibondamente.
Non poteva essere, era solo un incubo.
Sangue…
Un singhiozzo violento gli squarciò lo stomaco, facendolo sussultare scompostamente.
- Stai bene? – gli chiese Gaia, toccandogli dolcemente il braccio.
Quel gesto gentile lo fece tremare.
Si ritrasse bruscamente, come scottato, poi, rendendosi conto di aver spaventato la ragazza, scosse la testa disperato – No… è che… non è un bel periodo… - balbettò, imbarazzato.
- Non hai ancora fatto pace con Julian? – domandò lei, preoccupata.
Negò con il viso.
No, non aveva fatto pace con suo fratello e, tantomeno, chiarito la situazione.
Julian lo stava obbligando a stare sulla terra.
Come erano cambiate le cose!
Fino ad una settimana prima era lui che costringeva Jul a stare in quella casa, a fare una vita umana e, adesso, era l’opposto.
Sapeva che a suo fratello non gliene fregava niente di stare nel mondo degli uomini, lo faceva solo per fargli un dispetto, riusciva a mettere da parte il suo desiderio di ritornare negli inferi, per fare del male a lui.
Ci aveva provato a resistere, eccome ci aveva provato!
Dopo aver visto lo scempio di Julian, era ritornato immediatamente in Paradiso.
All’inizio aveva provato solo pace e un senso di sollievo, poi era arrivato il dolore.
Il richiamo di Julian era forte e resistergli era, umanamente, impossibile.
Aveva tentato, ma poi, sconfitto, era tornato sulla terra.
Non osò nemmeno immaginare cosa avesse provato Jul, tutte le volte che non aveva accolto il suo richiamo.
Deglutì a vuoto.
Suo fratello era decisamente forte, nel fisico e nel carattere.
Oh… come si era sbagliato su Julian…
Non era il fratellino frustato e incompreso che si era immaginato.
Suo padre, l’arcangelo Gabriele, aveva ragione.
Perché non l’aveva ascoltato?
Perché aveva cercato Julian lo stesso?
- Max?
Si girò verso Gaia che, nel frattempo, gli si era seduta accanto, sul suo asciugamano.
- Ehi… scusa! Ero sovrappensiero – si scusò – Io e Jul siamo ancora ai ferri corti. Non riusciamo a trovare un punto d’incontro e, credo, non succederà mai più.
Gaia gli sorrise – Capita tra fratelli. Io con il mio litigo ogni giorno, ma poi facciamo sempre la pace. È una cosa naturale – lo consolò.
Tuo fratello, però, non ha ucciso una ragazza a sangue freddo, davanti ai tuoi occhi!, pensò inorridito.
- Vuoi che ci parli io? – gli domandò.
Maximilian sbarrò gli occhi spaventato – No! – replicò secco e quel monosillabo gli uscì quasi come un urlo di dolore.
Gaia sgranò leggermente gli occhi sorpresa, poi gli sorrise con poca naturalezza – Ok! – confermò per niente convinta – Adesso, però, andiamo a farci un bel bagno, così laviamo la tristezza – lo incitò, alzandosi.
- Voi due andate. Io vi raggiungo tra un minuto – rispose.
Gaia si alzò e si diresse da Carlotta che era intenta a messaggiare con il cellulare.
Le guardò allontanarsi, saltellando divertite sulla sabbia bollente e chiuse gli occhi non riuscendo a scacciare quel ricordo particolare che gli lacerava l’anima.
Dopo la serata all’Inferno, Julian era tornato a casa, fischiettando.
Max era di cattivo umore, perché il fratello aveva fatto ubriacare Carlotta in modo indecente e, perché, si era reso conto che sapere che Jul e Gaia fossero insieme da soli, gli dava un immenso fastidio.
Non aveva mai pensato alla ragazza in quel senso.
L’aveva sempre vista come la donna destinata a Julian, fin dal primo istante della sua vita.
Gaia apparteneva a Julian.
Lui lo sapeva, perché era l’angelo dell’amore.
Aveva scoperto per caso quella sua dote.
Nel corso dei secoli, ancora prima di conoscere Julian, era andato spesso sulla terra, perché attratto da un uomo o una donna in particolare e, poi, senza rendersene conto, individuava l’anima gemella della persona da cui era stato attirato.
Erano apparizioni fugaci sulla terra, per cui Julian non aveva sentito forte il richiamo del sangue.
All’inizio, non si era nemmeno reso conto di questa sua capacità.
Quando aveva cominciato ad avere i primi sospetti, ne aveva parlato con suo padre che aveva, immediatamente, convocato il consiglio degli arcangeli.
L’avevano tenuto sotto controllo e alla fine erano giunti ad una sola conclusione.
Max era l’unico angelo nato dall’amore.
Nessuno in paradiso era figlio carnale di un angelo o arcangelo che fosse.
Tutti i suoi simili erano stati degli essere umani prima di approdare nel regno dei cieli, alla loro morte ed erano divenuti angeli per la loro impeccabile condotta terrena.
Max no.
L’amore dei suoi genitori aveva creato la magia che c’era in lui.
Un giorno d’estate era stato attratto sulla terra da una coppia di ragazzi.
Si tenevano per mano, proprio in quella spiaggia in cui si trovava in quel momento.
Lui era alto, magrissimo, con i capelli rossi, gli occhi verdi chiarissimi e il viso tempestato di lentiggini, lei era più bassa, con i capelli e gli occhi scuri e il tipico fisico della ragazza del sud: fianchi rotondi e seno abbondante.
Era bella e dolce.
Max si era seduto su una panchina a guardali, ammirato.
Non capiva perché avesse sentito quel richiamo.
Erano già una coppia!
Il ragazzo, di tanto in tanto, baciava timidamente la sua compagna.
Quel giorno, Julian era arrivato e si era seduto accanto a lui sulla panchina.
- Interessante… - aveva borbottato, fissando in tralice la coppia.
Max si era voltato verso il fratello, cadendo dalle nuvole.
Non si era reso conto che fossero passate ore da quando era sulla terra e ciò significava che Jul era stato costretto a raggiungerlo.
Era stato Julian stesso a spiegargli che se non lo faceva, provava dei dolori fisici insopportabili.
Max non sapeva a cosa si riferisse il fratello, d’altra parte, Jul non aveva mai desiderato stare con lui, era sempre stato Max a cercarlo.
Purtroppo, l’aveva scoperto la settimana prima…
Scacciò dalla mente quel giorno e ritornò a quello in cui aveva raggiunto quei due ragazzi.
Era ritornato in Paradiso pieno di dubbi e di domande.
Perché era stato attratto da quella coppia così tanto che aveva perso la cognizione del tempo?
La risposta gli era arrivata qualche anno dopo.
Era ripiombato sulla terra, avvertendo quello strano formicolio che lo avvisava, quando c’era da unire due persone ed aveva rivisto la coppia.
Camminavano mano nella mano lungo la via principale della città.
Avevano le fedi alle dita e lei si teneva amorevolmente il pancione.
Max era stato, ancora una volta, rapito dai due e, come era già capitato in precedenza, aveva smarrito il senso del tempo, Julian era arrivato al suo fianco, sbuffando.
Si era girato verso il fratello, confuso.
Julian aveva smoccolato una serie di insulti al suo indirizzo – Ancora quei due? – aveva domandato – Si può sapere che cazzo ci trovi in quella coppia di sfigati? – poi, aveva guardato la donna perplesso.
Non aveva molta esperienza del genere umano – Cos’ha mangiato, una mucca intera? – aveva chiesto spaesato, fissando la pancia enorme – Perché è così gonfia?
Max aveva sorriso per l’ingenuità del fratello e gli aveva spiegato che la ragazza era incinta e che dall’amore dei due (non si era soffermato sui particolari), sarebbe nata una creatura.
Julian aveva aggrottato la fronte perplesso e l’aveva subissato di domande.
Gli aveva spiegato che se due persone facevano l’amore e non prendevano precauzioni, il risultato era quello.
Jul era scoppiato a ridere – Ah! Hanno scopato! – aveva affermato volgarmente, quando aveva dovuto rispondere alla fatidica domanda: cosa significava fare l’amore – A me non è mai capitato, eppure mi do da fare più di una volta al giorno, ma ti assicuro che le femmine, non hanno mai quella pancia grossa, poi!
Max era arrossito.
Dopo quel momento imbarazzante, ognuno era ritornato nel proprio regno.
In seguito, era disceso fugacemente, incuriosito dalla strana coppia e, ascoltando un discorso dei due, aveva cominciato a riordinare i pezzettini del puzzle.
Aspettavano una bambina.
Quando aveva sentito che era una femminuccia, per un breve momento, aveva creduto che questa volta, non era sceso per fare del bene agli altri, ma perché, aveva trovato la sua anima gemella, visto che tutto il procedimento era inconsueto, poi si era reso conto che, ogni volta che vedeva i due ragazzi, c’era anche Julian.
Il mistero a chi fosse assegnata quella bambina, se a lui o a Jul, era stato svelato, quando Gaia era nata.
Julian era arrivato in ospedale subito, decisamente prima del solito e Max aveva capito.
La conferma gli era arrivata, quando l’aveva osservato ritornare su suoi passi per guardare la bambina.
Aveva scrutato bene il volto del fratello e, un po’ deluso, aveva deciso di portare a termine anche quella missione.
Gaia era di Julian.
Julian l’avrebbe resa felice e lui si sarebbe messo da parte.
Questo pensava prima della serata all’Inferno.
Adesso, invece, l’unica cosa che voleva, era impedire a quei due di trovarsi e stare insieme.
Julian era malvagio e senza cuore.
Suo fratello era un demone.
Quando Julian era rientrato a casa, dopo aver accompagnato Gaia, l’aveva aspettato sul divano.
Era nervoso, stanco e incazzato.
Il bacio di Gaia l’aveva svegliato da un lungo torpore.
Non aveva mai baciato nessuno.
Il suo primo bacio… era stata la cosa più incredibile che gli fosse mai capitata.
Non aveva mai provato interesse per nessuna ragazza, era come se fosse asessuato, ma quel contatto l’aveva risvegliato e adesso non era più così sicuro che Gaia fosse di Julian.
Appena suo fratello aveva messo piede in casa, l’aveva assalito con le parole.
Julian gli aveva riso in faccia.
- Come la fai lunga! – aveva esclamato, deridendolo.
Max si era arrabbiato ancora di più.
- Carlotta è stata male per colpa tua! – l’aveva accusato.
Julian aveva alzato le spalle – Sai cosa me ne frega?
- Devi smetterla di comportati così. In questo mondo hai solo sedici anni! Sei in grado di ragionare o no? Non ti ha insegnato niente il rinnegato di tuo padre? – aveva urlato fuori di sé.
Julian aveva stretto gli occhi e l’aveva guardato malissimo – Mi ha insegnato tante cose – aveva replicato – E ti ricordo che stare qui non è una mia scelta!
- Allora vattene!
- Sai che ti dico Max? Hai ragione. È ora di mettere in pratica ciò che mi ha insegnato mio padre!
Si era girato e se ne era andato, senza dire altro.
A quel punto si era sentito in colpa.
Era l’angelo dell’amore e si stava comportando come un ragazzino immaturo, solo per un misero bacio.
Aveva deciso su due piedi di andare a cercare Julian e chiedergli scusa.
C’era solo un motivo per cui erano sulla terra.
Gaia e Julian dovevano stare insieme.
Lui doveva rendere felice quella ragazza e anche il suo fratellino e invece si stava comportando come uno schifoso egoista.
L’aveva trovato in un vicolo scuro, mentre faceva sesso con una prostituta e si era sentito morire.
- Julian! – l’aveva chiamato, senza riuscire a nascondere la rabbia che provava.
Il fratello si era girato e l’aveva fissato in malo modo – Cosa ci fai qui? Possibile che non riesco nemmeno a farmi una scopata in santa pace?
- Andiamo a casa! – gli aveva ordinato.
- E perché mai dovrei? Non vedi che mi sto divertendo?
- Cosa direbbe Gaia se ti vedesse?
Julian aveva socchiuso gli occhi – E cosa c’entra Gaia in tutto questo? – si era quasi messo a ridere.
Non gliene importava niente di lei.
Come aveva solo potuto credere che a Julian interessasse quella dolce ragazza, visto che non si era mai degnato nemmeno di conoscere lui che era sangue del suo sangue?
Era stato solo un ingenuo credulone!
- Io... – non era riuscito a dire altro.
- Tu? – gli aveva chiesto, continuando a muovere le mani sul corpo della prostituta, fregandosene altamente del fatto che non fossero più soli.
- Ehi! Se vuoi il pubblico la tariffa è più alta! – era intervenuta la donna.
- Vuoi guardare Max? – Julian era scoppiato a ridere – Magari impari qualcosa!
- Mi fai schifo!
- Sai che novità? Dai Max! Credi ancora di potermi redimere? Sono quello che sono e non cambierò solo perché mio fratello è un angelo!
Julian aveva pronunciato quelle parole con disprezzo e lui si era sentito, ancora una volta, inerme.
- Lascia quella ragazza e andiamocene. Non dirò nulla a Gaia, te lo prometto.
Jul si era girato, ancora una volta, a guardarlo.
Aveva socchiuso gli occhi – Perché nomini sempre Gaia? Sappiamo entrambi a chi mira e non sono certo io. E poi… vuoi davvero che stia con me? Non sono come te Maximilian, devi fartene una ragione.
- So che in fondo sei una persona buona… - aveva insistito.
- Non lo sono per niente! Uccido le persone.
- Le anime che arrivano all’inferno, non sono persone, sono già morte! – aveva protestato.
Con il senno di poi, Max non avrebbe mai pronunciato quelle parole.
Julian l’aveva guardato sfidandolo.
Ciò che era successo in seguito, era stato così veloce che ancora adesso, non riusciva a distinguere la realtà dal sogno… dall’incubo.
Julian si era trasformato, così dal niente.
Due enormi ali nere gli erano spuntate dalla schiena, lacerando i vestiti.
Si erano aperte alla massima estensione e le piume argento che le contornavano, avevano illuminato tutto il vicolo buio.
Si era trasformato nel demone che era veramente.
Un uomo sui trent’anni mastodontico e muscoloso.
Si era girato verso di lui e l’aveva guardato con quei suoi occhi neri, contornati d’argento.
Una lieve barba scura gli colorava il viso.
Max aveva scorto uno scintillio malvagio nello sguardo e ne era stato completamente soggiogato.
Aveva sentito il suo corpo cambiare e, dopo qualche secondo, si era ritrovato anche lui nella sua vera forma.
Le ali bianche gli si erano aperte, il suo viso era maturato.
Era sempre stato più grosso rispetto agli altri angeli, ma Julian lo sovrastava con la sua imponenza.
La prostituta aveva cercato di liberarsi, spaventata.
Aveva cominciato a piangere e urlare.
- Chi sei tu? – aveva balbettato con le lacrime agli occhi, parlando con il fratello.
Julian l’aveva osservata, divertito.
- Vuoi vedere chi sono veramente? – gli aveva chiesto, eludendo la domanda della ragazza e rivolgendosi direttamente a lui.
Max aveva negato con la testa, intimorito.
Si era guardato intorno per capire se c’era qualcuno che li stesse osservando.
Si era preoccupato, ma della cosa sbagliata.
- Chi sei tu? – aveva ripetuto la prostituta, spaventata.
Julian l’aveva scrutata – Sono il tuo Re – aveva affermato con disprezzo – Sono colui che, dove andrai tra poco, potrà decidere se l’eternità per te sarà accettabile o una continua agonia.
- Non farmi del male, ti prego… - l’aveva supplicato lei, terrificata.
Julian aveva storto la bocca in un ghigno malefico.
Aveva affondato la mano dentro al petto della donna in un lampo.
Lei aveva sbarrato gli occhi atterrita e, dopo qualche secondo, si era accasciata per terra con quello stesso sguardo di paura, impresso nel volto.
Julian si era girato, sorridendo.
Era avanzato verso di lui, tendendogli il braccio sinistro.
Il pugno stretto e grondante di sangue, solo in quel momento, Max si era reso conto che stava stringendo il cuore della sventurata.
Un conato di vomito l’aveva assalito.
Julian era scoppiato a ridere – Ti aspetto a casa! – aveva detto e, come se niente fosse, aveva lanciato l’organo ancora pulsante sulla strada, poco lontano dal corpo senza vita della ragazza.
Max si alzò a fatica dall’asciugamano.
Barcollando si avvicinò al bagnasciuga.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere, ma Gaia non sarebbe mai stata di Julian.
Avrebbe sfidato il destino, ma lui non lo l’avrebbe mai concesso.
Gaia gli sorrise dall’acqua.
Era così bella e gentile…
 
 
 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


TRAILER
FRATELLI DI SANGUE

https://www.youtube.com/watch?v=QX_uD1UJtmA&feature=youtu.be
Grazie di cuore a PinkyCCh


Eccomi dopo un sacco di tempo!
Grazie a tutti coloro che leggono, recensicono, seguono, ricordano e preferiscono questa storia, che ammetto, è una delle mie bamboline.
Ci tengo in maniera particolare.
Quindi veniamo a noi.
Julian uccide la prostituta davanti a Max.
Max non ne vuole più sapere del fratello...
Gaia riporterà la pace tra i fratelli? Vediamolo insieme.
Sopra, come ben avrete avuto modo di notare c'è il trailer che mi ha fatto Alessandra alla quale vanno tutti i miei più grandi ringraziamenti, perché ha colto tutte le sfumature che le ho chiesto e poi ha scelto una canzone che, secondo me, è perfetta.
Brava Ale!
Quindi cliccateci sopra a più non posso e guardatelo, mi fareste proprio un gran regalo.

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L'amore non è bello se non è litigarello
Vi ricordo anche le mi storie "romantiche", se avete voglia di leggerle
J&J: Jenna & Jack
L'undicesimo comandamento
Buona lettura e spero tanto mi scriviate :*
MandyCri


CAPITOLO 6
 
Agosto 2005
 
Julian si buttò sul divano, annoiato e indispettito.
Era quasi un mese che restava da solo in casa.
Max andava ogni giorno al mare con Gaia e Carlotta e lo lasciava sempre solo.
Non gli aveva più rivolto la parola da quando aveva ucciso, a sangue freddo, la prostituta.
O meglio, dal momento in cui l’aveva pregato di ritornare all’Inferno, perché lui voleva rientrare in Paradiso.
Ovviamente per fargli del male, gli aveva negato quella possibilità.
Purtroppo, però, le cose non stavano andando come si era prefissato.
Max aveva accettato quella guerra silenziosa e aveva risposto a modo suo.
Non l’aveva più calcolato.
Senza contare che di giorno si recava in spiaggia insieme alle due svampite e la sera tornava sempre a casa tardi, perché usciva con le due ragazze.
Percepiva le sue sensazioni, quando rincasava la notte.
Poteva sentire la felicità, l’allegria, qualche bicchierino di troppo e la lussuria…
Max tornava a casa eccitato a mille.
Sapeva che quello stato di esaltazione glielo provocava Gaia e Julian, ogni volta, provava un leggero senso risentimento, anche se non ne capiva il motivo.
Alla fine, il suo piano di far capitolare Max e renderlo demotivato, irascibile e, perché no, anche astioso, si era ritorto contro di lui.
Doveva ammettere che si sentiva davvero solo e, purtroppo, anche invidioso, entrambe cose non da lui, visto che era avvezzo alla solitudine e, soprattutto, non era abituato a provare alcun sentimento.
Julian sbuffò ancora.
Ci sarebbe andato volentieri anche lui al mare, se qualcuno si fosse solo degnato di invitarlo, non aveva mai visto il mare lui… per non parlare poi della sera, quando andavano tutti e tre insieme alle feste o, semplicemente, a prendersi un gelato.
Era bianco da far schifo, invece quel manichino di Max era tutto abbronzato e quei suoi occhi azzurri, contornati d’argento, brillavano ancora di più.
Perfino Carlotta non l’aveva più cercato.
Quella pettegola di Gaia le aveva raccontato del bacio che le aveva rubato e, nemmeno a dirlo, Carlotta gli aveva fatto una scenata degna della più bella commedia napoletana, quella era stata l’ultima volta che aveva parlato con la ragazza.
Gaia?
Bè… lei ogni tanto gli lanciava qualche occhiata un po’ rammaricata, quando andava a casa loro per vedersi con Max, ma poi, scuoteva la testa e la girava dall’altra parte.
Se solo avesse avuto un altro carattere, Julian sarebbe uscito e si sarebbe fatto dei nuovi amici, alla faccia di quei tre che avevano creato il loro gruppetto, escludendolo di proposito, ma lui purtroppo non era così.
Avrebbe voluto non essere introverso come, invece, era.
Avrebbe voluto avere l’umiltà di andare da Max e chiedergli scusa, perché sapeva benissimo che poteva evitare quell’omicidio.
Era assurdo, ma quel suo fratello che aveva tanto disdegnato ed escluso dalla sua vita, adesso gli mancava.
Poteva tornare all’Inferno, andare da suo padre e riscoprire la sua vera essenza.
Sarebbe ritornato a dare la caccia alle anime codarde, ridurle in pezzettini e godere della loro sofferenza, come aveva fatto per secoli.
Suo padre sarebbe tornato a vantarsi di lui con gli altri demoni e la sua vita avrebbe ripreso il corso giusto.
Era un demone e soprattutto era figlio di Satana, cazzo!
Non doveva provare tutte quelle cose che lo facevano stare solo male.
Stare sulla terra risvegliava quella sua parte umana che, invece, non doveva nemmeno esistere.
Si faceva schifo da solo.
Possibile che sentisse così tanto la mancanza di qualcuno con cui parlare?
Era davvero arrivato il momento di tornare a casa!
Un piccolo spostamento di vento gli fece rizzare le orecchie e i suoi sensi demoniaci si misero subito all’erta.
Julian si alzò di scatto e si girò repentinamente.
Davanti a lui comparve un uomo biondo con gli occhi azzurri. Assomigliava vagamente a Maximilian, anche se sapeva perfettamente che il fratello era il clone della madre.
Assottigliò gli occhi – Padre... – sospirò.
L’uomo gli sorrise lievemente – Mi fa piacere figlio mio che riesci a riconoscermi anche sotto le mie vesti umane. Purtroppo questa è la maledizione che mi è stata inflitta. Posso stare poco più di qualche minuto sulla terra e solo con questo corpo. Gabriele, il grande Arcangelo Gabriele era così! – ironizzò.
- Perché sei qui, padre? – Julian non si aspettava quella visita e, senza nemmeno rendersene conto, non provò piacere nel rivedere chi l’aveva messo al mondo.
- È tanto che manchi da casa. Voglio che tu ritorni da me, ultimamente non riesco a vederti sempre.
Lo disse con voce dura e a Julian vennero i brividi.
- Tornerò presto – affermò per tranquillizzare Satana.
- Hai trovato un modo per uccidere il bambolotto biondo? Anche se non dovresti avere nessun problema a farlo e di occasioni ne avrai avute a bizzeffe – insinuò.
Julian scosse la testa – Ci ho pensato, ma credo non sia una buona idea. Se l’ammazzo poi sarei punito anch’io – gli rispose, sperando di aver trovato una buona scusa – Tra l’altro, ho trovato un altro modo per rendergli la vita terrena terribile, così magari, ci penserà un po’ più a lungo, la prossima volta che vorrà scendere sulla terra – mentì.
- Sei proprio mio figlio! – si vantò Satana, annuendo di gusto – Spiegami il tuo piano.
Proprio in quel momento suonarono alla porta.
Julian si irrigidì, quando sentì Gaia chiamarlo a gran voce.
Cercò di non far notare la sua preoccupazione e si voltò verso il padre – Forse è meglio che non ti veda – sussurrò.
Satana inclinò leggermente la testa e assottigliò lo sguardo – Chi è? – domandò incuriosito.
Julian ringraziò il cielo mentalmente, strano a dirsi.
Suo padre era cieco, o meglio, dopo la punizione inflittagli da Dio, oltre a non poter condurre una vita terrena prolungata, non aveva più il dono della vista sulla terra.
Poteva seguire e controllare solo le anime perse, quelle persone che, una volta morti, sarebbero andate all’Inferno.
Una volta, prima di ammazzare Gabriele, Satana poteva vedere tutto ciò che succedeva sulla terra, fossero possibili angeli o demoni.
Poteva interagire con le persone e provare a dissuadere e lusingare quelle buone per portarle dalla sua parte, ma non aveva più quel dono, forse era anche questo un motivo per cui il Diavolo lo amava tanto.
Julian era l’unico in tutto l’Inferno ad avere il dono della vista.
Lui poteva vedere tutto e tutti, nessun demone era alla sua altezza.
- Julian! – lo richiamò – Sto per smaterializzarmi. Chi è quella ragazza?
Fissò il padre – Lei è la mia arma segreta. È la ragazza di cui Max è innamorato e io farò in modo che non l’avrà mai.
- JULIAN! Ehi c’è qualcuno? Julian? Guarda che lo so che ci sei! Apri subito questa porta o la butto giù! – berciò Gaia dalla porta.
Si ritrovò a sorridere come uno stupido.
Satana gli lanciò un’occhiata strana – Bella idea, figlio mio! Hai ragione tu, uccidere un angelo ti porterebbe via il dono della vista. Se questa ragazza è così importante per quella nullità, uccidi lei! – gli ordinò suo padre, con un indefinito timbro della voce, prima di scomparire.
Julian ebbe un fremito, cercò di scacciare i brividi che l’avevano assalito e si avvicinò alla porta - Ma se sei un moscerino! – disse, aprendola.
- Cosa hai detto? – sbraitò Gaia.
Julian si scostò per farla passare e lei entrò come un razzo.
- Cosa vuoi Gaia? – le chiese stanco.
L’incontro con suo padre l’aveva demoralizzato più di quanto pensasse e l’aveva reso irrequieto.
E se avesse capito che aveva mentito?
- Vorrei capire se il tuo isolamento forzato da simil-prete di clausura è terminato!
Julian sorrise a quella battuta, ritrovando in parte il buon umore. Era un accostamento alquanto strano paragonarlo ad un prete, vista la sua natura demoniaca.
- Io non mi sto isolando. Semplicemente non sono mai stato invitato! – protestò – Mi sembra chiaro che tra me e Max, sia tu che Carlotta abbiate preferito tenere lui come amico. Giusto perché, tutti sono innocenti fino a prova contraria, avete ascoltato solo una campana e ve la siete fatta bastare per emettere la sentenza. Immagino che Max vi abbia convinto per bene.
Gaia storse la bocca – In tutta sincerità, Max non ci ha raccontato proprio nulla, ci ha solo detto che avete litigato, ma non ha spiegato il motivo, magari potresti farlo tu. Per quanto riguarda Carlotta… bè… ho dovuto dirle che mi hai baciata, siamo amiche! – ribatté.
- Certo era questione di vita o di morte! – esclamò sornione – L’hai detto anche a Max, per caso? Giusto per capire… no! Non gliel’hai detto! A Carlotta invece sì, perché così si toglieva dalle palle, a Max no, perché altrimenti rischiavi di perdere l’occasione della tua vita con lui, ho detto bene?
Gaia spalancò gli occhi indignata – Cosa vorresti dire con questo?
- Lo sai. È inutile disquisire su una cosa tanto ovvia e banale!
Gaia strinse forte i pugni – Ti odio, Jul! – asserì con fermezza.
Julian le sorrise – Non è vero. Probabilmente sono ancora il tuo migliore amico e ti servo per arrivare al mio fratellone.
- Non ho bisogno di te per avere Max!
- Di questo ne sono certo – disse con tristezza – Cosa vuoi Gaia?
- Andiamo al mare? – gli chiese, ritrovando il sorriso.
Julian la squadrò dall’alto al basso – Gli altri sono fuori che ci aspettano?
Gaia negò con il viso – No… loro sono già andati via – mormorò.
- Come mai non sei andata anche tu? – domandò, sospettoso.
- Volevo stare un po’ con te e fare due chiacchiere…
- Ma se li raggiungiamo… - Non fece in tempo a terminare la frase che Gaia lo interruppe subito.
- Andiamo in un’altra spiaggia, non con loro. Io e te, soli: dobbiamo discutere di alcune cose.
Julian sbuffò pesantemente – Mi devi fare la predica insomma! Senti Gaia dimmi cosa vuoi e facciamola finita.
La ragazza abbassò gli occhi – Max sta molto male per il vostro litigio e sento che qualcosa si è spezzato in lui. Voglio che ritorni quello di prima e credo che solo far pace con te, gli darà serenità. Quindi sono venuta qui in missione di pace.
Julian sorrise amaramente – Saresti disposta a tutto per lui, vero?
Gaia annuì con il viso – Ti prego, Jul… - gli si avvicinò lentamente e gli carezzò un braccio.
Julian chiuse gli occhi – Tutto… tutto? – domandò, consapevole già della risposta.
- Tutto! – dichiarò lei, portandosi la mano sinistra sul cuore ed alzando la destra – Lo giuro.
- Ok, farò pace con lui e gli chiederò scusa… ad una condizione, però – l’assecondò lui, mentre un ghigno soddisfatto si impadroniva delle sue labbra.
Gaia lo guardò di traverso, cercando di scoprire l’inganno – Sentiamo qual è! – si arrese infine.
- Voglio venire a letto con te.
La ragazza spalancò gli occhi sorpresa, assunse una varietà di colori accesi sul viso, provò a ribattere, ma dalla bocca uscì solo qualche gorgoglìo senza senso, poi rinunciò a parlare e ammutolì di colpo, senza smettere di fissarlo.
- Vado a mettermi il costume e a preparare lo zainetto – disse, correndo subito su per le scale, imbarazzato.
Non si aspettava una reazione simile da Gaia.
Aveva pensato che provasse a schiaffeggiarlo o, nella migliore delle ipotesi, lo aggredisse con mille insulti, invece era stata zitta, non una parola che assomigliasse ad un “no”, non un segno di ribrezzo o di schifo.
Julian si tolse i calzoni della tuta con mani tremanti e si infilò un costume a pantaloncino nero.
Infilò un asciugamano da spiaggia dentro lo zainetto e corse giù.
Gaia era nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata. Non si era mossa di un centimetro.
- Andiamo? – le chiese, cercando di modulare la voce e non farle capire che anche lui si sentiva scombussolato.
- Lo scooter è fuori – disse lei.
- Senti Gaia… io… io… - voleva dirle che era uno scherzo, che voleva solo prenderla in giro, ma non trovava le parole giuste, perché lui la voleva.
L’aveva capito in quel lungo mese di solitudine.
- Quando? – domandò lei, inaspettatamente e lui capì subito a cosa si stesse riferendo.
Julian deglutì – Un giorno, quando saremo pronti entrambi, quando tu lo vorrai – si trovò a rispondere, invece – Appena vedrò Max farò pace con lui e gli chiederò scusa, va bene? – le si avvicinò e l’abbracciò da dietro.
Gaia sospirò – Abbiamo un patto, Jul.
- Abbiamo un patto – ripeté, stringendola ancora di più a sé.
Lei si appoggiò al suo petto e si lasciò abbracciare – Adesso andiamo al mare, Jul? Perché qui la cosa si sta facendo un po’ troppo seria! – esclamò, ritrovando la sua solita allegria.
Julian non riuscì a trattenere una risata – Certo Mia Signora, la porterò ovunque vorrà, resta inteso che guido io lo scooter! – finalmente la solitudine era finita e non aveva dovuta nemmeno faticare! Avrebbe chiesto scusa a Maximilian, solo perché gliel’aveva chiesto Gaia e non avrebbe nemmeno fatto la figura del pirla, fantastico!
E magari Gaia avrebbe mantenuto fede al patto…
Julian accese lo scooter con un’insolita potenza.
Era felice e avrebbe visto e toccato il mare per la prima volta in vita sua, finalmente!
 
***
 
Gaia si aggrappò a Julian piena di paura.
Quel ragazzo era folle!
Non sapeva usare i freni!
Se continuavano così ci avrebbero messo veramente poco per arrivare al mare, sempre se prima, non sarebbe successo qualcosa di mortale
Aveva scelto una spiaggetta poco frequentata e cercava di dare indicazioni al ragazzo per quanto possibile a quella velocità, ma non l’aveva fatto per nascondersi da chissà chi e nemmeno per non farlo sapere a Max, voleva stare da sola con Julian, vederlo ridere come aveva fatto prima di uscire di casa e come stava facendo adesso, con l’aria calda di agosto che gli solleticava il viso.
Julian si era lamentato più volte, per questo lo sapeva.
Sembra di avere un phon a velocità quattro puntato dritto sulla faccia! – aveva scherzato.
Lei lo picchiava sulla schiena e lui accelerava così doveva (per forza, non per altro…) stringersi di più a lui.
Tutto sommato, aveva fatto la scelta giusta a fingere quel mal di pancia e a dire a Carlotta e Max di andare da soli quel giorno, ultimamente si stava annoiando parecchio con loro due.
Sempre gli stessi discorsi e le solite cose, aveva la necessità di qualcosa di differente.
Aveva bisogno della diversità di Julian, del suo modo particolare di affrontare il mondo, della sua finta cattiveria, perché lei lo sapeva che non era cattivo, lo vedeva nei suoi occhi, quando la guardava, quando le sorrideva un po’ di traverso, quando la prendeva in giro.
Gaia arrossì, ripensando, per la milionesima volta, alla proposta fattagli dal ragazzo.
Perché non aveva detto di no?
Perché non si era indignata, non lo aveva preso a pugni o altro?
Già… non aveva fatto nulla di tutto questo e il motivo lei lo sapeva bene.
Julian le piaceva, aveva qualcosa di misterioso che la incuriosiva, fin da quando erano piccoli.
Max era stato il suo principe azzurro, proprio come quello delle favole, ma dopo avere baciato entrambi… bè… aveva capito molte cose e… aveva cambiato idea, forse
Sì, perché non era ancora sicura sulla storia del principe azzurro…
Nell’ultimo mese, si era chiesta molte cose, aveva analizzato i suoi pensieri uno per uno e la conclusione a cui era arrivata, l’aveva lasciata sbigottita.
E se si fosse sbagliata per tutti quegli anni?
Max continuava ad essere il ragazzo bellissimo dei suoi sogni, ma Julian aveva quel qualcosa in più che lei non riusciva a spiegarsi ed era qualcosa di oscuro, come la passione che le aveva trasmesso con quel bacio.
Aveva desiderato tanto la pace tra i due fratelli, soprattutto per egoismo personale, perché Julian le mancava e voleva che ritornasse a far parte del gruppo.
Oh Dio! Si sentiva così strana.
Non era sua intenzione fare il doppio gioco e, infatti, non l’aveva fatto.
Al contrario di ciò che pensava Julian, aveva raccontato ogni cosa a Max.
Una settimana dopo il fatidico giorno in cui erano andati al mare la prima volta e Max le aveva ordinato che non doveva avvicinarsi a suo fratello, aveva preso il coraggio a due mani e gli aveva detto del bacio del fratello minore e non solo, gli aveva anche spiegato cosa aveva provato confrontando i due baci ricevuti.
Non era stato facile, per niente.
Max non le aveva parlato per un bel po’ di giorni. Aveva fatto fatica perfino a salutarla, ma poi, un giorno, le aveva messo una mano sulla spalla, chiesto scusa e le aveva sorriso – Non sbaglio mai! – le aveva detto, poi era scoppiato a ridere, amaramente.
Non avevano più affrontato l’argomento.
Lui aveva capito e lei anche.
Aveva aspettato per anni su quella panchina il ritorno di Max, ma non era lui che desiderava rivedere con tutta se stessa, ma il fratello minore, quello che l’aveva fatta ridere e arrabbiare. Quello con cui aveva giocato e sognato, costruendo con lui, mondi fantastici fatti di Angeli e Diavoli.
Sorrise ripensando alla fantasia di Julian.
Lei faceva sempre l’angelo e Jul il piccolo diavolo, gli riusciva meglio essere il cattivo della situazione.
Julian parcheggiò lo scooter in tutta fretta, le fece cenno di muoversi, impaziente, poi una volta scesi entrambi, si dimenticò di lei.
Cominciò a correre sulla spiaggia, togliendosi scarpe, calzini e maglietta senza fermarsi, spargendo gli indumenti, qua e là, sulla sabbia.
Non si era degnato nemmeno di prendere il suo zainetto.
Gaia fissò la scena incuriosita, poi scosse la testa, mise la catena al motorino, prese i due zainetti e raggiungendo Julian, recuperò i suoi vestiti, uno per uno.
- GAIA! – berciò Julian che si era bloccato poco prima del bagnasciuga - DAI, LUMACONA, MUOVUTI!
Gaia gettò tutti i loro averi in un unico punto e lo raggiunse, saltellando: la sabbia già scottava.
- Uff, Jul! Quanta fretta! – protestò.
- Dai muoviti… - ripeté lui ansioso, tendendole la mano.
- Si può sapere che cavolo ti prende? – protestò.
Gli occhi di Julian si illuminarono di eccitazione - È la prima volta che vedo il mare – le confidò.
Gaia assunse un’espressione sorpresa. Non disse nulla, allungò semplicemente la mano ed intrecciò le dita a quelle di Julian che gliele strinse forte, poi il ragazzo la trascinò dentro ridendo e alzando mille schizzi.
Non valsero a nulla le sue proteste sull’acqua gelida.
Julian si tuffò senza scioglierla dalla stretta, coinvolgendo anche lei nella la sua eccitazione.
Solo quando furono completamente immersi, abbandonò la sua mano.
Gaia ritornò in superficie per cercare un po’ di aria.
Julian riemerse dopo qualche secondo, spruzzando acqua dalla bocca.
- È veramente salata! – disse, sorpreso.
Gaia scoppiò a ridere – Non dirmi che hai bevuto sul serio! – lo canzonò.
Julian le sorrise e annuì ingenuamente con un’espressione talmente dolce che a Gaia vennero i brividi, poi le si avvicinò lentamente.
Le prese il volto tra le mani e la guardò come se fosse stata il bene più prezioso in tutto l’universo.
- Grazie… - sussurrò, prima di avvicinare le labbra alle sue per baciarla, suggellando per sempre nella memoria della ragazza, il più bel momento che avesse mai vissuto nei suoi primi sedici anni di vita.
Una lacrima scivolò leggera sulla guancia del ragazzo, mescolandosi alle gocce salate del mare, ma questo Gaia non lo vide, perché troppo occupata a registrare ogni secondo di quel meraviglioso momento.



 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 
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FRATELLI DI SANGUE

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Grazie di cuore a PinkyCCh



Eccomi!
Sono stata velocissima questa volta.
Grazie mille per tutti i commenti che mi avete lasciato, sono davvero molto felice.
GRAZIE!
Vi auguro una buona lettura di questo capitolo un po'... bè lascio a voi le impressioni!
Besos MandyCri

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L'undicesimo comandamento


 
§§§



CAPITOLO 7
 
Agosto 2005
 
Dirty, detto anche il Demone Sporco, era il braccio sinistro di Satana.
Era stato lo stesso Re degli Inferi a dargli quel soprannome e lui lo portava con orgoglio.
Non si ricordava nemmeno qual era il suo vero nome.
Lui era Dirty e questo gli bastava.
Perché quel nomignolo? Semplice: la sua pelle era sempre sporca di sangue, anche adesso che era un demone a tutti gli effetti, non riusciva a tenerla pulita, amava il sangue, gli piaceva il suo sapore, non ne poteva fare a meno, era come una droga per lui.
Nella sua vita terrena e, successivamente, in quella infernale, prima di essere trasformato in un vero demone, aveva perso quasi tutti i denti, a forza di far morire le sue vittime a suon di morsi e, ovviamente, questo modo di uccidere gli imbrattava sempre la faccia e il corpo di sangue.
Era diventato demone grazie alla sue capacità assassine e si era fatto strada dal piccolo villaggio delle anime disperate alla reggia del Re, solo grazie alla sua ferocia, cattiveria e furbizia.
Il suo posto accanto a Satana? Meritato.
Poi era arrivato quell’insulso marmocchio di suo figlio che, solo per diritto di sangue, era venerato da tutti quasi quanto il padre.
Quello stupido Mezzo era diverso dagli altri demoni. Aveva gli occhi neri e non rossi e il colore della sua pelle era rosa, senza contare che, all’inizio, non aveva nemmeno le ali! Un vero insulto.
Ogni demone aveva un colore di pelle diverso dall’altro, quello di Dirty era rosso come il sangue, perché, quando era stato trasformato da Satana, aveva appena finito di scuoiare una stupida anima pentita.
L’aveva mangiata con voracità.
Il sangue gli era colato dalla bocca come un fiume in piena e Satana, vedendo quella scena, gli aveva posato la mano sulla testa e gli aveva detto – Dirty, il tuo posto è accanto a me, tu da adesso in poi sarai il Demone Sporco.
Ricordava ancora l’enorme sofferenza provata mentre si trasformava, ma il risultato era stato talmente appagante che avrebbe sofferto in quel modo ogni giorno della sua immortale esistenza all’inferno.
Due enormi ali nere gli erano spuntate dalla schiena, i denti marci e radi avevano lasciato posto ad una dentatura perfetta di zanne appuntite e affilate. Gli occhi erano diventati rossi come il fuoco e potevano vedere oltre ogni aspettativa. Il suo corpo era cresciuto e i muscoli erano stati coperti da una pelle rossa sanguigna e resistente.
All’inizio, aveva avuto qualche difficoltà ad abituarsi alle ali, ma il potere e l’orgoglio che ne erano scaturiti, ripagavano ampliamente ogni disagio, con il tempo, si era adattato e adesso era diventato agile come una gazzella, nonostante la sua muscolatura massiccia.
Dirty si toccò con una mano la schiena.
Non avere le ali gli faceva un certo effetto.
Essere ritornato nel suo corpo umano, lo schifava, ma avrebbe sopportato questo ed altro pur di vendicarsi.
Era riuscito ad arrivare sulla terra, approfittando del varco temporale che aveva aperto Satana per raggiungere suo figlio, solo così i demoni potevano ritornare sulla terra, a parte Julian ovviamente! Lui poteva varcare la soglia dell’Inferno come e quando voleva.
Dirty grugnì risentito.
Quel pivello aveva tutto ciò che lui desiderava e non aveva fatto nulla per meritarselo.
Lui si era sudato le grazie del suo Re, aveva combattuto, massacrato per essere al suo fianco e quello stronzetto?
No, Julian era alla destra di suo padre, solo perché favorito da quel DNA che gli circolava nelle vene.
Era stato il primo a vederlo quando Satana l’aveva portato con sé all’Inferno, perché il suo Signore si fidava di lui.
Aveva scrutato quel fagottino di carne rosa con quel ciuffo di capelli neri e quegli occhi così diversi dai loro e l’aveva odiato fin dal principio.
L’aveva osservato scorrazzare per la valle dei dannati, quando, a mala pena, si reggeva in piedi, la stessa valle che tutti all’Inferno evitavano come la peste.
L’aveva guardato in braccio a suo padre e aveva visto Satana ridere di gusto, quando Julian, ancora bambino, aveva torturato la sua prima anima persa.
Il principe degli Inferi, ecco cos’era, il dannato principe degli Inferi!
Nessuno poteva toccare Julian, altrimenti il Re l’avrebbe punito con durezza e crudeltà.
Dirty non era uno stupido. Sapeva quali erano i suoi limiti, ma dentro di sé covava tanto di quel rancore verso Julian che nemmeno lui era in grado di misurarlo.
In ogni caso, aveva giurato a se stesso che, prima o poi, si sarebbe vendicato.
Quel Mezzo gli aveva rovinato l’esistenza e la reputazione da quando era arrivato.
Prima del suo avvento, Dirty poteva contare sull’appoggio di Satana.
Nessuno poteva guardarlo negli occhi senza il permesso del suo Signore, nessuno gli si avvicinava se non per cose importanti.
Non che adesso la stima che nutriva il suo Re nei suoi confronti fosse calata, ma Dirty si sentiva stretto nel suo nuovo ruolo di terzo incomodo.
Prima c’era Julian e poi lui e questo non gli andava bene.
L’aveva ostacolato in tutti i modi possibili e immaginabili, stando sempre attento a non farsi scoprire da Satana.
Quel Mezzo era un tipo introverso e solitario e queste caratteristiche erano state un vantaggio per Dirty.
Era consapevole che Julian comprendesse l’odio che provava per lui, ma non aveva mai fatto la spia con il padre, nemmeno quando, da bambino, aveva rischiato più volte la morte ad opera di Dirty.
Sinceramente il Demone Sporco non capiva ancora il motivo per cui quel marmocchio non fosse mai corso dal padre per raccontargli tutto.
Julian aveva sempre incassato le botte in silenzio. L’aveva visto più di una volta sputare sangue dalla bocca.
L’aveva sempre picchiato duro con la scusa di addestrarlo, ma se n'era sempre stato zitto.
Erano stati bei tempi quelli degli addestramenti.
Eppure, se ci pensava bene, Julian era cresciuto come un vero principino, riverito e servito da tutti e, strano a dirsi, aveva avuto anche un sincero affetto paterno.
Il suo Signore stravedeva per quell’esserino insignificante.
Solo gli allenamenti avevano minato quella fanciullezza dorata.
Satana gli aveva dato carta bianca pur di far crescere il figlioletto forte, crudele e potente come lui.
Dirty, invece, con quella scusa, aveva solo cercato il modo per toglierlo di mezzo.
Si era divertito con quel marmocchio fino a quando non era diventato un adolescente.
Il Demone Sporco aveva sfruttato, il più possibile, il vantaggio del suo corpo muscoloso e delle sue ali su quel ragazzino.
Non si era creato alcun problema sul fatto che Julian non fosse stato ancora un uomo fatto e finito o che non avesse potuto volare.
Erano all’inferno, mica in un centro estivo!
Ogni tanto Satana faceva la sua comparsa per vedere come andavano gli allenamenti e Dirty evitava di usare tutta la sua potenza con il Mezzo, lo batteva con il minimo di forza necessaria e il suo Signore lo incitava a non essere clemente solo perché era il figlio.
Si sentiva così appagato nel vedere gli occhi di Julian opachi dalla vergogna nel farsi vedere sconfitto dal padre, mentre lui rideva di gusto.
Aveva sempre cercato di annientarlo agli occhi del suo Signore.
Il giorno in cui Julian aveva compiuto sedici anni, però, era finito il suo divertimento.
Il ragazzo non si era più presentato agli allenamenti quotidiani.
Dopo una decina di giorni circa in cui non l’aveva visto, Dirty era andato al cospetto del suo Re e l’aveva informato.
Satana aveva riso di gusto, poi come se lui non fosse altro che un moscerino, l’aveva congedato – Julian non ha più bisogno di te! – aveva annunciato con l’arroganza tipica di chi comanda.
Aveva sentito la rabbia farlo diventare ancora più rosso di quel che già era e aveva stretto i pugni con forza – Mio Signore… - aveva sibilato, senza riuscire a nascondere il suo disappunto – Julian non è ancora pronto!
Satana l’aveva guardato dall’alto al basso – Vuoi la prova, Demone Sporco? – gli aveva chiesto con voce cavernosa.
Al suo cenno di assenso, aveva fatto un cenno a Julian con il mento e il ragazzo si era alzato dal trono affianco al padre e l’aveva raggiunto in mezzo alla sala.
L’aveva osservato schifato.
Era un microbo! Un insulso adolescente umano.
Alto e ben messo per la sua età, ma purtroppo per lui, la metà umana era predominante nel suo fisico.
Questo aveva creduto ingenuamente all’epoca.
- Avanti Dirty, fammi vedere di cosa sei capace. Se sarai meritevole ti risparmierò la vita – l’aveva canzonato con un’arroganza senza confini.
Dirty digrignò i denti radi a quel ricordo.
Maledetto Mezzo!
La prova era durata veramente poco.
Si era lanciato contro Julian con tutta la sua potenza e rabbia, sfruttando la velocità che le ali gli davano e aveva avuto una spiacevole sorpresa.
Dalla schiena del figlio di Satana erano spuntate due maestose ali neri che sfumavano in un argento chiaro sulle punte.
Non aveva mai visto nulla del genere in tutti i secoli che aveva vissuto all’inferno.
I demoni erano tutti alati, ma le loro ali non erano così grandi e imponenti e soprattutto erano monocolore.
Julian aveva fermato il suo attacco con una sola mano.
Dirty non l’aveva nemmeno raggiunto che era stato scaraventato decine di metri indietro e si era trovato a terra con il Mezzo sopra di lui.
- Potrei ammazzarti così, su due piedi – gli aveva sussurrato con aria di sfida il ragazzo.
Aveva cercato di sottrarsi alla sua stretta, ma qualcosa di superiore, oscuro e nascosto gli aveva ostacolato qualsiasi movimento.
Julian gli aveva sorriso storto, dalla sua mano era apparso come per incanto un pugnale che, prontamente, gli era stato attaccato alla gola.
Aveva fissato il figlio di Satana e si era spaventato, quando nei suoi occhi, aveva visto una crudeltà senza fine. Non si sarebbe mai dimenticato per tutta l’eternità quello scintillio malvagio!
Dirty aveva deglutito – Un giorno ti ammazzerò come un cane – era riuscito a dire con voce tremolante, prima che Julian si voltasse verso il padre con fare annoiato e gli chiedesse – Cosa devo farne di lui?
Satana aveva riso sguaiatamente – Signori e signori, questo è mio figlio! – aveva detto con orgoglio – Lascialo vivere Julian, demoni forti e spietati come Dirty non si trovano tutti i giorni.
Il Mezzo si era girato verso di lui – Oggi è il tuo giorno fortunato – gli aveva fatto l’occhiolino e poi il suo viso aveva assunto un ghigno soddisfatto – Non farti illusioni, Demone Sporco! Sono troppo forte per te e sarò io quello che ti ammazzerà come un cane. Quando quel giorno verrà, sceglierò per te il modo più orribile di morire, perché sarà per l’eternità. Ti lascerò qualche istante tra la rinascita e la morte per darti il modo di pentirti per sempre di come mi hai trattato. È una promessa.
Ed era scomparso, come se niente fosse.
Volatilizzato, smaterializzato.
Ancora oggi Dirty soffriva per quella disfatta vergognosa, sarebbe stato meglio morire che essere vivo per la clemenza del suo grande Signore.
Nessuno all’Inferno lo guardava più come prima.
Tutti gli parlavano alle spalle, tutti tranne Satana, perché secondo il modo un po’ contorto di ragionare del suo Re, Julian era diventato così forte grazie alle sapienti lezioni di Dirty.
Ma non era così.
Il Demone Sporco sapeva che i suoi insegnamenti non avevano nulla a che fare con la potenza di Julian.
Lui era così, perché era semplicemente il figlio di Satana.
Gli urletti di gioia della ragazzina lo riscossero dai suoi tristi e tetri pensieri.
Dirty guardò la scena con un ghigno malefico stampato sul viso.
Julian le correva dietro sulla spiaggia, facendo finta di avere delle difficoltà a raggiungerla.
Quando finalmente la prese, la fece cadere per terra e la bloccò con il suo corpo.
La ragazza cercò di divincolarsi dalla stretta, senza molta convinzione e a quel punto il figlio di Satana la baciò.
Il Demone Sporco si leccò prima le labbra secche, poi passò la lingua sulle gengive dure e i pochi denti marci.
Si passò la mano da destra a sinistra sulla bocca e poi l’ammirò.
C’erano ancora tracce del sangue della sua ultima vittima umana. Tutto era esattamente come prima di morire ed andare all’Inferno.
Era ritornato sulla terra e purtroppo non era più un demone, ma almeno adesso aveva la possibilità di vendicarsi e sapeva come farlo.
Quando aveva approfittato del varco temporale di Satana, si era ritrovato in quella che presumeva fosse la casa umana di Julian.
Aveva origliato il colloquio che il suo Re aveva avuto con il figlio e, successivamente, quello di Julian con la ragazzina e aveva scoperto la menzogna del Mezzo.
Era talmente felice di aver scoperto il punto debole di Julian e si stava già vantando con se stesso della sua vittoria che non si era accorto che il varco temporale si era chiuso.
All’inizio si era disperato.
Aveva guardato la sua immagine riflessa nello specchio ed era rimasto sconcertato.
Non aveva più le sue amate zanne, ma qualche dente rado e marcio.
I suoi capelli, se così si potevano definire quei quattro fili unti e grigi che gli ricadevano sulle spalle, erano proprio gli stessi di quando era un dannato umano.
Il corpo sfatto dall’alcool, gli occhi grigi opachi.
Quanto si detestava in quella forma! Tuttavia non aveva tempo di autocommiserarsi, visto che il problema principale era come tornare all’Inferno, nella sua vera casa.
Se poi Satana avesse scoperto che era andato sulla terra senza il suo permesso, sarebbe andato su tutte le furie, ma Dirty, fortunatamente, aveva la carta vincente per rientrare immediatamente nelle sue grazie.
Suo figlio gli aveva mentito e il suo Signore non gliel’avrebbe mai perdonato, anche se era sangue del suo sangue.
Il Demone Sporco rise diabolicamente.
Finalmente la sua vendetta si sarebbe compiuta.
Certo, il suo fisico sulla terra non era forte come negli Inferi, ma anche quello di Julian non lo era.
Era solo un adolescente umano alto e magro.
Julian non aveva mai vissuto sulla terra, non aveva fatto i conti con la sua parte umana, quella che non aveva mai avuto la possibilità di essere sviluppata, vivendo sempre all’Inferno, lui invece all’Inferno ci era arrivato solo grazie alla sua umanità crudele e depravata.
Dirty arricciò il naso felice.
Se lo sarebbe mangiato!
Anzi, prima avrebbe divorato la ragazzina davanti al Mezzo.
Era da tanto che non si sentiva così motivato.
Julian sarebbe ritornato all’Inferno e suo padre l’avrebbe condannato ad una morte eterna e Dirty, finalmente, avrebbe ripreso il posto meritato e suo di diritto, accanto al suo Re.
 
***
 
Maximilian entrò in casa guardingo.
Il fatto che fosse tutto chiuso e avesse dovuto girare la chiave più di una volta nella toppa per aprirla, l’aveva insospettito.
Possibile che Julian fosse uscito?
Ritornò sui suoi passi e si avviò di gran carriera verso la casa di Gaia.
Suonò il campanello con foga.
Nessuna risposta.
Non aveva detto che rimaneva a casa perché stava male?
Un dubbio gli attanagliò il cervello, che fosse uscita con…
Non fece in tempo a formulare quel pensiero che udì a distanza il rumore di uno scooter.
Si nascose dietro un albero vicino e aspettò.
Julian e Gaia scesero dal motorino ridendo, poi suo fratello baciò la ragazza con trasporto.
Max artigliò il tronco con la mano e la fece scendere, imprimendo nel legno le unghie, attanagliato da una gelosia folle.
Non si rese nemmeno conto di ciò che successe dopo, non si accorse che Jul aveva salutato Gaia e non notò che il fratello l’aveva attaccato all’albero, finché non si ritrovò con le spalle addosso al tronco.
- Shhhh – gli mormorò Julian, tappandogli la bocca.
Max spalancò gli occhi attonito.
Cercò di divincolarsi dalla presa ferrea del fratello, ma Julian lo strinse ancora di più – Sei stai zitto ti tolgo la mano dalla bocca – gli disse, fissandolo stranamente.
Maximilian annuì lentamente.
- Sento puzza di demone, Max – gli sussurrò all’orecchio – Smaterializzati e va subito a casa. Io controllo la zona.
 
 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 
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FRATELLI DI SANGUE

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Grazie di cuore a PinkyCCh


Ciao,
spero che questo capitolo vi piaccia, se vi va lasciatemi pure il vostro commento.
Mi piace leggere e ripondere alle vostre domande.
Grazie a chi mi segue, ricorda, preferisce e chi recensisce.
Tra poco l'esteta per Max, Julian e Gaia finirà, chissà cosa succederà, anche perché tra due capitoli, ci sarà un salto temporale, ma non sarà ancora ai nostri giorni.
Buona lettura
Besos MandyCri



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CAPITOLO 8

 

Julian annusò l’aria, poi i suoi vestiti.

Aveva paura di essere lui a sapere quell’odore nauseabondo.

Quella puzza di demone gli era penetrata dentro e non gli dava tregua: doveva trovarlo a tutti i costi.

Perché un suo simile era sulla terra?

Chi l’aveva mandato? Era stato suo padre? E per cosa?

Voleva tenerlo sotto controllo oppure voleva far uccidere Max, perché lui non era ancora stato in grado di farlo?

Gliel’aveva spiegato che non l’avrebbe ammazzato! Gusto?

Forse non si fidava più di lui.

Non voleva essere punito. Non voleva diventare anche lui cieco e nemmeno suo padre lo desiderava, lo sapeva per certo.

Julian era l’unico in tutto l’Inferno che poteva osservare la terra in tutto il suo insieme: le anime buone e quelle cattive che poi sarebbero approdate da loro.

Non voleva perdere quel dono, non poteva rischiare di non vedere più Gaia, quando sarebbe tornato a casa, perché sapeva benissimo che sarebbe arrivato presto quel momento.

Suo padre cominciava ad essere impaziente.

Per dirglielo aveva rischiato grosso, andando sulla terra.

Julian aggrottò la fronte pensieroso, nel frattempo, si mosse agile per la strada, fiutando ed inseguendo quel puzzo che, tra l’altro, gli ricordava qualcosa o meglio qualcuno.

Non l’aveva ancora associato al demone giusto, ma ci sarebbe arrivato prima o poi.

Quel pensiero non lo aveva più lasciato da quando aveva capito che quel particolare odore gli era fin troppo familiare.

Sapeva che non si stava sbagliando. Il demone c’era e lui l’avrebbe scovato.

Quando quel tanfo divenne intenso e penetrante, Julian si fermò.

Si ritrovò nel giardinetto pubblico a poche centinaia di metri dalla casa di Gaia.

Lo ricordava bene, lui e Gaia ci avevano giocato quasi ogni pomeriggio.

Lei gli aveva raccontato i suoi sogni romantici da bambina su Maximilian, lui l’aveva ascoltata.

Alcuni bambini si rincorrevano felici, altri si lanciavano dagli scivoli o si dondolavano sulle altalene.

Quelli più piccoli giocavano sulla sabbia con secchielli e formine colorate.

Le mamme vigilavano, controllandoli a distanza e chiacchierando tra loro. Qualcuna leggeva distrattamente un libro oppure una rivista.

Gli alberi coloravano il paesaggio e il sole filtrava tra i rami, creando un’armonia delicata di luci e ombre.

I giochi variopinti davano una pennellata di vivacità e le urla felici dei bimbi producevano un brusio festoso, un concerto di voci che lo stordiva, ma al tempo stesso, lo affascinava.

Julian si guardò in giro esterrefatto. C’erano anche dei papà che giocavano e ridevano contenti con i loro piccolini e gli si strinse il cuore.

All’Inferno non aveva mai giocato con l’altalena o con lo scivolo, semplicemente perché non ce n’erano.

Non aveva mai interagito con altri bambini, perché era il solo.

Suo padre si era dedicato anima e corpo a lui, l’aveva coccolato, l’aveva tenuto in braccio, a suo modo, l’aveva amato.

Non gli era mancata una figura materna, perché Satana era stato sempre onnipresente, ma adesso, osservare quelle scene gli procurava dolore.

Come sarebbe stata la sua vita se avesse avuto l’opportunità di poter crescere insieme ad altri bambini?

Che sentimenti avrebbe sviluppato?

Sapeva di essere indifferente a tutto, l’unica cosa che lo eccitava e scoccava in lui una scintilla di adrenalina era la competitività.

Sarebbe riuscito ad amare anche lui, se qualcuno glielo avesse insegnato?

Fino al momento in cui non aveva avuto otto anni, tutto sommato, gli era andata bene. Non che suo padre fosse un modello d’amore, ma si era divertito.

Gli aveva insegnato ad uccidere barbaramente, a torturare, a comandare, a non provare nulla di nulla. Il solo per cui era riuscito a provare affetto, se così si poteva definire il rispetto che provava, era stato suo padre. Poi le cose erano cambiate: erano iniziati gli allenamenti.

Quel particolare pensiero gli fece spalancare gli occhi dalla sorpresa: il Demone Sporco… ecco cosa gli ricordava quell’odore!

Erano secoli che non ci aveva più a che fare, da quando cioè, l’aveva battuto.

Satana era stato decisamente orgoglioso di lui quella volta…

Julian aguzzò la vista in cerca di una figura specifica, ma non vide nulla di strano, se non un tizio vestito di stracci, sporco e puzzolente, seduto su una panchina.

Quell’uomo era l’unica cosa che stonava in quel contesto festoso, ma non era che un uomo, appunto.

Suo padre gli aveva raccontato che prima della punizione, angeli e demoni approdavano sulla terra senza alcuna fatica e non era necessario nascondere la loro natura.

Si materializzavano sulla terra nelle loro sembianze naturali e combattevano tra loro.

C’erano state diverse lotte e guerre tra le due fazioni e la terra era un campo di battaglia incredibile.

Morte e disperazione ovunque.

A Julian luccicavano gli occhi, quando suo padre gli narrava del passato. Erano bei momenti.

Appoggiava la testa sulle ginocchia di Satana che gli accarezzava i lunghi capelli neri, mentre gli parlava di epoche remote e andate per sempre, vicende ormai dimenticate dagli umani che spesso erano descritte in libri e racconti di fantasia.

Gli umani, a quei tempi, temevano entrambe le fazioni, perché l’arrivo di un angelo significava che, da lì a poco, sarebbe arrivato anche un demone con intenzioni sanguinose.

Le tre razze non si erano mai mischiate tra loro.

Nessuno aveva messo al mondo dei bastardi, gli unici due erano stati proprio Max e lui.

Julian aveva sviluppato una sua teoria, quando suo fratello gli aveva spiegato come nascevano i bambini: sia angeli che demoni erano morti, per cui il loro seme non era vivo.

Entrambe le fazioni si erano ostinate ad approdare sulla terra nelle loro forme angeliche o demoniache, per cui, anche se si innamoravano i primi e facevano sesso i secondi, non erano in grado di generare la vita.

Poi Gabriele era andato sulla terra in forma umana e aveva costruito una famiglia con Amelia, dal loro legame, era nato Maximilian e, successivamente, era nato Julian dall’unione della stessa donna con suo padre, quando aveva preso le sembianze dell’Arcangelo, dopo averlo ucciso.

Julian si era chiesto più di una volta, perché Dio avesse aspettato tanto, prima di punire Satana e il suo popolo demoniaco.

Perché non aveva lanciato la sua maledizione, quando suo padre aveva ucciso Gabriele? Perché aspettare che ingravidasse Amelia e che lui nascesse?

Non aveva mai avuto il coraggio di fare questa domanda a Satana e, molto probabilmente, quest’ultimo non sarebbe stato in grado di rispondergli.

Julian osservò l’uomo sulla panchina: quello non poteva essere Dirty.

I demoni, dopo la punizione inflitta da Dio, non erano più in grado di tornare sulla terra, non avevano la capacità di creare un portale.

Solo Satana poteva, per una manciata minuti e nelle vesti dell’umano che era stato l’ultima volta ovvero Gabriele.

Se anche Dirty avesse accompagnato suo padre, adesso sarebbe stato di nuovo con lui all’Inferno e, in ogni caso, Julian presumeva che avrebbe avuto l’aspetto del demone che era.

Tuttavia, in quel caso una flotta di angeli sarebbe arrivata per ucciderlo.

Se la sua conclusione era giusta, significava solo che non c’era nessun demone in giro e quell’odore che non gli dava pace era solo una sua fissazione.

E se la maledizione si fosse espansa anche ai demoni superiori?

Se anche loro, una volta approdati sulla terra, avessero ripreso le loro sembianze umane?

Julian non sapeva com’era Dirty da umano. Era stato trasformato in demone molti secoli prima della sua nascita.

Scosse la testa.

Forse l’incontro con suo padre gli aveva fatto venire le manie di persecuzione.

Non esisteva nessun demone sulla terra, erano solo sciocche paure.

Chiuse gli occhi e ringhiò sommessamente.

Aveva paura!

Era la prima volta che Julian provava quel sentimento.

Strinse forte i pugni e si nascose dietro un albero.

Lui era potente, com’era possibile che adesso temesse un misero demone?

Si portò le mani sul viso e se lo strofinò energicamente.

Non aveva paura per se stesso, ma per Gaia e anche per Max.

Adesso non era più solo, c’erano anche quei due nella sua vita e avrebbe dovuto proteggerli, perché loro non erano in grado di sconfiggere un demone, soprattutto se si trattava veramente del Demone Sporco…

Gaia era una semplice umana e Max, bè Max era un angelo.

Buono, gentile e ingenuo.

Non ce l’avrebbe mai fatta ad uccidere un demone minore, figurarsi uno superiore e se uno di loro era sulla terra, la causa non era certo Gaia, visto che nessuno era a conoscenza della sua esistenza. Se un demone era sulla terra, era per Max e per lui.

Julian si guardò intorno e quando vide che non c’era nessuno nelle vicinanze si smaterializzò.

Il suo unico pensiero era tornare da suo fratello.

 

***

 

- Dove sei stato tutta oggi?

Avvertì lo sguardo spaesato di Julian su di lui, ma non distolse gli occhi dal punto indefinito che stava fissando.

Max non vedeva assolutamente nulla.

Cosa stava guardando? Il muro? Un quadro? O una porta?

Sicuramente non voleva avere nulla a che fare con suo fratello in quel momento.

Max disprezzava forse più se stesso di Julian.

La rabbia che provava lo faceva star male, ma non riusciva a sconfiggerla.

Era geloso, invidioso, ostile, insomma, era ubriaco di sentimenti a lui sconosciuti, sentimenti che non facevano parte del suo io.

Suo padre l’aveva avvisato: più prendeva la forma umana e andava sulla terra, più le sue caratteristiche angeliche sarebbero scemate, un po’ alla volta.

Non gli aveva creduto.

Lui non sarebbe mai stato in balia di sentimenti negativi eppure, adesso, si rendeva conto che l’umanità gli stava corrompendo l’anima.

Doveva tornare in Paradiso tra i suoi simili.

Doveva salvare Gaia da Julian.

Se lui che era un angelo provava certi sentimenti a Julian l’umanità cosa gli avrebbe fatto?

Lui era un demone!

Strinse forte gli occhi, mentre il suo battito cardiaco accelerava.

Finalmente si decise a guardare il fratello.

Julian lo stava osservando in silenzio – Stai male? – gli chiese nel suo solito modo indifferente, anche se nel suo sguardo, gli sembrò di scorgere una luce nuova.

- Ti ho chiesto dove sei stato tutto il giorno. – ribadì e la sua voce tradì la rabbia che provava.

Julian allargò le braccia in segno di arrendevolezza – Non ho trovato il demone, forse è stata solo un’impressione. – rispose, eludendo ancora una volta la sua domanda.

- Ti ho chiesto: dove. Cazzo. Sei stato. Tutto. Il. Giorno! – lo aggredì, balzando su dal divano e afferrandogli la maglietta con forza.

Una linea sarcastica dipinse le labbra del fratello minore – Hai detto una parolaccia… - gli alitò in faccia.

Si divincolò dalla sua presa velocemente e, in una frazione di secondo, Max si ritrovò a gemere dal dolore.

Julian gli aveva bloccato con una mano entrambi i polsi dietro la schiena e l’altra l’aveva appoggiata sulla sua testa – Mi basta un solo piccolo movimento e ti rompo l’osso del collo. – sibilò, poi appoggiò le labbra sui suoi capelli.

Julian era più alto di lui di circa quindici centimetri. Gli arrivava al mento e fisicamente era più forte anche se era molto magro.

Max trattenne a stento un brivido.

Aveva visto com’era da adulto.

Aveva notato i muscoli stracciare la maglietta.

Aveva ammirato le superbe ali nere e argento.

Ed ebbe paura.

Doveva assolutamente ritornare in Paradiso. Voleva che Julian rientrasse all’inferno, anche se gli sarebbe mancato, perché gli voleva bene, ma lui era un angelo e doveva pensare prima agli altri e poi a se stesso. Doveva salvare Gaia.

Cosa le poteva offrire un demone?

Gabriele aveva portato Amelia in Paradiso, Julian avrebbe portato Gaia all’Inferno?

Non poteva permetterlo.

- Toglimi quelle luride zampe di dosso! – grugnì.

- Ma come siamo diventati cattivi… fammi un altro scherzetto del genere e sei un angelo morto. Capito? – gli tirò i capelli e Max dovette trattenere un altro lamento.

Non voleva dargli soddisfazione.

- Capito? – ripeté il fratello, strattonandogli più forte la chioma. La sua voce non tradiva più il sottile divertimento che aveva provato prima. Adesso era ferma, decisa, dura.

Max annuì con il viso.

Quando Julian lo lasciò si massaggiò il punto in cui gli aveva tirato i capelli, osservò i suoi polsi arrossati e poi alzò lo sguardo su Julian. Era troppo forte per lui, ne era cosciente e questo lo fece disperare ancora di più, ma rimase zitto, come un codardo.

- Sono andato al mare con Gaia. – gli spiegò il fratello, rispondendo finalmente alla domanda e sedendosi sul divano, poi gli rivolse un timido sorriso – Non avevo mai visto il mare, Max. È stato bello… - borbottò, non riuscendo a nascondere un velo di vergogna, perché aveva appena espresso un apprezzamento.

- Dobbiamo ritornare a casa Jul… - cominciò e si sentì un verme, perché sapeva che stava infrangendo i sogni del suo fratellino – Questo non è il nostro posto. Devi lasciare stare Gaia. Lei è ancora una bambina e tu no…

Julian alzò di scatto il viso e lo fissò con il suoi occhi nerissimi – È una donna! Ha sedici anni. – ribadì convinto.

- È una ragazzina.

- Una ragazza…

- Adolescente, Jul e tu no!

- Anch’io ho sedici anni, adesso! – replicò con lo sguardo acceso.

Max scoppiò a ridere nervosamente – Tu non sei un adolescente! Il tuo corpo è quello di un ragazzo, ma la tua mente, i tuoi pensieri, il tuo io, sono quelli di un uomo secolare… di un demone, Jul! Lei non ha esperienza, lei in confronto a te, è una bambina. Le faresti solo del male.

Julian gli lanciò un’occhiataccia di fuoco – La vuoi per te! – sentenziò – Io non farei mai del male a Gaia, lei… lei… è importante per me… - balbettò, passando dalla rudezza alla vergogna in un secondo.

Max osservò il fratello e le sue guance arrossate gli fecero tenerezza – Jul… - mormorò, andando a sedersi accanto a lui – Tu hai migliaia di anni. Lei è solo una bambina. Se le vuoi veramente bene, lasciale vivere la sua vita. Non ha bisogno di noi per essere felice. Siamo noi che abbiamo bisogno di lei. Lasciarla al suo mondo, sarebbe il modo più giusto per dimostrarle il tuo amore… il nostro amore.

Julian si morse il labbro inferiore – Sei innamorato di lei? – gli chiese.

Max chiuse gli occhi.

Era innamorato di Gaia?

Sì… no… non lo sapeva, ma le voleva un gran bene. Questo era certo.

- Non lo so… - rispose sinceramente – Credo di sì, ma non è questo il punto. Sono geloso, è vero, ma non è per questo che ti chiedo di lasciarla andare… non è perché ha scelto te, anche se non riesco a concepirlo.

Una lieve risata uscì dalla bocca di Julian – Ha gusto la ragazzina… buon gusto.

Max gli diede una pacca sulla spalla – Adesso non vantarti troppo! È corsa dietro a me per anni, si è accorta di te da nemmeno due mesi a questa parte! – scherzò, poi si fece serio – Cosa provi per lei Jul?

- Io non lo so… non ho mai provato niente per nessuno, a parte fastidio per te…

Max arricciò il naso e poi sorrise – Te la passo, ma non dirlo più! – lo minacciò, ridendo.

- Nessuno mi ha mai spiegato cos’è l’amore, Max. Come faccio a risponderti se non so nemmeno di cosa stiamo parlando? Ho visto il mare oggi. Ho sentito il suo rumore. Gorgheggia, Max… quando l’onda arriva alla riva fa grrrrrr…. grushhhh… shuuuu e avrei voluto rimanere per sempre in quel punto ad ascoltare cosa mi stava dicendo, poi ho incontrato gli occhi Gaia e ho sentito il mio stomaco ritrarsi, il mio cuore battere forte e un tremore dentro di me che partiva dalla pancia e saliva fino alla gola e ho pensato: Gaia è ancora più bella del mare e sapere cosa mi vuole raccontare lei è molto più interessante che ascoltare la voce del mare. È amore questo, Max?

Maximilian lo fissò con la bocca spalancata – Julian… - sussurrò – Credo che tu sia…

In quel momento il cellulare del fratello squillò, interrompendolo.

Julian rispose velocemente – Ehi piccola!

Lo vide alzarsi di scatto e cambiare completamente espressione – Dimmi dove sei! Arrivo subito. – disse con un piede già fuori dalla porta.

Maximilian lo raggiunse – Cos’è successo?

Jul si voltò verso di lui, il viso una maschera di terrore, lucidità e cattiveria – Gaia è al parco a correre. Crede che un uomo la stia seguendo. Devo andare!

- Vengo con te. – lo rincuorò – Chi potrebbe essere? – gli chiese, preoccupato.

Il fratello scosse la testa – Non lo so, ma se c’è qualcuno che ha brutte intenzioni con Gaia, è un uomo morto! – rispose con voce dura – Dammi la mano.

Max allungò il braccio verso di lui, non appena si toccarono, avvertì il suo corpo disintegrarsi, mentre la sua mente andava oltre e il pensiero che Julian avesse davvero percepito la presenza di un demone gli fece mancare l’aria.

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


TRAILER
FRATELLI DI SANGUE

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Grazie di cuore a PinkyCCh


Ciao,
mi scuso per il ritardo, ma come già spiegato nelle altre storie che scrivo, gli impegni personali ormai sono quasi ingestibili e non ho più il tempo di una volta, aggiungiamoci la mia proverbiale pigrizia e il dado è tratto.
Grazie a coloro che nonostante tutto hanno tenuto la storia nelle seguite, ricordate e preferite, grazie anche a chi recensisce con costanza e non mi fa sentire sola.
Spero di non deludervi con questo nuovo capitolo.
Tra poco i nostri protagonisti diventteranno adulti e la storia si svolgerà finalmente ai nostri giorni.
Se volete lasciarmi una vostra opinione ne sarò felice.

Grazie a tutti
Besos MandyCri

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Ecco le mie storie in corso
J&J: Jenna & Jack
L'undicesimo comandamento


 
§§§

 

CAPITOLO 9

 

Gaia si girò ancora una volta a guardare l’uomo che la seguiva.

Aveva il cuore che pompava come mai l’aveva sentito in vita sua.

Nonostante sapesse che doveva essere più veloce possibile, che non doveva, assolutamente, perdere tempo e che, anche solo quel piccolo movimento, fosse un ostacolo per allontanarsi il più possibile, non riusciva a controllarlo.

Sentiva le gambe molli e tremolanti.

L’aria le entrava nei polmoni come una frustata e la gola era talmente secca che non riusciva nemmeno a deglutire.

Ogni respiro era faticoso.

Chi era quell’uomo?

Perché la stava seguendo?

E se invece non era così?

Magari, era tutto frutto della sua immaginazione.

Aveva visto troppi film d’azione e troppi horror, probabilmente.

Non riusciva a ripetersi altro. Si dava, in continuazione, della sciocca, annaspando, perché ormai era a corto di fiato.

Aveva chiamato Julian, perché si era sentita indifesa.

Era stata la prima persona a cui aveva pensato.

Non sua madre o suo padre, ma Julian e si era resa conto che considerava quel ragazzo la sua salvezza.

Nonostante tutto ciò che le aveva fatto, nonostante fosse un tipo poco rassicurante e soprattutto, non sembrasse affatto una persona di cui fidarsi, Gaia aveva pensato solo a lui per toglierla da quella situazione.

Julian era forte: lo percepiva. Lei sapeva che era così, anche se non riusciva a darsi una spiegazione, era convinta che quel ragazzo avrebbe fatto l'impossibile per lei.

Quell’uomo la stava inseguendo. Non aveva dubbi, era inutile che si illudesse che non era così. Era quasi un’ora che ce l’aveva dietro e, scioccamente, non era tornata a casa, anzi, al contrario, si era allontanata troppo.

Stupida!

All’inizio le era sembrato perfino impossibile.

L’aveva osservato di sottecchi, quasi curiosa, forte del fatto che nel cielo il sole era ancora alto e che, nel parco, c’era ancora parecchia gente.

Adesso il tramonto aveva lasciato posto alla prima oscurità, le famiglie se ne erano andate e i pochi che, come lei, facevano jogging, erano spariti.

Gaia aveva incrociato lo sguardo dello sconosciuto e il terrore si era impossessato della sua anima.

Non aveva mai visto un essere orripilante come quello. Non aveva mai fissato due occhi così malvagi.

Perfino lo sguardo crudele di Julian era innocuo in confronto a quello del tizio che la stava pedinando.

Gaia sveltì il passo e si ritrovò, suo malgrado, a correre ancora più velocemente, con il fiato sempre più corto e i polmoni bruciati.

Dio! Perché stava succedendo proprio a lei?

Dov'era Julian?

Perché non era ancora arrivato?

Gaia si girò un'altra volta, per vedere se lo aveva distanziato.

Non riuscì nemmeno a mettere a fuoco la figura che si sentì schiacciare per terra.

Avvertì nitido il dolore alle ginocchia, procurato dalla ghiaia del sentiero del parco.

Calde ed involontarie lacrime le sgorgarono dagli occhi e le bruciarono le guance ferite.

Gaia annullò ogni pensiero.

Cominciò ad urlare, scalciare e tremare nello stesso tempo.

- Finalmente, ti ho presa ragazzina! - ghignò l'uomo, soddisfatto – Dove pensi di scappare?

Gaia si ribellò ancora di più – Lasciami! - urlò disperata – Cosa vuoi da me? Chi sei? - si agitò.

Il tizio la prese di forza e la girò supina, si passò la lingua sulle labbra e poi sputò, non colpendole il viso, solo per miracolo.

Gaia deglutì e cercò di reprimere l'espressione disgustata che le era comparsa sul viso.

- Non farmi del male... - lo scongiurò.

- Non ti posso promettere nulla, piccola. - l'apostrofò lui – Dipende dal Principe. Se lui prenderà il tuo posto, vedrai che a te non succederà nulla. Non ce l'ho con te. Non devi prenderla come una questione personale. Di te non me ne frega un cazzo. Voglio la mia vendetta e, purtroppo per te, tu sei il modo con cui arrivarci. Vi ho osservato... se non avessi visto con i miei occhi, non ci avrei mai creduto. Al bastardo importa di qualcuno!

Gaia lo fissò disperata – Di chi stai parlando? Aiuto! Qualcuno mi aiuti! - gridò ancora, con tutta la forza che le era rimasta.

L'uomo le mise la sua lurida mano sulla bocca e gliela tappò – Così però non va bene. Se vuoi che non ti accada nulla, devi collaborare. Non farti nessun film mentale. Non ti toccherò nemmeno con un dito, non sei certamente il mio tipo. Devi temere per altro, non certo per la tua verginità. Sei vergine vero, ragazzina? Potrei strapparti gli occhi, mutilarti o ucciderti, ma di certo, non toccherò il tuo corpiccino acerbo! Quello lo lascio al Principe se gli piacerai ancora, quando avrò finito con te! - la minacciò.

Gaia lo fissò impaurita.

Non l'avrebbe violentata, ma le avrebbe, in ogni caso, fatto del male – Non farmi nulla, ti prego. Farò tutto quello ciò che vorrai. Io non conosco nessun Principe, non so nemmeno di cosa tu stia parlando... - balbettò, sempre più impaurita.

Il tizio scoppiò a ridere.

Gaia si morse le labbra, sempre più impaurita.

- Lo conosci, eccome, lo conosci! - rise l'altro – Quindi tu non sai che Julian...

- Dirty! Lasciala andare!

Gaia si girò e vide Julian e Maximilian a pochi metri da lei.

Cercò di liberarsi dalla stretta dell'uomo, ma questo la tenne ferma – Dove credi di andare? - le soffiò sul viso.

- Jul! - gridò, ma il suono le uscì ovattato e confuso dalla bocca.

L'uomo premette con più forza la mano sulle sue labbra – Taci! - le intimò, poi si voltò verso i due ragazzi.

- Fate proprio una bella coppia voi due! Se non sapessi la verità sul vostro conto, potrei quasi credere che siate veramente fatti della stessa pasta.

L'uomo la guardò e poi scosse la testa – Sei sicura della scelta che hai fatto, bambina? Tu non hai nemmeno idea in che razza di guaio ti sei cacciata! Potevi scegliere il biondino e invece no! Dovevi cadere anche tu ai suoi piedi! Che schifo! - sputò per l'ennesima volta per terra.

- Cosa intendi dire? - gli chiese, tremolante.

Avrebbe dovuto aver paura in quel momento, lo sapeva, ma c'era qualcosa che le sussurrava che doveva sapere cosa quell'uomo intendesse dire con quella frase.

A chi si stava riferendo?

A Julian? E se sì, perché lo chiamava principe?

Ok, quel ragazzo non era certamente il massimo dell'educazione e della gentilezza, però con lei, ultimamente, era sempre carino e se guardava un po' più in fondo, a suo modo, lo era sempre stato.

L'uomo la guardò schifato – Tu proprio non sai un cazzo! Julian è...

 

***

 

- Smettila! - urlò con tutta la sua forza – Non era me che volevi? Sono qui!

Dirty non poteva dire a Gaia chi era veramente.

Fu la prima volta che Julian si vergognò di quello che era, delle sue origini.

Gaia non doveva sapere, si sarebbe allontanata da lui, per sempre.

L'avrebbe escluso dalla sua vita e Julian non lo desiderava affatto.

Quale ragazza con un minimo di cervello sarebbe stata con il figlio del Diavolo?

Si morse le labbra in modo compulsivo, aggrottò le sopracciglia preoccupato e strinse forte i pugni.

Doveva fare qualcosa.

- Lasciala andare. - disse infine, con una calma quasi logorroica.

Max gli prese il braccio e lo strinse forte – Jul... - mormorò.

Scosse il viso – Adesso Maximilian devi fare esattamente tutto ciò che ti dico. - gli sussurrò – Non devi sbagliare.

- Io...

- Fa ciò che ti dico! - ordinò – Non ho tempo di convincerti, devi solo fidarti di me.

Maximilian lo fissò preoccupato, poi annuì gravemente.

Julian guardò Dirty con disprezzo.

Era solo un essere umano, ciò significava che la punizione che Dio aveva inflitto a suo padre, si era allargata anche agli altri demoni, inferiori o superiori che fossero.

Julian socchiuse gli occhi pensieroso.

Come aveva fatto Dirty ad arrivare sulla terra se gli unici due che potevano aprire un portare dagli Inferi alla terra, erano suo padre e lui?

Questo gli sfuggiva.

Il Demone sporco non aveva le sembianze del demone che era, tuttavia era arrivato sulla terra, ma come?

Julian pensò e ripensò.

Come suo padre anche Dirty era l'uomo che era stato prima di morire, non aveva quindi alcun potere, però suo padre si era smaterializzato dopo qualche minuto, mentre lui era ancora sulla terra.

Perché? Ma soprattutto, come aveva fatto ad aprire il portale?

Strinse con più energia gli occhi – Lui lo sa che sei qui? - chiese insospettito, rivolgendosi al demone che continuava a strattonare Gaia.

Dirty si lasciò sfuggire una risatina gutturale – Secondo te?

I tratti del viso di Julian si indurirono ancora di più – Non lo sa! - esclamò, convinto – Hai approfittato della sua distrazione per...

- Credo che siano cose che non ti riguardino! - sputò l'altro, infastidito – Vuoi che lei viva o no? Facciamo questo scambio e finiamola qui! - urlò.

Julian alzò le braccia in segno di resa – Come vuoi. - disse semplicemente – Dammi solo un attimo per salutare mio fratello.

Il demone rise – Ma come siamo diventati sentimentali! Qui sei solo un bambinetto e la cosa mi fa enormemente piacere. Sarà un gioco da ragazzi farti fuori. La pagherai per tutto. Libererò il regno dal bastardo, finalmente! - lo prese in giro.

Julian alzò le spalle e si allontanò di qualche metro, trascinando con sé Maximilian.

- JULIAN! - Gaia lo richiamò – Ti prego non andartene. Cosa sta succedendo?

Si sentì stringere il cuore.

La voce di Gaia era colma di terrore.

Chiuse un secondo gli occhi e poi la guardò con amore – Gaia tra qualche secondo finirà tutto e vedrai che non ti succederà nulla. Fidati di me.

Quando si fu allontano abbastanza, Julian fissò il fratello deciso – Ascoltami bene e senza interrompermi. – lo ammonì – Dovrai essere forte, dovrai saper resistere. Qualunque cosa succeda, non dovrai, per nessuna ragione al mondo, cedere ai tuoi istinti. Combatti il nostro legame con tutte le tue forze. Quando sentirai il richiamo delle ali, opponiti.

Maximilian lo guardò indeciso – Cosa hai intenzione di fare? - gli domandò, preoccupato.

- Lo ucciderò. - rispose conciso.

- Jul...

- È il solo modo per liberarci di lui... Dirty è solo un umano, sarà semplice, ma dovrò trasformami e di conseguenza anche tu sentirai l'esigenza di farlo, ma dovrai resistere, perché non voglio che Gaia sappia nulla. - dichiarò.

- Io posso aiutarti, non occorre arrivare a tanto... - balbettò Max.

- Non c'è altro modo! - lo interruppe – Tu devi solo portare lontana Gaia e non cedere alla trasformazione. Promettilo!

Max scosse la testa – Julian, io...

- Promettilo! - ripeté.

- Te lo prometto. - disse infine il fratello – Però...

- Dille che è la cosa più bella della mia vita. Dille che un giorno tornerò.

Max abbassò gli occhi – L'avventura sulla terra è finita, vero?

Julian annuì gravemente – Non vedo altro modo. Devo ucciderlo e poi ucciderlo, nuovamente, all'Inferno. Non posso lasciarlo libero di poter tornare. Ritorno a casa... - mormorò, poi diede colpetto sulla spalla del fratello maggiore – Visto? Alla fine ti ho lasciato libero di andare...

Max lo guardò tristemente – Mi dispiace... - sussurrò.

Julian cercò di sorridere – I fratelli veri ogni tanto litigano, ma si vogliono bene lo stesso... Sii forte Maximilian, un giorno ci rivedremo.

Max si staccò da lui, con lo sguardo assente, Julian lo riprese e lo trattene, con forza, per un braccio – Pensa a Gaia: lei non deve accorgersi di niente. Giuralo! - gli disse con enfasi.

- Te lo giuro. - sussurrò Max e poi si allontanò.

Julian respirò profondamente.

Si mise le mani nelle tasche dei jeans e assunse un'aria distratta.

Strascicò i passi e si avvicinò a loro – Sono qui.

Gaia cercò per l'ennesima volta di liberarsi dalla morsa di Dirty che, per contro, la strinse ancora di più.

Aveva le braccia tutte arrossate, lividi sulle gambe e escoriazioni ovunque, anche sul viso.

Julian avvertì montare la rabbia dentro di lui, ma cerco di frenare la sua natura demoniaca.

Gli avrebbe inflitto una morte cruenta e cattiva. Non avrebbe avuto alcuna pietà.

Questa era una promessa.

Dirty sarebbe stato l'esempio per tutti gli altri abitanti dell'Inferno.

Nessun demone poteva lasciare gli Inferi. Nessun essere inferiore a lui e suo padre avrebbe mai più disubbidito. Nessuno avrebbe mai più preso iniziative personali.

La morte di quello stupido avrebbe accresciuto la sua fama e suo padre l'avrebbe adorato ancora di più e non avrebbe più avuto dubbi su di lui.

Satana avrebbe lasciato in pace Maximilian con il suo ritorno agli Inferi e Gaia non sarebbe mai entrata nel ciclone dei due mondi.

Gaia non avrebbe avuto più a che fare con lui e sarebbe stata felice di vivere la sua vita terrena.

Avrebbe trovato un bravo ragazzo da amare.

Magari Dio avrebbe concesso a Max lo stesso premio dato, tanto tempo prima, a Gabriele in modo da poter star vicino a Gaia e proteggerla e vivere insieme a lei per sempre, donandole il suo amore.

Le sorrise – Vieni qui Gaia. - sussurrò.

Lei lo guardò e si divincolò dalla stretta del demone, corse verso di lui, gridando il suo nome.

No! Sarebbe tornato da lei.

Gliel'aveva promesso attraverso Maximilian.

Julian chiuse gli occhi, poi si girò verso il fratello che, prontamente, lo raggiunse.

Max afferrò Gaia tra le braccia e la nascose con il suo corpo, impedendole la visuale, nell'esatto secondo in cui Julian si scagliò contro il demone.

La rabbia repressa montò tutta di colpo.

Il corpo divenne adulto e possente. Le ali si aprirono maestose sulla schiena, stracciando la maglietta.

Julian le aprì nella loro massima estensione, due metri di piume nerissime che scintillarono nel cielo, ormai scuro.

Dirty lo fissò terrorizzato – Non è possibile... tu non puoi... - balbettò, indietreggiando impaurito – Tu non puoi... la punizione... tu sei un demone...

Julian rise satanico – No, io non sono un demone. L'hai sempre detto, no? Io sono un bastardo! Mezzo e mezzo.

E si lanciò verso il demone Sporco con tutta la forza che possedeva.

 

***

 

Gaia sentì un urlo disumano.

Cercò di girarsi a guardare, aveva paura per Julian. Max glielo impedì – Dobbiamo andare! Facciamo presto. - disse, risoluto.

L'unica cosa che riuscì a scorgere, prima dell'intervento di Maximilian, fu solo un'enorme chiazza nero e argento.

Non chiese nulla.

Gaia pianse e basta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Ciao,
dopo più di un anno sono tornata con questa storia.
Spero che ci sia ancora qualcuno che la segua!
Più o meno eravamo arrivati al fatto che Dirty, il demone sporco, voleva vendicarsi di Julian e aveva preso Gaia come ostaggio.
Vi avviso che il capitolo non è molto lungo, voi direte: dopo un anno di assenza, potevi fare di meglio, ma ho preferito così, perché secondo me è abbastanza pesante, se lo facevo più lungo sarebbe diventato una palla cosmica!
Che dire... buona lettura.
Besos MandyCri

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L'amore non è bello se non è litigarello

Ho ripreso la saga dei vampiri, per chi fosse interessato.
Era una triologia, da poco ho cominciato il quarto volume, se volete darci un'occhiata.
L'odore del sangue - La maledizione del sangue e della luce



 
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FRATELLI DI SANGUE

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§§§
 

CAPITOLO 10

 

Julian si ritrovò proprio doveva aveva desiderato: nel deserto dei dannati.

I suoi poteri non si erano affievoliti nemmeno un po' stando sulla terra.

Per fortuna!

Aveva trasportato con sé il corpo mortale ed esanime di Dirty.

Non era mai accaduto prima, o almeno da quando lui era approdato all'inferno, ma era a conoscenza della fine che avrebbe fatto il demone, se lui non avesse pensato a “proteggere” quella massa di carne.

In genere, il corpo delle future anime dannate si riproduceva da solo agli inferi, quando gli umani bastardi morivano, ma quell'uomo era già deceduto a suo tempo e Julian sapeva che, se l'avesse lasciato sulla terra, la carne del suo nemico si sarebbe polverizzata e non avrebbe più fatto rientro all'inferno: non desiderava questo, proprio per niente!

Voleva che ritornasse ad essere lo stesso di sempre, con la sua pelle rossa e dura, le corna e il corpo massiccio.

Agognava una vera e propria vendetta che gli sarebbe servita per continuare a vivere all'inferno, se non come prima, ancora meglio, con il rispetto delle anime dannate e, soprattutto, di suo padre che gli avrebbe perdonato così la lunga assenza.

Il demone Sporco non aveva ancora ripreso conoscenza e, tanto meno, le sue sembianze demoniache.

Julian lo trascinò verso la fontanella di fuoco più vicina all'entrata del deserto.

Quella che tutti potevano vedere senza doversi addentrare.

Quel posto era suo e lo conosceva alla perfezione.

Il corpo umano esanime del buon vecchio Dirty alzava folate di polvere e lasciava scie di sangue.

Le escoriazioni sulla pelle debole si moltiplicavano a vista d'occhio e il vestiti si laceravano sempre più.

Aveva calcolato tutto: in caso di necessità si sarebbe smaterializzato e sarebbe arrivato al punto stabilito in un attimo, ma l'avrebbe fatto solo se Dirty avesse ripreso conoscenza prima del dovuto.

Al momento, preferiva trascinare la sua vittima, voleva farlo soffrire il più possibile e ripagarlo con lo stesso trattamento che lui aveva riservato a Gaia, doveva rendergli il triplo di ciò che aveva fatto alla sua ragazza.

Non avrebbe avuto pietà e, purtroppo per Dirty, lui non sapeva nemmeno il significato di quella parola.

Quando vide che il demone stava cominciando la metamorfosi, Julian aumentò il passo.

Arrivò alla fontanella di fuoco che si era prefissato come meta, giusto in tempo: Dirty si era appena svegliato all'inferno e aveva subito il cambiamento nella sua totalità, era tornato, infatti, un demone superiore.

La sua pelle era tornata forte e rossa, le corna erano spuntate, gli artigli erano usciti.

Tuttavia le abrasioni provocate dalla loro piccola passeggiata erano ancora evidenti.

Un grido di dolore squarciò il cielo.

Una piccola folla di anime perdute, si era radunata, appena oltre la linea immaginaria che delimitava l'ingresso nel deserto dei dannati, attirata dal gesto plateale di Julian.

Julian aspettò con la sua proverbiale freddezza: mancava ancora suo padre.

Restò calmo, bloccando il corpo del demone con un piede, per terra.

Quando il Diavolo in persona si materializzò davanti ai suoi occhi, Dirty aveva ripreso completamente conoscenza e Julian non aspettò un secondo di più e sferrò il suo colpo mortale.

Lo issò in piedi, in modo da guardarlo dritto negli occhi e gli entrò nel petto con un pungo. Lo trafisse, scavò a fondo dentro il torace con gli artigli, spaccandogli tutte le costole necessarie, per far passare la sua mano – Sei accusato di alto tradimento. - sentenziò – E questa è la tua condanna.

Prelevò il cuore nero del demone Sporco e lo issò sopra la sua testa, le sue mani erano impregnate del sangue scuro e denso di Dirty che sembrava quasi petrolio.

Fissò disgustato le gocce che scendevano e cadevano a terra, schiantandosi al suolo con un rumore sordo.

Un ticchettio fastidioso.

Plac, plac, plac...

- Che questo sia di lezione a tutti! - lanciò il cuore nella fontanella e poi vi spinse anche il corpo.

La fiamma divampò e si colorò di nero, mentre l'odore di carne bruciata coprì ogni fetore presente.

I suoi occhi scuri cercarono quelli del padre e scintillarono di fierezza non appena videro lo sguardo compiaciuto di Lucifero.

Alzò le braccia al cielo per accogliere l'approvazione del padre e per mostrare a tutti gli abitanti dell'Inferno la sua potenza.

Le ali nere con i contorni argento si aprirono in tutta la loro maestosità e un sorriso diabolico gli dipinse il viso.

Dirty sarebbe stato condannato per sempre ad una morte atroce.

Sarebbe rinato all'inferno vicino a quella fontanella, il cuore gli sarebbe uscito dal torace e poi sarebbe arso vivo, fino alla morte per poi risorgere e morire nuovamente, con la stessa medesima crudeltà, per sempre, per tutta l'eternità.

Julian si girò a guardare le anime dannate che mormoravano spaventate, lasciò le ali aperte, perché sapeva che incutevano loro terrore.

Li fissò con gli occhi iniettati di malvagità e loro abbassarono lo sguardo, intimiditi.

- Nessuno si deve mettere contro mio padre e me, nessuno! Un demone superiore è stato finito in un attimo per aver approfittato del varco aperto da mio padre. L'ho scovato sulla terra e l'ho punito in nome del nostro unico e immenso Signore. Che sia un'anima perduta, un demone inferiore o superiore è sempre una nullità in confronto alla potenza e alla forza del Diavolo. Sono suo figlio e sono nato per servirlo. Non ci sarà pietà per nessun traditore. Nemmeno chi siede vicino a mio Padre avrà una via preferenziale. L'avete visto tutti. Il demone Sporco era come un figlio per Lucifero, ma ha avuto la fine che si meritava. Mio padre è l'unico Dio.

Rimasero tutti in silenzio.

Suo padre si avvicinò e gli sorrise – Ben tornato, ragazzo mio. - e lo abbracciò, stringendolo forte a sé.

- Questo è mio figlio! - lo osannò davanti a tutti, alzandogli il braccio come se avesse vinto una battaglia – Il demone Sporco era scomparso da diversi giorni, mai avrei pensato ad un tradimento da parte sua. L'ho trattato quasi come un figlio e lui ha osato approfittare della mia bontà, ma fortunatamente c'è Julian. State attenti quindi. Qui all'inferno nulla mi sfugge, ma sappiate che gli occhi di mio figlio arrivano dove i miei, in seguito alla punizione di Dio, non vedono. Non voglio più sentire nulla nei suoi confronti. Chiamatelo ancora “bastardo” e questa sarà la vostra fine.

Proprio in quel momento l'anima di Dirty si materializzò.

Fissò inorridito Julian, poi si toccò il petto, come per tenersi il cuore, ma quest'ultimo uscì lo stesso dalle costole, fracassandogliele.

Il demone Sporco provò a parlare, ma il dolore lo pervase e lui urlò, lo sguardo terrorizzato nell'attesa di essere bruciato vivo.

Il Diavolo rise – Bravo Julian, una punizione esemplare, che sia di monito a tutti! - e si smaterializzò, ridendo sadicamente.

Julian guardò la folla che si era riunita e avanzò con la testa alta.

Le anime si divisero per farlo passare e si inchinarono al suo passaggio, ma questo non lo rese felice.

I pensieri gli si arrovellarono nella mente.

Maximilian era stato in grado di trattenere le ali e di mantenere così il loro segreto?

Gaia stava bene?

Suo fratello le aveva detto che sarebbe tornato da lei?

Julian sapeva che non poteva tornare subito sulla terra.

Suo padre era andato a cercarlo proprio perché lo voleva accanto a sé.

Tornando, aveva salvato sia Max che Gaia, sapeva che era stata la scelta giusta, tuttavia, non si sentì sollevato per niente.

Essere nuovamente all'inferno, gli aveva procurato una strana sensazione.

Le emozioni che aveva provato sulla terra, si stavano dissipando velocemente, ma ciò che aveva provato per Gaia era ancora vivo dentro di lui.

Anche il bene che sentiva per Maximilian era rimasto illeso, ma sensazioni come gioia, tenerezza e perfino gelosia o fastidio stavano morendo.

Sarebbe tornato ad essere quello di sempre, un bastardo privo di sentimenti.

Julian si sentì sopraffatto dalla stanchezza e volò, letteralmente, al castello del Diavolo, spiegò le sue immense ali e si librò nel cielo grigio dell'inferno.

Aveva bisogno di dormire.

Quando si svegliò gli sembrò di essersi assentato per un eternità.

Uscì dalla sua stanza con passo sicuro, i servi si inchinarono al suo passaggio, Julian sbadigliò.

Appena fu lontano dagli sguardi di tutti, Julian si smaterializzò, per riapparire un istante dopo nel posto in cui un tempo suo padre gestiva gli uomini sulla terra, prima che i suoi occhi diventassero ciechi.

Julian fissò lo specchio d'acqua cristallina e vide la terra.

Chiuse gli occhi e si concentrò su Gaia.

Quando li riaprì la pozza stava trasmettendo l'immagine della ragazza.

Julian allungò la mano per toccarla e l'acqua distorse la figura della sua amata.

Deglutì.

Poteva guardarla, occuparsi di lei a distanza, ma non l'avrebbe più potuta toccare.

Aspettò con pazienza che le piccole onde, create dalla sua mano, si acquietassero, finché Gaia fu nuovamente nitida.

Quanti anni erano passati?

Il tempo all'Inferno trascorreva più velocemente che sulla terra.

I minuti erano giorni, i giorni erano mesi, i mesi anni, ma lui non ci aveva mai dato importanza, forte del fatto che poteva gestire passato, presente e futuro a suo piacimento, forte del fatto che lui era eterno.

Poteva ritornare nel passato, vivere il presente, sbirciare il futuro degli uomini.

Quando Julian guardava nella pozza che gli dava accesso alla terra, il tempo all'Inferno si congelava e i due mondi si allineavano.

Gli umani che aveva visto nella pozza erano perfetti estranei, non si era mai interessato alla vita di nessuno di loro.

Guardava e capiva chi di quelle persone sarebbe andata all'inferno, poi lo riferiva a suo padre.

Il Diavolo gli faceva passare ore e ore a scrutare la pozza, così il suo tempo l'aveva passato in quasi totale “armonia” con i mortali.

Non aveva mai capito l'importanza del tempo, perché chi come lui era un immortale, non ci faceva caso.

Non poteva capire che assentarsi per qualche ora per un uomo significava trascorrere mesi e mesi di vita e magari, al suo ritorno, quest'ultimo non c'era più.

Per la prima volta Julian si rese conto di quanta importanza avesse il tempo per gli umani.

Gaia si era tagliata i capelli. Le coprivano a malapena le orecchie ed erano scomposti in piccoli rossi ricci ribelli.

La corporatura era più matura.

Non era più l'adolescente che aveva lasciato: adesso era una donna.

Quanto tempo era passato?

Julian si prese il volto tra le mani con disperazione e, per la prima volta, si sentì impotente.

Aveva perso anni preziosi accanto alla donna che amava.

Chi era adesso Gaia?

Pensava ancora a lui?

Aveva un uomo al suo fianco?

Aveva condiviso con un altro ragazzo ciò che sarebbe dovuto essere suo?

Quel pensiero lo annientò.

Gaia stava passeggiando sola, per le strade della cittadina in cui aveva vissuto anche lui.

Era avvolta in un buffo cappotto a quadrettoni neri e bianchi e aveva una pesante borsa in jeans a tracolla.

Seguì il percorso della ragazza.

Gaia si fermò davanti ad uno stabile di pietra bianca.

Julian sapeva che era la sede dell'università di lettere e filosofia della sua città.

Era diventata grande.

La ragazza non entrò e si bloccò davanti al portone dell'edificio.

Rimase lì, in un angolino, come in attesa.

Dopo qualche minuto la vide sorridere.

Un ragazzo insignificante le si avvicinò e la baciò sulla bocca.

Julian fissò incredulo l'immagine dei due e si sentì crollare il mondo addosso.

Era passato pochissimo tempo per lui, mentre per Gaia erano trascorsi anni.

Per quanto questo pensiero dovesse farlo star meglio, si sentì invaso dalla nausea.

Immerse la mano dentro l'acqua e cancellò la visione, creando delle piccole onde.

Poi si concentrò su Gaia e cominciò a riguardare la vita del suo unico amore, dal momento in cui l'aveva abbandonata.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Ciao a tutti!
Dopo mille anni rieccomi qui con questa storia.
Vorrei poter dire di essere più costante, ma non sarebbe una promessa che potrei mantenere, quindi capisco se molti se ne andranno e non avranno la pazienza di aspettare i miei tempi lunghissimi.
Grazie comunque a chi è rimasto e a chi ha commentato.
Ammetto che ho ricevuto alcune recensioni proprio in questa storia ultimamente che mi hanno dato la forza di continuare a scriverla.
Quindi grazie di cuore.
Che dire...
Il gruppo è sempre lo stesso L'amore non è bello se non è litigarello.
Ho una nuova storia nel romantico che mi appassiona e se vi va di farci un salto questo è il link Segreti, bugie e sogni.
Termino qui...
Grazie di esserci sempre e comunque.
Buona lettura.
Besos MandyCri

 

§§§



CAPITOLO 11

 

Novembre 2010

 

Gaia espresse un desiderio, guardò per un attimo Carlotta che scosse leggermente il viso e spense le candeline in un solo colpo.

Speriamo che il mio desiderio si avveri, questa volta... pensò, tristemente.

I suoi genitori applaudirono e Daniele, il suo ragazzo, la baciò sulla bocca.

Carlotta partecipò con poco entusiasmo.

La sua migliore amica non era cambiata molto negli ultimi cinque anni.

Era rimasta sempre la stessa ragazza senza peli sulla lingua, ma aveva imparato a non commentare più, quando nell'aria aleggiava quel nome impronunciabile.

L'innominabile per definirlo in stile romanzesco...

Gaia non era riuscita ancora a dimenticare cosa era successo quella sera di cinque anni prima, quando quell'uomo schifoso l'aveva aggredita.

Maximilian le aveva fatto promettere di non dire ad anima viva ciò che era successo, soprattutto, quando lei aveva dichiarato di voler andare alla polizia.

Non l'aveva fatto e continuava a non capire, perché il ragazzo le avesse detto di mantenere quel segreto.

Cosa c'era da nascondere? Un uomo l'aveva assalita e Julian ci aveva fatto a botte! Era giusto denunciarlo!

Peccato che poi Jul era sparito nel nulla e, di lì a poco, anche Max si era volatilizzato!

Aveva mantenuto la parola data nella speranza che i due fratelli sarebbero ritornati, che Julian sarebbe tornato, ma non era stato così, erano passati giorni, settimane, mesi ed infine anni, ma non si era più fatto vivo nessuno.

Gaia ci pensava ogni giorno.

Chi era il cretino che aveva detto: il tempo lenisce ogni ferita?

Non era assolutamente vero!

Non aveva ancora perdonato Julian per averla abbandonata.

Max le aveva detto, prima di sparire a sua volta, che suo fratello aveva giurato di ritornare da lei, ma erano passati troppi anni, senza nessun segno da parte di Julian e tanto meno di Maximilian.

Lei si era affidata, aveva creduto a quelle parole.

Dopo un po', aveva deciso di smettere di pensare ad entrambi, ma la mente e l'anima avevano due vite separate, dato che la speranza era sempre lì, pronta a ferirla, a mangiarle il cuore e questo era un piccolo dettaglio che le faceva capire molto bene che, nonostante la buona volontà, certe conclusioni non si potevano prendere a tavolino.

Aveva sperato di incontrare nuovamente Julian ad ogni ricorrenza importante: il giorno del suo compleanno, il suo diploma, Natale…

Non si era mai fatto vivo, in nessun modo.

Non un messaggio, non una telefonata, figurarsi una visita.

Cinque anni… e lei era ancora lì ad attenderlo.

Carlotta aveva ragione: era penosa, per non dire patetica.

Cosa le mancava?

Aveva due genitori fantastici, un’amica stupenda, un ragazzo carino e gentile, tante conoscenze con cui svagarsi, all’università andava tutto per il meglio eppure si sentiva insoddisfatta.

La sua famiglia le aveva preparato una festicciola a casa in pausa pranzo, poi la sera, avrebbe festeggiato insieme a Daniele, Carlotta e il suo nuovo ragazzo Mauro.

Sarebbero andati all’Inferno.

Non ci era più tornata dopo la scomparsa dei due fratelli.

Carlotta l’aveva obbligata a quella scelta – Credo sia arrivato il momento di voltare pagina e prima affronterai i tuoi demoni interiori e prima potrai andare avanti con la tua vita. Daniele è un ragazzo stupendo, ma tu sei ancora così presa da un amore che è esistito solo nella tua mente che non riesci a renderti conto di ciò che ti circonda. – l’aveva rimproverata.

Aveva ragione.

Aveva solo sedici anni, quando aveva baciato Julian e, tra loro, c’erano stati solo degli stupidissimi e semplici baci.

Aveva fatto esperienze più “importanti” con Daniele.

Gli aveva donato qualcosa che era unica e non avrebbe più potuto dare a nessuno.

Aveva fatto sesso con lui e con Julian cosa aveva condiviso? Niente!

Ricordò la scampagnata al mare e una fitta di dolore le trafisse lo stomaco...

Poteva dare più importanza ad una gita, rispetto alla sua prima volta?

Cosa c'era in lei che non andava?

Secondo il suo modesto parere, tutti sopravvalutavano il sesso e, per dirla tutta, lei non aveva mai provato nulla che fosse minimamente paragonabile a ciò che vedeva nei film e, tanto meno, leggeva nei libri.

Nel modo più assoluto.

Era insieme a Daniele da ormai quattro anni e, forse, non sapeva ancora cosa significasse avere un orgasmo.

Aveva avuto anche una piccola storia clandestina con un altro ragazzo, quando lei e Daniele si erano lasciati per un breve periodo.

Aveva fatto l’amore anche con Paolo, ma a parte l’eccitazione per la novità, non aveva provato chissà cosa.

Quei preliminari lunghissimi di cui aveva letto in lungo e in largo nelle varie saghe e libri d’amore non erano che delle spudorate invenzioni e, per quanto Carlotta esaltasse i suoi partner, nemmeno l’amica era convinta che quelle cose che leggevano erano davvero reali.

Eppure quando Julian l'aveva baciata, la terra sotto i suoi piedi si era aperta.

Nessuno gli aveva più dato quella sensazione di calore, quel coinvolgimento emotivo che quel ragazzo con quegli occhi così unici le aveva donato con un semplice bacio.

Scrollò la testa e cercò di restare con i piedi ancorati per terra, dedicandosi a coloro che avevano trovato un po’ di tempo per festeggiarla e farle sentire il loro amore, non uno stupido spilungone con le iridi contornate d'argento!

Erano quelle le persone che le volevano bene e non quel ragazzo dai lunghi capelli neri che l’aveva abbandonata per la seconda volta.

 

 

Si era pentita di non aver ascoltato i suoi genitori e non aver approfittato del loro passaggio.

Il pomeriggio come sempre, si recava alla libreria e dava loro una mano.

Amava quel lavoro e, una volta terminata l’università, voleva lavorarci a tempo pieno, così magari, i suoi genitori avrebbero potuto svagarsi un po’.

Suo padre non era d’accordo su quella scelta, ma alla fine, avevano trovato un compromesso: lei doveva frequentare l’università e prendere la laurea e lui l’avrebbe accettata come socia della loro piccola attività.

Gaia adorava i libri.

Fin da quando era piccola era stata circondata dalla carta e ne era stata attratta.

Lavorare nella libreria di famiglia sicuramente non l’avrebbe fatta diventare ricca, ma sarebbe stata felice in un ambiente amico e familiare.

Il profumo dei libri era qualcosa di prezioso per lei.

Ogni volta che entrava in negozio, si fermava ad annusare l'aria, facendo profondi respiri.

Beava i suoi occhi con le copertine colorate dei libri e toccava con mano la carta ruvida.

Tutto ciò che la circondava in negozio le donava un senso di pace che non riusciva a trovare da nessun'altra parte e solo in quel luogo magnifico riusciva a dimenticare Julian.

Faceva spesso tardi, ma in genere tornava a casa con suo padre oppure era Daniele che l'andava a prendere.

Quel giorno non c'era nessuno.

I suoi erano usciti poco dopo l'orario di chiusura e il suo ragazzo non era andata a prenderla, sicuro che lei non si sarebbe trattenuta fino a tardi, dato che era il giorno del suo compleanno e si doveva preparare per la serata in discoteca.

Gaia chiuse la porta a chiave, abbassò le saracinesche e le assicurò con il lucchetto, infine inserì l'allarme.

Si avviò spedita verso casa.

Il negozio distava circa due chilometri dall'abitazione.

Quel percorso l'aveva fatto un milione di volte, ma mai da sola, soprattutto dopo la brutta esperienza di cinque anni prima.

Senza rendersene conto, sveltì il passo e cominciò a sobbalzare ad ogni piccolo rumore.

La notte era già calata e, nonostante l'illuminazione, tutto le sembrava tetro e sinistro.

Le automobile le sfrecciavano a pochi metri di distanza e Gaia si girava in continuazione per essere sicura che nessuno la seguisse.

Maledisse per l'ennesima volta se stessa per essere rimasta oltre l'orario di chiusura.

Uno moto nera le passò accanto.

Gaia inghiottì paurosa e cominciò a sudare freddo.

Non aver paura!, ripeté a se stessa per l'ennesima volta.

Tuttavia quando vide un'altra moto nera venire nella direzione opposta, Gaia cominciò a tremare.

Non è la stessa!, pensò, ma il tipico rumore di un bimotore le arrivò nuovamente alle spalle e, quando la sorpasso, vide che si trattava sempre di una motocicletta nera.

Gaia si bloccò impaurita.

Cercò di pensare, mentre il panico le divorava lo stomaco.

Cosa doveva fare? Correre?

Pensava di aver superato l'aggressione, ma si rese conto che non era così.

Del resto come avrebbe potuto, se le uniche due persone che sapevano cosa era successo, erano sparite nel nulla?

Un nodo le serrò la gola e, presa dal panico, cominciò a correre disperata nella direzione opposta a casa sua.

Poteva ritornare in negozio e poi chiamare e farsi venire a prendere, oppure poteva far scattare l'allarme in modo da spaventare quell'uomo vestito di pelle nera.

Sentì la gola pungerle e l'aria mancarle.

Doveva correre più che poteva, ma non era allenata.

Carlotta la prendeva sempre in giro e la chiamava la “morbidosa” per via della sua innata pigrizia e la poca dedizione allo sport.

Gaia non si riteneva grassa, non era nemmeno magra: giusta era la parola corretta, ma promise a se stessa che si sarebbe iscritta a qualche corso per potenziare la sua resistenza fisica che, al momento, era pressoché nulla.

Corse a perdifiato, ma il rombo della moto si fece vicino in pochi istanti e per poco non la fece cadere per terra, quando le si parò davanti, ponendo fine, in pochi attimi, alla sua corsa disperata.

Guardò terrorizzata l'ombra scura davanti ai suoi occhi.

Il cuore le usciva dal petto per lo sforzo e per il panico.

Gaia indietreggiò impaurita.

Era in trappola, non sarebbe mai riuscita a farla franca.

L'uomo spense il motore della moto e la guardò attraverso il vetro scuro del casco.

Chi era? Cosa voleva da lei?

- Non dovresti andare in giro da sola a quest'ora! - la rimproverò una voce bassa e profonda e vagamente familiare.

Gaia sussultò... non era possibile, non poteva essere lui.

Non disse nulla, arretrò ancora di qualche passo.

Il ragazzo probabilmente si accorse che era spaventata e si tolse il casco.

Lunghi capelli neri gli scivolarono sulle spalle e due occhi acuti dello stesso colore, ma con un bellissimo contorno argenteo la fissarono – Ciao Gaia. - disse semplicemente.

Gaia non riuscì a proferire parola.

Lo guardò senza riuscire a credere davvero a ciò che stava vedendo.

- Speravo in un'accoglienza più sentita! - esclamò il ragazzo.

Lei rimase muta.

Julian scese dalla moto e la issò sul cavalletto, poi la raggiunse in tre passi.

Stava sognando.

Non era lui...

L'unica cosa che riuscì a fare, fu indietreggiare ancora, ma lui avanzò verso di lei.

La rabbia repressa in tutti quegli anni la colse all'improvviso e non riuscì a bloccarla.

Si scagliò su di lui e cominciò a tempestarlo di pugni violenti.

Non sapeva se gli stava facendo male o no, voleva solo sfogarsi, rendergli tutto il dolore che aveva patito lei in quei lunghi cinque anni.

Quando la stanchezza prese il sopravvento, Gaia scemò i colpi e cominciò a piangere.

Aveva tanto sperato in un suo ritorno, perché adesso si stava comportando in quel modo?

Aveva soffiato le candeline per cinque anni, pronunciando sempre lo stesso desiderio silenzioso.

Fa che Julian ritorni...

Lo odiava con tutta se stessa e lo amava ancor di più.

Julian... c'era solo Julian nella sua mente, nel suo corpo, nella sua anima, ma lei sapeva come sarebbe andata a finire.

La storia si era già ripetuta.

Non poteva fare affidamento su di lui.

Julian l'abbracciò, possessivo – Ti sei sfogata abbastanza? - le chiese.

- No! - rispose secca.

Julian le prese le spalle e l'allontanò da sé, le asciugò le lacrime e le sorrise – Sei diventata bellissima. - disse e poi l'attirò di nuovo e la strinse come se tutto quel tempo per lui non fosse mai passato – Mi sei mancata tantissimo Gaia... - sussurrò, tra i suoi capelli.

Mai quanto tu a me, stupido idiota!, pensò lei.

- Ti porto a casa. Non mi va che te ne vai in giro da sola.

Gaia lo fissò allarmata – Non puoi! Sono cambiate tante cose... ho un ragazzo.

Julian arricciò il naso e sogghignò – Certo... il tuo ragazzo sono io! - affermò deciso con la solita arroganza che ricordava molto bene.

- Sei stato via così tanto... - perché poi si stava giustificando? - Il mio ragazzo si chiama Daniele e non sei tu! - riprovò con più fermezza.

Julian la fissò con uno strano sguardo – Adesso sono tornato. Puoi anche lasciarlo! - disse – Andiamo ti porto a casa. Dove festeggiamo questa sera? Tra non molto arriverà anche Maximilian.

Si avviò verso la moto e si vi si mise a cavalcioni – Cosa aspetti?

- Non funziona così, Jul! - ribatté lei, indispettita – Non è che torni qui dopo cinque anni e tutto è rimasto come allora. Sono cambiate tante cose. Io sono cambiata!

- Sali. - ordinò.

Gaia piantò a terra i piedi e mise le mani sui fianchi – Perché non mi ascolti?

- Sali.

- Sono senza casco. Non posso!

- Non ci fermerà nessuno. Te l'assicuro. Adesso ti porto a casa e poi festeggiamo insieme il tuo compleanno. Non me ne frega un cazzo del ragazzetto con cui stai adesso. Tu sei mia e lo sarai per sempre!

La voce di Julian era pacata, ma Gaia avvertì una forte predominanza di rabbia.

C'era sempre quella cosa in lui che le sfuggiva.

Non era mai stato un ragazzo dolce, ma alcuni lati del suo carattere, a suo tempo, le sembrava si fossero un po' smussati.

Avrebbe dovuto ricominciare da capo con lui.

Sembrava quasi avesse perso quel briciolo di umanità che aveva conquistato cinque anni prima.

Lo guardò intensamente – Tu mi vuoi davvero bene Julian? - gli domandò.

- Fai domande stupide. Se non te ne volessi, non sarei qui.

- Stupide? Davvero? Perché non mi hai mai chiamata allora? Perché mi hai abbandonata, dopo ciò che era successo?

Lui la fissò con astio – Quello che è successo dopo l'aggressione, l'ho fatto solo per te... solo per difenderti e per assicurarmi che non ci fossero conseguenze! - urlò lui.

- Mi stai parlando di cose che io non so! Non so cos'è successo dopo. Non so di che conseguenze stai blaterando, non so nulla di nulla! - lo aggredì.

- E non devi saperlo...

- Già... non devo, però adesso ti devo seguire senza battere ciglio. Devo rinunciare alla vita che mi sono costruita, devo dimenticare il dolore che ho provato, solo perché tu hai deciso di tornare... - mormorò avvilita.

- Questa è la vita che ti posso offrire al momento. Una vita piena, ma fatta solo di attimi... se li vuoi cogliere, sali su questa moto, altrimenti vivi la tua esistenza, ma non pensare più a me...

- Quando te ne andrai questa volta? Perché te ne andrai, vero?

Julian distolse lo sguardo.

Se ne sarebbe andato e non faceva nemmeno nulla per nasconderlo.

Una vita di attimi intensi...

Gaia lo scrutò a fondo.

Era ancora più maestoso di quel che ricordava. Non era più magro come a sedici anni, adesso era quasi un uomo.

Le spalle si erano allargate.

I muscoli si erano inspessiti.

I capelli erano più lunghi, lisci, ludici e neri.

Gli occhi erano così scuri che la pupilla si confondeva con l'iride e c'era quel cerchio argento che lo caratterizzava e che l'aveva sempre lasciata senza fiato.

Cosa avrebbe dato per provare ancora una volta la sensazione già sperimentata nel baciare Julian.

Nemmeno il sesso le aveva dato delle emozioni così profonde.

Cosa sarebbe stato di lei se avesse fatto l'amore con lui?

Avrebbe scoperto il piacere del sesso?

Si avvicinò al ragazzo – Devo essere impazzita... - sussurrò, salendo sulla moto dietro a Julian.

Julian sospirò – Dove si va questa sera, allora?

- All'Inferno. - rispose lei.

- Bel posto! Maximilian ne sarà felice. - ridacchiò lui.

 

 

 

 

 

 

 

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