Droid

di Fantfree
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Imprigionati dentro Utopia ***
Capitolo 2: *** Buio e luce ***
Capitolo 3: *** Il primo approccio ***



Capitolo 1
*** Imprigionati dentro Utopia ***











Questa è la prima storia fantascientifica che scrivo, spero che vi piaccia!





DROID













<< Oggi è l'ultima volta che ci vediamo. >> Mi disse lei piangendo e abbracciandomi.
<< Ah, sì, per quella stupida protesta che ci impone di non vederci più. Noi e voi reali. >> Le risposi io altrettanto triste.
<< Qui avevo trovato tutto ciò di cui avevo bisogno, possibile che quella stupida protesta ormai legge da domani imponga di non... >> Si interruppe. Rimasi in silenzio perchè doveva soffrire molto.
<< Mi dispiace ma non ho più molto tempo. >> Disse lei voltandosi per non farmi vedere il suo volto triste. Voleva che di lei rimanesse un bel ricordo. Ma ricordo per me in quel momento così critico non poteva più essere niente da un momento all'altro.
<< E di noi altri che cosa ne sarà? >> Sapevo che era finita, che non c'era più niente da fare. A noi era permessa la speranza per credere in un progresso migliore ma ora?
In quel momento si aggrottò. Poi pianse molto forte. Ascoltai quei suoi ultimi lamenti di dolore e rimasi zitto. << Mi dispiace ma è finita. >> Poi si buttò a terra.
No, per me non c'era niente da fare, ero intrappolato lì ma sapevo che per lei c'era ancora una speranza. E sapevo che se fosse rimasta lì avrebbe potuto fare una brutta fine.
<< Ora va' e ricordati di me. >> Le dissi abbracciandola.
<< Per sempre. >> Mi rispose lei in lacrime. Poi sentimmo la voce principale che diceva: “I gamers sono pregati di abbandonare la sede entro cinque minuti.”
<< Hai sentito? Ora vai o rischi di scomparire per sempre. >> Le dissi con lo sguardo basso.
<< Dammi un buon motivo per tornare alla mia vita normale! >> Mi chiese lei.
<< Lì hai tutto. Una casa, una famiglia, degli amici veri. Qui lo sai che non è sicuro niente. >> Le risposi anche se non sapevo del tutto com'era la sua realtà.
<< NON ME NE VADO! >> Mi rispose lei.
<< Sì che devi invece... >> La incitai. << Va' e ricordati di me. Devi farlo. >>
<< Lo farò se tu mi prometti che ci sarai. >>
<< Ci sarò, sempre, lì dentro. >> Le risposi toccandole il cuore.
<< Ma io voglio rivederti! >>
<< Mi dispiace. >> Le dissi a malincuore. << Ricordati della prima parola che mi hai detto quando ti ho visto, il nostro team. >>
<< Opale... >> Rispose lei.
<< Sì, opale. E quando lo pensi pensa a me e io ci sarò. >> Poi ripresi. << Ora va' e vivi. >>
<< Ti prego, ho bisogno di te... >>Mi disse lei piangendo.
<< So che lo farai. A... A-... >> Non riuscii a finire quelle parole. Ma poi mi feci coraggio << Addio per sempre, Ma... >> No, Mae ora no. Volevo ricordarla con il suo vero nome e quindi aggiunsi: << Addio, Margaret e abbi cura di te. >>
<< Lo farò. >> Poi si sconnesse. Il mio ultimo ricordo della sua figura fu proprio quello. Piangeva. Ma potevo capirla.
Attorno a me molti programmi camminavano ignari della situazione. Solo chi aveva avuto l'influenza con le persone reali ne era al corrente. E io ero uno di quelli.
<< Deric? >> Mi sentii toccare una spalla. Mi voltai.
<< Ciao, Luke, amico mio. >> Dissi abbracciandolo perchè quella era l'ultima volta che ci vedevamo.
<< Purtroppo va così. Oggi ci disconnettono. >>
<< La macchina che ci ha creati è un potente software programmato dagli uomini per rendere il più simile possibile il mondo dei sogni. Ognuno di noi ha una pseudomemoria ed una pseudovita ma ragioniamo di testa nostra. >>
<< Sì, lo so perchè noi lo proviamo davvero ma gli uomini credono sul serio che questo sia tutto il frutto della macchina. Non hanno capito che cosa sono riusciti a fare, fino a dove sono arrivati creando una dimensione a loro comando... >> Sospirai << Dopo aver avverato i loro sogni ci lasciano così, dicendo che tutto questo è surreale e che causa danni a coloro che ormai la vita ce l'hanno completamente qui dentro. >>
<< Già è vero. Ma che cosa ne sarà...? >> Si interruppe ma capii lo stesso. Era molto stressato, poverino, ma lo ero anch'io.
<< Non lo so, ti giuro che non lo so e nemmeno Mae... >> Mi corressi << Margaret lo sapeva. >> Sospirai. E la sua immagine triste mi condizionò quegli ultimi momenti.
<< Tornerà a casa distrutta, immagino. Come tutti coloro che ormai si erano affezionati alla nostra realtà virtuale, Utopia. Avevamo avverato i loro sogni ed i loro desideri più inconsci. Noi non abbiamo mai desiderato niente. >> Mi disse. Ma riguardo ai desideri si sbagliava. Era esasperato, lo so e così non dissi nulla. In effetti a noi programmi proprio come agli umani era concessa l'immaginazione e la voglia di desiderare perchè così la macchina creava dei nuovi orizzonti e delle nuove applicazioni del gioco per tutti coloro che immaginavano qualcosa. Ma chiamarlo semplicemente gioco era sbagliato. Infatti era molto di più. Metteva in contatto delle persone molto distanti fra loro, ti faceva conoscere degli sconosciuti oppure potevi stare con chi volevi tu. Era proibito però creare dei programmi con la propria fantasia. A quello ci pensava il software che per ogni nuova occasione si inventava dei nuovi soggetti. Ed il motivo di questo fatto era abbastanza comprensibile: nessuno poteva plasmare degli amici con l'aspetto fisico ed il carattere che desiderava perchè poi sarebbero stati “schiavi” dei loro creatori. Se proprio non se ne poteva fare a meno si andava a fare richiesta anche se l'attesa della prenotazione era di mesi ma non ne era il caso poiché il più delle volte la richiesta non veniva accolta eccetto alcuni casi estremi e fortunati.
Capitava così di ritrovarsi sempre davanti a degli sconosciuti e se stabilivi con loro un rapporto li avresti potuti incontrare quando loro avrebbero voluto. Quel gioco, Utopia, aveva infiniti orizzonti, infinite dimensioni che ogni volta venivano create e distrutte a piacimento. Le più bizzarre? Beh, una volta ho visto delle intere montagne sospese grazie a grossi pilastri di acciaio che sostenevano un basamento dello stesso materiale, altre volte invece ho visto nuotare dei pesci nella sabbia del deserto e sguazzarci dentro poiché era non era fissa ma fluida come l'acqua; anche dell'acqua che aveva la resistenza dell'aria, non potevi nuotarci dentro perchè saresti caduto a fondo come cade un masso dall'ottavo piano. Questa era abitata da strane creature squamate volanti... Oppure il concerto fatto mentre si cadeva o negli scivoli d'acqua... Quella volta sì che è stato divertente ascoltare la musica... Ma adesso... Beh, ci stavano togliendo il nostro mondo, la nostra dimensione.
<< E allora che cosa vorresti come ultimo desiderio? >> Gli domandai io per farlo sentire un po' più sollevato.
<< No, è impossibile. >> Mi disse lui straziato.
<< Fa niente, tu dillo. Se ora tiri fuori ciò che hai dentro, ora che sta per finire tutto, fai la miglior cosa. >> Gli risposi io.
<< Vorrei tanto accedere alla realtà, capire che cosa sia, osservarla con i miei occhi. >> Poi aggiunse: << Ecco, te l'avevo detto che era impossibile. >>
In effetti lo desideravo tanto anch'io. Non era la prima volta che mi veniva in mente quella voglia ma mi accontentavo di ciò che mi raccontava Margaret. Da come la descriveva lei sembrava un mondo con persone che lavoravano, che discutevano e che arrivavano a casa la sera stremate. Forse quella era una reazione alla sua vita insoddisfacente. Devo dire che lei era un po' pessimista. Per questo era entrata a far parte del gioco: per trovare ciò che nella realtà non poteva. Non parlava molto spesso della sua vita reale: sapevo che aveva due fratelli, uno maggiore ed uno minore, sapevo che era studente ma non ho mai capito dove fosse cresciuta e dove stesse vivendo.
Mentre Luke faceva le sue riflessioni vidi una figura che mi pareva famigliare: << Ehi, ma quello è Dave! >> Urlai andandogli incontro. Mi stupii che fosse ancora lì, poiché Dave era umano.
<< Che ci fai qui, Dave? È pericoloso! >> Gli disse Luke che mi seguii.
<< Mi dispiace ma io da qui non me ne vado. >> Rispose lui.
<< Ma devi farlo! >> Cercai di convincerlo.
<< Il fatto è che io qui ci ho costruito la mia vita e se me ne vado la distruggo. Se devo morire lo farò qui, con il più bel ricordo esistente. >>
<< Ma... Noi siamo solo ologrammi! >> Gli dissi a malincuore.
<< No, siete molto di più. Grazie, amici per avermelo insegnato. >> In quel momento mi raggelò il cuore. Ma che cosa avevamo fatto? Avevamo reso delle persone
così schiave del nostro gioco! Ma quello era il nostro compito, il compito di tutti i programmi.

<< Senti, vattene o non avrai più tempo a disposizione. >> Gli gridò contro Luke. Era per il suo bene. Io al suo posto lo avrei fatto. Ma non potevo e dovevo affrontare il mio destino. Lui invece stava scegliendo di rischiare grosso!
<< NO! >> Rispose lui.
In quel momento la voce parlò : << A tutti coloro che sono rimasti nel gioco ormai non c'è più tempo a disposizione, siamo spiacenti. Fra pochi istanti il gioco verrà chiuso definitivamente. >>
In quel momento attorno a me sentii il panico: c'era gente che gridava che non voleva morire, altri che si salutavano per l'ultima volta...
<< Dave, sei sicuro di ciò che hai fatto, vero? Del tuo corpo non rimarrà traccia perchè intrappolato in questo gioco. >> Gli dissi io. Ero anch'io nel panico ma cercai di mantenere la calma.
<< Sì, io non ho paura. >> E poi aggiunse: << Sarà quel che sarà. >>
Una persona qualsiasi gli avrebbe dato del pazzo ma io riuscii a capirlo: la sua vita non sarebbe più stata la stessa senza il gioco e così aveva deciso di goderselo tutto fino all'ultimo istante.
<< Guardate! >> Urlò una persona dietro di noi indicando una grossa nube nera fatta di numeri e pixel che stava divorando tutto.
<< Omioddio! >> Urlò Luke. << E adesso che si fa? >>
<< Correte! >> Urlai. Così scappammo in preda alle nostre fatiche, corremmo per vivere gli ultimi istanti, poiché c'era una voce dentro che ce lo imponeva. Ma non servì a nulla. In poco tempo fummo inglobati là dentro, in un buco nero che divora tutto quanto. Vidi scomparire la mia mano, il mio braccio, il mio piede, la mia gamba... Pian piano tutto il corpo. Mi domandai che cosa ne sarebbe mai stato di noi e poi pensai a Margaret, lei era mia amica ma sentii in quel momento che poteva essere qualcosa di più. Desiderai di vedere la realtà e di arrivare da lei per dirle: “Sono qui, è tutto a posto, va tutto bene. Non è successo nulla. Lo vedi che ho rispettato la promessa?” In quel momento mi uscì una lacrima e fu l'ultima cosa che ricordo della mia vita ad Utopia. Poi fui dematerializzato completamente, inglobato. Non fui più nulla. O almeno così credevo.





Se la storia vi piace, non esitate ad inviarmi una recensione ;) Al prossimo capitolo, allora!

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Capitolo 2
*** Buio e luce ***


Buio. Buio. Ancora buio. "Sono vivo? Sono io? Dove sono?" Queste erano le domande che mi venivano in testa, testa su cui io avevo dubitato moltissime volte. Se io ero un programma (e androide, come scoprii un po' di tempo dopo), allora i miei erano davvero ragionamenti? O complicatissimi algoritmi che il sistema centrale di utopia (e successivamente del mio software) aveva progettato per ognuno di noi? Sentii delle voci, anche se molto confuse ed impossibili da decifrare. Dove ero finito? Utopia era ancora lì? Cercai di ricordarmi il mio nome: Deric. Sì, ero ancora io.
Pian piano, le voci si fecero molto più nitide: “Processore A-B102. Automa C1-1. Funzioni uditorie funzionanti. Attivare il sistema della vista.” A quelle parole, mi capitò una cosa molto strana: l'udito, così come era venuto, se ne andò, questa volta di colpo. Non so perchè ma sentii il bisogno più sfrenato di aprire gli occhi. Ce li avevo chiusi, dunque? La luce entrò nella mia retina in maniera improvvisa e violenta. Ma i miei occhi non ne soffrirono. In pochissimo tempo, misi a fuoco moltissimi oggetti, come delle lampade, delle luci molto intense (che adesso paragonerei al sole, come potenza) che mi vennero impiantate a pochi centimetri dalla pupilla. Non sentii il bisogno di chiuderle, anche se una parte di me desiderava fortemente farlo. Deviai un attimo lo sguardo e poi riguardai la fortissima sorgente luminosa che mi venne lasciata lì per altri dieci secondi. Un umano molto probabilmente si sarebbe bruciato la retina, io invece non avevo alcuna paura, anche perchè fino ad allora non sapevo che cosa fosse essere davvero una persona. Quando provai la fatica sulla mia pelle, il dolore, la fame e molte altre cose umane, il mio mondo interno cambiò radicalmente. Essere degli uomini comporta molti limiti, ma anche emozioni, fantasia, amore e molto, molto altro. In quel momento l'unico mio pensiero era rivolto al luogo e a che cosa mi fosse successo, basta. Lo so, la paura fa parte anche degli androidi di nuova generazione, perchè è un'emozione molto utile. Percepisci il pericolo attaccando o scappando. Ho avuto il privilegio di avere delle pseudo emozioni (un programma o una macchina, per quanto siano riprodotte fedelmente, non sapranno mai arrivare fino in fondo a ciò che pensa una persona, provare empatia), un forte intuito (che mi permise anche di valutare moltissime volte me stesso ed il mondo circostante in maniera più approfondita, calcolando tutto nei minimi dettagli) e moltissime cose che comporta essere un androide o un programma di Utopia. Diciamo che il mio protocollo “mentale” fu mantenuto tale e quale a quello del gioco, cosicchè io fui capace di fare moltissime cose (e soprattutto continuare a ragionare di testa mia!).
Quando mi fu tolta l'intensa luce dagli occhi, misi subito a fuoco tantissimi oggetti levitanti, come se fossero stati messi lì apposta per me. Mi focalizzai su una matita, un diamante, una miniatura. E fu proprio su quella che scoprii di aver ricevuto una vista caleidoscopica. I dettagli mi apparivano molto più chiari ed ingranditi, per poi tornare normali non appena avessi spostato lo sguardo. Questo fatto mi turbò moltissimo: nonostante io fossi un programma di Utopia, moltissime cose nel mio passaggio da programma ad androide erano cambiate del tutto. Ci volle quella terribile scoperta a farmi scoprire tutto su di me, che cosa fossi diventato e che cosa fossi rispetto alle altre persone. In quel momento, provai una grande soddisfazione, ma anche un grande spavento che non fece altro che far aumentare nel mio inconscio (o software interno) le mie numerose domande e le mie paure. In lontananza, apparve dal nulla un oggetto: che cos'era? Fu sempre in quell'occasione che scoprii che la mia vista non era solo fatta per concepire i più piccoli particolari, ma anche quelli più distanti. O come la chiamano, vista caleidoscopica ambivalente (anche se poi scoprii avere molte, molte più sfumature, come per esempio la vista UV o raggi x, nota: so che cosa state pensando riguardo quest'ultimi!). Per quanto riguarda l'udito, approfondisco adesso, per evitare che in futuro non ci siano delle incomprensioni, anche quello scoprii essere davvero straordinario: potevo udire tutti quei suoni non udibili dall'orecchio umano (ultrasuoni, infrasuoni) e suoni a potenze lievissime o spaventose, senza provare alcun dolore. A questo punto vi starete domandando che cosa ne sia stato di tatto, di gusto o di olfatto. Per quanto riguarda il primo, fui programmato per non provare alcun dolore (ma le carezze sì!) ed avere una pelle abbastanza invulnerabile agli urti, ma molto sensibile ai cambi di temperatura (in modo diverso dagli umani, perchè la mia soglia di sopportazione poteva arrivare a temperature elevatissime e bassissime, senza scottarmi o congelarmi). Olfatto e gusto non mi furono potenziati poi così tanto, ma furono mantenuti al di sopra della media di un essere umano. Infine, mi fu dato il cosiddetto “sesto senso”, i poteri psichici, come leggere nel pensiero (questo fu un male) di altri androidi o eventualmente, in casi di emergenza estrema, la levitazione e la telecinesi. Perchè non potenziarle? Perchè gli scienziati che mi ricrearono (mettiamola proprio così, fui ricreato in un mondo di cui avevo solo sentito parlare) mi fornirono una gran destrezza nello sport, nella resistenza (gli androidi non provano né fatica, né dolore fisico) e nel saper maneggiare le armi.
E mentre osservavo incuriosito quegli oggetti, la mia vista sparì di colpo. Che cosa mi stava succedendo? Perchè avevo degli oggetti fluttuanti davanti? Dove mi trovavo?
Poi, successe. Di nuovo. Così come mi ero “rinvigorito”, mi spensi un'altra volta, senza provare più nulla.

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Capitolo 3
*** Il primo approccio ***


Eccoci! Con un po' di ritardo, ma la storia di Deric deve proseguire... Non posso mica lasciarlo "congelato" per anni! Allora, dove eravamo rimasti?

La prima cosa che vidi davanti a me erano dei piccoli quadratini che velocissimi circondarono tutta la mia vista permettendo un'ampia visuale. 
In quel momento avevo una luce abbagliante puntata addosso, eppure distinguevo nitidamente tutte le figure che mi si focalizzarono davanti. Il mio primo pensiero fu quello di focalizzarsi non tanto sui soggetti che avevo di fronte e nemmeno dove mi trovassi, ma piuttosto quanto tempo era passato. Poi il resto era venuto più o meno da sè. Mi è difficile raccontare ora le emozioni che prova un androide, anche perché non sarei più in grado nemmeno di simularle. Sono differenti. Sono dettate dalla logica, come il mio amore per Mae. Io l'amavo senza neanche sapere un perché, lo facevo senza neanche pormi il problema. Ma dirlo in questi termini fa risultare il tutto così inesatto che potrei disorientarvi. Solo quando l'ho amata Davvero ho capito cosa provava un umano. Un'altra condizione a sfavore di un androide è la volontà definitiva. Impuntandomi su una cosa, avrei fatto di tutto per arrivare a farla, escogitando qualsiasi stratagemma. Questo può essere anche un punto a favore per gli esseri tecnologici, ma a quanto pare cambiare idea non è poi così male. Beh, anche per gli androidi esistono degli algoritmi antiprotocollo, quelle regole che scattano come meccanismo di difesa. Ma qualora un androide avesse eliminato la sua minaccia, ritornerebbe a fare quello che doveva. È un po' come se fosse una scaletta di cose da fare: al primo posto delle cose essenziali va messo l'Obiettivo Primario, invece in quelle non essenziali tutti gli algoritmi che servono per compiere delle determinate azioni, come spostarsi evitando gli ostacoli, prendere gli oggetti in mano, dialogare con gli altri... Questi, ovviamente coesistono con l'Oviettivo Primario, sono gli strumenti che servono a pervenire ad esso. Ma qualora la stabilità dell'androide fosse posta sotto seria minaccia, l'Obiettivo Primario scalerebbe al secondo posto in attesa che l'altro venga svolto. Ecco, la vita di noi androidi sarebbe questa. Se ad un androide gli uomini decidono di mettere come obiettivo primario il lavoro forzato, questo lo fa senza neanche chiedersi il perché.
A questo punto è legittimo pensare che io fossi una macchina che una volta giunta da Margaret non avrebbe saputo comportarsi o, non avendo esperienza avrebbe sbagliato. Invece, io avevo un passato già formato in un universo virtuale e quello che hanno fatto gli uomini è stato semplicemente quello di spostare i miei dati in un corpo meccanico, seppur irriconoscibile da quello puramente umano. Sembravo un umano a tutti gli effetti, ma differivo per molte cose che avrei scoperto col tempo. 
Non so se sia stato un errore o meno, ma riportare in vita programmi con un passato già formato complicó moltissimo le cose agli studiosi. Ma credo che loro sapessero a che cosa stavano andando in contro. 
Davanti a me si presentarono alcuni scienziati muniti di camice che mi guardavano con particolare attenzione.
<< Su. >> Mi disse uno di loro. Scossi la testa, restando immobile dov'ero. << Si tiri su! >> Mi ordinó questo.
Rapidamente, eseguii gli ordini, senza neanche domandarmi perché lo stessi facendo. 
Intanto, altri stavano annotando su uno schermo alcuni caratteri. Cercai di guardare meglio che cosa fossero e con mia immensa sorpresa le immagini più distanti si ingrandirono, permettendomi di vedere che quello che c'era scritto erano parole del tipo: "Riflesso primo leggermente ritardato."
Guardando da un'altra parte la mia vista tornó ad essere normale. Non mi era mai successa una cosa in vita mia. 
<< Su, mi dica. >> Attirò l'attenzione su di sè quello che mi aveva detto di alzarmi. << Qual è il suo nome? >>
Nome? Lì mi venne spontaneo domandarmi perché, ma a differenza degli umani la nostra curiosità è sviluppata da meccanismi di autodifesa. Qualcuno che chiede il nome potrebbe essere potenzialmente pericoloso. In meno di qualche milli se non microsecondo il processore centrale, basandosi sulle condizioni circostanti, calcola quale sia il comportamento migliore. E di solito sbaglia molto meno che in un cervello umano. È più rapido e più immediato. Questi piccoli processi sono anche questi l'eccezione alla regola: se prima ho detto che un androide non può combinare idea, fondamentalmente è vero, parlando in campi di Obiettivo Primario, ma se parliamo di processi a breve termine, allora possiamo anche cambiare idea perché magari le nostre ipotesi si erano rivelate errate. Infatti non ho detto che una macchina non sbaglia mai. Deve prima imparare su come si fanno le cose e poi decidere fra tutte le alternative che conosce e che apprende di volta in volta. Ma tutto ritorna sempre utile per affrontare l'Obiettivo Primario (che d'ora in poi mi sarà più conveniente chiamare OP), quindi, è proprio il caso di dirlo, tutto torna.
In quel caso reputai che la cosa migliore da fare era tentare e vedere che cosa sarebbe accaduto dopo. Senza esitare, lo pronunciai chiaramente: << Deric. >> 
<< Perfetto. >> Disse lo scienziato agli altri. << Riconoscimento della propria identità positivo. Annotate. >> Poi, sempre rivolgendosi a me fece altre domande senza mai darmi spiegazioni. In quel momento neanche io le richiedevo. Rispondevo e basta. << Mi dica, da dove viene? >>
<< Da un universo virtuale di nome Utopia. >> 
<< Sì, ma Lei saprebbe descrivermi qualche caratteristica di questo mondo digitale? >>
<< Un mondo dove tutto è possibile e dove la fantasia dei giocatori, immersi anch'essi in esso, prende forma. >>
<< Lei che ruolo aveva? >>
<< Io ero un Programma Fisso. Uno di quelli abituali del giocatore. Ero la sua principale affezione. >> Margaret...
Poi, si rivolse agli scienziati che manovravano lo schermo: << Confermate? Quello che ha detto è vero? >>
<< Sì. >> Gli risposero.
<< Allora sottoscrivete: il soggetto ha buone capacità rimembrative. Quindi risulta assolutamente positivo al test. >> Dopo essersi voltato verso di loro, mi guardó con sguardo severo ed autoritario: << A quanto pare lei è risultato positivo a tutti i nostri test. >> 
Ottimo, mi dissi. Però che cosa mai ci facevo lì? E perché dovevano sottopormi a dei test? Rimasi in silenzio, attendendo delle risposte.
<< Tuttavia Lei non è ancora abituato ad affrontare il mondo che la circonda. >> 
Continuai a seguirlo con lo sguardo, senza perderlo d'occhio un singolo secondo per valutare ogni sua minima mossa. 
<< E a questo punto, suppongo che voglia delle delucidazioni... >>
<< Sì. >> Risposi senza pensarci su due volte.
<< Ebbene, Lei ora non si trova più nel mondo di Utopia, perché questi è stato completamente cancellato. Tuttavia noi Umani abbiamo deciso di salvarvi e di recuperarvi. >>
<< Quindi? >> Domandai forse troppo freneticamente a giudicare dal suo sguardo.
<< E di integrarvi pian piano con la comunità. >>
<< Sì, ma dove ci troviamo? >>
<< Meglio che non lo sappiate e non vi poniate il problema. >> Rispose lui. << Consideratelo come un posto per apprendere come si vive nell'universo reale. Dovrete stare alle nostre regole, o altrimenti la vostra realtà potrebbe scombussolarsi. >>
<< In che senso? >>
<< Lo capirete quando vi sarà spiegato. Per il momento vorrei che Lei ritornasse, almeno per ora, in una condizione di stand by fino a quando non ci saranno i corsi di apprendimento, dapprima individuali e poi sociali. >> Condizioni di stand by? Volevano davvero disconnettermi? Prima di domandare qualsiasi cosa, sentii partire il conto alla rovescia: tre, due, uno. Poi di nuovo più nulla, in attesa di essere risvegliato, completamente nelle loro mani. Ma quello che mi attendeva era ben diverso dalla normale realtà di tutti i giorni, piuttosto una bugia costruita attorno a noi per sfruttarci fino all'ultimo.

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