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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Il mio inizio ***
Capitolo 2: *** La gara ***
Capitolo 3: *** Freddo ***
Capitolo 4: *** Partenza ***
Capitolo 5: *** Verità ***
Capitolo 6: *** Primo scontro ***
Capitolo 7: *** Sguardi che uccidono ***
Capitolo 1 *** Prologo- Il mio inizio ***
_Angolo Autrice_
Ciao! Allora,
prima di tutto ci tengo a ringraziare chiunque abbia già
letto la mia storia (che come ho detto nell' introduzione ho dovuto
ricominciare per problemi "tecnici"), spero che la leggerete comunque e
fatemi sapere se questa "nuova versione" vi piace come la precedente,
ho modificato molte cose ma la storia e i personaggi sono gli stessi
solo descritti meglio, spero!! >.<
Comunque
chiunque la stia leggendo per la prima volta spero che non vi fermiate
al prologo, è stato scritto un po' alla veloce! E spero che
la mia storia vi piaccia e che melo facciate sapere!
Commenti-Critiche-Consigli (le tre "C") sono sempre ben accetti!!
Buona lettura
e grazie a tutti!! Un bacio.
M.H.
1.Prologo: Il mio
inizio
Nella mia vita ho imparato solo una cosa: tutto ciò che si
ama, prima o poi ci viene portato via ecco perchè ho deciso
di lottare per quello che mi è rimasto.
Quando hai sei anni tutto ti sembra più grande di te, i
palazzi, le auto, le persone.
Puoi fingere di sapere quello che ti sta accadendo intorno ma la
verità è che non vedi l' ora che tutto passi per
tornare a giocare, o per tornare dalla mamma.
Io avevo una mamma ma una cosa l' avevo capita: non potevo tornare da
lei, perchè lei non c' era più.
Mi portarono via dalla mia casa dicendo che ne avrei avuta una nuova e
che mi avrebbero trovato anche una nuova famiglia presto.
Avevo chiesto perchè ma non avevano voluto rispondermi.
Alla fine la donna che mi aveva portato via mi lasciò in un
posto che i grandi chiamavano "orfanotrofio".
Non mi piaceva quel posto, era triste e anche i bambini lo erano.
Solo dopo qualche giorno mi dissero che la mia mamma era morta in un
incidente.
All' epoca la notizia non mi fece l' effetto che avrebbe fatto ora, ero
ancora piccola e secondo me una persona morta era semplicemente
qualcuno che era volato in Paradiso ma che presto avrei rivisto.
Passai una settimana da sola in quel posto grigio circondato da un
cancello e con i giochi vecchi e rotti, i bambini più
piccoli non giocavano con me e quelli grandi mi picchiavano
perchè ero l' ultima arrivata.
Piangevo sempre e avevo paura,dovevo sempre scappare e nascondermi.
Poi, un giorno, arrivò un bambino più grande di
me, lui aveva quattordici anni ma sembrava più piccolo,
forse perchè era tanto tanto magro. Aveva la pelle chiara e
i capelli lunghi e biondo scuro ma sembravano sporchi, aveva gli occhi
blu un po' tristi.
Quando era entrato dal cancello teneva la testa bassa e uno dei
ragazzini più grandi, Pitt lo aveva preso in giro
perchè indossava dei vestiti enormi e pieni di sporcizia, il
bambino aveva alzato gli occhi e aveva guardato quel ragazzo che smise
subito di ridere, i suoi occhi erano intensi e non promettevano niente
di buono, perfino io mi ero spaventata di quello sguardo anche se lui
non l' aveva rivolto a me.
Ma non potevo credere che quel bambino magro era riuscito a zittire
Pitt con una sola occhiata.
Era Pitt quello che voleva sempre picchiarmi e sapevo che dopo di me
sarebbe toccato a quel nuovo bambino.
Lo guardai preoccupata, sembrava davvero tanto triste, non volevo che
si facesse del male, ad un tratto anche lui mi guardò e lo
sguardo cattivo sene andò e mi fece un piccolo cenno con la
testa, come a salutarmi.
Io non capii ma non cene fù il tempo, dopo che i grandi sene
furono andati lasciando quel bambino da solo in mezzo a noi, Pitt e
altri due dei suoi amici gli si erano avvicinati e avevano iniziato a
picchiarlo, quello non fece una piega, come se ci fosse abituato ma io
non volevo vedere che gli facevano male, così andai incontro
a Pitt e lo affrontai.
-Lasciatelo stare!-, gridai prima di saltargli addosso, Pitt era
grande, aveva sedici anni ed era tanto più forte di me.
Quando iniziai a picchiarlo lui si mise a ridere con i suoi amici e
allora io lo morsi sul braccio, talmente forte che sentii il sapore del
sangue e dovetti subito lasciare la presa perchè mi veniva
da vomitare.
Pitt si era messo a gridare e mi aveva lanciata via facendomi
atterrare con la schiena sull' asfalto e togliendomi il respiro.
E allora sapevo che stava per picchiarmi e mi spaventai tanto che
sentii delle lacrime uscire dagli occhi. Ma prima che Pitt potesse
colpirmi con un calcio, il bambino che io avevo provato a salvare si
era alzato e lo aveva preso di sorpresa, lanciandoglisi contro e
alzandolo di peso prima di finire a terra con lui.
Iniziò a tirargli pugni sulla faccia finchè non
la riempì di sangue.
Gli amici di Pitt non sapevano cosa fare, non era mai capitato che il
loro capo venisse picchiato da qualcuno e avevano paura, potevo capirlo
dai loro occhi.
Alla fine, a separare i due ragazzi, arrivarono le maestre dell'
orfanotrofio e anche il direttore che sollevò il bambino
biondo di peso e lo trascinò nell' istituto.
E mentre quel bambino veniva portato via, i suoi occhi incontrarono i
miei e dal suo sguardo capii che stava cercando di dirmi qualcosa.
Il giorno dopo decisi di parlare con quel bambino, perchè
lui era stato coraggioso e anche io volevo esserlo.
Mi avvicinai a lui che era seduto per terra, a gambe incrociate, nel
corridoio che portava alle camerate.
Mi guardò con gli occhi socchiusi (l' occhio destro era
viola e gonfio) e io mi misi seduta di fronte a lui.
-Come ti chiami?-, gli chiesi.
Lui mi studiò un attimo prima di rispondere, poi disse:
-Sean-
-Io Sarah-, risposi subito.
-Sei la bambina che ieri ha morso quello che mi picchiava-, disse lui e
non era una domanda, io feci di si con la testa ma non dissi altro.
-Sei una tosta, per essere così piccola, ti sei guadagnata
il mio rispetto-, aggrottai le soppracciglia perchè non
riuscii a capire cosa volesse dirmi.
Capii però che quello Sean mi piaceva, non era come gli
altri bambini, lui era forte ma solo quando serviva e poi mi aveva
difesa da Pitt.
-Anche io voglio essere come te-, gli dissi e stavolta fu lui ad
aggrottare le soppracciglia.
-Voglio essere coraggiosa e voglio picchiare Pitt-, aggiunsi nella
speranza che capisse cosa intendevo.
Lui sorrise. -Ma tu sei già coraggiosa, altrimenti non lo
avresti morso. E comunque non devi avere paura di quelli grandi, ci
penso io a difenderti da loro... Siamo una squadra, ok?-
Mi ricordo che non ero mai stata più felice di
così, Sean aveva detto che ero coraggiosa e che eravamo una
squadra.
Non avrei mai pensato di poter diventare così amica di
qualcuno che non conoscevo ma lui era molto di più di un
amico, Sean divenne mio fratello, nessuno ci poteva fare del male
perchè noi due eravamo coraggiosi.
Non c' era bisogno che arrivassero dei genitori per addottarci, ci
adottammo a vicenda e questo ci bastava. Nessuno poteva separarci.
Ma dopo un anno però venne una coppia che non poteva avere
bambini e tra tutti, scelsero me per portarmi via.
Io la volevo una famiglia ma la mia famiglia era diventata Sean e non
volevo andarmene senza di lui.
Così dissi a quelle persone che non volevo andare con loro,
perchè dovevo restare con mio fratello.
Ricordo gli sguardi perplessi che si scambiarono, la donna si era
portata una mano al cuore e mi aveva sorriso dolcemente, l' uomo le
aveva stretto una spalla e aveva sorriso anche lui.
E allora mi dissero che ci adottavano entrambi. Avrebbero avuto due
figli, una bambina di sette anni e un ragazzo di quindici.
E per molti anni siamo stati felici, come una vera famiglia.
Poi senza che cene rendemmo conto, tutto aveva iniziato a sgretolarsi.
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Capitolo 2 *** La gara ***
_Angolo Autrice_
Ciao a tutti!!
Rieccomi (in ritardo) con il primo capitolo!
Mi dispiace di
avervi fatto aspettare ma non ho proprio avuto tempo.
Beh, spero che vi
piaccia e che melo facciate sapere, come sempre le tre "C"
(commenti-critiche-consigli) sono ovviamente valide.
Ci tengo a
ringraziare White and black, _diaphanous_ e Felice_29000 per aver
inserito la mia storia tra le seguite e Felice anche per la recensione,
grazie mille ;)
A presto (spero)
con il prossimo capitolo.
M.H.
Eravamo ragazzini
stupidi che giocavano con la vita e la vita ha deciso di vendicarsi...
Nel peggiore dei modi.
La musica usciva a tutto volume dalle casse delle varie macchine con le
portiere spalancate, una serie di rap diversi che mescolavano i loro
ritmi.
Sentivo gli stivali affondare nel terreno fangoso mentre spingevo la
mia Ducati Monster 796 nera e rossa. Avevo fatto i salti mortali per
avere quella moto anche se ovviamente le avevo fatto qualche modifica
per adeguarla di più al mio stile.
Molti si voltarono a guardarmi al mio passaggio ma cercai di ignorarli.
Ma che cazzo avevano da fissare? Perchè non guardavano
quelle troiette in tacchi e minigonna, piuttosto? Come se non mi
avessero mai visto correre, poi!
Continuai a spingere la moto, stavolta tenendo la testa bassa e
fissandomi gli anfibi.
Era stato Sean ad "introdurmi" nel mondo delle corse clandestine. All'
epoca io avevo dodici anni e lui venti.
Lo avevo pregato miliardi di volte di portarmi con lui ma diceva sempre
che era troppo pericoloso, poi, finalmente, una sera si decise.
Mi fece uscire di nascosto e mi portò con sè ad
una gara.
Ricordo che mi guardavo attorno e quasi non capivo niente, ero
affascinata da tutto quello che mi circondava.
Era pieno di gente che beveva e fumava, ragazze che ballavano mezze
nude, con addosso stivali di pelle con i tacchi alti, uomini che
lucidavano i cofani delle macchine e ragazzi che facevano rombare le
moto da corsa.
Sean cercava di spiegarmi meglio che poteva come funzionavano le gare,
quali erano i vari modelli di macchine o come si facevano le scommesse,
ma io persi quasi subito il filo del discorso perchè mi ero
distratta.
Mio fratello poteva dire tutto quello che voleva sulle auto ma,
inevitabilmente, io mi innamorai delle moto.
Quella sera conobbi quelli che poi sarebbero diventati i miei migliori
amici: Val, Tyson e Matt.
Erano tre pazzi completi, erano poco più grandi di me, Matt
e Val avevano quindici anni, Tyson, invece diciassette. Con loro ho
passato gli anni migliori della mi vita, mi insegnarono a guidare una
moto prima ancora che imparassi a conoscerli bene.
Tyson era la classica "testa calda", si buttava nelle situazioni senza
pensare e per colpa di quelle situazioni siamo finiti più di
una volta nei guai con la legge. Val era più calmo ma gliene
capitavano sempre di tutti i colori, e noi eravamo sempre costretti ad
intervenire prima che rischiasse di lasciarci le penne.
E poi c' era Matt. Lui era il nostro baby sitter e il mio migliore
amico. Era lui che ci controllava se ci ubriacavamo, quello che ci
impediva di fare troppe stronzate, insomma,il più
responsabile e quello sempre disposto ad aiutare.
Eravamo un gruppo fantastico, noi quattro insieme.
Adoravo i miei amici, adoravo mio fratello e la mia famiglia e adoravo
correre e vincere.
In quel momento avrei dovuto essere la persona più felice
della terra, no?
E invece mi sentivo come se qualcuno mi avesse dato un pugno nello
stomaco. Cercavo di tenere a bada i nervi ma era tutto inutile. Non
sapevo perchè ma quella sera ero terribilmente nervosa e per
me era una novità, io non ero mai stata nervosa prima di una
gara. Mai.
Strinsi la presa sul manubrio, sentivo le mani sudate, era agosto e l'
aria era calda e afosa, mi maledissi per quello che stavo indossando:
jeans e giubbotto di pelle, con tanto di stivali. Di solito il clima
non era così caldo nella mia città, eravamo
abituati alle nuvole e alla pioggia.
Almeno, avevo i capelli legati in una treccia, altrimenti sarebbe stata
una vera e propria agonia.
In quella dannata campagna l' aria era impregnata dell' odore dei campi
e quello aumentava l' idea di soffocamento.
Mi fermai un momento per aprirmi il giubotto, sbuffando.
-Ehi, tutto ok?-, Tyson era accanto a me, fermo anche lui e mi guardava
congli occhi scuri un po' preoccupati.
Scrollai le spalle e annuii, rimettendomi a camminare. -Si, pensiamo
solo a vincere questi soldi-, dissi.
Quella sera era roba seria, c' erano moltissimi soldi in ballo e non
potevo permettermi di essere agitata, dovevo concentrarmi.
Notai con la coda dell' occhio che Tyson dava un' occhiata alle mie
spalle, dove c' erano Val e Matt, sapevo che stava cercando di dire
loro qualcosa senza che io sentissi ma evitai di incazzarmi, erano miei
amici, erano solo preoccupati per me.
Che cosa avrei fatto senza di loro? Proprio non ne avevo idea.
Alla fine la fanghiglia che stavamo calpestando divenne terreno duro e
polveroso.
Ci spuntò davanti un ragazzo di colore con le orecchie a
sventola e pelato, più basso di me di almeno una spanna.
Jimmy, l' organizzatore.
-Allora, belli, stasera sono duemila, conoscete il gioco, chi vince si
becca tutto il malloppo. Non fatemi fare brutta figura, vi metto cinque
a uno e ho scommesso anche la dentiera di mia nonna su di voi,
è chiaro?-, ci guardò allungando le mani e noi
gli consegnammo i soldi, in meno di tre secondi quel ragazzino si era
ritrovato per le mani ottomila dollari e presto ne avrebbe avuti molti
di più.
Jimmy mi diede un pugno sulla spalla, -Bellezza, il primo turno spetta
alle signore ma visto che l' unica femmina qui sei tu, ti tocca
gareggiare con tre maschietti arrapati, te la senti?-, mi chiese
strizzando l' occhio.
-Chi sono?-, chiesi io senza lasciar trapelare nessuna emozione.
Jimmy, si grattò la testa pelata, -Un tipo del Texas, Blake.
Un certo Manuel di nonsòdove e Ryan-. Annuii e Jimmy si
ributtò nella folla a prendere i soldi delle scommesse.
Mi sfuggì un sospiro, non conoscevo i primi due ma sapevo
fin troppo bene chi fosse Ryan. Una grandissima testa di...
-C'è anche quella testa di cazzo!-, sibilò Tyson.
Sapevo che si riferiva a Ryan.
Una volta anche lui era stato nostro amico ma poi il bastardo
doppiogiochista si era trovato un altro gruppo e da allora era stata
guerra aperta tra le nostre due bande.
In fondo, era una questione di rispetto, e a Ryan quella parola mancava
completamente dal dizionario.
Nella nostra zona il rispetto era tutto, fin da piccoli imparavamo cos'
era, a me, Sean lo aveva insegnato già da quel giorno all'
orfanotrofio.
Si trattava anche di orgoglio, però.
E per questi motivi ogni volta che Ryan e i suoi erano nei paraggi,
tutto finiva in una rissa da questura.
-Sarah, devi vincere, se gli diamo un' occasione è finita-,
disse Val e Matt gli diede una gomitata nello stomaco. -E lasciala in
pace, tanto lo sappiamo che è mille volte meglio lei di
tutti gli altri. Non c'è bisogno che telo dica lui, Sarah,
tu pensa a guidare come sai fare e vedrai che gli farai il culo a
strisce-, disse Matt ed io mi ritrovai a sorridere. Lui sì
che sapeva sempre mettermi di buon umore.
Anche Matt sorrise e mi fece l' occhiolino.
Aveva ragione, io ero molto meglio di Ryan, ero la migliore pilota
della zona e questo lo sapevano tutti, ecco perchè mi
guardavano quando arrivavo. Ero l' unica ragazza che guidava. Ed ero
anche l' unica di diciassette anni che riusciva a battere ragazzi molto
più esperti di lei.
Chissà perchè tutta quella agitazione.
Già sapevo di essere più brava di Ryan, lo avevo
battuto già altre volte e non avevo avuto bisogno di
imbrogliare, come invece si divertiva a fare lui.
Sì, perchè oltre ad essere un bastardo
voltafaccia, Ryan era anche un baro, infatti sapevo per certo che
avrebbe fatto di tutto per farmi cadere dalla moto.
Non si sarebbe risparmiato, il mio primo incidente, infatti, lo dovevo
a lui. Mi aveva fatto rischiare la vita e avevo una gran bella
cicatrice sul collo e tutta la spalla sinistra a dimostrarlo.
Ripensare a quella volta mi chiuse lo stomaco di nuovo. Maledizione ma
perchè ho dovuto pensarci?
Ecco, ero tornata al punto di partenza, agitata, nervosa e
deconcentrata. Guidare così sarebbe stato un suicidio e lo
sapevo ma ormai non potevo tirarmi indietro, i miei amici contavano su
di me e c' erano decisamente troppi, troppi soldi in ballo.
Spinsi la mia moto fino alla "linea" di partenza, ovvero, al centro
della stradina polverosa, illuminata solo dai fari di auto e moto.
Accanto a me riconobbi la moto di Ryan e subito dopo la sua figura,
completamente vestita di nero, che si stava infilando il casco
integrale, lasciò la visiera aperta e mi guardò
con un sorrisetto compiaciuto, distolsi lo sguardo e deglutii. No, non
era possibile. Che diavolo mi stava prendendo?!
Perchè ero così nervosa? Quella non ero io, era
come se ci fosse qualcun' altro dentro di me che mi stava gridando di
lasciar perdere la gara. Ed era una sensazione orribile dal mio punto
di vista.
Qui si rischia la vita,
Sarah, se non tela senti non devi correre. Le
parole di mio fratello mi riecheggiarono nella testa e allora capii che
era giunto il momento di dargli ascolto.
Guardai Jimmy poco lontano, mi mostrò l' indice per farmi
capire che saremmo partiti tra un minuto ma io scossi la testa.
Jimmy bloccò la ragazza che stava venendo a dare il via e mi
guardò confuso. Mi voltai a guardare i ragazzi e loro subito
mi furono accanto.
-Ehi, che succede?-, mi chiese Val, io scossi la testa. -Non lo
sò, ragazzi. Non mela sento, stasera non corro-, non era una
vera e propria spiegazione ma dovevano accontentarsi. per fortuna non
fecero domande ma Matt mi lanciò un' occhiata seria e
strinse appena gli occhi.
Sapevo che voleva chiedermi qual' era la verità e
probabilmente io l' avrei detta solo a lui.
Non perchè non mi fidassi degli altri ma semplicemente
perchè sapevo che lui avrebbe capito senza giudicarmi o
prendermi in giro.
Perchè la verità era che io quella sera avevo
paura.
Avevo paura di fare la cosa che più amavo al mondo e non
sapevo perchè.
-Ok, allora corro io-, guardai Tyson che si stava schioccando le dita,
come prima di una rissa e aveva un sorrisetto di scherno stampato in
faccia.
No, sapevo che se Ryan avesse giocato sporco, Ty non sarebbe stato da
meno e probabilmente sarebbe finita male, non volevo che accadesse
niente quella sera.
-No, evitiamo di finire all' spedale, magari-, dissi subito e lui mi
guardò deluso ma senza ribattere, pensai di chiedere a Val
ma anche i suoi occhi azzurri erano accesi di una strana luce omicida,
nemmeno lui poteva sopportare troppo la vista di Ryan.
Così guardai il viso di Matt e mi sentii subito
più tranquilla, stava sorridendo.
-Matt, ti va di correre al posto mio?-, gli chiesi e lui
mostrò i denti bianchi. -E melo chiedi anche?-, disse e mi
battè la mano sul braccio.
-Vado a dirlo a Jimmy-, disse Val e sparì per andare ad
avvisare il ragazzo del cambio di programma.
Tyson mi aiutò a togliere di mezzo la mia moto e facemmo
spazio a quella di Matt. Poco dopo Jimmy si mise sulla stradina per
avvertire gli altri di quanto era successo.
Sentimmo una risata fredda e senza allegria provenire alle nostre
spalle e ci voltammo.
-Lo sapevo che non cela faceva! Una puttana non può correre,
è buona solo per scopare, ci credo che tela tieni stretta
Tyson!-, mi sentii il sangue gelare mentre Ryan continuava a ridere.
-Che cazzo hai detto?-, gridò Ty dietro di me e fece un
passo avanti, Val lo imitò e sapevo che stava per iniziare
una rissa ma io gli fermai entrambi.
Non avrei mai permesso a nessuno di parlarmi in quel modo e avevo una
gran voglia di spaccare la faccia a quel coglione ma sapevo che non
sarebbe finita bene. Quella sera Ryan si era portato dietro tutti i
suoi, ed erano circa una quarantina.
Non avremmo avuto speranze contro di loro.
-Fermi! Basta! Ci pensa Matt a spaccargli il culo! Vedremo se
avrà ancora voglia di ridere dopo che avrà
perso!-, tenevo le braccia larghe e cercavo di spingere indietro quei
due ragazzi.
Se fosse stato solo Val sarebbe stato più facile, lui era
molto alto ma anche molto magro, Tyson invece era un osso duro, faceva
pugilato da un bel po' di anni.
Matt annuii e sorrise a Ryan mentre si infilava il casco.
-Questa la paghi, figlio di puttana! Hai capito?-, dovetti trascinare
via Tyson perchè continuava a voler andare a picchiare Ryan,
per fortuna Val mi diede una mano a calmarlo.
Dopo qualche minuto finalmente la gara potè iniziare.
Una ragazza mezza nuda si andò a posizionare esattamente in
mezzo alle quattro moto.
Con una abilità che non credevo possibile, si
calò giù dalle gambe abbronzate (senza sfilarsi
la gonna) un paio di mutandine rosse di pizzo.
I ragazzi urlarono soddisfatti e fischiarono ma la ragazza fece un
sorrisetto malizioso e sollevò le mutande sopra la testa, in
modo che tutti potessero vederle.
-Allora, bambini, ecco le regole:-, esordì e tutti
applaudirono e gridarono eccitati.
-... Bisogna vincere!-, gridò e le moto rombarono.
-Siete pronti?-, tutti urlarono ancora sempre più
impazienti. -Siete caldi?-, un altro brum brum delle
moto e la ragazza sollevò ancora di più le
braccia, -E allora... VIA!-.
Partirono sgommando, sollevando un gran polverone e sfiorando per un
pelo la ragazza alla quale si sollevò appena la gonna.
Tutti ci mettemmo ad urlare incoraggiamenti ma una voce si
levò più alta delle altre, quella di Jimmy che
gridava: -VAI BELLO!-, sventolando i soldi sopra alla testa pelata.
Ridemmo e continuammo ad applaudire per incitare Matt.
Avrebbe vinto lui, ne ero certa, era già parecchio avanti ma
ormai stavano arrivando in fondo alla strada e per qualche secondo non
riuscimmo più a vederli, poi, il rombare dei motori si fece
sempre più vicino e riuscimmo a vedere Matt venirci incontro
con Ryan alle costole, talmente appiccicato che per poco non lo
sfiorava con la ruota anteriore.
Ormai era questione di pochi metri, cel' aveva quasi fatta.
-Dai, Matt!-, gridai saltando e tutto accadde in un attimo.
Sentimmo il colpo echeggiare nella campagna e mi si gelò il
sangue, era l' inconfondibile suono di una pistola che sparava.
In un secondo, tutti quanti, come se fossimo stati un solo corpo ci
gettammo a terra.
Tenevo entrambe le mani sulle orecchie e avevo il braccio di Val
attorno alla testa che mi teneva giù con lui.
Eravamo in attesa di altri colpi ma non si udì
più niente. Erano passati solo cinque o sei secondi ma mi
furono sufficenti, mi alzai e riapri gli occhi, guardai subito la
strada e il mio cuore smise di battere.
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Capitolo 3 *** Freddo ***
_Angolo
Autrice_
Ciao,
lo sò, vi ho lasciati in sospeso, quindi ho cercato di
sbrigarmi a scrivere questo nuovo capitolo, spero vi piaccia e fatemi
sapere tutto quello che pensate!
M.H.
Ad
ogni corsa c' era il rischio di cadere e...di non rialzarsi
più.
-MATT!-, l'
urlo che lanciai fece sussultare tutti attorno e sentii la mano di
Tyson stringere il mio braccio, orribilato quanto me da quello che
stavamo vedendo.
La moto di
Matt rotolava via sulla strada, perdendo pezzi, mentre il nostro amico
giaceva a terra immobile a molti metri di distanza.
Tutti si
erano fermati, perfino Ryan, perfino il tempo.
Noi
guardavamo la scena senza respirare, gli occhi sgranati, la mano di
Tyson stava quasi per spezzarmi il braccio da quanto forte fosse la sua
presa.
Ero
completamente impietrita, la gente iniziò a riprendersi e
tutti si avvicinarono al nostro amico, ormai non lo vedevo
più. -Andiamo-, Val mi tirò per l' altro braccio
e ci muovemmo a spintoni tra tutti gli altri.
Mentre
camminavo vedevo ragazzi mettersi le mani nei capelli, altri portarsele
davanti alla bocca, alcuni chiudevano gli occhi, molte ragazze
piangevano.
Che cosa
avevano visto? Io avevo visto Matt cadere. Queste cose capitavano, se
si faceva quello che facevamo noi, tutti prima o poi facevamo un'
incidente. Ma non era mai grave.
Questo non
significava niente.
Lui stava bene.
Quando lo
raggiungemmo fummo gli unici ad avvicinarci, gli altri si erano fermati
a qualche metro.
Matt non si
muoveva.
Era girato a
pancia in giù ed era senza casco, gli era saltato via.
Sentivo un'
ansia orribile attanagliarmi il petto, volevo sapere come stava ma non
avevo il coraggio di avvicinarmi.
Perchè
era successo?
Ty fece un'
altro passo avanti e si inginocchiò accanto a Matt,
allungò una mano e lo voltò.
Sentii la
nausea salire e le braccia di Val attorno alle mie spalle.
I capelli di
Matt, una volta biondi, ora completamente pieni di polvere e sangue.
Il suo viso
era coperto di tagli, dalla bocca socchiusa usciva un rivolo scarlatto,
i suoi occhi erano ancora aperti. Ancora verde chiaro. Sembravano
ancora vivi...
Ma la cosa
peggiore era il foro al centro del suo petto, dal quale sgorgava un
fiotto di sangue che andava affievolendosi.
Trattenni il
respiro e chiusi gli occhi. Non poteva essere vero. Non volevo crederci.
Mi
inginocchiai anch' io, portandomi una mano alla fronte.
No,
no, no, Matt, non può essere, non farmi questo, ti prego.
Ci stava
prendendo in giro, da un momento all' altro si sarebbe alzato e ci
avrebbe detto che ci eravamo cascati.
Perchè
doveva essere uno scherzo, non poteva succedere davvero, Matt non
poteva...
-Matt...-, la
voce di Ty era talmente bassa e strozzata che rabbrividii a sentirla,
lui iniziò a battere la mano sulla guancia dell' amico ma
Matt non si muoveva, proprio come me.
-Dai,
fratello...Guardami, dì qualcosa. Per favore, Matt...-,
Tyson lo scrollò ma la testa di Matt ciondolò
senza vita. -Porca puttana, Matt, guardami!-, il suo urlo
riecheggiò nella campagna e mi penetrò nelle ossa.
Ormai Tyson
aveva le mani sporche del sangue di Matt, lo riappoggiò a
terra e gli chiuse le palpebre mentre singhiozzava.
No! Matt non
poteva morire... Lui... Lui non poteva!
Sentivo
freddo, tanto di quel freddo che era come se mi fossi tuffata in un
lago ghiacciato.
Avevo smesso
di respirare e non ero del tutto sicura che il mio cuore stesse
continuando a battere... Era come se fossi morta anche io.
In quel
momento se qualcuno mi avesse toccata, ero sicura che mi sarei
spezzata, non mi ero mai sentita tanto fragile in vita mia.
Tyson
continuava a piangere, con una mano davanti alla bocca.
Non mi voltai
a guardare Val ma lo sentivo singhiozzare. Tutti piangevano la morte
del mio migliore amico, tutti tranne me.
Avrei voluto
piangere, urlare, fare qualcosa ma non riuscivo a fare... Niente, ero
come svuotata.
Avrei potuto
stare lì in eterno a fissare gli occhi chiusi di Matt, a
rendermi conto che il mio amico era morto, che non l' avrei mai
più rivisto, eppure non sarei riuscita a versare una sola
lacrima.
Restammo
lì fermi, forse pochi minuti, forse per un' ora, poi in
lontananza il fischio acuto delle sirene trafisse la notte.
Fu come
essere risvegliati da un sogno, tutti si misero a correre, a gridare.
Attorno a noi si alzò la polvere, le moto rombavano e le
auto sparivano nel buio della campagna.
Ma noi non
riuscivamo a muoverci, non potevamo andarcene.
-Arriva la
polizia, dobbiamo andarcene-, Val provò a scuotermi ma io
non mi mossi.
-Tyson,
andiamo via!-, Val afferrò le spalle dell' amico e lui
sembrò riscuotersi. -Aiutami con Sarah-, lo sentii dire e
subito dopo il viso abbronzato di Tyson entrò nel mio campo
visivo.
-Sarah,
vieni, dobbiamo andare via-, mi disse ma io scossi la testa, non potevo
abbandonare Matt.
-Non possiamo
fare niente, Sarah... E' morto-, guardai Ty negli occhi e li scoprii
ancora bagnati di lacrime. Deglutii, avevo bisogno di sentirmelo dire.
Matt era
morto e io non potevo fare niente se non andarmene.
Tyson mi fece
alzare e mi trascinò verso le nostre moto, ad ogni passo mi
voltavo e vedevo Matt a terra, ormai da solo.
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Capitolo 4 *** Partenza ***
Angolo_Autrice_
Disperazione totale per la scrittura di questo capitolo ma spero che vi
piaccia comunque, ci ho messo anima e corpo, giuro! Quindi vi prego
siate clementi!!
Fatemi sapere tutto quello che pensate le 3 "C" sempre valide
>.<
Ringrazio Ali_13, Felice_29000, FireFist23, My_love_97, Sasimarti,
White and black e _diaphanous per aver messo la mia storia tra le
seguite. Alyxandra e Chantalbruneghi per averla messa tra le ricordate
e infine Misakixox per averla messa tra le preferite! Grazie di cuore a
tutti!! E ovviamente anche a tutti i lettori silenziosi, siete davvero
tanti! Grazie, grazie, grazie!!!
Spero che mi farete sapere cosa ne pensate e appena posso ho intenzione
di mettere anche delle foto per i personaggi! Dico solo che per Sean
cel' ho già da quasi un anno (da quando questa storia ha
iniziato a ronzarmi in testa), era un attore che io stimavo moltissimo
e che mi ha letteralmente spaccato il cuore quando sen'è
andato: Paul Walker.
Spero che concordiate con me.
Comunque, per gli altri non ho molte idee ma accetto consigli!!
Ora vi lascio, un bacio a tutti!
M.H.
Quando sei a terra, devi trovare la forza di rialzarti, altrimenti
verrai schiacciato.
-Come cazzo è successo, eh? Aveva un buco nel petto,
maledizione! Perchè gli hanno sparato? Non ha mai fatto
niente a nessuno, porca puttana!-, Val aveva ripetuto quelle parole
almeno cinquanta volte da quando eravamo arrivati, ma ormai avevo
smesso di ascoltarlo.
Non sapevo come ci ero riuscita ma avevo guidato la mia moto fino all'
appartamento di Tyson ed era ormai più di un' ora che
eravamo lì rifugiati.
Tyson aveva già distrutto due sedie e Val continuava a
gridare contro Dio e a farsi domande che tanto non avrebbero ricevuto
risposte. Mentre io mene ero rimasta lì, sull' entrata, con
la schiena appoggiata alla parete e lo sguardo perso nel vuoto.
Avevamo abbandonato Matt sul ciglio di quella maledetta strada.
Cene eravamo andati,
lasciandolo lì.
Come avevamo potuto farlo?
Ancora non volevo credere a quello che era successo, cercavo di
distrarmi in ogni modo possibile, tornai a guardare la scena di fronte
a me.
-Val, chiudi subito quella bocca o giuro su Dio che t' ammazzo, hai
capito?-, la voce di Tyson era bassa e rauca, eppure, non l' avevo mai
sentita così arrabbiata. Val smise di gridare e si
immobilizzò, passò entrambe le mani nei capelli
ricci e lunghi, sbuffando.
-Lo hanno ucciso, Tyson! Dobbiamo trovare chi è stato e
fargliela pagare!-, esclamò.
Tyson era ancora appoggiato con le mani alla parete, chiuse i pugni sul
muro e vidi la sua schiena abbassarsi e rialzarsi velocemente. -Ti ho
detto di stare zitto, adesso smettila.-
Aveva appena finito di prendere a pugni il muro e aveva le nocche
completamente piene di sangue ma sapevo che se Val non avesse chiuso la
bocca, si sarebbe sfogato anche su di lui.
-Vuoi startene lì a non fare niente?-, disse Val
avvicinandosi, Ty cercò di mantenere la calma ma sapevo che
non avrebbe retto ancora molto.
-Bel modo di ricordarlo, sei proprio un' amico! Ora capisco quanto t'
importava di Matt...-, stavolta aveva esagerato.
Tyson scattò, prese Val per la gola e lo spinse contro il
muro, sollevandolo da terra di diversi centimetri.
-Tyson!-, urlai ma lui non mi ascoltò e puntò gli
occhi in quelli di Val, ormai socchiusi nello sforzo di respirare.
-Credi che non mene frega niente di lui?!?-, gli urlò contro.
Val chiuse gli occhi, cercava di prendere aria ma era già
paonazzo e le sue labbra sembravano blu.
Mi avvicinai ai due di corsa.
-Guardami!! Ti sembra forse che non mene freghi niente?!?-,
urlò Tyson, facendo sbattere la testa di Val contro al muro,
quell' altro si mise a tossire.
-BASTA!-, gridai e mi appesi al braccio di Tyson, spingendolo via con
tutte le mie forze.
Non appena li separai, Val cadde a terra tossendo in cerca di ossigeno.
Mi inginocchiai accanto a lui e gli scostai i capelli dalla fronte.
-Val, stai bene?-, gli chiesi e lui in tutta risposta tossì
di nuovo, portandosi una mano alla gola, dove aveva dei segni rossi.
La rabbia che provai in quel momento mi fece quasi tremare, mi alzai di
scatto e prima di pensare a cosa stessi facendo mollai un pugno in
faccia a Tyson, prendendolo sulla mascella.
Lui voltò la faccia e rimase così, fermo. Forse
stava riflettendo se ricambiarmi il favore o no ma io non gli diedi il
tempo di pensarci troppo.
-Che cazzo ti è venuto in mente, eh?!-, gli gridai contro ma
di certo non mi aspettavo alcuna risposta.
Tyson si voltò a guardarmi e incatenò i suoi
occhi ai miei, non gli avevo mai visto uno sguardo così
intenso ma lo sostenni comunque, senza paura di essere picchiata, lui
non lo avrebbe fatto. Non avrebbe mai alzato un dito su di me, io lo
sapevo bene anche se da una parte avrei voluto che lo facesse, giusto
per vedere fino a che punto si sarebbe spinto.
Vidi la sua espressione cambiare, da furiosa divenne frustrata e alla
fine cedette, si portò le mani nei capelli e si
voltò, iniziò a camminare avanti e indietro ma
sempre senza guardarmi.
-DIO!-, esclamò alla fine ma la sua voce era diversa, non
più incazzata, più che altro... Disperata.
Si inginocchiò a terra e si prese la testa tra le mani, poi,
iniziò a singhiozzare.
Rimasi immobile, incapace di crederci.
Nel frattempo, Val si era alzato ed aveva assistito alla
scena interdetto quanto me.
Ci scambiammo uno sguardo, lui era ancora furioso ma non disse niente,
si limitò a passarsi una mano sul viso e a sparire nel
corridoio, sentii la porta del bagno scattare poco dopo.
Non sapevo cosa fare, tutta quella situazione era sbagliata.
Completamente sbagliata.
Matt avrebbe dovuto essere lì con noi, avremmo dovuto
litigare per l' ultima birra rimasta e picchiarci sul divano per un
pacchetto di sigarette.
E invece Matt non c' era e non sarebbe più tornato. E alla
fine avevamo finito per litigare sul serio, per prenderci a pugni.
Che cosa ci stava succedendo?
Prima che potessi rispondermi alla domanda, sentii di nuovo i passi di
Val e un secondo dopo mi passò accanto e andò
alla sedia dove aveva appoggiato il casco e la giacca, li
afferrò con un gesto nervoso e attraversò quasi
di corsa il salotto.
-Dove vai?-, gli chiesi con un filo di voce, raggiungendolo.
Lui si voltò e mi guardò, i capelli neri gli
ricadevano sugli occhi azzurri che erano socchiusi, la mascella era
contratta dalla rabbia che ancora provava.
Mi guardò per poco tempo e alla fine scosse la testa
sbuffando arrabbiato.
-Vado a cercare quel figlio di puttana che ha ucciso il mio amico. E
quando l' avrò trovato giuro su Dio che lo
ammazzerò con le mie mani nel peggior modo che conosco.-,
parlò a denti stretti e con talmente tanta rabbia che mi
sembrava di avere davanti un' altra persona, rimasi letteralmente a
bocca aperta davanti al cambiamento che vedevo nel mio amico.
Non dissi niente e alla fine Val si voltò e sene
andò.
Il colpo secco della porta mi fece saltare sul posto dalla paura, per
un secondo mi ero ritrovata di nuovo in campagna e la pistola aveva
sparato di nuovo.
Presi fiato cercando di riagganciarmi alla realtà.
Forse fù proprio nel momento in cui Val sene andò
che riuscii a rendermi davvero conto di tutto.
Deglutii e respirai a fatica. Per un secondo accantonai il pensiero
costante di Matt e mi voltai a guardare la porta chiusa.
Che cosa avrebbe fatto Val?
E io? Cosa avrei fatto io?
Sentii il nodo alla gola farsi più stretto che mai.
Sentivo la mancanza di Matt accanto a me, avevo bisogno di lui ma lui
non c' era.
E se non era lì con me era solo colpa mia.
Ero stata io a dirgli di
correre.
In quel momento la consapevolezza di quello che avevo fatto mi
colpì come un pugno nello stomaco.
Era tutta colpa mia.
Sentii il respiro farsi pesante e chiusi gli occhi.
Che cosa ho fatto?
-Sarah?-, mi voltai a guardare Ty che si era rimesso in piedi e mi resi
conto che stavo tremando.
-Ehi... Mi dispiace-, disse lui, si avvicinò e mi
accarezzò una guancia. -Davvero, non volevo far male a Val.
Tranquilla sarà andato a casa, non farà
cazzate... Non volevo che mi vedessi così, è solo
che... Non ci ho visto più, scusami-. Lui si stava scusando
con me? Ma perchè?
Ero io che gli avevo tirato un pugno! E poi, se proprio voleva scusarsi
con qualcuno, avrebbe dovuto farlo con Val, non con me. Io ero l'
assassina, quella che aveva detto a Matt di correre. Non meritavo la
sua compassione.
-E' tutta colpa mia!-, dissi e affondai il viso nelle mani, avevo
bisogno di piangere ma non riuscivo a sopportare l' idea di mostrarmi
debole, nemmeno di fronte ai miei amici e nemmeno in quel momento.
Mi voltai verso la porta e trattenni le lacrime, inspirando ed
espirando con calma.
Passarono diversi secondi, Tyson dietro di me non si era mosso e non
aveva parlato, io riuscii a calmarmi e respirai profondamente un paio
di volte.
-E' colpa mia...-, la mia voce era ferma ma un po' roca,
però continuai a parlare, sperando che così il
nodo allo stomaco si potesse allentare un po'.
-....Mi dispiace tanto, Tyson. Sò che non serve a niente
dirlo ma è la verità-, mi voltai ad affrontarlo.
-Ho chiesto io
a Matt di correre-.
Lui mi guardava con gli occhi socchiusi, tamente scuri che quasi
sembravano neri. Squoteva appena la testa ma non diceva niente.
Sospirai e chiusi un secondo gli occhi, sapevo di averlo deluso ma che
importava a quel punto?
Senza Matt non saremmo più stati gli stessi.
Quando vedi un' amico morire davanti ai tuoi occhi...E' una cosa che
non si può spiegare. Ti crolla il mondo addosso,
letteralmente.
Ti senti come se ogni tua certezza, ogni tua speranza fino a quel
punto, fosse stata completamente distrutta.
Riaprii gli occhi e Tyson era ancora lì e mi guardava ancora.
Forse si stava rendendo conto della realtà delle mie parole.
Alla fine non riuscii più a sostenere il suo sguardo. Mi
abbassai e recuperai il casco che avevo lasciato a terra.
Diedi un' ultima occhiata al mio amico che mi guardava confuso, poi
mene andai di corsa, con l' intenzione di non fermarmi più.
Sentivo il vento sferzarmi il viso perchè non avevo
abbassato la visiera del casco.
Non sapevo nemmeno a che velocità stessi andando, sapevo
solo che aumentavo sempre di più.
Sentivo la moto rombare tra le gambe, come se stesse ringhiando di
rabbia anche lei.
Non volevo più pensare a niente, solo alla
velocità, non m' importava se la polizia mi prendeva.
Accelerai ancora e sentii gli occhi pizzicare, sicuramente per il vento
forte e improvvisamente freddo che era arrivato.
Non sapevo nemmeno dove stessi andando ma non badai troppo a quello,
volevo solo correre, fondermi con la mia moto e lasciarmi alle spalle
tutto il dolore.
Improvvisamente iniziò anche a piovere, sentivo le gocce
scendermi lungo le guance.
Tolsi una mano dal manubrio e mi asciugai con un gesto nervoso.
Non era solo la pioggia, erano anche le lacrime che scendevano.
Mi sentii ancora più arrabbiata con me stessa, aumentai
ancora la velocità stringendo i denti.
Feci per asciugarmi di nuovo quelle dannate lacrime.
Ma quello fù un grosso errore.
Non solo andavo ad una velocità spropositata ma l' asfalto
era bagnato ed io avevo usato una mano sola in un momento di rabbia.
Sbandai e mi resi conto solo di essere stata sbalzata via dalla moto,
atterai sull' asfalto e poi buio.
Era così bello non dover pensare a niente, godersi il
silenzio, il buio, non provare dolore.
Ah, se quella era la morte, ci avrei messo la firma.
Per un tempo indefinito riuscii a dimenticare tutto, perfino chi fossi.
Ma poi la realtà mi ritrascinò indietro, alla
vita e al dolore.
Mi svegliai e la prima cosa che vidi fù una luce
abbagliante, no, non era il paradiso ma una odiosa lampada al neon che
mi fece socchiudere subito gli occhi.
Mi resi conto di essere sdraiata e di trovarmi in un ospedale, dell'
incidente non ricordavo molto.
Mi sentivo la testa come sott' acqua e avevo la nausea ma riuscii
comunque a constatare di non avere niente di rotto, per fortuna.
Mi voltai appena e notai un paio di occhi azzurro cielo, un viso
abbronzato e dei capelli biondi non più lunghi ma rasati
sulla testa.
Avrei riconosciuto il suo viso tra mille ma non mi sembrava vero che
fosse lì.
-Sean?-, avevo la bocca impastata, che schifo.
Mio fratello sorrise e annuì.
-Cel' hai fatta a svegliarti-, disse. La sua voce era profonda e rauca
come al solito.
Lo guardai bene, cavolo se era cambiato dall' ultima volta che l' avevo
visto. Forse era solo l' effetto dell' ospedale ma mi sembrava anche
più vecchio, più preoccupato... Non era il solito
Sean a cui ero abituata.
Girai solo gli occhi e osservai la stanza, i miei genitori non c' erano.
-Dove sono mamma e papà?-, chiesi cercando di schiarirmi la
voce senza successo.
Sean continuava a guardarmi ma la sua espressione cambiò di
colpo.
Passò un' infinità di tempo prima che parlasse.
-Sai, sei stata fuori combattimento per tre giorni...-, disse ma non
era quello che volevo sapere.
Percepivo la sua ansia e sentivo che qualcosa non andava. Lui distolse
lo sguardo e sospirò, all' improvviso lo vidi triste anche
se cercava di nascondermelo.
Una bruttissima sensazione si fece largo nella mia mente ma cercai di
stare calma.
-Che cosa è successo, Sean?-, gli chiesi.
Alla fine, lui mi guardò, sospirando.
-L' altro ieri... Hanno avuto un' incidente mentre venivano qui, sono
finiti contro un' albero... Non cel' hanno fatta, Sarah-
Scossi la testa.
No, non era possibile.
NO! Perchè? Perchè Dio mi faceva questo?! Che
cosa avevo fatto di male?!!
Chiusi gli occhi e sentii la mano di Sean stringere la mia.
No, no, no... Stava accadendo tutto troppo, troppo in fretta.
Non poteva essere vero!
Perchè i miei genitori sono dovuti morire?
Perchè il mio migliore amico è morto?
Perchè non potevo avere una vita felice?
-Che cosa faccio adesso?-, chiesi a mezza voce, trattenendo a stento un
singhiozzo. In realtà lo stavo chiedendo a me stessa ma mio
fratello aveva la risposta pronta.
-Vieni a vivere con me-.
Trasferirsi era facile. Voleva dire lasciarsi alle spalle un pezzo di
vita che non serviva e che si voleva dimenticare. Un pezzo che era
stato spezzato e ricomposto, solo per essere spezzato di nuovo.
Cambiare paese non mi avrebbe di certo fatto dimenticare tutto il
dolore e i miei cari che stavo lasciando ma avrebbe potuto aiutare.
Prima di partire, però, dovevo fare un' ultima cosa.
Ero stata al funerale dei miei genitori ma non ero riuscita ad andare a
quello di Matt perchè ero ancora in ospedale.
Ecco perchè mi ritrovai di nuovo lì, a guardare
il punto esatto in cui Matt era caduto. Vicino al bordo della strada,
quasi in mezzo all' erba alta. E proprio lì c' era una croce
piantata nel terreno, davanti ad essa il casco era appoggiato a terra,
come se fosse una lapide.
Sulla croce era inciso: Matt
Thompson, 1994-2013.
Ovviamente quella non era la tomba di Matt ma per noi lo era.
Lì c' erano il nome, il casco e un pezzo di ogni persona che
gli aveva voluto bene.
Collane e bracciali appesi alle braccia della croce, foto plastificate
di noi, tutti insieme quando eravamo felici e senza pensieri. Fogli con
dediche da parte di molte ragazze che non conoscevo neppure, poi
spille, accendini, pupazzi e una maglietta che faceva da tappettino al
tutto, già consumata dalla pioggia e da chissà
che altro, era di Val quella maglietta, lui la indossava spesso.
Riconobbi anche un' accendino di metallo, di quelli che si aprivano,
sopra aveva inciso: Il
pugile, Tyson non si staccava mai da quell' accendino.
Io non avevo ancora lasciato niente, non ne avevo avuto il tempo,
così mi frugai nelle tasche in cerca di qualcosa e trovai il
mio portachiavi d' acciaio a forma di quadrifoglio verde, non c' erano
chiavi attacate ma lo usavo come portafortuna alle gare, lo guardai un
secondo prima di decidere che tanto non mi sarebbe servito
più. Lo appoggiai a terra, difronte al casco. Poi mi sfilai
la collana che tenevo sempre sotto alla maglietta, era una di quelle
militari con incisi sopra nome e data di nascita, era stato proprio
Matt a regalarmela ma decisi di lasciarla lì.
La misi al collo della croce, era l' unica in quel punto.
Mi alzai e guardai quel piccolo santuario dedicato a Matt.
Sì, a lui sarebbe piaciuto.
-Ciao, Matt-, sussurrai.
Tornai sui miei passi, diretta alla macchina che mi avrebbe portata via
da quella città e da quelle tombe per sempre.
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Capitolo 5 *** Verità ***
_Angolo Autrice_
Allora, prima di
tutto ci tengo a scusarmi per non essere più andata avanti
per tutte queste settimane. Vi risparmio i dettagli ma vi dico solo che
è stata dura e che sono successe tante cose tutte insieme.
Non voglio annoiravi quindi avverto che per farmi perdonare il capitolo
è molto lungo e da qui diciamo che parte la storia
ufficiale, perchè si scopriranno molte cose su Sean e Sarah.
Vorrei sapere cosa ne pensate e spero in qualche commento.
Ringrazio in anticipo tutti quelli che leggeranno e corro a scrivere il
prossimo capitolo per non farvi aspettare troppo!
A presto!!
M.H.
Sempre, qualunque cosa accada, ricorda da dove vieni e chi sei e che io
sarò con te.
Mio fratello era sempre stato una parte di me, la persona che
più amavo al mondo, fin da quando ero piccola.
Le nostre vite si erano intrecciata per una ragione, avevamo perso
molto entrambi eppure avevamo resistito a tutto, siamo stati in grado
di superare i momenti difficili, di sconfiggere le nostre paure.
Fin da quando ero una bambina sono stata in grado di cavarmela anche
difronte alle cose peggiori, e tutto grazie a Sean.
Ecco perchè sapevo di poter sopportare tutto. Ma sapevo
anche che senza di lui non avrei fatto nemmeno un' altro passo avanti,
senza Sean sarei caduta e non sarei stata più capace di
rialzarmi.
Non avrei sopportato l' idea di perderlo.
Promisi a me stessa di non farlo mai, mi ripromisi di
proteggerlo a qualunque costo perchè Sean era
tutto ciò che mi rimaneva.
Quando, due anni prima, si era trasferito in una piccola
città della California mi ero sentita male. Non
riuscivo a resistere alla sua assenza e per due settimane mi ero
sentita quasi depressa, poi mi ci ero abituata, ci si abitua a tutto
alla fine.
Quando poteva passava a trovarci e lo sentivo tutti i giorni al
telefono ma non era la stessa cosa, ecco perchè, nonostante
il motivo che mi avesse costretta a farlo, ero felice di poter vivere
con Sean.
Quando arrivammo in città ormai era sera, alla mia destra
riuscivo a vedere solo una macchia nera che si muoveva, era tutto
Oceano Pacifico da quella parte.
A sinistra, invece, si estendevano le strade e le case.
Ad un tratto Sean svoltò in una via e ci lasciammo la
spiaggia alle spalle, percorse una strada dove ai lati si estendevano
case sbiancate dal sole e dall' aria del mare, ogni casa era un
quadrato di due o tre piani al massimo, modeste ma comunque molto
carine viste da fuori.
Percorse forse un chilometro e poi fermò l' auto sul
vialetto di una casa a due piani, bianca come le altre ma con un po' di
vernice scorticata quà e là.
Aveva un recinto di legno che la circondava, scendemmo e potei vedere
il resto.
Sean aprì il cancello del recinto e mi fece entrare, c'
erano dei cespugli ai lati del vialetto, una veranda piccola e bassa e
poi la porta, di legno come il resto.
Entrammo e mi ritrovai davanti uno spazio semivuoto, che doveva essere
il salotto, alla mia sinistra c' era una porta aperta che mi faceva
intravvedere una piccola cucina, davanti a me un breve corridoio e
delle scale che portavano di sopra, poi, alla mia destra un divano
enorme e contro al muro un mobile grande quasi quanto tutta la
parete che conteneva una tv a chermo piatto e subito sotto
uno stereo di ultima generazione, ai lati nei due scaffali c' erano
pile su pile di cd.
Ma l' arredamento finiva lì.
-Sembra molto più grande da fuori-, commentai anche se mi
piaceva molto così, odiavo le case enormi.
Sean sorrise e mi sfilò la valigia di mano per appoggiarla
accanto alla porta.
-Sì, ho sacrificato mezza casa per fare un' officina, vieni,
ti faccio vedere-.
Lo seguii mentre entrava in cucina, ebbi giusto il tempo per vedere che
era lunga e stretta che la attraversammo e arrivammo in fondo, dove c'
era un' altra porta.
Ci ritrovammo di nuovo fuori e mi accorsi che eravamo sul lato sinistro
della casa in un piccolo giardino, c' era un' altro cancelletto che
portava sul davanti ma Sean girò a destra dove c' era l'
enorme saracinesca del garage e accanto una piccola porta.
Praticamente la cucina e il garage avrebbero dovuto essere una stanza
sola ma evidentemente mio fratello aveva eretto una parete nel mezzo in
modo da separarle, anche se di pochi centimetri.
-Però-, dissi ammirata e notai il sorriso soddisfatto di
Sean.
-Ci sono voluti quasi quattro mesi di lavori ma ora lì
dentro c' è tutto quello che mi serve per i miei progetti-,
disse lui.
Per "progetti" intendeva le auto da modificare, era sempre stata una
sua fissa anche da ragazzino.
Mi avvicinai alla porta ed entrai, ero curiosa di vedere l' interno,
era buio pesto e c' era un' odore forte di olio per motori, vernice e
forse benzina, Sean entrò ed accese le luci.
Davanti a me c' era un telone bianco che ricopriva completamente un'
auto e in fondo, dietro di questa c' era la mia moto. Sean l' aveva
già fatta portare lì da un paio di giorni. Mi
avvicinai e la osservai bene, aveva un' enorme ammaccatura sulla
fiancata destra e la vernice era tutta rovinata, la ruota davanti era
distrutta, come del resto tutta la parte frontale.
Sospirai e sentii una fitta al fianco, dove avevo ancora la ferita
fresca di quell' incidente, probabilmente la fitta era stata solo un
riflesso di quello che mi aveva riportato alla mente la vista della mia
amata moto ma la sentii comunque, fin troppo chiaramente.
-Merda...-, sussurrai continuando a guardare la moto e chiedendomi come
avrei mai potuto ripararla.
-Mi piacerebbe sapere come cazzo hai fatto a ridurla così, a
che velocità andavi?-, la voce di Sean era tranquilla ma la
sentivo lo stesso la punta di rimprovero che aveva, mi era arrivato
accanto con le braccia incrociate sul petto muscoloso e fissava anche
lui la mia moto.
Sbuffai alzando appena le spalle, -E chi lo sà-, risposi e
lo vidi squotere la testa.
-Sei fortunata ad essere viva-, disse e si voltò per uscire
dal garage. Io non mi mossi e pensai alle sue parole.
Avrei dovuto morire due volte quella sera, eppure invece ero viva,
chissà perchè... Forse era vero che ero fortunata
anche se non mi sentivo affatto così.
Sospirai ancora, diedi un' ultima occhiata alla mia moto e mi voltai
per tornare in casa.
Sean mi aspettava dentro, era appoggiato alla cucina e guardava in
basso, quando rientrai mi osservò per qualche secondo.
-Ti piace qui?-, mi chiese, io annuii e mi sedetti al tavolino contro
alla parete, difronte a lui.
-Non è come a casa... ma è meglio
così-, dissi, ed era la verità, non volevo
più tornare indietro, ora era quella la mia casa.
-Spiegami cos' è successo quella sera-, disse lui, la sua
voce era bassa e calma, sbuffai.
-Tel' hò detto, non mi ricordo-
-Non parlavo dell' incidente, voglio sapere della gara-, deglutii, non
avevo detto che lo stretto indispensabile a Sean di quella sera, non
ero riuscita a parlarne per diversi giorni e quando lo avevo fatto
avevo detto solo che qualcuno aveva sparato a Matt.
Non sapevo se sarei riuscita a dirgli tutta la verità ma ci
provai.
-Dovevo correre io... Era il mio turno ma non mela sono sentita...
Avevo una brutta sensazione e così ho chiesto a Matt di
farlo al posto mio.
Sentivo che quella sera sarebbe successo qualcosa ma nonostante questo
io l' hò fatto correre al posto mio.
Poi gli hanno sparato e l' hò visto lì, a
terra...-, la voce mi morì in gola, fissavo il pavimento
senza vederlo, rividi davanti agli occhi tutta la scena di quella
notte, era passata una settimana ma il ricordo era più vivo
che mai.
Risentivo lo sparo nelle orecchie e il suono orribilato della mia voce
quando avevo urlato il nome di Matt.
Rivedevo il sangue e i suoi occhi ancora aperti che mi fissavano, vuoti
e distanti.
Presi un respiro e cercai di scacciare quelle immagini.
Quando parlai ancora la mia voce era poco più di un sussurro
roco.
-Stava arrivando la polizia e siamo dovuti scappare, abbiamo dovuto
abbandonarlo lì.
Eravamo a casa di Tyson e lui e Val hanno litigato. Tyson lo stava per
strozzare ma io mi sono messa in mezzo, poi Val sen' è
andato via e io...Dopo un po' mene sono andata anch'io.
Non c' ero con la testa, Sean, andavo troppo veloce e aveva iniziato a
piovere... Alla fine mi sono ritrovata in ospedale.
Guardai Sean e sentii gli occhi umidi anche se le lacrime non volevano
uscire.
Lui mi guardò a sua volta negli occhi ma la sua espressione
era amareggiata.
-E' colpa mia se Matt è morto... Gli ho chiesto io di farlo
e ora lui non c' è più-, la mia voce era rotta e
disperata ma i miei occhi ancora asciutti e questo mi faceva sentire
ancora più frustrata.
Sean attraversò con un passo il mezzo metro che ci separava
e si inginocchiò difrontre a me, poi mi strinse forte,
facendomi appoggiare la testa alla sua spalla.
-Non è colpa tua, Sarah-
-E invece sì... E anche dell' incidente di mamma e
papà è colpa mia... se non fossi stata in
ospedale...
Lui mi strinse più forte e mi zittì.
-Smettila non c' entri niente con quello che è successo, non
voglio più sentirtelo dire, è chiaro?-
Io non risposi ma continuai ad aggrapparmi a lui.
I giorni passavano e avevo iniziato a perdere il conto delle volte in
cui mi svegliavo in preda a qualche incubo, sognavo in continuazione i
miei genitori e rivedevo ancora il momento in cui Matt cadeva.
Tutte le notti mi svegliavo urlando come una bambina e Sean correva in
camera per calmarmi.
Cercavo di non pensarci ma non era facile non pensare quando mi
ritrovavo sola in casa senza niente da fare.
Sean era sempre in garage a lavorare, mi aveva anche risistemato la
moto ma la cosa stranamente non mi aveva fatto sentire meglio, avevo
pensato che anche se la mia Ducati era tornata come prima tutto il
resto non era cambiato e il mio umore era peggiorato ancora.
Mi sentivo... Stanca, sì, stanca di tutto, stanca di quella
nuova vita piena di dolore a cui non ero abituata, volevo tornare alle
mie giornate in compagnia di Val, Tyson e Matt, rivolevo i miei
genitori.
Sospirai e appoggiai la testa alla parete, ero rannicchiata su una
sedia, in cucina, mi tenevo le gambe strette al petto e avevo
rinunciato a cercare di spazzare via i pensieri, il mio mp3 era
abbandonato sul tavolo accanto a me.
Riuscivo a sentire Sean che lavorava in garage, dietro di me.
Mi chiesi come aveva fatto lui a riprendersi così in fretta.
Ero certa che anche a lui mancassero i nostri genitori e di certo Sean
non era il tipo da mettersi a piangere (quello l' avevo preso da lui),
però era come se non volesse parlarne per niente, insomma
era come se gli avesse completamente cancellati.
Non riuscivo a capirlo.
Magari si sentiva in colpa.
Ma in colpa per cosa? Lui non aveva fatto niente di male, al contrario
di me.
Era inutile cercare di negarlo.
Matt era morto per colpa mia.
Io gli avevo chiesto di correre al mio posto, quella sera. E se non
fosse stato per me lui sarebbe ancora vivo e se lui sarebbe vivo
probabilmente io non avrei fatto quell' incidente e di conseguenza
anche i miei genitori sarebbero ancora qui.
Tutta quella maledetta catena era iniziata per colpa mia ed io non
avevo avuto la forza di fermarla.
E Sean non voleva capirlo.
Chiusi gli occhi e mi passai una mano sul viso. Non volevo
più pensare.
Non volevo più fare niente.
Sentii la porta di casa aprirsi e pochi secondi dopo entrò
il migliore amico, nonchè socio in "affari" di mio fratello.
Brad era un ragazzo di colore enorme, tanto alto quanto muscoloso, un
piercing al soppracciglio destro, i capelli neri e rasati e i denti
bianchissimi sulla pelle scura risaltavano ancora di più.
Mi guardò facendo un sorriso di saluto e si
precipitò al frigo, tirò fuori una birra, la
stappò poi si girò e mi
guardò ancora.
La cosa positiva del vivere in una casa di uomini era che la birra in
frigo non mancava mai.
-Come va?-, la sua voce era profonda e cordiale.
Io alzai le spalle, -Come al solito... Hai portato un' altra
macchina?-, chiesi tanto per cambiare argomento, Brad era una specie di
intermediario delle auto per le corse clandestine, chiunque avesse
bisogno di farsi sistemare la macchina la portava da lui e poi lui la
rifilava a Sean.
Lui scosse la testa mentre svuotava mezza bottiglia di birra con un
sorso solo.
-No, oggi visita di cortesia, è da un po' che non ci
vediamo-, disse con un sorriso.
-Ma se sei venuto ieri-, esclamai io.
Mi chiedevo ancora se lui avesse o no una casa, erano passate tre
settimane da quando ero venuta a vivere da mio fratello e in tutte e
tre le settimane immancabilmente, ogni giorno, Brad si presentava alla
porta e cenava o, più di una volta, dormiva da noi.
-Sean è in garage-, lo informai.
Lui mi guardò con gli occhi sgranati e quasi si
strozzò con la birra.
-Cooosa??? Tuo fratello è in garage??? Ma è
impossibile!-, gridò ed io non riuscii a trattenere una
risata, in pochi secondi Brad era riuscito a farmi dimenticare tutto
quello che stavo pensando poco prima.
Probabilmente notando che era una delle poche volte in cui avevo riso,
lui continuò:
-No, seriamente che cavolo ci fa là dentro? Insomma non
può starci, lui non sà un cazzo di motori-, era
talmente serio che io risi più forte, avrebbe potuto fare l'
attore, poi dietro di lui notai Sean che era appena entrato e lo
guardava malissimo.
-Vaffanculo, perchè saresti tu quello bravo con i motori,
eh? Allora facciamo così da oggi io mene anrò in
giro tutto il giorno a cazzeggiare e tu ti rinchiudi in garage con il
grasso fino ai gomiti, che dici? Tanto praticamente ci vivi
già in questa casa-, Brad si voltò con aria
colpevole mentre Sean sghignazzava.
-Io non vado in giro a cazzeggiare tutto il giorno e questa casa
è il quartier generale quindi posso starci quanto cazzo mi
pare-, disse Brad bevendo le ultime sorsate di birra.
Sean aprì il frigo e ne prese una per sè.
-Ma cos'è, siamo in un film? Quartier generale ,tu
stai male, credimi-, disse Sean, Brad sollevò le spalle,
-Beh, quartier generale o no, di che volevi parlarmi?-, chiese, Sean
indicò il garage e in pochi secondi mi ritrovai di nuovo
sola nella cucina.
Stavo per alzarmi e andarmene di sopra quando il mio nome
attirò la mia attenzione:
-Sono preoccupato per Sarah, si stà lasciando andare...-,
era la voce di mio fratello che parlava piano, avvicinai l' orecchio
alla parete e mi misi in ascolto.
-E' normale, ha visto un amico morire davanti ai suoi occhi e poco dopo
ha scoperto che anche i vostri... Dalle tempo, vedrai che piano piano
si riprenderà-, disse Brad.
Sentii un sospiro, probabilmente di Sean.
-Pensa che sia colpa sua... E' convinta che sia solo colpa sua e non
sà quanto si sbaglia.
Dovrei dirglielo, Brad.
Non può continuare ad incolparsi così per
qualcosa che non ha fatto.
Dovrei dirle che in realtà lei non c' entra niente, che in
realtà è solo colpa mia-
Mi si gelò il sangue a sentire quell' ultima parola.
Che diavolo significava che era colpa sua?!?
-No, fratello, lo sai che non è vero-
-Come no? L' hò accettato io quel lavoro e se non l' avessi
fatto tutto questo non sarebbe successo!
La verità è che volevano uccidere lei quella
sera! Doveva essere un' avvertimento ma si sono sbagliati...-
Trattenni a stento un urlo, com' era possibile?
Che significava tutto quello?
Di che lavoro parlava Sean?
-E' colpa mia se Carlos gli ha fatti uccidere-
Mi allontanai di scatto dalla parete, come se avessi preso una scossa
elettrica.
Ma che stava succedendo?
Saltai in piedi e guardai orribilata la parete difronte a me, no, non
poteva essere.
Sean non aveva fatto quello che diceva. Non poteva averlo fatto, non
lui.
Senza rendermene conto ero corsa fuori dalla cucina e mi stavo
precipitando nel garage, la saracinesca era aperta, Sean e Brad erano
uno difronte all' altro e quando mi videro restarono
perfettamente immobili entrambi.
-Sarah...-, disse Sean ma io lo interruppi urlando: -E' stata colpa
tua?! Tu gli hai fatti ammazzare?! Che cazzo hai fatto, Sean?-
-Hai sentito?-, chiese lui e sembrava a dir poco sconvolto.
Io risi ma la mia era una risata senza allegria.
-Certo che ho sentito! I nostri genitori! Erano i nostri genitori e
Matt! Gli hai fatti ammazzare per un' altro dei tuoi lavori di merda?
Non posso crederci... Tu non puoi averci fatto questo!-
-Sarah, ascolta io...
-Ti odio! Io ti odio! Sei solo un bastardo!-, urlai e sentii la
delusione serrarmi la gola, mi voltai ed iniziai a correre ignorando
Sean che mi chiamava come un disperato, sapevo che mi stava inseguendo
ma ero più veloce e ben presto si arrese.
Lo odiavo, lo odiavo! Come aveva potuto fare una cosa del genere?
Perchè proprio lui aveva dovuto farlo?
Era l' unica persona importante della mia vita, non potevo credere che
lo stavo lasciando così, non volevo credere a quello che
avevo sentito.
Corsi, corsi più veloce che potevo, fino a rimanere senza
fiato, fino a che non riuscii a vedere il mare, finchè non
sentii la sabbia entrarmi nelle scarpe.
Ero arrivata alla spiaggia ed ero sfinita, stanca ma non per la corsa,
mi sentivo stanca dentro, stanca di tutto, volevo...
Volevo dimenticare, volevo tornare indietro.
Mi fermai, il sole stava tramontando ma in spiaggia c' erano ancora
molte persone che facevano il bagno e che mi guardavano storto per il
modo in cui ero vestita, indossavo dei jeans e una felpa. Non mi curai
di loro e camminai per un po' finchè trovai un posto
isolato, lontano, mi lasciai andare e mi sedetti a terra.
Il tramonto era bello, caldo, dava un senso di pace...
Ma io mi sentivo fredda, agitata, confusa e delusa...
Mille pensieri mi frullavano nella testa ma non riuscivo ad afferrarne
uno per più di pochi secondi.
Volevo dimenticare, salire in sella alla mia moto e scappare via senza
mai fermarmi, percorrere chilometri senza pesare ad altro che alla
velocità.
Ma non potevo farlo.
Qual' era la verità su Sean? Cosa mi aveva nascosto? Di che
lavoro parlava?
Sapevo che Sean aveva fatto il corriere per qualche tempo, trasportava
della roba per dei ricconi, roba illegale si intende.
Ma cos' era successo? Aveva provato a fregare qualcuno? Non aveva
finito un lavoro?
Mi presi la testa tra le mani e chiusi gli occhi.
Perchè, perchè, perchè?
Troppe domande nessuna risposta, non sapevo cosa fare. Non sapevo
più cosa pensare a proposito di Sean.
Lui era mio fratello, non potevo dubitare di lui, non potevo odiarlo...
Non ci riuscivo, nonostante tutto quello che poteva aver fatto.
Mi guardai l' interno del braccio sinistro, sotto all' incavo del
gomito dove c' era il tatuaggio con la scritta "Always".
Sempre, qualunque cosa
accada, ricorda da dove vieni e chi sei e che io sarò con te.
Sean ne aveva uno uguale, era la promessa che c' eravamo fatti da
piccoli e ora che eravamo grandi non volevamo dimenticarla,
così cel' eravamo incisa sulla pelle.
Sean aveva moltissimi altri tatuaggi sparsi per il corpo io ne avevo
solo tre, quello sul braccio, uno dietro alla spalla che era per la mia
famiglia, e poi c' era l' ultimo, il più recente, all'
interno del polso destro mi ero fatta scrivere il nome di Matt. Era
guarito da poco e le linee nere e sottili erano ancora fresche sulle
vene.
Non mi sarei mai dimenticata di lui, volevo ricordarmi ogni volta che
guardavo quel tatuaggio di quello che avevo fatto al mio migliore amico.
Era come una punizione.
Una punizione perchè io ero viva e lui no.
Aveva dei progetti, una vita da vivere, sogni. E io avevo spezzato
tutto questo.
La mia vita era sempre stata veloce, avevo sempre dato per scontato
tutto ma ero stanca di perdermi le piccole cose, avevo bisogno di
ricominciare e di rallentare, di vivere una vita normale e magari
felice. Lo avrei fatto per Matt.
All' improvviso mi ricordai di quello che ci eravamo detti qualche
giorno prima di quella maledetta sera.
Rividi tutta la scena, nitida, come se fossi tornata indietro nel tempo.
-Certo che amo correre.
Solo che a volte mi piacerebbe vivere una vita normale, sai, rallentare
un po'.
Non pensi mai a quello
che farai nel futuro?-, mi chiese Matt, io scossi la testa e alzai le
spalle.
-Mi piace vivere il
presente-, dissi con un sorriso, senza dare peso alle sue parole, per
me era impensabile l' idea di smettere di correre.
-Ma non saremmo giovani
per sempre, Sarah. Prima o poi dovremmo smettere di fare cazzate e
allora che faremo?
Tu che cosa farai?-,
domandò, io sbuffai e guardai davanti a me pensandoci per un
secondo ma mi arresi quasi subito.
-Non lo sò,
ci penserò quando sarà il momento...
Perchè tu cosa vorresti fare?-, dissi tornando a guardare
quegli occhi verdi tanto famigliari, lui strinse le labbra e si
scostò i capelli biondi dalla fronte, poi mi disse una cosa
che non aveva ancora detto a nessuno, magari perchè aveva
paura che lo prendessero in giro, però si fidò di
me.
-Io voglio andare al
college. Stò cercando di risparmiare con i soldi delle
scommesse.
Il fatto è
che io lo voglio un futuro, Sarah.
Mi dispiacerebbe
perdermelo solo perchè sono stato un coglione-
O perchè sei stato ucciso.
Lui era l' unico di noi che meritava di vivere davvero,
perchè lui aveva un piano, voleva diventare qualcuno, aveva
qualcosa per cui valeva la pena di vivere.
Io non cel' avevo un futuro. E fino a poco prima non m' importava d'
averlo.
Ma ora avevo deciso.
Avrei ricominciato, avrei vissuto la mia vita per Matt.
Quando mi rialzai per tornare indietro ormai la spiaggia era deserta e
il sole era tramontato, non mi ero accorta di essere rimasta fuori
così a lungo, Sean doveva essere impazzito, mi ricordai di
tutto quello che avevo sentito quel pomeriggio e decisi che per prima
cosa gli avrei chiesto spiegazioni.
Quando aprii la porta Sean tirò un sospiro e subito dopo
sentii le sue braccia stringermi forte.
-Scusa, avrei dovuto dirtelo che non era colpa tua. Mi dispiace tanto,
piccola-, non mi chiamava piccola da quando avevo dieci anni e la cosa
mi commosse.
Io ricambiai l' abbraccio.
-Non è vero che ti odio...-, sussurrai pentita. Come avevo
potuto dirgli una cosa del genere?
Qualunque cosa sarebbe potuta succedere lui restava mio fratello.
Sean si staccò da me e mi guardò negli occhi,
sospirò e poi sorrise.
-Dobbiamo parlare, andiamo a mangiarci qualcosa-, disse prendendo le
chiavi della macchina.
Eravamo seduti in fondo ad una tavola calda e mangiavamo in silenzio, o
meglio, giocavamo con quello che avevamo nei piatti entrambi indecisi
su cosa fare.
Io aspettavo che iniziasse a parlare ma lui sembrava non decidersi.
-Mi dispiace per oggi-, esordì dopo un po', io continuai a
guardare il piatto in silenzio.
-Tra di noi non dovevano esserci segreti, lo sò. Quindi ecco
com' è andata:-
Sollevai lo sguardo su di lui che iniziò a parlare.
-Ho lavorato per un certo Carlos, una volta.
E' un messicano, un trafficante di droga. Cercava dei bravi piloti per
un trasporto, erano soldi facili.
Carlos metteva insieme delle squadre di tre per i suoi lavori, in modo
che se qualcuno veniva catturato qualcun' altro portava a termine la
commissione.
Quella volta eravamo io, Brad e un nostro amico, Calvin.
Dovevamo trasportare della droga da El Paso, al confine col Messico ad
una città vicino a Las Vegas, cel' aveva Calvin in macchina,
io e Brad eravamo delle esche.
Poco prima di uscire dal Messico però, Calvin è
sparito, ha deciso di tenersi la droga e rivenderla per un sacco di
soldi, è scappato e si è nascosto. Io e Brad
abbiamo dovuto fare lo stesso, ecco perchè mi sono
trasferito due anni fa.-
Scossi la testa cercando di riordinare i pensieri.
-Qualche mese dopo siamo venuti a sapere che Carlos aveva trovato
Calvin e che lo aveva ammazzato ma che ormai la droga e i soldi che ci
aveva fatto erano andati.
Ma secondo me Calvin è ancora vivo e deve avergli detto dove
abitavo, ecco perchè sono venuti a cercarmi a casa, sono
stato uno stupido a non pensare di nascondere anche voi, avrei dovuto
sapere che Carlos avrebbe cercato di usarvi come avvertimento. Mi
dispiace per Matt, si è trovato in mezzo a qualcosa di
più grande di lui e sò che è orribile
dirlo ma... Sono contento che non sia toccato a te-
Io non capivo.
-Ma perchè ne sei convinto? Perchè non credi che
Matt sia morto per caso come mamma e papà?-, gli chiesi, lui
contrasse la mascella, come quando era nervoso.
-Perchè nemmeno l' incidente di mamma e papà
è stato un caso, Sarah.
Qualcuno ha manomesso i freni-, disse.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo, cercando di stare calma, era un
bel peso da assimilare.
Quando parlai di nuovo erano passati parecchi secondi.
-Quindi... Adesso Carlos ci stà dando la caccia?-, chiesi a
bassa voce e sentendo un nodo allo stomaco.
Sean scosse con forza la testa e mi afferrò la mano sopra al
tavolo sporgendosi verso di me.
-Lui non
toccherà ancora la mia famiglia. Non glielo
permetterò, capito?
E poi, è più di un anno che mi nascondo qui e non
mi ha mai trovato.
Non devi preoccuparti, Sarah.
Sempre, qualunque cosa accada ci sarò io, chiaro?-
Io annuii lentamente, -Chiaro-.
|
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Capitolo 6 *** Primo scontro ***
_Angolo Autrice_
Lo sò,
cene ho messo di tempo!
Ma vi risparmio i dettagli noiosi... Passiamo subito al capitolo:
Finalmente arrivano le parti interessanti (niente più
capitoli troppo tristi, lo sò che erano un tantino pesanti
ma erano necessari per introdurre la storia e i personaggi), comunque,
come suggerisce il titolo ci sarà un primo "scontro" con una
persona che potrebbe diventare molto importante, Sarah ha deciso di
andare a scuola e qui inizierà la sua nuova vita. Spero vi
piaccia e che mi lasciate un commentino per sapere che ne pensate!
Un bacio a tutti!"
Oh, e un grazie speciale a tutti quelli che hanno inserito la storia
tra le preferite e seguite e da ricordare, grazie davvero!
Ciao!!
M.H.
A volte nella vita incontri persone che possono essere giuste o
sbagliate, e non sempre ti accorgi subito di che tipo siano.
Ma
quando incontri le persone giuste, beh, allora devi ritenerti
fortunato, perchè se sarai capace di tenertele strette, loro
non ti lasceranno più.
Passò
un' altra settimana in cui io e Sean dovemmo fare uno sforzo -di cui di
solito non avevamo bisogno- per stare uniti, avrei potuto negarlo ma la
verità era che la sua confessione aveva un po' cambiato il
nostro rapporto anche se leggermente, e forse non cen' eravamo nemmeno
resi conto del tutto ma qualcosa era cambiato.
Pensai molto
in quel periodo, pensai alla mia promessa di ricominciare e di vivere
per Matt e mi convinsi che non era una brutta idea provarci.
Ecco come mi
sono ritrovata a guardare il mio riflesso nel piccolo specchio del
bagno, di lunedì mattina presto, molto presto. Troppo presto.
Saranno state
si e no le sette e mezza e il mio cervello non connetteva ancora del
tutto, l' unica cosa che mi ripeteva in continuazione era: cosa cavolo
stai facendo?
Stavo per
andare a scuola. Il mio primissimo giorno di scuola superiore in
assoluto.
L' ultima
volta che ero andata a scuola avevo tredici anni ed era finita la terza
media, dopodichè i miei mi avevano iscritta al liceo ma io
non ci ero mai andata e una fitta mi ricordò i sensi di
colpa per avergli mentito per tutti quegli anni.
Sbuffai e
tornai a concentrarmi sul fantasma che mi fissava nel riflesso.
Quella non
ero io, non poteva essere la Sarah che conoscevo.
Ero
più pallida che mai, i miei occhi grigi erano spenti e
contornati da occhiaie violacee.
I miei
capelli neri e come sempre troppo lunghi, una volta erano
lisci, mentre ora erano un groviglio di nodi disordinato sopra la testa.
Ero un' altra
persona.
Di solito non
m' importava molto di come apparivo agli altri, ma Cristo Santissimo a
tutto c'è un limite.
Presi la
spazzola e iniziai a sistemare quella specie di nido sulla mia testa e,
dato che non ero un' esperta del settore finii per strapparne la
metà, anzichè lisciarlo.
Mi lavai la
faccia altre tre volte con l' acqua gelata per cercare di svegliarmi il
più possibile.
Assomigliavo
tanto alla bambina/mostro del film The Ring, una vera bellezza...
Sembravo
quasi malata, forse lo ero. Non ne avevo idea.
Beh, non
potevo farci niente comunque perchè non ero il tipo di
ragazza che si trucca quindi tecnicamente ero a posto così.
Infilai un
paio di jeans scuri e indossai i miei stivali con i lacci, chiusi la
felpa nera col cappuccio sopra alla canotta e prima di uscire presi la
mia giacca di pelle, era settembre inoltrato ma ancora non c' era
freddo, e non credevo che cene sarebbe stato mai, in quella
città scaldata dal sole della California ma la mattina
prometteva pioggia e così non avrei avuto freddo in moto,
non mi interessava se potevo sembrare una pazza.
Mi infilai la
borsa a tracolla nera e presi il casco e le chiavi.
Sean dormiva
ancora così feci piano per non svegliarlo, quando gli avevo
detto di voler andare a scuola si era quasi strozzato dal ridere ma poi
alla fine, con l' aiuto di Brad che a quanto pareva era un
contrafattore di documenti per eccellenza, mi aveva iscritta all' unico
liceo di quel buco di città.
Quando andai
incontro alla mia Ducati mi si strinse lo stomaco, mentre accarezzavo
quasi involontariamente il manubrio mi resi conto che l' ultima volta
che l' avevo usata era stata la sera in cui Matt era morto.
Respirai a
fondo, chiedendomi se fossero più forti il senso di colpa e
i ricordi o la voglia di risalire in sella e sfrecciare via.
Alla fine
chiusi gli occhi e feci passare la gamba dall' altra parte.
Mi arrotolai
i capelli su una mano e mi infilai il casco.
Quando la
accesi la sentii ringhiare sotto di me e mi sentii immediatamente
meglio, mi era mancato quel suono.
Partii quasi
sgommando e mi indirizzai verso la scuola.
Per arrivare
ci sarebbero voluti circa dieci minuti -avevo studiato la strada con
Sean diverse volte-, avrei potuto mettercene cinque se avessi guidato
alla mia maniera, ma nonostante la felicità di essere di
nuovo sulla mia moto mi costrinsi a mantenere la promessa che avevo
fatto a me stessa e a Matt, non avrei corso mai più.
Quando
arrivai nel parcheggio lo trovai quasi deserto, c' era qualche
gruppetto di studenti che chiaccheravano tra loro e al suono del motore
della mia moto parecchie teste si voltarono nella mia direzione.
Attraversai
tutto il parcheggio e andai dall' altra parte, nei posti riservati alle
moto, notai con piacere che erano quasi tutti scooter, niente di serio,
la mia Ducati li batteva tutti con facilità.
Mentre
scendevo mi accorsi che in molti ragazzi si erano avvicinati e
guardavano ammirati la mia Ducati, era chiaro che in quella
città non molti guidavano cose del genere.
Mi tolsi il
casco e sentii i capelli ricadere sulla schiena, troppo lunghi, dovevo
ricordare di tagliarmeli.
-Cazzo ma sei
una donna-
Un gruppo di
ragazzi si era avvicinato ancora di più e mi guardavano
tutti come se fossi E.T. appena sbarcato in città.
Osservai il
tipo che aveva parlato.
-Oh, davvero?
Ecco perchè non riesco mai a fare la pipì in
piedi, ora si spiega tutto, grazie per l' aggiornamento-, dissi in tono
sarcastico e qualcuno di loro rise, quello che aveva parlato scosse la
testa e sembrò in imbarazzo.
-No, scusa,
intendevo... Insomma, una moto così, beh, non pensavo che
anche una ragazza la riuscisse a guidare-
-Beh,
dovresti allargare i tuoi orizzonti-, risposi semplicemente
sistemandomi la borsa a tracolla.
I ragazzi si
persero a guardare la moto e ad un tratto un tipo con la faccia da topo
e un paio di occhialetti in bilico sul naso mi si avvicinò
sospettoso, sembrava tanto un piccolo condor dall' espressione famelica
eppure non riusciva ad intimidire nessuno perchè era troppo
magrolino e basso per poter essere una vera minaccia.
-Ma tu cel'
hai l' età per guidarla, almeno?-, mi scrutò con
fare minaccioso ed io aggrottai le soppracciglia, chi voleva prendere
in giro quello sgorbietto?
In effetti,
l' età non cel' avevo ma perchè avrebbe dovuto
interessare a quella specie di topo da biblioteca?
Incrociai le
braccia sul petto e lo guardai dall' alto in basso.
-E tu cel'
hai l' età per il tuo triciclo? O ti porta ancora la mammina
a scuola?-
I ragazzi
accanto a me risero di gusto e presero a fare battutine a quel piccolo
condor che sbuffò indignato e sene andò.
-Beh,
comunque complimenti, gran bella moto-, mi disse un' altro, questo era
molto più alto di me e mentre parlava mi fece l' occhiolino.
-Grazie-, risposi in tono neutro, e dopo qualche altro secondo
finalmente sene andarono tutti.
Iniziai a
camminare nel parcheggio sempre più affollato e in molti mi
guardarono di nuovo, non sapevo se perchè avessero visto la
mia moto o semplicemente perchè sapevano che fossi nuova.
Possibile che
fossi finita nella classica scuola così priva di studenti
che tutti si conoscevano tra loro?
Sbuffai e mi
calai il cappuccio della felpa sulla testa, ero stufa di tutte quelle
occhiate.
Subito dopo
suonò la campanella e in un secondo partì la
maratona dell' ingresso in classe, sembrava quasi che fuori ci fosse la
fine del mondo e che la scuola fosse l' ultima speranza dell'
umanità.
Io mela presi
con calma ed entrai praticamente per ultima, ritrovandomi in un
corridoio talmente affollato che quasi non riuscivo a camminare.
Decisi di
evitare il mezzo dove la calca era maggiore e mi accostai alla parete,
feci qualche passo strusciando e spiaccicandomi contro il muro quando
un dolore allucinante mi colpì in pieno sul naso.
Ebbi giusto
il tempo di accorgermi che un armadietto mi si era aperto in faccia
prima di cadere e ritrovarmi completamente stesa a terra.
-Oh, merda,
mi dispiace tantissimo-, sentii dire da una voce maschile ma non
riuscivo a vedere niente perchè avevo gli occhi serrati,
sentii qualcosa di caldo uscire dal naso e mi portai una mano a
coprirlo, mi si riempì di sangue.
-Ma sei
completamente deficente?!?- riuscii a dire.
Sentii uno
spostamento d' aria e mi accorsi che qualcuno si era inginocchiato
accannto a me.
-Scusami,
davvero. Non ti ho proprio vista...-, aprii gli occhi e ne ritrovai due
marroni- verdi che mi guardavano preoccupati ma non riuscii a mettere a
fuoco nient' altro.
-Stai bene?-,
mi chiese, sentii la mortificazione nella sua voce ma pensai solo che
se il mio naso fosse stato rotto allora io avrei trovato il modo di
rompere il suo.
-Secondo te
stò bene?!-, gli urlai contro togliendo la mano e
mostrandogli il naso sanguinante.
-Maledizione,
scusami, non sai quanto mi dispiace...
Mi alzai
mentre lui continuava a scusarsi ma ormai non lo ascoltavo
più.
Il corridoio
non era più pieno come prima ma alcuni studenti si fermavano
a guardare quello che stava succedendo.
-Aspetta, ti
accompagno in infermeria-, disse il ragazzo-killer.
-Non ho
bisogno del tuo aiuto, sono perfettamente in grado di cavarmela da
sola!-, gli urlai in faccia di rimando.
Alcune
ragazze stavano ridendo della mia caduta da almeno tre minuti e la cosa
mi faceva incazzare e non poco.
Mi asciugai
il sangue con la manica della felpa ma quello continuò a
scorrermi sulla bocca e sul mento, le ragazze risero ancora.
Ne spintonai
una e visto che avevo le mani sporche di sangue anche il cardigan della
bionda si tinse di rosso.
-Ehi ma che
fai?! Sei matta per caso?-, mi gridò quella oca cercando di
ripulirsi.
-Mi
trovi tanto divertente?-, le gridai di rimando, la mia espressione era
di pura minaccia e il sangue sul viso doveva dare un effetto piuttosto
grottesco e lei fece un passo indietro.
Subito dopo
però mi squadrò per bene e ricominciò
a ridere.
-Oh,
sì, neanche sei entrata e già sei lo zimbello
della scuola! Complimenti, un vero record! Dovresti guardarti allo
specchio, fai proprio pena-, le altre ragazze risero, io chiusi la mano
a pugno, ero stanca di quella bionda ossigenata, feci per colpirla
quando qualcosa si intromise tra me e la mia mano chiusa.
Era il
ragazzo che neanche un minuto prima mi aveva steso ed ora si
intrometteva, provai una rabbia profonda nei suoi confronti.
-Jessica,
prendi le tue amiche e vattene, non fai ridere nessuno-, disse lui in
tono minaccioso alla bionda,mentre parlava però non aveva
staccato gli occhi dai miei e aveva continuato a tenermi stretta per il
polso.
Mi sentivo
inchiodata da quello sguardo e non sapevo perchè.
Le altre
ragazze sene andarono ma Jessica rimase al suo posto e
piantò le unghie smaltate sui fianchi.
-Mi prendi in
giro, Dylan? Che fai adesso ti mischi anche con gli sfigati?-, non ne
potevo più di lei, feci per saltargli addosso ma quello
dell' armadietto, (Dylan) mi afferrò per la vita e mi
trattenne.
Ma chi cazzo
si credeva di essere questo qui?!?
Jessica
indietreggiò impaurita difronte al mio scatto e mi
guardò come se fossi un animale allo zoo.
-Tu sei
pazza-, sibilò andandosene via quasi di corsa.
-Tanto ti
ritrovo!-, le urlai dietro.
Smisi di
agitarmi ma le mani di quel coglione mi stavano ancora addosso cosi gli
diedi uno strattone. -Lasciami subito-, ringhiai e lui
allentò la presa.
-Ma chi ti
credi di essere, eh?-, dissi furiosa e mi abbassai per raccogliere il
casco e la borsa che mi erano caduti.
Notai che il
sangue non si era fermato e ci premetti di nuovo sopra la manica.
-Scusami ma
non mi sembrava il caso di far iniziare una rissa-, disse lui
infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
Senza
guardarlo mi incamminai nel corridoio ormai vuoto, la campanella doveva
essere suonata da un pezzo.
Lui mi seguii
e allungò un fazzoletto oltre la mia spalla, -Almeno prova a
fermare quel rubinetto, per favore-, ah, come a dire che il favore lo
avrei fatto a lui!
Per un
momento decisi di rifiutare ma poi mi resi conto delle mani e della
felpa completamente imbrattate di sangue e così accettai
strappandoglielo di mano.
-Senti...
Posso accompagnarti in infermeria? Davvero, mi resterà sulla
coscienza per sempre se ti ho rotto il naso-
-Pensa un
po', anche a me!-, esclamai furiosa.
-Dai, ti
prego, aspetta-, disse lui afferrandomi una spalla e dovetti fermarmi
per forza.
Lo guardai
per bene per la prima volta e sentii un formicolio allo stomaco.
Faticai ad
ammetterlo ma era un bel ragazzo.
Era
più alto di me di almeno una spanna e aveva la pelle
abbronzata di chi stà un sacco di ore all' aria aperta.
I suoi occhi
avevano un colore particolare, erano castano-verde e sembravano
cambiare a seconda della luce, erano grandi e luminosi e circondati da
folte ciglia nere.
I capelli
erano castano scuro, quasi neri, folti, lisci e disordinati.
La linea
della bocca era morbida, aveva il labbro inferiore più pieno
di quello superiore.
Sotto alla
maglietta si potevano intravvedere i muscoli, quasi sicuramente faceva
qualche sport, probabilmente nuotava considerando le spalle larghe.
Mi guardava
con un mezzo sorriso che gli faceva spuntare una piccola fossetta sulla
guancia.
Mi faceva
incazzare così tanto che lo avrei preso a pugni e non sapevo
nemmeno io il perchè.
-Senti, forse
non hai capito: io non ho bisogno del tuo aiuto, mela sono sempre
cavata benissimo da sola e sò badare a me stessa.
E se anche
avessi bisogno di qualcosa di certo non verrei da uno che mi ha
sbattuto un armadietto in faccia, ti è chiaro adesso?-
Mene andai a
passo spedito senza voltarmi indietro, ad un certo punto fui costretta
a svoltare a destra e mi ritrovai davanti ad un altro breve tratto di
corridoio e poi ad una porta con su scritto "Sgabuzzino", senza altri
passaggi o uscite.
Perfetto! E
adesso mi toccava tornare indietro facendo una gran bella figura di
merda dopo aver specificato che non mi serviva nessun aiuto, grande!
Sbuffai e
ritornai sui miei passi, il ragazzo era appoggiato alla parete e mi
guardava divertito.
-Mi chiedevo
se avessi aspettato che mene andassi prima di uscire di lì.
Sai, non si va da nessuna parte-
-Sì,
l' hò visto-, ammisi scocciata.
-Sei nuova?-,
mi chiese inclinando la testa di lato, sembrava un bambino curioso.
Io allargai
le braccia, -Non si era notato?-, premetti di nuovo il fazzoletto sul
naso, maledizione non si fermava più.
Lui sorrise e
sollevò le spalle.
-Posso
accompagnarti in infermeria?-, chiese dolcemente.
-No-, risposi
io in tono secco.
Lo superai
come una furia e camminai finchè non trovai un bagno delle
ragazze, nel frattempo lui mi aveva seguita ma ero certa che non lo
avesse fatto anche lì, così mi ci infilai dentro.
Andai dritta
al lavandino e con l' acqua fredda mi lavai via il sangue dal viso e
dalle mani, poi mela feci scorrere sulla zona dolorante
finchè non sentii il sangue fermarsi del tutto.
Mi guardai
allo specchio, avevo il naso gonfio e rosso ma non sembrava rotto, lo
tastai delicatamente, faceva male ma era sopportabile, tirai un sospiro
di sollievo.
La mia felpa
era a chiazze ma per fortuna sul nero non si vedeva molto.
Come primo
giorno di scuola era proprio iniziato alla grande!
Se andavo
avanti così non sarei arrivata a fine giornata.
Sbuffai e mi
accorsi che la prima ora sene stava andando in fretta, avrei dovuto
andare in classe anche se non avevo idea di quale fosse.
Aprii appena
la porta del bagno e tirai fuori solo la testa per controllare in giro,
il corridoio era vuoto e silenzioso, bene, sen' era andato.
Uscii del
tutto e quasi saltai dalla paura quando una voce dietro di me disse:
-Sai, se sei nuova dovresti andare in segreteria per farti dare un'
orario delle lezioni-, sussultai senza volerlo e mi girai, quel
bastardo si era appostato dietro alla porta, sarebbe stata l' occasione
perfetta per ripagarlo con la stessa moneta ed io mel' ero fatta
scappare.
-Hai deciso
di perseguitarmi?-, gli chiesi con uno sbuffo.
Lui
sollevò le mani, come a dimostrarmi che era disarmato,
-Senti, ho capito che ti stò sulle scatole e, credimi, hai
tutte le ragioni del mondo. Ma voglio aiutarti, ti ho fatto male,
sarebbe il minimo che posso fare-.
Sembrava
sincero, sbuffai ancora e diedi un' occhiata in giro in cerca di un'
alternativa.
Non avevo
idea di dove trovare la segreteria, nè di come funzionassero
gli orari.
-Non perdi la
lezione?-, gli chiesi dopo un minuto nella speranza un po' che sene
andasse e nel frattempo chiedendomi cosa avrei fatto lì da
sola.
Lui sorrise e
gli comparve la fossetta sulla guancia, -Quella può
aspettare. Allora posso aiutarti?-, chiese speranzoso, io alzai gli
occhi al cielo e sbuffai ancora.
-E va bene,
ma dopo non voglio più vederti-, lo minacciai, lui sorrise
ancora di più, mostrando i denti bianchi, sollevò
la mano destra e sela portò al cuore, -Lo giuro, parola di
scout-, disse, io sollevai un soppracciglio e mi incamminai nel
corridoio deserto, lui si schiarii la voce.
-Ehm, la
segreteria è di là-, disse indicando l'uscita, si
incamminò ed io, mio malgrado lo seguii.
Quando
uscimmo dalla segreteria tenevo in mano quattro fogli: l' orario delle
mie lezioni, una mappa della scuola, un foglio da far firmare ai
professori alla fine delle lezioni e un' altro con la combinazione del
mio armadietto.
Sbuffai
cercando di riordinarli, -Ma quante cose servono per andare a scuola?-,
domandai a me stessa.
-Perchè,
la tua scuola di prima com' era?-, chiese Dylan al mio fianco, io
scrollai le spalle ignorando la domanda e gli indicai un foglio, -Come
lo trovo l' armadietto?-
Lui mi
guardò aggrottando le soppracciglia, poi scosse la testa e
prese il foglio dalle mia mani.
Mi
guidò attraverso i corridoi fino al mio armadietto e quando
arrivammo notai che sorrideva e mi chiesi il perchè.
Trafficai un
po' con la serratura ma alla fine riuscii ad aprirlo, ci infilai dentro
solo il casco e lo richiusi.
Guardai il
foglio delle lezioni, c' erano caselle, colonne, nomi e numeri, non ci
capivo proprio niente, alcune parti erano evidenziate, la segretaria mi
aveva chiesto quali corsi volessi seguire ed io ne avevo sparati alcuni
a caso.
Però
non sapevo proprio come fare ad uscirne, così passai il
foglio a Dylan.
-Mi spieghi
che cavolo significa?-
Lui sorrise
appena e guardò il foglio.
-Alla prima
ora hai lettere con la professoressa Samuels, è l' aula
201-, mentre parlava mi indicava le parti evidenziate e le diverse
colonne per farmici capire qualcosa.
-Cel'
hò anch' io... Quindi ci conviene muoverci, lei è
una specie di iena isterica, non è una buona idea farsela
nemica-, mi disse.
Eravamo nella
stessa classe?
Fantastico...
Con uno
sbuffo lo seguii e quando arrivammo all' aula 201 lui entrò
per primo, da dietro le sue spalle vidi una donna alta e tarchiata che
indossava una gonna viola fino alle caviglie e una camicetta verde e,
tanto perchè non aveva abbastanza colori addosso, aveva
messo anche sei collane di perline multicolor.
Quasi le risi
in faccia per quell' abbigliamento ma l' occhiata assassina che aveva
rivolto a Dylan al suo ingresso mi zittì sul nascere.
-Signor
Avery, quarantacinque minuti di ritardo e si presenta così,
senza uno straccio di scusa o di giustificazione?-, sbraitò
la donna.
-Mi dispiace
professoressa, ma il preside mi ha chiesto di fare da guida alla nuova
studentessa, abbiamo fatto tardi perchè, pultroppo abbiamo
avuto un piccolo incidente-, e detta quella bugia coi fiocchi si
scostò per farmi passare.
La prof.
Samuels mi squadrò dalla testa ai piedi con gli occhi
azzurri socchiusi.
Mi
allungò la mano.
-Così
sei nuova, come ti chiami?-, mi chiese, io gli strinsi la mano senza
troppo entusiasmo.
-Sarah...-,
lei sollevò un soppracciglio biondo come i capelli e capii
che si aspettava anche il cognome.
-Sarah
Frey-,risposi alla fine.
-Bene,
benvenuta, io sono la professoressa Samuels-, no, ma davvero?
-Vai pure a
sederti a quel banco libero. E anche tu Avery, al tuo posto-
Andai all'
unico banco libero ringraziando che fosse l' ultimo e anche vicino alla
finestra.
Vidi Dylan
che si sedeva al centro della classe e un' altro ragazzo che gli
batteva la mano sulla spalla in segno di saluto, lui si
voltò e scambiò un paio di parole con l' amico ma
un secondo dopo i suoi occhi cercarono me nell' angolo, abbassai la
testa irritata e non l' alzai più per i pochi minuti che
restavano alla fine della lezione.
Quando uscii
il ragazzo mi raggiunse di nuovo, non ne potevo più e finii
per sbuffargli in faccia, lui mi guardò un po' divertito.
Ma certo, ci
godeva ad esasperarmi.
Continuai a
camminare ma lui tenne il mio passo senza difficoltà.
-Comunque
volevo solo dirti che mi chiamo Dylan-, disse.
Come se non
l' avessi capito, -Complimenti-, gli feci senza guardarlo.
-Tu ti chiami
Sarah, giusto?-, mi chiese.
-Wow sei un
genio-, risposi secca.
-Continuerai
a rispondermi così per tutto il giorno?-, sembrava
divertito, io non lo ero per niente.
-Chi ha
parlato di tutto il giorno?-
-Stai
cercando di allontanarmi, per caso?-
-Tu che dici?-
La sua voce
si abbassò di un tono e si avvicinò al mio
orecchio, -Che non stà funzionando-.
Mi bloccai in
mezzo al corridoio e qualche studente si spostò
irritato.
-Avevi
promesso che mi avresti lasciata in pace, parola di scout, ricordi?-,
lui sorrise e sollevò le spalle.
-Sì,
è vero ma sai... Non sono mai stato uno scout-
Socchiusi gli
occhi e cercai di incenerirlo con lo sguardo ma lui continuava a
sorridere, ma non gli veniva mai una paralisi alla faccia?
-Che lezione
hai adesso?-, mi chiese dopo un po', sbuffai e guardai il foglio sempre
senza capirci niente.
Lui lo
guardò da sopra la mia spalla e sorrise ancora, -Guarda un
po', abbiamo anche storia in comune, vieni ti faccio vedere dov'
è-
Restai a
bocca aperta ma era possibile?
Quella
giornata andava di male in peggio ed era a malapena all' inizio.
Il professore
di storia era molto più simpatico della Samuels, quando
entrai mi accolse con un gran sorriso e mi presentò alla
classe che era divisa in banchi da due.
Quando mi
disse di sedermi assieme a Dylan però persi in un secondo
tutta la simpatia che avevo provato per lui.
Guardai il
penultimo banco della fila al centro come se fosse infestato di ragni e
vidi che Dylan teneva le braccia incrociate e mi guardava con una mano
premuta sulla bocca, stava ridendo quel bastardo!
Mi andai a
sedere sul bordo della sedia, il più lontano possibile da
lui che continuava a sghignazzare.
Quella
lezione fù molto ma molto più lunga di quella di
lettere.
Non
sopportavo le occhiate che continuava a darmi quel ragazzo, dovevo
distrarmi da lui ma non riuscivo a concentrarmi sulla lezione
così aprii la mia borsa per la prima volta e tirai fuori un
quadernino e una matita e iniziai a scarabocchiare il mare che avevo
visto quando ero andata sulla spiaggia.
-Sei brava-,
sussultai sentendo la voce così vicina al mio orecchio, non
mi ero nemmeno accorta che si era avvicinato tanto.
Chiusi
bruscamente il quaderno.
-Ma mi lasci
in pace?-, gli sibilai contro con tutta la rabbia che potevo.
Lui
tornò serio e si allontanò da me, prese una penna
e senza dire una parola iniziò a scrivere gli appunti della
lezione.
Non mi
guardò per il resto dell' ora. Quando arrivò il
momento di uscire io mi fermai a far firmare il foglio al
prof e lui uscì dall' aula senza dire una parola.
Finalmente
aveva capito di lasciarmi stare.
-Allora, come
sta andando il primo giorno?-, chiese il prof. mentre firmava.
-Bene-,
eccetto un naso quasi rotto, una mancata rissa, diverse figuracce e uno
stolker che non mi aveva lasciata in pace fino a poco prima.
Il signor
Roth sorrise, era piuttosto affascinante per avere quasi quarant' anni,
capelli castani mossi e lunghi, occhi azzurri e un filo di barba, era
molto più giovanile rispetto alla maggior parte degli altri
professori.
-Signorina
Grant?-, chiamò, una ragazza bassa con i boccoli color
mogano si avvicinò sorridendo.
-Ho notato
che la sigorina Frey è nel corso di chimica come te, ti
dispiace accompagnarla al laboratorio?-, chiese e mi fece l' occhiolino
mentre mi restituiva i fogli firmati.
La ragazza
sorrise raggiante e mi prese sottobraccio. -Ma certo! Andiamo!-
Mi
trascinò fuori dalla classe.
-Io sono
Bethany ma puoi chiamarmi Beth, mi chiamano tutti così! Tu
invece come ti chiami?-, aveva parlato talmente veloce che avevo capito
solo la metà delle parole e faticai un po' a rispondere alla
domanda.
-Ehm, Sarah-,
dissi.
-Oh, beh,
Sarah, benvenuta! Io sarò la tua guida ufficiale in questa
gabbia di matti, ti presenterò tutti quelli che contano e in
meno di un secondo non sarai più la ragazza nuova, fidati di
me.
A proposito
di quelli che contano: il ragazzo con cui eri seduta è Dylan
Avery. E'-UNO-SCHIANTO!
Giuro, tutte
le ragazze della classe ti hanno mandato almeno un centinaio di
maledizioni diverse perchè volevano essere al tuo posto....
Oh ma non io, tranquilla. Dylan è mio amico, è
molto dolce e gentile, in più è popolare ma lui
ancora non sene rende conto, fidati, se diventerai amica sua ti
verranno aperte un sacco di porte...
-Non voglio
diventare amica sua-, tentai di dire ma lei continuò a
parlare, non si riuscivano ad infilare due parole.
-Uh, ti devo
assolutamente presentare Linda! Ti piacerà vedrai. In mensa
ti siedi con noi, giusto? Almeno avrai già delle amiche, con
me al tuo fianco non verrai mai esclusa, tranquilla-
Oddio, avevo
mal di testa.
Ma come si
spegneva?
Certo, era
simpatica e gentile ma proprio non cela facevo più ad
ascoltarla, così mi concentrai solo sul pavimento mentre
camminavamo e continuai ad annuire finchè arrivammo al
laboratorio di chimica, era ancora mezzo vuoto così potemmo
sceglierci un tavolo in fondo.
Era
incredibile, al posto dei banchi e delle sedie c' erano tavoli con
lavandini, fornelli elettrici, provette e liquidi di diversi colori.
Cosa volevano
farci fare? Le pozioni magiche?
-Allora, tu
da dove vieni? Come mai ti sei trasferita?-, mi resi conto della
domanda solo perchè per quasi trenta secondi c' era stato un
silenzio assoluto.
Guardai Beth
che mi fissava con gli occhi verdi e sembrava tanto un pettirosso.
-Ehm, sono
venuta a vivere con mio fratello-, dissi guardando le provette sul
tavolo.
-Perchè?
I tuoi genitori dove sono?-, chiese ancora lei ed io sentii una fitta
allo stomaco, non risposi e continuai a fissare il tavolo.
Ci fu un
momento di sconcertato imbarazzo da parte sua.
-Oh. Oh, Dio,
scusami, non ne avevo idea... Mi dispiace molto-, sussurrò,
era talmente mortificata che alla fine fù lei a fare pena a
me, così tentai un sorriso -Tranquilla, non lo sapevi. Non
fa niente-.
Non
parlò più per il resto del tempo.
La mensa era
enorme, una grande sala bianca con un lungo tavolo unico pieno di cibo
da una parte e dozzine di piccoli tavoli rotondi e quadrati pieni di
studenti dall' altra.
Quando
finimmo la fila per il cibo io e Beth ci andammo a sedere ad un tavolo
rettangolare al centro della sala, una ragazza bionda era
già seduta e quando ci vide arrivare salutò Beth
con la mano.
-Sarah,
questa è Linda, Linda, Sarah. Si è appena
trasferita-, spiegò Beth sedendosi difronte all' amica, io
mi misi accanto a lei.
-Ciao!-, mi
salutò Linda entusiasta, come se fossimo amiche da sempre.
Era una bella
ragazza, la classica Californiana, alta, bionda e abbronzata, con gli
occhi azzurri un po' truccati e un sorriso perfetto.
Però
non sembrava una di quelle superficiali e piene di sè,
così decisi che mi stava simpatica.
Lei mi
guardò seria per un momento e si morse il labbro rosa
caramella.
-Ehm, scusa
se telo chiedo ma... Sei tu quella a cui Dylan Avery ha sbattuto l'
armadietto in faccia?-
Non mi
arrabbiai, probabilmente ero stata sulla bocca di tutti per tutta la
mattina data la mia epica entrata, e la capivo se era curiosa
così annuii, -Sì, sono io-, ammisi.
-Coosa? Io
non ne sapevo niente! Che è successo? Racconta!-,
esclamò Beth ed entrambe mi guardarono in attesa del
racconto della mia figura di merda.
Non avevo
molta voglia di parlare così diedi solo qualche dettaglio,
giusto per farle contente.
Scoprii in
fretta che Linda e Beth mi piacevano molto, erano gentili e cercavano
di coinvolermi nelle conversazioni.
Quando
arrivarono tre ragazzi e si sedettero con noi loro mi presentarono come
se fossimo migliori amiche e quando anche Linda mi chiese
perchè mi ero trasferita, sentii la gamba di Beth sferrarle
un calcio sotto al tavolo ma finsi di non accorgermene e Linda
cambiò in fretta argomento.
Dopo il
pranzo io avevo un' ora dove non conoscevo nessuno ma Linda e Beth mi
mostrarono la classe di algebra.
Le ultime due
ore erano geografia e arte e nel laboratorio artistico c' era anche
Linda che si mise vicino a me mentre l' insegnante spiegava.
Quando la
campana della fine delle lezioni suonò feci un po' di fatica
a ritrovare il mio armadietto ma alla fine recuperai il mio casco ed
uscii nel parcheggio, Linda e Beth mi salutarono da poco lontano e si
diressero ad una macchina, io proseguì e scoprì
un nuovo gruppetto di ammiratori intorno alla mia moto.
-Ehi, io
dovrei andare a casa!-, gridai, uno si girò e mi
guardò male, -E chi telo impedisce?-
-Voi, razza
di deficente! Quella è la mia moto!-
Il tipo si
mise a ridere, -Sì, certo-, disse e si girò di
nuovo.
Cercai di
farmi strada tra di loro a spintoni ma quello mi diede una gomitata che
mi fece indietraggiare e per poco non caddi a terra, poco prima
però sentii qualcuno prendermi da sotto le braccia.
Mi raddrizzai
e guardai chi mi aveva afferrato, era Dylan Avery, di nuovo lui!
-Allora
volete togliervi? L' avete guardata abbastanza-, disse lui, il ragazzo
che mi aveva spinta lo guardò innervosito ma alla fine dopo
un po', tutti quanti si tolsero di torno.
Tutti quanti
eccetto Dylan.
-Bella moto-,
disse.
-Grazie-,
sbuffai innervosita dalla sua presenza.
Mi arrotolai
i capelli su una mano e li infilai nel cappuccio della felpa.
-Senti, mi
dispiace per questa mattina-, si scusò per l' ennesima volta.
-Sì,
l' hai già detto-, gli ricordai.
-Beh,
è vero-.
Sbuffai e mi
appoggiai al manubrio. -Che ti aspetti che faccia?-, gli chiesi.
Lui si
infilò le mani nelle tasche dei jeans e si strinse nelle
spalle.
-Non lo
sò, accetteresti le mie scuse?-, chiese.
Inarcai le
soppracciglia, -Sai che non siamo più nell' 800, vero?-
Lui sorrise.
Di nuovo quella fossetta, -Voglio solo che mi perdoni-.
-E
perchè dovrei?-
-Perchè
ti ho appena salvata-
Alzai gli
occhi al cielo.
-Per tua
informazione, avermi evitato una caduta dopo avermi steso con la porta
di un armadietto non lo definirei esattamente un salvataggio-, dissi,
mi infilai il casco e salii in sella.
Misi in moto.
-Quindi non
mi perdoni?-, chiese lui.
Lo guardai
per un secondo anche se lui non poteva vedermi da dietro la visiera
scura.
-No-, risposi
alla fine e filai via lasciandolo lì con un mezzo sorriso
ancora stampato in faccia.
Ma che
avrà mai da sorridere sempre?
-Sean?-,
gridai appena entrata in casa.
-Garage!-.
Strano, mio
fratello in garage? Quando mai?
Attraversai
la cucina, uscii nel piccolo giardino sul retro e rientrai nel garage e
vidi il sedere di mio fratello sbucare dal cofano di una macchina,
aveva una bandana nera che gli spuntava dalla tasca posteriore dei
jeans scoloriti, gliela sfilai e la usai per legarmi i capelli, mi
tolsi la felpa e la lanciai su un tavolo pieno di attrezzi, poi infilai
la testa nel cofano. -Vuoi una mano?-, gli chiesi.
-Che ne sai
di macchine?-, mi chiese lui con il viso sporco di grasso.
-Più
di quanto pensi-, affermai.
-Sì,
certo-.
-Perchè
voi maschi siete tutti così?-, sbuffai ripensando al
coglione che mi aveva spinta nel parcheggio.
Lui rise. -Mi
vai a prendere una birra?-
-Oh, pensi
che io sia in grado di farlo? Incredibile-
Sean
continuò a ridere ed io andai a prendergli la birra.
-Comunque,
Sean, una Nissan, davvero?-, gli dissi quando tornai, guardai la
macchina e lui socchiuse gli occhi.
-Adesso
è una Nissan ma quando avrò finito con questa
bambina, andrà da zero a trecento in otto secondi-
Io lo imitai:
-Sì, certo-.
Per il resto
del giorno lo aiutai a lavorare sul motore che stava sistemando e lui
non ne sembrava sorpreso, in fondo, quello che sapevo melo aveva
insegnato lui.
Mi chiese
della scuola.
-Mi sono
beccata un armadietto in faccia-
-Cosa?-
-Ti giuro,
mentre camminavo un coglione ha aperto il suo armadietto e mel'
hà stampato dritto sul naso-
Per poco non
si strozzò con la birra mentre rideva. -Avrei voluto
esserci, primo per farmi due risate e secondo per spaccare la faccia a
quello stronzo-
-Sì,
non sarebbe stato male!-, dissi ridendo a mia volta e pensando al
sorriso storto di "quello stronzo".
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Capitolo 7 *** Sguardi che uccidono ***
Angolo_Autrice
Mi scuso, capitolo
corto e troppo tempo che non aggiorno, lo sò,
tenterò di essere più costante lo giuro!
Ora ringrazio
quelle poche anime pie che ancora mi seguono e spero che vi
piaccia!Devo scappare alla prossima, un bacio!!
(Alla fine
c'è anche un POV di Dylan, se vi piace fatemelo sapere
così magari ne metto altri (; )
Odio e amore non sono
poi così diversi.
Ciò che
odiamo, col tempo, può cambiare.
E, senza che cene
rendiamo conto, quel piccolo cambiamento, lentamente, si insinua dentro
di noi e si trasforma in amore.
Il giorno dopo riuscii ad arrivare al mio armadietto senza incidenti di
percorso.
Ci infilai dentro la giacca il casco e qualche quaderno inutile e
quando richiusi lo sportello mi venne un colpo.
Dylan Avery mi guardava tutto raggiante e sorridente, indossava una
camicia a scacchi verdi e azzurri aperta sopra una maglietta bianca, le
maniche erano arrotolate e i jeans scuri gli stavano un po' larghi.
Non mi ero nemmeno accorta che era arrivato.
-Buongiorno-, mi disse, la sua voce era fin troppo allegra di prima
mattina, per me era come se fosse ancora notte fonda e non avevo per
niente voglia di mettermi a fare conversazione, specialmente con lui.
Mi ripresi un secondo dallo spavento e poi gli risposi: -Che vuoi?-.
Lui alzò le spalle e sorrise ancora, -Solo salutarti-, disse
tranquillamente.
Sollevai un soppracciglio e sospirai appoggiandomi con la spalla al mio
armadietto.
-Bene, ora che l' hai fatto puoi anche andartene, no?-, gli dissi.
Lui si mise nella mia stessa posizione e incrociò le braccia
sul petto.
-Veramente non mi va di andarmene, vorrei stare ancora un po' in tua
compagnia, sei particolarmente simpatica la mattina-,
ironizzò di rimando.
Io socchiusi gli occhi, potevamo farlo in due quel gioco.
-Tu invece sei estremamente affascinante quando stendi le ragazze con
le porte degli armadietti-, dissi senza ridere.
Lui strinse le labbra e si sfregò il mento con una mano.
-Mmm... Ricordo di averti chiesto scusa... Ma che tu non hai voluto
perdonarmi...Giusto?-
-Già e non ho intenzione di farlo-, incrociai le braccia e
feci per andarmente tra la calca di studenti ma lui mi
seguì, chissà perchè, melo aspettavo.
Lui non parlava, si limitava a camminarmi accanto, lo guardai
sospettosa per un paio di volte prima di decidermi a parlare.
-Perchè mi segui?-
-Come? La botta di ieri ti ha fatto dimenticare che siamo nello stesso
corso?-, giusto, mi toccava subirmelo per ben due ore.
Sbuffai non sapendo che altro fare e lui ridacchiò.
Entrammo in classe qualche minuto prima che suonasse la campana quindi
la Prof non c' era ancora.
Io andai direttamente all' ultimo banco e nell' attesa mi infilai le
cuffie dell' I-pod e cercai qualche canzone.
Guardai la classe, era quasi vuota eccetto che per me, Dylan e due
ragazze che stavano parlando con lui, erano entrambe bionde e gli
sorridevano come delle idiote, ad un certo punto una tirò
fuori il cellulare e gli chiese di farsi una foto insieme da mettere
nell' annuario, lui cercò di rifiutare ma loro lo strinsero
in un abbraccio e gli fecero delle foto a tradimento mentre lo
baciavano sulle guancie.
Ridacchiai vedendolo in quello stato, era uno spettacolo davvero
ridicolo, quasi mi dispiaceva per lui.
A quanto pareva avevo riso più forte di quanto volessi
perchè le due ragazze mi guardarono male e si staccarono da
Dylan andandosi a sedere ai primi banchi.
Anche lui mi guardò ma non male come le due ragazze, sorrise
per un attimo, poi semplicemente mi guardò.
Io distolsi gli occhi e li riabbassai sull' I-pod, alzai la musica al
massimo e quando notai che lui mi guardava ancora alzai il cappuccio
della felpa e abbassai la testa.
Mi accorsi che la campana era suonata solo perchè vidi
diversi studenti entrare in classe, tolsi le cuffie e rinfilai l' I-pod
nella borsa.
Riconobbi un ragazzo che mi avevano presentato Linda e Beth a pranzo,
mi pareva che si chiamasse Gary. Quando entrò mi fece un
sorriso e un gesto di saluto con la mano, io ricambiai con un cenno
della testa.
Gary si andò a sedere dietro a Dylan dandogli delle pacche
sulla spalla e sporgendosi per dirgli qualcosa.
Mi ricordai del giorno prima, quando li avevo visti salutarsi sempre in
quella classe e mi resi conto che erano molto amici.
Dopo qualche minuto arrivò la professoressa e la lezione
iniziò.
Tirai un sospiro di sollievo quando la campana decretò la
fine dell' ora.
Per la maggior parte del tempo avevo avuto gli occhi di Avery puntati
addosso.
Sembrava un fottuto maniaco e iniziavo a preoccuparmi seriamente.
Non che mi avesse fissato senza battere ciglio o cose del genere ma
riuscivo comunque a vedere che ogni cinque minuti si voltava dalla mia
parte. Ed era una cosa piuttosto inquietante da vedere.
Raccolsi le mie cose e uscii in corridoio diretta alla prossima lezione.
Volevo parlare con quel pazzo per dirgli una volta per tutte di
lascirami in pace e decisi di farlo a storia, visto che,
sfortunatamente eravamo seduti allo stesso banco.
Entrai in classe a passo di carica e mi stupii di me stessa quando mi
resi conto che avevo trovato le classi e il mio armadietto senza l'
aiuto di nessuno.
Il professor Roth era già in piedi e stava scrivendo
qualcosa sulla lavagna bianca, ero la prima ad entrare e lui mi
salutò con un gran sorriso.
-Secondo giorno in perfetto orario, signorina Frey. Stai cercando di
"accoccolarti" il professore?-, mi chiese.
-Cos...? No!-, rimasi per un attimo in difficoltà
perchè non avevo idea di cosa dire ma lui si mise a ridere.
-Stavo solo scherzando, non preoccuparti-, disse continuando a
ridacchiare.
Mi rilassai e tentai una risata anch' io, ma mi uscì
piuttosto un colpo di tosse. Lui sembrò non farci caso,
continuò a scrivere ed io andai a sedermi.
Poco dopo arrivò anche il maniaco.
Salutò il professore e venne verso di me.
Si sistemò accanto a me e non disse niente, io lo guardai
male finchè non si decise a guardarmi anche lui.
-Qualcosa non va?-, mi chiese con un finto tono innocente.
-Non fare il finto tonto con me, lo sai benissimo che c'è
qualcosa che non va-, sibilai per non farmi sentire dal prof.
Dylan socchiuse gli occhi e si avvicinò a me, -Non
sò proprio di cosa stai parlando-
Sbuffai.
-Ok, allora telo dico in modo che tu capisca bene: smettila di
fissarmi, sei insopportabile e sembri un fottuto stolker-.
-Io ti fisso?-, chiese col tono di uno che cade dalle nuvole.
Lo incenerii con lo sguardo, -Sì! E mi piacerebbe molto che
la smettessi-.
-Tu... Scherzi, vero?-, aggrottò la fronte e mi
guardò come se fossi io la pazza, notò la mia
espressione e scosse la testa.
-Io ti guardavo perchè eri tu a farlo-.
-A fare che?-, chiesi stupita.
-A guardare me-.
Restai per un secondo con la bocca aperta, -Io non ti guardavo!-,
esclamai un po' troppo forte.
-Sì, invece! E mi stavo appunto chiedendo perchè
continuassi a farlo-, stava ridendo, lui stava ridendo!
Avrei voluto dargli un pugno.
Ma si rendeva conto di quello che diceva almeno?
-Ogni tre secondi ti giravi dalla mia parte!-
-Sì, per vedere se tu mi guardavi ancora-
Ancora una volta restai a bocca aperta, sbuffai innervosita e guardai
davanti a me desiderando di sprofondare nella sedia, il prof Roth ci
guardava sorridendo con le braccia incrociate.
-Beh, la mia conclusione è che.... Mmm, direi che
è stato... Sì, un semplicissimo malinteso-.
Non credevo che ci avesse sentiti nè tantomeno che potesse
"intervenire" nella nostra discussione.
A quanto pareva, mi sbagliavo.
Ci guardava con un' espressione divertita e dopo un secondo si mise a
ridere insieme a Dylan.
Io ero di tutt' altro umore, non trovavo per niente la cosa divertente,
anzi, mi sembrava umiliante e stupida.
Stavamo litigando perchè ci eravamo guardati?
Mi sentivo una vera idiota ad aver sollevato tanti problemi per una
cazzata simile e solo in quel momento mene resi conto.
Era tutta colpa di quel ragazzo, pensai. Mi mandava in confusione e non
riuscivo a non innervosirmi con lui, era davvero, davvero esasperante.
Dopo qualche secondo entrò Beth e mi corse incontro
abbracciandomi, restai per un momento immobile, non mi aspettavo niente
del genere.
-Com' è il secondo giorno, Sarah? Oh, buongiorno Dylan!-,
disse guardando prima me e poi il maniaco, Dylan le sorrise con affetto.
-Buongiorno Betty, quanto zucchero hai messo nel caffè
stamattina?-, le chiese ridendo, rise anche Beth.
-Oh, solo tre o quattrocento zollette!-, esclamò.
Dio, ma come facevano ad essere così pieni di energie a
quell' ora?!?
Mi appoggiai allo schienale della sedia e chiusi gli occhi.
-Sarah?-, Beth mi scosse una spalla.
-Eeeh?-
-Hai sonno? Come stà andando il secondo giorno?-, chiese
quando riaprii gli occhi per incontrare i suoi grandi e verdi.
Io sospirai mentre rispondevo: -Uno schifo, come il primo-, dissi e lei
si mise a ridere.
-Hai un senso dell' umorismo fantastico, giuro!-.
Aggrottai la fronte, a dire la verità stavo parlando
seriamente.
Feci per dirglielo ma la lezione iniziò e lei
andò a sedersi in fondo alla classe, non mi ero nemmeno
accorta che gli altri erano entrati.
-Ehi...-, Dylan mi diede una leggera gomitata, lo guardai, era serio.
-Che c' è?-, gli chiesi.
-Non trattarla male, capito? Magari è un po' troppo euforica
ma vuole solo esserti amica-.
Oh... Questo non melo aspettavo.
-Io non la tratto male-, tentai di difendermi. Non la trattavo male, no?
Lui mi guardò dubbioso, non mi piaceva quel modo che aveva
di... rimproverarmi?
Scossi la testa, -Ok, magari non ho fatto i salti di gioia quando
è arrivata ma io non sono proprio abituata ad essere
così "amica" di persone che conosco da solo un giorno-, mi
giustificai.
Lui fece un mezzo sorriso e notai la fossetta sulla guancia.
-Sì, non hai tutti i torti, in fondo la conosci da poco...
Però cerca di essere gentile con lei. E' una delle persone
più buone di questo mondo-, disse guardando nella direzione
di Beth, lei lo notò e fece un enorme sorriso, salutandolo
con la mano.
Guardai Dylan, chiedendomi se non ci fosse qualcosa tra i due ma lui
parlava di Beth come se fosse una sorellina più piccola da
difendere e proteggere.
Mi ricordò Val e Tyson, quando avevano provato a picchiare
Ryan, per difendermi da quello che mi aveva detto, quella sera.
Quella sera...
Chiusi gli occhi per un attimo, Matt, lo sparo...
Un colpo secco mi fece sussultare e saltare sulla sedia, mi resi condo
che era solo il libro di qualcuno che era caduto a terra.
-Sarah, stai bene?-, mi voltai e incontrai gli occhi verdi-marroni di
Dylan, ora sembrava preoccupato per me.
Respirai profondamente e chiusi i pugni sul banco annuendo lentamente.
-Sei pallida, sicura che è tutto ok? Non pensavo che dirti
di Beth...-
-No, non c' entra lei... Cioè hai ragione, dovrei trattarla
bene perchè selo merita ma non... Non pensavo a quello...-,
balbettai e iniziai a riprendermi.
Erano settimante che non pensavo a quello che era successo, non di
giorno almeno, non in mezzo alla gente.
Era stato quasi uno shok rivivere tutto in quel momento.
-Che c' è che non va?-, chiese, il suo tono era dolce e
comprensivo e mentre parlava aveva allungato una mano a sfiorarmi il
polso, come per confortarmi.
Mi ritrassi d' istinto e mi circondai il corpo con le braccia.
-Niente. Stò bene-, sussurrai guardando dritto davanti a me.
Ma anche se non lo vedevo, sentivo i suoi occhi puntati addosso.
La prima cosa che avevo notato di lei, a parte il naso sanguinante e le
parole che mi aveva urlato contro, sono stati i suoi occhi.
Non avevo mai visto degli occhi così.
Erano grigi, grigi piombo ma erano spenti. Senza luce, senza una
traccia di vitalità.
Sarebbero stati degli occhi bellissimi, se solo avessero espresso
qualcosa.
Ma erano vuoti e profondamente tristi.
Quella è stata la prima cosa che ho notato di lei.
Era una ragazza forte, si vedeva subito, ma sembrava quasi che fosse
stanca di esserlo.
La guardai, in quel momento sembrava persa in un mondo troppo lontano.
Ma non era un mondo di sogni.
Teneva gli occhi puntati difronte a lei.
Sembrava indifferente ma notai che entrembe le sue mani erano strette a
pugno sulle sue gambe, le sue labbra erano una linea dura e le spalle
erano rigide.
Sembrava un soldato sull' attenti.
Mi chiesi cosa la tormentava.
La conoscevo da solo un giorno ma avevo capito bene che qualcosa non
andava in lei.
Era diversa da ogni altra ragazza che avessi conosciuto.
Non era piena di vita e costantemente felice come Beth o una delle
solite ragazze che pensano più all' aspetto che ad altro.
Era evidente che a lei non importava niente dell' aspetto.
I suoi capelli erano lunghi, molto lunghi e neri ma non perfettamente
lisci e lucidi come quelli delle altre ragazze, li teneva in disordine
e non si curava di sistemarli.
Aveva il viso pallido e le occhiaie che spiccavano sotto agli occhi.
Non si truccava.
Non aveva niente di particolare, aveva il naso dritto e le labbra un
poco carnose.
Era bassa e aveva i fianchi un po' larghi, insomma una ragazza come
tante ma allo stesso tempo diversa.
Ma, cazzo, per me era bellissima.
Forse era per l' insieme, per quel fare da dura che in
realtà a me dimostrava tutt' altro.
Avevo visto qualcosa in quella ragazza.
Qualcosa che mi preoccupava.
Qualcosa che mi aveva stregato.
Ed ero deciso fino in fondo a scoprire qual' era il mistero che
avvolgeva Sarah Frey.
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