Abbiamo visto l'alba.

di dichiarandoguerre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


CAPITOLO 1.


Non ero con te quel giorno e magari non lo sarei stata mai più, non sai le lacrime che ho versato quando me lo hanno detto. Ho cercato di trattenere le lacrime, di trattenere il respiro, di non urlare. Ma quando succede qualcosa del genere come fai?
Non ho mai saputo come è successo, non me lo hanno mai detto. Forse per me, per mantenermi calma. Ma non ha funzionato. Perchè non ero con te e non ho impedito tutto questo? Perchè non c'ero?
“Ti devo dire una cosa, stai calma però.”
“Dimmi.”
Alice mi guardava e non capivo se stava trattenendo le lacrime oppure una risata e mi stava prendendo per il culo. Invece le parole sono uscite tutte di colpo e io non sono riuscita a scansarle e a proteggermi. Non ricordo davvero cos'ho fatto dopo, se ho urlato, se ho iniziato a camminare per mantenere la calma, se ho pianto in silenzio o l'ho fatto notare a tutti. 
“E' in ospedale, non so da quanto tempo, è in coma.”
Perchè non l'avevano detto a me? Perchè lo sono venuta a sapere proprio io? Volevano aspettare, magari si sarebbe risolto o cosa? No, la cosa non si era risolta e a questo punto avevano pensato di dirmelo. Ah si davvero? Solo ora?
Ti stavo perdendo e lo sentivo nelle ossa, forse ti avevo già perso e non lo sapevo, forse solo  qualche giorno e tutto il nostro lavoro non sarebbe servito più.
Ricordo che quel giorno ho mandato giù quelle parole e ho aspettato. Facendo finta di nulla. E le persone mi parlavano dei loro problemi, come se fossero più importanti dei miei. Senza sapere nulla, e non sai che avrei voluto mandarle a farsi fottere, tu non saprai mai nulla. 
“Abbiamo perso.”
“Io ho perso lui! Pensi davvero che ne me freghi qualcosa se avete perso una fottuta partita di calcio? Ho appena saputo che ha fatto un incidente ed è in coma! Chi ha perso davvero qualcosa ora? Chi?”
Avevo esagerato e mi hanno portato via, mi hanno seduta e  mi hanno portato un bicchiere di vino e una sigaretta. Ho fumato. Non ho bevuto. Magari tu stavo morendo a causa dell'alcool.
Sai nemmeno questo mi hanno detto, vuoi dirmelo tu, ora che sei a letto e provi a dormire nonostante la rabbia?
Mi sono fumata quella sigaretta in silenzio con le lacrime agli occhi e non so, ma avrei preferito morire in quel momento. La gente veniva e mi chiedeva scusa, come se bastasse a far tornare indietro il tempo. Cosa ti era preso amore, cosa volevi provare? Perchè lo hai fatto e  non me l'hai detto? Dove sei ora? Mi sono alzata troppo velocemente e la poca forza che avevo in corpo mi aveva fatto traballare. Alice era li e mi guardava, mi teneva la mano, Carolina mi guardava come per dire “Dai che ce la fai.” No, non voglio. Volevo urlare. Luca mi stava vicino, ma non diceva nulla, non mi guardava. Sembrava avesse paura di me, della morte. Della tragedia.
Poi mi ha preso e mi ha portata da te. Non me l'aspettavo, ma l'ha fatto, mi ha caricato in macchina con tutta la forza che aveva ed è partito. Io quel coraggio non l'avevo, non volevo vederti, vedere come eri ridotto, non volevo piangere. 
E invece ero lì, in piedi davanti a quella grande porta di vetro, senza entrare. Una spinta da dietro ed ero dentro, Luca camminava dietro di me. Mi teneva il braccio. Aveva paura che crollassi, che me ne andassi a terra senza respiro, senza vita. La sala d'attesa era davanti a me, avevo riconosciuto solo una persona. Tua madre. Con gli occhiali da sole, io non li avevo e magari la gente si era anche spaventata vedendomi. Mi vide lei, ero ancora sulla porta, aveva la faccia di chi non voleva che io sapessi di tutto questo, non si alzò non ne aveva la forza. Restò lì e mi consolò con gli occhi.
Volevo vederlo, ora non potevo farcela più, ma lei mi fece sedere, mi posò una mano sul braccio e continuò a fissare il vuoto. Io c'ero ma lui era ancora lì?
Eravamo cinque sedie occupate di una sala d'attesa, due corpi senza vita e senza forza appoggiati al muro. Le altre persone provavano a fare finta di niente, ma avevano quella faccia da compassione. Avrei voluto urlargli che non capivano nulla, che là dentro c'era l'amore mio! Sono stata zitta, e ho mandato giù di nuovo quell'urlo. Ho mandato a casa Luca.
“Rimango qui.” Mossi una mano per dire “Vai.”. Non avevo voce.
“Sei sicura?”
“Rimango qui, vai via, è troppo questo per te.”

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


CAPITOLO 2.


Sono le sette e tu sei ancora là dentro, erano passate due ore da quando ero arrivata e tu eri dentro da cinque ore. Cinque.
Non volevo i dettagli, volevo solo sapere se eri ancora lì con me, se non mi avevi lasciato in mezzo a tutto questo, lo sai non sono forte come sembra.
“Pronto?”
“Dove sei?” Chiedeva mia madre.
Ero esattamente nel posto più brutto del mondo, nel momento sbagliato, con le persone sbagliate.
“In ospedale, è successo che Francesco...Poi ti spiego.”
Appoggiai il dito sul tasto rosso della fine chiamata. Non sarei riuscita a spiegare tutto a mia madre, forse lo sapeva già e voleva solo una conferma da me.
Chiusi gli occhi e mandai giù tutta la tristezza che avevo dentro. Ora eri lì, vicino a me e mi tenevi la mano. Eravamo in un posto qualsiasi, ma eravamo assieme. E tu mi guardavi. Come fai sempre. Parlavi ma non ti sentivo. Ogni tanto ti portavi la sigaretta alla bocca e mi sorridevi. Eri bello, quanto tempo era passato? Due giorni forse e già mi mancavi e chissà quanto tempo avrei passato ancora da sola, senza di te.
Tua madre si alzò, sentii l'aria cambiare. Aprii gli occhi, speravo di trovarti davanti a me attaccato all'asta della flebo, quella dei film, che camminavi verso di me e dicevi che andava tutto bene. Invece solo un dottore, un fottuto dottore che mi chiamava verso di lui. Parlava con lei, e io non ascoltavo nulla, non volevo. Mi avvicinai.
“Non mi ha lasciato vero? Lui è forte sa.”
Parlavo, forse urlavo, mi appoggiò una mano sulla spalla, con la stessa faccia degli altri.
Non ero pazza.
“Venga con me.”
Mi dava del lei, come se parlasse con una signora di mezza età che stava perdendo il proprio figlio.
“Ho sedici anni, mi dia del tu.”
Sorrise, un sorriso morto. Rimasi immobile a guardare quella piccola piega che avevano preso le sue labbra, a chiedermi come ne avesse la forza. Era il suo lavoro e chissà quanti casi così avesse visto.
Lo seguii, con il cuore che mi premeva dentro il petto, lo sentivo. Come se volesse sprofondare dentro, in mezzo al resto. Tremavo.
Non ero sicura di quello che stavo facendo, camminavo a fatica, senza forza. Non ero pronta.
Chiusi gli occhi, di nuovo, ed eri lì. “Dammi la forza.” Ti pregavo, da lontano, troppo lontano.
Questa volta eri davvero davanti a me, non sorridevi, non fumavi nessuna sigaretta, non andava tutto bene. Piansi. Piansi tanto. Mi persi, per una frazione di secondo. Non sapevo se ero davvero lì, oppure sognavo. Uno di quegli incubi che sembravo reali.
Eri steso su un cazzo di letto di ospedale, con due macchine attorno, un tubo alla bocca, la flebo al braccio. Ti avevano rasato a zero i capelli. Avevi settanta punti in testa. Che cosa mi avevi combinato questa volta? Smisi di guardarti, non ce la facevo più. Non me ne andai nemmeno, non ce la feci.
Ci lasciarono soli, io da una parte, tua madre dall'altra parte a tenerti le mani. Le tue mani. Ho sempre avuto la strana ossessione di innamorarmi delle mani, e le tue sono belle. Lo erano anche quel giorno. Lo eri anche tu.
Succede spesso alle persone di immaginare la morte di una persona cara, di se stesso, e provare a capirne la vita senza di esse. Senza trovare una soluzione alla loro assenza.
Io ho l'ho immaginato molte volte, e questa volta c'ero dentro. Volevo morire io. Volevi morire tu. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


CAPITOLO 3.



La gente mi incontra, lo sanno tutti sai, e non fanno altro che chiedermi come sto. A vuoto, lo sanno benissimo come. Come vuoi che stia una persona in questa situazione?
Non sto bene, e per la maggior parte del tempo provo a non pensarci. Ci provo, non ho detto che ci riesco. Ti penso sempre, e ogni volta fa sempre più male. Quante volte ti dicevo che senza di te non ce la facevo. Quanto era vero. Quanto. Cerco di ammazzare il tempo, e di tenerti con me in qualche modo. Chiudo spesso gli occhi e tu sei qua. Piango spesso di notte. A volte la mattina, di solito con Alice. Gli altri mi credono forte. Ricordo che anche tu lo credevi, poi mi hai scoperto. Hai imparato a conoscermi. A fare a botte con le mie stranezze, i miei difetti, le mie paure. Hai capito che ero difficile e non mi hai mai lasciato andare. Ti dico grazie. Ora tocca a me, sono qua per te e per la tua vita.
Passo i pomeriggi in spiaggia, senza voglia di provare anche solo a farmi due risate. Lo faccio, ci vado, solo per pensarti e pensarci un po' di meno. Non funzionava e te l'ho detto milione di volte, te lo ripeto. Alice è con me, non mi lascia mai. Ha paura anche lei come Luca, hanno paura di me. Di quello che potrei fare, del mio suicidio. Rido per come si impegnano. Tutti mi stanno un po' più vicino ora, e non sopporto più nessuno ormai. Impegnano il mio tempo con qualsiasi cosa, il più delle volte dico di no. Mi portano a ballare. Mi piace. Piace anche a te. Ballo, ma non mi diverto. 
Fumo le sigarette al pomeriggio, prima non lo facevo mai. Lo faccio per te, per averti qua. Mi danno della pazza. Ma quando fumo ti sento qua, stai fumando e sorridi, sei bellissimo quando fumi.
Ti vedo ogni mattina. Ogni mattina, per tutta la mattina me ne sto lì a tenerti la mano. A pregare. Cosa che non avevo mai fatto fino a quel momento. E' proprio vero che Dio lo cerchi solo nel momento del bisogno. Speravo davvero, ogni giorno, che tu aprissi quei maledetti occhi che mi fregavano sempre. Invece no, anche quel giorno erano e rimanevano chiusi per tutta la mattina. Ero patetica a volte. Arrivavo e ti baciavo sulle labbra, rendendomi conto poi che non ero dentro una favola. Mi sedevo sempre a destra, e ti prendevo la mano, incrociando le mie dita con le tue. A volte singhiozzavo talmente forte che le infermiere arrivavano, altre volte non piangevo nemmeno e scendevo al bar a prendere un caffè. Ti chiamavo per nome ad alta voce, e sussurravo “Amore, amore.” Ogni mattina. Tu non mi lasciavi mai.
Fumavo tanto, non ho mai fumato così tanto, amore. Mi facevo schifo, fumavo e mi dicevo basta che sarei morta. Ma non morivo mai e non ti raggiungevo mai.
Mia madre ti è venuta a trovare, chi l'avrebbe mai detto, non sei mai stato il suo tipo, non ho mai capito il motivo. Però una mattina ha detto “Vengo con te.”. Ed è salita su per le scale con me, è entrata in quella stanza. Ha pianto. Si è seduta sulla mia sedia, e ha pianto. Poi ha smesso e se ne è andata. A lei gli ospedali e queste cose non piacciono.
I dottori non mi dicevano mai nulla, mi lasciavano lì speranzosa. Come una bambina. Mi sorridevano e mi davano coraggio, ma lo sapevano meglio di me.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


CAPITOLO 4.

 

Sarebbe finita come finiscono queste cose, con un enorme pianto, e poi basta ce ne saremo andati tutti e loro avrebbero terminato il lavoro.
Non ci volevo pensare, tu eri ancora li e dovevi rimanerci, per me. 
Dovevi farlo solo per me, era un motivo abbastanza valido. Avresti fatto qualsiasi cosa per me, me lo ricordi. Me lo avevi detto quel pomeriggio sulla panchina. Ti ho creduto. Non andartene per me allora. 
Tua madre veniva a volte di mattina, ma preferiva lasciarmi quel momento per me, e veniva al pomeriggio. Arrivava e mi regalava uno di quei sorrisi spenti ed io ricambiavo. Si metteva dall'altra parte, e restavamo così come la prima volta. Piangevamo insieme.
Non parlavamo molto, io non sono una che parla e lei nemmeno. Ci conosci. Io non riuscivo a dire nemmeno una parola. Lei non trovava un vero argomento di cui parlare. Era difficile pensare ad altro. 

Ci avevano detto che l'operazione era andata bene, e per l'emorragia non dovevamo più preoccuparci. Certo, ma tu non ti svegliavi. Io ero preoccupata. 
Non succedeva nulla. Non muovevi nessuna parte del tuo corpo. Non davi segni di ripresa. Avevo paura. Tanta. Che tu rimanessi così per sempre. Che i dottori ci dicessero che ormai era troppo tardi, era ora di farla finita e staccare la spina. 
Non so chi altri veniva a trovarti in quei giorni, forse i tuoi amici. Ti adorano, è stato brutto per tutti. Venivano al pomeriggio ed io non c'ero, ma loro si. Era come darsi il cambio. Non penso venissero spesso, sai, odiavano vederti così. Erano abituati ad avere un'altra immagine di te. Quella del fumatore a tutte le ore, quello che “Andare a scuola non fa per me!” Poi a casa si annoia, quella della persone che ride anche da solo, lo stupido. 
Me ne parlarono a volte, venivano a trovare anche me. Si preoccupavano anche loro che io fossi ancora in me e sopratutto viva. 
Sono passati venti giorni da quella maledetta frase, che mi ha sconvolto la vita. 
Sto iniziando la scuola senza di te, mi sto svegliando alle sei della mattina senza il tuo buongiorno. Sto affrontando tutte quelle facce finte della mia classe, della mia scuola, senza di te. Conoscono tutto, ed io ero da sola. Rischiavo crisi di pianto ogni mezz'ora, le mie amiche erano lì ma non capivano. Nessuno capiva. Ho iniziato le prime verifiche senza di te, i primi compiti a casa, le prime giornate passate a casa sotto le coperte. 
Tu eri ancora lì, stesso letto, stessa finestra che vedevo dalla strada, stesso amore, stessa stanza. Non ti muovevi in tutti i sensi, non mi vedevi ma ero lì e non credere alle brutte voci che ci sono in giro. Non sono mai stata così vicino ad una persona come con te. E' che sei tu. L'amore mio. La mia ancora. Il sole in mezzo a tutto questo schifo. Avrei da raccontarti milioni di cose. Per esempio, è appena iniziata la scuola e in classe mia già fanno le galline. Sai che ho la pazienza al limite? Non rispondi. Serviresti tu. Ora. 
E' stata dura andare avanti così, non te lo nascondo. E' stata dura alzarsi ogni mattina e rendermi conto che tu eri ancora là e non a casa tua a dormire. 
Andare a scuola,mangiare, venire da te senza studiare. Non è stato un inizio dell'anno scolastico meraviglioso. I miei genitori non potevano farci niente. Non mi sgridarono per i brutti vuoti, per gli impreparati. Sapevano che era una brutta situazione, ci erano già passati. 
Avevo otto anni e pensavo che nessuna persona se ne sarebbe mai andata, ma mi sbagliavo. E un pomeriggio è arrivato mio nonno che ha detto a mia madre che suo zio era morto. Ricordo ancora l'ombra di lui causata dal sole che entrava dalla porta, ricordo la sua voce. Lo zio di mio madre, che era anche il mio. Non capivo cosa volesse dire. L'avevo visto il giorno prima e il fatto che non l'avrei visto mai più mi faceva andare fuori di testa. Avevo capito cosa voleva dire morire, lasciare tutto senza una parola. Ho cominciato a non dormire la notte, a piangere a scuola, a voler stare con mia madre ogni secondo, a scrivere biglietti ai miei genitori con scritto “Ti voglio bene.” ogni giorno, a ripeterglielo ogni sera. Ho iniziato ad avere paura della morte. Poi è passato, ho capito che tutti muoiono come nascono e non è una cosa triste, che è la vita. Tutti hanno un segreto ed io ero di nuovo dentro il mio e tutti quelli che mi erano vicino non potevano fare nulla.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


CAPITOLO 5.


Era passato un mese, un mese in quella sedia, un mese a guardarti, un mese tra quei dottori, un mese da sola o quasi. 
Il pomeriggio diventava sera e il buio invadeva quella finta camera che sapeva di disinfettante. Io restavo così, nell'ombra di quella porta aperta, preferivo non accendere la luce, restare cosi, piangere in silenzio. Nessuno poteva vedermi. Lui in quel buio sembrava vivo, sembrava con me nel letto che dormiva, sembrava lì. Invece non era lì. 
Tuo padre veniva ogni sera e mi abbracciava forte. Mi abbracciava per rimettere a posto qualche pezzo del mio cuore al posto tuo. Siete uguali. Poi mi mandava via. 
“Basta. Vai a casa, ti prego.” 
Mi guardava, stava male per me, per come ero ridotta, stava male per se. Mi ringraziava in silenzio. 
Non protestavo, lo lasciavo da te e me ne andavo.
“Buonanotte.” Sorrideva, quel sorriso che ci accomunava tutti. 
Passavo davanti la porta delle infermiere. Mi fermavo cinque minuti, volevo delle notizie. Non dicevano mai nulla. Chiamavo i dottori. I tuoi dottori. 
“Buonanotte pure a voi, me ne sto andando a casa, anche se non voglio, posso dormire qua?” 
Mi dicevano di no ogni sera. 
“Non sappiamo niente. Bisogna solo aspettare.” 
E io aspettavo. Ogni giorno ti aspettavo. Nessuno penso che riuscirà a capire tutto questo. Non dormivo la notte, nel mio letto, pensavo e basta. Pensavo a quanto eravamo felici, a quante ne avevamo combinate, a quanto bene ti volevo, a quanto ti amavo ogni giorno nonostante tutto. 
Prima di questo disastro non mancava un giorno senza stare insieme, almeno un giorno, almeno dieci minuti il pomeriggio, un'oretta alla sera. 
L'estate era sempre difficile per una coppia ma non per noi, tu stavi in una spiaggia con i tuoi amici, quelli di scuola che ora vengono qua a vederti, io con i miei che vedevo solo d'estate. 
Non era importante, stavamo insieme comunque, con la testa, sempre, mi chiamavi troppo spesso, ti mancavo. Tu mancavi a me. 
“Sono in spiaggia, non sto bene, dove sei?” 
Non stavi male davvero, avevi solo bisogno di me per sorridere un po'. Stavo male anche io quando non c'eri. 
Dove sei? Già dove sei tu? 
Ti ricordi i viaggi mentali? A volte ne parlavamo, non so, forse mi racconterai, ma tu in quel mese hai sognato in continuazione. Milioni su milioni di viaggi e immaginazione. 
C'è gente che si sveglia dal coma dopo un sacco di tempo e non riconosce più perchè è cresciuto, invecchiato, ha perso la sua immagine, l'amore, ha perso tutto. Ma si svegliano a volte. E tu ti saresti svegliato, te l'ho promesso. 
Poi una mattina, non ero a scuola, era domenica. Sono arrivata all'ospedale con il fiatone, ho fatto le scale. Ho paura degli ascensori. Erano le otto e le infermiere della sera prima mi salutarono, erano stanche, io no. 
Entrai nella tua stanza e tu non c'eri. Urlai. Pensavo fossi morte la notte prima quando me ne ero andata, e ti avessero già portato di sotto, senza flebo, senza tubo, senza macchine. 
E invece era arrivata l'infermiera e pure tuo padre, che aveva dormito lì. Ti avevano sposato in un'altra stanza e si erano dimenticati di dirmelo. La paura che era entrata dentro di me e dentro quella stanza mi stava facendo a pezzi e mi sedetti a terra vicino alla finestra a piangere. Fottetevi, pensai. 
Tuo padre mi tirò su. 
“Sta bene, calmati, è ancora qua.” 
Ma io non mi calmai mai più.


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Ps. Scusate il ritardo, ma non ho avuto tempo!
E scusate anche la lunghezza di questo capitolo, mi dispiace.
Spero vi piaccia, baci.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


CAPITOLO 6.



Ho sempre paura che ti ricapiti e tutto questo si ripeta da capo e che tu mi lasci da sola di nuovo qua ora che da sola proprio non ci riesco.
Ho paura quando esci al sabato sera e fai le tue "seratone", che ti conosco bene, e nonostante tutto ancora non hai imparato.
Ho paura quando non mi rispondi, e magari devo farmi forza di nuovo e salire quelle scale ancora.
Ho paura quando hai quella faccia, quando qualcuno ti ha fatto un torto e vorresti prenderlo a pugni ma non lo fai.
Ho paura quando vai lontano dove non ti conosce nessuno e nessuno può controllarti, nemmeno io.
Ho paura per fino quando sono con te e posso vederti. L'ansia entra in tutto il mio corpo.
Hai paura anche tu ed è inutile che ti nascondi dietro a tutto. A quelle facce, a quelle sigarette, alle ubriacate del sabato sera, a fare lo stronzo.
Hai paura ed hai bisogno di qualcuno.
Hai paura perchè lo capisco quando mi parli, quando vai al pronto soccorso per una semplice febbre. Quando dici che hai una visita di controllo.
Che poi non ne parli mai con nessuno e non so come fai. E' come se non fosse mai successo, nessuno ci pensa più. Magari tutti ci pensano quando ti vedono e ancora non ci credono.
"Cazzo quanto è forte!" Diranno le voci nelle loro teste.
Sorrido, quel sorriso che portavo quel giorno.
Non ricordo quanti giorni erano passati, ormai non ci facevo più caso, il tempo passava e basta.
E io non me ne accorgevo da quanto ero persa.
Ero passata davanti alla saletta dell'infermiere come era mio solito fare, c'era solo Cinzia avrà avuto trent'anni, era carina, non bella ma si vedeva che era giovane. Era sposata, suo marito era un medico ma non l'avevo mai visto.
"Ciao bella! Tutto bene?"
Sentii la sua voce passare dalla porta aperta, non volevo fermarmi non era giornata. La scuola mi stava rendendo acida e stanca.
"Sisi, grazie."
Me ne andai prima che continuasse la conversazione. Non avevo molto da dire.
Entrai nella tua stanza, non quella del primo giorno, quella in cui ti avevano spostato qualche giorno prima.
Quel giorno ti ho raccontato la mia giornata, non so perchè, tanto non mi ascoltavi, non lo avevo mai fatto. Ero stanca forse di tenermi tutto dentro.
Mi avevi stretto la mano, sai lo avevi fatto quel giorno.
Avevi capito che io lì non ci volevo più stare.
Che ero stanca.
Ed io ho pianto perchè tu eri lì e mi avevi stretto la mano.
Forse avevo urlato perchè l'infermiera era lì davanti a me e quando mi guardò sorrise come se sapesse, sorrise davvero e capì.
La guardai e mi diede ragione. la mandai via, volevo vedere se parlare della mia vita funzionava davvero o era stata solo una piccola coincidenza. Ti saresti svegliato.
In quel momento non ce la facevo davvero più a vederti in quelle condizioni, dopo che mi avevi stretto la mano, sapendo che eri lì con me.
Hai aperto gli occhi, lo hai fatto.
Ti ho guardato ed eri lì, con me, eri lì.
Ti ho sorriso, un vero sorriso. Piangevo.
"Era ora." Dissi.
Poi non ricordo molto bene, ma penso di aver chiamato qualcuno o magari già li aveva chiamati prima l'infermiera di turno. Ho chiamato tua madre. Tuo padre.
Ho chiamato anche mia madre ed era felice.
Ti hanno visitato e sistemato. Ti hanno tolto quel tubo orribile e pure le macchine a fianco al letto. Eri di nuovo tu.
Tua mamma ti è saltata addosso appena è arrivata, non sai quanto ti ama, e pure tuo padre. Ti ha stretto la mano.
"Bravo!" Ti ha detto con le lacrime agli occhi.
Non era un film. Dove la persona dopo un'operazione si risveglia e comincia a ridere e a parlare come se non fosse successo mai nulla.
Li guardavi, ci vedevi, capivi ma non avevi le forze per fare il resto.
"Volevo ringraziarti." Mi disse tua madre, mi scappò una lacrima. Poi mi lasciò sola con te. Non sai da quanto aspettavo quel momento.
Rimasi in piedi di fianco a te, ti presi la mano e la baciai, tu me l'hai stretta di nuovo come qualche ora prima.
Sentivo solo i brividi sulla mia schiena e le guance bagnate. Non ci credevo ancora.
Baciai le tue labbra. non potevo farlo. lo feci comunque.
Sentivo il tuo respiro, quello vero.
"Non ci credo."
Mi sedetti, non stavo bene, almeno non completamente.
Lo capì; perchè capisce tutto e non riesci a nascondergli nulla. Eri sempre stato così, da quando ti conoscevo almeno.
E finalmente ero lì. In quella stanza, che ormai era la mia seconda casa, con la persona che amavo di più.
E tu eri lì con me, eri sempre stato lì.
E ora tutte quelle domande non importavano più.




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Scusate il ritardo di nuovo, ma ho avuto da studiare e traslocare!
Spero vi piaccia.
Aspetto una vostra recensione.
Baci.
 

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